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CAPITOLO 1: “I TRIBUTI”

1. La nozione di tributo
Nel linguaggio ordinario i termini tributo, imposta, tassa e contributo sono sinonimi. Nel linguaggio
giuridico non esistono definizioni del termine tributo, per cui è necessario attribuirgli il significato
dottrinale e giurisprudenziale.
Il tributo:
- comporta il sorgere di un'obbligazione o altra forma di decurtazione patrimoniale
- i suoi effetti sono definitivi e irreversibili
- si caratterizza per la coattività, ossia è sempre imposto da un atto dell'autorità
- è destinato a finanziare spese di interesse generale. Di regola il gettito dei tributi non ha una
destinazione prestabilita, ma vi possono essere tributi con destinazione specifica chiamati tributi di
scopo.
Non ha rilievo, per la definizione di tributo, il motivo per cui è istituito.

2. Imposte, tasse e contributi


Tributo è un termine che indica un genus, comprendente imposte, tasse e contributi; taluni aggiungono i
monopoli fiscali.
Per quanto riguarda la distinzione tra imposte e tasse, essendovi spese pubbliche indivisibili e divisibili, le
entrate destinate a finanziare le spese indivisibili sono imposte, quelle destinate a finanziare spese divisibili
sono tasse.
• Imposta → Tributo per eccellenza. Il presupposto dell'imposta è un fatto economico posto in essere
dal soggetto passivo, senza alcuna relazione specifica con una determinata attività dell'ente pubblico
(es. conseguimento di un reddito, possesso di un bene). Le imposte sono dovute a titolo di solidarietà
( art. 2 e 53 cost.) e sono commisurate alla dimensione economica del presupposto.
• Tassa → ha come presupposto un atto o un’attività pubblica, ossia l'emanazione di un
provvedimento, o lo svolgimento di un servizio pubblico, specificatamente riguardanti un
determinato soggetto. La distinzione tra servizi pubblici alla cui prestazione è collegato il pagamento
di una tassa, e servizi pubblici per i quali è dovuto il pagamento di un corrispettivo non dipende dalla
natura del servizio, ma dal suo regime giuridico. La prestazione imposta coattivamente è una tassa,
invece se ha base contrattuale avrà natura privatistica. Nella tassa, non vi è un rapporto
sinallagmatico, o di corrispettività, tra prestazione tributaria e attività pubblica. Ciò spiega perché ci
sono tasse, correlate ad un servizio pubblico, che sono dovute anche nel caso in cui il servizio non è
concretamente utilizzato, ad esempio la tassa sulla raccolta dei rifiuti.
• Contributo → è denominato contributo o tributo speciale il tributo che ha come presupposto
l'arricchimento che determinate categorie di soggetti ritraggono dall'esecuzione di un'opera pubblica
destinata, di per sè, alla collettività in modo indistinto (es. incremento di valore degli immobili). I
contributi sono anche le prestazioni dovute a determinati enti per il loro funzionamento o per i loro
fini istituzionali, come il contributo annuale degli avvocati al Consiglio Nazionale Forense.

- Taluni includono tra le entrate tributarie anche i Monopoli fiscali → se la definizione di tributo è
imperniata sui suoi caratteri strutturali il monopolio fiscale non è un istituto tributario. Ciò che si paga per
l'acquisto di un genere di monopolio non è un tributo, ma il corrispettivo di un contratto di compravendita.
Se invece si ha riguardo alla funzione fiscale dei tributi (procacciare entrate all’ente pubblico) anche il
monopolio è un tributo, quando ha per scopo di procurare entrate.

3. Le nozioni in uso nella giurisprudenza


Esistono molteplici concetti di tributo a seconda delle diverse norme a cui esso deve essere applicato. La
giurisprudenza costituzionale, riguardo all'art 75 Cost, che vieta referendum abrogativo delle leggi tributarie,
afferma che la nozione di tributo è caratterizzata dalla ricorrenza dei 2 elementi essenziali:
1) l'imposizione di un sacrificio economico individuale realizzata attraverso un atto autoritativo di
carattere ablatorio
2) la destinazione del gettito allo scopo di apprestare i mezzi per il fabbisogno finanziario necessario a
coprire le spese pubbliche

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Viene quindi affermato un concetto di tributo comprensivo anche dei contributi previdenziali e del
contributo per il servizio sanitario.
La giurisprudenza ordinaria considera tributarie tutte le prestazioni imposte in via coattiva, ossia senza il
consenso dell'obbligato, purché non rappresentino il corrispettivo sinallagmatico di una prestazione dell'ente
impositore e siano destinate a finanziare le spese pubbliche in genere o una determinata spesa pubblica.

CAPITOLO 2: “LE FONTI”

1. “La riserva di legge”


L’art 23 Cost dispone che “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base
alla legge”. La norma racchiude in sé una riserva di legge e riproduce un principio classico delle democrazie
liberali ( no taxation without representetion). I problemi esegetici posti dall’art 23 Cost sono 3:

1)Nozione di legge → il termine legge viene assunto per indicare non soltanto la legge statale ordinaria, ma
anche gli atti aventi forza di legge (decreti legge e decreti legislativi, ma anche le leggi regionali). La riserva
di legge non impedisce che in materia tributaria possano esservi fonti dell'Unione Europea, le quali non si
pongono in contrasto con la riserva di legge.

2)Nozione di base legislativa → La riserva dell'art 23 cost è relativa, cioè la legge si limita a disciplinare le
linee fondamentali della materia, rimettendone il completamento a norme di rango inferiore: infatti è
richiesta soltanto una base legislativa. Secondo la giurisprudenza costituzionale la legge deve stabilire i
soggetti passivi, il presupposto e la misura del tributo. In particolare, la legge deve fissare la base imponibile
e l’aliquota, ma l’art 23 è rispettato anche quando la legge si limita a fissare criteri e limiti idonei a
delimitare ed orientare le scelte fatte con fonti regolamentari. La riserva di legge non riguarda tutte le norme
tributarie ma solo quelle di diritto sostanziale. L’art. 23 Cost non riguarda le norme formali (procedurali
processuali). Oggetto della riserva di legge sono solo le norme impositrici , cioè le norme che definiscono i
soggetti passivi, il presupposto, la base imponibile e la misura del tributo.

3)Nozione di prestazione imposta → l’art 23 comprende non solo i tributi, ma tutte le prestazioni personali
e patrimoniali imposte. Una prestazione è da considerare imposta quando viene imposta con un atto
autoritativo i cui effetti sono indipendenti dalla volontà del soggetto passivo e nei casi in cui l'obbligazione,
pur nascendo da un contratto, costituisca corrispettivo di un servizio pubblico, che soddisfi un bisogno
essenziale e sia reso in regime di monopolio. La corte considera prestazioni imposte anche i corrispettivi di
fonte contrattuale in tutti i casi in cui vi siano dei profili autorizzativi nella disciplina delle contrapposte
prestazioni e quando il corrispettivo è fissato unilateralmente e al privato è rimessa solo la libertà di
richiedere o non richiedere la prestazione ( in altri termini l’art. 23 riguarda anche le tariffe e i corrispettivi
dei servizi pubblici essenziali).

2. Leggi tributarie e aiuti di stato


Fonti del diritto tributario sono, principalmente, le leggi e gli altri atti aventi valore di legge. Nessuna
peculiarità presentano la formazione e l’approvazione delle leggi ordinarie dello Stato, quando contengono
norme di imposizione tributaria. Si applicano gli artt 70 e ss della Cost., ma le leggi tributarie non possono
essere abrogate con referendum popolare, perché potrebbero prestarsi ad operazioni di facile demagogia con
ripercussioni sull’equilibrio del bilancio. Le leggi che contengono disposizioni di favore, potendo
configurarsi come aiuti di Stato, devono essere autorizzate dalla Commissione europea. Essa, se ritiene che
un progetto non sia compatibile con il mercato interno, inizia senza indugio la procedura di controllo. Lo
Stato membro interessato non può dare esecuzione alle misure progettate prima che la procedura sia giunta
conclusa (clausola di stand still).

2.1 Lo statuto dei diritti del contribuente


Importanti disposizioni in materia tributaria sono contenute nello Statuto dei diritti del contribuente,
approvato con L. 27 luglio 2000, n. 212. Gli articoli dello statuto vanno distinti in 2 gruppi: il primo
concerne la legge tributaria (artt. 1-4), il secondo disciplina i rapporti fisco/contribuente (artt. 5 e ss). L’art 1
stabilisce che lo Statuto si pone “in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione” e che è

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portatore di “principi generali dell’ordinamento tributario”. La qualificazione delle norme dello Statuto come
principi generali ha valore per l’interpretazione delle leggi tributarie: le norme dello Statuto sono criteri-
guida vincolanti per l’interprete. Il suo auto qualificarsi come legge di attuazione costituzionale non significa
che le sue disposizioni integrino quelle costituzionali o che hanno rango costituzionale. Le sue norme sono
norme “interposte” tra le fonti costituzionali e le norme ordinarie, ma comunque è una legge ordinaria.
L’art 1 comma 2 prevede che “le disposizioni della presente legge possono essere derogate o modificate solo
espressamente e mai da leggi speciali”. Si pongono in deroga all’art 15 delle preleggi, non valendo per esse
nella parte in cui prevede l’abrogazione “per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti”.
Inoltre l’art 15 è derogato anche in tema di abrogazione espressa, perché le norme dello Statuto non possono
essere abrogate da leggi speciali ma solo da leggi generali. Concernono le fonti, nello Statuto, anche l’art 2
(chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie), l’art 3 (efficacia temporale delle norme tributarie) e
l’art 4 (utilizzo del decreto-legge in materia tributaria). Lo statuto è una legge ordinaria, non è invalida una
deroga allo Statuto contenuta in un atto con forza di legge, Una legge ordinaria come lo statuto non può
“rafforzare” l’efficacia delle proprie disposizioni e limitare la funzione legislativa.

2.2 I decreti legge


La funzione legislativa spetta al Parlamento, ma il Governo può emanare decreti con forza di legge, ossia
decreti legge e decreti legislativi.
I decreti legge sono “provvedimenti provvisori con forza di legge”, che possono essere adottati “in casi
straordinari di necessità e urgenza”; hanno efficacia dal giorno della pubblicazione e perdono efficacia se
non sono convertiti in legge entro 60 giorni dalla pubblicazione, ma il legislatore può disciplinare
retroattivamente i rapporti giuridici sorti dal decreti legge non convertiti (art.77 Cost). Secondo l’art 4 dello
Statuto “non si può disporre con decreto legge l’istituzione di nuovi tributi né prevedere l’applicazione di
tributi esistenti ad altre categorie di contribuenti”. I decreti legge vengono utilizzati molto in materia
tributaria per la loro celerità.

2.3 I decreti legislativi


Il Parlamento può delegare al Governo l’esercizio della funzione legislativa “con determinazione dei principi
e criteri direttivi e soltanto per un tempo limitato e per oggetti definiti” (76 cost). Il legislatore ricorre spesso
al meccanismo della delega perché le norme tributarie, essendo caratterizzate da elevato tecnicismo, mal si
prestano ad essere elaborate e discusse in sede parlamentare. Il Parlamento si limita, perciò, a fissare nella
legge di delega i principi e i criteri direttivi, mentre l’esecutivo predispone il decreto delegato.

2.4 I testi unici


Il testo unico è un testo normativo caratterizzato da un particolare contenuto, ossia la raccolta e
l’unificazione di norme, relative alla stessa materia. Di solito sono oggetto di decreti legislativi. Dal punto di
vista formale, possiamo avere testi unici contenuti in leggi, in decreti legislativi o in regolamenti; dal punto
di vista del contenuto, i testi unici possono essere meramente compilativi o innovativi.

3. La potestà legislativa delle regioni


Secondo l’art. 117 co. 1 Cost., la potestà legislativa è ripartita tra stato e regioni. Lo Stato ha potestà
legislativa esclusiva in materia di sistema tributario e contabile dello Stato e di perequazione delle risorse
finanziarie (117 co 2 cost).
La potestà regionale assume due connotazioni:
• potestà concorrente → la potestà regionale trova un limite nei principi fondamentali fissati da
leggi dello Stato (117 co 3 cost). Comprende il coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario (finanza, tributi regionali e locali)
• potestà residuale → comprende le materie che non sono riservate alla competenza esclusiva
dello Stato
L’art 119 Cost prevede che regioni ed enti locali “stabiliscono ed applicano tributi propri, in armonia con la
Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”. Il
termine “stabilire” ha valenza diversa a seconda che sia riferito alle regioni o agli enti locali, perché solo le
regioni sono dotate di potestà legislativa. Le regioni possono legiferare in materia di tributi regionali e locali
ma nell’ambito segnato dai principi fondamentali e dei principi di coordinamento della finanza pubblica e
del sistema tributario fissati dalle leggi statali (att. 117 e 119 cost). Spetta allo Stato il compito di indicare i
principi fondamentali, quali sono gli oggetti imponibili e quali tributi possono essere oggetto di legislazione
regionale.

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In materia di tributi locali non vi è una riserva espressa a favore dello Stato o delle regioni. Possono esservi
quindi tributi locali creati e disciplinati da leggi statali e tributi locali creati e disciplinati da leggi regionali.

I regolamenti delle regioni, delle province e dei comuni


La riserva di legge in materia di prestazioni imposte ex art 23 non è solo riserva di legge statale, ma riserva
statale e regionale. Le regioni hanno potestà regolamentare generale, con esclusione delle materie
appartenenti alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. Gli enti locali, non avendo potestà legislativa,
possono disciplinare con regolamento i tributi propri, ma in via secondaria, con norme attuative o
integrative delle norme primarie, contenute in leggi statali o regionali. Gli enti locali non possono disporre
in materia di fattispecie imponibili, soggetti passivi e aliquota massima. L’art. 52 dlgs 446/1997 disciplina
la potestà regolamentare delle province e dei comuni, stabilendo che tale potestà può avere per oggetto, in
generale, le entrate tributarie.

4. I regolamenti
La potestà regolamentare è disciplinata dalla l. 400/1988, secondo la quale i regolamenti governativi sono
deliberati dal CdM, dopo aver sentito il parere del consiglio di stato.
Tali regolamenti disciplinano:
- l’esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi (regolamenti esecutivi)
- l’attuazione e l’integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio
(regolamenti attuativi e integrativi)
- le materie in cui manchi la disciplina da parte di leggi o di atti aventi forza di legge (regolamenti
indipendenti)
- l’organizzazione e il funzionamento delle amministrazioni pubbliche (regolamenti organizzatori) In questi
casi il governo dispone di una potestà regolamentare generale.
- l’organizzazione del lavoro e i rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti in base agli accordi sindacali.
In questi casi il governo dispone di potestà regolamentare generale, esercitabile anche senza specifica
autorizzazione legislativa.
L’art. 17 co 2 contempla i regolamenti delegati, con cui si attua il fenomeno della c.d. delegificazione.
Secondo tale disposizione il governo è titolare di una potestà esercitabile previa autorizzazione legislativa
nelle materie non coperte da riserva assoluta di legge; le leggi autorizzando tale potestà legislativa
“determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l’abrogazione delle norme vigenti,
con effetto dall’entrata in vigore delle norme regolamentari”.
Dato che il diritto tributario sostanziale è oggetto di una riserva relativa di legge, possono aversi, in tale
materia:
- regolamenti esecutivi, che possono essere emessi anche in assenza di apposita norma autorizzativa, e
- regolamenti delegati, che possono essere emessi in base ad una norma espressa, purché la legge detti la
disciplina di base della materia.
I regolamenti attuativi e integrativi non sono ammissibili in diritto tributario per le materie coperte da riserva
di legge. In tali materie, una norma di legge che si limiti ad indicare soltanto i principi non potrebbe essere
integrata o attuata da un regolamento; i regolamenti in esame possono essere ammessi solo per quella parte
di disciplina di un tributo non coperta da riserva di legge. Nella materia coperta da riserva di legge ex art. 23
cost., non sono ammessi regolamenti c.d. indipendenti. I regolamenti ministeriali sono adottati nelle materie
di competenza di un singolo ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Anche i
regolamenti ministeriali e interministeriali sono adottati previo parere del Consiglio di Stato, sono soggetti al
visto e alla registrazione della Corte dei Conti e sono pubblicati in Gazzetta Ufficiale. Spesso le leggi
autorizzano il ministro ad emanare decreti “non aventi valore regolamentare”. In tal modo, non viene seguita
la procedura prevista per i decreti con valore di regolamento.

4. Il diritto dell’Unione europea


L’Italia ha trasferito all’UE, in base all’art 11 Cost, l’esercizio dei poteri normativi nelle materie oggetto dei
Trattati. L’ordinamento UE ha una posizione di primato rispetto a quello nazionale. Nelle materie di sua
competenza valgono le sue norme, non quelle nazionali. In caso di incompatibilità le norme nazionali non
devono essere applicate. Le basi del diritto UE sono: il TUE, il TFUE e la Carta di Nizza dei diritti
fondamentali dell’UE.

Diritto europeo derivato: costituito dagli atti normativi emessi dagli organi dell’unione. Essi sono:

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• Regolamenti → hanno portata generale, sono obbligatori in tutti i loro elementi e sono direttamente
applicabili negli ordinamenti degli Stati membri (288 TFUE).Entrano immediatamente in vigore in
tutti gli stati dell’unione, rendendo non più applicabili le norme nazionali.
• Direttive → vincolano gli Stati membri per quanto riguarda il risultato da raggiungere, mentre è
rimessa alla discrezionalità dei singoli Stati l’adozione degli strumenti e dei mezzi per raggiungerlo,
288 TFUE. Scaduto il termine, entro cui gli Stati devono attuare le direttive, le disposizioni precise e
incondizionate (contenute nelle direttive) acquistano efficacia diretta nell’ordinamento dello Stato
inadempiente. Se gli stati non adottano norme di recepimento viene riconosciuto alle direttive il c.d.
effetto diretto, quando contengono disposizioni precise, incondizionate, la cui applicazione non
richiede l’emanazione di disposizioni ulteriori (self executing). Gli Stati non possono opporsi,
invocando norme nazionali contrarie al diritto comunitario.
• Decisioni → atti dell’UE che riguardano casi specifici, hanno effetto diretto e sono obbligatori per i
destinatari in esse indicati.

5. Le convenzioni internazionali e la CEDU


Nel diritto internazionale vi sono norme tributarie che derivano da convenzioni la cui ratifica, a norma
dell’art 80 Cost, deve essere autorizzata con legge. Secondo l’art 117 Cost il legislatore deve rispettare “i
vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Le norme di legge, che non
rispettano gli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali non sono disapplicabili, ma incostituzionali.
Le convenzioni internazionali in materia tributaria riguardano soprattutto la doppia imposizione dei redditi,
dei patrimoni, delle successioni e i dazi. Di regola, le norme delle convenzioni, in quanto norme speciali,
prevalgono sulle norme interne. Nei casi in cui la norma interna sia più favorevole di quella del trattato si
applica quella interna.

6. Efficacia delle norme tributarie nel tempo


Le leggi e i regolamenti entrano in vigore a partire dal 15esimo giorno successivo alla pubblicazione nella
Gazzetta ufficiale, che segue, per le leggi, all’approvazione parlamentare e alla promulgazione da parte del
presidente della Repubblica. Di regola la data di entrata in vigore è anche la data a partire dalla quale inizia
l’efficacia. Vi possono però essere casi in cui entrata in vigore ed efficacia non coincidono; si tratta dei casi
in cui il momento dell’entrata in vigore indica soltanto che un testo normativo è perfetto e vale come tale, ma
i suoi effetti sono differiti o retroagiscono.
L’art 11 delle preleggi dispone l’irretroattività delle leggi; l’art 3 dello Statuto, ribadito il principio di
irretroattività, pone le seguenti regole in materia di efficacia nel tempo:
- le modifiche dei tributi periodici si applicano dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data in
cui entrano in vigore (cd. piccola retroattività). La norma si riferisce a modifiche peggiorative per il
contribuente.
- le nuove disposizioni non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia
fissata anteriormente al 60esimo giorno dalla data della loro entrata in vigore. La regola generale è
l’irretroattività ma può essere derogata da altre norme di legge. Invece, i regolamenti non possono derogare
all’art 11 delle preleggi e possono essere retroattivi solo se una norma di legge lo consente espressamente.
La retroattività può concernere:
• la fattispecie dell’imposta → quando viene istituito un tributo che colpisce fatti del passato

• gli effetti dell’imposta → quando ad un fatto che si verifica dopo l’entrata in vigore della legge
sono collegati effetti che invece riguardano il passato
• entrambi → quando la nuova legge considera fatti del passato ed a tali fatti collega effetti ex tunc
Ciascuna legge regola i fatti che si verificano dopo la sua entrata in vigore. Di solito, il legislatore risolve i
problemi che si pongono in caso di successione di leggi con norme apposite. Le norme procedimentali e
processuali sono, di regola, norme ad applicazione immediata, cioè norme che si applicano anche ai processi
e ai procedimenti in corso di svolgimento al momento dell’entrata in vigore delle nuove norme, pur se il
procedimento o il processo riguarda fatti accaduti in precedenza. Talvolta le nuove leggi si applicano solo a
fatti successivi all’entrata in vigore della legge, ciò dipende dalla correlazione tra norme sostanziali di un
dato tributo e norme relative alla sua applicazione.
In caso di overruling (mutamento giurisprudenziale di un orientamento consolidato) la nuova
interpretazione di norme sostanziali vale anche per i fatti pregressi, mentre quella di norme
processuali non può avere effetto su atti compiuti in precedenza. Le leggi cessano di essere efficaci
quando sono:

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