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Il diritto tributario si definisce come complesso di norme e di principi che presiedono all’istituzione e all’attuazione di
quella specifica entrata di diritto pubblico che è il tributo (imposta, tassa, contributo).
Il diritto tributario presenta numerose interferenze con altre discipline, giuridiche o economiche, tra cui:
- Diritto finanziario, cioè una scienza giuridica avente ad oggetto lo studio dell’attività di finanziamento svolta
dall’ordinamento giuridico, contenente cioè le norme che disciplinano l’amministrazione del patrimonio pubblico e
della spesa pubblica.
- scienza delle finanze, per quanto riguarda il ruolo delle politiche monetarie e quindi l’incidenza della spesa pubblica
nell’ordinamento
- Diritto pubblico, per i principi di diritto tributario contenuti nella costituzione (art. 23, art. 53, art 75 costituzione)
- Diritto privato, sia perché dall’imposizione tributaria sorge un rapporto giuridico d’imposta tra contribuente ed ente
impositore che, pur essendo un istituto di carattere pubblicistico, si modella su regole e principi di diritto privato; sia
perché il presupposto di fatto per l’esplicazione del fenomeno tributario è costituito da istituti privatistici (nascita,
cittadinanza, compravendita etc.)
- Diritto internazionale e comunitario, per quanto riguarda i trattati istitutivi dell’unione europea e i trattati
internazionali
- Diritto commerciale, per quanto riguarda i redditi d’impresa
- Diritto del lavoro, per quanto riguarda i redditi dei lavoratori autonomi e subordinati
In generale, i mezzi finanziari di cui necessita lo Stato per la propria esistenza possono derivare, oltre che
dall’indebitamento, sia dalla gestione del proprio patrimonio o dall’esercizio di attività economiche, sia da prelievi di
carattere coattivo.
a) Nel primo caso, delle entrate di diritto privato, esse sono dovute in base ad un atto di attività negoziale privata, in
cui lo Stato/enti pubblici si comportano e agiscono alla stregua di un qualsiasi operatore privato, in quanto
amministrando il proprio patrimonio, svolgono attività economiche o partecipano al capitale di determinati soggetti
che svolgono attività economiche. In tal caso si parla di entrate pubbliche iure privatorum
b) Nel secondo caso, delle entrate di diritto pubblico, esso sono dovute in base all’esercizio di un potere coattivo da
parte dello Stato/enti pubblici. In tal caso si parla di entrate pubbliche iure imperii
Nella prospettiva giuridica, maggiore rilevanza assume la distinzione tra entrate tributarie ed extratributarie, incentrata
sulla nozione di tributo, oppure tra prestazioni patrimoniali imposte e prestazioni patrimoniali non imposte che muove
dal disposto di cui all’art. 23 Cost.
Come sottolineato da dottrina e giurisprudenza, la qualificazione giuridica delle diverse prestazioni patrimoniali
deve essere condotta facendo riferimento alla funzione giuridica delle stesse, agli interessi che vi sono alla base,
nonché agli effetti prodotti nei rapporti tra le parti, e non facendo riferimento alla forma (nomen iuris) → principio di
prevalenza della sostanza sulla forma
Il tributo è una species all’interno del genus delle prestazioni patrimoniali imposte; essa costituisce un’obbligazione di
diritto pubblico, cioè imposta ex lege dall’ente pubblico e quindi non dipendente dalla manifestazione di volontà del
soggetto passivo, al fine di far fronte alla spese pubbliche.
Nell’ambito dei tributi, è possibile distinguere:
1) Imposta: prelievo coattivo di natura pecuniaria, dovuto dai contribuenti in relazione alla propria capacità
contributiva e finalizzato a finanziare servizi pubblici indivisibili, perché il loro prelievo concorre all’erogazione di servizi
rivolti alla totalità dei cittadini (es. opere di pubblica utilità, quali l’istruzione, la sicurezza, la sanità pubblica,ecc)
→ retta dal principio di capacità contributiva (e dal principio del sacrificio)
2) Tassa: prestazione dovuta a fronte di un servizio pubblico richiesto e fruito dal contribuente (servizi divisibili),
perché a fronte del pagamento della tassa il contribuente fruisce di un servizio da parte dell’ente pubblico.
→ retta dal principio del beneficio (controprestazione)
3) Contributo fiscale: prestazione erogata a fronte di un servizio pubblico non richiesto, ma comunque fruito da parte
del contribuente, anche indirettamente (es. contributo di miglioria, oneri di urbanizzazione, ecc)
MONOPOLI FISCALI
Il monopolio, in generale, costituisce una forma di mercato caratterizzata dall’assoluta concentrazione dell’offerta in
capo ad un unico produttore, il quale essendo libero da altre imprese concorrenti, può fissare il prezzo in completa
libertà. I monopoli possono essere:
- Monopoli di fatto: istituiti per ragioni strutturali di mercato (es. per creare barriere all’ingresso di un mercato o per
limitare delle esternalità negative strutturali)
- Monopoli di diritto: quando sono istituiti per espressa previsione normativa (es. monopoli fiscali: monopolio dei
tabacchi e monopolio di giochi e scommesse)
Quindi il monopolio fiscale fa riferimento a quella situazione in cui la vendita esclusiva di beni o erogazione di servizi fa
capo allo Stato, che è libero di fissare il prezzo di vendita.
L’entrata pubblica derivante dalla vendita di beni in monopolio, pur non rientrando in senso stretto all’interno delle
prestazioni tributarie, è assimilata alle prestazioni patrimoniali imposte poiché ove il consumatore voglia acquistare
beni e servizi in regime di monopolio deve necessariamente rivolgersi allo Stato.
FONTI DEL DIRITTO TRIBUTARIO
Il sistema delle fonti indica le regole che disciplinano le norme sulla produzione giuridica.
Le fonti possono essere distinte in 2 tipologie, a seconda della provenienza:
• Sovranazionali:
fonti esterne rispetto al nostro ordinamento, che sono emanate da organismi esterni, e che producono effetto
sulla sovranità nazionale tramite la limitazione della sovranità, sancita dagli artt. 10-11 della costituizione.
L’art. 11 dispone che, in condizioni di parità con gli altri Stati, sono consentite le limitazioni di sovranità ai fini
di promuovere pace e unità tra le Nazioni e a tal proposito sono favorite le organizzazioni internazionali rivolte
a tale scopo.
Le fonti sovranazionali possono essere fonti di matrice:
a) Internazionale
b) Comunitaria (fonti di diritto unionale)
• Nazionali (o di diritto interno):
fonti interne, cioè emanate nell’ordinamento italiano, e che seguono una gerarchia delle fonti:
1) Costituzione Repubblicana del 1948
2) Leggi ordinarie (legge emanata dallo stato o in alcuni casi dalle regioni, secondo l’art. 117 della
costituzione, che ripartisce la competenza legislativa tra Stato e Regioni)
3) Norme secondarie: regolamenti dello Stato, delle Regioni, delle Province e dei Comuni
In materia tributaria, tra la costituzione e le leggi ordinarie si colloca lo Statuto dei diritti del contributente, approvato
in Italia con la Legge 212 del 2000, legge ordinaria emanata dal Parlamento secondo il comune iter legislativo adottato
per la legge ordinaria.
Tale legge, seppur ordinaria, si dice “rafforzata” o “rinforzata”, perché il legislatore ha manifestato escplicitamente
l’intenzione di attribuire ai principi espressi nelle disposizioni dello Statuto, o desumibili da esso una rilevanza del tutto
particolare nell’ambito della legislazione tributaria e una sostanziale superiorità rispetto alle altre disposizioni vigenti in
materia (cd. clausole di autorafforzamento) ed è per questo che nella gerarchia delle fonti, solo in materia tributaria,
si colloca al di sopra della legge ordinaria. In particolare, l’art. 1 della legge statuisce che le sue disposizioni sono
attuazione degli artt. 3 , 23, 53 e 97 della Costituzione.
FONTI SOVRANAZIONALI:
1) FONTI DI DIRITTO INTERNAZIONALE
si collocano nell’ordinamento in forza dell’art 10 della costituzione.
Esse sono essenzialmente 2:
a) Le consuetudini internazionali: fonte di primo grado, che si basa su condotte reiterate nel tempo e che sono quindi
considerate vincolanti dagli Stati.
b) I trattati e le convenzioni internazionali: fonte di secondo grado, ma che hanno maggiore valenza in ambito
tributario, poichè si tratta di fonti scritte che derivano dall’accordo tra 2 o piu Stati, attraverso cui due o più
ordinamenti si autolimitano cedendo una parte della propria sovranità per perseguire un determinato scopo.
Possono essere bilaterali o multilalaterali, a seconda del numero di Stati che stipulano l’accordo internazionale.
I trattati e le convenzioni internazionali sono volti soprattutto a regolare l’esercizio della propria potestà impositiva, al
fine di eliminare le doppie imposizioni sui redditi e/o sul patrimonio dei rispettivi residenti.
In genere si parla di doppia imposizione internazionale quando i presupposti di imposta in due o più stati si
sovrappongono e dunque le diverse leggi nazionali assoggettano due o più volte ad imposta la stessa ricchezza.
La doppia imposizione può sorgere come conseguenza dello scontro tra 2 sistemi di tassazione:
a) il principio dell’utile mondiale (worldwide taxation), secondo cui i soggetti residenti sono soggetti ad imposizione
per i redditi ovunque prodotti, cioè prodotti sia nel territorio dello stato di residenza sia all’estero
b) il principio dell’utile territoriale, secondo cui i soggetti non residenti sono soggetti ad imposizione solo per i redditi
prodotti entro i confini dello Stato in cui tale ricchezza ha avuto manifestazione.
Tali trattati si ispirano al modello di Convenzione elaborato in sede OCSE, che contiene alcuni metodi per l’eliminazione
della doppia imposizione, tra cui:
- Esenzione dei redditi prodotti in determinati stati, che consiste nell’escludere dall’imposta i redditi di fonte estera.
- Credito d’imposta, garantendo la detrazione delle imposte assolte all’estero dal debito dovuto nello Stato di
residenza
Oltre ad evitare le doppie imposizioni, le Convenzioni hanno anche lo scopo di prevenire l'evasione e l’elusione fiscale;
a questo fine esse prevedono alcune disposizioni sulla cooperazione amministrativa tra gli Stati.
2) FONTI DI DIRITTO UNIONALE
Accanto alle fonti di diritto internazionale, abbiamo le fonti di diritto unionale, che si sono formate all’interno
dell’Unione europea.
Rispetto alle fonti internazionali in senso stretto, esse promanano dal fenomeno unionale, finalizzato principalmente a
garantire la concorrenza e la libera circolazione di merci e persone all’interno del mercato europeo.
Le fonti di diritto unionale si distinguono in:
A) Fonti primarie, che comprendono il Trattato dell’Unione europea (TUE), il Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea (TFUE) e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (carta di Nizza).
In particolare, il TFUE contiene alcuni principi generali, in materia tributaria, tra cui il Principio di non discriminazione
fiscale (non possono essere poste in essere misure volte a discriminare fiscalmentene gli operatori economici nel
territorio unionale), il Divieto di aiuti di stato (finalizzati a procurare vantaggi fiscali solo a determinati operatori
economici, a svantaggio di altri), Principio di armonizzazione fiscale (armonizzare le legislazioni fiscali degli stati
membri, che tuttavia è stata raggiunta principalmente nell’ambito del tributo IVA)
B) Fonti secondarie (o derivate), costituite da atti normativi fondati sui trattati dell’UE.
Comprendono:
1. Regolamenti: si tratta di regole di portata generale, obbligatorie in tutti i loro elementi e direttamente applicabili in
ciascuno degli stati membri.
Gli stati membri non hanno obbligo di darvi attuazione (salvi i casi in cui l’attuazione è espressamente prevista).
2. Direttive: si tratta di atti aventi carattere vincolante nei confronti degli stati membri cui sono rivolte.
Le modalità attraverso le quali si deve raggiungere il risultato indicato nella direttiva sono lasciate alla discrezionalità
dei singoli stati membri, i quali si avvalgono di una legge interna di recepimento.
Fanno eccezione alla necessità di recepimento, le cd. direttive-regolamento (direttive autoapplicanti), che si
comportano sostanzialmente come i regolamenti, quindi non necessitano di una normativa di recepimento; per questo
motivo si parla di direttive self exevutive.
3. Decisioni: sono atti vincolanti che si distinguono dai regolamenti per il fatto di avere quali destinatari soggetti
determinati o determinabili.
I destinatari possono essere persone fisiche, persone giuridiche e anche gli stati membri.
4. Raccomandazioni e pareri: si caratterizzano per la loro non vincolatività, per cui possono essere emanati da tutte le
istituzioni comunitarie. Di solito, le raccomandazioni sono rivolte agli stati membri, che sono invitati a conformarsi a un
certo comportamento. I pareri invece sono gli atti attraverso cui le istituzioni europee veicolano il proprio pensiero in
ordine a determinati argomenti.
Le raccomandazioni e i pareri contribuiscono a creare la cd. soft law e sono costituite anche dalle sentenze della Corte
di Giustizia europea, che hanno il compito di interpretare il diritto comunitario (si parla di interpretazione
pregiudiziale).
COSTITUZIONE
Essa prevede diverse norme che interessano il diritto tributario:
- Art. 23: “Nessuna prestazione patrimoniale o personale può essere imposta se non in base alla legge” (riserva di
legge relativa) → Principio di legalità dell’imposizione tributaria
- Art 53: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema
tributario è informato a criteri di progressività” → Pricipio di capacità contributiva e principio di progressività del
sistema tributario
- Art. 75: “Non è ammesso referendum per le leggi tributarie e di bilancio” → Divieto di referendum abrogativo in
materia tributaria
- art. 81: “Con la legge di bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese”. Si tratta del principio del
pareggio di bilancio introdotto nel 2012, secondo cui la Pubblica Amministrazione deve garantire l’equilibrio tra le
spese e le entrate pubbliche.
- artt. 117 e 119: hanno dato attuazione al cd. federalismo fiscale. L’art. 119 stabilisce che l’autonomia finanziaria degli
enti territoriali è esercitata in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica
e del sistema tributario; l’art. 117 individua le materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato, quelle di
legislazione concorrente tra Stato e Regioni, e infine quelle residuali, la cui potestà legislativa spetta alle Regioni.
NB. Anche a comuni, province e città metropolitane è riconosciuta autonomia di entrata e il potere di stabilire ed
applicare tributi ed entrate propri. Tuttavia, sebbene l'articolo 119 ponga formalmente sullo stesso piano regioni ed
enti locali, la riserva di legge di cui all’articolo 23 della Costituzione - che sancisce che nessuna prestazione
patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge - preclude a questi enti l’esercizio di una potestà impositiva
diretta analoga a quella delle regioni.
Quindi i comuni, le province e le città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina
dell’organizzazione dello svolgimento delle funzioni loro attribuite, ma non la potestà legislativa.
Il concorso alle spese pubbliche da parte dei contribuenti avviene mediante l’imposizione di prestazioni patrimoniali.
La Costituzione pone 2 limiti al potere di imposizione:
a) Limite sostanziale, posto dall’art.53, il quale afferma che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in
ragione della capacità contributiva, cioè la capacità contributiva deve essere correlata ad una manifestazione di
ricchezza dell’individuo e il concorso alla spesa pubblica non può eccedere la capacità contributiva.
b) Limite formale, posto dall’art. 23, che dispone che nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere
imposta se non in base alla legge. In questo modo, l’art. 23 introduce il principio di legalità, secondo cui l’imposizione
delle prestazioni deve essere prevista dalla legge non in tutti i suoi elementi, ma solo nei suoi elementi fondamentali,
potendo essere gli altri elementi rimessi ad una normazione secondaria (cd. riserva di legge relativa).
NB. Le prestazioni imposte non si esauriscono in quelle tributarie, ma comprendono tutte le prestazioni coattive
(imposte) che possono essere richieste senza che la volontà del privato vi concorra.
Quindi, in tale ambito di applicazione, rientrano sia le prestazioni personali imposte (es. obbligo di vaccinazione,
servizio di leva, ecc), che hanno ad oggetto un facere, sia le prestazioni patrimoniali imposte, in cui sono comprese le
prestazioni suscettibili di assumere valenza economica, quali le prestazioni tributarie.
La norma prevede una riserva di legge relativa, poiché è la legge che stabilisce gli elementi minimi della fattispecie
impositiva, ma il quadro normativo primario viene poi completato da atti normativi secondari, emanati da fonti
gerarghicamente inferiori, sia statuali che degli enti territoriali.
È stato sollevato l’interrogativo se la riserva di legge debba essere riferita soltanto alle norme di imposizione di natura
sostanziale (norme impositive in senso stretto) oppure anche a quelle riguardanti l’accertamento, la riscossione dei
tributi, le sanzioni, il processo.
Si può affermare che l’ambito applicativo del principio di riserva di legge previsto dall’art. 23 è restrittivo, cioè non vi
rientrano le norme formali riguardanti l’accertamento e la riscossione, che possono quindi essere disciplinate da fonti
sublegislative (non sono coperte da riserva di legge).
Il decreto legge ed il decreto legislativo sono atti aventi forza di legge emanati dal Governo in situazioni di necessità ed
urgenza o per discipline complesse ed articolate, infatti costituiscono un’eccezione rispetto al normale processo di
emanazione delle leggi ordinarie, in quanto è attribuito al Parlamento il potere legislativo, mentre spetta al Governo il
potere esecutivo (secondo il principio di separazione dei poteri).
L’art. 77 della Costituzione disciplina il decreto-legge: il Governo, in casi di straordinaria necessità e urgenza e nei modi
stabiliti dalla Costituzione, può esercitare la funzione legislativa emanando atti aventi forza di legge ordinaria.
Il decreto legge perde efficacia fin dall’inizio, se non viene convertito in legge entro 60 giorni dalla pubblicazione.
L’art. 76 della Costituzione disciplina il decreto legislativo:
il Governo può emanare atti aventi forza di legge in attuazione di una legge delega del Parlamento, che ne stabilisce
materia, limiti, principi e termini. Il decreto legislativo verte su materie complesse o specifiche (es. testi unici, codici)
Il diritto tributario costituisce uno dei settori nei quali gli istituti della decretazione legislativa e di quella d’urgenza
hanno avuto più ampia diffusione, ma in cui hanno incontrato anche maggiore resistenza.
Un fenomeno largamente diffuso in passato era la reiterazione dei decreti legge: il decreto legge non veniva mai
convertito in legge e veniva emanato un nuovo decreto, il cui testo era sostanzialmente identico a quello precedente.
La Corte costituzione pertanto ha censurato l’abuso del decreto legge in materia tributaria, dichiarando l’illegittimità
della reiterazione dei decreti legge non convertiti.
Limiti:
Recependo le indicazioni della Corte Costituzionale, l’art. 4 dello Statuto dei diritti del contribuente vieta l’adozione di
decreti legge che istituiscano nuovi tributi o estendano l’ambito soggettivo di applicazione di quelli esistenti.
Il limite imposto invece per i decreti legislativi riguarda la legge delega: essa deve contenere i principi e i criteri
direttivi, deve definire l’oggetto e porre un termine entro cui la delega deve essere eseguita, quindi non sono
consentite le cd. deleghe in bianco, in cui le materie oggetto di delegazione sono troppo ampie e l’oggetto e i tempi di
attuazione non sono determinati.
Il limite imposto da tale norma è definito “sostanziale”, perchè prevede che il dovere contributivo (dimensione del
sacrificio economico) deve essere commisurato all’effettiva manifestazione di ricchezza del soggetto obbligato.
La Corte costituzionale ha elaborato alcuni caratteri a cui la capacità contributiva deve ispirarsi:
a) Personalità: la manifestazione di ricchezza oggetto di imposizione fiscale deve essere personale, cioè il contribuente
deve rispondere fiscalmente esclusivamente del proprio patrimonio e reddito e non di quello di altri (come invece
avveniva fino al ‘76 con il cumulo giuridico dei redditi di entrambi i coniugi)
b) Attualità: la manifestazione di ricchezza deve essere presente al momento dell’imposizione, cioè l’imposizione
tributaria non può colpire patrimoni e redditi futuri o potenziali oppure passati o esauriti.
Tale principio di ricollega al generale principio di irretroattività.
Deroga al principio di irretroattività della norma tributaria: la Corte Costituzionale ammette la possibilità per il
legislatore di introdurre tributi che vadano a colpire ricchezze passate i cui effetti si presumono ancora pendenti.
In tali fattispecie occorre che il tributo si colleghi ad una capacità contributiva presente nel passato, ma occore anche
che vi sia la presenza di presunzioni tali da far ritenere che la ricchezza si sia conservata fino al momento in cui il
tributo deve essere effettivamente corrisposto (tipicamente un arco temporale non superiore a 5 anni).
c) Effettività, concretezza o oggettiva determinabilità: la manifestazione deve essere effettiva e non apparente o
fittizia e deve essere concretamente valutabile o determinabile economicamente in modo oggettivo.
La nozione di capacità contributiva è stato oggetto di differenti interpretazioni, per cui sono state elaborate 2 tesi:
1) Statica: la nozione di capacità contributiva si riferisce a indici (diretti o indiretti) espressivi di ricchezza.
Gli indicatori diretti sono: il reddito, il patrimonio e gli incrementi di valore, che pertanto sono assoggettati ad
imposizione tramite imposte dirette (es. imposte sul reddito, imposte patrimoniali)
Gli indicatori indiretti sono: il consumo, gli affari o il trasferimento di beni, che sono assoggettati ad imposizione
tramite imposte indirette (es. imposta di registro, imposta di bollo, IVA)
2) Neosvalutativa: la nozione di capacità contributiva si fonda sul criterio del riparto equo e ragionevole del carico
pubblico: per aversi capacità contributiva non deve esserci necessariamente un indice di ricchezza a cui ricollegare
l’impositizione tributaria, ma è sufficiente che vi sia un presupposto impositivo socialmente rilevante, anche non
patrimoniale, in modo tale che il tributo costituisca uno strumento per operare un criterio di riparto equo e
ragionevole del carico pubblico tra i consociati.
Questa tesi è valida soprattutto in alcuni ambiti, come nel caso di tutela ambientale (ex tributi ambientali: platic tax) o
di tutela della salute in ambito alimentare (ex tributi alimentari: fat tax, sugar tax).
Il secondo comma dell’art. 53 enuncia il principio di progressività a cui deve ispirarsi il sistema tributario (riferendosi al
sistema tributario nel suo intero, non ai singoli tributi).
Innanzitutto, la progressività comporta il fatto che l’aliquota d’imposta aumenta in misura più che proporzionale
all’aumentare della base imponibile, poichè ci sono aliquote crescenti applicate alla base imponibile, suddivisa in
scaglioni di reddito.
Finzione iuris: Questo principio trova una ridotta applicazione all’interno del sistema tributario, infatti trova attuazione
solo in relazione all’IRPEF, imposta diretta che colpisce forme immediate di produzione di ricchezza.
Tutte le altre categorie di tributi seguono principalmente un principio proporzionale o altri criteri di imposizione.
Tale principio si potrebbe dire quindi inattuato: si parla di crisi del principio di progressività, visto che la tendenza è più
orientata verso un sistema proprorzionale.
Tuttavia, si deve tenere presente che il principio di progressività introdotto dall’assemblea costituente fu introdotto a
fine di contemperare efficacemente i principi di uguaglianza e libertà.
In forza di tale principio non si impone quindi al legislatore ordinario di inserire tali criteri nella struttura di tutti i singoli
tributi, ma si lasciano ad esso le scelte concrete su come dare attuazione alla norma costituzionale.
Il legislatore è quindi chiamato ad imprimere al sistema tributario uno sviluppo orientato nella direzione della
progressività, individuandone le modalità attuative (progressività diretta, per scaglioni, per detrazioni, per classi, ecc).
È utile infine sottolineare che la proposta di introdurre un’imposta proporzionale sul reddito, ad aliquota piatta (flat
tax) può ritenersi compatibile con il principio costituzionale in esame, solo se temperato dall’utilizzo di detrazioni che
poi immettano la progressività nel modello.
FONTI SECONDARIE
Le fonti secondarie sono costituite dai regolamenti adottati dal potere esecutivo (Governo) e dagli enti pubblici
territoriali.
Inoltre a seconda del soggetto che li emana, i regolamenti governativi si distinguono in:
- regolamenti del Presidente del Consiglio (D.P.R)
- regolamenti ministeriali (D.M), emanati dai singoli ministri nell’ambito delle competenze del Dicastero o Ministero
che presiedono
- regolamenti interministeriali (D.P.C.M), emanati dal Presidente del Consiglio dei Minististri e guardanti materie
afferenti a più ministeri
In materie tributaria, è possibile adottare sostanzialmente i regolamenti organizzativi e delegati e solo nelle materie
non coperte da riserva di legge.
Occorre stabilire in che misura, la circolare sia vincolante per i terzi estranei all’amministrazione finanziaria:
Le norme tributarie disciplinano situazioni giuridiche che attengono sempre all’amministrazione finanziaria che tenuta
ad applicare la legge, o quanto meno, a verificare l’applicazione della legge da parte dei contribuenti.
È quindi comprensibile che l’amministrazione stessa dia coerenza alla propria attività mediante un’interpretazione
della legge che risulti uniforme e quindi idonea ad assicurare un indirizzo costante nell’applicazione delle diverse
norme.
Le circolari sono dunque “proposizioni giuridiche” (e non norme), che determinano la formazione di una prassi
amministrativa che consente di prevedere in quale modo la norma verrà applicata dagli stessi uffici.
Essendo atti interni all’amministrazione finanziaria, il contribuente non è vincolato, né è tenuto ad uniformarsi al
contenuto delle circolari. Tuttavia, egli potrebbe essere portato a seguire le indicazioni contenute in una certa
circolare, quindi l’art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente tutela la buona fede e il legittimo affidamento del
contribuente: dispone che non sono irrogate sanzioni, né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora si sia
conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorchè successivamente modificate
dall’amministrazione stessa o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente
conseguenti a ritardi, omissioni o errori di quest’ultima.
EFFICACIA DELLA NORMA TRIBUTARIA NELLO SPAZIO
Principio di territorialità:
Alla legge tributaria viene riconosciuto un carattere strettamente territoriale, nel senso che gli effetti di essa si
estendono in tutto il territorio dello stato e disciplinano atti, fatti o accadimenti che hanno attinenza con l’esercizio del
potere d’imposizione dello stato o degli altri enti siti nello stesso Stato.
Per quanto riguarda l’efficacia nel tempo, occorre tenere presente l’art. 11 delle Preleggi, il quale stabilisce che la legge
dispone solo per l’avvenire, cioè non ha effetto retroattivo.
Deroga per le norme di interpretazione autentica: l’art. 3 dello statuto dei diritti del contribuente (Legge 212/2000)
stabilisce che, ad eccezione delle norme interpretative in materia tributaria (disposta solo in casi eccezionali e con
legge ordinaria), le disposizioni tributarie non possono avere effetto retroattivo.
Inoltre, l’art. 3 stabilisce che, relativamente ai tributi periodici, le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal
periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono.
Va precisato che, seppur le leggi tributarie dispongano per l’avvenire, ove tale vincolo non venga rispettato, manca un
presidio costituzionale come quello stabilito dall’art. 25 Cost per le norme penali, in virtù del quale sia possibile
dichiararne l’illegittimità costituzionale.
Questo però non esclude che la norma tributaria retroattiva possa essere viziata sotto altri profili, come ad esempio il
caso in cui un’imposta, istituita o disciplinata da una norma retroattiva, concreti una violazione di principi
costituzionali, come quello della capacità contributiva sancito dall’art. 53.
Tuttavia, non sempre la capacità contributiva si esprime attraverso un fatto istantaneo oppure inquadrato in un
determinato periodo di imposta. È questo ciò che si è verificato con riguardo all’ipotesi in cui l’imposta colpisce, nel
momento in cui viene applicata, una capacità contributiva esaurita.
CESSAZIONE DELL’EFFICACIA
Occorre distinguere 2 ipotesi:
a) Legge a termine: l’efficacia della legge cessa al verificarsi di un termine finale, cioè un evento fututo e certo previsto
dalla norma, a partire dal quale essa non produce più i suoi effetti. Si tratta, in genere, di provvedimenti agevolativi e,
meno frequentemente, di provvedimenti impositivi.
b) Legge a tempo indeterminato: se la legge non prevede un termine di scadenza, vale il principio generale contenuto
nell’art. 15 delle Preleggi, in base al quale le leggi possono essere abrogate solo da leggi posteriori, per dichiarazione
espressa del legislatore (abrogazione espressa) o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti
(abrogazione tacita) o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore.
In entrambi i casi, la cessazione dell’efficacia della norma opera ex nunc (“da adesso per il futuro”), cioè esplica i suoi
effetti solo dal momento in cui viene posto in essere. Ad esempio, se si tratta di termine finale, gli effetti dell’atto
prodottosi fino al verificarsi del termine, rimangono salvi.
Al contrario, l’espressione ex tunc è adoperata come sinonimo di retroattività (“come se non fosse mai entrata in
vigore”) per indicare che un certo atto giuridico esplica i suoi effetti da un momento anteriore a quello in cui viene
posto in essere. Esempio: le norme dichiarate incostituzionali hanno efficacia anche in relazione a rapporti giuridici
sorti anteriormente, purché ancora pendenti (per i quali non siano decorsi i termini di prescrizione o decadenza per
l’esercizio dei relativi diritti e per i quali non si sia formato il giudicato)
NB. Non è consentita l’abrogazione delle disposizioni tributarie attraverso referendum, in considerazione del divieto
espresso sancito dall’art. 75 Cost.
Come qualunque altra norma, anche quella tributaria resta soggetta al disposto di cui all’art. 12 delle Preleggi, in base
al quale: nell’applicare la legge non si può attribuire ad essa altro senso che quello fatto palese dal significato proprio
delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore.
Per interpretare la norma è quindi necessario svolgere, in modo consecutivo, 2 interpretazioni:
1. individuare il senso palese delle parole secondo una connessione di esse (interpretazione letterale)
2. attraverso l’interpretazione letterale bisogna ricercare l’intenzione del legislatore (interpretazione logica) o in base
alla ratio legis (interpretazione teleologica)
Una volta svolta l’interpretazione letterale e logica si perverrà a un risultato, che potrebbe non coincidere
perfettamente con il significato delle parole usate nella norma. Di conseguenza, è possibile distinguere:
- interpretazione restrittiva: quando si restringe il significato della parola usata dal legislatore
- interpretazione estensiva: quando si estende il significato della parola utilizzata dal legislatore
In passato, si sono sviluppate diverse teorie interpretative specifiche per il diritto tributario:
- “in dubio pro fisco”: nel dubbio si deve favorire l’interpretazione che a a vantaggio dell’amministrazione finanziaria e
per contro sfavorevole per il contribuente
- “in dubio contra fisco”: al contrario, nel dubbio, si deve favorire un’interpretazione a svantaggio dell’amministrazione
finanziaria
Interpretazione analogica: Può accadere, soprattutto nell’interpretazione giudiziale, che vi siano casi contreti che non
rientrino in una fattispecie astratta disciplinata dal legislatore.
Per tali situazioni, il 2 comma dell’art. 12 Preleggi disciplina gli strumenti per colmare tali lacune legislative:
- Analogia legis: applicazione, al caso concreto, di disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe
- Analogia Iuris: ricorso ai principi generali dell’ordinamento giuridico, qualora non vi sia una norma che disciplina casi
simili
NB. L’art 14 Preleggi pone un limite all’utilizzo dell’analogia: l’analogia non è ammessa per le norme penali (perchè
sono rette dal principio di riserva assoluta di legge) e per le norme eccezionali (per non estendere l’eccezione oltre i
limiti da esse previste).
L’analogia, in materia tributaria, è ammessa solo per le norme procedurali (procedimentali e processuali).
- norme impositive: l’analogia è vietata perché tali norme sono coperte da riserva di legge
- norme agevolative/esentative: anch’esse rientrano nell’ambito di esclusione previsto dall’art. 14 Preleggi
- norme sanzionatorie: rientrano nell’esclusione di cui all’art. 14 Preleggi, in quanto il divieto di analogia si applica alle
norme penali e a tutte le norme punitive, quindi anche a quelle sanzionatorie (coperte da riserva assoluta di legge).
STATUTO DEL CONTRIBUENTE
Lo statuto del contribuente è stato approvato in Italia con la Legge 27 luglio 2000 n.212.
Nella gerarchia delle fonti, si pone in una posizione di superiorià rispetto alla legge ordinaria, sebbene sia formalmente
una legge ordinaria, approvata cioè con lo stesso iter legislativo (presentazione di una proposta di legge, discussione,
approvazione bicamerale, pubblicazione, vacatio legis).
In dottrina si parla infatti di legge rafforzata o rinforzata, poichè contiene la clausola di fissità, che rappresenta una
garanzia al contenuto dello statuto stesso e perchè dà attuazione ai principi contenuti nella Costituzione (art. 3, 23, 53,
97 Cost.), i quali costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario.
Principi fondamentali:
• Chiarezza e trasparenza delle disposizioni
• Divieto di decretazione d’urgenza
• Irretroattività della legge
• Informazione del contribuente
• Motivazione degli atti
• Tutela dell’affidamento e della buona fede
• Garante del contribuente
• Diritto di interpello
Gli atti dell'amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione devono tassativamente indicare:
a) l'ufficio presso il quale poter ottenere informazioni complete in merito all'atto notificato e il responsabile del
procedimento
b) l'organo o l'autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell'atto in
sede di autotutela
c) le modalità, il termine, l'organo giurisdizionale o l'autorità amministrativa cui è possibile ricorrere in caso di atti
impugnabili
Art. 10: Tutela dell'affidamento e della buona fede. Errori del contribuente
I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della
buona fede (o affidamento).
Non possono essere irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora:
- egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell'amministrazione finanziaria, anche se successivamente
modificate dall'amministrazione medesima
- il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni o errori
dell'amministrazione stessa
- la violazione della norma dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della
norma tributaria oppure quando la violazione si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito d’imposta
Norme destinate al contribuente (Art. 8, art. 10bis, art. 11, art. 12, art. 13):
Art. 8: Tutela dell’integrità patrimoniale
Consente di estinguere l’obbligazione tributaria, essendo una obbligazione pecuniaria, tramite:
a) Versamento di una somma di denaro
b) Compensazione: la compensazione è una modalità di estinzione non satisfattoria del debito (art. 1241 c.c), per
effetto della quale si elidono le reciproche posizioni debitorie di due soggetti, l’uno debitore e contestuale creditore
dell’altro.
Prima dell’introduzione dell’art. 8 dello Statuto, la compensazione non era ammessa: secondo la dottrina
maggioritaria, l’inammissibilità dell’istituto trovava giustificazione nel principio di indisponibilità dell’obbligazione
tributaria. Il principio di indisponibilità prevede che solo il soggetto passivo d’imposta specificamente individuato dalla
legge può assumere la sua posizione di debitore nei confronti dell’amministrazione finanziaria, pertanto non è
possibile concordare un esenzione (totale o parziale) da qualunque specie di imposte o tasse.
c) Accollo del debito di imposta (cumulativo/non liberatorio): l’accollo è una modalità di modificazione nel lato
passivo del rapporto obbligatorio che consiste in un contratto bilaterale tra il debitore e un terzo, con il quale il terzo si
assume l’onere di pagare, al posto del debitore originario, un debito di quest’ultimo.
In materia di estinzione delle obbligazioni tributarie, l’istituto dell’accollo è stato ammesso, ma prevedendo che sia di
tipo cumulativo (o non liberatorio), cioè il debitore originario resta obbligato in solido con il terzo.
Il D.Lgs 128/2015 inserisce nello Statuto dei diritti del contribuente il nuovo art. 10bis (Disciplina dell’abuso del diritto
o elusione fiscale), disponendo così l’abrogazione delle precedenti disposizioni regolate dall’art. 37bis del D.P.R 600/73.
Tuttavia, in precedenza era già intervenuta la giurisprudenza unionale e nazionale, introducendo questo nuovo
concetto di abuso del diritto slegato dalle singole imposte e da quelle specifiche operazioni previste nell’art.37bis.
Differenza tra:
- Elusione fiscale/abuso del diritto: condotta che formalmente rispetta le norme tributarie, ma sostanzialmente non
ne rispetta la ratio, essendo finalizzata ad ottenere indebiti vantaggi fiscali (riduzione d’imposta o rimborso)
- Evasione fiscale: una condotta tenuta in diretta violazione della norma tributaria
L’art 10bis è una norma di carattere generale che definisce il concetto di abuso del diritto, cioè il compimento di una o
più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente
vantaggi fiscali indebiti.
Elementi della condotta abusiva:
1) operazioni prive di sostanza economica: fatti, atti e contratti (anche tra loro collegati) inidonei a produrre effetti
significativi diversi dai vantaggi fiscali. Si tratta di atti posti in essere esclusivamente per beneficiare di un trattamento
fiscale di favor. Sono indici di mancanza di sostanza economica:
- la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme
- la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato
2) Vantaggi fiscali indebiti: benefici realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi
dell’ordinamento tributario
INTERPELLI TRIBUTARI
L’interpello tributario è uno strumento ad iniziativa del contribuente che si ispira al principio di collaborazione tra il
fisco e il contribuente, attraverso cui è possibile conoscere preventivamente la posizione dell’amministrazione
finanziaria rispetto all’applicazione di norme tributarie ad un caso concreto e personale, sul quale sussistono obiettive
condizioni di incertezza.
L’istituto dell’interpello ordinario è stato introdotto dall’art 11, comma 1, lett. a) dello Statuto del contribuente,
successivamente modificato dal D.lgs n.156/2015, che ha poi introdotto all’interno dello statuto del contribuente altre
tipologie di interpello.
1) Interpello ordinario e qualificatorio: l’interpello ordinario consente ad ogni contribuente di chiedere un parere in
ordine all’applicazione delle disposizioni tributarie di incerta interpretazione riguardo un caso concreto, attuale e
personale ove ricorra obiettiva incertezza. L’interpello qualificatorio consente al contribuente di interpellare
l’amministrazione finanziaria nel caso in cui le condizioni di obiettiva incertezza incidono sulla corretta qualificazione
della fattispecie ai fini fiscali. Termine di risposta: 90 giorni
2) Interpello probatorio: consente al contribuente di chiedere un parere in ordine alla sussistenza di condizioni o alla
valutazione dell’idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge per l’adozione di specifici regimi fiscali nei casi
espressamente previsti. Termine di risposta: 120 giorni
3) Interpello antiabuso: consente di presentare istanza di interpello richiedendo all’amministrazione se determinate
operazioni che intende realizzare configurino o meno un’ipotesi di abuso del diritto. Termine di risposta: 120 giorni
4) Interpello disapplicativo: Il contribuente interpella l'amministrazione finanziaria per la disapplicazione di norme
tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d'imposta,
altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario, fornendo la dimostrazione che nella particolare fattispecie tali effetti
elusivi non possono verificarsi.
Le norme antielusive si fondano su una presunzione di elusione, quindi il contribuente chiede all’amministrazione di
disapplicare tali norme esclusivamente per poter avvalersi di deduzioni, detrazioni e crediti di imposta, dimostrando di
non voler porre in essere comportamenti elusivi. Termine 120 giorni
Poteri:
- Richiedere documenti o chiarimenti agli uffici competenti
- Attivare le procedure di autotutela nei confronti di atti amministrativi di accertamento o di riscossione notificati al
contribuente. L’autotutela consiste nel potere concesso all’amministrazione finanziaria di annullare eventuali atti propri
ritenuti illegittimi o infondati.
- Rivolgere raccomandazioni ai dirigenti degli uffici ai fini della tutela del contribuente e della migliore organizzazione
dei servizi
- Accedere agli uffici finanziari e controllare la funzionalità dei servizi di assistenza e di informazione al contribuente
- Individuare i casi di particolare rilevanza in cui le disposizioni in vigore o i comportamenti dell’amministrazione
determinano un pregiudizio per il contribuente, segnalandoli al direttore regionale o al comandante di zona della
Guardia di Finanza competente, al fine di un eventuale avvio del procedimento disciplinare
- Presentare, ogni 6 mesi, una relazione sull’attività svolta al Ministro delle finanze
- Fornire, con relazione annuale, al Governo e al Parlamento dati e notizie sullo stato dei rapporti tra fisco e
contribuenti nel campo della politica fiscale
Tale figura presenta alcuni limiti: non ha poteri vincolanti o coercitivi; non ha potestà amministrative giurisdizionali e
non ha il potere di irrogare sanzioni.
Dunque, può solamente operare ex ante, tramite lo svolgimento di attività di verifica e prevenendo il sorgere di
controversie
OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA
È un’obbligazione pubblicistica (obligatio ex lege), il cui schema è lo stesso dell’obbligazione civilistica, infatti anche
all’obbligazione tributaria, nei limiti di compatibilità, trovano applicazione degli istituti tipici dell’obbligazione civilistica,
ma essa trova il suo fondamento normativo direttamente nella legge (art. 23 Cost), quindi la sua disciplina a volte
differisce da quella civilistica.
Obbligazione civilistica: vincolo giuridico tra un soggetto passivo, titolare dell’obbligo ad adempiere la prestazione
tributaria e un soggetto attivo, titolare del diritto all’adempimento.
Tesi relative al momento genetico dell’obbligazione tributaria: quando sorge l’obbligazione tributaria?
1) Teoria dichiarativa: secondo cui l’obbligazione tributaria sorge quando, nella realtà fattuale, si realizza la fattispecie
generale ed astratta individuata dalla norma. Tutto ciò che si verifica dopo che si realizzi il presupposto contemplato
dalla norma ha solo funzione dichiarativa di un’obbligazione tributaria già sorta.
2) Teoria costitutiva: secondo cui il momento genetico dell’obbligazione si ha quando viene posto in essere un atto di
accertamento tributario da parte del fisco, vale a dire quando viene emesso l’avviso di accertamento, che in tal caso ha
valenza costitutiva dell’obbligazione stessa. Questa tesi è stata da molti criticata, poiché gran parte dei casi non sono
oggetto di controllo e di accertamento. Nelle ipotesi in cui non vi sia l’avviso di accertamento, questa tesi afferma che
l’obbligazione sorge con la dichiarazione tributaria, che equivale a una sorta di autoaccertamento del contribuente.
3) Teoria procedimentale: costituisce una variante rispetto a quella costitutiva, difatti essa ritiene che il momento
genetio dell’obbligazione tributaria coincide con la fase attuativa-procedimentale, cioè con la fase di accertamento
intesa in senso lato. Questa tesi si occupa infatti di studiare il procedimento impositivo, cioè un complesso di atti e
operazioni ordinate e collegate tra loro, preordinate all’adozione di un atto finale di accertamento.
Sulla base degli indicatori di ricchezza assunti dal legislatore quali presupposti:
- Imposte dirette: hanno come presupposto impositivo le manifestazioni dirette di capacità contributiva (quali il
reddito e il patrimonio)
- Imposte indirette: hanno come presupposto impositivo manifestazioni indirette di capacità contributiva di un
soggetto (come i consumi e i trasferimenti di ricchezza).
BASE IMPONIBILE
È la grandezza numerica a cui viene applicata l’aliquota fiscale, al fine di determinare l’ammontare del tributo. Il calcolo
della base imponibile varia a seconda delle norme di determinazione di ciascun tributo.
In altri termini, il presupposto determina l’applicabilità di un tributo (an debeatur), mentre la base imponibile ne
determina la misura (quantum debeatur).
La base imponibile non coincide con la ricchezza economica percepita, ma è frutto delle regole previste per ciascun
tributo. Ciascun tributo ha infatti delle regole proprie per determinare la base imponibile (es. a volte la base imponibile
è netta, altre lorda).
ALIQUOTA
È il rapporto, espresso in percentuale, tra l’ammontare del tributo e la base imponibile.
L’aliquota può essere:
- proporzionale: l’aliquota varia in maniera costante al variare della base imponibile
- progressiva: l’aliquota cresce in maniera più che proporzionale al variare della base imponibile
Lo Stato, in qualità di ente impositore, è coadiuvato dall’amministrazione finanziaria, che esercita i poteri di controllo,
accertamento e riscossione. Questa è organizzata in:
- MEF (Ministero dell’economia e delle finanze): livello centrale dell’amministrazione finanziaria
- Afis (Agenzie fiscali): livello periferico dell’amministrazione finanziaria
- Agenti della Riscossione: soggetti incaricati di svolgere l’attività di riscossione
- GdF (Guardia di finanza): polizia economico-finanziaria che si occupa di prevenzione, ricerca e denunzia delle
evasioni e delle violazioni finanziarie e di vigilanza sull'osservanza delle disposizioni di interesse politico-economico
SI occupa anche del controllo delle frontiere terrestri e assume ruolo prevalente nella difesa di quelle marittime.
Agenzie fiscali:
Le agenzie fiscali invece sono i soggetti che gestiscono i tributi e rappresentano il braccio operativo del MEF, che vigila
sul loro operato.
Sono enti di diritto pubblico non economico dotati di personalità giuridica, che godono di autonomia funzionale e
organizzativa.
- Agenzia delle entrate: ha competenza in materia di entrate tributarie e diritti erariali, ipotecaria e catastale per le
quali si occupa delle funzioni relative alla gestione, all’accertamento e al contenzioso.
- Agenzia del demanio: si occupa della gestione, razionalizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare dello
Stato.
- Agenzia delle Dogane e dei Monopoli: Svolge servizi relativi alla riscossione dei tributi doganali, nonché alla gestione
dei monopoli fiscali.
Per la riscossione, l’amministrazione finanziaria può affidare a soggetti privati, detti concessionari della riscossione,
l’attività di riscossione dei tributi.
Storicamente, infatti l’amministrazione non si è mai occupata della fase di riscossione dei tributi, appaltando sempre il
servizio a terzi, anche privati (es. Equitalia s.p.a).
Oggi invece l’attività di riscossione è affidata all’Agenzia delle entrate-riscossione, un ente pubblico economico.
Soggetti passivi: Il contribuente è il soggetto che viene individuato come tale dalla norma in quanto si sono verificati
fatti e situazioni a lui riferibili previsti dalla legge come presupposto tributario ed è per questo tenuto al versamento
del tributo.
Capacità giuridica tributaria e capacità giuridica civilistica: la soggettività passiva tributaria non coincide con la
soggettività giuridica civilistica.
Ai sensi del codice civile, i soggetti dotati di capacità giuridica (acquisita al momento della nascita) sono soggetti di
diritto, ossia titolari di diritti e obblighi.
Il concetto di capacità giuridica tributaria è invece più ampio e complesso di quello civilistico, infatti non sempre un un
soggetto passivo d’imposta è anche un soggetto di diritto (civilistico).
In ambito tributario, possono essere soggetti passivi anche entità prive di soggettività giuridiche, che comunque
esprimono ricchezza ai fini dell’imposizione. Esempio: Il trust è un patrimonio di destinazione, cioè i beni del
patrimonio di un soggetto vengono separati per perseguire specifici scopi. Dal punto di vista civilistico il trust non è un
soggetto di diritto, mentre dal punto di vista fiscale è a tutti gli effetti un soggetto passivo di imposta (il legislatore lo
ricomprende nei soggetti passivi IRES, art. 73 tuir).
L’amministrazione finanziaria assegna al contribuente un codice fiscale (sia persona fisica che soggetti diversi dalla
persona fisica), cioè un codice alfanumerico volto ad dentificarlo in maniera univoca nei rapporti con il fisco,
iscrivendolo all’interno dell’anagrafe tributaria (banca dati utilizzata per la raccolta di notizie relative ai contribuenti).
PARASOGGETTIVITA’ TRIBUTARIA
Il rapporto giuridico di imposta è normalmente una relazione complessa “bilaterale”.
Si parla di parasoggettività tributaria o soggettività impropria, quando si ha l’intervento, all’interno del rapporto
bilaterale, di un altro soggetto che:
a) si sostituisce al contribuente nell’adempimento dell’obbligazione (sostituto di imposta)
b) oppure diventa obbligato all’adempimento insieme al contribuente in maniera cumulativa (responsabile d’imposta)
Questo accade essenzialmente per garantire una maggiore certezza e celerità nella riscossione del tributo.
I parassoggetti tributari sono soggetti su cui ricade l’onere economico/fiscale del versamento del tributo, pur non
essendo contribuenti in senso stretto, dato che intervenengono in un rapporto giuridico d’imposta pendente tra altri
soggetti.
Le figure della parasoggettività tributaria sono quelle del sostituto d’imposta e del responsabile d’imposta, che hanno
come norma di riferimento l’art. 64 del DPR n. 600/73, cioè il testo che disciplina l’accertamento ai fini delle imposte
sui redditi.
2. Responsabile d’imposta: è colui che, in forza di una disposizione di legge, è obbligato al pagamento del
tributo insieme con altri soggetti (insieme al contribuente) per fatti e situazioni esclusivamente riferibili al
contribuente, con il diritto di rivalsa nei confronti del debitore principale.
In questo caso, il responsabile d’imposta (detto obbligato dipendente, il quale realizza una solidarietà passiva
dipendente) risponde del pagamento del tributo insieme ad un altro (detto obbligato principale) e ha il diritto,
e non l’obbligo di rivalsa nei confronti dell’obbligato principale.
Esempio: il notaio nel pagamento dell’imposta di registro: per gli atti pubblici l’imposta di registro è
obbligatoria, quindi il notaio che deve effettuare la registrazione, risponde dell’obbligazione in solido con le
parti, quindi per il versamento del tributo l’Agenzia delle Entrate potrà rivolgersi sia alla parte privata (cliente),
sia alla parte pubblica (notaio). Il notaio ha diritto di rivalsa perché l’Agenzia delle Entrate può richiedere il
pagamento direttamente al notaio, che è tenuto a pagare, ed eventualmente a rivalersi nei confronti del suo
cliente.
SOLIDARIETÀ TRIBUTARIA
L’obbligazione tributaria, diversamente dall’obbligazione solidale di diritto privato, é una solidarietà esclusivamente
passiva che si verifica quando si ha un unico creditore (ente impositore) e più debitori, che sono tutti obbligati per la
medesima prestazione, in modo tale che ciascuno può essere costretto all’adempimento per la totalità e
l’adempimento di uno di essi libera gli altri. La solidarietà passiva tributaria può essere di 2 tipi:
a) solidarietà paritetica: quando il presupposto del tributo è posto in essere da una plularità di soggetti che sono tutti
obbligati all’adempimento dell’obbligazione tributaria.
Esempio: imposta sulle successioni e donazioni, in cui l’adempimento da parte di uno di essi libera tutti gli altri, ma il
soggetto che adempie per la totalità del tributo, potrà poi agire in via di regresso verso gli altri.
b) solidarietà dipendente: quando il presupposto del tributo è riferibile ad un unico soggetto che è obbligato in via
principale, ma è prevista la responsabilità di un altro soggetto che ha l’obbligo di versare il tributo, ma che puà poi
rivalersi nei contronti del debitore principale.
EVOLUZIONE STORICA DEL SISTEMA FISCALE CON RIFERIMENTO ALLE IMPOSTE SUI REDDITI
Prima dell’unificazione dello Stato d’Italia (1861) vi erano numerosi stati pre-unitari che avenano origini diverse perché
erano stati sottoposti a dominazioni diverse, quindi ogni stato aveva un proprio sistema tributario.
Un tratto comune era evidente: tutti questi stati avevano delle imposte essenzialmente reali, vale a dire imposte che
colpivano il singolo cespite che manifestava ricchezza; non vi erano invece imposte personali, cioè imposte che
colpivano la ricchezza tenendo conto della condizione soggettiva del singolo contribuente.
In seguito all’Unità d’Italia si voleva riordinare il sistema tributario, per cui le opzioni prese in considerazione furono 2:
- introdurre un’imposta del tutto nuova che avrebbe dovuto ricondurre ad unità i tanti microsistemi previgenti
- conservare il modello pluralistico, caratterizzato dall’applicazione dei tributi preesistenti di natura reale, sia pure con
gli opportuni aggiustamenti
Non si giunse all’adozione di un’imposta generale sul reddito, ma prevalse l’idea di avere da un lato l’imposta reale per
eccellenza, cioè l’imposta fondiaria (distinta in imposta sui terreni e imposta sui fabbricati) e dall’altro venne
introdotta l’imposta di ricchezza mobile, anch’essa un’imposta reale, che colpiva i redditi non fondiari, cioè i redditi
derivanti dal lavoro e dal capitale.
Questo sistema caratterizzato da imposte reali (imposta fondiaria e imposta di ricchezza mobile) rimase fino agli anni
20 del ‘900, quando con l’avvento del regime fascista, si pensò di modificare il nostro sistema fiscale attraverso
l’introduzione di imposte personali e progressive: venne così istituita l’imposta complementare sul reddito delle
persone fisiche, molto simile alla nostra attuale IRPEF.
Nel 1954, nel dopoguerra, con la Legge n. 603 venne istituita l’imposta sulle società, che si applicava alle società
commerciali residenti, agli enti commerciali residenti, alle società ed enti non residenti aventi una stabile
organizzazione in Italia.
Questo sistema, così configurato a partire dagli anni’ 20, rimase in vigore fino alla riforma degli anni ‘70, che ha dato al
sistema fiscale l’assetto che abbiamo oggi.
La riforma tributaria degli anni 70 si fondava essenzialmente su 2 imposte sui redditi:
- IRPEF, che colpiva i redditi delle persone fisiche
- IRPEG (Imposta sui redditi delle persone giuridiche), che colpiva una serie di soggetti passivi piuttosto eterogenei tra
loro, cioè società di capitali residenti, enti commerciali e non commerciali residenti e società ed enti di ogni ordine e
specie non residenti.
Modifiche marginali, più che altro formali, sono state apportate con la Riforma del 2003 dal Ministro Tremonti, che
voleva “svecchiare” quel sistema che risaliva a circa 30 anni prima, istituento 2 tributi:
- IRES (imposta sul reddito delle società), applicabile alle sole società di capitali ed enti commerciali
- IRE (imposta sul reddito), applicabile a tutti i contribuenti diversi dalle società di capitali ed enti commerciali
Questa riforma è rimasta in larga parte inattuata, infatti nel sistema tributario attuale abbiamo:
- l’IRPEF: che ha come soggetti passivi le persone fisiche residenti e non residenti nel territorio italiano e che si applica
anche ad altri soggetti, tra cui le snc e le sas attraverso il principio di trasparenza fiscale.
- l’IRES: che si applica alle società di capitali residenti, agli enti commerciali e non commerciali residenti, e alle società
ed enti di ogni ordine e specie non residenti.
IRPEF – Imposta sul reddito delle persone fisiche
È disciplinata nel DPR n. 917/86, denominato TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi).
È un’imposta diretta che colpisce direttamente il reddito e il patrimonio delle persone fisiche.
È improntata a più principi:
- Personalità: è un’imposta che pone al centro il possessore del reddito, valutando anche elementi soggettivi nel
calcolo del tributo. Non tiene conto della sola ricchezza manifestata, ma anche della condizione familiare e sociale.
- Progressività: è l’unica imposta progressiva che consente di rispettare il principio costituzionale di progressività.
Sono previsti scaglioni di reddito con aliquote crescenti all’aumentare della base imponibile.
- Globalità: è un’imposta globale perché tutti i redditi prodotti nel periodo di imposta confluiscono in un’unica base
imponibile. L’irpef è composta da 6 categorie reddituali: redditi fondiari, redditi di capitale, redditi di lavoro
dipendente, redditi di lavoro autonomo, redditi d’impresa, redditi diversi.
- Periodicità: è un’imposta periodica, poiché trattandosi di una fattispecie a struttura aperta, si fa riferimento ai redditi
percepiti dal contribuente nel periodo di imposta (che per l’irpef coincide con l’anno solare). Ad ogni periodo di
imposta corrisponde un’autonoma obbligazione tributaria.
Il legislatore ha dunque istituito un’unica imposta personale, globale, progressiva e periodica, superando il sistema
previgente di imposte reali, ma mantenendo all’interno delle singole categorie una discriminazione qualitativa dei
singoli redditi: ogni categoria reddituale ha delle regole diverse sulla determinazione del reddito e sull’imputazione
temporale del reddito stesso.
NOZIONE DI REDDITO
L’Irpef presenta un’anomalia di fondo, poiché il legislatore non fornisce una nozione di reddito nel TUIR, ma ci dice
solo che l’imposta si applica ad una delle categorie di redditi indicate nell’art. 6 e individua in maniera tassativa anche
le singole manifestazioni di ricchezza/fattispecie da assoggettare ad imposizione.
Con riferimento alla nozione di reddito possiamo innanzitutto affermare che:
mentre il patrimonio, alla base delle imposte patrimoniali, costituisce una manifestazoine statica di ricchezza, il reddito
costituisce una manifestazione dinamica di ricchezza che affluisce ad un soggetto.
Dal punto di vista giuridico, la nozione di reddito si può desumere: il reddito è un diritto soggettivo che potrebbe
assumere le fattezze di un diritto di credito oppure di un diritto reale.
Art. 5 Tuir (Redditi prodotti in forma associata): si riferisce ai redditi prodotti dalle società di persone (s.s, s.n.c, s.a.s)
residenti in Italia. Si tenga presente che il regime di tassazione delle società di persone si distingue dal regime di
tassazione previsto dalle società di capitali.
I redditi prodotti dalla società di persone non vengono tassati in capo alla società, ma vengono imputati e tassati in
capo al socio (principio di trasparenza fiscale) in proporzione alla sua quota di partecipazione agli utili e
indipendentemente dall’effettiva percezione. Infatti l’art. 2262 c.c. dispone che nelle società di persone, il diritto dei
soci alla percezione degli utili sorge dopo la mera approvazione del rendiconto.
Diversamente, ai sensi dell’art. 2433 c.c, nelle società di capitali, il diritto dei soci alla percezione degli utili sorge solo
dopo la specifica delibera dell’assemblea ordinaria ordinaria cbe disponga la ripartizione degli utili. Potrebbe accadere
infatti che la società decida di accantonare completamente l’utile a riserva e quindi di non procedere alla distribuzione
ai soci.
La norma prevede che alle società di persone siano assimilati altri soggetti giuridici, ad es. le società di fatto sono
equiparate alle s.n.c o alle s.s. a seconda che abbiano o non abbiano per oggetto l’esercizio di attività commerciali)
ecc).
L’articolo fa inoltre riferimento anche all’istituto dell’impresa familiare (disciplinato dall’art. 230bis c.c.), cioè l’impresa
in cui vi esercitano la propria attività l’imprenditore capofamiglia con la collaborazione degli altri familiari, quindi
coniuge, parenti entro 2 grado e affini.
Il reddito prodotto dall’impresa familiare viene così ripartito:
- il 49% viene ripartito, in proporzione alla quota di partecipazione agli utili detenuta da ciascuno, tra i familiari che
abbiano prestato in maniera continuativa e prevalente la propria attività di lavoro
- il 51% viene tassato in capo all’imprenditore
Dal punto di vista civilistico, per la costituzione di un’impresa familiare non è necessario un atto costitutivo, ma è
sufficente che l’imprenditore svolga un’attività di impresa con la collaborazione dei familiari.
Ai fini fiscali, per una ragione di cautela fiscale, il legislatore richiede che vi sia un atto pubblico o scrittura privata
autenticata, tramite i quali si possa accertare la sussistenza dell’impresa familiare.
È inoltre necessario che la dichiarazione dei redditi dell’imprenditore contenga l’indicazione delle quote di
partecipazione agli utili spettanti ai familiari e l’attestazione che tali quote sono proporzionate alla quantità e qualità di
lavoro prestata dai singoli familiari nel periodo di imposta.
Infine, l’accertamento fiscale in relazione all’impresa familiare, non può essere imputato ai familiari, ma riguarda
solamente il titolare dell’impresa. Il reddito percepito dal titolare costituisce infatti un reddito d’impresa, mentre
quello percepito dai familiari collaboratori costituiscono redditi di puro lavoro, non assimilabili a quello di impresa.
L’art. 4 Tuir si occupa della tassazione dei redditi della famiglia, basato sul principio di decumulo giuridico (ogni
coniuge risponde fiscalmente dei redditi autonomamente prodotti, in ossequio al principio di personalità della capacità
contributiva). L’articolo 4 tiene conto anche di altre situazioni che potrebbero riguardare i rapporti patrimoniali tra
coniugi. Ai fini del reddito complessivo o della tassazione separata:
- i redditi dei beni che formano oggetto della comunione legale sono imputati a ciascuno dei coniugi per metà del loro
ammontare netto. La comunione legale è un regime patrimoniale della famiglia secondo il quale i beni che vengono
acquistati durante il matrimonio da uno o entrambi i coniugi vanno in comunione, salvo che non vi sia un regime di
separazione dei beni in essere.
- i redditi dei beni che formano oggetto di fondo patrimoniale sono imputati a ciascun dei coniugi per metà del loro
ammontare netto
- i redditi dei beni dei figli minori soggetti all’usufrutto legale dei genitori sono imputati per metà del loro ammontare a
ciascun genitore.
CATEGORIE REDDITUALI
1) REDDITI FONDIARI
Sono fondiari i redditi inerenti ai terreni e ai fabbricati, situati nel territorio dello Stato, che sono iscritti, con
attribuzione di rendita, nel catasto dei terreni o nel catasto edilizio urbano (attualmente denominato catasto dei
fabbricati).
Questa categoria reddituale è caratterizzata da:
a) omogeneità dei cespiti da cui proviene il reddito, perché sono redditi che derivano da beni immobili, terreni e
fabbricati. I fabbricati sono unità immobiliari urbane
b) determinazione catastale dei redditi sulla base di un sistema censuario e attraverso l’utilizzo di tariffe d’estimo.
Il catasto è un registro che contiene un inventario di tutti i cespiti immobiliari presenti sul territorio.
Esplica una funzione civile, perché permette di individuare i beni presenti sul terrritorio, e una funzione fiscale, perché
fornisce un’unità di misura per la determinazione del tributo.
Per talune tipologie di imposte, la base imponibile del tributo è costituita proprio dalla rendita catastale (es. IMU,
imposta di registro, imposta sulle successioni e donazioni, ecc)
I redditi fondiari si distinuono in: redditi dominicali (dei terreni), redditi agrari, redditi dei fabbricati.
I redditi dominicali e quelli agrari fanno riferimento ai terreni, mentre quelli dei fabbricati fanno riferimento alle unità
immobiliari urbane.
a) Redditi dominicali
Il reddito dominicale è costituito dalla parte dominicale del reddito medio ordinario ritraibile dal terreno. Esso viene
dichiarato dal proprietario o dal titolare di un diritto reale di godimento sul terreno. Il titolare della sola nuda proprietà
non deve invece dichiarare nessuno dei due redditi.
Tale reddito deriva dalla terra nel suo stato originario e dall’eventuale capitale di miglioramento stabilmente investito
nel terreno, cioè le spese che hanno contribuito ad aumentare il valore del cespite.
Non si considerano invece produttivi di reddito dominicale i terreni che costituiscono pertinenze di fabbricati urbani,
quelli dati in affitto per usi non agricoli, nonché quelli produttivi di reddito di impresa.
Il reddito dominicale, riportato nella visura catastale, viene determinato applicando le tariffe d’estimo stabilite per
ciascuna qualità e classe di terreno secondo le norme della legge catastale.
Variazioni del reddito dominicale:
- variazione in aumento: sostituzione della qualità di coltura allibrata in catasto con altra di maggiore reddito
- variazioni in diminuzione: sostituzione della qualità di coltura allibrata in catasto con altra di minore reddito;
diminuzione della capacità produttiva del terreno per naturale esaurimento o per altra causa di forza maggiore, anche
se non vi è stato cambiamento di coltura
b) Redditi agrari
Il reddito agrario è costituito dalla parte del reddito medio ordinario dei terreni nell’esercizio dell’attività agricola
esercitata sul fondo, imputabile al capitale d'esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti della
potenzialità del terreno.
Tale reddito deriva quindi dall’esercizio, sul fondo, di attività agricole essenziali o connesse, quindi deve essere
dichiarato da coloro che esercitano attività agricola:
- il titolare del diritto di proprietà o il titolare del diritto reale di godimento, che dichiarerà sia il reddito dominicale che
il reddito agrario. Il titolare della sola nuda proprietà non deve invece dichiarare nessuno dei due redditi.
- l’affittuario che esercita attività agricola presso fondi in affitto
Nell’esercizio dell’attività agricola devono essere rispettati i limiti di agrarietà: è necessario che, nell’esercizio
dell’attività agricola, ci sia un collegamento con il fondo di almeno ¼; se non è rispettato tale limite, l’imprenditore sarà
considerato imprenditore commerciale, in forma individuale o associata, e perciò si avrà un reddito d’impresa.
Se invece l’imprenditore agisce nell’ambito di una società di capitali sarà soggetto ad IRES.
Il reddito agrario è determinato mediante l’applicazione di tariffe d’estimo stabilite per ciascuna qualità e classe di
terreno secondo le norme della legge catastale.
Invece, i redditi derivanti da una sublocazione sono indicati all’interna della categoria dei redditi diversi.
Il legislatore prevede delle eccezioni per i canoni di locazione non percepiti (art. 26, comma 1 tuir)
I redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il
reddito, purché la mancata percezione sia comprovata dall'intimazione di sfratto per morosità o dall'ingiunzione di
pagamento.
In passato accadeva che il locatore era tenuto a dichiarare i non percepiti fino a quando non si fosse pervenuti al
provvedimento di sfratto, con l’emissione, da parte del Giudice, dell’ordinanza di convalida dello sfratto.
Cedolare secca:
Per quanto riguarda i fabbricati locati, è possibile godere di un’imposta sostitutiva sulle locazioni, cioè la cedolare
secca. Essa si sostanzia nel pagamento di un’imposta sostitutiva, pari al 21% del canone annuale dichiarato nel
contratto, dell’irpef sui canoni di locazione, dell’imposta di registro e dell’imposta di bollo sul contratto.
Possono optare per il regime della cedolare secca le persone fisiche titolari del diritto di proprietà o del diritto reale di
godimento, che non locano l’immobile nell’esercizio di attività di impresa o di arti e professioni.
Questo regime è valido solo per unità immobiliari locate a uso abitativo e per le relative pertinenze locate
congiuntamente all’abitazione; sono infatti esclusi gli uffici e i locali commerciali.
Legge n. 96/2017: Anche chi si avvale del regime delle locazioni brevi può optare per la cedolare secca al 21%. Per
contratto di locazione breve si intende un contratto di locazione di immobile a uso abitativo, di durata non superiore a
30 giorni, stipulato da persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività di impresa. Ad esso sono equiparati i contratti
di sublocazione.
La normativa delle locazioni breve attribuisce un ruolo particolare ai soggetti intermediari che svolgono attività di
intermediazione immobiliare, intermediando la conclusione del contratto o intervenendo nella fase del pagamento.
Gli intermediari online che intervengono nel pagamento o incassano i canoni o i corrispettivi derivanti dai contratti di
locazione breve operano, all’atto del pagamento al beneficiario (locatore), una ritenuta del 21% sul relativo ammontare
e provvedono al versamento nei confronti del locatore. Tali intermediari operano quindi in qualità di sostituti
d’imposta, incassando una cedolare secca tramite ritenuta alla fonte del 21% sui corrispettivi, che sarà poi versata
mensilmente all’Erario.
Nell’elencazione delle fattispecie dell’art. 44, si fa essenzialmente riferimento a redditi di capitale che derivano da
interessi e dividendi:
Gli interessi costituiscono la remunerazione del capitale di prestito (solo banche e intermediari finanziari autorizzati
all’esercizio del credito possono concedere finanziamenti).
I dividendi sono utili derivanti dalla partecipazione a società di capitale e costituiscono la remunerazione del capitale
di rischio, perchè il soggetto che sottoscrive le azioni deve sopportare il rischio d’impresa, cioè il rischio di non
percepire la remunerazione sul capitale e il rischio di perdere il capitale investito.
Nella tassazione dei dividendi possiamo dire che vi è stata da sempre l’esigenza di limitare la doppia imposizione sui
dividendi: il reddito prodotto dalla società viene tassata una prima volta in capo alla società di capitali, soggetti passivi
ires (con aliquota del 24%), e una seconda volta è tassato anche in capo ai soci, in quanto ripartito sotto forma di
dividendi.
Sono stati diversi gli strumenti utilizzati per limitare la doppia imposizione del reddito:
Inizialmente è stato utilizzato il credito d’imposta, quindi il reddito era tassato due volte, ma il socio vantava un credito
pari all’imposta già versata dalla società. In questo modo la doppia imposizione veniva ex post eliminata.
Attualmente il regime di tassazione prevede l’esenzione parziale dei dividendi, introdotto con la Legge di Bilancio 2018
Ove il reddito sia stato prodotto da una società di capitali residente in Italia, quindi soggetta ad Ires:
a) i dividendi percepiti da persone fisiche non imprenditori devono essere assoggettati ad imposizione con ritenuta a
titolo di imposta del 26%. La società applica la ritenuta del 26% sull’intero ammontare del dividendo ed eroga la
restante parte dell’utile al socio non imprenditore. Tale reddito è quindi sottoposto a tassazione separata e non rientra
nella base imponibile Irpef e non rientra in dichiarazione dei redditi perché si ha una sostituzione a titolo d’imposta.
b) i dividendi percepiti da imprenditori individuali e società di persone concorrono alla formazione della base
imponibile Irpef nella misura del 58,14%.
c) i dividendi percepiti da una società di capitali (anche non residente in Italia) sono assoggettati ad imposizione nella
misura del 5% secondo tassazione Ires, con esenzione quindi del 95%. Se i dividendi sono percepiti da una società di
capitali non residente
Se i dividendi derivano invece da partecipazione in una società localizzata in Stati o territori a fiscalità privilegiata (cd.
Black list) essi sono assoggettati ad imposizione per il loro intero ammontare, perché si presume che non sia stata
tassata in capo al soggetto che ha prodotto il reddito.
La black list è l’elenco degli Stati che hanno adottato regimi fiscali agevolati, con tassazione molto bassa, e che non
hanno aderito al sistema di scambio dei dati fiscali con le altre nazioni (es. Panama, Bahamas, ecc).
Determinazione del reddito e imputazione temporale:
I redditi di capitale sono tassati al lordo delle spese che hanno concorso alla sua formazione, senza alcuna deduzione.
I redditi di capitale da indicare in dichiarazione sono quelli percepiti nel periodo di imposta considerato, secondo il
principio di cassa, quindi al momento della percezione, nel momento in cui il contribuente incassa finanziariamente gli
importi considerati.
Per quanto riguarda la tassazione prevista per le persone fisiche (non imprenditori), i redditi di capitale sono
caratterizzati essenzialmente da aliquote secche e molto basse, al fine di incentivare l’investimento in titoli del debito
pubblico da parte degli investitori, infatti per gli interessi dei titoli di stato e similari la ritenuta a titolo di imposta è del
12,5%, rispetto a quella ordinaria prevista per gli altri titoli che è pari al 26%.
Sono redditi di lavoro dipendente quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro alle
dipendenze e sotto la direzione di altri, compreso il lavoro a domicilio quando è considerato lavoro dipendente
secondo le norme della legislazione sul lavoro.
La caratteristica dei redditi di lavoro dipendente è la subordinazione: prestazione lavorativa svolta alle dipendenze e
sotto la direzione del datore di lavoro e dunque in maniera subordinata.
La definizione tributaria di reddito di lavoro dipendente (art. 49 tuir) utilizza la stessa forma adoperata dall’art. 2094
c.c., che disciplina il rapporto di lavoro subordinato, ma esse differiscono perché:
- la disciplina civilistica della subordinazione si basa sull’esigenza di tutela del prestatore di lavoro subordinato
(contraente debole) limitando i poteri del datore di lavoro → dà rilievo agli aspetti soggettivi della subordinazione
- la disciplina tributaria della subordinazione si basa sull’esigenza di individuare un particolare ambiente giuridico in
cui si forma il reddito. In sostanza, attraverso la presenza di un vincolo di subordinazione è possibile “discriminare” il
reddito di lavoro dipendente da quello di lavoro autonomo → dà rilievo agli aspetti oggettivi della subordinazione
Dal punto di vista fiscale, gli elementi che connotano una prestazione di lavoro subordinato:
- elemento relativo: assenza di componenti di natura patrimoniale, infatti il prestatore di lavoro dipendente non
effettua alcun investimento all’interno dell’attivita d iimpresa o attività professionale svolta dal suo datore di lavoro
- elemento positivo: soggezione tecnico-funzionale a cui il prestatore di lavoro dipendente è sottoposto dal datore di
lavoro.
Determinazione del reddito e imputazione temporale
Il reddito di lavoro dipendente è tassato al lordo delle spese che hanno concorso alla produzione del reddito, senza
deduzioni.
Esso è costituito da tutte le somme e i valori, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di
erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro.
Le somme e i valori si considerano percepiti nel periodo di imposta secondo il principio di cassa allargato: si fa
riferimento anche alle somme e ai valori corrisposti dal datore di lavoro entro il 12 gennaio del periodo di imposta
successivo a quello cui si riferiscono.
Questa norma ha subito un’evoluzione, infatti prima la base imponibile dei redditi di lavoro dipendente era molto
ristretta rispetto a quella attuale: il legislatore faceva riferimento al prezzo della merce-lavoro, quindi solo ciò che il
lavoratore riceveva come corrispettivo della prestazione era assoggettato ad imposizione.
Successivamente il legislatore ha operato della forme più ampie e varie, facendo riferimento alle somme e ai valori
percepiti in dipendenza del rapporto di lavoro (ci doveva essere un collegamento tra le somme e i valori percepiti e la
dipendenza del rapporto di lavoro). Attualmente, si fa riferimento più in generale alle somme e i valori percepiti in
relazione al rapporto di lavoro.
Un’altra fattispecie particolare che rientra tra queste è quella del co.co.co, contratto di collaborazione coordinata e
continuativa, che è una tipologia contrattuale ibrida applicata ai lavoratori che vengono inquadrati a metà strada tra il
lavoro dipendente e il lavoro autonomo; difatta si tratta di rapporti di lavoro parasubordinato.
Sono caratterizzati dall’assenza di un vincolo di subordinazione, ma vi è un rapporto professionale continuativo tra
lavoratore e committente.
In passato questa fattispecie era assimilata ai redditi di lavoro autonomo, per la mancanza di subordinazione, ma oggi
sono assimilati a quelli di lavoro dipendente per una scelta operata dal legislatore fiscale.
4) REDDITI DI LAVORO AUTONOMO
Sono redditi di lavoro autonomo quelli che derivano dall'esercizio di arti e professioni. Per esercizio di arti e
professioni si intende l'esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva, di attività di lavoro autonomo
diverse da quelle che rientrano nei redditi di impresa.
Gli elementi che devono sussistere sono:
1. Autonomia: l’attività di lavoro deve essere svolta in assenza del vincolo di subordinazione
2. Abitualità: l’attivita deve essere svolta con carattere di sistematicità, quindi costante e continuativa nel tempo. Non
può trattarsi di un’attivita occasionale perchè rientrerebbe nei redditi diversi
3. Professionalità: può essere richiesto che alcune attività debbano essere svolte da un soggetto che abbia
competenze tecnico-scientifiche per svolgere quell’attività (es. la professionalità può derivare dall’iscrizione in appositi
albi o dal sostenimento di un esame di abilitazione). NB. Non sempre la professionalità deriva dall’iscrizione in un albo
o ruolo professionale (es. consulenti informatici,
4. Assenza di organizzazione in forma di impresa: il soggetto deve svolgere l’attività di lavoro senza essere organizzato
in forma di impresa.
È possibile quindi portare in deduzione delle spese sostenute dal lavoratore autonomo per la produzione del reddito,
sebbene il legislatore abbia adottato delle disposizioni antielusive, prevedendo dei limiti alla deducibilità delle spese:
- spese relative a prestazioni alberghiere e di ristorazione: sono deducibili nella misura massima del 75%
dell’ammontare delle spese, e in ogni caso per un importo complessivamente non superiore al 2% dell’ammontare dei
compensi percepiti nel periodo d’imposta.
- spese di rappresentanza: sono deducibili nella misura massima dell’1% del compenso percepito
- spese relative all’acquisto di beni mobili ad uso promiscuo: sono deducibili nella misura massima del 50% se il costo
unitario non è superiore a 516,46 euro, altrimenti sono ammortizzabili, sempre nella misura massima del 50%
I redditi di lavoro autonomo sono imputati al periodo di imposta in cui avviene la percezione, secondo il principio di
cassa.
I redditi d’impresa sono quelli che derivano dall'esercizio di imprese commerciali (art. 55) → i redditi prodotti da un
imprenditore commerciale, individuale o in forma associata, sono sempre considerati redditi di impresa.
In tal caso, i redditi di impresa sono soggetti a tassazione Irpef se percepiti da un’imprenditore individuale
commerciale o da una società di persone commerciale (sas, snc) oppure da imprenditori agricoli quando si superano i
limiti di agrarietà.
Per esercizio di imprese commerciali si intende l'esercizio per professione abituale delle attività indicate nell'art. 2195
c.c., e delle attività agricole che eccedono i limiti di agrarietà, anche se non organizzate in forma d'impresa.
Le attività di impresa considerate attività commerciali e indicate nell’art. 2195 c.c sono:
- attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi
- attività intermediaria nella circolazione dei beni
- attività di trasporto per terra, per acqua o per aria
- attività bancaria o assicurativa
- altre attività ausiliare delle precedenti
Dal punto di vista tributario, lo svolgimento di una di queste attività da parte di una persona fisica fa presumere che il
reddito prodotto sia un reddito di impresa, a prescindere dal fatto che vi sia un’organizzazione in forma di impresa.
Quando invece una persona fisica svolge un’attività di prestazione di servizi diversa da quelle elencate, ma è
organizzato in forma di impresa, allora i redditi da lui prodotti saranno considerati redditi di impresa → principio di
attrazione
I componenti del reddito d’impresa concorrono a formare il reddito d’esercizio di competenza, purché sia certa la loro
esistenza e determinabile il loro ammontare → principio di competenza economica.
I componenti del reddito di impresa si considerano di competenza economica dell’esercizio in cui vengono poste in
essere le operazioni giuridiche che hanno dato vita ai componenti stessi, senza che rilevi il momento del pagamento o
dell’incasso.
Per i redditi di impresa intesi come categoria reddituale Irpef trovano applicazione gli artt. 83 ss. del tuir collocate
nell’Ires, ma con alcune eccezioni contenute negli articol 56 ss del tuir.
Ad esempio, sia nell’art. 58 che nell’art. 87 si fa riferimento alle plusvalenze derivanti da cessione di partecipazioni, che
non concorrono, in una certa misura, alla formazione del reddito imponibile del reddito di impresa in quanto esenti:
- se sono percepite da soggetti passivi Ires, sono esenti nella misura del 95% del loro ammontare
- se sono percepite da soggetti passivi Irpef, sono esenti nella misura del 41, 86% del loro ammontare
L’art. 59 e l’art. 89 fanno poi entrambi riferimento ai dividendi:
- i dividendi percepiti dall’imprenditore persona fisica o dalla società di persone sono esenti da imposizione per il
41.86% e soggetti a tassazione per il 58,14%
- i dividendi percepiti da soggetti passivi Ires sono esenti per il 95% del loro ammontare
6) REDDITI DIVERSI
È una categoria residuale, in cui rientrano tutte quelle fattispecie che non rientrano in altre categorie reddituali.
Nonostante il carattere residuale, la dottrina ha cercato di individuare i principi che presiedono questa categoria:
- il percettore è una persona fisica
- il reddito non deriva da un’attività di lavoro autonomo, dipendente o attività di impresa
- il reddito è occasionale e aleatoreo: sono incerti nell’an e nel quantum
- in generale i redditi derivano dall’assunzione di obbligazioni di fare, di non fare o di permettere
L’art. 67 tuir contiene un’elencazione molto eterogenea, ma tassativa, delle fattispecie che vi rientrano, tra cui:
- plusvalenze realizzate mediante la lottizzazione di terreni o l’esecuzione di opere intese a renderli edificabili, e la
successiva vendita dei terreni e degli edifici.
- plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati/costruiti da non più di 5 anni.
Il legislatore presume che se si acquista o costruisce un bene immobile e si vende ad un prezzo maggiorato entro 5
anni, il soggetto abbia posto in essere un’operazione speculativa, in quanto l’acquisto non era finalizzato all’utilizzo del
cespite, ma era finalizzato a realizzare quel plusvalore.
- plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate: le partecipazioni sono
qualificate quando si detiene una rilevante quota di capitale sociale o di diritti di voto esercitabili in assemblea.
Queste prime 3 fattispecie costituiscono plusvalenze speculative, mentre le successive fanno riferimento ad altre
fattispecie.
- vincite delle lotterie, dei concorsi a premio, dei giochi e delle scommesse
- redditi di beni immobili situati all’estero
- redditi derivanti dalla sublocazione di beni immobili o dall’affitto, locazione, noleggio di veicoli e altri beni mobili
- redditi derivanti dall’utilizzazione economica di opere dell’ingegno, di brevetti industriali e di processi e formule
quando sono percepiti da soggetti diversi dall’autore o inventore (eredi dell’autore dell’opera o soggetti che abbiano
acquistato a titolo oneroso il diritto di utilizzazione economica).
Soggetti passivi
a) Società di capitali e società cooperative residenti nel territorio dello stato: si considerano residenti le società e gli
enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio italiano la sede legale oppure la sede
amministrativa o l'oggetto principale nel territorio dello Stato.
b) Enti commerciali (pubblici e privati) residenti, inclusi i trust
c) Enti (pubblici e privati) residenti, inclusi i trust, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività
commerciali
d) Società ed enti di ogni genere e specie che producano redditi in Italia, ma non siano residenti
Sono esclusi dalla soggettività passiva dell’Ires alcuni enti pubblici: gli organi e le amministrazioni dello Stato, i comuni,
i consorzi tra enti locali, le associazioni e gli enti gestori di demanio collettivo, le province e le regioni.
COMPONENTI POSITIVE
• Ricavi:
- corrispettivi delle cessioni di beni e prestazioni di servizi alla cui produzione e scambio è diretta l’attività di
impresa.
- corrispettivi delle cessioni di materie prime e sussidiarie, di semilavorati e di altri beni mobili, esclusi quelli
strumentali acquistati o prodotti per essere impiegati nella produzione
- corrispettivi delle cessioni di azioni o quote di partecipazioni che non costituiscono immobilizzazioni
finanziarie
- indennità a titolo di risarcimento per la perdita o il danneggiamento di beni
- il valore normale dei beni assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa
• Plusvalenze patrimoniali: si producono in relazione alla cessione di beni strumentali o di titoli e partecipazioni
iscritte in bilancio come immobilizzazioni finanziarie, quando la differenza tra il corrispettivo di
vendita/indennizzo conseguito e il costo non ammortizzato è positivo.
Esse concorrono a formare il reddito se:
- il realizzo avviene mediante cessione del bene a titolo oneroso
- il realizzo avviene mediante risarcimento per la perdita o il danneggiamento di tali beni.
- viene effettuata l’assegnazione del bene ai soci, o la destinazione del bene a finalità estranee all’esercizio
dell’impresa
Concorrono alla formazione del reddito anche le plusvalenze delle aziende, compreso il valore di avviamento,
realizzate mediante cessione a titolo oneroso. Si fa riferimento al corrispettivo unitario della cessione, non ai
singoli cespiti.
A questo regime delle plusvalenze patrimoniali, fanno eccezione le plusvalenze esenti, che beneficiano di un
esenzione parziale e quindi concorrono in misura minore alla formazione del reddito del reddito di impresa.
Le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni in società ed enti commerciali, se percepite da
soggetti passivi Ires, concorrono alla formazione del reddito solo nella misura del 5% (esenzione 95%)
Quando invece tali plusvalenze sono percepite da persona fisica imprenditore esse concorrono alla
formazione del reddito di impresa nella misura del 58,14%.
• Sopravvenienze attive: sono componenti positivi che derivano da eventi e operazioni effettuate in precedenti
esercizi. Possono derivare tanto dalla gestione ordinaria dell’impresa quanto da quella straordinaria.
In generale derivano da:
- spese, perdire e oneri dedotti in precedenti esercizi
- ricavi o altri proventi maturati in misura superiore a quella che ha formato il reddito in esercizi precedenti
- ricavi o sopravvenuta insussistenza di oneri sostenuti in esercizi precedenti
• Dividendi e interessi: i dividendi derivano dalla partecipazione in società di capitali.
quando i dividendi sono percepiti da un imprenditore persona fisica o da una società ed enti commerciali
sono sempre redditi di impresa.
Anche nell’ambito dei dividendi, il legislatore prevede l’esenzione parziale:
- se sono percepiti da soggetto passivo ires, l’esenzione è pari al 95% del loro ammontare
- se sono percepiti da persona fisica imprenditore, l’esenzione è pari al 41, 86% dell’ammontare.
• Proventi immobiliari: sono redditi derivanti dal possesso di beni immobili che non costituiscono beni
strumentali per l’esercizio dell’impresa, né beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività
dell’impresa, quindi si tratta di immobili acquistati ai fini di mero investimento.
Questo reddito viene determinato applicando gli estimi catastali, ma il legislatore prevede la possibilità di
sottrarre dalla rendita catastale delle spese forfettarie per la gestione del cespite.
Es: immobile di interesse storico, la rendita è ridotta del 50%; immobile locato, la rendita è ridotta del 15%)
• Variazione delle rimanenze: le rimanenze sono materie prime, sussidiarie e merci, che restano invenduti al
termine dell’esercizio o che non sono stati ancora impiegati nel processo produttivo.
Se in bilancio le rimanenze sono valutate a costo medio ponderato, a lifo o a fifo, ai fini fiscali le rimanenze
sono assunte per un valore non inferiore a quello che risulta dall’applicazione di tale metodo.
Diversamente, le rimanenze sono valutate, nel primo esercizio, secondo il metodo del costo medio ponderato,
e nei successivi con il metodo del lifo a scatti.
Se il costo unitario delle rimanenze è maggiore del valore normale medio del bene nell’ultimo mese
dell’esercizio, il valore minimo da attribuire alle rimanenze ai fini fiscali è calcolato moltiplicando l’intera
quantità pe il valore normale.
• Opere, forniture e servizi di durata ultrannuale (lavori in corso su ordinazione): le variazioni delle rimanenze
finali delle opere, forniture e servizi pattuiti come oggetto unitario e con tempo di esecuzione ultrannuale,
rispetto alle esistenze iniziali, concorro a formare il reddito dell’esercizio.
La valutazione delle rimanenze finali segue il criterio dello stato di avanzamento dei lavori: il compenso totale
pattuito viene moltiplicato per la percentuale di completamento per valorizzare le rimanenze finali di lavori in
corso.
COMPONENTI NEGATIVE
• Spese per prestazioni di lavoro: le spese sostenute per remunerare le prestazioni di lavoro dipendente sono
integralmente deducibili, incluse le liberalità.
• Interessi passivi: gli interessi passivi e gli oneri assimilati sono deducibili in ciascun periodo di imposta fino
alla concorrenza dell’ammontare degli interessi attivi e proventi assimilati.
L’eccedenza è deducibile nel limite del 30% del risultato operativo lordo della gestione caratteristica.
• Oneri fiscali e contributivi: le imposte sui redditi non sono ammesse in deduzione. Le altre imposte sono
deducibili nell’esercizio in cui avviene il pagamento.
I contributi ad associazioni sindacali e di categoria sono deducibili nell’esercizio in cui sono corrisposti, se e
nella misura in cui sono dovuti, in base a formale deliberazione dell’associazione.
• Oneri di utilità sociale: le spese relative ad opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti
volontariamente sostenute per specifiche finalità di educazione, istruzione o ricreazione, sono deducibili per
un ammontare complessivo non superiore al 5x1000 dell’ammontare delle spese per prestazioni di lavoro
dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi.
• Minusvalenze patrimoniali: si producono in relazione alla cessione di beni strumentali o di titoli e
partecipazioni iscritte in bilancio come immobilizzazioni finanziarie, quando la differenza tra il corrispettivo di
vendita/indennizzo conseguito e il costo non ammortizzato è negativo.
Le minusvalenze sono deducibili se:
- sono realizzate mediante cessione a titolo oneroso
- se sono realizzate mediante il risarcimento per la perdita o danneggiamento dei beni
- se i beni vengono assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio di impresa
• Ammortamenti: assumono rilevanza perchè sono una particolare procedura contabile per ripartire il costo di
un bene strumentale per gli esercizi di vita utile del bene.
Contabilmente la funzione dell’ammortamento è quella di ripartire su più esercizi il costo dei beni aventi
utilità pluriennale.
Fiscalmente la funzione è quella di consentire una deducibilità del costo totale per ogni anno di utilizzo del
bene stesso.
a) Ammortamento dei beni materiali: le quote di ammortamento del costo dei beni strumentali sono
deducibili in misura non superiore a quella risultante dall’applicazione al costo dei beni dei coefficienti stabiliti
dal Ministro dell’economia e delle finanze.
b) Ammortamento beni immateriali: le quote di ammortamento del costo dei diritti di utilizzazione di opere
dell’ingegno e brevetti sono deducibili in misura non superiore al 50% del costo.
Le quote di ammortamento del valore di avviamento iscritto nell’attivo del bilancio sono deducibili in misura
non superiore a 1/18 del valore stesso.
c) Ammortamento finanziario dei beni gratuitamente devolvibili: per i beni gratuitamente devolvibili alla
scadenza di una concessione è consentita la deduzione di quote costanti di ammortamento finanziario.
La quota di ammortamento finanziario deducibile è determinata dividendo il costo dei beni per il numero
degli anni di durata della concessione.
• Accantonamenti: somme accantonate al fine di fronteggiare impegni futuri incerti sia nella data di
sopravvenienza sia nell’ammontare.
Gli accantonamenti deducibili sono quelli tipici dell’attività di impresa, ad esempio:
- accantonamenti al fondo tfr
- accantonamenti ai fondi di previdenza del personale dipendente
- accantonamenti a fronte delle spese di ripristino o sostituzione dei beni gratuitamente devolvibili
È un tributo di matrice comunitaria che è stato introdotto ed è disciplinato dal DPR n. 633/1972, in attuazione di
alcune direttive comunitarie, le quali erano finalizzate ad armonizzare le legislazioni fiscali degli stati membri
nell’ambito dell’imposizione sui consumi.
Tutte le legislazioni nazionali degli stati membri hanno recepito le direttive in materia di iva, quindi il tributo ha una
base comune in tutti gli stati e differisce solo la disciplina di dettaglio, in particolare quella delle aliquote.
La prima direttiva in materia di iva è stata la Direttiva CEE n. 227/1997, mentre l’ultima è stata la Direttiva CE n.
112/2006.
Caratteristiche:
- neutrale, in quanto colpisce solo la parte di incremento di valore che il bene subisce nelle singole fasi produttive e
distributive (cd. valore aggiunto). Questo è consentito da due istituti: rivalsa e detrazione
- istantanea, in quanto l’occasione del prelievo è rappresentato da ogni singolo scambio di beni o servizi.
- trasparente, poiché il carico fiscale è ben noto al termine di ciascuna fase produttiva e distributiva.
- plurifase e non cumulativa, cioè ad ogni singolo passaggio produttivo il contribuente sconta solo l’imposta sull’
incremento di valore aggiunto del prodotto.
- proporzionale con aliquote differenziate: le aliquote sono proporzionali e variano a seconda del carattere di più o
meno stretta necessità dei beni colpiti.
- gravante sul consumatore finale, considerato il contribuente di fatto, essendo il soggetto inciso dal peso economico
del tributo, senza la possibilità di detrarre l’imposta. Nell’iva, i soggetti passivi (contribuenti di diritto) sono coloro che
pongono in essere cessioni di beni o prestazioni di servizi nell’esercizio dell’attività di impresa o di arti o professioni.
Essi sono obbligati al versamento del tributo all’Erario, ma non a sopportarne il peso economico.
PRESUPPOSTI DI APPLICAZIONE
I presupposti di applicazione dell’iva sono individuati dall’art. 1 d.p.r. 633/1972:
1. Presupposto oggettivo: l’operazione deve rientrare fra le cessioni di beni e prestazioni di servizi così come
individuati dagli articoli 2 e 3 del d.p.r.
2. Presupposto soggettivo: affinché si possa applicare l’iva è necessario che il bene sia ceduto e/o il servizio sia
prestato da un soggetto che svolge abitualmente attività di impresa o di arti e professioni.
3. Presupposto territoriale: l’operazione deve essere posta in essere all’interno del territorio dello Stato
4. Presupposto autonomo: è un presupposto ulteriore che prescinde dagli altri requisiti. Si fa riferimento alle
importazioni, da chiunque effettuate, di beni provenienti da paesi extra-comunitari
Affinchè un’operazione sia imponibile ai fini iva è necessario che sussistano simultaneamente i primi 3 presupposti
oppure che si realizzi il presupposto autonomo. Le operazioni imponibili determinano il sorgere dell’obbligazione
tributaria e di tutti gli obblighi formali annessi (es. fatturazione, registrazione delle fatture, dichiarazione).
Allo stesso tempo esso determinano il sorgere del diritto alla detrazione integrale dell’Iva assolta per l’acquisizione del
bene o servizio da parte dell’operatore economico/prestatore del servizio.
Le operazioni non imponibili sono tali quando non sussiste uno o tutti e 3 i requisiti applicativi (es. esportazioni)
In tal caso non sorge l’obbligazione tributaria, ma sorgono tutti gli obblighi formali ad esse collegate. Pur non essendo
assoggettate ad iva, è comunque prevista la detrazione dell’Iva per chi effettua l’acquisto.
Nelle operazioni non imponibili rientrano ad es: esportazioni e assimilate alle esportazioni e cessioni intracomunitarie
La ratio di tali operazioni consiste nel fatto che, trattandosi di beni/servizi destinati al mercato estero, esse saranno
assoggettate ad imposizione all’atto dell’ingresso nel paese di destinazione.
Le operazioni esenti (art. 10 dpr 633/1972) sono quelle che, pur soddisfacendo tutti e 3 i presupposti applicativi del
tributo, non prevedono l’applicazione dell’imposta per una scelta di politica fiscale del legislatore (es. prestazioni
sanitarie, attività educative e culturali, tabacchi lavorati e giochi, ecc). Anche in questo caso sorgono gli obblighi formali
previsti, ma non sorge il diritto alla detrazione.
a) Presupposto oggettivo (art. 2 e 3)
Costituiscono cessioni di beni: gli atti a titolo oneroso che importano il trasferimento della proprietà o la costituzione o
trasferimento di diritti reali di godimento su beni di ogni genere.
Costituiscono prestazioni di servizi: le prestazioni verso corrispettivo derivanti da contratti d’opera, appalto, trasporto
e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere qualunque ne sia la fonte.
Anche in questo caso sono previste fattispecie assimilate: concessioni di beni in locazione, affitto, noleggio e simili;
somministrazioni di alimenti e bevande, ecc
Non costituiscono prestazioni di servizi: prestiti obbligazionari; cessioni di alcuni tipi di contratti, ecc
b) Presupposto soggettivo(art. 4 e 5)
Il legislatore definisce quando una determinata situazione può essere definita come esercizio di attività di impresa o
come esercizio di arti e professioni.
Ai fini iva, per esercizio di impresa si intende l’esercizio per professione abituale delle attività commerciali o agricole di
cui agli art. 2135 e 2195 c.c., anche se non organizzate in forma di impresa, nonché l’esercizio di attività, organizzate in
forma di impresa, dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell’art. 2195 c.c.
→ nozione di esercizio di impresa molto più ampia rispetto a quella valida per i redditi di impresa nell’Irpef
L’art. 4 prevede una presunzione assoluta, cioè operazioni che si considerano in ogni caso esercizio di impresa:
- cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate da società di persone commerciali, società di capitali, società
cooperative e società di mutua assicurazione
- cessioni di beni e prestazioni di servizi fatte da altri enti pubblici e privati che abbiano per oggetto esclusivo o
principale l'esercizio di attività commerciali o agricole.
Per esercizio di arti e professioni si intende l'esercizio per professione abituale di qualsiasi attività di lavoro autonomo
da parte di persone fisiche oppure da parte di società semplici o di associazioni professionali.
Non si considerano effettuate nell’esercizio di arti e professioni le prestazioni di servizi inerenti ai rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa; le prestazioni di servizi derivanti dall'attività di levata dei protesti esercitata
dai segretari comunali, ecc.
L’art. 7-Bis definisce la territorialità con riguardo alla cessione di beni: le cessioni di beni si considerano effettuate nel
territorio dello Stato se hanno per oggetto beni immobili situati in italia oppure beni mobili spediti da altro Stato
membro nel territorio dello Stato.
L’art. 7-ter disciplina la territorialità riguardo alle prestazioni di servizi: le prestazioni di servizi si considerano
effettuate nel territorio dello stato quando sono rese da soggetti passivi (esercente arti o professioni o imprenditore)
stabiliti nel territorio dello stato.
Le operazioni extracomunitarie consistono in scambi tra soggetti stabiliti in paesi UE e soggetti stabiliti in paesi extra-
UE. Per l’applicazione del tributo soggiace il principio di tassazione nel paese di destinazione.
Questo comporta che vi sarà una tassazione delle importazioni e una detassazione delle esportazioni.
L’importazione costituisce un’operazione imponibile: il soggetto importatore dovrà versare l’iva in dogana, nel paese di
destinazione, nel momento in cui la merce viene sdoganata.
Anche per le operazioni intracomunitarie trova applicazione il principio di tassazione nel paese di destinazione, ma
trattandosi di un mercato unico e comune, non vi saranno operazioni di sdoganamento.
In tal caso, l’importazione costituisce operazione imponibile nel paese di destinazione, quindi il soggetto importatore
emette l’autofattura e procede poi alla detrazione dell’iva che ha autoliquidato.
La rivalsa consiste nel fatto che l’operatore economico che effettua una cessione di beni o prestazione di servizi ha
l’obbligo di addebitare l’imposta a titolo di rivalsa in capo al soggetto cessionario (colui che acquista un bene o un
servizio dal cedente). Si tratta di un credito ad esercizio obbligatorio perché nel momento in cui viene effettuata
l’operazione imponibile l’iva viene aggiunta al prezzo di vendita del bene o al corrispettivo del servizio, addebitando il
tributo al soggetto cessionario.
La detrazione consiste nella possibilità di sottrarre, dall’iva dovuta in relazione alle vendite (iva a debito), l’iva
corrisposta sugli acquisti o importazioni (iva a credito).
In questo modo si sottrae dall’ammontare del tributo derivante dalle vendite quella dovuta dal soggetto passivo in
relazione ai beni e servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa.
→ Iva sulle vendite – Iva sugli acquisti = Iva che nel periodo di imposta dovrà essere versata all’Erario
Quello visto finora è il regime ordinario Iva, ma esistono dei regimi speciali Iva, che prevedono delle deroghe rispetto al
meccanismo ordinario della rivalsa e della detrazione e si applicano in determinati ambiti (es. editoria, agenzie di
viaggio).
Reverse charge (inversione contabile): viene applicato quando il soggetto cessionario è anch’esso soggetto passivo Iva.
Contrariamente al meccanismo ordinario, l’iva sarà versata all’erario direttamente dal soggetto cessionario, anziché dal
cedente.
Il cedente emette la fattura senza addebito di iva, ma con l’indicazione dell’inversione contabile e l’acquirente fa
un’autofattura integrando l’iva da versare all’erario.
Con il reverse charge si vuole evitare essenzialmente che l’acquirente detragga l’importo dell’imposta anche in
mancanza di un effettivo versamento di denaro nei confronti del cedente.
Split payment (scissione dei pagamenti): prevede che, relativamente alle cessioni di beni e prestazioni di servizi
effettuate nei confronti di enti pubblici, obbligati a versare l’imposta siano questi ultimi.
Anche in questa ipotesi l’iva viene versata all’erario direttamente dal cessionario, ma in tal caso il cedente emette la
fattura con addebito (seppur virtuale) dell’iva, con l’indicazione dello split payment, senza però riceverne il pagamento;
sarà poi il soggetto pubblico a procedere al versamento dell’iva indicata in fattura.
ACCERTAMENTO TRIBUTARIO
L’accertamento tributario è un tipo di procedimento amministrativo che avviene dinanzi ad una pubblica
amministrazione (finanziaria) deputata ad effettuare i controlli nei confronti del contribuente e che termina con un atto
amministrativo finale (avviso di accertamento), il quale pone fine alla procedura di accertamento tributario.
All’accertamento tributario trovano applicazione:
- le norme che disciplinano il procedimento amministrativo, nei limiti di compatibilità (Legge n. 241/1990)
- le norme dello statuto del contribuente
- le norme che disciplinano l’accertamento delle imposte sui redditi (D.p.r n. 600/1973)
- in parte, le norme del decreto Iva (D.p.r n. 633/1972), relativamente all’accertamento in materia di Iva
DICHIARAZIONE TRIBUTARIA
Il momento iniziale del procedimento di accertamento si ha con la dichiarazione, cioè un procedimento logico-giurido-
matematico volto a qualificare e accertare il reddito e a determinare il tributo da versare all’erario.
È anche corroborata da sanzioni tanto di natura amministrativa quanto penale in alcuni casi (es. dichiarazione omessa,
dichiarazione infedele, dichiarazione fraudolenta).
La natura giuridica della dichiazione tributaria è stata variamente dibattuta dalla dottrina:
1) una tesi ha considerato il fenomeno dichiarativo come una dichiarazione di scienza, cioè una dichiarazione di mera
conoscenza con cui il contribuente rendeva edotta l’amministrazione finanziaria delle proprie manifestazioni di
ricchezza. Questa tesi è stata criticata perché vi possono essere alcuni fatti di cui il contribuente non è a conoscenza.
2) una tesi ha considerato il fenomeno dichiarativo come atto dovuto/obbligato, in quanto il contribuente è obbligato
a presentare la dichiarazione e il mancato ottemperamento a questo obbligo espone il contribuente a delle sanzioni
amministrative o penali. Anche questa tesi è stata criticata perché non si tratta solo di un atto obbligatorio, ma
consente al contribuente anche di operare delle scelte
3) un’altra tesi ha considerato il fenomeno dichiarativo come confessione extragiudiziale: la confessione è un mezzo di
prova tipico del processo civile ed è una dichiarazione, in tal caso resa al di fuori del giudizio, sulla verità di fatti a sé
sfavorevoli e favorevoli alla controparte. Anche questa tesi ha trovato delle critiche perché i fatti riportati in
dichiarazione non possono ritenersi esclusivamente sfavorevoli.
4) la tesi prevalente sostenuta in dottrina configura la dichiarazione tributaria come negozio giuridico unilaterale
recettazio, in quanto la dichiarazione richiede la manifestazione di volontà di un solo soggetto, il contribuente, e
produce effetti quando viene resa nota alla controparte, all’amministrazione finanziaria.
La più importante è certamente è la dichiarazione dei redditi, che presenta delle caratteristiche:
- unicità: contiene l’indicazione di tutti i redditi del soggetto
- obbligatorietà: il soggetto è obbligato a presentare la dichiarazione, tranne delle ipotesi di esclusione
- perentorietà: la dichiarazione deve essere presentata entro dei termini perentori, a pena di decadenza
- periodicità: la dichiarazione va presentata ogni anno perché si riferisce ad un’imposta periodica, cioè una fattispecie a
struttura aperta
Infine, nel 2014 è stato introdotto lo strumento della dichiarazione precompilata per i soggetti titolari esclusivamente
di redditi di lavoro dipendente. L’amministrazione finanziaria precompila la dichiarazione, la mette a disposizione del
contribuente, il quale può apportarvi o meno delle modifiche: se accetta la dichiarazione senza apportarvi delle
modifiche non sarà sottoposto a controlli per quel periodo di imposta.