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PARTE GENERALE
CAPITOLO 1 – GLI ISTITUTI
LA NOZIONE DI TRIBUTO
Nel nostro ordinamento non esistono definizioni legislative né del tributo né delle sue varie fattispecie
(imposta, tassa, ecc): spetta quindi all'interprete definirle tenendo conto del significato e dello scopo
che queste assumono.
In conclusione, il tributo può essere definito come prestazione patrimoniale (in quanto incide sul
patrimonio del contribuente), coattiva (in quanto obbligatoria imposta), definitiva (non suscettibile di
ripetizione): tale prestazione è collegata ad un fatto economico che attiva il concorso di tutti al
finanziamento della spesa pubblica (fine ultimo del tributo – quando il fine diretto è quello di
reperimento di mezzi per lo Stato).
IL DIRITTO TRIBUTARIO
Il diritto tributario è il diritto che disciplina i tributi: è parte del diritto finanziario, che a sua volta è
parte del diritto amministrativo.
CAPITOLO 2 – LE FONTI
IL PRINCIPIO DI LEGALITA'
L'art. 23 Cost. stabilisce che <<nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se
non in base alla legge>>: esso contiene quindi una riserva di legge relativa, che la dottrina rilegge
come espressione del principio democratico secondo cui la competenza in materia tributaria (di
redistribuzione dei redditi, ecc.) spetta all'organo più direttamente rappresentativo della volontà
popolare, il parlamento.
Bisogna notare però che:
– all'espressione “prestazioni personali e patrimoniali imposte”, si attribuisce un significato
più ampio di tributo, in quanto sono comprese sia le prestazioni imposte in senso formale
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(con atto autoritativo, senza la volontà del soggetto passivo), sia in senso sostanziale
(quando l'obbligazione pur nascendo da un contratto costituisca corrispettivo di servizio
pubblico, che soddisfi un bisogno essenziale e sia reso in regime di monopolio – es. tariffe per
i vigili del fuoco);
– per “legge” si indicano sia le leggi statali, sia quelle regionali (o provinciali nel caso di Trento e
Bolzano), sia gli atti aventi forza di legge (d.l. e d.lgs.); i regolamenti e le altre fonti di diritto
comunitario non si pongono però in contrasto con la riserva di legge;
– la riserva è relativa ma non assoluta – la legge regola i principi base (i cd. contenuti minimi);
altri atti (regolamenti ed atti amministrativi) possono regolare i “dettagli” entro i limiti dei principi
base espressi dalla legge.
La Corte Costituzionale ha ritenuto non necessario che base imponibile ed aliquote siano stabilite da
normativa primaria, ma possono essere anche delegate a normativa secondaria qualora la legge
stabilisca i principi guida.
I REGOLAMENTI
I regolamenti sono atti emanati dal governo, aventi forza inferiore a quella della legge: non possono
essere in contrasto con la legge e possono essere annullati dal giudice amministrativo e disapplicati
dagli altri giudici.
Il diritto tributario, essendo caratterizzato da riserva di legge relativa, ammette solo:
– regolamenti esecutivi, che regolano l'esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi – che
possono essere emessi anche in assenza di apposita norma autorizzativa;
– regolamenti delegati, che possono essere emessi, entro certi limiti, solo in base ad una
norma espressa.
Le fonti secondarie possono essere annullate dal giudice amministrativo (TAR e Consiglio di Stato)
con efficacia erga omnes, o disapplicate dal giudice ordinario (ed in ambito tributario, dalla
Commissione Tributaria di competenza) nel caso specifico (quindi senza efficacia erga omnes).
LA POTESTA' LEGISLATIVA
Dopo la riforma della l.cost. 3/2001, allo Stato è attribuita la potestà esclusiva di disciplinare il
sistema tributario dello Stato e di stabilire i principi fondamentali del sistema tributario complessivo.
Alle Regioni è data potestà legislativa concorrente in materia di “coordinamento della finanza
pubblica e del sistema tributario”, e sono titolari in via residuale in ogni materia non espressamente
riservata allo Stato.
Di fatto, il sistema tributario dello Stato è destinato a finanziare tutti gli enti che costituiscono la
Repubblica, i quali si finanziano sia con partecipazione dei tributi erariali sia tramite riscossione di
tributi propri (a livello regionale o locale – provinciale e comunale), con riguardo ai quali:
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– le Regioni, ex l'art. 117 Cost., hanno potestà legislativa residuale (e quindi competenza
primaria) da svolgersi entro i principi del coordinamento statale, ed in armonia con la
Costituzione (possono quindi istituirne di nuovi);
– gli enti locali al di sotto della Regione, non avendo potestà legislativa, potranno al più
disciplinare con regolamento i tributi propri con norme attuative od integrative delle leggi statali
e regionali (integrare e non stabilire).
LE CONVENZIONI INTERNAZIONALI
La ratifica delle convenzioni internazionali, ex art. 80 Cost. , deve essere autorizzata con legge per
effetto della quale le norme delle convenzioni diventano norme interne.
La legge, di regola, non è retroattiva – salvo tale retroattività non sia espressamente prevista nello
stesso testo normativo; così come è possibile la retroattività di un regolamento solo su espressa
previsione di una norma con forza di legge.
Nel caso di fatti avvenuti tra la decorrenza della vecchia e della nuova legge si applicano le c.d.
disposizioni transitorie.
Solo grazie a delle convenzioni internazionali lo stato può garantire il proprio credito tributario
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all'estero e possono essere previste collaborazioni finanziarie tra le due (o più) amministrazioni
finanziarie.
LE DOTTRINE DI INTERPRETAZIONE
Con riguardo alle leggi tributarie sostanziali, in passato sono state sostenute dottrine
“autonomistiche” ed “anti-autonomistiche”:
– l'indirizzo autonomistico (che tutela la ratio tributaria) sostiene che la legge tributaria
racchiuda una nozione autonoma, diversa da quella propria del settore giuridico in cui l'istituto
è regolato;
– l'indirizzo anti-autonomistico (che tutela la certezza del diritto) sostiene che la legge
tributaria accoglie la medesima nozione delineata con riguardo ad un atto (od istituto) nel
settore giuridico di provenienza.
In generale, si ritiene che, mentre l'interprete delle leggi comuni deve considerare la ratio legis,
l'interprete di leggi tributarie dovrebbe dare maggior rilievo alla ratio del tributo (es. per l'IVA la ratio è
colpire il consumo).
Molti termini, inoltre, possono assumere significati diversi a seconda delle circostanze (es.
imprenditore ha un significato a fini IVA, ed uno differente ai fini delle imposte sul reddito): quando la
norma di diritto tributario contiene termini e/o istituti di altri settori dell'ordinamento (di diritto privato in
particolare) si presume che il termine abbia lo stesso siglificato attribuito nel settore di appartenenza
salvo che la legge tributaria ne stabilisca espressamente uno diverso (o se ne possa
ragionevolmente presumere uno differente).
Nel caso in cui la lettera della legge sia vaga o polisemica, in assenza di vincoli interpretativi,
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l'interpretazione è lasciata alla discrezionalità dell'interprete; in merito, si affermano quindi alcune
dottrine:
– quella del formalismo, più fedela alla lettera della legge;
– quella sostanzialistica, più sensibile alla ratio della legge.
In diritto tributario ha maggior rilevanza la prima per un'esigenza di certezza del diritto.
Infine, nell'interpretazione è necessario tener conto della forza gerarchica delle fonti, adeguando
l'interpretazione di una norma ai principi gerarchicamente sovrastanti.
LEGGI INTERPRETATIVE
Quando la disposizione ha dubbio significato, anche il legislatore “si fa interprete” imponendo una
determinata interpretazione, mediante una legge interpretativa – di regola retroattiva.
Qualora attraverso una legge solo apparentemente interpretativa ne sia emanata indirettamente una
innovativa, intesa solo formalmente come corretta interpretazione della precedente, questa non potrà
essere retroattiva (anche al fine di salaguardare il requisito di attualità della capacità contributiva).
In particolare, in materia tributaria ai sensi dell'art. 1 S.d.C. (proprio per il loro carattere retroattivo) le
leggi interpretative possono essere emanate solo in casi eccezionali e con legge ordinaria. (per cui
sarà necessario specificare espressamente che la norma è interpretativa).
LE CIRCOLARI INTERPRETATIVE
Generalmente, all'emanazione di una nuova legge l'amministrazione finanziaria fa seguire una
circolare interpretativa con la quale si illustra il significato agli uffici periferici: le circolari non sono
fonte di diritto e non sono vincolanti né per i contribuenti né per i giudici, ma solo all'interno
dell'ordinamento amministrativo. D'altra parte assumono grande utilità soprattutto qualora si
riferiscano a disposizioni impregnate di tecnicismo.
Di tale principio vi è un riconoscimento nell'art. 10, comma 2, dell'S.d.C., che stabilisce che non
possono essere irrogate sanzioni e richiesti interessi al contribuente che si sia conformato ad
indicazioni fornite dall'Amministrazione (ma tale protezione è solo parziale perché non fa riferimento
all'imposta dovuta)
INTEGRAZIONE
Un tempo il diritto tributario era considerato un diritto speciale facente parte di quel diritto comune la
cui massima espressione era il Codice Civile: quando un problema non era risolto dal diritto
tributario, si applicava il cod. civ. .
Si ritiene pacificamente che analogia possa essere fatta solo per lacune in senso tecnico (non
lacune ideologiche – es. perché si considera giusto che due soggetti siano tassati nella stessa
misura).
Vi è, inoltre, divieto di analogia per le norme tributarie impositrici e per quelle sanzionatorie-punitrici;
possono, invece, essere oggetto di analogie norme non sostanziali (come quelle sui procedimenti,
quelle sulle modalità di tassazione, ecc.).
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Anche nel diritto tributario, oltre che di analogia legis si può parlare di analogia iuris, facendo
riferimento ai principi generali dell'ordinamento (in materia tributaria – così come affermato dallo
Statuto del Contribuenti nell'art. 1 – sono quelli quelli indicati nello stesso S.d.C).
CAPITOLO 4 – I PRINCIPI
IL DOVERE DI CONCORRERE ALLE SPESE PUBBLICHE
L'art. 53 Cost. afferma che <<tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro
capacità contributiva>>: con termine “tutti” si intendono tutti i soggetti appartenenti alla comunità
italiana indipendentemente da nazionalità o residenza – ricollegandosi dunque al “dovere di
solidarietà” (ex art. 2 Cost.).
Perciò il tributo, secondo la Costituzione, non è meramente fiscale ma risponde anche a doveri
sociali di solidarietà fissati dalla stessa Costituzione.
Il tributo deve essere anche in armonia con l'art. 3 Cost. , avente scopo di <<rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale>> che limitano la libertà e l'uguaglianza dei cittadini.
I principi sul chi debba e quanto bisogni concorrere sono, secondo la Scienza delle Finanze, il criterio
del beneficio di chi fruisce delle spese pubbliche (per tasse) o l'attitudine/capacità a contribuire (per
le imposte) indipendentemente dalla fruizione o meno di un servizio: in generale (sia da parte della
dottrina, che ad opera della giurisprudenza costituzionale), si è daccordo nel considerare la capacità
contributiva ex. art. 53 Cost. come capacità economica.
Con riguardo alla capacità contributiva, la giurisprudenza costituzionale è passata nel tempo da
un'interpretazione di capacità contributiva soggettiva (intesa in senso stretto come effettiva
capacità soggettiva del contribuente a far fronte al dovere tributario – valutata secondo opportuni
indici concretamente rilevatori di ricchezza) ad una concezione sicuramente meno rigorosa di
capacità contributiva oggettiva (anche solo potenziale – secondo cui ogni fatto economico è indice
di capacità contributiva – e la capacità contributiva non è rilevata solo dal reddito, ma anche dalla
capacità di produrlo).
Dal punto di vista quantitativo, il sacrificio personale imposto dev'essere rapportato all'idoneità del
singolo di privarsi dei propri beni dopo aver soddisfatto i suoi bisogni essenziali, per cui il c.d. reddito
minimo non può essere indice di capacità contributiva.
Da ciò nasce quindi un limite massimo nella misura del tributo: andrebbe infatti contro l'art.53 Cost.
un tributo tale da incidere sul “minimo vitale” – per cui la discrezionalità del legislatore nel fissare la
misura del tributo va esercitata entro limiti dettati da un generale principio di ragionevolezza.
IL REQUISITO DI EFFETTIVITA'
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La giurisprudenza costituzionale individua la necessità per il tributo di rispondere al c.d. requisito di
effettività, ossia l'esigenza di un collegamento tra fatto rilevatore di capacità contributiva e
tributo, e che questo sia effettivo e non fittizio ed apparente.
Anche nel diritto tributario esistono presunzioni legali, cioé fatti ignoti che il legislatore desume da
fatti noti: con riferimento alla capacità contributiva esistono solo presunzioni relative, cioé
suscettibili di essere smentite da prova contraria, in quanto presunzioni assute in tale ambito
rischierebbero di urtare il principio di effettività.
Infine, la Corte ha ritenuto che rientri nella discrezionalità del legislatore il tener conto (o meno) degli
effetti della svalutazione monetaria, e che solo in casi di particolare gravità il legislatore debba
depurare la base imponibile dagli effetti conseguenti ai processi di svalutazione monetaria, per
correggere conseguenze inique od eccessivamente gravose dell'applicazione del principio
nominalistico.
IL REQUISITO DI ATTUALITA'
Un altro requisito è quello del requisito di attualità, per cui il tributo quando è applicato dev'essere
correlato ad una capacità contributiva attuale: secondo la giurisprudenza costituzionale sono
costituzionalmente legittimi i tributi retroattivi solo qualora colpiscano fatti del passato che
esprimono una capacità contributiva ancora attuale.
Potendo, inoltre, ledere il principio di certezza del diritto, la Corte Costituzionale ha stabilito che i
tributi retroattivi sono ammessi solo a patto che <<trovino adeguata giustificazione sul piano della
ragionevolezza e non si pongano in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti
così da incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti”>>.
Altra questione è quella delle richieste di acconto per le imposte (che si collegano a presupposti
d'imposta che si verificheranno nella loro completezza solo in futuro), per cui, secondo quanto
stabilito dalla Corte Costituzionale, il legislatore può chiedere acconti solo se:
– la fattispecie a cui si collega il prelievo non sia del tutto avulsa dal presupposto (cioé non vada
a violare il principio di effettività);
– che l'obbligo di versamento non sia incondizionato;
– che la previsione di prelievo anticipato sia compensata da quella di meccanismi di riequilibrio.
Le ragioni che legittimano il legislatore ad introdurre trattamenti di favore senza violare il principio di
uguaglianza sostanziale devono essere comunque essere improntati a ragionevolezza – che verrà
valutata mettendo a confronto la norma di legge (l'agevolazione) sospettata di incostituzionalità con
quella altrimenti applicabile (che funge da “tertium comparationis”).
IL PRINCIPIO DI PROGRESSIVITA'
Il principio di progressività (ex art. 53, comma 2) – inteso nel senso di aumento di aliquota col
crescere del reddito – è quello che meglio esprime l'adeguamento del tributo alla capacità
contributiva: è però un principio che riguarda il sistema nel suo complesso e non il singolo tributo,
che può dunque essere ispirato a criteri di versi.
D'altra parte, la tutela costituzionale dell'interesse fiscale non può legittimare la lesione di quei diritti
inviolabili di cui all'art. 2 Cost. tra cui:
– la libertà personale (ex art. 13 Cost.);
– l'inviolabilità del domicilio (ex art. 14 Cost.);
– la libertà e la segretezza della corrispondenza (ex art. 15 Cost.).
A tali diritti si aggiunge (proprio nell'ambito del diritto tributario) quello ad una “giusta imposizione”
secondo i criteri di riparto sanciti dall'art. 53 Cost. (in particolare per le spese pubbliche indivisibili): la
Corte ha, inoltre, esteso l'ambito di applicazione dell'art. 53 anche a quei tributi commutativi (le tasse)
relativi a servizi essenziali – in quanto sarebbe incostituzionale far pagare un servizio essenziale a
chi non abbiente.
Se l'art. 53 tutela il contribuente solo con riguardo alle norme tributarie sostanziali (riguardanti
presupposto, base imponibile, ecc.), per quelle procedurali e processuali si farà invece riferimento
alla tutela prevista dagli artt. 24 e 111 Cost. in materia di diritto di difesa e di giusto processo.
Infine, è lo stesso art. 23 Cost. a dotare di una tutela formale il contribuente, a cui possono essere
imposte prestazioni patrimoniali solo per mezzo di atti aventi forza di legge.
Il presupposto può anche coincidere con l'oggetto del tributo, ma bisogna tener presente che in
generale le due fattispecie sono distinte:
– il presupposto riguarda il profilo oggettivo del tributo nella sua venuta ad esistenza (cioé
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determina se la fattispecie sia o meno imponibile).
– l'oggetto (che è la fattispecie imponibile) è la quantificazione di ciò che è tassabile – e
riguarda la fase di determinazione dell'imposta, che può sorgere solo una volta che si sia
verificato il presupposto.
La distinzione tra imposte istantaee e periodiche si fonda sull'estensione temporale del presupposto:
– sono imposte istantanee (come l'imposta di bollo) quelle che prendono in considerazione un
fatto istantaneo;
– sono imposte periodiche (come l'imposta sul reddito) quelle che hanno come presupposto
fatti che si verificano in un determinato arco temporale – il c.d. periodo d'imposta.
Lo Statuto del Contribuente prevede che le modifiche delle imposte periodiche si applichino solo a
partire dal periodo di imposta successivo alla data di entrata in vigore della disposizione.
Le esenzioni sono enunciati normativi che sottraggono all'applicazione del tributo fattispecie che
sarebbero invece imponibili in base alla definizione generale del presupposto (questo perché
generalmente ad esse è riservato un diverso tributo): le fattispecie esenti possono essere individuate
sia come deroga rispetto a disciplina generale, sia se disciplinate autonomamente come tali.
Le esenzioni possono essere distinte in:
– temporanee o permanenti (a seconda della durata);
– soggettive od oggettive (a seconda che siano rilevanti o meno una caratteristiche del soggetto
passivo o dell'oggetto del tributo).
Le esclusioni sono invece fattispecie escluse dalla disciplina (attraverso gli enunciati con cui il
legislatore chiarisce i limiti di applicabilità del tributo), in quanto non rientranti nel campo
d'applicazione della norma: non rappresentano deroghe alla disciplina generale in quanto, essendo
appunto escluse, non avrebbero potuto comunque generare in alcun caso gli effetti di fattispecie
imponibili.
Con riguardo alla disciplina del reddito d'impresa, la distinzione tra fattispecie escluse ed esenti
assume rilievo in quanto ne determina la deducibilità dei costi inerenti.
SOVRAIMPOSTE ED ADDIZIONALI
Si possono distinguere:
– si ha una sovraimposta, quando la base imponibile di un'imposta (l'imposta madre) viene
usata come fattispecie imponibile di un altro tributo (l'imposta figlia – la sovraimposta);
– si ha un'addizionale, quando si ha un tributo la cui misura è ragguagliata ad una frazione od
un multiplo di quanto dovuto per l'imposta base.
Ad esempio, l'addizionale regionale IRPEF in realtà è una sovraimposta.
L'OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA
Effetto del presupposto è la nascita dell'obbligazione tributaria, anche se talvolta sono necessarie
delle fasi intermedie (la dichiarazione, l'avviso di accertamento, ecc.) perché questa sia effettiva.
La disciplina speciale dell'obbligazione tributaria trova giustificazione nel suo differenziarsi da quella
civilistica, in quanto non stabilita dalla volontà delle parti (né del contribuente né dell'amministrazione
finanziaria) ma direttamente derivante dalla legge (ex art. 23 Cost.) .
CALCOLO DELL'IMPOSTA
L'imposta si calcola applicando un tasso (l'aliquota) ad una determinata quantità (la base
imponibile): nel caso dell'imposta sul reddito, ad esempio, si ha coincidenza tra la base imponibile
ed il presupposto.
Le norme sulla base imponibile sono spesso complesse e non si limitano a stabilire voci
comprese/escluse nella base, ma anche a fornire i criteri di valutazione delle singole voci:
– nella maggior parte delle imposte la base imponibile è costituita da una grandezza monetaria
(in alcuni casi, è somma algebrica di elementi positivi e negativi – come per l'IRES e l'IRAP –
e rappresenta un'imposta netta; mentre in altri casi non vi sono deduzioni ed è quindi un
importo unitario);
– la base imponibile può anche essere costituita da valori diversi da quelli monetari (es. accisa
sul gas).
Il tasso può essere fisso (come nelle imposte fisse di bollo) ma è prevalentemente variabile; quando
la base imponibile è monetaria, solitamente il tasso è rappresentato da un'aliquota:
– aliquota fissa se non muta al variare della base imponibile (es. compravendita di un
immobile);
– aliquota variabile (progressiva) se varia al variare della base imponibile.
La progressività può essere ottenuta a scaglioni, ovvero in base a determinati intervalli di entità
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della base imponibile (es. IRPEF):
– può essere regressiva (ed in particolare diminuisce l'aliquota all'aumentare della base);
– o crescente.
La misura dell'imposta può (per motivi tributari tecnici od extra-fiscali – agevolazioni) anche
dipendere da situazione familiari o personali (es. tassa di successione) o possono essere previste
aliquote diverse della medesima imposta sulla stessa base imponibile (es. IVA al 4%, 10%, 20%).
Alle obbligazioni d'imposta possono poi accompagnarsi obbligazioni accessorie, legate alle prime
da un nesso di pregiudizialità/dipendenza (si tratta, ad esempio di obbligazioni relative agli
interessi).
GARANZIE
Ex. art. 2752 cod. civ., <<hanno privilegio generale sui mobili del debitore i crediti dello Stato per
l’imposta sul reddito [..] iscritti nei ruoli resi esecutivi nell’anno in cui il concessionario del servizio di
riscossione procede o interviene nell’esecuzione e nell’anno precedente>>.
Per ottenere dilazioni (o la sospenzione del pagamento) di somme iscritte a ruolo, qualora siano
superiori a 25.822€, il contribuente dovrà prestare adeguate fideiussioni; per ottenere il rimborso IVA
annuale (o per periodi minori), il contribuente deve prestare una garanzia per tutelare
l'amministrazione per un'eventuale indebito.
Con il termine contribuente si indica l'obbligato principale – ossia colui che realizza il presupposto
del tributo, fatto espressivo di capacità contributiva – che è il “soggetto passivo in senso stretto”;
mentre con l'espressione “soggetto passivo in senso ampio” si intende ogni soggetto che abbia
obblighi di qualunque genere verso il fisco.
Dal domicilio fiscale si distingue la residenza fiscale, che ha invece importanza sostanziale in
quanto determina la tassazione dei redditi dei soggetti residenti, anche se prodotti all'estero.
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LA SOLIDARIETA' TRIBUTARIA
Si ha solidarietà tributaria qualora l'obbligazione tributaria faccia capo ad un pluralità di soggetti,
tenuti in solido ad adempierla. Il legislatore tributario non dà definizioni di “solidarietà” ma si limita a
riconoscere quando l'obbligazione è solidale: spetterà dunque all'interprete ricostruire la disciplina
della solidarietà tributaria, facendo riferimento alle norme del codice civile (artt. da 1292 Cod. Civ.).
Nella solidarietà tributaria (che prevede sole ipotesi di solidarietà passiva) si distinguono:
– solidarietà paritetica, nella quale il presupposto è riferibile ad una pluralità di soggetti;
– solidarietà dipendente (solo nei casi tassativamente indicati dalla legge) nella quale
all'obbligato principale (che pone in essere il presupposto) si aggiunge un obbligato
dipendente (il c.d. responsabile d'imposta) con funzione di garanzia.
Il responsabile d'imposta è un obbligato in via dipendente in quanto realizza una fattispecie legata al
presupposto da un “nesso di pregiudizialità”, ma che di per sé non genera alcuna obbligazione
tributaria – per cui l'obbligazione del responsabile esiste solo in quanto esiste quella principale.
Nei confronti del fisco, in ogni caso, non rileva la distinzione tra solidarietà paritetica e dipendente,
che assume rilevanza solo nei rapporti interni:
– nella solidarietà dipendente, il risponsabile che paga il tributo ha diritto di regresso integrale
nei confronti dell'obbligato principale;
– nella solidarietà paritetica, il co-obbligato ha diritto di regresso solo pro quota.
Il soggetto passivo del tributo non è soltanto obbligato all'adempimento di una prestazione
pecuniaria, ma anche di obblighi formali (come la presentazione della dichiarazione): anche in tale
caso vale il principio per cui l'adempimento di un soggetto libera tutti gli altri – d'altra parte, qualora la
dichiarazione comporti sanzioni queste sono applicabili nei confronti di tutti i co-obbligati.
La super-solidarietà tributaria era un principio per cui gli atti dell'amministrazione tributaria (avviso
d'accertamento, atti della riscossione, atti del processo, ecc.) notificati ad uno solo dei condebitori
erano ritenuti efficaci nei confronti di tutti condebitori – da cui derivava che, qualora l'atto non fosse
stato impugnato e fosse divenuto definitivo, gli effetti valessero nei confronti di tutti gli obbligati.
Tale principio è stato dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale in quanto comportava la lesione
del diritto di difesa (ex art. 24 Cost.) dei condebitori nei cui confronti un atto poteva esplicare effetti
senza che ad essi fosse notificato.
Si è oggi consolidata l'idea che l'obbligazione solidale tributaria non differisca né per struttura né per
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disciplina da quella civile. Si applicano dunque le norme del cod. civ. secondo cui gli atti compiuti da
o nei confronti di un condebitore:
– sono estendibili agli altri condebitori se favorevoli;
– non sono estendibili se sfavorevoli;
– sono estendibili qualora l'interessato decida di avvalersene se neutri.
D'altra parte, un avviso d'accertamento notificato ad un solo condebitore (sia nel caso di solidarietà
paritaria che dipendente) avrà efficacia solo verso questo (in primis a tutela del diritto di difesa ex. art
24 Cost.): qualora il Fisco abbia notificato al solo obbligato principale e voglia ottenere il pagamento
dall'obbligato dipendente, dovrà notificarlo anche a quest'ultimo (non si può in fatti iscrivere a ruolo
soggetti nei confronti dei quali non vi è titolo che legittimi alla riscossione – ed anche quando tale
titolo è presente sarà comunque necessaria la preventiva iscrizione a ruolo).
Allo stesso modo, esecuzione forzata sarà possibile (salvo diritto di seguito del bene di terzi) solo
verso chi iscritto a ruolo (motivato da accertamento).
Quando l'avviso non è notificato nei termini a tutti i co-obbligati, la giurisprudenza ritiene applicabile
alla decadenza tributaria l'art. 1310 cod. civ. – secondo cui gli atti con cui il creditore interrompe la
prescrizione contro uno hanno effetto anche verso gli altri condebitori: tale orientamento suscita
perplessità in quanto estende analogicamente alla decadenza una norma dettata per la prescrizione
– quando l'art. 2964 cod. civ stabilisce espressamente l'inapplicabilità di regole della prescrizione
<<quando un diritto deve esercitarsi entro un dato termine sotto pena di decadenza>>.
Nella disciplina delle sanzioni è invece espressamente previsto dal legislatore che la notifica
tempestiva dell'atto sanzionatorio ad uno solo degli autori della violazione produca la proroga di 1
anno del termine della notifica verso gli altri co-obbligati.
Un problema frequente, che non trova soluzione espressa in alcuna norma, si pone qualora l'avviso
d'accertamento non si impugnato da tutti i soggetti a cui è notificato. In tale caso la giurisprudenza
ritiene applicabile l'art. 1306 del cod. civ. secondo cui <<la sentenza, pronunciata tra il creditore ed
uno dei debitori in solido non ha effetto verso gli altri debitori>> (riflettendo il principio secondo cui la
sentenza vale solo tra le parti del processo e non ultras partes).
In alcuni casi la sentenza favorevole può essere estesa ultra partes, ed i condebitori possono opporla
al creditore (secondo il principio per cui gli atti favorevoli ad un debitore valgono anche per gli altri):
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– l'estensione è pacificamente ammessa per le parti che abbiano impugnato l'accertamento;
– l'estensione è discussa con riguardo al debitore che non ha impugnato l'atto – in ogni caso, la
giurisprudenza fa prevalere l'effetto del giudicato sulla definitività dell'avviso di chi non ha
impugnato.
Sempre la giurisprudenza pone però alcuni limiti, in quanto l'estensione del giudicato favorevole
formatosi nei confronti di altro condebitore:
– può essere invocata solo per contestare la pretesa di pagamento di maggior tributo ma non
anche per la ripetizione di quanto già pagato;
– non può essere invocata da coobbligato nei confronti di cui si sia già direttamenente formato
un giudicato (perché ad esempio, avendo partecipato al giudizio di primo grado, non abbia poi
appellato);
– non può essere invocata qualora la sentenza si fondi su ragioni personali del debitore che ha
partecipato al processo.
LA SOSTITUZIONE
La sostituzione oggettiva (i regimi sostitutivi) indica la sottoposizione di una determinata fattispecie,
in via derogatoria, ad un regime fiscale diverso da quello ordinario.
La sostituzione soggettiva si ha quando, per disposizioni di legge, l'obbligazione tributaria è posta
a carico di un soggetto diverso da colui che realizza il presupposto (es. le imposte sui redditi nel
lavoro dipendente): può essere a titolo di imposta (definitivo) od a titolo di acconto.
Il sostituto d'imposta è chi corrisponde ad altri (sostituiti) somme soggette a ritenuta: il non operare
la ritenuta è punito con sanzione amministrativa pari al 20% dell'importo non ritenuto ed al 30%
dell'importo non versato.
Per quanto in origine sia obbligato solo il sostituto, qualora questi non applichi la ritenuta e non
provveda al versamento si aggiunge la responsabilità del sostituito, ed i soggetti diventano obbligati
in solido verso il fisco.
Un esempio di sostituzione d'imposta si ha nella corresponsione degli interessi attivi bancari, che
vengono tassati direttamente alla fonte e l'obbligazione tributaria grava sulla banca, che è sostituto
d'imposta, e deve operare le ritenute per versare l'imposta.
La ratio della sostituzione sta nel fatto che il sostituto è debitore verso il sostituito di somme la cui
corresponsione realizza presso il creditore un fatto fiscalmente rilevante.
Tra sostituto e sostituito vi è rapporto di rivalsa: il sostituto, nel momento in cui corrisponde al
sostituito le somme soggette a ritenuta, ha il diritto-dovere di trattenere la quota (come nel caso del
datore di lavoro che è sostituto d'acconto nei confronti del dipendente).
Nella sostituzione a titolo di acconto, il sostituito è responsabile solo per il saldo dovuto, e non per la
parte già ritenuta – anche se non versata: qualora sia stata, quindi, applicata la ritenuta, il fisco potrà
rifarsi solo sul sostituto (il rapporto sostiuito-fisco è infatti indipendente da quello sostituto-fisco).
LA RIVALSA E LA TRASLAZIONE
La rivalsa si ha quando il soggetto passivo del tributo è diverso dal soggetto che pone in essere il
fatto economico (colpito dal tributo). E' necessario che il debitore del tributo sia in grado di trasferire
l'onere economico sul soggetto che realizza il fatto espressivo di capacità contributiva (es. come
avviene nell'IVA).
Le leggi tributarie prevedono esplicitamente il diritto di rivalsa nei confronti di colui che ha posto in
essere il presupposto: la rivalsa, oltre che da norme per ragioni tributarie, può derivare da norme
civilistiche o da clausole contrattuali (qualora l'obbligazione tributaria sia oggetto di una negoziazione
di tipo civilistico tra le parti).
A colui che ha pagato un'imposta per un presupposto riferibile ad altri si applica il meccanismo della
surrogazione legale: il surrogatore assume nei confronti del surrogato gli stessi diritti che il fisco
aveva nei confronti del debitore.
ACCOLLO DELL'IMPOSTA
La rivalsa dell'imposta può essere:
– obbligatoria, quando il legislatore vuole che l'onere del tributo sia trasferito dal soggetto
passivo ad altri (es. rivalsa IVA); ed in questo caso sono nulli i patti di rinuncia alla rivalsa;
– facoltativa, nel qual caso i privati sono liberi di stipulare patti d'accollo dell'imposta; e
l'accollante si impegna verso l'accollato a far fronte ad un determinato debito d'imposta nei
confronti del fisco (accollatario).
– vietata quando non è possibile esercitarla per scelta del legislatore (es. l'INVIM, dovuta dal
venditore e non accollabile dal compratore).
I privati possono prevedere che l'accollo abbia effetto solo fra di loro (c.d. accollo interno) o che
abbia efficacia anche nei confronti del fisco (accollo esterno); in ogni caso, comunque, il debitore
originario del tributo non potrà mai essere liberato (l'accollo d'imposta è sempre cumulativo, mai
liberatorio).
dispense di Diritto Tributario a cura di Paolo Meola pagina 16 di 100
I patti di accollo non sono contrastanti con la capacità contributiva descritta dall'art. 53 Cost. poiché
essa si riferisce solo ai “rapporti tributari”, mentre l'accollo è un'“accordo orizzontale” tra privati.
Tuttavia, per le imposte sui redditi vi è una norma specifica che sancisce che gli <<eredi rispondano
in solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si sia verificato anteriormente alla morte del
dante causa>>. In materia di IVA è prevista la possibilità di proroga nei pagamenti fino a tre mesi
dalla morte del de cuius.
Lo schema di attuazione standard prevede, in primis, l'attivazione del tributo da parte degli stessi
contribuenti, a cui sono imposti obblighi di autoliquidazione, di versamento e di dichiarazione.
Vi sono casi nei quali la nascita dell'imposta ne comporta direttamente l'adempimento, senza la
necessità di atti del contribuente o dell'amministrazione (i c.d. contributi immediati, o “senza
imposizione – es. imposta di bollo, o tributo sugli autoveicoli)
RAPPORTI CONTRIBUENTE-FISCO
Dal 1990 la natura del rapporto contribuente-fisco non è più autoritativa ma ha assunto un'accezione
collaborativa (si veda ad esempio l'introduzione di alcuni istituti come l'interpello, il concordato, la
conciliazione, l'autotutela, ecc.).
In particolare, rispetto a quanto stabilito dalla l.241/1990 per il procedimento amministrativo generale,
vi sono notevoli differenze in quanto:
– si applicano:
– le norme che enunciano i principi generali del procedimento;
– le norme in tema di responsabile del procedimento;
– le norme in tema di efficacia ed invalidità del procedimento;
– non si applicano:
– le norme in tema di partecipazione del cittadino al procediemento;
– le norme in tema di accesso;
– tutte le norme che interessano le attività amministrative discrezionali.
L'amministrazione è soggetta a numerose regole (es. correzione degli errori macroscopici del
contribuente) collegate alla buona fede e ad obblighi di informazione, tra cui:
– garantire al contribuente l'effettiva conoscenza degli atti a lui destinati;
– informare il contribuente su ogni fatto/circostanza a conoscenza dell'amministrazione da cui
possa scaturire una sanzione od un credito;
– informare i contribuenti non residenti in Italia;
– garantire la comprensibilità dei modelli di dichiarazione.
L'ufficio non è obbligato ad avvertire il contribuente dell'indagine attivata e quest'ultimo non può
opporsi/difendersi prima dell'emissione dell'avviso di accertamento.
Non si applicano al procedimento tributario le norme in materia di accesso agli atti; secondo la
giurisprudenza, si possono applicare solo ad accertamento concluso (quindi una volta che è emesso
l'avviso d'accertamento).
L'INTERPELLO ORDINARIO
L'S.d.C. attibuisce al contribuente la possibilità di chiedere all'amministrazione, mediante un
interpello ordinario, un parere circa l'interpretazione di una disposizione tributaria, con riguardo ad
un caso concreto e personale.
L'istanza può essere presentata solo qualora ve ne siano i requisiti; in particolare l'istanza:
– deve concernere una disposizione la cui interpretazione si presenti obiettivamente incerta;
– deve riguardare un caso concreto e personale;
– dev'essere preventiva (e quindi riguardare una dichiarazione futura);
– deve contenere l'interpretazione così come concepita del contribuente.
L'amministrazione non è tenuta a rispondere qualora l'istanza sia invalida o ne manchino i
presupposti; non può, d'altra parte, disinteressarsi di un'istanza valida ed è obbligata ad esaminarla:
se entro 120gg l'amministrazione non risponde, vale il principio del silenzio-assenso per cui viene
confermata tacitamente l'interpretazione data dal contribuente.
Il parere è vincolante per l'Agenzia, ed il contribuente – qualora si attenga alla risposta errata
dell'Agenzia – non può essere soggetto ad atti sanzionatori od ulteriori atti impositivi: qualsiasi atto
(di caratte impositivo o sanzionatori) emanato in difformità della risposta (espressa o tacita) è nullo.
Infine, onde circoscriverne l'efficacia, è stabilito che il parere vincola con esclusivo riferimento alla
questione oggetto dell'istanza di interpello.
dispense di Diritto Tributario a cura di Paolo Meola pagina 19 di 100
IL POTERE DI AUTOTUTELA
Il potere di autotutela è un potere della P.A. (rispondente ai suoi doveri di buona fede) che, resasi
conto che l'atto emanato è del tutto od in parte viziato, ha il dovere di eliminare i vizi che rendono
l'atto illegittimo, e di ritirare gli atti illegittimi.
L'autotutela può:
– essere esercitata a seguito di richieste del contribuente, o d'ufficio;
– essere esercitata sia in pendenza di giudizio, sia quando l'atto sia divenuto definitivo;
– riguardare qualsiasi atto dell'amministrazione finanziaria.
Per svolgere i suoi compiti, può richiedere documenti o chiarimenti agli uffici competenti, accedere
presso gli uffici finanziari e controllare la funzionalità dei servizi di assistenza e di informazione al
contribuente: il suo ruolo si limita però ad una mera funzione di “persuasione morale” in quanto
manca di poteri autoritativi.
CAPITOLO 8 – LA DICHIARAZIONE
GLI OBBLIGHI CONTABILI
Oltra alla contabilità prevista dal cod. civ. a fini fiscali, gli imprenditori sono sottoposti ad una serie di
obblighi ulteriori.
Le imprese minori (società di persone ed imprese individuali il cui fatturato sia minore di
309.374,14€ per le imprese di servizi, 516.456,90€ per le altre) sono soggette ad un regime
semplificato, che sostituisce la contabilità complessa con la tenuta dei registri IVA –
dispense di Diritto Tributario a cura di Paolo Meola pagina 20 di 100
opportunamente integrati (con l'indicazioni di tutte le operazioni rilevanti a fini reddituali).
I lavoratori autonomi devono detenere obbligatoriamente registri IVA e, qualora abbiano entrate
superiori ad una determinata soglia:
– registri somme incassate;
– registri per le spese effettuate;
– registri per il valore dei beni ammortizzabili.
I contribuenti possono essere assistiti dai Centri di Assistenza Fiscale, divisi in CAF per le Imprese
e CAF per lavoratori dipendenti.
Vi sono poi alcune norme d'esonero, come per i soggetti che hanno solo redditi da lavoro dipendente
e dell'abitazione principale.
Dal 2008, le dichiarazioni possono essere presentate esclusivamente per via telematica, entro il
31/07 dell'anno successivo a quello di chiusura del periodo d'imposta.
Le persone fisiche titolari di redditi di lavoro dipendente (od assimilati) possono avvalersi
dell'assistenza fiscale fornita dal loro sostituto d'imposta (es. datore di lavoro), dai CAF o da
professionisti abilitati: in talli casi essi assolvono l'obbligo di dichiarazione con la presentazione del
modello semplificato 730.
Per quanto riguarda gli aspetti inerenti alle scelte del contribuente (le opzioni, es. per la scelta del
regime di contabilità) la dichiarazione è da considerarsi come dichiarazione di volontà, e si
applicheranno le regole civilistiche con riguardo agli errori.
Per quanto riguarda errori a svantaggio del contribuente (e quindi correzioni a suo favore), dal
1998 vi è norma espressa che afferma possa essere presentata dichiarazione correttiva in
diminuzione, non oltre il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo
di imposta successivo. Ulteriore rimedio alla rettifica di dichiarazione è la procedura di ricorso al
ruolo e l'istanza di rimborso.
Per quanto riguarda, invece, gli errori relativi alle opzioni valgono le normali regole codicistiche in
materia di errore.
Coloro che percepiscono redditi di lavoro ed assimilati possono non presentare la dichiarazione dei
redditi al fisco, adempiendo agli obblighi di dichiarazione mediante una speciale dichiarazione al
sostituto contenente:
– altri redditi percepiti;
– oneri deducibili;
– ogni altro elemento necessario alla determinazione dell'imponibile.
Il sostituto indicherà nella propria dichiarazione anche gli elementi risultanti dalle dichiarazioni resegli
dai sostituiti, ed avrà l'obbligo di liquidare le loro imposte ed effettuare i conguagli in relazione alle
ritenute effettuate ed ai versamenti d'acconto.
Nel caso di dichiarazione infedele od incompleta, si ha una sanzione pecuniaria da una a due volte
l'imposta non dichiarata.
Con riguardo all'imposta di registro, la dichiarazione ha rilievo ridotto poiché gli elementi da portare a
conoscenza del fisco sono generalmente racchiusi nello stesso atto da registrare.
dispense di Diritto Tributario a cura di Paolo Meola pagina 23 di 100
CAPITOLO 9 – L'ISTRUTTORIA
L'ISTRUTTORIA ED IL SISTEMA INFORMATIVO
L'azione istruttoria è l'insieme di atti volti a verificare la correttezza degli adempimenti del
contribuente: in materia di imposte dirette ed IVA, vi è innanzitutto un controllo automatico di tutte le
dichiarazioni mediante procedure informatiche; a questo seguono il controllo formale ed il
controllo sostanziale che si rivolgono a contribuenti selezionati secondo particolari criteri, definiti
annualmente dal Ministero.
LA LIQUIDAZIONE
Tutte le dichiarazioni dei redditi sono sottoposte ad un primo controllo che ha per oggetto la “mera
liquidazione” delle imposte dovute e dei rimborsi spettanti. Tale controllo avviene mediante
procedure informatiche, da effettuarsi entro l'inizio del periodo di presentazione delle dichiarazioni
relative all'anno successivo: questo è un controllo che mira solo alla verifica dell'esattezza numerica
dei dati dichiarati.
Scopo di tale controllo è correggere errori materiali e di calcolo commessi dal contribuente nella
determinazione dell'imposta e nel riporto delle eccedenze di imposta derivanti dalle eccedenze
derivanti dagli esercizi precedenti – controlla, infine, la corrispondenza dei versamenti eseguiti con
quanto dichiarato.
Se risulta da versare una somma maggiore di quella già versata dal contribuente, non sarà
necessaria l'emissione di un avviso d'accertamento e l'Ufficio inviterà direttamente (con il cd. avviso
bonario) il contribuente a versare quanto ancora dovuto: se versa è evitata l'iscrizione a ruolo e la
sanzione è ridotta ad 1/3.
IL CONTROLLO FORMALE
Il controllo formale è effettuato dagli uffici dell'Agenzia delle Entrate (non oltre il 31/12 del secondo
anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione) ed è destinato a contribuenti
individuati secondo criteri selettivi dettati dal Ministero dell'Economia e delle Finanze.
Tale controllo è finalizzato a verificare la conformità dei dati esposti in dichiarazione alla
documentazione conservata dal contribuente e ai dati desunti dal contenuto delle dichiarazioni
presentate da altri soggetti e forniti da enti previdenziali, banche e imprese assicuratrici.
Il contribuente è quindi invitato a fornire chiarimenti in ordine ad alcuni elementi della dichiarazione,
e trasmettere documenti che li giustifichino o ad esibire le ricevute dei versamenti: a tal fine il
contribuente è tenuto alla conservazione dei documenti probatori dei dati dichiarati (fino alla
scadenza del termine previsto per l’accertamento)
L'esito del controllo formale è comunicato al contribuente, anche per consentire a questi di segnalare
all'ufficio dati ed elementi non considerati o valutati erroneamente: se a questo controllo (ed all'avviso
bonario che ne scaturisce) non segue l'adempimento da parte del contribuente (che anche in questo
caso, come nella fase di liquidazione automatica, eviterebbe l'iscrizione a ruolo), viene applicata una
sanzione pecuniaria e l'amministrazione provvede ad iscrivere a ruolo le somme dovute.
dispense di Diritto Tributario a cura di Paolo Meola pagina 24 di 100
IL CONTROLLO SOSTANZIALE
Il controllo sostanziale è affidato agli uffici dell'Agenzia delle Entrate ed alla Guardia di Finanza,
che può essere effettuato secondo varie modalità: accesso, indagini bancarie, inviti e richieste.
Chi esercita tale controllo è dotato di discrezionalità riguardo alla scelta di quali poteri usare, in che
ordine esercitarli e con che forza.
L'ACCESSO
L'accesso, affidato alla Guardia di Finanzia ed all'Agenzia delle Entrate, è uno degli strumenti più
efficaci per lo svolgimento delle indagini.
Le norme che regolano gli accessi (ed in particolare il D.P.R. 633/1972, il D.P.R. 600/1973 ed il
D.P.R. 131/1986) devono contemperare la tutela del diritto alla riservatezza e l'interesse fiscale:
innanzitutto è prevista la necessità di preventiva autorizzazione motivata (l'accesso deve
corrispondere ad effettive esigenze), rilasciata dal capo dell’Ufficio dell'Agenzia che effettua l'accesso
(o dal Comandante di zona della Guardia di Finanza).
Di ogni accesso dev'essere redatto (giorno per giorno) un processo verbale di verifica in cui è
presente la descrizione dettagliata delle operazioni compiute (le ispezioni e rilevazioni eseguite, le
richieste fatte al contribuente e le risposte ricevute); infine i dati rilevanti (ed in particolare le violazioni
riscontrate) sono sintetizzati nel processo verbale di constatazione che va notificato al soggetto
che subisce il controllo, il quale può (entro 60gg dalla notificazione) inviare delle “memorie difensive”
all'Ufficio, nel tentativo di evitare l'emissione di avviso di accertamento.
LE INDAGINI BANCARIE
Le indagini bancarie possono essere svolte in via amministrativa dall'Agenzia delle Entrate, dalla
Guardia di Finanza (autorizzati rispettivamente dalla direzione generale o dal comandante di zona);
dispense di Diritto Tributario a cura di Paolo Meola pagina 25 di 100
ed in particolare (non essendoci più il segreto bancario), la banca:
– dev'essere disponibile all'autorità di controllo per qualsiasi chiarimento – d'altra parte, dovrà
dare direttamente notizia al contribuente delle richeste ricevute dall'amministrazione
finanziaria;
– è tenuta a specificare tutti i rapporti legati ai conti dei clienti soggetti a controllo (comprese
eventuali garanzie);
– dovrà fornire, se richiesto, non solo copia del conto corrente, ma anche tutti i movimenti.
Qualora vi siamo movimenti che non hanno corrispondenza nelle scritture contabili vi sono due
presunzioni di sommersione:
– ai versamenti corrispondono ricavi tassabili;
– ai prelievi corrispondono costi pagati, ai quali corrispondono a loro volta ricavi non
contabilizzati.
Tali presunzioni sono solo relative e possono essere superate qualora (ad esempio) il contribuente
indichi adeguata giustificazione del movimenti, o riesca a dimostrare che i versamenti non sono
dichiarati in quanto corrispondenti a ricavi non tassabili.
INVITI E RICHIESTE
Inviti e richieste sono forme di controllo meno penetranti nelle quali l'ufficio può:
– invitare il contribuente a presentarsi di persona per fornire dati ed informazioni;
– richiedere l'invio di atti e documenti;
– inviare questionari al contribuente.
le richieste possono essere destinate anche a terzi:
– terzi di diritto pubblico (ai quali può essere richiesto qualsiasi dato od informazione);
– notai, avvocati, ecc. (ai quali possono essere richieste copie di atti);
– altri terzi che abbiano obbligo di scritture contabili (ai quali possono essere richiesti dati relativi
solo a fornitori, dipendenti, clienti);
– altri (ai quali possono essere richieste solo informazioni riguardanti i rapporti col contribuente).
ESITI DELL'ISTRUTTURIA
Qualora non sia riscontrata alcuna violazione, non verrà emesso alcun atto; altrimenti:
– l'ufficio potrà inviare al contribuente un invito al contraddittorio (un vero e proprio invito a
collaborare), per pervenire alla formazione di un “accertamento con adesione”;
– l'ufficio potrà inviare avviso d'accertamento ed il contribuente a sua volta potrà:
– impugnare l'avviso;
– presentare istanza di accertamento con adesione (con riduzione ad 1/4 del minimo
della sanzione);
– omettere di impugnarlo (con riduzione delle sanzioni ad 1/4 dell'importo erogato).
La motivazione è obbligatoria, così come per tutti i provvedimenti amministrativi (come anche ribadito
dispense di Diritto Tributario a cura di Paolo Meola pagina 27 di 100
nell'S.d.C.); nelle singole legge d'imposta vi sono specifiche disposizioni sulla motivazione degli atti
dell'amministrazione finanziaria.
Tale motivazione può essere fatta anche per relationem quando gli avvisi sono emessi in base ad
altri atti, che devono comunque – secondo quanto stabilito dallo Statuto – essere allegati (od almeno
deve esserne indicato il contenuto essenziale), salvo qualora siano già stati notificati.
LA NOTIFICAZIONE
La notificazione è il procedimento con cui l'atto viene portato alla conoscenza del destinatario:
assume particolare rilevanza in quanto è con la notifica che l'avviso d'accertamento viene ad
esistenza ed inizia ad avere effetti.
Con riguardo alla notificazione, sono previste per la notificazione regole simili a quelle contenute nel
cod. proc. civ. – salvo per il fatto che:
– la notificazione deve essere eseguita da messi comunali o dall'Agenzia delle Entrate;
– il messo deve far sottoscrivere l'atto al consegnatario;
– la notificazione dev'essere fatta nel domicilio fiscale del destinatario (se non vi è alcun luogo
idoneo dove far pervenire la notifica, il messo informa il contribuente con raccomandata ed
affigge un avviso del deposito presso l'Albo del Comune).
A differenza che del diritto civile, nel diritto tributario l'atto nullo può comunque produrre effetti se non
viene invalidato dal giudice.
ANNULLABILITA' ED IRREGOLARITA'
Al contrario della nullità, non esiste alcuna norma inerente all'annullabilità dell'atto od alla sua
irregolarità, per cui tale compito spetterà all'interprete: criterio-guida è il ritenere invalidante la
violazione di norme procedurali dettate a garanzia del contribuente.
Quando è notificato oltre i termini previsti, l'avviso non è inesistente ma solamente annullabile.
L'avviso d'accertamento – essendo un atto vincolato – non è però annullabile per vizi di forma e di
procedimento qualora sia palese che, anche in assenza del vizio di enunciato, il contenuto dispositivo
dell'atto sarebbe stato lo stesso.
DEFINITIVITA'
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La definitività non è un quid che si aggiunge agli effetti dell'atto ma è solo il riflesso dell'esaurimento
del potere di impugnarlo (e quindi della possibilità di rimuoverne gli effetti in via ordinaria).
L'atto d'imposizione diventa definitivo se sono decorsi i termini di impugnazione e questo non sia
stato impugnato. Qualora, invece, sia impugnato:
– a ricorso accolto, l'atto è annullato;
– a ricorso respinto, l'atto è confermato nella sua validità e diventa definitivo.
L'atto definitivo può essere comunque annullato in sede di autotutela.
EFFETTI DELL'AVVISO
E' questione discussa se l'avviso abbia efficacia dichiarativa o costitutiva:
– secondo la teoria dichiarativa, l'obbligazione tributaria sorge non appena si verifichi il
presupposto e l'avviso ha solo funzione di mero accertamento;
– secondo la teoria costitutiva , l'obbligazione non nasce dal presuposto ma dall'atto di
dichiarazione ed accertamento, che hanno quindi efficacia costitutiva.
E' preferibile la teoria costitutiva, poiché – in assenza di dichiarazione – il solo presupposto non è
sufficiente per il fisco per riscuotere il credito ma è necessario l'avviso d'accertamento.
L'accertamento analitico è possibile quando sono note le fonti di reddito, mentre è molto difficile da
dispense di Diritto Tributario a cura di Paolo Meola pagina 29 di 100
applicare con riguardo a redditi non dichiarati – nel qual caso può avere senso solo in determinati
casi (es. nel caso di una denuncia anonima).
L'ACCERTAMENTO SINTETICO
Il metodo sintetico mira a colpire il contribuente il cui tenore di vita risulti decisamente superiore a
quello che ci potrebbe ragionevolmente aspettare tenendo conto del reddito dichiarato.
I fatti ed indici su cui può essere fondato tale accertamento sono solo indirettamente indicativi di
capacità contributiva, e non predeterminati dal legislatore: l'accertamento sintetico risulta quindi
particolarmente invasivo, per cui è stabilito che sia ammesso solo qualora <<il reddito complessivo
netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato>> – o come conseguenza
(sanzionatoria) della mancata collaborazione del contribuente all'attività istruttoria dell'Ufficio.
Qualora non si presentino i requisiti per l'applicazione del metodo sintetico, l'eventuale avviso
d'accertamento che ne deriva è viziato da vizio procedurale – ed è dunque un atto impugnabile
perché illegittimo.
All'accertamento sintetico, il contribuente può opporre il fatto che il maggior reddito sia costituito del
tutto od in parte da redditi non tassabili, o di aver utilizzato disponibilità economiche di natura non
reddituale.
Il redditometro è un sistema predisposto dal Ministero dell'Economia e delle Finanze che, in base
ad alcuni fatti indice riguardanti il tenore di vita del contribuente (numero auto, Suv, residenze, spese
assicurative, ecc.), individua un certo livello di reddito presumibile. Tale sistema può essere adottato
solo qualora il reddito dichiarato dal contribuente risulti incongruo per almeno 2 periodi d'imposta.
Inoltre, essendo contenuto in un decreto ministeriale, il redditometro può essere disapplicato dal
giudice tributario, ove lo ritenga illegittimo.
L'Ufficio deve provare in giudizio solo l'esistenza dei presupposti dell'accertamento sintetico, mentre
non ha l'onere di fornire la prova che dai fatti-indice utilizzati è desumibile la quantità di reddito
calcolata applicando il redditometro.
Spetterà dunque al contribuente contestare il reddito calcolato col redditometro, sia contestando la
sussistenza dei fatti-indice provati dall'Ufficio, sia (secondo la giurisprudenza) la quantificazione
eseguita applicando i coefficienti redditometrici.
La spesa per incrementi patrimoniali (immobili, titoli, ecc.) è un parametro che viene rapportato ai
livelli di reddito dichiarati negli ultimi anni, e tali spese (ovviamente diminuite della quota ad esempio
finanziata con l'accensione di un mutuo) – salvo prova contraria – si presumono sostenute con redditi
conseguiti in quote costanti nell'anno in cui sono state effettuate e nei 4 precedenti.
La ricostruzione presuntiva della spesa globale che, prima dell'introduzione del redditometro,
stimava la spesa del nucleo familiare (con riguardo a vitto, abitazione, vacanze, ecc.) a cui andava
sommata una quota di risparmio – individuando nella somma un livello di reddito.
In particolare per l'accertamento dei redditi d'impresa, l'accertamento dovrà essere accertamento
analitico, che cioé viene attuato determinando o rettificando singole componenti (positive o negative)
del reddito dichiarato. Tale rettifica può essere giustificata da:
dispense di Diritto Tributario a cura di Paolo Meola pagina 30 di 100
– ragioni di diritto (quando ad esempio risulta violata una norma tributaria);
– confronto fra dichiarazione, bilancio e scritture contabili;
– esami della documentazione che sta alla base della contabilità;
– circostranze estranee alla contabilità (od anche alla sfera dell'impresa).
Gli studi di settore si applicano principalmente agli imprenditori minori e lavoratori autonomi che
hanno obblighi di collaborazione, ed in particolare devono (oltre ad effettuare la dichiarazione):
– inquadrare la propria attività in un cluster;
– indicare se il volume dei ricavi e compensi dichiarati è congruo (cioé se rientra o meno
nell'intervallo di confidenza parametrale);
– individuare la coerenza dei principi indicatori economici (produttività per addetto, tasso di
rotazione del magazzino, ecc.) che caratterizzano la sua attività rispetto alla forchetta di valori
assunti come normali per il cluster di appartenenza.
Dunque il contribuente può controllare la propria posizione reddituale alla luce dello studio di settore
che lo riguarda:
– se non vi è congruità, può adeguare i suoi ricavi a quelli calcolati in base allo studio;
– se il contribuente è congruo ma non coerente, non potrà essere rettificato il reddito applicando
gli studi di settore, ma con gli ordinari metodi di accertamento;
– se invece il contribuente è congruo e coerente, il reddito non potrà essere rettificato – salvo
non si disconosca la veridicità dei dati dichiarati.
La presunzione (relativa) derivante dagli studi di settore può riguardare la determinazione dei soli
ricavi d'impresa – con questo metodo non viene dunque calcolato il reddito nel suo complesso: per la
determinazione del reddito imponibile, l'avviso d'accertamento dovrà tenere conto anche degli altri
componenti positivi e negativi.
L'ACCERTAMENTO D'UFFICIO
L'accertamento d'ufficio viene emesso quando non è presentata (od è nulla) la dichiarazione:
funzione di tale accertamento è determinare il reddito imponibile (non essendoci un reddito dichiarato
da rettificare).
Di regola, l'accertamento d'ufficio dev'essere analitico (tout court): potrà essere sintetico od induttivo
solo qualora l'ufficio non abbia potuto raccogliere elementi idonei per una determinazione analitica
dell'imponibile.
L'avvio del procedimento apre una fase di confronto tra contribuente ed ufficio, e se da esso sfocia
un accordo viene formato l'atto (il c.d. concordato) e sottoscritto (non è necessaria, in tal caso, la
notificazione): tale concordato riduce le sanzioni ad 1/4 del minimo.
La procedura si perfeziona con il versamento delle somme dovute entro 20gg, o rateizzando (e si
considerano anche gli interessi legali); se non si perfeziona, il concordato viene meno e l'ufficio
riacquista potestà impositiva.
L'accertamento con adesione nasce come definitivo, per cui il contribuente non può presentare
ricorso e l'ufficio non può modificarlo; tuttavia può essere integrato:
– se sopravviene la conoscenza di nuovi elementi dai quali si desume un maggior reddito di
oltre il 50% rispetto a quello definito e non minore di 77.468,53€;
– se riguarda accertamenti parziali;
– se riguarda redditi derivanti da partecipazioni in società e simili;
– se l'azione è esercitata verso società alle quali partecipa il contribuente.
ACCERTAMENTO CATASTALE
Ai fini dell'applicazione delle imposte sui redditi, i catasti (di competenza dell'Agenzia del Territorio)
forniscono la misura del reddito fondiario imponibile. I catasti sono, dunque, uno degli strumenti da
usare in sede di determinazione analitica dei redditi (e di altre imposte – es. ICI, IVA, ecc.).
INGIUNZIONE FISCALE
L'ingiunzione fiscale non è più atto della riscossione coattiva (come era invece in passato).
Sopravvive oggi con funzione di atto di accertamento delle iposte per cui la legge non prevede
l'avviso di accertamento come atto tipico:
– le accise;
– i tributi doganali;
– imposte di fabbricazione;
– ecc.
L'ingiunzione è ancheutilizzata dai comuni oer la riscossione non coattiva dei tributi, quando non
affidata ad un agente.
L'elusione può essere definita come forma di “risparmio fiscale” che è conforme alla lettera ma non
alla ratio del tributo: il contribuente che elude, elude una norma impositiva (più onerosa) e ne applica
abusivamente un'altra (più favorevole).
L'elusione può consistere nella riduzione dell'imposta o nella fruizione indebita di un'agevolazione
(es. un rimborso non dovuto, un esenzione, una detrazione, ecc.).
MEZZI ANTI-ELUSIVI
L'elusione non è contemplata dal nostro ordinamento, ma è ormai consolidato il principio anti-
elusione elaborato dalla giurisprudenza comunitaria della Corte di Giustizia.
All'elusione fiscale non si applica il precetto civilistico dell'art. 1344 cod. civ. (il contratto in frode, che
si risolve con la nullità) ed il contratto posto in essere per eludere norme fiscali non è invalido – in
quanto la giurisprudenza ritiene che le norme imperative a cui si riferisce l'articolo siano
esclusivamente quelle civilistiche. Non è invece escuso che si debba applicare la sanzione civilistica
alle operazioni realizzate con negozi civilisticamente viziati.
L'elusione è, invece, impedita con interpretazione estensiva della norma impositiva, o con la corretta
riqualificazione dei contratti posti in essere a fini elusivi – facendo così emergere, al di là
dell'apparenza formale, la vera sostanza dei negozi posti in essere.
Con le norme espressamente anti-elusive il legislatore non modifica le ordinarie norme impositive ma
attribuisce all'amministrazione finanziaria il potere di qualificare una determinata operazione come
elusiva, qualora si verifichino determinati presupposti.
Le disposizioni della clausola anti-elusiva del D.P.R. 600/1973 si applicano in una tassativa casistica
di comportamenti potenzialmente elusivi (in particolare operazioni straordinarie della società e
transfrontaliere):
– trasformazioni, fusioni, scissioni, liquidazioni volontarie, distribuzione di somme diverse da
utili;
– conferimenti in società di aziende ed operazioni assimilabili;
– cessione di crediti;
– cessione di eccedenze d'imposta;
– fusioni, scissioni, scambi di azioni fra società di stati membri UE;
– operazioni aventi per oggetto partecipazioni sociali;
– cessioni di beni effettuate tra i soggetti ammessi alla tassazione secondo il regime del
consolidato nazionale;
– pagamenti di interessi e canoni tra società con sede in stati esterni all'UE;
– pattuizioni con controllate o collegate aventi sede in stato aregime fiscale privilegiato.
A tale avviso d'accertamento il contribuente non può opporre di non dovere pagare l'imposta
accertata dall'amministrazione perché il comportamento effettivamente tenuto è diverso da quello sul
quale si fonda la pretesa fiscale del contribuente.
E' dunque previsto il pagamento di un tributo supplementare pari alla differenza tra imposta dovuta
in base alla norma elusa ed imposta sul comportamento realizzato (al quale si somma, ovviamente,
la sanzione).
L'amministrazione, prima di emettere l'avviso, deve chiedere chiarimenti al contribuente (il c.d.
“contraddittorio obbligatorio”) il quale deve rispondere entro 60gg: nell'avviso d'accertamento,
l'amministrazione dovrà inserire tra le motivazioni (oltre ai consueti contenuti) il perché non ha
reputato valide le ragioni economiche eventualmente chiarite dal contribuente.
In ogni caso, un medesimo reddito non può appartenere contemporaneamente a più soggetti: il
legislatore ha quindi espressamente previsto che le persone interposte possano richiedere il
rimborso di quanto versato dopo che sia venuto definitivo l'accertamento emesso nei confronti
dell'interponente.
INTERPELLI DISAPPLICATIVI
Il legislatore attraverso l'istituto dell'interpello disapplicativo (il c.d. “interpello anti-elusivo”,
contenuto nel D.P.R. 600/1973) prevede la possibilità per il contribuente di chiedere un correttivo che
consiste nella disapplicazione di una norma anti-elusiva, dimostrando l'assenza di elusività.
CAPITOLO 12 – LA RISCOSSIONE
IL CONCESSIONARIO DELLA RISCOSSIONE
Per la riscossione, l'Agenzia delle Entrate si avvale di un concessionario (avente forma di S.p.A)
avente la funzione di “agente della riscossione” che consiste nel:
– incassare le somme pagate mediante versamento diretto e quelle iscritte a ruolo;
– gestire il “conto fiscale” e procedere ai rimborsi connessi a tale conto;
– provvedere all'esecuzione forzata;
– eseguire i rimborsi.
L'ente impositore non può riscuotere se non nei modi previsti dalla legge (in particolare nel D.P.R.
602/1973), né il contribuente può liberarsi in forme diverse da quelle legali.
L'obbligazione tributaria non è disponibile, per cui l'Amministrazione non può disporre dei sui crediti:
nel diritto tributario non hanno riscontro quelle forme di estinzione dei rapporti obbligatori – tipiche del
diritto privato – che sono espressione del potere di disporre del rapporto (come la novazione o la
remissione del debito); entro alcuni limiti, d'altra parte, il debito può essere estinto per
compensazione o mediante cessione di beni culturali.
LA RITENUTA DIRETTA
La ritenuta diretta è quella ritenuta operata direttamente dalla Pubblica Amministrazione, che
assume verso i propri dipendenti il duplice ruolo di datore di lavoro che eroga la retribuzione, e di
creditore per le imposte che ne derivano: le amministrazioni statali dovranno quindi operare le
ritenute e trasferire l'imposta alla tesoreria dello Stato.
VERSAMENTI DIRETTI
Il versamento diretto (detto “diretto” per distinguerlo da quello fatto a seguito dell'iscrizione a ruolo)
è la forma più importante e corrisponde all'autoliquidazione versata autonomamente dal
contribuente in esecuzione di un'obbligo stabilito dalla legge.
La riscossione avviene nel corso del periodo d'imposta in anticipo rispetto al compiuto verificarsi del
presupposto (c.d. riscossione anticipata) mediante:
– ritenute d'acconto da parte dei sostituti (effettuate mensilmente e versate entro il 16 del mese
successivo alla ritenuta);
– acconti versati dal contribuente (in misura ragguagliata al 99% dell'importo versato nell'anno
precedente), in due rate nell'arco del periodo d'imposta (una pari al 40% dell'intero acconto,
corrisposta entro il 16 giugno; l'altra equivalente alla parte restante, da versare nel mese di
novembre).
A fondamento della norma sta la presunzione che il reddito si riproduca di anno in anno (almeno)
nella medesima misura. Il contribuente può versare un acconto minore di quello dovuto qualora
preveda un'imposta minore, ma con il rischio di essere soggetto a sanzioni amministrative.
Il saldo per il periodo precedente, dovuto contestualmente al primo acconto per l'anno in corso, è
calcolato scomputando dall'importo totale delle imposte dovute le ritenute operate da terzi e gli
acconti bersati.
I contribuenti versano cumulativamente più somme (imposte dirette, ritenute, contributi, ecc.)
usando il modello F24: i versamenti unitari consentono la compensazione tra partite attive e
passive, coinvolgendo anche rapporti con enti locali e previdenziali.
La compensazione è detta compensazione verticale se si riferisce allo stesso tributo, mentre è
compensazione orizzontale (ammessa in sede di versamento entro importi annui prefissati) se si
riferisce a tributi diversi.
Se la dichiarazione dei redditi reca saldo attivo, il contribuente ha diritto – a sua scelta, mediante
opzione – a chiedere il rimborso od optare per il congelamento del credito.
L'iscrizione a ruolo può essere in base all'avviso d'accertamento: nelle imposte dirette questa è
l'unica modalità prevista per gli importi dovuti in base ad accertamenti (in altre parole, ricevuto un
avviso d'accertamento il contribuente non può pagare ma deve attendere la cartella di pagamento),
dispense di Diritto Tributario a cura di Paolo Meola pagina 37 di 100
Per l'IVA, invece, l'avviso è già titolo per la riscossione.
Le iscrizioni a titolo definitivo appaiono destinate alla riscossione di somme definitivamente dovute,
salvo che:
– il dichiarante impugni con successo l'iscrizione definitiva;
– gli accertamenti definitivi siano rimossi dall'Amministrazione in sede di autotela;
– venga esperita con successo l'azione di revocazione straordinaria contro una sentenza
tributaria passata in giudicato.
LA CARTELLA DI PAGAMENTO
La cartella di pagamento è un documento con cui il concessionario comunica al contribuente
l'iscrizione a ruolo: è un atto diverso dal ruolo per cui può avere vizi diversi e può essere impugnato
autonomamente.
La cartella riproduce, in sostanza, i dati della singola “partita” di ruolo: si riferisce a tutte le iscrizioni a
ruolo riferite ad un soggetto in un dato periodo, per cui il suo contenuto può essere eterogeneo.
Nel caso in cui il pagamento non avviene al momento della presentazione della dichiarazione, o con
la riscossione anticipata, sono dovuti interessi:
– per mancato versamento diretto;
– per ritardata iscrizione a ruolo (qualora dalla liquidazione o dal controllo formale della
dichiarazione, risulti una somma non ancora versata);
– per dilazione di pagamento (6% annuo);
– per mora.
Gli interessi sono stabiliti percentualmente ogni anno dal Ministero delle Finanze.
Nei confronti dei terzi, il ruolo non può determinare l'esecuzione forzata di altri soggetti coobbligati
(né in via paritaria né in via dipendente); ha dunque effetti solo nei confronti dei soggetti che sono
iscritti; e gli altri coobbligati saranno solo informati della situazione.
Il ruolo non è, quindi, produttivo di effetti verso i terzi, salvo che terzi siano proprietari di beni soggetti
a privilegio speciale.
ESECUZIONE FORZATA
Quando il contribuente non paga le somme iscritte a ruolo, l'agente della riscossione può
sottoporre ad esecuzione forzata i suoi beni. Si discute se l'esecuzione fiscale sia una procedura
giurisdizionale od amministrativa (come invece ritiene la dottrina prevalente).
L'esecuzione forzata è disciplinata dalle norme di diritto comune con alcune varianti:
– gli uffici che svolgono l'esecuzione sono quelli della riscossione, non quelli giudiziari;
– non è previsto il precetto (atto con cui si chiede al debitore di adempiere entro un certo
termine dopo il quale avverrà l'esecuzione forzata), e l'esecuzione sarà possibile trascorsi
60gg dalla notifica della cartella di pagamento.
IL PROCEDIMENTO DI RIMBORSO
Il contribuente che ha diritto al rimborso ha l'onere di presentare istanza di rimborso entro termini e
con modalità prefissate generalmente dalla disciplina specifica di ogni imposta: in mancanza di
indicazioni, il termine generale è un termine decadenziale a partire da 2 anni dal pagamento (o, se
posteriore, dalla data in cui è sorto il diritto alla restituzione).
Secondo la giurusprudenza, il sostituito non può rivolgersi in giudizio (dinnanzi al giudice ordinario)
contro il sostituto per una ritenuta indebita, ma solo nei confronti del giudice tributario: dopo aver
esperito istanza di rimborso, qualora questo gli sia stato negato, potrà agire dinnanzi al giudice
tributario contro l'Amministrazione Finanziaria e poi anche nei confronti del sostituto (secondo la
giurisprudenza questo è uno dei casi di litisconsorzio necessario).
Secondo la giurisprudenza, quando la somma è stata riscossa mediante ruolo non se ne può
ottenere la restituzione se non viene prima annullato il ruolo: tale interpretazione è dubbia in quanto
non è dal ruolo che deriva l'esistenza dell'obbligazione tributaria, per cui la mancata impugnazione
del ruolo non può stabilizzare il debito (indebito) e quindi non può impedire il rimborso.
IL RIMBORSO D'UFFICIO
Vi sono casi in cui, per avere diritto al rimborso non è necessario presentare istanza, ma vale la
regola del “rimborso d'ufficio”:
– per crediti risultati dalla dichiarazione dei redditi;
– nel caso di accoglimento del ricorso dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale;
– nel caso di somme indebitamente riscosse a causa di errori materiali e duplicazioni imputabili
all'ufficio.
In caso di ritardo nel rimborso, a scaglioni semestrali (tranne per il primo semestre), il contribuente ha
anche diritto ad interessi.
Si distingue fra crediti d'imposta rimborsabili (gli agevolativi) e crediti d'imposta non
rimborsabili (che rappresentano la maggioranza e danno diritto solo a compensazioni e detrazioni):
di regola vanno indicati già nella dichiarazione dei redditi; alcuni crediti d'imposta devono invece
essere presentati in apposita istanza.
Il modello personalistico (attuato dal 1997) mira a punire il trasgressore piuttosto che a bilanciare il
danno provocato: assume, dunque, maggiore rilevanza l'elemento soggettivo (es. la sanzione non si
trasmette agli eredi) e la misura della sanzione deve essere tale da affliggere il trasgressore,
piuttosto che bilanciare il danno.
Una successiva riforma, nel 2003, ha cambiato un aspetto fondamentale di quella del 1997: mentre
prima l'illecito della società (solo se dotata di personalità giuridica) era punito alla persona fisica che
avesse commesso la violazione, ora le sanzioni sono solamente a carico della persona giuridica.
LE SANZIONI AMMINISTRATIVE
La sanzione amministrativa principale consiste nel pagamento di una somma di denaro (ed il debito
per la sanzione non produce interessi e non si trasmette agli eredi).
Oltre alle sanzioni pecuniarie, possono essere previste sanzioni accessorie (interdizioni da cariche,
sospensione attività, ecc.).
In caso di colpa non grave, la sanzione nei confronti dell'autore non può comunque essere maggiore
di 51.636,69€.
IL CESSIONARIO D'AZIENDA
Il cessionario d'azienda è responsabile in solido con il cedente per il pagamento delle sanzioni
derivanti da violazioni commesse dal cedente (nell'anno in cui è avvenuta la cessione e nei due
precedenti): al cessionario è accordato il beneficio della preventiva escussione del cedente, e la
sua responsabilità è limitata al valore dell'azienda acquisita (salvo nel caso di cessione per frode).
IL CONCORSO DI PERSONE
Se la violazione della norma tributaria è commessa da più persone (il c.d. concorso di persone),
esse – dato il principio di personalità vigente nel nostro regime sanzionatorio – non sono obbligate in
solido, ma ciascuna è responsabile della sanzione ad essa singolarmente erogata.
Vi sarà solidarietà con riguardo al pagamento della sanzione, solo qualora questa riguardi
l'inadempimento di un'obbligazione solidale.
Vi è concorso quando l'illecito è commesso da più persone, anche solo nel caso di sola violazione
psicologica, indipendentemente dal fatto che tutti abbiano (o meno) realizzato materialmente il fatto
illecito.
L'autore materiale dell'illecito non è punito quando ricorre la figura di un autore mediato, per cui si
ha vizio della volontà (errore, violenza, minaccia) del primo: è il caso del socio di società di persona
che si fida della dichiarazione societaria per fare la sua dichiarazione, o quello del professionista che
induce all'illecito il cliente incolpevole.
Essendo tale norma a favore del contribuente, qualora la maggiorazione della sanzione più alta sia
più gravosa del cumulo delle sanzioni, si applicherà quest'ultimo.
Un particolare caso di imputabilità a terzi è quella per cui il contribuente abbia affidato l'adempimento
dei propri obblighi tributari al proprio commercialista: qualora il professionista non paghi quanto
dovuto (e versatogli) dal contribuente, quest'ultimo potrà evitare sanzione solo qualora presenti
tempestiva denuncia alle autorità.
IL RAVVEDIMENTO OPEROSO
In alcuni casi il contribuente può ravvedersi ed estinguere l'illecito, rimediando la violazione
commessa e pagando solo una parte della sanzione. Ciò è possibile solo se la violazione non è stata
già contestata, ed a patto che non siano comunqe iniziate attività d'accertamento (verifiche, ispezioni,
ecc.).
Sono puniti penalmente solo gli illeciti più gravi, cioé quelli con maggior rilievo economico (salvo per
alcuni reati particolarmente gravi per cui non sono previste soglie minime di punibilità): la sanzione
per i delitti in ambito tributario è sempre la reclusione e mai la multa.
DICHIARAZIONE FRAUDOLENTA
La dichiarazione si considera fraudolenta in due situazioni:
– se si basa su fatture od altri documenti che si riferiscono ad operazioni inesistenti,
qualora ricorrano 3 elementi:
– fattura od altro documento relativo ad un'operazione inesistente;
– utilizzo del documento mediante registrazione nelle scritture contabili (od ai fini di prova
nei confronti dell'amministrazione durante il procedimenti impositivo);
– inclusione delle false risultanze nella dichiarazione dei redditi; non è prevista una soglia
minima di punibilità, dato che l'evasione è fondata sul falso; e la sanzione è di regola
reclusione da 6 mesi a 6 anni;
– se si basa su dati contabili falsi, accompagnati da altri mezzi fraudolenti, nel cui caso non
ci si riferisce tanto alle fatture ma piuttosto a qualsiasi elemento dell'attivo e del passivo:
– possono assumere rilievo penale non solo le rilevazioni di fatti materialmente inesistenti
ma anche le falsità di carattere valutativo;
– è necessario inoltre che il contribuente si avvalga di altri mezzi fraudolenti idonei ad
ostacolare l'accertamento della falsità; la pena è reclusione da 18 mesi a 6 anni (ma è
prevista una “soglia minima” agli illeciti economicamente significativi).
DICHIARAZIONE INFEDELE
La dichiarazione è infedele qualora compaiano nella dichiarazione elementi attivi inferiori a quelli
reali (per importi superiori a determinate soglie). In questo caso non è richiesta la contabilizzazione
dei dati falsi: la norma si riferisce, quindi, anche ai contribuenti non soggetti all'obbligo di tenuta di
scritture contabili.
Tale reato è considerato come meno grave rispetto alla dichiarazione fraudolenta, e la pena è meno
severa (reclusione da 1 a 3 anni).
DICHIARAZIONE OMESSA
L'omessa presentazione della dichiarazione è punita penalmente (con reclusione da 1 a 3 anni)
quando l'imposta evasa è superiore a 77.468,53€ (e per imposta evasa si intende l'imposta da
versare al netto delle somme comunque pagate in precedenza).
Vi è una soglia minima di punibilità e non è necessario che avvenga la procedura coattiva e questa
risulti vana.
L'OMISSIONE DI VERSAMENTO
Anche l'omissione di versamento può costiture reato – ed in particolare è delitto il mancato
versamento di ritenute qualora:
– sia stata rilasciata falsa certificazione ai sostituiti per il versamento della ritenuta;
– il versamento non sia effettuato entro il termine per la presentazione della dichiarazione
annuale dei sostituiti;
– l'ammontare non versato sia superiore a 50.000€ nel periodo d'imposta.
Oltre a quelle previste dal codice penale, si applicano ai reati tributari anche le seguenti attenuanti:
– le pene sono diminuite sino alla metà (e non si applicano le pene accessorie) se prima
dell'apertura del processo di primo grado l'imputato assolve i debiti tributari oggetto dell'illecità;
– la pena è diminuita quando, essendo i debiti tributari estinti per prescrizione o decadenza,
l'imputato venga ammesso a risarcire il danno causato all'Erario.
IL PRINCIPIO DI SPECIALITA'
Il sistema è improntato alla regola dell'unicità della sanzione: in presenza di fattispecie punibile sia
penalmente che con sanzione amministrativa prevale la disposizione speciale.
E' necessario, quindi, confrontare le due disposizioni e stabilire quale delle due sia di portata più
ampia (quella generale), e quale più ristretta (quella speciale): la norma generale è quella che ha
minor numero di elementi caratterizzanti, e violando quella speciale viene violata anche quella
generale (ma non è vero in assoluto il contrario).
Tale principio ha numerosi riflessi, anche sull'evolversi dei processi (si tenga conto che il processo
tributario e quello penale sono svolti separatamente).
La giurisdizione tributaria è esercitata, nei primi due gradi del giudizio, dalle commissioni
tributarie provinciali e regionali, i cui membri sono scelti dal “Consiglio di Presidenza della Giustizia
Tributaria” (e nominati con d.p.r.): per accedervi vi sono alcuni requisiti (magistrati, laureati in
economia da almeno 2 anni, commercialisti, ragionieri, avvocati, ecc) e vi sono condizioni di
incompatibilità (es. per coloro che svolgono attività professionale in materia tributaria).
Il fatto che i giudici non siano selezionati attraverso concorso, non debbano essere necessariamente
magistrati, e possano non svolgere la professione a tempo pieno, pone dubbi con riguardo alla loro
professionalità.
Il terzo grado del giudizio si svolge in Corte di Cassazione – quindi con giudici ordinari – in
un'apposita Sezione Tributaria.
Gli atti amministrativi non impugnabili dinnanzi al giudice tributario, possono essere impugnati
dinnanzi al giudice amministrativo (dai quali possono al più essere disapplicati).
La competenza territoriale delle commissioni provinciali è determinata dalla sede dell'ufficio od ente
che ha emesso l'atto da impugnare. Per l'appello è competente la Commissione Regionale nella
regione in cui si trova la Commissione Provinciale.
LE PARTI
Il ricorrente è il destinatario dell'atto che egli impugna: questi necessita (salvo per controversie di
valore inferiore a 2.582€ – o salvo che sia egli stesso un difensore tecnico) di un “difensore tecnico”
(commercialista, ragioniere, avvocato tributarista, ecc.) – per il c.d. “obbligo di difesa”.
Oltre al ricorrente, è parte necessaria del processo il soggetto (ente od ufficio) che ha emesso l'atto
impugnato, il resistente: per quanto riguarda quest'ultimo, che nel primo grado è sempre
l'Amministrazione Finanziaria, è previsto che possa stare in giudizio a mezzo dei propri funzionari.
Al processo tributario possono partecipare anche altri soggetti: si parla in questo caso di
litisconsorzio, che diventa necessario quando l'oggetto del ricorso riguarda imprescindibilmente più
soggetti – nel qual caso il ricorso dev'essere proposto congiuntamente dai co-legittimati necessari.
E' dibattuto in giurisprudenza quali siano questi ricorsi, in quanto – ad esempio – l'atto di
accertamento di obbligazioni solidali interessa più soggetti, ma non ha effetti inscindibili.
dispense di Diritto Tributario a cura di Paolo Meola pagina 47 di 100
E' orientamento consolidato la necessità del litisconsorzio in caso di liti per rimborso di ritenute
(partecipano sia il sostituto che il sostituito).
IL RICORSO
Il ricorso è l'atto iniziale del processo tributario, e deve rivolgersi al giudice e contenenere il
“contenuto tipico” stabilito dalla legge, e cioé l'indicazione:
– della commissione tributaria adibita;
– del ricorrente, della sua residenza (o sede legale), del codice fiscale ed dei dati del suo
difensore tecnico;
– del soggetto contro cui è preposto il ricorso;
– dell'atto impugnato;
– dell'oggetto della domanda, il petitum – l'annullamento di un atto della P.A. o l'accertamento
del diritto ad un rimborso negato;
– motivi del ricorso, la causa petendi – il vizio dell'atto, od i fatti da cui scaturisce il motivo del
diritto al rimborso.
Tranne l'indicazione del codice fiscale del ricorrente, tutte le altre indicazioni sono prescritte a pena di
inammissibilità del ricorso.
Il ricorso è redatto in forma scritta dal difensore tecnico, a cui si conferisce l'incarico in un atto del
processo (solitamente in calce al ricorso) firmato dal ricorrente, la cui firma è autenticata da quella
del difensore.
LA CAUSA PETENDI
I motivi del ricorso (la causa petendi) ne rappresentano l'elemento più importante.
Essi rappresentano i vizi dell'atto impugnato, e possono essere:
– vizi formali (es. riguardanti il non rispetto di norme sul procedimento);
– vizi sostanziali.
L'indicazione dei motivi in primo grado vincola i successivi gradi del processo, in quanto questi non
potranno essere integrati successivamente.
ATTI IMPUGNABILI
Il ricorso può essere fatto solo contro quegli atti impugnabili indicati dal legislatore, divisi in:
– atti impugnabili autonomamente (cioé per vizi propri), espressamente elencati dalla legge:
– avviso d'accertamento;
– avviso di liquidazione;
– provvedimenti sanzionatori (“atto di contestazione”);
– iscrizione a ruolo e cartella di pagamento;
– avviso di mora;
– atti delle operazioni catastali;
– rifiuto espresso o tacito di rimborsi;
– diniego o revoca di agevolazioni (ed assimilabili);
– iscrizione di ipoteca sugli immobili e fermo di beni mobili registrati;
– atti impugnabili non autonomamente, non sono compresi nell'elenco, che possono essere
impugnati solo attraverso l'impugnazione di un atto autonomamente impugnabile (assieme al
quale si propone ricorso per il primo).
LE AZIONI ESPERIBILI
Dal ricorrente possono essere esperite:
– impugnazioni rivolte ad ottenere l'annullamento dell'atto impugnato;
– azioni di richiesta di nullità (qualora vi siano i presupposti);
– azioni di condanna (quando il ricorrente ricorre per il soddisfacimento di un proprio credito).
Secondo la giurisprudenza della Cassazione, con riguardo alla natura della sentenza di
annullamento:
dispense di Diritto Tributario a cura di Paolo Meola pagina 48 di 100
– se il ricorso riguarda gli aspetti formali, la sentenza ha valore di annullamento;
– se il ricorso verte su aspetti materiali, la sentenza opera una sostituzione dell'atto (anche se
la questione è dibattuta).
Nel caso di impugnazione del diniego di un rimborso, si chiede innanzitutto che sia riconosciuto il
diritto al rimborso, l'annullamento del diniego illegittimo e quindi la condanna dell'amministrazione al
rimborso.
La notificazione alla controparte (da eseguirsi entro 60gg dalla notificazione dell'atto contro cui si
ricorre) può essere:
– postale (raccomandata con ricevuta di ritorno);
– consegna materiale diretta;
– secondo le norme del cod. proc. civ. (con intervento di pubblico ufficiale).
LA COSTITUZIONE IN GIUDIZIO
Il ricorrente entro 30gg dalla notifica del ricorso al resistente deve costituirsi in giudizio:
– se non lo fa non può costituirsi in giudizio neppure l'altra parte, ed il ricorso è inammissibile;
– se vi rinuncia, il processo si estingue senza bisogno di accettazione della parte non costituita.
La costituzione in giudizio si compie consegnado il fascicolo del ricorso alla segreteria della
Commissione di competenza: la presentazione del proprio fascicolo non è obbligatoria, in primo
grado, per l'Ufficio (la parte resistente) – ma qualora questo non consegni il proprio (contenente i
propri documenti e le proprie controdeduzioni) si avrà mancata costituzione in giudizio del resistente,
il quale non riceverà avviso di fissazione dell'udienza né la notifica di istanza di pubblica udienza, né
la comunicazione del dispositivo.
Le parti possono fino a 20gg prima dell'udienza depositare documenti, e fino a 10gg depositare
memorie illustrative (per meglio illustrare i motivi del ricorso o dell'emissione dell'atto): il doppio
termine è stato pensato per dar modo alle parti di predisporre le memorie tenendo conto dei
documenti prodotti dall'avversario. Nel caso di trattazione in camera di consiglio, sono consentite
anche brevi repliche scritte fino a 5gg dalla sentenza.
Qualora avenga in pubblica udienza, il giudice darà, per prima cosa, la parola ad un relatore che
espone le questioni trattate nel ricorso, dunque ai difensori delle parti che esporranno le proprie
ragioni – nel processo tributario vi è una sola udienza, dopo la quale il collegio delibererà in camera
di consiglio.
La sentenza è resa pubblica mediante deposito nella Segreteria della Commissione (entro 30gg dalla
deliberazione), che dovrà quindi notificare (entro ulteriori 10gg) il dispositivo alle parti costituite.
LA CONCILIAZIONE
Anche nel processo tributario si può, quindi, avere la risoluzione del processo mediante un accordo
tra le parti, per conciliazione – che è considerata (almeno da parte della dottrina) come una
transazione tra privato e Amministrazione finanziaria: questa non è condivisibile in quanto la
trasazione può avere come oggetto solo diritti disponibili (non lo sono, invece, quelli
dell'amministrazione).
Il legislatore non ha fissato alcun limite alle controversie conciliabili, tuttavia l'amministrazione non
può trascurare gli altri limiti espressamente previsti dalla legge: la conciliazione (che può riguardare
anche solo alcuni aspetti della controversia) trova quindi il suo campo di naturale esplicazione nelle
liti estimative ed in tutte le questioni di fatto delle quali sia incerta la soluzione.
La conciliazione può avvenire solo mentre la lite pende in primo grado, e può avvenire in udienza (sia
su domanda delle parti, sia su sollecitazione della commissione) od anche al di fuori del processo (ed
in tal caso l'ufficio deve depositare in giudizio il documento che formalizza l'accordo).
La conciliazione si perfezione con il pagamento (entro 20gg od a rate) della somma dovuta; in caso
contrario si iscriverà la somma a ruolo assieme alle dovute sanzioni.
L'ISTRUZIONE PROBATORIA
Il principio base in tema di prove dice che, salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a
fondamento della decisione le prove proposte dalle parti.
Se i mezzi di prova addotti dalle parti non sono sufficienti, è lo stesso giudice che può assumere i
iniziative istruttorie; i giudici possono (autonomamente o con l'ausilio di altri soggetti – es. periti
tecnici) esercitare <<tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti
conferiti agli uffici tributari>>, per cui possono:
– disporre di accessi, ispezioni, verifiche;
– richiedere dati, informazioni e chiarimenti;
– richiedere relazioni tecniche ad organi dello stato;
– disporre lo svolgimento di una “consulenza tecnica”.
Visto il carattere esaustivo di tale disposizione, la Commissione Tributaria non potrà avvalersi di altri
mezzi istruttori previsti dal codice di procedura civile.
Il processo tributario è un “processo di parti” ed il potere di indicare i fatti rilevanti per il giudizio
appartiene alle parti stesse: i poteri probatori del giudice sono quindi ammessi ai soli fini istruttori
<<nei limiti dei fatti dedotti dalle parti>> (il giudice non potrà indagare su fatti che non siano stati
indicati dalle parti).
LE PROVE ESCLUSE
Nel processo tributario sono escluse le prove orali (il giuramento e la testimonianza): è quindi un
processo essenzialmente scritto e documentale; secondo la Corte Costituzionale il giudice potrà, al
più, prendere in considerazione le testimonianze di terzi, ma solo come semplici indizi.
Sono invece esclusi a fini probatori a vantaggio del contribuente tutti quegli atti, notizie, documenti,
occultati all'ufficio o non trasmessi in risposta ad una richiesta.
Infine, come nel processo penale non sono utilizzabili le prove acquisite illegittimamente.
QUESTIONI PRE-GIUDIZIALI
Prima di decidere il merito, il giudice d'ufficio deve verificare se sussistono i presupposti per
affrontare il merito, cioé:
– se la causa appartiene alla sua giurisdizione;
– se il ricorso è ammissibile;
– ecc.
In generale, <<il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione
delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le qustioni in materia di
querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio>>.
Può trattarsi di pregiudiziale tributaria (es. la questione se un contribuente sia fiscalmente residente
in Italia o meno) o di pregiudiziale civilistica (es. se un contribuente sia erede o meno), ma andrà in
ogni caso risolta in via incidentale, cioé senza valore di giudicato.
dispense di Diritto Tributario a cura di Paolo Meola pagina 52 di 100
Il ricorrente, dinnanzi al giudice tributario, non potrà impugnare i gli atti amministrativi generali.
Potrà invece impugnare l'atto particolare tributario (es. un avviso d'accertamento) il cui vizio dipenda
da illegittimità dell'atto amministrativo generale (es. un regolamento): la questione dell'illegittimità del
regolamento andrà risolta in via incidentale, e comporterà la (sola) disapplicazione dell'atto generale,
da cui poi dipenderà l'annullamento dell'atto particolare.
Tuttavia, la giurisprudenza ritiene che quando il contenuto è viziato (e non la forma o la motivazione),
la sentenza di annullamento ha anche la funzione di sostituzione dell'atto viziato; questa tesi è
difficilmente condivisibile in quanto:
– nelle sentenze di rigetto non vi è bisogno di alcuna sostituzione, essendo l'atto ancora valido;
– nelle sentenze di accoglimento non si opera una sostituzione, ma piuttosto si ha un duplice
contenuto dispositivo:
– da un lato viene accertato il diritto (del ricorrente) all'annullamento;
– dall'altro viene annullato l'atto.
il riconoscimento del primo diritto corrisponde alla “sostituzione”.
SENTENZE DI CONDANNA
Quando il ricorrente, dopo un diniego di un rimborso, agisce ed impugna l'atto dovrà chiedere sia
l'annullamento del diniego che il riconoscimento del suo diritto di rimborso nonché la condanna
dell'amministrazione a rimborsare (nel caso di ricorso proposto a seguito di silenzio, vi saranno solo
gli ultimi due requisiti).
La sentenza di condanna nei confronti dell'amministrazione ha valore di titolo esecutivo: per ottenere
l'esecuzione il contribuente può esperire il giudizio di ottemperanza o promuovere il processo di
esecuzione forzata.
Le sentenze sono anche di “condanna alle spese” poiché, anche nel processo tributario, le spese di
lite (avvocati, ecc.) sono a carico del soccombente.
LA COSA GIUDICATA
Il risultato finale del processo è la “cosa giudicata”:
– le decisioni di merito divenute definitive producono un effetto detto “cosa giudicata
sostanziale”;
– la “cosa giudicata formale” indica, invece, la stabilità assunta da una sentenza che non è più
impugnabile in via ordinaria (ma solo con revocazione straordinaria).
Il giudicato ha per oggetto l'accertamento del diritto soggettivo fatto valere in giudizio (il diritto di
annullamento).
Dal punto di vista soggettivo, il giudicato vincola solo le parti del processo, i loro eredi e gli aventi
causa; non vale invece per i terzi e non può pregiudicarli.
LE IMPUGNAZIONI
I mezzi di impugnazione provocano un nuovo giudizio per porre rimedio ai vizi di una sentenza.
Possono essere rescindenti (di annullamento della sentenza – da parte della Cassazione) o
sostitutivo-rescissori (di sostituzione – in appello).
L'oggetto delle rescindenti è quindi la sentenza, mentre quello della rescissoria è lo stesso del grado
precedente.
dispense di Diritto Tributario a cura di Paolo Meola pagina 53 di 100
L'APPELLO
Le sentenze delle commissioni tributarie provinciali possono essere appellate con ricorso alla
Commissione Tributaria Regionale. L'atto di appello (principale) – pena l'inammissibilità –
dev'essere notificato alla controparte (dopodiché sarà necessaria la costituzione in giudizio).
Nel processo tributario, si hanno due termini entro cui potrà essere proposto l'atto d'appello:
– un termine lungo (quello ordinario), 1 anno dal deposito della sentenza presso la segreteria;
– un termine breve, di 60 giorni dalla notifica della sentenza ad istanza di una parte
(generalmente la parte vincitrice, che si è fatta rilasciare una copia della sentenza e l'ha
notificata alla parte soccombente, onde accelerare i tempi).
Poiché anche la parte vincente potrebbe non essere daccordo con la sentenza di primo grado, anche
la parte appellata potrà a sua volta appellare proponendo, nell'atto di controdeduzioni, appello
incidentale.
L'appello può anche riferirsi ad una sola o più decisioni della sentenza di primo grado (e qualora non
si faccia specifica richiesta di una riforma integrale, la parte non impugnata passerà in giudicato):
<<le questioni e le eccezioni non accolte nella sentenza della commisisione provinciale che non
siano espressamente riproposte in appello, si intendono rinunciate>>.
Non sono ammesse, inoltre, nuove domande rispetto alla sentenza di primo grado, e nemmeno
ammesse nuove eccezioni: al più saranno ammesse le domande per interessi maturati dopo la
sentenza di primo grado.
In appello, i poteri istruttori del giudice possono riguardare soltanto prove che siano ritenute
necessarie per la decisione o che la parte non abbia potuto fornire in primo grado, per causa ad essa
non imputabile: tale norma non ha però rilievo pratico perché in appello è sempre ammessa la
produzione di nuovi documenti.
Poiché l'appello non è un rimedio rescindente ma sostitutivo, non hanno rilievo i vizi di procedura del
primo grado, salvo quelli che comportano la rimessione.
SENTENZE DI APPELLO
Le decisioni di appello possono avere contenuto soltanto processuale o di merito:
– le sentenze di merito sostituiscono quelle di primo grado (sia quando accolgono, sia quando
respingono l'appello);
– le sentenze processuali (di rito) possono essere decisioni dichiarative:
– l'inammissibilità dell'appello;
– l'estinzione del giudizio di appello;
– la rimessione al primo giudice (solo quando il primo grado si siano verificate anomalie
particolarmente gravi tali da giustificarla – ma solo in casi tassativamente previsti dalla
legge).
IL GIUDIZIO DI CASSAZIONE
dispense di Diritto Tributario a cura di Paolo Meola pagina 54 di 100
In Cassazione si possono impugnare (nei termini indicati dal codice civile) le sentenze della
commissione regionale.
Il ricorso in Cassazione non si può proporre per questioni di fatto, ma solo per motivi vincolati elencati
tassativamente dalla legge, ed in particolare:
– motivi inerenti la giurisdizione;
– violazione delle norme sulla competenza;
– violazione o falsa applicazione delle norme di diritto;
– nullità della sentenza o del procedimento;
– omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio.
Il giudizio di Cassazione (che per i primi quattro casi, a pena d'innammissibilità, deve contenere
l'emissione di un principio di diritto con riguardo al motivo d'impugnazione della sentenza), qualora
venga accolto i ricorso, si conclude con una sentenza che annulla la sentenza impugnata, perché
viziata.
Quando l'annullamento della sentenza d'appello necessiti di un nuovo giudizio, può provvedere la
stessa Cassazione (senza rinvio). Si avrà giudizio di rinvio (con rinvio alla Commissione Regionale
– o Provinciale) solo quando, per decidere il merito, siano necessari ulteriori accertamenti di fatto
(che non sono di competenza della Corte di Cassazione).
LA REVOCAZIONE
E' ammessa la revocazione contro le sentenze delle commissioni che riguardano accertamenti di
fatto e che sul punto non siano ulteriormente impugnabili, o non siano state impugnate (es. perché
sono stati trovati documenti decisivi che la parte non ha potuto produrre in giudizio per forza
maggiore).
Le sentenze di primo grado possono essere revocate solo straordinariamente (in quanto per i vizi
palesi se c'è la possibilità dell'appello); quelle di secondo grado possono essere revocate sia
ordinariamente che straordinariamente (in quanto la cassazione non può giudicare questioni di fatto).
Il concetto di ottemperanza è più ampio di quello di esecuzione e può riguardare anche le sentenze
di annullamento: attraverso l'ottemperanza, la commissione può nominare un commissario “ad acta”
che emetta i provvedimenti necessari (es. mandato di pagamento).
Il ricorso può essere proposto dopo che sia scaduto il termine per l'adempimento degli obblighi posti
a carico dell'Agenzia; in mancanza di termine occorre una messa in mora.
Il nostro ordinamento ha da sempre fatto proprio il concetto di reddito come prodotto, anche se nel
vigente T.U. vi sono molte ipotesi che fanno divergere la concezione di reddito verso il reddito-
entrata.
Per comprendere la ratio della classificazione bisogna tener presente che il legislatore ha dovuto
contemperare esigenze di:
– omogeneità (nel contenuto di ciascuna categoria);
– omnicomprensività (si è dovuto comprendere, nelle categorie delineate, tutta la materia
imponibile).
L'esigenza di omnicomprensività ha portato alla definizione di categorie più ampie di quelle usate in
altre materie del diritto (come la nozione di impresa) all'estensione ad altri redditi non pienamente
rispondenti alla definizione della categoria (es. redditi assimilabili a quelli di lavoro dipendente) ed
all'elaborazione di una categoria residuale (“altri redditi”, o redditi diversi).
A ciascuna categoria corrispondono particolari regole di determinazione.
IL POSSESSO DI REDDITI
Più in particolare, il presupposto dell'imposta sui redditi deriva dalla compresenza di tre elementi:
– un elemento oggettivo, il reddito;
– un elemento soggettivo, il contribuente;
– un elemento relazionale, il possesso di reddito da parte del contribuente.
Il possesso di redditi non assume significato assunto nel cod. civ. né un significato uniforme per
tutte le categorie reddituali:
– il possesso è da intendersi come percezione nei redditi di capitale, di lavoro e diversi (c.d.
principio di cassa);
– il possesso va riferito all'immobile nel caso di redditi fondiari;
REDDITO E PATRIMONIO
Reddito e patrimonio sono concetti da tenere distinti:
– il patrimonio è un concetto statico (valore stock), l'insieme delle situazioni soggettive a
contenuto economico di cui è titolare un soggetto in un dato momento (diritti reali, crediti,
debiti, ecc.);
– il reddito è un concetto dinamico (variazione, flow) dato dalle variazioni incrementali del
patrimonio.
Bisogna tener conto, però, che non tutti i movimenti di denaro sono reddito (es. apporto di capitale
da parte dei soci) – mentre, secondo il TU, sono tassabili anche i <<proventi conseguiti in
sostituzione dei redditi>> e le <<indennità a titolo di risarcimento dei danni consistenti nella perdita di
redditi>> (in quanto relative al “lucro cessante”, un mancato guadagno di natura reddituale – mentre
non è tassabile la quota di risarcimento riferibile al “danno emergente”).
Anche la nozione di incremento del patrimonio va intesa in senso lato: vi sono compresi non solo i
proventi (in natura od in denaro) ma anche le utilità derivanti dall'uso di un bene o dalla fruizione di
un servizio (sono compresi quindi i c.d. redditi figurativi – esempio l'utilità derivante dal possesso di
un fabbricato da parte del proprietarrio – nonché i benefit di cui fruiscono i dipendenti).
PROBLEMI DI DEPREZZAMENTO
Il reddito sottoposto ad imposta è una grandezza monetaria e dunque un eventuale deprezzamento
della moneta pone due problemi al legislatore:
– se la base imponibile dell'imposta debba essere depurata degli incrementi puramente
nominali;
– se la misura dell'imposta debba essere adeguata al deprezzamento della moneta.
Il nostro sistema, in linea generale, non dà rilievo a tali fenomeni, salvo casi previsti dalla legge (es.
leggi di rivalutazione monetaria con pagamento dell'imposta sostitutiva); alcune leggi tributarie
prevedono la loro revisione quando il deprezzamento (secondo dati ISTAT) supera una certa soglia.
PERIODO D'IMPOSTA
Il reddito assume rilievo come reddito di un determinato periodo di tempo, che è tecnicamente
denominato periodo d'imposta (di rilevanza sia formale che sostanziale) al quale corrispondono
autonome obbligazioni tributarie:
dispense di Diritto Tributario a cura di Paolo Meola pagina 57 di 100
– per le persone fisiche coincide con l'anno solare;
– per le società è l'esercizio sociale (qualora questo abbia durata superiore ai due anni,
coinciderà in ogni caso con l'anno solare).
Per la determinazione del reddito rilevano i fatti che si verificano entro il periodo d'imposta.
Nel caso di componenti relative a più periodi possono valere:
– il principio di cassa (nella maggior parte dei casi), per cui rileva il momento in cui il reddito è
percepito;
– il principio di competenza economica (per le imprese), per cui ha rilevanza la competenza
economica di costi e ricavi (cioé il momento di maturazione del reddito).
Il periodo d'imposta può essere interrotto a causa di morte (per le persone fisiche) o per operazioni
straordinarie come trasformazione, fusione, scissione, liquidazione (per le società).
Dal 1993, invece, sono da considerarsi comprese nel reddito anche quelle componenti derivanti da
atti o fatti illeciti (civili, penali od amministrativi) qualora non siano già sottoposti a sequestro o
confisca penale (perché in tal caso il possesso di tali redditi non sarebbe più indice di capacità
contributiva): un provento illecito (es. derivante dallo sfruttamento della prostituzione) è dunque
tassabile secondo le regole di determinazione della categoria reddituale in cui viene ricondotto – e,
qualora non si riesca ad classificarlo in nessun altra cattegoria, si qualificherà come reddito diverso.
LA RESIDENZA FISCALE
I residenti sono tassati sul complesso dei loro redditi ovunque prodotti (è il c.d. principio della
“worldwide taxation”) mentre i non residenti sono tassati solo per i redditi prodotti in Italia (il c.d.
“source-based taxation”).
La nozione fiscale di residenza (così come stabilita nell'art. 3 del TUIR) è diversa da quella
civilistica ed, in particolare, con il termine “persona fisica residente” si indica quella persona fisica
che presenti una delle seguenti caratteristiche:
– sia iscritta all'Anagrafe Italiana per la maggior parte del periodo d'imposta;
– abbia in Italia il centro degli affari od interessi (che coincideo col domicilio civilistico);
– abbia dimora attuale entro il territorio italiano.
Si ritengono, infine, fiscalmente residenti in Italia, fino a prova contraria, i cittadini emigrati in “paesi a
regime fiscale privilegiato” (indicati in una “lista nera”).
DEBITORI D'IMPOSTA
Il sistema di tassazione dei redditi si compone di due imposte:
– una che colpisce le persone fisiche;
– una che colpisce le persone giuridiche ed, in generale, tutte quelle diverse da persone fisiche
dispense di Diritto Tributario a cura di Paolo Meola pagina 58 di 100
(fanno eccezione quelle società i cui redditi sono direttamente imputati ai soci).
Tutti i soggetti titolari di rapporti giuridici a contenuto patrimoniale sono soggetti passivi d'imposta
in senso sostanziale; gli altri soggetti (come società di persone ed associazioni professionali) su cui
possono gravare solo obblighi formali sono soggetti passivi in senso formale.
I redditi relativi a “fondo patrimoniale” e “comunione legale” sono imputati nel loro ammontare netto
per metà a ciascun coniuge (salvo diversa pattuizione convenzionale).
I redditi derivanti da “bene del minore” sono (per usufrutto) destinati per metà ad ogni genitore;
mentre i redditi derivanti da attività lavorativa del minore (od, in generale, quelli non soggetti ad
usufrutto legale) sono sia del minore che dei genitori (in qualità di rappresentanti legali) che devono
presentare la dichiarazione dei redditi di pertinenza del figlio minore.
In particolare, inoltre:
– nelle S.A.S. i soci accomandanti non possono dedurre le perdite che superino la loro quota
sociale;
– taluni costi sostenuti dalle società semplici sono imputabili ai soci come “oneri deducibili”;
– le ritenute operate sui redditi della società sono scomputate dall'imposta dovuta ai soci.
Alla società fanno invece capo obblighi formali (tenuta della contabilità, presentazione della
dichiarazione, ecc.) funzionali all'applicazione dell'imposta personale dovuta dal socio.
IMPRESE FAMILIARI
Le imprese familiari (a differenza di come avviene dal punto di vista civilistico, in cui già rileva la
situazione di fatto) hanno rilevanza fiscale se, prima dell'inizio del periodo d'imposta, sia redatto atto
pubblico (o scrittura privata autenticata) da cui risulti che nominativamente i familiari collaborano
nell'impresa, prestando attività di lavoro con carattere continuativo e prevalente.
Onde evitare comportamenti elusivi, ai collaboratori familiari non potrà essere attribuita a fini fiscali
una quota del reddito complessivo superiore al 49%.
E' necessario, inoltre, che la dichiarazione dei redditi dell'imprenditore indichi le quote di
partecipazione dei collaboratori familiari, ed attesti che tali quote sono proporzionate alla quantità e
qualità di lavoro effettivamente prestato nell'impresa in modo continuativo e prevalente.
D'altra parte, ciascun familiare dovrà attestare nella propria dichiarazione di aver prestato la sua
attività di lavoro in modo continuativo e prevalente.
DEDUZIONI E DETRAZIONI
L'imposta sul reddito delle persone fisiche è un'imposta personale perché la sua disciplina tiene
conto di una serie di circostanze di natura personale, che incidono sull'imposta dovuta tramite due
strumenti tecnici:
– deduzioni dal reddito complessivo (che avvantaggiano i possessori di redditi elevanti in
quanto il vantaggio che ne trae il contribuente cresce in ragione dell'aliquota marginale);
– detrazioni dall'imposta (che si applicano fino a concorrenza dell'imposta – non possono
generare quindi crediti nei confronti del fisco).
L'APPLICAZIONE DELL'ALIQUOTA
Determinato il reddito imponibile è necessario applicare l'aliquota, che è crescente secondo scaglioni
di reddito; secondo la disciplina del 2007, per ottenere l'imposta lorda si applicano aliquote di:
– 23% per i redditi fino a 15.000€;
– 27% per i redditi da 15.000€ a 28.000€;
– 38% per i redditi da 28.000€ a 55.000€;
– 41% per i redditi da 55.000€ a 75.000€;
– 43% per i redditi oltre i 75.000€.
LE DETRAZIONI
Dall'ammontare del'imposta lorda si detraggono, per ottenere l'imposta netta:
– detrazioni per carichi di famiglia (periodicamente aggiornate con decreto del Presidente del
Consiglio);
– detrazioni sostitutive delle spese di produzione (a chi ha redditi di lavoro dipendente od
assimilati, di lavoro autonomo o d'impresa di ammontare minimo);
– oneri vari (ammessi nella misura del 19%) per:
– interessi passivi per mutui agrari;
– interessi passivi per mutui ipotecari contratti per l'acquisto della prima casa;
– spese sanitarie oltre i 129,11€;
– spese funebri;
– spese di istruzione;
– premi di assicurazione sulla vita;
– spese di mantenimento/restauro di immobili di interese storico;
– erogazioni liberiali per finalità particolarmente meritevoli;
dispense di Diritto Tributario a cura di Paolo Meola pagina 60 di 100
– spese veterinarie;
– spese per badanti;
– contratti di locazione (determinati in maniera forfettaria) destinati alla prima casa.
Il TFR è imponibile per un importo ridotto delle rivalutazioni già tassate, e l'aliquota è pari a 12 diviso
per il numero di anni di durata del rapporto; per gli altri redditi, l'imposta è tassata su un'aliquota
calcolata come media di quelle applicate nel biennio precedente.
Dato il carattere castastale dei redditi fondiari, la tassazione prescinde dall'effettiva percezione di un
reddito. Quelli non determinabili catastalmente vengono classificati come redditi diversi.
Infine, in caso di usufrutto è tassato l'usufruttuario.
Il reddito dei terreni è colpito in misura media ordinaria, risultante dalle tariffere di estimo catastale
(le rendite dei terreni calcolate dal catasto per fini fiscali) – ed in particolare:
– è reddito ordinario, in quanto parificato a quello ottenuto da un normale coltivatore
applicando le normali tecniche produttive della zona;
dispense di Diritto Tributario a cura di Paolo Meola pagina 61 di 100
– e reddito medio poiché calcolato da una media di più anni – in modo da tener conto della
rotazione delle colture e degli eventi climatici favorevoli e sfavorevoli.
Si pongono problemi riguardo alla capacità contributiva nel caso in cui il reddito agrario sia un reddito
puramente figurativo: la Corte Costituzionale ha ritenuto che non ci sia contrasto tra tale sistema di
determinazione del reddito ed il principio di effettività del reddito, in quanto ha ritenuto che tale norma
abbia scopo di stimolare la produzione (andando a premiare il coltivatore che produce più della
media).
La legge, infine, prevede la revisione delle tariffe di estimo e la riduzione dell'imponibile in caso di
mancata coltivazione, nonché l'annullamento della tassazione in caso di perdita per calamità naturali.
Il reddito agrario, determinato di regola con il sistema catastale, è invece reddito d'impresa quando è
prodotto da società commerciale (od altro ente commerciale) – e viene quindi determinato in base a
ricavi e costi effettivi. A questa regola generale vi sono due eccezioni, per cui si considera in ogni
caso reddito agrario quello prodotto da società commerciali di persone, S.r.L. e cooperative che
vengono qualificati come imprenditori agrari nei casi in cui:
– svolgano esclusivamente attività di manipolazione, conservazione, trasformazione e
commercializzazione di prodotti agricoli ceduti dai soci (ed il reddito è calcolato
forfaittariamente come il 25% dei ricavi);
– abbiano optato per la qualifica di “società agricole”, assoggettandosi quindi al conseguente
regime fiscale.
Per gli immobili locati si assume come reddito il canone di locazione (ridotto del 15% per le spese)
qualora sia superiore alla rendita catastale. I redditi delle locazioni sono tassati anche se non
percepiti fino alla conclusione del procedimento di convalida dello sfratto per morosità del conduttore,
ed in tale caso le imposte pagate si trasformano in credito d'imposta.
Il reddito della casa principale non è tassato poiché è possibile la deduzione della rendita
catastale; quello delle seconde case non locate è, invece, maggiorato di 1/3.
REDDITI DI CAPITALE
dispense di Diritto Tributario a cura di Paolo Meola pagina 62 di 100
L'art. 44 del TUIR individua una casistica di redditi qualificabili come redditi da capitale, ed una
norma di chiusura che permette di ricavare una definizione generale: sono redditi di capitale, in
generale, <<gli interessi e gli altri proventi aventi per oggetto l'impiego del capitale>> che siano certi
nell'an (anche se non nel quantum); ed in particolare possiamo evidenziare:
– interessi derivanti dall'impiego di capitale finanziario;
– dividendi non percepiti nell'esercizio di attività di impresa;
– altri redditi di capitale, tra cui:
– rendite perpetue;
– compensi per prestazioni di garanzie;
– proventi da gestione collettiva di patrimoni mobiliari;
– proventi derivanti da P/T;
– ecc.
Sono, invece, escluse le plusvalenze realizzate dalla cessione di azioni od obbligazioni (in quanto
differenziali positivi derivanti da un evento incerto – e quindi classificabili come redditi diversi).
Infine, non sono considerati redditi da capitale quelli conseguiti nell'esercizio di impresa, da
qualificarsi quindi come reddito d'impresa
GLI INTERESSI
Il T.U. elenca distintamente tra i redditi di capitale:
– gli interessi e gli altri proventi derivanti da mutui, depositi e conti correnti;
– gli interessi e gli altri proventi delle obbligazioni (e degli altri titoli similari alle obbligazioni);
– gli interessi e proventi di altri titoli diversi dalle azioni (e dai titoli similari alle azioni);
– i proventi dei certificati di massa.
In generale, si può quindi affermare che sono tassabili come redditi da capitale tutti gli interessi
derivanti da un rapporto giuridico che ha come oggetto l'impiego di un capitale finanziario.
Sono quindi da escludersi gli interessi moratori e per dilazioni di pagamento (non riferendosi
all'impiego di un capitale finanziario), ed apparterranno alla categoria reddituale dei crediti dai quali
derivano).
Nel caso di interessi derivanti da prestiti obbligazionari sono previsti regimi fiscali sostitutivi con
finalità anti-elusive. E' infatti previsto che, qualora le obbligazioni non siano emesse da “grandi
emittenti” (banche, società quotate, Stato), gli interessi sono tassati in capo all'obbligazionista con
ritenuta a titolo d'imposta:
– pari al del 27% dell'importo se la durata del contratto è inferiore a 18 mesi;
– pari al 12,5% se la durata del contratto è superiore a 18 mesi ed il tasso di interesse non è
superiore ad una determinata soglia (maggiore è il tasso, maggiore è il fumus di elusione).
Infine, con riguardo ai finanziamenti dei soci delle S.n.C. ed S.a.S. (società generalmente
sottocapitalizzate), si presumono date a mutuo le somme versate dai soci se dal bilancio non risulta
diversamente.
Dal 2004, i dividendi verso “soci società di capitali” non sono tassati (per quella che il legislatore
chiama “esenzione dell'utile”, che sarebbe però un esclusione, tenendo conto che la non tassazione
ha finalità essenzialmente di evitare la doppia imposizione – essendo già l'utile tassato alla società
che lo produce):
– l'esclusione da imposta è totale qualora venga adottato il regime di trasparenza, od il
consolidato;
– l'esclusione è del 95% dell'imponibile negli altri casi.
Per i dividendi distribuiti da società di capitali verso “soci persona fisica” vi è una tassazione ridotta
(che comporta quindi una parziale doppia tassazione):
– se il socio non è imprenditore ed ha partecipazione non qualificata è soggetto a ritenuta a
titolo d'imposta del 12,5%;
– se il socio non è imprenditore ma ha partecipazione qualificata od è imprenditore la base
imponibile è costituita al 40% del dividendo cui si applicano le normali aliquote IRPEF;
– sono tassati integralmente, salvo interpello, i dividendi provenienti da società estere di paesi a
regime fiscale privilegiato.
Gli utili percepiti dall'associato di associazione in partecipazione in presenza di contratto di
associazione in partecipazione con apporto di capitale sono sottoposti alla stessa disciplina.
Il regime al quale sono soggetti i dividendi distribuiti da società residenti verso persone fisiche non
residenti prevede ritenuta del 27% di cui può essere chiesto il rimborso dei 4/9 se gli stessi dividendi
sono tassati nel loro stato di residenza.
Non sono reddito di capitale in senso tecnico gli utili che provengono da società di persone, che
vanno inseriti in dichiarazione come “redditi da partecipazione”, e saranno soggetti ad imposta
direttamente presso i soci.
Non costituiscono invece reddito ciò che i soci ricevono a titolo di ripartizione di riserve di capitale –
od altri fondi non costituiti con utili ma con:
– sovrapprezzi di emissione azioni;
– versamenti in conto capitale;
– riserve di rivalutazione monetaria;
– interessi in conguaglio.
PRINCIPIO DI OMNICOMPRENSIVITA'
Dal principio di omnicomprensività, per cui <<il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le
somme e i valori in genere a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta anche sotto forma di
erogazioni liberali in relazione al rapporto di lavoro>>, si desume che:
– la retribuzione imponibile è costituita da tutti i compensi;
dispense di Diritto Tributario a cura di Paolo Meola pagina 64 di 100
– sono tassabili anche i compensi non monetari;
– la tassazione è collegata alla percezione (c.d. principio di cassa).
Sono tassate le indennità anche risarcitorie quando queste sostituiscono un reddito e non abbiano
natura patrimoniale; sono tassate inoltre le “liberalità” che il lavoratore riceve dal datore, in quanto
fatte con spirito remuneratorio.
Come deroga generale al principio di cassa, i redditi percepiti entro il 12/01 si imputano al periodo
d'imposta precedente.
In particolare, i fringe benefits non sono tassati quando il loro valore normale complessivo non superi
nel periodo d'imposta i 258,23€ – e non si tiene conto delle “regalie” di importo inferiore a tale limite
effettuate in occasione di festività o particolari ricorrenze (in quanto si presuppone che non siano
legati alla retribuzione ma corrisposti per spirito di liberalità).
La norma ha una doppia ratio: da una parte si vogliono evitare ai lavoratori oneri di documentazione
e di contabilità, dall'altra (in ottica anti-elusiva) si vuole evitare che vengano dedotte spese non
inerenti.
Onde evitare comportamenti elusivi, non sono deducibili i compensi a familiari per prestazioni di
lavoro dipendente, collaborazioni coordinate e continuative, collaborazioni occasionali.
REDDITI D'IMPRESA
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Sono redditi d'impresa quelli che derivano dall'esercizio di imprese commerciali; la distinzione non
risiede nella forma d'impresa ma nell'oggetto – se compreso tra le attività di cui all'art. 2195 cod. civ. :
– attività industriali dirette alla produzione di beni e servizi (salvo che l'attività di servizi sia svolta
non in forma d'impresa, nel qual caso è da considerarsi come lavoro autonomo);
– attività di trasporto;
– attività bancaria ed assicurativa;
– attività ausiliarie alle precedenti.
Ovviamente, affinché siano classificati come redditi d'impresa (e non come redditi diversi), è
necessario che tali attività siano svolte in modo abituale, anche se non esclusivo.
Se generalmente non rileva la forma organizzativa (per cui si considera reddito d'impresa quello
derivante dalle attività incluse nell'art. 2195 cod. civ. anche se <<non organizzate in forma
d'impresa>>), a fini fiscali si considerano redditi d'impresa anche quelli <<derivanti dall'esercizio di
attività organizzate in forma d'impresa dirette alla prestazione di servizi che non rientrino
nell'articolo 2195 del codice civile>> (quindi, se organizzata in forma d'impresa, è reddito d'impresa
non solo la produzione di servizi, ma anche la prestazione di servizi).
Per i soggetti non residenti, sarà possibile il possesso di reddito d'impresa solo qualora vi sia stabile
organizzazione.
IMPRESE MINORI
Le imprese minori (le persone fisiche e società di persone per cui l'ammontare dei ricavi è minore di
309.874€ per le imprese di servizi, o 516.456€ per le altre) possono scegliere un regime contabile
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semplificato, che comporta l'applicazione di solo alcune delle regole applicate al reddito d'impresa:
– il reddito d'impresa (fermo restando il principio di competenza) è calcolato come differenza tra
componenti positivi e negativi;
– gli unici accantonamenti consentiti sono quelli di quiescenza e previdenza (mentre gli altri non
sono consentiti in quanto suppongono la redazione di bilancio);
– gli ammortamenti sono consentiti a condizione che si tenga il registro dei cespiti;
– sono applicate tutte le norme che limitano/regolano la deducibilità delle spese.
REDDITI DIVERSI
La categoria dei redditi diversi presenta carattere di residualità: in quanto comprende una serie di
ipotesi alle quali mancano alcuni tratti caratteristici dei redditi delle altre categoria tipiche.
Troviamo, in particolare:
– plusvalenze immobiliari;
– plusvalenze finanziarie;
– proventi residuali derivanti da attività non abituale;
– altri redditi diversi (che non rientrano nelle altre categorie).
PLUSVALENZE IMMOBILIARI
Le plusvalenze isolate da vendita di immobili, ovvero quelle non realizzate nel contesto di un'attività
economica continuativa (che, prima del vigente T.U. , erano tassate solo se attuate con intento
speculativo) sono tassabili come redditi diversi qualora siano realizzate mediante:
– lottizzazione di terreni od esecuzione di opere intese a renderli edificabili e successiva vendita;
– cessione a titolo oneroso di immobili acquistati (o costruiti) da non più di 5 anni, salvo:
– nei casi di immobili acquisiti per successione;
– nei casi di unità immobiliari urbane che siano state adibite ad abitazione principali dal
cedente o dai suoi familiari);
tali due eccezioni non operano nel caso di terreni lottizzati o resi edificabili che generano
sempre plusvalenze tassabili.
Qualora alla plusvalenza derivante da cessione di immobili acquisiti mortis causa o di abitazioni
usate dal contribuente (che non sarebbero tassabili in quanto derivanti da operazioni non effettuate
con intento speculativo) non sia applicabile – per difetto di qualche condizione – l'esclusione
d'imposta, il contribuente potrà scegliere, in alternativa alla tassazione IRPEF ordinaria, un imposta
sostitutiva pari al 20%.
PLUSVALENZE FINANZIARIE
Sono redditi diversi anche quelli derivanti da plusvalenze realizzate da cessioni di partecipazioni:
– le plusvalenze derivanti da cessione di partecipazioni qualificate sono soggette ad imposizione
calcolata su un imponibile pari al 40% del loro ammontare;
– le plusvalenze derivanti da cessione di partecipazioni non qualificate sono soggette a
tassazione con imposta sostitutiva pari al 12,5%.
Data l'eterogeneità dei redditi contenuti in questa categoria, le relative regole di determinazione non
sono uniformi – ed anzi spesso l'inclusione di taluni proventi tra i redditi diversi è stata dettata
dall'esigenza di sottrarre tali redditi ai criteri di quantificazione di quelli della categoria entro cui
sarebbero stati classificati.
In generale, infine, i redditi diversi (a differenza, ad esempio, di quelli di capitale) sono tassati al netto
di spese ed oneri di produzione e non sono soggetti a ritenute alla fonte.
Non sono soggette ad IRES le società di persone i cui redditi sono imputati direttamente ai soci,
nonché quegli enti pubblici che il legislatore precisa essere esenti (organi ed amministrazioni dello
stato, comuni, province, regioni, ecc.)
Affiché nessun ente sfugga all'imposizione sono da considerarsi soggetti passivi IRES:
– i trust – da assimilare ad enti commerciali o non commerciali a seconda che il loro oggetto
principalee sia (o meno) lo svolgimento di attività commerciale;
– le associazioni non riconosciute ed i consorzi.
Più in generale, il legislatore considera espressamente soggetti passivi IRES: ogni altra
organizzazione, non appartenente ad altri soggetti passivi, nei confronti della quale il presupposto si
verifichi in modo unitari ed autonomo” (es. comitati e fondazioni).
In particolare, riclassificando (in base alle differenti discipline con riguardo alla determinazione del
reddito complessivo netto cui sono soggette) le diverse classi di soggetti passivi IRES previste dal
legislatore (società di capitali, enti commerciali, enti non commerciali, e società ed enti non
residenti) si possono distinguere:
– società di capitali ed enti commerciali residenti;
– enti non commerciali residenti;
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– società ed enti commerciali non residenti;
– enti non commerciali non residenti.
In questa ideale matrice assumono rilievo la residenza o non-residenza dei soggetti passivi e
l'oggetto commerciale o non-commerciale.
Con riguardo alla residenza fiscale italiano vi sono alcune presunzioni legali, per cui si presumono
residenti (fino a prova contraria):
– le società estere che detengono partecipazioni di controllo in società italiane e che a loro volta
sono controllate da soggetti residenti, od amministrate da un organo prevalentemente
composto da residenti in italia;
– i trust esteri istituiti in Paesi con cui non sono stati stipulati trattati che prevedono lo scambio di
informazioni qualora almeno un disponente ed un beneficiario siano residenti in Italia.
Tale problema prima del 2004 era risolto dal sistema del credito d'imposta per cui i redditi delle
società di capitali tassati presso la società erano nuovamente tassati a carico del socio, ma la doppia
tassazione economica era eliminata dal credito d'imposta attribuito al socio in misura pari all'imposta
dovuta dalla società sugli utili distribuiti.
La riforma del 2004 ha soppresso il sistema del credito d'imposta per i dividendi distribuiti da società
residenti (che rimane, invece, invariata per i redditi provenienti dall'estero), sostituendovi una nuova
disciplina, ai sensi della quale:
– i dividendi distribuiti a soci società non sono tassati (od al più al 5%);
– i dividendi distribuiti a soci persone fisiche subiscono una tassazione ulteriore, ma ridotta onde
ridurre gli effetti della doppia tassazione.
Anche in ambito IRES (così come avviene, invece, obbligatoriamente nelle società di persone)
qualora ne venga esercitata l'opzione, il problema della doppia imposizione viene risolto dal regime
della trasparenza – la società non è infatti tassata per i redditi prodotti, che sono invece imputati ai
soci nei soli confronti dei quali sorgerà il debito d'imposta.
E' quindi un reddito determinato sulla base del bilancio: si assume come punto di partenza il reddito
globale lordo civilistico (al quale bisognerà ricondurre il reddito eventualmente calcolato secondo i
principi contabili internazionali – contenuti negli IFRS) che andrà dunque rettificato sulla base
variazioni (aumentative e diminutive) derivanti dall'applicazione delle norme fiscali sul reddito
d'impresa.
La ratio della norma risiede nel considerare che l'utile generato in un esercizio, prima ancora che
rappresentare incremento di patrimonio della società, dovrà ricostituire il capitale distrutto dalle
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perdite eventualmente verificatesi negli esercizi precedenti.
Le società che fruiscono di regimi di esenzione del reddito (come le imprese marittime non i
regime di tonnage tax, il cui reddito è esente all 80%) possono riportare solo una perdita
proporzionalmente ridotta della stessa misura dell'esenzione applicabile sul reddito imponibile.
Le società che godono di beneficio di esenzione dell'utile (come le cooperative) il riporto è limitato
alle sole perdite che eccedano l'utile detassato negli esercizi precedenti.
Per evitare forme elusive (con riguardo ai casi in cui il soggetto che riporta le perdite sia
nominalmente lo stesso, ma sostanzialmente diverso da quello che ha realizzato le perdite) il
legislatore ha stabilito che la norma del riporto non sarà applicabile:
– nei casi di mutamento della maggioranza delle partecipazioni avente diritto al voto
nell'assemblea ordinaria;
– nei casi di modificazione dell'attività principale rispetto ai periodi d'imposta nei quali si sono
verificate le perdite.
Un fenomeno a natura elusiva, un tempo molto frequente, era infatti quello per cui imprese in perdita,
per cui vi era intenzione di chiudere l'attività, vendevano invece la quota di maggioranza a soggetti
che rilevavano la società per iniziare una nuova attività, al solo scopo di sfruttare la perdita riportabile
registrata dalla società originaria.
Anche per tali enti, inoltre, come per le persone fisiche, vi sono oneri deducibili dalla base imponibile,
nonché oneri detraibili dall'imposta.
Con riguardo ai redditi d'impresa, qualora l'ente non commerciale svolga attività d'impresa questi è
tenuto ad iscrivere una contabilità separata, distinguendo ciò che inerisce all'attività d'impresa da ciò
che inerisce all'attività istituzionale.
La distinzione fra beni relativi all'attività d'impresa dell'ente e beni estranei è basata sugli stessi criteri
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applicati agli imprenditori individuali: sono beni dell'impresa quelli strumentali all'attività d'impresa, ed
in generale i beni inventariati.
Gli enti non commerciali che (non superando determinati paramentri con riguardo al volume d'affari)
sono ammessi al regime di contabilità semplificata possono optare per la determinazione forfettaria
del reddito d'impresa, calcolata su una percentuale della somma dei componenti positivi.
Sono inoltre previste particolari regole per associazioni politiche, sindacali, religiose, assistenziali,
cutlurali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica. Per tali
associazioni anche le attività svolte verso corrispettivo non sono commerciali, a patto che:
– siano svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali;
– nello statuto siano previste particolari clausole, tra cui:
– divieto di distrubuire utili;
– devoluzione del patrimonio dell'ente ad altro analogo in caso di scioglimento.
Più frequenti sono le diminuzioni di voci negative (attraverso la non deducibilità in tutto o in parte)
dovute alla loro corrispondenza a componenti positivi non tassabili, o per mancanza del principio di
inerenza; altre diminuzioni di voci negative sono legate al principio di competenza.
La riduzione dell'imponibile può dipendere dal fatto che il conto economico contenga ricavi/proventi
esenti od esclusi (in quanto non soggetti al regime ordinario di tassazione).
PRINCIPIO DI COMPETENZA
Nel diritto tributario, come nel diritto civile, l'imputazione temporale dei componenti che concorrono
a determinare il reddito dev'essere fatta applicando il principio di competenza economica (in
contrapposizione al principio di cassa): il principio di competenza attribuisce rilievo all'aspetto
economico dei ricavi, ed i costi vengono imputati correlati ai ricavi (in altri termini i costi sono
deducibili solo nella misura con cui concorrono alla formazione dei ricavi dell'esercizio).
Una volta individuati i beni dell'impresa bisognerà distinguere se la loro cessione genera ricavi o
plusvalenze, riclassificandoli in categorie:
– beni merce (come materie o semilavorat – acquisiti o prodotti per essere impiegati nella
produzione) che generano ricavi;
– beni strumentali (beni inseriti durevolmente nel processo produttivo, e che concorreranno
quindi a cicli produttivi di più esercizi) che generano minus e plusvalenze;
– beni meramente patrimoniali (da intendersi come categoria residuale da individuare per
esclusione rispetto a beni merci e beni strumentali – es. immobili acquistati a scopo
d'investimento) che generano minus e plusvalenze.
Per stabilire la categoria di appartenenza di un bene bisogna aver riguardo alla sua correlazione con
l'attività d'impresa e non al bene in sé (es. un macchinario è merce per l'impresa che lo produce per
venderlo, mentre è bene strumentale per l'impresa che lo acquista per inserirlo nel proprio apparato
produttivo).
Il legislatore, infine, assoggetta allo stesso trattamento fiscale dei beni merce, qualora non siano
iscritte in bilancio tra le immobilizzazioni finanziarie:
– partecipazioni in società ed enti commerciali;
– strumenti finanziari assimilati ad azioni.
Con riguardo alla valutazione a fine esercizio (così come nel bilancio civilistico):
– i beni merce sono valutati come rimanenze (con funzione di trasferire il costo dei beni
invenduti da un esercizio all'altro, così da imputare il costo di acquisto all'esercizio in cui il
bene genera i ricavi);
– beni strumentali e beni meramente patrimoniali sono invece rilevati al costo nello stato
patrimoniale (e solo il costo dei beni strumentali è ammortizzato, a partire dall'esercizio in cui
entrano in funzione).
Tale distinzione ha rilevo anche con riguardo alle eventuali diminuzioni di valore, in quanto:
– le variazioni delle giacenze di magazzino concorrono sempre a formare reddito;
– le minusvalenze degli altri beni assumo rilievo solo quando realizzate.
Ricavo per eccellenza è il corrispettivo della cessione di una merce o della prestazione di servizi.
Va tenuto presente il principio di competenza, per cui: non si ha ricavo quando viene incassato il
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corrispettivo, ma quando si verifica uno degli eventi che, secondo il principio di competenza
determina il “momento impositivo” (passaggio materiale per la cessione di un bene mobile,
stipulazione dell'atto per cessione di bene immobile, ultimazione della prestazione per un servizio).
Nella categoria dei ricavi in senso fiscale individuiamo (ex art. 85 T.U.) alcune sottoclassi:
– corrispettivi di cessioni di beni o servizi inerenti all'attività d'impresa;
– corrispettivi di cessioni di materie od altri beni impiegati nella produzione (esclusi quelli
strumentali);
– corrispettivi di cessione di azioni non immobiliarizzate;
A questi si assimilano:
– indennità qualora conseguite a titolo di risarcimento per la perdita od il danneggiamento di
beni la cui cessione genera ricavi (in quanto tali indennità sostituiscono ricavi);
– “contributi in conto esercizio” (generalmente erogati ad imprese che praticano prezzi non
remunerativi per ragioni sociali – tali contributi pubblici hanno funzione di integrare ricavi)
– fuoriuscite senza corrispettivo (in generale, per destinazione del bene a finalità estranee
all'esercizio d'impresa) da valutarsi sulla base del “valore normale”.
PLUSVALENZE PATRIMONIALI
Le plusvalenze sono differenze positive tra due valori dello stesso bene in tempi diversi, con
riguardo a beni la cui cessione non genera ricavi (quindi non beni-merci, o titoli finanziari non
immobilizzati – la cui cessione dà invece luogo a ricavi).
La plusvalenza è determinata come differenza tra un valore finale (valore di realizzo – o quello
normale, es. in caso di autoconsumo) ed un valore base (il valore fiscalmente riconosciuto – al netto
degli ammortamenti fiscalmente riconosciuti).
Tale differenziale assume rilievo fiscale solo quando effettivamente realizzato – ed in particolare:
– quando vi è realizzo mediante cessione a titolo oneroso, risarcimento, conferimento di società;
– per distacco del bene dall'impresa mediante assegnazione ai soci (in generale per
destinazione del bene a finalità diverse da quelle dell'impresa);
– trasferimento che comporta una perdita della residenza fiscale italiana (le plusvalenze sono
tassate in quanto il bene fuoriesce dalla sfera impositiva dell'ordinamento italiano e questo
sarebbe l'ultimo momento in cui il plusvalore potrebbe essere tassato).
A fini agevolativi è stabilito che la plusvalenze realizzate derivanti da beni patrimoniali posseduti per
almeno 3 anni (in quanto componenti reddituali a formazione pluriennale) possano, a scelta del
contribuente, anche essere ripartite nell'esercizio in corso e nei successivi (ma non oltre il quarto).
L'esenzione delle plusvalenze porta con sé l'indeducibilità dei costi connessi; i dividendi derivanti da
tali partecipazione sono invece esclusi da tassazione, e ciò ne comporta la deducibilità dei costi.
Tenuto conto della ratio di non doppia imposizione, non avrebbe senso estendere l'esenzione, oltre
alle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni, a quelle derivanti dalla cessione d'azienda
(che sono invece tassate per intero).
Infine, sono soggetti a stessa disciplina quegli strumenti assimilabili ad azioni e contratti di
associazione in partecipazione che rispettino tali requisiti.
SOPRAVVENIENZE ATTIVE
Le sopravvenienze attive sono eventi che modificano componenti positivi che hanno già concorso
alla formazione del reddito in esercizi precedenti:
– le sopravvenienze attive in senso stretto possono, ad esempio, derivare:
– da ricavi conseguiti in un periodo successivo ma di competenza di uno precedente;
– dalla sottovalutazione dei ricavi;
– da sopravvenuta insussistenza di componenti negative;
– le sopravvenienze attive in senso lato derivano da un avvenimento estreneo alla normale
gestione dell'impresa:
– indennità risarcitorie per beni le cui plusvalenze non costituiscono ricavi;
– proventi conseguiti a titolo di contributi o liberalità (la cui tassazione è rateizzabile in
cinque anni).
– contributi pubblici in conto capitale.
E' espressamente previsto che non costituiscano sopravvenienze attive (e non sono quindi tassati):
– i versamenti dei soci a fondo perduto od in conto capitale;
– la riduzione dei debiti derivante da rinuncia di un credito da parte dei soci.
Per i dividendi distribuiti da società residenti ed estere (non collegate o controllate appartenenti alla
“lista nera” – che sono tassati interamente, salvo si esperisca con successo interpello disapplicativo),
percepiti da società residenti soggette ad IRES:
– in regime di consolidato i dividendi non sono tassati (ed in sede di dichiarazione di gruppo il
risultato civilistico va rettificato in diminuzione, eliminando dal reddito della controllante i
dividendi distribuiti dalle controllate)
– se non si applica il consolidato né la trasparenza, si ha esclusione dei dividendi nella misura
del 95% (ed i costi inerenti saranno deducibili).
INTERESSI ATTIVI
Gli interessi attivi (con eccezione degli interessi di mora) – a differenza dei dividendi – concorrono a
formare il reddito imponibile secondo il principio di competenza. Qualora la misura non sia stabilita
con contratto scritto andranno computati al saggio legale.
La regola generale è che gli immobili appartenenti alle imprese non sono fonte di redditi fondiari ma
concorrono alla produzione del reddito secondo le regole ordinarie in tema di reddito d'impresa.
Nel solo caso degli immobili meramente patrimoniali, il loro reddito – pur essendo reddito
d'impresa – è quantificato in base alle stime catastali, non rilevando in conto economico (e non si
terrà quindi conto dei proventi e costi effettivi); saranno calcolati secondo estimo del catasto anche i
redditi derivanti da terreni inerenti all'esercizio di attività agricola.
Il principio dell'inerenza è quello per cui un costo è deducibile se sostenuto in funzione della vita
dell'impresa: la questione se una spesa sia inerente o meno è frequente punto di attrito tra
contribuenti ed uffici fiscali.
Il principio di previa imputazione a Conto Economico è quello per cui i componenti negativi non
sono deducibili se non sono <<imputati al Conto Enomico dell'esercizio di competenza>>
(eventualemente rettificato dai principi IAS).
A tale principio si oppongono alcune deroghe, per cui si possono dedurre anche:
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– componenti negativi iscritti nel C.E. di un esercizio precedente, se la deduzione è ammissibile
solo nei periodi successivi (es. costi incerti);
– componenti che, pur non essendo iscritti a C.E. , sono deducibili a norma di legge (es.
compensi a promotori e soci fondatori);
– spese ed altri oneri che afferiscono specificamente ai ricavi ed altri proventi e che, pur non
risultando imputati a C.E. , concorrono a formare il reddito (la c.d. deducibilità dei “costi
neri” correlati a “ricavi neri”, non dichiarati);
– con riguardo ad alcuni costi stimati, è stabilito che siano deducibili solo qualora vengano
indicati in apposito prospetto della dichiarazione:
– l'eccedenza dell'accantonamento fiscale rispetto a quello civilistico;
– il valore fiscale e valore civilistico del fondo rischi;
– l'ammontare dell'ammortamento fiscale superiore a quello civilistico;
– la differenza fra l'ammontare dei canoni leasing e gli oneri imputati a C.E. (nel caso di
metodo patrimoniale di contabilizzazione);
– l'ammontare delle spese relative a studi e ricerche non imputabili a Conto Economico.
IMPOSTE DIFFERITE
Talune norme fiscali (in tema di ammortamenti, rettifiche di valori ed accantonamenti) consentono
deduzioni che (del tutto od in parte) non sono operate nel conto economico – a patto che siano
“annotate” assieme ai valori dei beni e dei fondi passivi cui si riferiscono, in apposito prospetto (che
riporta l'eccedenza dei valori fiscali rispetto a quelli civilistici).
Il prospetto è parte integrante della dichiarazione dei redditi, e condiziona la deduzione dei maggiori
costi in esso indicati: si ha così una riduzione dell'imponibile rispetto all'utile civilistico e la
contemporanea insorgenza di una quota di utile civilistico non tassato.
Tali costi dedotti extracontabilmente devono trovare copertura nelle riserve e negli utili esposti in
bilancio che verranno posti in regime di sospensione d'imposta: le imposte correlate alle riserve in
sospensione, non essendo dovute come imposte di quell'esercizio, devono essere stanziate come
imposte differite – corrispondenti a quelle che saranno pagate negli esercizi successivi, quando i
valori civilistici riassorbiranno i valori già dedotti fiscalmente.
Difatti, le differenze di valore che nascono in deduzione dei costi in via extracontabile sono differenze
solo temporanee destinate ad essere riassorbite con l'imputazione a CE degli stessi costi dedotti
extracontabilmente.
Qualora una parte delle riserve in sospensone d'imposta venga distribuita ai soci prima di essere
“liberata dal vincolo”, la quota corrispondente concorrerà a formare il reddito imponibile e, dunque,
sarà tassata: le riserve in sospensione d'imposte (corrispondenti agli utili non tassati) dovranno
essere mantenute intatte fino alla loro liberazione, se non si vuole perdere il beneficio della non
tassazione. In particolare sarà tassata solo quella differenza negativa tra totale delle riserve ed utili
che residuano dopo la distribuzione e la somma dei costi dedotti extracontabilmente.
La ratio della norma è dunque quella di evitare distribuzione di utili non tassati formatisi per effetto
della deduzione fiscale di costi non transitanti per il conto economico – in assenza di tale
meccanismo gli utili non tassati affluirebbero direttamente nella sfera dei soci definitivamente esenti
da IRES.
INTERESSI PASSIVI
Con riguardo alla deducibilità degli interessi passivi, la previgente disciplina (che prevedeva l'utilizzo
delle regole di “thin capitalization rule”, “pro-rata patrimoniale” e “pro-rata ordinario”) è stata sostituita
da una normativa molto più semplice.
Gli interessi passivi sono interamente deducibili fino a concorso con gli interessi attivi tassabili, e per
la restante quota non oltre il 30% del risultato operativo lordo (calcolato come differenza tra ricavi e
costi afferenti all'area caratteristica, ad esclusione di canoni di leasing ed ammortamenti).
Qualora il 30% del ROL fosse superiore all'eccedenza di interessi passivi su quelli attivi, la quota
inutilizzata potrà essere portata ad incremento dei ROL degli esercizi successivi.
Tale norma (che, come la previgente normativa, punta a limitare l'uso del c.d. tax shield – ma
attraverso una più generale irrilevanza fiscale parziale degli oneri passivi) limita la deducibilità degli
interessi solo quando si verifica una bassa redditività caratteristica.
LA PREVIGENTE DISCIPLINA
Nella previgente disciplina, per la determinazione della quota di interessi passivi deducibile si
applicava all'ammontare totale degli interessi passivi prima la thin capitalization rule che escludeva la
deducibilità di una determinata percentuale di interessi, poi il pro-rata patrimoniale (che ne escludeva
un'altra quota), e dunque (sulla parte residua) il pro-rata ordinario.
La thin capitalization rule era prevista onde evitare elusioni riguardanti la preferenza per una
società di richiedere finanziamenti ai soci (che producono interessi passivi deducibili), piuttosto che
l'apporto di capitale a titolo di capitale proprio (la cui remunerazione costituisce invece reddito per la
società, imponibile). La regola della thin capitalization prevedeva che:
– i finanziamenti dei soci qualificati superiori ad un determinato importo producessero interessi
passivi non deducibili;
– la remunerazione del socio finanziatore fosse considerata dividendo ai fini fiscali.
Tale norma si applicava (salvo che il socio non dimostrasse che l'ammontare dei finanziamenti
erogati dai soci poteva essere anche ottenuto da un terzo finanziatore) qualora:
– il socio avesse controllato (direttamente o indirettamente) il 25%;
– il finanziamento del socio avesse superato di almeno 4 volte al quota di patrimonio netto di
propria competenza.
Il pro rata patrimoniale limitava la deduzione degli interessi passivi nel caso in cui la società avesse
detenuto in portafoglio partecipazioni soggette alla “partecipation exemption”.
Per garantire una simmetria fiscale con l’esenzione delle plusvalenze rientranti nelle participation
exemption, era stata disposta l’indeducibilità di tutti i costi – compresi gli interessi passivi (per cui era
calcolata una corrispondente quota non deducibile) – afferenti tali partecipazioni. Erano escluse nel
calcolo della quota di interessi non deducibile nel pro-rata patrimoniale le partecipazioni in società
incluse nel consolidato (nazionale o mondiale), e le partecipazioni in società con reddito tassato per
trasparenza.
Il pro rata ordinario prevedeva che gli interessi passivi fossero deducibili solo per la parte
corrispondente al rapporto fra l'ammontare dei ricavi e degli altri proventi che concorrono a formare il
reddito e l'ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi (così da escludere quelli relativi a
proventi esenti).
LE MINUSVALENZE
A fini fiscali, le minusvalenze:
– non sono rilevanti quando “iscritte”, ma solo quando sono effettivamente realizzate.
– non sono rilevanti se si riferiscono alla cessione di partecipazioni soggette “partecipation
exemption” (possedute ininterrottamente per 12 mesi, anziché 18);
– sono rilevanti se derivano da partecipazioni a cui non si applica il regime della “partecipation
exemption”;
– per gli imprenditori individuali, se derivanti da partecipazioni “partecipation exemption”, sono
indeducibili al 60% (la percentuale esente).
SOPRAVVENIENZE PASSIVE
Le sopravvenienze passive sono la “voce negativa speculare” alle sopravvenienze attive – si hanno
quando si verifica:
– il mancato conseguimento di ricavi od altri proventi che hanno concorso a formare il reddito in
precedenti esercizi;
– il sostenimento di spese, perdite od oneri a fronte di ricavi od altri proventi che hanno
concorso a formare il reddito in precedenti esercizi;
– la sopravvenuta insussistenza di attività iscritte in bilancio in precedenti esercizi.
Ad esempio, rientrano fra le sopravvenienze deducibili gli abbuoni e sconti concessi alla clientela in
un periodo d'imposta successivo a quello in cui si sono contabilizzati i ricavi derivanti dalla vendita
del bene-merce.
LE PERDITE
Le perdite sono una componente negativa deducibile che riguarda:
– quei beni dell'impresa che possono generare minus/plusvalenze;
– le perdite su crediti, per la quota non già accantonata in esercizi precedenti a Fondo
Svalutazione Crediti.
Tali perdite sono deducibili solo se risultano da elementi certi e precisi ed in misura pari al costo non
ammortizzato.
La perdita sui crediti è deducibile quando il credito viene ceduto o quando si ha effettiva insolvenza:
– è deducibile in ogni caso la perdita relativa ad un debitore soggetto a procedura concorsuale;
– è deducibile per inesigibilità se l'insolvenza del debitore risulta da elementi certi e precisi (es.
da un pignoramento infruttoso).
Con la finanziaria 2008 è stata abrogata la norma che consentiva la deduzione fiscale di
ammortamenti anticipati ed accelerati, con lo scopo di aumentare il gettito nel breve periodo.
AMMORTAMENTI IMMATERIALI
Tra gli ammortamente immateriali si distinguono quelli:
– per i diritti di utilizzazione delle opere dell'ingegno, ammortizzabili in un minimo di 2 anni;
– per i marchi e l'avviamento, ammortizzabili in un minimo di 18 anni;
– per le concessioni, ammortizzabili in misura massima dedotta dalla durata contrattuale.
SPESE INCREMETATIVE
Le spese incrementative sono quelle che incrementano il valore fiscalmente riconosciuto di un bene
(se patrimonializzate). Quelle non patrimonializzate dovrebbero essere distinte in costi pluriennali
ed annuali. Il legislatore ha però semplificato con una presunzione assoluta:
– nell'esercizio in cui sono state sostenute, tali spese sono deducibili al 5% del costo
complessivo dei beni materiali ammortizzabili;
– l'eccedenza è ammortizzabile a quote costanti nei 5 esercizi successivi.
Le spese di rappresentanza, vista la dubbia inerenza, sono deducibili solo per 1/3 del loro
ammontare complessivo.
ACCANTONAMENTI
La disciplina civilistica di bilancio impone l'iscrizione dei costi anche solo probabili in appositi fondi
rischio, destinati a far fronte a costi (anche solo probabili) di competenza dell'esercizio in corso ma
che non si siano ancora manifestati.
A fini fiscali, invece, costi e spese sono deducibili solo quando sono certi sia nell'“an” che nel
“quantum” – per cui gli accantonamenti fiscalmente deducibili costituiscono un'eccezione a tale
regola generale. Sono dunque ammessi solo quelli tassativamente indicati dal legislatore:
– accantonamenti TFR (e simili) ed a fondi previdenza del personale dipendente (in quanto si
riferiscono ad un debito certo nell'an e nel quantum, di cui è incerta solo la data);
– accantonamenti a Fondi Svalutazione Crediti, consentiti annualmente entro un massimo del
0,5% del valore nominale dei crediti, fino ad un massimo del 5% totale.
LE RIMANENZE DI MAGAZZINO
Anche le variazioni delle rimanenze di beni-merci intervengono nel calcolo del reddito.
La valutazione delle rimanenze finali si effettua raggruppando i beni in categorie omogenee per
natura e valore ed assumendo come criterio di valutazione, in primo luogo, il costo.
Come nei criteri civilistici, anche a fini fiscali la valutazione sarà al minore fra valore di costo e valore
di presumibile realizzo. Si dà dunque rilievo fiscale alla svalutazione dei beni-merce.
Le rimanenze, nel primo esercizio in cui si verificano sono valutate in base al costo medio ponderato.
Per espressa previsione, per le successive variazioni di magazzino si applica il criterio del LIFO (si
considerano alienati per prima i beni facenti parte degli incrementi formatisi in esercizi precedenti,
distinti per esercizio di formazione a partire dall'incremento più recente): il reddito imponibile risulta
quindi compresso. Qualora l'impresa – a fini civilistici – usi altri criteri di valutazione (FIFO, CMP,
LIFO a scatti) le è data facoltà di adottarli anche a fini fiscali.
I GRUPPI
Il diritto fiscale prende in considerazione i gruppi di società, ossia l'insieme di società tra cui
intercorrono rapporti di controllo e collegamento.
A seguito della riforma del 2003, in alternativa alla tassazione distinta di ciascuna società, i gruppi
possono optare per il regime consolidato – e qualora non sussistano le condizioni per il consolidato,
vi è anche la possibilità di applicare il regime di trasparenza.
I due regimi presentano un vantaggi evidenti:
– la non tassazione dei dividendi;
– l'utilizzo immediato delle perdite fiscali.
LA GRANDE TRASPARENZA
Il regime di trasparenza è un congegno che realizza la tassazione esclusiva del socio, imputando
direttamente ad esso i redditi della società.
Le Società per Azioni (e le S.a.p.A) possono optare per il regime della “grande trasparenza” solo
qualora siano esclusivamente possedute da altri soci-società, che singolarmente non detengano
partecipazioni inferiori al 10% o superiori al 50%.
L'opzione per la trasparenza dev'essere espressa sia dalla partecipata che dalla partecipante.
Qualora adottata, l'opzione è irrevocabile per 3 esercizi sociali e non si può adottare se la partecipata
ha già optato per il consolidato o se i soci partecipanti fruiscono di un'aliquota IRES ridotta.
Se manca una condizione, il regime perde efficacia a partire dall'esercizio sociale in corso.
Se vi sono soci non residenti, l'esercizio dell'opzione è consentito a condizione che non vi sia
l'obbligo di ritenuta alla fonte sugli utili distributiti: quindi paesi UE, Svizzera, ed eventualmente altri
stati extra-comunitari purché non vi sia una ritenuta sugli utili in uscita dall'Italia.
LA PICCOLA TRASPARENZA
Il regime di trasparenza può essere adottato anche dalle “piccole” S.r.L. (e dalle cooperative) la cui
compagine sociale sia esclusivamente composta da persone fisiche: in questo modo la tassazione è
presso ciascun socio (con IRPEF) – piuttosto che nei confronti della società (con IRES) e poi verso i
soci (nella distribuzione dei dividendi).
Per applicare il regime di trasparenza alle S.r.L. devono sussistere tre condizioni:
– il volume dei ricavi non deve superare le soglie previste per l'applicazione degli studi di
settore;
– devono esserci solo “soci persone fisiche”, al più nel numero di 10 (20 per le società S.c.a.r.l. ,
società cooperative a responsabilità limitata);
– la società non deve essere assoggettata a procedure concorsuali, né aver optato per il
consolidato.
Se la S.r.L. detiene partecipazioni soggette a “partecipation exemption”, sia i dividendi che le
plusvalenze saranno imputati nella determinazione del reddito tassabile per il 40%.
CONSOLIDATO NAZIONALE
Il consolidato nazionale, così come quello mondiale, è un istituto previsto con la riforma del 2003.
Il consolidato fiscale è radicalmente diverso dal consolidato civilistico: il bilancio civilistico è un
bilancio in cui la pluralità delle società è rappresentata come un soggetto unitario, mentre il bilancio
fiscale è semplicemente una somma dei risultati fiscali conseguiti da ogni società singolarmente – ed
il risultato globale è imputato alla controllante che deve presentare un'unica dichiarazione contenente
il risultato consolidato di gruppo (ed eventualmente riportare la perdita).
Ne scaturisce un unico debito d'imposta che deve essere dichiarato dalla capogruppo (relativo al
totale dei redditi delle controllate), ed è soggetto passivo – per l'intero importo – la controllante: le
controllate sono invece responsabili solo per la parte del debito che è da collegare al loro reddito e
per le relative sazioni.
L'opzione per il consolidato può essere esercitata dalle società (ed altri enti commerciali) tra cui
intercorre (sin dall'inizio del periodo in cui si esercita l'opzione) un rapporto di controllo di diritto
(con maggioranza sia dei voti in assemblea che degli utili distribuiti), sia diretto che indiretto – tenuto
conto degli effetti del demoltiplicatore in presenza di catene societarie (non si considera quindi il
dispense di Diritto Tributario a cura di Paolo Meola pagina 84 di 100
semplice fatto di detenere la maggioranza di una società che a sua volta detiene la maggioranza di
una terza società – rileva invece l'effettiva quota posseduta, calcolata moltiplicando le frazioni di
quote possedute sul totale).
RETTIFICHE DI CONSOLIDAMENTO
Il reddito complessivo è dato dalla somma dei redditi, o delle perdite, delle partecipate (considerate
autonomamente ed indipendentemente dalla quota posseduta) – apportando infine delle rettifiche di
consolidamento:
– variazione diminutiva per una quota corrispondente all'imponibile dei divendi distribuiti dalle
controllate (così che si realizzi la detassazione degli utili all'interno del gruppo);
– non sono più previste variazioni aumentativa/diminutiva per effetto della rideterminazione del
pro-rata patrimoniale né per cessioni neutrali infragruppo.
ASPETTI PROCEDURALI
La dichiarazione dei redditi deve essere presentata dalla capogruppo, alla quale le controllate
devono fornire gli elementi necessari alla formazione della dichiarazione del consolidato:
– dichiarazione dei redditi, cui è allegato il modulo degli oneri dedotti extra-contabilmente;
– fornire collaborazione alla controllante per l'adempimento degli obblighi fiscali.
Ciascuna società è debitrice per le maggiori imposte (sanzioni ed interessi) che sono dovute al suo
reddito complessivo. La controllante è invece debitrice sia per il suo reddito sia per quello delle
controllate.
RESPONSABILITA'
Il consolidato comporta l'insorgere di un unico debito d'imposta dichiarato dalla capogruppo, che è
soggetto passivo per l'intero importo: le controllate sono solo responsabili per la parte di debito
globale a loro ricollegabile. La responsabilità esterna va però tenuta distinta dai rapporti infra-gruppo
che sono gestiti dall'accordo di consolidamento.
Si considerano prodotti nello Stato, per effetto di qualificazione normativa, i redditi corrisposti da
soggetti residenti (o da una stabile organizzazione di un non-residente):
– pensioni ed indennità di fine rapporto;
– redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente;
– compensi per utilizzazione opere di ingegno e simili;
– compensi conseguiti da non-residenti per prestazioni artistiche e professionali effettuate in
Italia per conto di un residente.
I redditi di lavoro autonomo e di capitale prodotti in Italia a favore dei non-residenti sono tassati (alla
fonte) mediante ritenuta a titolo d'imposta.
Per gli altri redditi, il non residente deve presentare la dichiarazione e non potrà dedurre tutti quegli
oneri la cui deducibilità ha carattere personale (es. carichi di famiglia).
LA STABILE ORGANIZZAZIONE
La nozione di stabile organizzazione è definita come “sede fissa d'affari per mezzo della quale
l'impresa non residente esercita del tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato”.
Nel calcolo del reddito è necessario che venga stilato un apposito Conto Economico, come se la
“stabile organizzazione” fosse autonoma.
TRANSER PRICE
Un modo per aggirare le norme fiscali (elusione) fra società dello stesso gruppo appartenenti a stati
diversi consiste nel fare cessioni di beni e servizi a prezzi anomali rispetto a quelli di mercato, al fine
di trasferire utili dalla società italiana a quella estera infra-gruppo:
– applicando prezzi minori a quelli di mercato nelle cessioni verso l'estero;
– applicando prezzi maggiori a quelli di mercato verso l'Italia.
Per aggirare queste pratiche, il legislatore italiano ha previsto che i prezzi pattuiti siano sostituiti dal
valore normale (il transfer price – il prezzo di trasferimento attribuito ex lege alle cessioni infra-
gruppo) se da ciò deriva un aumento del reddito dell'impresa italiana.
La disposizione non si applica se il contribuente è in grado di provare che l'operazione non è fatta a
fini elusivi ma corrisponde ad una necessità d'impresa.
Si tratta di una detrazione che spetta fino a concorrenza della quota d'imposta italiana corrispondente
al rapporto tra redditi prodotti all'estero e reddito complessivo (la detrazione non può quindi essere
superiore alla quota d'imposta italiana proporzionalmente attribuibile al reddito prodotto all'estero).
Tale regime si applica, quindi, ad ogni soggetto residente che detenga (direttamente od
indirettamente) controllo di un'impresa residente in un paradiso fiscale (la lista nera è diversa da
quella per l'indeducibilità degli oneri – e comprende stati con un livello di tassazione sensibilmente
inferiore a quello italiano).
I redditi derivanti da queste partecipazioni, al contrario degli altri esteri – che sono imputati quando
percepiti (per il principio di cassa) – sono imputati a prescindere dalla percezione: ovviamente gli utili
distribuiti non concorrono alla formazione della base imponibile (sarebbero infatti tassati due volte).
Le stesse regole si applicano anche alle collegate residenti negli stessi “paradisi fiscali”: una
collegata si considera tale quando detiene almeno il 20% delle partecipazioni con diritto di voto
(ridotto al 10% qualora la partecipata sia quotata).
CONSOLIDATO MONDIALE
A differenza di quello nazionale (che comporta tassazione unitaria di più società residenti), il
consolidato mondiale concerne, invece, la tassazione di un solo soggetto (la controllante
residente) e consiste sostanzialmente in una modalità di tassazione dei redditi delle controllate
estere imputabili alla controllante residente: al soggetto residente sono imputati i redditi/perdite
conseguiti dalle controllate, proporzionalmente alla quota di partecipazione.
L'ente controllante che può optare per il consolidato mondiale deve essere una società di capitali od
ente commerciale residente in Italia, e deve essere all'“apice della catena di controllo”.
La controllante può comunque optare per il consolidato mondiale qualora:
– sia una società con titoli quotati in borsa;
– sia controllata dallo Stato o da persona fisica residente che non controlla altra società.
L'opzione (che non può durare per meno di 5 esercizi – mentre i successivi rinnovi per meno di 3)
– è richiedibile dalla controllante (solo da questa);
– ha per oggetto (obbligatoriamente) tutte le controllate non residenti del gruppo;
– è subordinata all'identità fra gli esercizi sociali;
– è subordinata alla previa revisione dei bilanci di tutte le società di gruppo.
LE CESSIONI D'AZIENDA
Le plusvalenze generate dalla cessione di un'azienda (o di una partecipazione), di regola sono
trattate come le altre plusvalenze:
– sono generalmente tassate per intero nel periodo in cui sono effettivamente realizzate;
– possono anche essere rateizzabili per un massimo di 4 esercizi (5 nel caso di imprenditori
individuali o società di persone) se i beni ceduti sono posseduti da almeno 3 anni.
Se il passaggio di proprietà non si realizza con corrispettivo in denaro, l'operazione sarà soggetta a
neutralità fiscale: il trasferimento d'azienda per successione o donazione fa sì che i riceventi
(eredi o donatari) debbano usare lo stesso valore fiscale indicato dal dante causa; se l'erede (od il
donatario) cede successivamente l'azienda, la plusvalenza è tassata come reddito diverso.
E' tassata come reddito diverso anche la plusvalenza generata da cessione dell'unica impresa
dell'imprenditore individuale qualora sia stata precedentemente data in affitto e dunque ceduta
senza riottenerne il possesso.
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La tassazione può essere evitata (e la legge afferma che non si tratta di fattispecie elusiva):
– conferendo l'azienda in regime di neutralità;
– acquisendo la corrispondente partecipazione nella conferitaria ed iscrivendola come
immobilizzazione finanziaria (al fine di assoggettarla al regime partecipation exemption);
– cedendo successivamente la parteciazione in esenzione d'imposta.
CONFERIMENTO D'AZIENDA
Il conferimento d'azienda dovrebbe essere trattato, per il conferente, come una cessione – non
incassa però denaro ma riceve in cambio una partecipazione; nonostante l'equiparazione fiscale alla
cessione, il conferimento può essere fatto in regime di neutralità fiscale:
– regime di continuità dei valori contabili si realizza se il conferente attribuisce ai titoli di
partecipazione lo stesso valore contabile dell'azienda conferita e, a sua volta, il conferitario
attribuisce ai beni dell'azienda conferita lo stesso valore contabile che si aveva nella sfera
giuridica del conferente (non vi è quindi alcuna plusvalenza che possa essere tassata);
– regime di continuità dei valori fiscali si ha quando il conferente esprime in contabilità la
partecipazione ricevuta ad un valore superiore al valore fiscale dell'azienda conferita ed il
conferitario la iscrive ad un valore superiore al valore fiscale; vi è quindi una differenza fra i
nuovi valori contabili e l'originario valore fiscalmente riconosciuto dall'azienda – e questa
differenza non è tassata, ma i divergenti valori contabili e fiscali dei beni devono essere
indicati in un “prospetto di riconciliazione” da allegare alla dichiarazione (e si avrà tassazione
solo quando il conferente cederà la partecipazione od il conferitario cederà l'azienda).
TRASFORMAZIONI OMOGENEE
Con la trasformazione omogenea muta la forma sociale di una società ma il soggetto rimane il
medesimo, perciò la trasformazione non contistuisce realizzo né distribuzione delle
plus/minusvalenze dei beni (comprese quelle relative alle rimanenze ed al valore di avviamento).
dispense di Diritto Tributario a cura di Paolo Meola pagina 89 di 100
La trasformazione assume particolare rilevo quando consiste nella mutazione da società di capitali a
società di persone e viceversa – e cambia dunque l'imposta applicata. Vi è quindi una divisione in
due del periodo d'imposta:
– nel periodo prima della trasformazione si applicano le regole ante-trasformazione;
– la trasformazione interrompe il periodo d'imposta e ne fa nascere uno nuovo a cui si applicano
le regole post-trasformazione (sarà necessario stilare un conto economico, dichiarazioni infra-
annuali, ecc.)
Con riguardo alle riserve, il legislatore ha stabilito che quelle costituite prima della trasformazione
conservano il loro originario “status fiscale” anche dopo la trasformazione.
TRASFORMAZIONI ETEROGENEE
La trasformazione eterogenea è la trasformazione da società di capitali in consorzio, associazione
non riconsciuta, fondazione, ecc. (e viceversa).
LE FUSIONI
La fusione può avvenire mediante costituzione di una nuova società o mediante incorporazione: la
società nuova (o l'incorporante) subentra in tutte le situazioni giuridiche precedenti (compresi gli
obblighi fiscali).
La fusione interessa l'organizzazione e non la gestione delle società, ed è quindi evento fiscalmente
neutro con riguardo alle plus/minusvalenze insite nel patrimonio dell'incorporata nonché agli
avanzi/disavanzi di fusione.
La fusione non conferisce rilielvo alle differenze (positive o negative) tra valori reali e valori
fiscalmente riconosciuti dei beni delle società partecipanti alla fusione.
I beni provenienti dalle società fuse possono essere iscritti ad un valore contabile superiore a quello
originario, e nel qual caso dalla fusione emerge un disavanzo – che dovrà però essere reso noto nel
“prospetto di riconciliazione” da allegare in dichiarazione.
Anche rispetto ai soci, la fusione è fiscalmente neutra: non sono tassabili i concambi di azioni
poiché rappresentano una semplice sostituzione di titoli – ed è tassabile solo l'eventuale conguaglio
in denaro pagato ai soci in occasione del concambio (come reddito di capitale).
LA FUSIONE RETROATTIVA
L'atto di fusione può prevedere che l'operazione abbia effetti retroattivi a fini fiscali, risalendo al
momento in cui si è chiuso l'ultimo esercizio dell'incorporata (o, se più vicino, dell'incorporante).
La retrodatazione opera “ex nunc” ed è quindi relativa ai soli fatti reddituali del periodo considerato.
La fusione quindi, di per sé, non determina l'emergere di perdite deducibili o di componenti positive
tassabili; potranno emergere componenti positive e negative di reddito quando acquisteranno rilievo i
valori reali dei beni dell'incorporata, acquisiti dall'incorporante.
(Avanzo e disavanzo sono dati dalla differenza tra patrimonio netto contabile e valore fiscalmente
riconosciuto dalle partecipazioni).
L'incorporante aumenta il proprio capitale sociale per assegnare le azioni – e le differenze di fusione
sono date dalla differenza tra misura dell'aumento di capitale e valore contabile netto.
L'avanzo costituisce una riserva di sovrapprezzo, mentre il disavanzo una posta attiva.
SCISSIONE
La scissione è il fenomeno inverso della fusione:
– è scissione parziale quando si scinde solo una parte in una nuova società, ma rimane anche
quella originaria – ed in tal caso le posizioni della società scissa sono assunte solo in parte da
ognuna delle società risultanti.
– è scissione totale quando la società di partenza viene effettivamente scissa in due nuove
distinte società: ed in tal caso le posizioni soggettive facenti capo alla società scissa passano
in toto alla società beneficiaria.
L'IVA è un'imposta sui consumi in quanto colpisce di fatto il solo consumatore finale, che non ha
diritti di detrazione. A differenza dell'IGE, l'IVA:
– non dipende dalla lunghezza del ciclo produttivo/distributivo;
– non svantaggia le imprese specializzate;
– è neutrale rispetto al meccanismo degli scambi internazionali.
IL MECCANISMO IMPOSITIVO
L'IVA è neutrale per gli operatori economici, in quanto essi:
– recuperano l'imposta assolta sugli acquisti, acquisendo un credito verso lo Stato;
– recuperano l'imposta dovuta allo Stato esercitando rivalsa sui clienti.
Il soggetto passivo quindi è contemporaneamente:
– debitore verso lo Stato ma creditore verso i cessionari (nelle operazioni imponibili attive);
– creditore verso lo Stato ma debitore verso i fornitori (nelle operazioni imponibili passive).
Dal punto di vista giuridico formale, quindi, i soggetti passivi sono gli operatori economici mentre, dal
punto di vista economico sostanziale, l'imposta grava solo sul consumatore finale: i soggetti passivi
sono gravati da obblighi formali e sostanziali (dichiarazione, tenuta della contabilità), mentre non lo
sono i consumatori finali (che però non hanno diritto alla detraibilità).
Il diritto di detrazione contribuisce a dar peso al dettato costituzionale, in quanto non fa gravare
dispense di Diritto Tributario a cura di Paolo Meola pagina 92 di 100
l'imposta sui passaggi intermedi ma solo sul consumatore finale, detentore della capacità contibutiva.
Con riguardo agli acquisti, gli imprenditori ed lavoratori autonomi sono soggetti passivi in quanto
debitori verso lo Stato, ma risultano titolari del diritto di detrazione – così da rendere per loro l'IVA
neutrale (non un costo).
SOGGETTI PASSIVI
La normativa nazionale ha attuato le direttive europee raggruppando i soggetti passivi in due grandi
categorie:
– imprenditori;
– lavoratori autonomi (esercenti arti e professioni).
Per esercizio d'impresa s'intende l'esercizio professionale abituale, non esclusivo, delle attività
commerciali e agricole (indicate negli artt. 2135 e 2195 cod. civ.) anche qualora non organizzate in
forma d'impresa: con riguardo agli enti non commerciali, si considerano attività d'impresa solo le
cessioni dei beni e prestazioni di servizi fatte nell'esercizio di imprese commerciali od agricole.
Con riguardo alla definizione di imprenditore, rispetto alla norma civilistica, a fini IVA troviamo:
– analogie:
– non ha rilvanza l'organizzazione, ma l'oggetto (l'attività);
– sono comprese anche le attività degli enti non commerciali (distinte in attività di imprese
e non);
– differenze:
– sono compresi anche gli imprenditori agricoli.
Per esercizio di arti e professioni (che può essere svolto da persone fisiche, società semplici,
associazioni professionali) si intende l'esercizio abituale di qualsiasi attività di lavoro autonomo.
Sono lavoratori autonomi coloro che svolgono qualsiasi attività di lavoro (sia intellettuale che
materiale), a patto che:
– l'attività sia svolta in modo autonomo (ex 2222 cod. civ.);
– non vi siano i connotati dell'imprenditorialità.
CAMPO DI APPLICAZIONE
Perché un'operazione sia rilevante a fini IVA, è necessario:
– un presupposto soggettivo, cioé l'attività di imprenditore o di lavoratore autonomo;
– un presupposto oggettivo, cioé che l'attività rientri nel campo di applicazione.
OPERAZIONI ESENTI
Le operazioni esenti sono quelle operazioni che – pur rientrando nel campo d'applicazione – per
espressa previsione del legislatore (per ragioni sociali, o di tecnica tributaria):
– non comportano il sorgere del debito d'imposta;
– comportano il sorgere di obblighi formali;
– comportano l'indetraibilità dell'IVA sulle operazioni a monte (per cui il fatto di porre in essere
un'operazione esente non rappresenta un vantaggio per l'operatore economico).
Anche le cessioni di fabbricati strumentali sono esenti; fanno eccezione (e sono imponibili):
– cessioni effettuate entro 4 anni dalla costruzione o dall'intervento da parte delle imprese
costruttrici;
– cessioni effettuate nei confronti di cessionari soggetti passivi IVA che svolgono in via esclusiva
(o prevalente) attività che conferiscono il diritto di detrazione dell'imposta sugli acquisti in
misura pari o minore al 25%;
– cessioni effettuate nei confronti di soggetti che non agiscono nell'esercizio d'impresa, arti o
professioni;
– cessioni nel quale atto il cedente abbia manifestato l'opzione per l'imposizione.
IL MOMENTO IMPOSITIVO
Vi sono regole dell'IVA che stabiliscono l'istante in cui l'operazione si considera effettuata (il
momento impositivo):
– quando viene posta in essere un'operazione dev'essere fatturata;
– entro 15gg dall'emissione, la fattura va registrata;
– mensilmente va liquidata e versata l'imposta.
In particolare:
– le cessioni di beni si considerano effettuate nel momento della stipulazione per gli immobili, o
della consegna per i mobili – salvo diverso passaggio traslativo (differito ma non oltre un'anno
dalla consegna);
– per le cessioni di servizi, rileva il pagamento (e non la conclusione della prestazione, come a
fini reddituali); può rilevare anche il momento precedente qualora:
– venga emessa prima la fattura;
– vi siano corrispettivi anticipati (nel cui caso bisogna fatturare anche gli anticipi).
LA BASE IMPONIBILE
La base imponibile a fini IVA è costituita, di regola, dall'ammontare complessivo dei corrispettivi
contrattuali. Solo in mancanza di corrispettivo, o per le cessioni gratuite, ha rilievo il valore normale.
ALIQUOTE IVA
Tra le aliquote IVA si distinguono:
– un'aliquota normale (20%);
– un'aliquota ridotta (10%) per i generi di largo consumo (es. olio);
– un'aliquota ridottissima (4%) per i generi di prima necessità (es. arance, acqua, ecc.).
Per le operazioni non imponibili è come se si applicasse un'aliquota dello 0%.
D'altra parte, l'addebito in fattura fa nascere nei confronti del cessionario soggetto passivo IVA il
diritto alla detrazione: il soggetto passivo IVA ha dunque, oltra al diritto alla rivalsa, il diritto alla
detrazione dell'IVA addebitatogli nelle fatture d'acquisto.
INDETRAIBILITA' SPECIFICA
Il diritto alla detrazione, per le sole operazioni imponibili, necessita del requisito di inerenza
dell'attività svolta (ed in genere danno diritto di detrazione le operazioni imponibili): se l'acquisto si
correla ad altre attività (es. esenti) il diritto alla detrazione è escluso (o limitato).
Per il principio di indetraibilità specifica (od analitica), non è detraibile l'imposta relativa ad
un'operazione d'acquisto od importazione di beni/servizi afferenti ad operazioni esenti o comunque
non soggette all'imposta.
In caso di uso promiscuo (operazioni direttamente riferibili sia ad operazioni soggette che ad
operazioni non soggette) è detraibile la quota d'imposta riferibile all'impiego imponibile – e
l'ammontare indetraibile è determinato secondo criteri oggettivi, coerenti con la natura dei
beni/servizi.
IL PRO RATA
Quando il soggetto passivo pone in essere in maniera sistematica operazioni esenti ed operazioni
imponibili, qualora non vi siano legami diretti tra gli acquisti e le specifiche operazioni attive
non sarà applicabile il criterio (analitico) dell'indetraibilità specifica – si applicherà dunque il principio
del pro-rata: la percentuale di detraibilità è pari al risultato del rapporto tra l'ammontare delle
operazioni con diritto a detrazione e la somma dell'ammontare di tutte le operazioni (con diritto a
detrazione ed esenti) – non si imputano né a numeratore che a denominatore le operazioni escluse.
Le operazioni esenti che non formano oggetto dell'attività propria del soggetto passivo (o sono
accessorie ad operazioni imponibili) non si riflettono sul diritto di detrazione: in altri termini, l'impresa
che effettua operazioni esenti in via solo occasionale od accessoria alle attività imponibili oggetto
della propria attività conserva il diritto alla detrazione – che è limitato solo dalle esenti che fanno
parte dell'attività propria.
Per l'Amministrazione Finanziaria, si definisce “propria” l'attività prevista dall'oggetto sociale dello
dispense di Diritto Tributario a cura di Paolo Meola pagina 96 di 100
statuto; secondo la giurisprudenza è invece quella effettivamente svolta.
INDETRAIBILITA' OGGETTIVA
L'indetraibilità oggettiva è quella relativa ai beni/servizi per i quali risulta difficile stabilire l'inerenza
ed utilizzazione dell'attività esercitata dal contribuente: in questi casi il legislatore ha optato per la
presunzione assoluta di non inerenza, da cui consegue la non detraibilità – ad esempio per
acquisti di:
– carburante;
– auto;
– moto;
– cellulari (detraibili solo per metà).
INDETRAIBILITA' SOGGETTIVA
Gli enti non commerciali possono detrarre l'IVA relativa agli acquisti fatti nell'esercizio di attività
agricole o commerciali – occorre però che essi gestiscano tali attività con contabilità separata.
Per le altre attività, l'ente non commeciale è invece paragonato ad un consumatore finale.
Onde determinare l'indetraibilità delle operazioni IVA per le società di mero godimento, non sono
considerate commerciali le attività consistenti nel possesso di mobili, aerei, imbarcazioni ed auto
Altra ipotesi di rettifica della detrazione è effettuata nel pro rata temporis: qualora sia consentita la
detrazione integrale di beni ammortizzabili nell'anno di acquisto, si dovrà effettuare rettifica nei 4 anni
successivi qualora si verifichi una variazione di detrazione superiore al 10%.
Il diritto di detrazione non spetta alle fatture passive relative ad operazioni inesistenti, sebbene
l'emissione di fatture (attive) inesistenti sia considerata operazione imponibile.
ADEMPIMENTI FORMALI
DICHIARAZIONE DI INIZIO ATTIVITA'
La dichiarazione di inizio attività è il primo adempimento imposto al contribuente per cui, quando
inizia l'esercizio d'impresa, arte o professione (ed i non residenti che costituiscono stabile
organizzazione), il soggetto passivo IVA dovrà informare il fisco, che gli assegnerà un “numero di
partita IVA”.
FATTURE E REGISTRI
I soggetti passivi IVA sono tenuti a fatturare le operazioni e registrare le fatture delle operazioni che
rientrano nel campo di applicazione (anche non imponibili ed esenti – non quelle escluse).
Nel “commercio al minuto” non è necessaria la fattura, salvo sia richiesta dal cliente.
La fattura dev'essere datata e numerata e deve indicare:
– i soggetti tra i quali avviene l'operazione;
– beni/servizi oggetto dell'operazione;
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– base imponibile;
– valore di premi, sconti ed abbuoni;
– aliquota ed imposta.
La fattura vale come effettuazione dell'operazione (momento impositivo) e rende dovuta l'imposta:
assume inoltre rilevanza per la rivalsa ed il diritto di detrazione.
La fattura attiva va registrata entro 15gg. Gli importi indicati nei registri sono determinati a fini delle
detrazioni e liquidazioni (mensili/trimestrali)
AUTOFATTURAZIONE
Vi sono casi in cui l'obbligo di emissione della fattura grava sul cessionario (o committente):
– qualora non vi abbia provveduto il cedente (per regolarizzare l'operazione);
– qualora il cedente risieda all'estero e non abbia un rappresentante fiscale in Italia.
NOTE DI VARIAZIONE
Dopo che la fattura è stata emessa e registrata può risultare che debba/possa essere apportata una
modifica aumentativa/diminutiva della base imponibile, in caso di eventi sopravvenuti o per rimediare
ad errori ed inesattezze (anche con riguardo ad inesattezze nella registrazione):
– le variazioni in aumento sono semplicemente rettificate da una fattura integrativa;
– le variazioni in diminuzione vengono rettificate con la c.d. “nota di variazione”, di uguale
contenuto alla fattura emessa ma di segno contrario.
Tale rettifica è una procedura facoltativa a carico del cedente che permette:
– al cedente di ridurre il debito verso il fisco, e la conseguente rivalsa;
– al cessionario di ridurre il credito verso il fisco, ed il debito verso il cedente.
DICHIARAZIONE ANNUALE
Anche nell'IVA vi è l'obbligo di presentare una dichiarazione annuale, anche qualora durante l'anno
non vi siano state operazioni rilevanti.
Nella dichiarazione devono essere riportati, sulla scorta delle registrazioni fatte:
– l'ammontare delle operazioni attive e di quelle passive;
– l'ammontare dell'imposta dovuta e delle detrazioni;
– i versamenti effettuati nel periodo d'imposta;
– l'imposta dovuta a conguaglio o l'eventuale differenza a credito.
dispense di Diritto Tributario a cura di Paolo Meola pagina 98 di 100
Come nella dichiarazione dei redditi, è previsto l'esercizio di opzioni:
– i contribuenti che esercitino più attività possono gestire l'imposta separatamente per ogni
attività;
– il contribuente che risulti a credito sceglie se riportare a nuovo il credito o chiederne il
rimborso;
– qualora si rientri nei parametri, vi è la scelta tra regime normale e regime speciale.
I contribuenti il cui esercizio sociale coincide con l'anno solare e che, come sostituti d'imposta,
abbiano effettuato ritenute nei confronti di non più di 20 soggetti, devono presentare la “dichiarazione
unificata annuale”.
VERSAMENTI
I versamenti periodici sono quelli da effettuarsi nel corso dell'anno – i contribuenti soggetti al
regime normale devono effettuarli mensilmente, trimestralmente quelli soggetti a regime semplificato.
Ogni anno, entro il 27/12, va effettuato un versamento a titolo d'acconto sulla base della somma
da versare nell'anno precedente.
Possono chiedere il rimborso di crediti emergenti dalle liquidazioni infrannuali (i c.d. rimborsi
accelerati):
– quei soggetti passivi che effettuano in modo prevalente operazioni attive con aliquote inferiori
a quelle degli acquisti;
– quei soggetti passivi le cui operazioni attive siano costituite per almeno il 25% da operazioni
non imponibili.
PRINCIPIO DI TERRITORIALITA'
Altro principio dell'IVA è la territorialità, per cui sono definite:
– interne le operazioni svolte all'interno del territorio dello Stato tra soggetti residenti;
– intracomunitarie (dal 1993) le operazioni svolte tra soggetti residenti in altri stati appartenenti
all'UE;
– extracomunitarie le operazioni svolte con soggetti residenti fuori dall'UE.
La territorialità è conditio sine qua non dell'imponibilità, per cui rilevano le sole operazioni interne –
ed in particolare, sulla localizzazione delle operazioni rileva:
– per cessione di beni, il luogo dove avviene la cessione;
– per i servizi, il luogo di residenza/domicilio di chi effettua il servizio.
LE OPERAZIONI EXTRACOMUNITARIE
LE IMPORTAZIONI
Le importazioni di beni e servizi sono operazioni imponibili IVA.
L'IVA all'importazione viene accertata, liquidata e riscossa secondo le norme della legislazione
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doganale: ha come base imponibile il valore della merce determinato secondo le disposizioni
doganali aumentato degli oneri accessori (diritti doganali, spese di importazione, ecc.).
LE ESPORTAZIONI
Le esportazioni sono operazioni non imponibili (“operazioni ad aliquota zero”), in quanto manca
il requisito della territorialità: così come le operazioni imponibili, le esportazioni danno diritto alla
detrazione delle imposte dovute o pagate sulle operazioni a monte.
OPERAZIONI TRIANGOLARI
Le operazioni triangolari sono quelle in cui il cedente residente esporta al cessionario non residente
avvalendosi dell'intermediazione di un esportatore con un passaggio fisico dei beni direttamente allo
straniero: in tal caso l'IVA non si applica né all'esportatore né al cedente pur essendoci due passaggi
di proprietà.
OPERAZIONI INTRACOMUNITARIE
Dal 1993, gli scambi intracomunitari non sono più considerati importazioni od esportazioni in senso
tecnico ma acquisti intracomunitari e cessioni intracomunitarie.
La disciplina degli acquisti intracomunitari differisce dalle importazioni in quanto l'IVA non è riscossa
alla Dogana al momento dello sdoganamento: il soggetto passivo IVA che cede il bene emette fattura
su cui l'operazione è indicata come “non imponibile”; l'imposta è dovuta dall'acquirente che
l'autoliquiderà sulla base della fattura estera (la fattura estera andrà annotata sia sul libro delle fatture
emesse che su quello degli acquisti, e tale annotazione varrà in luogo del pagamento dell'imposta in
dogana).
Qualora il cessionario sia un consumatore finale, l'operazione è imponibile a carico del venditore
soggetto IVA (nel proprio paese di origine): la transazione avviene all'interno del mercato nazionale
dell'operatore ed il consumatore paga quivi l'imposta sul consumo.
Per impedire abusi e distorsioni alla concorrenza, il regime degli acquisti intracomunitari è esteso
anche in ipotesi in cui manchino i requisiti oggettivi o soggettivi previsti: ad esempio, l'acquisto di
automobili è considerato “acquisto intracomunitario in senso tecnico” anche nei rapporti tra i privati
(che sono quindi tassati con le aliquote previste nel paese di destinazione).