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Diritto Tributario
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
173 pag.
Introduzione:
Il diritto tributario ha una forte connessione con le molteplici branche del diritto, non solo dal punto di vista
sostanziale (rappresentando il richiamo ad istituti appartenenti ad altri rami del diritto) ma anche dal punto di
vista procedimentale, sanzionatorio e processuale.
Il diritto tributario costituisce infatti una disciplina orizzontale, nel senso che si rivolge a rapporti e situazioni
per lo più già disciplinati altrove e ricorre ai tradizionali strumenti del diritto amministrativo, processuale,
penale e via dicendo per assicurare l’attuazione della pretesa tributaria.
Da un punto di vista generale, questo diritto è stato inquadrato nell’ambito del diritto pubblico e in particolare
del diritto amministrativo.
Si è affermato in particolare che la legge attraverso la quale è esercitata la potestà tributaria determinerebbe
il sorgere di rapporti giuridici di indole amministrativa tra lo Stato o un altro ente pubblico titolare del diritto
al tributo e i soggetti passivi dell’obbligazione tributaria dall’altro. Tali rapporti troverebbero la loro
collocazione nel diritto amministrativo, dal momento che in esso si rinviene la disciplina delle funzioni degli
organi pubblici diretti al conseguimento di uno specifico fine dell’ordinamento che, nel caso dei diritto
tributario, coincide con il reperimento delle entrate necessarie al soddisfacimento degli interessi pubblici.
Il diritto tributario sarebbe cioè formato in gran parte da categorie giuridiche appartenenti al diritto
amministrativo —> Innanzitutto bisogna dire che la giurisprudenza è incline ad applicare i principi generali del
diritto amministrativo al diritto tributario, in tal senso ha, ad esempio, dichiarato applicabile la l. 240/90
all’attività di esazione esattoriale, nonché ha ritenuto che la totale inosservanza dell’art.3 della l. 240/90 (che
impone di indicare in ogni atto notificato al destinatario l’autorità a cui è possibile ricorrere contro l’atto stesso
e il relativo termine) da parte dell’Amministrazione, comporti il riconoscimento della scusabilità dell’errore in
cui sia eventualmente incorso il destinatario nell’individuazione dell’autorità Amministrativa (e non
giudiziaria) cui rivolgersi per l’impugnazione dello stesso provvedimento. Risultando altrimenti leso
l’affidamento che il destinatario ripone nel corretto operare dell’Amministrazione e la stessa possibilità di
tutela giurisdizionale garantita dall’art. 24 Cost.
Inoltre, quasi sempre alla base base della fattispecie imponibile vi è una fattispecie di diritto privato (contratto,
donazione, successione, ecc…) assunta quale fattispecie che produce il risultato dell’applicazione del tributo:
da qui la qualificazione della norma tributaria quale norma di secondo grado, che si limita ad assumere atti o
fatti eventualmente già qualificati ad altri fini da norme di altri settori dell’ordinamento, come presupposto
dell’imposta.
Il diritto tributario ha anche numerosi punti di contatto con altre branche dell’ordinamento:
Innanzitutto il diritto costituzionale. Vi sono, infatti, in Costituzione numerose norme che interessano il
fenomeno tributario —> l’art. 23 Cost. (che contiene il principio di riserva di legge) + art. 53 Cost. (che
contiene il principio di capacità contributiva) + art. 2 (dovere di solidarietà) + art.3 (principio di eguaglianza,
nel duplice profilo formale e sostanziale) + art. 14 (che tutela la sfera personale del cittadino e quindi anche
del contribuente) + art. 25 (riserva di legge in materia penale) + art 41 (libertà di iniziativa economica
privata) + art. 75 (che vieta il referendum in materia tributaria) + art. 81 (equilibrio del bilancio) + artt. 117
e 119 (che attengono alla ripartizione della potestà impositiva fra Stato, Regioni e altri enti territoriali)…
Abbiamo poi collegamenti con il diritto europeo, esistono infatti i tributi “armonizzati”, la cui disciplina è di
origine europea (IVA e tributi doganali) e alla quale deve uniformarsi la disciplina nazionale. Il diritto europeo
ha però anche riflessi sui tributi NON “armonizzati”: l’imposizione diretta (pur rientrando nell’esclusiva
competenza degli ordinamenti nazionali) deve rispettare i divieti di discriminazione (intesa come diverso
trattamento tra residenti e non), di restrizione (cioè ostacoli posti all’esercizio di una libertà fondamentale da
parte di un proprio residente in direzione di un altro Stato membro) e di aiuti di Stato (intesi come agevolazioni
fiscali riservate a talune imprese o talune produzioni).
Infine, per quanto attiene al diritto finanziario, va premesso che lo Stato (e più in generale gli enti pubblici)
hanno necessità di mezzi finanziari per poter operare. Questi mezzi finanziari derivano da una duplice fonte:
in primo luogo, dall’attività iure gestionis —> lo Stato da un lato dispone di un proprio patrimonio che
amministra e dal quale ricava gli introiti, dall’altro gestisce attività economiche in regime privatistico (anche
in via indiretta, tramite partecipazioni in società); in secondo luogo, dall’attività iure imperii —> lo Stato si
procura la stragrande maggioranza dei mezzi finanziari acquisendo ricchezza dai cittadini, soprattutto
attraverso i tributi.
All’interno del diritto finanziario si distinguono due distinti ambiti di studio:
- La contabilità di Stato, che riguarda l’amministrazione del patrimonio e la contabilità in generale dello
Stato;
- Il diritto tributario, che disciplina quella specifica attività dello Stato diretta a procurarsi i mezzi finanziari
occorrenti per il raggiungimento delle proprie finalità. Esso però può avere finalità redistributive della
ricchezza (la redistribuzione può avviarsi già nella fase del prelievo, per poi seguire nella fase della spesa;
oppure finalità promozionali, potendo diventare uno strumento di politica fiscale per promuovere
determinate istituzioni o attività; oppure ancora, finalità disincentivanti, può cioè assumere la funzione di
indirizzo dei comportamenti dei contribuenti al fine di promuoverne alcuni e disincentivarne altri.
In terzo luogo, si pensi alla particolare disciplina che caratterizza l’obbligazione tributaria. Il Fisco infatti gode
di una posizione privilegiata nella fase di attuazione del rapporto impositivo: esso emana atti autoritativi a
contenuto impositivo, è titolare della “autotutela esecutiva”, nel senso che può auto-costituirsi il titolo
esecutivo, può poi procedere all’irrogazione delle sanzioni, dispone di poteri particolarmente pregnanti nella
fase dell’esecuzione forzata anche in deroga a quelli ordinariamente spettanti ad un creditore privato.
In quarto luogo, la presenza di un tributo può determinare l’inapplicabilità di alcuni principi o regole
altrimenti previste. ES: quanto disposto dagli artt. 13 e 20 della l. 241/1990, che escludono rispettivamente i
procedimenti tributari dalle disposizioni relative alla partecipazione la procedimento amministrativo e il diritto
di accesso nei procedimenti medesimi.
In quinto luogo, si pensi a quanto disposto dall’art. 182ter della Legge Fallimentare, in tema di transazione
fiscale, ove è previsto che nel piano di concordato preventivo il debitore possa proporre il pagamento parziale
dei “tributi amministrati dalle agenzie fiscali”, oppure dall’art. 2753 co.3 cc., che riconosce il privilegio per i
crediti di natura tributaria.
Infine, un ulteriore riferimento ai tributi può essere contenuto in disposizioni di legge e di altri atti normativi,
trattati internazionali, contratti (ES: le clausole contrattuali che accollano ogni onere fiscale esistente e futuro
in capo al datore di lavoro o committente).
Secondo la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, la categoria del tributo non rileva invece ai fini
dell’applicazione dell’art. 53 Cost., relativo alla capacità contributiva (applicabile alle sole imposte e non
anche all’intera categoria dei tributi).
Art. 53 Cost:” Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.
Il nostro ordinamento non contiene alcuna definizione di tributo, perciò al fine di precisarne la nozione, si può
partire dalla classificazione delle entrate dello Stato: innanzitutto, i mezzi finanziari di cui lo Stato necessita
per la propria esistenza possono derivare: dall’indebitamento, dalla gestione del proprio patrimonio o
dall’esercizio (anche indiretto) di attività economiche, oppure ancora da prelievi di carattere coattivo.
Escludendo l’indebitamento, nel caso di entrate di diritto privato (ossia quelle derivano dalla gestione del
proprio patrimonio) lo Stato amministra il proprio patrimonio e svolge attività economiche o partecipa al
La Corte Costituzionale ha invece delineato una definizione in “positivo” di tributo, affermando che i criteri a
cui far riferimento, per qualificare come tributari alcuni prelievi, consistono:
1) Nella doverosità della prestazione, in mancanza di rapporto sinallagmatico tra le parti;
2) Nel collegamento di tale prestazione con la pubblica spesa, in relazione a un presupposto
economicamente rilevante.
Viene così sottolineato dalla Corte il connotato finalistico del tributo, costituito dal collegamento della
prestazione (ergo, dal concorso) alla pubblica spesa, che essa è destinata a finanziare.
Questo connotato finalistico pone in rilievo due ulteriori aspetti:
In primo luogo, esso evoca il tentativo da parte della dottrina di declinare il concetto di tributo in “positivo”,
partendo dal principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost. —> si tratta tuttavia di una tesi criticata da altra
dottrina, la quale sottolinea che l’art. 53 Cost. attiene ai requisiti di legittimità costituzionale di un tributo e
non anche alla sua esistenza in quanto tale, anche se, in realtà, l’elemento caratterizzante ai fini definitori non
consiste nel requisito della capacità contributiva, quanto più nel concorso alle pubbliche spese, menzionato
dallo stesso art. 53.
In secondo luogo, esso si collega poi alla questione se a definire il concetto di tributo concorra il suo scopo,
consistente nella finalità di procurare entrate allo Stato. Esistono così tributi con finalità “extra-fiscali” per
indirizzare certi comportamenti (ES di tributi di indirizzo: le imposte per scoraggiare il fenomeno delle case
sfitte o per disincentivare produzioni o consumi idonei a generare effetti dannosi sull’ambiente o sulla salute)
oppure per agevolare determinati soggetti o attività; oppure tributi di scopo (o assegnati alla spesa)
caratterizzati da una destinazione ex ante del relativo gettito al finanziamento di determinate attività o opere
(ES: un tributo gravante su imprese operanti in un determinato settore il gettito sia destinato a finanziare
attività loro destinate oppure a finanziare determinate spese pubbliche (ambientali); oppure un tributo
gravante su una determinata collettività locale il cui gettito sia utilizzato per costruire opere pubbliche, la cui
utilità ridondi indistintamente a favore di questa).
Alla definizione di prestazione patrimoniale imposta è riconducibile il concetto di TRIBUTO: esso deriva, infatti,
da un atto di autorità e determina un sacrificio di natura patrimoniale in capo al contribuente.
Esso si distingue tuttavia dalle altre tipologie di prestazioni imposte, per non avere funzione sanzionatoria o
risarcitoria, non si inserisce mai in un contesto negoziale e il destinatario è sempre lo Stato o un altro ente
pubblico (i quali, per tale via, acquisiscono i mezzi finanziari di cui hanno bisogno). Tuttavia, per la natura
soggettiva (riferita cioè al soggetto che effettua la spesa) e oggettiva (cioè la spesa rispondente all’interesse
generale dei consociati) non si può escludere che il tributo possa essere anche destinato ad un soggetto privato
(ES: canone RAI —> la Corte ha qualificato tale canone come “imposta di scopo” e ha respinto l’eccezione di
incostituzionalità fondata sulla natura di ente di diritto privato della RAI).
Non può però escludersi che ai fini di talune norme possa identificarsi una nozione di tributo diversa: com’è
avvenuto con riferimento all’art. 75 Cost.dove è stato affermato un concetto di legge tributaria comprensiva
anche dei contributi di tipo previdenziale e assistenziale (contributo al SSN), la cui riconducibilità tra tributi è
invece è tutt’altro che pacifica.
• La Corte di Cassazione (2011) si è pronunciata sulla natura giuridica del contrassegno SIAE, considerato
di natura tributaria e quindi di competenza del giudice tributario, sembra però essersi orientata verso
l’accoglimento dei principi e dei criteri stabiliti dalla Corte Costituzionale. Secondo la Corte di
Cassazione la funzione del contrassegno è quella di autenticazione del prodotto ai fini della sua
commercializzazione, in modo da garantire al consumatore che il prodotto acquistato è legittimo e
non un prodotto “pirata”. Si tratta di una funzione prevalentemente pubblica a vantaggio della
collettività e non del richiedente che ne sopporta il costo; il che spiega l’obbligatorietà ex lege del
contrassegno. Inoltre, il costo è assunto dal richiedente e assume i connotati di una imposta di scopo,
destinata a finanziare la spesa per l’esercizio della specifica attività di controllo affidata alla SIAE.
Infine, le Sezioni Unite della Cassazione hanno evidenziato in primo luogo (e modificando il loro
precedente orientamento) che è in ogni caso irrilevante il nomen iuris attribuito dal legislatore alla
prestazione patrimoniale imposta, in secondo luogo, la Corte valorizza i criteri assunti dalla Consulta,
al fine di affermare la natura tributaria del contrassegno SIAE: i) la doverosità della prestazione (infatti
chi vuole commercializzare un supporto relativo alle opere dell’ingegno, deve richiedere il rilascio del
contrassegno pagandone il costo; ii) il collegamento della prestazione imposta alla spesa pubblica
riferita ad un presupposto economicamente rilevante (sia la legittima utilizzazione e vendita delle
opere d’ingegno sia la necessità di controllare la regolare commercializzazione delle opere).
A. LE IMPOSTE E LE TASSE.
La distinzione tra imposta e tassa è stata influenzata per molto tempo dalle elaborazioni della
scienza delle finanze, in particolare dalla distinzione tra entrate destinate a finanziare servizi divisibili
ed entrate destinate a finanziare servizi indivisibili.
In particolare, i servizi divisibili —> sono quei servizi fruibili da un singolo soggetto su base
individuale (uti singuli) in assetto commutativo (ES: trasporti), al cui onere per la loro erogazione lo
Stato farebbe fronte imponendo il pagamento delle tasse, commisurate (ed inferiori, trattandosi
Presupposto della tassa è, invece, lo svolgimento nei confronti di un determinato soggetto che le
richiede o provoca, di un’attività pubblica (consistente nell’emanazione di un determinato atto o
provvedimento amministrativo: ES: marche dovute a titolo di tassa di concessione governativa per il
rilascio del passaporto) oppure di un servizio pubblico (ES: raccolta dei rifiuti solidi urbani).
Perciò, la tassa è un tributo che il singolo soggetto è tenuto a versare in relazione ad un’utilità che
egli trae dallo svolgimento di un’attività statale e/o prestazione di un servizio pubblico svolti su
espressa richiesta del soggetto.
Essa trova la sua fonte nella legge e non nella volontà del soggetto.
Gli elementi costitutivi della tassa sono: i) la circostanza che essa è provocata dalla domanda o dal
comportamento del soggetto, infatti, solitamente il pagamento della tassa è determinato da una
domanda del soggetto, volta ad ottenere quel determinato servizio o attività. Talvolta, però, può
trattarsi di un’attività semplicemente provocata dal comportamento del soggetto, com’è il caso delle
tasse giudiziarie poste a carico dell’imputato condannato in un processo penale; ii) lo scambio di
utilità che si realizza, in questo caso il soggetto destinatario riceve normalmente un vantaggio
(beneficio) individuale dall’espletamento dell’attività o servizio. Nonostante ciò, lo scambio di utilità
non significa necessariamente che si attui un vantaggio, bensì che l’attività è rivolta solo ad uno
specifico destinatario (ES: caso delle tasse giudiziarie sopra). In più, lo scambio di utilità non
comporta l’effettiva fruizione di un servizio e dunque di un vantaggio concreto, quanto più alla mera
possibilità in astratto di fruire del servizio messo a disposizione della collettività.
La giurisprudenza tende in effetti ad escludere la decenza del tributo laddove il soffitto non sia
neanche astrattamente in grado di fruire del servizio e al contrario, ad affermarla quando vi sia
almeno la potenzialità di fruirne, indipendentemente dalla circostanza che il soggetto lo utilizzi in
concreto.
Laddove, invece, non vi sia neanche in astratto, la possibilità di usufruire del servizio, la
giurisprudenza, al fine di affermare la decenza del tributo, è stata costretta a riconoscere la natura di
imposta e non quella di tassa alla prestazione richiesta.
Ciò è avvenuto con riferimento al pagamento del CANONE RAI nelle zone oscurate, dove la Corte
Costituzionale (avendo affermato prima la sua natura di corrispettivo di diritto privato e poi di tassa)
ha infine ritenuto (1988) che si debba parlare di un’imposta di scopo correlata al possesso
dell’apparecchio televisivo, che rende possibile fruire anche dei servizi forniti da Stati esteri e dalle
emittenti private ed è dunque dovuta anche se un soggetto non possa usufruire delle trasmissioni
RAI. La Cassazione si è poi allineata alla giurisprudenza costituzionale, riconoscendo il canone dovuto
anche in caso di richiesta di oscuramento delle reti RAI e di apparecchio rotto, trattandosi di una
“prestazione tributaria fondata sulla legge e non commisurata alla possibilità effettiva di usufruire
del servizio” (2016).
Pertanto la tassa è sì correlata ad un servizio e/o attività pubblica, ma non costituisce un vero e
proprio corrispettivo nell’ottica dei rapporti sinallagmatico di stampo privatistico.
È necessario ora chiedersi qual è il fine della distinzione tra imposta e tassa.
L’importanza di tale distinzione si fonda soprattutto sulla posizione della Corte costituzionale
riguardo al principio di capacità contributiva che la Corte medesima ritiene applicabile alle imposte
e non invece alle tasse, pur costituendo queste ultime “prestazioni patrimoniali imposte” rientranti
nell’art. 23 Cost.
E con riguardo alla tutela per il contribuente dinnanzi agli eventuali abusi del legislatore in tale
materia?
Innanzitutto la tutela deve situarsi sul piano dello scambio di utilità, nel senso che qualora un tale
scambio manchi (ad ES: perché il soggetto non è neanche astrattamente in grado di fruire del
servizio o tale servizio non è stato reso tout court (in breve) per fatto imputabile al creditore) la tassa
non sarà dovuta. In secondo luogo, la tutela può investire l’ammontare della tassa, che non dovrà
essere superiore al costo del servizio reso, oppure, laddove un tale costo manchi, al suo valore
“equivalente” (ossia al valore di quella prestazione ove resa da un soggetto privato —> TOSAP: tassa
per l’occupazione spazi e aree pubbliche, in cui non vi è un servizio).
In presenza di un ammontare superiore al costo, saremo invece in presenza (PER LA PARTE
ECCEDENTE) di un’imposta, la cui legittimità dovrebbe essere apprezzata in termini di capacità
contributiva. Nulla toglie poi che il legislatore tenga direttamente conto della capacità contributiva
all’interno della stessa disciplina della tassa, è il caso ad ES: dei ticket sanitari non dovuti dai soggetti
esenti per reddito; le tasse universitarie…
Come distinguere invece una tassa da un corrispettivo di diritto privato?
Si tratta di una distinzione che rileva, oltre che ai fini della giurisdizione, anche ai fini della possibilità
di applicare l’IVA e della debenza o meno di quanto richiesto. Non vi è invece differenza ai fini
dell’applicabilità o meno dell’art. 23 Cost., ove sia prevalente l’elemento dell’imposizione legale. A
tal proposito le soluzioni proposte sono diverse: i) secondo alcuni, la distinzione riguarderebbe la
natura del servizio, nel senso che si avrebbe una tassa soltanto quando si tratta di attività proprie
dello Stato, che esercita un potere autoritativo. Nelle restanti ipotesi, in cui quei servizi che lo Stato
Fatte tutte queste analisi, bisogna proseguire nell’esame della RISERVA DI LEGGE.
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Nonostante ciò, la Corte ha comunque previsto maggiore elasticità rispetto al presupposto e ai soggetti
passivi, ammettendo che (in ipotesi di discrezionalità tecnica) ne possa essere rimessa l’integrazione anche
ad atti sub-legislativi, mediante l’individuazione di criteri e limiti idonei a indirizzare le scelte regolamentari.
In più, oltre alla fissazione del limite massimo dell’aliquota, la giurisprudenza costituzionale ha individuato i
seguenti elementi idonei a circoscrivere il potere esecutivo: i) il fabbisogno finanziario dell’ente per il
conseguimento del fine istituzionale cui è collegata l’entrata ricavabile dalla prestazione; ii) previsione di
controlli sull’atto cui la legge rimette la determinazione del restante contenuto della disciplina; iii)
l’affidamento della determinazione quantitativa ad un organo tecnico; iv) la partecipazione a tale organo dei
soggetti gravati dalla prestazione o dei loro rappresentanti, in modo da prospettare gli interessi della
categoria.
Tutto questo però (ritenendo cioè rispettata la riserva anche in assenza di un’espressa indicazione legislativa
dei criteri, limiti e controlli sufficienti a delimitare l’ambito di discrezionalità dell’amministrazione) finisce per
“svilire” il profilo della riserva di legge. Nella giurisprudenza più recente, però (2003, 2007, 2011, 2012, 2013
e 2015) si evidenzia un parziale recupero del contenuto prescrittivo della riserva, affermando che: tale
riserva richieda la preventiva determinazione di sufficienti criteri direttivi di base, di linee generali, di
disciplina della discrezionalità amministrativa.
A seguito dell’entrata in vigore della Costituzione, sono state sostenute teorie “svalutative” di questo
principio: innanzitutto si riteneva che questo articolo rientrasse tra le norme a carattere meramente
programmatico, vale a dire indicante una mera direttiva futura per il legislatore e privo di qualsiasi valore
vincolante. Si riteneva così la capacità contributiva come una “scatola vuota”, dovendo l’interprete prendere
atto del presupposto così come descritto di volta in volta dal legislatore. Altri invece rinvennero nell’art. 53
Cost.la manifestazione della teoria del beneficio, dovendo giustificare il concorso alle spese pubbliche come
una sorta di scambio tra Stato e cittadino (riferendosi appunto a manifestazioni di godimento di pubblici
servizi, in quanto tutti i presupposti di fatto delle entrate pubbliche sono costituiti da manifestazioni di tal
genere (ad esclusione degli illeciti)).
Si deve solamente alla Corte costituzionale e successivamente alla dottrina il superamento di queste teorie:
riconoscendo espressamente all’art. 53 Cost. natura precettiva.
Cominciamo ora ad analizzare l’ambito di applicazione oggettivo del principio di capacità contributiva. A tale
riguardo, la Corte costituzionale ha ritenuto che tale principio riguardi solo le imposte, in quanto relative a
prestazioni di servizi il cui costo non si può determinare in modo divisibile. Al contrario, per le tasse
(qualificabili come prestazioni divisibili per via del collegamento tra somma pagata e spesa dello Stato) l’art.
53 Cost. non troverebbe applicazione in quanto in esse partecipa alla spesa lo stesso soggetto cui la singola
attività si riferisce —> si tratta però di una posizione criticata da una parte della dottrina, la quale osserva
che l’art. 53 Cost. si limita a considerare le ipotesi di concorso alla spesa pubblica, senza distinzioni rispetto
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• Un esempio interessante dell’applicazione del principio del beneficio ai tributi locali riguarda
l’imposta di soggiorno istituita dalla Regione Sardegna e ritenuta costituzionalmente legittima dalla
Corte costituzionale nel 2008. La Corte, dopo aver premesso che il presupposto di tale imposta
regionale è individuato nel soggiorno di soggetti non iscritti all’anagrafe dei residenti nei comuni
sardi, nelle aziende o strutture ricettive, ecc…tali soggetti, proprio per effetto del soggiorno,
necessariamente fruiscono di servizi pubblici locali e regionali, ma anche del patrimonio ambientale
e culturale sardo, senza però concorrere al finanziamento dei primi e alla tutela del secondo a mezzo
di tributi. Al contrario, i soggetti residenti nel territorio sardo concorrono (nella generalità dei casi)
alle spese pubbliche connesse a tali beni e servizi: appare così corretto (sotto il profilo fiscale)
distinguere tali soggetti da quelli non residenti in Sardegna. Il legislatore regionale, nel porre
l’imposta di soggiorno in una misura non sproporzionata, a carico solo dei soggetti non residenti in
Sardegna, tratta diversamente e in modo adeguato situazioni giuridiche diverse e quindi non supera
nemmeno i limiti della ragionevolezza, stabiliti dall’art. 3 Cost.
Passiamo ora alla fase dell’imposizione: si deve innanzitutto escludere che l’interesse fiscale possa
condizionare il quantum del tributo, altrimenti si incorrerebbe in una violazione dello stesso principio di
capacità contributiva.
Per quanto attiene alla fase di attuazione del tributo, la Corte ha qualificato l’interesse alla riscossione dei
tributi come un interesse di natura generale, in quanto rende possibile il regolare funzionamento dei servizi
pubblici e che quindi giustifica discipline differenziate. Al riguardo, però, è necessaria una precisazione:
infatti, le regole che presiedono all’azione del Fisco (nella fase dell’accertamento e della riscossione) sono
solitamente caratterizzate da una deroga rispetto alle regole di diritto comune amministrativo, processuale,
ecc…tali deroghe, che connotano la particolarità del diritto tributario, sono state giustificate sia nel superiore
interesse generale, ma anche per via dell’inferiorità “conoscitiva” del Fisco rispetto al contribuente. Tuttavia,
oggi, il quadro si è profondamente mutato grazie ai sistemi informatici e i dati conoscitivi in possesso dello
stesso Fisco, tutto questo consente all’Amministrazione di agire con grande velocità. Bisogna dire però che
tutto questo avviene in deroga alle regole generali previste per un qualsiasi creditore, con forme e
tempistiche spesso incompatibili con un’efficace tutela del contribuente sul piano processuale —> e non
solo, ma risulta anche di dubbia legittimità non solo sotto il profilo dell’art. 24 Cost. (Norma volta a
garantire il contribuente dinnanzi a norme processuali che non lo tutelano adeguatamente), ma anche
sotto quello della tutela del diritto di proprietà contenuto nell’art.1 del primo Protocollo addizionale alla
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Partiamo ora dalla teoria del limite assoluto, secondo i suoi sostenitori sono espressivi di capacità
contributiva quei fatti o situazioni che rivelano direttamente o indirettamente l’esistenza di una ricchezza in
capo al contribuente. Il reddito, il patrimonio, i consumi sono indici di capacità contributiva, perché sono
indici da cui direttamente o indirettamente si desume la ricchezza dei singoli. I suoi sostenitori esaminano
l’art. 53 Cost. sulla base prevalentemente dell’art. 2 Cost. (“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti
inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede
l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”) e quindi, quale dovere
di concorrere alle spese pubbliche: un prelievo può esistere solo laddove vi sia ricchezza, laddove vi sia fonte
economica. Tale tesi identifica la capacità contributiva con la titolarità (idoneità soggettiva) di situazioni
giuridiche soggettive a contenuto patrimoniale, che consentano di estinguere l’obbligazione tributaria —>
vale a dire la possibilità per il contribuente di destinare parte del proprio patrimonio al pagamento del
tributo.
Al contrario, i sostenitori della teoria del limite relativo ragionano nell’ottica dell’art. 3 Cost.: ritengono
dunque che siano espressivi di capacità contributiva tutti quei fatti o situazioni che siano in grado di
modificare la posizione del consociato all’interno dell’ordinamento e che quindi possano essere soggetti
passivi di imposta anche coloro che pongono in essere presupposi socialmente rilevanti, purché espressivi di
una capacità differenziata economicamente valutabile. L’art. 53 Cost. avrebbe quindi una funzione di riparto
e si limiterebbe ad imporre criteri distributivi equi e ragionevoli, che possono essere anche fatti non
patrimoniali, purché naturalmente rilevabili e misurabili in denaro.
Queste due tesi sono anche strettamente collegate al tema del rapporto tra l’art. 53 Cost.e il diritto di
proprietà. Bisogna quindi capire se i sistemi fiscali debbano essere neutrali nei confronti del mercato ed
essere rispettosi della persona quale titolare di fondamentali e naturali diritti di proprietà (lasciando al
mercato stesso il compito di garantire l’ordine spontaneo delle cose) o se invece lo strumento fiscale sia uno
strumento per realizzare il riparto dei carichi pubblici redistribuendo la ricchezza per correggere
diseguaglianze e squilibri socio-economici, modificando così l’equilibrio naturale del mercato.
QUINDI:
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• Per quanto attiene agli effetti delle citate tesi sulla scelta degli indici di capacità contributiva, la
nozione di capacità contributiva in termini di mero criterio di riparto si propone di giustificare
imposte quali: IRAP (imposta regionale sulle attività produttive), le accise (imposta sulla vendita e
fabbricazione di prodotti di consumo) e le imposte ambientali.
IRAP: non colpisce un incremento del patrimonio del soggetto, ma colpisce la titolarità di
un’organizzazione produttiva in sé idonea a generare un “valore aggiunto alla produzione”.
Accise: il presupposto di tale tributo consiste nell’immissione un consumo del prodotto e quindi di
un fatto di per sé non avente consistenza patrimoniale. La tesi della capacità contributiva come
limite assoluto cerca allora di spiegare tali imposte come imposte sul consumo, in quanto l’accisa
sarebbe sempre traslata (sotto il profilo economico) sul consumatore.
Imposte ambientali: sono di difficile inquadramento. Facendo riferimento alle imposte
sull’emissione dei gas inquinanti, secondo la teoria della capacità contributiva come limite assoluto,
il fatto che si consumi ossigeno immettendo anidride carbonica nom costituisce scambio sul
mercato, perché l’ossigeno non è un bene che si compra e quindi non sarebbe espressivo di capacità
contributiva, tutto dovrebbe quindi ricondursi ad una forma di prestazione indennitaria, estranea
però all’art. 53 Cost. Qualora si faccia riferimento alla teoria della capacità contributiva come limite
relativo e si operi riferimento all’unità fisica che incide negativamente sull’ambiente o al
comportamento dell’uomo che procura danno all’ambiente: il criterio di riparto che legittimerebbe il
concorso alle spese pubbliche si collegherebbe al fatto che i tributi ambientali costituiscono la
modalità attraverso la quale, in una collettività, si ripartiscono i costi dei pregiudizi arrecati
all’ambiente e la relativa misurabilità deriverebbe dall’entità degli svantaggi che ogni emissione
potrebbe arrecare all’ambiente stesso.
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Inoltre, l’art. 53 Cost. in quanto espressione del principio di eguaglianza, è stato utilizzato dalla
Corte di cassazione quale fondamento del suo mutato orientamento in tema di “abuso di
diritto” (2008) in quanto consentirebbe di contrastare operazioni abusive garantendo la parità di
trattamento tra i contribuenti.
Rimanendo poi, sempre in tema di rapporti tra art. 53 Cost. e artt. 2 e 3 Cost., la dottrina
maggioritaria ritiene che tale rapporto rappresenti il referente costituzionale del cd. principio di
indisponibilità dell’obbligazione tributaria.
• Fondamentale è anche il rapporto con l’art. 24 Cost., relativo al diritto di difesa, rispetto al quale la
Corte si è sempre mossa con grande attenzione, evitando le facili generalizzazioni in punto di
interesse fiscale e risolvendo, solitamente a sfavore dello stesso, il conflitto tra i due valori, anche in
considerazione dell’essenzialità di tale diritto nel sistema costituzionale. In tal senso, infatti, esistono
sentenze in cui la Corte ha dichiarato incostituzionale la normativa tributaria, in quanto preclusiva
del diritto di difesa, o ha rinvenuto nel sistema soluzioni interpretative che ne consentissero
comunque un’adeguata tutela, ES: sentenza 33/2001: relativamente alla norma che subordinava la
messa in esecuzione del provvedimento di rilascio dell’immobile locato al pagamento dell’imposta di
registro, ICI e dell’IRPEF, considerato un impedimento di carattere fiscale alla tutela giurisdizionale
dei diritti, in contrasto con l’art. 24 Cost.
• Per quanto riguarda i rapporti con gli altri principi costituzionali, abbiamo: la tutela del diritto di
proprietà (art. 42 Cost.), ha un rapporto controverso con l’art. 53 Cost., ma dal quale parte della
dottrina ha affermato l’illegittimità dei cd. tributi espropriativi;
• Sempre con riguardo a disposizioni poste a tutela della libertà privata, abbiamo l’art. 41 Cost.
sull’iniziativa economica privata, di regola ritenuto subordinato all’art. 53 Cost. nelle sentenze della
Corte;
• Abbiamo poi l’art. 14 Cost. che contiene prescrizioni sull’inviolabilità del domicilio e delle garanzie in
tema di ispezioni, perquisizioni e sequestri; articolo spesso posposto all’art. 53 Cost.
• Infine, va evidenziato il collegamento con tutte le altre disposizioni costituzionali teoricamente
suscettibili di legittimare interventi promozionali in favore di determinate situazioni, attraverso
l’utilizzo delle agevolazioni fiscali + di consentire l’utilizzo del tributo per finalità extrafiscali. La
legittimità costituzionale di trattamenti agevolativi e dunque in deroga al principio di eguaglianza (in
quanto, a fronte del possesso di determinati requisiti o presupposti, viene stabilita la non
imposizione soltanto a determinati soggetti o determinate fattispecie), può trovare razionale e
congrua giustificazione in altri principi presenti nell’ordinamento, cui il sistema di agevolazione si
ispiri verso un’ottica promozionale. Si pensi a valori quali: la famiglia, l’istruzione, il risparmio, la
previdenza, l’assistenza, la cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata,
che la Costituzione tutela e i quali possono essere tenuti in considerazione ai fini del riparto delle
spese pubbliche, giustificando un minor prelievo. Si tratta però di un tema che deve confrontarsi
anche con la disciplina europea degli aiuti di Stato, contenuta nel TFUE, in quanto il trattamento
differenziato potrebbe rappresentare un vantaggio solo per talune imprese o produzioni, falsando
così la concorrenza in ambito europeo.
L’uso extrafiscale del tributo si collega anche all’istituzione di tributi con finalità disincentivanti, cioè
con lo scopo di attenuare o inasprire l’imposizione in modo da condizionare scelte dei produttori o
dei consumatori-contribuenti. ES: i tributi ambientali; la fiscalità nutrizionale (nata con l’obiettivo di
sottoporre a tassazione cibi dannosi, i junk food, per la salute e/o di agevolare i cibi salutari. Questo
tema sta assumendo sempre più importanza, a causa delle forti esigenze finanziarie conseguenti alla
crisi economica, talvolta assumendo anche connotazioni di tipo etico-morale —> si pensi ad ES: alla
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Dall’art. 53 Cost., si evince che la ricchezza cui viene commisurato il prelievo dev’essere effettiva. Secondo la
Corte costituzionale non può essere considerata sufficiente una capacità meramente fittizia o apparente. Il
primo profilo rilevante attiene alla commisurazione dell’imposta su un valore lordo, senza quindi considerare
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Un ulteriore problema si pone in relazione alle ipotesi di reddito “normale” nonché ai metodi di
accertamento “induttivi”, intesi come metodi basati sull’utilizzo di presunzioni prive dei caratteri di gravità,
precisione e concordanza finalizzato alla determinazione della base imponibile.
Per quanto riguarda in generale le forme di determinazione induttiva del reddito, il loro utilizzo è
subordinato all’adozione da parte del contribuente di comportamenti antigiuridici di particolare gravità,
quali la mancata tenuta delle scritture contabili o la loro rilevante inattendibilità, la mancata presentazione
della dichiarazione dei redditi oppure l’omessa indicazione dei redditi di impresa o di lavoro autonomo
all’interno della dichiarazione presentata.
Infine, può accadere che la legge, per effetto della violazione da parte del contribuente di taluni obblighi,
determini effetti a lui sfavorevoli sul piano procedimentale, potenziando gli strumenti di controllo e
accertamento a favore dell’Amministrazione finanziaria o determinando preclusioni sul piano probatorio;
oppure sul piano sostanziale, maggiorando l’imponibile o negando la possibilità di fruire di agevolazioni o
detrazioni…per definire questo tipo di norme, si parla di sanzioni “improprie” per distinguerle dalle sanzioni
in senso stretto —> in ogni caso, qui è evidente che il requisito dell’effettività della capacità contributiva
viene meno. Si tratta, infatti, di situazioni che determinano una capacità contributiva diversa da quella reale,
solo in quanto il contribuente non ha osservato determinati obblighi. Ne deriva dunque che una sanzione
impropria può situarsi sul piano formale o procedimentale (sempre che non ne risulti irragionevolmente
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L’utilizzo del principio di capacità contributiva in funzione di interpretazione adeguatrice nelle materie
diverse:
Tra queste, la ragionevolezza di determinate presunzioni, la rettificabilità della dichiarazione dei redditi, la
valenza probatoria delle elaborazioni statistiche alla base degli accertamenti tramite studi di settore,
l’elusione fiscale e l’identità tra capacità contributiva oggetto di diverse imposte ovvero di rilevazione in capo
a soggetti diversi.
ES: i) Cass. 634/2012: che ha attribuito rilevanza ai fini dell’imposta sulle donazioni alle donazioni fatte dai
genitori verso i figli anche in mancanza di un atto pubblico e di accettazione; ii) Cass. 24049/2011: che ha
ritenuto che i principi costituzionali di eguaglianza, legalità, imparzialità amministrativa e capacità
contributiva, impongano al Fisco (anche in difetto di espressa previsione legislativa) un vincolo rispetto ad
accertamenti definitivi sul valore degli stessi fatti economici effettuati ai fini dell’applicazione di altro tributo,
quando le singole leggi di imposta non stabiliscano differenti criteri di valutazione; iii) Cass. SS. UU.
1052/2007: che nel sancire la necessità del litisconsorzio necessario tutte le volte che l’atto impositivo
contenga elementi comuni ad una pluralità di soggetti obbligati e sia proprio la posizione comune agli stessi
a formare oggetto del ricorso, afferma che la valutazione attraverso il prisma della capacità contributiva
della legittimità di un tale atto, esige l’unicità dell’accertamento giudiziale.
Partiamo dalle prime sentenze, la Corte costituzionale ha sancito la natura tributaria dei contributi e
l’applicabilità dell’art. 53 Cost. nel caso di contributo dovuto dagli armatori e dai lavoratori per
l’assicurazione marinara, calcolato in base alle retribuzioni medie mensili. Da qui il pagamento di contributi
ritenuti non proporzionali alle retribuzioni effettivamente corrisposte e dunque in violazione dell’art. 53
Cost., spezzando la retribuzione media, in quanto lontana dalla realtà.
In tale circostanza, perciò, la Corte ha stabilito l’assoluta centralità della retribuzione effettiva percepita dal
lavoratore quale base di commisurazione dei contributi, rilevando però che il legislatore, nella fissazione
delle retribuzioni medie mensili, aveva inteso garantire la rispondenza più esatta possibile con quelle
effettive, prevedendone anche l’aggiornamento annuo, in caso di modifiche. Tale ricorso poteva, peraltro,
ritenersi eccezionalmente giustificato in quanto si trattava, nella fattispecie, di speciali categorie di lavoratori
addette a particolari settori, per i quali è molto difficile e talora impossibile determinare la retribuzione
effettiva. La Corte non ha dunque escluso l’applicabilità dell’art. 53 Cost. nella valutazione della base
imponibile di commisurazione dei contributi e ha ritenuto idonea a soddisfare il dettato costituzionale la sola
retribuzione reale.
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Quanto alle seconde, talvolta la Corte ha riconosciuto la natura tributaria ma ha escluso l’applicabilità
dell’art. 53 Cost., come nel caso dei contributi in funzione di tributi giudiziari, in quanto ritenuti servizi
indivisibili.
Per quanto riguarda, infine, le ultime, la Corte una talvolta escluso direttamente la natura tributaria (come
nel caso dei contributi assistenziali: contributi sanitari) di cui ha negato la riconducibilità all’art. 53 Cost., non
rinvenendosi né i presupposti di indistinta imposizione e ancora meno, stante l’obbligatorietà della
partecipazione del singolo, tassazione specifica per un richiesto servizio. Queste conclusioni sono state
confermate con riferimento al contributo al SSN, al quale mancherebbe un connotato tributario certo; la
Corte ha dichiarato l’inammissibilità del referendum per l’abrogazione di tale contributo, affermando però
che si tratta di leggi tributarie.
Vi sono peraltro sentenze in cui la Corte ha escluso la natura tributaria e la conseguente applicabilità dell’art.
53 Cost.con riferimento ai contributi previdenziali in senso stretto, non avendo essi ad oggetto una
prestazione patrimoniale diretta a contribuire agli oneri finanziari della pubblica amministrazione, ma
concernendo esclusivamente il regime previdenziale dei lavoratori.
Il contributo previdenziale viene collocato pertanto esclusivamente sul piano dell’art. 38 Cost.
Il caso di maggior rilievo ha riguardato la costituzionalità della normativa che limitava il cd.massimale di
retribuzione pensionabile, ritenendosi, tra l’altro, che la non utilizzazione (a favore del pensionato) dei
contributi effettivamente versati sulle quote di retribuzione eccedenti tale massimale, si risolvesse in un
prelievo fiscale senza che venisse assicurata alcuna proporzionalità del medesimo con la capacità
contributiva dei soggetti interessati. In tale occasione, la Corte ha osservato che quella contributiva
previdenziale non è una imposizione tributaria vera e propria di carattere generale, ma una prestazione
patrimoniale diretta a contribuire esclusivamente agli oneri finanziari del regime previdenziale dei lavoratori;
e sottolinea la riconducibilità del sistema previdenziale ad un sistema “solidaristico” —> da ciò si evince un
abbandono delle concezioni mutualistico-assicurative a favore di quelle improntate alla “solidarietà”
nell’ambito della tutela previdenziale.
La Corte ha così ritenuto di poter enucleare due tipi di sistemi: uno di tipo mutualistico, che si caratterizza
per la riferibilità dell’assunzione dei fini e degli oneri previdenziali a fini mutualistici e per la rigorosa
proporzionalità tra contributi e prestazioni previdenziali e l’altro di tipo solidaristico, caratterizzato dalla
riferibilità dell’assunzione dei fini e degli oneri previdenziali a principi di solidarietà e per l’irrilevanza della
proporzionalità tra contributi e prestazioni previdenziali. Un ES: è la sentenza 243/1990 con cui la Corte ha
affermato che il principio di proporzionalità tra contributi e prestazioni previdenziali, su cui si fonda la
previdenza delle varie categorie di professionisti, è soggetto al correttivo del principio di “solidarietà” nella
misura necessaria per assicurare a tutti i membri della categoria una prestazione minima adeguata alle loro
esigenze di vita.
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Sia che si ragioni nell’ottica dell’art. 53 Cost., sia in quella dell’art. 38 Cost., resta tuttavia fermo il principio
secondo cui il contributo previdenziale dev’essere commisurato al reddito del soggetto assicurato.
L’art. 53 co.2 Cost. dispone che il sistema tributario è informato a criteri di progressività.
Un’imposta si definisce progressiva quando il suo ammontare aumenta in modo più che proporzionale al
crescere dell’imponibile. La progressività può essere assicurata intervenendo sia sull’aliquota (qualora
questa aumenti al crescere della base imponibile), sia sulla base imponibile (attraverso il riconoscimento di
una deduzione alla base, la cd. “no tax area”, eventualmente decrescente al crescere del reddito).
Si tratta di un principio che indica la funzione, non solo contributiva del sistema tributario, bensì anche
redistributiva e quindi costituisce (sotto tale profilo) un’ulteriore declinazione da un lato della funzione
solidaristica dell’art. 53 Cost. e dall’altro del principio di eguaglianza, in quanto finalizzato a correggere gli
squilibri sociali.
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L’art. 3 co. 1 dello Statuto dispone che fanno eccezione al divieto di retroattività le norme di interpretazione
autentica. Infatti, ai sensi dell’art. 1 co.2 dello Statuto, l’adozione di norme interpretative in materia
tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le
disposizioni di interpretazione autentica. (Le norme di interpretazione autentica hanno solitamente questa
struttura:”X si interpreta nel senso di Y”, si tratta cioè di norme che intervengono ove sussista un dubbio sul
significato da assegnare a un certo enunciato, che il legislatore decide di risolvere in un determinato modo).
Secondo la Corte dunque, emanare norme di questo tipo altro non è che un modo per il legislatore di
retroagire e lo scostamento tra forma e sostanza che potrebbe eventualmente nascere non è di per sé
sufficiente per determinare l’illegittimità costituzionale.
Questione diversa è quella delle modifiche normative, non attuate mediante la tecnica dell’interpretazione
autentica e riguardanti problemi sui quali coesistono tesi favorevoli al Fisco ma anche favorevoli ai
contribuenti. Qui si pone il problema se la modifica legislativa confermi la precedente interpretazione ad
essa corrispondente oppure la precedente contraria. In casi come questo, in realtà, l’applicazione delle
disposizioni previgenti dovrebbe continuare ad avvenire senza interferenze da parte delle successive
modifiche. Si rischierebbe altrimenti di leggere la nuova disposizione come nuova e innovativa e che
conferma l’interpretazione contraria.
Altro tema fondamentale è collegato alla capacità contributiva futura: è essenziale ai fini del rispetto della
capacità contributiva che il contribuente possa legittimamente omettere di versare (oppure versare in
misura inferiore) gli acconti (ai fini IRPEF, IRES, IVA, ecc..che sono commisurati all’imposta pagata nell’anno
precedente) ove ritenga che in quel periodo di imposta non realizzerà quella capacità contributiva attesa,
salvo il rischio di subire la sanzione per tale omesso o insufficiente versamento, nel caso in cui i suoi calcoli
dovessero risultare poi errati.
Le sentenze di accoglimento della Corte costituzionale hanno effetto ex tunc, nel senso che a decorrere dal
giorno successivo alla data di pubblicazione della sentenza la norma censurata non può più trovare
applicazione. L’efficacia retroattiva delle sentenze della Corte costituzionale incontra un limite generale nei
rapporti esauriti (si tratta di rapporti su cui è intervenuta una sentenza passata in giudicato oppure la
prescrizione o la decadenza). Si ipotizzi che la Corte costituzionale dichiari un tributo incostituzionale, in
quanto non espressivo di capacità contributiva. La giurisprudenza ha affermato che il diritto al pagamento
della giusta imposta va contemperato con quello della certezza dei rapporti giuridici e con tutti quei principi
e norme di natura procedimentale e processuale che presiedono all’attuazione del tributo. Sicché lo spirare
dei termini per ottenerne il rimborso (decorrenti dal momento in cui il rimborso poteva essere esercitato e
non dalla sentenza della Corte), la definitività di un atto impositivo per sua mancata impugnazione nei
termini oppure il passaggio in giudicato di una sentenza sfavorevole al contribuente, determinano la nascita
di questi rapporti esauriti, tali da precludere la ripetizione del tributo pagato.
ES: sentenza con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della Robin Hood tax (2015), la Corte,
relativamente ai rapporti ancora pendenti (fatti salvi quelli esauriti) ha ritenuto di poter graduare gli effetti
temporali delle dichiarazioni di illegittimità costituzionale (rimuovendo solo pro futuro gli effetti della
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Per quanto riguarda il rapporto tra interpretazione ed elusione: se la fattispecie ricade all’interno della
norma elusa, ciò significa che essa ne forma parte del contenuto, magari attraverso forse di
interpretazione estensiva: si tratta semplicemente della corretta interpretazione della norma elusa.
Dunque in questo caso non vi è elusione.
Il tema dell’elusione non è riconducibile però ad una nozione unitaria: innanzitutto il concetto di elusione è
nato in Italia con la scuola di Pavia e con il suo fondatore Griziotti, le cui tesi sono state accusate di
confondere tra giuridico e meta-giuridico e di assumere il compito di colmare le lacune non dell’interprete,
bensì del legislatore. Negli anni ’70 e ’80 si affacciarono tesi che sostenevano la possibilità di ricorrere in
chiave antielusiva alla frode alla legge ex art. 1344 cc. Si trattava però di una norma di applicazione
problematica perché da un lato, risultava difficile qualificare le norme tributarie come norme imperative e
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L’ultima questione da esaminare è quella relativa all’analogia. Lo schema argomentativo è il seguente: data
la disposizione A, la quale connette determinate conseguenze giuridiche B alla fattispecie C1; data poi la
somiglianza tra la fattispecie C1 e C2, dove quest’ultima non è disciplinata da alcuna norma specifica. Allora
la disposizione A dev’essere intesa nel senso di trovare applicazione (determinando sempre le conseguenze
giuridiche B) anche alla fattispecie C2.
Il problema consiste essenzialmente nella delimitazione dei confini esistenti tra interpretazione (da un lato) e
analogia legis e analogia juris (dall’altro). Il problema dell’analogia passa dunque per una doppia strada, la
prima, che impone di privilegiare la giustizia formale (che prescrive di determinare ex ante, con una regola
astratta che raggruppi casi singoli in categorie esattamente delimitate e informate ad un principio generale,
le differenze giuridicamente rilevanti) sulla giustizia sostanziale (la quale vincola l’interprete ad ancorare l
proprio procedimento interpretativo in senso lato alla testualità normativa su cui poggia la fattispecie
impositiva. Tuttavia, ci sono ancora troppe lacune in materia. Così il problema si sposta sul piano
dell’argomentazione razionale, postulando la necessità di ricorrere ad un’argomentazione forte per superare
il testo normativo. La correzione oltre il significato letterale limite si inquadrerà in un problema di efficacia
argomentativa, di procedimento di un discorso persuasivo, da valutare nel contesto dell’argomentazione
impostata.
Secondo la Cassazione (2011) in materia tributaria, mentre l’interpretazione analogia, pur non essendo in
astratto esclusa (in quanto le norme impositive non appartengono alle categorie contemplate dall’art. 14
Preleggi —> che concerne solo le norme penali e quelle eccezionali) trova in concreto difficile possibilità di
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Partiamo dal primo profilo, la legge tributaria esplica la propria efficacia su tutto il territorio dello Stato
(inteso come territorio politico) all’interno del quale è obbligatoria per tutti i destinatari. Può però accadere,
da un lato che certe zone del territorio siano esclude dalla nozione di “territorio rilevante”, come avviene per
la nozione di “territorio doganale” o per la nozione di “territorio ai fini IVA”; dall’altro lato può accadere che
l’ambito di applicazione territoriale di determinate norme sia limitato a porzioni del territorio, come ad ES:
avviene per i tributi locali oppure per le agevolazioni di carattere territoriale, fermo restando l’obbligo della
loro osservanza in tutto il territorio nazionale.
Allora, più esattamente il territorio individua l’ambito spaziale rispetto al quale una norma di diritto
internazionale generale attribuisce allo Stato il diritto di sovranità internazionale, da intendersi come il
diritto di esercitare il potere di governo su una determinata comunità territoriale in via esclusiva (con il
conseguente obbligo per gli altri Stati di astenersi dal penetrare e agire nel territorio senza autorizzazione).
Questo “territorio” a sua volta viene indicato come “territorio in senso stretto”, comprendente il sottosuolo,
il mare territoriale ad esso adiacente e lo spazio atmosferico sovrastante.
Più articolato è invece il profilo relativo agli Enti territoriali: la Suprema Corte di Cassazione (2005 e 2016) ha
chiarito, ai fini dell’assoggettabilità ad ICI degli edifici siti sulle piattaforme petrolifere in mare territoriale,
che i poteri della Regione e degli Enti locali sul territorio dello Stato (compreso il mare territoriale) convivono
con quelli dello Stato —> infatti, la Regione è legittimata ad esercitare un complesso di poteri sul mare
territoriale, che coesistono con quelli spettanti allo Stato.
Con il secondo profilo parliamo dell’espressione territorialità in senso formale, con essa si intende una sorta
di delimitazione dello spazio nel quale la pretesa tributaria di uno Stato può essere concretamente
realizzata, si tratta quindi (in altre parole) di un insieme di limiti all’uso della forza internazionale e interna
degli Stati, secondo il diritto internazionale le cui norme stabiliscono, appunto, che cosa uno Stato può fare
nel proprio territorio o nel territorio di un altro Stato (individuando quindi i limiti concernenti l’uso di tale
forza). In particolare, il fondamento dei limiti all’esercizio di poteri (pubblici) nel territorio di un altro Stato
viene tradizionalmente ricondotto al principio di sovranità di ogni Stato membro all’interno della comunità
internazionale. Con specifico riferimento all’imposizione tributaria, tali limiti riguardano l’esercizio nell’altrui
territorio di poteri di accesso, ispezione e verifica, ma soprattutto riguardano la tutela del credito tributario
all’estero —> tale problema viene tradizionalmente affrontato affermando l’esistenza di un principio di non
collaborazione tra Stati: nel senso che, gli altri Stati potrebbero legittimamente sottrarsi alla realizzazione
sul proprio territorio dei crediti tributari di Stati esteri affermando la conseguente necessità di fondare la
validità e l’efficacia di atti amministrativi su un accordo o altro atto normativo (di fonte internazionale o
comunitaria) tra codesti Stati.
Tuttavia, in dottrina, sussistono opinioni diverse riguardo il principio di non collaborazione tra Stati, talvolta
ne afferma l’esistenza, altre volta la nega.
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Sulla base di tali principi il Peer Review Group è stato incaricato di procedere ad una procedura di rating
(classificazione), articolata in due fasi: la prima ha ad oggetto l’esame dell’adeguatezza del sistema legale e
regolamentare adottato dalla singola giurisdizione per l’implementazione dei meccanismi di scambio di
informazioni e di quanto può ancora essere fatto per migliorare; la seconda concerne la verifica dell’efficacia
ed effettività dei meccanismi di scambio di informazioni, quindi l’adeguamento della normativa del singolo
Stato agli standard internazionali.
Laddove la prima fase del processo di rating faccia emergere l’assenza degli elementi fondamentali per
l’adozione dei meccanismi per lo scambio di informazioni, non sarà possibile accedere alla seconda fase.
Al contrario, laddove venga riscontrata l’esistenza di un adeguato contesto legislativo e regolamentare in
materia, sarà possibile procedere alle verifiche nella seconda fase. L’attività di verifica si conclude con la
pubblicazione dei rapporti sulle relative risultanze (Peer Review Report).
In conclusione, appare ormai impossibile (oggi) affermare l’esistenza di un principio di non collaborazione tra
Stati, almeno con riferimento al reperimento di informazioni.
Sul fronte internazionale, esistono anche strumenti convenzionali relativi alle verifiche simultanee
internazionali e all’assistenza alla riscossione. Abbiamo, su un piano generale la Convenzione sulla mutua
assistenza amministrativa a fini fiscali (Strasburgo, 1988, firmata ad oggi da circa 60 Stati (tra cui anche
l’Italia)) che disciplina, oltre allo scambio di informazioni, anche le verifiche simultanee, l’assistenza alla
riscossione delle imposte dovute all’estero dai residenti di altri Stati e al notifica dei documenti prodotti in
un altro Stato. Essa ha poi formato oggetto (nel 2010) di un Protocollo di modifica, inteso ad allinearne il
contenuto ai nuovi standard internazionali e di trasparenza in materia di scambio di informazioni.
Per quanto concerne le verifiche simultanee previste da tale Convenzione, questo tipo di cooperazione
prevede che le amministrazioni di due o più Stati conducano una simultanea attività di ispezione,
esaminando (nei rispettivi ambiti territoriali) la situazione di uno o più contribuenti di comune interesse con
l’obiettivo di scambiarsi reciprocamente informazioni ottenute durante il controllo. Per quanto riguarda
invece l’assistenza alla riscossione, rileva l’art. 27 modello OCSE che prevede che gli Stati contraenti possano
prestarsi reciproca assistenza nella riscossione dei crediti tributari. In particolare, l’assistenza reciproca si
sostanzia nel potere di uno Stato contraente di riscuotere le imposte dovute dall’altro Stato contraente
oppure adottare misure conservative nei confronti del contribuente (secondo le norme che regolano
l’accertamento e la riscossione nel primo Stato).
Trattazione specifica merita poi anche il diritto europeo. In questo ambito esistono da tempo atti normativi
in materia di cooperazione amministrativa tra le diverse autorità fiscali nazionali (con riferimento tanto allo
scambio di informazioni tra le amministrazioni, quanto all’assistenza che ciascuno Stato membro deve
prestare nel proprio territorio per il recupero dei crediti tributari vantati da altro Stato membro).
In particolare, in materia di IVA, trova applicazione il Regolamento UE 2010 n. 904 del Consiglio in materia
di cooperazione amministrativa e lotta contro la frode IVA, il quale prevede un’ampia serie di attività
(scambio di informazioni, richiesta di notifica, controlli simultanei) finalizzate all’accertamento dell’imposta.
Normative ad hoc sono poi previste in materia doganale e in materia di accise. Per quanto riguarda invece le
imposte diverse dall’IVA, dai dazi doganali e dalle accise, trova applicazione la direttiva 2011/16 che
valorizza il criterio della prevedibile rilevanza dell’informazione per lo Stato richiedente, elimina il segreto
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Completiamo ora l’analisi con il terzo profilo, relativo alla territorialità in senso materiale: con tale
definizione ci si riferisce alla determinazione dell’ambito spaziale entro il quale la potestà normativa di uno
Stato può collegare a determinati presupposti il sorgere di un’obbligazione tributaria. Anche qui, all’inizio si
considerò inesistente qualsiasi limite di diritto internazionale alla potestà impositiva tributaria, poi si
sostenne la necessità della sussistenza nella norma impositrice di un criterio di collegamento (soggettivo o
oggettivo) con il territorio dello Stato —> e quest’ultima tesi si può ricondurre al caso Nottebohm, nel quale
la Corte internazionale di giustizia (1955) elaborò il concetto di legame effettivo a proposito
dell’individuazione dei soggetti (cittadini effettivi) in relazione ai quali lo Stato abbia il diritto di esercitare la
protezione diplomatica. Si tratta di un principio ammesso nel diritto internazionale che prevede che allo
straniero non possano essere imposte prestazioni o comportamenti non giustificati da sufficiente
collegamento di costui con il territorio dello Stato in questione, tra i quali: il dovere tributario. Questo
principio mostra però almeno due limiti in materia tributaria: i) il primo deriva dal fatto che il principio
Nottebohm è fondato sul criterio della cittadinanza, mentre nel diritto tributario tale criterio di
collegamento è scomparso dal nostro ordinamento; ii) il secondo è che, trattandosi di un principio
internazionale, la sua osservanza è rimessa ad organi internazionali e quindi sarebbe causa di ineffettività.
Si può però percorrere una strada differente: prendendo sempre in considerazione il principio di capacità
contributiva, si è visto che (con riferimento al nostro ordinamento) il fondamento del principio di
territorialità deve rinvenirsi nell’uso del pronome “tutti” contenuto nell’art. 53 Cost. e nel collegamento con
l’art. 2 Cost. nel senso che sono tenuti a concorrere alla spesa pubblica tutti e solo coloro in capo ai quali è
rinvenibile un dovere solidaristico, in quanto collegati su base personale o reale al nostro territorio. Ne
deriva dunque che un tributo che dovesse assumere a presupposto un fatto privo di qualsiasi collegamento
con il nostro territorio (ES: tassazione di un soggetto residente in Zambia per redditi prodotti nello
Zimbabwe venuto in vacanza in Italia) risulterebbe, oltre che in violazione del diritto internazionale,
soprattutto il violazione dell’art. 53 Cost.
Avendo affrontato l’argomento del ragionevole criterio di collegamento, si distinguono a riguardo due
tipologie di criteri di collegamento: quelli di natura personale e quelli di natura reale.
Naturalmente ogni tributo ha specifiche caratteristiche in relazione ai criteri di collegamento e più in
generale alla territorialità: si pensi all’imposta di registro (atti giuridici formati nello Stato ma anche
all’estero che esplicano effetti di natura reale o locatizia su beni situati nello Stato), all’imposta di bollo (atti,
documenti, registri formati nello Stato o all’estero in caso “d’uso” in Italia), alle donazioni (beni e diritti
trasferiti ovunque situati qualora il donante sia residente in Italia), alle successioni (beni ovunque situati nel
caso di de cuius residente; in caso contrario solo beni situati in Italia), all’IVA (operazioni effettuate nel
territorio dello Stato), all’IRAP (attività produttive esercitate nel territorio dello Stato)…
Per quanto riguarda l’imposta sui redditi, da un lato vi è il criterio di natura personale della residenza fiscale
(in cui la localizzazione spaziale del presupposto di imposta avviene guardando la collocazione del soggetto
passivo, cui essa è imputabile, in una determinata collettività —> in particolare, questa collocazione può
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Sotto il profilo internazionale questi criteri di collegamento vengono apprezzati in quanto espressione del
principio del reddito mondiale e del principio della fonte.
Il primo: principio del reddito mondiale, trova fondamento nel criterio della residenza fiscale e postula per i
residenti l’assoggettamento a tassazione di tipo personale (ricostruendone le condizioni economiche
complessive) per i redditi ovunque prodotti.
Il secondo: principio della fonte, trae origine dal criterio del luogo di produzione del reddito e attribuisce
rilevanza a quei soli redditi che vengono localizzati nel territorio dello Stato.
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Partiamo ora dai meccanismi unilaterali: essi si applicano ai conflitti residenza-fonte e possono essere di due
tipi: i) l’esclusione (o esenzione) dall’imponibile interno dei fatti extraterritoriali tassati all’estero; ii) credito
di imposta, per le imposte pagate all’estero. Nel primo caso, non si include nel reddito imponibile quella
parte del reddito complessivo prodotta all’estero; nel secondo caso, pur includendo nel reddito imponibile i
redditi prodotti all’estero, si consente di scomputare dall’imposta (dovuta nello Stato di residenza sui redditi
prodotti all’estero) l’imposta già pagata nello Stato della fonte.
Il nostro ordinamento utilizza quale sistema unilaterale contro la doppia imposizione giuridica unilaterale: il
credito per le imposte pagate all’estero, in quanto conforme ad un sistema che si propone di realizzare la
personalità e la progressività dell’imposizione sui redditi, in modo da considerare (nell’ottica del principio di
eguaglianza) “indifferente” la circostanza che il reddito sia stato prodotto in Italia o anche all’estero.
A tale proposito, l’art. 165 TUIR prevede che: “se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi
prodotti all’estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione
dall’imposta netta dovuta fino alla concorrenza della quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi
prodotti all’estero e il reddito complessivo al netto delle perdite di periodi precedenti d’imposta, ammesse in
diminuzione”. Si tratta del credito di imposta limitato, in quanto l’imposta estera riconosciuta “a credito”
non potrà mai superare l’imposta italiana corrispondente al reddito estero. L’imposta estera non assorbita
potrà tuttavia essere riportata in avanti ed utilizzata in futuro, in compensazione, laddove si verificasse la
situazione opposta —> cioè un’imposta estera inferiore a quella italiana corrispondente al reddito estero.
Gli ordinamenti interni non possono invece risolvere il conflitto residenza-residenza, perché se due Stati
considerano allo stesso tempo un soggetto fiscalmente residente nei rispettivi territori, nessuno dei due
Stati ha l’obbligo di rinunciare in via unilaterale alla “propria”residenza fiscale. Quindi questo tipo di conflitto
non può essere risolto a livello unilaterale, occorrendo una soluzione a livello bilaterale o multilaterale.
Gli strumenti maggiormente utilizzati a livello internazionale per risolvere i problemi della doppia
imposizione internazionale sono le convenzioni internazionali in materia di imposte sul reddito o sul
patrimonio —> si tratta di trattati internazionali che (nel caso della doppia imposizione) consentono di
ripartire la potestà impositiva tra lo Stato della residenza e lo Stato della fonte.
In queste convenzioni sono presenti le seguenti tipologie di norme:
• Un primo gruppo di disposizioni contiene le norme relative all’ambito di applicazione soggettivo,
oggettivo e territoriale delle convenzioni;
• Un secondo gruppo contiene le norme di definizione (le imposte sul reddito e sul capitale, traffico
internazionale, autorità competente, residente di uno Stato contraente…);
• Un terzo gruppo (che costituisce l’essenza delle convenzioni) contiene le norme che ripartiscono il
potere impositivo tra gli Stati (cd. norme di ripartizione o di distribuzione), localizzando le varie
fattispecie reddituali all’interno dell’uno o dell’altro sulla base di determinati criteri di collegamento.
Molto importante è che a ciascuna categoria reddituale si abbina un criterio di collegamento
rilevante, stabilendo poi a quale Stato spetti il diritto di imposizione —> a tal fine, le Convenzioni
possono alternativamente: i) assegnare il diritto di imposizione al solo Stato di residenza (in questo
caso lo Stato della fonte deve astenersi dall’esercitare qualsiasi imposizione); ii) assegnare il diritto di
imposizione al solo Stato della fonte (in tal caso è lo Stato della residenza che deve astenersi dal
tassare il reddito); iii) prevedere un diritto di tassazione concorrente tra Stato della fonte (a volte
senza limiti e altre volte con un “tetto massimo”) e lo Stato di residenza (con l’obbligo di
quest’ultimo di concedere un credito per le imposte pagate nell’altro Stato oppure l’esenzione dei
redditi ivi prodotti);
• Un quarto gruppo di disposizioni ha ad oggetto le misure bilaterali contro la doppia imposizione. A
questo proposito si propongono due diversi metodi: da un lato, il metodo dell’esenzione (integrale o
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Esistono anche Convenzioni bilaterali contro la doppia imposizione in materia di successioni + trattati che,
pur non concernendo direttamente la materia tributaria, contengono norme che possono avere rilevanza
sotto il profilo tributario, come ad ES: la clausola della nazione più favorita, con la quale gli Stati contraenti si
obbligano a concedere all’altra parte contraente il trattamento accordato da parte di uno Stato terzo.
Va anche ricordato che questi trattati internazionali vengono spesso stipulati avvalendosi di modelli
predisposti da alcune organizzazioni internazionali: l’organizzazione più rilevante è certamente l’OCSE; vi è
poi il modello ONU, considerato in contrapposizione al modello OCSE, in quanto pone alla base del suo
funzionamento essenzialmente il principio della residenza.
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Noi affronteremo l’argomento degli atti generativi (fonti di produzione) di norme generali, intesi come la
legge e gli atti aventi forza di legge. Va subito detto che si tratta degli cui viene rimessa la base legislativa
prevista dal principio di legalità enunciato dall’art. 23 Cost. che, nell’utilizzare il vocabolo “legge” si riferisce
alle leggi in senso stretto, anche di rango costituzionale, ai decreti legge e ai decreti legislativi, alle leggi
regionali (a statuto speciale o ordinario) e alle leggi delle province autonome di Trento e Bolzano. La Corte
costituzionale, riguardo alle leggi regionali, le ha fatte rientrare a pieno titolo tra le leggi di cui all’art. 23
Cost. e tale conclusione appare più evidente in seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione.
Abbiamo utilizzato l’espressione “atti generativi di norme generali”, ma potremmo anche riferirci alle leggi
provvedimento, che dispongono per uno o più casi concreti e nei confronti di uno o più soggetti determinati.
Tali leggi però, nel diritto tributario, sconterebbero il rischio di violare il principio di capacità contributiva
(art. 53 Cost.) e il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) salvo che il soggetto singolarmente tassato non sia il
solo a manifestare la capacità contributiva oggetto dell’imposizione.
➡️ La nozione di legge provvedimento è tutt’altro che pacifica in dottrina: secondo MORTATI esse possono
essere intese come leggi caratterizzate dalla concretezza dei soggetti individuati dalla legge o della
situazione regolata, potendo ipotizzare anche che esse siano rivolte ad una classe di soggetti, ma che
permettano comunque una compiuta determinazione dei destinatari delle prescrizioni. Sotto tale profilo è
interessante ricordare l’art. 3, co.2-bis del decreto legge 40/2010, che consentiva ai contribuenti interessati di
definire (attraverso il versamento del 5% del relativo valore) le controversie tributarie pendenti dinnanzi alla
Corte di Cassazione. La Suprema Corte ha rimesso pero alla Corte di giustizia il quesito pregiudiziale relativo
alla coerenza della disciplina con il divieto di aiuti di Stato (di cui all’art. 107 TFUE) in quanto si sostanziava in
un vantaggio, quanto meno indirettamente, differenziato, di cui soltanto un numero ristretto di soggetti
potevano beneficiare. I giudici europei hanno tuttavia evidenziato l’assenza del carattere selettivo della
disciplina, in quanto essa è applicabile in generale a tutti i contribuenti che siano parti di un procedimento
pendente in materia tributaria dinnanzi la Corte suprema di Cassazione, qualunque sia la natura
dell’imposta. Inoltre, il fatto che solo i contribuenti che soddisfano tali condizioni possano beneficiare di
questa misura non può conferire alla disposizione carattere selettivo.
Per quanto riguarda i decreti legislativi, essi sono emanati dal Governo su delegazione delle Camere, con
determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti (art. 76 Cost.).
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L’utilizzo degli atti aventi forza di legge in materia tributaria pone diversi problemi: per quanto riguarda i
decreti legislativi, il loro utilizzo privilegiato si ha quando la materia (a causa della sua peculiare complessità)
richieda l’apporto di esperti e specialisti e quindi si rende opportuna la sottrazione all’ordinario iter
parlamentare. E ciò è quello che si è puntualmente verificato con le riforme tributarie (tra cui: il TU ricchezza
mobile, TU finanza locale, TU imposte dirette, la riforma tributaria del 1971, la riforma “Visco” del 1996, la
riforma “Tremonti” attuata solo in minima parte del 2003…). Deve rilevarsi però un uso spesso distorto dello
strumento della legge delega, con deleghe spesso generiche e votate a “colpi di fiducia”, il cui effetto risulta
quello di svuotare la funzione legislativa.
L’attuale abuso delle leggi delega è da ricollegare a quanto accaduto in riferimento ai decreti legge, dei quali
pure in passato si era fatto uso eccessivo, utilizzandoli anche in casi privi di necessità e urgenza —> a tutto
questo, la Corte costituzionale ha rimediato (1996) sancendo l’illegittimità costituzionale per violazione
dell’art. 77 Cost., dei decreti legge iterati o reiterati, quando tali decreti (considerati nel loro complesso o in
singole disposizioni) abbiano sostanzialmente riprodotto, in assenza di nuovi e sopravvenuti presupposti
straordinari di necessità e urgenza, il contenuto normativo di un decreto legge che abbia perso efficacia a
seguito della mancata conversione. È da segnalare, infine, il recente orientamento della Corte costituzionale
che rinviene un vizio procedurale di costituzionalità, sempre ex art. 77 Cost., ove sussista un difetto di
omogeneità (inteso come mancanza evidente o manifesta di ogni nesso di interrelazione tra le disposizioni
originarie del decreto legge e quelle impugnate introdotte nella legge di conversione.
I regolamenti (di competenza dell’esecutivo) costituiscono fonte secondaria e atto idoneo ad integrare la
base legislativa, quando ciò è consentito dalla legge. Esistono tuttavia anche regolamenti regionali e di altri
enti locali minori, nonché regolamenti regionali emanati in materia di legislazione esclusiva dello Stato su
delega di quest’ultimo.
Si tratta di atti subordinati alla legge, sicché sono illegittimi se ad essa contrari (o contrari alla Costituzione),
potendo formare oggetto di annullamento da parte del giudice amministrativo (se impugnati nel termine di
decadenza di 60 giorni) o di disapplicazione in via incidentale da parte del giudice ordinario o tributario. La
recente giurisprudenza amministrativa (2009) riconosce tuttavia anche allo stesso giudice amministrativo un
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SE e a QUALI CONDIZIONI una fonte normativa proveniente da un ente diverso dallo Stato possa istituire
un tributo?
A tale riguardo, la legge costituzionale 3/2001 ha riscritto il Titolo V della Costituzione, ridisegnando le
posizioni e i rapporti tra Stato, Regioni, Province e Comuni (anche sotto il profilo finanziario-tributario).
Dalla revisione costituzionale emergono un accrescimento della potestà legislativa delle Regioni e un’ampia
autonomia finanziaria di Regioni ed Enti locali, sia sul versante della spesa sia su quello dell’entrata. In ogni
caso, la riforma ha inciso soprattutto sulla ripartizione della potestà legislativa tra Stato e Regioni —> in
questo modo la riforma ha comportato una parificazione sul piano del potere tra Stato e Regioni.
In generale, in base al nuovo sistema: a) alle Regioni spetta la potestà legislativa in ogni materia non
espressamente riservata alla legislazione dello Stato (potestà residuale), ai sensi dell’art. 117 co.4 Cost.; b)
entrambe queste potestà sono esercitate con i soli limiti del rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti
dall’ordinamento europeo e dagli obblighi internazionali (art. 117 co.1 Cost.); c) alle Regioni spetta la
potestà legislativa solo nei casi tassativi stabiliti dalla legge (art. 117 co.3 Cost.), ma è riservata allo Stato la
determinazione dei principi fondamentali.
Per quanto riguarda la materia tributaria, l’art. 117 Cost. prevede la seguente articolazione: il co.2 lett. e)
attribuisce allo Stato la potestà legislativa esclusiva riguardo al sistema tributario e contabile dello Stato; il
co. 3 riconduce alla competenza concorrente di Stato e Regioni la materia del coordinamento della finanza
pubblica e del sistema tributario, attribuendo però alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la
fissazione dei relativi principi fondamentali.
Tale riserva in materia di principi fondamentali del coordinamento del sistema tributario non può
comportare però alcuna riduzione del potere impositivo già spettante alle Regioni a statuto speciale e alle
Province autonome.
Il co.4 individua, invece, la competenza legislativa residuale. In tale potestà rientrano le materie che non
risultano riservate alla competenza esclusiva dello Stato (ai sensi dell’art. 117 co.2 lett. e)) e quindi, per
quanto attiene alla materia tributaria, residuano i tributi regionali e quelli locali. Più precisamente, la Corte
costituzionale afferma che la potestà legislativa delle Regioni in materia tributaria, non espressamente
riservata alla legislazione dello Stato, dovrebbe riguardare esclusivamente i presupposti d’imposta collegati
al territorio di ciascuna Regione e sempre che l’esercizio di tale funzione non si traduca in un dazio o in un
ostacolo alla libera circolazione delle persone e delle cose tra Regioni.
Il successivo art. 119 co.2 Cost. prevede che gli enti locali e le Regioni stabiliscano e applichino i propri
tributi, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario (facendo implicito riferimento all’art. 117 co.3).
Vi è dunque una significativa differenza tra Regioni a statuto ordinario e Regioni a statuto speciale:
o Per le prime, a statuto ordinario, lo spazio riservato alla loro potestà dipende prevalentemente dalle
scelte di fondo operate dallo Stato in sede di fissazione dei principi fondamentali di coordinamento
del sistema tributario e l’esercizio del potere esclusivo delle Regioni (di autodeterminazione del
prelievo) è ristretto a quelle ipotesi limitate di tributi aventi presupposti diversi dai già esistenti
tributi statali e dunque rientranti nel comma 4. Perciò, non è ammissibile (in materia tributaria) una
piena esplicazione di autonome potestà regionali, in carenza della fondamentale legislazione di
coordinamento dettata dal Parlamento. Lo Stato ha il potere di fissare (con propria legge) non solo i
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Con la legge 42/2009, il Parlamento ha delegato il Governo di emanare uno o più decreti legislativi recanti la
definizione dei principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario,
stabilendo (in conformità con l’art. 76 Cost. —> “l’esercizio della funzione legislativa non può essere
delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato
e per oggetti definiti”) alcuni principi e criteri direttivi cui il Governo dovrà uniformarsi nei propri decreti di
attuazione. Si tratta dell’atto con cui si è inteso dare attuazione al federalismo fiscale, da intendersi quale
autonomia delle politiche di entrata degli Enti territoriali, riconosciuta dalla Costituzione con lo scopo di
instaurare una proporzionalità diretta tra le entrate fiscali pertinenti al territorio di ciascun ente e quelle
effettivamente destinate al territorio stesso, in modo tale da consentire a tali enti di attuare politiche
autonome di spesa nelle materie di rispettiva competenza. Esso si fonda sul principio di autonomia di cui
all’art. 5 Cost. (“La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei
servizi che dipendo dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi e i metodi della
sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”) e di cui costituiscono essenza i seguenti
principi generali del federalismo, contenuti nella legge delega:
a. Il principio di autonomia finanziaria, sotto il profilo della spesa e delle entrate (art. 119 Cost.);
b. Il principio di sussidiarietà, secondo il quale le attività amministrative vengono svolte dall’ente
territoriale più vicino ai cittadini (il Comune) e possono essere esercitate dai livelli territoriali
superiori se questi possono rendere il servizio in maniera più efficiente (art. 118 Cost.);
c. Il principio di semplificazione ed efficienza, per il quale ogni amministrazione locale deve decidere in
termini di costi e benefici;
d. Il principio di responsabilità, che vuole che i cittadini amministrati siano posti nella condizione di
indirizzare e controllare l’operato dei loro amministratori quanto alle decisioni di spesa e di entrata;
e. Il principio del beneficio, diretto a rendere più direttamente percepibile il collegamento nel territorio
regionale e locale (tra prelievi e spese).
Parliamo ora della disciplina prevista dalla legge delega, cui hanno fatto seguito i decreti delegati per le
Regioni a statuto ordinario e le province (d.lgs. 68/2011) e per i Comuni (d.lgs. 23/2011).
-Iniziando dalle Regioni, la delega prevede che esse finanzieranno le proprie spese attraverso tributi (propri
“stricto sensu”, istituiti e regolati con legge regionale + tributi propri “derivati”, istituiti e regolati dalla legge
statale e il cui gettito è attribuito alle Regioni + le addizionali sulle basi imponibili dei tributi erariali);
compartecipazioni al gettito dei tributi erariali, in via prioritaria a quello dell’IVA; e per le Regioni con
minor capacità fiscale per abitante, attraverso somme provenienti dal riparto del fondo perequativo.
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-Parliamo ora dei Comuni e Province, per gli stessi sono previsti: a) tributi propri derivati, istituiti dallo Stato
che ne stabilisce gli elementi fondamentali; b) tributi propri derivati istituiti dalle Regioni, relativamente a
presupposti non assoggettati a imposizione da parte dello Stato; c) tributi propri di scopo (comunali), per
finanziare opere pubbliche e di investimento pluriennali nei servizi sociali; d) compartecipazioni al gettito
(istituite dalle Regioni) dei tributi e delle compartecipazioni regionali; e) compartecipazioni per i comuni, ai
tributi statali (tra cui l’IVA e l’IRPEF); f) finanziamento per le Province, prioritariamente attraverso il gettito
derivante da tributi il cui presupposto è connesso al trasporto su gomma; g) imposizione immobiliare per i
Comuni, compresa quella sui trasferimenti della proprietà e di altri diritti reali; h) il riparto dei fondi
perequativi per le funzioni fondamentali.
Per quanto riguarda la disciplina attuativa, il d.lgs. 23/2011 ha previsto per i Comuni i seguenti tributi propri
derivati: l’imposta municipale propria (IMU), l’imposta municipale secondaria, la cedolare secca sugli affitti,
l’imposta di scopo e l’imposta di soggiorno.
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Passando alla trattazione dei vincoli internazionali, emergono innanzitutto quelli derivanti dalle fonti
consuetudinarie, come comportamento costante e uniforme tenuto dalla gran parte dei membri della
Comunità internazionale, con la convinzione che esso corrisponda ad un obbligo giuridico.
In materia tributaria, una prima fonte tradizionalmente qualificata come diritto internazionale
consuetudinario concerne il trattamento ai fini tributari dei redditi degli Stati e degli agenti diplomatici (e
comporta il non assoggettamento ad imposte di tali redditi da parte dello Stato in cui i redditi sono stati
prodotti o in cui opera l’agente diplomatico, purché tali redditi siano ottenuti nell’esercizio delle funzioni
pubbliche). Meno pacifica però risulta l’esenzione accordata agli agenti diplomatici, talvolta ricondotta ad un
atto di mera cortesia internazionale. Si tratta dell’art. 34 della “Convenzione sulle relazioni diplomatiche”, il
quale prevede che l’agente diplomatico sia esente da tutte le imposte (personali o reali, nazionali o regionali
o comunali).
Ai cd. “principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili” di cui all’art. 38 dello Statuto della Corte
internazionale di giustizia, quali principi esistenti e uniformemente applicati nella maggior parte degli Stati e
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( giugno 2017, 70 Paesi hanno firmato, presso la sede OCSE, una Convenzione definita MLI attraverso la
quale viene prevista la possibilità di modificare automaticamente (senza dunque rinegoziare una ad una) le
varie Convenzioni internazionali per adeguarle alle nuove regole elaborate nell’ambito del cd. Progetto BEPS,
volto a contrastare i comportamenti finalizzati all’erosione della base imponibile degli Stati. È entrata in
vigore nel marzo 2018, a seguito dell’avvenuto deposito da parte di alcuni Stati, per gli altri occorrerà
attendere il relativo deposito.
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La nozione di soggettività tributaria si ricollega alla titolarità di situazioni giuridiche soggettive, siano esse
attive o passive. Si tratta di una distinzione che non coincide con quella tra soggetti attivi e soggetti passivi,
dal momento che sia i primi che i secondi possono alternativamente essere titolari di situazioni giuridiche
attive o passive.
I soggetti attivi: coloro che sono titolari del potere impositivo.
I soggetti passivi: vi è una duplice nozione. Da un lato sono considerati soggetti passivi coloro ai quali:
- è riferito il presupposto impositivo, inteso come atto o fatto al cui verificarsi è dovuto il tributo, dove tale
presupposto esprime appunto una capacità contributiva di quel soggetto e nel cui patrimonio deve, dunque,
manifestarsi l’effetto tipico di decurtazione. Si suole parlare in questo caso di contribuente.
- non è riferito il suddetto presupposto, ma che sono comunque titolari di situazioni giuridiche soggettive di
carattere sostanziale o strumentale. Le situazioni giuridiche di carattere sostanziale possono poi esser
relative all’obbligazione di pagare il tributo (il cd.obbligato), oppure a qualificazioni o relazioni rilevanti ai fini
della determinazione dell’an e del quantum del tributo (ES: residente/non residente, commerciali/non
commerciali).
Anche lo Stato può essere soggetto passivo, a meno che non vi sia una norma che lo escluda espressamente
dall’elenco di tali soggetti passivi (ES: art. 74 TUIR in tema di imposte sui redditi).
Ulteriore distinzione molto importante è quella tra contribuente di diritto e contribuente di fatto:
-Il contribuente di diritto è colui che è giuridicamente tenuto a corrispondere il tributo.
-Il contribuente di fatto, è colui che è destinato a sopportare in via definitiva l’onere economico del prelievo.
La posizione del contribuente di fatto è irrilevante sul piano del rapporto obbligatorio d’imposta, ma può
acquisire rilevanza giuridica in quanto soggetto passivo di un eventuale rapporto giuridico di rivalsa, quando
cioè gli sia espressamente conferito tale diritto, il cui esercizio produce un effetto economico, la traslazione.
Quali esempi si possono ricordare le accise, i cui soggetti passivi hanno diritto di rivalsa verso i cessionari dei
prodotti per i quali hanno assolto il tributo; oppure l’IVA, i cui soggetti passivi (imprenditori che pongono in
essere cessioni di beni o prestazioni di servizi) hanno l’obbligo di addebitare l’imposta alle oro controparti.
Parte della dottrina sostiene che questo rapporto abbia natura tributaria, mentre per un’altra parte ha
natura privatistica. L’adesione all’una o all’altra tesi comporta conseguenze in ordine all’individuazione del
soggetto passivo del tributo. La tesi da accogliere è quella della natura pubblicistica, ossia tributaria. Quindi
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➡️ La Corte di cassazione (2003) ha affermato che dall’esame congiunto di due articoli 17 e 18 del d.p.r.
633/1972, va desunta l’esistenza di tre distinti rapporti giuridici (due sono sicuramente di natura tributaria: il
rapporto tra cedente e Amministrazione finanziaria, relativamente al pagamento dell’imposta; quello tra
cessionario ed Erario concernente l’esercizio del diritto di detrazione), il terzo rapporto è quello tra cedente e
cessionario, relativo all’addebito dell’imposta in fattura a titolo di rivalsa, che vede invece l’estraneità
dell’Amministrazione finanziaria, sicché in caso di ripetizione di quanto versato a titolo di rivalsa, il
cessionario può promuovere un’azione nei confronti del cedente solamente davanti al giudice ordinario.
Tuttavia, in sentenze più recenti, la Cassazione ha affermato che il cessionario o committente che
acquisiscono beni o servizi nell’esercizio di un’impresa, sono (a differenza dei meri consumatori finali)
soggetti attivi nel rapporto IVA. Perciò possono chiedere direttamente all’Erario il rimborso delle somme
indebitamente versate, purché (ovviamente) il cessionario compia operazioni imponibili che diano diritto a
detrazione (2015). Pertanto, da ciò ne deriva che i soli ad essere carenti della legittimazione sono i
consumatori finali e i soggetti passivi che compiano operazioni che non diano diritto a detrazione.
Vi sono però anche casi in cui la rivalsa è vietata, ciò accade per le imposte indirette dove sono presenti
norme che dichiarano nulli i patti sull’imposta o i casi in cui è vietata la traslazione sui prezzi (ES: ove vi sia il
rischio che una forma di imposizione prevista per colpire una determinata manifestazione di capacità
contributiva venga di fatto traslata sui consumatori finali).
In tutti questi casi risulta dunque che la soggettività passiva del tributo è attribuita al soggetto che deve
versare il tributo. Il divieto di esercitare la rivalsa o la traslazione ha lo scopo di far sì che il titolare della
capacità contributiva resti il soggetto definitivamente gravato dal peso del tributo.
In altre ipotesi, invece, la traslazione non è prevista dalla legge e viene affidata semplicemente all’operare
delle regole economiche del mercato: qui, il soggetto percosso trasferisce il prelievo al soggetto inciso
includendolo nel corrispettivo (naturalmente se e in quanto il mercato lo consenta e qualora non sussista il
divieto di traslazione sui prezzi). In questo caso il soggetto passivo del tributo resta comunque colui che è
tenuto a versarlo non essendovi una rivalsa giuridica dalla quale poter argomentare in relazione
all’individuazione del titolare della capacità contributiva.
➡️ A ciò possiamo collegare un caso interessante: quello delle addizionali sull’energia elettrica. Secondo la
Cassazione (2013), il fabbricante di energia elettrica è il soggetto passivo del rapporto tributario con
l’Amministrazione finanziaria in ordine alle addizionali sull’imposta di consumo dell’energia elettrica, mentre
il cessionario (anche qualora abbia ceduto quote di energia ai terzi ma senza aver ottenuto la licenza di
esercizio) è soggetto meramente inciso dal tributo. Ne deriva che il rapporto inerente al pagamento
dell’imposta si svolge soltanto tra Amministrazione finanziaria e i soggetti che forniscono direttamente i
prodotti e ad esso è del tutto estraneo l’utente consumatore. I due rapporti si pongono dunque su un piano
diverso: quello tra fornitore e Amministrazione finanziaria ha rilievo tributario, quello tra fornitore e
consumatore rilievo civilistico. Perciò il diritto al rimborso spetta esclusivamente al soggetto passivo
dell’imposta, ossia al fornitore.
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Il sostituto d’imposta: al fine di perseguire obiettivi di rafforzamento della garanzia patrimoniale del Fisco e
di semplificazione dei suoi rapporti nei confronti della molteplicità dei contribuenti, il legislatore può
coinvolgere nell’attuazione del prelievo soggetti diversi da quelli che hanno realizzato l’indice di capacità
contributiva, sia “sostituendo” un soggetto ad un altro (sostituto), sia “aggiungendo” un soggetto a colui che
ha realizzato l’indice di capacità contributiva (responsabile d’imposta). Il collegamento tra le due figure è
testimoniato dalla “comunanza” normativa nell’art. 64, d.p.r. 600/1973: sostituto d’imposta: comma 1: “Chi
in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri, per fatti o situazioni a
questi riferibili ed anche a titolo di acconto, deve esercitare la rivalsa se non è diversamente stabilito in
modo espresso”.
Responsabile d’imposta: Comma 3: “Chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento
dell’imposta insieme con altri, per fatto o situazioni esclusivamente riferibili a questi, ha diritto di rivalsa”
Cominciamo la trattazione del sostituto d’imposta: le teorie recenti non si esprimono più in termini di
sostituzione tra rapporti giuridici (perché il tributo è in capo al sostituto sin dall’origine), ma si concentrano
sulla struttura della fattispecie, che presenta una “deviazione” rispetto al normale meccanismo di
applicazione del tributo. Vi è una norma base che fissa il presupposto in capo al soggetto sostituito e una
norma secondaria che imputa l’obbligo di pagamento in capo al sostituto realizzando un effetto di
sviamento. Anzi, la giustificazione del meccanismo di sostituzione si rinviene proprio nella particolare
posizione occupata dal sostituto rispetto al sostituito, essendo il primo debitore del secondo: potendo così,
nel momento in cui adempie alla propria prestazione nei confronti del sostituito, versare una minor somma
rispetto al dovuto e trattenerne una parte da versare all’Erario —> questo risultato è ottenuto attraverso lo
strumento della ritenuta, che altro non è che una particolare modalità di esercizio dell’obbligo di rivalsa che
il sostituto ha nei confronti del sostituito e serve soprattutto far ricadere il peso del tributo sul reale titolare
della capacità contributiva (il sostituito).
È necessaria però una precisazione: la sostituzione d’imposta assume (nel nostro ordinamento) una duplice
configurazione:
1) sostituzione “a titolo d’imposta” (o “propria”), dove l’effettuazione della ritenuta ed il versamento
all’erario da parte del sostituto esaurisce qualsiasi rapporto di natura tributaria in capo al soggetto sostituito,
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Nei rapporti tra sostituto e sostituito possono verificarsi alcune situazioni patologiche:
A. Ipotesi di ritenuta a titolo d’imposta con rivalsa facoltativa, qui l’unico soggetto passivo è il sostituto che
non è obbligato a rivalersi sul sostituito, il quale è estraneo a qualunque rapporto giuridico con il titolare
del credito tributario e dunque anche nel caso in cui la ritenuta non sia stata operata;
B. Ipotesi di ritenuta a titolo di imposta con rivalsa obbligatoria si possono avere i seguenti casi:
- Il sostituto effettua la ritenuta ma non la versa: in questo caso il sostituto è suscettibile di sanzione per
omesso versamento ex art. 13, d.lgs. 471/1997, mentre il sostituito deve ritenersi del tutto estraneo al
rapporto impositivo, avendo subito il prelievo mediante ritenuta;
- Il sostituto non effettua la ritenuta, ma ciononostante la versa: il sostituito non subisce alcuna conseguenza
per effetto della mancata ritenuta, mentre al sostituto saranno applicate le sanzioni previste per l’omesso
obbligo di effettuazione della ritenuta, tuttavia egli può recuperare successivamente in via di rivalsa
l’importo della ritenuta in capo al sostituito, cui l’imposta è riferibile in termini di capacità contributiva (con
l’esclusione delle sanzioni amministrative);
- Il sostituto non effettua e non versa la ritenuta: qui sorgono numerosi problemi, in quanto il sostituito non
essendo tenuto a presentare la dichiarazione per redditi “soggetti” (anche se non materialmente
assoggettati) a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, esso non può assolvere in dichiarazione l’imposta e
finirebbe dunque per rimanere estraneo al rapporto obbligatorio e non potrebbe essere assoggettato ad
alcuna procedura di riscossione. Così l’art. 35 d.p.r. 602/1973 prevede che il sostituito sia obbligato in solido,
nel caso di iscrizione a ruolo del sostituto, per le imposte (per l’ammontare della ritenuta e non per l’imposta
corrispondente al reddito complessivo), gli interessi e le sanzioni relativi ai redditi sui quali esso non ha
operato e versato le ritenute. Ai sensi dell’art. 64 co.2 d.p.r.ha diritto di intervenire nel procedimento
instaurato nei confronti del sostituto, in quanto interessato a far valere eventuali esenzioni o esclusioni. Da
tutto questo si evince che l’atto impositivo sarà intestato al solo sostituto, il quale avrà l’onere di
comunicarlo al sostituito (pena la perdita del diritto di rivalsa nei suoi confronti); quanto alle sanzioni, non
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La solidarietà passiva nel diritto tributario: Mentre non si ravvisa nel diritto tributario solidarietà attiva, vi
sono situazioni giuridiche passive che possono far capo ad una pluralità di soggetti. Si distingue in particolare
tra: solidarietà in senso sostanziale, riferita all’obbligazione di pagare il tributo; solidarietà in senso
formale, che riguarda gli obblighi strumentali del contribuente e gli effetti degli atti dell’Amministrazione
finanziaria nel caso di obbligazioni solidali.
A sua volta, la solidarietà sostanziale si distingue tra :
1. Solidarietà paritetica: gli effetti di un’unica fattispecie sono contemporaneamente riferibili a distinti
soggetti e il presupposto è dunque posto in essere da più soggetti che si trovano, rispetto ad essa, nella
condizione prevista dalla norma. Esistono due ipotesi:
- l’unico fatto imponibile si riferisce per l’intero a più soggetti, in quanto volto ad evidenziare la loro capacità
contributiva e non invece a ripartire tra gli stessi il tributo (ciò si verifica solitamente nelle imposte reali
oppure indirette). Altri esempi: si pensi ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni, gli eredi sono
obbligati solidalmente al pagamento dell’imposta nell’ammontare complessivamente dovuto da loro e dai
legatari…
La fonte della solidarietà passiva è controversa, si discute se sia applicabile l’art 1294 cc sulla responsabilità
in solido: “I condebitori sono tenuti in solido, se dalla legge o dal titolo non risulta diversamente”. Per una
parte della dottrina tale articolo è applicabile dunque anche all’obbligazione tributaria, mentre per un’altra
(TESAURO) l’applicabilità è esclusa perché non esiste alcuna ragione per la quale quella norma del codice
civile dovrebbe essere applicata all’obbligazione tributaria e se al diritto tributario si applicassero le norme
del codice civile sarebbero superflue le disposizioni delle leggi tributarie che stabiliscono la solidarietà.
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Tipica ipotesi di responsabilità solidale dipendente è quella del responsabile d’imposta, riconducibile all’art.
64 co.3 d.p.r. 600/1973, secondo il quale “chi, in forza di disposizioni di legge, è obbligato al pagamento
dell’imposta insieme con altri, per fatti o situazioni esclusivamente riferibile a questi, ha diritto di rivalsa”.
Questa figura non va innanzitutto confusa con quei soggetti sui quali non incombe alcuna obbligazione, in
quanto semplicemente terzi esposti all’azione esecutiva del creditore su alcuni beni di loro proprietà gravati
da diritti reali di garanzia.
Esso viene coinvolto nel prelievo al fine di meglio assicurare il soddisfacimento della pretesa erariale,
attraverso l’ampliamento dei patrimoni escussi, ma proprio per il fatto che egli non è titolare della capacità
contributiva, bensì svolge solo una funzione di garanzia è richiesto un titolo giustificativo della prestazione.
È possibile individuare alcune figure di responsabili d’imposta:
- I notai per l’imposta di registro, dove le operazioni avvengono con il ministero o per il tramite di un
soggetto che riveste nell’ordinamento giuridico una particolare qualifica. Qui il responsabile, in virtù della
sua qualifica, è in grado di assicurarsi preventivamente le somme con le quali far fronte all’obbligazione.
- Il cessionario d’azienda; dei nuovi possessori di immobili per il pagamento di imposte, interessi e sanzioni,
iscritti o ascrivibili a ruolo a nome dei precedenti possessori; del rappresentante IVA del soggetto non
residente e senza stabile organizzazione in italia; del cessionario del credito IVA; del rappresentante
negoziale delle parti contraenti per l’imposta di registro…
- Le parti di uno dei molteplici negozi contenuti tutti nel medesimo atto, non necessariamente connessi, non
derivanti per la loro intrinseca natura l’uno dagli altri, obbligate (le parti) a rispondere anche dell’imposta
principale di registro relativa alle disposizioni cui i medesimi sono estranei; oppure i coniugi che si sono
avvalsi della facoltà di presentare su un unico modello la dichiarazione dei redditi di ciascuno di essi.
- La responsabilità della società partecipata per il debito dei soci nella trasparenza delle società di capitali,
oppure del consolidato fiscale, la responsabilità della controllante per le maggiori imposte derivanti da avvisi
di rettifica della dichiarazione medesima…
- Vi è una responsabilità solidale dipendente che discende dalle stesse regole generali civilistiche, qual è la
responsabilità dei soci delle società semplici, delle società in nome collettivo e dei soci accomandatari delle
società in accomandita. Tale responsabilità solidale vale limitatamente al periodo in cui si è stati soci e nei
soli rapporti con i creditori sociali (art. 2290 cc, sino al momento in cui la cessione della quarta sia stata
iscritta nel registro delle imprese o i terzi ne abbiano avuto conoscenza).
Per quanto riguarda invece, la responsabilità dei soci di società di capitali: l’art 36 d.p.r 602/73 modificato
con d.lgs 175/2014, prevede la responsabilità del liquidatore (e anche degli amministratori, qualora all’atto
dello scioglimento non si sia provveduto alla sua nomina) per le imposte non assolte dalla società di capitali,
laddove soddisfi crediti di ordine inferiore a quelli tributari oppure distribuisca ai soci, nella fase della
liquidazione, beni e somme della società (nei limiti della somma che l’Erario avrebbe altrimenti ottenuto
dalla liquidazione).
La responsabilità tributaria dei soci di società di capitali, ora non pare più disciplinata dall’art. 2495 cc
(secondo il quale: ferma restando l’estinzione della società dopo la cancellazione, i creditori sociali possono
far valere i loro crediti nei confronti dei soci sino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al
bilancio finale di liquidazione) poiché con le modifiche avvenute con il d.lgs 175/2014 la norma civilistica
parrebbe aver perso la propria autonomia, sul piano tributario.
Ad oggi perciò risulta applicabile l’art 36 che prevede una responsabilità dei soci e associati nei limiti del
valore dei beni ricevuti indipendentemente da qualunque comportamento del socio e presume che il valore
di quanto ricevuto sia proporzionalmente equivalente alla quota di capitale detenuta dal socio od associato.
Tale norma non vale per le società di persone, per le quali restano ferme le maggiori responsabilità
civilistiche (i regimi di responsabilità patrimoniale).
Tale forma di responsabilità, introdotta dall’art 36, deve essere coordinata con altre norme, come l’art. 28
che prevede il differimento dell’estinzione della società dopo il decorso di 5anni dalla richiesta di
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Per quanto riguarda la solidarietà in senso formale, possono distinguersi due aspetti: 1) relativo agli
adempimenti strumentali (dichiarazioni, comunicazioni) dove l’adempimento di un condebitore solidale
libera gli altri; qui più che di solidarietà bisognerebbe parlare di obblighi soggettivamente fungibili. 2) è
quello dell’efficacia degli atti dell’Amministrazione finanziaria nei confronti dei condebitori solidali e dei
risvolti di tale efficacia nei rapporti interni. Giurisprudenza e dottrina, in seguito a numerosi scenari, sono
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Mentre con riferimento ai tributi SENZA accertamento nessuno dubita che la realizzazione nel concreto della
fattispecie imponibile comporti direttamente la nascita (in capo al soggetto passivo) dell’obbligo di
adempiere alla prestazione impositiva, per quanto riguarda i tributi CON accertamento, si sono formate
teorie differenti in particolare due teorie: teoria dichiarativa e teoria costitutiva.
Iniziamo ora dalla teoria dichiarativa: la norma disciplina direttamente il fatto, collegandovi determinati
effetti sostanziali. Quindi la posizione giuridica di cui è titolare il contribuente (che assume rango di diritto
soggettivo) discende direttamente dal presupposto e l’intervento amministrativo in fase di accertamento
assolve unicamente la funzione di mera applicazione delle norme.
Più precisamente (e in sintesi) si sostiene che:
- Lo schema tipico del rapporto d’imposta deve identificarsi in quello dell’obbligazione legale, ossia un
rapporto di debito-credito, non diverso dalle comuni obbligazioni privatistiche;
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Secondo la teoria costitutiva: l’esercizio del potere di accertamento e la conseguente emanazione del
relativo atto di natura provvedimentale costituiscono il momento costitutivo dell’obbligazione tributaria. Per
quanto attiene alla posizione giuridica del contribuente (secondo molti) essa si qualifica come diritto
soggettivo (ma ci sono altri autori che la riconducono all’interno dello schema dell’interesse legittimo).
Quindi, per i sostenitori di questa teoria, l’obbligazione sorge con la dichiarazione o per effetto dei
provvedimenti dell’Amministrazione finanziaria.
E più precisamente si sostiene che:
- Anteriormente all’emanazione dell’avviso di accertamento non può parlarsi di un rapporto di
debito/credito tra Stato e cittadino. In quanto l’obbligazione tributaria può essere adempiuta solo ed
esclusivamente dopo la realizzazione di alcuni schemi procedurali caratterizzati, il più delle volte, dalla
presenza di atti provenienti dall’Amministrazione finanziaria;
- Solo con il concreto esercizio della funzione amministrativa impositiva deriva il sorgere dell’obbligazione
tributaria, secondo lo schema norma-potere-fatto;
- Nei tributi con accertamento, le norme regolatrici dell’imposta hanno natura di norme strumentali o di
azione, ossia di norme attributive alla Pubblica Amministrazione una funzione amministrativa impositiva e
dei correlati poteri autoritativi;
- Dal momento che l’atto di accertamento ha natura di provvedimento amministrativo con efficacia
costitutiva del rapporto di imposta, la tutela giurisdizionale è volta esclusivamente all’annullamento dello
stesso (impugnazione-annullamento);
- La situazione soggettiva del contribuente si inquadra: secondo alcuni nello schema del diritto soggettivo,
secondo altri in quello dell’interesse legittimo.
La Cassazione propende per la teoria dichiarativa: 2013 —> ha affermato che l’accertamento tributario non
fa sorgere l’obbligazione tributaria, ma segue alla stessa con efficacia dichiarativa. L’accertamento tributario
non è dunque condizione di esistenza o elemento costitutivo del credito d’imposta (teoria costituiva), ma
condizione di esigibilità del credito tributario (teoria dichiarativa).
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Dopo aver analizzato le fasi che caratterizzano il procedimento di attuazione delle imposte sui redditi e
dell’IVA, occorre verificare quali siano le regole e gli strumenti a favore del contribuente.
Con particolare riferimento alla partecipazione del contribuente al procedimento impositivo, essa (assieme
all’attività dell’Amministrazione finanziaria) è finalizzata alla determinazione di un’obbligazione tributaria,
corrispondente alla reale capacità contributiva del soggetto passivo. Può accadere, in concreto, che le
opinioni dell’Amministrazione finanziaria e del contribuente divergano, tuttavia, in un’ottica di corretta
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Il ruolo del regime dell’adempimento collaborativo nell’ambito di un nuovo rapporto tra fisco e
contribuente finalizzato alla “tax compliance”: Lo schema tradizionale del rapporto tra contribuente e Fisco
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La presentazione della dichiarazione avviene in via telematica, solo in alcuni casi eccezionali (ES: i
contribuenti che devono presentare la dichiarazione per conto di contribuenti deceduti) è possibile
presentare la dichiarazione in forma cartacea tramite una banca o un ufficio postale (in tal caso il termine è
quello del 30 giugno dell’anno successivo).
La dichiarazione si considera presentata nel giorno in cui è trasmessa, direttamente o tramite intermediari,
mentre la prova della presentazione è data dalla comunicazione dell’Amministrazione attestante l’avvenuto
ricevimento. (Se è presentata a mezzo di posta, si considera presentata nel giorno in cui è consegnata dal
contribuente all’ufficio postale).
La dichiarazione presentata entro 90gg dalla scadenza si considera valida, salva l’applicazione di sanzioni.
Quella presentata dopo i 90gg si considera omessa, ma costituisce comunque titolo per la riscossione delle
imposte risultanti dalla stessa.
La dichiarazione deve essere sottoscritta dal contribuente a pena di nullità. La nullità per omessa
sottoscrizione può essere sanata se il contribuente provvede a mettere la firma entro 30gg dal ricevimento
del relativo invito da parte dell’ufficio.
La dichiarazione dei redditi: Originariamente si riteneva che la dichiarazione fosse assimilabile ad una
confessione stragiudiziale, sul presupposto secondo cui con essa il contribuente rappresenti fatti a sé
sfavorevoli e favorevoli all’Amministrazione finanziaria. Ne conseguiva l’irretrattabilità di quanto dichiarato
se non per errore di fatto o violenza.
Si è però osservato che siccome la dichiarazione è un atto dovuto manca l'animus confitenti (la confessione è
un atto spontaneo). Inoltre, essa è obbligatoriamente richiesta anche solo per attestare la sussistenza di
condizioni negative di tassazione, cioè per attestare fatti che possono essere favorevoli al contribuente.
Tali argomentazioni hanno indotto la dottrina a preferire altre ricostruzioni, in ordine alla sua natura
giuridica. E quindi dottrina e giurisprudenza sono adesso orientate nel ritenere che la dichiarazione sia una
dichiarazione di scienza, cioè l'atto con il quale il contribuente deve affermare ciò che egli conosce rispetto
ad una determinata situazione fiscalmente rilevante, gli effetti della dichiarazione discendono solo della
legge e non dalla volontà del dichiarante, che non rileva come tale. Essa ha pertanto natura volontaria e non
negoziale. Quindi non si applica la disciplina civilistica dei vizi della volontà. Il corollario di tale posizione è la
libera ritrattabilità della dichiarazione.
Tale ricostruzione deve essere precisata, nel senso che la dichiarazione dei redditi, non può essere
considerata tout court una dichiarazione di scienza, ma ha natura composita. Infatti, le dichiarazioni di
scienza comportano la mera attestazione di fatti, ma mai delle valutazioni di diritto. Mentre la dichiarazione
dei redditi comporta delle valutazioni o qualificazioni giuridiche.
Quindi la dichiarazione dei redditi deve essere considerata come un atto composito che può contenere in sé
dichiarazioni di scienza, valutazioni di fatto e di diritto da intendersi quali meri atti giuridici e delle vere e
proprie manifestazioni di volontà connesse alle opzioni. Viene poi data rilevanza anche al comportamento
concreto e concludente del contribuente (dove, per “comportamento concludente”, si deve intendere
l’effettuazione da parte dello stesso di adempimenti che presuppongono inequivocabilmente la scelta di un
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La fase successiva alla dichiarazione dei redditi, in relazione all’esigenza di un controllo immediato delle
dichiarazioni è stata risolta con l’introduzione della liquidazione e il controllo formale delle dichiarazioni con
il d.p.r. 600/1973.
La liquidazione: non è finalizzata alla rettifica del reddito, bensì alla sola verifica dell’esattezza numerica dei
dati dichiarati.
Nel caso delle imposte dirette —> la liquidazione si colloca come fase antecedente a quella (eventuale)
dell’accertamento in senso stretto.
Nel caso delle imposte indirette (quali ad ES: l’imposta di registro) —> si parla invece di liquidazione del
tributo in altro senso: qui la fase della liquidazione è quella in cui gli uffici applicano l’aliquota alla base
imponibile e determinano in concreto il tributo da pagare.
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Quando dai controlli automatici emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione,
l’esito della liquidazione è comunicato al contribuente per evitare la reiterazione di errori e per consentire la
regolarizzazione degli aspetti formali, salvo un termine di 30giorni per fornire agli uffici eventuali
chiarimenti.
Controllo formale: ai sensi dell’art. 36-ter gli uffici dell’Amministrazione finanziaria procedono (entro il 31
dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione) al controllo formale delle dichiarazioni
presentate dai contribuenti e dai sostituti d’imposta sulla base di criteri selettivi.
((Il controllo formale si differenzia dalla liquidazione perché non riguarda solo la dichiarazione ma anche i
documenti che devono corredarla)).
Gli uffici dunque possono:
a) escludere (in tutto o in parte) lo scomputo delle ritenute d’acconto non risultanti dalle dichiarazioni dei
sostituti o dalle certificazioni richieste ai contribuenti;
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Nel controllo formale è prevista la possibilità di una ridotta attività istruttoria, consistente nella richiesta al
contribuente di esibire documenti che giustifichino determinati voci o di controllo incrociato della
dichiarazione con altre dichiarazioni. Il contribuente o sostituto d’imposta è invitato a fornire chiarimenti in
ordine ai dati contenuti nella dichiarazione, ma ciò non consente di assimilare l’istituto alle fattispecie di
accertamento.
L’esito del controllo formale è comunicato al contribuente o al sostituto d'imposta con l'indicazione dei
motivi che hanno dato luogo alla rettifica degli imponibili o di altri dati dichiarati.
Se il contribuente è destinatario della dichiarazione precompilata i controlli (ex art. 36-ter d.p.r. 600/1973)
possono non aver luogo, in particolare se:
- il contribuente accetta la dichiarazione senza modifiche o apporta modifiche che non incidono sulla
determinazione del reddito/imposta;
- il contribuente si avvale di un Caf o di un professionista abilitato, in questo caso sarà il CAF ad essere
destinatario dei controlli.
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Per quanto riguarda le conseguenze dell’inadempimento alle richieste degli uffici —> tale comportamento
comporta una sanzione amministrativa. Se l’inadempimento riguarda direttamente il contribuente, l’art 32
co.4 d.p.r. 600/1973 prevede che le notizie ed i dati non addotti e gli atti, documenti e libri non trasmessi o
non esibiti non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento
in sede amministrativa e nella sede contenziosa. L’Ufficio ha l’obbligo di informare il contribuente di tale
conseguenza. La giurisprudenza di Cassazione ne ha operato un’interpretazione restrittiva, affermando che
affinché si possa parlare di rifiuto del contribuente all’esibizione (con il conseguente divieto di utilizzo del
medesimo materiale documentale in sede amministrativa e giudiziale) non è sufficiente una generica
richiesta da parte degli accentratori di esibire tutte la documentazione rilevante su una determinata
questione, dovendo la stessa essere specifica.
Il contribuente deve essere espressamente avvertito delle conseguenze della mancata esibizione, pena
l’inoperatività della preclusione in esame.
In ogni caso al contribuente deve essere consentito di depositare in allegato all’atto introduttivo del giudizio
di primo grado in sede contenziosa: le notizie, i dati, i documenti, libri e registri dichiarando di non aver
potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa ad egli non imputabile (causa riferibile sia
all’Amministrazione finanziaria, ES: trasferimento dell’ufficio; sia ad un comportamento non doloso o
colposo, ES: carenze organizzative, mancanza dell’ordinaria diligenza).
Infine, è stata attribuita rilevanza penale (art. 11 d.l. 201/2011) alla risposta mendace alle richieste degli
Uffici, perciò costituisce ora reato (punito con le pene previste dal codice penale e dalle leggi speciali) il
comportamento del contribuente che esibisce o trasmette atti/documenti falsi in tutto o in parte o fornisce
dati e notizie non rispondenti al vero. Oltre al diritto a mentire può assumere rilevanza anche il diritto al
silenzio, che forma oggetto di un’ampia giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo —> secondo
la quale, il diritto ad un equo processo comprende anche il diritto a mantenere il silenzio e a non auto-
incriminarsi, con l’effetto dunque sia di opporsi alle richieste documentali sia a rifiutare di rendere risposte
atte ad esporre il soggetto al rischio di incriminazioni.
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-Le indagini finanziarie: questo potere sta assumendo forte rilevanza nella lotta all’evasione fiscale e a tale
riguardo, gli uffici (e la Guardia di Finanza) possono richiedere:
a) agli organi e alle Amministrazioni dello Stato, agli enti non economici, alle società e agli enti di
assicurazione la comunicazione di dati e notizie relativi a soggetti indicati singolarmente per categorie;
b) alle società e agli enti di assicurazione (per quanto riguarda i rapporti con gli assicurati sulla vita) i dati e
notizie attinenti alla durata del contratto di assicurazione, all’ammontare del premio e alla individuazione del
soggetto tenuto a corrisponderlo;
c) ai soggetti sottoposti ad accertamento/ispezione/verifica, previa autorizzazione del direttore centrale
dell’accertamento dell’Agenzia delle entrate o del direttore regionale della stessa, oppure (per la Guardia di
finanza) del comandante regionale il rilascio di una dichiarazione contenente l’indicazione della natura, del
numero e degli estremi identificativi dei rapporti (in corso o estinti) intrattenuti con le banche, le Poste
Italiane S.p.A., gli intermediari finanziari…
d) alle banche, alle Poste Italiane S.p.A., alle società enti di assicurazione per le attività finanziarie, agli
intermediari finanziari, ecc…previa autorizzazione del direttore centrale dell’accertamento dell’Agenzia delle
entrate o del direttore della stessa: dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od
operazione effettuata (anche i servizi prestati) con i loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi o dagli
operatori finanziari;
e) alle società fiduciarie (specificando i periodi temporali di interesse), previa autorizzazione del direttore
centrale dell’accertamento dell’Agenzia delle entrate o del direttore regionale della stessa: di comunicare le
generalità dei soggetti per conto dei quali esse hanno detenuto o amministrato o gestito beni, strumenti
finanziari e partecipazioni in imprese.
Le richieste devono essere indirizzare al responsabile della strutta accentrata, o al responsabile della sede o
dell’ufficio destinatario che ne dà notizia immediata al soggetto interessato del fatto che è stata avviata nei
suoi riguardi l’attività istruttoria.
Il problema che storicamente si è posto ha riguardato la possibilità di superare la tradizionale riservatezza
(segreto bancario, segreto fiduciario) dell’attività dei soggetti destinatari dei poteri indicati. Tuttavia la Corte
costituzionale, nella sentenza 51/1992, ha chiarito che a tale dovere non corrisponde (in capo ai clienti) una
posizione giuridica soggettiva costituzionalmente protetta, né un diritto della personalità, poiché la sfera di
riservatezza che circonda i conti e le operazioni degli utenti di tali servizi è direttamente strumentale
all’obiettivo della sicurezza e del buon andamento dei traffici commerciali. In ragione di ciò la tutela del
segreto bancario è lasciata interamente alla scelta discrezionale del giudice ordinario.
Ed è con la L. 413/1991 che si è avuto il superamento del segreto bancario, in particolare:
a. consentendo all’Amministrazione finanziaria di valutare discrezionalmente l’opportunità di accedere ai
conti bancari e non più nelle sole ipotesi tassativamente previste dal legislatore;
b. semplificando il procedimento di autorizzazione, mediante l’eliminazione del doppio livello di
autorizzazione. Allo stato attuale, per procedere ad indagini finanziarie, occorre l’autorizzazione del direttore
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Le presunzioni bancarie: parliamo ora del possibile utilizzo delle indagini finanziarie ai sensi dell’art 32 d.p.r.
600/1973 che prevede una duplice presunzione:
1. I dati e gli elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e rilevati a seguito delle indagini
finanziarie, sono posti a case delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38,39,40,41 del d.p.r. se
il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta;
2. alle stesse condizioni, i prelevamenti e gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni
sono posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne
indica il soggetto beneficiario e se non risultino dalle scritture contabili.
Maggiore criticità assume la presunzione che ricollega ai prelevamenti la riduzione di ricavi, che si fonda sulla
logica secondo cui ad un acquisto in nero corrisponderebbe una cessione in nero —> la Corte costituzionale
ha tuttavia ritenuto che siffatta previsione non sia lesiva del canone di ragionevolezza dell’art 3 Cost.
Tuttavia, in ossequio al principio di effettività della capacità contributiva, la stessa Corte esclude che tali
prelevamenti possano essere assunti nella loro dimensione lorda, dovendo dare rilevanza ai costi sopportati
per produrre il ricavo o il compenso.
La dottrina, in considerazione delle conseguenze assai gravi delle presunzioni in esse, ha sostenuto la
necessità di subordinarne l’operatività al previo esperimento del contraddittorio.
La giurisprudenza di legittimità ritiene che si tratti di presunzioni legali relative, che invertono l’onere della
prova a favore dell’Amministrazione finanziaria, la quale sarebbe legittimata ad emettere un atto di
accertamento sulla base delle sole risultanze acquisite in ambito finanziario, gravando poi sul contribuente
l’onere della prova contraria (la quale deve tendere a dimostrare che gli elementi desumibili dalla
movimentazione bancaria non siano riferibili ad operazioni fiscalmente rilevanti).
Con il d.l. 193/2016, il legislatore è intervenuto per mitigare la presunzione relativa ai prelevamenti anche
per le imprese (tenendo conto anche delle esigenze familiari e personali dell’imprenditore) ha così stabilito
di dover tenere in considerazione solo dei prelevamenti superiori a 1.000 € giornalieri e a 5.000 € mensili.
Se la presunzione sui prelevamenti ha ora un ambito di applicazione soggettivo limitato, quello della
presunzione relativa ai versamenti è assai esteso. Da un lato, la Cassazione ha chiarito che l’utilizzazione dei
dati raccolti presso le aziende di credito non è subordinata alla prova che il contribuente eserciti attività di
impresa (o lavoro autonomo), potendo gli stessi essere usati anche per dimostrare l’esistenza di
un’eventuale attività occulta oppure per quantificare il reddito ricavato. Dall’altro ha ritenuto che le norme
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-La verifica fiscale (accessi, ispezioni e verifiche): il principale “modulo ispettivo” adottato
dall’Amministrazione finanziaria per accertare l’assolvimento degli obblighi da parte del contribuente è
costituito dalla verifica fiscale. Si tratta di un’attività di carattere amministrativo ed autoritativo posta in
essere dall’Amministrazione finanziaria. Essa si svolge presso il contribuente, si tratta di attività invasive che
incidono fortemente sulle libertà individuali del privato (infatti, proprio per questo motivo, il legislatore ha
previsto una serie di garanzie a tutela del contribuente) e consta di quattro fasi:
1) Accesso: consiste nel potere di entrare e permanere (anche senza o contro la volontà del contribuente)
nei locali di pertinenza dello stesso. Vi sono diverse ipotesi:
a. accesso presso la sede in cui si svolge l’attività di impresa, commerciale o agricola: l’accesso qui dev’essere
autorizzato con un ordine scritto, firmato dal capo dell’Ufficio fiscale deputato all’effettuazione del controllo.
b. accesso presso enti non commerciali: è necessaria solo l’autorizzazione interna del capo dell’ufficio
procedente
c. accesso presso studi di professionisti: in questo caso il legislatore ha dovuto contemperare le esigenze
dell’accertamento tributario con il segreto professionale cui sono tenuti i professionisti stessi. Non è
sufficiente l’ordine scritto del capo d’ufficio, ma è necessaria la presenza del professionista stesso, così da
garantirgli la possibilità di eccepire il segreto professionale.
(Ipotesi particolare riguarda l’accesso ai locali promiscui, cioè adibiti sia allo svolgimento di attività
economiche sia ad abitazione. In tale ipotesi, il legislatore tributario ha previsto (per garantire a favore del
contribuente il diritto all’inviolabilità del domicilio —> art. 14 Cost.) che l’ordine scritto di procedere del
capo d’ufficio, debba essere accompagnato da un’ulteriore autorizzazione dell’autorità giudiziaria).
d. accesso ai locali diversi da quelli in cui si esercita l’attività: ES, l’abitazione privata del contribuente,
occorre l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria e l’esistenza di gravi indizi di violazione delle norme
tributarie + lo scopo preciso di acquisire documenti, scritture ed altre prove delle violazioni. Il legislatore ha
consentito tale strumento all’Autorità finanziaria solo quando essa sia già in possesso di una serie di
elementi di particolare gravità.
Si è posto altresì il problema della natura giuridica dell’autorizzazione. Per la dottrina è un atto
amministrativo in senso sostanziale, in quanto emesso nell’esercizio di una funzione amministrativa di
controllo, da un organo giurisdizionale. Per la giurisprudenza, l’autorizzazione del Procuratore della
Repubblica integra un atto amministrativo, come tale sindacabile nella contesa tributaria che insorga in
esisto a detto accesso e postula una valutazione positiva e motivata della ricorrenza in concreto di gravi
indizi di violazione. Di ogni accesso e di ogni attività svolta dev’essere redatto un processo verbale di verifica
giornaliero.
2) Ricerca: è un’attività a carattere amministrativo alla quale gli uffici possono procedere previa
autorizzazione. È finalizzata all’acquisizione di elementi utili alla ricostruzione della posizione tributaria del
contribuente. Qualora per l’acquisizione di documentazione fosse necessario aprire casseforti, cassetti,
borse e così via, il contribuente può: i) non opporsi e consegnare tutti i documenti; ii) rifiutarne l’apertura e
in questo caso sarà necessaria l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria.
3) Ispezioni: sono delle attività concernenti il controllo delle scritture contabili o di altra documentazione
rilevante. Tale controllo è finalizzato a verificarne la regolarità formale e sostanziale. La verifica contabile
consiste nell’esame della completezza e veridicità della contabilità.
4) Verificazioni: consistono nel riscontro tra gli elementi contabili e quelli di fatto (ES: possono essere
oggetto di verifica la resa di una certa macchina o le rimanenze di un magazzino).
Tale analisi deve essere completata facendo riferimento all’art. 12 dello Statuto del contribuente, rubricato
“diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”.
-comma 1 prevede che l ‘accesso deve essere effettuato solo quando vi sia un’effettiva esigenza d’indagine e
controllo sul luogo e durante l’orario ordinario di esercizio dell’attività del contribuente.
-comma 2 prevede invece il diritto del contribuente ad essere informato delle ragioni che abbiano
giustificato la verifica e l’oggetto che la riguarda + ha il diritto di farsi assistere da un professionista abilitato.
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In quanto redatto da pubblici ufficiali esso costituisce atto pubblico e prova legale, per cui fa piena prova fino
a querela di falso delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere
avvenuti in sua presenza o da lui compiuti. Per il resto, in particolare per le valutazioni giuridiche espresse
dai verbalizzanti, si è in presenza di mera espressione di giudizio non vincolante per l’ufficio né per il
contribuente o per il giudice. Esse sono idonee a produrre effetti giuridici —> poiché grazie alle stesse è
possibile iscrivere l’ipoteca legale o effettuerà un sequestro conservativo.
-comma 6 (nella prospettiva di una tutela più ampia) prevede che il contribuente, nel caso ritenga che i
verificatori procedano con modalità non conformi alla legge, può rivolgersi anche al Garante del
contribuente.
-comma 7 prevede che il contribuente, nei 60 gg. successivi al rilascio della copia del processo verbale di
chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, può comunicare osservazioni e richieste che sono
valutate dagli uffici impositori e prima della scadenza del termine l’avviso di accertamento non può essere
emanato, salvo casi di particolare e motivata urgenza. La giurisprudenza si era divisa sul quesito se e a quali
condizioni sia nullo l’avviso di accertamento emanato dall’Agenzia delle entrate prima dello spirare del
termini dei 60 giorni. Sono così intervenute le Sezioni Unite (18184/2013) hanno ritenuto che l’avviso di
accertamento sia nullo ove non suscitano ragioni di urgenza, nonostante la norma non commini alcuna
sanzione in tal senso. Con riferimento alla deroga dell’urgenza di provvedere: la Corte aderisce
all’orientamento che fa derivare l’illegittimità non già dalla mancanza, nell’atto emanato, dalla motivazione
sulla ricorrenza di un caso di urgenza, bensì dalla non configurabilità del requisito dell’urgenza, ritenendo
estraneo il rispetto delle regole procedimentali al contenuto della motivazione degli atti tributari. Le ragioni
non devono pertanto essere indicate nell’avviso di accertamento bensì solo a seguito di specifica
contestazione del contribuente. Per quanto riguarda il contenuto della deroga: inizialmente la
giurisprudenza riconosceva come motivo di urgenza l’imminente scadenza dei termini di decadenza, tuttavia
si deve accogliere con favore il successivo orientamento che ne ha escluso la rilevanza, affermando che
l’approssimarsi del termine di decadenza è evento indifferente rispetto alla posizione del contribuente.
Secondo la giurisprudenza (2014) costituisce una questione di urgenza idonea a derogare il termine di 60
giorni la “pericolosità fiscale” del contribuente dalla quale possa scaturire il rischio di perdita del credito
erariale. Decorrendo così il termine di 60 giorni dalla consegna del verbale di chiusura delle operazioni, il suo
rilascio viene ritenuto condizione di validità del successivo avviso di accertamento.
L’art. 12 dello Statuto del contribuente, richiama il rispetto del principio di collaborazione e buona fede che
deve improntare i rapporti tra Fisco e contribuente + deve considerarsi diretta applicazione dei principi
costituzionali di buon andamento e imparzialità dell’Amministrazione, di capacità contributiva e di
uguaglianza.
L’attività istruttoria potrebbe essere svolta con modalità non legittime. Si distinguono diverse ipotesi, come
ad ES: una sproporzionata o irragionevole compressione di un diritto fondamentale del contribuente oppure
l’ipotesi in cui ci si sia avvalsi di un potere istruttorio non previsto dalla legge.
Quali sono le conseguenze sull’atto finale emesso all’esito di un procedimento in cui si sono verificati dei vizi
dell’attività istruttoria? Le soluzioni della dottrina oscillano tra la tesi dell’invalidità derivata e quella della
inutilizzabilità delle prove illegittimamente o illecitamente acquisite.
Secondo la teoria dell’invalidità derivata, i vizi dell’istruttoria darebbero luogo ad un vizio intrinseco, proprio
cioè dell’atto impugnato.
Secondo la teoria dell’inutilizzabilità, i vizi dell’attività istruttoria determinerebbero una carenza probatoria
estrinseca dell’avviso di accertamento e dunque porterebbero ad una sua infondatezza.
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Va precisato però che i metodi previsti dall’art. 38 possono trovare applicazione anche nei confronti dei
soggetti che producono redditi determinati in base alle scritture contabili.
—>I metodi di accertamento del reddito delle persone fisiche:
1.Accertamento Analitico: oggetto di questo accertamento sono i redditi appartenenti alle singole categorie
reddituali (art. 38 co.2 —> secondo cui la rettifica deve essere fatta “con riferimento analitico ai redditi delle
varie categorie di cui all’art.6”).
L’ufficio, conoscendo la fonte produttiva del reddito, rettifica la dichiarazione se il reddito complessivo
dichiarato risulta inferiore a quello effettivo o non sussistono o non spettano le deduzioni dal reddito o le
detrazioni d’imposta indicate nella dichiarazione.
Qui l’Amministrazione finanziaria è dunque a conoscenza della fonte del reddito. Al fine di procedere
all’accertamento analitico, gli uffici dovranno muovere dalla verifica della certezza oggettiva del presupposto
(ES: nel caso delle imposte dirette: il possesso di un reddito appartenente ad una delle sei categorie
reddituali previste) e successivamente procedere alla determinazione della base imponibile secondo gli
ordinari criteri previsti nell’ambito di ciascuna categoria reddituale.
Il terzo comma dell’art. 38 aggiunge che l’incompletezza, la falsità e l’inesattezza dei dati indicati nella
dichiarazione (salvo quanto stabilito dall’art. 39) possono essere desunte dalla dichiarazione stessa, dal
confronto con le dichiarazioni degli anni precedenti…sulla base di presunzioni semplici, purché siano gravi,
precise e concordanti. Esso presenta così un duplice contenuto: ribadisce il principio per cui gli errori della
dichiarazione possono essere desunti sulla base di puntuali informazioni che gli uffici ricavano e legittima il
ricorso al ragionamento induttivo. Si introduce in questo modo nell’accertamento di tipo analitico un
elemento di induzione e così si perviene al secondo metodo di accertamento —>
2. Accertamento analitico-induttivo: L’induttività attiene ad uno specifico elemento reddituale nell’ambito
di una determinata categoria reddituale e non investe il reddito nella sua globalità. Innanzitutto, nel
consentire l’utilizzo di tali presunzioni, il legislatore amplia il campo di operatività dell’accertamento analitico
e il meccanismo delle presunzioni consiste nel risalire dall’esistenza di un fatto certo o noto (ma che non
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Per quanto riguarda il loro ambito di applicazione: si applicano ai soggetti che nel periodo di imposta di
riferimento hanno indicato nella dichiarazione dei redditi ricavo o compensi per un importo non superiore a
5 milioni. Sono tuttavia previste delle clausole di esclusione e di inapplicabilità.
Sono clausole di esclusione: l’esercizio esclusivo o prevalente di attività per le quali non esiste uno studio di
settore, l’inizio o la cessazione dell’attività nel corso dell’anno..
Sono cause di inapplicabilità: la natura di società cooperative, consortili e consorzi che operano
esclusivamente per le imprese socie o associate, oppure di società cooperative.
Per quanto riguarda il loro valore probatorio: è previsto che gli indicatori di normalità economica
costituiscono presunzioni semplici e che i contribuenti che dichiarino ricavi ad essi inferiori non sono soggetti
ad accertamento automatico e in caso di accertamento, spessa all’ufficio accertatore motivare e fornire
elementi di prova per gli scostamenti riscontrati.
Sull’efficacia probatoria degli studi di settore è intervenuta la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, che ha
evidenziato come essi costituiscano un mezzo di accertamento con natura di presunzione semplice, in
particolare essi rappresentano un mero indicatore di una possibile anomalia del comportamento del
contribuente, ove la redditività di quest’ultimo si manifesti gravemente incongruente rispetto alla normale
redditività dello studio di settore applicato. L’Amministrazione finanziaria è tenuta ad attivare un
contraddittorio, pena la nullità dell’accertamento per verificare la situazione economica del contribuente.
Nel caso degli studi di settore, la gravità, precisione e concordanza della presunzione non è ex lege
determinata da standard in sé considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da
attivare obbligatoriamente. Il giudice potrà poi valutare liberamente l’applicabilità degli standard al caso
concreto.
C. Il metodo induttivo: L’art 39 co.2 d.p.r. 600/1973 disciplina infine l’accertamento induttivo. È una norma
che ha carattere eccezionale, poiché consente all’Amministrazione di prescindere in tutto o in parte dalle
risultanze del bilancio e delle scritture contabili e di utilizzare presunzioni semplicissime (prive di gravità,
precisione e concordanza), nonché dati e notizie raccolti.
Essa presuppone la ricorrenza delle seguenti e tassative circostanze, di particolare gravità:
- la dichiarazione non è stata presentata;
- il reddito d’impresa o di lavoro autonomo non è stato indicato nella dichiarazione;
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L’avviso di accertamento è un atto unilaterale di natura autoritativa e produttivo di effetti sul piano
sostanziale, indipendentemente dalla volontà delle parti. Esso può considerarsi un provvedimento
amministrativo sotto il profilo della sua attitudine a divenire definitivo, ove non impugnato entro 60 giorni
dalla sua notificazione e a consentire direttamente l’espropriazione forzata.
L’avviso di accertamento costituisce espressione del potere di autotutela, da non intendersi solo come
potere di annullamento, revoca o sospensione d’ufficio degli atti amministrativi ritenuti illegittimi o
infondati, ma anche nella possibilità da parte dell’Amministrazione finanziaria di accertare direttamente la
sussistenza dei presupposti d’imposta e di procedere all’affermazione e realizzazione della relativa pretesa
mediante gli atti che si rendono necessari (autotutela esecutiva).
A seguito del riconoscimento della sua natura provvedimentale, autoritativa e decisoria al suo destinatario
deve quindi essere riconosciuta una congrua forma di tutela, che si concretezza nella relativa impugnazione
ai fini di ottenerne l’eliminazione. In questo caso il contribuente agirà quale attore in senso solo formale
(essendo colui che prende l’iniziativa di adire il giudice) poiché attore in senso sostanziale dovrà considerarsi
l’Amministrazione finanziaria (essendo essa ad avanzare la pretesa), come tale gravata dell’onere probatorio
(dovendo escludere l’applicazione del principio di presunzione di legittimità degli atti dell’Amministrazione
finanziaria).
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L’effetto “impo-esattivo”:
Alla luce delle modifiche introdotte dall'articolo 29 co.1 lett.a) d.l. 78/ 2010, riguardanti il contenuto
dell'avviso di accertamento, si è previsto che questo debba contenere anche l'intimazione ad adempiere,
entro il termine per la proposizione del ricorso (60 giorni dalla notifica), l'obbligo di pagamento degli importi
nello stesso indicati ovvero, in caso di tempestiva impugnazione dell'atto, di un terzo delle imposte sugli
imponibili accertati e dei relativi interessi ai sensi delle disposizioni previste in tema di riscossione frazionata,
di cui all’art. 15 d.p.r. 602/1973.
Mediante tali modifiche è stata eliminata la fase dell'iscrizione a ruolo, per cui l'agente della riscossione,
sulla base dell'avviso di accertamento e senza la preventiva notifica della cartella di pagamento, può ora
direttamente procedere ad espropriazione forzata.
L'avviso di accertamento viene così a cumulare una triplice natura e funzione: 1) atto impositivo 2) titolo
esecutivo 3) precetto.
Quindi, l’avviso di accertamento deve adesso contenere la “intimazione ad adempiere”. Di conseguenza, un
avviso, sprovvisto di intimazione, dovrebbe essere considerato valido ma incapace di consentire agli agenti
della riscossione di procedere ad esecuzione forzata.
Dal momento che il nuovo avviso di accertamento diviene immediatamente esecutivo decorsi 60 giorni dalla
sua notificazione, alla notifica dell'atto di accertamento viene riconosciuta efficacia costitutiva (e non
semplicemente perfezionativa del titolo esecutivo). La notificazione non si pone, quindi, come termine
ultimo in corrispondenza del quale il titolo esecutivo progressivamente si perfeziona, ma quale circostanza
idonea a far decorrere il termine, in esito al quale il titolo esecutivo potrà considerarsi formato.
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Infine, per la notifica di avvisi di accertamento alle imprese individuali o costituite in forma societaria e ai
professionisti iscritti in albi o elenchi potrà essere effettuata direttamente dal competente ufficio a mezzo di
PEC all’indirizzo del destinatario risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta certificata.
Per la notifica delle cartelle esattoriali trova applicazione la specifica procedura prevista dal d.l. 602/1973.
Anche in questo caso, la giurisprudenza ha ritenuto che la notificazione possa avvenire direttamente da
parte dell’agente della riscossione con raccomandata con avviso di ricevimento.
Per quanto attiene alle conseguenze di eventuali vizi di notifica, la giurisprudenza applica anche alla
notificazione dell’avviso di accertamento le norme sulla sanatoria delle notifiche invalide degli atti
processuali e ritiene che il ricorso contro l’avviso di accertamento sani i vizi di notificazione atteso il
raggiungimento dello scopo, con la doppia eccezione che il conseguimento dello scopo (impugnazione)
intervenga dopo il termine di decadenza oppure che si tratti di ipotesi di inesistenza della notifica (fermo
restando che in questo caso l’Ufficio potrà rinotificare l’atto, nel caso in cui si ancora nei termini).
Quest’ultima ipotesi ha recentemente subito un ridimensionamento, infatti con una sentenza del 2016 le
Sezioni Unite hanno “marginalizzato” le ipotesi di inesistenza, affermando che non si tratta di un vizio più
grave della nullità, bensì di ipotesi di non atto, in cui cioè viene posta in essere un’attività priva degli
elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile l’atto.
Diversa dalla notificazione è la comunicazione: prevista dall’art 6 co.1 L. 212/2000, secondo il quale
l’Amministrazione finanziaria deve assicurare l’effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui
destinati. Questa si distingue dalla notificazione e dal dovere di informazione —> secondo il quale, invece,
l’Amministrazione deve informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa
derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l’irrogazione di una sanzione.
2. Elementi sostanziali:
A. Il dispositivo: varia a seconda della struttura e della disciplina dei diversi tipi di imposte.
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▪ L’avviso di recupero:
Al fine di contrastare la violazione di indebita compensazione è stato previsto il c.d. avviso di recupero. Esso
ha ad oggetto un atto tipico della riscossione (costituito dal modello di versamento unificato) e non la
dichiarazione. Per quanto riguarda la sua natura giuridica, l’avviso di recupero è equiparabile ad un vero e
proprio avviso di accertamento.
Il d.lgs. 158/2015 prevede una disciplina sanzionatoria più lieve nel caso in cui il credito, anche se
sostanzialmente inesistente, possa essere facilmente intercettato mandiate controlli automatizzati (si
intende “inesistente” il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e
che non sia riscontrabile mediante controlli).
Gli avvisi di recupero devono essere notificati entro i 31 dicembre dall’ottavo anno successivo a quello in cui
è avvenuto l’utilizzo indebito del credito di imposta.
In caso di mancato pagamento entro il termine assegnato dall’Ufficio (di solito non inferiore a 60 giorni) le
somme dovute sono iscritte a ruolo.
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Partiamo ora dall’interpello: Il contribuente si attiva senza che vi sia stata a “monte” un’attività di controllo
dell’Amministrazione. Esso è quindi un procedimento attraverso il quale lo stesso contribuente chiede
all'Amministrazione di esprimere un parere sul regime fiscale di un fatto, atto o negozio, in modo tale da
evitare di subire, a posteriori, le conseguenze di eventuali errori nell’applicazione della legge tributaria. Tale
parere può eventualmente risolversi in un vero e proprio accordo tra Amministrazione finanziaria e
contribuente. In un sistema tributario basato sull'adempimento spontaneo dei contribuenti, diviene
indispensabile assegnare all'Amministrazione finanziaria (oltre all’attività di controllo) l'attività di consulenza
giuridica dei contribuenti. Tale attività può consistere in un'attività interpretativa di carattere generale (che
si esplica attraverso le circolari, rivolte alla generalità dei contribuenti, operatori, uffici) o di carattere
particolare (si esplica in risoluzioni, pareri e accordi).
Il legislatore, nel tempo, ha introdotto diverse forme di interpello, accomunate dalla finalità di conoscere il
parere dell’Amministrazione finanziaria, ma che si differenziavano per procedura e oggetto; fermo restando
che L’interpello non è mai vincolante per il contribuente.
Prima del d.lgs. 156/2015, il legislatore aveva previsto quattro tipologie di interpello:
1. Interpello ordinario (art.11 L. 212/2000);
2. Interpello preventivo antielusivo (art. 21 L. 413/1991);
3. Interpello per la disapplicazione di norme antielusive (ex art. 37-bis co.8 d.p.r. 600/1973);
4. Interpello internazionale.
Ad essi si aggiunsero:
5. I casi speciali in cui il legislatore aveva previsto la stessa procedura dell’interpello ordinario per
l’applicazione di specifiche disposizioni tributarie anche di tipo agevolativo oppure per la disapplicazione di
alcune disposizioni tributarie volte a prevenire comportamenti elusivi;
6. la generale attività di consulenza giuridica.
Ora, il d.lgs. 156/2015 ha unificato le varie specie di interpello all’interno dell’art. 11 dello Statuto del
contribuente e ne prevede quattro:
A. Interpello relativo all’applicazione delle disposizioni tributarie e alla corretta qualificazione di fattispecie
(corrispondente alla precedente figura di interpello ordinario);
B. Interpello probatorio, relativo alla sussistenza delle condizioni e alla valutazione dell’idoneità degli
elementi probatori richiesti dalla legge per l’adozione di particolari regimi fiscali;
C. Interpello antiabuso, relativo all’applicazione della disciplina sull’abuso del diritto;
D. Interpello disapplicativo di norme antielusive specifiche (corrispondente a quello contenuto nell’art. 37-
bis d.p.r. 600/1973).
Ad essi si aggiungono poi:
E. Interpello internazionale;
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A. Interpello ordinario: art.11 co.1 lett.a) Statuto, il contribuente può ricorrervi al fine di ottenere il parere
dell'Amministrazione finanziaria in ordine all’applicazione delle disposizioni tributarie, quando vi sono
condizioni di obiettiva incertezza sulla corretta interpretazione, nonché per la qualificazione di fattispecie
alla luce delle disposizioni tributarie applicabili alle medesime. La richiesta può riguardare l’interpretazione
di qualsiasi norma tributaria che disciplini gli aspetti procedurali oppure sostanziali del rapporto tributario.
All’interpello ordinario sono ricondotte le ipotesi di interposizione (art. 37 d.p.r. 600/1973: in sede di
rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri
soggetti quando sia dimostrato che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona), nonché alla
corretta classificazione di spese sostenute dal contribuente tra quelle di pubblicità, di propaganda o di
rappresentanza.
L’istanza deve essere proposta in presenza di condizioni di obiettiva incertezza sulla normativa applicabile.
Qualora manchi un’interpretazione ufficiale, per definire le condizioni di obiettiva incertezza, si può fare
riferimento all’elaborazione giurisprudenziale.
B. Interpello probatorio: art. 11 co.1 lett.b) Statuto, il ricorrente può ricorrervi al fine di ottenere il parere
all’Amministrazione finanziaria in ordine alla sussistenza delle condizioni e alla valutazione della idoneità
degli elementi probatori richiesti dalla legge per l’adozione di specifici regimi fiscali nei casi espressamente
previsti. Nonostante questo tipo di interpello non abbia più carattere obbligatorio, il contribuente è
comunque tenuto a segnalare in dichiarazione di no averlo presentato o di averlo presentato senza aver
ricevuto risposta positiva (a pena di sanzione amministrativa). L’Amministrazione finanziaria, infine, esclude
l’applicazione dell’interpello probatorio qualora si tratti di questioni meramente fattuali di cui è essenziale
verificare la veridicità e completezza (e che ritiene possibile effettuare solamente in sede di accertamento).
C. Interpello antiabuso: art. 11 co.1 lett.c) Statuto, il contribuente può ricorrervi al fine di ottenere il parere
dell’Amministrazione finanziaria in ordine all’applicazione della disciplina sull’abuso del diritto ad una
specifica fattispecie. Il contribuente è interessato a conoscere se esistano o meno gli elementi costitutivi
dell’abuso del diritto.
D. L’interpello per la disapplicazione delle norme antielusive: art. 11 co.2 Statuto, consiste nella possibilità
per il contribuente di chiedere la disapplicazione di norme tributarie che, allo scopo di contrastare
comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d'imposta o altre posizioni soggettive
altrimenti ammesse dall'ordinamento tributario, dimostrando che il quella fattispecie gli effetti elusivi che la
norma intendeva precludere non si verificano.
Al contrario delle prime tre forme di interpello, qui il contribuente “interpella” l’Amministrazione,
prevedendo così un carattere obbligatorio per questa forma. Si prevede poi che, in caso in cui non venga
resa risposta positiva da parte dell’Amministrazione, resta ferma la possibilità per il contribuente di fornire la
dimostrazione anche ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. La mancata
segnalazione nella dichiarazione dei redditi dell’avvenuta disapplicazione della norma tributaria nonostante
la mancata presentazione dell’interpello (o nonostante la mancata risposta negativa) forma oggetto di
sanzione amministrativa ad hoc.
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E) L'interpello internazionale: riformato dal d.lgs. 147/2015 con confluenza della disciplina nel nuovo 31-
ter d.p.r. 600/1973, è un istituto teso realizzare un’ulteriore forma di collaborazione tra Amministrazione
finanziaria e contribuenti (in particolare coloro che operano in mercati internazionali).
Vi possono accedere le imprese con attività internazionale sia residenti che non nel territorio dello Stato.
Con riferimento alle imprese residenti, possono acervi le imprese pongono in essere operazioni con società
non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono
controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa. Riguardo le seconde, sono abilitate
al ruling internazionale solo quelle che hanno una stabile organizzazione nel territorio dello Stato.
Oggetto di interpello possono essere: a) La determinazione del valore normale delle operazioni infragruppo;
b) Il trattamento fiscale di dividenti interessi o royalties in entrata ed uscita dal territorio dello Stato; c) La
valutazione preventiva della sussistenza almeno dei requisiti configurano una stabile organizzazione nel
territorio dello Stato da parte di un’impresa non residente; d) Il trattamento fiscale di altri componenti
reddituali in entrata o in uscita dal territorio; e) L’attribuzione alle stabili organizzazioni (italiane o estere) di
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F) Interpello per i nuovi investimenti: art. 2 d.lgs 147/2015, un nuovo interpello volto a favorire gli
investimenti in italia e consente alle imprese, italiane ed estere, di presentare un apposito business plan per
conoscere il relativo trattamento fiscale, oltre che delle relative operazioni straordinarie. Dev’essere
presentato presso la Divisione contribuenti e la risposta deve pervenire entro 120 giorni e nel caso di
richiesta di documentazione integrativa, entro 90 giorni dal relativo invio.
G) Consulenza giuridica: una risposta dell’Amministrazione finanziaria può essere sollecitata anche mediante
un’istanza di consulenza giuridica.
Per consulenza giuridica si intende l'attività interpretativa finalizzata all'individuazione del corretto
trattamento fiscale di fattispecie riferite a problematiche di carattere generale prospettate:
- Dagli uffici dell'Amministrazione finanziaria, inclusa Equitalia;
- Dalle associazioni sindacali e di categoria e dagli ordini professionali;
- Da Amministrazioni dello Stato, da enti pubblici, nonché da altri enti istituzionali operanti con finalità di
interesse pubblico.
La consulenza giuridica ha dunque rilevanza sia interna (contribuisce a creare il patrimonio interpretativo
dell'Amministrazione finanziaria) sia esterna (costituisce uno strumento di supporto a disposizione del
contribuente).
Le richieste di consulenza differiscono dall'interpello in quanto la questione rappresentata non è
immediatamente riferibile ad uno specifico contribuente, ma a varie categorie di destinatari.
Come l'interpello, i pareri resi in sede di consulenza giuridica esterna non vincolano il contribuente.
Nell’ipotesi poi in cui l’Amministrazione intenda contestare il comportamento posto in essere dal
contribuente che si era precedentemente adeguato all’indirizzo espresso dall’Agenzia in risposta alla
consulenza giuridica, non gli saranno irrogate sanzioni, né potranno essere richiesti interessi moratori.
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Continuiamo con l’autotutela: nel diritto amministrativo si designa con tale termine l’attività con cui la
Pubblica Amministrazione provvede a risolvere i conflitti.
Essa è espressione di quella capacità di "farsi giustizia da sé" che l’ordinamento conferisce ad ogni P.A. in
vista dell'esigenza di assicurare il più efficace perseguimento dell'interesse pubblico, attribuendole la
possibilità di riesaminare la propria attività senza l'intervento dell'Autorità giudiziaria.
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L’unico limite all’autotutela è l’emanazione di una sentenza passata in giudicato per motivi di ordine
sostanziale. L’annullamento di un atto in via di autotutela può essere attivato anche in mancanza dell’istanza
del contribuente e dunque spontaneamente dall’ufficio anche in pendenza di giudizio o in caso di non
impugnabilità dell’atto. L’art. 13 dello Statuto del contribuente ha previsto che il Garante del contribuente
possa attivare le procedure di autotutela nei confronti di atti amministrativi di accertamento o di riscossione
notificati al contribuente. L’esito dell’autotutela può consistere nell’annullamento (o revoca) totale o
parziale dell’atto. Nel caso di annullamento/revoca parziale —> per evitare discriminazioni sul piano
sanzionatorio, il contribuente ha la possibilità di avvalersi degli istituti di definizione agevolata delle sanzioni,
ai quali avrebbe potuto accedere per definire l’atto oggetto di annullamento/revoca parziali, a condizione
che rinunci al ricorso proposto.
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§ L’acquiescenza.
L’acquiescenza può essere definita come la rinuncia ad opporsi giudizialmente alla pretesa del Fisco e ad
avviare un procedimento di adesione da parte del contribuente.
Non vi sono limiti all’utilizzo di tale strumento, che è un atto unilaterale del contribuente che non prevede
istanze da presentare e si realizza con il semplice pagamento, entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso di
accertamento degli importi indicati nell’atto stesso.
In particolare, ove il contribuente rinunci ad impugnare l’avviso di accertamento o di liquidazione e a
formulare istanza di accertamento con adesione e provveda dunque a pagare le somme dovute, le sanzioni
sono ridotte a 1/3.
Le somme dovute, possono essere versate anche ratealmente, senza garanzie.
§ Il reclamo e la mediazione.
Il ricorso a tale istituto è obbligatorio per le controversie che soddisfano due requisiti:
- soggettivo: deve trattarsi di controversie aventi ad oggetto atti emessi dall’Agenzia delle entrate,
dall’Agenzia delle dogane, dei monopoli e di altri enti impositori. Significativa è l’estensione anche agli agenti
della riscossione, ma solo in quanto compatibile.
- oggettivo: deve trattarsi di controversie di valore non superiore a € 50.000 o delle controversie catastali
(benché di valore indeterminabile) promosse dai singoli possessori.
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§ La transazione fiscale.
Non rientra in senso stretto tra gli istituti deflativi.
Si tratta di un istituto disciplinato dall’art 182-ter e costituisce lo strumento mediante il quale
contribuente/debitore ha la possibilità di adempire (in misura anche parziale) al pagamento dei tributi e dei
relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali o dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza
obbligatorie, ivi compresi quelli non iscritti a ruolo. Quindi, l’istituto è congegnato al fine di consentire il
pagamento parziale e/o dilazionato dell’obbligazione tributaria con effetto integralmente liberatorio.
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➢ La riscossione spontanea.
Prendendo le mosse dalla riscossione spontanea riguardo le imposte sui redditi, sono previste tre modalità di
riscossione: 1) la ritenuta diretta; 2) i versamenti diretti; 3) l’iscrizione a ruolo.
➡️Per IRAP e IVA, l’unica modalità di riscossione spontanea sono i versamenti diretti ⬅️
1. La ritenuta diretta: consiste nell’obbligo, posto a carico delle amministrazioni dello Stato, che versano
determinate somme (ES: emolumenti, stipendi…) di trattenerne una parte e riversarla all’Amministrazione
finanziaria.
Sotto il profilo oggettivo presenta caratteristiche simili alla ritenuta alla fonte, ma si differenzia da questa
sotto il profilo soggettivo (posto che lo Stato è al contempo sia soggetto erogatore della prestazione
pecuniaria sia beneficiario del tributo).
Quanto alla natura giuridica: la dottrina più recente si limita ad individuare in essa una pura e semplice
modalità di riscossione dei tributi diretti.
2. I versamenti diretti: qui è il contribuente ad essere chiamato direttamente alla liquidazione e al
versamento del tributo. È la principale modalità di riscossione spontanea prevista nel nostro ordinamento.
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➢ La riscossione da inadempimento.
La principale modalità di riscossione per le imposte sui redditi, l’IRAP e l’IVA è costituita dall’avviso di
accertamento esecutivo. Ad essa si affianca l’iscrizione a ruolo, che ha portata residuale.
Quanto all’avviso di accertamento esecutivo, possiede le funzioni di atto impositivo, titolo esecutivo e
precetto; funzioni queste che in precedenza erano svolte, rispettivamente, dall’avviso di accertamento,
dall’iscrizione a ruolo e dalla cartella di pagamento. Qualora gli importi dovuti in base all’accertamento
esecutivo siano successivamente rideterminati, sono riscossi con intimazione ad adempiere.
Per quanto concerne, invece, l’iscrizione a ruolo, nel sistema tributario vigente ha assunto carattere
residuale, anche nel contesto della riscossione da inadempimento, quantomeno con riferimento alle imposte
sui redditi, all’IRAP ed all’IVA. Nell’ambito delle impose sui redditi, dell’IRAP e dell’IVA, l’iscrizione a ruolo
trova applicazione per la riscossione delle:
a) maggiori imposte dovute a seguito di liquidazione o controllo formale della dichiarazione non versate dal
contribuente in base al c.d. “avviso bonario”;
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➢ La riscossione coattiva.
Qualora il contribuente non provveda al versamento degli importi iscritti a ruolo ovvero affidati in carico
all’agente della riscossione in base ad avviso di accertamento esecutivo, l’agente procede ad esecuzione
forzata.
L'esecuzione forzata tributaria è sempre attuata per espropriazione, mediante una serie di atti diretti a
trasformare i beni del debitore in denaro al fine di consentire all’ente creditore di soddisfare le sue pretese.
L'agente della riscossione procede all’esecuzione forzata sulla base del titolo esecutivo rappresentato dal
ruolo o dall'avviso di accertamento esecutivo.
L'avvio dell'espropriazione forzata è sottoposto diversi limiti:
1) Limite quantitativo: non si procede ad accertamento, iscrizione a ruolo e riscossione dei crediti relativi a
tributi erariali e regionali qualora il credito (comprensivo di interessi a sanzioni) sia di ammontare non
superiore a € 30 per ciascun periodo d'imposta.
2) Limiti temporali: nel caso di somme iscritte a ruolo l'espropriazione forzata è avviata dall’agente della
riscossione trascorsi 60 giorni dalla notificazione della cartella di pagamento; mentre, in presenza di avviso di
accertamento esecutivo l'agente della riscossione intraprende le azioni esecutive decorso un periodo di 180
giorni dall'affidamento in carico dell'avviso (periodo nel quale l'esecuzione forzata è sospesa —> tale
sospensione non si applica per gli avvisi di accertamento esecutivi divenuti definitivi per mancata
impugnazione o per passaggio in giudicato della relativa sentenza…).
Prima della riforma sulla riscossione operata dal d.lgs. 159/2015, il termine per l’avvio dell’espropriazione
forzata in materia di imposte sui redditi, IVA e IRAP era fissato nel 31 dicembre del terzo anno successivo a
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((Che natura ha l’espropriazione forzata tributaria? La dottrina è da sempre divisa: (1) abbiamo un primo
orientamento che sostiene una prevalente natura amministrativa, attesa la natura amministrativa delle
funzioni esercitate dall’agente della riscossione, atteso il carattere provvedimentale del titolo esecutivo…; (2)
per un secondo indirizzo ad essa si dovrebbe riconoscere natura giurisdizionale, come emergerebbe dal
rinvio alla generale disciplina del processo esecutivo di stampo giurisdizionale…; (3) infine, c’è anche chi ha
sostenuto una natura ibrida dell’espropriazione forzata tributaria.))
Prima di avviare l’espropriazione, l’agente della riscossione ha interesse ad avere una piena e puntuale
conoscenza del patrimonio del debitore, in modo da migliorare il grado di efficacia delle azioni esecutive.
Infatti, in questa prospettiva, negli ultimi anni il legislatore ha riconosciuto maggiori poteri di indagine
all’agente della riscossione ai fini dell’accertamento. ES: può accedere in modo autonomo e senza
intermediazione del Ministero delle finanze alle informazioni contenute nell’anagrafe tributaria.
La consultazione di tali dati costituisce non una mera facoltà, bensì un vero e proprio onere per l’agente,
qualora infatti l’azione esecutiva non sia svolta su tutti i beni del debitore risultanti dall’anagrafe tributaria al
momento del pignoramento. In via facoltativa, l’agente può accedere a tutti i dati rilevanti ai fini della
riscossione, presentando apposita richiesta telematica ai soggetti pubblici o privati che detengano tali dati.
Inoltre, l’agente può anche inviare una richiesta ai soggetti terzi debitori del contribuente interessato
(banche e altri intermediari finanziari) di rendere per iscritto una dichiarazione stragiudiziale, in cui indicano
(in modo dettagliato) le cose e le somme dagli stessi dovute al contribuente contro cui si procede.
Acquisita la conoscenza del patrimonio del debitore, l’agente della riscossione avvia l’espropriazione forzata,
che si avvale di tre fasi:
1. Pignoramento;
2. Vendita o assegnazione del bene pignorato;
3. Distribuzione del ricavato.
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Decorsi 60 giorni dalla notificazione della cartella di pagamento oppure l’affidamento in carico dell’avviso di
accertamento esecutivo all’agente della riscossione, legittima quest’ultimo all’iscrizione dell’ipoteca, del
fermo amministrativo sui beni mobili registrati e l’adozione di misure di conservazione del credito previste
dal diritto comune (quali l’azione surrogatoria, l’azione revocatoria o la richiesta di sequestro conservativo).
Ciò non è concesso qualora siano intervenuti provvedimenti di sospensione o dilazione.
A. Iscrizione di ipoteca: l’agente della riscossione può iscrivere l’ipoteca sugli immobili del debitore e dei
coobbligati per un importo pari al doppio dell’importo complessivo del credito per cui si procede.
L’ipoteca può essere iscritta solo se l’importo del credito non sia inferiore a 20mila euro, avendo riguardo
all’ammontare di tutti i crediti iscritti a ruolo, anche se oggetto di contestazione da parte del contribuente.
Inoltre, l’agente deve inviare al debitore una comunicazione preventiva consentente l’avviso che il mancato
pagamento delle somme dovute entro il termine di 30 giorni comporterà l’iscrizione dell’ipoteca. La mancata
notificazione di tale comunicazione determina la nullità dell’iscrizione dell’ipoteca. La mancata notifica di
tale comunicazione comporta la nullità dell’iscrizione ipotecaria.
B. Fermo amministrativo su mobili registrati (ES: autoveicoli, motoveicoli…): esso comporta non solo il
vincolo sul bene rispetto ad eventuali atti dispositivi successivi, ma anche il divieto di circolazione. Anche qui
l’agente della riscossione deve comunicare preventivamente che il mancato pagamento delle somme entro
30 giorni, comporterà l’iscrizione del fermo.
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Parliamo ora del rimborso, è quella posizione di credito del contribuente vanta nei confronti
dell'Amministrazione finanziaria e che può originare dallo stesso meccanismo attuativo del prelievo
tributario ovvero da errori commessi dal contribuente nella liquidazione nel versamento del tributo oppure
ancora da errori commessi dagli stessi uffici dell’Amministrazione.
In assenza di una definizione normativa del rimborso, la dottrina ha elaborato una propria definizione
secondo cui esso rappresenta un’attribuzione patrimoniale dall’Erario al contribuente, volta a neutralizzare
gli effetti di una precedente attività solutoria, carente di causa solvendi.
Le fattispecie di rimborso possono distinguersi in: crediti di rimborso e crediti di restituzione.
- Crediti di rimborso: conseguono ad un pagamento indebito, che esso lo sia dall’origine o per causa
sopravvenuta.
- Crediti di restituzione: la fattispecie non origina dall'indebito, ma dall’operare di criteri teleologici di vario
tipo (ragioni agevolative, equitative, di sostegno finanziario…) che il legislatore ritiene prevalenti rispetto alla
logica strettamente impositiva, che impediscono il consolidamento degli effetti attributivi dell’originario
pagamento e che comportano la restituzione di tributi legalmente percepiti (ES: restituzione di quanto
pagato in eccesso a titolo di imposta di registro…).
- Crediti di imposta in senso stretto: alle prime due categorie si affianca anche questa terza, in cui il credito
in capo al contribuente origina, essenzialmente, da specifici meccanismi di attuazione del tributo.
Quanto alle cause del rimborso o della restituzione dei tributi sono:
a) la carenza di legge, che può dipendere da:
- carenza ab origine della norma impositiva;
- mancata conversione di un decreto legge;
- abrogazione retroattiva della norma impositiva o introduzione retroattiva di una norma di favore;
- norma di interpretazione autentica contra fiscum;
- dichiarazione di incostituzionalità;
- contrasto della norma impositiva interna o dell’atto amministrativo con il diritto europeo.
b) i versamenti anticipati rispetto al verificarsi del presupposto d’imposta, che si rivelino di ammontare
eccedente rispetto all'imposta effettivamente dovuta;
c) l’errore del contribuente o dell’ufficio (per il contribuente —> errore in dichiarazione; errore dell’ufficio—>
può emergere in sede di liquidazione del tributo);
d) l’illegittimità dell'atto impositivo, sia esso appartenente alla fase dell'accertamento o della riscossione.
Il rimborso delle imposte sui redditi —> In via generale l'ordinamento pone a carico del soggetto titolare del
diritto l’onere di proporre apposita richiesta di rimborso entro un termine stabilito (generalmente a pena di
decadenza) dalla disciplina dei singoli tributi. Ove la disciplina non preveda nulla, soccorre il termine stabilito
in via generale (due anni decorrenti dal pagamento o dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la
restituzione).
Venendo ai procedimenti di rimborso previsti ai fini delle imposte sui redditi, devono distinguersi: i rimborsi
su istanza di parte dai rimborsi d’ufficio.
§ I Rimborsi d’ufficio: sono caratterizzati dall'inesistenza in capo al contribuente dell’onere di presentazione
dell'istanza entro il termine di decadenza. Pertanto, tali ipotesi devono ritenersi tassative, derogando al
principio generale che prevede un termine entro il quale presentare la richiesta.
Sono poi previste due ipotesi in relazione alla dichiarazione dei redditi:
- La prima riguarda il rimborso dei versamenti effettuati dal contribuente in misura superiore all'imposta
liquidata dall’ufficio.
- La seconda riguarda il rimborso della differenza tra i crediti d'imposta o le ritenute versate e l’imposta
liquidata in base alla dichiarazione.
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Il rimborso dell’IVA —> Nel contesto dell’IVA occorre distinguere il rimborso dell'imposta in senso proprio
dal meccanismo della cd. procedura di variazione dell'imponibile o dell'imposta.
Partiamo dalla procedura di variazione dell’imponibile o dell’imposta: qualora un'operazione per cui sia stata
emessa fattura, venga meno in tutto o in parte o se ne riduca l'ammontare imponibile, l’art. 26 d.p.r.
633/1972 consente l'emissione di un'apposita nota di variazione in diminuzione dell'imponibile o
dell'imposta. In tal caso il cedente o prestatore avrà diritto di recuperare la maggiore IVA applicata
sull'operazione portando il relativo ammontare in detrazione, mentre il cessionario o committente avrà
diritto alla restituzione dell'eccedenza di IVA applicata in rivalsa.
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Il criterio generale di determinazione della base imponibile IRPEF è stabilito dall’art. 3 TUIR.
L’articolo in esame si compone di tre commi: 1 comma: fornisce indicazioni in ordine all’ammontare su cui
calcolare l’imposta, specificando i diversi criteri di determinazione di tale ammontare con riferimento ai
soggetti residenti e non residenti; 2 comma: esclude dall’imponibile i redditi assoggettati al regime di
tassazione separata; 3 comma: indica in via analitica i redditi esclusi dalla formazione della base imponibile.
Come accennato, è prevista una differenziazione tra i soggetti residenti e i soggetti non residenti: i residenti
sono assoggettati ad imposizione per redditi ovunque prodotti, in base al principio della tassazione
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Una menzione particolare meritano i redditi soggetti al meccanismo della tassazione separata, individuati
tassativamente dall’art 17 TUIR. Essi vengono tassati con aliquota distinta (rispetto alle regole viste finora) e
determinati secondo regole speciali —> stabilite in considerazione della loro natura di redditi a formazione
pluriennale. La ratio della tassazione separata deve rinvenirsi nell’esigenza di evitare che redditi formatisi in
più anni, ma erogati in un’unica soluzione subiscano (a causa del carattere progressivo IRPEF) un prelievo più
oneroso di quello che sconterebbero qualora venissero tassati nei diversi periodi d’imposta in coincidenza
con la loro maturazione ( tipico ES: è il trattamento di fine rapporto, che sebbene viene maturato di anno in
anno, viene percepito dal lavoratore al termine del rapporto di lavoro).
Tali redditi possono essere classificati in due principali gruppi: i) i redditi conseguiti a fronte della cessazione
di un’attività lavorativa, quali: il TFR e le indennità equipollenti percepite dai lavoratori dipendenti, le
indennità per la cessazione dei rapporti di agenzia le indennità per la cessazione da funzioni notarili…; ii) i
redditi conseguiti a seguito del verificarsi di eventi di natura eccezionale, caratterizzati dalla maturazione
poliennale, quali: gli emolumenti arretrati per le prestazioni di lavoro dipendente…
Al di fuori dei redditi individuati dall’art 17 TUIR è previsto che anche i redditi maturati in capo ad un
soggetto defunto e percepiti dagli eredi siano soggetti a tassazione separata.
Nella generalità dei casi, il meccanismo della tassazione separata implica che ai redditi in questione si
applichi l’aliquota corrispondente alla metà del reddito complessivo netto del contribuente riferito al biennio
precedente.
Infine, una disciplina particolare è prevista per il trattamento di fine rapporto, in cui si tiene conto anche del
periodo di tempo nel quale è maturato il diritto alla percezione del reddito, cioè la durata del rapporto di
lavoro. In tal caso, l’aliquota corrisponde all’importo che risulta dividendo l’imponibile per il numero di anni
di durata del rapporto di lavoro e moltiplicando il risultato per un coefficiente fisso pari a 12.
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B. Il principio di inerenza, altro requisito di deducibilità è l’inerenza del componente negativo all’attività
d’impresa, necessaria per considerarlo spesa di produzione del reddito. Sul suo fondamento normativo vi
sono diverse posizioni in dottrina: (1) alcuni autori ritengono di trovare il suo presupposto nell’art. 109 co.5
TUIR primo periodo a norma del quale le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi
(tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale) sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad
attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi
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C. Il principio di previa imputazione al conto economico: art. 109 co.4 TUIR prevede che le spese e gli altri
componenti negativi non sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui non risultano imputati al conto
economico relativo all’esercizio di competenza.
In particolare, secondo tale norma, non possono essere ammesse in deduzione le spese e gli altri
componenti negativi di reddito che non siano stati imputati al conto economico dell’esercizio di competenza.
Una parte minoritaria della dottrina ha ritenuto che tale norma avesse funzione probatoria, cioè volta ad
agevolare la prova di quei fatti che incidono negativamente sull’importo del reddito d’impresa. Tuttavia, è
stata prevalentemente riconosciuta alla norma una funzione sostanziale, ora volta ad impedire che l’utile
dell’imprenditore o quello distribuibile ai soci, sia superiore all’utile soggetto al prelievo; ora volta ad
assicurare sia la corretta applicazione del principio di derivazione, sia la funzione di garanzia del bilancio
civilistico da parte dell’Amministrazione tributaria.
La regola di previa imputazione al conto economico (applicabile ai soli componenti negativi, posto che per i
componenti positivi l’art. 109 co. 3 stabilisce il loro concorso alla formazione del reddito a prescindere dalla
previa imputazione a conto economico) soffre di rilevanti eccezioni —> che possono essere relative ai
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Venendo poi ai criteri di imputazione soggettivi —> i redditi in esame sono attribuiti al possessore a titolo di
proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale (art. 26 TUIR) con l’eccezione del caso di affitto, in cui il
reddito agrario è imputato all’affittuario a partire dalla data in cui ha effettuato il contratto.
Per possesso, con riguardo ai redditi fondiari, si deve tenere conto della nozione dell’art. 1140 c.c., stante il
collegamento con una res materiale, dal quale deriva il reddito. (locazione e comodato non attribuiscono il
possesso, gli immobili dati in comodato danno luogo ad un reddito per il proprietario). Nel caso di esercizio
di impresa agricola in forma associata, il reddito è imputato a ciascun associato secondo la quota di
spettanza.
I redditi derivanti da terreni e i fabbricati possono dare luogo, a certe condizioni, anche a redditi di natura
non fondiaria, ed in particolare di lavoro autonomo, di impresa e diversi.
Per quanto riguarda il rapporto con il reddito di lavoro autonomo e di impresa dobbiamo distinguere varie
ipotesi. Innanzitutto, per quanto riguarda i terreni, l’esercizio dell’agricoltura dà luogo a reddito d’impresa (e
non a reddito fondiario) quando: i) è svolto da società commerciali ovvero stabili organizzazioni in Italia di
soggetti non residenti; ii) nel caso delle attività indicate alle lettere b) e c) dell’art. 32, co. 2 TUIR, che
eccedono i limiti ivi stabiliti, anche se non organizzate in forma di impresa.
Per quanto riguarda gli immobili: non si considerano produttivi di reddito fondiario gli immobili relativi ad
imprese commerciali e quelli che costituiscono beni strumentali per l’esercizio di arti e professioni, che
costituiscono reddito di impresa e reddito di lavoro autonomo.
Non producono redditi fondiari, bensì di impresa, i redditi derivanti dall’attività di sfruttamento di miniere,
cave, torbiere, saline, laghi, stagni e altre acque interne (art. 55 co.2 lett. b) TUIR).
Ci sono poi immobili che non sono ascrivibili in catasto, in quanto situati all’estero o per la loro particolare
natura (spiagge, miniere, cave…) in questi casi tali redditi vengono inclusi nella categoria dei cd. redditi
diversi.
La determinazione dei redditi fondiari avviene con riferimento alle rendite fondiarie, determinate
dall’applicazione delle tariffe d’estimo, stabilite secondo le norme della legge catastale, alle caratteristiche
rilevanti dei terreni e dei fabbricati.
A seguito della L.236/2016 per il triennio 2017-2019 non concorrono a formare la base imponibile IRPEF e
addizionali, i redditi dei terreni (agrario e dominicale) imputabili ai coltivatori diretti e agli imprenditori
agricoli professionali.
Le tariffe d’estimo esprimono un reddito:
(A) medio, calcolato sulla media di più anni;
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➢ La “participation exemption”:
Un istituto da esaminare, in quanto rilevante per la comprensione dell’istituto dell’IRES, attiene alla
“participation exemption” (o PEX) di cui all’art. 87 TUIR.
Si intendono le plusvalenze realizzate e relative ad azioni o quote di partecipazioni in società o enti che, in
presenza di determinati requisiti, possono essere dedotte dal reddito fiscale imponibile.
Il regime della PEX si applica alle seguenti tipologie di plusvalenze:
- Plusvalenze su titoli;
- Plusvalenze su partecipazioni al capitale sociale o al patrimonio;
- Plusvalenze su partecipazioni societarie;
- Plusvalenze su strumenti finanziari simili alle azioni;
- Contratti di associazione in partecipazione.
Esse sono stabilite nella misura del 95% per le società di capitali. All’esenzione delle plusvalenze si
accompagna l’indeducibilità delle minusvalenze aventi la stessa natura.
Per le altre tipologie di contribuenti, sono attualmente in vigore le seguenti aliquote di esenzione:
- Contribuenti IRPEF: esenzione del 50,28% del valore delle plusvalenze;
- Altri enti non commerciali: esenzione del 50,28% del valore delle plusvalenze;
- Società a responsabilità limitata che hanno optato per il regime di trasparenza fiscale: esenzione del
50,28% del valore delle plusvalenze;
- Contribuenti in regime di contabilità semplificata: nessuna esenzione.
Sono poi previsti quattro requisiti indispensabili per rendere possibile l’applicazione della PEX:
- Iscrizione della partecipazione tra le immobilizzazioni finanziarie per un periodo di almeno 12 mesi;
- Le partecipazioni cedute devono essere classificate nel primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso
nella categoria delle immobilizzazioni finanziarie;
- La società partecipata deve esercitare un’attività commerciale per almeno un triennio;
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➢ L’imposta di registro.
Attualmente è disciplinata dal d.p.r. 131/1986 (TUR), nasce originariamente come tassa per il privato a
fronte di un servizio pubblico consistente nella registrazione dell’atto. Successivamente è stato considerato
un prelievo, venendo ad assumere i caratteri dell’imposta. Infatti, il presupposto impositivo è rappresentato
non più dal servizio reso dalla pubblica autorità quanto più dalla formazione di un atto produttivo di effetti
giuridici ritenuti rilevanti dal legislatore, poiché espressione di ricchezza e quindi rilevatore di forza
economica. L’imposta di registro si colloca, dunque, tra le imposte indirette, poiché assoggetta ad
imposizione le manifestazioni indirette di capacità contributiva.
L’art. 1 TUR individua l’oggetto dell’imposta (il suo presupposto) negli atti soggetti a registrazione e in
volontariamente presentati per la registrazione. Il presupposto dell’imposta si identifica nel compimento di
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