La professoressa invita per qualunque problema legato alle prove intermedie a mandarle una e-mail.
Il diritto tributario contiene un elevato numero di norme cogenti che pongono verso contribuenti, verso i
cittadini in generale, determinati oneri e doveri. Per fare in modo che queste norme, che prevedono
determinati oneri in capo ai contribuenti, e affinché siano rispettate, è necessario che siano previste
numerose sanzioni.
Il nostro ordinamento, al fine di reprimere la violazione di tali norme, prevede numerose sanzioni.
Dicevo che il nostro ordinamento pone uno svariato numero di doveri e oneri in capo al contribuente, e
correlativamente prevede, nel caso di violazione di queste norme, che siano comminate delle sanzioni. Le
sanzioni previste dal nostro ordinamento tributario, in reazione a questo tipo di violazioni, sono di due tipi.
Possono essere ammnistrative o penali.
Il nostro ordinamento prevede un assetto di risposta alla violazione delle norme tributarie e quindi alla
commissione di determinati illeciti che hanno sia natura amministrativa che natura penale.
Ovviamente è alquanto agevole distinguere la natura di tali sanzioni, se siano amministrative ovvero penali.
Il discrimine è dato, in primo luogo, dalla natura/ fisionomia del soggetto che commina tali sanzioni, perché
per quanto riguarda le sanzioni penali, esse sono disposte dal giudice penale, quindi dall’autorità giudiziaria
a seguito di un procedimento penale regolato dal codice di procedura penale, mentre al contrario le
sanzioni tributarie di natura amministrativa sono disposte, non da un giudice non dall’autorità giudiziaria,
bensì dall’amministrazione finanziaria, quindi è l’ufficio dell’amministrazione finanziaria, quello competente
a conoscere del tributo in relazione al quale è stata commessa la violazione, che è competente ad irrogare
la sanzione tributaria amministrativa.
Quindi una prima differenza tra sanzioni penali e sanzioni amministrative è data dal soggetto che le
dispone.
Ma un’altra differenza particolarmente netta, cioè di grandissima rilevanza, è data dalla natura e dal tipo di
sanzioni.
Gli illeciti tributari che hanno natura penale sono individuabili anche dal fatto che le sanzioni ad essi
riconnesse sono sanzioni di natura penale: la reclusione e la multa, nel caso di delitti, oppure l’arresto e
l’ammenda nel caso di contravvenzioni. Mentre al contrario le sanzioni tributarie di natura amministrativa
hanno una natura pecuniaria, quindi consistono nel pagamento di una somma di denaro, oppure al più
hanno la forma di pena accessoria, di carattere interdittivo. Questa differenza deriva dalla natura del
soggetto che eroga tali sanzioni, e in quanto appunto l’amministrazione finanziaria, non essendo un
soggetto sovrapponibile/accostabile all’autorità giudiziaria (giudice penale) non può evidentemente
comminare delle sanzioni che comportino pene o sanzioni limitative della libertà personale, come ad es. la
reclusione o l’arresto.
I principiali illeciti amministrativi consistono in violazioni che attengono a diversi aspetti della fattispecie
impositiva.
Abbiamo:
c. Le violazioni attinenti alla fase di accertamento e agli obblighi di collaborazione del contribuente.
Per quanto riguarda referenti normativi, sempre nell’ambito delle sanzioni tributarie di natura
amministrativa, si sono nel secolo scorso avvicendati diversi testi. Il più risalente, quindi il testo che per
primo nel secolo scorso si è occupato di questo tipo sanzioni è una legge del 1929 (quindi potete
immaginare molto risalente, addirittura durante il regime fascista). Questa legge è rimasta vigente per molti
anni, perché solamente negli anni 90, precisamente nel 97, sono stati emanati dei nuovi decreti legislativi
che sono intervenuti in quest’ambito a disciplinare la materia delle sanzioni amministrative tributarie.
Il 471 e 473 hanno un carattere particolare e specifico: contengono delle norme sanzionatorie in relazione a
peculiari e specifiche violazioni commesse in materie di imposta sui redditi e di IVA.
Mentre il testo legislativo di carattere più genarle e di respiro più ampio è il d.lgs. 472/97. L’importanza di
questo d.lgs. è data dal fatto che contiene l’attuazione e sancisce appunto dei principi cardine del sistema
amministrativo tributario. Quindi la legge delega, a cui i d.lgs. del 1997 hanno dato esecuzione, conteneva
indici chiari relativi a quali fossero i pilastri sui quali poi dovesse fondarsi il d.lgs., e che delineassero
l’assetto delle sanzioni tributarie amministrative.
Ma non è l’ultimo intervento legislativo in materia, perché in seguito, nel 2015, il legislatore è nuovamente
intervenuto, con il d.lgs. 158/2015, e con tale testo si è operata una revisione del sistema sanzionatorio sia
amministrativo che penale. E si è inteso operare una revisione del regime sanzionatorio amministrativo al
fine di correlare al meglio e il più possibile l’effettiva gravità dei comportamenti sanzionati alla sanzione
effettivamente comminata. Anche questo intervento legislativo, si può dire che sia espressione di quella
evoluzione di cui si fa interprete la giurisprudenza che tende a valorizzare il principio di proporzionalità;
ovviamente questa è una istanza, una tendenza che ha seguito soprattutto in ambito penalistico. Come
sapete nel diritto penale vige il principio di proporzionalità e che questo principio, soprattutto nei primi
tempi, viene valorizzato soprattutto dalla giurisprudenza.
Come ho detto, questo d.lgs. contiene i principi cardine cui si informa tutto il sistema delle sanzioni
amministrative. Analizzando questo d.lgs. emerge sin da una prima analisi, come esso sia modellato sul
sistema sanzionatorio penale, cioè ha un respiro/un’impronta marcatamente penalistica. E in questo si
discosta dalla disciplina precedente.
Quindi nel sistema attuale delle sanzioni amministrative, ha una natura, si può dire, afflittiva, mentre la
legislazione antecedente al 1997 prevedeva un sistema sanzionatorio improntato a una finalità risarcitoria.
Quindi le sanzioni amministrative tributarie erano viste nell’ottica di una ritrazione/risarcimento latu sensu
del danno provocato all’erario dal comportamento del contribuente, ma non avevano vocazione
sanzionatoria/afflittiva. Di conseguenza al sistema precedente, erano estranei i principi penalistici, i quali
invece hanno trovato uno spazio nell’attuale testo normativo. Quindi quello attuale è sistema para
penalistico. Beninteso le sanzioni penali e quelle amministrative continuano ad essere ben distinte; non sto
dicendo che siano sovrapponibili. Quindi ovviamente tale distinzione viene, come detto prima, in ragione
della sanzione prevista, in quanto le sanzioni amministrative non consistono in misure detentive.
Ma quello che voglio dire è che una gran parte di principi contenuti in questo decreto legislativo sono
rinvenibili anche nel codice penale, o per meglio dire – visto che il codice penale è antecedente al 1997 -
evidentemente vi è stata una trasposizione o ispirazione tratta dai principi contenuti appunto nel codice
penale. La riprova di quanto sto dicendo la potete facilmente scorgere nell’art.3 d.lgs. 472/97, il quale – lo
leggo, perché è importante leggerlo, e perché - è la disposizione che, più di tutte, enuncia i principi cardine
del sistema sanzionatorio amministrativo.
1. Nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non in forza di una legge entrata in vigore prima della
commissione della violazione.
2. Salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo
una legge posteriore, non costituisce violazione punibile. Se la sanzione è già stata irrogata con
provvedimento definitivo il debito residuo si estingue, ma non è ammessa ripetizione di quanto pagato.
3. Se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono
sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia
divenuto definitivo.
Già dalla lettura di questa norma, vi rendete conto, come riecheggi le disposizioni del codice penale, e
vengono sanciti di fatto gli stessi principi.
In primo luogo, vi è un implicito, ma non implicito in realtà, riconoscimento del principio di riserva di legge,
che com’è noto è sancito dlal’art.1 del c.p.; è riecheggiato dall’art.3 co.1 del d.lgs. in esame, perché viene
stabilito che solo una legge formale può introdurre una norma sanzionatoria. In realtà la formulazione della
norma fa riferimento alla sanzione e non al fatto sanzionato, [dice qualcosa che non capisco] ma debba
essere interpretata in modo analogo all'articolo 1 del codice penale, cioè nel senso che non solo la
sanzione, ma il fatto vietato cui è riconnesso l’illecito deve essere previsto dalla legge o da atti aventi forza
di legge, quindi atti equiparati alla legge.
Da questo consegue che non possono essere introdotte sanzioni amministrative tributarie con fonti
differenti, cioè fonti diverse dalla legge o atti aventi forza di legge. Quindi tutte quelle norme che nella
gerarchia delle fonti occupano una posizione secondaria e subordinata rispetto alla legge non possono
costituire la fonte di previsioni che dispongano sanzioni amministrative tributarie.
Viene altresì previsto un altro principio di chiara matrice penalistica, che è il principio di tassatività, in virtù
del quale i fatti illeciti e le correlate previsioni sanzionatorie devono essere tassativamente previsti dalla
legge; ne consegue che vige il divieto di analogia e di applicazione analogica delle norme sanzionatorie.
Quindi diciamo che l'articolo 3 ripropone questi principi di chiara ispirazione penalistica.
Ma il più evidente il più marcato riconoscimento di un principio penalistico è sicuramente quello relativo al
principio di irretroattività della norma sanzionatoria. Analogamente a quanto è previsto dall’art.2 del c.p.,
l'articolo 3 prevede che nessuno può essere assoggettato a sanzioni, per un fatto che secondo la legge
posteriore non costituisce violazione punibile.
Quindi, abbiamo la doppia faccia del principio di irretroattività, perché, come voi sapete, nel diritto penale
vige il principio di irretroattività della norma penale sfavorevole. Quindi, nel momento in cui io commetto
un illecito, perché io poi possa essere assoggettato a sanzione – possa esservi comminata una sanzione – è
necessario che la norma che stigmatizza quel fatto debba essere entrata in vigore prima che io lo commetta
e non successivamente. Non mi spenderei in un’analisi delle ragioni per le quali è previsto questo principio
– perché sicuramente voi le ricordate benissimo – e sono ragioni molto intuitive: è necessario che ciascun
cittadino, che ciascun consociato, possa prevedere, nel momento in cui pone in essere una condotta, quali
saranno le conseguenze a cui andrà incontro, e quindi, soprattutto, se verrà assoggettato a sanzione oppure
no.
È necessario che la norma sanzionatoria tributaria rispetti questo principio e produca i suoi effetti solo per i
fatti che si sono verificati dopo l'entrata in vigore della norma, dunque solo per gli effetti pro futuro, e non
retroattivi. Mentre, l’art. 3 comma 2 d.lgs. 472/97 riconosce un'altra faccia del principio di irretroattività, e
cioè la retroattività della norma favorevole (“Se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la
violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo
che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo”), come voi sapete, previsto dall'art. 2 comma 4
c.p.
Quindi, se in un momento successivo a quello in cui è stato commesso il fatto è prevista una sanzione più
tenue, oppure viene abrogata la norma sanzionatoria, il soggetto deve poter beneficiare del nuovo regime
sanzionatorio, anche se nel momento in cui ha commesso il fatto, questo era punito con una sanzione più
severa. Dunque, retroattività della norma più favorevole o della norma che prevede l’abrogazione. Anche
qui le ragioni sono intuitive, e sono riassunte nel principio del favor rei, e anche nel principio di eguaglianza;
altrimenti, diversamente opinando, se non si prevedesse questo principio, si comminerebbero nello stesso
momento delle sanzioni diverse: addirittura, in un caso, una sanzione; in un altro caso, nessuna sanzione
per fatti identici, solamente in ragione del fatto che si sono verificati durante la vigenza di una norma o di
un’altra norma. Ovviamente, questo violerebbe il principio sancito dall'art. 3 della nostra Costituzione.
Sempre il d.lgs. 472/97, che appunto costituisce la nostra stella polare o pietra angolare del sistema
sanzionatorio amministrativo tributario, riconosce altresì il principio di imputabilità, che è previsto dagli
artt. 85 e 42 c.p., secondo cui la sanzione può essere erogata solo laddove il fatto oggetto della sanzione sia
stato commesso da una persona che aveva la capacità di intendere e di volere. Anche questo, ovviamente,
è una piena trasposizione operata dall'art. 4 d.lgs. 472/97 (“Non può essere assoggettato a sanzione chi, al
momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, in base ai criteri indicati nel codice penale, la capacità di
intendere e di volere”).
Ancora, un’ulteriore trasposizione di principi contenuti nel c.p., è prevista dall'art. 5 comma 1 d.lgs. 472/97
il quale prevede che “Nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria
azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”.
La violazione della norma tributaria deve essere conseguenza di un'azione o di un’omissione cosciente e
volontaria, sia essa dolosa o colposa; viene introdotto l'elemento della colpevolezza, quindi della presenza
dell’elemento soggettivo, che può essere o – nella categoria della colpa – elemento soggettivo colposo,
ovvero elemento soggettivo doloso. Non mi dilungherò in tutta la questione della dottrina, della dialettica
del legame tra colpevolezza e imputabilità (ossia se la colpevolezza debba necessariamente prevedere
l’imputabilità del reo), ma comunque vi basti sapere che questi principi sono stati trasposti anche in questo
testo normativo, il quale tra l'altro dà una definizione particolare di dolo e di colpa.
All'art. 5 comma 4 d.lgs. 472/97 viene definita come dolosa “la violazione attuata con l'intento di
pregiudicare la determinazione dell'imponibile o dell'imposta ovvero diretta ad ostacolare l'attività
amministrativa di accertamento”. Quindi, abbiamo un dolo che viene qualificato in modo diverso rispetto a
quanto avviene nel c.p.: il legislatore tributario conferisce al dolo, in questo ambito, degli attributi che in
effetti sono sovrapponibili, se vogliamo, al dolo specifico. E quindi, l'art. 5 d.lgs. 472/97 procede ad una
definizione peculiare del concetto di dolo e di colpa; mentre, in relazione all'imputabilità e al concetto della
capacità di intendere e di volere, la norma tributaria rinvia espressamente ai criteri indicati dalla legge
penale. Questo sta a significare che, sicuramente, come vi ho detto, c'è una particolare considerazione da
parte del legislatore tributario verso i principi penalistici e un loro riconoscimento, ma è anche vero che il
legislatore tributario è libero e non abdica la sua libertà e discrezionalità di attribuire ai termini utilizzati in
altre branche dell'ordinamento un significato diverso e autonomo. Quindi, sì, una trasposizione dei principi
penalistici, ma non una totale abdicazione alle peculiarità e al riconoscimento delle stesse in ambito
tributario.
L'art. 6 d.lgs. 472/97 prevede diverse cause di non punibilità. In primo luogo (comma 1), abbiamo l’errore
incolpevole sul fatto che ha determinato la violazione (“Se la violazione è conseguenza di errore sul fatto,
l'agente non è responsabile quando l'errore non è determinato da colpa”).
Pensiamo a ipotesi quali, ad esempio, l'omessa indicazione, nella dichiarazione di successione, di cespiti
ereditari che erano sconosciuti, e l'errore sul fatto si verifica quando il soggetto è consapevole che una
determinata condotta sia punita dalla norma, ma ritiene che il comportamento che si accinge a porre in
essere sia diverso da quello vietato dalla norma sanzionatoria. È proprio un errore sul fatto, e cioè si ritiene
che il fatto che si sta ponendo in essere sia diverso da quello sanzionato. Ovviamente, perché questa causa
determini la non punibilità, è necessario che il contribuente debba avere tenuto un comportamento
diligente, quindi sarà ritenuto imputabile, e non godrà di questa causa di non punibilità, qualora l'errore sia
derivato da un suo comportamento non diligente; sarà punibile, quindi, laddove sia incorso in imprudenza,
negligenza o imperizia, e questa sua condotta abbia poi portato all'errore.
Un’altra causa di non punibilità è prevista dall’art. 6 comma 2 d.lgs. 472/1997, e riguarda le condizioni
obiettive di incertezza sull’ambito dell’applicazione della disposizione a cui le violazioni si riferiscono (“Non
è punibile l'autore della violazione quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla
portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono, nonché da indeterminatezza
delle richieste di informazioni o dei modelli per la dichiarazione e per il pagamento”).
Come voi sapete, la produzione normativa, la produzione legislativa in materia tributaria ha raggiunto e ha
delle dimensioni – non voglio dire – ipertrofiche, però certamente considerevoli. Anche – non voglio dire
disordinate – abbastanza disorganiche, nel senso che la disciplina in questo settore è disseminata in vari
testi normativi. A questo si aggiunge il rilievo secondo il quale la tecnica legislativa adottata non è sempre
stata delle migliori: non è scevra da tecnicismi, ambiguità o dalle problematicità attinenti proprio alla
struttura delle norme. Da questo consegue che non è inusuale e non è peregrina – voglio dire non
eccezionale – l'ipotesi in cui si ha proprio una obiettiva e oggettiva incertezza su come una determinata
norma debba essere interpretata; ovviamente, questa incertezza deve essere obiettiva, quindi non devono
essere incertezze o perplessità soggettive che attengono all'animus del contribuente, ma devono essere
delle ambiguità e delle perplessità sostanziose che si rilevano laddove la norma sia difficilmente
interpretabile. E in questo caso è ovviamente difficile prevedere che le sanzioni possano essere erogate.
Pensiamo soprattutto a quei casi in cui alle disposizioni si presenti una indubbia interpretazione non solo
per il quivis de populo, appunto per i contribuenti o la collettività in generale, ma anche per dei soggetti
giuridici particolarmente qualificati, come, ad esempio, addirittura la Corte di Cassazione o l’Agenzia delle
Entrate. Quindi, se anche questi soggetti particolarmente esperti e qualificati danno delle interpretazioni
incerte o che collidono le une con le altre rispetto a determinate disposizioni tributarie, allora è evidente
che il soggetto che segue un’interpretazione invece dell'altra si muove ed opera in un terreno abbastanza
scosceso. In un terreno caratterizzato da incertezza è difficile poi non riconoscergli una causa di non
punibilità che, appunto, il legislatore invece prevede. Quindi, in questo caso, in caso di un’incertezza
obiettiva e in conseguente violazione della norma tributaria, il contribuente non sarà soggetto a sanzione.
Pensiamo soprattutto ai casi in cui manchi una prassi amministrativa sul tema, oppure vi siano delle prassi
amministrative che siano tra loro contrastanti o appunto manchino dei precedenti giurisprudenziali
(laddove addirittura gli stessi [non] sono tra loro contrastanti).
Un'altra causa di non punibilità è quella prevista sempre dall'art. 6 comma 4 d.lgs. 472/97, nel caso di
ignoranza inevitabile della legge tributaria (“L'ignoranza della legge tributaria non rileva se non si tratta di
ignoranza inevitabile”), che appunto riecheggia l'ignoranza inevitabile della legge penale.
Ancora, qualora il fatto che ha impedito il comportamento virtuoso, cioè il rispetto delle norme tributarie,
sia determinato e addebitabile esclusivamente alla condotta di terzi (art. 6 comma 3 d.lgs. 472/97: “Il
contribuente, il sostituto e il responsabile d'imposta non sono punibili quando dimostrano che il
pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all'autorità giudiziaria e addebitabile
esclusivamente a terzi”) o, ancora, nel caso in cui la violazione sia determinata da una forza maggiore, da
una forza totalmente estranea alla condotta del contribuente (art. 6 comma 5 d.lgs. 472/97: “Non è
punibile chi ha commesso il fatto per forza maggiore”).
Ancora, un altro caso di non punibilità è quello in cui le violazioni siano meramente formali, quindi nel caso
in cui la condotta del contribuente non produce un pregiudizio per l'erario, perché di fatto non ha
pregiudicato l'esecuzione delle azioni di controllo o non incide sulla determinazione della base imponibile
(art. 5-bis d.lgs. 472/97: “Non sono inoltre punibili le violazioni che non arrecano pregiudizio all'esercizio
delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta e sul
versamento del tributo”). Quindi, in questi casi, si tratta di violazioni formali e il legislatore riconosce la
causa di non punibilità. È evidente come questa norma non faccia altro, anche in questo caso, di dare una
prova della continuità del collegamento che vi è tra questo sistema sanzionatorio e il sistema sanzionatorio
previsto dal codice penale, che di fatto non fa altro che riconoscere il principio di offensività: una condotta
per essere sanzionata deve essere offensiva. Ovviamente questo si ricollega a tutto il discorso fiorito in
ambito penalistico per il quale non possono incriminarsi le condotte che attengono semplicemente
all’interiorità del cittadino. Ora, senza voler scomodare il “pensiero Crimine” di Orwell nel famoso libro
1984 che per l’appunto immagina una società nella quale si venga incriminati anche per il semplice
pensiero dissidente rispetto al regime, questo è per dire che è necessario che vi sia un’offesa esteriore
rispetto alla mera disobbedienza, principio ovviamente importantissimo nel diritto penale che in una certa
misura è stato ritrasposto anche in questo testo normativo.
L’art. 7 prevede poi i criteri in base ai quali devono essere comminate le sanzioni, tra i quali assume rilievo
l’analisi dei precedenti fiscali, quindi se il soggetto è stato destinatario di altri atti di accertamento in
precedenza. Un’altra disposizione interessante prevista da questo testo legislativo è l’istituto del
ravvedimento operoso, il quale determina un effetto opposto rispetto alla recidiva che è prevista anche dal
sistema sanzionatorio tributario, ed è la riduzione della sanzione in favore di quel contribuente che
spontaneamente ripara al suo illecito. Quindi se il contribuente, senza attendere l’attivazione da parte
dell’amministrazione finanziaria, spontaneamente elimina gli effetti prima ancora che l’amministrazione li
abbia rilevati e contestati, il legislatore prevede una riduzione della sanzione. In questo modo ovviamente si
intende incentivare il contribuente infedele che abbia posto in essere una violazione a ripararla senza
attendere l’attività di contestazione da parte dell’amministrazione finanziaria. Anche questo istituto
riecheggia – ovviamente con le dovute differenze, non è una trasposizione in toto – quegli istituti di matrice
penalistica quali la desistenza volontaria ma soprattutto il ravvedimento operoso, che come voi sapete si
ispirano al canone dei “ponti d’oro a chi fugge”: a chi fugge – ovviamente non dopo la commissione
dell’illecito, ma chi fugge dall’ambito della illegalità per rientrare nell’ambito della legalità – devono essere
costruiti ponti d’oro: dev’essere agevolato il più possibile l’abbandono della condotta illecita. Anche in
questo caso, con le dovute differenze [rispetto al diritto penale], si tende ad incentivare un ravvedimento
da parte del contribuente che abbia violato alcune norme tributarie.
Adesso, visti questi principi generali, passerei ad analizzare i meccanismi attraverso i quali viene irrogata la
sanzione tributaria; prima voglio dirvi però che, avendo un carattere così parapenalistico o comunque
sanzionatorio, avendo quindi una funzione marcatamente punitiva, la sanzione amministrativa essendo
strettamente legata alla condotta dell’agente non potrà essere trasmessa agli eredi; quindi laddove il
contribuente infedele deceda, si trasmetterà agli eredi solamente l’obbligazione relativa al pagamento del
tributo evaso, ma non anche la sanzione relativa all’illecito commesso dal de cuius. Quindi adesso, visti
questi principi generali e osservata la loro continuità rispetto ai principi penalistici da una parte ma anche le
dovute differenze attinenti al fatto che si tratta di un ambito differente, analizziamo i procedimenti di
irrogazione delle sanzioni.
Uno studente chiede di ripetere l’ultimo pezzo, la professoressa risponde: con l’ultimo pezzo penso lei si
riferisca al fatto che quando un soggetto pone in essere la violazione di una norma tributaria che è
sanzionata da una norma sanzionatoria tributaria amministrativa, che appunto ricollega a quella
determinata condotta il pagamento di una sanzione, quando colui che ha determinato questa sanzione
muore – quindi quando era in vita gli è stato notificato un avviso di accertamento nel quale gli era stato
richiesto il pagamento di un maggior tributo e il pagamento di una sanzione, se dopo la notifica di questo
atto egli muore – gli eredi del de cuius dovranno pagare il maggior tributo evaso ma non anche l’ulteriore
somma derivante dall’applicazione della sanzione tributaria amministrativa, la quale appunto ha una natura
afflittiva, punitiva, che quindi deve andare a colpire il soggetto che l’ha posta in essere, colui che ha
manifestato una volontà di violare la norma tributaria. Quindi la sanzione relativa a questa violazione non si
trasmette agli eredi, mentre la differenza tra il tributo pagato e il tributo che avrebbe dovuto pagare è
trasmessa agli eredi perché di fatto si tratta di una evasione, di una infedeltà del contribuente che ha
determinato che una capacità contributiva, una presunzione di reddito, sia stata tassata in misura minore
rispetto a quella a cui sarebbe dovuta essere sottoposta.
Spero di aver chiarito questo aspetto e quindi penso di poter passare ai procedimenti di irrogazione delle
sanzioni. Sono previsti due procedimenti di irrogazione differenti, uno è previsto dall’art. 16 del d.lgs.
472/1997 e l’altro invece dall’art 17. Il procedimento di irrogazione delle sanzioni previsto dall’articolo 16
prevede l’ipotesi in cui l’ufficio intenda procedere nei confronti del contribuente irrogando soltanto le
sanzioni, quindi procede all’irrogazione di una sanzione senza procedere al recupero del maggior tributo;
quindi viene notificato al contribuente un atto nel quale viene contestata la violazione di una norma
tributaria. Tale procedimento si caratterizza per una maggiore garanzia per il contribuente, perché prevede
che egli possa partecipare in chiave difensiva al procedimento di irrogazione della sanzione, quindi vengono
separate la fase dell’accertamento dalla fase sanzionatoria. Viene notificato al contribuente un atto detto
“atto di contestazione”: in questo atto di contestazione vengono indicati i fatti che sono attribuiti al
trasgressore, gli elementi probatori che hanno portato ad emergere questa trasgressione e le norme che
sono state applicate dall’ufficio in ordine alla determinazione della funzione.
Una volta che viene notificato quest’atto, il contribuente cosa può fare? Ha davanti a sé alcune strategie
difensive: può innanzitutto, entro il termine per la presentazione del ricorso alla commissione tributaria
provinciale – quindi entro 60 giorni – pagare la sanzione, ridotta però ad un terzo. Si tratta di una
definizione agevolata, in cui io sono il contribuente, mi viene contestata una violazione per una sanzione di
un determinato importo, entro 60 giorni pago ma devo pagare un terzo, quindi ho un vantaggio dato dalla
riduzione dell’importo della sanzione e dall’eventuale applicazione di sanzioni accessorie. Ovviamente
questa sarà la strategia preferita dal contribuente che concorre con l’atto di contestazione: si rende conto
che in effetti quella contestazione è giusta, non ha ragioni valide che possano sostenere una sua
opposizione a quell’atto di contestazione, e allora dice: “Piuttosto che pagare l’intera sanzione all’eventuale
esito di un contenzioso, meglio pagare un terzo così da ridurre la sanzione”.
Oppure invece il contribuente può non essere d’accordo, ritenere che quell’atto di contestazione sia
illegittimo, e può allora proporre delle deduzioni difensive: queste devono essere presentate entro il
termine di presentazione del ricorso alla commissione provinciale, ossia 30 giorni dal momento in cui ha
ricevuto l’atto di contestazione. Il contribuente può quindi produrre queste deduzioni difensive nelle quali
illustrerà le ragioni per le quali ritiene che tali sanzioni non siano dovute, argomentando la non debenza di
queste sanzioni. A fronte di queste deduzioni difensive l’ufficio cosa può fare? Può condividere e ritornare
sui suoi passi, ritenere che in effetti i rilievi del contribuente siano ragionevoli e quindi rinunciare a irrogare
la sanzione, oppure può non condividere queste deduzioni difensive e in tal caso l’ufficio delle
amministrazioni finanziarie ha il tempo di un anno dalla presentazione delle deduzioni difensive per
notificare un atto di irrogazione della sanzione; quindi entro un anno può, laddove non intenda rinunciare
alla propria pretesa, notificare un atto di irrogazione. Ma perché l’obbligo in capo all’amministrazione
finanziaria di prendere in considerazione anche le deduzioni difensive presentate dal contribuente sia
rispettato, è ovviamente necessario che l’atto di irrogazione successivo sia motivato in ordine alle deduzioni
presentate dal contribuente: quindi, a pena di nullità, l’atto di irrogazione finale dovrà dare l’evidenza che
l’amministrazione finanziaria ha tenuto in considerazione queste deduzioni difensive.
Oppure ancora è possibile che il contribuente, sempre nello stesso termine di 60 giorni da quando ha
ricevuto la notificazione dell’atto di contestazione, possa impugnare l’atto di contestazione dinanzi alla
commissione tributaria provinciale. In realtà, come voi sapete, l’art. 19 del d.lgs. 546/1992 nel momento in
cui prevede gli atti impugnabili parla di atto di irrogazione della sanzione, non di atto di contestazione, ma
di fatto l’atto di contestazione viene considerato un vero e proprio atto di irrogazione della sanzione e
quindi anch’esso, sebbene non ricompreso esplicitamente nell’art. 19, può essere oggetto di impugnazione
dinanzi alla commissione tributaria.
Oppure ancora, il contribuente può non porre in essere nessuno dei comportamenti di cui ora ho parlato e
in tal caso la sanzione sarà dovuta per l’intero: poiché non potrà godere della riduzione derivante dalla
definizione agevolata, dovrà pagare la sanzione per intero e saranno dovute anche le sanzioni accessorie.
Quindi questo è uno dei procedimenti di irrogazione; l’altro procedimento è quello previsto dall’art. 17 del
d.lgs. 472/1997 che prevede un diverso modus operandi da parte dell’amministrazione finanziaria, la quale
notifica al contribuente un atto con il quale richiede il pagamento del maggior contributo e
contestualmente irroga la sanzione amministrativa, quindi anziché procedere nel modo precedentemente
illustrato – cioè l’atto di accertamento separato dall’atto di contestazione – può notificare contestualmente
i due atti.
Quindi l’articolo 17 prevede l’irrogazione immediata senza contestazione attraverso la notifica di un atto
contestuale all’avviso di accertamento. Abbiamo un procedimento di irrogazione diverso perché appunto
non prevede la fase di contestazione di contradittorio da parte del contribuente. Ovviamente però l’atto di
irrogazione della sanzione anche se è contestuale all’avviso di accertamento non deve confluire totalmente
in esso ma deve rimanere distinto dall’avviso di accertamento nei suoi contenuti e deve essere motivato
separatamente. Di fatto si atteggia se pur notificato con un atto contestuale all’atto di accertamento
rappresenta comunque un atto autonomo rispetto all’atto di accertamento. In questi casi è escluso un
contradditorio anticipato. Quando l’amministrazione finanziaria procede in questo modo è esclusa tutta
quella fase dell’atto di contestazione e della presentazione delle deduzioni difensive, viene meno quella
fase del contradditorio endoprocedimentale tra contribuente e amministrazione. Cosa può fare il
contribuente? Anche in questo caso può procedere al pagamento di un terzo della sanzione, quindi può
procedere alla definizione agevolata della sanzione. Anche in questo caso, la definizione agevolata, deve
essere fatta entro i 60 giorni. Il contribuente paga un terzo della sanzione. Però questo non esclude che in
secondo momento egli potrà impugnare l’atto impositivo dinanzi alla commissione tributaria ma questo
potrà essere impugnato solamente per chiedere l’annullamento dell’atto impositivo in relazione al
pagamento del maggior tributo. Potrà impugnare questo atto contestuale, atto di irrogazione e atto di
accertamento, pur avendo pagato un terzo della sanzione, ma lo potrà fare non per chiedere la restituzione
del terzo della sanzione che ha già pagato ma solamente per chiedere, per impugnare l’atto nella parte in
cui prevede una maggior imposizione, quindi il pagamento del maggior tributo. Solo su quell’aspetto può
essere impugnato non sotto l’aspetto della sanzione perché una volta che egli ha pagato la sanzione, seppur
dimensionata ad un terzo, ha in qualche modo dimostrato una quiescenza riguardo alla sanzione e quindi
non potrà in un secondo momento chiedere la restituzione del pagamento della sanzione. Oppure ancora il
contribuente potrà impugnare immediatamente l’atto di irrogazione oppure ancora potrà non procedere
né alla definizione agevolata né alla impugnazione, in tal caso dovrà pagare la sanzione per intero.
L’articolo 17 comma 3 prevede inoltre un meccanismo, sul quale non mi dilungo, meccanismo ulteriore di
irrogazione della sanzione che è ultra semplificato, perché prevede che l’irrogazione della sanzione avvenga
attraverso l’iscrizione a ruolo. Questo procedimento riguarda le sanzioni per omesso ritardato pagamento
dei tributi che non necessitano di particolari indagini. Possono essere irrogate immediatamente tramite
l’iscrizione a ruolo. In tal caso il contribuente può solamente pagare o l’intera sanzione o fare ricorso alle
commissioni tributarie, impugnare quindi questo atto di irrogazione di iscrizione a ruolo ma non può
naturalmente proporre deduzioni difensive ma nemmeno procedere alla definizione agevolata. Di questo si
differenzia dai diversi procedimenti di irrogazione.
Il decreto legislativo in esame prevede anche diverse cause di estinzione dell’illecito e di estinzione della
astensione tra le quali la mancata contestazione dell’illecito entro i termini di decadenza la quale comporta
l’estinzione dell’illecito. Questi atti di contestazione deve essere irrogato entro i termini previsto dal
decreto legislativo. Una causa di estinzione dell’illecito è anche la morte del trasgressore prima della
contestazione e poi sono previste diverse cause di estinzione delle sanzioni quali l’adempimento del
pagamento della sanzione, il ravvedimento operoso, la morte del trasgressore dopo che è stata contestata
la sanzione, la prescrizione del credito sanzionatorio. Anche perché appunto anche quando gli illeciti siano
già contestati, il diritto di credito deve essere esercitato comunque entro cinque anni dall’irrogazione della
sanzione perché in caso contrario non può più essere richiesto. Quindi abbiamo visto i caratteri più
importanti che governano il sistema sanzionatorio tributario amministrativo, abbiamo visto le modalità con
le quali vengono irrogate le sanzioni tributarie amministrative e adesso brevemente vi vorrei parlare delle
sanzioni penali.
La violazione delle norme tributarie che vengono sanzionate non solo dalle sanzioni amministrative ma
anche laddove siano particolarmente gravi, il legislatore può prevedere delle sanzioni penali. Abbiamo già
visto dei criteri che differenziano le sanzioni tributarie amministrative da quelle penali e ovviamente ciò che
caratterizza le sanzioni penali è sicuramente che laddove un comportamento del contribuente sia
sanzionato da una norma tributaria di carattere penale, dovranno essere applicate le norme del codice
penale e del codice di procedura penale. Quindi dovranno essere rispettati tutti quei principi che vigono in
ambito penale e dovranno essere applicati in toto perché si tratta di reati, di illeciti penali e non abbiamo il
meccanismo di cui prima vi ho detto, del testo del decreto legislativo del 1997 che traspone, che richiama
principi penalistici. Nel caso di reati tributari si applicheranno proprio tutti in modo rigido, in modo
tassativo, i principi penalistici. Le sanzioni penali sono comminate dall’autorità giudiziaria penale, quindi dal
giudice penale, e l’amministrazione finanziaria può costituirsi parte civile nel processo penale attraverso le
norme ordinarie. Il testo legislativo che pone una disciplina maggiormente organica per i reati tributari è il
decreto legislativo 74 del 2000 il quale disciplina i reati in materia di imposte sui redditi e sul valore
aggiunto. Anche tale impianto normativo, come quello relativo alle sanzioni amministrative tributarie, è
stato modificato nel 2015 dal decreto legislativo 158 del 2015. Ovviamente al di fuori di tale testo
legislativo del 2000 vi sono altre singole norme che sanzionano penalmente altre violazioni riguardanti
tributi di varia natura, tributi doganali, imposte di fabbricazione. Questo per dirvi che il decreto legislativo
74 del 2000 non è l’unico testo normativo che prevede degli illeciti tributari penali ma sicuramente è il più
significativo e il più importante. Sono previste non solo sanzioni pecuniarie ma anche sanzioni limitative
della libertà personale. Il carattere più interessante delle sanzioni penali tributarie e che i delitti previsti dal
d.lgs. 74 del 2000, soprattutto quelli previsti dall’articolo 2,3,4, prevedono delle fattispecie, delineano dei
reati punibili solo a titolo di tentativo in quanto tali fattispecie si consumano nel momento in cui è
presentata una dichiarazione fraudolenta o infedele. La loro consumazione avviene nel momento in cui
questa dichiarazione viene presentata e non sono invece punibili a titolo di tentativo. Le fattispecie che
costituiscono reati tributari possono essere idealmente distinti in due gruppi.
Da un lato ci sono quei comportamenti che sono puniti per il superamento di determinate soglie di
evasione e dall’altra parte vi sono dei comportamenti in cui non rilevano le soglie di evasione, la soglia di
quanto si è sottratto all’imposizione della quantità, della ricchezza del reddito che si è sottratto
all’imposizione, e dalle altre parti ci sono quelle condotte che sono punite a prescindere dal quantum di
imposta. Nel caso in cui siano previste queste soglie, qui la punibilità è riconnessa al superamento di una
determinata soglia di punibilità, laddove queste soglia di punibilità non vengano raggiunte, non vengano
superate, il comportamento sarà penalmente irrilevante. Tale soglie costituiscono degli elementi essenziali
del reato e quindi concorrono a integrare la condotta tipica del reato e quindi ne consegue che la gente
deve prevedere con dolo specifico di evasione anche le soglie, anche il superamento di queste soglie di
punibilità. Si tratta di elementi che effettivamente fanno parte del fatto tipico e che quindi vedono rientrare
necessariamente sotto il fuoco del dolo, devono essere oggetto del dolo, dell’elemento soggettivo della
gente.
Brevemente vediamo le fattispecie ricomprese del decreto legislativo 74 del 2000, il quale prevede il reato
di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti, articolo
2 del decreto legislativo 74 del 2000. Dalla lettura di questa norma vedete come tale fattispecie punisce chi
indica nella dichiarazione dei redditi o nella dichiarazione iva, degli elementi passivi fittizi, quindi si avvale di
fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti e pone nella dichiarazione, indica degli elementi
passivi che non esistono. È tra l’altro una condotta strutturata in due fasi, da una parte la gente si avvale di
questi documenti per operazioni inesistenti, predispone una documentazione che non si può riferire a
operazioni reali e poi presenta una operazione fraudolenta comprendente questa documentazione. Questo
reato non presenta delle soglie di punibilità, quindi è un reato di mera condotta, a prescindere da quanto
sia [non ha concluso la frase perché ha finito il tempo a disposizione]. Stavo semplicemente concludendo
con le analisi delle più importanti fattispecie di reati tributari: dichiarazione fraudolenta, dichiarazione
infedele e omessa dichiarazione. Con questo mi pare di aver concluso la panoramica sulle sanzioni
tributarie e vi saluto e vi auguro una buona giornata.