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APPUNTI DI DIRITTO TRIBUTARIO

RIASSUNTO DI “ISTITUZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO- PARTE GENERALE”, F.


TESAURO
PARTE 1- I TRIBUTI ED IL DIRITTO TRIBUTARIO
CAPITOLO 1 – I TRIBUTI E LA LORO CLASSIFICAZIONE
1.1- LE ENTRATE STATALI E LA LORO CLASSIFICAZIONE
-ENTRATE STATALI:
Al fine di comprendere appieno la nozione di prestazione patrimoniale imposta e la nozione di tributo,è opportuno fare delle brevi premesse ,di carattere storico ed economico ,sulla nozione di
entrate dello stato.
Le entrate dello stato sono quelle entrate necessarie per mantenere il funzionamento della cosa pubblica e dunque della collettività organizzata .
Prima di addentrarci nella classificazione delle entrate statali,occorre osservare che ,in materia di entrate dello Stato,rileva particolarmente 'art. 81 Cost.,così come recentemente
modificato dalla l.cost. 1/2012, la quale vi ha introdotto il cd principio del pareggio di bilancio. L'art. 81 cost. Dispone dunque quanto segue:
→ al 1° comma: lo stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio ,tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico (quindi lo stato,in virtù
di una norma costituzionale,è obbligato al pareggio di bilancio,per cui le entrate devono pareggiare le spese;tutte le entrate,non soltanto quelle tributarie)
→ al 2° comma: il ricorso all'indebitamento è consentito al verificarsi di eventi eccezionali(quindi l'ordinarietà è rappresentata dal pareggio di bilancio,derivante dalla circostanza per cui le
entrate pareggiano le spese,mentre il ricorso al debito è consentito solo in casi eccezionali e soltanto previa autorizzazione delle Camere ,adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi
componenti)
→ al 3° comma: ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri,provvede ai mezzi per farvi fronte (quindi il legislatore è obbligato a perseguire il principio del pareggio di bilancio ,le entrate
devono pareggiare le spese del periodo di imposta)
Le entrate di cui all'art. 81 Cost. Non sono soltanto le entrate tributarie,dal momento che le entrate dello stato possono derivare da:
→ svolgimento di attività commerciali: si tratta di entrate derivanti da proventi di attività produttive di beni o servizi,esplicate direttamente dall'ente pubblico,oppure da imprese private
possedute dall'ente pubblico
→ gestione ed alienazione del patrimonio pubblico: si tratta di entrate derivanti dalla concessione in godimento a terzi di beni del patrimonio pubblico,o di entrate derivanti
dall'alienazione di tali beni a terzi
→ dai prestiti dei singoli (es. bot,che altro non sono che prestiti,remunerati tramite interessi,effettuati dai singoli allo Stato,che ha ovviamente l'obbligo di restituire il prestito alla scadenza
corrispondendo medio tempore interessi maturati e previsti al momento della sottoscrizione del prestito)
→ prelievi coattivi: si tratta di entrate derivanti da prestazioni coattive imposte ai privati. I prelievi coattivi rappresentano la maggioranza delle entrate dello stato ed ,al loro interno,
rientrano i tributi ,ma anche anche le sanzioni,così come i corrispettivi per servizi resi dall'ente pubblico in condizione di monopolio
Di conseguenza lo Stato ha diverse forme di finanziamento:può alienare o comunque gestire tramite locazione il proprio patrimonio,può svolgere attività di impresa,può imporre coattivamente i prelievi
su economie esterne ad esso(quindi attraverso l'introduzione e l'applicazione di tributi ed anche attraverso l'irrogazione di sanzioni ),può assumere prestiti concessi dai cittadini.
È bene osservare che le entrate statali possono essere diversamente classificate ,sia da un punto di vista economico che da un punto di vista giuridico
Gli economisti classici distinguevano le entrate dello stato in base a diversi criteri:
1)il criterio del rapporto tra prezzo e costo
Gli economisti classici distinguevano le diverse entrate dell'ente pubblico sulla base del criterio del rapporto prezzo/costo,distinguendo a loro volta:
→ il prezzo privato o quasi privato,in cui il prezzo del servizio era determinato in base alle contrattazioni di mercato ,per cui il prezzo era generalmente superiore al costo
sostenuto per l'erogazione ,da parte dello Stato, del servizio o per l'erogazione dell'opera
→ il prezzo pubblico,quando il prezzo era pari al costo totale del servizio offerto dall'ente pubblico
→ il prezzo di monopolio,quando il prezzo del servizio era superiore al costo sostenuto dallo Stato per l'erogazione del servizio medesimo; lo Stato in questo caso approfitta
della sua posizione di monopolio per aggiungere un quid pluris al costo sostenuto per il servizio,rappresentato secondo i più da un'imposta
→ il prezzo politico : il prezzo politico era individuato nelle due specie della tassa e del contributo,poichè il suo ammontare,inferiore al costo del servizio erogato,era tale al
fine di realizzare interessi collettivi,sicchè,in ragione di ciò,l'ente pubblico si accollava una parte dell'onere. Dunque,in questo caso, il prezzo richiesto al contribuente è
inferiore al costo ,sostenuto o per l'erogazione di un servizio o per la realizzazione di un'opera sostenuta dall'ente pubblico, e direttamente riferibile al contribuente. Al
contribuente viene chiesta quindi una quota-parte del costo e non il costo intero ,poiché il servizio erogato o l'opera realizzano anche un interesse meritevole di tutela da parte
della collettività ,indi per cui la collettività stessa se ne accolla ,anche se solo parzialmente, l'onere. Questo può essere il caso della tassa di iscrizione universitaria,il servizio
universitario è un servizio riferibile allo studente,quindi per il soggetto che utilizza il servizio erogato dall'ente pubblico,ma è anche vero che lo svolgimento del servizio
universitario ridonda a beneficio dell'intera collettività che quindi questa se ne assume parzialmente su di sé l'onere.
→ l'imposta :coincide con una quota individuale del costo, sopportato dall'ente pubblico, per i servizi indivisibili,ovvero divisibili,ma assunti a proprio carico dalla collettività. I
servizi indivisibili sono i servizi che non sono direttamente riferibili ad un determinato individuo ,ma che ridondano a beneficio dell'intera collettività ed in questo caso il
finanziamento di tali servizi viene assicurato tramite il versamento di imposte. Per fare un esempio: il servizio di ordine pubblico è garantito dallo stato attraverso il versamento
di imposte che affluiscono nel bilancio statale e questo gettito viene utilizzato in parte per il mantenimento dell'ordine pubblico.
2)entrate originarie e derivate:
Gli economisti classici distinguevano altresì tra entrate originarie ed entrate derivate ,a seconda che le entrate derivassero o meno dalla gestione diretta degli enti pubblici . In questa
classificazione ,evidentemente, i tributi rientrano nella categoria delle entrate derivate,poichè gli stessi non derivano dalla gestione diretta delle risorse degli enti pubblici,ma derivano da
prelievi su economie di soggetti terzi
3)gli economisti classici distinguevano le entrate statali anche a seconda che alterassero o meno l'impiego delle risorse ,rispetto all'assetto che sarebbe stato realizzato dai
privati in assenza dell'intervento pubblico.
Evidentemente,in questa prospettiva, i tributi sono strumenti che alterano l'impiego delle risorse,le quali,sarebbero state impiegate diversamente dai soggetti che posseggono le fonti di
ricchezza; dunque i tributi sono prelievi coattivamente imposti,per cui si configurano come entrate che alterano l'impiego delle risorse risorse che altrimenti i contribuenti,in assenza
dell'intervento pubblico,avrebbero impiegato diversamente.
Operando invece una classificazione giuridica, possiamo osservare come le entrate dello stato venissero classificate sulla base della natura del rapporto tra l'ente pubblico ed i cittadini. Più
precisamente,i giuristi distinguevano tra:
→ entrate di diritto pubblico: erano le entrate imposte coattivamente dallo Stato,sulla base,quindi,del suo potere autoritativo nei confronti dei cittadini. Appare qui ovvio che i servizi
pubblici indivisibili,proprio in virtù del fatto di essere rivolti alla collettività nella tua interezza, erano finanziati per mezzo di entrate coattivamente imposte.
→ entrate di diritto privato: erano quelle entrate che nascevano per via di rapporti contrattuali tra l'ente pubblico ed i cittadini. Certamente i servizi pubblici divisibili,essendo destinati
soltanto ad una parte della collettività organizzata,venivano finanziati ripartendo il costo tra i cittadini beneficiari,per cui gli stessi,potremmo dire,venivano finanziati con entrate che traevano
origine da rapporti di diritto privato
La dottrina ha poi variamente combinato gli schemi suggeriti dagli economisti classici ed ha fatto ulteriori distinzioni,tra le quali rileva la distinzione tra entrate commutative ed entrate contributive:
→ le entrate commutative,o a titolo commutativo:sono quelle entrate in cui avveniva uno scambio di utilità,uno scambio di benefici,tra un soggetto ed un altro. Da ciò
possiamo dedurre che tali entrate venivano definite come commutative perché esse costituivano il corrispettivo di una controprestazione.
Un esempio di entrata commutativa ci viene fornito dalle tasse: nelle tasse universitarie vi è uno scambio tra il versamento di una somma da parte dello studente e l'istituto che svolge il
servizio richiesto; si tratta di un'entrata commutativa poiché vi è uno scambio tra due vantaggi,benefici da parte di due soggetti.
→ le entrate contributive,o a titolo contributivo: sono quelle entrate in cui non vi era uno scambio di utilità,o di benefici ,tra un soggetto ed un altro, sicchè le stesse
costituivano un corrispettivo,senza che a fronte vi fosse una controprestazione. Per essere più precisi,possiamo dire che le entrate contributive si caratterizzano per l'assenza
di uno scambio immediato di utilità tra due soggetti.

-SERVIZI PUBBLICI INDIVISIBILI:


I servizi pubblici indivisibili sono quei servizi ,erogati dall'ente pubblico,che non sono direttamente riferibili ad un determinato individuo ,ma che ridondano a beneficio dell'intera
collettività (in questo caso il finanziamento di tali servizi viene assicurato tramite il versamento di imposte)
-SERVIZI PUBBLICI DIVISIBILI:
I servizi pubblici divisibili sono quei servizi,erogati dall'ente pubblico,che sono direttamente riferibili ad determinati individui,ridondando dunque a vantaggio di questi (il finanziamento di
tali servizi viene assicurato,in questo caso,mediante il versamento di tasse)

1.2- LA NOZIONE DI PRESTAZIONE PATRIMONIALE IMPOSTA EX ART. 23 COST.


-PRESTAZIONE PATRIMONIALE IMPOSTA:
La nozione di prestazione patrimoniale imposta si ritrova nell'art. 23 Cost,in virtù del quale “ nessuna prestazione ,personale o patrimoniale,può essere imposta se non in base alla legge”.
Per meglio comprendere tale nozione di prestazione patrimoniale imposta,occorre innanzitutto fare un breve excursus storico dell'orientamento dottrinale in materia,tenendo sempre presente la
classificazione,operata dalla dottrina, tra entrate di diritto pubblico ed entrate di diritto privato:
→ in un primo momento , si riteneva che la nozione di tributo discendesse dalla concezione del rapporto obbligatorio di fonte legale: secondo questo orientamento,il tributo era
dunque una rappresentazione diretta della sovranità statale,che veniva tuttavia applicato per mezzo delle norme privatistiche in materia di obbligazioni
→ in un secondo momento,la dottrina ritenne che il tributo fosse espressione di autorità e ,dunque,espressione di un rapporto obbligatorio.
Alla luce di quanto sopra esposto,la teoria delle prestazioni imposte si riferisce a tutti i rapporti in cui la prestazione del privato è dovuta sulla base di un'imposizione autoritativa e
dunque,come avremo modo di vedere,nell'ambito delle prestazioni patrimoniali imposte non rientreranno soltanto i tributi,ma anche prestazioni patrimoniali imposte non aventi natura
tributaria.
Anche attualmente,con prestazioni patrimoniali imposte , si fa riferimento a tutte quelle prestazioni che sono dovute sulla base di un'imposizione autoritativa e che comportano il
depauperamento del patrimonio del privato (ecco perché vengono definite patrimoniali,distinguendosi così dalle prestazioni personali imposte,anch'esse contemplate dall'art. 23 Cost.).
Secondo la dottrina prevalente,pacificamente condivisibile,all'interno della categoria delle prestazioni patrimoniali imposte ex art. 23 Cost.,vi rientrano non soltanto tutti i tributi,ma anche
altre prestazioni patrimoniali imposte di natura non tributaria.
Vi è tuttavia un problema,che sarà poi meglio analizzato,in relazione ai rapporti intercorrenti tra le prestazioni patrimoniali imposte ex art. 23 Cost ed il principio di capacità contributiva ex
art. 53 Cost. . Sebbene nella nozione di prestazioni patrimoniali imposte rientrino tutti i tributi (e non solo), si è sviluppato,in ambito dottrinale, un orientamento,condiviso anche dalla Corte
Costituzionale,secondo cui sarebbe soggetta al principio di capacità contributiva soltanto una determinata categoria di tributi,ossia le imposte,mentre sarebbero da escludersi dall'ambito
di applicazione del principio di capacità contributiva ex art. 53 le tasse,le quali sarebbero invece assoggettate al principio del corrispettivo o del beneficio.
Per riassumere ,possiamo dire che :
→ l'orientamento prevalente ritiene che ,nella nozione di prestazione patrimoniale imposta, rientrino tutte quelle prestazioni patrimoniali che siano imposte con atto autoritativo,ivi
compresi i tributi (in tutte le classi in cui gli stessi si possano distinguere : imposte,tasse,monopoli,etc.) e le altre prestazioni patrimoniali che siano imposte sempre con atto autoritativo,ma
che abbiano natura non tributaria
→ l'orientamento minoritario,seppur avallato dalla Corte Costituzionale,ritiene che ,all'interno della categoria di prestazioni patrimoniali imposte ex art. 23 Cost.,rientrino soltanto quei
determinati tributi qualificabili come imposte,dovendosi invece escludere quei tributi qualificabili come tasse,in quanto questi ultimi non sarebbero assoggettabili al principio di capacità
contributiva ex art. 53 Cost.
Tale concetto di prestazione patrimoniale imposta ,quale prestazione,comportante il depauperamento del patrimonio di un soggetto,dovuta sulla base di un atto autoritativo, trova un suo
antecedente storico nell'art. 30 dello Statuto Albertino,in virtù del quale nessun tributo poteva essere imposto o riscosso se non fosse stato consentito dalle Camere e sanzionato dal Re.
Dunque anche lo statuto albertino prevedeva un principio analogo,anche se più ristretto rispetto a quello presente nell'art. 23 Cost. ,dal momento che, la norma dello Statuto Albertino si
limitava ai tributi,mentre ,l'art. 23 Cost. Attuale fa riferimento ad una nozione più ampia che è quella delle prestazioni patrimoniali imposte, una nozione comprendente sia i tributi,sia prestazioni
patrimoniali imposte non aventi natura tributaria.
Al momento attuale non vi è alcun dubbio che le entrate statali cd. Contributive (in cui non vi sia uno scambio di utilità o di benefici tra due soggetti,in cui manchi una
controprestazione) ,laddove siano imposte con atto autoritativo,rientrino tra le prestazioni patrimoniali imposte. Di contro,tuttavia, vi è stata una grande difficoltà in merito alla
determinazione di quando un'entrata ,avente natura cd. Commutativa (intesa dunque come corrispettivo di una controprestazione,come scambio di utilità o di benefici)potesse essere
qualificata come prestazione patrimoniale imposta,ovvero come entrata di diritto privato.
Il punto è ,per semplificare, se sia possibile distinguere un'entrata commutativa ,in cui vi è uno scambio di prestazione, avente natura di prestazione patrimoniale imposta e dunque
soggetta alla riserva di legge ex art. 23 Cost. ,Da un'entrata di diritto privato,esclusa dall'ambito di applicazione dell'art. 23 Cost.
Al di là di alcuni casi eclatanti ,non è così evidente la differenza tra l'iscrizione ad un'università (tassa avente natura tributaria e quindi soggetta a riserva di legge) rispetto al versamento che si
effettua ,ad esempio,per iscriversi ad una palestra o ad un circolo sportivo,in cui vi è in comune ,con il primo caso,soltanto uno scambio di utilità.
Possiamo qui proporre un'ulteriore ricostruzione storica:
→ Alla fine dell'800,il Cammeo,spinto dall'orientamento che ha poi condotto alla formulazione dello Statuto Albertino, distingueva tra tributi,ivi compresi quelli aventi natura
commutativa, ai quali si applicava la riserva di legge e tributi ai quali ,invece,la riserva di legge non si applicava ,sulla base della circostanza che ,soltanto relativamente alla prima
categoria,attraverso l'intervento pubblico,si alterava l'impiego delle risorse che altrimenti ne avrebbero fatto i privati.
Dunque,secondo Cammeo ,solamente nei casi in cui l'intervento pubblico avesse alterato,attraverso l'introduzione del tributo,l'impiego delle risorse che altrimenti sarebbe
stato fatto dai privati ,sarebbe stata allora necessaria la previsione di una riserva di legge,dal momento che,in quest'ottica, l'introduzione del tributo alterava il normale
funzionamento del mercato ,per cui si rendeva necessario che tale alterazione fosse disciplinata e garantita da una legge o da un atto avente forza di legge
→ Attraverso successivi sviluppi,si arrivò ,rispetto allo Statuto Albertino,ad una nozione più ampia,riferibile non soltanto ai tributi,bensì a tutti i rapporti in cui la prestazione
del privato,peraltro non solo di natura patrimoniale(ma anche di natura personale),è dovuta, non in base alla sua volontà,bensì in base alla volontà della legge.
Dunque, nel passaggio dallo Statuto Albertino alla Costituzione repubblicana,si è ampliata la nozione rilevante, fino a comprendervi non soltanto la prestazione patrimoniale imposta
avente natura tributaria,ma anche le prestazioni patrimoniali imposte non aventi natura tributaria ,nonchè le prestazioni imposte aventi natura personale e non patrimoniale. Ciò si è
verificato al fine di ampliare al massimo le tutele per il privato,che viene inciso nella sua libertà personale, o nel suo patrimonio personale ,ma attraverso un atto avente forza di legge,quindi con tutte le
garanzie che assistono la formazione dell'atto legislativo o degli atti aventi forza di legge.
La dottrina più recente ha poi proposto una serie di criteri per distinguere tra le entrate aventi natura commutativa,ossia le entrate che presuppongono uno scambio tra due utilità,le
entrate statali che hanno natura di prestazione patrimoniale imposta e le entrate che hanno invecenatura privatistica e contrattuale:
1)Secondo un certo orientamento sarebbero irrilevanti la coattività della fonte dell'obbligazione e la natura pubblicistica o privatistica del rapporto,perchè vi possono essere
prestazioni imposte coattivamente che non depauperano ,e che quindi non provocano una diminuzione del patrimonio del soggetto e che quindi non sono prestazioni patrimoniali imposte,
e perchè vi sono prestazioni patrimoniali imposte in cui il rapporto tra i soggetti è di diritto privato o di diritto privato speciale. Dunque per tale orientamento non sarebbe sufficiente fare
riferimento alla coattività della fonte dell'obbligazione o alla natura privatistica o pubblicistica del rapporto isolatamente considerati.
2)Secondo autorevole dottrina,ai fini della distinzione tra prestazioni patrimoniali imposte e prestazioni aventi natura privatistica o contrattuale rileva l'autoritatività o meno
della disciplina che regola il rapporto e realizza il depauperamento del privato,per cui se la porzione di disciplina che regola il rapporto e realizza il depauperamento del
privato ha natura pubblicistica ed autoritativa,allora siamo in presenza di una prestazione patrimoniale imposta e non di una prestazione avente natura contrattuale.
Quindi ,per controbilanciare la coercitività della disciplina,la prestazione è soggetta al principio della riserva di legge,beneficiando quindi delle garanzie derivanti dalla
utilizzazione di un determinato procedimento.
La nozione di prestazione patrimoniale imposta ex art. 23 Cost. Risulta essere poi importante per un ordine di due motivazioni:
1)innanzitutto,l'art. 23 Cost. Contempla il principio della riserva di legge,per cui nessuna prestazione patrimoniale o personale può essere imposta se non in base alla legge :
bisogna in merito stabilire se questa riserva di legge abbia natura assoluta o natura relativa,e come vedremo,essa ha natura relativa . Di qui si nota la differenza con la formulazione
originariamente prevista prima di adottare il testo definitivo,la quale era :” nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non dalla legge”.
→ in secondo luogo, tale nozione di prestazione patrimoniale imposta è rilevante ai fini della distinzione di tale riserva dalle altre numerose riserve previste nella nostra carta
costituzionale, riserve tra le quali rileva la riserva di legge ex art. 25 Cost. ,in relazione a quelle prestazioni imposte che hanno natura sanzionatoria e che quindi,pur essendo
astrattamente sussumibili nella fattispecie di cui all'art. 23 Cost., rientrano nella più rigorosa riserva assoluta di cui all'art. 25 Cost. :Con riserva relativa(come si configura quella
prevista dall'art. 23 Cost.), si intende che la legge ,o l'atto avente forza di legge, può limitarsi a disciplinare gli elementi fondamentali della prestazione,mentre gli elementi secondari
possono essere previsti da una fonte subordinata (nel nostro settore dal regolamento); di contro,laddove la riserva sia assoluta,come nel caso della riserva di legge di cui all'art. 25 Cost.,
prevista in materia di sanzioni,la legge o l'atto avente forza di legge deve disciplinare interamente la fattispecie.
La nozione di prestazione patrimoniale imposta è altresì importante perchè ,nell'ambito delle prestazioni patrimoniali imposte di cui all'art. 23 Cost. ,dunque nell'ambito di quelle prestazioni
che per essere imposte e che per avere rilevanza patrimoniale sono soggette alla riserva di legge (relativa),rientrano anche, e non soltanto, le prestazioni patrimoniali imposte avente natura
tributaria,ossia i tributi,ma anche prestazioni patrimoniali imposte aventi natura non tributaria.
In quest'ottica, i tributi sono prestazioni patrimoniali imposte aventi natura tributaria,aventi,cioè, la finalità di contribuire alle pubbliche spese.
Per concludere sulla nozione di prestazione patrimoniale imposta,possiamo ricordare che il caso più problematico,come poc'anzi detto,è quello concernente le prestazioni patrimoniali imposte
che presuppongono un assetto commutativo o para-commutativo,ossia uno scambio di utilità,di benefici. In questo caso,la difficoltà sta nel distinguere tali particolari prestazioni
patrimoniali imposte dalle entrate di diritto privato,le quali,ripetiamo,a differenza delle prime non sono soggette alla riserva di legge ex art. 23 Cost. .
Ai fini della suddetta distinzione,semplificando,rileva l'autoritatività o meno della disciplina che realizza il depauperamento del privato. Di conseguenza,laddove la porzione di disciplina del
rapporto che determina il depauperamento del patrimonio del privato ,sia imposta dall'altro,questa prestazione, tendenzialmente, si viene a configurare come una prestazione patrimoniale imposta ,dal
momento che la stessa non è espressione di una posizione di equilibrio ,che invece caratterizza normalmente i rapporti di tipo privatistico. Di conseguenza rientrano in questo ambito prestazioni che
hanno origine nella legge,nel regolamento e vi rientrano prestazioni sia a carattere tributario ,sia di natura non tributaria,ma comunque previste da legge o da atto amministrativo,come,ad esempio, i
sovracanoni da grandi derivazioni idroelettriche ,che hanno natura sostanzialmente di tipo corrispettivo.
A questo punto possiamo ,in ultima analisi,tracciare quelli che sono gli elementi rilevanti ai fini della determinazione di una determinata prestazione quale prestazione patrimoniale
imposta ex art. 23 Cost.:
→ la natura ,pubblica o privata, delle norme che disciplinano il rapporto e che determinano la diminuzione del patrimonio del soggetto
→ concorso o meno della volontà del privato nella determinazione della nascita dell'obbligo da cui deriva la diminuzione del patrimonio del soggetto ,inciso dalla prestazione
→ che la prestazione a carico del privato deve derivare da atto autoritativo
Nell'ambito di questa interpretazione rientrano nell'ampia categoria dei tributi e nell'ancora più ampia categoria delle prestazioni patrimoniali imposte,oltre alle imposte,anche:
→ le tasse,nonostante le stesse presuppongano un assetto di tipo commutativo o paracommutativo e quindi uno scambio di utilità tra due soggetti (es. tassa di iscrizione universitaria) .
Esse rientrano tra le prestazioni patrimoniali imposte ex art. 23 Cost. Perché la porzione di disciplina ,che determina la diminuzione del patrimonio del soggetto, deriva da atto autoritativo.
→ i monopoli,che sono situazioni in cui lo Stato esercita un'attività da una posizione di monopolio. Anche in questo caso, la disciplina del rapporto deriva da fonte autoritativa e la porzione
di disciplina del rapporto che incide è quella che determina la diminuzione del patrimonio del soggetto . È bene osservare che,nella nostra materia, ciò che rileva sono i monopoli fiscali,che
sono monopoli di diritto, nell'ambito dei quali i corrispettivi sono fissati integralmente dall'autorità ,senza il concorso della volontà del contribuente e quindi ,anche in questo caso, non vi è
quella posizione di equilibrio che normalmente caratterizzerà poi il tipo contrattuale. Sono invece esclusi dal nostro ambito di studio i cd. monopoli di fatto,cioè i monopoli che derivano da
una situazione di fatto e non da una previsione di legge.
Per concludere e per dare una nozione di sintesi,possiamo individuare le prestazioni patrimoniali imposte di cui all'art. 23 Cost.,(le quali, ricordiamo vanno distinte dalle prestazioni personali
imposte ,che non rientrano nel nostro esame, anche se sono sottoposte anch'esse al principio della riserva di legge ex art. 23),possono essere individuate attraverso il criterio del depauperamento
patrimoniale coattivamente imposto,inteso come funzione della disciplina legislativa,con ciò intendendo la disciplina legislativa è posta proprio al fine di depauperare il patrimonio del
soggetto.
Quindi i tributi,anche aventi natura commutativa,ossia presupponenti uno scambio di utilità tra due soggetti ,rientrano comunque nelle prestazioni patrimoniali imposte ai sensi dell'art. 23
Cost.,laddove vi sia una fonte autoritativa e la diminuzione del patrimonio del soggetto sia il fine esclusivo,o almeno il fine prevalente,possono concorrere con la finalità di depauperare il
patrimonio del soggetto anche finalità diverse,purchè non prevalenti rispetto a quella depauperativa del patrimonio del soggetto.
Il terzo requisito è che la prestazione patrimoniale imposta sia il risultato di una determinazione coattiva della disciplina del rapporto,e quindi del contenuto e della modalità della prestazione oggetto del
rapporto stesso.
Dunque fonte autoritativa,depauperamento del privato quale fine esclusivo ,o quantomeno prevalente, e determinazione autoritativa del contenuto della disciplina del rapporto in esame.

-ESTENSIONE DELLA CATEGORIA DI PRESTAZIONI PATRIMONIALI IMPOSTE:


Andiamo ora ad analizzare l'ambito di estensione delle prestazioni patrimoniali imposte,con ciò intendendo l'analisi di quelle prestazioni che possono o meno essere qualificate come
prestazioni patrimoniali imposte:
→ vi rientrano le prestazioni patrimoniali imposte aventi natura tributaria : le prestazioni patrimoniali imposte aventi natura tributaria sono quelle che sono finalizzate a
sovvenzionare le spese pubbliche ex art. 53 Cost.
La finalità di decurtare il patrimonio del privato può concorrere anche con altre finalità ,ma non può essere meramente strumentale.
→ Rientrano certamente tra le prestazioni patrimoniali imposte le tasse,in cui non vi è una corrispettività in senso giuridico,ma più una correlazione in senso economico,tra
una attività richiesta dal privato e per esso vantaggiosa,in cambio del versamento di una somma di denaro(le tasse,per essere più precisi,rientrano nelle prestazioni
patrimoniali imposte aventi natura tributaria)
→ Rientrano tra le prestazioni patrimoniali imposte anche alcune prestazioni che non hanno natura tributaria e che non hanno la finalità di sovvenzionare le spese pubbliche e
facciamo qui riferimento alla requisizione di servizi in cui si impongono al privato comportamenti rilevanti senza indennizzo e la consegna dei cd. Esemplari d'obbligo a
cineteche,discoteche,biblioteche e simili.
→ La corte costituzionale ha ricompreso,nell'ambito della nozione di prestazione patrimoniale imposta,una serie di ipotesi in cui vi è il depauperamento coattivamente
imposto del privato:
→ sconti obbligatori del prezzo dei medicinali richiesti ai farmacisti
→ corrispettivi previsti per l'uso delle bombole di metano
→ in passato vi rientravano anche i canoni telefonici,anche se si tratta oggi di un rapporto di diritto privato
A) non rientrano ,nell'ambito delle prestazioni patrimoniali imposte ex art. 23 cost.,le prestazioni aventi natura sanzionatoria, che hanno sì il fine della decurtazione,ma la finalità
della decurtazione è qui strumentale alla finalità sanzionatoria e quindi, in questo caso, si tratta di prestazioni patrimoniali imposte che hanno natura sanzionatoria e che sono quindi
soggette alla riserva assoluta di legge di cui all'art. 25 Cost..
B)Non rientrano tra le prestazioni patrimoniali imposte di cui all'art.23 neppure le espropriazioni per pubblica utilità,perchè le prestazioni non sono finalizzate al
depauperamento del patrimonio del soggetto,bensì all'acquisizione di beni ed interessi da parte dello Stato ,poichè ritenuti di interesse pubblico,mediante versamento di un
indennizzo in cambio dei beni e dei servizi espropriati. Quindi in questo caso non si applicherà la riserva di cui all'art. 23 Cost.,ma la riserva prevista per le espropriazioni per pubblica
utilità,perchè,pur essendo una prestazione patrimoniale imposta,il fine perseguito non è quello del depauperamento del patrimonio del soggetto,ma è quello dell'acquisizione di un bene o di
un servizio da parte dello stato in cambio del versamento di un indennizzo.
C) non rientrano,nella nozione di prestazione patrimoniale imposta ex art. 23 cost.,i monopoli di fatto,dal momento che gli stessi nascono da una situazione meramente di fatto e
non da una legge o atto avente forza di legge

-PRESTAZIONI PERSONALI IMPOSTE:


Nell'analisi della riserva di legge ex art. 23 Cost.,non possiamo prescindere dalla definizione di prestazioni personali imposte,stante che proprio dal dettato del suddetto articolo si evince
che “nessuna prestazione,personale o patrimoniale,può essere imposta se non in base alla legge”.
Le prestazioni personali sono rappresentate da quelle prestazioni ,aventi contenuto positivo ,che comportano un'esplicazione di energie fisiche ed intellettuali ,con conseguente impossibilità per il
soggetto coinvolto di destinare tali energie fisiche ed intellettuali ad altra attività.
Si ha dunque una prestazione personale imposta,sottoposta al principio della riserva di legge ex art. 23 Cost., Quando un soggetto deve destinare una parte delle proprie energie ,fisiche
ed intellettuali, ad una determinata attività ,imposta per legge o atto avente forza di legge.
Affinchè si abbia una prestazione personale imposta,non vi è orientamento pacifico se tale prestazione debba avere contenuto patrimoniale o comunque un contenuto patrimonialmente
rilevante o meno,dal momento che,in tale categoria,sono state ricomprese sia prestazioni aventi natura economica,o comunque suscettibili di valutazione economica (es. servizio militare,le
prest. Professionali richieste ai medici o il gratuito patrocinio;prestazioni professionali richieste a determinate categorie e suscettibili di valutazione economica),sia, così come avallato dalla
giurisprudenza,prestazioni personali in cui la rilevanza patrimoniale è meno chiara (es. obbligo di testimoniare,obbligo di presentazione personale del fallito al giudice delegato).
In linea generale ,possiamo ritenere che le prestazioni personali imposte ai sensi dell'art. 23 Cost. Sono da intendersi quelle prestazioni che limitano la libertà del privato a prescindere dalla
loro rilevanza patrimoniale.
Vi è un caso particolare,giacchè,tra le prestazioni personali imposte , rientrano altresì ipotesi in cui si impone al privato di usufruire di determinati servizi pubblici,come ad esempio trattamenti
medici e profilattici obbligatori:anche qui il soggetto interessato è obbligato a destinare una parte delle proprie energie fisiche ed intellettuali ad una determinata attività ,qui rappresentata dalla
fruizione di un servizio quale il trattamento medico o profilattico obbligatorio.
Per quanto poi riguarda il profilo delle differenze tra prestazioni personali imposte e prestazioni patrimoniali imposte,stante che queste ultime sono quelle che comportano una decurtazione del
patrimonio del soggetto possiamo asserire che: nelle prestazioni patrimoniali imposte È irrilevante ,a differenza delle prestazioni personali imposte, la natura del comportamento imposto al
privato,essendo rilevante soltanto che tale prestazione,prevista con atto autoritativo,comporti una diminuzione della sfera giuridico-patrimoniale del soggetto( non a caso, sono
pacificamente prestazioni patrimoniali imposte gli sconti obbligatori previsti sul prezzo dei medicinali per i farmacisti).

1.3- LA NOZIONE DI TRIBUTO


-TRIBUTO:
Il tributo è lo strumento attraverso cui lo Stato reperisce le risorse necessarie per l'erogazione di servizi pubblici, essenziali o meno. Da ciò appare ben evidente dunque che non vi può essere
comunità organizzata senza che al contempo vi siano dei tributi che siano adempiuti dai contribuenti,dal momento che i tributi si vengono a configurare come quegli strumenti attraverso i quali una
comunità organizzata reperisce le risorse necessarie per il suo stesso funzionamento.È bene osservare che tale nozione di tributo deve essere desunta dalla tradizione dottrinale e giurisprudenziale
del nostro ordinamento,in considerazione del fatto che il legislatore non ne dà direttamente una definizione e che ,nel linguaggio ordinario,spesso il termine tributo viene erroneamente fatto coincidere con
altri termini,quali imposta,tassa,contributo,termini che ,tuttavia,come avremo modo di vedere,non sono fungibili.
Quanto alle caratteristiche del tributo possiamo evidenziare quanto segue:
→ il tributo comporta il sorgere di un'obbligazione,o altra forma di decurtazione patrimoniale: esso va,in quest'ottica,tenuto distinto da altri istituti giuridici presenti nel nostro
ordinamento,quali ad esempio le espropriazioni,o l'imposizione di limiti o vincoli,istituti i quali,pur incidendo sulla sfera patrimoniale di un soggetto,comportano limitazioni o ablazioni di altro
tipo(senza contare che il fondamento costituzionale è differente: basti in merito pensare che il fondamento dell'espropriazione per pubblica utilità è ravvisabile nell'art. 42 cost. )
→ il tributo ha effetti definitivi,irreversibili: tale caratteristica vale a distinguerlo dal prestito forzoso,che,pur essendo imposto coattivamente,prevedeva,alla scadenza,un rimborso,nonchè il
versamento di interessi
→ il tributo è caratterizzato da coattività: con coattività del tributo si fa riferimento che alla base del tributo vi è sempre un atto autoritativo,che sia una legge o un provvedimento,per cui
l'ente pubblico impositore,che impone il tributo,è un ente provvisto di poteri autoritativi,allo scopo di regolare il rapporto tributario e di imporre il pagamento del tributo medesimo. Tale carattere
di coattività proprio del tributo,secondo la dottrina pubblicistica,faceva sì che quest'ultimo fosse espressione della sovranità dello Stato,distinguendolo,tra l'altro,dalle entrate di diritto privato.
→ il tributo è destinato a finanziare spese di interesse generale: con ciò si intende che il gettito dei tributi è finalizzato a realizzare il concorso dei consociati al finanziamento delle spese
pubbliche,ossia quelle spese necessarie per il funzionamento ed il mantenimento dello stato e degli enti pubblici. Dunque il gettito dei tributi non ha una destinazione specifica,anche se non
mancano i cd. Tributi di scopo,ossia dei tributi con destinazione specifica,il cui gettito è necessario per finanziare la realizzazione di determinate opere pubbliche (es. canone radiotelevisivo)
Altro aspetto cui è doveroso far breve riferimento è la finalità per cui il tributo viene istituito: come avremo poi meglio modo di vedere,un tributo può essere istituito sia per fini fiscali,ossia per
procurare un'entrata all'ente pubblico,sia per fini extra-fiscali.
Passiamo ora ad analizzare l'aspetto concernente l'importanza dell'individuazione della nozione di tributo
L'importanza della nozione di tributo ,rilevante sia da un punto di vista teorico ,sia ai fini dell'applicazione di una serie di norme ed istituti, risiede in 5 ordini di ragioni:
→ innanzitutto perchè, prima della modifica,l'art. 81co.3 Cost. Faceva riferimento al divieto di istituire nuovi tributi con la legge di approvazione del bilancio,mentre ora c'è un
più generico riferimento alle entrate
→ per via del divieto di referendum abrogativo per leggi tributarie ,previsto dall'art. 75 comma 2 Cost.
→ per il fatto che la giurisdizione tributaria,ai sensi dell'art. 2 del d.lgs. 546/1992, ha ad oggetto i tributi di ogni genere e specie.
Da ciò ne discende che la nozione di tributo rappresenta il limite esterno della giurisdizione tributaria.
Le commissioni tributarie provinciali e regionali decidono ,rispettivamente, in primo ed in secondo grado, in base a tale limite esterno rappresentato dall'esistenza di una controversia
avente ad oggetto tributi di ogni genere e specie,per cui tali commissioni non hanno competenza su fattispecie non aventi natura tributaria.
La competenza delle commissioni è presenta anche dei limiti cd. Interni,rappresentati dall'esistenza di un atto impugnabile presente all'interno di un elenco(da interpretarsi tuttavia in senso
tassativo),di cui all'art. 19 del d.lgs 546/1992. . Dunque, l'amministrazione finanziaria, ha esternato la propria pretesa attraverso uno degli atti indicati dal citato art. 19 ,oppure attraverso un
atto che incorpori una pretesa tributaria,come,ad esempio, gli atti di accertamento ,gli atti di revoca,di agevolazione fiscale,di condono,di classamento catastale o di diniego al rimborso di
tributi
→ ai fini della distinzione dalla nozione di prestazione patrimoniale imposta: dunque essa è importante per individuare ,all'interno del cerchio maggiore,del genus, rappresentato
dalla nozione di prestazione patrimoniale imposta ,quel cerchio minore e interno,o species, rappresentato dall'area dei tributi.
Da ciò ne discende che l'individuazione della nozione di tributo è necessaria anche per individuare a quali prestazioni patrimoniali imposte sia da applicare il principio della
capacità contributiva di cui all'art. 53 Cost.,in considerazione del fatto che , solamente alle prestazioni patrimoniali imposte aventi natura tributaria, si applica il principio di cui
all'art. 53 Cost..
In merito all'applicabilità del principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost. Alle prestazioni patrimoniali imposte aventi natura tributaria ,vi è poi l'ulteriore problema posto
dall'orientamento della Corte Costituzionale ,secondo il quale alle prestazioni patrimoniali imposte aventi natura tributaria, ma non aventi natura di imposte,bensì di tasse o di
contributi , non si applicherebbe il principio di ripartizione delle spese pubbliche di cui all'art. 53 Cost,bensì il diverso principio della corrispettività o del beneficio
→ è rilevante ai fini dell'applicazione di convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi. È opportuno osservare che le convenzioni internazionali contro le
doppie imposizioni si applicano soltanto ad alcuni i tributi, non a tutti i tributi. Come detto, operare una distinzione all'interno della nozione di tributo è importante altresì ai fini
dell'applicazione delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni,le quali sono convenzioni ,stipulate tra gli Stati ,per evitare le doppie imposizioni sul reddito ,o per evitare che
vi sia un vuoto della tassazione ,in relazione alle fattispecie con elementi sovranazionali.

-CASSAZIONE SULLA NOZIONE DI PREST. PATRIMONIALE IMPOSTA AVENTE NATURA TRIBUTARIA:


La Corte di Cassazione si è pronunciata più volte sui caratteri essenziali affinchè l'interprete possa individuare la presenza di una prestazione patrimoniale imposta avente natura
tributaria (le prestazioni patrimoniali imposte aventi natura tributaria sono quelle che sono finalizzate a sovvenzionare le spese pubbliche ex art. 53 Cost.)ed ,in particolare ,secondo una
recente sentenza a Sezioni Unite,ossia la sent. SS.UU. 25515/2016,affinchè una prestazione patrimoniale imposta abbia natura tributaria,debbono ricorrere le seguenti caratteristiche:
→ la prestazione deve essere doverosa,ma questo discende ormai dalla definizione di cui all'art. 23 Cost.
→ vi deve essere la mancanza di un rapporto di tipo sinallagmatico tra le parti. Ciò comporta che, anche nel caso in cui vi sia un assetto di tipo commutativo,le due prestazioni non
devono essere legate da un sinallagma in senso stretto ,potendovi soltanto essere,tra le stesse, un nesso di correlazione.
→ la prestazione imposta coattivamente deve realizzare una decurtazione del patrimonio del soggetto tenuto alla prestazione: dunque la prestazione deve essere imposta e deve
andare ad incidere la consistenza della sfera patrimoniale del soggetto. Inoltre,tale prestazione deve essere collegata al presupposto ,che sia comunque espressivo di forze
economiche e dunque espressivo di attitudine a contribuire alle pubbliche spese. Tale caratteristica è stata definita anche sulla base di diverse sentenze della Corte Costituzionale.
→ rileva altresì che non deve esservi discrezionalità ,da parte della P.A.,circa l'individuazione della fattispecie concreta,dei soggetti obbligati al pagamento del tributo e circa
la ricorrenza dei presupposti oggettivi ,in presenza dei quali nasce l'obbligo al pagamento del tributo. Non deve esservi discrezionalità della P.A. Nemmeno riguardo la
determinazione del quantum dovuto.
In sintesi,i profili ,ritenuti rilevanti dalla Cassazione e dalla Corte costituzionale ,affinchè vi sia un tributo sono: l'esistenza di una prestazione cui il contribuente non si possa
sottrarre,l'inesistenza di un rapporto di tipo sinallagmatico tra le prestazioni ,il collegamento della prestazione ad un presupposto economicamente rilevante , l'insussistenza di alcuna
discrezionalità ,da parte della P.A., in merito all'individuazione dei requisiti della fattispecie imponibile,dei soggetti obbligati, della determinazione del tributo da versare,sia sotto il profilo
della base imponibile che dell'aliquota applicabile.
La finalità del tributo deve essere quella di determinare il concorso alle pubbliche spese,ricordando che ,sostanzialmente, la finalità di un tributo è duplice:
→ nel senso che deve aversi prima una prestazione patrimoniale imposta e deve dunque aversi il depauperamento del patrimonio del soggetto . Tale depauperamento non
deve essere fine a se stesso ,né ,tanto meno ,avere carattere sanzionatorio,nè carattere espropriativo.
→ Deve avere la finalità di determinare il concorso alle pubbliche spese, con ciò intendendo che ,in tale prospettiva,ossia sulla base di un'interpretazione di tipo funzionale o
teleologicamente orientata, sono state escluse dalla nozione di prestazione patrimoniale imposta avente natura tributaria :
• la mancata rivalutazione delle pensioni più alte (dalla sent. Della Corte costituzionale 70/2015),poichè la mancata rivalutazione non è stata equiparata ad una decurtazione del
patrimonio del soggetto (si è trattato di un mancato guadagno e non,diversamente,di una perdita patrimoniale)
• i diritti di imbarco(secondo sent.Cass. 26181/2014),poichè non finalizzati al concorso alle pubbliche spese,bensì alla tutela della concorrenza e del mercato(finalità
ulteriori ,rispetto a quella tributaria di determinare il concorso alle pubbliche spese ,sono ammissibili ai fini del rispetto della nozione dell'integrazione della fattispecie di
tributo,ma tali finalità non devono avere carattere prevalente rispetto a quella tributaria,cioè di determinare il concorso alle pubbliche spese).

1.4- LA CLASSIFICAZIONE DEI TRIBUTI


-CLASSIFICAZIONE DEI TRIBUTI:
E' bene osservare che nel corso del tempo i tributi sono stati classificati in modi diversi.
Basti pensare che attualmente i tributi sono classificati diversamente a seconda delle rispettive scienze di appartenenza,per cui da un lato vi è la scienza delle finanze,che li classifica sulla
base della natura divisibile o indivisibile della spesa finanziata con quel determinato tributo,mentre dall'altro lato vi è il diritto tributario,insieme alle scienze giuridiche,che li classifica invece
sulla base della struttura giuridica del loro presupposto. Per essere precisi,dobbiamo dire che tale classificazione dei tributi ha perso gran parte della sua importanza,dato il venir meno di alcune
categorie di tributi (es. contributi o tributi speciali),anche se ,come vedremo, essa si rivelerà essere utile ai fini dell'applicazione del principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost. .
A seguito di quanto detto,possiamo osservare che i tributi si configurano come un genus che racchiude al suo interno diverse species,per cui i tributi possono essere distinti in:
→ imposte
→ tasse
→ addizionali e sovrimposte
→ contributi o tributi speciali
→ monopoli fiscali

-CORTE COSTITUZIONALE SULL'UNITARIETA' DELLA NOZIONE DI TRIBUTO :


La Corte costituzionale, ,adottando una teoria economica relativa alla distinzione tra prestazioni divisibili e prestazioni indivisibili,ritiene ,secondo un orientamento ormai consolidato,che le prestazioni
pubbliche aventi natura divisibile (o meglio,le spese sostenute per le prestazioni divisibili),ossia quelle prestazioni direttamente riferibili o vantaggiose per un determinato soggetto,sarebbero ripartibili tra
i consociati non già sulla base del principio della capacità contributiva di cui all'art. 53 Cost., bensì sulla base del diverso principio della corrispettività o del beneficio.
Sostanzialmente la Corte costituzionale compromette l'unità concettuale della categoria dei tributi ,ritenendo che solo alcuni di essi,cioè le imposte,sarebbero lo strumento di ripartizione
dei carichi pubblici tra i consociati relativamente ai servizi indivisibili,mentre, le spese pubbliche relative a servizi cd. Divisibili ,sarebbero ripartibili tra i consociati sulla base del principio
della corrispettività o del beneficio(quindi non sulla base della forza economica manifestata dal presupposto,bensì sulla base del principio della corrispettività o del beneficio). Ciò per sottolineare
come la Corte Costituzionale abbia ritenuto che le tasse non siano tributi.
In merito alla natura tributaria o meno delle tasse, si sono succedute ,nel tempo, teorie non coincidenti:
→ la teoria più risalente di Manzoni:secondo tale teoria, la nozione di spesa pubblica va intesa come spesa pubblica in senso oggettivo,ossia come spesa avente unità di carattere
generale. Dunque,secondo Manzoni,si deve applicare il principio di capacità contributiva anche ad ipotesi di concorso alle pubbliche spese non caratterizzate dalla coattività del prelievo.
In conclusione, secondo tale impostazione il principio di capacità contributiva si applicherebbe anche alle ipotesi di concorso alle pubbliche spese non caratterizzate dalla coattività del
prelievo.
→ deve ritenersi preferibile l'opinione di Fedele: secondo Fedele, l'art. 53 Cost. Ed il principio di capacità contributiva da esso desumibile,fornisce all'interprete gli elementi necessari
per individuare una nozione di tributo unitaria, comprensiva di tutte le figure presenti nel nostro ordinamento. Devono intendersi ricompresi,nella nozione di tributo,solamente le prestazioni
patrimoniali imposte,ossia le prestazioni aventi natura coattiva. Dunque deve intendersi come tributo,ai sensi dell'art. 53 Cost. , quella prestazione patrimoniale imposta che si qualifica per
la sua attitudine a determinare il concorso del contribuente alle pubbliche spese.
Da ciò ne discende che sono tributi tutte quelle prestazioni patrimoniali imposte,derivanti da legge o da atto avente forza di legge ex. Art. 23 Cost, idonee a determinare il concorso dei
contribuenti al sostenimento delle pubbliche spese.
Naturalmente,come abbiamo anticipato,l'aspetto più problematico è rappresentato da quei tributi che sottendono un assetto di tipo commutativo,ossia uno scambio di utilità tra due
soggetti ,o comunque lo svolgimento di una attività o di un servizio ,da parte di un soggetto ,che ridonda a beneficio e godimento di un altro soggetto.
È da ritenersi,nell'ambito della nostra interpretazione, che ,pur essendovi l'erogazione di un servizio che ridonda a beneficio di un determinato soggetto,il fatto che la disciplina del
rapporto e dell'erogazione del servizio derivi da atto dell'autorità, comporta che anche la prestazione abbia natura tributaria e che debba dunque rispondere ad un criterio di riparto tra i
consociati,criterio rappresentato dal principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost. .
Dunque ,nonostante si sia in presenza dell'erogazione di servizi cd. Divisibili,vantaggiosi ,o comunque riferibili a determinati contribuenti,nonostante la presenza della richiesta del
servizio da parte del contribuente che ne usufruirà, nonostante il fatto che il rapporto si caratterizzi per la presenza di un assetto commutativo o paracommutativo,la coercitività della
prestazione e della disciplina del rapporto impone che, nella ripartizione dei carichi pubblici, si faccia comunque riferimento al principio di capacità contributiva,il quale costituirebbe il
fondamento della ripartizione delle spese pubbliche ,anche laddove si sia in presenza di servizi cd. Divisibili.

1.4.1- LE IMPOSTE
-IMPOSTA:
L'imposta è il tributo principale e si configura come quel tributo dovuto sulla base di un presupposto ,ossia un fatto , un atto o un'attività, che esclude qualsiasi riferimento specifico ad
un'attività svolta dall'ente pubblico e da cui tale soggetto possa derivare un vantaggio suscettibile o meno di valutazione economica.
Per essere più precisi possiamo definire l'imposta come una prestazione coattiva dovuta ad un ente pubblico in base ad un presupposto di fatto che esclude qualunque relazione specifica
con l'attività dell'ente pubblico riferita al soggetto o da cui questo soggetto possa derivare un qualsivoglia vantaggio. Con ciò si intende dire che non vi è alcun collegamento giuridicamente
rilevante tra l'imposizione di questa determinata figura di tributo con la fruizione di un servizio pubblico da parte del contribuente obbligato,mancando quindi un rapporto di prestazione e contro-
prestazione.
Possiamo altresì osservare come nella definizione dell'imposta vengano alla luce delle caratteristiche diverse a seconda della scienza considerata,per cui:
→ Dal punto di vista delle teorie giuridiche,l'imposta è dunque un tributo fondato ,dovuto, sulla base della realizzazione di un presupposto che non contiene alcun riferimento
giuridicamente rilevante ad un'attività svolta dall'ente pubblico e che ridondi a beneficio o a vantaggio del contribuente inciso dal tributo.
→ secondo la linea interpretativa degli economisti classici e dunque sulla base della loro distinzione tra servizi divisibili ed indivisibili,l'imposta è il tributo tipicamente dovuto a
fronte dell'erogazione di servizi cd. Indivisibili,i quali quindi ridondano a beneficio dell'intera collettività,ma che non hanno alcun riferimento specifico con il soggetto inciso dal tributo(es.
Servizio di ordine pubblico e servizio sanitario,di istruzione di ogni ordine e grado). Non a caso si dice che l'imposta,dal punto di vista economico,si fonda sul principio del sacrificio (si
misura l'entità del sacrificio che si ritiene equo addossare ad un singolo contribuente) e non sul principio del beneficio (che misura quanto vantaggio trae il soggetto dalla fruizione del
servizio pubblico).
Proprio per quanto sopra esposto, l'imposta viene definita come il tributo acausale per eccellenza ed,in quest'ottica,essa rappresenta la manifestazione più ampia e pervasiva del potere di
supremazia,del potere coercitivo dello Stato sul contribuente.In tal ottica sovra esposta, l'imposta,in quanto massima espressione del potere di supremazia dello Stato sul contribuente, trova
limiti solamente:
→ nel principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost,in virtù del quale situazioni eguali devono essere trattate in maniera eguale e situazioni differenti devono essere trattate in maniera
differente tra loro
→ nel principio della riserva di legge relativa ex art. 23 Cost.
→ nel principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost.
→ eventualmente,in altre norme costituzionali e principi a queste ultime sottesi,nonchè in norme sovranazionali
Dunque, sulla base della definizione che abbiamo dato dell'imposta come tributo acausale per eccellenza,come tributo dovuto sulla base di un presupposto che non contiene un
collegamento giuridicamente rilevante con attività svolte dall'ente pubblico, possiamo ritenere che non vi è alcun collegamento tra il gettito derivante dall'imposta e le spese pubbliche
che con tale gettito vengono finanziate.
Questo è l'ambito dei principi della universalità del bilancio e dell'unitarietà della cassa. Da ciò se ne deduce che il gettito derivante dal versamento di imposte affluisce unitariamente nel bilancio
dello stato e che da tale massa lo stato deriva le fonti necessarie a finanziare la spesa pubblica indistintamente considerata,anche se è bene sottolineare che non vi è alcun collegamento specifico tra il
gettito dell'imposta e l'erogazione di determinati servizi,con ciò intendendo che quindi non vi è un collegamento giuridicamente rilevante tra il versamento dell'imposta e l'utilizzazione del gettito,
derivante da tale imposta, ai fini,ad esempio, del finanziamento della spesa pubblica per servizi sanitari.
Con riguardo alle finalità dell'imposta,possiamo osservare che essa risponde certamente alla finalità tributaria del concorso dei consociati alle pubbliche spese,anche se non è da
escludersi che l'introduzione dell'imposta possa anche avere finalità extra-tributarie,purchè non prevalenti sulla finalità tributaria .
Per fare un'esempio, l'imposta può avere anche finalità diverse da quelle tributarie,come la tutela del patrimonio storico ed artistico della nazione,la tutela della salute e dell'ambiente: queste
finalità,costituzionalmente legittime, possono essere dunque presenti,tuttavia non devono essere prevalenti rispetto alla finalità tributaria di determinazione del concorso alle pubbliche spese.
-FISCALIZZAZIONE DEGLI ONERI SOCIALI:
Avete talvolta sentito parlare di fiscalizzazione degli oneri sociali,o di fiscalizzazione tout court. Si utilizza questo termine quando si vuole richiamare l'utilizzazione,la finalizzazione
della leva fiscale attraverso l'introduzione di imposte al raggiungimento di determinate finalità costituzionalmente legittime,come, ad esempio l'utilizzazione delle imposte per
ripianare il bilancio di enti pubblici,di enti locali nello specifico, i quali invece ordinariamente si finanziano attraverso tributi commutativi o paracommutativi ,come le tasse ed i
contributi,oppure con tariffe e corrispettivi che hanno natura ,diversamente, di prezzo privato.

-CLASSIFICAZIONI DELLE IMPOSTE:


Posta questa prima premessa di carattere generale e dunque definite le imposte come i tributi acausali per eccellenza,per il fatto di esser dovuti sulla base sì di un presupposto espressivo di
ricchezza (e quindi di attitudine alla contribuzione),ma privo di qualsivoglia riferimento allo svolgimento di un determinato servizio da parte dell'ente pubblico, siamo soliti distinguere le
imposte in varie categorie.
Rileva innanzitutto la distinzione tra imposte dirette e imposte indirette:
→ LE IMPOSTE DIRETTE : sono le imposte più importanti nel nostro sistema fiscale.
Un'imposta è diretta quando come presupposto ha dei fatti immediatamente rappresentativi di capacità economica . Le imposte dirette hanno ad oggetto il reddito,ossia il
guadagno conseguito nell'arco di un determinato periodo di tempo,oppure il patrimonio,ossia l'insieme dei beni rientranti nella sfera patrimoniale di un soggetto in un
determinato momento temporale.
Dunque le imposte dirette sono imposte che colpiscono direttamente,immediatamente, la forza economica,cioè la capacità contributiva del soggetto passivo. Ulteriore caratteristica delle
imposte dirette è che sono prelevate dalla stessa entità economica che costituisce la base imponibile del tributo, e quindi dai redditi o dal patrimonio.
Nel nostro ordinamento sono imposte dirette le imposte sui redditi delle persone fisiche e delle persone giuridiche ,quali l'IRPEF,ossia l'imposta sul reddito delle persone
fisiche,l'IRES,ossia l'imposta sul reddito delle società,o ancora l'IRAP,ossia l'imposta regionale sulle attività produttive.
Le imposte sui redditi colpiscono immediatamente la forza economica e quindi la capacità contributiva del soggetto passivo perchè sono prelevate dal reddito ,il quale, misurato in una
certa misura prevista dalla legge, costituisce la base imponibile dell'imposta. Una certa quantità di reddito posseduto dal soggetto nel periodo d'imposta costituisce la base imponibile alla
quale si applica l'aliquota d'imposta,determinando quindi il debito rilevante ai fini dell'assolvimento dell'onere tributario relativo al versamento di imposte.
Di conseguenza,laddove un soggetto,come ad esempio un avvocato,abbia al termine del periodo di imposta in corso un reddito di 100 000 euro,considerando un'aliquota applicabile del
30%,il debito d'imposta sarebbe di 30 000 euro. L'imposta sui redditi si applica direttamente sull'entità che costituisce la base imponibile,in questo caso il reddito derivante dall'attività
professionale.
→ LE IMPOSTE INDIRETTE: le imposte indirette non colpiscono direttamente il reddito o il patrimonio,non colpiscono quindi direttamente il reddito derivante dallo svolgimento di
un'attività,o di un'arte o di una professione ,nè colpiscono direttamente il patrimonio posseduto dal soggetto,come ad esempio un bene immobile,o meglio, il reddito derivante dal possesso
di un bene immobile.
Le imposte indirette si caratterizzano per il fatto di colpire sintomi indiretti di ricchezza,sintomi indiretti che tradizionalmente sono rappresentati dai trasferimenti,dai
consumi e dalla produzione.
Quando un soggetto consuma beni o servizi rivela di essere in possesso di mezzi economici,ma il consumo non è,immediatamente,ricchezza.
Imposte indirette nel nostro ordinamento sono l'IVA,ossia l'imposta sul valore aggiunto,altre imposte sui consumi,le imposte di fabbricazione ,le imposte sui trasferimenti di
patrimonio.
Per fare un esempio.Tutti avete avuto probabilmente a che fare con l'imposta di registro: quando cedo un bene immobile dovrò applicare e versare l'imposta di registro relativa. In questo
caso il presupposto dell'imposta indiretta di registro è rappresentata da un indice indiretto di ricchezza,in questo caso la traslazione di un bene immobile(in questo caso il trasferimento è
assunto dal legislatore come presupposto di ricchezza,quale presupposto imponibile espressivo di capacità contributiva e dunque assoggettato ad imposizione. Funzionano nella stessa
maniera altri sintomi indiretti di ricchezza,come il consumo e la produzione. Anche la produzione di un determinato bene o il consumo di un determinato bene può essere assunto dal
legislatore a presupposto dell'imposizione.
Per quanto riguarda le differenze tra imposte dirette e imposte indirette possiamo dire quanto segue:
1) La prima differenza tra imposte dirette ed imposte indirette risiede nel fatto che,nel caso delle imposte indirette, non viene colpita direttamente l'entità economica che
costituisce la base imponibile,non si colpisce direttamente la ricchezza che si intende assoggettare ad imposizione ,come invece avviene nel caso delle imposte dirette (un
avvocato che al termine del periodo di imposta ha un reddito di 100 000 euro ed è proprio su questa base che viene applicata l'imposta)(nel caso della cessione di un bene immobile,ai fini
dell'imposta di registro, viene assoggettato ad imposizione il trasferimento dell'immobile,considerato come indice indiretto di ricchezza).
La peculiarità risiede nel fatto che le imposte indirette consentono di colpire selettivamente la ricchezza,nel senso di colpire ulteriormente le diverse manifestazioni di capacità contributiva.
Ad esempio,nel caso della cessione di immobile,nel caso in cui la cessione sia rilevante ai fini delle imposte dirette,nel caso in cui il soggetto avrà comprato l'immobile a 50 e lo rivenda a
100,sarà assoggettato eventualmente ad imposizione per la plusvalenza realizzata pari a 50; ho comprato a 50 e rivendo a 100,quindi ho conseguito un guadagno di 50 che verrà
assoggettato ad imposizione ai fini delle imposte dirette; ma il trasferimento in quanto sintomo indiretto di ricchezza viene altresì assoggettato ad imposizione ai fini dell'imposta di registro e
poi eventualmente saranno applicate anche le imposte ipotecarie e catastali. Quindi le imposte indirette servono per colpire ulteriormente la ricchezza,o meglio, per colpire gli impieghi della
ricchezza posseduta e già eventualmente assoggettata ad imposizione. Quindi le imposte indirette possono essere utilizzate in maniera più selettiva per orientare il comportamento dei
contribuenti. Mentre le imposte sul reddito gravano indistintamente su tutto il patrimonio,su tutta la ricchezza posseduta dal contribuente al termine del periodo di imposta,con le imposte
indirette si possono colpire in maniera più selettiva gli impieghi della ricchezza posseduta,prodotta o accumulata. Quindi posso andare a colpire l'acquisto di carburante,il consumo di
sigarette,l'acquisto di beni di lusso.
Le imposte indirette sono utili e sono sovente utilizzate dal legislatore in quanto forme selettive di tassazione della ricchezza per orientare il comportamento dei contribuenti
incoraggiando certi impieghi della ricchezza e scoraggiandone altri. Per fare un ulteriore esempio,si può fare riferimento agli incentivi per l'acquisto di auto elettriche,anche qui vi sono
delle agevolazioni indirette che agevolano appunto,facilitano l'acquisto di autovetture elettriche e quindi consentono di perseguire anche finalità extra-tributarie.
2)Altra differenza importante tra imposte dirette ed imposte indirette sta nel fatto che nelle imposte dirette è normale l'applicazione della ritenuta da parte del soggetto che
eroga il reddito.
Ad esempio,nel caso in cui vi sia un lavoratore dipendente che percepisce lo stipendio,l'imprenditore che eroga il reddito ,che corrisponde lo stipendio al contribuente, nel momento della
corresponsione dello stipendio, ne trattiene una parte e la versa all'erario,svolgendo la sua attività di sostituto di imposta,attraverso lo strumento appunto della ritenuta,di cui parleremo in
seguito; nelle imposte indirette come l'imposta di registro invece è lo stesso soggetto che realizza il presupposto a dover provvedere al pagamento,ad esempio fornendo al notaio rogante
la provvista necessaria all'assolvimento dell'imposta. Quindi nelle imposte indirette come l'imposta di registro ,cedo un immobile e l'imposta di registro la dovrà normalmente versare il
notaio rogante , ma mediante una provvista che avrò trasferito, per cui il soggetto che ha realizzato il presupposto al notaio che andrà a rogare l'atto rilevante.
3)Ulteriore differenza tra imposte dirette ed imposte indirette è rappresentata dalla circostanza per cui nelle imposte dirette non sono previsti meccanismi giuridicamente
rilevanti di traslazione del tributo e quindi non sono previsti meccanismi che consentano di trasferire il peso del tributo ad altro soggetto.
Dunque non sono previsti meccanismi attraverso i quali,ad esempio,io compro un immobile a 50,lo rivendo dopo anni a 100, realizzando una plusvalenza di 50 che sarà assoggettata ad
imposta diretta e non vi è un meccanismo che mi consente giuridicamente di trasferire il peso dell'imposta,rappresentato dall'aliquota marginale che graverà sulla plusvalenza di 50
realizzata, al soggetto acquirente,anche se poi,come vedremo,sarà invece consentito economicamente trasferire il peso dell'imposta aumentando semplicemente il corrispettivo (invece di
vendere a 100 l'immobile,lo vendo a 115 ,perchè così faccio pagare all'acquirente economicamente quell'imposta che dovrò io andare a versare sulla plusvalenza realizzata.
Non sono previsti meccanismi giuridicamente rilevanti di traslazione del tributo,i quali sono invece previsti normalmente nelle imposte indirette,come ad esempio,laddove
rappresentato dall'iva,il soggetto imprenditore che acquisisce un bene o un servizio paga l'imposta sul valore aggiunto quando compra il bene o servizio e nel momento in cui rivende il
bene o servizio al privato applicherà l'iva sul corrispettivo,essendovi quindi la rivalsa dell'iva dal dante causa all'avente causa ; questo è un tipo di rivalsa giuridicamente prevista e
rilevante,mentre in altri casi la rivalsa sussiste invece sotto forma di traslazione economica,come nelle imposte di bollo e di registro.
4)Ulteriore differenza sta nel fatto che le imposte dirette sono normalmente periodiche ,mentre le imposte indirette sono dovute per fatti normalmente istantanei e non hanno
normalmente carattere periodico.
Per fare un esempio: le imposte sui redditi si assolvono anno per anno,quindi normalmente ogni anno corrisponde ad un distinto periodo d'imposta ed ad ogni periodo d'imposta,ai fini delle
imposte dirette,corrisponde un'autonoma obbligazione tributaria; viceversa le imposte indirette sono imposte,dovute per fatto istantaneo (cedo l'immobile,conferisco un'azienda in
società,cedo delle partecipazioni,produco o consumo un determinato bene).
5)Infine rileva la differenza per cui nelle imposte indirette è altresì rilevante il fenomeno della coobbligazione: quindi nel caso della cessione dell'immobile relativamente all'imposta
di registro,cedente e cessionario sono coobbligati ,così come è coobbligato anche il notaio rogante.
Le imposte possono essere ulteriormente distinte in:
→ IMPOSTE PERSONALI: le imposte personali sono quelle imposte che,nella loro determinazione, tengono conto di elementi che riguardano il contribuente,con ciò intendendo
che le stesse colpiscono la ricchezza tenendo conto delle condizioni personali e familiari del soggetto cui appartengono. Si tratta dunque di quelle imposte in cui si attribuisce
rilevanza all'indice di ricchezza non isolatamente considerato,ossia,nel caso di specie,al possesso di un reddito al termine del periodo d'imposta,ma si attribuisce rilevanza anche ad una
serie di altre circostanze che normalmente attengono alla persona del contribuente,alle sue condizioni familiari e sociali .
Per fare un esempio possiamo dire che nel caso di imposte dirette di natura personale si attribuisce rilevanza,nel senso della rilevanza ai fini della diminuzione della base imponibile o
dell'imposta,anche alle spese mediche,aelle spese sostenute per l'istruzione,alle spese sostenute per la famiglia. Quindi si attribuisce rilevanza non soltanto all'indice di ricchezza
isolatamente considerato ma anche ad una serie di altri fattori che attengono alla sfera personale o familiare del contribuente. Dunque,per fare un esempio, a parità di reddito
posseduto,due avvocati che hanno un reddito di 100000 euro al termine del periodo d'imposta,il carico tributario potrà essere modulato diversamente in relazione all'attribuzione di
rilevanza da parte dell'ordinamento anche ad una serie di spese che attengono alla sua sfera personale o familiare.
È bene fare attenzione al fatto che,sebbene le imposte personali siano per lo più imposte dirette ,possono avere natura personale altresì le imposte indirette, con la
conseguenza che la distinzione tra imposte aventi natura personale ed imposte aventi natura reale non corrisponde alla distinzione tra imposte dirette ed imposte indirette.
Ciò in virtù del fatto che vi sono imposte indirette,es. Imposta sulla successione,che hanno natura personale (si consideri che viene attribuita rilevanza alla qualità del soggetto passivo ed
ai rapporti di parentela tra i diversi successori). Quindi anche l'imposta sulle successioni,pur essendo un'imposta indiretta,attribuisce rilevanza alle qualità personali e familiari del soggetto.
È bene altresì evidenziare che le imposte personali sono normalmente fondate sul criterio personale della residenza,mentre le imposte sui redditi (le dirette) colpiscono tutti i
soggetti ,residenti e non, nel territorio dello Stato.
I soggetti residenti nel territorio dello Stato,ai fini delle imposte dirette, sono assoggettati a tassazione in base al principio della tassazione dell'utile mondiale,in relazione del reddito
prodotto ovunque nel mondo. Quindi nell'ambito delle imposte dirette sui redditi si applica il criterio personale della residenza e quindi è assoggettato a tassazione il soggetto che risiede nel
territorio dello Stato, in relazione ai redditi posseduti ,dal soggetto residente ,in qualunque paese del mondo.
→ IMPOSTE REALI: le imposte reali sono quelle imposte che non attribuiscono rilevanza alle condizioni familiari e personali del soggetto e che considerano invece gli indici
di ricchezza autonomamente ,isolatamente e dunque prescindendo dal fatto che affluiscano o meno nella sfera di disponibilità di quel soggetto,o dal fatto che che quel
soggetto abbia o meno una determinata rete di rapporti familiari e sociali.
Quindi nelle imposte reali non si attribuisce rilevanza ,ad esempio, alle spese prodotte per la tutela della salute.
Le imposte reali si caratterizzano anche per il criterio della territorialità,tassazione del solo reddito prodotto nel territorio dello Stato.
Anche con le imposte reali,così come con le imposte indirette,si può attuare una discriminazione qualitativa dei redditi,assoggettando ad un'ulteriore imposizione i redditi non
guadagnati,rispetto a quelli cd. Guadagnati oppure derivanti dall'esercizio di una attività.
Ancora, a seconda che la fattispecie dell'imposta sia costituita da un fatto istantaneo o da un fatto di durata,possiamo distinguere ancora tra imposte istantanee ed imposte periodiche:
→ IMPOSTE ISTANTANEE: le imposte istantanee sono quelle imposte che hanno per presupposti fatti istantanei. Per ogni singolo avvenimento che ne forma il
presupposto,sorge una distinta e unica obbligazione,sicchè la ripetizione del medesimo fatto dà origine ad una nuova obbligazione. Esempi di imposte istantanee sono l'imposta
di registro,che tassa gli atti giuridici, e l'imposta sulle successioni.
→ IMPOSTE PERIODICHE: sono imposte periodiche quelle imposte che hanno come presupposto una fattispecie che si prolunga nel tempo,per cui assume rilievo una serie di
fatti che si collocano in un dato arco temporale,detto periodo d'imposta. È bene osservare che in merito alle imposte periodiche lo Statuto dei diritti del contribuente ,ossia la L.
212/2000, all'art.3 dispone che le modifiche della disciplina delle imposte periodiche si applicano soltanto a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in
vigore delle disposizioni che le prevedono.
Esempio di imposta periodica è l'imposta sul valore aggiunto,ossia l'IVA,la quale deve essere liquidata su base annuale.
Le imposte,sulla base della loro concreta conformazione,vengono distinte altresì in imposte fisse,graduali ,progressive, proporzionali e regressive:
→ IMPOSTA FISSA: l'imposta fissa si caratterizza per il fatto che il suo importo viene stabilito in misura fissa semplicemente per il realizzarsi di un determinato
presupposto,risultando dunque svincolata,nell'ammontare, dal valore dell'operazione posta in essere dal contribuente e da qualsivoglia altra manifestazione di forza
economica. Esempio di imposta fissa si ha con l'imposta fissa di registro,quando,ad esempio, è previsto che in relazione alla realizzazione di un determinato presupposto,come la
cessione di un'immobile,o comunque alla realizzazione di un presupposto rilevante ai fini dell'applicazione dell'imposta di registro,viene prevista l'applicazione di un'imposta fissa di registro
di 250 euro. Prescindendo dunque dal valore economico dell'operazione si applica un'imposta fissa.
→ IMPOSTA PROPORZIONALE: un'imposta è invece proporzionale quando presenta un tasso,un'aliquota fissa,che non cambia con il mutamento della base imponibile.
Essendo l'aliquota in questo caso invariabile (in percentuale),tanto più crescerà la base imponibile,tanto crescerà allora,in proporzione, l'imposta.
Ad esempio l'imposta sui redditi delle persone giuridiche,si applica un'aliquota proporzionale. Aliquota proporzionale che può ad esempio essere del 25%,la quale naturalmente determina
un debito tributario proporzionato alla base imponibile sulla quale applicare l'aliquota proporzionale prevista. Tutti pagano il 25%,ma ovviamente il debito d'imposta dipenderà dall'entità
della base imponibile sulla quale applicare l'aliquota proporzionale prevista.
È bene osservare a tal proposito che nel nostro ordinamento vi sono imposte con aliquote fisse,quali l'imposta di registro e l'imposta sul valore aggiunto.
In merito va infine osservato che costituirebbe un'imposta proporzionale la cd. Flat tax o tassa piatta,che consisterebbe in un tributo sul reddito delle persone fisiche con aliquota fissa.
Essendo il sistema tributario orientato al criterio di progressività ex art. 53 comma 2 Cost, la flat tax potrebbe benissimo essere resa progressiva prevedendo un minimo esente e un
sistema di detrazioni e deduzioni
→ IMPOSTA PROGRESSIVA: con imposta progressiva si fa riferimento a quell'imposta che aumenta più che proporzionalmente con l'aumentare della base imponibile,con ciò
intendendo che con l'aumentare della base imponibile,aumenta ,più che proporzionalmente,anche l'aliquota.
Vi è una progressività per classi (basti pensare che il reddito è diviso in classi e ad ogni classe è riferita un'aliquota; l'aliquota più alta si applica all'intero reddito. Il difetto di questo
sistema è che i redditi di una classe possono diventare,al netto dell'imposta,minori dei redditi della classe inferiore),una progressività per scaglioni(si tratta del metodo più diffuso per
applicare la progressività,per cui la base imponibile viene suddivisa in porzioni e ad ogni porzione si applica una diversa aliquota,crescente),una progressività continua (la progressività
continua colpisce l'imponibile con un'aliquota che cresce con il crescere del reddito; era il sistema adottato per l'imposta complementare progressiva sul reddito) ed una progressività per
detrazioni( la progressività mediante detrazioni è realizzata prevedendo abbattimenti dell'imponibile,esenzione del minimo vitale ,deduzioni dal reddito e detrazioni dall'imposta)
Il nostro sistema,per quanto riguarda le imposte sui redditi delle persone fisiche,ossia l'IRPEF,adotta la progressività per scaglioni e dunque è strutturato con scaglioni ad
aliquota progressiva . Di qui è previsto,ai fini delle imposte sui redditi delle persone fisiche, che,fatto salvo il minimo vitale(cioè una fascia di reddito talmente bassa che è appena
sufficiente per consentire all'individuo di svolgere le sue funzioni vitali minime,per assicurare un'esistenza libera e dignitosa e che è esente dall'imposizione),per i livelli di reddito superiore è
prevista la classificazione,l'inquadramento dei redditi all'interno di scaglioni di reddito che presentano aliquote crescenti. Ad esempio da 10000 a 30000 di reddito si applica aliquota del
20%,mentre da 30000 fino a 100000 euro di reddito si applica l'aliquota del 50%. Ciò significa che l'aliquota è crescente ,ma per scaglioni. All'interno del singolo scaglione di reddito si
applica un'aliquota che è proporzionale (del 30%,del 50%),ma le aliquote tra loro sono progressive e quindi aumentano in misura più che proporzionale rispetto all'aumentare del reddito.
Da ciò si deduce che se un soggetto ha un reddito che scavalla nello scaglione successivo,quella parte di reddito compresa nello scaglione successivo sarà assoggettata ad un'aliquota
crescente.
→ IMPOSTA REGRESSIVA: si ha qui il fenomeno opposto rispetto a quello appena osservato nelle imposte progressive . Le imposte sono regressive quando l'aliquota diminuisce
con l'aumentare della base imponibile (da non confondere con le cd. Imposte graduali,in cui la base imponibile è divisa in più gradi,a ciascuno dei quali corrisponde una
determinata aliquota).Tale nozione di imposta regressiva,come vedremo, è rilevante, perchè l'art. 53 comma 2 Cost. Prevede che il sistema tributario italiano è informato a criteri di
progressività ,per cui il sistema dovrebbe essere tendenzialmente caratterizzato dalla progressività: all'aumentare della forza economica e dunque dell'attitudine alla contribuzione,il
prelievo dovrebbe aumentare in misura più che proporzionale. Questo,come vedremo, serve anche per consentire politiche di redistribuzione del reddito tra i consociati: chi ha una
maggiore capacità contributiva deve contribuire alle pubbliche spese in misura più che proporzionale rispetto agli altri consociati ,al fine di consentire anche ai meno abbienti di usufruire dei
servizi pubblici essenziali. Tutto ciò potrebbe consentire ai meno abbienti di raggiungere quelle posizioni di equilibrio tra i consociati che sono necessarie per assicurare lo sviluppo della
persona umana e della società nel suo complesso.

1.4.2- GLI ALTRI TRIBUTI


-TASSA:
La tassa si configura come quel tributo avente come presupposto un atto o un'attività pubblica,ossia,rispettivamente, l'emanazione di un provvedimento o lo svolgimento di un servizio
pubblico,specificatamente riguardanti un determinato soggetto. In breve,possiamo dire che la tassa è il tributo riscosso in collegamento con la fruizione di un servizio da parte del
soggetto obbligato. Essa ,dal punto di vista della rilevanza,rappresenta il secondo tributo nel nostro ordinamento,avendo infatti i contributi ed i monopoli fiscali,come vedremo,una rilevanza residuale o
comunque minore.
A differenza dell'imposta,che si configura,come detto,quale tributo acausale per eccellenza,fondato dunque sulla realizzazione di un presupposto che non contiene riferimento alcuno allo svolgimento di
un'attività da parte dello Stato o dell'ente pubblico impositore,la tassa si caratterizza invece:
→ per la rilevanza che ,all'interno del presupposto, assume lo svolgimento di un'attività o di un servizio da parte della P.A.
→ per il fatto che l'attività o il servizio svolto dalla P.A. Ridonda a beneficio del contribuente o comunque è a quest'ultimo direttamente riferibile: le tasse sono pagate per
ottenere servizi pubblici riferibili ad un singolo utente e chiamati servizi divisibili. I servizi divisibili consistono in servizi di per sé frazionabili e rispetto ai quali si ritiene legittimo imporne il
costo a chi ne fruisce . Basti in merito pensare al pagamento delle tasse universitarie,o ,ancora,ai ticket sanitari.
→ per la circostanza che solitamente la tassa presuppone una richiesta del servizio da parte del contribuente medesimo:Talvolta,come nella tassa dovuta per i procedimenti
penali,manca la richiesta del servizio da parte del contribuente,ma, comunque, l'erogazione del servizio c'è,per cui la tassa rimane comunque dovuta. Di particolare rilevanza è un esempio.
Proprio in relazione ai processi,la Corte Costituzionale e la Cassazione sono intervenute sulla natura del contributo unificato,dovuto per l'instaurazione di un procedimento
giudiziale. È stata da loro rilevata la natura tributaria del contributo unificato,contributo che è dovuto per l'erogazione di un servizio . Gli organi giudiziari italiani sono intervenuti anche sulla
natura del raddoppio del contributo unificato,dovuto dal soggetto che ha instaurato un giudizio ,o che ha comunque partecipato ,nel caso in cui il ricorso,o comunque l'impugnazione, sia
dichiarata inammissibile,improcedibile,o comunque rigettata integralmente. In questo caso infatti il contributo unificato è dovuto in misura doppia,per cui la Corte Costituzionale ha
affermato la natura sanzionatoria del raddoppio del contributo unificato ,con la conseguenza di generare delicati problemi sul punto dell'individuazione della riserva di legge applicabile,dal
momento che,laddove il contributo unificato sia dovuto nella misura ordinaria, si tratta di un tributo qualificabile come tassa e quindi soggetto alla riserva di legge relativa di cui all'art. 23
Cost.,mentre, laddove il contributo sia dovuto in misura doppia ed abbia dunque natura sanzionatoria,almeno per la parte relativa alla natura del contributo unificato,dovuto per le ipotesi in
cui l'impugnante sia integralmente soccombente,sarebbe soggetto alla riserva assoluta di legge di cui all'art. 25 Cost.
Nello studio della tassa,come in generale dei tributi,si sono combinate varie teorie,fondate sulla ripartizione o distinzione dei tributi sulla base della natura del presupposto,sulla natura del
servizio divisibile o indivisibile erogato dalla P.A. . L'aspetto più complicato qui è rappresentato dall'individuazione della natura tributaria nell'ambito di una fattispecie,quale la tassa, in cui
vi è l'erogazione di un servizio da parte della P.A. su richiesta del contribuente.
Il primo problema da porsi in merito alla tassa è se rileva o meno la volontà del contribuente e dunque se, in taluni casi, ci si trovi in presenza di fattispecie aventi natura non tributaria,bensì
negoziale. Ciò in ragione del fatto che la tassa viene considerata come un istituto di confine,essendo prossima,da un lato,ai proventi di diritto pubblico di natura non tributaria,mentre,dall'altro lato,ai
corrispettivi di diritto privato.
Per fare un esempio, nella fattispecie sovraesposta,rappresentata dalla tassa di iscrizione universitaria,ci si potrebbe porre la domanda se rilevi o meno la richiesta di iscrizione e quindi del servizio e
se,di conseguenza, l'attribuzione di rilevanza a tale richiesta comporti l'individuazione di una fattispecie negoziale,con tutte le conseguenze che derivano in punto di non applicazione della riserva di
legge di cui all'art. 23 Cost.
In realtà l'obbligazione non è negoziale,nel caso delle tasse: l'obbligazione non nasce dalla richiesta del servizio da parte del privato e dunque non nasce dalla volontà del privato che richiede il
servizio. L'obbligazione ,in realtà, scaturisce dalla legge,che ricollega alla realizzazione del presupposto,e quindi alla richiesta del servizio, la nascita di un'obbligazione, un'obbligazione tributaria al
versamento del tributo. Dunque ,in tale prospettiva,la richiesta del servizio rileva come mero fatto giuridico,al realizzarsi del quale ex lege viene ricollegata la nascita dell'obbligazione al versamento del
tributo.
Da quanto sopra esposto possiamo certamente affermare quanto segue:
→ dalla tassa non discende un'obbligazione di tipo negoziale,con base contrattuale,quanto piuttosto un'obbligazione legale,sicchè la tassa è una prestazione imposta
coattivamente
→ nella tassa non vi è alcun rapporto sinallagmatico o di corrispettività tra il servizio svolto dall'ente pubblico impositore e la prestazione pecuniaria dovuta dal
contribuente,essendovi tasse ,correlate ad un servizio pubblico,che sono dovute anche nei casi in cui il servizio non venga concretamente utilizzato dal contribuente inciso
dal tributo. Basti in merito pensare alla TARI,ossia alla tassa sulla raccolta dei rifiuti.
Sulla natura della tassa vi sono stati diversi orientamenti in dottrina:
→ secondo la dottrina dominante, la tassa è un tributo che si caratterizza per il fatto di essere fondato sull'attribuzione di rilevanza ad un presupposto che include lo
svolgimento di un'attività o di un servizio da parte della P.A ., un servizio riferibile,o comunque vantaggioso, per il contribuente.
Da ciò ne consegue che la distinzione tra imposta e tassa è una distinzione tra i relativi presupposti: l'imposta è dovuta per il semplice fatto di appartenere alla collettività realizzata e per
aver realizzato un presupposto espressivo di forza economica,e dunque di attitudine alla contribuzione; la tassa è invece dovuta per la realizzazione del presupposto che sottende,a sua
volta, la realizzazione di un servizio e,in taluni casi, la sua richiesta da parte del contribuente. Realizzazione del servizio ed eventuale richiesta del servizio da parte del contribuente sono
elementi che rilevano come meri fatti giuridici, al verificarsi dei quali la legge ricollega la nascita dell'obbligazione al versamento del tributo.
→ vi è altresì autorevole dottrina,seppur minoritaria, che accentua la componente volontaristica e che assimila dunque la tassa ad un onere,per cui l'importo sarebbe da
versare al fine di accedere alla fruizione del servizio.
È evidente che la riqualificazione della tassa come onere piuttosto che come tributo comporta l'inesistenza di una prestazione patrimoniale imposta e quindi l'inapplicabilità
della tutela rappresentata dalla riserva di legge di cui all'art. 23 Cost. ;oltre a ciò ,conseguentemente, l'esclusione della tassa dall'ambito di applicazione del principio di
capacità contributiva di cui al successivo art. 53 Cost..
In realtà,la tesi della non obbligatorietà della tassa non è condivisibile,nel senso che la presentazione di una richiesta di un servizio da parte del privato è assunta
dall'ordinamento come fatto obbligante,sicchè qualsiasi fatto successivo è irrilevante,con ciò intendendo che perfino il mancato godimento del servizio non esonera il
contribuente dall'obbligo di pagamento del tributo,da un lato, mentre, dall'altro lato, -e questo evidenzia la rilevanza della nascita ex lege dell'obbligazione- il pagamento del
tributo può essere contemporaneo o addirittura precedere il verificarsi del presupposto e dunque l'erogazione del servizio da parte della PA.
Anche la tassa,come il tributo quindi,rientra nello schema generale dell'obbligazione ex lege, di un'obbligazione che nasce ex lege al verificarsi del presupposto individuato dal
legislatore,anche prescindendo ,quindi,dalla circostanza per cui il servizio sia o meno effettivamente erogato dalla PA interessata .
Asserita dunque pacificamente la natura di prestazione patrimoniale imposta propria della tassa,dobbiamo ora evidenziare come non sia altrettanto pacifico asserire che la tassa rientri
nell'ambito dell'applicazione del principio di capacità contributiva ex art. 53 cost. .
Tale dibattito nasce dal fatto che,secondo la Corte Costituzionale, stante l'affermazione per cui il versamento della tassa sottenderebbe un assetto commutativo o paracommutativo tra due
soggetti,il principio della ripartizione dei carichi pubblici non sarebbe in questo caso rappresentato dal principio di capacità contributiva ex art. 53 cost. ,con la conseguenza che la
ripartizione delle spese ,sulla base di una forza economica innestata dal presupposto, persisterebbe nel principio del corrispettivo o del beneficio,ossia un principio avente natura
sostanzialmente di tipo corrispettivo e non solidaristico come il principio di capacità contributiva di cui all'art. 53 Cost.
Le sentenze 55/1963 e 23/1968 della Corte Costituzionale hanno riconosciuto natura di prestazione patrimoniale imposta alle tasse,pur in presenza della prestazione riferibile al privato,per via della
determinazione autoritativa del contenuto e della disciplina del prelievo.
Riteniamo fondamentalmente preferibile l'interpretazione secondo cui anche le tasse,così come le imposte,sono sottoposte al principio di capacità contributiva,dal momento che un
presupposto, che si caratterizzi per il riferimento allo svolgimento di un'attività pubblica da parte della PA e alla richiesta di tale attività da parte del privato, è suscettibile di manifestare la capacità
contributiva del soggetto che richiede il servizio.
Dunque ,in quest'ottica, si giustifica la ripartizione dei carichi pubblici secondo il principio della capacità contributiva,anche in relazione alle tasse.
Occorre infine osservare quella che è stata l'evoluzione,dal punto di vista storico,della natura giuridica delle tasse:
→ le tasse di registro e di bollo in origine,al momento della loro introduzione, si caratterizzavano per la natura del servizio reso dall'ente pubblico al soggetto che richiedeva il servizio
stesso.
→ successivamente tali tasse si sono evolute ,così come la loro rispettiva disciplina,per via della rilevanza sempre maggiore attribuita ,più che all'erogazione del servizio, alla
forza economica sprigionata dai singoli presupposti individuati dal legislatore. Dunque le tasse di registro e di bollo si sono evolute ,nel senso di essere considerate attualmente
delle imposte,perchè ciò che rileva non è tanto ,o non soltanto, l'erogazione del servizio da parte della PA ,quanto piuttosto la manifestazione di ricchezza collegata al presupposto
considerato rilevante.
→ Quindi, per quanto riguarda l'imposta di registro,se prima si attribuiva rilevanza all'attribuzione di pubblica fede all'atto sottoposto alla registrazione, e quindi il tributo
veniva considerato come una tassa, oggi si attribuisce rilevanza alla manifestazione di ricchezza connessa all'atto sottoposto a registrazione(es. Quando cediamo un immobile
ed assolviamo l'imposta di registro,collegata alla registrazione dell'atto,ciò che rileva non è tanto l'attribuzione,ad es. , di una data certa all'atto mediante la registrazione, ma ciò che rileva è
la capacità contributiva indirettamente desunta dalla stipula dell'atto sottoposto a registrazione,quindi ciò che rileva è il fatto che la traslazione dell'immobile verso corrispettivo è indice di
una capacità contributiva e quindi di una forza economica ,assumendo rilievo assolutamente secondario l'attribuzione di una data certa all'atto sottoposto alla registrazione).
→ Le tasse sono comunque un fenomeno estremamente diffuso nel nostro ordinamento: si pensi alle tasse sulle concessioni governative, alle tasse regionali e
comunali,nonchè alle tasse scolastiche,universitarie,alle tasse di stazionamento ed alle tasse aeroportuali ,etc.
Proprio la difficoltà di enucleazione della tassa,rispetto alle figure affini di natura contrattuale, ha spinto il legislatore ,in taluni casi, a trasformare delle tasse tasse in
prestazioni aventi natura corrispettiva. È questo il caso ,ad esempio,della TARSU,ossia della tassa dovuta per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani,la quale è stata più recentemente
sostituita con una tariffa che ,pur avendo natura coattiva e dunque rimanendo dell'ambito delle prestazioni patrimoniali imposte di cui all'art. 23 Cost., viene ritenuta esclusa dall'ambito dei
tributi. Medesimo discorso va fatto per la TOSAP,la tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche,la quale è stata sostituita con un canone, dovuto per la concessione di spazi ed aree
pubbliche e disciplinato in assetto privatistico commutativo.

-ADDIZIONALI E SOVRIMPOSTE:
Con addizionali e sovrimposte si intende far riferimento a figure minori ,con ciò intendendo che le stesse presentano minori problematiche dal punto di vista teoria generale. Tali figure hanno
comunque acquisito, negli ultimi tempi, una certa importanza,soprattutto laddove siano di competenza degli enti locali,dal momento che questi ultimi hanno utilizzato tali figure per
incrementare il gettito a loro riferibile.
Le addizionali ,o meglio le imposte addizionali, costituiscono un inasprimento di un'imposta esistente: sostanzialmente viene ad applicarsi un'ulteriore aliquota percentuale
sull'ammontare dell'imposta,per cui l'addizionale viene a configurarsi come un'aliquota applicata all'ammontare dell'imposta cui va a sommarsi.
Quindi un'addizionale dell'imposta sui redditi significa che,determinato il carico tributario ai fini delle imposte sui redditi,sul risultato ottenuto,sull'imposta che devo versare applico ad esempio
un'addizionale del 10%,quindi se devo versare 1000 euro ai fini delle imposte sui redditi,se vi è un'addizionale del 10% dovrò versare ulteriori 100 euro a titolo di addizionale delle imposte sui redditi.
Per fare un esempio più semplice,poniamo di avere una base imponibile di 1000,cui vada applicata un'imposta del 30%,pari dunque a 300 ; poniamo di dover porre all'imposta un'addizionale del 10%: si
verrà a configurare un debito d'imposta pari a 330,cifra che costituisce la somma dell'imposta (calcolata sulla base imponibile) e dell'addizionale,quest'ultima calcolata soltanto sull'imposta previamente
determinata.
L'imposta addizionale costituisce così un inasprimento dell'imposta esistente e ,in merito,va osservato che giuridicamente non ha propri profili di autonomia ,seguendo la stessa
disciplina dell'imposta cui accede.
Diversamente, la sovrimposta è un tributo autonomo che si applica sulla base imponibile di un altro tributo,il cui gettito normalmente è riferibile ad un soggetto diverso,normalmente un
ente locale. La sovrimposta consiste dunque in un'aliquota applicata alla base imponibile dell'imposta ordinaria.
In questo caso la sovrimposta non si applica all'imposta,ma si applica alla base imponibile di un altro tributo: quindi mentre nel caso precedente abbiamo detto che l'addizionale si applica
sull'imposta e quindi sul risultato deriva applicando l'aliquota ad una base imponibile (es aliquota del 30%),nel caso della sovraimposta alla base imponibile,e quindi al reddito
posseduto,si applica un'aliquota autonoma.
Altre definizioni che possono incontrarsi anche nella pratica sono quelle di imposte surrogatorie,sostitutive,definitive e in acconto:
→ IMPOSTA DEFINITIVA ED IMPOSTA A TITOLO DI ACCONTO: se ne parla soprattutto laddove si sia in presenza di una ritenuta operata dal sostituto d'imposta. Quando un
datore di lavoro eroga un reddito ad un dipendente,lo stipendio al dipendente,ne trattiene una parte e la versa all'erario. Così nel caso in cui un professionista svolge una prestazione nei
confronti dell'imprenditore,l'imprenditore che è sostituto d'imposta,quando versa gli onorari al professionista,ne trattiene una parte e la versa all'erario. Questa ritenuta,e cioè la trattenuta
che opera il sostituto d'imposta sullo stipendio o sull'onorario,rispettivamente del dipendente e del professionista,può essere a titolo definitivo o a titolo di acconto. La
differenza sta nel fatto che nel caso in cui la ritenuta sia a titolo definitivo,tale ritenuta esaurisce il prelievo; viceversa,laddove la ritenuta è a titolo di acconto,la ritenuta stessa non esaurisce
il prelievo ed il contribuente ,che si vede decurtare i propri emolumenti per effetto dell'applicazione della ritenuta dovrà comunque dichiarare l'intero importo ,ricalcolare il debito d'imposta
ed eventualmente scomputare quanto trattenuto e considerare quindi la ritenuta come semplice acconto. Quindi la differenza tra ritenuta a titolo di imposta (definitiva) e ritenuta a
titolo di acconto risiede nel fatto che la ritenuta operata dal sostituto d'imposta esaurisca o meno il prelievo riferibile al soggetto obbligato (in caso positivo l'importo non andrà
nemmeno dichiarato,in caso negativo si tratta di un'anticipazione del prelievo ed il soggetto che subisce la ritenuta dovrà comunque dichiarare l'importo percepito al lordo della ritenuta e
scomputare la ritenuta come acconto dal proprio debito d'imposta).
→ IMPOSTA SOSTITUTIVA: con imposta sostitutiva si intende che un'imposta ,normalmente per finalità agevolative o semplificatorie,sostituisce vari altri tributi. Ad esempio,
l'imposta sostitutiva sui finanziamenti bancari,quando viene richiesto e concesso un mutuo, in luogo dell'applicazione di numerose imposte e tributi,viene pagata solamente l'imposta
sostitutiva sui finanziamenti e questa operazione ha normalmente finalità sia semplificatorie ,sia agevolative per ridurre il carico fiscale sull'operazione. Si pensi appunto al caso
dell'acquisto di una prima casa: l'imposta sostitutiva sui finanziamenti appunto ha l'intento di agevolare l'acquisto di immobili.
→ IMPOSTA SURROGATORIA: è un'imposta con finalità antielusiva,avente quindi lo scopo di includere,nell'ambito di applicazione del tributo,delle fattispecie
che,probabilmente ,potrebbero essere adoperate dai contribuenti con l'intento di eludere la norma impositrice
Sempre nell'ambito di addizionali e sovrimposte,si riscontra la distinzione per cui le stesse si configurino come tributi erariali o tributi locali:
→ i tributi erariali sono quelli imposti ed applicati dallo Stato
→ i tributi locali,in senso stretto,secondo la definizione della Corte Costituzionale,sono quei tributi che sono istituiti ed applicati dagli enti locali

-CONTRIBUTI O TRIBUTI SPECIALI:


I contributi,o tributi speciali, costituiscono in realtà dei tributi abbastanza desueti nel nostro ordinamento. Sono istituti che si sono sviluppati nella finanza locale inglese e che hanno avuto una certa
fortuna nel nostro ordinamento, in vari ambiti di applicazione. Attualmente essi presentano un ambito di applicazione piuttosto limitato e forse potrebbero essere valorizzati.
Anche se nel linguaggio comune il termine contributo indica ciò che si dà per il raggiungimento di un fine al quale concorrono più persone,nel diritto tributario viene denominato contributo,o tributo
speciale, quel tributo che ha ,come presupposto,l'arricchimento che alcuni soggetti ritraggono dall'esecuzione di un'opera pubblica ,destinata,di per sé alla collettività in modo indistinto
(es. l'incremento di valore dei beni immobili).
I contributi o tributi speciali nascono dall'osservazione che,nell'ipotesi in cui un ente pubblico realizzi una certa opera pubblica o svolga determinati servizi, tale opera pubblica o tali
servizi avrebbero ,contemporaneamente, il carattere della indivisibilità e della divisibilità,con ciò intendendo che gli stessi avrebbero certamente un'utilità di carattere generale,ma anche un'utilità
particolare per alcuni soggetti,i quali usufruirebbero ,in misura maggiore di altri soggetti, delle utilità derivanti dalla realizzazione dell'opera o dall'erogazione di quel servizio.
Questo è evidente nel caso in cui,ad esempio, un Comune realizzi un'opera pubblica, come una strada di primaria importanza: è evidente che della realizzazione dell'opera,in questo caso la strada, ne
beneficeranno parecchi contribuenti,o concittadini, nonché non residenti,ma ,in particolare misura usufruiranno del servizio quei cittadini che hanno degli immobili che insistono sulla strada che si verrà a
realizzare. I soggetti proprietari di questi immobili vedranno accrescersi il valore dei loro immobili,perchè per l'appunto insistono sulla strada che verrà realizzata dall'ente pubblico,per cui la
realizzazione della strada determina sì un beneficio per una serie indistinta di soggetti,o,per meglio dire,per la collettività,ma sicuramente determina ,al contempo,un vantaggio particolare per taluni
soggetti,i quali erano e potrebbero esser tenuti a pagare un tributo speciale o contributo, rapportato alla specifica capacità contributiva,la quale è in questo caso rappresentata dal maggior godimento
ritratto dalla realizzazione dell'opera o dallo svolgimento del servizio.
Esempi di tributi speciali o contributi sono stati in passato i contributi di miglioria specifica,che colpivano gli incrementi di valore degli immobili ,incrementi derivanti dalla realizzazione di
determinate opere pubbliche ,nonchè il contributo di miglioria generica,legato ,piuttosto che alla realizzazione di singole opere, alla realizzazione di servizi da parte dell'ente pubblico. Secondo alcuni
rientrerebbe nella categoria anche il contributo d'utenza stradale,ossia il tributo legato al peculiare consumo del sistema stradale, derivante dall'uso di autoveicoli.
Dal punto di vista della ricostruzione teorica,questi tributi o contributi:
→ secondo parte della dottrina, avrebbero natura di imposte o di contributi appunto,a seconda della natura contributiva o corrispettiva(Russo)
→ secondo altra dottrina,sempre a seconda della natura contributiva o corrispettiva e quindi sulla base della stessa distinzione,i tributi speciali o contributi sarebbero da
assimilare rispettivamente alle imposte o alle tasse ,non avendo dunque in quest'ottica un'autonoma rilevanza(Falsitta)
Figura di tributo speciale o contributo, ancora presente nel nostro ordinamento, è rappresentato dall'istituto introdotto con la l. finanziaria del 2007,art. 1 co. 145, il quale espone che i
Comuni possono deliberare con un regolamento un'imposta di scopo, o tributo di scopo, destinata alla copertura delle spese per la realizzazione di opere pubbliche,opere specificamente
da ricomprendere tra quelle elencate tassativamente dallo stesso regolamento. Il regolamento che istituisce l'imposta dovrà evidentemente individuare l'opera pubblica da realizzare,l'importo da
finanziare ,l'aliquota applicabile,l'esistenza di esenzioni od agevolazioni. Il tributo di scopo può tuttavia finanziare solamente il 30% della spesa dell'opera pubblica da realizzare ed il
legislatore,conoscendo evidentemente i problemi italiani,ha previsto espressamente che, in caso di mancato inizio dell'opera pubblica entro 2 anni dalla data prevista,magari per mancato ottenimento di
autorizzazioni, vi sia l'obbligo di restituzione dei tributi di scopo .

-MONOPOLI FISCALI:
L' ultima figura di tributo da esaminare è rappresentata dai monopoli ,che hanno un'importanza, tuttavia ,abbastanza ridotta nel nostro ordinamento. La nozione di monopolio fiscale viene riscontrata
in ambito comunitario,nello specifico, nell'art. 106 TFUE.
Si ha un monopolio fiscale,o monopolio di diritto , quando,sulla base di una riserva originaria o di un'espropriazione di impresa, si realizza un monopolio legale ,con la conseguenza che
una determinata attività di impresa viene ad essere svolta in situazione di monopolio da parte dello Stato.
Dunque il monopolio fiscale costituisce un istituto giuridico mediante il quale lo Stato si riserva la produzione e /o vendita di determinati beni o servizi,vietando al contempo a terzi
l'esercizio di tali attività.
Il fatto che tale attività sia svolta in posizione di monopolio consente allo Stato la fissazione dei prezzi dei beni e dei servizi, svolti in regime di monopolio, ad una cifra superiore ai costi
di produzione . La differenza tra il costo di produzione ed il corrispettivo richiesto ai consumatori rappresenta la partecipazione alle pubbliche spese richiesta al consumatore stesso: tale
partecipazione rappresenta una prestazione patrimoniale imposta in virtù della natura autoritativa dell'atto che disciplina il rapporto e che,conseguentemente ,fissa il corrispettivo per la
vendita dei beni,per l'erogazione del servizio.
Secondo Tesauro,se si ha riguardo alla funzione fiscale dei tributi,ossia alla finalità di procacciare entrate all'ente pubblico,allora anche il monopolio fiscale deve essere considerato come
un tributo,in quanto ha come scopo quello di procurare entrate necessarie al sostentamento della cosa pubblica. Di qui l'applicabilità ,ai monopoli fiscali,dell'art. 53 cost. . Vi è poi da aggiungere
che essendo tali monopoli fiscali ,unitamente alla fissazione successiva dei prezzi, istituiti con provvedimento legislativo,allora tali monopoli fiscali rientrano altresì nell'ambito di applicazione dell'art. 23
cost. .
Per quanto riguarda la configurazione giuridica dei monopoli:
→ secondo parte della dottrina si tratta di un servizio che non è ricollegabile ad un interesse pubblico, e quindi non si tratta di un servizio avente natura pubblica,per cui
potrebbe in realtà individuare un'imposta,dovuta per la semplice realizzazione di un presupposto espressivo di forza economica (es. monopolio dei tabacchi)
→ secondo altri,laddove si sia in presenza dell'erogazione di un servizio di natura pubblica,e che quindi risponde ad un bisogno della collettività,eventuali forme di riparto dei
carichi pubblici sarebbero piuttosto da considerare come tasse (es. i ticket per l'erogazione di prestazioni sanitarie)

(esempio di difficoltà di qualificazione di un tributo: IL CANONE RAI)


Le difficoltà i riscontrabili nella esatta qualificazione delle prestazioni patrimoniali imposte,oppure nella esatta configurazione della fattispecie di un'imposta piuttosto che di una tassa,o
ancora di una prestazione avente natura meramente contrattuale,si possono tutte ritrovare nel caso emblematico del canone radiotelevisivo (o canone RAI).
Il canone radiotelevisivo possiede in questo senso una particolarità,giacchè lo stesso ha assunto ,nel corso del tempo, tutte le configurazioni possibili,sia per la dottrina ,sia per la
giurisprudenza di legittimità e la giurisprudenza costituzionale, che si sono occupate dell'argomento:
→ il canone radiotelevisivo è stato all'origine considerato come un corrispettivo di diritto privato ,per via la natura privatistica della RAI e per la disciplina privatistica del rapporto.
Non a caso infatti, le prime sentenze della Corte di Cassazione che hanno trattato l'argomento,hanno affermato, in più occasioni, la natura privatistica del canone RAI
→ in una seconda fase,la Corte Costituzionale ha abbandonato l'impostazione originaria ed ha affermato che il canone RAI fosse piuttosto ,più correttamente, qualificabile
come tassa,in quanto prestazione patrimoniale imposta dovuta per la realizzazione di un presupposto che attribuiva rilevanza allo svolgimento di un servizio avente natura pubblicistica,
direttamente riferibile al privato e direttamente a vantaggio dello stesso.
→ Ciò a ribadire la vicinanza,in taluni casi, delle fattispecie veramente contrattuali alle fattispecie che ,invece ,per essere prestazioni patrimoniali imposte, sono da considerare come tasse.
In tutti i casi dunque ,vi è sempre lo svolgimento di un servizio da parte di un soggetto,servizio che ridonda a beneficio di un altro soggetto. Nella prima fase,tuttavia, si
attribuiva rilevanza alla natura privatistica del rapporto ,o alla disciplina del rapporto,oppure ancora alla natura privatistica della RAI, mentre, nella seconda fase, si attribuiva
invece rilevanza al fatto che la disciplina del rapporto fosse in realtà imposta con atto autoritativo e dunque fosse predominante l'effetto rappresentato dalla decurtazione del
patrimonio del soggetto,effetto determinato da atto autoritativo,con la conseguenza che il canone doveva rispondere al principio della riserva di legge ex art. 23 cost.,per cui
doveva essere la legge,o un atto avente forza di legge, a disciplinarne i profili fondamentali.
→ Più recentemente la Corte di Cassazione ha cambiato orientamento ed ha affermato in più arresti che il canone RAI ha natura di imposta, a causa dell'assoluta irrilevanza
della fruizione effettiva del servizio da parte del contribuente obbligato al pagamento.
Vi sono stati dei casi ,portati all'attenzione della Corte di Cassazione, in cui addirittura il contribuente,in quanto collocato o residente in zona di montagna,non aveva accesso alle reti
RAI,giacchè all'epoca il segnale non arrivava. La Corte di Cassazione ha in merito statuito che il canone è dovuto per il semplice fatto di possedere un apparecchio idoneo alla ricezione
del segnale,a nulla rilevando che con quell'apparecchio non si guardavano programmi RAI ,ma programmi confezionati e trasmessi da privati diversi dalla RAI, o addirittura da reti estere.
È evidente che è del tutto irrilevante l'erogazione effettiva del servizio da parte della RAI o la fruizione effettiva del servizio da parte del contribuente,il quale è tenuto a pagare il canone RAI
anche se non usufruisce di quel servizio e addirittura anche se di quel servizio non ne possa proprio usufruire per ragioni tecniche o per via della sua collocazione spaziale.
Quindi non vi è alcun collegamento tra l'obbligo di pagamento del tributo ,da un lato ,e la fruizione e l'erogazione del servizio.
Il canone RAI sarebbe dunque un'imposta,poichè si è obbligati al pagamento dell'imposta per il semplice fatto di possedere un apparecchio ,essendo tale possesso
espressivo di forze economiche e dunque di capacità di contribuire alle pubbliche spese.
→ In tal senso,una più recente ordinanza della Corte di Cassazione,ossia l'ord. 1922/2016, ha ribadito che il canone RAI deve configurarsi come imposta ,fintanto che non vi è
alcun nesso di necessaria corrispettiva tra l'obbligo di pagare il canone e la fruizione effettiva del servizio , sancendo altresì che è irrilevante che il contribuente della specie
avesse mandato una comunicazione alla RAI di non voler usufruire dei suoi servizi (quindi che non avrebbe avuto intenzione di vedere i programmi RAI).
In alcune sentenze si è accentuato il carattere d'imposta del canone RAI,ricollegandone la debenza alla potestà pubblica di polizia e disciplina dell'etere ,e quindi a servizi pubblici
tipicamente indivisibili , riferibili dunque alla generalità dei contribuenti e non soltanto al contribuente è obbligato al pagamento del tributo. Il tributo è dovuto anche se del servizio non si
usufruisce e quindi anche se si utilizza l'apparecchio per vedere programmi irradiati da soggetti privati diversi dalla RAI .o addirittura da soggetti non residenti ,essendo quindi accentuata
la componente rappresentata dal possesso di un indice di forza economica e dunque di idoneità alla contribuzione.
In buona sostanza non sarebbe utile,ai fini dell'esclusione dall'obbligo del pagamento del canone RAI, dire che non si accende la televisione o che non la si utilizza per vedere programmi
RAI.

CAPITOLO 2- IL DIRITTO TRIBUTARIO


2.1-IL DIRITTO TRIBUTARIO NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO: EVOLUZIONE STORICA E CRITERI DISTINTIVI
-DIRITTO TRIBUTARIO:
Diritto tributario può essere definito come il complesso di norme e di principi che presiedono all’istituzione e all’attuazione del tributo. La definizione del diritto tributario ha dato luogo in
passato ad infinite controversie che caratterizzano le diverse fasi storiche di studio della nostra disciplina. Tali controversie riguardano, infatti:
1)l’estensione del fenomeno tributario
2)il suo metodo di studio
3)rapporti con le altre scienze, giuridiche e non.

2.2- L'ESTENSIONE DEL DIRITTO TRIBUTARIO


-ESTENSIONE DEL DIRITTO TRIBUTARIO:
Con estensione del diritto tributario si suole far riferimento alla delimitazione dell'oggetto del diritto tributario. Per delimitare appunto l'ambito di estensione del diritto tributario,occorre
procedere ad un breve excursus storico:
→ i primi studi giuridici tendevano a considerare unitamente l’attività di reperimento dei mezzi finanziari, occorrenti per far fronte ai fini pubblici istituzionali, e l'attività diretta
all’impiego di tali mezzi finanziari . In quest'ottica,gli studi giuridici avevano per oggetto ,sincreticamente, l’intera attività finanziaria dell’ente pubblico ,ricomprendendovi dunque sia
l'attività di acquisizione delle entrate, sia l'attività di gestione e amministrazione del patrimonio , sia l'attività di erogazione delle spese.
Dunque ,l'espressione “diritto finanziario” veniva così utilizzata in senso ampio, riferendola al complesso di norme che regolano la raccolta, la gestione e l’erogazione di mezzi finanziari
pubblici .
→ Ci si rese peraltro ben conto, nell’evoluzione degli studi giuridici, che all’unità della materia, riferita alle molteplici attività svolte dallo Stato in campo finanziario ,non
corrispondeva unitarietà di disciplina.
Non a caso infatti,Il diritto finanziario,è bene osservarlo, si caratterizzava per la compresenza di profili eterogenei che attualmente sono disciplinati da altre scienze giuridiche,quali,ad
esempio l'attività legislativa ,disciplinata ora dal diritto costituzionale,la contabilità di Stato e la gestione del patrimonio,disciplinate dal diritto amministrativo, i rapporti intercorrenti tra l'ente
impositore ed il contribuente,disciplinati dal diritto privato.
Era pur facile osservare che, anche sotto il profilo della compresenza di profili di autoritatività e di autonomia privata, era arduo individuare criteri omogenei, dal momento che sia sul
versante delle entrate ,che su quello delle spese, potevano riconoscersi esistenti entrambi gli assetti.
Dunque ,sul piano descrittivo e tecnico-finanziario, poteva essere utile considerare unitariamente gli aspetti del fenomeno, mentre,sul piano scientifico, l’affinarsi degli studi
giuridici ha condotto a una progressiva enucleazione ,dall’ampia accezione del diritto finanziario ,di settori caratterizzati da principi e disciplina omogenei,settori quali:
a) il diritto amministrativo: sul versante delle entrate pubbliche, vennero attribuite al diritto amministrativo tutte le entrate derivanti dalla gestione dei beni demaniali
e patrimoniali,le entrate derivanti dall’esercizio di imprese da parte dell’ente pubblico e tutte le altre entrate ,anche a carattere coattivo ,ma non qualificate dalla
loro natura contributiva.
La presenza dell’ente pubblico e la destinazione di tali entrate a consentirgli di far cura dell’interesse pubblico primario furono ritenute infatti sufficienti ad unificare lo studio dei
rapporti ad esse relativi nonostante la compresenza di regole pubblicistiche e privatistiche nella loro disciplina.
b) contabilità di stato: i problemi giuridici della gestione del pubblico denaro, dei beni pubblici,nonché taluni aspetti della spesa pubblica, ben possono unificarsi
intorno allo studio dei prevalenti profili giuridico-contabili e sono stati dunque attribuiti a quel settore del diritto amministrativo che è costituito dalla contabilità di
Stato.
c) diritto amministrativo e diritto pubblico dell'economia:I problemi della spesa pubblica, relativi all’utilizzo delle risorse per far fronte alle diverse esigenze
finanziarie dell’ente, sono ora frammentati nei diversi settori di intervento dello Stato e fanno ormai correttamente capo alla scienza del diritto amministrativo e
del diritto pubblico dell’economia.
d) diritto tributario: In questa progressiva ricerca, nel grande corpo del diritto finanziario come sopra definito, di settori retti da principi uniformi, la dottrina ha ormai da
tempo individuato un corpo di norme riferite alle entrate coattive a carattere contributivo, che ha definito diritto tributario.
Va sottolineato che nell'ampio corpus normativo originariamente ricompreso nel diritto finanziario si è venuto progressivamente enucleando un insieme di norme e di principi relativo soltanto alle entrate
coattive a carattere contributivo,quindi alle entrate o imposte finalizzate alla ripartizione della spesa pubblica,sicchè possiamo oggi definire,in prima battuta, il diritto tributario come l'insieme di
norme e di principi che presiedono all'istituzione ed all'attuazione del tributo ,compresi i profili di tutela che trovano applicazione nell'ambito della fase contenziosa.
Una volta accolta la definizione di diritto tributario,data dalla dottrina prevalente, come insieme di norme e principi che presiedono all'istituzione ed all'attuazione del tributo, occorre
osservare che nel corso del tempo vi sono state altre dottrine ,minoritarie,che hanno sviluppato una diversa nozione di tributo e ,conseguentemente,di diritto tributario:
→ vi era la dottrina che concentrava nel diritto tributario tutta la materia inerente alle pubbliche entrate,lasciando alla contabilità di stato soltanto la disciplina dell'aspetto
della gestione del denaro pubblico: questo filone dottrinale includeva nel diritto tributario anche le prestazioni connesse con l'introduzione di limiti alla libertà del singolo attraverso
l'imposizione di una tassa o di un monopolio,pur non riconoscendo a tali prestazioni il carattere di coattività. Tale impostazione appare ingiustificatamente ampia.
→ la dottrina tedesca: la dottrina tedesca restringeva l'oggetto di studio all'imposta,di conseguenza andando ad identificare il diritto tributario con il diritto dell'imposta. Tale
impostazione derivava dal fatto che tale dottrina riteneva che,in funzione di concorso alle spese pubbliche, soltanto all'interno dell'imposta si potesse riscontrare il connotato
dell'autoritatività allo stato puro,con conseguente esclusione di qualsivoglia aspetto commutativo
Una volta riconosciuta,da parte della dottrina giuridica, la centralità della nozione di tributo, estesa a comprendere oltre all’imposta, anche la tassa, il contributo e il monopolio fiscale, le diverse
definizioni di diritto tributario rilevano in dottrina soprattutto sotto il profilo del metodo con cui è intrapreso lo studio della disciplina.
Si cercò ,in un primo momento,di sottolineare la collocazione della materia rispetto ad altri settori dell'ordinamento,per cui vi fu sia la tendenza ad inglobare il diritto tributario nel diritto
amministrativo(al fine di reagire all'impostazione economica allora prevalente),sia,dall'altro lato,la tendenza ad escludere dal diritto tributario la fase di istituzione del tributo,fase ritenuta
di competenza del diritto costituzionale.
Oltre a quanto sopra detto,va osservato che originariamente si limitava l'ambito d'applicazione del diritto tributario ai rapporti tra cittadini e stato ,mentre ,attualmente, non può dubitarsi del
fatto che il diritto tributario abbia un'estensione notevolmente maggiore,in quanto lo stesso si occupa anche delle relazioni intercorrenti tra non cittadini e stato , ossia tra non residenti ,in
contatto con la collettività organizzata per svolgere ivi un'attività economica ovvero per possedere un determinato bene, e lo stato,in quanto gli stessi sono referenti di una capacità contributiva e sono
quindi tenuti a concorrere alle pubbliche spese in ragione del presupposto svolto sul territorio dello stato.
Tenendo in considerazione i vari orientamenti sopra delineati,quale la riconducibilità del diritto tributario al diritto amministrativo,l'esclusione dal diritto tributario della fase di istituzione del tributo e la
riferibilità o meno del diritto tributario soltanto ai rapporti tra Stato e cittadini residenti, possiamo osservare che si sono contrapposte due diverse impostazioni:
1)un'impostazione di carattere privatistico: Una più risalente interpretazione,facente capo al Vanoni ,poi ripresa da autorevole dottrina, si configurava come di stampo
prevalentemente privatistico e poneva al centro del sistema tributario la nozione di rapporto giuridico d'imposta,ponendo quindi al centro del diritto tributario il rapporto
privatistico tra un creditore,tendenzialmente l'ente impositore,ed un debitore,tendenzialmente il contribuente (in realtà le posizioni soggettive possono invertirsi,giacchè laddove il
contribuente abbia versato più di quanto dovuto ,da debitore diventa creditore in relazione alla restituzione di quanto indebitamente versato). Secondo tale dottrina,imposizione significava
accertamento,con la conseguenza che la fase di istituzione della norma tributaria veniva esclusa dall'ambito di applicazione del diritto tributario e veniva piuttosto ricondotta al diritto
costituzionale.
2) Diverso orientamento dottrinale pone al centro del sistema una visione pubblicistica e quindi pone al centro del sistema,piuttosto che il rapporto giuridico d'imposta di tipo
privatistico,la funzione tributaria esercitata dall'ente pubblico e le modalità del relativo svolgimento,fermo restando che in tale svolgimento dell'attività tributaria possono nascere
situazioni giuridiche di vantaggio e di svantaggio che saranno tendenzialmente disciplinate,laddove non diversamente disposto,dal diritto privato.
Per fornire un ulteriore delimitazione dell'estensione del diritto tributario possiamo dire che esso ha ad oggetto tutti i tributi,non soltanto quelli fondati sul principio di capacità
contributiva(le imposte),ma anche quelli (tasse) fondati su un assetto di tipo commutativo o paracommutativo,ossia tributi,questi ultimi,che presuppongono uno scambio di utilità tra
l'erogazione di un servizio e l'obbligo di pagamento del tributo e che si riferiscono sia allo stato,che alle regioni che agli enti locali; esso si occupa non soltanto della fase,comune al diritto
costituzionale,della introduzione dei tributi,ma ha ad oggetto anche la fase di attuazione dei tributi da intendersi come accertamento ,riscossione e tutela dinanzi alle commissioni
tributarie delle posizioni soggettive dei soggetti coinvolti nell'attuazione del procedimento tributario.
Il diritto tributario si occupa di conseguenza di una molteplicità di fasi che vanno,come antecedentemente detto,dall'introduzione dei tributi,all'attuazione,all'accertamento ,alla riscossione dei
tributi,all'erogazione di sanzioni ed alla fase contenziosa. Fasi diverse per i soggetti che le pongono in essere,per i contenuti e per le norme che presidiano tali attività.
Va fatto un piccolo rilievo con riferimento ai soggetti che pongono in essere le fasi attinenti il diritto tributario, per cui va osservato che:
→ in merito all'istituzione dei tributi,essa è demandata agli organi competenti,quali il legislatore statale,regionale,locale e sovranazionale
→ la fase di attuazione dei tributi è demandata ad una molteplicità di soggetti: l'accertamento dei tributi è demandato alle agenzie fiscali,l'attività di controllo della regolarità
dei comportamenti dei contribuenti è demandata sia alle agenzie fiscali sia ad organi che collaborano con esse,quali ad esempio un corpo militare come la guardia di
finanza,la quale coadiuva le agenzie fiscali nella constatazione delle violazioni riferibili ai contribuenti
→ la fase del contenzioso è demandata alle commissioni tributarie provinciali e regionali,rispettivamente in primo ed in secondo grado,alla corte di cassazione per quanto
riguarda il giudizio di pura legittimità
Si tratta di una molteplicità di fasi,di soggetti,di contenuti che tuttavia trovano un principio unificante nel principio costituzionale di capacità contributiva ,in stretta connessione con il
principio di legalità. Il principio di capacità contributiva opera in tutte le fasi di attuazione del tributo fino all'effettiva erogazione del prelievo.
Il principio di capacità contributiva deve dunque necessariamente informare la fase di istituzione dei tributi,in quanto ,come detto,un tributo che fosse fondato su un fatto non espressivo di capacità
economica,ossia di capacità di contribuire alle pubbliche spese, sarebbe costituzionalmente illegittimo.
Il principio di capacità contributiva deve informare, altresì, la fase di attuazione dei tributi ,anche sotto i profili procedimentali; da ciò ne deriva che,ad esempio,sarebbe costituzionalmente illegittima
una presunzione assoluta, a favore del fisco ,che vada ad imputare un determinato cespite o bene ad un contribuente senza la presenza di determinati presupposti;dunque le presunzioni devono essere
necessariamente relative a favore del fisco,giacchè devono ammettere la possibilità di prova contraria,da parte del contribuente,il quale deve poter dimostrare la sua effettiva capacità
contributiva,diversa da quella presunta dalla normativa tributaria.
Il principio di capacità contributiva deve essere rispettato anche nella fase di riscossione e di esecuzione dei tributi,quindi nel caso in cui il debito tributario si sia consolidato,laddove l'atto di
accertamento,ad esempio , non sia stato correttamente notificato,per cui in sede di opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi,laddove ammissibili,il contribuente deve poter dimostrare la propria
capacità contributiva.

2.3- IL METODO DI STUDIO DEL DIRITTO TRIBUTARIO


-METODO DI STUDIO DEL DIRITTO TRIBUTARIO:
Per quanto riguarda il metodo di studio del diritto tributario,vi è da dire che:
→esso veniva studiato,in una prima fase storica, da economisti,che trattavano sistematicamente i problemi della finanza pubblica; si utilizzava dunque un metodo economico,basato
sull'analisi degli effetti economici delle imposte e degli gli effetti derivanti dall'applicazione dei singoli tributi.
→ a partire dalla seconda metà dell'800,a causa dell'influsso della dottrina giuridica tedesca, lo studio del diritto tributario venne condotto con un metodo essenzialmente
giuridico,che comportava sostanzialmente il rifiuto dell'ausilio di istituti e strumenti derivanti dalle scienze economiche. Dall'utilizzazione del cd. Metodo giuridico derivò una più accentuata
autonomia degli studi giuridici rispetto a quelli economici,nonchè una maggiore utilizzazione,relativamente all'ambito del diritto pubblico e del diritto tributario,di strumenti privatistici. Sotto
un altro punto di vista,tuttavia,l'utilizzazione del metodo giuridico e delle varie categorie privatistiche non erano d'aiuto ai fini della ricostruzione di principi generali,dei quali si registrava
quindi una lacuna.
→ Al metodo giuridico privatistico reagì la cd. Scuola di Pavia,facente capo al famoso studioso Griziotti. Griziotti sosteneva che il fenomeno finanziario andasse studiato in
maniera integrata sotto i suoi molteplici profili giuridici,economici,politici e tecnici,comportando dunque un ribaltamento del metodo di studio del diritto tributario,da
prevalentemente giuridico a prevalentemente economico, ed altresì comportando la rilevanza,quali criteri di interpretazione delle norme,dei principi elaborati dall'economia
finanziaria in relazione alla funzione economica del tributo.
Il metodo di studio elaborato da Griziotti veniva dunque a configurarsi come un metodo di studio prevalentemente economico ,basato su una visione corrispettiva dei principi
di ripartizione delle spese pubbliche ed accompagnato dall'elaborazione della cd.teoria della causa impositionis.
in virtù della teoria della causa impositionis, la capacità contributiva era considerata come manifestazione del godimento dei servizi pubblici ,con la conseguenza che, ad un
contribuente che manifestasse forza economica,faceva capo altresì la manifestazione di aver goduto di servizi erogati dallo stato. Tale costruzione consentiva al singolo giudice
di disapplicare la norma tributaria che fosse in contrasto con i principi distributivi del sistema,nello specifico :laddove, nella singola fattispecie ,non fosse dato riscontrare nel contribuente il
godimento di servizi pubblici e dunque un'effettiva capacità di contribuire alle pubbliche spese,allora il giudice aveva il potere di disapplicare la norma tributaria.
Tale elaborazione riferibile alla scuola di Pavia e a Griziotti ha influito enormemente sul concetto di capacità contributiva contemplata poi dalla nostra carta costituzionale,così come
enunciato nell'art. 53 Cost.
→ Oggi la dottrina maggioritaria,superata la rigida contrapposizione tra la necessità,da un lato, di integrazione tra diritto tributario ed altre scienze giuridico-economiche e
rifiuto alternativo di processi conoscitivi fondati su scienze giuridiche diverse da quella tributaria dall'altro lato,ha adottato un approccio più elastico e flessibile .
Tale approccio riconosce indubbiamente l'autonomia del diritto tributario,però senza rifiutare gli approcci conoscitivi ed i risultati cui sono giunte altre scienze giuridiche ed
economiche,soprattutto laddove si tratti dell'utilizzazione,da parte dell'ordinamento tributario,di principi e di regole elaborate in altri settori dell'ordinamento. Ciò comporta
che,laddove si consolidi un'obbligazione tributaria,essa,se non diversamente disposto,sarà disciplinata dal diritto privato,con la conseguente possibilità di fare riferimento ad
istituti e principi del diritto privato,soprattutto con riferimento alle modalità di estinzione e di adempimento dell'obbligazione tributaria (es . Reddito di plusvalenza:se non
diversamente disposto,le nozioni di reddito e di plusvalenza potranno essere ricostruite sulla base di risultati interpretativi cui sono giunte le scienze economiche).
Va in ogni caso, nell'analisi del metodo di studio del diritto tributario, riconosciuta l'autonomia del diritto tributario,da intendersi quale serie di norme e di principi diretti a consentire
l'acquisizione coattiva dei tributi, contemperando quella tensione assiologica tra due interessi contrapposti,quali l'interesse generale all'acquisizione dei tributi e l'interesse individuale al
rispetto del proprio patrimonio e dei propri diritti fondamentali.

2.4- IL RAPPORTO DEL DIRITTO TRIBUTARIO CON LE ALTRE SCIENZE


-RAPPORTO CON LE ALTRE BRANCHE DEL DIRITTO:
Il diritto tributario ,quale oggetto di conoscenza, appare come un complesso di norme strumentalmente collegate in funzione della realizzazione del prelievo. Tali norme si sovrappongono
alla realtà economica e giuridica preesistente, assumendola a fattispecie per l’applicazione dei tributi e disciplinandola fin nella fase sanzionatoria e contenziosa.
Al di là delle aree estranee al diritto tributario ed attribuite, come visto sopra, al diritto costituzionale o amministrativo, o alla contabilità di Stato, anche all’interno del diritto tributario
come sopra definito vi sono dunque norme appartenenti per certi profili ad altri settori del diritto:
→ rapporti con il diritto costituzionale:Le norme costituzionali che pongono principi e limiti in materia di prestazioni imposte, ovvero di tributi, appartengono certamente al diritto
costituzionale per quanto riguarda la collocazione nel sistema delle fonti ,al diritto tributario per quanto riguarda l’oggetto.
→ rapporti con il diritto amministrativo:Al diritto amministrativo appartengono le numerose norme sull’organizzazione e l’agire dell’amministrazione finanziaria, nonché
sull’impugnazione degli atti di quest'ultima.
→ rapporti con il diritto privato:Particolarmente delicati sono i rapporti fra diritto privato e il diritto tributario . Tali rapporti sono stati tradizionalmente individuati sia nell’utilizzazione ,da
parte del diritto tributario, di strumenti ed istituti privatistici ,sia in relazione alla definizione dei profili oggettivi e soggettivi del rapporto intercorrente tra ente impositore e soggettivi passivi,
sia nell’individuazione ,da parte del diritto tributario, di istituti privatistici da assumere quali fattispecie imponibili: a quali fatti e a quali atti giuridici deve essere ricollegato il tributo.
→ rapporti con il diritto commerciale: nella fase meno recente di studio del fenomeno tributario le interrelazioni ,con il diritto privato sono state particolarmente intense. Tra queste
interrelazioni,una menzione particolare meritano le interrelazioni con il diritto commerciale, in considerazione della grande importanza che rivestono ,per il diritto tributario, gli istituti
dell’impresa e delle società.
→ rapporti con il diritto penale e sanzionatorio:Una larga zona del diritto tributario interferisce con il diritto penale o, più ampiamente, con il diritto sanzionatorio in generale, includendo
in questo la disciplina delle sanzioni amministrative e delle sanzioni penali applicate in campo tributario.
→ rapporti con il diritto processuale: Molto strette sono le interrelazioni del diritto tributario con il diritto processuale, sia civile che amministrativo: i principi generali del processo civile
vengono espressamente richiamati dal decreto sul contenzioso tributario, mentre alcuni principi del processo amministrativo sono presenti ,ad esempio,in tema di acquisizione della prova e
di oggetto del giudizio dinanzi alle commissioni. Inoltre, i principi amministrativi del ricorso gerarchico si applicano anche per i ricorsi amministrativi previsti per taluni tributi.
→ rapporti con il diritto internazionale:Appartengono infine al diritto internazionale sia le norme di diritto interno che delimitano il potere di imposizione dello Stato rispetto allo straniero,
sia le norme – ormai frequenti – dettate da organismi sovranazionali ,ossia norme che si impongono ai cittadini di uno Stato membro o in maniera diretta, ovvero attraverso un atto di
recezione da parte dell’ordinamento interno dei singoli Stati. Oltre a queste,rilevano altresì le norme contenute nelle convenzioni internazionali, dirette ad eliminare la doppia imposizione
nelle imposte sul reddito o sulle successioni, le norme in materia doganale o di navigazione aerea ed, infine,le norme dirette ad imporre agli Stati contraenti obblighi di collaborazione e di
informazione nella lotta all’evasione internazionale.
Il diritto tributario, come è stato notato , appare dunque come uno “spaccato” di attività giuridiche differenti ,sia per i soggetti che le pongono in essere, sia per il contenuto delle attività stesse ,sia per i
corpi di norme che di volta in volta le disciplinano.
Se l'unificazione del diritto tributario soltanto sotto il profilo della materia, consistente nella istituzione ed attuazione dei tributi, non consente di elaborare principi unitari, ma rende in
realtà necessario risalire ogni volta alle norme ed ai principi propri di ciascun settore del diritto positivo coinvolto, non può tuttavia dirsi che manchi ,nel nostro settore, un principio
generale in base al quale ordinare tutte le norme che disciplinano l’istituzione e l’attuazione del tributo.
Si tratta del principio costituzionale di capacità contributiva, che, quale criterio sostanziale di determinazione del presupposto, opera attraverso il principio di stretta legalità, in tutte le fasi
di attuazione del tributo ,fino alla concreta acquisizione del prelievo.

-PARTICOLARISMO O SPECIALITA' DEL DIRITTO TRIBUTARIO:


Con particolarismo,o addirittura specialità,del diritto tributario,la dottrina ha inteso affermare la particolare caratterizzazione,propria del diritto tributario,che si distinguerebbe,per alcune
caratteristiche,da altre scienze giuridiche.
In particolare,la dottrina ha rilevato che il particolarismo del diritto tributario si desumerebbe da 4 ordini di ragioni:
1)dalla strumentalità del diritto tributario: con strumentalità del diritto tributario,la dottrina ha voluto intendere la differenza del diritto tributario rispetto ad altre attività che
realizzano immediatamente fini pubblici. Dunque il diritto tributario ,secondo la dottrina, non realizzerebbe immediatamente fini pubblici, ma porrebbe per lo più in essere
attività strumentali a tale soddisfazione. A ben vedere tuttavia,possiamo facilmente riscontrare che anche nel campo tributario vi sono ipotesi di prestazioni coattive meramente
finalizzate al prelievo ed altre ipotesi che uniscono invece alle finalità di prelievo altre finalità, per esempio, di intervento nell’economia o nella circolazione dei beni(es. Ecotributi,che
realizzano l'interesse pubblico alla tutela della salute,per cui ,aumentando il prelievo sul consumo di tabacchi lavorati ,si scoraggia il consumo di sigarette e quindi si realizza,oltre al
reperimento delle risorse necessarie al finanziamento della cosa pubblica,anche l'orientamento del comportamento dei contribuenti verso atteggiamenti ritenuti più virtuosi ,verso
atteggiamenti dunque coerenti con l'interesse primario, rappresentato dalla tutela del diritto alla salute). Allo stesso modo,con la leva fiscale si possono orientare i comportamenti delle
imprese al rispetto ,agevolandone le aggregazioni ,al fine di incentivare la crescita dimensionale delle imprese italiane e per porle dunque in posizione di parità rispetto ai competitors
internazionali. Così ancora sono previste ,sempre per le imprese,agevolazioni per conferire beni ai soci e quindi per indurre gli imprenditori a liquidare società che non svolgevano
un'effettiva attività commerciale,essendo ,sostanzialmente, soggetti che si occupavano del godimento di beni immobili ma che non svolgevano un'effettiva attività economica. Stesso
discorso vale per le imposte che gravano sui carburanti: difatti,aumentando le imposte sui carburanti e dunque aumentandone il prezzo al consumo, si scoraggia l'uso degli stessi e si
orienta ,consequenzialmente,il comportamento dei cittadini verso una riduzione dell'utilizzazione di automobili inquinanti. Tutto ciò per sottolineare che con l'attività impositiva in realtà
si possono realizzare anche interessi pubblici primari direttamente orientando il comportamento dei contribuenti e ,più in generale,dei soggetti che operano sul territorio dello
Stato.
L'espressione “strumentalità del diritto tributario “ viene altresì utilizzata,da parte della dottrina,per indicare l’attitudine del diritto tributario a sovrapporsi su una realtà di
regola già qualificata da altre norme giuridiche,con ciò intendendo dire che il diritto tributario sovente utilizza principi,nozioni ed istituti provenienti da altri rami
dell'ordinamento. Si pensi alle figure della soggettività,della solidarietà e della sostituzione,concetti che provengono generalmente dal diritto civile e che vengono sussunti nella fattispecie
imponibile,talvolta tout court,talvolta sottolineando alcune differenze rispetto ai settori scientifici di provenienza. In quest'ottica, fino a tempi meno recenti si discuteva ancora
dell'autonomia del diritto tributario proprio facendo leva sul fatto che molte nozioni ed istituti vengono ripresi da altri settori dell'ordinamento: in realtà bisogna condurre un
esame caso per caso e verificare se l'istituto,la nozione, o il principio richiamato, venga assunto dal legislatore tributario nella stessa accezione che ha nel settore di
provenienza,oppure se l'istituto che viene richiamato ,dovendo essere utilizzato per altri fini,debba essere interpretato e conseguentemente applicato secondo una diversa
impostazione r,ispondente ad una diversa logica coerente con i principi perseguiti dal legislatore tributario (quindi ,ogniqualvolta venga richiamato un istituto di provenienza
civilistica,bisognerà verificare caso per caso se l'istituto viene richiamato nella sua interezza, ovvero se, nell'applicazione alla fattispecie imponibile, sia necessario operare delle
differenziazioni rispetto al settore di provenienza)
2)dal rafforzamento dei poteri dell'amministrazione ai fini dell'accertamento e della riscossione del tributo
3)dalla particolare estensione e caratterizzazione dei poteri di controllo,propri dell'amministrazione finanziaria,in relazione al corretto adempimento degli obblighi tributari da
parte del contribuente
4)da una serie di caratteristiche,quali la presenza di una riserva di legge, della solidarietà, della mora del debitore, dei privilegi, della causa dell’obbligazione tributaria,
dell’interpretazione analogica e funzionale, della regola del solve et repete ecc.

-RAPPORTI CON LA SCIENZA DELLE FINANZE:


Per quanto riguarda i rapporti del diritto tributari ocon le altre scienze, è doveroso altresì fare un richiamo ai rapporti che il diritto tributario ha con la scienza delle finanze . Si tratta di
rapporti importanti, poiché lo studioso del diritto tributario non può prescindere dallo studio degli effetti economici dei tributi ,studio che è appannaggio degli studiosi della scienza delle
finanze.
Dunque il rapporto del diritto tributario sia con la scienza delle finanze ,sia con i risultati a cui quest'ultima perviene,è importante ogni qual volta si vogliano introdurre dei tributi e si
vogliano perseguire determinati effetti:è opportuno, prima dell'introduzione nell'ordinamento del nuovo tributo , avere conoscenza di quelli che sono gli effetti economici rappresentati
dall'introduzione medesima del tributo. Così quando si vogliono perseguire degli effetti di incentivazione o di disincentivazione è opportuno fare riferimento anche ai risultati della scienza delle
finanze.
Così ,ancora ,il rapporto con la scienza delle finanze risulta importante nel caso in cui si utilizzino concetti di derivazione economica che non abbiano un'adeguata qualificazione
nell'ambito del diritto tributario. Il problema si è posto,ad esempio , sui concetti classici di reddito e di plusvalenza: dal momento che tali concetti non sono stati adeguatamente
delimitati ,nella loro estensione,dal legislatore tributario, per la loro definizione e per la delimitazione del loro contenuto,si fa riferimento ai risultati interpretativi elaborati dalla scienza
delle finanze.

2.5- LA FRAMMENTAZIONE DEL SISTEMA TRIBUTARIO


-FRAMMENTAZIONE DEL SISTEMA TRIBUTARIO:
Al pluralismo politico,a pari livello,si accompagna anche la frammentazione della potestà normativa tributaria,nel senso che ormai il sistema fiscale si viene a configurare come la risultante di
diverse fonti normative,statali,regionali,locali e sovraordinati ,attinenti alla comunità europea e all'ambito internazionale.
Tali fonti sono correlate in vari modi ,ma quello che preme sottolineare è che non è possibile trasferire istituti e principi, concernenti il sistema statuale, in maniera automatica all'interno di sistemi
sovranazionali o regionali o locali.
Andiamo ora ad analizzare la frammentazione della normativa tributaria ,distinguendone i soggetti che l'hanno posta ,o pongono,in essere:
→ Per quanto concerne la normativa a carattere statuale ,sia a contenuto sostanziale che procedimentale,bisogna evidenziare che questa normativa si caratterizza per una continua
tensione dialettica tra due interessi contrapposti,ossia l'interesse generale alla riscossione di risorse ,necessarie al funzionamento dello Stato ,da un lato e,dall'altro lato,l'interesse,
contrapposto, al rispetto delle libertà individuali e del patrimonio personale.
La normativa statale è di conseguenza improntata ad una ricerca di equilibrio tra questi interessi contrapposti,quali l'interesse della collettività organizzata a reperire le
risorse necessarie al proprio funzionamento (interesse generale) e l'interesse al rispetto delle proprie libertà individuali (interesse individuale) e del proprio patrimonio.
In un caso di estremizzazione,l'interesse della collettività si viene a configurare come massimizzazione del carico fiscale ,mentre l'interesse contrapposto dell'individuo concerne a che il
tributo abbia il minor livello possibile.
Poniamo il caso in cui le norme sostanziali prevedano delle presunzioni a favore dell'amministrazione finanziaria: vi dovrà essere,come necessario contrappeso, a favore del contribuente,il
contraddittorio o la possibilità di dare la prova contraria.
→ Nell'ambito della finanza regionale vi è altresì questa tensione fra l'interesse alla riscossione e l'interesse individuale alla tutela del proprio patrimonio.
→ La fiscalità locale è invece improntata ad un criterio sostanzialmente di tipo corrispettivo,con ciò intendendo che si è chiamati a contribuire alle pubbliche spese in funzione delle utilità
che si sono ritratte dallo svolgimento dei servizi da parte dell'ente locale,con la conseguenza che i carichi pubblici sono ripartiti tra i consociati non soltanto sulla base della capacità
contributiva,ma anche sulla base del principio del corrispettivo o del beneficio. Tale principio del corrispettivo o del beneficio si sostanzia nel principio in virtù del quale il soggetto, che
risiede in un determinato territorio, sarà obbligato al pagamento di tributi locali, nella misura in cui acceda ad un determinato servizio ,o nella misura in cui benefici degli effetti di una
particolare opera realizzata dall'ente locale.
→ Per quanto riguarda infine le fonti sovranazionali in materia tributaria,va sottolineato che, in ambito comunitario, i tributi statali vengono considerati come un'ingerenza alle
quattro libertà fondamentali,inerenti alla libera circolazione delle merci,delle persone,dei servizi e dei capitali.
Non a caso infatti, le istituzioni europee tendono ad esercitare quella che viene definita come cd. fiscalità negativa,con ciò ad intendere che la loro azione è diretta al controllo
ed al contenimento di una competenza spettante alle autorità nazionali ,al fine di garantire il corretto funzionamento del mercato unico.

2.6-PRINCIPI GENERALI E FONDAMENTALI DEL DIRITTO TRIBUTARIO ATTUALE


-PRINCIPI COSTITUZIONALI IN MATERIA TRIBUTARIA:
L'importanza del fenomeno tributario, nell'ambito del nostro ordinamento, è dimostrata dalla presenza di principi,all'interno del nostro assetto costituzionale,che disciplinano la materia
tributaria. Ciò costituisce una peculiarità del nostro ordinamento ,poiché generalmente negli altri ordinamenti vi sono soltanto norme che prevedono una riserva di legge e non norme che
disciplinano il fenomeno tributario da un punto di vista sostanziale.
I principi presenti nella nostra costituzione si rinvengono negli artt. 53 e 23 Cost.,nonchè in altre norme costituzionali ,le quali disciplinano altri principi e valori ma che,in virtù del
principio di capacità contributiva di cui all'art. 53 Cost, devono necessariamente correlarsi.
Dunque i principi costituzionali in materia tributaria si ritrovano nei seguenti articoli:
→ art. 53 Cost.: l'art. 53 Cost. Esprime il principio della capacità contributiva e dispone che tutti sono tenuti a concorrere nelle pubbliche spese in ragione della loro capacità
contributiva. I principi desumibili da tale disposizione sono i seguenti:
1) il dovere di solidarietà riguarda tutti i consociati,anche i non residenti,i quali entrano in contatto con la collettività organizzata oper svolgere un attività ,o per il
fatto di possedere un bene nel territorio dello Stato. Si tratta di un dovere di solidarietà generale che impone a tutti i contribuenti,a tutti i consociati,residenti e non,
di concorrere alle pubbliche spese e dunque di versare quanto necessario al funzionamento dell'apparato pubblico.
Tale dovere generale di concorrere,come vedremo, è anche espressione del dovere generale di solidarietà politica,economica e sociale di cui all'art. 2 Cost., con ciò
intendendo che ,all'interno del dovere di solidarietà di cui all'art. 2 Cost., È compreso anche il dovere di concorrere alle pubbliche spese di cui all'art. 53 Cost.
2) Art. 53 comma 1 Cost. : viene stabilito un ulteriore principio,ossia la misura del concorso alle pubbliche spese (in astratto ovviamente). La misura del concorso alle
pubbliche spese è parametrata in funzione della capacità contributiva di ciascun contribuente,con ciò intendendo che ciascun contribuente,residente o
meno,deve concorrere alle pubbliche spese in ragione del dovere di solidarietà di cui sopra ed altresì in ragione della propria forza economica e ,dunque, della
propria possibilità di concorrere alle pubbliche spese.
Tale principio della capacità contributiva comporta la duplice conseguenza che,da un lato,sono esonerati dal contributo tutti coloro che hanno una capacità
contributiva inferiore al cd. Minimo vitale(ossia inferiore a quella capacità che consente solamente di adempiere ai bisogni minimi dell'esistenza), e, dall'altro lato,
che il contributo non può avere un'aliquota tanto elevata da essere sostanzialmente espropriativo (poiché in quel caso ricadremmo nelle norme costituzionali
concernenti l'espropriazione per motivi di pubblica utilità,con obbligo di corresponsione di un indennizzo)
3) art. 53 comma 2 Cost: un ulteriore principio desumibile dall'art. 53 Cost. è quello della progressività del concorso. Il sistema tributario è conformato secondo criteri di
progressività,per tali intendendosi quei criteri che consentono a tutti di concorrere alle spese pubbliche, in misura della propria capacità contributiva. Da ciò ne
consegue che l'aliquota marginale aumenta in misura più che proporzionale rispetto all'aumentare della capacità contributiva(questa è una caratteristica che
qualifica il sistema tributario nel suo complesso,dal momento che, individualmente considerando i singoli tributi,alcuni di essi sono chiaramente proporzionali,o addirittura
strutturati, con aliquota fissa;le imposte sui redditi devono essere progressive). La progressività adempie anche ad una funzione di redistribuzione del reddito tra i
consociati
4) ulteriore principio desumibile dall'art. 53 Cost. È quello dell'ammissibilità di agevolazioni. Tale ammissibilità delle agevolazioni può essere riscontrata
considerando l'art. 53 Cost. In combinato disposto con altri principi e valori costituzionali . La capacità contributiva,in quest'ottica,deve essere intesa da un punto
di vista relativistico e globale, dal momento che la stessa deve essere coordinata con altri principi e valori costituzionali(es. Può essere costituzionalmente legittima
una norma che preveda un'attenuazione del carico fiscale, al fine di tener conto della necessità di tutelare la salute dell'individuo ex art. 32 Cost.. .in merito,basti pensare alla
deducibilità delle spese mediche dal debito di imposta dei singoli contribuenti).
Con ciò si ammette che la capacità contributiva possa essere funzionalizzata al rispetto di altre norme e principi presenti all'interno della nostra carta
costituzionale,come nel caso ,ad esempio,della tutela del patrimonio storico e artistico della nazione, che consentirebbe ,a parità di forza economica e di distribuzione del
carico fiscale,di tener conto della necessità di destinare una parte del proprio reddito al restauro di beni con rilevante valore storico,artistico o culturale.
→ art. 23 Cost.: si tratta di una norma relativa alla formazione dell'ordinamento e contiene una riserva di legge.
Secondo tale norma nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge,con ciò intendendo che soltanto la legge ,o un atto ad essa
equiparato ,può introdurre una norma tributaria.
L'importanza del diritto tributario nel nostro assetto ordinamentale è data anche da tale articolo e rileva altresì notare che la prestazione tributaria,in questo contesto,si caratterizza per
il fatto di essere delimitata da una serie di regole e principi costituzionali ,posti a tutela sia dell'interesse dello stato al reperimento di risorse necessarie al suo
funzionamento,sia dei diritti e delle libertà del cittadino(o del soggetto non residente che viene in contatto con la collettività organizzata) ,il quale non può essere depauperato
del suo patrimonio oltre quanto consentito dalla sua capacità contributiva,seppur intesa in senso relativistico e globale. La prestazione tributaria ,pertanto, è di cotanta
importanza che non può essere rimessa alla volontà esclusiva del legislatore ordinario e da ciò ne consegue la presenza di principi costituzionali in materia tributaria.
→ art. 2 Cost: l'art. 2 Cost. Esprime il principio del dovere di solidarietà politica,economica e sociale. Esso ricomprende, al suo interno, anche il dovere di contribuire alle
pubbliche spese ,così come sostenuto dall' autorevole dottrina della Corte costituzionale
→ art. 3 co2 Cost.: principio di eguaglianza sostanziale . Il sistema fiscale ,attraverso il principio di progressività dell'imposizione di cui all'art. 53 comma 2 Cost. ,Persegue
anche finalità di promozione sociale ,permettendo finfatti il raggiungimento di quell'uguaglianza sostanziale prevista dall'art. 3 comma 2 Cost. .
Evidentemente il principio di progressività dell'imposizione ,assicurando che chi ha maggior capacità contributiva,al contempo contribuisce maggiormente al funzionamento della res
publica,consente ai meno abbienti di usufruire di quei servizi (scolastici,universitari e sanitari) che consentono a questi ultimi di raggiungere una situazione di parità rispetto ai cittadini più
abbienti.
Dunque,attraverso la leva fiscale ed attraverso la sua conformazione in senso progressivo ,il sistema tributario drena le risorse ,che vengono utilizzate per svolgere quei
servizi che dovrebbero assicurare l'eguaglianza sostanziale tra i cittadini,assicurando ,contemporaneamente, a tutti servizi primari, senza distinzione di censo (es. espressione
di tale eguaglianza sostanziale ,di rilievo in questo periodo, è sicuramente il SSN che,essendo alimentato da una contribuzione progressiva da parte dei consociati ,assicura a tutti lo
stesso livello di servizi ,a prescindere dalla capacità dei singoli consociati di poter sostenere finanziariamente questi servizi).
→ art. 97 Cost.
→ artt. 117 co.2 e 119 Cost.,i quali riferiscono i principi sopra esposti alla competenza legislativa ripartita fra Stato e regioni
I principi costituzionali appena elencati assolvono ad una duplice funzione
→ una funzione programmatica,in quanto indicano le linee di sviluppo del sistema legislativo nel suo complesso , in particolare in materia fiscale (es. la tutela della salute ex art. 32
consente al legislatore ,in virtù del combinato disposto con l'art. 53 cost. , di introdurre tributi cd ambientali, o tributi che comunque vanno ad influire sull'utilizzo delle risorse,ad esempio
scoraggiando lo svolgimento di attività inquinanti, oppure agevolando lo svolgimento di attività non inquinanti . Il legislatore è in tal modo indotto a conformare l'attività dello Stato in maniera
compatibile con la tutela del diritto alla salute)(es. Introduzione di tributi particolarmente gravosi sul consumo di tabacchi lavorati).
→ una funzione precettiva,dal momento che tali principi contengono parametri che devono essere rigidamente rispettati dalla legislazione ordinaria. Il primo tra tali parametri è
ovviamente il principio di capacità contributiva; da ciò se ne deduce che sarebbe costituzionalmente illegittimo un tributo non fondato sulla capacità contributiva delle
persone ,quanto,piuttosto, su un requisito fisico dei soggetti.
I suddetti principi costituzionali rivestono grande importanza altresì sotto il profilo dell'interpretazione e dell'applicazione della normativa fiscale. Le norme tributarie,infatti, possono e
devono essere interpretate tendenzialmente in una maniera costituzionalmente orientata,conformemente alla Costituzione. Da ciò ne consegue che, in sede di applicazione della
normativa tributaria, è necessario primariamente fare riferimento ai valori costituzionali sopra elencati e ciò deve essere fatto non soltanto con riferimento alle norme sostanziali del diritto
tributario,ma anche con riferimento alle norme procedimentali.
Proprio in questo ambito ,ossia nell'ambito dell'interpretazione della normativa tributaria in maniera costituzionalmente orientata, rileva particolarmente l'attività della Corte
Costituzionale,alla quale vengono sottoposte questioni di legittimità costituzionale della normativa tributaria:è infatti proprio la corte costituzionale che dovrà assicurare sia la coerenza
interna dei singoli tributi ,sia la coerenza esterna o funzionale dei singoli tributi,intendendo con quest'ultima la coerenza dei tributi con l'assetto ordinamentale nel suo complesso.
Spesso ,nel giudizio di valore della corte costituzionale, rientra anche la considerazione del cd. Interesse fiscale,ovvero anche di interessi che attengono alla conservazione della stessa
esistenza della comunità organizzata:con ciò si intende dire che la corte costituzionale è chiamata ad operare un bilanciamento di interessi tra la coerenza del singolo tributo e gli interessi
erariali,collegati soprattutto al gettito derivante da quel tributo.

-STATUTO DEI DIRITTI DEL CONTRIBUENTE:


I principi costituzionali in materia tributaria che abbiamo analizzato sono confluiti nella L. 212/2000,più propriamente conosciuta come Statuto dei diritti del contribuente.
Con la l. n. 212/2000 si è così finalmente realizzata quella legge tributaria generale, che altri paesi possiedono ,e che da noi ha assunto la denominazione di Statuto dei diritti
del contribuente. Essa introduce disposizioni che, dichiaratamente, costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario, rafforzate rispetto alla legge ordinaria poiché
possono essere derogate o modificate soltanto espressamente e mai da leggi speciali.
Tra i principi generali contenuti nello Statuto ,basti qui ricordare quelli in materia di chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie, quelli sulla loro efficacia temporale
(irretroattività), i principi in tema di informazione del contribuente, di conoscenza degli atti e loro semplificazione, quelli in materia di tutela dell’integrità patrimoniale, di tutela
dell’affidamento e della buona fede.
In definitiva può dirsi che le disposizioni dello Statuto abbiano introdotto ,nel nostro ordinamento, i principi di civiltà, di “parità delle armi” tra fisco e contribuente, da tempo vigenti nelle
democrazie occidentali.
Da alcuni spunti contenuti nello Statuto, soprattutto in tema di motivazione, di notificazioni, di comunicazioni, la dottrina e la giurisprudenza hanno poi ricavato i principi della partecipazione
del privato all’attuazione del tributo , del contraddittorio , con l’affermazione della conseguente invalidità degli atti emessi in violazione di tali principi.
Ciò è avvenuto di pari passo con la modifica della legge sul procedimento amministrativo e dall’altro con l’affermarsi nel diritto tributario dei principi dispositivi del diritto privato .

PARTE 2 – I PROFILI STATICI DELLA NORMA TRIBUTARIA


I profili statici della norma tributaria sono :
1) LE FONTI DEL DIRITTO TRIBUTARIO
2) L'EFFICACIA DELLE NORME TRIBUTARIE NELLO SPAZIO E NEL TEMPO
3) L'INTERPRETAZIONE DELLA NORMA TRIBUTARIA
4) LA STRUTTURA E LE TIPOLOGIE DELLE NORME TRIBUTARIE (questa sezione è rinviata a trattazione separata)

CAPITOLO 1- LA RISERVA DI LEGGE EX ART. 23 COST. E LE FONTI DEL DIRITTO TRIBUTARIO


1.1- LA RISERVA DI LEGGE EX ART. 23 COST.
-ART. 23 COST.:
L'art. 23 Cost. Dispone che “nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. Tale norma è rilevante non soltanto ai fini della definizione di prestazione
patrimoniale imposta,ma altresì ai fini dello studio delle fonti del diritto tributario,dal momento che l'art. 23 Cost. Esprime il principio secondo cui è nella legge,nonchè negli atti aventi
forza di legge,che devono trovarsi gli elementi essenziali dei tributi.
Per meglio analizzare la ratio di tale riserva di legge ex art. 23 Cost.,occorre ripercorrere l'evoluzione che l'obbligo del pagamento dei tributi ha avuto a livello storico e,dunque,i precedenti
storici della riserva di legge ex art. 23 Cost.:
→ nell'antichità,per la precisione nell'Alto Medioevo,le prestazioni tributarie non costituivano l'oggetto di obbligazioni autoritativamente imposte,bensì,piuttosto, un atto volontario di un
soggetto ,nato dal favore o dall'adorazione,nei confronti di un altro soggetto,ossia il principe o il feudatario
→ nell'esperienza inglese,con l'introduzione della Magna Charta Libertatum di Enrico III nel 1215,nonchè della Confirmatio Chartarum di Edoardo I nel 1297, nacque il principio del “ no
taxation without rapresentation”. Con l'affermazione del suddetto principio,la nobiltà inglese pretendeva di imporre al sovrano la necessità del proprio consenso al tributo (“nessuna
tassazione senza rappresentanza”),giacchè tale classe rappresentava quella parte di popolazione effettivamente incisa dal tributo. All'esperienza inglese viene altresì ricondotta
l'introduzione del controllo sull'impiego del gettito d'imposta ,ossia del controllo sulla gestione delle risorse finanziarie.
→ nell'esperienza nordamericana,il principio del “no taxation without rapresentation” è rinvenibile,oltre che nella costituzione federale americana del 1776,anche nella Costituzione della
Carolina del Nord,del Maryland e della Virginia
→ nell'esperienza francese, era stato sempre il sovrano a statuire l'imposta e ad attuarne il prelievo. Affinchè si possa parlare del principio del “ no taxation without rapresentation”,del
principio del consenso alla tassazione,bisogna risalire alla Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino del 1789,con particolare riferimento agli artt. 13 e 14: l'art. 13 affermava la
necessità di un contributo comune per le spese di amministrazione e per la forza pubblica ,di un contributo comune da ripartire in funzione delle proprie sostanze( evidente similitudine con
la capacità contributiva di cui all'art. 53 Cost.,per cui tutti sono tenuti a concorrere alle pubbliche spese in ragione della propria capacità contributiva); mentre,il successivo art.
14 ,disponeva che “ tutti i cittadini hanno il diritto di constatare,da loro stessi o mediante i loro rappresentanti,la necessità del contributo pubblico ed approvarlo liberamente,di controllarne
l'impiego e di determinare la quantità,la ripartizione e la durata”.
Vi è dunque,anche qui, al pari del principio di derivazione anglosassone,l'affermazione della necessità che i cittadini incisi dal contributo pubblico,ossia dal contributo necessario per
finanziare la spesa pubblica,hanno il diritto di constatare ,da loro stessi o mediante i loro rappresentanti,la necessità del contributo pubblico e di controllarne quantità,ripartizione e durata.
Dunque,con i suddetti articoli della Dichiarazione del 1789,emerge che sono gli stessi soggetti incisi dal prelievo fiscale ad avere il diritto ,attraverso i loro rappresentanti, di controllare che
siano istituiti ed introdotti ,nell'ordinamento, tributi necessari e funzionali al mantenimento,al funzionamento della cosa pubblica,e di controllarne altresì l'impiego e le modalità di ripartizione.
→ nell'Europa continentale,a seguito della Rivoluzione Francese,il principio del consenso alla tassazione ha assunto significati diversi: nelle monarchie costituzionali,nelle quali la
posizione del sovrano era costituzionalmente molto forte,tale principio fungeva da garanzia della sfera patrimoniale dei sudditi nei confronti del potere dell'esecutivo; di contro, negli Stati
parlamentari,ove il Parlamento aveva un ruolo preordinato rispetto all'esecutivo,tale principio fungeva da strumento di garanzia degli interessi patrimoniali dei cittadini nei confronti
dell'esercizio dei poteri di supremazia pubblici.
→ nell'esperienza italiana rileva l'art. 30 dello Statuto Albertino,il quale disponeva che “ nessun tributo può essere imposto se non è stato consentito dalle camere e sanzionato dal
Re”. La dottrina ha voluto ,sin da subito,includere nella formula dello statuto,due principi costituzionali,ossia quello della riserva di legge nell'istituzione di prestazioni imposte e quello della
necessaria approvazione del bilancio dello Stato con legge.
→sempre nell'esperienza italiana,dopo il 1948,vi è la formulazione dell'attuale art. 23 Cost.,secondo il quale nessuna prestazione ,personale o patrimoniale, può essere imposta se
non in base alla legge (viene da chiedersi perchè una prestazione ,patrimoniale o personale, non può essere imposta se non in base alla legge,dal momento che, astrattamente, sarebbe
anche sufficiente un atto della P.A.). L'art. 23 Cost., a differenza dell'art. 30 dello Statuto Albertino,comprende non soltanto il tributo nelle sue generalità,ma anche prestazioni imposte non
aventi carattere tributario (si pensi alle prestazioni personali imposte,come,ad esempio,il servizio di leva).
Passando all'analisi di un altro aspetto,possiamo osservare che,nel corso del tempo,la ratio dell'art. 23 Cost. È stata rinvenuta in elementi di volta in volta diversi:
→ si diceva che tale riserva fosse posta per via dei caratteri della generalità e dell'astrattezza propri della legge: tale ratio non è condivisibile,dal momento che oggi nessuno
dubita dell'ammissibilità delle cd. Leggi-provvedimento,le quali non sono generali e astratte,ma hanno al contrario contenuto individuale e concreto. Dunque, la ratio della riserva di legge ex
art. 23 Cost. Non è da ravvisare soltanto nella generalità e nell'astrattezza della legge,a fronte della individualità degli atti amministrativi che non siano generali ed astratti,poichè anche la
legge-provvedimento ,a contenuto individuale e concreto, può,entro certi limiti,introdurre un tributo.
L'unico limite alla legge-provvedimento ,nell'introduzione dei tributi, è rappresentato dall'eventuale violazione degli art. 3 e 53 della Costituzione: la legge-provvedimento ,che introduca un
tributo,sarebbe incostituzionale ,ad esempio, per violazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.,quando,ad esempio, si assoggettassero ad imposizione solo taluni soggetti ,a
danno di altri,quindi quando si vengano ad escludere altri soggetti,pur in presenza di uguali situazioni di fatto e di eguali manifestazioni di capacità contributiva.
→ secondo altri sarebbe rilevante il principio dell'auto-imposizione ,per cui la riserva di legge sarebbe una forma di tutela della sfera giuridico-patrimoniale dei soggetti incisi
dal tributo: con ciò si intende dire che sono i soggetti che devono concorrere alle pubbliche spese ,i quali, attraverso i propri rappresentanti in Parlamento(quindi attraverso la nozione di
legge),che sono chiamati a decidere delle forme dell'imposizione.
In merito a tale ratio si potrebbe obiettare che attualmente l'elettorato attivo spetta a tutti,anche alle minoranze ed ai soggetti meno abbienti,con la conseguenza che l'interesse tutelato ex
art. 23 Cost. non è di certo quello all'attenuazione del carico fiscale ,ma ,al contrario, qualora i ceti meno abbienti siano preponderanti, all'implementazione del carico fiscale .
L'implementazione del carico fiscale, evidentemente ,non andrebbe ad incidere sui soggetti maggioritari ,che eleggono i rappresentanti in Parlamento,ma sui soggetti minoritari,i quali
hanno un maggior censo.
→ ulteriore ratio è stata individuata nella tutela delle minoranze: le minoranze non troverebbero espressione nel Governo,ma,quantomeno, nel Parlamento,sicchè la legge
accentuerebbe l'idoneità a tutelare gli interessi delle minoranze rappresentate in Parlamento
→ ulteriore ratio ,sottesa alla scelta ,da parte del costituente, della riserva di legge ex art. 23 Cost., è stata ravvisata nella possibilità di sindacato della legittimità
costituzionale di una norma impositiva da parte della Corte Costituzionale.
Come ben si sa,nel nostro ordinamento non è consentito ,al privato o al giudice, di ordinare, o di disapplicare, una norma per contrasto con l'ordinamento costituzionale,ma vi è solo la
possibilità,per il singolo giudice,di sollevare la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte Costituzionale : con ciò si intende che il singolo giudice potrà ,evidentemente e
normalmente sollecitato dal contribuente,qualora ravvisi la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale di una norma (es.per contrasto con il principio di capacità
contributiva) ,sollevare la relativa questione dinanzi alla Corte Costituzionale,la quale potrà poi,eventualmente ,dichiarare l'illegittimità della norma costituzionale impositiva ,per contrasto
con il principio della riserva di legge ,o con il principio della capacità contributiva(come ad esempio nel caso in cui il legislatore abbia introdotto un tributo fondato sulla realizzazione di un
presupposto che non sia espressivo di forze economiche e dunque di attitudine alla contribuzione).
→ secondo ulteriore dottrina, la ratio sottesa al principio della riserva di legge sarebbe rappresentata dal principio democratico: tale interpretazione è in parte smentita dal
divieto ,previsto dall'art. 75 comma 2 Cost. ,Dei referendum abrogativi di leggi tributarie o di bilancio. Essendovi tale divieto,appare evidente che la ratio dell'art. 23 Cost. Non possa essere
in alcun modo ravvisata nel rispetto del principio democratico.
→ secondo ulteriore interpretazione, ciò che rileverebbe sarebbe non tanto la funzione rappresentativa degli organi investiti del procedimento legislativo,quanto, piuttosto, la
funzione di garanzia rappresentata dalla previsione di una disciplina procedimentale per l'attività legislativa
Attualmente ,la Corte Costituzionale,ha riconosciuto la funzione essenzialmente garantista dell'art. 23 Cost.,per cui tale articolo si porrebbe come limite della sfera di libertà personale e
patrimoniale del privato,di fronte all'imposizione autoritativa.
I problemi esegetici posti dall'art. 23 Cost. Sono i seguenti:
A)QUALI ATTI NORMATIVI POSSONO ESSERE QUALIFICATI COME LEGGE ,A NORMA DELL'ART. 23 COST.:
Il termine legge,rinvenibile all'interno del suddetto art. 23 Cost., indica non soltanto la legge statale ordinaria,la quale viene identificata in base ai criteri formali di cui agli artt.
71-74 Cost,ma anche
→ i decreti-legge
→ i decreti legislativi
→ le leggi regionali
→ le leggi provinciali,con riferimento alle Province autonome di Trento e di Bolzano
→ i regolamenti comunitari
B)QUALI ELEMENTI DELLA DISCIPLINA DELLA FATTISPECIE TRIBUTARIA DEBBONO ESSERE NECESSARIAMENTE RIMESSI A TALI ATTI,STANTE CHE LA RISERVA DI
LEGGE EX ART. 23 SI CONFIGUREREBBE COME UNA RISERVA DI LEGGE RELATIVA:
La riserva di legge ex art. 23 Cost. Si configura ,secondo un'interpretazione consolidata della Corte Costituzionale,come una riserva di legge relativa( di contro vi è autorevole
dottrina,come Fois,secondo cui tutte le riserve di legge previste dalla Costituzione italiana avrebbero carattere assoluto),comportando dunque la possibilità,per il legislatore,di
attribuire una parte della disciplina in materia tributaria ad atti normativi diversi dalla legge. Tale interpretazione della Corte Costituzionale deriverebbe dal fatto che il dettato attuale
dell'art. 23 Cost.,secondo cui “ nessuna prestazione,personale o patrimoniale,può essere imposta se non in base alla legge” ,si differenzierebbe dalla formulazione originaria del medesimo
art. 23 Cost., formulazione originaria in base alla quale “ nessuna prestazione,personale o patrimoniale,può essere imposta se non per legge”.
Le riserve di legge sono assolute se la disciplina di una determinata materia è rimessa in modo esclusivo alla legge (l'esempio ci viene fornito dalla riserva di legge ex art. 25
Cost.,in materia di sanzioni),mentre le riserve di legge sono invece relative se la legge può limitarsi a disciplinare le linee fondamentali della materia,rimettendone il
completamento a norme di rango inferiore. .
Dunque,essendo la riserva di legge ex art. 23 Cost. Una riserva di legge relativa,occorre definire la base legislativa,ossia quali elementi del tributo devono essere
necessariamente previsti dalla legge e quali elementi possono essere invece disciplinati da fonti subordinate.
Per giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale,gli elementi principali della fattispecie imponibile, che devono necessariamente essere
demandati alla legge o ad atto avente forza di legge , la cd. Base legislativa,sono rappresentati dai seguenti elementi:
1-i soggetti,sia soggetti attivi che soggetti passivi,ossia,rispettivamente , i soggetti nel cui patrimonio si riverberano gli effetti positivi connessi all'applicazione del tributo ed i
soggetti nel cui patrimonio si riverberano gli effetti decrementativi derivanti dalla applicazione del tributo
2-profilo sanzionatorio,che deve essere disciplinato dalla legge o da atto avente forza di legge, per effetto della riserva assoluta di legge di cui all'art. 25 Cost. E non della
riserva relativa di legge di cui all'art. 23 Cost.
3-La base imponibile,intesa quale parametro che misura la ricchezza imputabile al soggetto e che,nel caso di imposte sui redditi, è rappresentata dalla ricchezza posseduta
al termine del periodo d'imposta (es. esercente di una professione= reddito posseduto al termine del periodo d'imposta)
4-l'aliquota applicabile ,la quale può essere indicata anche in una semplice forchetta,demandando poi a fonti subordinate(es. Ente locale) di individuare l'aliquota
correttamente applicabile all'interno della forchetta prevista dal legislatore. Ad esempio,nel caso dell'ici ,era espressamente previsto che l'imposta comunale sugli immobili si
applicasse con un'aliquota compresa tra il 4 ed il 7 x1000,mentre ai singoli Comuni era lasciato il potere di determinare l'aliquota concretamente applicabile all'interno del
proprio territorio
5- le norme che costituiscono agevolazioni ed esenzioni:Secondo parte della dottrina, anche esenzioni ed agevolazioni dovrebbero necessariamente essere disciplinate
con legge o con atto avente forza di legge,quindi con fonte primaria. Ciò in quanti tali norme di favore porrebbero eccezioni o deroghe a fonti normative coperte da riserva di
legge. Secondo altra parte della dottrina,invece , agevolazioni ed esenzioni potrebbero essere previste anche con fonte subordinata ,ridondando ,le stesse,a beneficio del
contribuente.
Alla luce di quanto sopra esposto,possiamo osservare dunque che la riserva di legge ex art. 23 Cost. Non riguarda tutte le norme tributarie,ma soltanto le norme di diritto
sostanziale,per cui,oggetto della riserva di legge sono soltanto le norme impositrici,ossia le norme che definiscono i soggetti passivi,il presupposto,la base imponibile e la
misura del tributo (ed eventualmente le norme di favore).
Di contro,le norme formali,sia procedimentali che processuali,secondo parte della dottrina,possono essere demandate anche a una fonte subordinata.
La conseguenza operativa di tutto ciò è che evidentemente,nel caso in cui il legislatore introducesse nell'ordinamento un tributo,individuando gli elementi fondamentali,ma ,ad esempio, non
definendo correttamente ed esattamente il presupposto,il tributo,o meglio , la norma che introduce il tributo sarebbe costituzionalmente illegittima per violazione del principio della riserva di
legge,perchè laddove un presupposto,inteso come atto,fatto,situazione espressione di forza economica alla cui realizzazione un tributo non sia individuato esattamente,puntualmente dal
legislatore, e quindi qualora il presupposto fosse indeterminato,si lascerebbe troppo margine di scelta all'Agenzia delle entrate per l'accertamento del presupposto.
C)QUALI ATTI ,DI RANGO NON LEGISLATIVO (ES. REGOLAMENTI),POSSONO INTEGRARE LA DISCIPLINA POSTA IN ESSERE DALLA LEGGE IN MATERIA TRIBUTARIA ED IN
RELAZIONE A QUALI ELEMENTI:
Possiamo anticipare che,nello studio delle fonti del diritto tributario,l'unica fonte subordinata,che può interagire con una fonte di rango ordinario,quale una legge o un atto avente
forza di legge,è il regolamento.
Gli elementi della fattispecie imponibile che possono essere demandati a una fonte regolamentare sono: la concreta fissazione dell'aliquota,nel caso in cui la legge si sia
limitata a delimitarne l'estensione entro un minimo ed un massimo,la disciplina dell'accertamento e la disciplina della riscossione.
Una volta definito il contenuto della riserva di legge ex art. 23 Cost., possiamo andare a definire le fonti del diritto tributario,ossia quegli atti che possono disciplinare la fattispecie imponibile.

1.2- LE FONTI DEL DIRITTO TRIBUTARIO: LE FONTI INTERNAZIONALI E COMUNITARIE


-FONTI COMUNITARIE:
Oltre alle fonti cd. Interne,quali la Costituzione,le leggi costituzionali,le leggi ordinarie ,gli atti aventi forza di legge e le fonti di rango secondario,non possiamo dimenticarci di quelle fonti che si trovano
in posizione di supremazia rispetto alle fonti cd. interne-salvo i limiti che vedremo- ,ossia delle fonti comunitarie ed internazionali.
Per quanto riguarda le fonti comunitarie del diritto tributario,esse costituiscono quelle fonti che sono individuabili nell'ambito della normativa dell'Unione Europea.
Prima di addentrarci nell'analisi di tali fonti comunitarie,occorre primariamente esaminare un problema,ossia quello relativo al rapporto tra le fonti comunitarie e la riserva di legge ex art. 23 Cost.
. Difatti ,se è vero che l'art. 23 Cost. Dispone che nessuna prestazione,personale o patrimoniale, può essere imposta se non in base alla legge,occorre domandarsi come la normativa
comunitaria in materia tributaria possa essere efficace nel nostro ordinamento.
Secondo la Corte costituzionale, le fonti comunitarie sono efficaci all'interno del nostro ordinamento non attraverso la valvola dell'art. 23 Cost.,bensì ,piuttosto, attraverso la previsione
dell'art. 11 Cost., in virtù del quale “lo Stato consente,a condizioni di reciprocità con gli altri stati,a quelle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicura la pace e la giustizia tra le
nazioni” . In altre parole,attraverso la norma di cui all'art. 11 Cost., lo Stato autolimita la propria potestà impositiva, demandando una parte della stessa ad organismi sovranazionali,che quindi
acquisiscono una potestà impositiva,per tale intendendosi una potestà di disciplinare fattispecie impositive che coinvolgono tutti gli Stati membri dell'Unione europea.
Un altro aspetto di rilievo concerne i rapporti che si vengono ad instaurare tra le fonti comunitarie e le fonti interne del diritto tributario:
→ secondo la Corte di Giustizia europea,il diritto comunitario e gli ordinamenti nazionali rappresenterebbero un unico sistema: le norme dell'Unione Europea prevarrebbero sulle norme
nazionali,le quali,di conseguenza,non dovrebbero essere applicate. Il primato del diritto comunitario venne affermato dalla Corte di Giustizia,per la prima volta,con una sentenza del 1964
(Costa. c. Enel) e venne poi ribadito con una sentenza del 1978 (Simmenthal). La Corte di Giustizia ha qui ribadito che,in forza della preminenza del diritto comunitario,le disposizioni del
Trattato,nonchè gli atti delle istituzioni,qualora siano direttamente applicabili,rendono inapplicabile,ipso iure,qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale preesistente
e ,oltre a ciò,impediscono la formazione di nuovi atti legislativi nazionali incompatibili con le norme comunitarie.
→ secondo la Corte Costituzionale,il diritto comunitario e gli ordinamenti nazionali sarebbero sistemi distinti,ma al contempo coordinati: da ciò ne discenderebbe che le norme europee
rimarrebbero estranee al sistema delle fonti interne,ma il giudice nazionale,agendo come giudice dell'U.E.,dovrebbe applicare la norma di provenienza comunitaria e non applicare la norma
interna. Questo è quanto emerge da una sentenza del 1984,ossia la sentenza Granital,in cui la Corte Costituzionale ha disposto che,nelle materie riservate alla comunità,il giudice ordinario
deve assicurare la piena e continua osservanza delle norme comunitarie direttamente applicabili (regolamenti),senza tener conto delle leggi nazionali,anteriori o successive,eventualmente
confliggenti,quindi senza che vi sia la necessità di far dichiarare l'illegittimità costituzionale di queste ultime.
Le fonti comunitarie, nell'ambito dell'Unione europea ,possono essere distinte in :
A) FONTI COMUNITARIE PRIMARIE: sono le disposizioni contenute nel trattato istitutivo dell'UE (Trattato sull'Unione Europea) e nei vari atti che l'hanno successivamente
modificato ed integrato,quali,ad esempio,il TFUE (ossia il trattato sul funzionamento dell'unione europea),la Carta di Nizza (ossia la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
Europea),la CEDU(ossia la Carta Europea dei Diritti dell'Uomo)
Vi sono alcune norme ,di carattere fondamentale, che attengono alla materia tributaria, tra le quali rilevano:
→ gli artt. 28 e 30 del TFUE ,che prevedono il divieto di applicare tributi,dazi o tasse per l'attraversamento delle frontiere tra gli Stati membri dell'UE. In questi articoli è
dunque previsto espressamente che gli Stati membri non possono imporre tributi per l'attraversamento degli Stati membri;questo limite è stato poi esteso,dalla Corte di
Giustizia Europea, anche all'attraversamento delle Regioni infraunionali,ossia alle regioni dei singoli Stati. Tale divieto trova la sua ratio nel fatto che l'obiettivo delle fonti
comunitarie è quello di preservare il libero gioco della concorrenza,facendo sì che dunque non vi siano ostacoli al libero mercato all'interno dell'UE.
→ gli artt. 110 e 111 TFUE:Sempre in quest'ottica di fiscalità negativa,per cui le fonti comunitarie si preoccupano soprattutto di evitare che le norme tributarie dei singoli stati
ostacolino la libera concorrenza e che quindi alterino il libero gioco del mercato all'interno dell'UE, sono da considerare altre due norme ,previste dagli artt. 110 e 111 TFUE,i
quali prevedono rispettivamente:
1)il divieto di applicare, ai prodotti che vengono dagli altri stati dell'UE all'interno del nostro ordinamento, tributi maggiori di quelli applicati a prodotti similari di
provenienza interna (quindi divieto di applicare ai prodotti importati un'imposizione maggiore rispetto a quella applicata all'interno sui prodotti dei soggetti
residenti,art 110 tfue)
2)l'art. 111 tfue contiene invece una norma speculare rispetto a quella ex art. 110 TFUE,ossia il divieto di concedere ,ai prodotti esportati, un ristoro
dall'imposizione maggiore dell'imposizione effettivamente gravante sugli stessi altri beni del mercato interno. Questo è il cd. Divieto di dumping,ossia il divieto di
incentivare le esportazioni concedendo ai prodotti esportati un ristoro dall'imposizione maggiore dell'imposizione effettivamente applicata sugli stessi all'interno
del mercato dello stato di provenienza
→ art. 97 TUE: Altra norma fondamentale è rappresentata dall'art. 97 del Trattato istitutivo dell'UE ,che istituisce un'imposta sulla cifra d'affari . Questa è la norma sulla base
della quale sono state date le varie direttive che hanno dapprima introdotto,poi disciplinato, l'imposta sul valore aggiunto (IVA),la quale è il tributo unionale, o comunitario che
dir si voglia, per eccellenza. L'imposta sul valore aggiunto costituisce dunque un tributo di origine comunitaria ,che viene dunque disciplinato in maniera pressoché analoga in
tutti gli stati dell'UE.
→ art. 99 TUE: È da ricordare,anche se ha avuto meno successo, l'art. 99 del trattato istitutivo dell'UE,il quale prevede l'adozione,da parte del Consiglio UE, delle disposizioni
dirette ad armonizzare le legislazioni in materia di imposte indirette. Come vedremo,questa disposizione ha avuto un'attuazione abbastanza limitata.
B) FONTI COMUNITARIE DERIVATE: fonti comunitarie derivate sono gli atti normativi emessi dagli organi dell'Unione Europea,nell'ambito delle quali possiamo distinguere,con
effetti diversi:
1)regolamenti:a norma dell'art. 288 TFUE,i regolamenti hanno una portata generale(con ciò intendendo che si rivolgono a categorie di destinatari determinate in modo
astratto),sono obbligatori in tutti i loro elementi( con ciò intendendo che devono essere applicati in modo integrale) e sono,infine, direttamente applicabili in ciascuno degli Stati
membri(la diretta applicabilità dei regolamenti indica che gli stessi entrano immediatamente in vigore in tutti gli Stati membri dell'UE,rendendo non più applicabili le norme
nazionali). I regolamenti dunque prevalgono sulla legislazione interna,la quale non potrà e non dovrà emanare norme per recepirli (altrimenti se ne occulterebbe la
provenienza),essendo limitata,qualora ciò sia espressamente previsto dai regolamenti stessi,a poterne dare norme di attuazione
2)le direttive: le direttive hanno una portata più generale e vincolano il legislatore dei singoli stati al raggiungimento del risultato,per cui lo stesso è chiamato ad attuare la
direttiva,potendo però la forma,i mezzi di attuazione ed i tempi di attuazione (all'interno di un limite temporale generalmente previsto). Il limite temporale di attuazione di una
direttiva è particolarmente rilevante perchè,nel caso in cui la direttiva sia sufficientemente chiara,precisa ed analitica ed ,al contempo, sia evidentemente scaduto il tempo
previsto per l'attuazione, senza che tale attuazione ,da parte di uno Stato membro, vi sia stata,la direttiva,essendo una direttiva cd. Self-executing,è direttamente applicabile
all'interno dello Stato inadempiente.
Tali principi sulle direttive europee sono stati recepiti anche dalla giurisprudenza italiana: basti pensare alla diretta applicabilità delle direttive che impongono ai singoli Stati
soltanto degli obblighi negativi e alla diretta applicabilità delle direttive che prevedono delle esenzioni
3)le decisioni: Le decisioni sono atti dell'Unione Europea che riguardano casi specifici. Esse sono simili ai provvedimenti amministrativi,hanno effetto diretto e sono
obbligatorie per i destinatari ivi indicati. Tra queste decisioni,hanno particolare rilievo,in materia tributaria:
→ le decisioni della Commissione europea: si tratta di decisioni che ordinano agli Stati di revocare dei benefici fiscali,in quanto gli stessi sarebbero aiuti di
Stato non compatibili con il TFUE.
→ le decisioni della Corte di Giustizia europea,le quali hanno efficacia diretta negli ordinamenti degli stati membri
C)SOFT LAW:Altra fonte comunitaria,pur trattandosi di una fonte con valenza meno pervasiva,è rappresentata dalla cd. Soft law. La Soft Law è costituita da
raccomandazioni,decisioni,pareri e guidelines ,che non hanno valore di norme in senso stretto e tecnico,non essendo le stesse vincolanti,ma che hanno, sicuramente ,un
valore persuasivo,dal momento che le stesse,in primo luogo,vengono adottate da organi dell'Unione Europea,e dal momento che ,in secondo luogo, l'osservanza delle stesse
per un tempo continuo da parte degli Stati membri ,può trasformare tali norme,appartenenti alla cd. Soft law, in norme appartenenti al diritto tributario consuetudinario. Per
questa via, diventando norme comunitarie a carattere consuetudinario,le norme della soft law potrebbero diventare norme in senso stretto e tecnico,divenendo così vincolanti per i singoli
Stati membri.

-FISCALITA' NEGATIVA:
La fiscalità comunitaria assume una valenza di fiscalità negativa,dal momento che la stessa si preoccupa soprattutto di evitare che l'esercizio del potere impositivo, da parte dei singoli
stati unionali, alteri il funzionamento del mercato all'interno dell'Unione Europea.
Dunque, la fiscalità unionale si preoccupa soprattutto di espungere ,dall'ordinamento, quelle determinate norme ,espressione della potestà impositiva dei singoli stati ,che alterano
l'esercizio delle 4 libertà fondamentali.
In quest'ottica vanno interpretate ,altresì, quelle norme di origine comunitaria che prevedono espressamente il divieto di aiuti di Stato,ossia il divieto,per i singoli stati, di concedere
agevolazioni che ,per il fatto di essere limitate a determinate attività o a determinate aree geografiche ,possono alterare la concorrenza tra gli operatori dei vari stati.
I cd. Aiuti di stato sono ammissibili solamente se de minimis,ossia se gli stessi sono contenuti entro limiti quantitativi molto ristretti. Sono tuttavia ammesse,a favore degli Stati membri, singole
agevolazioni,anche se è bene osservare che un'agevolazione che potrebbe costituire aiuto di stato, deve essere notificata alla comunità europea e e sarà poi la stessa comunità europea
a poter autorizzare,in casi eccezionali, i singoli aiuti di stato o le singole agevolazioni.
Sempre nell'ottica di una fiscalità negativa, si inquadra il divieto di nuovi monopoli,ossia il divieto di esercizio di attività economiche in regime di monopolio o di esercizio di attività ,diverse da
quelle già esercitate in regime di monopolio al momento dell'approvazione del trattato istitutivo dell'UE.
Il modello dunque risultante dall'applicazione di norme di origine comunitaria costituisce un modello di integrazione negativa,ossia un modello che tende ,o che si limita, ad espungere
dai singoli ordinamenti quelle norme che alterino il libero funzionamento del mercato all'interno dell'Unione Europea.
Pur non essendovi un sistema fiscale comune,vi è comunque l'attenzione,da parte degli organi unionali, verso un prelievo fiscale che sia sostanzialmente ,o almeno tendenzialmente,
omogeneo,anche se,a ben vedere, i settori armonizzati sono rappresentati esclusivamente dall'imposta sul valore aggiunto,dalle accise e dalle imposte sul consumo,mentre- e questo
costituisce una nota dolente- non vi è alcuna armonizzazione, a livello comunitario, per quanto riguarda le imposte dirette sui redditi,pur essendo state emanate una serie di direttive volte ad
eliminare quelle norme che alteravano il libero funzionamento delle forze del mercato e direttive disciplinanti alcuni aspetti della vita delle imprese,come ,ad esempio, la direttiva sulle fusioni,sulle
scissioni e sui relativi gettiti fiscali applicabili , o,ancora,le direttive che si occupano di royalties,canoni, e direttive in materia di abuso. Quindi,per quanto riguarda le imposte dirette sui
redditi,l'intervento comunitario è abbastanza limitato,occupandosi di settori molto specifici ,con finalità evidentemente anti-elusiva.

1.2- LE FONTI INTERNE


1.2.1- LE FONTI DI RANGO PRIMARIO
-ELEMENTI DISCIPLINABILI DA FONTI DI RANGO PRIMARIO:
Possiamo ricordare brevemente,per continuità di argomenti,che la riserva di legge di cui all'art. 23 Cost. È ,per l'appunto, una riserva relativa e non una riserva assoluta,con la
conseguenza che la legge o l'atto avente forza di legge può limitarsi ad indicare quelli che sono gli elementi fondamentali della fattispecie imponibile.
La corte costituzionale ha posto ,in merito agli elementi essenziali della fattispecie imponibile ,che debbono essere disciplinati dalla legge o da altro atto avente forza di
legge,un criterio di carattere generale ,secondo il quale, le norme imposte con legge ,o con atto avente forza di legge, devono essere sufficientemente precise ed
analitiche,così da impedire l'eccessiva discrezionalità della P.A. . In altre parole,affinchè sia rispettato il requisito della riserva di legge ex art. 23 Cost.,le norme tributarie introdotte
devono vincolare l'attività della P.A .,la quale, a sua volta,deve limitarsi ,nell'ambito della sua attività accertativa ,ad applicare quanto previsto dal legislatore.
Da ciò nasce la necessità che gli elementi fondamentali siano disciplinati in maniera sufficientemente analitica,con riguardo a:
→ soggetti passivi del tributo: sono i soggetti il cui patrimonio subisce un decremento per effetto dell'applicazione della norma. Sia i soggetti attivi che i soggetti passivi del
tributo ,in quanto elementi essenziali della fattispecie imponibile,devono essere disciplinati da una legge o da un atto avente forza di legge,non potendosene dunque
demandare la trattazione a fonti subordinate.
→ base imponibile e presupposto del tributo: ricordando che il presupposto è costituito da quell'atto ,fatto,o situazione ,espressivo di forza economica,al realizzarsi del
quale si rende dovuto il tributo (es. possesso di un reddito,di un immobile,consumo o trasferimento di un bene),osserviamo che vi deve essere coerenza tra base imponibile e
presupposto,con ciò intendendo che tali elementi devono esprimere la stessa capacità contributiva,la stessa forza economica.
Per fare un esempio: se il presupposto dell'imposta sui redditi è il possesso di un reddito,la base imponibile deve essere rappresentata dalla quantità di reddito posseduto al
termine del periodo d'imposta. Per fare un altro esempio,questa volta attinente all'imposta di registro: il presupposto è qui rappresentato dall'alienazione di un bene
immobile,mentre la base imponibile può essere rappresentata dal valore del bene trasferito.
→ l'aliquota: l'aliquota è disciplinata solo sommariamente dalla legge o da altro atto avente forza di legge,rendendosi dunque necessario che sia stabilita soltanto una
forchetta ,un minimo ed un massimo entro i quali fissare concretamente il valore percentuale dell'aliquota. Dunque la concreta determinazione dell'aliquota viene solitamente
demandata a fonti subordinate,con particolare riferimento ai regolamenti,anche per consentire alle regioni ed agli altri enti locali l'espletamento della loro limitata autonomia
(es. per quanto riguarda l'imposta comunale sugli immobili,ossia l'ICI,era prevista per legge un'aliquota compresa tra il 3 ed il 7 x1000 ,ma poi era demandato al singolo
comune individuare l'aliquota concretamente applicabile all'interno del proprio territorio,sempre nell'ambito della forchetta previamente individuata dal legislatore).
→ agevolazioni ed esenzioni:un problema più complicato riguarda l'individuazione delle fonti delle agevolazioni e delle esenzioni. Le agevolazioni consistono in regimi
agevolati previsti per determinate fattispecie e le stesse possono essere distinte in agevolazioni di tipo soggettivo e in agevolazioni di tipo oggettivo ,a seconda che abbiano
ad oggetto,rispettivamente , fattispecie agevolative connesse alle qualità del soggetto ,oppure connesse all'oggetto dell'attività esercitata. In merito vi è un dibattito:
a)Secondo parte della dottrina,per quanto riguarda i regimi cd. Di favore, ossia esenzioni ed agevolazioni, non sarebbe necessario che tali
agevolazioni siano previste con legge ,o con atto avente forza di legge perchè essendo le stesse delle norme di favore, non vi sarebbe un'esigenza di
garanzia nei confronti del potere legislativo e nei confronti dell'amministrazione.
b) Secondo altra parte della dottrina invece,le esenzioni potrebbero essere previste anche con fonte subordinata, in particolare con regolamento
delegato,così come è accaduto per l'ici e per alcuni tributi locali.
c)Secondo un'ulteriore impostazione,viceversa,dal momento che i trattamenti di favore, quali agevolazioni ed esenzioni, attengono comunque alla
fissazione del presupposto d'imposta,ponendosi come derogatori rispetto allo stesso ed alla disciplina dello stesso,dovrebbero comunque essere
previsti con legge o con atto avente forza di legge, poiché anche tali trattamenti di favore concorrerebbero alla determinazione del presupposto.
Tale impostazione trae spunto dalla considerazione che trattamenti di favore ,come agevolazioni ed esenzioni, sono legittimi nell'ordinamento soltanto perché gli
stessi non sarebbero effettivamente espressivi di una minore capacità contributiva solamente ,trovando gli stessi la loro ratio in altri principi e valori ,tutelati a
livello costituzionale. Dunque, la rilevanza di tali altri e diversi valori tutelati a livello costituzionale ,dovrebbe trovare ingresso ,nella disciplina della fattispecie
imponibile, sempre attraverso il filtro della legge o dell'atto avente forza di legge. In altre parole,secondo tale orientamento, esenzioni ed agevolazioni
concorrono,come le norme a carattere impositivo in senso stretto, a determinare l'individuazione del presupposto imponibile,per cui sono assoggettati a
tassazione determinati atti,fatti e situazioni ,salvo quelle connesse ad altri valori costituzionali,come ,ad esempio, la tutela della salute o del patrimonio storico ed
artistico della nazione o dell'ambiente. Di conseguenza, anche a parità di capacità contributiva,qualora vi siano situazioni che possono coinvolgere l'attuazione di
altri valori costituzionali,il legislatore introduce dei trattamenti di favore ,i quali, tuttavia,concorrendo alla delimitazione del presupposto imponibile,nel senso di
escludere da tale presupposto taluni atti e situazioni poiché concernenti altri valori costituzionali, dovrebbero comunque essere realizzati attraverso la legge .
Di contro,secondo la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria ,sono senz'altro demandabili a fonti subordinate,ossia ai regolamenti ,quelle porzioni di disciplina che
attengono all'accertamento ed alla riscossione dei tributi,sempre previa fissazione ,da parte della legge o di atto avente forza di legge, dei principi e criteri direttivi .
Dunque ,le fasi dell'accertamento e della riscossione dei tributi ,possono essere demandate ,nella loro disciplina, a fonti subordinate,in particolare a regolamenti,previa
fissazione ,da parte della legge ,dei criteri e principi direttivi,i quali ,a loro volta,devono essere necessariamente fissati in maniera sufficientemente cogente,chiara e
precisa ,in maniera tale che si venga definitivamente ad assoggettare ad imposizione ,sia nell'an che nel quantum,quella stessa capacità contributiva che si sia intesa
assoggettare ad imposizione anche livello di norme definitorie del tributo. Da ciò ne discende che il principio di legalità ed il principio di capacità contributiva devono presidiare non
soltanto la fase di istituzione dei tributi,ma anche la fase di attuazione dei tributi ,sicchè è compito del legislatore ,comunque ,assicurarsi che la capacità contributiva, assoggettata
definitivamente e concretamente a imposizione, sia la stessa che si sia voluta assoggettare ad imposizione a livello astratto, attraverso l'introduzione di norme di carattere generale. Un
esempio,per chiarire questa problematica: è evidente che se non sono introdotti principi e criteri direttivi nel demandare a fonti subordinate quali ad esempio la fase dell'accertamento o
della riscossione,posti dei principi di carattere generale che definiscono in astratto la fattispecie imponibile,quindi ad esempio assoggettare ad imposizione il reddito derivante dall'esercizio
di attività di lavoro autonomo,come ad esempio quella di avvocato,se poi nel disciplinare la fase dell'accertamento e della riscossione demandate a fonti subordinate si introducono norme
di favore per l'amministrazione che ad esempio attraverso l'introduzione di presunzioni pro-fisco determinano,consentono all'amministrazione di presumere l'esistenza di un reddito in realtà
non effettivamente conseguito. Ecco che ,modulando la fase dell'accertamento ,si arriva all'individuazione di un presupposto d'imposta ,diverso da quello effettivamente voluto
assoggettare ad imposizione , perchè è evidente che l'individuazione di una presunzione pro-fisco inverte l'onere della prova e ,laddove la presunzione non sia fondata su un'inferenza
logica ragionevole,agevola enormemente,nella migliore delle ipotesi, l'attività dell'amministrazione e ,nella peggiore delle ipotesi, rende invece impossibile l'esercizio della prova contraria
da parte del contribuente. Se ,ad esempio, si introduce ,nell'accertamento, una norma che prevede che ,nel caso di esercizio dell'attività di lavoro autonomo ,si presume ,per almeno 6
mesi del periodo d'imposta, il conseguimento di un reddito pari ad almeno il 100% di quello stabilito ,ossia di quello derivante dall'applicazione di certi parametri,si consentirebbe una
determinazione della ricchezza diversa da quella effettivamente conseguita.
Le stesse considerazioni,mutatis mutandis, possono anche valere per la fase della riscossione: se la legge non pone ,non fissa ,dei principi e criteri direttivi abbastanza determinati ed
analitici ,ma demanda a fonti subordinate ,quali il regolamento ministeriale ,la disciplina di alcune fasi della riscossione,allora a,nche qui,laddove questi criteri e principi direttivi non siano
sufficientemente analitici,si consentirebbe l'approvazione di norme che agevolano talmente tanto la riscossione (di quanto dovuto da parte della PA) che si arriva,o si potrebbe arrivare,ad
un prelievo non proporzionato alla capacità contributiva effettivamente manifestata. Così ,ad esempio,se si consente alla fonte subordinata ,non sufficientemente limitata dalla legge
primaria,di introdurre,ad esempio, il diritto ,per l'agente della riscossione, di iscrivere ,in caso di inadempimento da parte del contribuente, ipoteca sui beni del debitore per un valore pari a 5
volte del debito per cui si procede,è evidente che si colpisce,o si può colpire, una capacità contributiva sproporzionata rispetto a quella effettivamente manifestata dal presupposto
realizzato dal contribuente. Quindi è necessario che il principio di legalità ed il principio di capacità contributiva caratterizzino non soltanto la fase astratta di introduzione di norme a
rilevanza tributaria,ma anche le fasi ,più concrete, di attuazione dei tributi ed ,in particolar modo, le fasi di accertamento ,le fasi di rettifica delle dichiarazioni presentate e le fasi di
riscossione di quanto dovuto.

(Costituzione,leggi costituzionali)

-LEGGI TRIBUTARIE STATALI:


Fonti del diritto tributario sono,principalmente,le leggi e gli altri atti aventi forza di legge. In tal senso si esprime la riserva di legge di cui all'art. 23 Cost. . Le leggi ordinarie dello
Stato,quando contengono norme in materia di imposizione tributaria,non contengono alcuna particolarità con riguardo alla loro formazione ed approvazione: difatti si applicano gli artt. 70
e ss. Cost. . Va tuttavia osservato che:
→ le leggi tributarie,a norma dell'art. 75 comma 2 Cost. ,non possono essere abrogate con referendum popolare,giacchè ciò altererebbe l'equilibrio del bilancio
→ le leggi che contengono disposizioni tributarie di favore,potendo configurarsi come aiuti di Stato,a norma dell'art. 108 TFUE,devono essere autorizzate dalla Commissione
europea,sicchè lo Stato membro interessato non potrà dare esecuzione alle misure progettate fino al momento in cui la procedura non sia giunta alla sua decisione finale (cd. Clausola di
stand still)
→ sono ammesse anche leggi tributarie che si configurino come leggi-provvedimento,ossia leggi riguardanti un caso concreto: la loro legittimità è subordinata al rispetto
degli artt. 3 e 53 Cost.,che vietano discriminazioni irragionevoli ed ingiustificate
-STATUTO DEI DIRITTI DEL CONTRIBUENTE:
Una peculiarità del nostro ordinamento ,in materia di diritto tributario, è rappresentata dalla vigenza di un atto normativo che ha una valenza pseudo-costituzionale o ,comunque, rafforzata
rispetto alle leggi ordinarie: stiamo parlando dello Statuto dei diritti del contribuente ,approvato con la L. 212/2000 .
Lo Statuto dei diritti del contribuente può essere suddiviso in due parti:
1)la prima parte,costituita dagli artt. 1-4, concerne le fonti,ossia la legge tributaria
2)la seconda parte,artt. 5 e ss., disciplina i rapporti tra fisco e contribuente
La dottrina,nonchè parte della giurisprudenza, considera lo Statuto dei diritti del contribuente come una legge quasi-costituzionale,come una legge rafforzata,dal momento che lo
Statuto,pur avendo forma di legge ordinaria(quindi pur non essendo una legge costituzionale) e pur essendo approvat con i procedimenti previsti dagli artt. 70 e 74 Cost., contiene, come
espressamente affermato nel medesimo art. 1, i principi generali dell'ordinamento tributario e contiene, in particolare, due clausole di salvaguardia ,rafforzative della propria efficacia.
Soprattutto,lo stesso Statuto si configura come una legge avente un'efficacia quasi-costituzionale ,o rafforzata ,perchè,secondo quanto statuito dall'art. 1 , lo Statuto si pone in attuazione degli
artt. 3,23,53 e 97 Cost.,con ciò intendendo che lo stesso si pone in diretta attuazione , rispettivamente, dei principi di eguaglianza ,di riserva di legge,di capacità contributiva e di buon
andamento ed imparzialità della PA.
All'interno dello Statuto dei diritti del contribuente,le clausole di rafforzamento della propria efficacia ,o,per meglio dire,le clausole di salvaguardia,sono due e sono le seguenti:
→ l'art. 1,comma 2 ,il quale dispone espressamente che le norme dello Statuto possono essere derogate o modificate solo in maniera espressa e mai con leggi speciali. Da ciò
ne discende il divieto di deroghe o modifiche implicite. Le norme statutarie possono essere derogate o modificate,ma solamente in maniera espressa e attraverso leggi generali.
→ l'art. 2 ,il quale dispone che l'adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria,qualificando come
tali le disposizioni di interpretazione autentica. Posto che le norme di interpretazione autentica hanno fisiologicamente efficacia retroattiva,dato che esse chiariscono ,e talvolta
estendono, l'ambito applicativo di una norma introdotta nel passato,è bene osservare che di questo strumento,soprattutto in materia tributaria,il legislatore ha fatto abuso,mascherando,
attraverso la forma delle norme di interpretazione autentica , norme che in realtà erano innovative ed irretroattive. In considerazione di quanto sopra detto ,il legislatore statutario è
intervenuto espressamente ,disponendo che le norme di interpretazione autentica possono essere introdotte solo in casi eccezionali ,con legge ordinaria che sia espressamente qualificata
come norma di interpretazione autentica

-DECRETI LEGISLATIVI:
Atto avente forza di legge, che può integrare la riserva di cui all'art. 23 Cost., È rappresentato dal decreto legislativo. Il principio della delegazione legislativa è desumibile dall'art. 76
Cost.,il quale dispone che “l'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al governo se non con la determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato ed oggetti
definiti”.
Dunque , il Parlamento può delegare al governo l'esercizio della funzione legislativa,ma solamente attraverso la previa individuazione dei criteri e principi direttivi e soltanto per un tempo
limitato e per oggetti ben definiti,fermo restando che il Parlamento rimane comunque titolare del potere legislativo,sicchè lo stesso può revocare,sia esplicitamente che
implicitamente,legiferando sulla stessa materia delegata ,la delega concessa.
È bene osservare che la delegazione della funzione legislativa al Governo deve rispettare non soltanto i paletti posti dall'art. 76 Cost.,in base al quale la legge di delega deve contenere
determinati principi e criteri direttivi, deve precisare il tempo e la materia oggetto della delegazione,ma anche i vincoli posti dall'art. 23 Cost.,in base al quale nessuna
prestazione,personale o patrimoniale,può essere imposta se non in base alla legge.
Alla luce di quanto disposto dall'art. 23 Cost. Ed alla luce della necessarietà che taluni elementi della fattispecie imponibile siano regolati dalla legge o da altro atto avente forza di legge, bisogna
domandarsi se gli elementi fondamentali della fattispecie imponibile ,di cui all'art. 23 Cost. ,Debbano già essere contenuti nella legge di delega ,ovvero se gli stessi possano essere
contenuti direttamente nel decreto legislativo, di attuazione della legge delega. In parole povere gli elementi fondamentali della fattispecie imponibile che devono essere necessariamente previsti
con legge ex art. 23 Cost,quali soggetti attivi e passivi,presupposto,base imponibile,sanzioni ed aliquota,devono essere contenuti già nella legge di delega o possono essere contenuti nel decreto
legislativo che si pone in attuazione della legge delega?
Secondo l'interpretazione dominante, gli elementi fondamentali della fattispecie imponibile ex art. 23 Cost. Possono essere legittimamente previsti dal decreto legislativo di
attuazione ,mentre la legittimità della legge delega andrà valutata solamente alla luce dell'art. 76 Cost. .
Dunque , la legge delega sarà costituzionalmente legittima soltanto qualora rispetti i limiti oggettivi e temporali di cui all'art. 76 Cost.; di contro, il decreto legislativo di attuazione dovrà
evidentemente rispettare sia i paletti posti dalla legge delega ,sia i vincoli posti dall'art. 23 Cost.,per cui l'attuazione della delega dovrà necessariamente realizzarsi attraverso l'emanazione di
norme che siano ,al contempo, sufficientemente chiare e precise e che rispettino quanto stabilito dall'art. 23 Cost.
L'estremo ricorso alla delega legislativa,in materia tributaria, trova giustificazione in tre ordini di ragioni:
→ perché la materia tributaria si configura come una materia estremamente tecnica,per cui si preferisce rimettere la funzione legislativa in materia tributaria al Governo
→ per evitare le lungaggini parlamentari
→ qualora vi siano maggioranze instabili,per evitare le pressioni delle lobby e delle corporazioni
Dunque, le riforme legislative tributarie di maggior importanza sono state realizzate con lo strumento della delega legislativa, limitandosi dunque il Parlamento ad individuare i principi ed i criteri
direttivi ,perchè era ed è più semplice trovare le maggioranze ,o l'accordo, soltanto sui principi direttivi,mentre ,di contro,non si troverebbe facilmente l'accordo sulle norme di dettaglio,le quali vengono
dunque elaborate dal governo ,con l'ausilio dei propri organi tecnici.
Da ultimo, i decreti legislativi ,è bene osservarlo,rappresentano l'espressione di un meccanismo inverso rispetto a quello rappresentato dai decreti legge: nel caso dei decreti legislativi, il
parlamento individua i principi direttivi e demanda l'esercizio della funzione legislativa, nel dettaglio ,al governo;mentre, nel caso invece dei decreti-legge, è il governo ad approvare un provvedimento
legislativo ,in casi straordinari di necessità e di urgenza ,provvedimenti che poi saranno rimessi ,per la conversione in legge ,all'esame del Parlamento.

-DECRETI-LEGGE:
Altro atto avente forza di legge, che va a integrare la riserva di legge di cui all'art. 23 Cost. ,È il decreto-legge. I decreti-legge sono provvedimenti provvisori con forza di legge
che,a norma dell'art. 77 Cost,possono essere adottati in casi straordinari di necessità ed urgenza; essi hanno efficacia dal giorno della loro pubblicazione (salvo che non sia
stata stabilita una data diversa) e perdono efficacia ex tunc se non vengono convertiti in legge entro 60 giorni dalla loro pubblicazione,fatta salva la possibilità,per il
legislatore,di disciplinare retroattivamente i rapporti giuridici sorti da decreti-legge non convertiti.
Lo strumento rappresentato dal decreto-legge è utilizzabile ,soprattutto, nel caso in cui sia necessario intervenire rapidamente per evitare fenomeni di accaparramento o
comportamenti distorsivi( l'esempio che possiamo fare a marzo 2020: se il governo,sentito il Parlamento,volesse introdurre un'agevolazione per l'acquisto di un particolare medicinale o
per l'acquisto di mascherine protettive,è evidente che ,nelle more dell'approvazione della norma da parte del Parlamento, si verificherebbero fenomeni di accaparramento; così è anche ,ad
esempio, per la norma che voglia aggravare il prelievo su una certa attività, ovvero introdurre un'imposizione di tipo patrimoniale sui conti correnti,per cui se si adotta il procedimento
ordinario di cui agli artt. 70 e ss. Cost., appare evidente che il contribuente ,consapevole che è in corso di approvazione una norma che introduce un'imposizione di tipo patrimoniale sui
conti correnti, ha tutto il tempo di alleggerire il conto corrente per sottrarsi all'imposizione).
Possiamo poi parlare del problema del cd. Abuso del decreto-legge,poichè tale strumento è stato molto spesso utilizzato per introdurre norme ,o per modificare norme
esistenti, senza che sussistessero i requisiti di necessità e di urgenza di cui all'art. 77 Cost.. Per questo motivo vi è la previsione dello Statuto dei diritti del contribuente,
che,all'art. 4, prevede che “non si può disporre con decreto legge l'istituzione di nuovi tributi,nè prevedere l'applicazione di tributi esistenti ad altre categorie di contribuenti”.
Quindi vi è una valutazione preventiva ,di massima ,da parte del legislatore tributario, che dispone che,nel caso in cui si debba istituire un nuovo tributo o sia necessario estendere un
tributo esistente a nuove categorie di soggetti,non vi è la condizione della necessità e dell'urgenza ,per cui l'adozione del nuovo tributo ,o la riforma del tributo esistente, dovrà avvenire
attraverso la legge ordinaria.
La corte Costituzionale è poi intervenuta più volte sul problema della cd. reiterazione dei decreti-legge . Ricordando che la reiterazione dei decreti -legge consiste nella
riproduzione,in un nuovo decreto-legge,del contenuto di un precedente decreto-legge non convertito,occorre osservare che la Corte Costituzionale,con sent. 360/1996,ha
stabilito l'illegittimità costituzionale dei decreti-legge di reitera,ossia di quei decreti-legge che riproducano fedelmente il contenuto di un precedente decreto-legge non
convertito,fatto salvo il caso in cui tali decreti-legge di reitera siano fondati su presupposti autonomi di necessità ed urgenza (presupposti che ovviamente non possono essere
rappresentati dalla semplice decadenza del decreto-legge originario). In altre parole, un decreto-legge, emanato dal governo e non convertito dalle camere nei 60 giorni successivi dalla
sua pubblicazione, può essere reiterato,ossia ri-approvato dal governo, ma ,affinchè sia costituzionalmente legittimo ex art. 77 Cost. , lo stesso deve essere fondato su autonomi
presupposti di necessità e urgenza ,presupposti che,come abbiamo detto, non possono essere rappresentati dalla mancata conversione in legge del decreto-legge originario .
Da ultimo,la Corte Costituzionale è intervenuta successivamente sui decreti-legge in materia tributaria,ad esempio, stabilendo che sono illegittimi quei decreti-legge che
introducono norme con efficacia differita nel tempo,dal momento che,in questi casi, vi è un utilizzo del decreto legge che farebbe venir meno la stessa ratio del decreto
legge,il quale dovrebbe intervenire rapidamente, in casi straordinari di necessità e di urgenza. Se l'efficacia della norma introdotta viene dunque differita, rispetto all'approvazione
del testo di legge che la prevede, è evidente che non ricorrono ,nel caso di specie, casi straordinari di necessità e di urgenza.
Così ancora, la Corte costituzionale ,nel 2014 ,ha stabilito l'illegittimità di quelle norme, introdotte in sede di conversione del decreto-legge, che siano eterogenee rispetto al
contenuto del decreto-legge originario,giacchè in questo caso si manifestava una forte incoerenza tra le norme introdotte , che giustificavano il ricorso allo strumento del
decreto-legge, e le norme poi introdotte in sede di conversione.
-TESTI UNICI:
Il Testo Unico non costituisce una tipologia di fonte ,a differenza della legge,dei decreti legislativi e dei decreti legge, quanto,piuttosto,un testo normativo caratterizzato da un particolare
contenuto,ossia la raccolta e la riunificazione di norme,relative alla stessa materia,ma contenute in più testi.
Dal punto di vista formale,i testi unici possono essere contenuti in leggi,in decreti legislativi o in regolamenti,mentre,dal punto di vista del contenuto,i testi unici possono distinguersi
semplicemente come compilativi o innovativi.
Tra i Testi Unici attualmente vigenti nel nostro ordinamento,rilevano: il Testo Unico delle imposte sui redditi,il Testo Unico dell'imposta di registro,il Testo Unico delle imposte ipotecaria e catastale, il
Testo Unico dell'imposta sulle successioni e donazioni.

1.2.2- LE FONTI DI RANGO SECONDARIO


-REGOLAMENTI:
Le uniche fonti di rango secondario,o subordinate,ritenute ammissibili,sono costituite dai regolamenti,i quali dunque costituiscono la fonte secondaria per eccellenza,dovendo gli stessi
essere conformi alla Costituzione,alle leggi costituzionali,alle leggi e agli atti aventi forza di legge (qualora in contrasto,gli stessi vengono annullati dal giudice amministrativo e
disapplicati dagli altri giudici).I regolamenti sono anche definiti leggi materiali,dal momento che gli stessi sono atti soggettivamente amministrativi,con ciò ad intendere che vengono posti
in essere dal Governo o da altre autorità amministrative,ma ,al contempo, disciplinano la materia in modo generale ed astratto.
É fondamentale analizzare,in primo luogo,i regolamenti governativi, ossia quei regolamenti che sono deliberati dal Consiglio dei Ministri dopo aver sentito il parere del Consiglio di Stato,che sono
sottoposti al visto ed alla registrazione della Corte dei Conti,che sono emanati con decreto del Presidente della Repubblica e che sono pubblicati in Gazzetta Ufficiale.
Ai fini dello studio del diritto tributario,particolarmente rilevante è la classificazione dei regolamenti governativi operata dall'art. 17 della L. 400/1988,che distingue:
→ regolamenti esecutivi: sono quei regolamenti che si occupano dell'esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi
→ regolamenti attuativi ed integrativi: sono quei regolamenti che si occupano di dare attuazione ed integrazione a leggi e decreti legislativi recanti soltanto norme di principio. Sono
ammissibili nell'ambito del diritto tributario ,purchè gli stessi vadano a disciplinare il tributo soltanto per quegli aspetti non coperti dalla riserva di legge ex art. 23 Cost.
→ regolamenti indipendenti: si tratta di quei regolamenti che trattano le materie non disciplinate da legge o da atti aventi forza di legge,materie che comunque non devono essere
riservate alla legge. Non sono ammissibili nel diritto tributario,in virtù della riserva di legge di cui all'art. 23 Cost. E stante il fatto che gli stessi sono destinati a disciplinare materie in cui
manca una disciplina dettata dalla legge
→ regolamenti organizzatori: si tratta di quei regolamenti che disciplinano l'organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni pubbliche,secondo le disposizioni dettate dalla legge
. Tali regolamenti hanno perso importanza,dal momento che l'organizzazione degli uffici pubblici è riservata all'art. 97 Cost.,al fine di assicurare il buon andamento e l'imparzialità
dell'amministrazione.
→ regolamenti delegati o delegificanti: sono quei regolamenti emanati sulla base di una delega espressa da parte della legge,la quale ne determina anche i principi e criteri direttivi.
Ammessi nel diritto tributario.
L'unica forma di regolamenti governativi, invalsa nella prassi tributaria, è rappresentata dai regolamenti cd di attuazione o integrativi ,che hanno appunto il compito di integrare gli elementi
accessori della disciplina posta con legge o con atto avente forza di legge ; essi prendono il nome di regolamenti delegati,se previsti dalla stessa legge o dall'atto avente forza di legge.
Oltre a poter essere governativi,i regolamenti possono anche configurarsi come regolamenti ministeriali,qualora gli stessi siano adottati nelle materie di competenza di un singolo
Ministro,stante il previo conferimento ex lege del potere regolamentare(emanati nella forma del decreto ministeriale),ovvero come regolamenti interministeriali,qualora gli stessi siano adottati nelle
materie di competenza di più Ministri,sempre in virtù di autorizzazione legislativa, con la forma del DPCM.
Va osservato che i regolamenti governativi sono gerarchicamente sovraordinati rispetto ai regolamenti ministeriali ed ai regolamenti interministeriali,mentre una posizione a sé
stante,autonoma,è rivestita dai regolamenti degli enti territoriali.

-LEGGI REGIONALI:
E' bene osservare che,a seguito della riforma del Titolo V operata dalla L. cost. 3/2001,lo Stato ha potestà legislativa esclusiva,a norma del novellato art. 117 comma 2,in
materia di sistema tributario e contabile dello Stato e in materia di perequazione delle risorse finanziarie.
La potestà legislativa regionale assume di conseguenza due connotazioni,quale potestà legislativa concorrente e quale potestà legislativa residuale.
Per quanto riguarda la prima connotazione,quale potestà legislativa concorrente,la potestà legislativa delle Regioni ,nelle materie di competenza legislativa concorrente,trova
un limite nei principi fondamentali fissati da leggi dello Stato,così come stabilito dall'art. 117 comma 3 Cost.; nella legislazione regionale concorrente è altresì ricompreso il
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario,ossia il coordinamento della finanza e dei tributi regionali e locali. Allo Stato è dunque riservata la fissazione dei
principi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente ed il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario complessivo. È questo l'aspetto che ci interessa
relativamente alla materia tributaria.
Dunque ,per quanto riguarda la materia tributaria,spetta allo Stato la competenza legislativa esclusiva sul sistema tributario e contabile dello Stato e sulla perequazione delle risorse
finanziaria,mentre sono attribuite alla potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni le materie di armonizzazione dei bilanci pubblici e di coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario.
In poche parole,spetta allo Stato indicare quali oggetti imponibili e quali tributi possono essere oggetto di legislazione regionale; di contro ,alle Regioni viene attribuito il
potere di istituire tributi locali,ma sempre in attuazione del coordinamento del sistema tributario.
La L.15/2009 ha previsto ,in merito,tre tipi di tributi regionali:
1)i tributi propri derivati,ossia quei tributi,istituiti e regolati da leggi statali,il cui gettito è attribuito alle Regioni,le quali possono modificare le aliquote e disporre
esenzioni,detrazioni e deduzioni,nei limiti e secondo criteri fissati dalle leggi statali
2)addizionali sulle basi imponibili dei tributi erariali: le Regioni,con propria legge,possono modificare le aliquote delle addizionali e disporre detrazioni entro i limiti fissati
da leggi statali
3)tributi propri,ossia tributi istituiti da leggi regionali,in relazione a presupposti non assoggettati ad imposizione erariale
La riserva di legge ex art. 23 Cost. Si viene dunque a configurare come una riserva di legge statale e regionale.

-POTESTA' REGOLAMENTARE E REGOLAMENTI DEGLI ENTI LOCALI:


Il rapporto tra regolamenti in materia tributaria risulta dall'art. 117 commi 2-3 Cost, dai quali si evince agevolmente che la potestà regolamentare,cioè la potestà di integrare il dettato
legislativo con fonti subordinate quali i regolamenti ,spetta allo Stato nelle sole materie di legislazione esclusiva,mentre, nelle materie di legislazione concorrente e nelle materie di
legislazione esclusiva delle Regioni ,la competenza regolamentare spetta alle Regioni,precisando che, anche per quanto riguarda le materie di legislazione esclusiva dello
stato,quest'ultimo può delegare l'esercizio della potestà regolamentare alle regioni.
Quindi riassumendo lo stato ha potestà regolamentare nelle materie di legislazione esclusiva dello stato,salvo delega alle regioni; viceversa nelle materie di cui all'art. 117 co.3 cost.,di
legislazione cd concorrente ed esclusiva delle regioni,la potestà regolamentare spetta alle regioni medesime.
L'art. 117 cost. Prevede una competenza regolamentare,e quindi subordinata,anche per gli enti locali minori ,alla disciplina dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.
Quindi per quanto riguarda comuni,province e città metropolitane,qualora tali enti locali abbiano competenza in materia tributaria,con ciò intendendo che sia loro attribuita questa funzione con legge
regionale,questi enti locali avranno anche una potestà regolamentare. Come viene edificato il rispetto del requisito della riserva di legge di cui all'art. 23 cost,laddove vi sia un regolamento emesso da un
ente locale,es. Da un comune, la cornice legislativa entro la quale dovrà esercitarsi la potestà regolamentare dell'ente locale è rappresentata dalla legge regionale.
Dunque, nel caso ,gli enti locali potranno,qualora ne abbiano i presupposti,esercitare la potestà regolamentare,quindi introducendo norme di dettaglio,di attuazione ed integrative del
dettato legislativo con regolamento comunale ,rispettando però gli elementi fondamentali previsti con legge,che in questo caso sarà la legge regionale,la quale e fornisce il quadro
generale entro il quale potrà esercitarsi la potestà regolamentare degli enti locali.
Ulteriore limite,per quanto riguarda la potestà regolamentare dei comuni ,è che essi dovranno rispettare,oltre alle disposizioni poste con legge regionale,anche i principi fondamentali di
coordinamento del sistema tributario posti con legge statale.
Ricapitolando : lo stato disciplinerà i rapporti ,in termini di potestà impositiva, tra legge statale e legge regionale,nel senso che individuerà in che limiti si eserciterà la potestà legislativa dello stato e
delle regioni,onde evitare che lo stato ,sullo stesso presupposto di imposta ,sia assoggettato ad imposizione una volta da parte dello stato ed un'altra volta da parte della regione; poi,nell'ambito di questi
principi di coordinamento tra finanza statale da un lato e di coordinamento di finanza regionale dall'altro lato,potrà esplicarsi l'autonomia della regione ,che ,nell'ambito della sua autonomia, potrà
successivamente dar adito all'autonomia regolamentare dell'ente locale che insiste nella regione di riferimento.
Con regolamento,quindi con fonte subordinata, vengono introdotte una serie di norme rilevanti nel diritto tributario,ad esempio vengono approvati i modelli di dichiarazione e le relative
istruzioni. Dunque i modelli di dichiarazione ,che ogni anno devono essere compilati e firmati dai contribuenti,vengono approvati con regolamento ed allo stesso modo,sempre con regolamento,
vengono altresì approvati i coefficienti di rivalutazione delle rendite catastali degli immobili, così come,con regolamento, vengono approvate le quote di ammortamento dei beni strumentali.
-SINDACATO DEI REGOLAMENTI:
Ora ,da chi possono essere sindacati i regolamenti che hanno rilevanza in materia tributaria? Si applicheranno qui le norme ordinarie,per cui i regolamenti possono essere
impugnati solamente dinanzi al giudice amministrativo,mentre ,per quanto riguarda le commissioni tributarie,dinanzi al giudizio delle commissioni tributarie i regolamenti
potranno meramente essere disapplicati. Dunque, nel caso in cui il regolamento non sia immediatamente lesivo ,perchè ,ad esempio, con regolamento viene approvato il coefficiente di
rivalutazione delle rendite catastali ,che però non è immediatamente lesivo della posizione del contribuente, nel caso in cui sulla base di quel regolamento ,che ha rivalutato le rendite
catastali ,viene notificato un atto di accertamento che rettifica la dichiarazione presentata dal contribuente inerente ai redditi conseguiti dal possesso di un immobile,ebbene ,in quella sede,
il contribuente potrà impugnare l'atto di rettifica della dichiarazione dinanzi alle commissioni tributarie immediatamente ed impugnare dinanzi alla commissione stessa il
regolamento,chiedendone però la disapplicazione; viceversa l'impugnazione potrà essere chiesta direttamente solamente dinanzi al giudice amministrativo.

1.3- FONTI DEL DIRITTO TRIBUTARIO: SISTEMA MULTILIVELLO EQUIORDINATO


-SISTEMA MULTILIVELLO EQUIORDINATO:
Per quanto riguarda il sistema rappresentato dalle fonti regionali e locali,o ,per meglio dire,per quanto riguarda il sistema multilivello rappresentato dalle fonti statali,regionali e
locali,possiamo dire che ,sotto il profilo storico, si è passati da:
→ un sistema che prevedeva,prima con la legge Minnetti del 1865 e poi con il testo unico del 1931 della finanza locale,il riconoscimento di una certa autonomia tributaria agli
enti locali,autonomia che a sua volta comportava una maggiore responsabilizzazione degli amministratori degli enti locali ,nonchè un'accentuazione del divario tra enti locali
più ricchi ed enti locali meno abbienti.
Appare infatti evidente che, quanto più si concede autonomia impositiva agli enti locali,allora tanto più gli stessi enti locali saranno facoltizzati ad utilizzare la leva fiscale secondo le
esigenze del territorio ,ma anche , saranno necessariamente facoltizzati a ridurre il prelievo fiscale qualora i servizi siano già erogati in maniera cospicua,creando. Si viene così a creare un
effetto perverso in base al quale, qualora i comuni abbiano una maggiore capacità fiscale per abitante,e quindi, per l'effetto di politiche redistributive passate, godano di migliori servizi, gli
stessi potranno applicare aliquote ridotte,mentre,di contro, i comuni con minore capacità fiscale per abitante,per effetto di politiche a risparmio effettuate necessariamente nel
passato,quindi con servizi non efficienti,saranno costretti ad applicare aliquote più elevate sul loro territorio,al fine di perequare il livello dei servizi a quelli erogati da altri comuni più
abbienti.
Questo è un po' il problema del federalismo fiscale in generale ,che si presentava già dopo il testo unico della finanza locale nel 1931.
→ Con la riforma tributaria dei primi anni '70 , si è sostanzialmente ridotta l'autonomia impositiva degli enti locali,i quali godevano ,soprattutto, di una finanza cd derivata.
Con ciò si vuole intendere che , sostanzialmente, era lo stato a gestire il sistema fiscale generale ,rigirando poi quota parte del gettito ,derivante dall'applicazione dei tributi, agli enti locali,i
quali quindi potevano fare affidamento su una finanza non originaria,bensì derivata o di secondo livello( potevano soltanto usufruire di ripartizioni del gettito erariale).
Ulteriore problema ,legato alla riforma dei primi anni '70 ,è che gli enti locali,soprattutto i comuni,ricorrevano alle anticipazioni finanziarie degli istituti di credito e
quindi ,sostanzialmente, si facevano anticipare da tali istituti di credito quello che sarebbe poi stato devoluto dallo stato come quota-parte del gettito erariale. Tuttavia,non
essendovi all'epoca il vincolo del pareggio di bilancio,gli enti locali si indebitavano, anche oltre quanto sarebbe stato a loro ristornato dallo Stato come quota del gettito
erariale. Da qui nasce dunque il fenomeno del dissesto degli enti locali,i quali, non essendo vincolati al rispetto del pareggio di bilancio,si indebitavano oltre le possibilità che derivavano
dalla fruizione di quote del gettito erariale.
→ Con la riforma del sistema costituzionale,composto da varie leggi costituzionali succedutesi dal 2001,il sistema è profondamente cambiato,essendosi riconosciuta una
maggiore autonomia delle regioni e degli enti locali. Le norme di riferimento dal punto di vista costituzionale sono gli artt. 5,114,117 e 119 Cost.
L'assetto ,a seguito della riforma,sostanzialmente si delinea come una ripartizione delle competenze e delle funzioni tra lo stato,le regioni e gli enti locali:
1)l'art. 5 cost.: tale articolo Riconosce le autonomie locali,attua il decentramento amministrativo nei servizi che dipendono dallo stato,riconoscendo e
promuovendo il valore delle autonomie locali
2)art. 114 cost: viene stabilito ,con il novellato art. 114 cost.,che lo Stato è costituito da comuni,province,città metropolitane e regioni,che sono enti
autonomi.
Qui non è espressamente sancita l'autonomia impositiva,ossia l'autonomia del potere impositivo,ma si riconosce comunque la possibilità che i comuni,le
province,le città metropolitane e le regioni possano avere un proprio piano di investimento e di sviluppo. L'autonomia politica,sottesa a tale norma,sottende a sua
volta, secondo parte della dottrina , anche l'autonomia finanziaria ,ossia l'autonomia di imporre tributi.
Tale autonomia impositiva è stata gradualmente riconosciuta,come,ad esempio, dalla l. 142/1990,la quale ha riconosciuto una certa capacità impositiva degli enti
locali in materia di imposte,tasse e tariffe.
Sulla base di questo primo riconoscimento ,è stato successivamente introdotto il d.lgs. 504/1992,che ha istituito l'imposta comunale sugli immobili,ossia l'ICI. In
quest'imposta, il comune era destinatario del gettito,poteva fissare l'aliquota tramite regolamento comunale, all'interno di una forchetta statale, compresa tre il 4
ed il 7x1000 della base imponibile, e poteva altresì disciplinare,tramite regolamento, l'accertamento e la riscossione dei tributi nonché introdurre esenzioni ed
agevolazioni. Quindi l'ICI era un tributo introdotto con atto avente forza di legge di origine statale,ma ,al contempo,era attuato sostanzialmente (o poteva essere
attuato) con regolamento comunale, nei limiti degli elementi fondamentali fissati con il decreto legislativo.
Successivamente, è stata anche approvata l'imposta regionale sulle attività produttive,l'IRAP. In questo caso, destinatario del gettito non era il comune,ma
era ,ed è, la regione,che era competente per l'attività di attuazione del tributo. Anche qui il potere normativo regionale era limitato all'individuazione delle aliquote
e alla possibilità di introdurre agevolazioni per le nuove iniziative produttive. Quindi,secondo l'interpretazione poi condivisa dalla corte costituzionale,l'IRAP non
costituiva un tributo proprio,in senso stretto e tecnico,dal momento che ,per aversi tributo proprio della regione o dell'ente locale,in senso stretto e proprio, deve
trattarsi di un tributo introdotto con legge dello stesso soggetto che poi lo viene ad attuare. L'IRAP costituiva piuttosto un tributo che era stato istituito con legge
dello stato e meramente attuato,quindi disciplinato per aspetti concreti, da parte della regione,ma ,non essendo un tributo introdotto con legge regionale,non
poteva essere definito come tributo proprio ,in senso stretto e tecnico. Va comunque osservato che,anche nel caso dell'IRAP, vi era una certa autonomia della
regione ,la quale poteva disciplinare autonomamente le varie attività di attuazione del tributo,ossia le attività di accertamento,di riscossione e le attività relative
all'eventuale fase contenziosa.
3)Il sistema nato dalla riforma costituzionale approvata con l.cost. 3/2001 sostanzialmente era delineato dall'art. 117 cost.,il quale prevede una sorta di
ripartizione ,un sistema multilivello,nei limiti che vedremo.
In base a quanto disposto dall'art. 117 Cost., Lo stato ha legislazione esclusiva per quanto concerne il sistema tributario e contabile dello stato,con ciò
intendendo che sistema tributario e contabile statale si occupa -e può occuparsene- solamente lo stato medesimo,salvo delega alle regioni
esercitabile mediante regolamento.
Spetta invece alle regioni una potestà legislativa concorrente,con ciò intendendo che tale potestà legislativa deve essere esercitata dalla regione nei
limiti dei principi fondamentali determinati dalle leggi statali ,nella materia relativa al coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
Dunque, in materia di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, la potestà legislativa concorrente della regione deve esercitarsi nei limiti dei
principi fondamentali stabiliti con legge statale,il che significa che sarà lo stato a dover individuare i principi fondamentali di ripartizione della potestà
impositiva,soprattutto in relazione a quei presupposti che potrebbero essere assoggettati due volte ad imposizione.
È evidente che ,se non c'è coordinamento tra sistema tributario statale e sistema tributario regionale nel senso tecnico,lo stesso presupposto potrebbe essere
assoggettato ad imposizione due volte dallo stato e dalle regioni. Per fare un esempio,in mancanza di coordinamento,il reddito derivante dall'esercizio di
un'attività ,di lavoro autonomo o di lavoro dipendente,potrebbe essere assoggettato ad imposizione ,sia da parte della regione,all'interno della quale si trova il
comune in cui si esercita l'attività,sia da parte dello stato.
Da qui nasce la rilevanza,o meglio, la necessità , che lo stato individui i principi fondamentali di coordinamento tra finanza pubblica ,o statale, e finanza
regionale.
La regione ha altresì potestà legislativa in ogni altra materia che non sia espressamente riservata alla legislazione dello stato.
Dunque,riassumendo: competenza esclusiva dello stato per quanto riguarda il sistema tributario e contabile dello stato,potestà legislativa
concorrente di stato e regioni in materia di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario,in particolare,in materia di coordinamento
tra sistema tributario statale e sistema tributario regionale,da esercitarsi nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge dello stato ;potestà
legislativa residuale delle Regioni per ogni altra materia che non sia espressamente riservata alla competenza dello stato.
4)art. 119 cost.: Il successivo art. 119 cost. ,Espressamente ,dispone che regioni,comuni,città metropolitane e province hanno autonomia finanziaria ,sia
di entrata che di spesa.
Viene ribadito qui il principio del pareggio di bilancio ,in base al quale anche regioni ed enti locali sono vincolati al rispetto del principio di pareggio
di bilancio,il quale,quindi, caratterizza non soltanto l'attività dello stato,ma anche l'attività delle regioni e degli enti locali. L'affermazione del principio
del pareggio di bilancio anche in relazione alle Regioni ed agli altri enti locali ,rappresenta una logica conseguenza dell'accentuazione dell'autonomia delle
regioni e degli enti locali,dal momento che, se non ci fosse stata questa autonomia,sarebbe stata sufficiente l'affermazione della necessità di rispettare il principio
di pareggio del bilancio a livello statale,mentre ,nella realtà dei fatti,essendosi affermata l'autonomia delle regioni e degli enti locali, autonomia sia politica che
finanziaria,è stato necessario ribadire,anche a livello delle regioni e degli enti locali,la necessità di rispettare il principio del pareggio di bilancio.
La novità,qui, è rappresentata dal fatto che anche le regioni concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti
dall'appartenenza ad organizzazioni internazionali e all'UE .
Dunque , anche le regioni concorrono all'attuazione degli obblighi comunitari o derivanti dalle organizzazioni internazionali ,nelle materie di propria competenza.
Tale autonomia finanziaria di entrata e di spesa ,prevista dalla riforma del titolo V, rispetto ai primi anni 70, in cui regioni ed ente locali godevano di
una finanza derivata ,potendo cioè beneficiare soltanto della compartecipazione al gettito di tributi erariali( o meglio: di trasferimenti ,da parte dello
stato ,di quota parte del gettito dei tributi erariali,non essendovi quindi autonomia impositiva), si realizza mediante la previsione per cui le regioni e gli
enti locali dispongono di risorse autonome,stabilendo ed applicando tributi ed entrate propri (e ricordiamo che ,per la corte costituzionale ,i tributi
sono propri quando sono introdotti ed attuati da parte dello stesso ente regionale o locale), in armonia con la costituzione e secondo i principi di
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, coordinamento che,essendo materia di legislazione concorrente,è da esercitarsi
nell'ambito dei principi fondamentali stabiliti con legge dello stato.
Oltre alle risorse proprie ,ottenute mediante applicazione di tributi propri,gli enti suddetti possono compartecipare al gettito di tributi erariali ,per la
parte riferibile al loro territorio,sicchè gli stessi compartecipano a quota parte del gettito dei tributi erariali per la parte derivante,ad esempio,dall'esercizio di
attività economiche sul loro territorio,o per la parte derivante dal possesso di immobili sul loro territorio.
Anche qui, appare evidente che questa forma di federalismo accentua il divario tra regioni povere e regioni ricche,poichè, evidentemente ,maggiore è il
gettito riferibile al loro territorio ,maggiore sarà la compartecipazione al gettito di tributi erariali. In sostanza ,se il sistema fosse strutturato solo sulla base di
queste norme, se la finanza locale si fondasse solamente sull'applicazione di tributi propri e sulla compartecipazione al gettito di tributi erariali per la parte
riferibile al rispettivo territorio,si accentuerebbe fino all'infinito il divario tra regioni ricche e regioni povere,perchè le regioni ricche avrebbero sempre a
disposizione importi maggiori rispetto alle regioni povere.
È proprio per ovviare a questi problemi che è stata altresì prevista l'istituzione di un fondo perequativo, per i territori con minore capacità fiscale per
abitante. Tale fondo perequativo ha appunto la funzione di sanare,di compensare quelle differenze che si realizzano tra regioni ricche e regioni povere, in merito
alla capacità fiscale per abitante sulla base del meccanismo di tal fondo perequativo, c'è una quota parte del gettito erariale che non viene ripartito sulla base del
gettito riferibile al territorio,bensì ,all'opposto, viene ripartito con finalità perequative,quindi, tendenzialmente, in misura inversa rispetto al gettito riferibile al
territorio.
Con le risorse di cui abbiamo parlato,quindi risorse e tributi propri da un lato e compartecipazioni al gettito di tributi erariali,destinazioni di ulteriori importi da
parte del fondo perequativo dall'altro lato,vengono finanziate tutte le funzioni pubbliche affidate a regioni ed enti locali.
Qualora però il fondo perequativo non fosse sufficiente,l'art. 119 cost. Prevede altresì la possibilità di approvare risorse aggiuntive ed interventi
speciali ,per realizzare sostanzialmente il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 co. 2 cost, per promuovere la solidarietà politica e sociale,per assicurare
l'effettivo sviluppo della persona umana,per effettuare ,sostanzialmente, quella politica di redistribuzione dei redditi che è oggetto anche del principio di
progressività di cui all'art. 53 cost., secondo il quale il sistema tributario è informato a criteri di progressività. Sia l'art. 53 comma 2 Cost.,sia l'art. 119 Cost.,
hanno ,per l'appunto, finalità sostanzialmente solidaristiche: finalità che l'art. 53 cost. realizza drenando, in misura più che proporzionale ,le risorse ai
soggetti più abbienti; finalità che invece l'art. 119 cost. Realizza prevedendo risorse aggiuntive ed interventi speciali ,per attenuare le differenze esistenti nei
territori tra maggiore e minore capacità fiscale per abitante.
Ulteriore principio,oltre quello dell'affermazione che regioni ed enti locali hanno un patrimonio proprio,è che l'indebitamento è consentito solo per
effettuare nuovi investimenti,sempre facendo salvo l'equilibrio di bilancio. Dunque regioni ed enti locali possono sì indebitarsi, ma solamente per spese e
nuovi investimenti e fatto salvo,ovviamente il principio del pareggio del bilancio.
Il sistema che risulta dal nostro tessuto costituzionale si configura,sostanzialmente,come un sistema fondato su due sistemi tributari autonomi e su un sistema tributario derivato.
I sistemi tributari autonomi sono rappresentati dal sistema tributario statale e dal sistema tributario regionale;mentre il terzo sistema ,derivato,è il sistema tributario degli enti locali, che
si configura come derivato per via limiti esaminati. Si intende dire che il sistema tributario degli enti locali è derivato in quanto trova la sua legittimità all'interno del sistema tributario
regionale:spettando alle Regioni la competenza legislativa concorrente in ordine al coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario,sarà dunque nell'ambito della
competenza della regione che quest'ultima potrà ,con legge regionale ,fissare l'ambito entro il quale potrà essere esplicata l'autonomia del singolo ente locale,comune,città metropolitana
o provincia.
Tale autonomia dell'ente locale potrà essere esplicata attraverso regolamento ,con ciò ad intendere che comune,città metropolitana e provincia potranno fissare gli elementi essenziali del tributo locale
attraverso un regolamento,rispettando i principi fondamentali posti con legge regionale,fermo restando sempre che è alla legge dello stato che spetta fissare i principi fondamentali del sistema
tributario statale ed i principi fondamentali di coordinamento della finanza e del sistema tributario, sistema tributario all'interno del quale potrà esplicarsi l'autonomia regionale e ,all'interno di quest'ultima,
ulteriormente,l'autonomia degli enti locali.
Quindi, riassumendo: competenza dello stato per il sistema tributario statale,potestà legislativa concorrente della regione e dello stato in materia di coordinamento tra finanza statale e
finanza regionale e locale,da esercitarsi all'interno dei principi fondamentali posti con legge dello stato;all'interno dell'area di competenza della regione potrà eventualmente esplicarsi
l'autonomia degli enti locali,quali comuni,città metropolitane e province.
È questo un ordinamento definibile come sistema multilivello equiordinato,come sistema che è fondato sui principi di competenza e di equiordinazione,piuttosto che su un principio di
gerarchia delle fonti.
Tale principio di equiordinazione risulta anche dalla disposizione di cui all'art. 127 cost. ,Secondo la quale sia le regioni che lo stato possono sollevare questioni di legittimità costituzionale dinanzi
alla corte costituzionale,nel caso in cui si ritenga che l'altro soggetto abbia superato,travalicato, la propria sfera di competenza.
Dunque la regione può sollevare questione di legittimità costituzionale per atti dello stato e lo stato,al contempo, può sollevare questioni di legittimità costituzionale per gli atti della regione,laddove si
ritenga che l'altro soggetto abbia travalicato le competenze riconosciutegli dall'art. 117 cost. .
Da ciò emerge che dunque non vi è una gerarchia tra stato e regioni,quanto piuttosto una equiordinazione. È proprio per questo motivo che possiamo ritenere che si tratti di un sistema
istituzionale, multilivello ed equiordinato.
I pari soggetti,soprattutto stato e regione,sono equiordinati tra di loro .
Parlare di equiordinazione , tuttavia, non significa parlare di equiparazione in senso stretto,anche in considerazione del fatto che allo stato,ad esempio,spetta il potere di revisione
costituzionale ,mentre ,per fare un altro esempio,agli enti locali non è riconosciuta potestà legislativa alcuna,quanto,piuttosto,soltanto una potestà regolamentare.
Parlare di equiordinazione non significa nemmeno trascurare che allo stato spettano alcune competenze esclusive,come quelle competenze relative alla determinazione dei livelli essenziali
delle prestazioni ,che consentono allo stato interventi molto pervasivi,con efficacia su tutto il territorio.
Questa equiordinazione trova riscontro anche sotto il profilo della equicoordinazione ,nel senso della comune responsabilità nei confronti dell'applicazione della normativa comunitaria: le regioni
sono competenti per l'attuazione della normativa tributaria comunitaria,laddove attenga alla rispettiva competenza . Da ciò ne discende che le direttive comunitarie fungono da norme interposte ,ai fini
della valutazione di conformità della normativa regionale all'art. 117 co. 1 cost.

1.4- FONTI DEL DIRITTO TRIBUTARIO:USI E CONSUETUDINI


-USI E CONSUETUDINI:
Usi e consuetudini sono ammissibili,in materia tributaria, solo secundum legem,ossia solo se previsti dalle legge,mentre non sono mai rilevanti gli usi e le consuetudini se
praeter o contra legem,stante il limite posto dalla riserva di legge ex art. 23 Cost.
Un qualche esempio di usi secundum legem sono rintracciabili nell'art. 1374 c.c.,il quale fa riferimento,per l'integrazione del contenuto del contratto, anche agli usi e all'equità per
quanto non espressamente disposto.
Maggiore rilevanza hanno gli usi ,nell'ambito tributario, del diritto comunitario internazionale,in cui si fa riferimento ,appunto, al diritto consuetudinario internazionale,il quale è
rilevante all'interno del nostro ordinamento grazie alla previsione di cui all'art. 10 Cost., in virtù del quale “l'ordinamento italiano si conforma alle norme del diritto internazionale
generalmente riconosciute”. Tra queste norme,o meglio, tra le norme consuetudinarie internazionali,ricordiamo quelle che riconoscono l'immunità,sotto il profilo fiscale, allo stato straniero
ed ai rappresentanti e diplomatici dello stato straniero che agiscono nell'esercizio delle loro funzioni.
Appare comunque ovvio che gli usi e le consuetudini presenti nel diritto internazionale ,evidentemente, possono avere rilevanza solo ed esclusivamente in relazione ad
elementi secondari ed accessori della fattispecie,dal momento che gli elementi fondamentali della fattispecie imponibile,quali soggetti attivi e passivi,presupposto,base
imponibile,aliquota e sanzioni, devono essere disciplinati da legge o da atto avente forza di legge.

CAPITOLO 2 – L'EFFICACIA DELLA NORMA TRIBUTARIA NELLO SPAZIO E NEL TEMPO


2.1- L'EFFICACIA DELLA NORMA TRIBUTARIA NELLO SPAZIO
-IL PRINCIPIO DI TERRITORIALITA':
Alla base dell'efficacia della norma tributaria nello spazio,vi è il principio di territorialità,in base al quale la legge tributaria esplica i suoi effetti su tutto il territorio politico dello Stato,salvo
che la stessa non disponga diversamente.
È bene qui osservare innanzitutto che ,con territorio politico,si fa riferimento al territorio su cui lo Stato esercita la propria sovranità. Essendo la norma tributaria ricondotta al principio di
sovranità,emerge che la stessa norma tributaria troverà un limite,fuori dalla propria territorialità,nella sovranità degli altri Stati.
Dunque ,la norma tributaria si applica,in base al principio della territorialità,a tutti quei presupposti che si verificano all'interno del territorio politico dello Stato,ma,a ben vedere,vi sono
ormai delle imposte che prescindono dal principio di territorialità,tassando dunque anche fatti accaduti all'estero e dando rilievo determinante ad altri elementi,ad esempio di natura
personale.
Il legislatore ,infatti,non può assumere ,come presupposto d'imposta,un fatto privo di un qualsivoglia collegamento,sia oggettivo,sia soggettivo,con il territorio nazionale: il legislatore
sarà sempre chiamato a scegliere ,quali presupposti d'imposta, fatti ,che presentino un ragionevole legame con il territorio e con l'ordinamento dello Stato e che siano altresì valutabili in
termini di capacità contributiva ex art. 53 Cost.
A tal proposito,la dottrina è da tempo intervenuta,individuando i criteri di collegamento tra la capacità contributiva manifestata dal presupposto e l'ordinamento ed il territorio dello Stato
che emana il tributo. I criteri di collegamento si distinguono in:
→ criteri reali: in Italia,erano assoggettati ad imposizione tutti i presupposti realizzatisi sul territorio dello Stato,in base,per l'appunto, al principio di territorialità. Questo criterio
reale viene tuttora adottato con riferimento all'IRAP,ossia l'imposta regionale sulle attività produttive,nonchè con riferimento a gran parte delle imposte indirette (basti pensare
all'IVA,relativamente alla quale possono essere assoggettate ad imposizione le operazioni effettuate sul territorio dello Stato,con conseguente non imponibilità delle operazioni non
effettuate nello Stato
→ criteri personali: in base a tali criteri personali,il collegamento del presupposto del tributo con il territorio dello Stato impositore è dato dalla residenza del soggetto.
Dunque,per fare un esempio,possiamo dire che le imposte personali sui redditi sono informate al principio per cui,relativamente ai soggetti fiscalmente residenti,vengono tassati tutti i
redditi posseduti,prescindendo dal luogo di produzione; di contro,nei confronti del soggetto non residente,si assoggetteranno ad imposizione soltanto i redditi prodotti nello Stato
Si può rinviare,in merito all'applicazione di tali criteri di collegamento,alla distinzione tra imposte reali ed imposte personali.
-DOMICILIO FISCALE:
Con domicilio fiscale,si suole far riferimento ad un concetto di natura tributaria,definito dall'art. 58 del d.p.r. 600/1973 quale luogo dal quale la legge fiscale fa discendere la
competenza degli uffici tributari e al quale devono essere indirizzate le notifiche previste dalla legge a fini tributari.
Data l'impostazione di un modello fiscale improntato al principio di residenza, stante la pluralità di fonti di reddito e la rispettiva variabilità geografica delle stesse, occorre stabilire un luogo
specifico in cui localizzare il contribuente, sia ai fini della competenza degli uffici tributari, sia ai fini delle notifiche.
Inoltre il domicilio fiscale è rilevante per la competenza di quei reati a carattere fiscale ,per i quali la legge individua il luogo di commissione del reato nel domicilio fiscale.
A differenza del domicilio civile (art. 43 cc), il domicilio fiscale riguarda anche i soggetti non persone fisiche.
Per le persone fisiche iscritte all'anagrafe dei residenti, il domicilio fiscale è nel comune in cui sono iscritti; per le persone fisiche non residenti, tassate sulla base del principio della
fonte, il domicilio fiscale è nel comune il cui è prodotta la parte prevalente del reddito.
Per coloro che lavorano all'estero per l'Amministrazione pubblica o hanno trasferito la residenza in uno dei paesi della lista nera di cui al D.M. 4 maggio 1990, il domicilio fiscale
è nell'ultimo comune di iscrizione all'anagrafe.
Per i soggetti non persone fisiche, il domicilio fiscale è stabilito sulla base dei seguenti criteri nell'ordine in cui sono elencati:
→ sede legale
→ sede amministrativa
→ sede secondaria o stabile organizzazione
→ comune in cui si svolge l'attività prevalente
Il domicilio fiscale è stabilito per legge ed è, di norma, inderogabile. Nel diritto italiano, tuttavia, l'Amministrazione può, d'ufficio o a seguito di istanza motivata di parte, stabilire il domicilio
fiscale nel luogo in cui il contribuente svolge l'attività principale o in cui ha la sede amministrativa.

-IL PRINCIPIO DI EFFETTIVITA':


Con principio di effettività si suole far riferimento a quel principio in base al quale la norma tributaria deve essere tale da poter essere attuata dagli organi amministrativi dello Stato che
l'ha emanata. L'effettività della norma riguarda dunque la sua normale,o fisiologica,realizzazione mediante l'attività degli organi statali a ciò preposti.
-IL PRINCIPIO DI ESCLUSIVITA':
Il principio di esclusività si configura come quel principio in base al quale la legge tributaria non può avere efficacia oltre i limiti del territorio sottoposto alla sovranità dello
Stato ed in questo territorio è unica ed esclusiva. Tale principio nega la possibilità che la nostra disciplina in materia tributaria possa disciplinare fatti e circostanze rilevanti in
altri Stati,anche se,come esaminato nell'analisi dei criteri di collegamento personali con il territorio,ciò non è del tutto condivisibile.
Al di fuori del territorio dello Stato, varrebbero le leggi tributarie degli altri Stati.
In merito,va tuttavia osservato che le convenzioni internazionali e le direttive dell'Unione Europea hanno previsto:
→ un'armonizzazione dei tributi,con particolare riferimento all'imposta sul valore aggiunto
→ una collaborazione tra amministrazioni finanziarie per lo scambio di informazioni ,già con il regolamento 218/1992
→ una collaborazione tra amministrazioni finanziarie per l'assistenza in materia di accertamento e riscossione dei tributi
Tutto ciò ha consentito all'amministrazione finanziaria italiana di svolgere indagini e notificare i propri atti anche all'estero.

-DOPPIA IMPOSIZIONE INTERNAZIONALE:


Con doppia imposizione internazionale sia fa riferimento a quella situazione giuridica che si verifica quando un'imposta ,o anche imposte diverse,vengono a gravare più volte sullo stesso
soggetto,a causa del verificarsi di un unico presupposto,cui due o più Stati attribuiscono rilevanza.
Il fenomeno della doppia imposizione ha assunto un'importanza particolare soprattutto in campo internazionale e relativamente alle imposte sui redditi. In merito a queste ultime,basti
pensare che le stesse vengono oggi applicate dagli Stati sulla base del discrimen tra soggetti residenti o meno,per cui i soggetti residenti vengono tassati sul reddito prodotto ovunque nel mondo,mentre
i soggetti non residenti sono assoggettati all'imposta sui redditi prodotti soltanto sul territorio dello Stato. Appare dunque evidente che,qualora un soggetto non residente produca redditi sia nello Stato
ove risiede,sia nello Stato ove non risiede e tali Stati,al contempo,utilizzino i criteri di imposizione sopra delineati, vi sarà una doppia imposizione per i redditi di fonte estera.
Il divieto della doppia imposizione non è,purtroppo,universalmente riconosciuto a livello internazionale,per cui,spesso,si creano dei conflitti che vengono poi risolti con convenzioni
bilaterali o plurilaterali. In ambito comunitario,al posto di tali convenzioni,possono essere emanate specifiche direttive,al fine di impartire disposizioni univoche ,alle quali gli Stati
interessati devono attenersi.

2.2-L'EFFICACIA DELLA NORMA TRIBUTARIA NEL TEMPO


-TERMINE DI EFFICACIA INIZIALE E FINALE DELLA NORMA TRIBUTARIA:
Quando parliamo di efficacia della norma tributaria nel tempo,indichiamo il periodo entro il quale la stessa esplica i suoi effetti all'interno dell'ordinamento giuridico,per cui è
opportuno distinguere il dies a quo ed il dies ad quem,ovvero il termine iniziale di efficacia ed il termine finale di efficacia della norma tributaria:
→ termine iniziale di efficacia: non esistendo particolari disposizioni riguardo il termine iniziale di efficacia delle norme tributarie,si seguirà la disciplina ordinaria. Ciò implica
che le leggi tributarie,dopo la promulgazione da parte del Presidente della Repubblica e dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale,una volta trascorso il periodo
di 15 giorni successivi alla pubblicazione,periodo definito come vacatio legis, entreranno in vigore e inizieranno di conseguenza ad essere produttive di effetti. Va
però osservato che non sempre la data di entrata in vigore coincide con la data di inizio dell'efficacia: difatti vi può essere il caso in cui gli effetti della legge
tributaria sono differiti rispetto alla data della sua entrata in vigore (ad esempio,entra in vigore nel 2020,ma dispone per il 2021),così come il caso ,che esamineremo
meglio dopo, in cui tali effetti retroagiscono rispetto alla data di entrata in vigore.
→ termine finale di efficacia: con termine finale di efficacia della norma tributaria si vuole far riferimento al momento in cui la norma tributaria cesserà di esplicare i suoi
effetti nell'ordinamento. Possiamo parlare di temine finale di efficacia della norma tributaria quando,ad esempio,una norma introduca transitoriamente
un'agevolazione,magari nel caso di calamità naturali o di eventi pandemici. Possiamo fare l'esempio per cui viene introdotta una norma di favore che prevede un
abbassamento dell'aliquota marginale ai fini delle imposte sui redditi fino al 31 dicembre del 2020. Qui si parla dei termini di efficacia della stessa norma impositiva: la norma
prevede un'agevolazione che si applicherà sui redditi conseguiti nell'anno in corso,quindi sui redditi posseduti nel 2020 ,in via di favore viene prevista un'aliquota diversa e più
favorevole rispetto a quella ordinaria; tuttavia al 31 dicembre 2020 avrà termine l'efficacia della norma e quindi vi sarà anche la cessazione dell'efficacia dell'agevolazione da
essa introdotta nell'ordinamento ed applicata dai contribuenti.
È bene qui osservare che il termine finale di efficacia della norma tributaria non va assolutamente confuso con il termine finale dell'agevolazione. Termine finale di
efficacia delle agevolazioni sia nel caso di agevolazioni strutturali,ma con durata temporanea. Possiamo,in merito, pensare alle agevolazioni previste per le start up o per le
nuove attività produttive: in questo caso, vi è una norma che prevede,ad esempio,l'esenzione dalle imposte sui redditi,o un'aliquota particolarmente ridotta, per i primi due anni
di attività della start up. Dunque,in questo caso, la norma impositiva non cessa di avere efficacia,essendo una norma strutturale che continua ad essere vigente
nell'ordinamento; tuttavia, l'agevolazione da essa prevista ha vigore solamente per i primi due anni di vita dell'attività produttiva (ha durata variabile in considerazione del
momento in cui una determinata attività produttiva viene alla luce,ma ,oggettivamente, senza far riferimento al novero delle varie attività produttive coinvolte,la stessa
agevolazione avrà la medesima durata per le attività produttive interessate). Si tratta dunque di un'agevolazione temporanea ,ma prevista da una norma strutturale.
Qui ,cessa di avere applicazione l'agevolazione prevista relativamente ad un determinato contribuente,ma la norma impositiva ,che prevede l'agevolazione, continua ad
essere vigente ed applicabile nell'ordinamento.
Ritornando alla trattazione del termine finale di efficacia della norma tributaria,possiamo individuare i seguenti casi:
1)è la legge tributaria medesima a prevedere il proprio termine finale di efficacia,il che è frequente per i regimi fiscali agevolati a durata limitata
2)il momento finale dell'efficacia di una legge tributaria può coincidere con l'abrogazione da parte di un altro atto normativo,di pari rango o di rango superiore:
l'abrogazione può essere espressa ,qualora espressamente prevista nel testo normativo successivo,ovvero tacita,qualora vi sia diretta incompatibilità tra le disposizioni del
testo normativo successivo e quelle del testo normativo precedente(ricordiamo che una legge tributaria,sia essa sostanziale o strumentale,a norma dell'art. 75 comma 2
Cost. ,non può essere abrogata con referendum ) . Con l'abrogazione,l'efficacia della legge abrogata cessa ex nunc: essa continua a regolare i fatti avvenuti nell'arco
temporale che va dalla data della sua entrata in vigore,o dalla data in cui inizia la sua efficacia(se differita ),fino alla data della sua abrogazione. Una legge tributaria abrogata
dunque,continua ad essere applicabile ai fatti avvenuti prima dell'abrogazione,per cui continuano ad essere dovuti i tributi sorti in relazione a presupposti d'imposta realizzatisi
sotto il suo vigore.
3)altra ipotesi di cessazione dell'efficacia di una norma tributaria,si ha in caso di dichiarazione d'incostituzionalità ai sensi dell'art. 136 Cost. .
In virtù dell'art. 136 cost., Le norme dichiarate incostituzionali cessano di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza della corte
costituzionale,anche se va osservato che ,per consolidato orientamento della corte costituzionale stessa,la dichiarazione di incostituzionalità di una norma tributaria non ha
effetto sui cd. rapporti esauriti. Quindi la dichiarazione di incostituzionalità ha efficacia retroattiva,relativamente ai rapporti pendenti ,ma non incide, tuttavia ,sui rapporti che si
sono ormai cristallizzati,per cui la dichiarazione di incostituzionalità non ha effetto,ad esempio, nei casi in cui il contribuente sia incorso in una decadenza ,oppure nel caso in
cui si sia formato un giudicato,,ovvero in caso di inoppugnabilità dell'avviso di accertamento perchè non impugnato nei termini.
Possiamo fare un esempio. Nel caso in cui una norma impositiva,che introduce un nuovo tributo,sia successivamente dichiarata incostituzionale dalla corte costituzionale,la
dichiarazione di incostituzionalità della norma impositiva ,che introduce il nuovo tributo,non ha effetto in relazione a quei contribuenti che ,ad esempio,non abbiano
tempestivamente impugnato l'avviso di accertamento notificato ,prima della sentenza, nel termine di 60 giorni dalla data di ricevimento della notifica dell'avviso di
accertamento. In questo caso ,il rapporto non si è instaurato dinanzi alle commissioni tributarie e l'avviso di accertamento non impugnato nei 60 giorni è definitivo,si è
consolidato,per cui la dichiarazione di incostituzionalità non incide su quel rapporto che ormai si è cristallizzato,anche se lo stesso si è cristallizzato facendo applicazione di
una norma illegittima.
La stessa cosa dicasi nel caso in cui il contribuente abbia versato un'imposta in eccesso sulla base di una norma dichiarata incostituzionale,ma sia trascorso il termine dei 5
anni previsto per il rimborso delle imposte indebitamente versate.
Stessa cosa dicasi nel caso in cui il contribuente abbia ricevuto la notifica di una cartella di pagamento e ,per evitare l'esecuzione forzata,abbia provveduto al pagamento nei
60 giorni della cartella di pagamento.
In tutti questi casi,in cui il rapporto si sia cristallizzato,seppur esso si sia cristallizzato sulla base dell'applicazione di una norma dichiarata successivamente
incostituzionale dalla corte costituzionale,il debito,quanto versato, non potrà essere ripetuto dal contribuente,il quale, quindi, avrà l'onere di mantenere pendente
il rapporto se vuole beneficiare dell'eventuale dichiarazione di incostituzionalità della norma,dovendo quindi esperire tutti i rimedi previsti dall'ordinamento,quindi
impugnando l'atto di accertamento nei 60 giorni dinanzi alla commissione tributaria e così via fino alla cassazione,ovvero ,dovrà,in caso di versamento indebito
sulla base di una norma che presume incostituzionale,presentare tempestivamente istanza di rimborso di quanto indebitamente versato. Diversamente, il rapporto
diventerà definitivo ed il contribuente non potrà beneficiare della dichiarazione di incostituzionalità della norma.
Dunque questa è la soluzione, adottata dalla corte costituzionale, per contemperare ,da un lato, l'esigenza alla corretta interpretazione delle norme con l'esigenza di certezza
e di stabilità dei rapporti giuridici dall'altro lato,ovvero,con l'esigenza che non siano bypassate le preclusioni ,ormai maturate nell'ordinamento, per la non impugnazione di una
sentenza ,o per la decadenza dai termini per chiedere rimborso di un'imposta indebitamente versata.
Quindi, solamente laddove vi siano rapporti ancora aperti,non consolidati,quindi non vi sia sentenza passata in giudicato e vi siano ancora i termini per richiedere istanza di
rimborso,la dichiarazione di incostituzionalità della norma ridonderà a beneficio del contribuente.
-RETROATTIVITA' DEI TRIBUTI:
Ulteriore profilo di rilievo in merito all'efficacia della norma tributaria nel tempo, è rappresentato dall'ammissibilità o meno dei tributi cd. Retroattivi.
Facendo un passo indietro,di retroattività possiamo parlare in due accezioni:
→ retroattività propria: è quando un tributo individua come presupposto, che fa scattare l'obbligo al versamento del tributo,un fatto ,un atto o una situazione che si colloca nel passato .
La norma produce effetti anche nel passato.
Un esempio di retroattività propria, è rappresentato dalla proroga di agevolazioni ormai scadute: le agevolazioni previste per le zone terremotate ,scadute al 30 giugno 2019, nel 2020
vengono prorogate per tutto il 2019. quindi nel 2020, il legislatore introduce una norma che proroga per tutto il 2019 gli effetti vantaggiosi derivanti da una norma agevolativa, i cui effetti in
realtà erano scaduti il 30 giugno del 2019. Si tratta dunque di una retroattività propria ,perchè sia il presupposto ,sia l'effetto agevolativo della norma,si collocano nel passato.
Dunque si ha ,in conclusione,retroattività propria,quando sia la fattispecie,sia i suoi effetti,si collocano nel passato rispetto alla pubblicazione della legge.
→ retroattività impropria: si ha retroattività impropria quando si collega un tributo ad un presupposto realizzato nel passato,ma i cui effetti si riverberano nel presente,o,per meglio dire,
quando la legge collega un tributo,da corrispondere dopo la sua entrata in vigore, a fatti verificatisi anteriormente alla legge stessa.
Esempio: Introduco oggi un tributo che ,da domani ,tu contribuente,dovrai versare , per via presupposti realizzati nel passato. Dunque, tutti i contribuenti che hanno, ad esempi,o ceduto
degli immobili 5 anni fa e hanno realizzato una plusvalenza,devono versare un tributo , sostitutivo,sulla plusvalenza realizzata in relazione alla cessione di immobili cinque anni fa. Si tratta
di una retroattività impropria perchè gli effetti ,rappresentati dalla debenza del tributo,in realtà non sono retroattivi e decorrono dal momento attuale,ma il presupposto si colloca nel
passato,per cui la manifestazione di capacità contributiva si è realizzata nel passato.
La retroattività ,a prima vista,sembrerebbe impedita dall'art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile (Preleggi),in virtù del quale “la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha
effetto retroattivo”. In merito,va osservato che tale art. 11 delle Preleggi costituisce, tuttavia, una norma di rango ordinario e quindi sarebbe una norma ,anche dal punto di vista fiscale, liberamente
derogabile dal legislatore. Dunque non c'è ,in realtà ,a livello costituzionale,una norma che disponga espressamente il divieto di retroattività delle norme tributarie .
In realtà,con lo statuto dei diritti del contribuente o L. 212/2000,vi è una norma ,pseudo-costituzionale o rafforzata, rinvenibile nell'art. 3,secondo cui le norme tributarie non potrebbero
avere efficacia retroattiva . Sempre l'art. 3 dello Statuto dei diritti del contribuente,pone le seguenti regole:
→ le modifiche dei tributi periodici si applicano dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data in cui entrano in vigore (cd. Piccola irretroattività)
→ le nuove disposizioni non possono prevedere adempimenti ,a carico dei contribuenti,la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in
vigore
Possiamo altresì ricordare che lo Statuto dei diritti del contribuente dispone espressamente che ,come abbiamo visto,norme interpretative ,che hanno strutturalmente efficacia retroattiva ,possono
essere adottate espressamente e solo con legge ordinaria ,mai con legge speciale.
Nel caso dello Statuto dei diritti del contribuente,purtroppo,ci si trova di fronte a norme che ,sebbene, secondo la corte di cassazione e la corte costituzionale,abbiano un'efficacia pseudo-
costituzionale, in realtà sono state spesso derogate dal legislatore.
Un esempio,in merito, è rappresentato da una norma che, sempre per l'art.3 dello Statuto dei diritti del contribuente, dispone che i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti non
possono essere prorogati. Dunque, i termini previsti a favore del contribuente,termini di decadenza per l'attività amministrativa dell'agenzia delle entrate,non possono essere prorogati. In realtà, proprio il
DPCM del 17/03/2020 (n. 18),convertito nel d.l. 18/2020,a fronte della sospensione dei termini di versamento delle imposte fino al 30 maggio,ha previsto espressamente che i termini di decadenza per
gli accertamenti,previsti per attivare l'accertamento,sono prorogati di due anni (a fronte di una sospensione dei termini di versamento di due mesi circa,il legislatore ha introdotto,e questa normativa è
stata criticata sotto questo profilo da tutta la dottrina,una proroga dei termini di decadenza per l'attività amministrativa dell'agenzia dell'entrate di due anni. Con norma chiaramente incostituzionale). Si
tratta di un esempio di stretta attualità finalizzato a dimostrare che, in realtà, anche le norme pseudo-costituzionali previste nello statuto dei diritti del contribuente sono derogate liberamente dal
legislatore .
Il discorso inerente alla retroattività dei tributi può concludersi con l'esame del limite nella retroattività dei tributi. Se, la norma, di cui all'art. 3 dello statuto dei diritti del contribuente, ha
un'efficacia pseudo-costituzionale o rafforzata,ma il legislatore, in realtà,quando ne sente l'esigenza,deroga alle norme dello statuto,pur essendo le stesse una diretta attuazione di norme costituzionali
quali gli artt. 3,23,53,97 Cost.,vediamo come il limite alla retroattività dei tributi non possa essere ci certo rappresentato dall'art. 3 dello Statuto dei diritti del contribuente.
Il limite alla retroattività dei tributi è in realtà rappresentato,come affermato dalla corte costituzionale,proprio dal principio di capacità contributiva,nello specifico,dal requisito di attualità
della capacità contributiva. In realtà ,la corte costituzionale,introducendo un requisito (criticato da tutta la dottrina),ha aggiunto ,oltre al fatto che la capacità contributiva deve essere attuale ,il fatto che
deve essere altresì prevedibile che quella capacità contributiva sarebbe stata, in qualche momento successivo, assoggettata a tassazione dal legislatore.
Evidentemente, si tratta di un limite molto elastico e di difficile attuazione.
Il limite rimane comunque rappresentato dall'attualità della capacità contributiva,in virtù della quale, il legislatore è libero di individuare,come presupposto del tributo, fatti ,espressivi di
forza economica, che si collocano nel passato quando è ragionevole presumere che quegli effetti ,in termini di forze economiche,quindi in termini di potenzialità contributiva,siano tuttora
persistenti nel patrimonio del contribuente.

-OVERRULING:
Si ha overruling nel caso in cui vi sia il mutamento giurisprudenziale di un orientamento consolidato. Nel qual caso,la nuova interpretazione di norme sostanziali vale anche per i fatti
pregressi,mentre,la nuova interpretazione di norme processuali non può avere effetto su atti compiuti in precedenza,in virtù del principio secondo cui le regole del processo non possono
cambiare durante il suo svolgimento.

CAPITOLO 3- L'INTERPRETAZIONE DELLA NORMA TRIBUTARIA


3.1- PROBLEMI RIGUARDO L'INTERPRETAZIONE E CLASSIFICAZIONE DELLE INTERPRETAZIONI
-DIFFICOLTA' INTERPRETATIVE DELLA LEGGE TRIBUTARIA:
L'interpretazione,nonchè la conoscenza stessa,delle leggi tributarie,presenta diverse difficoltà,legate tutte alle peculiarità della legislazione tributaria medesima. Le difficoltà interpretative della legge
tributaria possono essere riassunte in 5 ordini di ragioni:
1)la legislazione tributaria non è raccolta sistematicamente,in un testo unitario: non esiste un vero e proprio codice tributario,ma esistono soltanto dei testi normativi,con un relativo
grado di sistematicità,quali i testi unici relativi ad alcune imposte (esempio: Testo unico delle imposte sui redditi, Testo unico dell'imposta di registro) da un lato, e lo Statuto dei diritti del
contribuente dall'altro lato. Basti in merito pensare che,non a caso,il diritto tributario è stato definito come polisistematico,proprio in virtù del fatto che ,nell'ordinamento tributario,afferiscono
produzioni normative non coordinate e non organiche. Dunque le fonti del diritto tributario,come già esaminato,non sono disposte in maniera ordinata e organica.
Possiamo fare degli esempi di testi normativi rilevanti all'interno dell'ordinamento tributario:
→ d.p.r. 600/1973 : regola la disciplina delle dichiarazioni dei redditi( la quale viene integrata nel d.p.r. 322/1988) e contiene innumerevoli norme sulle ritenute (utili ai fini della
riscossione)
→ d.lgs. 472/1997: disciplina il ravvedimento operoso e le sanzioni amministrative
→ d.p.r. 602/1973: disciplina la riscossione dei tributi,integrato dal predetto d.p.r. 600/1973 relativamente alle ritenute
→ d.lgs. 546/1992: disciplina il processo tributario,ma è da integrare con norme presenti all'interno del codice civile e del codice di procedura civile
Il primo problema dell'interprete consiste dunque nell'individuare quale testo normativo ,quali testi normativi disciplinino una determinata materia,verificando altresì che tali testi normativi
siano vigenti.
2)iperlegificazione ed instabilità all'interno dell'ordinamento tributario: con iperlegificazione ,si vuole intendere la pratica,condotta dal legislatore,di modificare continuamente le leggi
tributarie,al fine di introdurre nuovi oggetti imponibili,nuove fonti di entrata,al fine di colmare alcune lacune,al fine di impedire pratiche elusive ( basti pensare che novità importanti vengono
introdotte,ultimamente,con le leggi finanziarie o di stabilità,che presentano pochi articoli con centinaia di commi,o anche con maxi-emendamenti governativi). Da tale iperlegificazione in
materia ,ne discende la necessità di controllare che una norma sia tutt'ora vigente e che non sia stata modificata.
Con instabilità dell'ordinamento tributario,intendiamo invece far riferimento al fatto che ,molto spesso,le norme tributarie nascono per far fronte a situazioni di emergenza,il che porta
all'emanazione di numerosi decreti-legge,con tutti i problemi di mancata conversione,di regolarizzazione dei rapporti pendenti e di reiterazione che gli stessi portano. Oltre a ciò, va
osservato che non mancano numerose leggi a termine,ossia leggi che concedono un'agevolazione,ma soltanto per incentivare investimenti compiuti entro una certa data.
3)per comprendere ed interpretare le leggi tributarie è necessaria una conoscenza tecnica in materie estranee dall'ambito di formazione del giurista: sono infatti necessarie
competenze in materia finanziaria e contabile.
4)sono delle difficoltà legate alla tecnica legislativa: data l'iperlegificazione in materia precedentemente esaminata,il legislatore non si muove mai su un territorio vergine,per cui le leggi
tributarie non soltanto operano continui rinvii a leggi tributarie precedenti,ma vanno altresì a modificare testi normativi precedenti. Non a caso infatti,lo stesso legislatore,nell'art. 10 dello
Statuto dei diritti del contribuente,nonchè in altri testi normativi,esclude l'applicazione di sanzioni quando la violazione di determinate disposizioni dipende da obiettive condizioni di
incertezza sull'ambito e sulla portata della norma tributaria violata
5)vi sono dei precetti di tecnica legislativa ,all'interno dello Statuto dei diritti del contribuente,che lo stesso legislatore trascura: tali precetti di tecnica legislativa sono
enucleati,per la precisione,nell'art. 2 dello Statuto dei diritti del contribuente e sono i seguenti:
→ le leggi e gli altri atti aventi forza di legge che contengono disposizioni tributarie,devono menzionare l'oggetto nel titolo; la rubrica delle partizioni interne e dei singoli articoli
deve menzionare l'oggetto delle disposizioni ivi contenute
→ le leggi e gli altri atti aventi forza di legge non aventi oggetto tributario,non possono contenere disposizioni di carattere tributario,fatte salve quelle strettamente inerenti
all'oggetto della legge medesima
→ i richiami di altre disposizioni,contenuti nei provvedimenti normativi in materia tributaria,si fanno indicando anche il contenuto sintetico della disposizione alla quale si
intende fare rinvio
→ le disposizioni ,modificative di leggi tributarie, devono essere introdotte riportando il testo conseguentemente modificato
-CRITERI INTERPRETATIVI DELLA NORMA TRIBUTARIA:
In merito all'interpretazione della norma tributaria,vi è da dire che l'interprete può ,talvolta deve,far ricorso a diversi criteri di interpretazione:
→ interpretazione letterale: la dottrina è concorde nel ritenere che la norma tributaria debba essere interpretata alla stregua di qualsivoglia altra norma presente
nell'ordinamento,sicchè è sicuramente da applicarsi il criterio di interpretazione letterale di cui all'art. 12 delle Preleggi,in virtù del quale “...deve essere attribuito il senso fatto
palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse”. Occorre dunque procedere con l'interpretazione letterale sulla base del significato proprio delle parole ,nel
luogo e nel tempo in cui il legislatore ha posto la norma.
Va in primo luogo osservato che,oltre a termini della lingua corrente,il legislatore utilizza spesso termini tecnici e termini tecnicizzati,ossia,rispettivamente, termini che hanno un
significato esclusivamente giuridico e termini ,dell'uso corrente, cui viene attribuito,nelle leggi,un significato specialistico.
Secondariamente,possiamo notare come,ai fini dell'interpretazione letterale,occorra far riferimento alle definizioni talvolta date dal legislatore tributario,per evitare che di uno
stesso termine possano darsi più definizioni,ereditate da altri settori dell'ordinamento (es. la nozione civilistica di residenza non coincide con il concetto di domicilio fiscale).
In ultimo luogo,va osservato che la fattispecie delle norme tributarie può essere formata da istituti e termini di altri settori dell'ordinamento,per cui ,nel caso in cui il legislatore
non abbia provveduto a darne un significato tecnico,l'interprete dovrà attribuire ai termini usati nella legge tributaria,lo stesso significato che hanno nel settore giuridico di
provenienza (cd. Principio della costanza semantica,che si pone in contrasto con le teorie autonomistiche del diritto tributario).
→ interpretazione logico-sistematica: l'interprete deve interpretare le singole disposizioni come componenti di un sistema,tenendo conto ,dunque,sia della volontà del
legislatore storico,sia della ratio legis,ossia della volontà del legislatore astratto. Occorre dunque che l'interprete tenga conto dello specifico fenomeno economico,espressivo di
capacità contributiva,che il legislatore ha avuto di mira e che esprime la ratio del tributo. Va altresì tenuto in considerazione che ogni norma va collocata ed interpretata nel sistema
normativo di cui fa parte,il che ,nel nostro caso e con particolare riferimento ai tributi armonizzati (es. IVA) , ne fa discendere un'intersezione con il sistema normativo comunitario.
È bene poi sottolineare che rientrano nell'ambito dell'interpretazione sistematica:
1)l'interpretazione antielusiva: stante che l'art. 10Bis dello Statuto dei diritti del contribuente dispone che l'elusione è costituita da “operazioni prive di sostanza economica
che,pur nel rispetto formale delle norme fiscali,realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti”,l'interpretazione antielusiva va adottata dall'interprete facendo sì che il
comportamento elusivo venga incluso nella fattispecie della norma elusa e quindi che lo stesso venga tassato nei modi ordinari. L'interpretazione antielusiva viene
favorita dall'utilizzo di metodi non formalistici,che fanno prevalere ,sulla lettera della legge,l'intenzione del legislatore storico e la volontà attualizzata della legge,nel rispetto dei
principi fondamentali del diritto tributario,ossia il principio di capacità contributiva,il principio di uguaglianza in relazione a situazioni di pari capacità contributiva,il principio della
giusta imposta,etc. .
2)l'interpretazione conforme o adeguatrice: si tratta di una forma di interpretazione sistematica,basata sulla predilezione per un'interpretazione conforme al testo
gerarchicamente sovraordinato rispetto a quello in analisi. Non a caso,infatti,le leggi tributarie nazionali,devono essere conformi non soltanto alla Costituzione,ma altresì
a tutto il diritto comunitario (fonti derivate quali direttive e regolamenti,Trattati e CEDU) ed allo Stesso Statuto dei diritti del contribuente,il quale si auto-qualifica per il fatto di
porre in essere norme direttamente attuative dei principi costituzionali; allo stesso modo,i testi dei decreti delegati devono essere interpretati in maniera conforme al contenuto
delle leggi di delegazione,così come ,ad un livello inferiore,i regolamenti devono essere interpretati in maniera tale da risultare conformi alle norme di legge.
→ interpretazione estensiva e restrittiva: nel XIX secolo,si era affermata la dottrina dell'interpretazione stretta delle leggi tributarie ed il tributo era considerato come un'intromissione
dello Stato nell'economia privata,nonchè come limitazione della libertà e della proprietà dei singoli. Da ciò ne conseguì non soltanto un divieto di analogia in materia tributaria,ma ,altresì, il
divieto di interpretazioni estensive,che si caratterizzavano per il fatto di estendere la portata della norma tributaria fino a ricomprendervi il più ampio significato con essa compatibile e
dunque per il fatto di essere ,fondamentalmente,pro fisco. La situazione si capovolse e si arrivò ad ammettere pacificamente un'interpretazione estensiva,pro fisco e a non
consentire,invece ,un'interpretazione restrittiva delle norme tributarie,interpretazione restrittiva che avrebbe dato un ambito di applicazione meno ampio di quello consentito dalla norma e
che sarebbe stata,dunque, contra fiscum e ,al contempo, a favore del contribuente.
Attualmente,non esiste alcun canone che imponga di sviluppare l'interpretazione delle norme tributarie in modo tale da pervenire ad un'estensione o ad una restrizione della
materia imponibile,almeno per quanto concerne le norme impositive; di contro,riguardo le norme che prevedono esenzioni o agevolazioni,la giurisprudenza,con un
orientamento consolidato,ritiene che le stesse vadano interpretate sempre in maniera restrittiva.
→ interpretazione analogica: l'art. 12 delle Preleggi,parlando di interpretazione analogica,fa riferimento a due forme di analogia,ossia all'analogia legis,che consiste nell'applicazione di
norme dettate per casi simili o per materie analoghe, ed all'analogia juris,che consiste nel ricorso ai principi generali dell'ordinamento. È bene osservare che vi sono diverse norme ,in
materia tributaria,per le quali non si può far ricorso all'interpretazione analogica:
a)le norme di favore,che pongono esenzioni ed agevolazioni: vengono escluse dall'applicazione analogica per via del carattere eccezionale che le stesse,secondo la
giurisprudenza,rivestirebbero,stante anche quanto disposto dall'art. 13 delle Preleggi,ossia che l'analogia non è ammessa per le leggi penali e per quelle che fanno eccezione
a regole generali o ad altre leggi.
b)le norme sanzionatorie: esse vengono escluse dall'interpretazione analogica in virtù della riserva assoluta di legge ex art. 25 Cost.
c)le norme impositrici: esse vengono escluse dall'applicazione dell'analogia in quanto ci si troverebbe di fronte ad una lacuna non in senso tecnico(viene stabilito il
tributo ,ma non ne viene disciplinata l'applicazione),bensì di fronte ad una lacuna in senso ideologico,con ciò ad intendere che l'interprete,non ricomprendendo una
determinata fattispecie in quegli atti o fatti che costituiscono il presupposto dell'imposizione,ha inteso effettivamente di non comprenderli nei presupposti da cui nasce
l'imposizione del tributo.
È dunque consentita l'interpretazione analogica soltanto laddove le norme tributarie abbiano natura procedimentale o processuale.
-BILANCIAMENTO:
Il bilanciamento,detto anche ponderazione,è una tecnica argomentativa alla quale si ricorre nei casi in cui,ad una determinata fattispecie,siano applicabili più norme o più principi in
conflitto. Attraverso il bilanciamento,l'interprete deve stabilire quale norma,o quale principio,sia assiologicamente prevalente ,giacchè quello sarà il principio ,o la norma, che andrà applicato.

3.2-LEGGI INTERPRETATIVE ED ATTI INTERPRETATIVI


-LEGGI DI INTERPRETAZIONE AUTENTICA:
Con legge di interpretazione autentica,o,più semplicemente,con interpretazione autentica,si suole far riferimento ai casi in cui ,dinanzi a una disposizione di significato incerto
o ambiguo,il legislatore ne imponga una determinata interpretazione (con legge ordinaria). Si intende dire che il legislatore,qualora una determinata disposizione ,in vigore
nell'ordinamento, dia adito a diverse interpretazioni,ovvero qualora vi siano state formulate in merito interpretazioni giurisprudenziali divergenti rispetto alla linea del diritto
perseguita,si fa interprete della disposizione di dubbio significato,statuendo,con legge,quale sia l'interpretazione da adottare.
È bene osservare che le leggi di interpretazione autentica non vanno a sostituire la disposizione interpretata,non la vanno ad abrogare: rimarranno quindi in vigore sia la norma
interpretata,sia la norma interpretativa.
Esse sono dunque ,per loro natura,retroattive.
Da ultimo,occorre notare che molto spesso,soprattutto in passato,il legislatore ha affrancato una determinata legge come interpretativa di una determinata disposizione anche se,in realtà,
la soluzione ivi prospettata non era in alcun modo desumibile dalla disposizione interpretata. Il legislatore ,quindi,era solito qualificare come legge di interpretazione autentica una
legge che in realtà presentava contenuti innovativi. Tale pratica è stata ,per lo più,assecondata dalla Corte costituzionale.
Gli unici limiti che le leggi di interpretazione autentica trovano sono:
→ l'affidamento del cittadino nella certezza del diritto
→ l'art. 53 Cost.,che costituisce un limite alla retroattività delle leggi tributarie in quanto si richiede che la capacità contributiva sia attuale
→ i giudizi in corso,qualora risulti che la legge sia maliziosamente diretta ad orientare l'esito di alcuni specifici processi,o ad annullare decisioni passate in giudicato (Corte
Costituzionale,sent. 432/1997)

-CIRCOLARI E RISOLUZIONI:
Le circolari e le risoluzioni dell'amministrazione finanziaria,dell'Agenzia delle Entrate in particolare,costituiscono degli atti amministrativi di interpretazione e non sono qualificabili come
fonti del diritto tributario,dal momento che il diritto tributario stesso è presidiato dalla riserva di legge ex art. 23 Cost. (nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta
se non in base alla legge),riserva la quale,pur essendo relativa,certamente non ammette che una determinata prestazione patrimoniale possa essere imposta sulla base di un atto
amministrativo.
Nello specifico,possiamo definire:
→ le circolari: le circolari sono atti interpretativi che l'amministrazione finanziaria pone in essere o in merito ad una nuova normativa, o in merito ad una legge di cui non sia mai
stato dato un chiarimento ufficiale,o in merito ad una legge che abbia posto un dubbio interpretativo ,seppur risalente, o nella stessa amministrazione finanziaria,ovvero nella
giurisprudenza. Le circolari non costituiscono assolutamente attività normativa,ma semplicemente attività interpretativa posta in essere dall'Agenzia delle Entrate ,utile a chiarire i dubbi
posti da una disposizione controversa ed altresì ad orientare il comportamento degli uffici periferici. Non essendo dunque un atto normativo ,nè una fonte del diritto, la circolare,in virtù del
principio gerarchico, ha efficacia soltanto nei confronti degli uffici periferici della stessa amministrazione finanziaria e nei confronti dell'amministrazione finanziaria medesima.
La circolare non ha alcuna efficacia vincolante nei confronti del contribuente,o nei confronti dei giudici e,a ben vedere,nemmeno nei confronti delle stesse agenzie fiscali,le
quali potrebbero revocare l'orientamento espresso dalla circolare e disattenderla,salvo sanzioni disciplinari,dal momento che le stesse sono chiamate semplicemente ad
attenersi al contenuto della legge,nel rispetto dell'art. 23 Cost. .
Possiamo in merito fare un esempio:Vi è una norma ,approvata a marzo 2020, che sospende i termini di impugnazione degli atti di accertamento dal 9 marzo al 15 aprile. Un atto di
accertamento notificato al contribuente può essere impugnato dinanzi alla commissione tributaria provinciale,normalmente, entro 60 giorni dalla notificazione. Nel caso in cui il contribuente
presenti istanza di accertamento con adesione,il termine di impugnazione si sospende per 90 giorni ed il contribuente avrà sostanzialmente 150 giorni per impugnare l'atto (60 di
sospensione ordinaria e 90 di sospensione per la presentazione dell'istanza di accertamento con adesione). Una volta subentrato questo provvedimento normativo di sospensione dei
termini dal 9 marzo al 15 aprile,possiamo osservare che questo presenta lacune enormi ,sia dal punto di vista sia procedimentale che dal punto di vista processuale : basti pensare che
non vengono disciplinati i termini a ritroso (quando è previsto un termine di 10 giorni per depositare una memoria!),o al fatto che non si faccia minimamente riferimento agli accertamenti
con adesione. L'amministrazione in merito ha emanato una circolare,in cui dice che tale periodo di sospensione ,dal 9 marzo al 15 aprile 2020,si aggiunge ai 90 giorni ed ai 60 giorni
previsti in caso di istanza di accertamento con adesione. Nella norma questo non viene detto e ciò risulta soltanto dal contenuto di una circolare: qui è chiaro che si corre il rischio per cui,
se si impugna l'atto ,invece che alla scadenza dei 150 giorni,alla scadenza dei 165 giorni, il giudice potrebbe ritenere o la norma di sospensione legittimamente introdotta
nell'ordinamento ,così come interpretata nel senso estensivo auspicato dall'agenzia delle entrate, ovvero ritenere che la norma introdotta per la sospensione dei termini non si applichi in
senso estensivo come auspicato dall'agenzia delle entrate,con la conseguenza che,in tal ultimo caso,potrebbe dichiarare tardivo il ricorso del contribuente,perchè presentato 35 giorni dopo
la scadenza legislativamente prevista.
In merito alle circolari,va ,da ultimo, osservato che le stesse hanno la funzione non soltanto di orientare il comportamento delle agenzie fiscali,ma altresì di informare i
contribuenti dell'interpretazione fatta propria dalla P.A.,fondando quindi l'affidamento dei contribuenti medesimi in ordine al comportamento da tenere nell'applicazione delle
leggi tributarie.
Riguardo al legittimo affidamento del contribuente,va ricordato quanto disposto dall'art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente,il quale dispone:
→ al comma 1 ,che i rapporti tra contribuente ed amministrazione finanziaria sono improntati al principio di collaborazione e di buona fede
→ al comma 2 ,che non sono irrogate sanzioni,nè richiesti interessi moratori al contribuente,quando egli si sia conformato ad indicazioni contenute in atti dell'amministrazione
finanziaria,ancorchè successivamente modificate dall'amministrazione medesima,o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente a
ritardi,omissioni od errori dell'amministrazione stessa. Con ciò si intende che il contribuente non è tenuto al versamento delle sanzioni ,o degli interessi moratori (ma soltanto
del tributo dovuto) ,qualora il comportamento ,che ha dato luogo alla violazione ,si sia realizzato in conformità di quanto previsto inizialmente in merito da una circolare
dell'agenzia delle entrate medesima ,che avrebbe successivamente,in un'altra circolare,cambiato orientamento.
→ al comma 3, che le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione della
norma tributaria,o quando si traduce in mera violazione formale senza alcun debito d'imposta.
Con ciò si intende dire che le circolari potranno dunque essere utilizzate dal contribuente per dimostrare l'obiettiva incertezza sull'ambito di applicazione di una determinata
norma ricorrendo all'esimente prevista dall'art. 10 comma 3 dello Statuto dei diritti del contribuente,ossia l'esimente dell'obiettiva incertezza: qualora il contribuente dimostri ,o in
sede di contenzioso dinanzi alla commissione tributaria,o in sede di contenzioso endo-procedimentale con l'Agenzia delle Entrate,che riguardo l'applicazione o riguardo la portata di una
determinata norma tributaria,l'Agenzia delle Entrate ha emanato circolati contrastanti,egli potrà chiedere l'applicazione dell'esimente dell'obiettiva incertezza,richiedendo quindi che non gli
vengano irrogate sanzioni.
→ le risoluzioni: le risoluzioni,dette anche note,sono atti amministrativi sempre di natura interpretativa ma che,a differenza delle circolari,si sostanziano in risposte su casi
concreti e specifici,su casi posti all'attenzione delle agenzie fiscali da parte dei contribuenti. Anche le risoluzioni,al pari delle circolari,non costituiscono atti normativi,il che
implica che non sono giuridicamente vincolanti né per il contribuente,nè per i giudici,nè ,eventualmente,per la stessa amministrazione finanziaria,che può disattenderle ,con
conseguenze su un piano meramente disciplinare.
Dunque, la differenza tra circolari e risoluzioni risiede solamente nel fatto che le prime hanno normalmente una rilevanza più generale,coinvolgendo quindi una maggior platea di soggetti o
attenendo a questioni di maggior interesse e complessità,mentre le seconde ,essendo delle risposte a casi concreti e specifici, presentano una platea di soggetti,nonchè di
interessi,circostanziati.
Entrambe le categorie di atti amministrativi non costituiscono fonti normative,indi per cui ,come abbiamo detto,non sono giuridicamente vincolanti. Ciò comporta che ,sia le circolari,sia le
risoluzioni,non siano impugnabili. Sebbene infatti in passato si sia ritenuto che una circolare fosse impugnabile ,dinanzi al TAR, per violazione dell'interesse legittimo alla tutela del proprio
affidamento ed eventualmente anche per vizio di eccesso di potere,oggi è ormai assolutamente pacifico,per giurisprudenza consolidata di legittimità, che le circolari non abbiano alcuna efficacia
normativa e costituiscano quindi mera attività interpretativa,per cui le stesse non sono né direttamente impugnabili ,nè,tanto meno, disapplicabili (come accade invece per i regolamenti) da parte del
giudice tributario.
Possiamo fare un esempio. Quand'anche una circolare,nel chiarire il significato di una normativa , estendesse l'ambito di un'applicazione di una norma ed il contribuente,conseguentemente si attenesse
all'interpretazione fornita dalla circolare,nel caso in cui ,successivamente, l'amministrazione rettificasse la dichiarazione dei redditi del contribuente sulla base di un orientamento non coincidente con
quello precedentemente espresso dalla circolare,non per questo la rettifica sarebbe illegittima. Quindi il contribuente non potrebbe dire che l'atto di accertamento è viziato,illegittimo ,o nullo, e che è
stato emanato sulla base di un orientamento,sulla base dell'interpretazione di una norma diversa da quella che era stata espressa in una precedente circolare,poichè ciò che rileva è solamente la
coerenza tra atto di accertamento e la norma: se l'atto di accertamento è conforme alla norma, allora è legittimo;diversamente, se non è conforme alla norma,non è legittimo,a prescindere dal fatto che
esso sia invece coerente o meno con l'interpretazione di quella norma espressa nella circolare. Ciò che rileva è soltanto il legame tra norma , comportamento del contribuente ed atto di accertamento.
In punto di legittimità o di illegittimità dell'atto di accertamento,quando si impugna questo di fronte alle commissioni tributarie, è la sua conformità o meno rispetto alla norma ad avere rilevanza, a nulla
rilevando,invece, la conformità o meno dell'atto di accertamento ad una precedente circolare interpretativa dell'agenzia delle entrate.

3.3- L'INTERPELLO
-INTERPELLO:
L'interpello è un istituto che si sostanzia nella richiesta ,del contribuente,volta a sollecitare un intervento chiarificatore da parte dell'amministrazione finanziaria. Nello specifico,con la
proposizione di un interpello,il contribuente chiede all'amministrazione finanziaria di fornire chiarimenti in merito all'interpretazione di una norma tributaria,oppure di fornire un parere
riguardo al fatto che determinate operazioni,poste in essere dal contribuente ,potrebbero configurarsi come elusive o meno.
L'interpello,sostanzialmente, è uno strumento attraverso cui si attua la collaborazione tra fisco e contribuente,nel senso che entrambi cooperano nella miglior interpretazione della norma
e nella ricerca della corretta applicazione della stessa fattispecie in gioco.
Analizzando l'istituto dell'interpello dal punto di vista della sua natura giuridica,possiamo osservare che la Corte Costituzionale,con sent. 191/2007, ha espressamente sancito che non ci si
trova in presenza di una fonte del diritto ,per cui l'interpello non vincola il contribuente,il quale,consequenzialmente, non sarà certamente obbligato ad impugnare la risposta, eventualmente negativa,
data dall'amministrazione,dal momento che egli potrà esporre le sue argomentazioni ,o fornire le prove(in caso di interpello probatorio),anche in sede di contraddittorio preventivo con l'amministrazione
nel caso di accertamento con adesione,nonchè in sede di contenzioso.In buona sostanza,secondo l'interpretazione della Corte costituzionale,l'interpello consiste in un mero parere ,che non ha
valenza di atto impositivo e che quindi non deve, necessariamente, essere impugnato dal contribuente.
Attualmente,l'istituto dell'interpello ha assunto un ambito di applicazione davvero vasto,tanto che ormai è possibile distinguere diverse forme di interpelli,che hanno in comune soltanto la
struttura,struttura che si configura nella maniera seguente:
→ il contribuente presenta istanza di interpello all'amministrazione finanziaria e deve ,all'interno di tale istanza,prospettare la soluzione da lui elaborata
→ l'amministrazione finanziaria è tenuta a rispondere all'istanza di interpello del contribuente entro un termine che può variare dai 90 ai 120 giorni (in alcuni casi tale termine è
dimezzato)
→ il contribuente ha diritto a che l'amministrazione finanziaria si pronunci sulla sua istanza di interpello,così come chiarito dall'art. 11 dello Statuto dei diritti del contribuente
(che parla,per l'appunto,di diritto di interpello),sicchè , qualora l'amministrazione finanziaria non si pronunci entro i suddetti termini di 90/120 giorni,dovrà ritenersi che
l'amministrazione finanziaria abbia tacitamente ritenuto di accedere all'interpretazione fornita dal contribuente (sembra una sorta di applicazione del principio di silenzio-assenso,il
che ci fa comprendere perché sia così importante ,per il contribuente,prospettare ,all'interno dell'istanza di interpello,una determinata soluzione o interpretazione).
→ la risposta dell'amministrazione finanziaria si configura come qualificata ed agevola il contribuente,con ciò intendendo che il contribuente,qualora si uniformi alla risposta
fornitagli dall'amministrazione finanziaria,non potrà vedersi notificati avvisi di accertamento che siano difformi rispetto al contenuto della risposta. Dunque,ponendo l'attenzione
sugli effetti della risposta ad un'istanza di interpello,possiamo osservare che essi,per certi versi,sono assimilabili a quelli delle circolari e delle risoluzioni,ma ,d'altro canto,gli stessi hanno
una vincolatività maggiore,il che costituisce una differenza con gli effetti di circolari e risoluzioni: nel caso di risposta agli interpelli infatti,l'amministrazione finanziaria è vincolata alla risposta
data,sia in forma espressa che in forma tacita,sicchè gli atti di accertamento emanati in difformità di tale risposta saranno da considerarsi nulli.
→ il contribuente è libero di attenersi o meno alla risposta dell'amministrazione e,qualora non ritenga di accedere alla risposta data dall'amministrazione,
potrà ,eventualmente, dare le argomentazioni che ritiene condivisibili anche in sede di contraddittorio con l'amministrazione dopo la notifica dell'atto di accertamento ,ovvero
in ipotesi di impugnazione dell'atto di accertamento dinanzi ai giudici delle commissioni tributarie provinciali e regionali.
Come abbiamo poc'anzi accennato,possiamo distinguere diverse forme di interpello,quali:
→ l'interpello ordinario:
L'interpello cd. ordinario viene disciplinato dall'art. 11 co.1 lett. A dello Statuto dei diritti del contribuente,il quale recita: “Il contribuente può interpellare
l'amministrazione per ottenere una risposta riguardante fattispecie concrete e personali relativamente a: (a)l'applicazione delle disposizioni tributarie, quando vi sono
condizioni di obiettiva incertezza sulla corretta interpretazione di tali disposizioni e la corretta qualificazione di fattispecie alla luce delle disposizioni tributarie applicabili alle
medesime, ove ricorrano condizioni di obiettiva incertezza e non siano comunque attivabili le procedure di cui all'articolo 31-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre 1973, n. 600, introdotto dall'articolo 1 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 e di cui all'articolo 2 del medesimo decreto legislativo 14 settembre 2015, n.
147”.
Alla luce di quanto disposto dall'art. 11 comma 1,lettera A dello Statuto,emergono le seguenti caratteristiche dell'interpello cd. Ordinario:
1) vi è la condizione per cui il contribuente deve presentare istanza di interpello relativamente a fattispecie concrete e personali: in realtà,questa è una
condizione che riguarda tutte le forme di interpello ,non soltanto l'interpello ordinario,ma che si sostanzia comunque nel fatto che la fattispecie deve essere
necessariamente concreta e non astratta,nonchè nel fatto che la fattispecie debba riguardare personalmente il contribuente istante e non altri soggetti.
2)l'istanza di interpello ordinario può riguardare sia l'applicazione delle disposizioni tributarie che presentino condizioni di obiettiva incertezza dal
punto di vista interpretativo,sia la corretta qualificazione di determinate fattispecie alla luce di diverse disposizioni tributarie: Evidentemente ,laddove
non vi sia una obiettiva condizione di incertezza,nell'ipotesi in cui ,ad esempio,sulla stessa norma l'amministrazione si sia già pronunciata ed abbia
eventualmente pubblicato una circolare in merito,l'istanza di interpello si concluderà con una pronuncia di inammissibilità dell'interpello stesso(non con una
pronuncia di infondatezza), per inesistenza della condizione della obiettiva incertezza; salvo il caso in cui il contribuente dimostri che,sulla base di elementi
sopravvenuti, l'interpretazione precedentemente fornita dall'amministrazione non sia più condivisibile.
3) ai fini della presentazione dell'istanza di interpello ordinario,non devono essere attivabili altre procedure,quali quelle degli accordi preventivi e
degli interpelli per nuovi investimenti ,di cui, rispettivamente, all'art. 31 ter del d.p.r. 600/1973 e all'art. 2 del d.lgs. 147/2015.
→ l'interpello cd probatorio:
L'interpello cd. Probatorio viene disciplinato dall'art. 11 co.1 ,lett. B,dello Statuto dei diritti del contribuente,il quale dispone che Il contribuente può interpellare
l'amministrazione per ottenere una risposta riguardante fattispecie concrete e personali relativamente a: (b)la sussistenza delle condizioni e la valutazione della idoneità degli
elementi probatori richiesti dalla legge per l'adozione di specifici regimi fiscali nei casi espressamente previsti”.
Tale tipo di interpello viene definito come probatorio perché,sostanzialmente, attraverso questa istanza di interpello,il contribuente fornisce all'amministrazione
finanziaria quegli elementi probatori necessari al fine di consentire, all'amministrazione medesima, di determinare la sussistenza o meno delle condizioni per
l'applicazione di un determinato regime fiscale.
Un esempio di interpello probatorio è riscontrabile nell'art. 167 del testo unico delle imposte sui redditi(TUIR),al comma 5 ed al comma 8ter.
Nel primo caso,di cui al comma 5,si dispone che il contribuente ,per evitare l'imputazione dei redditi conseguiti all'estero, da una società partecipata,debba dimostrare lo
svolgimento di un'attività economica effettiva nell'altro paese,ovvero dimostrare che, dalla partecipazione, non sia conseguito l'effetto di di coniugare i redditi di un paese con
regime fiscale artificioso.
Nel secondo caso,di cui all'art.8ter,si dispone che il contribuente,per evitare l'imputazione dei redditi conseguiti all'estero,da una società partecipata,debba dimostrare che la
società partecipata,residente in un altro Stato,non sia una costruzione di puro artificio.
Dunque,l'art 167 del TUIR detta il regime fiscale per le società controllate e dispone ,semplificando,che laddove un soggetto residente partecipi,direttamente o
indirettamente, in un soggetto non residente,sia esso collocato in un paese a bassa fiscalità,o anche in un paese dell'UE, i redditi conseguiti dal soggetto non residente sono
comunque imputati al soggetto residente e,di conseguenza, assoggettati interamente ad imposizione in Italia. Per evitare questo fenomeno di imputazione dei
redditi ,conseguiti dal soggetto estero partecipato ,al soggetto controllante,il soggetto residente deve presentare istanza di interpello ,nella quale deve
dimostrare ,alternativamente, o che il soggetto partecipato esercita un'attività economica effettiva nell'altro paese,o che il reddito non è allocato in un paese a bassa
fiscalità,oppure,ancora, che il soggetto residente in un paese UE non si sostanzia in una costruzione di puro artificio,ma che ,anzi,si tratta di un soggetto ,effettivamente
esistente,che svolge un'attività economica effettiva.
L'interpello probatorio è anche idoneo a consentire l'accesso al regime del consolidato mondiale,oppure per consentire la permanenza nel regime del consolidato
nazionale (L'opzione per il Consolidato mondiale consente alle società di capitale e agli enti commerciali di includere nella propria base imponibile, indipendentemente
dalla distribuzione, i redditi di tutte le proprie società controllate non residenti. L'imputazione dei risultati positivi e negativi avviene per la quota parte corrispondente alla
percentuale di partecipazione agli utili, tenendo conto della demoltiplicazione determinata dalla catena societaria di controllo; di contro, Il consolidato nazionale non obbliga al
consolidamento di tutto il gruppo: l’opzione può essere esercitata anche soltanto da alcune delle società del gruppo. Inoltre, l’esercizio dell’opzione va in questo caso
effettuato congiuntamente da ciascuna controllata e dall’ente o società controllante. Si hanno, pertanto, tante opzioni a coppia quante sono le società controllate che
esercitano la facoltà. Il soggetto consolidante deve presentare la dichiarazione dei redditi del consolidato (utilizzando il modello Cnm) e calcolare il reddito complessivo globale
che è pari alla somma algebrica dei redditi complessivi netti dei soggetti che hanno esercitato l’opzione, assunti per l’intero importo, indipendentemente dalla quota di
partecipazione riferibile al consolidante).
→ l'interpello antielusivo:
L'interpello cd. Antielusivo viene disciplinato,in combinato disposto,dagli artt. 11,comma 1,lettera C e 10bis dello Statuto dei diritti del contribuente. Nel suddetto
art. 11,co.1,lett. C, si dispone che “Il contribuente può interpellare l'amministrazione per ottenere una risposta riguardante fattispecie concrete e personali relativamente a:
(C) l'applicazione della disciplina sull'abuso del diritto ad una specifica fattispecie”.
Dunque,il contribuente può presentare istanza di interpello antielusivo quando voglia chiedere ,all'amministrazione finanziaria, se una determinata
fattispecie,personale e concreta,sia elusiva,cioè se vi sia stato un utilizzo di istituti ,astrattamente previsti dall'ordinamento , per scopi non conformi rispetto alle
finalità previste dall'ordinamento .
Facendo un passo indietro,possiamo osservare come,a norma del succitato art. 10bis,l'elusione o abuso del diritto,possa definirsi come utilizzo di uno strumento
giuridico per finalità non proprie. Più correttamente,configura abuso del diritto o elusione, una o più operazioni ,prive di sostanza economica,che,pur nel rispetto
formale delle norme fiscali,realizzano ,essenzialmente, vantaggi fiscali indebiti.
Dalla definizione appena data,si può dedurre che due sono le condizioni ,previste dall'art. 10Bis,affinchè una determinata operazione possa essere considerata
come elusiva:
1)l'operazione deve essere priva di sostanza economica,con ciò intendendo che la stessa non deve essere dettata da valide ragioni economiche: nello
specifico,l'art. 10Bis ,comma 1, detta degli indici di assenza di sostanza economica,indici in virtù dei quali si considerano come operazioni prive di sostanza
economica ,i fatti,gli atti ed i contratti,anche tra loro collegati,inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali.
Sono indici di mancanza di sostanza economica ,in particolare: la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico nel loro
insieme e la non conformità dell'utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato.
Da ciò rileva che si può desumere l'assenza di sostanza economica,all'interno di una determinata operazione ,quando si utilizzano degli strumenti giuridici per
finalità che non sono loro proprie,oppure quando si utilizzano degli strumenti giuridici in maniera non conforme alla comune logica di mercato.
Quindi si può desumere l'assenza di sostanza economica quando vengono utilizzati strumenti giuridici che non sono coerenti con la prassi mercatoria. Quindi si
utilizzano strumenti per finalità che non sono loro proprio o in maniere comunque non conforme alla prassi,alle normali logiche di mercato.
2)l'operazione deve essere realizzata al solo fine di conseguire vantaggi fiscali indebiti:per vantaggio fiscale indebito ,si intende il beneficio,anche non
immediato,realizzato in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario.
Se un'operazione è qualificata come abusiva(o elusiva),l'art. 10Bis dello statuto dei diritti del contribuente prevede che l'operazione,pur essendo civilisticamente
valida e pur mantenendo dunque i suoi effetti sul piano civilistico,è inopponibile (viene disconosciuta) all'amministrazione finanziaria in relazione ai vantaggi
tributari conseguiti,sicchè l'amministrazione finanziaria potrà applicare le imposte dovute,come se l'operazione non fosse stata realizzata,fermo restando il
credito per quanto effettivamente già versato dal contribuente.
Il comma 3 dell'art. 10Bis dispone poi che non si considerano abusive ,in ogni caso ,le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali,anche
di ordine organizzativo/gestionale , finalizzate al miglioramento strutturale o funzionale dell'impresa o dell'attività professionale del contribuente.
Dunque,in base a quanto stabilito dall'art. 10Bis comma 3,un'operazione non viene considerata come abusiva,risultando pertanto come legittima e ,di conseguenza,
opponibile all'amministrazione finanziaria, quando ,pur consentendo di ottenere un risparmio fiscale,venga dimostrato che l'operazione è accompagnata anche da una
valida ragione economica,di tipo extra-fiscale,diversa dal mero risparmio d'imposta (l'operazione potrebbe anche essere legittima se posta in essere per soddisfare esigenze
di carattere meramente organizzativo o gestionale.
Il comma 4 dell'art. 10Bis ribadisce altresì che al contribuente è attribuita libertà di scelta tra diverse operazioni,comportanti un differente carico fiscale,purchè tali
operazioni rispondano ad un effettivo interesse economico del contribuente stesso. Con tale norma si intende dire che il contribuente non è obbligato a scegliere la via
fiscalmente più onerosa,ma,al contrario,ha la possibilità di porre in essere operazioni che comportino un minor carico fiscale,purchè tali operazioni siano rispondenti ,oltre che
all'interesse al risparmio fiscale,anche ad altri interessi economici del contribuente medesimo.
Dunque, il contribuente,prima di porre in essere un'operazione complessa,come, ad esempio, un'operazione di fusione,di scissione o di conferimento,oppure una cessione di
partecipazioni,può interpellare preventivamente l'amministrazione,perchè ,una volta ottenuta la risposta dell'amministrazione, il contribuente potrà decidere se uniformarsi alla
risposta,ad esempio negativa, dell'amministrazione e quindi potrà decidere di non procedere all'operazione,così evitando il rischio,in sede di accertamento,della contestazione
dell'operazione in esame e dell'irrogazione di sanzioni,ovvero,di contro, sempre in sede di risposta negativa dell'amministrazione (che qualifichi come abusiva
l'operazione),può anche decidere di porre in essere l'operazione e eventualmente di difendersi poi in sede contenziosa (in tal ultimo caso, il giudice non sarà vincolato alla
risposta negativa resa dall'agenzia delle entrate in sede di interpello,salvo che ne possa tener conto ,eventualmente, in sede di imputazione e quantificazione delle spese di
giudizio, in caso di rigetto del ricorso in primo grado).
Al di fuori dell'ipotesi di proposizione,da parte del contribuente,dell'istanza di interpello antielusivo,vi è il caso in cui l'amministrazione,in sede di
accertamento,voglia contestare l'abuso del diritto da parte del contribuente. In questo caso , vi è un obbligo di contraddittorio preventivo ,per cui
l'amministrazione,prima di notificare l'atto di accertamento,è obbligata ad inviare una richiesta di chiarimenti al contribuente,a carico del quale è posto l'obbligo di rispondere a
tale richiesta di chiarimenti entro i 60 giorni successivi. Nel caso in cui ,sebbene il contribuente abbia fornito i chiarimenti entro i termini predetti,l'amministrazione finanziaria
intenda comunque procedere alla contestazione dell'abuso del diritto da parte del contribuente,essa dovrà necessariamente adottare il modello della cd. Motivazione
rafforzata,con ciò intendendo che,in sede di stesura dell'atto di accertamento,la stessa non potrà limitarsi ad esporre le ragioni della contestazione dell'abuso del diritto,ma
dovrà altresì esplicitare le ragioni per cui non ha accettato,per cui non ha ritenuto condivisibili, le argomentazioni ed i chiarimenti esposti dal contribuente in sede di
contraddittorio anticipato.
→ l'interpello disapplicativo
L'interpello cd. disapplicativo viene disciplinato dall'art. 11 comma 2 dello Statuto dei diritti del contribuente,il quale dispone che “Il contribuente interpella
l'amministrazione finanziaria per la disapplicazione di norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d'imposta, o
altre posizioni soggettive del soggetto passivo altrimenti ammesse dall'ordinamento tributario, fornendo la dimostrazione che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non
possono verificarsi. Nei casi in cui non sia stata resa risposta favorevole, resta comunque ferma la possibilità per il contribuente di fornire la dimostrazione di cui al periodo
precedente anche ai fini dell'accertamento in sede amministrativa e contenziosa”.
Dunque,in questo caso, il contribuente interpella l'amministrazione finanziaria ai fini di ottenere la disapplicazione di norme tributarie che ,allo scopo di
contrastare comportamenti elusivi,limitano deduzioni,detrazioni,premi di imposta ,o anche altre posizioni soggettive del soggetto passivo -altrimenti ammesse
dall'ordinamento-,fornendo la dimostrazione per cui,nella particolare fattispecie ,gli effetti elusivi non possono verificarsi.
L'interpello disapplicativo si propone quindi quando vi è una norma che limita delle posizioni soggettive, normalmente riconosciute al contribuente, per finalità
antielusive. Il contribuente,in questo caso,può richiedere l'applicazione del regime ordinario,o meglio,prima ancora, può chiedere la disapplicazione della norma
limitativa antielusiva e quindi ,sostanzialmente, l'applicazione del regime ordinario,fornendo ,attraverso l'interpello disapplicativo,la prova che ,in quella
particolare fattispecie, gli effetti antielusivi ,che la norma intendeva ostacolare, non possono verificarsi ,per via dell'esistenza di condizioni particolari.
Nei casi in cui l'amministrazione finanziaria non abbia reso risposta favorevole all'istanza di interpello disapplicativo del contribuente ,avendo lo stesso proceduto
alle detrazioni,deduzioni,etc di cui sopra,egli avrà ,a prescindere,la possibilità di fornire tali dimostrazioni anche ai fini dell'accertamento,sia in sede amministrativa che in sede
contenziosa .
Come abbiamo detto,l'amministrazione finanziaria, con particolare riferimento all'agenzia delle entrate,ha un termine ,per rispondere al contribuente ,che varia dai 90 ai 120 giorni. Alla luce
delle sovresposte tipologie di interpello,possiamo meglio specificare che:
→ il termine è di 90 giorni in caso di interpello ordinario
→ il termine è di 120 giorni in caso di interpello probatorio,antielusivo o disapplicativo
Qualora l'amministrazione non risponda espressamente all'istanza di interpello,si avrà il silenzio-assenso e quindi si ritiene ,ope legis, che la soluzione prospettata dal contribuente sia
quella corretta,con la conseguenza che gli atti impositivi ,emanati in difformità rispetto al contenuto della risposta ,saranno nulli,sicchè nessuna sanzione potrà essere irrogata al
contribuente.

-INTERPELLO SUI NUOVI INVESTIMENTI:


Altra forma di interpello,di più recente emanazione ,ma di scarsa applicazione pratica a causa dei limiti quantitativi previsti (anche se vi sono state fattispecie particolari portate
all'attenzione dell'amministrazione), è l'interpello sui nuovi investimenti,previsto dall'art. 2 del d.lgs. 147/2015, in virtù del quale i soggetti, che intendano realizzare nuovi
investimenti ,superiori al valore di 30 milioni di euro, e che abbiano ,al contempo,significative e durature ricadute occupazionali,possono presentare l'interpello sui nuovi investimenti,al
fine di :
→ avere chiarimenti dall'agenzia delle entrate circa il regime fiscale del nuovo investimento.
→ avere chiarimenti,anche qui,in relazione ad un ipotetico abuso del diritto,
→ avere chiarimenti in merito alla disapplicazione di una norma antielusiva
→ avere chiarimenti in relazione all'applicazione di altri istituti
Tale tipologia di interpello viene dunque a configurarsi una fattispecie a se stante, dal momento che lo stesso presenta alcune caratteristiche degli interpelli precedentemente esaminati e dal momento
che esso,rispetto agli altri tipi di interpello,ha una più forte funzione di cooperazione fra fisco e contribuente ,giacchè, in questo caso, si utilizza l'agenzia delle entrate come consulente,chiedendo quale
sia il regime fiscale del proprio investimento , se vi sia abuso del diritto e se,eventualmente,si possa avere la disapplicazione di norme antielusive.
In questo particolare caso ,la risposta dell'agenzia delle entrate deve essere fornita entro il termine di 120 giorni,prorogabili di ulteriori 90 giorni. È previsto espressamente che le risposte di
maggior interesse,quindi idonee ad orientare il comportamento di altri investitori,siano pubblicate in Gazzetta Ufficiale.

PARTE 3 – I PRINCIPI DEL DIRITTO TRIBUTARIO


CAPITOLO 1 – I PRINCIPI COSTITUZIONALI DEL DIRITTO TRIBUTARIO: LA RISERVA DI LEGGE EX ART. 23 COST.
1.1- IL PRINCIPIO DELLA RISERVA DI LEGGE EX ART. 23 COST.
(VEDI PARTE 2,CAPITOLO 1.1)

CAPITOLO 2- I PRINCIPI COSTITUZIONALI DEL DIRITTO TRIBUTARIO: IL PRINCIPIO DELLA CAPACITA' CONTRIBUTIVA
EX ART. 53 COST. Ed IL PRINCIPIO DI PROGRESSIVITA'
2.1- IL PRINCIPIO DI CAPACITA' CONTRIBUTIVA EX ART. 53 COST.- GENERALITA'
-DOVERE DI CONCORRERE ALLE PUBBLICHE SPESE-STORIA:
L'art. 53 Cost. Dispone che “ Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
Il principio di capacità contributiva si sostanzia in un criterio di ripartizione dei carichi pubblici tra i consociati ed è desumibile dal dettato dell'art. 53 comma 1 Cost.,in virtù del quale
“tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.
La capacità contributiva,quale criterio di ripartizione dei carichi pubblici,rappresenta una nozione relativamente recente,introdotta soltanto con la Costituzione repubblicana del 1948.
Storicamente,possiamo osservare che il dovere di concorrere alle pubbliche spese si è atteggiato diversamente a seconda del momento storico analizzato:
→ vi era inizialmente l'epoca dell'imposizione violenta,dell'aggressione: quando ancora si trattava di economie in guerra,possiamo osservare che la contribuzione alle pubbliche
spese veniva ad atteggiarsi quale aggressione alla sfera patrimoniale dei singoli,quale imposizione coattiva
→ si arrivò poi all'epoca della contribuzione spontanea: in quest'epoca si diede prevalentemente rilievo al cd principio del consenso,in base al quale i singoli individui,nonchè i singoli
gruppi di individui, ripartivano volontariamente,al loro interno,il costo delle spese pubbliche,soprattutto in occasione di guerre,di calamità,o di realizzazione di particolari opere pubbliche.
→ si ritornò alla coercitività del prelievo fiscale: la contribuzione spontanea alle pubbliche spese non venne più ritenuta sufficiente per assicurare quella determinata certezza del
gettito,necessaria per finanziare la spesa pubblica. Tale ritorno all'imposizione coattiva ha trovato ,in parte,la sua giustificazione nel fatto che ci si trovava di fronte alla nascita di uno Stato
moderno ed accentrato,che aveva maggiori esigenze rispetto al passato,in particolare l'esigenza di prevedere flussi stabili di entrate che finanziassero la spesa pubblica. In questo senso,la
coercitività del prelievo fiscale venne vista come espressione del potere di supremazia dello Stato sui propri cittadini,nonchè come potere si supremazia su tutti quei soggetti,non
residenti,che entravano in contatto con la collettività organizzata.
Il problema fondamentale,a livello storico, era quello di individuare ,di volta in volta,un criterio,un indice di ripartizione delle spese pubbliche tra i consociati ,un indice che fosse
generalmente accettato. Ciò portò all'individuazione di diversi criteri,ritenuti come espressivi di ricchezza e dunque come espressivi di capacità,dei singoli, di contribuire alle spese
pubbliche:
→ gli economisti classici ed il criterio della corrispettività o del beneficio: gli economisti classici,tra la fine del 700 e l'800, ripresero gli schemi commutativi del diritto privato per
individuare dei criteri,a loro volta commutativi, di collegamento tra due soggetti posti in posizione di equilibrio e di sostanziale eguaglianza. Secondo gli economisti classici infatti, vi era un
soggetto privato,che versava un importo,ed un altro soggetto,ossia un ente pubblico,che erogava un servizio; tra i due soggetti intercorreva un rapporto che potremmo definire come
contrattualistico. Alla luce di ciò,gli economisti classici individuarono ,come criterio di ripartizione delle pubbliche spese,il criterio della corrispettività o del beneficio: il criterio di
corrispettività trovava applicazione con riguardo ai servizi pubblici divisibili,nei quali ,ricordiamo,vi era un legame più stretto tra la richiesta di un servizio da parte di un
soggetto e l'erogazione di quel servizio richiesto da parte di un altro soggetto; il criterio del beneficio,di contro,trovava applicazione con riferimento ai cd. Servizi pubblici
indivisibili,i quali ridondavano a beneficio dell'intera collettività e presentavano dunque un collegamento diretto con il versamento del tributo. Questa teoria contrattualistica era
frutto dell'individualismo tipico della cultura giuridica italiana dell'epoca,nonchè del principio di uguaglianza che aveva avuto un fiorente sviluppo a seguito della rivoluzione francese
→ la scuola tedesca e l'impostazione pubblicistica dell'imposizione coattiva: tra la fine dell'800 e gli inizi del 900,trovò un grande sviluppo l'impostazione tedesca,la quale proponeva
una teoria pubblicistica in cui veniva attribuita maggior rilevanza al potere di supremazia dello Stato sul cittadino. Veniva dunque meno la precedente teoria contrattualistica,che
vedeva lo Stato ed il cittadino su un piano di sostanziale eguaglianza,a favore di una teoria pubblicistica,che ruotava intorno alla nozione di tributo quale espressione del potere di
supremazia dello Stato e ,di conseguenza, quale espressione di sovranità e di coercitività. Questa si rivela essere l'impostazione attualmente seguita.
→ le costituzioni pre-repubblicane e la ripartizione sulla base delle facoltà economiche:Nelle costituzioni pre-repubblicane si faceva riferimento ad una ripartizione sulla base
delle facoltà economiche,sulla base dei mezzi economici,come testimoniano,rispettivamente,sia le costituzioni preunitarie,sia l'art. 134 della Costituzione di Weimar. Basti
ancora pensare all'art. 25 dello Statuto Albertino,il quale affermava espressamente che “i regnicoli contribuiscono indistintamente nella proporzione dei loro averi ai carichi dello Stato”.
Anche l'art. 13 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 stabiliva,non a caso, la necessità di un contributo comune per spese-in questo caso un contributo di
carattere generale-,ossia per l'erogazione di servizi indivisibili,facendo particolare riferimento soltanto al mantenimento della forza pubblica e alle spese di amministrazione : “è
indispensabile un contributo comune da ripartire tra tutti i concittadini in ragione della loro capacità”. Le formule presenti in questi testi, pur non coincidendo, fanno comunque
riferimento ad un'economia,ad un'imposizione sostanzialmente di tipo reale e non di tipo personale, proponendo un concorso alle pubbliche spese che fosse comunque
proporzionale “rispetto alle facoltà economiche o agli averi posseduti”.
La capacità contributiva, intesa come formula normativa,comparve per la prima volta durante i lavori preparatori della Costituzione. In questa sede, fu la Corte di Cassazione a proporre
tale concetto di capacità contributiva,un concetto che ,contenutisticamente, risultava come tecnicamente preferibile sia alla nozione di “averi” propria dello Statuto Albertino,sia alla
nozione di “mezzi” contemplata dalla Costituzione della Repubblica di Weimar. Tale concetto di capacità contributiva,secondo la Corte di Cassazione, aveva soprattutto la finalità di
sottolineare la non corrispettività tra obbligazione tributaria e prestazione di servizi pubblici indivisibili(con un abbandono definitivo dell'impostazione privatistica),dal momento che essa
si veniva a configurare quale criterio,di tipo solidaristico,in forza del quale si era tenuti a concorrere alle pubbliche spese in ragione della propria appartenenza alla collettività organizzata.
Questa formula di capacità contributiva,intesa quale criterio di partecipazione ai carichi pubblici in ragione dell'appartenenza alla collettività organizzata,venne ripresa dal Vanoni,il quale
la inserì nel Rapporto della Commissione economica dell'Assemblea costituente e poi nel testo definitivo della nostra Carta costituzionale.

-ANALISI DELL'ART. 53Comma 1 COST.:


L'art. 53 Cost. Dispone che “ Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
Come abbiamo visto,l'art. 53 comma 1 Cost. Fa riferimento al concetto di capacità contributiva,che si configura come criterio di ripartizione dei carichi pubblici tra i consociati sulla base
della loro capacità economica. Dunque,per capacità contributiva di un soggetto,si intende far riferimento alla sua capacità economica,capacità economica sulla base della quale viene
determinato,più che proporzionalmente,il concorso di quel soggetto alle spese pubbliche.
Passando all'analisi testuale dell'art. 53 Cost.,possiamo osservare che il principio di capacità contributiva ex art. 53 comma 1 Cost. Svolge,al contempo,una duplice funzione:
1)funzione solidaristica: la contribuzione obbligatoria,in questo senso , non soddisfa esigenze individualistiche ,ma sociali,proprie della collettività organizzata. Non a caso, la nozione di
capacità contributiva venne elaborata proprio per sottolineare come il dovere alla contribuzione prescindesse da qualsivoglia nesso di corrispettività con i servizi ,soprattutto
indivisibili,erogati dallo Stato. La capacità contributiva,secondo l'impostazione poi accolta da Vanoni, costituiva un criterio di ripartizione dei carichi pubblici in ragione dell'appartenenza alla
collettività organizzata.
Tale funzione solidaristica della capacità contributiva emerge:
→ innanzitutto,dalla stessa lettera dell'art. 53 Cost.,quando viene disposto che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche. Si tratta dell'interesse generale
alla collettività del concorso,a che tutti concorrano alle pubbliche spese.
→ da una lettura,in combinato disposto,dell'art. 53 comma 2 con l'art. 3 comma 2 Cost.: in base a tale combinato disposto,tutti dovranno concorrere alle pubbliche
spese,sulla base della propria capacità contributiva , in maniera progressiva,ossia in maniera più che proporzionale ,al fine di perseguire un effetto redistributivo
della ricchezza secondo i canoni di uguaglianza sostanziale sanciti dall'art. 3 comma 2 Cost. .
→ dal collegamento tra l'art. 53 e l'art. 2 Cost. : l'art. 2 Cost. Richiede l'adempimento di doveri inderogabili di solidarietà politica,economica e sociale ed è
innegabile che tra tali doveri vi rientri anche il dovere di contribuzione di cui all'art. 53 Cost. . Sotto questo punto di vista,l'art. 53 Cost. Potrebbe apparire
superfluo,ma ,in realtà non lo è,dal momento che non si limita a ribadire il dovere di solidarietà enunciato dall'art. 2 Cost. ,ma aggiunge un quid novi,ossia la
limitazione del concorso alla propria forza economica.
→ dal collegamento tra l'art. 53 e l'art. 4 Cost.: secondo l'art. 4 Cost.,ogni cittadino deve concorrere,secondo le proprie possibilità,anche materiali,al progresso
spirituale e materiale della società.
2)funzione garantistica: l'art. 53 comma 1 Cost. Esprime,oltre che una funzione solidaristica,altresì una funzione garantistica,dal momento che,pur essendo i consociati obbligati al
rispetto del dovere,è anche vero che l'art. 53 comma 1 Cost. Costituisce un presidio affinchè gli stessi siano assoggettati ad imposizione soltanto per fatti espressivi di capacità
contributiva,di forza economica. Dunque,per citare la sent. 179/1976 della Corte Costituzionale,possiamo dire che la commisurazione del carico tributario su ciascun soggetto deve
essere necessariamente parametrata alla sua condizione individuale,senza che su quella commisurazione possano incidere ricchezze prodotte da altri.
Da ciò ne deriva una duplice conseguenza. Innanzitutto,non tutti gli elementi espressivi di capacità economica possono essere ripresi,al contempo,come fatti espressivi di
capacità contributiva(es. Un reddito minimo,appena sufficiente a garantire una vita libera e dignitosa per il suo possessore e per i suoi familiari). In secondo luogo,emerge che il cd.
Interesse fiscale non è superiore agli interessi dei singoli,dal momento che tassare qualcuno secondo parametri non idonei ad esprimere una capacità contributiva specifica
ed effettiva al fine di perseguire un interesse predicato come superiore solo perché appartenente allo Stato,appare incompatibile sia con il principio di capacità
contributiva,sia con il principio di uguaglianza,sia con il principio di solidarietà.
Dunque nell'art. 53 comma 1 Cost. Vi sono due interessi apparentemente antitetici,l'uno che tutela un interesse generale,l'altro che tutela un interesse individuale: in virtù del primo ,siamo
tutti tenuti a concorrere alle pubbliche spese in ragione della nostra capacità contributiva,mentre,in virtù del secondo, la misura del concorso non può eccedere quanto consentito dalla
propria forza economica,quindi dalla capacità di contribuire alle pubbliche spese.
Dall'analisi dell'art. 53Comma 1 Cost. Emergono alcune specifiche caratteristiche del concorso alle pubbliche spese,quali:
→ generalità del concorso: con la locuzione “tutti”,si intende far riferimento ad un ampliamento della platea dei soggetti tenuti a concorrere alle pubbliche spese. Dunque, a differenza
della previsione di cui all'art. 30 dello Statuto Albertino,che coinvolgeva i soli “regnicoli”,ossia i soli soggetti residenti,con la previsione ex art. 53comma 1 Cost., la sfera soggettiva di
applicazione si amplia a ricomprendere non soltanto i cittadini ed i residenti,ma anche tutti quei soggetti non residenti che entrino in contatto con la collettività,o a causa dello
svolgimento di un'attività sul territorio dello Stato,ovvero per il fatto di possedere un immobile sul territorio dello Stato.
→ doverosità del concorso: la caratteristica della doverosità del concorso emerge dalla locuzione “tutti sono tenuti a concorrere”
Una volta individuata la sfera soggettiva di applicazione del principio di capacità contributiva ex art. 53 comma 1 Cost.,occorre individuare l'ambito oggettivo di applicazione del principio di capacità
contributiva,con ciò intendendo se esso presieda o meno a tutte le entrate statali:
→ secondo un'impostazione più risalente,facente capo al Maffezzoni,il principio di capacità contributiva doveva applicarsi a tutte le entrate pubbliche,ivi comprese quelle non
aventi natura tributaria
→ secondo l'impostazione del professor Micheli,il principio di capacità contributiva andava applicato a tutti i tributi
→ secondo un orientamento consolidato della Corte Costituzionale,il principio di capacità contributiva sottenderebbe alle sole imposte ,in quanto le stesse sarebbero
espressione del potere di supremazia dello Stato,mentre vi rimarrebbero escluse le tasse,che sottenderebbero invece ad un assetto di tipo commutativo tra le parti. Tale
impostazione deriva dall'accoglimento,da parte della Corte Costituzionale,della vecchia distinzione tra tributi atti a coprire il costo di servizi indivisibili e tributi invece volti a coprire il costo di
servizi divisibili,per cui sarebbero sottoposte al principio di capacità contributiva le imposte,ivi ricomprendendovi anche i contributi,mentre,di contro,le tasse sarebbero invece fondate sulla
ripartizione delle spese pubbliche in base al principio del corrispettivo o del beneficio.
→ secondo una dottrina minoritaria,il principio di capacità contributiva doveva applicarsi alle sole imposte dirette,escludendo quindi non soltanto le tasse,ma anche le imposte
indirette sui consumi,sulla produzione e sui trasferimenti.
Stante che le sanzioni sono escluse dall'ambito di applicazione del principio di capacità contributiva,in quanto aventi diversa disciplina e soggiacenti alla riserva assoluta di legge ex art. 25 Cost.,
appare preferibile accogliere l'impostazione mediana,condivisa anche da Fedele,per cui il principio di capacità contributiva vada applicato a tutti i tributi,ivi ricomprendendovi le tasse. Ciò
per due ordini di ragioni:
1)insussistenza di posizioni di equilibrio tra le parti
2)per via del fatto che anche le tasse presentano un momento di coercitività,un momento di espressione del potere di supremazia dello Stato: tale momento è rappresentato dalla disciplina
del prelievo,demandata interamente alla legge o ad un atto avente forza di legge. Si prescinde dunque dal fatto che le tasse sottenderebbero ad un assetto di tipo commutativo tra le
parti,un assetto in base al quale vi è il versamento di un importo a fronte dell'erogazione di un servizio,generalmente richiesto dal soggetto istante.
Dunque,ricapitolando,il principio di capacità contributiva andrebbe applicato a tutti i tributi,quindi sia alle imposte ,che alle tasse.
Da ultimo,occorre analizzare l'efficacia del principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost.,dal momento che lo stesso,nel corso del tempo,è stato diversamente considerato dalla dottrina e
dalla giurisprudenza:
→ come godimento dei servizi pubblici: in un primo momento,la dottrina interpretò la formula costituzionale di cui all'art. 53 Cost. Come una mera conferma del potere attribuito
al legislatore ordinario di determinare i criteri distributivi di concorso nei singoli tributi e come salvaguardia del minimo vitale. In tal contesto,l'art. 53 Cost. Veniva considerato
come una mera norma programmatica,priva di sanzione,o come una sorta di “scatola vuota”,per riprendere l'espressione usata dal Griziotti,fondatore della Scuola di Pavia
→ come esplicitazione del principio di uguaglianza: secondo un'interpretazione mediana,si riteneva che il principio di capacità contributiva di cui all'art. 53 Cost. Fosse
un'espressione del principio di uguaglianza,con ciò intendendo che, attraverso il raccordo tra l'art. 53 e l'art. 3 Cost., il principio di capacità contributiva veniva a configurarsi
come una garanzia di tutela di fronte a discriminazioni di varia natura,per cui a situazioni uguali doveva corrispondere un'uguale imposizione,mentre a situazioni differenti
doveva corrispondere una differente imposizione. La traduzione del principio di capacità contributiva in termini di applicazione del principio di uguaglianza non assicurava un controllo
efficace della legittimità del tributo.
→ come espressione di forza economica: in quest'ottica,il principio di capacità contributiva aveva l'attitudine a porsi in veste di controllo sostanziale circa la congruità delle
leggi ai principi ed ai valori espressi dalla nostra carta costituzionale. Non a caso infatti,la Corte Costituzionale è sovente intervenuta utilizzando l'art. 53 Cost. Per sindacare le scelte
del legislatore,nello specifico dichiarando l'illegittimità costituzionale,per contrasto con l'art. 53 Cost. , di quelle norme che assumessero a presupposto atti,fatti o situazioni non espressivi di
forza economica.
→ come limite alla legittimità della norma impositrice: il principio di capacità contributiva,grazie al progressivo intervento della Corte Costituzionale,si è andato configurando
come limite per l'attività del legislatore,in particolare come limite alla legittimità della norma impositrice. Esso rappresentava al contempo:
a)un limite assoluto: veniva stabilita l'illegittimità costituzionale di norme impositive che attribuivano rilevanza ,in qualità di presupposto del tributo,a fatti,atti o situazioni non
espressivi di una reale forza economica e dunque non espressivi di attitudine alla contribuzione. La Corte costituzionale ha precisato,in merito, che parlare di forza economica
equivale a parlare di una potenzialità economica,per cui la forza economica non deve necessariamente tradursi nella disponibilità oggettiva di mezzi economici. La Corte ha
tenuto a fornire degli indici di capacità contributiva,intesi quali fatti espressivi di ricchezza in senso lato.Per fare un esempio,anche il possesso di un immobile,che di per sé
non si traduce in un correlato possesso di forza monetaria,può assurgere a presupposto per l'istituzione di un determinato tributo.
b)un limite relativo: in questo senso,il principio di capacità contributiva ha assolto il ruolo di giustificazione di una diversa contribuzione imposta a taluni soggetti rispetto ad
altri soggetti. Dovendosi coordinare la nozione di capacità contributiva con altri principi e valori costituzionali (ad esempio, l'art. 3 Cost.), per questa via sono state
costituzionalmente giustificate agevolazioni ed esenzioni,che rappresentano,per l'appunto,trattamenti fiscali di favore i quali trovano il loro fondamento nell'attribuzione di
rilevanza ad altri principi e valori costituzionali,quali,ad esempio,la tutela della salute,del patrimonio storico ed artistico,del paesaggio,della famiglia,del risparmio e della
cooperazione. Dunque,la necessità di contemperamento del principio di capacità contributiva con altri principi e valori costituzionali può giustificare un prelievo
attenuato,che non si ha, invece, in relazione a fattispecie che ,seppur simili,non presentano l'emersione di altri profili di rilevanza costituzionale.
→ come espressione della situazione economica complessiva del soggetto: secondo un più recente orientamento della Corte Costituzionale,il principio di capacità contributiva
deve essere inteso non soltanto come manifestazione della potenzialità economica di un soggetto,ma anche come espressione della situazione economica complessiva del
soggetto. Con ciò,la Corte ha voluto intendere che non si può attribuire rilevanza ad un indice di ricchezza isolatamente considerato,essendo necessario attribuire rilevanza anche alla
sfera personale e familiare del contribuente inciso dal prelievo: da qui ne deriva una differenziazione del prelievo sulla base delle spese sostenute dai singoli soggetti,con la
possibilità ,dunque, di dedurre determinate spese sostenute dal reddito imponibile,ovvero di detrarre spese mediche e spese universitarie dall'ammontare del debito d'imposta.
Dunque,astrattamente,a parità di ricchezza posseduta,la capacità contributiva di ciascun soggetto verrà ritagliata sulla base della rispettiva sfera giuridica del contribuente in esame.

2.2- IL PRINCIPIO DI CAPACITA' CONTRIBUTIVA SECONDO I PIU' RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI


-CAPACITA' CONTRIBUTIVA:
Con capacità contributiva di un soggetto di vuole far riferimento alla sua capacità economica,espressiva dunque di attitudine alla contribuzione ai sensi dell'art. 53Comma 1 Cost,in virtù
del quale “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.
Abbiamo analizzato,nel paragrafo precedente,come la capacità contributiva svolga ,al contempo, una funzione solidaristica ed una funzione garantista. A tale distinzione di funzione
corrisponde,rispettivamente,la distinzione tra:
→ capacità contributiva oggettiva: si è tenuti a contribuire alle pubbliche spese in ragione di qualsivoglia fatto,atto o situazione idoneo ad esprimere forza economica,per la sola
circostanza di appartenere (o venire a contatto) ad una determinata collettività
→ capacità contributiva soggettiva: idoneità soggettiva del contribuente a far fronte agli obblighi tributari,resa evidente dalla presenza di indici concretamente rivelatori di ricchezza
La capacità contributiva deve risultare,per citare la sentenza,della Corte Costituzionale,n. 200/1976,da “indici concretamente rivelatori di ricchezza,dai quali sia razionalmente deducibile
l'idoneità soggettiva all'obbligazione d'imposta”.
Tali indici di capacità contributiva,ossia fatti,atti o situazioni che siano espressione della forza economica di un soggetto e ,conseguentemente,della sua attitudine a concorrere alle
pubbliche spese,possono dividersi in :
A)indici diretti: indici diretti di capacità contributiva sono quei fatti,atti o situazioni che sono direttamente espressivi, rappresentativi della forza economica di un soggetto. Tra
questi indici diretti rientrano:
→ reddito:è il fatto direttamente espressivo di capacità economica per eccellenza e si presta a rispecchiare la capacità contributiva complessiva delle persone fisiche. Va
osservato che possono essere dedotti dal reddito particolari oneri (personali e familiari),così come è possibile detrarre,dal debito d'imposta conseguente al reddito,diverse
spese (sanitarie,universitarie,etc).
→ patrimonio
→ incrementi,sia fisici che di valore,del patrimonio: basti pensare alle imposte sulle donazioni,sulle successione,così come anche alle imposte sull'incremento di valore
degli immobili
B) indici indiretti: sono indici indiretti di capacità contributiva atti,fatti e situazioni non direttamente espressivi di forza economica,ma che implicano disponibilità economica:
→ consumi: i consumi sono un indice di capacità contributiva perché implicano disponibilità economica,ma ciò non vale per tutti i consumi,essendovi anche consumi che non
possono essere tassati,come,ad esempio,la spesa sanitaria (che è esente IVA)
→ affari
→ trasferimento di un bene: il trasferimento di un bene viene tassato dall'imposta di registro ed è indice di capacità contributiva poiché implica disponibilità di
ricchezza,ricchezza corrispondente al valore di contrattazione.
È bene osservare che non tutti i fatti economici sono espressivi di capacità contributiva. Tra questi vi rientra il cd. Minimo vitale,ossia un reddito minimo,necessario affinchè un soggetto
possa condurre dignitosamente la propria vita,insieme con la sua famiglia. Ebbene ,il minimo vitale non può essere tassato,non può essere soggetto ad imposizione,proprio perché ritenuto come
quell'importo necessario affinchè un determinato soggetto possa condurre dignitosamente la propria esistenza. Per la stessa ragione sono state emanate delle norme che limitano l'espropriabilità delle
pensioni,degli stipendi e della prima casa.
Per quanto riguarda invece la misura massima di un tributo,va osservato che la Corte Costituzionale,già con la sent. 200/1972,ha statuito che “il tributo non può mai essere fissato ad un
livello superiore alla capacità contributiva dimostrata dall'atto o dal fatto economico”. Fondamentalmente,tuttavia,manca nella giurisprudenza costituzionale un qualsivoglia riferimento al
limite massimo di un tributo,per cui il legislatore ha in questo caso discrezionalità e la Corte Costituzionale potrà sollevare il sindacato di legittimità costituzionale soltanto con riguardo al profilo
dell'eventuale ed assoluta arbitrarietà o irrazionalità delle norme.
Un altro aspetto importante,nell'individuazione delle caratteristiche della capacità contributiva, attiene alla titolarità della capacità contributiva. In linea generale,possiamo dire che si rende
necessario che il soggetto passivo,inciso dall'imposizione,sia titolare delle fonti di ricchezza ,o che ,comunque, ne percepisca le utilità.
Dunque, non si rende più necessario che tra il contribuente,assoggettato ad imposizione,e la fonte di ricchezza ,espressiva di capacità contributiva,sussista un rapporto di tipo proprietario,un rapporto
giuridico in senso stretto,ma è sufficiente che il contribuente benefici dei risultati economici ricollegabili a quella determinata fonte di ricchezza,che costituisce il presupposto del tributo(sulla base di
ciò ,la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma che assoggettava a tassazione anche il marito, per i redditi percepiti dalla moglie,redditi che non rientravano in realtà
nella sua disponibilità giuridica.
Ricapitolando,si deve essere assoggettati a tassazione sulla base della propria capacità contributiva ,mentre non si può essere assoggettati a tassazione sulla base della capacità
contributiva ,della forza economica ,manifestata da altri.
È bene in merito notare che vi sono ,tuttavia,degli istituti che comportano una deviazione dai normali effetti di incidenza del tributo,ossia istituti che comportano che siano assoggettati ad
imposizione,in prima battuta,soggetti che non hanno realizzato il presupposto,il fatto economico cui è ricollegabile la manifestazione di capacità contributiva. Tali istituti sono rappresentati
dal sostituto d'imposta e dal responsabile d'imposta. Sostituto d'imposta è,ad esempio,il datore di lavoro,mentre responsabile d'imposta è,per esempio,il notaio: questi soggetti vengono ad essere
assoggettati a tassazione sulla base di un presupposto riconducibile al altri,cioè a causa di una forza economica riferibile ad altri,nello specifico ,rispettivamente, il lavoratore che percepisce lo stipendio
ed i soggetti contraenti che pongono in essere l'atto rogato dal notaio. Ciò che riconduce a legittimità costituzionale il prelievo da tali soggetti è il diritto ,o l'obbligo, di rivalsa che gli stessi hanno nei
confronti dei soggetti che hanno effettivamente realizzato il presupposto: il sostituto di imposta ha l'obbligo di rivalsa nei confronti del contribuente,del soggetto sostituito,per cui trattiene dallo stipendio
di questi una parte dello stesso e la versa all'erario ; il notaio ,di contro,ha non l'obbligo,bensì il diritto di rivalsa nei confronti dei soggetti che hanno realizzato il presupposto,sicchè egli pagherà
l'imposta di registro ,ma lo farà con la provvista che normalmente gli viene versata, in maniera anticipata .dalle parti contraenti. Anche in questi istituti,il soggetto definitivamente inciso dal tributo
risulta poi essere il soggetto che ha realizzato il presupposto,salvo l'imperfetta operatività della rivalsa da parte del sostituto o del responsabile d'imposta.
Altre caratteristiche della capacità contributiva sono poi desumibili dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale,la quale ha stabilito che la capacità contributiva deve essere
effettiva,certa ed attuale,dovendosi quindi il principio di capacità contributiva fondare sui seguenti requisiti:
→ effettività
→ certezza
→ attualità
-EFFETTIVITA' DELLA CAPACITA' CONTRIBUTIVA:
Con effettività della capacità contributiva,si intende far riferimento ad un requisito della capacità contributiva ,statuito dalla Corte Costituzionale (in particolare con la sent. 200/1976), in
virtù del quale deve essere assoggettata ad imposizione una forza economica che sia tale,quantitativamente,da consentire il concorso alle pubbliche spese. Dunque, sotto ad un certo
livello di forza economica,non si è tenuti al concorso alle pubbliche spese,proprio perché manca una capacità contributiva effettiva. Da tale formulazione è scaturita l'esclusione dalla
tassazione,ai fini delle imposte sui redditi,del cd. Minimo vitale, per cui ,sotto un certo livello di reddito, non vi è l'obbligo di contribuzione alle pubbliche spese. Con minimo vitale si intende far
riferimento a quel reddito minimo che serve ad un soggetto per condurre un'esistenza libera e dignitosa.
L'esclusione dall'imposizione del cd. Minimo vitale emerge non soltanto dalle pronunce della Corte Costituzionale,ma anche,e soprattutto,dal collegamento tra l'art. 53 Cost. Con altri
principi e valori costituzionali,quali,in particolare,gli artt. 31 e 36 Cost., che tutelano,rispettivamente,la famiglia ed il diritto ad una retribuzione idonea ad assicurare un'esistenza libera e dignitosa.
In virtù di tali collegamenti,qualora la capacità economica di un soggetto si attesti al di sotto di un certo livello,egli non potrà contribuire alle pubbliche spese,perchè,diversamente,si intaccherebbero,si
danneggerebbero irreparabilmente, altri valori costituzionalmente tutelati,ossia l'obbligo di tutelare la propria famiglia ed il diritto ad una retribuzione idonea ad assicurare un'esistenza libera e dignitosa.
È bene ,da ultimo,osservare che il principio di effettività della capacità contributiva fornisce tutela,sempre in riferimento all'esclusione dalla tassazione del cd. Minimo vitale,soltanto
nell'ambito delle imposte dirette e personali: tale principio non viene invece tutelato nell'ambito delle imposte indirette,soprattutto a causa delle difficoltà tecniche rappresentate sia
dall'individuazione di un prelievo fiscale complessivo che grava su un contribuente,sia dalla connessa individuazione di un limite all'imposizione.
-CERTEZZA DELLA CAPACITA' CONTRIBUTIVA:
Con il requisito della certezza della capacità contributiva si intende dire che la capacità contributiva deve essere certa,non apparente o fittizia.
Relativamente alla certezza ,è sorto un problema nell'ambito della fase di accertamento del tributo,ossia il problema dell'ammissibilità o meno di presunzioni assolute di una
determinata capacità contributiva del contribuente. Ricordando che con presunzioni assolute si vuole far riferimento,in quest'ambito, a quelle presunzioni di capacità contributiva,poste
dall'Amministrazione finanziaria,che non ammettono prova contraria da parte del contribuente, va detto che la Corte Costituzionale ha sancito l'illegittimità costituzionale di tali
presunzioni assolute stabilite dal legislatore,ammettendo come costituzionalmente legittime soltanto le cd presunzioni relative,ossia quelle presunzioni ,di forza economica
del contribuente ,che ammettono la prova contraria. Non mancano tuttavia pronunce, della stessa Corte Costituzionale, che ammettono la legittimità costituzionale delle determinazioni
forfettarie o catastali del reddito,seppur ammettendo prova contraria da parte del contribuente,probabilmente per ragioni di semplificazione dell'attività accertativa svolta dalle Agenzie
fiscali.
Il requisito della certezza del principio di capacità contributiva ha posto un altro problema,ossia il problema della conformità dei presupposti d'imposta al principio di capacità
contributiva. In merito ,va osservato che la Corte ha sancito che il legislatore avrebbe una rilevante discrezionalità in relazione alla scelta dei presupposti d'imposta,essendo lo
stesso tenuto al solo rispetto dei principi di razionalità delle scelte e di non arbitrarietà (deducibile dal combinato disposto con l'art. 3 Cost.). Oltre a ciò ,rileva altresì
l'ammissione di legittimità costituzionale di tributi,aventi carattere straordinario e temporaneo , fondati su presupposti dubitativamente espressivi di forza economica e
sproporzionati,nella misura dell'aliquota,rispetto alla forza economica manifestata ( Basti pensare al contributo straordinario per l'Europa,al prelievo straordinario del 6%1000 sui
depositi bancari); la Corte si è giustificata,in questi casi,asserendo che tali tributi,proprio per il loro carattere di straordinarietà e di temporaneità , non sarebbero stati in grado di alterare
permanentemente la configurazione complessiva del sistema ( va comunque detto che la Corte,nonostante abbia assunto tali determinate posizione,rimane molto rigida nella valutazione
della legittimità costituzionale,inerente alla conformità al principio di capacità contributiva, dei tributi aventi carattere strutturale e permanente).

-ATTUALITA' DELLA CAPACITA' CONTRIBUTIVA:


Con attualità della capacità contributiva si intende che il tributo deve essere riferito ad un presupposto che sia espressivo di una forza economica attuale,non passata o futura. Con ciò si
intende dire che un tributo,nel momento in cui trova applicazione,deve essere correlato ad una capacità contributiva in atto ,non passata o futura,o ,per meglio dire,che esso deve colpire
ricchezze che,al momento della tassazione,manifestano attitudine alla contribuzione,anche se formatesi in tempi precedenti ,ovvero anche se si formeranno in tempi prossimi rispetto alla
tassazione medesima.
Il principio di attualità della capacità contributiva assume rilevanza in due situazioni:
1)con riferimento alle leggi tributarie retroattive: in questo senso, l'attualità della capacità si pone come un limite alla retroattività dei tributi. Si possono individuare come
presupposti di imposta,come presupposti di un tributo,atti,fatti o situazioni che si siano realizzati in un momento antecedente rispetto all'entrata in vigore del provvedimento
istitutivo del nuovo tributo,purchè la capacità contributiva manifestata dal presupposto permanga ancora al momento dell'applicazione del tributo.
2)con riferimento ai prelievi anticipati rispetto alla realizzazione del presupposto: Secondo la Corte costituzionale ,i prelievi anticipati rispetto alla realizzazione del
presupposto sono ammissibili quando vi sia un collegamento tra il prelievo ed il presupposto (ad esempio,quando la base di calcolo sia il reddito dell'anno precedente) e quando
sia garantito l'adeguamento del versamento alla previsione dell'effettivo presupposto corrente. Qui,in esame,vi sono gli acconti di imposta,che sono dovuti dai contribuenti ai
fini delle imposte sui redditi. Gli acconti d'imposta operano secondo il seguente meccanismo: alla fine del primo semestre dell'anno è generalmente dovuto un anticipo dell'imposta
che sarà ipoteticamente dovuta alla fine dell'anno,alla fine del periodo d'imposta; tale anticipo,tale acconto,è parametrato al 40% del debito d'imposta maturato nell'anno
precedente(Dunque si paga un acconto sull'imposta dovuta nell'anno in corso ,a giugno 2020,parametrata non al reddito effettivamente conseguito,ma parametrata ad una parte,il 40%,
dell'imposta dovuta relativamente all'anno precedente). La Corte costituzionale ha giustificato tale anticipazione del prelievo sulla base del fatto che corrisponde alla comune
esperienza che il reddito normalmente si mantiene costante nel succedersi dei diversi prelievi di imposta e che ,nel caso in cui il reddito non si mantenga costante nel corso
di diversi periodi d'imposta,comunque il prelievo anticipato non si configura come definitivo,poichè il contribuente avrà la possibilità di chiedere il rimborso o,eventualmente,
di compensare ,al termine dell'anno, quanto anticipato rispetto a quanto definitivamente dovuto.

Recap su effettività,certezza ed attualità della capacità contributiva:Quindi la capacità contributiva deve essere certa,deve essere effettiva e deve essere attuale: certezza della capacità contributiva
significa che non sono ammesse presunzioni assolute di capacità contributiva,essendo ammesse soltanto presunzioni relative; l'effettività della capacità contributiva si traduce nel fatto che sono escluse da
imposizione le manifestazioni di forza economica che sono al di sotto del cd minimo vitale e che dunque siano appena sufficienti per mantenere la famiglia e quindi rendano la retribuzione percepita effettivamente
idonea a consentire un'esistenza libera e dignitosa; l'attualità della capacità contributiva indica che sono ammissibili tributi retroattivi solo nei limiti in cui sia razionalmente presumibile che la forza economica
manifestata sia tutt'ora esistente al momento dell'entrata in vigore del tributo che assuma a presupposto d'imposta un fatto realizzato nel passato.

-RELATIVIZZAZIONE DELLA CAPACITA' CONTRIBUTIVA:


Con relativizzazione del principio di capacità contributiva si vuole far riferimento al contemperamento del principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost. Con altri principi e valori
costituzionali ad opera della Corte Costituzionale. Bisogna infatti ricordare che il principio di capacità contributiva funge da limite per l'attività del legislatore,sia in senso assoluto,con ciò
intendendo che il legislatore non può individuare, come presupposto del tributo, atti,fatti o situazioni che non siano espressivi di forza economica,sia in senso relativo,con ciò intendendo
che lo stesso principio di capacità contributiva deve essere contemperato con altri principi e valori presenti nella nostra carta costituzionale.
In quest'ambito,secondo un'interpretazione granitica della Corte Costituzionale,il legislatore godrebbe di ampia discrezionalità riguardo alla scelta delle modalità di contemperamento tra il
principio di capacità contributiva ed altri principi costituzionali, dovendo lo stesso rispettare ,relativamente alla scelta dei presupposti dei tributi,soltanto i principi di congruità e di non
arbitrarietà ,desumibili dall'art. 3 Cost. .
Dunque,il criterio principe per la ripartizione dei carichi pubblici tra i consociati è rappresentato dal principio di capacità contributiva,basato sulla forza economica,ma tale principio deve
essere interpretato e conformato tenendo conto anche di altri principi e valori presenti nella nostra carta costituzionale ,i quali possono incidere sul principio di capacità contributiva
conformandolo diversamente,nel senso che ,a parità di presupposto,la forza economica ,o meglio,l'attitudine alla contribuzione desunta dagli stessi presupposti ,può essere differenziata
attribuendo rilevanza a profili che incidono su altri valori tutelati a livello costituzionale.
Possiamo fare degli esempi di contemperamento del principio di capacità contributiva con altri principi costituzionali:
→ con l'art. 3 Cost.: dal combinato disposto dell'art. 53 e dell'art. 3 Cost. Discende il principio dell'uguaglianza tributaria,in base al quale “ a situazioni uguali devono
corrispondere uguali regimi impositivi e ,correlativamente, a situazioni diverse un trattamento tributario diseguale “(sent. Corte Cost. 200/1972). Dunque,il principio di
uguaglianza tributaria implica una tassazione uguale di situazioni uguali sotto il profilo della capacità contributiva,trattamenti diseguali dove la capacità contributiva è invece
diversa. Spetterà al legislatore stabilire,secondo la sua discrezionalità,se due situazioni sono uguali o diverse,ferma restando la possibilità ,per la Corte Costituzionale,di sollevare il
sindacato di legittimità costituzionale qualora vi siano irragionevoli trattamenti differenziati di situazioni uguali ,ovvero un trattamento uguale di situazioni diverse. Da ciò ne discende che
saranno incostituzionali quelle norme che non prevedono parità di trattamento tra fatti che esprimono pari capacità contributiva,o che dispongono pari trattamento fiscale tra fatti che sono
espressione di diversa capacità contributiva.
→ con l'art. 9 Cost.,che esprime il principio di tutela della cultura,della ricerca scientifica e tecnica, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico: sono giustificate norme
che prevedono carichi differenziati,in termini di pretesa tributaria, in relazione al soddisfacimento di questi valori poc'anzi enunciati: ,per fare un esempio, i possessori di due
immobili ,aventi un identico valore catastale o venale ,potrebbero essere tenuti ad un diverso prelievo fiscale in ragione del fatto che si attribuisce rilevanza alla circostanza per cui uno dei
due è possessore di un immobile che ha un rilevante valore culturale ed artistico , che viene dunque assoggettato ad un prelievo fiscale minore per tener conto delle spese di
manutenzione.
Allo stesso modo,il contemperamento tra il principio di capacità contributiva e l'art. 9 Cost. Giustifica l'assoggettamento ad imposizione, in misura minore, delle imprese che
svolgono attività con rilevante valore tecnico-scientifico (es. imposizione agevolata per le start-up e le piccole e medie imprese innovative).
→ con l'art. 31 Cost.,sulla tutela della famiglia
→ con l'art. 32 Cost.,concernente il diritto alla salute:sono legittimi i tributi che perseguono anche finalità ,latu sensu ambientali ,e, dunque, anche di tutela della salute . Si
tratta di tributi che sostanzialmente hanno un effetto discriminativo dei redditi ,nel senso che è legittima un'imposizione che prevede un carico più gravoso per quelle attività
che siano più inquinanti ed un carico meno gravoso per le attività meno inquinanti; ciò appunto in omaggio ad altri valori costituzionali, come la tutela della salute e del
paesaggio di cui ai sopracitati articoli costituzionali.
→ con l'art. 45,sulla tutela della cooperazione
→ con l'art. 47 Cost. ,sul risparmio:con riferimento alla tutela del risparmio,un'imposizione agevolata sui redditi rappresentati ,ad esempio, dagli interessi sul conto corrente bancario,
rispetto ad altre forme di utilizzazione del capitale,sono per l'appunto giustificate sulla base dell'equo contemperamento tra il principio di capacità contributiva ed il principio di tutela del
risparmio di cui all'art. 47 Cost. , per cui ,a parità di forza economica, si potrebbe assoggettare ad imposizione più attenuata il reddito di capitale derivante dal deposito di somme sui conti
correnti al fine di agevolare ,conseguentemente implementare, il risparmio dei contribuenti. Da ciò ne deriva che il prelievo fiscale viene modulato diversamente ,contemperando il
principio di capacità contributiva con il principio di tutela del risparmio e quindi assoggettando ad imposizione, in misura minore, i redditi di capitale derivanti dal
risparmio,rispetto ad altri redditi di capitale derivanti ,ad esempio, da investimenti di tipo speculativo. Anche qui vi sono delle considerazioni da fare,giacchè se si agevola il
risparmio ,rispetto agli investimenti di tipo speculativo,si danneggiano le imprese,nel senso che ,se gli utili derivanti dal possesso di partecipazioni societarie fossero assoggettati a
tassazione in misura molto più gravosa rispetto ai redditi derivanti dal deposito bancario,evidentemente ,i soggetti che hanno liquidità sarebbero indotti a tenere i soldi sul c/c e a non
investire nelle imprese,condannando,a livello di economia nazionale, le imprese stesse,le quali verrebbero ad avere,di conseguenza, meno liquidità e non potrebbero poi acquisire beni e
servizi. Si tratta dunque di una scelta delicata,che sottolinea sia la necessità per il legislatore di contemperare diversi valori costituzionali,sia la necessità di coordinamento tra tributaristi e
scienza delle finanze per valutare appieno gli effetti delle misure economiche introdotte.
→ con gli artt. 41 e 42 Cost.,riguardo il diritto di libera iniziativa economica e la tutela della proprietà privata :il tributo non può essere espropriativo,giacchè il tributo deve
avere la finalità di ripartizione delle spese pubbliche tra i consociati ,sulla base di indici espressivi di capacità contributiva. Dunque ,non potendo essere il tributo
espropriativo,lo stesso dovrà avere una funzione di ripartizione delle pubbliche spese e dovrà conseguentemente essere parametrato alla capacità contributiva del soggetto
contribuente.
→ con gli artt. 81,97 e 119 Cost.,in merito al principio di pareggio di bilancio: bisogna domandarsi,in merito,se il principio di pareggio di bilancio,in virtù del quale sia lo Stato
che gli altri enti locali sono tenuti ad un allineamento tra entrate e uscite,possa influenzare l'individuazione e la ricostruzione del principio di capacità contributiva. Con ciò si
intende analizzare se il principio del pareggio di bilancio possa essere superiore al principio di capacità contributiva.
Pur volendosi accogliere la tesi della superiorità del principio del pareggio di bilancio,sicuramente le entrate tributarie non potrebbero essere incrementate fino al punto di
comprimere completamente i diritti di libertà (la disponibilità di risultati) in termini di assetti proprietari,ovvero sino al punto di ridurre quel bene supremo rappresentato dalla
dignità dell'individuo.
L'ultima considerazione da fare è che l'inserimento recente ,di cui abbiamo già parlato,del principio di pareggio di bilancio negli artt. 81 e 97 e 119 cost. Potrebbe influenzare l'individuazione e la
ricostruzione del concetto di capacità contributiva ,che è evidente che la necessità,solo affermata a livello statale,anche a livello regionale e locale di rispettare il principio del pareggio di bilancio ,e
quindi di rispettare l'allineamento tra entrate e spese,potrebbe incidere,ad esempio, sulla elevazione del limite massimo di imposizione come interesse e principio superiore anche a quello di capacità
contributiva,ovvero laddove il principio del pareggio di bilancio ,quindi del pareggio tra entrate e uscite,sia ricostruito come principio superiore rispetto a quello di capacità contributiva,la necessità di
rispettare il principio del pareggio di bilancio potrebbe far premio sulla necessità di ricostruire,in maniera equa,il principio di capacita' contributiva e quindi implicare un aumento del livello di
imposizione,ma non fino al punto di erodere lo stesso possesso delle fonti produttive del reddito. In altre parole,anche dovendosi tener conto del superiore principio del pareggio di bilancio,le
entrate tributarie non potrebbero essere incrementate fino al punto di comprimere del tutto i diritti di libertà e quindi la disponibilità di risultati in termini di assetti proprietari e così
nemmeno giustificare un aumento del prelievo ,ad esempio,sulle retribuzioni da lavoro dipendente,che siano tali da ridurre il bene superiore e supremo della dignità dell'individuo.
Questo contemperamento tra il principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost. Con altri principi e valori costituzionali, consente al legislatore di introdurre norme agevolative per scopi
riconosciuti costituzionalmente,senza che ciò comporti la violazione del principio di uguaglianza tributaria (tali norme agevolative,di conseguenza,potranno essere censurate dalla Corte
Costituzionale soltanto se irragionevoli).
Da ultimo,occorre osservare che tale bilanciamento di principi costituzionali ha consentito l'introduzione di tributi con finalità extra-fiscali,ossia di tributi che non hanno soltanto la funzione
di determinare il riparto delle pubbliche spese,ma che hanno altresì funzioni differenti,riconducibili al rispetto ed alla tutela di altri e determinati principi costituzionali.

Considerazioni: Una volta concluso l'esame della nozione di capacità contributiva,abbiamo gli strumenti per porci qualche domanda,come,ad esempio,se sarebbe costituzionalmente legittima una norma che
prevedesse un regime di favore,a parità di reddito conseguito,per le attività volte alla produzione di impianti per la terapia intensiva,o per la cura della polmonite. Con ciò si intende dire: a parità di reddito,sarebbe
costituzionalmente legittima,ai sensi dell'art.53 cost. , una configurazione delle imposte sui redditi in maniera tale che siano agevolate ,in questo momento, le imprese che convertano la loro attività per la produzione
di macchine e apparecchiature per la terapia intensiva? Probabilmente si. Il limite di questa agevolazione,in questo esempio, può servire a richiamare il concetto secondo cui i tributi non hanno solamente la finalità di
determinare il concorso alle pubbliche spese,ma possono perseguire,al contempo, anche finalità extra-tributarie,come la tutela della salute pubblica o tout court.
Si assiste poi ,in questi giorni ,alla sospensione dei termini di versamento dei tributi ,che si configura quindi come una sospensione fisiologicamente temporanea dell'obbligo contributivo. È questa sospensione del
dovere di solidarietà ,di cui all'art. 53 cost., Conforme al principio di capacità contributiva, o è comunque conforme alla Costituzione? Una sospensione del termine di versamento dei tributi è conforme al principio di
capacità contributiva laddove si ritenga che ,nel momento attuale,dato il blocco delle attività economiche,non ci sia forza economica e dunque capacità di concorrere alle pubbliche spese. In quest'ottica si potrebbe
benissimo individuare, nella sospensione dei termini per il versamento dei tributi ,un'applicazione del principio di capacità contributiva, da intendersi ,in questo momento, come ridotta, o come compressa, dal blocco
delle attività economiche,oppure, la si potrebbe interpretare anche come utilizzazione della leva fiscale per perseguire finalità extra-tributarie,quali la tutela della proprietà privata e della libera iniziativa economica.
Questa analisi serve per rafforzare quella considerazione per cui la capacità contributiva ,o meglio, la ricostruzione dei confini della capacità contributiva,non rappresenta un dato oggettivo ,quanto,piuttosto,un dato
storicamente condizionato ,cangiante con il trascorrere del tempo e con il mutare sia delle forme di svolgimento delle attività economiche ,sia delle situazioni contingenti .

-CAPACITA' CONTRIBUTIVA E TASSAZIONE DEI FATTI ILLECITI:


E' bene andare ad analizzare il rapporto tra il principio di capacità contributiva e la tassazione dei fatti illeciti.
In passato,la dottrina e la giurisprudenza,avevano fornito un'interpretazione notevolmente restrittiva,asserendo che un'imposizione dei redditi illeciti non era giustificabile a livello costituzionale,sulla
base del fatto che un tributo ,che avesse operato in tal senso,avrebbe avuto finalità esclusivamente sanzionatorie,per cui non avrebbe certamente trovato la sua legittimità nell'art. 53 Cost. E
sarebbe,di conseguenza,stato valutato soltanto sulla base del rispetto ,o meno,della riserva assoluta di legge di cui all'art. 25 Cost. .
Già nel 1933 ,divennero perfettamente assoggettabili a tassazione i redditi derivanti da atti,fatti o attività qualificabili come illecito civile,penale o amministrativo,purchè tali redditi non fossero
assoggettati a sequestro o a confisca penale.
Ad oggi,si può ben dire che non vi è alcuna incompatibilità tra il principio di capacità contributiva e la tassazione dei fatti illeciti ,
per cui i redditi derivanti da atti,fatti o attività che si qualificano come illecito civile ,penale o amministrativo ,sono assoggettabili a tassazione secondo le regole della categoria di appartenenza,con
ciò intendendo che questi redditi vanno inquadrati nelle categorie in cui possono essere fatti rientrare per similitudine (es.reddito d'impresa,reddito di lavoro autonomo o reddito di lavoro
dipendente,o anche reddito di capitale).
Se il reddito da illecito non è sussumibile in alcuna delle categorie tipiche,comunque sarà assoggettato a tassazione nella categoria residuale dei redditi diversi.
Da ciò se ne deduce che il reddito da fonte illecita,quand'anche non possa essere inquadrato in una determinata categoria, viene comunque assoggettato a tassazione,con l'unica eccezione del caso in cui lo stesso
sia sottoposto a sequestro o confisca,poichè ,in questo caso,, non vi è più il possesso del reddito e ,di conseguenza, non vi è più la capacità contributiva che giustifica il prelievo.

-CAPACITA' CONTRIBUTIVA ED INTANGIBLES(articolo del Professor Giovannini):


Possiamo dire che il professor Giovannini solleva l'attenzione su una serie di problematiche connesse all'evoluzione delle forme di svolgimento dell'economia ,proponendo,al contempo, un
aggiornamento della nozione di capacità contributiva.
Le problematiche poste in luce dal professor Giovannini sono essenzialmente riconducibili alle fattispecie in cui non c'è un collegamento radicato con il territorio: basti pensare
all'economia digitale,alla new economy,ai cd intangibles,ossia a quei beni immateriali che possono non avere un collegamento materiale e fisico con il territorio.
Per fare un esempio, possiamo pensare all'acquisto di un bene online,su una piattaforma: in questo caso, si trova sul territorio l'utente finale,l'utente delle piattaforme informatiche che acquista un bene
online,ma il reddito ,poi,attraverso la medesima piattaforma,affluisce ad un soggetto che è normalmente ,o che può essere, non residente,spesso collocato in un paradiso fiscale.
Non a caso,dunque, nell'ambito dei rapporti internazionali ,c'è un acceso dibattito,politico e commerciale,tra i soggetti,principalmente gli USA,dove si trovano le sedi degli operatori transnazionali, ed i
soggetti dove invece si trovano gli acquirenti dei prodotti venduti online. Gli USA premono per una tassazione nel paese che ne è la fonte,mentre i paesi consumatori premono per una tassazione basata
sul luogo dove si svolge l'attività economica. Paesi come il nostro insistono affinchè sia assoggettato a tassazione il reddito prodotto sul territorio dello stato.
Di qui l'introduzione,nel nostro ordinamento,a partire dalla fine del 2018,di una web tax,con la L. 160/2019,che assoggetta a tassazione i ricavi derivanti dalla prestazione di servizi online.
Il problema è costituito dal fatto che, rispetto alla nozione tradizionale di capacità contributiva, manca il collegamento con il territorio,dal momento che il reddito affluisce direttamente alla
casa madre, collocata in uno stato diverso dal nostro.
Da ciò è sorta la domanda di come possiamo fondare l'imposizione,o meglio,di come possiamo ripartire i carichi pubblici in queste fattispecie in cui non vi è un bene fisicamente
collocato sul nostro territorio ed in cui è anche evanescente il collegamento con il territorio,trattandosi di operazioni online.
Un'idea potrebbe essere quella di collegare il fondamento dell'imposizione a quello che il professor Giovannini chiama “rapporto di utilità negativa”,ossia alla perdita di base imponibile
che si verifica nel territorio dove viene concluso l'acquisto. Evidentemente il reddito che affluisce al non residente,se non vi fosse stato quell'acquisto in quelle modalità, sarebbe stato o
risparmiato e conseguentemente assoggettato a tassazione nel territorio dello stato attraverso gli interessi,ovvero sarebbe stato impiegato per l'acquisto di un bene sul territorio dello
stato e ,per questa via, sarebbe comunque stato assoggettato ad imposizione.
Il fondamento dell'imposizione ,in questi casi, non è più dato dalla residenza del soggetto e dal collegamento con il territorio,bensì dal cd rapporto di utilità negativa,dall'esternalità
negativa ,dal fatto che quell'acquisto ha determinato una perdita di gettito per lo stato dove si è svolta l'attività.
Viene dunque meno ,o ,per meglio dire ,viene aggiornata quella nozione di capacità contributiva che si identificava nel collegamento, in termini di esistenza di un titolo giuridico, della
fonte del reddito(quindi non vi è più soltanto la proprietà dell'immobile o lo svolgimento di un'attività,o il possesso di un cespite o di un capitale che dia più reddito). Questo rapporto
giuridicamente qualificato,tra un soggetto e la fonte del reddito,viene meno e ciò che rileva è solamente l'utilità economica che un soggetto ritrae dalla realizzazione di un presupposto
economicamente valutabile. Questo rapporto di utilità economicamente valutabile può tradursi in un vantaggio per lo stato,oppure in uno svantaggio,in un maleficio.
Questo è il secondo profilo evidenziato nello scritto del professor Giovannini,oltre a quello relativo ai criteri di giustificazione della tassazione per le attività che non hanno collegamento con il territorio,vi
è un aggiornamento della nozione di capacità contributiva indotto dalla necessità di internalizzare, nel concetto di capacità contributiva, anche alcune esteriorità,ossia i benefici ,o i malefici, che una
determinata attività provoca nei confronti dello Stato.
Si tratta di una rivisitazione del concetto di capacità contributiva che presenta alcuni elementi già analizzati nelle scorse lezioni,come ,ad esempio, la necessità di bilanciare il principio di
capacità contributiva alla luce di altri valori o principi costituzionali. Possiamo in merito fare l'esempio di un imprenditore che decida di svolgere la sua attività modernizzando i suoi impianti e, ad
esempio, installando dei particolari filtri che impediscano determinati livelli di inquinamento;in questo caso, l'attività economica ,rendendo più salubre l'aria circostante per lo svolgimento dell'attività
stessa, induce un risparmio di spesa a favore dello stato,che non sarà costretto ad impiegare una parte dei suoi fondi per curare la salute e per ripristinare eventualmente la salubrità dell'aria. In
circostanze come questa, sarebbe giustificata una diversa e più moderna concezione di capacità contributiva ed un prelievo attenuato nei confronti del soggetto che ha adoperato questi accorgimenti
nello svolgimento dell'attività. Dunque, a parità di reddito prodotto,sarebbe giustificato un livello di imposizione inferiore nei confronti degli imprenditori che hanno adottato degli accorgimenti che ,non
inquinando,determinano un risparmio di spesa sanitaria a favore dello stato.
Si potrebbe anche ipotizzare il contrario. Un imprenditore che decida,ad esempio, di svolgere un'attività senza installare appositi filtri per prevenire l'inquinamento,a parità di reddito,potrebbe essere
assoggettato ad una tassazione superiore rispetto ai concorrenti ,perchè si considera nella sua capacità contributiva anche il fatto che lo stato ,o l'ente locale, dovrà sostenere una spesa maggiore per
la tutela della salute.
È chiaro che questo diverso e moderno concetto di capacità contributiva,che in realtà rappresenta ,per quanto riguarda le spese dello stato,una semplice rilettura del concetto di capacità
contributiva come nozione elastica e globale ,sotto il profilo della cd digital economy, rappresenta invece la necessità di individuare il fondamento costituzionale alla tassazione di forme
di attività online che non hanno particolari collegamenti giuridicamente qualificati con il territorio.

2.3- IL PRINCIPIO,O CRITERIO, DI PROGRESSIVITA' EX ART. 53 COMMA 2 COST.


-PRINCIPIO DI PROGRESSIVITA':
Il principio di progressività,detto anche criterio di progressività,è riscontrabile nell'art. 53 comma 2 Cost.,in virtù del quale “il sistema tributario è informato a criteri di progressività” , e si
sostanzia nel principio per cui gli individui sono tenuti a concorrere alle pubbliche spese in misura più che proporzionale rispetto alla propria forza economica.
Per quanto concerne la natura della norma di cui all'art. 53 comma 2 Cost.,va osservato che vi è un dibattito circa la natura programmatica ,o meno ,di tale norma; in particolare,la Corte
Costituzionale ha ritenuto che si trattasse di una norma direttiva e non precettiva,deficitando la stessa di un profilo sanzionatorio.
Stante tale natura programmatica dell'art. 53 comma 2 Cost.,possiamo osservare,innanzitutto,come si renda necessario che il solo sistema tributario nel suo complesso sia ispirato a
criteri di progressività,con la conseguenza che il legislatore potrà tranquillamente introdurre tributi ispirati a criteri diversi,ad esempio proporzionali o regressivi,senza che la Corte
costituzionale possa sollevare l'inerente sindacato di legittimità costituzionale per il mancato rispetto dell'art. 53 comma 2 Cost. .
Ciò che rileva,per la Corte Costituzionale,è che il sistema tributario nel suo complesso sia informato a criteri di progressività e che ,dunque,il tributo principale,ossia l'imposta sui
redditi,sia strutturato come tributo progressivo,con aliquota crescente ,in maniera più che proporzionale,con l'aumentare del reddito . Possiamo dire che la progressività,relativamente alle
imposte sui redditi ,all'IRPEF,si traduce in aliquote più basse per redditi più bassi ed in aliquote più alte per i redditi più alti(es. L'aliquota per i redditi fino a 15 000 euro è del 23%,per i redditi da 15 000 a
28 000 è del 27%,per i redditi da 28 000 a 55 000 è del 38%,per i redditi da 55 000 a 75 000 è del 41%,per i redditi oltre i 75 000 è del 43%).
Il principio di progressività di cui all'art. 53 comma 2 Cost. È stato visto dalla giurisprudenza e dalla dottrina,al contempo,come:
→ specificazione del principio di uguaglianza sostanziale ex art. 3 Cost.: il principio di progressività permette di trattare situazioni differenti in maniera differente ed ,in questo
senso,lo stesso è riconducibile al principio di uguaglianza sostanziale ex art.3 comma 2 Cost.,tenendo sempre presente che tale uguaglianza sostanziale va intesa come
finalità,propria dell'ordinamento,di livellare le posizioni di partenza,di fornire a tutti gli individui pari chances per il raggiungimento di determinati risultati. In questo senso la
progressività,intesa come principio in base al quale gli individui sono tenuti a concorrere alle pubbliche spese in ragione più che proporzionale della loro forza economica,si
traduce,alla luce del principio di uguaglianza sostanziale,nel principio per cui tutti debbono concorrere,in misura più che proporzionale,alla finalità di assicurare ,a tutti,
eguali posizioni di partenza. Dunque, la progressività del sistema tributario ha un effetto redistributivo della ricchezza: i soggetti, cui è ricollegabile una maggiore forza economica
e dunque una maggiore capacità di contribuire alle pubbliche spese,devono concorrere in misura più che proporzionale ,in modo tale da consentire anche ai meno fortunati di avere quelle
posizioni di partenza che gli possano consentire di raggiungere dei soddisfacenti risultati ,nel corso della loro vita lavorativa. Di qui nasce la difficoltà,talvolta,di coniugare la disponibilità dei
risultati , quindi diritti di libertà ,diritti di proprietà degli individui, con l'eguaglianza sostanziale,poichè quest'ultima si persegue proprio attraverso una compressione della proprietà e del
patrimonio degli individui. Vi è dunque, per il legislatore, la necessità di ricercare il punto di equilibrio tra la compressione dei diritti di libertà,da intendersi come disponibilità dei
risultati,quali proprietà ,patrimonio e reddito,con finalità redistributive perseguite dal sistema.
→ come attuazione del principio di solidarietà di cui all'art. 2 Cost.: in virtù di tale combinato disposto,in capo a tutti gli individui vi è l'obbligo di concorrere,in misura più che
proporzionale alla propria forza economica,al progresso spirituale e materiale della nazione. Ulteriore osservazione che possiamo fare è relativa al fatto che il gettito tributario,nello
stato di diritto,finanziava essenzialmente le spese pubbliche ,in termini di servizi indivisibili di difesa,polizia e giustizia, necessari a garantire la disponibilità dei
risultati,quindi ,sostanzialmente, i diritti di proprietà e la libera iniziativa economica mdi cui agli artt. 41 e 42 cost. . Dunque ,la funzione tributaria era diretta proprio,attraverso il prelievo,a
salvaguardare,se non l'accrescimento,quantomeno il godimento e la tutela dei risultati conseguiti, in termini di pace sociale,di giustizia,di possibilità di avere tutela e difesa dei propri diritti.
Diversamente,nello stato moderno,nello stato sociale,i tributi finanziano anche le spese per prestazioni sociali, le cd. spese per il welfare. Vi è ,di conseguenza, una diversa
connotazione funzionale dell'attività impositiva,non più rivolta soltanto alla tutela dei diritti di libertà,ma diretta anche alle spese per prestazioni sociali . È anche attraverso
questa via che si realizza il collegamento con le finalità solidaristiche proprie del principio di progressività.
Da questa duplice accezione del principio di progressività,possiamo affermare che lo stesso ha ,al contempo,una duplice funzione,ossia una funzione redistributiva della ricchezza ed una
funzione solidaristica. T ali funzioni trovano un ulteriore riscontro nell'analisi degli artt. 4 e 119 commi 3 e 5 Cost. .
In particolare,va ricordato che l'art. 119 Cost. prevede un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante ed anche ,al quinto comma, interventi aggiuntivi e risorse
speciali per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona e per promuovere la solidarietà sociale ,dunque per favorire,ancora una volta,l'eguaglianza in senso sostanziale.
Il fatto che l'art. 119 preveda che lo Stato,pur avendo le Regioni e gli enti locali la possibilità di istituire tributi propri e di compartecipare anche a quote di tributi erariali,possa destinare risorse ulteriori al
fine di perequare gli squilibri tra territori con minore capacità fiscale per abitante,costituisce una riprova,a sua volta,della funzione solidaristica insita nell'art. 53 comma 2 Cost. .
Per essere più precisi,possiamo dire che le funzioni redistributive e solidaristiche del principio di progressività possono essere individuate anche nella natura e nella modalità di
strutturazione stessa del tributo,con ciò intendendo che le stesse possono essere realizzate anche conformando in una determinata maniera il tributo che si voglia introdurre
nell'ordinamento. Basti fare ,in merito,l'esempio della scelta del presupposto del tributo : è evidente che individuare ,come presupposto del tributo ,il possesso di un immobile,piuttosto che,invece, lo
svolgimento di un'attività economica,implica una scelta di valore ,una scelta anche qualitativa,in ragione della quale alcuni gruppi sociali saranno chiamati a concorrere in misura maggiore rispetto che
ad altri . Possiamo fare un altro esempio: è evidente che, assoggettare ad imposizione immobili posseduti oltre una certa misura,cioè dal terzo immobile in poi, e dunque individuare un presupposto
rappresentato dal possesso di tre o più immobili,rappresenta una scelta di valore che ha una funzione anche redistributiva,per cui si individua un gruppo di soggetti che deve essere tenuto a concorrere
alle pubbliche spese in misura diversa, e più accentuata, rispetto ad altri.
Al di là della scelta del presupposto,anche la concreta configurazione del tributo può avere effetti redistributivi . Basti in merito pensare alle deduzioni dalla base imponibile o alle
detrazioni dal debito d'imposta.
In questa prospettiva , al fine di assicurare veramente l'eguaglianza in senso sostanziale ex art. 3 comma 2 cost., consentendo a tutti di avere le stesse chance,di raggiungere poi
determinati risultati,si dovrebbe tener conto anche dell'incidenza ,a livello di sistema tributario,dei tributi diversi dalle imposte,in particolar modo delle tasse. Da ciò ne deriva che ai fini di
una qualificazione del sistema ,unitariamente considerato,come veramente informato a criteri di progressività,dovrebbe tenersi conto,in un'ottica ideale,non soltanto delle imposte dirette sui redditi,ma
anche delle tasse,pur trattandosi di una rilevazione certamente non semplice.

CAPITOLO 3: PRINCIPI SOVRANAZIONALI IN MATERIA TRIBUTARIA


Possiamo osservare che l'Unione Europea non ha competenza generale in materia tributaria e non ha,di conseguenza,un proprio sistema di imposte. Da ciò ne discende che le norme ,a rilevanza
tributaria, presenti all'interno dei vari trattati non sono finalizzate a procurare entrate all'Unione Europea,quanto,piuttosto,ad assicurare che le norme tributarie presenti nei vari Stati membri siano
compatibili con il diritto comunitario.
Di particolare rilevanza è il TFUE,ossia il Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea,il quale mira al raggiungimento,al contempo,di:
→ un'integrazione negativa: alla luce dell'art. 26 TFUE,in virtù del quale “ l'Unione adotta le misure destinate all'instaurazione o al funzionamento del mercato interno “(qualificato come uno spazio
senza frontiere interne),nel quale sono assicurate 4 libertà: “ la libertà di circolazione delle merci ,delle persone,dei servizi e dei capitali”, va osservato che la normativa comunitaria si pone
soprattutto nell'ottica di una fiscalità negativa,di un'integrazione negativa,con ciò intendendo che la stessa è finalizzata al controllo ed al contenimento della competenza spettante alle
singole autorità nazionali,al fine di garantire il corretto funzionamento del mercato unico ed il rispetto delle 4 libertà fondamentali. Nell'ambito di questa integrazione negativa rientrano:
1)il principio di non discriminazione
2)le 4 libertà fondamentali
3)il divieto di aiuti di Stato
→ un'integrazione positiva: con integrazione positiva si intende far riferimento alla finalità,perseguita dalla normativa comunitaria,di armonizzazione delle normative tributarie dei diversi
Stati membri,al fine di assicurare l'instaurazione ed il corretto funzionamento del mercato interno. Tra le norme di armonizzazione,va ricordato sicuramente l'art. 113 TFUE,il quale
attribuisce al Consiglio il potere di armonizzare le legislazioni degli Stati membri in materia di imposte indirette,al fine di eliminare le disparità dei vari regimi fiscali nazionali .
L'armonizzazione delle imposte indirette,va notato,è stata sicuramente di fondamentale importanza per l'instaurazione del mercato unico,con particolare riferimento all'imposta sul valore aggiunto.
Nonostante ciò,l'opera di armonizzazione,pur potendosi estendere anche alle imposte dirette grazie alla previsione di cui all'art. 115 Cost., non ha avuto un grande sviluppo,dal momento che le direttive
del Consiglio ,in materia fiscale, andavano e vanno adottate all'unanimità.

3.1- PRINCIPI COMUNITARI DI FISCALITA' NEGATIVA


-PRINCIPIO DI NON DISCRIMINAZIONE:
Il principio di non discriminazione,posto dall'art. 12 del TFUE , pone l'obbligo di non compiere discriminazioni basate sulla nazionalità e discriminazioni dissimulate ed
indirette. Esso non va confuso con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.,dal momento che,mentre quest'ultimo sancisce l'uguaglianza dei cittadini italiani,il principio
di non discriminazione opera in tutta l'UE ed ha la finalità di assicurare parità di trattamento nei diversi ordinamenti nazionali ai cittadini membri dell'Unione Europea.
Rileva,in particolare,che,nel rispetto del principio di non discriminazione,è vietata qualsivoglia discriminazione fiscale tra soggetti residenti e soggetti non
residenti,prescindendo che si tratti di persone fisiche o di persone giuridiche.

-4 LIBERTA' FONDAMENTALI:
Le 4 libertà fondamentali,riconosciute dall'UE come necessarie per l'instaurazione ed il buon funzionamento del mercato interno,sono elencate dall'art. 26 del TFUE:
→ libertà di circolazione delle merci: vi è stata ,all'interno dell'Unione Europea,un'unione doganale,sancita altresì dall'art. 28 TFUE,in virtù del quale è stato posto il divieto,fra gli Stati
membri, di porre dazi doganali all'importazione o all'esportazione,così come di qualsiasi tassa equivalente. Dunque ,nell'UE non possono esservi,a norma dell'art. 30 TFUE,dogane e dazi
doganali e ,per quanto riguarda le merci provenienti da paesi terzi, si applica una tariffa doganale comune,come sancito dall'art. 31 TFUE. Di particolare importanza,in quest'analisi,sono gli artt. 110 e
111 TFUE,i quali ,rispettivamente, da un lato vietano agli Stati membri di applicare imposizioni interne,sui prodotti provenienti da altri Stati membri,superiori a quelle applicate ai prodotti
nazionali similari ,mentre,dall'altro lato, vietano che i prodotti esportati nel territorio di uno degli Stati membri possano godere di un ristorno di imposizioni interne superiore alle
imposizioni ad essi applicati,direttamente o indirettamente.
→ libertà di circolazione delle persone: a norma dell'art. 20 TFUE, i cittadini di ogni Stato membro sono,al contempo,anche cittadini dell'Unione Europea,per cui essi hanno diritto di
circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Di particolare rilevanza qui,è l'art. 45 TFUE,il quale sancisce il diritto di libera circolazione dei lavoratori,implicando
“l'abolizione di qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità,tra i lavoratori degli Stati membri,per quanto riguarda l'impiego,la retribuzione e le altre condizioni di lavoro” . Questo
diritto di libera circolazione dei lavoratori è di fondamentale importanza per quanto riguarda la distinzione che viene fatta,in materia tributaria,tra soggetti residenti e soggetti non
residenti: i soggetti residenti sono normalmente soggetti ad imposta per la totalità del loro reddito,mentre i soggetti non residenti sono soggetti ad imposizione soltanto per i redditi
prodotti nello Stato,in virtù del fatto che ,normalmente,il reddito percepito nel territorio di uno Stato da un soggetto non residente costituisce soltanto una parte del suo reddito
complessivo. Va tuttavia osservato che la Corte di Giustizia ha sancito che ,qualora un soggetto produca la maggior parte del suo reddito in uno Stato UE diverso da quello di residenza,egli avrà diritto
alle stesse attenuazioni del carico fiscale che sono concessi ai soggetti residenti (avrà diritto al cd. Trattamento nazionale).
→ libertà di stabilimento(sussumibile nella libertà di circolazione delle persone): la libertà di stabilimento viene sancita dall'art. 49 del TFUE e comporta il divieto di restrizioni alla libertà di
trasferirsi e di stabilirsi nel territorio di un altro Stato membro (libertà primaria),così come il divieto di restrizioni alla libertà di aprire agenzie,succursali o filiali nel territorio di un altro
Stato membro (libertà secondaria). Tale libertà di stabilimento comporta innanzitutto che le società possano essere costituite e gestite secondo le condizioni poste dalla legislazione del
paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini; in secondo luogo,tale libertà di stabilimento implica altresì una libertà di scelta sulla forma giuridica con cui esercitare il diritto di
stabilimento, con particolare riferimento alla scelta tra società e stabile organizzazione. Per quanto riguarda le società,va osservato che l'art. 54 TFUE sancisce che,pur essendo le società
residenti all'interno dell'Unione equiparate alle persone fisiche aventi la cittadinanza di uno Stato membro,esse non hanno la garanzia di potersi liberamente trasferire e stabilire in uno Stato membro
diverso rispetto a quello dove si sono costituite,mentre gli viene riconosciuto appieno il diritto di aprire agenzie o succursali in uno Stato membro differente da quello ove si sono costituite. A livello
fiscale,sempre per quanto riguarda le società,possiamo dire che le stesse non possono essere sottoposte ad una exit tax né da parte dello Stato di origine,nè da parte dello Stato ospitante ; per quanto
riguarda i gruppi di società poi,si ammette la deduzione ,da parte della società madre,degli interessi passivi derivanti da prestiti contratti per finanziare società controllate residenti in altri Paesi. Per
quanto riguarda infine le organizzazioni stabili,va osservato che le stesse godono di parità di trattamento con le società residenti.
→ libertà di circolazione dei servizi: secondo l'art. 56 TFUE, la libertà di circolazione dei servizi si sostanzia nella libertà di prestazione di servizi,da parte di determinate società, a cittadini
residenti in un Paese diverso da quello ove tali società sono stabilite. Tale libertà riguarda dunque attività svolte ,in modo non permanente, da chi è stabilito In un Paese diverso rispetto a
quello in cui viene reso il servizio. In merito,va da ultimo osservato che il principio in esame ha carattere residuale,operando soltanto quando non valgano le norme sulla libera circolazione delle
merci,delle persone e dei capitali.
→ libertà di circolazione dei capitali: il principio di libera circolazione dei capitali,sancito dall'art. 63 TFUE, implica che i Paesi membri non debbano ostacolare in alcun modo gli
investimenti ,con norme fiscali che possono avere effetti restrittivi della circolazione dei capitali,ovvero effetti discriminatori tra investitori residenti e non residenti. Rileva ,in particolare,il
fatto che la Corte di Giustizia europea abbia censurato il sistema,italiano,di ritenuta alla fonte del 27% per i dividendi in uscita,in quanto meno favorevole di quello applicato ai dividendi distribuiti alle
società residenti,che godevano di un'esenzione del 95% . Dunque,i dividendi in entrata,ossia i dividendi distribuiti da società non residenti a contribuenti residenti,ed i dividendi in uscita,ossia i dividendi
distribuiti da società residenti a soggetti non residenti,non possono essere tassati in modo discriminatorio rispetto ai cd. Dividendi domestici,cioè quei dividendi distribuiti da società residenti a
contribuenti residenti.
-DIVIETO DI AIUTI DI STATO:
Secondo quanto previsto dal TFUE,ai fini dell'istituzione e del buon funzionamento del mercato europeo , è necessario non soltanto che lo stesso sia senza frontiere,ma
altresì che ,al suo interno,le imprese possano operare ad armi pari,in condizioni di una concorrenza non falsata. A questo scopo,l'art. 107,par. 21 ,del TFUE sancisce il divieto
di aiuti di Stato,ossia il divieto di aiuti concessi dagli Stati,o concessi mediante risorse statali,sotto qualsiasi forma,che,favorendo alcune imprese o talune produzioni,falsino o
minaccino di falsare la concorrenza. Innanzitutto occorre notare che affinchè una misura possa essere considerata come aiuto di Stato,è necessario che la stessa
presenti ,congiuntamente,le seguenti caratteristiche: vi deve essere un vantaggio sotto forma di sovvenzioni o alleggerimento di costi, il vantaggio deve essere concesso
dallo Stato o mediante risorse statali,il vantaggio deve incidere sulla concorrenza e sugli scambi tra Stati membri,il vantaggio deve essere concesso in maniera specifica e
selettiva (dunque sono aiuti di Stato i trattamenti fiscali molto tenui di alcuni Stati membri,quali l'Olanda,il Lussemburgo,l'Irlanda). In secondo luogo,rileva che ,a norma dell'art.
108 TFUE ,gli Stati membri,prima di adottare un provvedimento di favore per le imprese,debbano comunicarne preventivamente il relativo progetto alla Commissione Europea
ed attenderne la pronuncia in merito,prima di poterlo adottare (clausola di standstill). Qualora gli Stati concedano aiuti non notificati o ritenuti non compatibili dalla
Commissione,quest'ultima ne disporrà la revoca ed altresì il recupero,recupero che dovrà essere portato a termine dallo Stato membro interessato con ogni misura ritenuta idonea al
raggiungimento di tal fine,con un'unica esimente rappresentata dalla cd. Impossibilità assoluta.

PARTE 4 – PROFILO STATICO DELLA NORMA TRIBUTARIA:STRUTTURA E DELLE TIPOLOGIE


DELLE NORME TRIBUTARIE
CAPITOLO 1- TIPOLOGIE DELLE NORME TRIBUTARIE
1.1- CLASSIFICAZIONE DEI TIPI DI NORME TRIBUTARIE
-NORMA TRIBUTARIA IMPOSITRICE:
La norma impositrice ,detta anche norma tributaria sostanziale,si sostanzia nella norma che introduce e disciplina il tributo (chi fa questo....deve corrispondere un tributo....in ragione di....),per
cui la stessa esprime e misura la capacità contributiva che un determinato tributo intende colpire. Essa può essere contenuta in un'unica disposizione legislativa,oppure può risultare
dalla combinazione di diverse disposizioni,di diversi articoli di legge che ne fissano separatamente gli elementi essenziali. Gli elementi essenziali del tributo ,che la norma impositrice è
chiamata a disciplinare ,sono:
→ il presupposto dell'imposizione
→ i soggetti passivi
→ la base imponibile
→ l'aliquota (almeno entro una determinata forchetta di un minimo e di un massimo)
Le norme impositrici,a differenza delle norme cd. Formali,devono rispettare sia il principio della riserva di legge ex art. 23 Cost.,sia il principio di capacità contributiva di cui all'art. 53
Cost.,in virtù del quale tali norme dovranno individuare,come presupposto dell'imposizione,un fatto,un atto o una situazione che sia espressivo della potenzialità economica del soggetto passivo del
tributo.
-NORME FORMALI O PROCEDIMENTALI:
Le norme formali,dette anche norme procedimentali,sono quelle norme dirette a regolare una serie di obblighi strumentali alla corretta attuazione del prelievo tributario e si
rivolgono sia ai contribuenti,sia all'amministrazione finanziaria (ad esempio,le norme che disciplinano la presentazione di dichiarazioni,le modalità di effettuazione dei versamenti,la
tenuta di scritture contabili,le modalità con cui l'amministrazione finanziaria deve effettuare i controlli e le rettifiche). Esse sono legate alle norme impositrici sulla base del principio di
legalità e vincolatezza.
-NORME PROCESSUALI:
Le norme processuali sono quelle norme che assicurano al contribuente e ai terzi, coinvolti nell’attuazione del prelievo, un sindacato giurisdizionale dinanzi agli organi del contenzioso
tributario.
-NORME SANZIONATORIE:
Sono quelle norme attraverso le quali l’ordinamento assicura la punizione, con sanzioni sia amministrative sia penali, dei comportamenti che violano norme sostanziali o
formali relative all’attuazione del tributo.
-NORME INTERPRETATIVE:
Le norme interpretative vengono sovente definite come norme di interpretazione autentica e vengono poste in essere dal legislatore ,con legge o atto avente forza di legge, al fine di
chiarire il significato della norma estrapolabile da una precedente disposizione legislativa. Esse sono dunque riconducibili alla sempre più crescente opera di sostituzione ,da parte del
legislatore ,all’amministrazione e all’interprete. Le norme interpretative sono divenute negli ultimi anni assai frequenti ed in merito va osservato che,sebbene la loro natura non crei problemi con gli artt.
23 e 53 Cost., il legislatore tende spesso ,sotto le forme dell’interpretazione, ad introdurre retroattivamente norme nuove.
-NORME DEROGATIVE:
Le norme derogative sono frequentemente utilizzate dal legislatore tributario per integrare o modificare la disciplina di un tributo. La norma derogatoria non si pone in termini
di incompatibilità con quella precedente, ma regola diversamente una parte dei fatti riconducibili alla fattispecie della prima norma, in base al criterio della maggiore
specificità. Va da ultimo osservato che le norme derogatorie sono particolarmente utilizzate dal
legislatore tributario al fine di introdurre agevolazioni ed esenzioni.
-NORME CONCORRENTI:
Si parla di norme concorrenti quando due o più norme presentano fattispecie parzialmente coincidenti ,in modo che nessuna risulti interamente ricompresa nell’altra. Nello stabilire
quale delle due norme sia da applicare al caso concreto ,si ritiene che prevalga la norma più specifica.
-NORME CONDIZIONATE:
Le norme condizionate sono quelle norme il cui momento iniziale o finale di efficacia è subordinato al verificarsi di un evento incerto.
-NORME DI RINVIO:
Il legislatore ne fa largo uso come strumento di produzione normativa,quasi abusandone,sempre con riferimento al settore tributario. Nel rinvio, la norma è formulata per
riferimento ad altro atto normativo. Possiamo in merito distinguere tra :
→ rinvio materiale, ha solo fini di brevità redazionale
→ rinvio formale, rinvio a norme che disciplinano fattispecie diverse
Possibili inconvenienti legati all’ipotesi introduzione di norme di rinvio sono:
1 – le norme potrebbero essere successivamente modificate ,magari con soppressione della parte cui veniva fatto rinvio.
2 – vi è un difficile controllo parlamentare sui testi legislativi che recano rinvii ,persino di secondo o terzo grado.
Diverso dal rinvio è il rapporto di presunzione ,in base al quale il legislatore ,nel dettare la norma, presuppone la disciplina prevista ,ad esempio, da un altro settore dell’ordinamento.

CAPITOLO 2- LA STRUTTURA DELLA NORMA TRIBUTARIA IMPOSITRICE


2.1- GLI ELEMENTI ESSENZIALI DELLA NORMA TRIBUTARIA IMPOSITRICE
-FATTISPECIE TRIBUTARIA:
Con fattispecie tributaria,o fattispecie impositiva, si fa riferimento ad una fattispecie creata dalla norma tributaria e caratterizzata,generalmente,dalla qualificazione di fatti pre-
giuridici,oppure dal richiamo di fenomeni ed istituti,già qualificati da altri settori del diritto,che possono tuttavia formare oggetto di un'autonoma valutazione giuridica da parte della norma
tributaria,in ragione delle diverse finalità perseguite da quest'ultima,rispetto alle finalità perseguite dalle norme di altri settori dell'ordinamento

-PRESUPPOSTO D'IMPOSTA :
Con presupposto d'imposta ,o,più semplicemente,con presupposto,si vuole indicare quell'atto,fatto o situazione ,espressivo di capacità contributiva e dunque di forza economica,al
verificarsi del quale nasce l'obbligazione tributaria,al verificarsi del quale il tributo diventa dovuto.
Va osservato innanzitutto che non tutti i testi normativi parlano,in merito ,di presupposto,essendo questa un'espressione usata nel Testo unico delle imposte sui redditi: non a caso infatti,la fattispecie
imponibile che dà vita,direttamente o indirettamente,all'imposta è variamente denominata,come presupposto,come fatto imponibile,come fatto generatore,come situazione base,come oggetto
dell'imposta (anche se a ben vedere si discorre di presupposto d'imposta nei discorsi giuridici,mentre di oggetto dell'imposta nei discorsi di stampo economico.
Rileva poi che molte sono le classificazioni dei tributi fatte sulla base dell'analisi del presupposto: basti ricordare che ,a seconda che il presupposto costituisca,rispettivamente ,una
manifestazione diretta o indiretta di capacità contributiva, si distingue tra imposte dirette ed imposte indirette,oppure ,ancora,che a seconda che il presupposto si configuri come un fatto istantaneo o
come un fatto di durata,si distinguono imposte istantanee ed imposte periodiche
-SOGGETTO PASSIVO DELL'IMPOSTA:
Il soggetto passivo dell'imposta costituisce il centro di imputazione degli effetti del presupposto,ossia il soggetto che viene ad essere inciso dal tributo. Normalmente ,il soggetto passivo
dell'imposta coincide con il soggetto che ha realizzato il presupposto,che ha quindi posto in essere il fatto manifestativo di capacità contributiva,ma va osservato che tale coincidenza non
vi è sempre,essendovi soggetti,quali il sostituto d'imposta ed il responsabile d'imposta,che sono tenuti al versamento del tributo pur non avendo realizzato gli stessi il presupposto (salvo
rivalsa).
-BASE IMPONIBILE:
La base imponibile è costituita dalla grandezza che misura la capacità contributiva manifestata dal presupposto,ossia l'oggetto del tributo. Essa può anche essere definita
come il valore che viene attribuito al presupposto ed in relazione al quale viene calcolato il tributo.
A differenza del presupposto,che definisce l'an debeatur , l'applicabilità o meno di un tributo,la base imponibile costituisce il quantum debeatur,ossia la misura del tributo
dovuto. Per fare un esempio,possiamo dire che ai fini IRPEF,il presupposto è costituito dal possesso del reddito,mentre l'oggetto del tributo,la base imponibile,è costituita dalla quantità di
reddito tassabile posseduta da un determinato soggetto. Ovviamente il tributo non è applicabile qualora la base imponibile non superi il cd. Minimo vitale,ossia quel minimo di
risorse,pecuniarie o meno,necessarie affinchè un soggetto,unitamente alla sua famiglia,possa condurre un'esistenza libera e dignitosa.
La base imponibile,nella maggior parte dei casi,è costituita dunque da una grandezza monetaria,che,relativamente alle imposte dirette, si configura come un importo netto,pari a
ciò che residua a seguito dell'applicazione,al reddito lordo,di tutte le deduzioni e riduzioni previste,mentre,relativamente alle imposte indirette, si configura come variabile a seconda del
tributo in esame. Appare qui ovvio che qualora gli elementi della base imponibile non siano entità monetarie,sarà necessario quantificarne il valore in moneta.
Da ultimo,va osservato che le norme sulla base imponibile,espresse necessariamente da legge o da atto avente forza di legge (in virtù del rispetto del principio della riserva di
legge di cui all'art. 23 Cost.), sono particolarmente complesse,dal momento che il legislatore non si limita a stabilire quale sia la base imponibile di un tributo,ma detta altresì
norme che fissano la composizione della base imponibile ed i criteri di valutazione. In merito alla composizione della base imponibile, la legge indica quali componenti
negative devono essere dedotte da quelle positive.
- ALIQUOTA:
L'aliquota costituisce il coefficiente da applicare alla base imponibile per ottenere l'ammontare dell'imposta ed è rappresentata da una percentuale del valore imponibile in base alla quale
si determina l'imposta dovuta.
Essa si distingue innanzitutto in fissa,se rimane invariabile al variare della grandezza della base imponibile(es. Nell'imposta di registro), o variabile,se varia al variare della grandezza della base
imponibile. Qualora l'aliquota si presenti come variabile,possiamo osservare che la stessa può configurarsi,alternativamente,come:
→ proporzionale: quando varia proporzionalmente con il variare della base imponibile
→ progressiva: quando muta più che proporzionalmente al crescere della base imponibile
→ regressiva: quando essa decresce all'aumentare della base imponibile
In merito all'aliquota,occorre richiamare delle riflessioni:
→ ai fini del rispetto del principio della riserva di legge di cui all'art. 23 Cost. ,è sufficiente che il legislatore determini una forchetta,un minimo ed un massimo entro il quale
l'aliquota ,relativa ad un determinato tributo, debba essere fissata,potendone demandare la concreta determinazione anche ad altri soggetti aventi potestà tributaria,quali
Regioni ed Enti locali
→ bisogna ricordare che,a norma dell'art. 53 comma 2 Cost. ,il nostro sistema tributario deve essere ispirato a criteri di progressività,ma ciò non preclude l'introduzione di un
tributo avente aliquota non progressiva (es. regressiva),essendo sufficiente che il sistema tributario nel suo complesso non ne venga stravolto e dunque,secondo
l'orientamento consolidato della Corte Costituzionale, che quel determinato tributo non abbia carattere strutturale e definitivo.

-DEDUZIONE E DETRAZIONE FISCALE:


La deduzione fiscale si configura come una riduzione della base imponibile cui applicare l'imposta,riduzione che si ha ,per l'appunto,deducendo determinate componenti negative
dall'ammontare della base imponibile (ad esempio, deduco dal reddito complessivo ,percepito da un determinato soggetto,determinati oneri ,come i contributi previdenziali versati,i quali andranno per
l'appunto scomputati dalla base di reddito imponibile).
Con detrazione d'imposta si intende una somma che è possibile detrarre da un'imposta,per ridurne l'ammontare,o ,più semplicemente,una somma,pari ad una certa percentuale di una
spesa sostenuta individuata dalla legge,che si può sottrarre dall'importo complessivo di un'imposta da pagare. Per fare un esempio,possiamo dire che l'IRPEF,calcolata sulla base del reddito
facente capo ad un determinato soggetto,una volta intervenute le varie deduzioni,può essere ridotta nel quantum detraendo il 19% delle spese sanitarie o universitarie sostenute in quel determinato
periodo d'imposta.

CAPITOLO 3- L'AMPLIAMENTO O LA RIDUZIONE DELL'AMBITO DI APPLICAZIONE DEL TRIBUTO: TIPOLOGIE DI


FATTISPECIE TRIBUTARIE
E' bene osservare che ,oltre alla fattispecie imponibile classica,che si ha ,per l'appunto,quando una determinata norma tributaria definisce il presupposto al realizzarsi del quale il tributo si rende
dovuto,il soggetto inficiato da tale tributo,la base imponibile e la relativa aliquota,vi sono altresì dei casi in cui il legislatore si premura di delimitare il presupposto del tributo o ampliandone il
contenuto o riducendolo.
Fondamentalmente,attraverso una definizione positiva del presupposto,il legislatore può indicare altri fatti,atti o situazioni al verificarsi dei quali quel determinato tributo diventa comunque
dovuto,ovvero egli,attraverso una definizione negativa del presupposto,può indicare degli atti ,fatti o delle situazioni che,seppur normalmente riconducibili nell'ambito del presupposto che rende il
tributo dovuto,ne devono tuttavia essere esclusi.

3.1- L'AMPLIAMENTO DELL'AMBITO DI APPLICAZIONE DEL TRIBUTO


-FATTISPECIE EQUIPARATA:
La fattispecie equiparata,detta anche fattispecie assimilata, si configura quando il legislatore,al fine di assoggettare ad imposizione fatti ritenuti espressivi di una medesima capacità
contributiva,estende l'ambito di applicazione di un tributo,attraverso l'esplicita previsione di fattispecie aggiuntive,ritenute equivalenti alla fattispecie tipica.
-FATTISPECIE SURROGATORIA:
La fattispecie surrogatoria,detta anche fattispecie supplementare,si configura quando il legislatore estende ,nell'ambito di applicazione di un determinato tributo ,anche
fattispecie eterogenee rispetto a quella impositrice, per finalità antielusive,ossia per evitare che i contribuenti possano utilizzare lo strumento previsto dalla fattispecie
supplementare ai fini di eludere la norma impositrice,che stabilisce la fattispecie generale. Un esempio qui ci viene fornito dall'art. 27 del D.P.R. 131 /1986,in base al quale non sono
considerate come sottoposte a condizione sospensiva,quindi assoggettate all'imposta di registro secondo le regole ordinarie,le vendite con riserva di proprietà.
-FATTISPECIE SOVRAPPOSTE:
Si configura una fattispecie sovrapposta,o sovrapposizione,quando il legislatore prevede che il presupposto di un tributo costituisca,al contempo,anche il presupposto di un altro tributo.
Questo è il caso delle sovrimposte,da non confondersi con le imposte addizionali.

3.2- LA RIDUZIONE DELL'AMBITO DI APPLICAZIONE DEL TRIBUTO


-FATTISPECIE ALTERNATIVE:
Si hanno fattispecie alternative nei casi in cui un atto,un fatto o una situazione,che è di regola presupposto di un'imposta,non lo è ,o lo è ma in misura ridotta,in quanto presupposto di
un'altra imposta. Può dunque darsi che la sovrapposizione di fattispecie non determini l'applicazione di più imposte,ma l'applicazione di una sola imposta e la non applicazione,o
l'applicazione in misura ridotta,dell'altro tributo. Esemplare è il caso dell'alternatività tra l'IVA e l'imposta di registro: gli atti scritti,normalmente soggetti ad imposta di registro in misura
proporzionale,sono tassati in misura fissa quando hanno per oggetto cessioni di beni ,o prestazioni di servizi,soggette all'imposta sula valore aggiunto. Sono poi imposte alternative l'imposta sugli
intrattenimenti e l'Iva,l'Imu e l'imposta sui redditi,il bollo e l'Iva.
-FATTISPECIE CONDIZIONALI:
Si hanno fattispecie condizionali nel caso in cui una determinata fattispecie sia sottoposta a condizione sospensiva o a condizione risolutiva,quindi nel caso in cui,rispettivamente, la
nascita del debito d'imposta dipenda dall'avverarsi della condizione,ovvero nel caso in cui l'estinzione del debito d'imposta dipenda dal realizzarsi di una determinata condizione.

-AGEVOLAZIONI:
Le agevolazioni,dette anche misure di favore, sono istituti,previsti dalla normativa fiscale, che accordano un trattamento preferenziale a determinati soggetti d'imposta. Dunque
l'agevolazione,in deroga a quanto previsto in via ordinaria (dal trattamento fiscale ordinario o benchmark) , riduce il quantum dell'imposta.
Esse sono introdotte in considerazione di particolari situazioni personali o in base a situazioni oggettive che necessitano di adeguata tutela (basti pensare alle agevolazioni per i settori
produttivi in crisi ed alle agevolazioni dirette a fronteggiare eventi e calamità) ,quindi con finalità extra-fiscali,ovvero anche per motivi tecnico-tributari.
Pur essendovi delle agevolazioni che hanno l'effetto di produrre una riduzione della base imponibile o una riduzione dell'imposta, va osservato che esse non vanno confuse con le deduzioni e con le
detrazioni fiscali,le quali costituiscono elementi caratterizzanti del regime ordinario.
Esse,insieme alle esenzioni,possono costituire,a norma dell'art. 107 TFUE, aiuti di Stato.
-ESENZIONI:
Le esenzioni costituiscono meccanismi agevolativi ,adottati dal legislatore per motivi di politica sociale o di sviluppo economico,in virtù dei quali determinati atti a rilevanza tributaria
vengono totalmente,o parzialmente,sottratti all'imposizione fiscale (possono comportare sia l'esonero da qualsiasi imposta,sia l'applicazione di un'imposta sostitutiva). Esse si
distinguono in soggettive ed oggettive,a seconda che siano dovute,rispettivamente,a particolari condizioni del soggetto passivo del tributo oppure che riguardino il presupposto del
tributo.
Al fine di individuare le fattispecie esenti si possono seguire due criteri:
→ un criterio logico,in base al quale sono esenzioni tutti i casi che sono in rapporto di deroga rispetto alla norma che definisce il presupposto
→ un criterio nominalistico,in virtù del quale sono considerate esenzioni quelle che il legislatore qualifica e disciplina espressamente come tali,prescindendo dal fatto che le
stesse siano o meno in rapporto di deroga o eccezione rispetto alla regola generale (esempi ne sono le esenzioni dall'Iva,disciplinate dall'art. 10 del d.p.r. 633/1972) .
Da ultimo,occorre osservare che le stesse vanno tenute distinte dalle cd. Esclusioni,mentre presentano punti di contatto con le agevolazioni,potendo ,tra l'altro,essere considerate entrambe
come aiuti di Stato a norma dell'art. 107 TFUE.
-ESCLUSIONI:
L'esclusione è una norma che chiarisce il presupposto del tributo,specificando ciò che ,concettualmente, ne è al di fuori. Dunque le esclusioni si realizzano attraverso enunciati con cui il
legislatore chiarisce i limiti di applicabilità del tributo,senza derogare a quanto risulta dagli enunciati generali.
Le esclusioni non vanno confuse con le esenzioni,in quanto queste ultime costituiscono delle deroghe,delle eccezioni all'applicabilità di un determinato tributo: pur rientrando un determinato fatto
nella definizione del presupposto,viene stabilito che esso non è soggetto a tassazione; di contro,con l'esclusione,il legislatore si limita a definire l'ambito di applicazione del tributo senza creare alcuna
norma derogatoria a quella ordinaria.
-REGIME FISCALE SOSTITUTIVO:
Si ha regime fiscale sostitutivo nel caso in cui il legislatore stabilisca,con una norma derogatoria,che talune categorie di fatti siano sottratte all'applicazione di un tributo,cui
sarebbero soggette in via ordinaria, e siano soggette ad un altro,speciale regime.
Il regime fiscale sostitutivo può essere accordato o per scopi di agevolazione,ossia per motivi extra-fiscali,oppure per ragioni di tecnica impositiva,ossia per ragioni di
semplificazione del meccanismo impositivo.
-CREDITI D'IMPOSTA:
I crediti d'imposta costituiscono uno strumento ,assai utilizzato dal legislatore,attraverso il quale vengono attribuiti a determinate categorie di contribuenti dei crediti d'imposta,ossia delle
somme di denaro,che i titolari,in ragioni di caratteristiche soggettive e /o oggettive,possono detrarre dalle imposte ,oppure possono dedurre dall'imponibile di una o più imposte.
Il credito d'imposta fondamentalmente ,dunque,rappresenta un credito che il contribuente vanta nei confronti del fisco.
Nell'ambito dei crediti d'imposta occorre distinguere:
→ i crediti d'imposta accordati per motivi di tecnica tributaria dai crediti d'imposta accordati per ragioni extra-fiscali: si tratta qui di distinguere tra quei crediti d'imposta che
vengono accordati,rispettivamente,per porre rimedio a fenomeni di doppia imposizione, e quei crediti d'imposta che costituiscono in realtà dei finanziamenti,i cui beneficiari
ne fruiscono compensando i crediti così attribuiti con i debiti d'imposta (sono crediti fiscali soltanto per la loro attuazione)
→ tra crediti d'imposta rimborsabili e crediti d'imposta non rimborsabili: i crediti d'imposta non rimborsabili sono utilizzati dal contribuente soltanto a compensazione del
debito d'imposta,sicchè,qualora vi sia un'eccedenza,il contribuente non avrà diritto a rimborso alcuno (costituiscono sostanzialmente delle detrazioni ); di contro,i crediti
d'imposta rimborsabili possono essere utilizzati o meno in compensazione del debito d'imposta dal contribuente ,sicchè,se non usati in compensazione,ovvero nel caso in cui
,a seguito della compensazione,ne risulti un'eccedenza,relativamente agli stessi potrà essere presentata istanza di rimborso.
Da ultimo occorre osservare che i crediti d'imposta,a norma dell'art. 1260 c.c.,possono essere oggetto di cessione,ma affinchè la cessione di questi abbia efficacia nei confronti del fisco, sarà
necessario che la stessa sia stipulata per atto pubblico o per scrittura privata autenticata e che venga poi notificata all'ente pubblico cui spetta ordinare il pagamento.

PARTE 4 -L'APPLICAZIONE DELLA NORMA TRIBUTARIA: L'ATTUAZIONE DEL PRELIEVO


CAPITOLO 1- LA FASE DI ATTUAZIONE DEL PRELIEVO E L'OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA
1.1- LA FASE DI ATTUAZIONE DEL PRELIEVO E GENERALITA' DELL'OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA
-ATTUAZIONE DEL PRELIEVO:
Con attuazione del prelievo si vuole far riferimento alla fase di attuazione della norma tributaria. Tale fase di attuazione della norma tributaria comprende,a sua volta,diverse attività,quali:
1)attività di accertamento dei tributi: nell'ambito dell'attività di accertamento dei tributi,che costituisce una delle fasi di attuazione della norma tributaria,occorre distinguere :
→ una fase dinamica,che è rappresentata dal procedimento di accertamento con i relativi atti e le relative fasi
→ una fase statica,rappresentata dall'atto di accertamento come conclusivo del procedimento di accertamento ed i relativi effetti .
Data la complessità della sequenza procedimentale di attuazione dei tributi,per comodità espositiva,possiamo distinguere,nell'ambito dell'attività di accertamento, una fase
dinamica ,rappresentata dal procedimento di imposizione e dai relativi effetti e,dall'altro lato, una fase statica, rappresentata dall'atto di accertamento e dai relativi effetti.
Quindi quando parliamo di accertamento,bisogna far attenzione al fatto che ci si riferisca all'accertamento in senso statico o all'accertamento in senso dinamico,ossia se ci
riferiamo,rispettivamente, all'atto di accertamento,inteso quale provvedimento amministrativo ,motivato e firmato da un responsabile,notificato al contribuente(il quale avrà
poi 60 giorni per impugnare il medesimo dinanzi alla commissione tributaria provinciale),oppure all'accertamento inteso come attività di accertamento,come procedimento e
quindi come attività di indagine,come attività di controllo della dichiarazione, nonchè di rettifica della dichiarazione medesima
2)attività di riscossione dei tributi
3)attività di irrogazione delle sanzioni
Relativamente alla fase di attuazione del prelievo,occorre innanzitutto osservare che la stessa,al pari della fase di istituzione del tributo,deve essere informata ai principi di legalità e di capacità
contributiva,di cui ,rispettivamente,agli artt. 23 e 53 Cost.: ciò comporta che si debba accertare e riscuotere un tributo che sia conforme alla capacità contributiva e che ,al
contempo,l'attività di accertamento e di riscossione sia dettata da una legge o da un atto avente forza di legge( in merito all'applicazione dell'art. 53 Cost. ,basti ricordare che non possono
essere utilizzate presunzioni assolute di capacità contributiva nell'attività di accertamento).
Un secondo profilo di rilievo è rappresentato dalla domanda,che ha interessato sia giurisprudenza che dottrina, riguardo cosa legittimi l'attuazione del prelievo: in merito a ciò,è stata introdotta
la nozione di obbligazione tributaria.

-OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA:
L'obbligazione tributaria si configura come quel rapporto giuridico che si instaura quando si verifica un atto,un fatto o una situazione che siano rappresentativi di capacità
contributiva (di forza economica),in ragione del quale un determinato soggetto,solitamente colui che ha posto in essere l'atto,il fatto o la situazione espressivi di capacità
contributiva,è tenuto al versamento del tributo,mentre, un altro soggetto,un ente pubblico, ha diritto a vedersi versato il tributo.
Quanto ai caratteri dell'obbligazione tributaria,possiamo dire che si tratta di un'obbligazione:
→di diritto pubblico,in quanto uno dei soggetti coinvolti è un ente pubblico
→ legale o ex lege: essa trova la sua fonte nella legge o in un atto avente forza di legge,rispettando così la riserva di legge di cui all'art. 23 Cost. . La legge ,ponendo
disposizioni,enuncia norme impositrici,in base alle quali,al realizzarsi di un determinato presupposto,di un determinato fatto espressivo di capacità contributiva, il tributo si
rende dovuto. Nulla viene dunque lasciato alla disponibilità delle parti ,per cui il rapporto risulta vincolato (a differenza dell'obbligazione civile)
→ pecuniaria,in quanto comporta la dazione di una somma di denaro(tuttavia in casi eccezionali è ammessa la dazione di beni culturali ,oppure di cedole scadute di titoli di
stato).
In particolare,va osservato che tale nozione di obbligazione tributaria veniva a configurarsi come uno schema privatistico che trovava la sua fonte nella legge,in un atto autoritativo,per cui
questa sua configurazione come obbligazione ex lege ha permesso di risolvere la tensione dialettica,caratterizzante tutto l'ambito del diritto tributario,tra l'interesse generale a
che tutti concorrano alle pubbliche spese e l'interesse individuale a non concorrere oltre quanto consentito dalla propria forza economica e dunque dalla propria capacità
contributiva. In questa ricostruzione,la fase di accertamento del tributo da parte dell'ente impositore rappresentava lo strumento per inserire,nonchè per tutelare , l'interesse pubblico ,al
concorso di tutti alle pubbliche spese, in uno schema privatistico quale quello dell'obbligazione,schema nel quale era altresì garantita la corretta ricostruzione della capacità contributiva
facente capo ad un determinato soggetto (attraverso la corretta determinazione della base imponibile).
In sintesi ,la configurazione dell'obbligazione tributaria ,quale obbligazione ex lege, ha fatto sì che fosse trovato un contemperamento tra l'interesse pubblico e l'interesse
privato,tra strumenti privatistici e strumenti pubblicistici.
Un'ulteriore caratteristica importante dell'obbligazione tributaria è costituita dal fatto che la stessa si configura come un rapporto mutabile ,dal momento che non sempre
l'ente impositore può essere considerato come creditore e dal momento che,di conseguenza,non sempre il contribuente può essere considerato come debitore. Difatti vi sono
dei casi in cui l'ente pubblico impositore accerta un tributo in maniera non corretta,sicchè il contribuente, inciso da tale tributo, dovrà necessariamente andare in contenzioso,pagando
tuttavia il tributo in pendenza di giudizio; appare qui ovvio che ,qualora il contribuente ottenga,in sede contenziosa,l'annullamento dell'avviso di accertamento emesso nei suoi confronti,egli
avrà diritto a vedersi restituito quanto indebitamente versato all'ente impositore nelle more del contenzioso. In tal caso, la posizione,in senso privatistico,assunta qui dal contribuente,non
sarà più la posizione di un debitore,bensì la posizione di un creditore,che ha diritto a vedersi restituito dall'ente impositore,specularmente in posizione debitoria, il tributo indebitamente
versato.
Da ultimo,rileva che l'obbligazione diventa definitiva nel suo ammontare
a. Quando è decorso il termine di decadenza senza che l amministrazione fiscale abbia emesso avvisi di accertamento. Ciò che è stato versato estingue
l'obbligazione a titolo definitivo, non può essere richiesto un ulteriore versamento.
b. In caso di accertamento e successivo processo tributario l obbligazione diventa definitiva quando la sentenza passa in giudicato e non è più impugnabile

1.2- LA GENESI DELL'OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA: TEORIA DICHIARATIVA E COSTITUTIVA,FATTISPECIE A


FORMAZIONE PROGRESSIVA
-NASCITA DELL'OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA :
Di rilevanza fondamentale è poi la questione della nascita,o genesi, dell'obbligazione tributaria,con ciò intendendo che era necessario stabilire in quale momento l'ente impositore acquisiva
il diritto a vedersi versato un determinato tributo e ,specularmente,in quale momento in capo al soggetto contribuente nasceva l'obbligo di versamento di un determinato tributo. Era
dunque necessario stabilire se l'obbligazione tributaria sorgeva nel momento stesso in cui il contribuente realizzava dal presupposto,prescindendo da qualsivoglia successiva
esternazione della pretesa tributaria con un atto formale,oppure se essa nasceva a seguito dell'esternazione della pretesa tributaria con un atto formale da parte dell'Amministrazione
finanziaria(ad esempio,con la notifica della cartella di pagamento a seguito di liquidazione automatica,o formale della dichiarazione,oppure con la notifica di un avviso di accertamento).
Questo dibattito in merito alla genesi dell'obbligazione tributaria ha portato la dottrina a sviluppare due diverse teorie:
→ una teoria dichiarativa: Secondo la teoria dichiarativa,l'obbligazione tributaria sorgerebbe già nel momento stesso in cui viene realizzato il presupposto cui la legge ricollega
la debenza del tributo,per cui qualsiasi atto che esterni la pretesa impositiva,come ,ad esempio,l'atto di accertamento,avrebbe soltanto una funzione meramente
dichiarativa,una funzione di dichiarare,di determinare nel quantum,un'obbligazione già sorta. In tale ambito,l'attività amministrativa avrebbe natura essenzialmente vincolata,non
sussistendo profili di discrezionalità.
Dunque,secondo questo primo orientamento ,l'atto di accertamento,così come la notifica della cartella di pagamento,nei casi in cui la notifica medesima sia la prima forma di
manifestazione della pretesa impositiva, avrebbero soltanto la funzione di dichiarare, o al massimo di determinare nel quantum,un'obbligazione tributaria già sorta al realizzarsi del
presupposto. Per fare un esempio: la compravendita di un immobile,ai fini dell'imposta di registro,determinerebbe la nascita dell'obbligazione tributaria ,a prescindere dalla liquidazione del
tributo, dell'imposta di registro, da parte dell'ufficio competente.
→ una teoria costitutiva: secondo tale teoria,l'obbligazione tributaria nasceva soltanto a seguito dell'atto di imposizione,della manifestazione formale della pretesa tributaria(con
la notifica dell'atto di accertamento o della cartella di pagamento), con ciò comportando che ,a seguito della realizzazione del presupposto da parte del contribuente, vi era la
nascita di una semplice situazione di soggezione. Soltanto dopo che la pretesa tributaria si fosse formalmente manifestata,attraverso la notifica dell'atto
impositivo,divenivano applicabili ,alla situazione giuridica soggettiva, le regole proprie dell'obbligazione civilisticamente intesa.
Sintetizzando,possiamo dire che ,secondo la teoria dichiarativa,l'obbligazione tributaria nasceva per il semplice fatto della realizzazione del presupposto d'imposta,mentre,secondo la
teoria costitutiva,l'obbligazione tributaria,intesa in senso stretto e tecnico,sorgeva soltanto dopo che la stessa si fosse manifestata attraverso la notifica dell'atto impositivo,recante la
pretesa tributaria. In merito va comunque ribadita la distinzione tra la nascita dell'obbligazione tributaria e la fonte del tributo: la nascita dell'obbligazione tributaria può aversi,a seconda della
teoria accolta, o con la realizzazione del presupposto,oppure con la manifestazione della pretesa impositiva attraverso un atto formale; la fonte del tributo,di contro, in virtù del principio di legalità di cui
all'art. 23 Cost., è rappresentata dalla legge o da un atto avente forza di legge.
Queste due teorie ,isolatamente considerate,non erano soddisfacenti. Si asserì allora che l'obbligazione tributaria veniva ad esistenza già con la realizzazione del presupposto,ma che la
stessa non era efficace,dunque improduttiva di effetti,fino al momento in cui non fosse sopravvenuta la notifica dell'atto impositivo. In tal modo si diede ampia rilevanza ad istituti di carattere
privatistico,quali la liquidazione,il termine di efficacia,l'adempimento e la condizione(sospensiva).
Successivamente,possiamo notare che l'ottica privatistica appena analizzata,fu abbandonata a favore di un ottica pubblicistica. Proprio in questo momento si arrivò a definire
l'obbligazione tributaria come rapporto complesso d'imposta,ossia come fattispecie,a formazione progressiva,del procedimento di imposizione. La qualificazione dell'obbligazione tributaria
come fattispecie a formazione progressiva rendeva necessario che ,affinchè la stessa divenisse efficace, vi fosse non soltanto la realizzazione del presupposto,ma che vi fossero anche altri step,tra i
quali,in primis, la notifica di un atto di accertamento. Così l'obbligazione tributaria veniva a configurarsi come una fattispecie complessa,rappresentata dalla realizzazione del presupposto e seguita dalla
notifica dell'atto impositivo da parte dell'ente impositore.
È bene notare che in realtà,tutti questi schemi,quali il modello dell'obbligazione ex lege,il rapporto giuridico d'imposta a stampo privatistico e la fattispecie a formazione
progressiva,risultavano insufficienti ed inadatti per rendere l'idea dell'estrema mutevolezza dei procedimenti applicativi dei vari tributi,procedimenti che si differenziavano sia a seconda
dei tributi in esame,sia con riferimento al medesimo tributo,in dipendenza dai comportamenti dell'ente impositore e del contribuente. Basti in merito pensare che vi sono delle situazioni in cui
il pagamento del tributo è anteriore rispetto alla stessa realizzazione del presupposto ( e quindi anteriore anche,naturalmente,alla notifica dell'atto impositivo da parte dell'Amministrazione finanziaria).
In merito abbiamo l'esempio degli acconti d'imposta,ossia dell'obbligo di versare un acconto del tributo ,che sarà dovuto al termine del periodo d'imposta,a prescindere dalla realizzazione del
presupposto ,solamente sulla base del parametro rappresentato dall'entità della base imponibile riferita al contribuente nell'anno precedente; vi è quindi l'obbligo di versare un acconto dell'imposta sui
redditi a prescindere dall'effettiva realizzazione del presupposto,dal momento che, al termine del periodo di imposta ,il contribuente potrebbe addirittura aver realizzato una perdita ,con conseguente
diritto di scomputare quanto versato in acconto nella prima parte dell'anno.
Dunque non sempre,nell'ambito dei procedimenti di attuazione dei tributi,le situazioni giuridiche soggettive che nascono in funzione del comportamento dell'ente impositore,o del
comportamento del contribuente,sono qualificabili ,in senso stretto e tecnico,come obbligazioni tributarie.
In relazione a questa mutevolezza dei procedimenti applicativi dei vari tributi,si possono fare degli esempi relativi alla dipendenza dal comportamento del contribuente:
→ se il contribuente presenta regolarmente la propria dichiarazione dei redditi ed effettua correttamente le operazioni numeriche di calcolo dell'imposta,in sede di controllo
automatico della dichiarazione ex art. 36bis del D.P.R. 600,l'amministrazione non riscontrerà alcuna anomalia
→ se in sede di controllo ordinario,ai sensi degli artt. 38 e ss. Del D.P.R. 600, l'ente impositore si accorge che un determinato provento è stato non correttamente
qualificato,ad esempio ascritto ad una categoria reddituale sbagliata rispetto a quella prevista dal legislatore,esso sarà costretto a notificare un atto di accertamento per rettificare la
dichiarazione dei redditi del contribuente
→ se il contribuente non presenta proprio la dichiarazione dei redditi,l'amministrazione sarà necessitata a notificare un avviso di accertamento d'ufficio ed a ricostruire la situazione
reddituale del contribuente sulla base dei dati e delle notizie raccolti , quindi anche sulla base di presunzioni non qualificate,ossia né precise né concordanti
→ se poi il contribuente ,dopo aver presentato la dichiarazione ed aver pagato l'imposta corrispondente, si accorge di aver commesso un errore,presenterà un'istanza di
rimborso, la quale sarà esaminata dall'amministrazione,che potrà riconoscere le ragioni del contribuente e corrispondere il rimborso, oppure negare il rimborso : in quest'ultimo caso ,il
contribuente potrà eventualmente impugnare il silenzio ,espresso o tacito, alla costituzione del tributo dinanzi alle commissioni tributarie.
Appare dunque chiaro che le dinamiche di applicazione del tributo dipendono dal comportamento del contribuente , dalla correttezza o meno del suo comportamento: quanto più
l'atteggiamento del contribuente è legittimo,conforme a legge,tanto più allora l'amministrazione si limiterà ad un controllo di tipo elementare,se non addirittura automatico e formale;viceversa,quanto più
il comportamento del contribuente non è conforme a legge,tanto più allora l'amministrazione dovrà attivarsi per cercare di ricostruire,nella maniera migliore e più attendibile possibile ,sulla base dei dati
a disposizione,il reddito del contribuente.
Allo stesso modo,possiamo fare degli esempi inerenti alla variabilità procedimentale dell'attuazione dei tributi in dipendenza dal comportamento dell'amministrazione finanziaria. L'amministrazione
finanziaria ha diverse scelte operative nell'effettuare un controllo sui contribuenti. Poniamo il caso che la stessa decida di eseguire accessi ,ispezioni e verifiche nelle sedi di questi,eventualmente con
l'ausilio della Guardia di Finanza: in tal caso ,nell'ambito di un contraddittorio endoprocedimentale,l'amministrazione finanziaria ,a seguito della chiusura delle verifiche,notificherà il cd. Processo verbale
di constatazione al contribuente,lasciandogli un tempo di 60 giorni per formulare le proprie osservazioni in merito,un tempo di 60 giorni dove ,per la stessa Amministrazione finanziaria , non sarà
possibile notificare un atto di accertamento,basato sulla base del processo verbale di constatazione. Di contro,vi potrebbe essere il caso in cui l'Amministrazione finanziaria propenda per un metodo di
indagine cd. A tavolino,fatto sulla base di documenti cartacei.
Dunque,oggi,piuttosto che di nascita dell'obbligazione tributaria, piuttosto che di teoria dichiarativa e di teoria costitutiva,gli interpreti , consapevoli della diversità dei vari tributi,della
diversità che lo stesso tributo può presentare in sede applicativa ,prestano più che altro attenzione alle diverse fasi in cui può essere ripartita l'attività di attuazione dei tributi,alla
molteplicità degli atti e delle attività che precedono e seguono l'emanazione dell'atto impositivo,alla molteplicità dei collegamenti tra i vari atti e le varie fasi,alla mutevolezza dei
collegamenti e quindi,in sintesi, alla variabilità della sequenza procedimentale. Possiamo altresì dire che ,sicuramente, la realizzazione del presupposto assicura il diritto,per
l'amministrazione finanziaria,di acquisire definitivamente il tributo,ma ,al contempo, possiamo ugualmente dire che obbligazioni al versamento del tributo possono nascere a
prescindere,ma anche prima della realizzazione del presupposto.

1.3- APPLICABILITA' O MENO DI ISTITUTI CIVILISTICI ALL'OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA


L'obbligazione tributaria, pur essendo un'obbligazione ex lege, non differisce,dal punto di vista strutturale e concettuale, dall'obbligazione di diritto privato. Non a caso,in caso di
lacuna in materia tributaria,vi è la possibilità,per l'interprete,di colmare la stessa ricorrendo alle norme civilistiche,sempre che ricorrano i presupposti dell'analogia.
Dunque,è possibile integrare la materia tributaria con norme ed istituti civilistici,nell'ambito di un'interpretazione analogica,soltanto quando:
→ si sia in presenza di lacune in senso tecnico della disciplina tributaria
→ le norme civilistiche siano suscettibili di essere estese oltre l'ambito del diritto privato
→ le norme civilistiche siano compatibili con le peculiari fattispecie del diritto tributario
Dunque, occorre sempre verificare la compatibilità delle norme, in materia di obbligazioni civilistiche ,con la funzione fiscale, ossia di giusto riparto dei carichi pubblici, che l'obbligazione
tributaria realizza nei confronti della collettività,dal momento che un eventuale mancato soddisfacimento del credito fiscale dispiegherebbe i suoi effetti negativi su tutta la collettività.
A questo punto,possiamo elencare degli istituti civilistici che presentano dei profili di contatto,seppur con evidenti differenze, con l'obbligazione tributaria:
→ compensazione
→ prescrizione e decadenza
→ rimessione del debito e transazione
-COMPENSAZIONE TRIBUTARIA:
In materia tributaria non si applica la disciplina civilistica della compensazione,essendo infatti previsto un istituto autonomo, ossia la compensazione tributaria .
L'istituto della compensazione tributaria consiste nella possibilità di compensare i debiti tributari con crediti,risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche, che il
contribuente vanta ,a sua volta,nei confronti dell'ente impositore.
A norma dell'art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente,la compensazione costituisce una modalità di estinzione dell'obbligazione tributaria.
È bene osservare che possiamo distinguere due tipologie di compensazione tributaria:
→ compensazioni verticali o interne: esse sono quelle compensazioni attuate all'interno della medesima tipologia di imposta
→ compensazioni orizzontali o esterne: si tratta di quelle compensazioni che permettono di compensare imposte di natura diversa,come,ad esempio,un credito Iva con un
debito Ires
-TERMINI DI PRESCRIZIONE E DI DECADENZA NEL DIRITTO TRIBUTARIO:
La previsione,all'interno del diritto tributario,di termini di decadenza,riguarda soprattutto i poteri di accertamento,di controllo,di notifica e di iscrizione a ruolo facenti capo
all'Amministrazione finanziaria.
Possiamo ricordare innanzitutto che le leggi tributarie stabiliscono dei termini entro i quali l'ente impositore deve svolgere le sue indagini,entro cui deve notificare un avviso di accertamento ed entro cui
deve iscrivere a ruolo una determinata somma;oltre a ciò,va ribadito che decadenza prevede un'inerzia prolungata di chi aveva l'onere della pretesa del diritto.
Particolare attenzione meritano i termini di decadenza per la notifica di un atto di accertamento da parte dell'Amministrazione finanziaria:per quanto riguarda le imposte sui redditi e l'iva,ai
sensi dell'art. 43 del d.p.r. 600/1973 e dell'art. 57 del d.p.r. 633/1972,l'atto di accertamento doveva essere notificato entro il 31 Dicembre del quarto anno successivo a quello di
presentazione della dichiarazione( raddoppiato in caso di illeciti tributari penali); secondo una più recente riforma operata dalla L. 208/2015,l'atto di accertamento,relativamente alle
dichiarazioni presentate dal 2017 in poi, doveva essere notificato entro il 31 Dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione(in caso di omessa
dichiarazione il termine è di 7 anni); alla luce di quanto infine disposto dal d.l. 34/2020,convertito in legge dalla l. 77/2020, rileva che per quanto riguarda le dichiarazioni inerenti al 2014
ed al 2015,i cui termini di decadenza per accertarle,dovevano essere di 4 anni successivi all'anno di presentazione,vi è stata non soltanto l'applicazione del termine quinquennale,ma è
stato altresì stabilito che l'importante è che gli stessi siano emessi entro il 31 Dicembre 2020,mentre per la loro notifica il termine di decadenza è stato esteso fino al 31 dicembre 2021.

1.4- INDISPONIBILITA' DELL'OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA


-INDISPONIBILITA' DELL'OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA:
Il diritto tributario è presieduto dal principio di legalità ex art. 23 Cost.,da che ne consegue che l'amministrazione finanziaria non può disporre delle obbligazioni tributarie,per la
precisione,dei crediti che la stessa vanta nei confronti del contribuente, essendo le obbligazioni tributarie delle obbligazioni ex lege,nè ,tanto meno,del potere impositivo. Dunque ,tra i
modi di estinzione dell'obbligazione tributaria,non vi è né la rimessione del debito,nè la transazione ,per cui,ad esempio,si configura come nulla quella clausola contrattuale con cui
l'amministrazione finanziaria rinunci all'applicazione del tributo,così come è nullo l'accordo con il quale fisco e contribuente si accordino per il pagamento di una somma inferiore rispetto a quella dovuta.
A tale principio dell'indisponibilità dell'obbligazione tributaria sono state poste tuttavia alcune eccezioni,rappresentate da alcuni istituti,di recente introduzione,che portano ad una
riduzione della pretesa tributaria dell'ente impositore. Tali istituti sono:
1)transazione fiscale: La transazione fiscale, disciplinata dall'art. 182ter della Legge fallimentare,nonchè dagli artt. 63 e 88 del Codice della crisi d'impresa ,ossia il d.lgs.
14/2019,è un istituto che si configura come una procedura transattiva,che il contribuente può mettere in atto con l'Amministrazione finanziaria ,sia nell'ambito del concordato
preventivo,sia nell'ambito degli accordi di ristrutturazione del debito,al fine di pagare in misura ridotta i debiti tributari,sia privilegiati che chirografari,oppure al fine di
dilazionarli. Dunque,nell'ipotesi di transazione fiscale,l'amministrazione finanziaria addiviene ad un accordo con il contribuente,ma soltanto perché non può raggiungere un
risultato migliore con la liquidazione giudiziale dei beni del contribuente,non essendovi quindi alcuna rinuncia alla pretesa impositiva. La transazione fiscale appare allora come
una soluzione sostanzialmente necessitata ed attraverso di essa l'amministrazione finanziaria rinuncia ad una parte del credito formalmente spettantegli,riconoscendo l'impossibilità di
conseguire un risultato migliore con un diverso intendimento,o con la liquidazione giudiziale dei beni, e ,di conseguenza,favorendo l'esito positivo della procedura esecutiva.
2)accertamento con adesione: L'accertamento con adesione,disciplinato dal d.lgs. 218/97, è un istituto deflattivo del contenzioso,che consente al contribuente di rideterminare
la pretesa tributaria in contraddittorio con l'amministrazione finanziaria,beneficiando di sanzioni ridotte ad 1/3 del minimo,prima dell'instaurazione del contenzioso tributario. Il
contribuente può presentare istanza di accertamento con adesione sia nel caso in cui si veda notificato un atto di accertamento,sia nel caso in cui,a seguito dell'attività
istruttoria da parte dell'amministrazione finanziaria,si veda notificato un processo verbale di constatazione (al quale seguirebbe poi,naturalmente,la notifica di un atto di
accertamento). Il ricorso all'accertamento con adesione fa sì che siano sospesi ,per 90 giorni, i termini per impugnare dinanzi alla commissione tributaria l'atto di
accertamento e fa sì che si instauri un vero e proprio contraddittorio endo-procedimentale tra il contribuente e l'amministrazione finanziaria. Nel corso di tale contraddittorio
endo-procedimentale,il contribuente è chiamato a presentare memorie e a depositare documenti,al fine di convincere l'amministrazione finanziaria delle sue ragioni. Qualora ,al termine di
tale contraddittorio,l'amministrazione finanziaria si sia convinta,anche soltanto parzialmente,delle ragioni del contribuente,essa potrà rivedere la propria pretesa impositiva,firmando
l'accertamento con adesione insieme al contribuente e rettificando dunque in diminuzione l'atto di accertamento eventualmente già notificato(sostituendolo).
È bene osservare che ,anche nel caso dell'accertamento con adesione ,non vi è alcun atto di disposizione dell'obbligazione tributaria,così come non vi è alcun elemento di
transazione,alcun elemento di rinuncia ad una previa pretesa: semplicemente,sulla base della documentazione e delle osservazioni presentate dal
contribuente,l'amministrazione finanziaria si avvede del fatto che la pretesa originaria era eccessiva e si convince della parziale necessità di convenire con le ragioni del
contribuente. Non vi è ,in via definitiva,alcuna rinuncia alla pretesa originaria da parte dell'amministrazione finanziaria,ma soltanto una più corretta definizione della stessa
,definizione che si realizza,appunto,attraverso la leale collaborazione tra l'Amministrazione finanziaria ed il contribuente.
3)conciliazione giudiziale : La conciliazione giudiziale è uno strumento deflattivo del contenzioso tributario che consente al contribuente,all'ente
impositore ,o all'agente della riscossione,di definire,totalmente o parzialmente,ogni controversia appartenente alla giurisdizione tributaria,sia
per questioni di fatto che per questioni di diritto. Attraverso la conciliazione giudiziale ,in pratica, sia che ci si trovi in primo od in secondo
grado,una volta valutate le prove e le argomentazioni fornite dal contribuente in giudizio,l'Amministrazione può rendersi conto della fondatezza
delle ragioni del contribuente( e viceversa) ed addivenire per l'appunto ad una conciliazione con il contribuente,ad un accordo che delimiti e
qualifichi in un certo modo la fattispecie imponibile,senza che ricorra alcun elemento di transazione (vi sono punti di contatto con la mediazione pre-
giudiziale).

1.5- VINCOLATEZZA E DISCREZIONALITA' DELL'AZIONE AMMINISTRATIVA


-VINCOLATEZZA DELL'AZIONE AMMINISTRATIVA:
Strettamente connesso al profilo dell'indisponibilità dell'obbligazione tributaria,vi è il profilo della vincolatezza dell'azione amministrativa. Con vincolatezza dell'azione amministrativa si
intende dire che l'amministrazione finanziaria,in virtù del rispetto del principio di legalità di cui all'art. 23 Cost. , è vincolata non soltanto al rispetto dell'obbligazione tributaria così come
definita,ex ante,dal legislatore,ma è vincolata altresì nella sua azione,potendo la stessa amministrazione adottare solo ed esclusivamente comportamenti che siano stati previamente
previsti dal legislatore.
Da ciò ne discende che è fatto divieto,all'amministrazione finanziaria,di esternare la propria pretesa impositiva con atti diversi da quelli espressamente previsti dal legislatore,così come di
giungere alla definizione della pretesa impositiva attraverso procedimenti che non siano stati previamente individuati dal legislatore( ad esempio,ponendo in essere attività
istruttorie,preordinate all'acclaramento della fattispecie imponibile,che non siano state predefinite e consentite dal legislatore).
Qualora l'amministrazione finanziaria ponga in essere atti ,di esternazione della pretesa impositiva, che non siano stati previamente riconosciuti come conformi dal legislatore,tali atti potranno essere
ben considerati come viziati (come d'altronde accadrebbe qualora essa ponesse in essere un accordo con cui si rinuncia alla pretesa tributaria,data l'indisponibilità dell'obbligazione tributaria).
Non vi è discrezionalità dell'amministrazione finanziaria,la cui azione risulta dunque vincolata,nei seguenti casi:
→ in caso di transazione fiscale: in tal caso ,l'amministrazione finanziaria addiviene ad un accordo con il contribuente soltanto perché riconosce l'impossibilità di ottenere risultati migliori
attraverso la liquidazione giudiziale dei beni del contribuente.
→ in caso di accertamento con adesione: in questo caso ,l'amministrazione finanziaria pone in essere un accordo con il contribuente soltanto perché,in sede di contraddittorio endo-
procedimentale,si è resa conto della totale,o anche parziale,fondatezza delle ragioni del contribuente.
→ in caso di conciliazione giudiziale: anche qui,l'amministrazione finanziaria addiviene ad un accordo con il contribuente,ponendo fine al contenzioso,soltanto perché resasi conto della
parziale o totale fondatezza delle ragioni del contribuente
→ nella scelta del metodo di accertamento da applicare: la scelta del metodo di accertamento da applicare è frutto di valutazioni tecnico-oggettive operate
dall'amministrazione finanziaria,la quale,date determinate circostanze di fatto,opterà per il metodo di accertamento più idoneo a seconda della situazione di fatto
contingente ed a seconda del comportamento del contribuente,senza che ciò comporti una valutazione in termini di contemperamento tra l'interesse alla generalità
del concorso alle pubbliche spese con l'interesse alla più rapida esazione del tributo.
→ nell'individuazione e nella quantificazione del presupposto d'imposta: non vi è qui discrezionalità,dal momento che il presupposto d'imposta viene
normalmente definito dal legislatore,nel rispetto della riserva di legge di cui all'art. 23 Cost. .
-DISCREZIONALITA' DELL'AZIONE AMMINISTRATIVA:
Vi sono dei casi,delle situazioni in cui l'Amministrazione finanziaria può portare avanti la sua azione con discrezionalità,entro determinati limiti fissati dal legislator e.
Tale discrezionalità dell'azione amministrativa rileva particolarmente in sede di riscossione,ove sono presenti delle norme che attribuiscono all'amministrazione il potere di rateizzare i
debiti d'imposta o di sospendere la riscossione. In questi casi,secondo l'orientamento prevalente,si discorre di discrezionalità perché l'amministrazione finanziaria è chiamata a procedere ad
un'analisi comparativa di interessi contrapposti,quale l'interesse alla riscossione della giusta imposta da un lato ed altri interessi costituzionalmente rilevanti dall'altro lato. Da ciò ne discende
che ,qualora il contribuente presenti un'istanza di sospensione,o di rateizzazione,dei carichi iscritti a ruolo, l'amministrazione potrà concedere la sospensione della riscossione,così come
concedere o prorogare una rateizzazione dei carichi iscritti a ruolo,valutando comparativamente l'interesse a riscuotere quanto dovuto e l'interesse a consentire al contribuente di tutelare
la propria famiglia,la propria prole e la propria salute attraverso la rateizzazione del debito d'imposta (consentendo quindi al contribuente di conservare una parte del proprio reddito mensile per
impiegarlo al mantenimento del tenore di vita necessario per assicurare la tutela della propria famiglia,nonchè della propria salute.
Possiamo a questo punto dire che vi è discrezionalità dell'azione amministrativa nei seguenti casi:
1)dilazione del pagamento ex art. 19 del d.p.r. 602/1973: l'art. 19 del d.p.r. 602/1973 dispone che “ l'agente della riscossione,su richiesta del contribuente che dichiara di versare in
temporanea situazione di obiettiva difficoltà,concede la ripartizione del pagamento delle somme iscritte a ruolo ,con esclusione dei diritti di notifica,fino ad un massimo di 72 rate mensili .
Nel caso in cui le somme iscritte a ruolo sono di importo superiore a 60 000 euro,la dilazione può essere concessa se il contribuente documenta la temporanea situazione di obiettiva
difficoltà”.
Dunque,attraverso tale disposizione,viene sancito il diritto (soggettivo ) del contribuente a veder rateizzato il debito d'imposta che sia inferiore a 60 000 euro fino ad un
massimo di 72 rate mensili,data la temporanea situazione di obiettiva difficoltà; di contro,qualora il debito d'imposta sia superiore a 60 000 euro,il contribuente sarà chiamato
a fornire documentazione comprovante la temporanea situazione di obiettiva difficoltà,ferma restando,in quest'ultimo caso,la facoltà dell'agente della riscossione di
concedere o meno la rateizzazione del debito d'imposta.
In quest'attività discrezionale ,l'amministrazione valuterà da un lato l'interesse generale ,sotteso all'art. 53 cost. , alla contribuzione e al versamento della giusta imposta,mentre,dall'altro
lato, valuterà l'interesse a tutelare il diritto alla salute,la famiglia e la prole del contribuente,nonchè il diritto anche ad una retribuzione in grado di assicurare al contribuente una esistenza
libera e dignitosa. L'amministrazione valuterà la situazione del caso e, nell'ipotesi in cui effettivamente riscontrasse che se il contribuente fosse costretto a versare in un'unica rata quanto
dovuto egli non sarebbe conseguentemente in grado di assicurare il mantenimento proprio e della propria famiglia,potrà concedere la rateizzazione del debito d'imposta.
In tale ambito di discrezionalità rientra anche la possibilità,per l'amministrazione finanziaria,di concedere una proroga della rateazione (una sola volta)per un periodo fino a 72
mesi,a condizione che non sia intervenuta decadenza,così come disposto dall'art. 19. comma 1-bis; allo stesso modo vi rientra la previsione ex art. 19 comma 1-quinquies,in
base alla quale,qualora il contribuente si trovi,per ragioni estranee alla propria responsabilità,in una comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura
economica, l'amministrazione finanziaria potrà aumentare la rateazione fino ad un massimo di 120 rate mensili,sempre che venga provata la perdurante solvibilità del
contribuente e la sua impossibilità a pagare il credito tributario secondo un piano di rateazione ordinario.
2)sospensione della riscossione per situazioni eccezionali ex art. 19bis del d.p.r. 602/1973: l'art. 19Bis del d.p.r. 602/1973 dispone che “ se si verificano situazioni eccezionali,a
carattere generale o relative ad un'area significativa del territorio,tali da alterare gravemente lo svolgimento di un corretto rapporto con i contribuenti,la riscossione può essere sospesa,per
non più di 12 mesi,con Decreto del Ministero delle Finanze”. Questa è la norma che ha trovato applicazione durante il mese di marzo 2020,in cui si è sospeso il versamento delle somme
iscritte a ruolo fino al 31 maggio del medesimo anno,in ragione del blocco delle attività economiche e dei flussi di cassa. Anche in questo caso si è trattato,come è evidente,di attività
discrezionale,dal momento che qui gli interessi contrapposti costituivano veramente interessi pesanti ,dovendosi decidere se bloccare la sospensione dei tributi per due mesi,ovvero se
costringere contribuenti ed imprese a versare le imposte nonostante il blocco di quelle attività che rappresentano la fonte dei redditi necessari per il versamento di quelle imposte. Da una
parte vi è dunque l'interesse supremo erariale,ossia l'interesse dello stato a reperire quanto necessario al funzionamento della macchina statale,mentre dall'altro lato vi è l'interesse dei
contribuenti alla tutela della salute,della famiglia ,ad una retribuzione che assicuri un'esistenza libera e dignitosa,nonchè l'interesse, anche, alla tutela della proprietà privata e della libera
iniziativa economica di cui agli artt. 41 e 42 cost. . Si ha dunque un'attività di valutazione comparativa di interessi tutti tutelati costituzionalmente: dovere solidaristico di
concorrere alle pubbliche spese di cui all'art. 53 cost. E dovere,anche ,per lo stato,di non porre in atto comportamenti che pregiudichino la tutela di altri valori
costituzionalmente tutelati.
3)sospensione amministrativa della riscossione ex art. 39 del d.p.r. 602/1973: tale articolo dispone che “ il ricorso contro il ruolo di cui all'art. 19 del d.lgs. 546/1992,non sospende la
riscossione; tuttavia,l'ufficio delle entrate o il centro di servizio ha la facoltà di disporla in tutto o in parte fino alla data di pubblicazione della sentenza della commissione tributaria
provinciale,con provvedimento motivato notificato al concessionario ed al contribuente. Il provvedimento può essere revocato ove sopravvenga fondato pericolo per la riscossione”
4)autotutela ex art. 68 d.p.r. 287/92 e successive modifiche:Per autotutela,nell'ambito del diritto tributario,si intende il potere ,proprio dell'amministrazione finanziaria,di revocare
o annullare propri atti (in particolare atti di accertamento) ritenuti illegittimi e/o infondati,sia nel caso in cui tali atti non siano più impugnabili ,sia nel caso in cui sia pendente
un giudizio,purchè non vi sia un giudicato sul merito. Per fare un esempio,possiamo dire che sia nel caso in cui un atto di accertamento non sia stato impugnato dal contribuente entro
i 60 giorni dalla notifica,divenendo quindi definitivo,sia,nel caso in cui tale atto di accertamento sia stato impugnato e sia intervenuta una sentenza di primo grado ,anche favorevole
all'amministrazione, senza che sia però intervenuto il giudicato,l'amministrazione finanziaria potrà rivedere la propria pretesa e revocare o annullare l'atto ritenuto illegittimo.
La corte Costituzionale,con sent. 181/2017,ha ritenuto che l'attività dell'amministrazione finanziaria in sede di autotutela sia qualificabile in termini di discrezionalità. Il caso
voleva che la Corte si pronunciasse in merito alla questione di illegittimità costituzionale della disciplina dell'autotutela,in considerazione del fatto che non era previsto un obbligo ,a carico
dell'amministrazione finanziaria,di pronunciarsi sull'istanza di autotutela presentata dal contribuente ed in considerazione del fatto che,conseguentemente,il diniego ,espresso o tacito ,di
autotutela non rientrava tra gli atti impugnabili. Ebbene, la Corte costituzionale ha sostanzialmente respinto,o meglio, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità
costituzionale, ritenendo che l'attività di autotutela fosse qualificabile in termini di attività discrezionale ,statuendo che,di conseguenza,non vi fosse alcun obbligo
giuridicamente qualificato,per l'amministrazione finanziaria,di pronunciarsi sull'istanza di autotutela e che ,conseguentemente,il diniego,nel caso di specie il diniego
tacito,non potesse essere impugnato dinanzi alle commissioni tributarie. Tale carattere di discrezionalità dell'attività di autotutela deriva,secondo la Corte Costituzionale,da
una valutazione comparativa tra l'interesse alla giusta imposta ex art. 53 Cost.,l'interesse fiscale dello stato-comunità ad ottenere le risorse necessarie per il suo
funzionamento e l'interesse alla stabilità ed alla certezza dei rapporti giuridici.
È evidente che ,laddove si parli di discrezionalità amministrativa, possono porsi problemi in termini di eventuale impugnazione degli atti emessi
dall'amministrazione ad esito di sub-procedimenti ,qualificabili in termini di discrezionalità amministrativa e svolti dinanzi agli organi della giustizia
amministrativa. L'art. 7 dello statuto del contribuente,non a caso, sancisce che la natura tributaria dell'atto non esclude ,non preclude, il ricorso agli organi
della giustizia amministrativa quando ne ricorrano i relativi presupposti. Ciò in ragione del fatto che possono ricorrere esigenze di una tutela anticipata,
presso un giudice civile o amministrativo, in relazione a situazioni giuridiche soggettive del contribuente nell'ambito delle quali ancora l'amministrazione
non abbia esternato la propria pretesa . Dunque,pur non essendovi un atto impugnabile dinanzi alle commissioni tributarie,ma rimane comunque l'esigenza di tutela del
contribuente ,per via dell'espressione ,da parte dell'amministrazione,di un proprio potere ,riconducibile alla discrezionalità amministrativa.

CAPITOLO 2 – I SOGGETTI DELL'OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA


2.1- GENERALITA' SUI SOGGETTI DEL RAPPORTO GIURIDICO D'IMPOSTA
-SOGGETTI DELL'OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA:
Relativamente alla fase di attuazione dei tributi,occorre dare una definizione preliminare di quelli che sono i soggetti attivi ed i soggetti passivi del rapporto giuridico d'imposta,che
costituiscono ,per l'appunto,parti in senso lato del processo di attuazione dei tributi,ossia centri di imputazione di effetti giuridici tributari.
I soggetti che,a vario titolo,intervengono nell'attuazione dei tributi,nello specifico,nelle fasi di accertamento e di riscossione dei tributi,sono molteplici: lo Stato, le Regioni, gli enti
locali,gli ausiliari ,gli intermediari finanziari,i centri autorizzati all'assistenza fiscale(CAAF),ma anche la Guardia Di Finanza ed i messi notificatori,gli ufficiali giudiziari,il contribuente e tutti
gli altri soggetti che a vario titolo intervengono nell'accertamento e nella riscossione dei tributi .
A livello dottrinale,in passato, la distinzione tra soggetti attivi e soggetti passivi dell'obbligazione tributaria è stata fatta privilegiando:
→ dapprima un profilo pubblicistico,in base al quale la distinzione tra soggetto attivo e soggetto passivo avveniva sulla base,rispettivamente,della titolarità e della soggezione al potere di
imposizione
→ in un secondo momento un profilo privatistico,in virtù del quale rilevavano le posizioni di creditore e di debitore nel rapporto giuridico d'imposta,sicchè era considerato soggetto attivo
chi aveva il diritto alla riscossione ,mentre era considerato quale soggetto passivo colui che era tenuto al pagamento del tributo
Ad oggi,possiamo distinguere,nell'ambito dei soggetti del rapporto giuridico d'imposta:
1)soggetto attivo: soggetto attivo,secondo l'orientamento prevalente, è quel soggetto titolare del patrimonio nel cui ambito si riverberano gli effetti positivi legati (e
consequenziali) al versamento del tributo.
In passato si riteneva che il soggetto attivo fosse quel soggetto dotato,al contempo,del potere di imporre un tributo,del diritto di riscuotere un tributo e del diritto di
mantenere nel proprio patrimonio il gettito derivante dalla riscossione del tributo. Tale soluzione non è stata poi ritenuta soddisfacente,dal momento che questi 3 profili non
confluivano sempre nello stesso soggetto,essendovi dunque una diversificazione degli effetti. In merito,basti pensare al caso della SIAE,la quale ha il potere di imporre e di riscuotere
un'imposta,anche se il gettito derivante dalla riscossione di quell'imposta perviene in realtà allo Stato; per fare un altro esempio,possiamo ricordare che ,nel caso dell'imposta
sull'incremento di valore degli immobili,il potere di imposizione ed il diritto alla riscossione dell'imposta spettavano allo Stato,mentre il diritto a mantenere nel proprio patrimonio il gettito
derivante da quella riscossione spettava agli enti locali.
Dunque,alla luce delle precedenti considerazioni,possono definirsi come soggetti attivi del rapporto giuridico d'imposta:
→ lo Stato,
→ le Regioni,
→ gli Enti locali,
→ l'Amministrazione finanziaria
→ l'Agenzia delle Entrate-riscossione.
2)soggetti ausiliari: soggetti ausiliari sono tutti coloro che intervengono,a vario titolo,nella fase applicativa del tributo,ossia nella fase istruttoria,nella fase di
accertamento,nella fase di riscossione. Va osservato che tali soggetti ausiliari non possono essere considerati quali soggetti attivi in senso stretto perché nel loro patrimonio non si
avranno gli effetti incrementativi legati al versamento del tributo (il che costituisce una caratteristica preponderante dei soggetti attivi). Dunque ,alla luce di quanto sopra esposto, sono
soggetti ausiliari tutti quei soggetti che a vario titolo intervengono nella fase di attuazione del tributo ,senza ritrarre alcun beneficio dal versamento del tributo in quanto tale.
3)soggetto passivo: soggetto passivo è il soggetto nel cui patrimonio di verifica l'effetto decrementativo collegato alla realizzazione del presupposto ed al conseguente
versamento del tributo. La caratteristica fondamentale del soggetto passivo del rapporto giuridico d'imposta consiste nel fatto che egli deve aver realizzato il presupposto,cui
la legge ricollega il dovere di versare il tributo. È bene osservare che vi sono tuttavia dei casi in cui un determinato soggetto realizza il presupposto legato al versamento del
tributo ed un altro soggetto subisce gli effetti patrimoniali decrementativi legati al versamento del tributo: si vuole qui far riferimento ai casi del sostituto d'imposta e del
responsabile d'imposta,soggetti che anticipano il versamento del tributo pur non avendo realizzato il presupposto ad esso riconducibile. Ebbene tali soggetti,che sono
chiamati a sopportare temporaneamente il carico del tributo,hanno a loro disposizione un meccanismo che consente loro di traslare il peso del tributo ai soggetti che hanno
effettivamente realizzato il presupposto: tale meccanismo di traslazione,nel nostro ordinamento,è rappresentato dall'istituto della rivalsa. Dunque,attraverso lo strumento giuridico
della rivalsa, i soggetti che anticipano il prelievo o per sé o per conto d'altri,quali il sostituto d'imposta ed il responsabile d'imposta,possono traslare il peso del tributo sul
soggetto che ha effettivamente realizzato il presupposto manifestativo della capacità contributiva,il quale viene ad essere inciso ,in via definitiva,dal tributo.

2.2- SOGGETTI ATTIVI DEL RAPPORTO GIURIDICO D'IMPOSTA


-STATO:
Lo Stato rappresenta uno dei soggetti attivi del rapporto giuridico d'imposta,giacchè,nella maggior parte dei casi, è nel suo patrimonio che si riverberano gli effetti incrementativi legati
alla riscossione del tributo (ma ciò accade anche in relazione alle Regioni ed agli altri enti locali).
Va innanzitutto osservato che lo Stato,pur essendo titolare di poteri impositivi,ha al contempo alcuni poteri qualificabili in termini di poteri-doveri, come il potere-dovere di agire in un certo
modo; allo stesso modo,lo Stato risulta altresì soggetto a poteri e diritti potestativi propri dei soggetti privati (ad esempio,lo Stato ha l'obbligo di riconoscere un'agevolazione spettante al contribuente e
l'obbligo di restituire quanto indebitamente versato in eccesso dal contribuente).
In secondo luogo,ma non di minore importanza,vi è la questione relativa al fatto se lo Stato possa essere ,oltre che soggetto attivo ,anche soggetto passivo dell'obbligazione
tributaria,assommando dunque su di sé le qualifiche di creditore e di debitore. Possiamo fare un esempio: può lo Stato essere obbligato al pagamento delle imposte sui redditi,le quali poi
perverranno,nel rispetto del principio del pareggio del bilancio,nel bilancio statale medesimo? A tale questione si può rispondere in maniera affermativa,dal momento che non vi è motivo per
ritenere che la norma tributaria,posta dallo Stato nell'esercizio delle sue funzioni,non si applichi ,al verificarsi dei relativi presupposti,anche allo Stato medesimo,inteso quale
organizzazione; anzi,bisogna notare che tale soluzione consentirebbe di calcolare in maniera migliore l'incidenza del prelievo fiscale sugli altri soggetti e dunque di tener meglio conto
dell'effettiva ripartizione,tra i consociati,dei carichi pubblici.
-REGIONI ED ALTRI ENTI LOCALI:
Soggetti attivi sono anche le regioni e gli enti locali,quindi province e comuni. Come abbiamo visto,i Comuni sono anche soggetti ausiliari,nel senso che possono collaborare
nell'accertamento dei tributi erariali e possono compartecipare ad una quota del maggior gettito derivante dalla loro collaborazione.
A loro volta,gli enti locali,Comuni e Province,possono coinvolgere soggetti privati nella fase di attuazione dei tributi locali,per quanto riguarda le attività di accertamento,liquidazione e
riscossione dei tributi. Essi possono anche esercitare tale attività attraverso aziende speciali,società miste ovvero soggetti iscritti nell'ambito dei concessionari di servizi fiscali di cui all'art.
53 d.lgs. 446/1997.

-AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA:
Tra i soggetti attivi del rapporto giuridico d'imposta abbiamo citato l'Amministrazione finanziaria. La cd. Amministrazione finanziaria,più comunemente nota come fisco,si sostanzia nel
complesso degli uffici finanziari,sia centrali che periferici,preposti all'acquisizione ed alla gestione delle entrate pubbliche di natura finanziaria.
All'interno dell'Amministrazione finanziaria vi rientrano:
1)il Ministero dell'Economia e delle Finanze (il MEF)
2)le agenzie fiscali,sia centrali che locali
Tale scissione è stata dovuta già all'operato del d.lgs 300/1999,il quale ha per l'appunto attuato una separazione tra la direzione politica da un lato e la gestione amministrativa dei tributi
dall'altro lato,affidate,rispettivamente , al MEF ed alle agenzie fiscali.
-MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE(MEF):
Il Ministero dell'economia e delle finanze (MEF), è un ministero che si occupa,in ambito tributario,della direzione politica tributaria,con ciò intendendo che lo stesso individua
quei determinati obiettivi che devono essere perseguiti dalle agenzie fiscali,vigila sull'andamento dell'attività nel corso dell'anno e controlla l'attività di attuazione delle
agenzie fiscali,ferma restando l'autonomia gestionale di queste ultime. Tra il MEF e le singole agenzie viene stipulata ,annualmente, una convenzione,che fissa, per ciascun
periodo d'imposta, le direttive generali,precedentemente elaborate dal MEF,i servizi che sono dovuti al MEF ed ai contribuenti ,nonchè gli obiettivi da raggiungere e le
modalità di verifica dei risultati perseguiti.
È importante poi sottolineare che ,storicamente,con l'introduzione del d.lgs. 300/1999, il MEF ha ottenuto la direzione politica in materia tributaria,lasciando alle agenzie fiscali la
gestione amministrativa dei tributi; rileva poi che,agli inizi degli anni 2000,il MEF è stato è arrivato ad incorporare altri Ministeri,quali il Ministero delle Finanze,il Ministero del Tesoro,il
Ministero dell'Economia e il Ministero del Bilancio e della programmazione economica.
Il MEF,il Ministero dell'Economia e delle Finanze,esercita le sue attività di direzione politica sostanzialmente attraverso due strutture,quali:
→ il dipartimento delle finanze: il dipartimento delle finanze è quel dipartimento del MEF che vigila sulle agenzie fiscali e svolge un'attività di supporto relativamente
all'elaborazione di regolamenti e di studi in materia di politica tributaria. Il dipartimento delle finanze conduce quindi degli studi sulle politiche fiscali,sugli obiettivi da
raggiungere e sull'attività di attuazione dei tributi svolta dalle agenzie fiscali,le quali sono appunto vigilate e controllate da tale dipartimento. Il dipartimento delle finanze si
occuperà anche dell'attività di coordinamento con la Guardia di Finanza,in considerazione del fatto che l'attività di accertamento,nonchè l'attività di controllo del
comportamento del contribuente,preordinato all'adempimento degli obblighi fiscali, può essere demandato non soltanto alle agenzie fiscali,ma anche alla Guardia
di Finanza,la quale,come vedremo,svolge sia funzioni di politica tributaria che di politica giudiziaria.
→ l'anagrafe tributaria: l'anagrafe tributaria è stata istituita e disciplinata dal d.p.r. 605/1973.L'anagrafe tributaria è un sistema informatico che raccoglie,con la
collaborazione di diversi enti ed istituti,informazioni sui diversi contribuenti,ai quali viene attribuito un codice fiscale attraverso il quale gli stessi vengono
individuati .
Proprio in ragione del fatto che ad ogni contribuente viene assegnato un codice fiscale ai fini delle attività di controllo e di raccolta dati,si spiega perché vi sia l'obbligo per i
contribuenti,da un lato,di indicare il codice fiscale in una serie di atti (ad esempio negli atti di contenzioso tributario,ma anche nei contratti) ,giacchè mediante tale indicazione
quegli atti saranno riferibili,a ritroso,al contribuente che li ha posti in essere ,nonchè perché vi sia,dall'altro lato, l'obbligo,posto a carico di una serie di soggetti,quali le camere
di commercio,gli ordini professionali,gli intermediari finanziari ed assicurativi, di segnalare all'anagrafe tributaria i rapporti che siano intercorsi tra gli stessi ed i contribuenti.
L'anagrafe tributaria,che costituisce fondamentalmente una banca dati,si avvale anche del rapporto fattivo con i Comuni,i quali hanno,per l'appunto, l'obbligo di
segnalare all'anagrafe tributaria eventuali indici di capacità contributiva, desunti da fatti certi,relativi ai soggetti che risiedono in tali Comuni o che in tali Comuni possiedono
beni,o svolgono un'attività economica. Quest'obbligo ,posto a carico dei Comuni, sorge in ragione del fatto che i Comuni sono quei soggetti che hanno contiguità territoriale
con il soggetto che ivi risiede o che ivi svolge un'attività economica o vi possiede dei beni. Dunque,qualora il Comune abbia notizia dell'indice di capacità contributiva,
desumibile da fatti certi,riconducibile ad un determinato contribuente residente nel territorio,potrà segnalare tali indici di capacità contributiva all'anagrafe tributaria.
Al pari dell'obbligo di comunicazione di dati all'anagrafe tributaria,va osservato che ,parimenti, vi è la possibilità per la stessa anagrafe tributaria di richiedere i
dati dei contribuenti ai soggetti su cui grava l'obbligo di comunicazione.
Questi dati,confluiti nell'anagrafe tributaria, possono essere utilizzati Dall'Agenzia Delle Entrate, sia ai fini dell'accertamento(ossia ai fini dell'eventuale rettifica
della dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente),sia ai fini della riscossione,essendo i dati dell'anagrafe tributaria accessibili anche da parte della cd.
Agenzia delle Entrate-Riscossione,ente di recente costituzione che ha soppiantato la precedente Equitalia (che a sua volta aveva sostituito la Riscossione s.p.a.) e
che è preposto,per l'appunto,alla riscossione dei tributi.
Va rilevato che ai dati presenti nell'anagrafe tributaria possono accedere altresì le autorità giudiziarie,sia ai fini della repressione di reati,sia ai fini di coadiuvare i
privati nelle procedure esecutive (art. 492bis c.p.c.)
Essendo custode di una serie di dati sensibili,l'anagrafe tributaria è soggetta ad un'attività di vigilanza da parte di un'apposita commissione parlamentare,composta da 11
membri,designati dai presidenti delle camere
-AGENZIE FISCALI:
Le agenzie fiscali sono delle agenzie cui,a partire dall'entrata in vigore del d.lgs. 1999, è stata affidata la gestione amministrativa dei tributi.
Esse inizialmente erano 4,ma hanno subito,con una riforma,un parziale accorpamento,per cui ora vi rientrano:
1)l'Agenzia delle Entrate: l'Agenzia delle Entrate amministra tutti i tributi statali,con l'eccezione dei tributi che sono di competenza dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
Al vertice dell'Agenzia delle Entrate vi è un Direttore Generale,da cui dipendono poi le cd. Direzioni Regionali delle Entrate (o DRE),che sovraintendono ai tributi di
competenza dell'Agenzia delle entrate,coordinando a loro volta l'attività degli uffici periferici presenti a livello regionale. I compiti strettamente operativi sono invece svolti
dagli uffici periferici dell'Agenzia delle Entrate,che controllano le dichiarazioni dei contribuenti,svolgono indagini,emettono gli accertamenti,formano i ruoli di
riscossione,dispongono i rimborsi,rappresentano l'Agenzia delle Entrate in sede contenziosa,etc. (la competenza territoriale degli uffici è collegata al domicilio fiscale del
contribuente).
Per quanto riguarda ,in particolare,la riscossione dei tributi,va osservato che vi è stata un'evoluzione normativa nel corso del tempo,per cui si è passati da un sistema,che
prevedeva l'esercizio del potere esattivo attraverso i concessionari della riscossione,considerati come soggetti autonomi su tutto il territorio nazionale,ad un unico soggetto,
rappresentato dalla Riscossione spa,soppiantata poi da Equitalia,compartecipata per il 51% dalla stessa Agenzia delle Entrate e per il restante 49 % dall'INPS. Tale riunificazione del
potere di riscossione in capo ad un unico soggetto,titolare anche del potere di accertare i tributi, è stata fatta principalmente per velocizzare l'attività di riscossione dei tributi e per eliminare i
costi che gli esattori,disseminati sull'intero territorio nazionale,comportavano.
Con il d.lgs. 193/2016, è stato disposto che Equitalia venisse soppressa a partire 1 Luglio del 2017 ,attribuendo dunque la funzione della riscossione all'Agenzia delle
Entrate,che la esercita attraverso un ente pubblico strumentale,denominato Agenzia delle Entrate-Riscossione. L'agenzia delle Entrate-Riscossione esercita la sua attività sotto la
direzione e la vigilanza del MEF,nonchè sotto il monitoraggio da parte dell'Agenzia delle Entrate medesima.
Questa riunificazione in un unico soggetto,ossia nell'Agenzia delle Entrate,che a sua volta controlla l'attività dell'Agenzia delle entrate-riscossione , è conforme ad una quasi
coeva,precedente, trasformazione dell'atto di accertamento,che riunisce ora,in un unico atto,sia la funzione accertativa che quella di riscossione ,secondo quanto disposto
dall'art. 29 d.l. 78/2010 ( non è più necessario,come invece era nel passato,la notifica della cartella di pagamento;ora è lo stesso atto di accertamento,una volta notificato,che diventa titolo
per la riscossione dei tributi).
In sintesi,la catena di comando è rappresentata da MEF,Agenzia delle entrate e Agenzia delle entrate -riscossione,che è costituita da un ente pubblico economico strumentale.
2)l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli: l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli amministra i tributi doganali ,le accise,nonchè i Monopoli di Stato
3)il Demanio: il Demanio si occupa della gestione del catasto e di tutte le attività inerenti ,generalmente,ai beni immobili dello Stato

2.2.1- CARATTERI E PRINCIPI DELL'ATTIVITA' AMMINISTRATIVA IN CAMPO TRIBUTARIO


-INDISPONIBILITA' E VINCOLATEZZA DELL'ATTIVITA' AMMINISTRATIVA: (VEDI VINCOLATEZZA E DISCREZIONALITA' DELL'AZIONE AMMINISTRATIVA)
-DISCREZIONALITA' DELL'AZIONE AMMINISTRATIVA: (VEDI VINCOLATEZZA E DISCREZIONALITA' DELL'AZIONE AMMINISTRATIVA)
-REGOLE GENERALI DELL'ATTIVITA' AMMINISTRATIVA :
L'attività dell'Amministrazione finanziaria si configura come un'attività vincolata,sottoposta al principio di legalità ex art. 23 Cost., con ciò intendendo che è la legge a regolare i contenuti
dei provvedimenti adottati dall'amministrazione finanziaria.
L'amministrazione finanziaria deve poi agire osservando le regole del giusto procedimento,che si riscontrano :
→ L. 241/1990 : in particolare,l'art. 1 della l. 241/1990 fissa i principi generali dell'attività amministrativa,ossia i principi dell'economicità ,dell'efficacia,della pubblicità e della
trasparenza,nonchè i principi dell'ordinamento dell'Unione Europea(tra questi ultimi,che ricalcano i principi enunciati dalla Carta di Nizza ed i principi elaborati dalla Corte di Giustizia
europea,figurano il principio del contraddittorio,l'obbligo di motivazione,la risarcibilità dei danni prodotti dalle pubbliche amministrazioni,il principio di proporzionalità,il principio di buona fede
ed il principio del legittimo affidamento).
Rileva ,in merito,che il procedimento di imposizione inizia sempre d'ufficio,giacchè la dichiarazione tributaria presentata dal contribuente non può essere considerata come
un atto di avvio del procedimento,che non vi è una sequenza predeterminata di atti da porre in essere prima dell'emanazione dell'atto finale (salvo alcuni casi),che il
procedimento tributario d'imposizione può concludersi o con la notifica di un atto impositivo,oppure senza l'emanazione di alcun provvedimento; rileva altresì che vi è un
obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi,che tutti gli atti tributari devono essere necessariamente firmati dal responsabile del procedimento e che vi è una
particolare disciplina in tema di efficacia e di invalidità degli atti amministrativi
→ Statuto dei diritti del contribuente
→ dpr 600/1973 in tema di accertamento delle imposte sui redditi
→ dpr 633/1972 in tema di accertamento dell'Iva
→ dpr 602/1973,in tema di riscossione
→ d.lgs. 472/1997 in materia di sanzioni

-PRINCIPIO DI LEALE COLLABORAZIONE E BUONA FEDE:


Il principio di leale collaborazione e di buona fede,che ispira i rapporti tra fisco e contribuente,viene enunciato dall'art. 10,comma 1 dello Statuto dei diritti del contribuente,in virtù del
quale “ i rapporti tra contribuente ed amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede” .
La norma suddetta,è bene notarlo,si riferisce alla buona fede in senso oggettivo,intesa quale fair play,quale correttezza,da non confondersi assolutamente con la buona fede in senso
soggettivo,che si sostanzia invece nella convinzione di agire correttamente,secondo le regole.
In virtù di tale principio di collaborazione e di buona fede,l'amministrazione finanziaria deve,ad esempio, correggere gli errori macroscopici in cui sia incorso in buona fede il contribuente,ritirare gli atti
impositivi illegittimi in sede di autotutela,rimborsare il tributo qualora risulti che l'imposta era dovuta in misura minore rispetto a quella accertata,non dare interpretazione retroattiva ai suoi ripensamenti
interpretativi che siano sfavorevoli per il contribuente.
Rileva poi che,in applicazione del principio di proporzionalità,l'amministrazione finanziaria non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo
svolgimento dell'istruttoria,garantendo dunque al contribuente la limitazione dei mezzi con cui la sua sfera giuridica è incisa dai provvedimenti amministrativi.
-PRINCIPIO DEL LEGITTIMO AFFIDAMENTO DEL CONTRIBUENTE:
Il principio del legittimo affidamento del contribuente costituisce un corollario del principio di leale collaborazione e di buona fede ed è anch'esso dallo Statuto dei diritti del
contribuente,in particolare dall'art. 10 comma 2,il quale prevede,quale conseguenza del legittimo affidamento,che non sono irrogate sanzioni ,nè richiesti interessi moratori al
contribuente,quando lo stesso “si sia conformato ad indicazioni contenute in atti dell'amministrazione finanziaria,ancorchè successivamente modificati dall'amministrazione
medesima,o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi,omissioni od errori dell'amministrazione stessa”.

(istituti ispirati ai principi di leale collaborazione e di buona fede ,nonchè al principio del legittimo affidamento)
-INTERPELLI
-AUTOTUTELA
-CONTRADDITTORIO ENDOPROCEDIMENTALE:
Il contraddittorio endoprocedimentale costituisce un principio del procedimento amministrativo che viene sovente utilizzato per indicare la partecipazione del privato nei procedimenti
amministrativi.
Esso viene primariamente previsto nell'ambito della normativa comunitaria,in particolare dall'art. 41 della Carta di Nizza,che sancisce espressamente”il diritto di ogni individuo di essere
ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio”; da ciò ne è derivato che la Cassazione ha ritenuto obbligatorio il contraddittorio
endoprocedimentale in materia di tributi armonizzati (iva,accise,dazi doganali).
Pur non essendovi nel nostro ordinamento delle norme specifiche ,nell'ambito tributario,a riguardo,possiamo però osservare che vi sono dei casi determinati in cui è prevista la
partecipazione obbligatoria del contribuente:
→ in caso di liquidazione automatica e di controllo formale della dichiarazione,quando emerge un risultato diverso da quello dichiarato: in tal caso l'amministrazione deve
comunicare al contribuente,con avviso bonario,l'esito del procedimento,pena l'illegittimità della cartella di pagamento successivamente emessa
→ in caso di accertamento di operazioni elusive: prima di emettere un accertamento di tal tipo,l'amministrazione finanziaria deve necessariamente invitare il contribuente a fornire i
chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti
→ in caso di accertamento sintetico del reddito del contribuente,l'amministrazione finanziaria ha l'obbligo di invitare il contribuente a fornire dati e notizie rilevanti ai fini
dell'accertamento stesso,nonchè ad avviare il procedimento di accertamento con adesione
→ in caso di accessi,ispezioni e verifiche da parte dell'amministrazione finanziaria, vi è l'obbligo,per la stessa, di redarre,alla fine dell'attività di indagine,un processo verbale di
constatazione,di cui deve essere consegnata copia al contribuente indagato,che avrà 60 giorni per presentare le proprie osservazioni all'ufficio impositore,60 giorni nei quali
l'amministrazione finanziaria non potrà al contempo notificare un atto di accertamento relativo a quel processo verbale di constatazione
-REGIME DI ADEMPIMENTO COLLABORATIVO:
Il regime di adempimento collaborativo,definito anche come cooperative compliance,costituisce una forma regolamentata di collaborazione tra contribuente e fisco,introdotta dal d.lgs.
128/2015, alla quale possono aderire i contribuenti dotati di un sistema di rilevazione,misurazione,gestione e controllo del rischio fiscale,ossia del rischio di violare le norme tributarie.
Si tratta dunque di un regime riservato ai contribuenti di maggiori dimensioni che comporta ,per l'Agenzia delle Entrate,la pubblicazione periodica dell'elenco delle operazioni ritenuti di
pianificazione fiscale aggressiva,la semplificazione degli adempimenti tributari,l'esame preventivo delle situazioni suscettibili di generare rischi fiscali significativi; dall'altro lato,esso
comporta,per il contribuente,l'istituzione ed il mantenimento del sistema di rilevazione,misurazione ,gestione e controllo del rischio fiscale,la comunicazione all'Agenzia dei rischi di
natura fiscale e soprattutto di quelle operazioni che possono rientrare nella pianificazione aggressiva,la risposta da parte dell'Agenzia delle Entrate nel più breve tempo possibile.

-DOVERI INFORMATIVI DELL'AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA:


Tra le previsioni dello Statuto dei diritti del contribuente che devono essere considerate quali applicazione dei principi di cui all'art. 10 dello Statuto medesimo,vi sono quelle
relative agli obblighi di informazione posti a carico dell'Amministrazione finanziaria,quali:
→ portare a conoscenza del contribuente circolari e risoluzioni esaminate,nonchè ogni atto inerente l'organizzazione,le funzioni ed i procedimenti
→ garantire al contribuente l'effettiva conoscenza degli atti a lui destinati,senza violare il diritto alla riservatezza,pubblicizzare i pareri resi in risposta agli interpelli,quando
siano di interesse generale
→ garantire che i modelli di dichiarazione,istruzioni e qualsivoglia comunicazione siano comprensibili anche ai contribuenti sprovvisti di conoscenza in materia tributaria
→ non richiedere al contribuente documenti e/o informazioni già in possesso dell'amministrazione finanziaria o di altra pubblica amministrazione
→ motivare i propri atti ed ,in caso di motivazione per relationem,rendere disponibile l'atto richiamato
→ svolgere accessi,ispezioni e verifiche con modalità tali da non turbare l'attività del contribuente

2.3-SOGGETTI AUSILIARI DEL RAPPORTO GIURIDICO D'IMPOSTA


-SOGGETTI AUSILIARI:
I soggetti ausiliari del rapporto giuridico d'imposta sono tutti quei soggetti che collaborano nell'attuazione dei tributi,coadiuvando l'attività per l'appunto applicativa dei tributi,sia dalla
parte dell'amministrazione finanziaria,sia da parte del contribuente
Possiamo elencare tali soggetti ausiliari:
→ aziende di credito ed uffici postali:mediante questi vengono riscosse le imposte,vista la delega irrevocabile al versamento delle imposte con l'applicazione di una penale dal quinto
giorno successivo al versamento ;è prevista l'efficacia liberatoria della quietanza rilasciata dalle aziende di credito e dagli uffici postali. Dunque, le aziende di credito e gli uffici postali
collaborano con l'amministrazione finanziaria alla riscossione dei tributi,dal momento che il contribuente verserà quanto dovuto tramite f24,quindi attraverso la collaborazione di questi
intermediari.
→ ACI: l'Automobile Club Italia,per quanto riguarda il bollo o tassa sulla circolazione,relativamente al quale si occupa dell'accertamento e della riscossione
→ SIAE,per quanto riguarda l'imposta sugli spettacoli,relativamente ai quali si occupa dell'accertamento e della riscossione
→ Guardia di Finanza:È soggetto ausiliario anche la Guardia di Finanza,che è un corpo militare avente sia funzioni di polizia economica e tributaria,alle dipendenze del MEF.
La guardia di finanza ha tutti i poteri di indagine,accesso ,ispezione e verifica che competono anche alle agenzie fiscali,poteri che possono essere messi in atto sia
autonomamente sia, con funzioni altresì di polizia giudiziaria,alle dipendenze,in questo caso,dell'autorità giudiziaria ordinaria. L'Italia è uno dei pochi paesi al mondo che ha un
corpo militare armato chiamato a svolgere funzioni anche di polizia economica e tributaria .
→ messi comunali,messi notificatori dell'agente della riscossione e ufficiali giudiziali: essi si occupano della notificazione degli atti emessi dall'amministrazione finanziaria
→ CAAF: i CAAF,ossia i Centri Autorizzati di assistenza Fiscale,sono delle società di capitali ,costituite dalle associazioni di categoria degli imprenditori e dei lavoratori dipendenti. Essi si
occupano della tenuta della contabilità,nonchè della predisposizione e presentazione della dichiarazione dei redditi per gli imprenditori; dell'assistenza nella predisposizione della
dichiarazione dei redditi per i dipendenti e per i sostituti d'imposta.
Essi svolgono un'importante funzione,dal momento che gli stessi sono autorizzati ad apporre il visto di conformità ad i dati in loro possesso,quindi tra i dati risultanti dalla contabilità da un
lato , e la dichiarazione dei redditi dall'altro lato. Essi possono quindi attestare,con certi effetti,che la dichiarazione dei redditi presentata è conforme ai dati loro risultanti.
→ Garante del Contribuente:Il Garante del Contribuente è un altro soggetto coinvolto nella dinamica di applicazione del tributo. Si tratta di un organo monocratico(inizialmente
collegiale) , previsto dall'art. 13 dello Statuto dei diritti del contribuente ,scelto dal Presidente della Commissione Tributaria Regionale tra una serie di categorie,quali
magistrati,professori,notai,avvocati,commercialisti o ragionieri.
I compiti del Garante del Contribuente sono i seguenti:
→ egli vigila sul corretto svolgimento dei rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria,rapporti che devono essere improntati ai principi di chiarezza,trasparenza e di
leale collaborazione
→ il Garante,su richiesta del contribuente,può inviare richieste di chiarimenti, o di esibizione di documenti agli uffici competenti,i quali hanno l'obbligo,tuttavia non
sanzionato,di rispondere entro 30 giorni
→ può inviare raccomandazioni ai dirigenti degli Uffici
→ può attivare il procedimento di autotutela,discrezionalmente,laddove ne ravvisi i presupposti
→ può avviare procedimenti disciplinari,laddove ravvisi che ve ne siano i presupposti,cioè laddove abbia certezza che siano state commesse delle irregolarità da parte
dell'amministrazione finanziaria
→ riporta annualmente ad altre autorità i risultati della sua attività di controllo e di monitoraggio
→ vigila sul corretto svolgimento dei rapporti tra contribuenti ed amministrazione finanziaria
Il problema è che questa figura,pur avendo poteri di informazione e poteri di stimolo dei procedimenti di autotutela(potendo lo stesso dunque chiedere certamente
l'esibizione di documenti e stimolare procedimenti di autotutela), non ha poteri dotati di particolare efficacia,perché l'inadempimento da parte dell'amministrazione finanziaria
non è sanzionato in senso stretto,se non sotto il profilo della promozione di eventuali procedimenti disciplinari e della comunicazione della sua attività di controllo alle
Camere. Oltre a ciò,basti rilevare che spesso il Garante del Contribuente manca di reale autonomia,dal momento che è istituito presso gli Uffici della Direzione Regionale
delle Entrate(quindi è materialmente collocato nell'ambito della DRE),presso la quale svolge anche funzioni di segreteria e tecnica. Dunque, il soggetto che dovrebbe controllare
le agenzie fiscali,è collocato fisicamente all'interno della Direzione Regionale Dell'agenzia Delle Entrate e si serve anche dell'attività amministrativa degli uffici del soggetto che dovrebbe
essere controllato. Dunque,la contiguità spaziale,il rapporto di prossimità tra il Garante del Contribuente e l'Amministrazione finanziaria ed il fatto che i suoi poteri non siano così incisivi
(perché l'inadempimento non è sanzionato),hanno determinato una scarsa rilevanza di questo istituto,al di là della competenza e professionalità dei soggetti che sono stati per l'appunto
Garanti in questi ultimi anni.

2.3- SOGGETTI PASSIVI DEL RAPPORTO GIURIDICO D'IMPOSTA


2.3.1- SOGGETTI PASSIVI , CLASSIFICAZIONE DEI CONTRIBUENTI ED IL PROBLEMA DELLA SOGGETTIVITA'
TRIBUTARIA
-SOGGETTO PASSIVO:
Soggetto passivo dell'obbligazione tributaria è colui nel cui patrimonio si realizzano gli effetti decrementativi collegati alla realizzazione del presupposto ed al conseguente versamento del
tributo. Dunque soggetto passivo del rapporto giuridico d'imposta è colui :
→ che ha realizzato il presupposto
→ al quale è riferibile la capacità contributiva,la forza economica sottesa al presupposto
→ che è tenuto al pagamento del tributo per il fatto di aver realizzato un presupposto che denota la sua attitudine a contribuire alle pubbliche spese
Da ciò se ne deduce che generalmente può essere definito soggetto passivo dell'obbligazione tributaria colui che ha realizzato il presupposto manifestativo di capacità contributiva e che è
tenuto al versamento del tributo proprio in ragione del presupposto realizzato e della capacità contributiva che tale presupposto rappresenta.
Va tuttavia osservato che vi sono dei casi in cui,a causa della rilevanza di particolari interessi del fisco,quali l'interesse alla semplificazione del rapporto con i contribuenti,l'interesse al
rafforzamento della garanzia patrimoniale a disposizione e l'interesse alla sicura riscossione del tributo, vengono coinvolti nella dinamica di applicazione del tributo dei soggetti
diversi,che ,pur non avendo realizzato il presupposto espressivo di capacità contributiva,sono tenuti al versamento del tributo.
Dunque ,al fine di semplificare l'attività di accertamento e di riscossione del fisco,al fine di rafforzare le garanzie patrimoniali a favore del fisco ed al fine di tutelare l'interesse alla sicura riscossione del
tributo, vi sono delle ipotesi in cui un determinato soggetto è tenuto al versamento del tributo per via di un presupposto realizzato da altri soggetti. Questa interposizione ,questo
coinvolgimento ,nella dinamica di applicazione del tributo, di soggetti che non hanno realizzato il presupposto ricollegabile a tale tributo,si ha perché l'amministrazione finanziaria ritiene
che tali soggetti si trovino in una posizione intermedia tra l'amministrazione stessa e coloro che hanno realizzato il presupposto,per via della loro funzione o a causa dell'attività d'impresa
svolta,ragion per cui,secondo la logica dell'amministrazione finanziaria,tali soggetti non avrebbero alcun interesse a non versare i tributi e ,di conseguenza, attraverso il loro
coinvolgimento,l'amministrazione finanziaria rafforza le garanzie patrimoniali a sua disposizione e si assicura una più agevole attività di versamento del tributo.
Questi casi ,in cui il soggetto tenuto al versamento del tributo è diverso dal soggetto che ha effettivamente realizzato il presupposto ricollegabile a quel tributo,si sostanziano nelle figure
del sostituto d'imposta e del responsabile d'imposta.
Va osservato ,in merito,che tali soggetti sono chiamati solo temporaneamente a sopportare il carico del tributo,essendovi un meccanismo ,la cd. Rivalsa (analizzato a parte),che permette di
traslare definitivamente il peso del tributo su quei soggetti che abbiano realizzato il presupposto,espressivo di capacità contributiva,cui si ricollega la debenza del tributo,sicchè i soggetti
che hanno realizzato il presupposto ,verranno ad essere definitivamente incisi,nella loro sfera patrimoniale,dal tributo.
In definitiva,possiamo distinguere:
1)soggetto passivo in senso stretto: il soggetto passivo in senso stretto(o obbligato principale) è colui che ha realizzato il presupposto espressivo di capacità contributiva e
che subisce definitivamente gli effetti decrementativi collegati al versamento del tributo
2)soggetti passivi in senso lato: i soggetti passivi in senso lato sono quei soggetti obbligati al versamento del tributo pur non avendo realizzato il presupposto espressivo di
capacità contributiva . Essi sono il sostituto d'imposta ed il responsabile d'imposta.
Va sottolineato che,oltre alle persone fisiche ed agli enti collettivi dotati di personalità giuridica,possono essere titolari di situazioni giuridiche anche dei soggetti privi di personalità
giuridica,da che ne discende che possono essere soggetti passivi d'imposta anche le società di persone,le associazioni non riconosciute e ,relativamente all'Ires, “le altre organizzazioni
non appartenenti ad altri soggetti passivi,nei confronti delle quali il presupposto si verifica in modo unitario ed autonomo”.
-CONTRIBUENTE:
Il termine contribuente non costituisce,di per sé,un termine giuridico,ma piuttosto un termine tecnicizzato dalle leggi tributarie,che viene utilizzato generalmente per indicare
il soggetto passivo del rapporto giuridico d'imposta,ma,in altri casi,anche per distinguere l'obbligato principale,ossia il soggetto che ha realizzato il presupposto,da altri
soggetti obbligati,che non hanno realizzato il presupposto del tributo.
Ai fini di una miglior comprensione della nozione di contribuente,possiamo distinguere:
→ contribuente in senso stretto: contribuente in senso stretto è colui che ha realizzato il presupposto d'imposta,che è quindi titolare della capacità contributiva,della
forza economica manifestata dal presupposto, e nel cui patrimonio si determinano gli effetti decrementativi collegati al versamento del tributo. Il contribuente in
senso stretto non è soltanto titolare dell'obbligo di versamento del tributo per il fatto di aver realizzato il presupposto,ma è altresì titolare di una serie di situazioni
giuridiche strumentali al procedimento di applicazione del tributo: l'obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi,l'obbligo di rispondere ai questionari informativi
inviati dall'amministrazione finanziaria,gli obblighi strumentali finalizzati alla corretta determinazione della base imponibile e quindi del debito d'imposta da assolvere
successivamente.
→ contribuente di diritto: contribuente di diritto è invece quel soggetto che ,pur non avendo realizzato il presupposto,viene coinvolto nella dinamica di applicazione
del tributo , in virtù di una specifica disposizione legislativa e dunque in conformità del principio di legalità ex art. 23 Cost. . Si vuole qui far riferimento a quei
soggetti,quali il responsabile d'imposta ed il sostituto d'imposta,che diventano contribuenti di diritto ope legis,ossia perché sono individuati dal legislatore quali
soggetti coinvolti nella dinamica di applicazione del tributo in ragione della particolare posizione che gli stessi occupano nell'ambito della determinata fattispecie
imponibile.
Il contribuente di diritto viene anche denominato soggetto percosso,poichè è obbligato dalla legge a sopportare,anche solo temporaneamente,il peso del tributo
→ contribuente di fatto: la nozione di contribuente di fatto costituisce una nozione non giuridica,con ciò intendendo che il legislatore tributario non se ne occupa. Ai
fini del nostro studio occorre però definire il contribuente di fatto quale soggetto che ha realizzato il presupposto espressivo di capacità contributiva e nei cui
confronti viene ad essere traslato economicamente il peso del tributo,ma ,al contempo,come quel soggetto nei cui confronti l'amministrazione non ha alcun
potere,nè sotto il profilo procedimentale ed amministrativo,nè sotto il profilo giudiziario. Il contribuente di fatto si differenzia dunque dal contribuente di diritto
perché non vi è ,in questo caso,alcuna disposizione legislativa che lo obblighi,anche solo temporaneamente a sopportare il peso del tributo. Tale figura si
riscontra nei casi di cd. Traslazione economica,che si ha quando colui che ha subito il prelievo,provvede a trasferirlo al soggetto passivo del tributo,includendolo nel
corrispettivo dei beni e/o servizi scambiati. Esempio tipico è quello rappresentato dall'imposta di bollo sulla documentazione inviata dalle banche ai correntisti: l'imposta di
bollo viene versata dagli intermediari finanziari e dalle banche,ma il peso del tributo viene ad essere traslato economicamente, aumentando il corrispettivo richiesto per la
documentazione inviata appunti ai clienti. Per fare un altro esempio,possiamo dire che la traslazione ha assunto grande rilevanza nell'ambito delle imposte indirette,con
particolare riferimento all'IVA,laddove il tributo viene a gravare con immediatezza sui consumatori finali e dipende essenzialmente dal meccanismo di formazione dei prezzi.
Il contribuente di fatto viene anche detto soggetto inciso,dal momento che di fatto subisce effettivamente l'incidenza negativa del tributo nella sua sfera
patrimoniale.

-RAPPRESENTANTE FISCALE:
Il rappresentante fiscale (diverso dal contribuente), è quel soggetto che deve essere nominato da parte di società ed enti non residenti, che svolgano attività economica in Italia,o
posseggano beni in Italia, per facilitare i rapporti con l'amministrazione finanziaria ai fini delle imposte dirette; egli deve essere altresì nominato ai fini dell'adempimento degli obblighi
inerenti l'imposta sul valore aggiunto,sia dai soggetti non residenti che svolgano operazioni rilevanti ai fini IVA,sia dai soggetti residenti che svolgano determinate operazioni con soggetti
non residenti.
Si tratta,definitivamente,non di un soggetto passivo,quanto piuttosto di un soggetto titolare di obblighi meramente strumentali .che facilita i rapporti con l'amministrazione finanziaria .
Certamente il rappresentante fiscale non è un soggetto che viene ad essere inciso economicamente da obblighi di tipo sostanziale o da obblighi di versamento del tributo che incidano
sul suo patrimonio.

-SOGGETTIVITA' TRIBUTARIA:
Quando si discorre di soggettività tributaria o,per meglio dire,di soggettività tributaria passiva,si fa riferimento a quei soggetti che,nell'ambito della materia tributaria,possono essere
soggetti passivi del rapporto giuridico d'imposta,ossia soggetti nel cui patrimonio si riverberano gli effetti negativi collegati al versamento del tributo.
Tale nozione di soggettività tributaria passiva è stata in passato oggetto di numerosi dibattiti,soprattutto relativi alla necessità di comprendere il rapporto tra tale soggettività tributaria da un lato
e la capacità giuridica e la personalità giuridica del diritto civile dall'altro lato.
Ricordando che con capacità giuridica si vuole far riferimento alla capacità di essere titolari di situazioni giuridiche soggettive sia attive che passive e ricordando altresì che con personalità giuridica si fa
invece riferimento ad una caratteristica degli enti che rispondono delle proprie obbligazioni con il patrimonio dell'ente stesso,ossia al concetto di autonomia patrimoniale perfetta,possiamo dire che la
norma al centro del dibattito era l'art. 73 del TUIR,ossia del Testo Unico delle Imposte sui Redditi,il quale ricomprendeva tra i soggetti tenuti al versamento dell'imposta sul reddito delle
società anche soggetti non dotati di personalità giuridica,quindi non dotati di autonomia patrimoniale perfetta,quali le società di persone,le associazioni non riconosciute,i consorzi e le
altre organizzazioni non appartenenti a soggetti passivi,nei confronti delle quali il presupposto d'imposta si verificava in modo unitario e autonomo.
Ebbene,il problema sorgeva dal fatto che ,mentre in ambito civilistico erano riconosciuti come titolari di soggettività giuridica,come titolari di capacità giuridica soltanto le persone fisiche
e gli enti dotati di personalità giuridica,ossia di autonomia patrimoniale perfetta,con tale norma,nell'ambito del diritto tributario, pareva configurarsi una nozione di soggettività giuridica
tributaria e,conseguentemente,di capacità giuridica tributaria,più ampia rispetto a quella civilistica,dal momento che questa era riconosciuta anche ad enti privi di personalità giuridica.
Tale dibattito si è presto sopito,dal momento che l'art. 73 del TUIR si limitava e si limita,essendo rimasta tale norma sostanzialmente immutata,ad attribuire rilevanza ad ipotesi residuali
che rappresentano forme di soggettività anche nel diritto civile,attribuendo rilevanza,in particolare, a quelle fattispecie in cui vi è un centro di imputazione ,di un presupposto, unitario ed autonomo,
ossia un centro di imputazione che ha ha autonomia patrimoniale ed economica e in particolare il potere di disporre dei beni che rappresentano una fonte di reddito.
Dunque,attualmente vi è una sostanziale coincidenza tra soggettività civilistica e soggettività di diritto tributario e ,come anticipato,in talune residuali ipotesi vengono coinvolti ,nella
dinamica di applicazione del tributo,sia dei soggetti che vengono ad essere imputati di obblighi sostanziali,ossia di versamento del tributo,sia di soggetti che vengono ad essere imputati
meramente formali,come ad esempio gli obblighi dichiarativi,senza aver realizzato il presupposto d'imposta (casi del sostituto e del responsabile d'imposta).
Pur non essendo possibile analizzare tutte le fattispecie di soggettività tributaria che si sono dimostrate problematiche in passato e ricordando comunque che ad oggi la dottrina e la
giurisprudenza sono concordi,secondo un orientamento consolidato,nell'affermare che le ipotesi di soggettività nel diritto civile e nel diritto tributario coincidono,possiamo comunque
accennare ad alcune di tali fattispecie problematiche:
→ associazioni non riconosciute
→ società di fatto,che sono state equiparate alle società di diritto relativamente all'assoggettamento a tassazione
→ fondi di assistenza e di previdenza complementare costituiti all'interno delle aziende ,di cui all'art. 2117 c.c.: tali fondi sono assoggettati a tassazione quando dotati di autonomia
organizzativa e patrimoniale
→ impresa familiare,che è stata ricondotta,pur essendo un soggetto collettivo,all'impresa individuale
→ condominio: Il condominio,dal punto di vista fiscale,ha trovato un'espressa disciplina legislativa soltanto nel 1997.
Il condominio,secondo tale normativa, è obbligato ad effettuare la ritenuta di acconto nel momento in cui corrisponde compensi in denaro o in natura,con ciò ad intendere che, nel momento
in cui il condominio paga lo stipendio al portiere o all'amministratore,al momento dell'erogazione dei compensi, ne trattiene una parte e la versa all'erario.
Il condominio si configura quindi come un sostituto d'imposta,nei termini che vedremo dopo,con ciò ad intendere che è un soggetto che,pur non avendo realizzato il presupposto e quindi
pur non essendo portatore della capacità contributiva che il l'imposta sui redditi intende colpire,è coinvolto nella dinamica di applicazione del tributo.
Dunque, nel momento in cui viene erogato lo stipendio al portiere o all'amministratore,una parte viene trattenuta e versata all'erario,ma il condominio non diventa soggetto passivo
d'imposta. Soggetti passivi in senso stretto saranno sempre i singoli condomini,nei cui patrimoni si riverbereranno definitivamente gli effetti negativi collegati al versamento del tributo.
Questo vale,ad esempio, anche per eventuali redditi derivanti dall'uso di beni condominiali: si pensi alla locazione del lastrico solare per l'installazione di impianti di trasmissione,o all'affitto
della facciata per manifestazioni pubblicitarie,o ,ancora, all'eventuale percezione di redditi derivanti dalla locazione di immobili. Tutti questi redditi verranno ripartiti pro quota tra i singoli
condomini ,sulla base dei millesimi. Da ciò ne discende che non è il condominio il soggetto passivo d'imposta in senso stretto e tecnico,con ciò ad intendere che non è il soggetto che ha
realizzato il presupposto e a cui ,quindi, è riferibile la capacità di contribuire alle pubbliche spese manifestata da quel presupposto,ma il condominio viene coinvolto ugualmente nella
dinamica di applicazione del tributo per ragioni di semplificazione e di anticipazione del prelievo ,di implementazione delle garanzie patrimoniali legate alla riscossione di quanto dovuto.
→ i fondi comuni di investimento: essi avrebbero soggettività tributaria ai fini delle imposte sui redditi,mentre,relativamente all'imposta sul valore aggiunto,secondo la dottrina
maggioritaria,soggetti passivi del tributo sarebbero le società di gestione dei fondi medesimi.
→ chiamato all'eredità in caso di eredità giacente: qualora il periodo transitorio si prolunghi oltre il periodo d'imposta,il chiamato che non abbia dunque accettato l'eredità prima dello
scadere del periodo d'imposta,ma che la accetti successivamente,sarà retroattivamente obbligato a versare l'imposta per tutto il periodo rilevante. Dunque l'accettazione ha efficacia
retroattiva,sicchè il chiamato delato che abbia accettato l'eredità sarà retroattivamente considerato titolare dei redditi derivanti dal patrimonio del de cuius,per la precisione,dal momento in
cui si sia aperta la successione stessa.
→ fallimento ed altre procedure concorsuali: il reddito viene ad essere imputato all'imprenditore fallito,come accade nella disciplina civilistica.
→ associazioni temporanee di imprese:anche qui non vi sarebbe discordanza tra diritto civile e diritto tributario,nel senso che tali associazioni temporanee di imprese avrebbero
soggettività ,sia di diritto comune, sia di diritto tributario, solo nel caso in cui le stesse siano dotate di autonomia organizzativa e patrimoniale,ossia nel caso in cui siano enti distinti dalle
imprese che ne fanno parte ed,in definitiva , siano in grado di assolvere al debito tributario mediante la disponibilità di mezzi propri e distinti ,rispetto a quelli delle singole imprese che
partecipano all'associazione temporanea.
→ gruppi di società:i gruppi di società non sarebbero sempre soggetti di diritto,ma lo sarebbero soltanto nel caso in cui gli stessi abbiano adottato un particolare regime, cioè il regime del
consolidato fiscale,che si configura come un regime che consente di determinare unitariamente,ai fini fiscali,il reddito del gruppo.
→ gruppo europeo di interesse economico:non vi sarebbero discordanze e vi sarebbe soggettività sia ai fini del diritto civile che ai fini del diritto tributario.
→ patrimoni destinati ad uno specifico affare ex art. 2447bis c.c.: secondo l'orientamento prevalente, non vi sarebbe soggettività ,né ai fini civilistici, né ai fini tributari, in quanto non vi
sarebbe ,essenzialmente, autonomia organizzativa, trattandosi di patrimoni vincolati ad uno specifico affare,senza autonomo potere decisionale.

2.3.2- L'ISTITUTO DELLA RIVALSA ED I PATTI DI ACCOLLO DELL'IMPOSTA


-RIVALSA:
La rivalsa,nell'ambito del diritto tributario,si configura come uno strumento attraverso il quale un soggetto che ha corrisposto un tributo,o che è tenuto al pagamento di un
tributo,trasferisce il relativo onere ad un altro soggetto. Essa non va assolutamente confusa con la traslazione economica del tributo,che viene invece attuata con l'aumento del
corrispettivo del bene venduto e che ha soltanto natura economica e non giuridica(Quindi,in buona sostanza,viene calcolato il debito d'imposta che graverà su una certa operazione di cessione
ed il corrispettivo viene implementato,in misura corrispondente,perché il cedente vuole ritrarre un certo corrispettivo netto dall'operazione. Operazioni di questo tipo sono ritenute legittime dalla
Cassazione,appunto perché in realtà non vi è traslazione dell'onere economico da un soggetto ad un altro,ma si tratta solamente di un metodo per la determinazione del corrispettivo contrattuale. È
chiaro che se un soggetto vuole ritrarre almeno,ad esempio,100, da una certa cessione,dovrà calcolare il corrispettivo della cessione computando,all'interno del detto corrispettivo,anche l'importo dei
tributi gravanti sulla cessione).
La rivalsa,in particolare, funge quale strumento che meglio consente a quel soggetto ,che viene coinvolto nella dinamica del tributo senza aver realizzato il presupposto,di rivalersi nei
confronti del soggetto che ha effettivamente realizzato il presupposto del tributo e a cui è riconducibile dunque la capacità contributiva ad esso sottesa,facendo sì che il prelievo vada
definitivamente ad incidere la sfera patrimoniale di quest'ultimo soggetto.
Nell'ambito del diritto tributario,è bene osservare che la rivalsa si può configurare,alternativamente,come:
→ obbligo di rivalsa: la rivalsa si viene a configurare come un obbligo nel caso del sostituto d'imposta,il quale è quindi obbligato a trasferire il peso del tributo versato nei
confronti del soggetto sostituito che ha effettivamente realizzato il presupposto sotteso a quel tributo
→ diritto di rivalsa: la rivalsa si configura invece come un diritto per quei soggetti che siano coobbligati solidali dell'obbligazione tributaria ed,in particolar modo, per il
responsabile d'imposta. In questi casi,che rientrano tutti nell'ambito della solidarietà tributaria,i soggetti che abbiano versato il tributo pur non avendo realizzato il
presupposto( o avendolo realizzato,ma solo in parte) hanno la facoltà di esercitare la rivalsa nei confronti di quei soggetti che abbiano realizzato il presupposto sotteso al
versamento del tributo. In particolare,come avremo poi meglio di vedere, la rivalsa può aversi innanzitutto da parte di coloro che siano coobbligati solidali in posizione
paritetica (solidarietà paritetica),ossia da parte di coloro che abbiano versato il tributo pur nella circostanza che il presupposto ad esso sotteso sia stato realizzato soltanto in
parte da loro,sicchè per tali soggetti sarà possibile rivalersi pro-quota nei confronti degli altri coobbligati solidali che abbiano realizzato il presupposto (con l'esclusione della
propria quota); in secondo luogo, possiamo osservare che il diritto di rivalsa è altresì esercitabile dal responsabile d'imposta,ossia da quel soggetto che,pur non avendo
realizzato il presupposto d'imposta,abbia versato per intero il tributo,essendo coobbligato insieme a quei soggetti che abbiano effettivamente realizzato il presupposto,sicchè
il responsabile d'imposta avrà la possibilità di rivalersi per l'intero su quei soggetti che abbiano realizzato il presupposto d'imposta,facendo sì che gli stessi siano
definitivamente incisi dal tributo.
Dunque,riassumendo,la rivalsa,nell'ambito del diritto tributario, si ritrova sia nei casi di sostituzione tributaria (sostituto d'imposta),ove la stessa si configura come un obbligo,sia nei casi
di solidarietà tributaria,ove la stessa si configura invece come un diritto ,esercitabile pro-quota da parte dei coobbligati solidali in posizione paritetica,esercitabile invece per l'intero da
parte del responsabile d'imposta.
Detto questo,possiamo osservare che anche qualora la normativa tributaria non prevedesse,in relazione a determinati casi,l'applicabilità dell'istituto della rivalsa, l'applicabilità della rivalsa
sarebbe comunque assicurata dall'applicazione delle norme civilistiche sull'ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c.,sicchè in ogni caso,il soggetto obbligato a versare il tributo al posto di
altri,avrebbe quantomeno il diritto di chiedere la restituzione di quanto versato,in termini di tributi,al soggetto che ha realizzato il presupposto. Va tuttavia sottolineato che vi è una sostanziale differenza
tra la rivalsa nell'ambito del diritto civile e la rivalsa nell'ambito del diritto tributario,dal momento che ,nell'ambito del diritto civile,la rivalsa si viene a configurare come una traslazione economica
effettuata da due privati nell'ambito della loro autonomia negoziale,mentre,nell'ambito del diritto tributario,la rivalsa ha sempre e comunque ad oggetto un importo di natura tributaria.

-PATTI DI ACCOLLO DELL'IMPOSTA:


I patti di accollo dell'imposta sono quei patti con i quali un determinato soggetto,detto accollante,si impegna verso un altro soggetto,detto accollato, a far fronte ad un
determinato debito d'imposta o ad oneri tributari che dovessero sopravvenire a carico del soggetto accollato.
Si tratta,sostanzialmente,di accordi,di natura eminentemente contrattuale,con i quali due o più soggetti si accordano per la traslazione del debito d'imposta dal soggetto
previsto ope legis ad un altro soggetto indicato dalle parti.
Quanto alle caratteristiche dei patti di accollo dell'imposta,possiamo osservare che gli stessi possono avere,alternativamente:
→ un'efficacia meramente interna tra le parti: in tal caso il patto di accollo dell'imposta non produce effetti per il fisco,il quale,di conseguenza ,non acquisisce alcun diritto
nei confronti dell'accollante
→ un'efficacia esterna: si parla in tal caso di accollo con rilievo esterno,che attribuisce al creditore (detto accollatario),ossia il fisco,il diritto di agire nei confronti
dell'accollante(contratto a favore di terzo).
Una caratteristica fondamentale dei patti di accollo d'imposta è data dal fatto che gli stessi non possono mai prevedere la liberazione del contribuente originario,ossia
dell'accollato,in virtù di quanto disposto dall'art. 8 comma 2 dello Statuto dei diritti del contribuente,il quale dispone che “è ammesso l'accollo del debito d'imposta altrui senza
liberazione del contribuente originario”.
In quest'ottica,trattandosi di un accollo cumulativo e non privativo o liberatorio,l'eventuale adesione del fisco al patto di accollo renderebbe solo irrevocabile la stipulazione a
suo favore,senza liberare il debitore originario. Ciò comporterebbe che,per effetto dell'adesione del fisco al patto di accollo,si avrebbe l'ipotesi di solidarietà,di coobbligazione
solidale,tra debitore originario e debitore aggiuntosi per effetto dell'accollo espressamente manifestato.
È bene osservare che,da un punto di vista storico, i patti di accollo dell'imposta venivano originariamente considerati come nulli,poichè si riteneva che gli stessi rientrassero
tra i contratti con causa illecita ex art. 1344 c.c. E che dunque fossero dei mezzi per eludere l'applicazione di norme imperative,quali,in questo caso,l'art. 53 Cost. .
In realtà,secondo la dottrina e la giurisprudenza più recenti, i patti di accollo dell'imposta non costituirebbero un mezzo per eludere l'applicazione del principio di capacità
contributiva e non sarebbero dunque nulli,dal momento che l'art. 53 Cost. ,rivolgendosi al legislatore,regola il rapporto verticale tra legislatore e contribuenti e non i rapporti
orizzontali tra i contribuenti,sicchè non si può in alcun modo ritenere che vi sia un divieto costituzionale generalizzato di ripartire convenzionalmente il peso relativo al
prelievo fiscale.
Da ultimo,va osservato che vi sono dei casi in cui i patti di accollo dell'imposta sono considerati illegittimi:
→ qualora il legislatore abbia previsto una rivalsa obbligatoria: se il legislatore ha disposto che un determinato soggetto abbia obbligo di rivalsa nei confronti del soggetto che
ha realizzato il presupposto,come nei casi del sostituto d'imposta, sono nulli tutti i patti con cui l'avente diritto (obbligo) rinuncia alla sua rivalsa,accollandosi in via definitiva
l'onere economico del tributo
→ nei casi disciplinati dall'art. 23 del d.p.r. 642/1972 in materia di imposta di bollo e dall'art. 62 del d.p.r. 131/1986 in materia di imposta di registro
→ qualora la ripartizione dell'onere tributario abbia fini elusivi: i patti sull'imposta sono illegittimi quando sono strumentali ad un'illecita sottrazione di materia imponibile.

2.3.3- LA SOLIDARIETA' TRIBUTARIA ED IL RESPONSABILE D'IMPOSTA


-SOLIDARIETA' TRIBUTARIA:
La solidarietà tributaria si configura come una solidarietà di tipo civilistico,disciplinata dunque dall'art. 1292 c.c.,in virtù del quale “ l'obbligazione è in solido quando più debitori sono obbligati
tutti per la medesima prestazione,in modo che ciascuno può essere costretto all'adempimento per la totalità e l'adempimento da parte di uno libera tutti gli altri”.
Dunque,alla luce di quanto appena detto,con solidarietà tributaria si vuole intendere una solidarietà dal lato passivo (non essendovi,nel diritto tributario,forme di solidarietà attiva),in virtù
della quale vi sono più soggetti tenuti al pagamento dello stesso tributo(coobbligati),i quali possono essere chiamati all'adempimento per l'intero,sicchè l'adempimento dell'uno libererà
tutti gli altri soggetti obbligati.
Possono essere a questo punto enunciate alcune differenze tra la solidarietà passiva tributaria e la solidarietà passiva civilistica:
→ per quanto riguarda l'oggetto: la solidarietà tributaria passiva ha ad oggetto l'adempimento di un tributo,mentre la solidarietà passiva civilistica può avere ad oggetto l'adempimento di
qualsivoglia prestazione
→ per quanto riguarda le finalità: la solidarietà tributaria civilistica rappresenta semplicemente uno strumento di soddisfacimento delle ragioni creditorie,mentre la solidarietà tributaria
passiva si configura come uno strumento di concorso alle pubbliche spese(ex art. 53 Cost.) che risponde ad esigenze di semplificazione dell'attività accertativa,ad esigenze di
semplificazione della riscossione ed altresì ad esigenze di rafforzamento della garanzia patrimoniale per l'amministrazione finanziaria.
Dunque ,attraverso l'istituto della solidarietà tributaria passiva,l'amministrazione finanziaria avrà a disposizione una pluralità di soggetti obbligati al versamento del tributo (rafforzamento
garanzie patrimoniali) e,senza dover inseguire tutti i coobbligati solidali, potrà richiedere l'adempimento del tributo ad uno soltanto di essi,agevolando quindi la propria attività di
riscossione (nonché,in prima istanza,l'attività di accertamento del tributo),con la conseguenza che l'adempimento di uno dei coobbligati libererà anche gli altri.
La solidarietà tributaria passiva può innanzitutto distinguersi in :
1)SOLIDARIETÀ PARITETICA:
Nella solidarietà paritetica,detta anche solidarietà principale, vi è un'unica manifestazione di capacità contributiva riferibile a più soggetti,per cui il presupposto d'imposta è
unico e si riferisce a tutti i soggetti indistintamente,i quali sono tenuti al pagamento della stessa imposta,sicchè il pagamento da parte di uno libererà anche gli altri.
Numerose sono le ipotesi di solidarietà paritetica all'interno del nostro ordinamento; in particolare,possiamo ricordare le seguenti:
→ art. 57 d.p.r. 131/1986 ai fini dell'imposta di registro:
→ art. 21 d.lgs. 347/1990 ai fini dell'imposta di bollo
→ art. 23 d.p.r. 642/1973 in materia di imposte sulle successioni
Per dirla in maniera più semplice,possiamo affermare che nella solidarietà paritetica più soggetti pongono in essere un fatto,un atto o una situazione espressivi di capacità
contributiva,realizzando un determinato presupposto d'imposta,presupposto cui si ricollega la nascita dell'obbligo di versare un determinato tributo; i soggetti che hanno
realizzato il presupposto sono tutti coobbligati al versamento del tributo e l'amministrazione finanziaria potrà pretendere l'adempimento di tale tributo da uno soltanto dei
coobbligati solidali,per cui l'adempimento dell'obbligazione tributaria da parte di uno dei coobbligati solidali avrà l'effetto di liberare tutti gli altri.
Particolare è poi in questo caso il meccanismo della rivalsa: difatti il soggetto coobbligato che abbia versato l'intero tributo,avrà il diritto di rivalsa nei confronti degli altri soltanto pro-
quota,quindi detraendo la quota del tributo a lui riferibile,in ossequio alla disciplina prevista dall'art. 1299 c.c. .
Per quanto concerne,da ultimo,le differenze con la solidarietà dipendente,possiamo dire quanto segue:
→ nella solidarietà paritaria il presupposto d'imposta è riferibile a tutti i soggetti,che sono quindi coobbligati al versamento del tributo,mentre ,nel caso di
solidarietà dipendente,obbligato al versamento del tributo è un soggetto che non ha direttamente realizzato il presupposto (nemmeno in parte)
→ nella solidarietà paritaria,colui che abbia versato il tributo avrà un diritto di rivalsa pro-quota,con ciò intendendo che lo stesso potrà rivalersi nei confronti degli
altri coobbligati soltanto per la quota-parte agli stessi riferibile,detraendo la propria,in considerazione dell'unicità del presupposto e dunque della riferibilità a tutti
i coobbligati della capacità contributiva sottesa al presupposto. Di contro,nella solidarietà dipendente,dal momento che il soggetto obbligato al versamento del
tributo non ha realizzato il presupposto d'imposta,tale soggetto potrà esercitare il diritto di rivalsa nei confronti del soggetto che abbia realizzato il presupposto
per l'intero.
2)SOLIDARIETA' DIPENDENTE:
Si ha solidarietà dipendente quando un determinato soggetto viene ad essere coinvolto nella dinamica di applicazione del tributo,essendo dunque obbligato al versamento del
tributo,pur non avendo realizzato il presupposto. Da ciò ne discende che il coobbligato solidale dipendente viene obbligato al versamento del tributo anche se non ha
realizzato il presupposto ed anche se,consequenzialmente, la capacità contributiva manifestata dal presupposto non è a lui riferibile.
Dunque,in questo caso si discorre di solidarietà dipendente proprio per il rapporto di pregiudizialità-dipendenza che si instaura tra la fattispecie tipica e la fattispecie
estensiva.
Questo tipo di solidarietà è tipica nella figura del responsabile d'imposta,quale può essere,ad esempio,il notaio,il quale,quando viene a rogare un atto,viene coinvolto nell'applicazione
del tributo ed è obbligato al versamento del tributo. Per continuare sulla scia dell'esempio del notaio,possiamo osservare che ,nel caso della stipula di un atto di compravendita,le parti sono
tenute al versamento di un'imposta di registro,ma, coobbligato solidale con le parti contraenti è il notaio ,responsabile d'imposta,il quale certamente non ha realizzato il presupposto e
certamente non è portatore della capacità contributiva sottesa alla stipula del contratto di compravendita immobiliare,ma viene comunque coinvolto nella dinamica dell'applicazione del
tributo per quelle ragioni che abbiamo esaminato precedentemente,quali anticipazione del prelievo,rafforzamento delle garanzie patrimoniali per il fisco e semplificazione dell'accertamento.
Il coobbligato solidale dipendente,o responsabile d'imposta,che abbia versato il tributo liberando tutti gli altri coobbligati,avrà un diritto di rivalsa da esercitare per l'intero,dal
momento che egli non è portatore della capacità contributiva sottesa alla realizzazione del presupposto e dal momento che è stato coinvolto nelle dinamiche di applicazione
del tributo soltanto per ragioni di semplificazione dell'attività di accertamento e di riscossione del tributo e per ragioni di rafforzamento delle garanzie patrimoniali per
l'amministrazione finanziaria(ad esempio, il notaio potrà pretendere che le parti contraenti della succitata compravendita immobiliare gli eroghino quanto necessario per il versamento
del tributo ed anzi,com'è noto,il notaio non adempie alla registrazione di un atto se prima non gli viene fornita dalle parti contraenti ,o dalla parte che sopporterà il tributo, la provvista
necessaria al versamento del tributo medesimo).
Per quanto concerne ,infine,il profilo delle differenze con la solidarietà paritetica,possiamo dire quanto segue:
→ realizzazione del presupposto: nella solidarietà dipendente ,il coobbligato solidale dipendente è tenuto al versamento del tributo pur non avendo realizzato il presupposto
d'imposta,che viene invece realizzato da altri (i coobbligati principali); nella solidarietà paritetica invece, tutti i soggetti coobbligati hanno concorso alla realizzazione del
presupposto cui si ricollega la debenza del tributo.
→ rivalsa:nella solidarietà dipendente,il coobbligato solidale che abbia anticipato il versamento del tributo,avrà un diritto di rivalsa per l'intero nei confronti dei coobbligati
principali,in ragione del fatto che egli non ha concorso alla realizzazione del presupposto; diversamente,nella solidarietà paritetica, il soggetto coobbligato che abbia anticipato
il versamento del tributo avrà un diritto di rivalsa,nei confronti degli altri coobbligati,soltanto pro-quota,dal momento che egli stesso ha partecipato alla realizzazione del
presupposto ,essendogli dunque riferibile parte della capacità contributiva sottesa alla realizzazione del presupposto medesimo.
La solidarietà tributaria passiva può altresì distinguersi in:
A)SOLIDARIETÀ SOSTANZIALE: con solidarietà sostanziale si vuole far riferimento a quella situazione per cui i soggetti siano coobbligati al versamento del tributo,con ciò ad
intendere che essi hanno ,congiuntamente,l'obbligo di versare il tributo.
B)SOLIDARIETÀ FORMALE: con solidarietà formale si intende far riferimento a tutte quelle interrelazioni che intercorrono tra la sussistenza dell'obbligazione da un lato e le
varie formalità connesse all'adempimento del tributo,con ciò intendendo sia che vi sono più soggetti coobbligati ad adempimenti strumentali al versamento del tributo
(quali,ad esempio,la presentazione della dichiarazione o le comunicazioni da effettuarsi all'amministrazione finanziaria),sia che gli atti dell'amministrazione finanziaria sono
produttivi di effetti nei confronti di tutti i soggetti coobbligati.
La solidarietà formale ha particolare rilevanza proprio sotto il profilo degli effetti degli atti dell'amministrazione finanziaria,dal momento che vi sono stati numerosi dibattiti in
dottrina relativi alla circostanza per cui la notificazione di un atto di accertamento nei confronti di uno solo dei coobbligati dovesse avere o meno effetto anche nei confronti
degli altri coobbligati solidali (soprattutto ai fini dell'interruzione dei termini di prescrizione o di decadenza).

-TEORIA DELLA SUPERSOLIDARIETA' E RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI:


La teoria della cd. Supersolidarietà tributaria si sostanzia nella teoria secondo la quale gli atti dell'amministrazione finanziaria ,notificati ad uno soltanto dei coobbligati solidali,avrebbero
prodotto effetti anche nei confronti di tutti gli altri coobbligati solidali. Si tratta di un'interpretazione risalente,ma che ,ogni tanto, mostra barlumi di reviviscenza ad opera della Corte di
Cassazione,soprattutto nei casi in cui sia necessario salvaguardare alcuni interessi erariali,sebbene la Corte costituzionale abbia dichiarato tale teoria non conforme alla Costituzione per
violazione dell'art. 24 Cost. E per violazione del diritto di difesa in giudizio.
Andando più nello specifico,possiamo osservare che l'amministrazione finanziaria riteneva che vi fosse una sorta di rappresentanza reciproca tra i coobbligati solidali ,sicchè era
giustificata,da questo punto di vista,la notifica di un atto di accertamento ad uno soltanto dei coobbligati solidali,notifica che però avrebbe prodotto effetti anche nei confronti degli altri
coobbligati solidali. Seguendo tale interpretazione,si sarebbe creato l'effetto paradossale per cui ,qualora il coobbligato solidale cui fosse stato notificato l'atto di accertamento non avesse
impugnato l'atto di accertamento nei termini previsti,tale atto di accertamento sarebbe divenuto definitivo anche nei confronti degli altri coobbligati solidali,i quali, non avendo ricevuto la
notifica dell'atto di accertamento ed essendone dunque ignari,non avevano potuto impugnarlo.
È evidente che tale teoria della supersolidarietà tributaria rispondesse ad esigenze di semplificazione e di rafforzamento delle garanzie patrimoniali per l'amministrazione finanziaria,ma va
in merito osservato che l'amministrazione finanziaria ne ha,nel corso del tempo ,fatto un abuso: essa era infatti solita notificare l'atto di accertamento ad un soggetto coobbligato solidale che non
aveva alcun interesse ad impugnarlo (magari perché nullatenente),sicchè tale atto di accertamento diventava definitivo per mancata impugnazione da parte dell'unico destinatario della notifica e
diventava altresì un titolo esecutivo,consentendo dunque all'amministrazione finanziaria di poter agire in via esecutiva anche nei confronti degli altri coobbligati solidali,che non avrebbero più potuto
impugnarlo in sede di opposizione all'esecuzione,proprio perché tale atto era diventato definitivo.
Come abbiamo anticipato,la Corte costituzionale dichiarò l'illegittimità di questa interpretazione già nel 1968,affermando che la stessa costituiva una violazione dell'art. 24 Cost. E del diritto
alla difesa in giudizio e che si rendeva necessaria la partecipazione, alla fase accertativa, di tutti i soggetti coobbligati.
Dunque,a seguito di tale pronuncia della Corte Costituzionale nel 1968,si ritenne applicabile ai casi di solidarietà tributaria la stessa disciplina prevista dal diritto civile,in ragione della
quale,non essendovi alcuna reciproca rappresentanza tra i coobbligati solidali,l'eventuale notifica di un atto impositivo,da parte dell'amministrazione finanziaria,ad uno soltanto dei
coobbligati solidali,avrebbe prodotto effetti,in termini di eventuale inoppugnabilità, soltanto nei confronti del medesimo soggetto cui l'atto era stato notificato.
L'applicazione della disciplina civilistica alla solidarietà tributaria ha portato tuttavia ad alcune difficoltà,riconducibili al fatto che,in ambito civilistico,dal fatto rilevante nascerebbe un fascio di
obbligazioni parallele,per cui l'obbligazione solidale sarebbe stata in realtà costituita da un fascio di rapporti autonomi e paralleli. Una problematica evidente si è avuta con riferimento ai casi in cui gli
atti di accertamento venivano notificati a più soggetti coobbligati solidali,per la stessa fattispecie imponibile,ma con esiti tuttavia diversi.
Possiamo qui fare l'esempio dell'imposta di registro. Nel caso di due parti che stipulano una compravendita,tali parti sono entrambe debitrici dell'imposta di registro e ricevono entrambe due avvisi di
accertamento: vi è dunque la notifica di un avviso di accertamento sia al debitore che al compratore. Il debitore impugna l'atto di accertamento e vince,mentre,di contro,il compratore,alternativamente,o
impugna l'atto di accertamento e perse,o non lo impugna. Potrebbero determinarsi esiti contrastanti e dunque potrebbe accadere che ,all'esito del primo grado, un venditore abbia vinto ed il compratore
abbia perso,oppure che soltanto il venditore abbia impugnato l'avviso di liquidazione dell'imposta di registro: la parte che abbia impugnato l'atto di accertamento con esito favorevole vedrebbe tale atto
definitivamente annullato nei suoi confronti,mentre la parte che non abbia impugnato,o che lo abbia impugnato con esito negativo, vedrebbe l'amministrazione finanziaria agire in via esecutiva nei suoi
confronti.
Appare dunque evidente che il recepimento dell'interpretazione civilistica,secondo cui l'obbligazione solidale è composta da un fascio di obbligazioni autonome e parallele, non abbia
portato a risultati soddisfacenti,proprio perché ,in relazione alla stessa fattispecie,vi potevano essere esiti differenti.
Va osservato che si è cercato di ovviare alle problematiche presentate dalla disciplina civilistica ,dunque di attenuare gli effetti negativi derivanti dal fascio di obbligazioni parallele,con il
riconoscimento,da parte della Corte di Cassazione,S.S.U.U. 7053/1992,dell'applicabilità,nell'ambito del diritto tributario,dell'art.1306 co.2 c.c.,in virtù del quale il coobbligato solidale non
impugnante può invocare l'applicazione del giudicato favorevole ottenuto da un altro coobbligato solidale.
In base alla previsione di tale articolo,se un soggetto coobbligato non impugna l'avviso di accertamento,può invocare il giudicato favorevole eventualmente ottenuto da un altro
coobbligato solidale che abbia impugnato l'avviso di accertamento.
Tale applicazione dell'art. 1306 comma 2 c.c. Presenta tuttavia numerose limitazioni:
1)affinchè il coobbligato non impugnante possa invocare il giudicato favorevole ottenuto da un altro coobbligato solidale,è necessario che tale giudicato non sia fondato su
ragioni personali,inerenti al coobbligato che aveva impugnato l'atto impositivo
2)affinchè il coobbligato possa invocare il giudicato favorevole ottenuto da un altro coobbligato solidale,non si deve essere formato,nei suoi confronti,un giudicato
diretto(non importa se a contenuto formale e processuale o se inerente al merito)
3)l'applicazione di questo istituto presuppone che vi sia comunicazione tra le parti,le quali dovrebbero dunque sapere di esser state destinatarie di avvisi di accertamento e
dovrebbero comunque impegnarsi a comunicare l'un l'altra l'esito dei rispettivi contenziosi ,eventualmente instaurati
Non costituisce invece un limite all'applicabilità dell'art. 1306 comma 2 c.c. La mera inoppugnabilità dell'avviso di accertamento,con ciò intendendo che anche qualora un coobbligato
solidale non abbia impugnato l'atto di accertamento,divenendo quest'ultimo definitivo nei suoi confronti,ciò non pregiudica,non osta a che il coobbligato solidale non impugnante possa
invocare il giudicato favorevole eventualmente ottenuto da un altro coobbligato solidale.
Recentemente ,le Sezioni Unite,con sent. 12014/2016, si sono pronunciate su alcuni aspetti applicativi,ad esempio sul fatto che il pagamento del tributo,eseguito solamente per evitare
l'esecuzione coattiva,non osta all'applicazione dell'art. 1306 comma 2 c.c.,per cui il soggetto che ha pagato il tributo per evitare l'esecuzione forzata,laddove sussistano tutti i presupposti e sempre che
non sussista un giudicato diretto nei suoi confronti,potrà comunque invocare l'applicazione dell'art. 1306 comma 2 c.c. E quindi richiedere l'applicazione del giudicato favorevole ottenuto da altro
coobbligato. Questo in considerazione del fatto che il pagamento del tributo non è volontario,ma piuttosto necessitato ,al fine di evitare l'esecuzione forzata(ad esempio la vendita del bene
ipotecato,non costituisce consumazione del potere di impugnazione dell'atto e quindi non pregiudica la richiesta di applicazione del giudicato favorevole ottenuto dall'altro coobbligato solidale).
Per quanto riguarda poi,in particolare, l'ipotesi della coobbligazione solidale dipendente,ossia della solidarietà dipendente e dunque della figura del responsabile d'imposta ,secondo la
Cassazione ,è legittima la prassi, valsa nel comportamento dell'amministrazione finanziaria,di notificare l'avviso di liquidazione solamente ai soggetti che hanno realizzato il presupposto e
di notificare invece al responsabile d'imposta soltanto i successivi atti della riscossione. Dunque,secondo tale prassi,l'avviso di liquidazione dell'imposta di registro notificato solo alle parti
contraenti nella compravendita immobiliare ,mentre al responsabile d'imposta vengono notificati solo ed esclusivamente i successivi atti della riscossione. Sancita la legittimità della prassi suddetta ,la
Cassazione ha tuttavia affermato,con un orientamento ormai consolidato,che il responsabile d'imposta potrà impugnare ,attraverso l'impugnazione dell'atto di riscossione successivo,anche il contenuto
dell'atto di accertamento presupposto. Dunque essendo il responsabile d'imposta coobbligato solidale,anche se egli si vedrà notificare solamente il successivo atto di riscossione,potrà,mediatamente,
impugnare anche l'atto presupposto,ossia l'avviso di liquidazione successivamente al quale è stato formato l'atto della riscossione.
L'istituto che massimamente dovrebbe risolvere questi problemi è rappresentato dalla più recente affermazione,da parte delle Sezioni Unite,con sent. 1952/2007, della necessità di
litisconsorzio necessario. In virtù del litisconsorzio necessario,i soggetti coobbligati solidali devono tutti partecipare alla fase accertativa e al contenzioso , affinchè si formi un'unica
decisione sul caso.
-RESPONSABILE D'IMPOSTA:
A norma dell'art. 64 comma 3 del D.P.R. 600/1973, è responsabile d'imposta,quindi coobbligato solidale dipendente , chi,in forza di una disposizione di legge (viene qui ribadito
il principio della riserva di legge ex art. 23 Cost.), è obbligato al pagamento dell'imposta insieme con altri,per fatti o situazioni esclusivamente riferibili a questi.
Dunque,per dare una definizione più puntuale,possiamo dire che il responsabile d'imposta è quel soggetto che,in virtù di un'espressa disposizione di legge,è obbligato al
pagamento del tributo per via di una realizzazione del presupposto riconducibile ad altri (e ,di conseguenza,per una manifestazione di capacità contributiva riconducibile ad
altri soggetti).
Il responsabile d'imposta,come precedentemente detto,viene anche definito come coobbligato solidale dipendente,in quanto,tra la fattispecie principale,cui si collega il debito
dell'obbligato principale,e la fattispecie secondaria,da cui deriva l'obbligazione del responsabile d'imposta,vi è un rapporto di pregiudizialità-dipendenza,con ciò ad intendere
che l'obbligazione del responsabile d'imposta esiste in quanto esiste l'obbligazione principale. Si parla,in merito,di responsabilità sussidiaria del responsabile d'imposta.
È bene osservare che ciò non ha rilievo nei rapporti esterni e dunque nemmeno nei rapporti con l'amministrazione finanziaria,per la quale il responsabile d'imposta è un
soggetto coobbligato in solido con il soggetto che abbia realizzato il presupposto.
L'unico caso in cui è possibile parlare effettivamente di responsabilità sussidiaria del responsabile d'imposta si ritrova nell'ipotesi contemplata dall'art. 14 del d.lgs.
472/1997,relativa al cessionario ,o conferitario di azienda. In questo particolare caso ,della cessione o del conferimento di azienda,il cessionario godrà del beneficium excussionis ,per
cui potrà chiedere all'amministrazione finanziaria di agire primariamente nei confronti del soggetto che ha ceduto o conferito l'azienda.
In tutti gli altri casi non vi è responsabilità sussidiaria del responsabile d'imposta e conseguentemente tale soggetto non godrà del beneficium excussionis nei confronti dell'amministrazione
finanziaria,con la conseguenza che l'amministrazione finanziaria medesima sarà fortemente agevolata,potendo rivolgersi,indifferentemente,sia ai soggetti che abbiano realizzato il
presupposto d'imposta,sia al responsabile d'imposta.
Il responsabile d'imposta( esempio tipico è il notaio) che abbia versato il tributo per la realizzazione di un presupposto riconducibile ad altri ,potrà esercitare il diritto di rivalsa
nei confronti del soggetto che abbia realizzato il presupposto per l'intero importo del tributo,dal momento che egli non ha concorso alla realizzazione del presupposto e
dunque non è certamente titolare della capacità contributiva manifestata dal presupposto.
Il fatto che per il responsabile d'imposta la rivalsa si venga a configurare come un diritto -il che vale a distinguere tale figura da quella del sostituto d'imposta,per il quale vi è
un obbligo di rivalsa- comporta che,in caso di mancato esercizio della rivalsa,il peso del tributo rimarrà definitivamente a carico del responsabile d'imposta che lo abbia
anticipato,pur senza realizzare il presupposto(ad esempio,se il notaio rogante non esercita la rivalsa,rimarrà a sopportare il peso del tributo anticipato ,per la realizzazione del
presupposto effettuata da altri).Questo ,ad esempio,potrebbe avvenire per adempimento di una precedente obbligazione intercorrente tra le parti ,sulla base di criteri extra-tributari.
Da ultimo,per quanto riguarda il profilo delle differenze tra il responsabile d'imposta,espressivo della solidarietà dipendente, e la solidarietà paritetica,possiamo evidenziarne
due,quali:
→ la mancata partecipazione alla realizzazione del presupposto: il responsabile d'imposta non concorre alla realizzazione del presupposto d'imposta e non è dunque
titolare,nemmeno in parte,della capacità contributiva manifestata con la realizzazione del presupposto
→ l'esercizio del diritto di rivalsa per l'intero: il responsabile d'imposta potrà esercitare il diritto di rivalsa per l'intero importo del tributo versato,dal momento che egli non ha
concorso alla realizzazione del presupposto e non essendogli dunque in alcun modo riferibile la capacità contributiva sottesa alla realizzazione del presupposto

2.3.4- LA SOSTITUZIONE TRIBUTARIA: IL SOSTITUTO D'IMPOSTA.


-SOSTITUZIONE TRIBUTARIA:
Vi è sostituzione tributaria,a norma dell'art. 64 comma 1 del d.p.r. 600/1973, nei casi in cui un soggetto,detto sostituto d'imposta, in forza di una disposizione di legge (viene anche qui
ribadito il principio della riserva di legge ex art. 23 Cost.), è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri,per fatti o situazioni a questi riferibili ed anche a titolo di acconto.
Per essere più precisi ,possiamo dire che si ha sostituzione tributaria quando un determinato soggetto,detto sostituto,nel momento in cui corrisponde somme o valori ad un altro
soggetto,detto sostituito, è obbligato ad operare una ritenuta,a titolo provvisorio o a titolo definitivo,e a versare all'erario quanto ritenuto.
Il sostituto d'imposta è dunque quel soggetto che,nel momento in cui eroga compensi o somme ad un altro soggetto,detto sostituito,è obbligato ad operare una ritenuta ed è altresì
obbligato,in luogo del soggetto sostituito,al versamento di quanto ritenuto.
Esempio classico di sostituzione tributaria si ha innanzitutto con riguardo alla figura del datore di lavoro: il datore di lavoro,che deve erogare il compenso al lavoratore dipendente,ne trattiene una parte e
la versa all'erario. È poi un sostituto d'imposta la banca,quando corrisponde gli interessi sugli importi depositati sul conto corrente,giacchè ne trattiene una parte e la versa all'erario. Stessa cosa dicasi
quando un soggetto sostituto d'imposta,ad esempio una società,paga gli onorari ad un professionista,ne trattiene il 20% a titolo di ritenuta e la versa all'erario.
Le ipotesi di sostituzione tributaria sono molteplici e le troviamo disciplinate negli artt. 23 e segg. Del d.p.r. 600/1973 sull'accertamento. Le ritenute sono quelle sui redditi di lavoro
dipendente ed assimilati,sui redditi di lavoro autonomo,sui redditi di capitale(in merito abbiamo fatto l'esempio della banca,che è sostituto d'imposta dei correntisti in relazione agli interessi
corrisposti) ,sui dividendi (erogati da una società per i propri soci) e sugli interessi (corrisposti su un titolo obbligazionale). Diciamo che la figura della sostituzione ricorre in numerosissime ipotesi in cui
vi è un soggetto qualificato che,in virtù di un particolare rapporto di tipo privatistico con il soggetto passivo,deve erogare dei compensi e nel momento dell'erogazione dei compensi,ne trattiene una parte
e la versa all'erario.
Dunque,anche il sostituto d'imposta,al pari del responsabile d'imposta,si configura come un soggetto che viene coinvolto nella dinamica di attuazione del tributo pur non avendo realizzato
il presupposto ad esso ricollegabile ,per cui egli è tenuto al versamento del tributo per la realizzazione di fatti atti o situazioni,espressivi di capacità contributiva, che non sono a lui
direttamente riconducibili; vi è qui però una differenza importante con il responsabile d'imposta,che è coobbligato solidale dipendente (è tenuto insieme con altri a...),dal momento che il
sostituto d'imposta,come emerge dal predetto articolo,è obbligato “in luogo di altri” al versamento del tributo ,con ciò ad intendere che egli è primariamente obbligato,sempre e
comunque,a versare all'erario quanto abbia trattenuto,per mezzo della ritenuta,dal compenso del soggetto sostituito (non si può qui configurare in alcun modo una responsabilità
sussidiaria del sostituto d'imposta).
Dalla configurazione normativa della sostituzione tributaria,emergono diverse finalità della sostituzione tributaria,quali:
→ l'effetto della deviazione dal normale soggetto inciso dal prelievo: il sostituto eroga un compenso al soggetto sostituito,il quale viene dunque ad essere colui che ha realizzato il
presupposto del tributo (portatore della capacità contributiva sottesa alla realizzazione del presupposto); tuttavia, gli effetti negativi del prelievo vengono deviati dal soggetto sostituito,che
ha realizzato il presupposto,al soggetto sostituto,che è obbligato al versamento del tributo,previa ritenuta dal compenso erogato al soggetto sostituito.
→ l'anticipazione del prelievo: si ha anticipazione del prelievo perché il sostituto d'imposta,che intrattiene un rapporto di tipo civilistico con un altro soggetto,detto sostituito,nel momento
in cui eroga un compenso a quest'ultimo,ne trattiene una parte (mediante ritenuta) e la versa all'erario. Da ciò ne consegue che l'amministrazione finanziaria ottiene immediatamente una
soddisfazione del proprio interesse ,anche solo parzialmente qualora il sostituto operi la ritenuta a titolo di acconto,comportando altresì che il sostituto assume una funzione ausiliaria delle
ragioni dell'amministrazione finanziaria
→ la riduzione dei soggetti da sottoporre ad accertamento: il sostituto d'imposta viene qualificato come tale,con conseguente applicazione della relativa disciplina normativa,proprio per
il fatto di intrattenere rapporti con una molteplicità di soggetti sostituiti,sicchè l'amministrazione finanziaria potrà ,in ragione di ciò,notificare un solo atto di accertamento al sostituto
d'imposta e non più atti di accertamento ai soggetti sostituiti (sempre nei casi in cui ciò è consentito)
→ il rafforzamento delle garanzie a disposizione del fisco: si ha un rafforzamento delle garanzie patrimoniali a disposizione del fisco dal momento che il sostituto d'imposta non ha
interesse ad evadere od occultare la base imponibile,in considerazione del fatto che egli non paga il tributo con soldi che gli appartengono,quanto piuttosto con degli importi che ha
trattenuto dai compensi spettanti al soggetto sostituito.
Un altro profilo da analizzare è sicuramente quello della differenza intercorrente tra la sostituzione tributaria e la sostituzione nell'ambito del diritto privato: con la sostituzione civilisticamente
intesa,si permette ad un soggetto di operare in maniera giuridicamente rilevante ,incidendo nella sfera giuridica dei soggetti sostituiti o rappresentati,mentre la sostituzione tributaria implica la
riferibilità di determinate situazioni giuridiche soggettive e la conseguente imputabilità di determinati effetti,ad un soggetto diverso rispetto a quello a cui tali situazioni giuridiche soggettive,nonchè tali
effetti,sarebbero originariamente riferibili.
Va comunque notato che nella sostituzione tributaria vi è comunque un sostrato civilistico,rappresentato dalla sussistenza di un rapporto di tipo civilistico tra sostituto e sostituito: tale
rapporto rappresenta quel nesso che giustifica,da un punto di vista sostanziale,l'istituto della sostituzione tributaria,sicchè,se non vi fosse tale rapporto che dà luogo ad una
manifestazione di capacità contributiva, non avrebbe ragion d'essere un istituto che devia l'effetto,rappresentato dal versamento del tributo,dal soggetto che ha manifestato capacità
contributiva ,ad un soggetto,quale il sostituto,che non ha realizzato il presupposto d'imposta e che non è dunque portatore della capacità contributiva sottesa a tale realizzazione.
Emerge poi un altro profilo di rilievo,che ci viene presentato dalla stessa lettera dell'art. 64 comma 1 del d.p.r. 600/1973,laddove dispone che il sostituto d'imposta “ deve esercitare la
rivalsa se non è diversamente stabilito in modo espresso”. Da ciò emerge che per il sostituto d'imposta la rivalsa si configura non come un diritto,come invece accade per la figura del
responsabile d'imposta,quanto piuttosto come un obbligo,sicchè il sostituto d'imposta ha l'obbligo di rivalersi nei confronti del soggetto sostituito. La rivalsa,in questo caso, viene
eseguita mediante la ritenuta,ossia trattenendo una parte del compenso dovuto al soggetto sostituito e versando poi tale parte all'erario.
Una volta descritto questo particolare meccanismo di rivalsa tramite ritenuta,possiamo osservare che la sostituzione tributaria si può suddividere in:
1)SOSTITUZIONE PROPRIA O SOSTITUZIONE A TITOLO D'IMPOSTA: la sostituzione propria,detta anche sostituzione a titolo di imposta,si ha quando l'effettuazione della ritenuta
ed il versamento dell'importo corrispondente al fisco esaurisce il prelievo,sicchè il soggetto sostituito non dovrà nemmeno dichiarare quel determinato provento. In questo
particolare caso,il sostituto d'imposta adempie totalmente all'obbligo fiscale gravante su un determinato provento,in modo da estinguere l'obbligazione tributaria del
sostituito ed estromettendolo così dall'attuazione del prelievo,ferma restando la facoltà,per il sostituito,di partecipare all'attività accertativa che venga svolta nei confronti del
sostituto d'imposta. L'unico caso in cui il sostituito non viene estromesso dall'attuazione del prelievo si ha nell'ipotesi in cui il sostituto non abbia operato la ritenuta,per cui all'obbligazione
del sostituto si aggiungerà l'obbligazione del soggetto sostituito,con ciò ad intendere che il sostituito diventerà coobbligato solidale del sostituto d'imposta. La rivalsa,in questo caso,si opera
applicando una ritenuta del 20% del provento erogato,come accade,tra l'altro,nel caso dei compensi per i professionisti.
2)SOSTITUZIONE IMPROPRIA O SOSTITUZIONE A TITOLO DI ACCONTO: si ha sostituzione impropria,anche detta sostituzione a titolo di acconto,quando l'effettuazione della
ritenuta non esaurisce il prelievo,ma configura un semplice acconto,con la conseguenza che il soggetto sostituito dovrà comunque dichiarare quel provento al lordo ,potendo
comunque scomputare dal debito d'imposta quanto trattenuto dal sostituto d'imposta. Dunque,nel caso di sostituzione a titolo di acconto, vi è una mera anticipazione del
prelievo,che dovrà poi essere definita con un'operazione di conguaglio al momento della presentazione della dichiarazione da parte del sostituito.
Tra la sostituzione a titolo di imposta e la sostituzione a titolo di acconto,esistono dunque delle differenze:
→ sostanziali,date dal fatto che la sostituzione a titolo di imposta esaurisce il prelievo,mentre la sostituzione a titolo di acconto non esaurisce il prelievo, essendo necessario un conguaglio
da parte del soggetto sostituito al momento della presentazione della dichiarazione
→ procedimentali:una prima differenza procedimentale si ha nel fatto che ,nel caso di sostituzione a titolo d'imposta,qualora il sostituto d'imposta non operi la ritenuta e non la versi
all'erario,il soggetto sostituito avrà una responsabilità solidale con il sostituto d'imposta,divenendo quindi gli stessi coobbligati solidali; differentemente,nel caso di sostituzione a titolo di
acconto, il sostituito autonomamente dovrà operare il conguaglio,non essendovi dunque alcuna responsabilità solidale. Un'altra differenza dal punto di vista procedimentale risiede nel fatto
che ,mentre nel caso di sostituzione a titolo d'imposta il soggetto sostituito non sarà tenuto a dichiarare il provento sul quale il sostituto abbia operato la ritenuta,nel caso di sostituzione a
titolo d'acconto il sostituito sarà tenuto a dichiarare il provento ricevuto dal sostituto al lordo della ritenuta operata,potendo comunque scomputarla dal debito d'imposta risultante.
-SOSTITUTO D'IMPOSTA:
Il sostituto d'importa,a norma dell'art. 64 comma 1 del d.p.r. 600/1973, è colui che , “in forza di disposizioni di legge,è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri,per fatti o
situazioni a questi riferibili ed anche a titolo di acconto” ; egli “deve esercitare la rivalsa se non è diversamente stabilito in modo espresso”.
Dunque,con sostituto d'imposta si intende far riferimento a quel soggetto che,in virtù della particolare posizione rivestita,è tenuto al pagamento di imposte in luogo del soggetto che ha
realizzato il presupposto,detto soggetto sostituito; in particolare,il sostituto d'imposta,intrattenendo un particolare rapporto civilistico in virtù del quale deve erogare un compenso al
soggetto sostituito,trattiene una parte del compenso spettante al sostituito operando una ritenuta e versa quanto trattenuto all'erario.
Per quanto attiene alle caratteristiche relative alla figura del sostituto d'imposta,possiamo dire quanto segue:
→ si tratta di un soggetto che è obbligato al versamento dell'imposta pur non avendo realizzato il presupposto: il sostituto d'imposta è obbligato al versamento del tributo per un
presupposto realizzato dal soggetto sostituito,ma qui,a differenza del responsabile d'imposta,sostituto e sostituito non sono coobbligati solidali,tranne che in un particolare caso.
→ il sostituto ha un obbligo di rivalsa nei confronti del soggetto sostituito: il sostituto d'imposta,a differenza del responsabile d'imposta,ha l'obbligo di rivalersi sul sostituito operando
una ritenuta sul compenso spettante a quest'ultimo
→ il sostituto,a seconda dei casi considerati,può operare una ritenuta a titolo di imposta o una ritenuta a titolo di acconto: qualora il sostituto sia obbligato ad effettuare una
ritenuta a titolo di imposta,egli tratterrà una parte del compenso spettante al sostituito (solitamente il 20%) e la verserà all'erario,estinguendo in toto l'obbligo fiscale ; in tal caso il soggetto
sostituito sarà sostanzialmente estromesso dall'applicazione del tributo(unico debitore è il sostituto) e non dovrà nemmeno dichiarare il provento su cui il sostituto abbia operato la ritenuta.
Qualora invece il sostituto d'imposta sia obbligato ad effettuare una ritenuta a titolo di acconto,egli tratterrà sì una parte del compenso spettante al soggetto sostituito versandola poi
all'erario,ma tale ritenuta,costituendo un semplice acconto non estinguerà l'obbligo fiscale,sicchè il soggetto sostituito sarà chiamato poi ad effettuare un conguaglio al momento della
presentazione della dichiarazione,nella quale,tra l'altro,il sostituito dovrà dichiarare il provento al lordo della ritenuta operata dal sostituto,ma comunque con la possibilità di scomputarla dal
debito d'imposta.
Passando alla trattazione degli obblighi del sostituto d'imposta,possiamo osservare che a suo carico sono posti una serie di obblighi,sanzionati sia dal punto di vista amministrativo che penale,quali:
→ obbligo di effettuare la ritenuta (rivalendosi quindi sul sostituto): la sanzione amministrativa nel caso in cui il sostituto non abbia operato la ritenuta è pari al 20% dell'importo non
trattenuto
→ obbligo di versare la ritenuta all'erario: è prevista una sanzione amministrativa pari al 30% di quanto trattenuto nel caso di omesso versamento
→ obbligo di certificare la ritenuta presentando la dichiarazione dei sostituti d'imposta: nel caso in cui l'erario contesti l'effettuazione della ritenuta,il soggetto sostituito dovrà
presentare la certificazione rilasciatagli dal sostituto d'imposta,opponendo quindi all'amministrazione finanziaria l'avvenuta effettuazione della ritenuta
→ obbligo di tenuta delle scritture contabili
Esempio classico di sostituto d'imposta si ha innanzitutto con riguardo alla figura del datore di lavoro: il datore di lavoro,che deve erogare il compenso al lavoratore dipendente,ne trattiene una parte e la
versa all'erario. È poi un sostituto d'imposta la banca,quando corrisponde gli interessi sugli importi depositati sul conto corrente,giacchè ne trattiene una parte e la versa all'erario. Stessa cosa dicasi
quando un soggetto sostituto d'imposta,ad esempio una società,paga gli onorari ad un professionista,ne trattiene il 20% a titolo di ritenuta e la versa all'erario.
Le ipotesi di sostituzione tributaria sono molteplici e le troviamo disciplinate negli artt. 23 e segg. Del d.p.r. 600/1973 sull'accertamento. Le ritenute sono quelle sui redditi di lavoro
dipendente ed assimilati,sui redditi di lavoro autonomo,sui redditi di capitale(in merito abbiamo fatto l'esempio della banca,che è sostituto d'imposta dei correntisti in relazione agli interessi
corrisposti) ,sui dividendi (erogati da una società per i propri soci) e sugli interessi (corrisposti su un titolo obbligazionale).
Un caso che merita particolare attenzione è quello disciplinato dall'art. 35 del d.p.r. 602/1973,titolato “solidarietà del sostituto d'imposta”. Con riferimento alle imposte sui redditi,viene qui
sancito che,qualora il sostituto d'imposta non abbia effettuato la ritenuta a titolo d'imposta (estinguendo la pretesa erariale) e non l'abbia versata all'erario, vi è responsabilità solidale tra il
sostituto d'imposta ed il soggetto sostituito. Questo è l'unico caso in cui il sostituto d'imposta ed il soggetto sostituito possono essere considerati coobbligati solidali e ciò è stato
recentemente ribadito dalla Corte di Cassazione ,con S.S.U.U. 10378/2019: la Cassazione è qui intervenuta a Sezioni Unite perché vi era un annoso contrasto giurisprudenziale tra sentenze di
singole sezioni della Suprema Corte,sentenze che avevano ravvisato,evidentemente in maniera erronea, ipotesi di solidarietà tra sostituto d'imposta e soggetto sostituito anche nei casi in cui il sostituto
avesse dovuto operare una ritenuta a titolo di acconto (sostituzione a titolo di acconto).
-RITENUTA ALLA FONTE:
La cd. Ritenuta alla fonte costituisce un modo di riscossione sul reddito e viene effettuata da coloro che corrispondono i compensi,ossia i sostituti d'imposta,con obbligo per
questi ultimi di provvedere al versamento diretto di quanto trattenuto con la ritenuta all'erario.
Va osservato che la ritenuta operata dal sostituto d'imposta può essere di due tipi:
→ ritenuta a titolo d'imposta: la ritenuta a titolo d'imposta,detta anche ritenuta a titolo definitivo,comporta l'applicazione di un'aliquota fissa(solitamente del 20%)
su un determinato provento del soggetto sostituito,che non dovrà nemmeno dichiarare quel provento nella sua dichiarazione dei redditi. Va osservato che la
ritenuta a titolo d'imposta costituisce una deroga rispetto alla tassazione globale e progressiva delle persone fisiche e proprio per questo motivo,essa è prevista
soltanto in pochi casi determinati,quali:
a)le ritenute sui compensi corrisposti ai lavoratori autonomi non residenti
b)le ritenute sui redditi di capitale spettanti a non residenti
c)le ritenute su taluni redditi di capitale e sulle vincite
→ ritenuta a titolo di acconto: la ritenuta a titolo di acconto si ha invece nel caso in cui il sostituto d'imposta sì una ritenuta trattenendo parte del compenso
spettante al soggetto sostituito,ma il versamento di quanto ritenuto si viene qui a configurare come un semplice acconto del tributo dovuto,sicchè il soggetto
sostituito sarà obbligato sia a dichiarare il provento percepito al lordo della ritenuta,potendola però scomputare dal debito d'imposta,sia a effettuare un
conguaglio nei confronti dell'erario,versando quanto rimane del debito d'imposta (quindi qui i debitori sono due,dapprima il sostituto e,in un secondo momento,il
sostituito). Le ritenute a titolo di acconto dunque,per il soggetto sostituito che le subisce,costituiscono un acconto dell'imposta che sarà dovuta sul complesso dei
redditi di quel periodo d'imposta

-CONTROVERSIE TRA SOSTITUTO E SOSTITUITO:


Una questione interessante,che è stata risolta anche qui in giurisprudenza da parte della Cassazione,dopo un certo travaglio dottrinale e giurisprudenziale, è quella della individuazione della
giurisdizione che dovrà occuparsi delle liti tra i due soggetti. In altre parole,laddove ,ad esempio,il soggetto sostituito contesti quantità e/o qualità della ritenuta,quale giudice dovrà
interpellare per avere ragione in relazione alle sue contestazioni? Il lavoratore,piuttosto che il correntista,che si veda operare una ritenuta in mancanza dei presupposti di legge o si veda operare
una ritenuta in misura eccedente la misura di legge,verso quale giudice potrà contestare l'operato del sostituto? Ebbene,all'inizio si sosteneva che la competenza fosse,giustamente,come è stata
poi la soluzione definitiva, dell'autorità giudiziaria ordinaria. In un periodo transitorio,alcune commissioni ritennero invece la propria competenza a giudicare delle liti tra sostituto e
sostituito,ma con un ostacolo di fondo,giacchè mancava l'atto impugnabile. In realtà,come vedremo,dinanzi alle commissioni tributarie,si possono impugnare solamente atti manifestativi
di potere impositivo e che appartengono ad un numerus clausus,interpretabile in maniera estensiva secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione. Qui non abbiamo un
atto impugnabile rientrante tra quelli elencati dall'art. 19 d.lgs. 546/1992 . In altre parole,tale norma,che individua i cd. Limiti interni della giurisdizione delle commissioni tributarie,elenca
una serie di atti,come atti di accertamento,cartelle di pagamento,ingiunzione di pagamento,atti di classificazione catastale,ma non comprende un atto,come quello di specie,rappresentato
dall'effettuazione di una ritenuta, e peraltro non contempla atti o attività riconducibili a soggetti privati,come nella specie,comunque a soggetti ai quali non siano riconosciuti
dall'ordinamento poteri impositivi. Quindi una lite tra privati che non può essere azionata dinanzi alle Commissioni tributarie perché manca l'atto impugnabile ,ossia manca un atto che sia
manifestativo di un potere di supremazia di un ente impositore nei confronti di un altro soggetto contribuente. Quindi,dopo un periodo transitorio,la Cassazione ha adottato un
orientamento,ormai consolidato,secondo cui la competenza è dell'autorità giudiziaria ordinaria. Si tratta di una lite tra privati,in cui vi è una cognizione,incidentem tantum,che è il rapporto
avente natura tributaria, e che quindi deve essere risolto dall'autorità giudiziaria ordinaria. Questa soluzione è stata poi da ultimo confermata dalle Sezioni Unite,con sent. 1838/2016,
secondo la quale siamo per l'appunto in presenza di un rapporto di tipo privatistico tra sostituto e sostituito,rapporto cui è estraneo lo schema,invece tipico dei rapporti di natura tributaria,sussumibile in
quello di potestà normativa,soggezione a tale potestà ,tipica del rapporto di natura tributaria.
È in realtà ipotizzabile anche un'altra soluzione operativa,rappresentata dalla presentazione di una istanza di rimborso,presentata dal contribuente all'amministrazione finanziaria,della
ritenuta indebitamente operata e versata dal sostituto d'imposta; con successiva impugnazione o del silenzio-rifiuto,o del diniego espresso al rimborso. In questo caso,quindi nel caso di
presentazione di istanza di rimborso del contribuente sostituito d'imposta all'amministrazione e successivo diniego,o rifiuto tacito da parte dell'amministrazione,il contribuente potrebbe chiamare in
causa il sostituto dinanzi alle Commissioni tributarie al fine di accertare gli eventuali danni subiti in termini di interessi monetari e rivalutazione monetaria.
Dunque lo schema principale è quello della citazione in giudizio per sentir condannare il sostituto alla restituzione della ritenuta indebitamente operata o nella misura in cui sia stata
indebitamente operata; l'altra soluzione,più complicata, è quella di presentare istanza di rimborso all'amministrazione finanziaria e dall'impugnazione del successivo silenzio-rifiuto o
diniego espresso dinanzi alla Commissione tributaria,per poi chiamare in giudizio,ai fini del risarcimento del danno,anche il sostituto d'imposta.
Non vi è alcun dubbio,così come confermato dalle Sezioni Unite nel 1999 che nell'ipotesi in cui si debba interpretare un contratto o un accordo collettivo che preveda una certa disciplina
dei compensi erogati,competente,trattandosi dell'interpretazione di un contratto,sarà l'autorità giudiziaria ordinaria. Quindi ,se il contribuente,sostituito d'imposta,assume che il sostituto
ha applicato una ritenuta in mancanza dei presupposti di legge,dei presupposti contrattuali o ha applicato la ritenuta su un compenso oltre la misura prevista dal contratto,quindi si metta
in questione la mera interpretazione del contratto,il giudice naturale sarà il giudice ordinario. Si pensi,ad esempio,se un certo compenso viene ad essere qualificato come mero risarcimento del
danno,o come rimborso da lucro cessante,dunque se si verta in tema di interpretazione del contratto,della qualificazione da esso desumibile in merito ad un certo compenso,giudice competente sarà il
giudice ordinario.

2.3.5- DIFFERENZE TRA IL RESPONSABILE D'IMPOSTA ED IL SOSTITUTO D'IMPOSTA


DIFFERENZE e SOMIGLIANZE RESPONSABILE D'IMPOSTA SOSTITUTO D'IMPOSTA

PRESUPPOSTO Il responsabile d'imposta è tenuto al versamento del tributo pur non avendo Il sostituto d'imposta è tenuto al versamento del tributo pur non avendo realizzato il
realizzato il presupposto. Egli è tenuto al versamento del tributo in ragione della presupposto.
particolare posizione ricoperta e dunque per finalità di semplificazione dell'attività Sebbene il presupposto sia riconducibile ad altri soggetti,il sostituto d'imposta è
accertativa e di riscossione da parte del fisco e per rafforzamento delle garanzie obbligato al versamento del tributo al posto dei soggetti sostituiti proprio in virtù del
patrimoniali a favore del fisco medesimo. rapporto civilistico intercorrente con questi (rapporto principale),sicchè,se non vi fosse
tale la sussistenza di tale rapporto civilistico tra le parti,non sussisterebbe l'obbligo
posto a carico del sostituto d'imposta. Tale figura è sempre da ricondurre a finalità di
semplificazione dell'attività accertativa e di riscossione da parte del fisco,nonchè ad
un rafforzamento delle garanzie patrimoniali a favore del fisco medesimo.

COOBBLIGAZIONE SOLIDALE Il responsabile d'imposta è coobbligato solidale con i soggetti che abbiano realizzato Il sostituto d'imposta non è coobbligato solidale con i soggetti sostituiti che abbiano
CON I SOGGETTI CHE HANNO il presupposto del tributo,come emerge dalla stessa lettera dell'art. 64 comma 3 del realizzato il presupposto. Difatti,dalla lettera dell'art. 64 comma 1 c.c., emerge che il
REALIZZATO IL PRESUPPOSTO d.p.r. 600/1973,che definisce il responsabile d'imposta come colui che è “obbligato al sostituto d'imposta è “obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri” e dunque
pagamento dell'imposta insieme con altri”. egli risulta come unico soggetto obbligato nei confronti dell'amministrazione finanziaria
Ciò comporta che l'amministrazione finanziaria,qualora il responsabile d'imposta non al versamento del tributo.
abbia versato il tributo,potrà agire nei confronti dei soggetti che abbiano realizzato il Si ha però un'eccezione nel caso disciplinato dall'art. 35 del d.p.r. 602/1973: qualora il
presupposto,coobbligati solidali del responsabile d'imposta. sostituto d'imposta sia chiamato ad effettuare una ritenuta a titolo di imposta (che
esaurisca la pretesa erariale),ma non operi la ritenuta e non la versi all'erario,il
soggetto sostituito sarà considerato coobbligato solidale con il sostituto d'imposta,così
come sancito da S.S.U.U. 10378/2019.

RIVALSA La rivalsa ,per il sostituto d'imposta,si configura come un diritto,dal momento che per La rivalsa,per il sostituto d'imposta,si configura come un obbligo,da attuarsi mediante
il fisco sarà sempre possibile rivolgersi,qualora egli non provveda al versamento del l'effettuazione di ritenute. Tale configurazione come obbligo discende dal fatto che in
tributo,ai soggetti coobbligati solidali che abbiano realizzato il presupposto. questo caso il sostituto è l'unico soggetto passivo su cui incombe il conseguente
Va altresì osservato che il responsabile d'imposta ha diritto di rivalsa per l'intero,non dovere di versare il tributo.
avendo egli concorso alla realizzazione del presupposto riconducibile alla debenza La rivalsa può essere operata o a titolo d'imposta,ossia trattenendo dal compenso del
del tributo. sostituito la somma necessaria ad esaurire la pretesa erariale,oppure ,nella maggior
parte dei casi,a titolo di acconto,ossia trattenendo dal compenso del sostituito una
somma che costituisce un mero acconto del prelievo,con conseguente obbligo per il
sostituito di effettuare successivamente un conguaglio.

2.3.6- LA SUCCESSIONE NEL DEBITO D'IMPOSTA


-SUCCESSIONE DELLE PERSONE FISICHE:
La successione ereditaria, comportando il subentro degli eredi in tutte le situazioni giuridiche trasmissibili che facevano capo al defunto,implica il subentro degli eredi nell'obbligazione
tributaria. In generale gli eredi rispondono dei debiti (inclusi quelli tributari) in proporzione alla propria quota,in virtù dell'applicazione dell'art. 752 c.c. .
Eccezione a questo principio è rappresentata dal caso dell'irpef dovuta dal de cuius,,contemplata dall'art. 65 del d.p.r. 600 /1973 ,il quale dispone la solidarietà paritetica degli eredi
Gli eredi del de cuius subentrano altresì con riferimento agli obblighi formali ed alle situazioni procedimentali facenti capo al de cuius.
Tutti i termini pendenti sul de cuius sono prorogati in favore degli eredi di sei mesi.
Gli eredi devono comunicare all'ufficio entrate il loro domicilio fiscale e le loro generalità.
-SUCCESSIONE DELLE SOCIETA' ESTINTE:
La cancellazione di una società dal registro delle imprese ne determina l'estinzione,secondo quanto stabilito dall'art. 2495 c.c. .
A seguito di tale estinzione si ha un fenomeno successorio,in virtù del quale i diritti ed i beni si trasferiscono ai soci,in regime di contitolarità o di comunione; allo stesso
modo anche le obbligazioni si trasferiscono ai soci,i quali rispondono dei debiti relativi all'imposta sul reddito della società estinta nei limiti dei beni ricevuti.
Va ricordato che,in deroga all'art. 2495 c.c.,la società cancellata sopravvive per 5 anni agli effetti fiscali.

PARTE 5 – GLI OBBLIGHI POSTI A CARICO DEI CONTRIBUENTI


CAPITOLO 1- L'OBBLIGO DI TENUTA DELLE SCRITTURE CONTABILI
-OBBLIGO DI TENUTA DELLE SCRITTURE CONTABILI:
E' bene osservare che con obbligo di tenuta delle scritture contabili,nell'ambito del diritto civile, si fa riferimento all'obbligo,posto a carico degli imprenditori commerciali,ad esclusione dei
piccoli imprenditori,di tenere e conservare determinati documenti di contabilità,quali,come si evince dagli artt. 2214-2220 c.c., il libro giornale ed il libro degli inventari (il libro giornale è
una scrittura contabile dove sono registrate giorno per giorno,in articoli separati,le operazioni dell'impresa e può essere integrato anche dal cd. Libro mastro; il libro degli inventari,di contro,
rappresenta quella scrittura contabile,redatta in base al libro giornale ed ai conti di mastro,in cui sono riportati annualmente i bilanci,per cui lo stesso presenta un prospetto continuo nel tempo dello stato
patrimoniale e del conto economico dell'impresa).
Nell'ambito del diritto tributario,possiamo notare che l'obbligo di tenuta delle scritture contabili ricade su una sfera di soggetti molto più ampia rispetto a quella individuata dal diritto
civile: tutti i soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili vengono infatti elencati nell'art. 13 del d.p.r. 600/1973 ed in tale elenco vi ricadono tutti i soggetti che sono ritenuti
imprenditori commerciali ai fini delle norme tributarie (che possono anche non essere imprenditori commerciali in senso civilistico).
Oltre a tale prima differenziazione,va poi osservato che nell'ambito del diritto tributario,l'obbligo di tenuta delle scritture contabili si differenzia a seconda dei soggetti considerati,con ciò
intendendo che i soggetti su cui è posto tale obbligo,a seconda della categoria di appartenenza,devono tenere scritture contabili diverse tra loro.
Ai fini di una migliore analisi di tale obbligo di tenuta delle scritture contabili, occorre dunque distinguere le seguenti categorie di soggetti:
→ imprenditori in regime di contabilità ordinaria
→ imprenditori in regime di contabilità semplificata
→ lavoratori autonomi
Va osservato che tutti gli imprenditori e gli altri sostituti d'imposta che abbiano dipendenti,devono necessariamente tenere i libri paga ed i libri matricola,in cui annotare le somme
corrisposte ai dipendenti,le ritenute effettuate e le detrazioni applicate.
I contribuenti possono essere assistiti dai cd. CAAF,ossia dai centri autorizzati di assistenza fiscale,i quali assistono gli imprenditori nella tenuta della contabilità e nella preparazione e spedizione
della dichiarazione dei redditi.
Da ultimo bisogna sottolineare che ,a norma dell'art. 2220 c.c. E dell'art. 8 comma 5 dello Statuto dei diritti del contribuente, le scritture contabili devono essere conservate per 10 anni e,in
caso di procedure di accertamento in corso,fino al momento in cui non siano stati definiti gli accertamenti.
-IMPRENDITORI IN REGIME DI CONTABILITA' ORDINARIA:
Gli imprenditori in regime di contabilità ordinaria sono le società e gli enti commerciali soggetti all'IRES,ossia all'imposta sul reddito delle società,i trust,gli imprenditori
individuali e le società di persone che abbiano (tutti) ricavi superiori ad un determinato ammontare. A tale categoria vanno altresì aggiunti gli enti non commerciali che ,oltre la
loro attività istituzionale, svolgano altresì un'attività commerciale,con ricavi superiori ad un determinato ammontare.
Gli imprenditori commerciali in regime di contabilità ordinaria,ai fini dell'imposizione sui redditi,hanno l'obbligo di tenere le seguenti scritture contabili:
→ libro giornale
→ libro degli inventari
→ registri IVA
→ conti di mastro (in cui si registrano gli elementi patrimoniali e reddituali che concorrono alla formazione del reddito)
→ scritture ausiliarie di magazzino
→ registro dei cespiti( che registra i beni per i quali è ammesso l'ammortamento)
→ registro delle fatture emesse( da cui deriva l'iva a debito) ,oppure il registro dei corrispettivi per i commercianti al minuto: ogni operazione fiscalmente rilevante ,che
sia imponibile,non imponibile o esente,deve essere annotata. Le fatture devono essere annotate,entro 15 giorni dalla loro emissione,secondo l'ordine della numerazione
→ registro degli acquisti( da cui deriva l'iva a credito): qui devono essere annotate le fatture e le bollette doganali relative a beni e/o servizi acquistati o importati
-IMPRENDITORI IN REGIME DI CONTABILITA' SEMPLIFICATA:
Imprenditori in regime di contabilità semplificata sono imprenditori individuali e società di persone che conseguono,in un anno,ricavi non superiori a 400.000,00 euro e a 700.000,00
euro,a seconda,rispettivamente,che prestino prevalentemente servizi o meno.
La contabilità fiscale semplificata è composta,essenzialmente,dai registri IVA,in cui sono annotati gli acquisti e le vendite (nonché le operazioni esenti IVA),per cui non vi è l'obbligo di
tenuta del libro giornale e del libro degli inventari.
È bene osservare che tale rudimentalità propria della contabilità semplificata fa sì che la dichiarazione dei redditi venga elaborata sulla base dei dati desunti dai registri IVA e che i controlli
dell'amministrazione finanziaria vertano dunque non tanto sui dati ricavabili dalla contabilità,quanto piuttosto su standard medi di redditività (cd. Studi di settore).
-LAVORATORI AUTONOMI:
I lavoratori autonomi devono tenere due registri IVA,ossia il registro dei corrispettivi ed il registro degli acquisti,nonchè un registro da cui risultino le somme incassate,le
spese fatte ed il valore dei beni da ammortizzare.
Dunque ,ai fini delle imposte sui redditi,i lavoratori autonomi che realizzano entrate inferiori ad una certa soglia possono limitarsi alla tenuta dei registri IVA,ivi annotandovi
anche i dati necessari ai fini delle imposte dirette,ferma restando la possibilità di optare per il regime di contabilità ordinaria.

CAPITOLO 2: L'OBBLIGO DI PRESENTAZIONE DELLA DICHIARAZIONE


2.1- GENERALITA' DELLA DICHIARAZIONE
-DICHIARAZIONE (TRIBUTARIA):
La dichiarazione,nell'ambito del diritto tributario,costituisce l'atto con cui il contribuente porta a conoscenza dell'amministrazione finanziaria i connotati,sia qualitativi che quantitativi,del
presupposto realizzato(previa risoluzione di una serie di questioni di fatto e di diritto ) e liquida,laddove previsto, l'imposta dovuta.
Attraverso la dichiarazione dunque, il contribuente,previa risoluzione di una serie di questioni di fatto e di diritto,quali la misurazione della base imponibile e la misurazione di determinate
componenti di reddito, comunica all'amministrazione finanziaria l'entità e la qualità del presupposto realizzato (si parla qui di liquidazione del debito d'imposta),compartecipando quindi
alla fase di attuazione dei tributi e rispondendo altresì all'esigenza di incentivare le forme di collaborazione tra fisco e contribuente(permettendo la riscossione delle entrate necessarie al
finanziamento della spesa statale). Non a caso,infatti,la dichiarazione viene considerata dalla dottrina tradizionale come l'atto fondamentale di collaborazione del contribuente con il fisco.
La dichiarazione costituisce un atto volontario ed al contempo dovuto,con ciò intendendo che,pur essendo la dichiarazione un atto volontario,qualora vi sia l'inosservanza dell'obbligo di
presentazione della dichiarazione ,al contribuente inadempiente saranno comminate sanzioni sia di tipo amministrativo,che di tipo penale.
È bene poi sottolineare che la dichiarazione comporta effetti sia sul piano dell'accertamento ,sia sul piano della riscossione. In particolare:
→ per la fase di accertamento: le modalità di redazione della dichiarazione e la correttezza dei dati in essa contenuta condizionano l'utilizzo dei diversi metodi di accertamento
(di tipo analitico,induttivo o sintetico) da parte dell'amministrazione finanziaria,nonchè la successiva emissione di un avviso di accertamento. Dunque,il comportamento del
contribuente condiziona l'attività dell'amministrazione finanziaria sia nel caso in cui la dichiarazione non sia presentata,sia nel caso in cui la stessa sia presentata ma sia considerata
inattendibile. Nel caso in cui la dichiarazione non venga presentata dal contribuente,l'amministrazione potrà ,d'ufficio,accertare i redditi del contribuente con un metodo di
accertamento induttivo,ossia ricostruendo il contenuto della dichiarazione sulla base degli elementi comunque raccolti ed avvalendosi anche delle cd. Presunzioni non qualificate,dette
anche presunzioni semplicissime),ossia di presunzioni né gravi,nè precise,nè concordanti. Stessa cosa dicasi nel caso in cui il contribuente,soggetto all'obbligo di tenuta delle
scritture contabili,presenti la dichiarazione e questa presenti delle difformità: nel caso in cui la contabilità del contribuente sia priva delle garanzie proprie di una contabilità
sistematica (perché vi sono omissioni e/o inesattezze),l'amministrazione finanziaria sarà necessitata ad accertare ,ad esempio,il reddito del contribuente aliunde,quindi con metodo
induttivo o extracontabile,prescindendo dunque dalla contabilità,mentre ,nel caso in cui la contabilità del contribuente sia considerata come attendibile e verificabile, l'amministrazione
finanziaria potrà utilizzare un metodo di accertamento analitico.
Ricapitolando,quanto più la dichiarazione (e l'eventuale contabilità sottostante alla stessa) sia inattendibile,tanto più allora l'amministrazione sarà facoltizzata ad utilizzare
metodi di accertamento a loro volta meno attendibili ,come il metodo di accertamento induttivo o extracontabile, metodi che si fondano su presunzioni semplici o non
qualificate,ossia né gravi ,nè precise,nè concordanti.
In merito va sottolineato che l'utilizzo di metodi di accertamento via via meno attendibili, qualora il contribuente non presenti la dichiarazione o presenti una dichiarazione
inattendibile, non deve essere considerato come una sanzione,bensì come un comportamento necessitato dell'amministrazione finanziaria.
→ per la fase di riscossione: la rilevanza della dichiarazione sul piano della riscossione deriva dal fatto che,in sede di dichiarazione dei redditi, è liquidata l'imposta dovuta,a
seguito dello scomputo delle ritenute subite,degli acconti versati e dei crediti d'imposta. La dichiarazione funge quindi da titolo giustificativo del versamento
effettuato,oppure,in caso di omesso versamento, da titolo per l'iscrizione a ruolo,oppure,in caso di eccedenza a credito,da istanza di rimborso.
La dichiarazione normalmente segue il realizzarsi del presupposto,anche se va evidenziato che vi sono dei casi in cui la dichiarazione avviene in assenza del presupposto: in alcuni
casi,infatti,come nel caso del reddito d'impresa,la dichiarazione va presentata anche in assenza di redditi assoggettabili a tassazione,dal momento che, nell'ambito del reddito d'impresa,
prevale il principio della continuità delle informazioni .
La dichiarazione non deve essere invece presentata quando il reddito è inferiore al minimo vitale,ossia quando il contribuente sia portatore di una capacità contributiva talmente ridotta da non
poter contribuire alle spese pubbliche. In questo caso il soggetto,portatore di una capacità contributiva inferiore al cd. Minimo vitale non è obbligato all'obbligo della presentazione della dichiarazioni dei
redditi.
Va infine osservato che se più soggetti sono coobbligati,la presentazione della dichiarazione da parte di uno solo di essi libera tutti gli altri,secondo i principi della solidarietà civilistica.
-NATURA GIURIDICA DELLA DICHIARAZIONE:
La natura giuridica della dichiarazione ha posto numerosi problemi in ambito dottrinale,dal momento che le diverse soluzioni prospettate dalla dottrina andavano ad inficiare
sull'applicabilità o meno di diversi istituti,in primis dell'istituto della modificabilità o della retrattabilità della dichiarazione (una volta che la stessa fosse stata
comunicata,manifestata,all'amministrazione finanziaria).
Stante che sottesi alla dichiarazione vi sono due interessi contrapposti,ossia l'interesse pubblicistico del fisco alla stabilità dei rapporti giuridici ed alla conseguente certezza
del gettito da un lato e l'interesse privatistico alla legittimità del prelievo e dunque della conformità e coerenza della dichiarazione con la capacità contributiva effettivamente
manifestata,possiamo analizzare i vari orientamenti dottrinali che si sono succeduti nel tempo in merito alla natura giuridica della dichiarazione:
→ parte della dottrina,nell'elaborazione di teorie privatistiche,presumeva che la dichiarazione fosse una confessione stragiudiziale: assumere l'equiparabilità della
dichiarazione ad una confessione stragiudiziale comportava che la dichiarazione sarebbe stata revocabile soltanto per errore di fatto,errore di diritto e violenza.
→ altre teorie privatistiche consideravano la dichiarazione come una dichiarazione recettizia di riconoscimento del debito: la configurazione della dichiarazione quale
dichiarazione di riconoscimento del debito avrebbe comportato l'inversione dell'onere della prova ex art. 1988 c.c.,per cui l'amministrazione finanziaria sarebbe stata
esonerata,proprio in applicazione dell'art. 1988 c.c., dall'onere di provare l'esistenza del rapporto fondamentale. Dunque,secondo tali teorie privatistiche, si sarebbe trattato di
una dichiarazione che sostanzialmente,invertendo l'onere della prova,liberava l'amministrazione dall'onere di dover provare an e quantum della pretesa tributaria.
→ Altra parte della dottrina e della giurisprudenza ravvisavano nella fattispecie una fattispecie complessa o una fattispecie a formazione progressiva: dunque,dalla
realizzazione del presupposto ,seguito dalla presentazione della dichiarazione ,sarebbe nata l'obbligazione tributaria,sicchè la nascita dell'obbligazione veniva vista come
risultante della realizzazione di una fattispecie complessa,rappresentata ,a sua volta, dalla realizzazione del presupposto, seguita dalla presentazione della dichiarazione.
→ Altra parte della dottrina considerava la dichiarazione come un atto negoziale: ciò comporterebbe, evidentemente,che dalla stessa dichiarazione ne discenderebbero
effetti preclusivi,nel senso che, una volta presentata la dichiarazione,una volta equiparata ad un negozio giuridico,il contribuente non potrebbe più modificarla e dunque ne
discenderebbero effetti preclusivi ,sia in termini di accertamento sia in termini di riscossione dei tributi, nella misura risultante dalla dichiarazione medesima.
→ un diverso orientamento,contrapposto alle teorie privatistiche,considerava la dichiarazione come un atto meramente procedimentale: attribuendo maggior
rilevanza alla realizzazione del presupposto e considerando dunque la dichiarazione quale atto meramente procedimentale, si ammette che la dichiarazione sia sempre
modificabile,per ricondurla a conformità rispetto alla legge e dunque per renderla coerente e perfettamente rappresentativa del presupposto effettivamente realizzato.
Oggi ,secondo un orientamento giurisprudenziale assolutamente consolidato,la dichiarazione non viene più considerata come una manifestazione negoziale,bensì come una
mera dichiarazione di scienza,ossia come una comunicazione con la quale si rappresenta al fisco la dimensione quantitativa e qualitativa del presupposto.
Gli effetti della dichiarazione,di conseguenza,non sono negoziali,non derivano dalla dichiarazione,ma derivano dalla legge.
Sono fatti salvi alcuni limitati effetti negoziali,laddove vi siano ad esempio delle scelte,in punto di concorso in un'unica soluzione o in più rate di un componente di
reddito,queste scelte sono certamente scelta negoziali. Ad esempio,se cedo un bene strumentale e realizzo una plusvalenza imponibile,nel senso che realizzo un plusvalore dalla
vendita rispetto al costo di acquisto,posso scegliere se far concorrere questo plusvalore nell'anno del realizzo,ovvero in più rate. Ecco,la scelta per la rateazione del componente positivo
realizzato rappresenta una scelta negoziale.
Al di là di queste limitate ipotesi in cui sono presenti delle scelte e quindi degli effetti negoziali,la dichiarazione non è una manifestazione negoziale,ma una mera
manifestazione di scienza,volontaria,ma non negoziale.
Tale natura di dichiarazione di scienza esclude,ad esempio,l'applicazione della disciplina civilistica sui vizi della volontà.
Le conseguenze della ricostruzione della dichiarazione come manifestazione di scienza e non come manifestazione di volontà si ritrovano soprattutto nel fatto che,la
dichiarazione,in quanto manifestazione di scienza,è liberamente rettificabile e modificabile dal contribuente sia in aumento che in diminuzione per renderla conforme al
dettato legislativo .

2.2- LE TIPOLOGIE DI DICHIARAZIONE ED I SOGGETTI OBBLIGATI


-DICHIARAZIONE DEI REDDITI:
La dichiarazione dei redditi soggetti ad IRPEF,ossia all'imposta sui redditi delle persone fisiche,deve essere presentata,secondo l'art. 1 del d.p.r. 600 /1973,da ogni soggetto che,nel
periodo d'imposta ,abbia posseduto redditi.
Vi sono delle regole che fungono da corollari a quanto disposto,ossia che:
→ la dichiarazione deve essere presentata anche se dai redditi che si dichiarano non consegue alcun debito d'imposta e quindi alcun obbligo di versamento
→ i soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili,quali imprenditori e lavoratori autonomi,devono presentare annualmente la dichiarazione,anche se non hanno prodotto redditi.
→ non devono presentare la dichiarazione i soggetti ,non obbligati alla tenuta delle scritture contabili,che possiedono soltanto redditi esenti,redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di
imposta ,redditi fondiari inferiori ad un dato importo o redditi di ammontare inferiore al minimo vitale
Rientrano dunque nella macro-categoria della dichiarazione dei redditi:
→ la dichiarazione dei redditi delle persone fisiche: le persone fisiche sono soggette all'IRPEF,ossia all'imposta sul reddito delle persone fisiche. Va osservato,in merito,che qualora le
persone tenute alla presentazione della dichiarazione siano incapaci,la presentazione della dichiarazione dovrà essere effettuata dal loro rappresentante legale e che,qualora vi siano più
soggetti obbligati alla presentazione della stessa dichiarazione,la presentazione della dichiarazione fatta da uno libererà anche gli altri.
→ la dichiarazione dei redditi delle società di persone: le società di persone hanno l'obbligo di versamento dell'IRES,ossia dell'imposta sul reddito delle società ,nonchè dell'IRAP,ossia
dell'imposta regionale sulle attività produttive, e devono presentare una dichiarazione dei redditi unica,che verrà poi incrociata con quella personale del singolo socio ai fini del calcolo
dell'IRPEF cui quest'ultimo è soggetto.
→ la dichiarazione dei redditi delle persone giuridiche: le società di capitali,i soggetti a queste assimilate,nonchè le società e gli enti non residenti in Italia (con riferimento ai redditi ivi
prodotti) devono presentare la dichiarazione dei redditi ai fini del calcolo dell'IRES,ossia dell'imposta sul reddito delle società, e dell'IRAP,ossia dell'imposta regionale sulle attività produttive
→ dichiarazione dei sostituti d'imposta: i sostituti d'imposta sono tenuti a presentare una dichiarazione dalla quale risultino le somme ed i valori corrisposti e le ritenute effettuate.
Riguardo alle ritenute a titolo di acconto,devono essere indicate le generalità dei percipienti,a differenza dei casi di ritenute a titolo di imposta
→ dichiarazioni nei casi di operazioni straordinarie e nei casi di crisi dell'impresa: nei casi di crisi dell'impresa,ossia nei casi di liquidazione di società o enti soggetti all'ires,di società
di persone o di imprese individuali,il liquidatore è tenuto a presentare una dichiarazione dei redditi relativa ai redditi percepiti dall'inizio del periodo d'imposta fino al momento di messa in
liquidazione della società (deve essere trasmessa entro 9 mesi dalla deliberazione di messa in liquidazione). Nel caso invece di operazioni straordinarie,quali trasformazioni,fusioni o
scissioni di società,deve essere presentata una dichiarazione dei redditi percepiti dall'inizio del periodo d'imposta fino alla data di deliberazione dell'operazione straordinaria.
In merito al contenuto della dichiarazione dei redditi,possiamo osservare che gli elementi che devono essere necessariamente contenuti da tale dichiarazione,prescindendo dalle
differenziazioni relative ai soggetti obbligati,sono i seguenti:
→ indicazione degli elementi attivi e passivi necessari per la determinazione degli imponibili secondo le norme che disciplinano le imposte stesse (ex art. 1 del dpr 600/1973)
→ elementi necessari per determinare l'imposta dovuta e la somma da versare,quali oneri deducibili,imposta lorda,detrazioni dall'imposta,l'imposta netta, le ritenute e i
versamenti d'acconto,i crediti d'imposta ed il saldo finale (ossia la somma da versare oppure la somma a credito)
→ scelta del regime di contabilità,scelta tra rimborso e riporto a nuovo dei crediti d'imposta,opzione in materia di tassazione separata
Relativamente alla forma in cui deve essere presentata la dichiarazione dei redditi,possiamo dire che la dichiarazione deve essere redatta,a pena di nullità,utilizzando il modello,cartaceo o
telematico,approvato annualmente dall'amministrazione finanziaria e tale modello deve essere sottoscritto dal contribuente oppure dal legale rappresentante,pena la nullità della stessa
(nullità sanabile se la sottoscrizione è apposta entro 30 giorni da quando l'ufficio invita a sottoscrivere). Per i lavoratori dipendenti e per i pensionati,la cui situazione reddituale non sia
complessa,è possibile presentare il cd. MODELLO 730,che consiste in una dichiarazione semplificata. Infine,per i contribuenti che abbiano un periodo d'imposta coincidente con l'anno
solare,è possibile presentare la dichiarazione unificata annuale(cd. MODELLO UNICO),che consiste in un atto a contenuto plurimo,che ingloba la dichiarazione dei redditi,dell'IRAP,dell'IVA e
del sostituto d'imposta.
Quanto alla trasmissione della dichiarazione dei redditi,va detto che la dichiarazione deve essere trasmessa al fisco in via telematica o direttamente dal contribuente,oppure per il tramite
di intermediari abilitati,quali professionisti,CAAF e altri) ed in capo al contribuente è posto l'obbligo di conservare la versione cartacea,da esibire in caso di controlli.
Da ultimo,occorre osservare che la dichiarazione dei redditi deve essere presentata entro termini ben definiti:
→ con riferimento alle dichiarazioni irpef ed irap,quindi relative all'imposta sui redditi delle persone fisiche ed all'imposta regionale sulle attività produttive,le stesse devono
essere presentate normalmente entro il 30 settembre dell'anno successivo al periodo d'imposta di riferimento . Va osservato che le persone fisiche,non obbligate alla tenuta delle
scritture contabili,qualora propendano per la presentazione cartacea della dichiarazione a mezzo di banca o di ufficio postale,dovranno presentare la dichiarazione tra il 1 maggio ed il 30
giugno.
→ con riferimento alle dichiarazioni IRES,ossia relative all'imposta sui redditi delle società,le stesse devono essere presentate entro il nono mese successivo alla chiusura del
periodo d'imposta
-DICHIARAZIONE IVA:
La dichiarazione iva ,o dichiarazione relativa all'imposta sul valore aggiunto,deve essere presentata,in via telematica ed in conformità al modello amministrativo predisposto,tra il 1
febbraio ed il 30 aprile di ogni anno,ai fini della liquidazione dell'iva dovuta per l'anno solare precedente.
La dichiarazione annuale dell'iva deve essere presentata da tutti i soggetti passivi iva,anche qualora non abbiano registrato operazioni imponibili; non sono invece tenuti alla
presentazione di tale dichiarazione i contribuenti che ,nell'anno solare precedente,abbiano registrato soltanto operazioni esenti.
La dichiarazione iva è redatta in base alle registrazioni effettuate nel periodo d'imposta,indicando l'ammontare delle operazioni imponibili e delle relative imposte,l'ammontare degli acquisti e delle
importazioni con le relative imposte ,l'ammontare delle somme versate ed il saldo finale (credito d'imposta o debito d'imposta).
-DICHIARAZIONE DELL'IMPOSTA DI REGISTRO:
La dichiarazione in questo caso occupa un importanza ridotta poiché gli elementi da portare a conoscenza del fisco sono generalmente racchiusi nell'atto da registrare.
La dichiarazione non è quindi un atto autonomo: nella presentazione dell'atto per la registrazione è implicita la dichiarazione che il presupposto di imposta è quello emergente
dall'atto da registrare.
Le richieste di registrazione per gli immobili possono essere presentati in via telematica auto liquidando il tributo. L accertamento di una maggiore imposta avviene sempre in
via telematica.

2.3- LA RETTIFICA DELLA DICHIARAZIONE ED IL RAVVEDIMENTO OPEROSO


-RETTIFICA DELLA DICHIARAZIONE:
Le conseguenze della ricostruzione della dichiarazione come manifestazione di scienza e non come manifestazione di volontà si ritrovano soprattutto nel fatto che,la dichiarazione,in
quanto manifestazione di scienza,è liberamente rettificabile e modificabile dal contribuente, sia in aumento che in diminuzione ,per renderla conforme al dettato legislativo .
Ricordando che l'obbligazione tributaria è un'obbligazione che nasce ex lege e che nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge ex art. 23 cost., ne discende che il
contribuente deve realizzare il presupposto nella dimensione qualitativa e quantitativa individuata dal legislatore,per cui,qualora il contribuente abbia realizzato un presupposto che non è previsto
dal legislatore,oppure quando abbia indicato la realizzazione di un presupposto in misura eccessiva rispetto a quanto effettivamente realizzato,il contribuente ha la facoltà di rettificare la
dichiarazione dei redditi e ciò tanto in aumento, che in diminuzione. Per fare un esempio,possiamo dire che il contribuente potrà rettificare la dichiarazione presentata ,sia per indicare,ad
esempio,le componenti di reddito che erroneamente non erano state indicate,sia per estromettere dalla dichiarazione dei componenti di reddito erroneamente indicati,oppure per modificare la misura in
cui tali componenti ,positivi o negativi,devono concorrere alla formazione della base imponibile.
Dunque,le dichiarazioni,una volta presentate dal contribuente all'amministrazione finanziaria,non possono essere revocate dal contribuente,ferma restando però la possibilità di
rettificarle,attraverso una nuova dichiarazione che prende il nome di dichiarazione integrativa.
-DICHIARAZIONE INTEGRATIVA IN AUMENTO:
Si ha dichiarazione integrativa in aumento quando il contribuente,al momento della presentazione della dichiarazione (dei redditi,dell'IRAP,dei sostituti d'imposta o dell'IVA),
abbia rilevato la presenza di errori od omissioni che abbiano portato ad un'indicazione della base imponibile minore,ad una quantificazione del presupposto d'imposta in
misura minore rispetto al presupposto effettivamente realizzato,con un conseguente minor debito d'imposta calcolato,sicchè il contribuente,per rimediare a tali errori e/o
omissioni, presenta una dichiarazione integrativa (della precedente),indicando un maggior imponibile,una maggior imposta o un minor credito. Dunque si parla di
dichiarazione integrativa in aumento per indicare la presentazione di una nuova dichiarazione che integri le componenti omesse,o che ponga rimedio agli errori commessi
nella precedente dichiarazione, ricalcolando in aumento la base imponibile,l'ammontare dell'imposta o il minor credito d'imposta .
La disciplina della dichiarazione integrativa in aumento si ritrova nel d.p.r. 322/1998,il quale dispone che il contribuente può presentare una dichiarazione integrativa in aumento
entro il termine in cui l'amministrazione finanziaria può rettificare la dichiarazione attraverso la notifica di un atto di accertamento,ossia entro la fine del quinto anno
successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione da rettificare (quindi entro il termine di decadenza previsto per l'accertamento della relativa annualità).
È bene osservare che la dichiarazione integrativa in aumento può essere presentata nei suddetti termini anche qualora la violazione sia già stata constatata
dall'amministrazione finanziaria ed anche quando siano iniziati accessi,ispezioni e verifiche o altre attività di accertamento delle quali il contribuente abbia avuto formale
conoscenza .
Va altresì osservato che per l'ulteriore rettifica dei nuovi elementi dichiarati vi è un termine che decorre dalla data di presentazione della dichiarazione integrativa.
-RAVVEDIMENTO OPEROSO:
Il ravvedimento operoso è un istituto,disciplinato dall'art. 13 del d.lgs. 472/1997,che consente al contribuente (debitore verso il fisco) di ravvedersi,nel caso di presentazione di una
dichiarazione infedele ,correggendo la dichiarazione originaria e dunque dichiarando redditi ulteriori rispetto a quelli già dichiarati,eseguendo pagamenti omessi o eseguiti in misura
insufficiente e assolvendo ,eventualmente,altri adempimenti che il contribuente avrebbe dovuto effettuare in precedenza.
Dunque,qualora il contribuente abbia presentato una dichiarazione integrativa in aumento ed abbia provveduto al pagamento spontaneo del debito d'imposta dovuto e degli interessi su
tale somma,egli potrà beneficiare,proprio in ragione di questo istituto,di un effetto premiale,consistente in una riduzione delle sanzioni altrimenti irrogabili da parte dell'Amministrazione
finanziaria. Tale riduzione delle sanzioni è tanto maggiore quanto più breve è il tempo intercorso tra la violazione fiscale e la sua successiva regolarizzazione mediante ravvedimento. Non
a caso il legislatore ha previsto in merito diversi scaglioni temporali,a ciascuno dei quali corrisponde una diversa e via via minor quota di abbattimento della sanzione:
→ ravvedimento sprint: nei casi di mancato pagamento del tributo o di un acconto,se esso viene eseguito entro 15 giorni dalla data in cui il pagamento avrebbe dovuto essere
effettuato,la sanzione è ridotta ad 1/15 del minimo per ciascun giorno di ritardo,senza contare che la stessa,oltre a tale abbattimento,viene ulteriormente ridotta ad 1/10.
→ ravvedimento breve: nei casi di mancato pagamento del tributo o di un acconto, se esso viene eseguito entro 30 giorni dalla data in cui il pagamento avrebbe dovuto essere effettuato,
la sanzione è ridotta ad 1/10 del minimo (art. 13, lett. a), D.Lgs. 472/1997);
→ ravvedimento intermedio o trimestrale: nei casi in cui la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo,
avviene entro 90 giorni dalla data dell'omissione o dell'errore, ovvero se la regolarizzazione delle omissioni e degli errori commessi in dichiarazione avviene entro 90 giorni dal termine per
la presentazione della dichiarazione in cui l'omissione o l'errore è stato commesso, la sanzione è ridotta ad 1/9 del minimo (art. 13, lett. a-bis), D.Lgs. 472/1997);
→ ravvedimento lungo o annuale: nei casi in cui la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro il
termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno nel corso del quale è stata commessa la violazione ovvero, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro 1 anno
dall'omissione o dall'errore, la sanzione è ridotta ad 1/8 del minimo (art. 13, lett. b), D.Lgs. 472/1997);
→ ravvedimento lunghissimo o biennale: nei casi in cui la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo,
avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno successivo a quello nel corso del quale è stata commessa la violazione ovvero, quando non è prevista
dichiarazione periodica, entro 2 anni dall'omissione o dall'errore, la sanzione è ridotta ad 1/7 del minimo (art. 13, lett. b-bis), D.Lgs. 472/1997);
→ ravvedimento ultra-biennale: nei casi in cui la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene oltre il
termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno successivo a quello nel corso del quale è stata commessa la violazione ovvero, quando non è prevista dichiarazione
periodica, oltre 2 anni dall'omissione o dall'errore, la sanzione è ridotta ad 1/6 del minimo (art. 13, lett. b-ter), D.Lgs. 472/1997);
→ ravvedimento su p.v.c.: nei casi in cui la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene dopo la
constatazione della violazione e prima che l'Amministrazione finanziaria abbia notificato il conseguente avviso di accertamento, la sanzione è ridotta ad 1/5 del minimo; questa ipotesi di
ravvedimento non è applicabile per le violazioni di cui all'art. 6, comma 3 (mancata emissione di ricevute fiscali, scontrini fiscale o documenti di trasporto) e art. 11, comma 5 (omessa
installazione del misuratore fiscale) del D.Lgs. 471/1997 (art. 13, lett. b-quater), D.Lgs. 472/1997);
→ ravvedimento a seguito di omessa dichiarazione: nei casi in cui la dichiarazione precedentemente omessa viene presentata con ritardo non superiore a 90 giorni o nei casi in cui la
dichiarazione periodica prescritta in materia di Iva precedentemente omessa viene presentata con ritardo non superiore a 30 giorni, la sanzione prevista per ciascuna delle due violazioni
è ridotta ad 1/10 del minimo (art. 13, lett. c), D.Lgs. 472/1997).
E' bene osservare che la nuova dichiarazione integrativa,con i benefici del ravvedimento operoso,può essere presentata ,sempre nel termine massimo di 5 anni dalla data di presentazione
della dichiarazione da rettificare,quando:
→ sia stato notificato un avviso di accertamento relativamente alla dichiarazione infedele,ossia recante errori od omissioni: nel qual caso,sarà necessario impugnare l'avviso di
accertamento entro i 60 giorni dalla data della notificazione,dal momento che ,qualora l'atto di accertamento divenisse inoppugnabile,sarebbe preclusa la possibilità di rettificare la
dichiarazione
→ non sia stato notificato un avviso di accertamento né vi sia attività istruttoria in corso da parte dell'amministrazione finanziaria
→ qualora sia iniziata l'attività istruttoria dell'amministrazione finanziaria ,ossia quando siano iniziati accessi ,ispezioni e verifiche: è bene osservare che ciò, a norma dell'art. 13 comma 1-
ter del d.lgs. 472/1997, vale soltanto per i tributi amministrati dall'Agenzia delle Entrate e dall'Agenzia delle Dogane e Monopoli
-DICHIARAZIONE INTEGRATIVA IN DIMINUZIONE:
Si ha dichiarazione integrativa in diminuzione,detta anche dichiarazione integrativa a favore (del contribuente), quando il contribuente,a causa di errori od omissioni presenti nella
dichiarazione precedentemente presentata,abbia indicato (e versato) un maggior debito d'imposta o un minor credito d'imposta rispetto a quanto previsto dal legislatore in relazione al
presupposto realizzato,sicchè il contribuente presenta una dichiarazione integrativa in diminuzione,in cui vengono ricalcolate correttamente le imposte dovute(minori rispetto a quelle
originariamente versate) e,eventualmente,il credito d'imposta (maggiore rispetto a quello originariamente dichiarato). La dichiarazione integrativa in diminuzione si risolve,in sostanza,in
un'istanza di rimborso dell'imposta erroneamente versata in eccesso.
La disciplina normativa della dichiarazione integrativa in diminuzione si ritrova nell'art. 2,comma 8bis del d.p.r. 322/1998.
La dichiarazione integrativa in diminuzione ,secondo la previsione originaria del d.p.r. 322/1998, doveva essere presentata entro i termini previsti per la presentazione di un'istanza di
rimborso dei tributi,ossia entro 48 mesi dalla data di presentazione della dichiarazione originaria (termini più brevi rispetto alla dichiarazione integrativa in aumento); tale disciplina dei termini è
stata sostanzialmente modificata dal d.l. 193/2016,che ,all'art. 5, ha previsto che si possano presentare dichiarazioni integrative in diminuzione entro( e non oltre) il termine concesso
all'amministrazione finanziaria per l'attività di accertamento,ossia entro la fine del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione da rettificare.
In merito alla dichiarazione integrativa in diminuzione,possiamo osservare che essa può aversi:
→ prima della notifica di un atto di accertamento,per cui,nel caso,l'ufficio dovrà attenersi alle correzioni,fermo restando l'esercizio dei suoi poteri in ordine ai valori modificati,ma con onere
probatorio a suo carico.
→ dopo la notifica di un atto di accertamento: nel caso,la rettifica della dichiarazione opera inevitabilmente in sede contenziosa,per cui sarà onere del contribuente dimostrare la fondatezza
della sua rettifica
→ nel caso di iscrizione a ruolo del debito d'imposta,la rettifica di un debito dichiarato ma non versato si può avere in questo caso soltanto impugnando il ruolo
Da ultimo,va detto che il credito derivante dalla dichiarazione integrativa in diminuzione dei redditi,può essere usato in compensazione,così come viene sancito dall'art. 2,comma 8bis del
d.p.r. 322/1998 . Stessa cosa dicasi nel caso di dichiarazione integrativa in diminuzione dell'IVA,secondo quanto disposto dall'art. 8,comma 6ter del d.p.r. 322/1998.

-PROBLEMI DELLE DICHIARAZIONI INTEGRATIVE:


Il d.p.r. 322/1998 prevede espressamente che ,nel termine di presentazione della dichiarazione, il contribuente,utilizzando modelli conformi a quelli originali,possa
rettificare,in aumento o in diminuzione,la dichiarazione dei redditi originariamente presentata,con l'avvertenza che la dichiarazione dei redditi in diminuzione si risolve
sostanzialmente in un'istanza di rimborso dell'imposta erroneamente versata in eccesso.
Questa ricostruzione deve tuttavia fare i conti con le preclusioni e le decadenze che qualificano la dinamica di applicazione dei tributi.
Per via di tali preclusioni e decadenze, non è consentito rettificare una dichiarazione in diminuzione,per correggere un debito d'imposta indicato in eccesso,oltre i termini
previsti,ad esempio,per la presentazione di un'istanza di rimborso,che sono gli stessi termini previsti per un'azione accertativa dell'amministrazione finanziaria.
Allo stesso modo non è possibile presentare una rettifica della dichiarazione laddove sia stata notificata una cartella di pagamento ,che non sia stata tempestivamente
impugnata(difatti si potrà ,per espressa previsione dell'art. 2 comma 8bis del d.p.r. 322/1998, sostanzialmente rettificare la dichiarazione presentata anche in caso di impugnazione della
cartella di pagamento notificata dall'amministrazione).
In altre parole,per fare un esempio, se l'amministrazione mi notifica una cartella di pagamento,io la impugno dinanzi alla commissione tributaria provinciale e potrò contestare la legittimità
della cartella di pagamento notificatami deducendo l'erroneità,l'illegittimità della dichiarazione da me originariamente presentata,ma è necessario che io faccia,tenga viva la cartella di
pagamento,il rapporto tributario. Nel caso invece in cui ,entro 60 giorni,non impugni la cartella di pagamento e quindi diventando definitivo il debito d'imposta ivi indicato,non potrò più
rettificare la dichiarazione.
Da ciò ne discende che la libera rettificabilità della dichiarazione,in aumento o in diminuzione,trova un limite nelle preclusioni e nelle decadenze che ordinariamente
caratterizzano la dinamica di applicazione dei tributi,sicchè (e questo vale in tutti i casi),una volta scaduto il termine per presentare istanza di rimborso dei tributi,oppure una
volta scaduto il termine per l'impugnazione degli atti impositivi notificati dall'amministrazione finanziaria,quindi divenuto inoppugnabile il debito d'imposta per effetto della
mancata impugnazione di manifestazione della pretesa impositiva notificata dall'amministrazione finanziaria,non potrò più rettificare la dichiarazione.

2.4- ,DICHIARAZIONE OMESSA,DICHIARAZIONE INFEDELE,DICHIARAZIONE INCOMPLETA


-DICHIARAZIONE NULLA:
Si ha dichiarazione nulla,ai fini dell'applicazione delle sanzioni amministrative,quando la dichiarazione non sia redatta secondo i modelli ministeriali,oppure nel caso in cui la dichiarazione
non sia sottoscritta.
Dal punto di vista dell'accertamento,la dichiarazione nulla è equiparata a quella omessa.
-DICHIARAZIONE OMESSA:
Si ha dichiarazione omessa ,ai fini dell'applicazione delle sanzioni amministrative( che vanno in questo caso dal 120% al 240 % dell'imposta dovuta),sia quando la dichiarazione non sia
stata affatto presentata,sia quando sia stata presentata oltre 90 giorni dalla scadenza,secondo quanto disposto dall'art. 2 comma 7 del d.p.r. 322/1998(prima dei 90 giorni si parla di
dichiarazione tardiva). Nel caso di dichiarazione omessa,dal punto di vista dell'accertamento,l'amministrazione finanziaria potrà emettere un accertamento d'ufficio e quindi accertare il reddito
globale delle persone fisiche con metodo sintetico piuttosto che analitico,il reddito d'impresa e da lavoro autonomo con metodo induttivo - extracontabile piuttosto che con metodo
analitico-contabile.
Va comunque tenuto conto del fatto che la dichiarazione omessa costituisce in ogni caso titolo,a favore dell'amministrazione finanziaria,per la riscossione degli importi ivi indicati.
-DICHIARAZIONE INFEDELE:
Si ha dichiarazione infedele,ai fini dell'applicazione delle sanzioni amministrative (che vanno dal 90 al 180% dell'imposta dovuta), quando un reddito netto non è indicato nel
suo esatto ammontare.
-DICHIARAZIONE INCOMPLETA:
Si ha dichiarazione incompleta quando sia stata omessa l'indicazione di una fonte reddituale. Si applicano qui le medesime sanzioni amministrative previste in caso di
dichiarazione infedele.

PARTE 6 – L'ATTIVITA' DI ACCERTAMENTO


PREMESSA
-FASE DI ACCERTAMENTO:
Con attività di accertamento,detta anche fase di accertamento,intendiamo far riferimento alla fase di attuazione del tributo (o della norma tributaria,del prelievo),che si inserisce tra la
presentazione della dichiarazione e la fase della riscossione.
È bene osservare che l'attività di accertamento,data la complessità e la variabilità procedimentale dell'attuazione dei tributi, può essere distinta in :
1)FASE DINAMICA: si fa qui riferimento al procedimento di accertamento,ossia al procedimento di imposizione,che presenta relative fasi e relativi atti
2)FASE STATICA: si fa qui riferimento all'atto di accertamento,inteso come atto conclusivo del procedimento di accertamento,con i relativi effetti( provvedimento amministrativo
motivato e firmato da un responsabile,notificato al contribuente,il quale avrà poi 60 giorni per impugnare il medesimo dinanzi alla commissione tributaria provinciale)
-PROCEDIMENTO DI ACCERTAMENTO:
Con procedimento di accertamento intendiamo far riferimento all'accertamento in senso dinamico,ossia a quel procedimento amministrativo,consistente in una pluralità di atti e di
fasi,susseguenti e diversi tra loro, preordinati allo stesso fine,ossia all'emanazione di un atto(o provvedimento ) amministrativo,quale l'avviso di accertamento.
Il ricorso alla nozione di procedimento vale a sottolineare l'impugnabilità dell'atto finale,ossia l'avviso di accertamento,per vizi degli atti intermedi,per cui anche per il sopravvenire di termini di decadenza
degli atti,collegati tra loro.
Certamente il procedimento di accertamento ingloba la sequenza che vede susseguirsi la presentazione della dichiarazione,il controllo della dichiarazione e l'emissione di un atto di
accertamento in rettifica,ma vi è una tale variabilità della sequenza procedimentale relativa all'attuazione dei tributi che,per comodità, divideremo il procedimento di accertamento in 3 fasi:
A) ATTIVITA' ISTRUTTORIA: si tratta dell'attività in cui si acquisiscono e si valutano tutti gli elementi capaci di giustificare la pretesa fiscale. Essa ,a sua volta,si scompone in attività di
controllo della dichiarazione ed in attività di indagine
B) ATTIVITA' DECISORIA: si tratta della fase deliberativa del procedimento,in cui si determina il contenuto e la tipologia dell'atto da adottare e si provvede alla formazione e
all'emanazione dello stesso
C)ATTIVITA' INTEGRATIVA DELL'EFFICACIA: consiste nell'attivazione delle procedure di notificazione dell'avviso di accertamento al contribuente
[SCHEMA RIEPILOGATIVO DEL PROCEDIMENTO DI ATTUAZIONE DEI TRIBUTI]
1)PRESENTAZIONE DELLA DICHIARAZIONE A) ATTIVITA' ISTRUTTORIA:
Sub a) attività di controllo della dichiarazione
Sub b) poteri di accesso,ispezioni e verifiche

B) ATTIVITA' DECISORIA:
2) ATTIVITA' DI
ATTUAZIONE DEI TRIBUTI ACCERTAMENTO
Sub a)metodi di accertamento
Sub b) formazione e tipologie degli atti di accertamento

3)ATTIVITA' DI RISCOSSIONE
C) ATTIVITA' INTEGRATIVA DELL'EFFICACIA:
Notifica dell'avviso di accertamento al contribuente

CAPITOLO 1- L'ATTIVITA' ISTRUTTORIA


1.1- L'ATTIVITA' ISTRUTTORIA IN GENERALE
-ATTIVITA' ISTRUTTORIA:
Con attività istruttoria si intende il complesso di tutte le attività esperibili dall'amministrazione finanziaria al fine di controllare la posizione del contribuente. Essa si sostanzia dunque in
un'attività prodromica rispetto alla notifica di un avviso di accertamento.
Dunque l'amministrazione finanziaria,supportata dalla Guardia di Finanza,la quale potrà agire autonomamente o su richiesta della stessa amministrazione finanziaria, potrà svolgere
attività volta alla conoscenza dei fatti ed alla verifica della correttezza del comportamento del contribuente.
L'attività istruttoria svolta dagli uffici dell'amministrazione finanziaria,con la cooperazione eventuale della Guardia di Finanza, è volta dunque alla conoscenza di fatti ed al reperimento di
prove,accostandosi,in relazione a tale finalità, all'istruttoria presente nel diritto processuale penale. Non a caso infatti, tale conoscenza di fatti e tale reperimento di prove possono avere ad
oggetto anche dei veri e propri delitti,sanzionati penalmente ai sensi del D. lgs. 74/2000.
E' bene sottolineare che l'attività istruttoria svolta dall'amministrazione finanziaria,in collaborazione eventuale con la Guardia di Finanza,deve rispondere ai seguenti principi costituzionali:
→ principio di legalità ex art. 23 Cost.: l'amministrazione finanziaria e la Guardia di Finanza,che nell'ambito dell'attività istruttoria hanno gli stessi poteri,possono svolgere soltanto attività
investigative e attività di controllo espressamente previste dalla normativa tributaria,da che ne discende la tassatività degli atti e delle attività che l'amministrazione finanziaria,così come la
Guardia di Finanza, può porre in essere
→ principi di efficienza,economicità e trasparenza di cui all'art. 97 Cost.
→ principio in virtù del quale il contribuente deve essere preventivamente determinato: da ciò discende che non si può realizzare un'attività istruttoria che non abbia ad oggetto un
contribuente individuato preventivamente,sicchè sono esclusi i controlli indiscriminati o a tappeto
La disciplina normativa dell'attività istruttoria è contenuta in poche norme ,essenzialmente negli artt. 36Bis,36ter e 32 del d.p.r. 600/1973 e nell'art. 52 comma 2 d.p.r. 633/1972 che
disciplina l'imposta sul valore aggiunto,nonchè nei richiami a tali norme,tra i quali ,essenzialmente, ricordiamo il rinvio alla disciplina dell'attività istruttoria contenuta nell'art. 53Bis del
d.p.r. 131/1986 ai fini dell'imposta di registro,laddove viene espressamente disposto che nell'attività di controllo della corretta applicazione dell'imposta di registro,così come dell'imposta ipotecaria e
catastale,l'agenzia delle entrate potrà avvalersi degli stessi poteri riconosciuti dagli artt. 32 e 52 prima indicati ai fini delle imposte sui redditi e dell'iva.
Fondamentalmente,possiamo dire che l'attività istruttoria comprende 3 tipologie di controllo (non consequenziali e non per forza necessitate):
1)la liquidazione automatica della dichiarazione ex art. 36bis del d.p.r. 600/1973 :nell'ipotesi della liquidazione automatica ex art. 36bis ci si trova di fronte ad un controllo
automatico ed interno alla stessa dichiarazione dei redditi e si verifica se il contribuente non ha ad esempio ecceduto dei limiti normativi previsti per la deduzione e per la detrazione di
talune spese
2)il controllo formale della dichiarazione ex art. 36ter del d.p.r. 600/1973:il controllo formale ex art. 36ter è un controllo sempre semplificato,ma che consente
all'amministrazione finanziaria di richiedere documenti al contribuente e quindi di operare un raffronto,di verificare la correttezza della dichiarazione non soltanto con un
controllo infratestuale,ma anche confrontando la dichiarazione con documenti esterni alla stessa,ad esempio, con le dichiarazioni dei sostituti d'imposta o con le dichiarazioni
rilasciate da terzi come banche,intermediari finanziarie e compagnie assicurative.
3)il controllo sostanziale

1.2- LA LIQUIDAZIONE AUTOMATICA DELLA DICHIARAZIONE ED IL CONTROLLO FORMALE DELLA DICHIARAZIONE


-LIQUIDAZIONE AUTOMATICA DELLA DICHIARAZIONE:
Con liquidazione automatica della dichiarazione si intende far riferimento ad un controllo automatico,automatizzato , che ha ad oggetto tutte le dichiarazioni presentate ai fini delle imposte
sui redditi ed ai fini dell'imposta sul valore aggiunto. La liquidazione automatica della dichiarazione è disciplinata dall'art. 36Bis del d.p.r. 600/1973 con riferimento alle dichiarazioni ai fini
delle imposte sui redditi e dall'art. 54Bis del d.p.r. 633/1972 con riferimento alle dichiarazioni ai fini dell'imposta sul valore aggiunto(IVA).
Fondamentalmente,attraverso la liquidazione automatica della dichiarazione,vengono esaminati i dati dichiarati dal contribuente,verificando ed eventualmente rettificando gli errori formali
e di calcolo inerenti alla determinazione quantitativa dell'imposta e dei rimborsi spettanti in base alla stessa dichiarazione.
Quanto alle caratteristiche di tale liquidazione automatica della dichiarazione,possiamo dire che essa è:
→ un controllo necessitato: la liquidazione della dichiarazione sulla base di procedure automatizzate si è resa necessaria per via della fiscalità di massa che caratterizza il nostro
sistema,ossia per l'elevato numero dei contribuenti ed il conseguentemente elevato numero delle dichiarazioni presentate. Proprio a causa di tale fiscalità di massa,sarebbe impossibile un
controllo in senso stretto e tecnico di tutti i contribuenti,ossia un controllo che presupponga un'attività ricognitiva e un'attività di risoluzione di questioni di fatto e di diritto
→ un controllo che investe tutte le dichiarazioni presentate ai fini delle imposte sui redditi ed ai fini delle imposte sul valore aggiunto (a differenza del controllo formale della
dichiarazione ex art. 36ter d.p.r. 600/1973):Questa liquidazione formale ha ad oggetto,ovviamente,la dichiarazione presentata,ma va osservato che tale metodologia di liquidazione è
stata estesa anche alla tempestività dei versamenti da fare in acconto o a saldo,per cui la stessa non riguarda solamente la regolarità formale della dichiarazione,ma
investe ,piuttosto,anche la tempestività e correttezza dei versamenti fatti dal contribuente. Fondamentalmente,attraverso tale procedura,si raffronta la dichiarazione con i dati in
possesso dell'anagrafe tributaria e , qualora vi sia una discordanza tra i dati in possesso dell'anagrafe tributaria e quanto indicato dal contribuente in sede di dichiarazione,la
procedura rettifica,in parte, la dichiarazione.
→ un controllo automatico ,automatizzato: la liquidazione automatica della dichiarazione consiste in un controllo che si svolge attraverso procedure automatizzate,che non
presuppongono un'attività ricognitiva o un'attività di risoluzione di questioni di fatto e di questioni di diritto(la dottrina l'ha definita come una metodologia di controllo formale,ma si tratta di
un'espressione che non deve essere confusa con il controllo formale della dichiarazione ex art. 36ter del d.p.r. 600/1973). Questa procedura di liquidazione non può essere di conseguenza
adottata quando,ai fini della contestazione della legittimità della dichiarazione,sia necessario operare delle valutazioni giuridiche. Possiamo in merito fare degli esempi: laddove si contesti
la fondatezza della dichiarazione,sulla base ad esempio,dell'interpretazione di una norma,l'amministrazione non potrà limitarsi ad effettuare una liquidazione automatica della dichiarazione
ai sensi degli art. 36bis del d.p.r. 600/1973 e 54bis del d.p.r. 633/1972; allo stesso modo,qualora sia necessario ricostruire, ad esempio,il significato di una norma,o farne un'applicazione
particolare e complessa ad una fattispecie concreta,occorrerà notificare al contribuente un avviso di accertamento in senso stretto.
Dunque questa metodologia di controllo,proprio perché svolta sulla base di procedure automatizzate,non può certo essere utilizzata laddove si debba fare interpretazione di norme,poichè
in quel caso servirà svolgere un'istruttoria più approfondita e dovrà esporsi,nell'atto di accertamento conseguente ,la motivazione sulla cui base si è operata la contestazione in
considerazione.
→ è un controllo formale ed interno alla dichiarazione:con ciò si intende dire che la procedura corregge eventuali errori commessi in sede di detrazioni operate dall'imposta ed in sede
di deduzioni operate dalla base imponibile,nell'ipotesi in cui queste operazioni siano state fatte eccedendo rispetto alle misure previste dalla legge. Per fare un esempio,se un contribuente
ha detratto dall'imposta dovuta una spesa medica in misura superiore a quella prevista da legge,che normalmente è il 19% della spesa sostenuta,la procedura rettifica la dichiarazione
o,per meglio dire,avvisa il contribuente dell'errore commesso e lo invita a produrre eventuali chiarimenti.
→ è una sequenza giuridicamente qualificata: si tratta di una procedura che si caratterizza ,secondo la giurisprudenza di legittimità,per una serie di fasi collegate da vincoli
giuridicamente rilevanti,con la conseguenza che,qualora venisse a mancare una delle fasi del procedimento e tale procedimento si concludesse con la notifica di una cartella di pagamento,
tale cartella di pagamento potrebbe ,una volta impugnata,rivelarsi illegittima proprio perché non è stata preceduta da fasi procedimentali disposte dal legislatore.
Nel dettaglio,attraverso la liquidazione della dichiarazione, l'amministrazione finanziaria opera un raffronto tra i dati dichiarati e i dati tratti dall'anagrafe tributaria e procede a :
→ correggere gli errori materiali e di calcolo commessi dai contribuenti nella determinazione degli imponibili,delle imposte , e nel riporto delle eccedenze delle imposte derivanti da
precedenti dichiarazioni
→ ridurre le detrazioni d'imposta,le deduzioni dal reddito e i crediti d'imposta indicati in misura superiore a quella prevista dalla legge o non spettanti sulla base di quanto dichiarato
→ controllare che i versamenti siano tempestivi e corrispondenti a quanto dichiarato
La liquidazione automatica della dichiarazione deve essere eseguita entro l'inizio del periodo di presentazione delle dichiarazioni dell'anno successivo,ma tale termine,così come
stabilito,con norma di interpretazione autentica, dall'art. 28 della L. 449/1997, costituisce un termine meramente ordinatorio ,con ciò intendendo che lo stesso non è posto a pena di nullità
dall'ordinamento (stessa cosa dicasi in merito al termine per il controllo formale ex art. 36ter del d.p.r. 600/1973) .
E' bene osservare che al termine di tale procedura di controllo,possono esservi due differenti risultati:
→ il controllo può avere esito positivo per il contribuente: con ciò si intende che il controllo non ha portato risultanze differenti rispetto ai dati dichiarati e non vi è la formazione di atto
alcuno
→ il controllo può avere esito negativo per il contribuente: in questo caso il controllo ha portato a risultati differenti rispetto ai dati dichiarati,sicchè il contribuente verrà invitato,tramite il
cd. Avviso bonario,a versare la maggior imposta liquidata
Particolarmente rilevante è il caso in cui il controllo operato mediante la liquidazione automatica abbia dato delle risultanze diverse rispetto ai dati dichiarati dal contribuente.
Il contribuente,in questo caso,verrà invitato,attraverso il cd. Avviso bonario, a versare la maggiore imposta liquidata.
Se il contribuente versa la maggior imposta liquidata,egli evita l'iscrizione a ruolo e le sanzioni vengono ridotte ad 1/3 .
Diversamente,se il contribuente,a seguito dell'avviso bonario,non procede a versare la maggior imposta liquidata, egli verrà iscritto a ruolo,ricevendo quindi la notifica di una cartella di
pagamento (è il primo atto inerente la riscossione,con cui si manifesta la pretesa impositiva),comprensiva delle sanzioni. Proprio in tal ultimo caso opera un termine di decadenza per la
notifica della cartella di pagamento,che dovrà aversi entro la fine del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione.

-CONTROLLO FORMALE DELLA DICHIARAZIONE:


Il controllo formale della dichiarazione,disciplinato dall'art. 36Ter del d.p.r. 600/1973,si configura come una forma di controllo della dichiarazione ben più complessa rispetto
alla liquidazione automatica poc'anzi esaminata,dal momento che tale controllo viene svolto operando un raffronto anche con elementi esterni alla dichiarazione,nonchè con
elementi in possesso del contribuente.
In particolare,per quanto riguarda le caratteristiche tipiche di tale controllo formale ,possiamo dire quanto segue:
→ tale controllo viene fatto sulla base di criteri selettivi e quindi non colpisce tutte le dichiarazioni presentate dai contribuenti: i criteri selettivi traggono origine da
un atto di indirizzo del MEF,che,successivamente,vengono attuati e concretizzati nelle linee guida predisposte dalle agenzie fiscali e dalla guardia di finanza. Dunque ,sulla
base quindi dell'atto di indirizzo del ministero dell'economia e delle finanze e delle successive linee guida per l'attività operativa degli uffici elaborate sia dalle agenzie
fiscali ,sia dalla guardia di finanza,alcuni soggetti,o meglio, alcune categorie di soggetti ,nell'ambito delle liste selettive e dei criteri guida così elaborati,vengono ad essere
assoggettati a controllo ed in prima battuta al controllo formale della dichiarazione.
Le linee guida elaborate dagli uffici andranno ad individuare determinate categorie di contribuenti e dunque determinate categorie di attività più soggette ad evasione,che
verranno sottoposte a tale controllo
→ il controllo formale delle dichiarazione si svolge operando dei riscontri tra i dati presenti nella dichiarazione ed elementi esterni ad essa: non si tratta qui di
raffrontare la dichiarazione con elementi interni alla dichiarazione stessa e con elementi desumibili dai dati provenienti dall'anagrafe tributaria, quanto piuttosto di raffrontare i
dati presenti nella dichiarazione con le certificazioni rilasciate dagli istituti di credito,con le certificazioni delle assicurazioni per quanto riguarda gli interessi passivi pagati dal
contribuente e per quanto riguarda i premi per l'assicurazione sulla vita e sugli infortuni pagati dal contribuente,con le certificazioni dei contributi previdenziali ed assistenziali
pagati e ,da ultimo, con documenti in possesso del contribuente che non siano stati allegati alla dichiarazione.
Possiamo fare degli esempi in merito. È evidente che se il contribuente,ad esempio,ha dedotto degli interessi passivi maturati con il mutuo sulla prima casa e l'entità degli
interessi passivi dedotti dalla propria base imponibile non trova riscontro nella certificazione rilasciata dal corrispondente istituto di credito,l'amministrazione potrà rettificare in
parte la dichiarazione. Stessa cosa dicasi per eventuali contributi per premi assicurativi per assicurazioni sulla vita o contro gli infortuni: quanto indicato dal contribuente in
dichiarazione,ai fini della deduzione dei relativi importi o detrazioni dall'imposta,dovrà trovare corrispondenza nelle certificazioni rilasciate dagli enti assicurativi o previdenziali.
→ l'art. 36Ter del d.p.r. 600/1973 dispone espressamente che la richiesta al contribuente,da parte dell'amministrazione finanziaria, di dati già in possesso
dell'amministrazione medesima,sono inefficaci: tali richieste di documenti ,nonchè tali richieste di chiarimenti relative a dati già in possesso dell'amministrazione finanziaria
sono considerate come inefficaci,non potendo dunque comportare alcuna preclusione nei confronti del contribuente,nè alcuna risposta in termini sanzionatori da parte
dell'ordinamento.
Se l'amministrazione ha la possibilità di desumere,ad esempio, con la banca dati a sua disposizione,ossia con l'anagrafe tributaria,i dati richiesti al contribuente,tali richieste al
contribuente sono da considerarsi inefficaci e non possono giustificare in alcun modo la risposta in termini sanzionatori o decadenziali a carico del contribuente. Dunque, le
richieste di chiarimenti aventi ad oggetto dati già a disposizione dell'amministrazione sono da considerarsi totalmente inefficaci in virtù dell'espresso disposto normativo.
→ si tratta di un procedimento snello ed informale,essendo prevista una forma di contraddittorio eventuale in virtù della quale il contribuente,così come il sostituto
d'imposta,può essere invitato,anche telefonicamente o via e-mail,a fornire la documentazione necessaria ai fini del controllo ,nonchè a fornire chiarimenti
→ il controllo formale della dichiarazione deve essere svolto dall'amministrazione finanziaria entro il 31 Dicembre del secondo anno successivo a quello di
presentazione della dichiarazione: così come nel caso della liquidazione automatica della dichiarazione,si tratta di un termine ordinatorio,che non è dunque previsto a pena
di nullità dall'ordinamento
→ Il controllo formale della dichiarazione ex art. 36ter del d.p.r. 600/1973 non pregiudica l'ulteriore attività di controllo ordinario ai sensi degli artt. 37 ss. Del d.p.r.
600/1973,di cui in seguito parleremo.
In sede di controllo formale della dichiarazione ex art. 36ter del d.p.r. 600/1973,l'amministrazione finanziaria procede a :
→ escludere lo scomputo delle ritenute d'acconto non documentate
→ escludere le detrazioni d'imposta non spettanti in base ai documenti richiesti ai contribuenti o agli elenchi,riguardanti gli oneri deducibili,comunicati all'Anagrafe tributaria da
banche ,assicurazioni ed altri enti
→ escludere le deduzioni dal reddito non spettanti in base ai documenti richiesti ai contribuenti o agli elenchi comunicati all'Anagrafe
→ quantificare i crediti d'imposta spettanti in base ai dati risultanti dalle dichiarazioni eed in base ai documenti richiesti ai contribuenti
→ liquidare la maggiore imposta dovuta sul reddito delle persone fisiche ed i maggiori contributi dovuti sull'ammontare complessivo dei redditi risultanti da più dichiarazioni o
certificati,presentati per lo stesso periodo d'imposta dal medesimo contribuente
→ correggere gli errori materiali e di calcolo contenuti nelle dichiarazioni dei sostituti d'imposta
Possiamo fare degli esempi. Se il contribuente,per errore,indica in dichiarazione ,a scomputo del proprio reddito d'imposta,un ammontare di ritenute operate dalla propria controparte ,che
opera come sostituto d'imposta,un ammontare di ritenute che non trova rispondenza formale nella certificazione rilasciata dal predetto istituto,l'ammontare delle ritenute sarà rideterminato
dall'amministrazione sulla base della certificazione rilasciata dal sostituto d'imposta,naturalmente ove questa sia corretta. Così,allo stesso modo ,l'amministrazione potrebbe ,ad esempio,
disconoscere delle detrazioni,operate dal contribuente dal proprio debito d'imposta,in relazione a spese sanitarie non risultanti nell'ammontare indicato dalla documentazione esibita al
controllo. Il contribuente potrebbe dedurre il 19% delle spese mediche sostenute dal proprio debito d'imposta,ma ,se ad esito dal controllo ,si riscontra che le spese sostenute ed indicate
dal contribuente sono esuberanti rispetto a quelle risultanti dalla documentazione ,dalle fatture e dalla certificazione esibita,l'amministrazione escluderà in parte le spese sanitarie detratte
dal proprio debito d'imposta. Allo stesso modo,nell'ambito di questa procedura di controllo formale, l'amministrazione potrà correggere errori materiali o di calcolo. Non necessariamente vi
deve essere mala fede del contribuente e si tratta di un controllo di tipo oggettivo e quindi la riconduzione a legge della dichiarazione avviene a prescindere dallo stato soggettivo del
contribuente, se indicato l'ammontare delle ritenute è esuberante rispetto a quello risultante dalla certificazione rilasciata,l'eccesso sarà escluso dal concorso al debito d'imposta del
contribuente. Dunque si ha una correzione degli errori materiali o di calcolo commessi dal contribuente,operando un raffronto tra i dati indicati in dichiarazione e le certificazioni rilasciate da
istituti di credito,enti previdenziali,assicurazioni,ma non soltanto.
Per quanto concerne l'esito del procedimento,possiamo dire che:
→ in caso di esito positivo per il contribuente,quindi di alcuna irregolarità riscontrata,non vi sarà l'emissione di alcun avviso di accertamento in rettifica o di alcuna
cartella di pagamento
→ in caso di esito negativo per il contribuente,ossia qualora l'ufficio abbia riscontrato delle irregolarità,procedendo quindi alla rettifica degli imponibili o degli altri
dati dichiarati,il risultato del controllo formale deve essere comunicato al contribuente (o al sostituto d'imposta) mediante avviso bonario. Nell'avviso bonario devono essere
indicate le motivazioni che hanno dato luogo alla rettifica degli imponibili o di altri dati dichiarati,con l'invito ,per il contribuente,a fornire chiarimenti o documentazione ritenuta
necessaria dall'ufficio,nonchè con l'invito ,per il contribuente, a versare la maggior imposta così liquidata, il tutto entro 30 giorni dal ricevimento dell'avviso bonario medesimo.
È bene osservare,da ultimo,che qualora il contribuente,a seguito dell'avviso bonario,versi la maggior imposta dovuta,egli eviterà l'iscrizione a ruolo e vedrà le sanzioni ridotte
ad 1/3.
Nel caso contrario,ossia qualora il contribuente,trascorsi i 30 giorni dal ricevimento dell'avviso bonario, non abbia provveduto a versare la maggior imposta dovuta, la somma
sarà iscritta a ruolo e vi sarà una successiva notifica di una cartella di pagamento (la cartella di pagamento è nulla se non è stata preceduta dall'avviso bonario)

1.2.1- LA NECESSARIETA' DEL CONTRADDITTORIO ENDOPROCEDIMENTALE: L'AVVISO BONARIO


-AVVISO BONARIO:
L'art. 6 comma 5 dello Statuto dei diritti del contribuente prevede espressamente che,una volta effettuato un controllo sulla dichiarazione del contribuente,sia che si tratti di liquidazione
automatica ,sia che si tratti di controllo formale,è necessario che l'Amministrazione finanziaria invii al contribuente il cd. Avviso bonario,che si risolve in un invito ad un contraddittorio
endoprocedimentale.
Nell'avviso bonario devono essere indicati i motivi che sono alla base delle irregolarità riscontrate nella dichiarazione ed il contribuente deve essere invitato ,entro un termine di 30 giorni
dal ricevimento dell'avviso bonario medesimo,a fornire chiarimenti e spiegazioni,nonchè ad esibire documenti non a conoscenza dell'amministrazione finanziaria,oppure documenti
erroneamente interpretati. Bisogna altresì sottolineare che con l'avviso bonario il contribuente viene anche invitato a versare la maggior imposta dovuta,sicchè,nel caso in cui egli decida di
versarla,si vedrà evitare l'iscrizione a ruolo della somma dovuta ed una successiva notifica di una cartella di pagamento,contemporaneamente godendo di un effetto premiale dato dalla
riduzione della sanzione ad 1/3.
È bene osservare che attraverso l'avviso bonario non si ha un contraddittorio preventivo al procedimento,bensì un contraddittorio che si pone dentro il
procedimento ,endoprocedimentale,dal momento che lo stesso viene notificato a seguito dei controlli sulla dichiarazione ,senza che però il procedimento si sia concluso con la notifica di
una cartella di pagamento.
La previsione dell'avviso bonario ex art. 6 comma 5 dello Statuto dei diritti del contribuente si pone in attuazione della normativa comunitaria,secondo la quale il soggetto che viene ad
essere inciso da un atto della P.A. Deve poter essere messo in grado di difendersi prima della notifica di un atto che pregiudichi la sua sfera giuridico-patrimoniale. Stante quanto appena
esposto,possiamo affermare con certezza che l'avviso bonario risponde sicuramente alla necessità di tutela del diritto di difesa in giudizio sancito dall'art. 24 Cost,ma al contempo, che lo
stesso si sostanzia in una forma di collaborazione tra fisco e contribuente all'interno della fase di attuazione dei tributi,per cui ritrova il suo fondamento altresì nei principi di equità e bi
buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Cost. .
Ricapitolando,i fondamenti normativi dell'avviso bonario si ritrovano:
→ nell'art. 6 comma 5 dello Statuto dei diritti del contribuente
→ nella normativa comunitaria
→ nell'art. 24 Cost.
→ nell'art. 97 Cost.
Quanto alle finalità dell'avviso bonario,possiamo osservare che lo stesso ha,al contempo, 3 finalità:
→ lo scopo di chiarire,laddove sia possibile,l'errata qualificazione operata dall'amministrazione,che starebbe procedendo alla rettifica della dichiarazione sulla base di dati
incompleti o non compresi a pieno.
→ lo scopo di consentire al contribuente di regolarizzare la sua posizione senza subire particolari aggravi in termini sanzionatori
→ lo scopo di evitare che il contribuente reiteri lo stesso errore o gli stessi errori per le annualità successive
Va poi osservato che l'avviso bonario deve essere notificato obbligatoriamente al contribuente prima di procedere alla notifica di una cartella di pagamento,giacchè,qualora la cartella di
pagamento venisse notificata senza che precedentemente non via sia stata la notifica di un avviso bonario,la stessa cartella di pagamento sarebbe nulla.
Sempre in merito all'obbligatorietà dell'avviso bonario,occorre osservare che la Corte di Cassazione ha interpretato in maniera restrittiva il dettato dello Statuto dei diritti del
contribuente,statuendo che l'avviso bonario è obbligatorio prima della notifica di una cartella di pagamento soltanto quando la contestazione riguardi profili di incertezza della
dichiarazione e non quando,invece,la contestazione abbia ad oggetto la mera tardività del versamento o l'omissione del versamento. Tale interpretazione deriva dalla constatazione che ,in
caso di tardività del versamento o in caso di omesso versamento,l'amministrazione finanziaria ha in suo possesso tutti i documenti atti a comprovare il versamento tardivo o omesso,nonchè dal fatto
che,in questi casi,il contribuente ha a sua disposizione tutti gli strumenti necessari per evitare di reiterare lo stesso errore nelle annualità successive.

1.2.2- CONFRONTO TRA LIQUIDAZIONE AUTOMATICA E CONTROLLO FORMALE DELLA DICHIARAZIONE

LIQUIDAZIONE AUTOMATICA CONTROLLO FORMALE

DICHIARAZIONI E CONTRIBUENTI Viene operata su tutte le dichiarazioni dei redditi,nonchè su tutte le Si rivolge alle dichiarazioni dei redditi ed alle dichiarazioni dei sostituti d'imposta.
COINVOLTI dichiarazioni IVA. Essa quindi si ha per tutti i contribuenti. Si ha successivamente rispetto alla liquidazione automatica della dichiarazione e i contribuenti
coinvolti sono preventivamente individuati mediante criteri selettivi enunciati dal MEF e dalle linee
guida degli uffici dell'amministrazione finanziaria.

DATI CONFRONTATI Nella liquidazione automatica vengono raffrontati i dati interni alla Nel controllo formale della dichiarazione,si ha un raffronto tra i dati della dichiarazione ed i dati forniti
dichiarazione stessa,nonchè i dati della dichiarazione con i dati da terzi,quali intermediari bancari,assicurativi ed enti previdenziali,nonchè con altri dati in possesso
rilevati all'interno dell'Anagrafe tributaria,quindi ,in ogni caso,dati del contribuente che non siano stati allegati alla dichiarazione.
tutti già in possesso dell'amministrazione finanziaria. L'amministrazione finanziaria non può,in questo caso,richiedere al contribuente dati che siano già a
sua disposizione,giacchè tale richiesta verrebbe considerata come inefficace,senza creare preclusioni
o sanzioni di sorta a carico del contribuente

TERMINI La liquidazione automatica deve essere svolta entro l'inizio del Il controllo automatico della dichiarazione deve essere svolto dall'amministrazione finanziaria entro il
periodo di presentazione delle dichiarazioni dell'anno successivo. 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione. Si tratta di un
Si tratta di un termine ordinatorio,non previsto a pena di nullità termine ordinatorio,non previsto a pena di nullità.
AVVISO BONARIO Avviso bonario necessario prima della notifica della cartella di Avviso bonario necessario prima della notifica della cartella di pagamento,altrimenti questa sarebbe
pagamento,altrimenti questa sarebbe nulla. Ciò sempre che la nulla.Ciò sempre che la contestazione riguardi aspetti poco chiari della dichiarazione e non ritardato o
contestazione riguardi aspetti poco chiari della dichiarazione e non omesso versamento.
ritardato o omesso versamento.

1.3- IL CONTROLLO SOSTANZIALE DELLA DICHIARAZIONE


-CONTROLLO SOSTANZIALE DELLA DICHIARAZIONE:
Il controllo sostanziale della dichiarazione,che trova i suoi fondamenti normativi nell'art. 32 del d.p.r. 600/1973 e nell'art. 52 del d.p.r. 633/1972, si sostanzia nel nucleo fondamentale dei
poteri di istruttoria attribuiti agli Uffici dell'Agenzia delle Entrate ed alla Guardia di Finanza.
Fondamentalmente,il controllo sostanziale delle dichiarazioni è svolto dagli uffici dell'Agenzia delle Entrate e dalla Guardia di Finanza,che può intervenire o in maniera autonoma,o su
richiesta dell'Agenzia delle Entrate medesima,utilizzando ogni tipo di informazione in loro possesso.
Essenzialmente ,i poteri che concretano l'attività istruttoria dell'amministrazione finanziaria possono essere suddivisi in due macro-gruppi:
1)potere di richiedere informazioni o documenti ,di inoltrare inviti a comparire sia ai contribuenti sottoposti a controllo,sia a determinati soggetti terzi che ,per i rapporti
civilistici che intrattengono con il contribuente, o per la loro funzione esercitata, sono qualificati e quindi possono essere depositari di informazioni utili per l'attività istruttoria
dell'amministrazione finanziaria: individuiamo nell'ambito di questi soggetti terzi qualificati,ai quali l'amministrazione finanziaria può chiedere informazioni o documenti,o ai quali può
inoltrare inviti a comparire,le banche e tutti gli intermediari finanziari,i notai ed i conservatori dei registri immobiliari.
2)poteri che comportano l'intervento diretto presso i luoghi dove il contribuente svolge la sua attività ,oppure presso i luoghi riferibili al contribuente,compresa l'abitazione
privata: si tratta di poteri che sono rappresentati essenzialmente,come vedremo poi singolarmente,dalla facoltà di compiere accessi,ispezioni e verifiche
Dunque,l'Agenzia delle Entrate ,coadiuvata dalla Guardia di Finanza,ha molteplici strumenti a disposizione ai fini del controllo sostanziale della dichiarazione,quali:
a) anagrafe tributaria: primaria fonte di dati per l'Amministrazione finanziaria è l'Anagrafe tributaria,che si configura,come precedentemente detto,come una banca-dati in cui sono
raccolti,su scala nazionale,i dati e le notizie risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce presentate agli uffici dell'Amministrazione finanziaria e dai relativi accertamenti,nonchè i dati e le
notizie che possono comunque assumere rilevanza ai fini tributari,come ,ad esempio,i contratti soggetti a registrazione, i rapporti bancari,etc ,e ,da ultimo, gli acquisti e le operazioni
rilevanti ai fini IVA di importo superiore a 3000 euro. Ogni contribuente è iscritto nell'anagrafe tributaria e gli atti a lui riconducibili vengono ricercati mediante l'inserimento del codice fiscale
del contribuente.
b) stampa ed internet: gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria eseguono il controllo sostanziale delle dichiarazioni avvalendosi,oltre che dei dati tratti dalle fonti espressamente previste
dal legislatore,anche delle informazioni di cui siano comunque in possesso,eventualmente tratte dalla stampa o da internet,con particolare riferimento ai social network. Da ciò se ne
deduce che l'Agenzia delle Entrate può dunque porre,alla base degli accertamenti,ogni elemento probatorio di cui non sia impedita l'utilizzabilità da disposizioni espresse di legge o dalla
violazione di diritti costituzionalmente garantiti del contribuente.
c)inviti e richieste di informazioni al contribuente: al contribuente può essere richiesto di:
→ comparire di persona presso l'Ufficio per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento nei suoi confronti,anche in relazione ai dati ed alle notizie acquisiti in sede
bancaria e/o postale (invito a comparire)
→ esibire e trasmettere atti e documenti che siano nella sua disponibilità: qualora si tratti di soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili,a questi potrebbe essere
richiesto di esibire i bilanci e le scritture contabili
→ inviare questionari: l'Ufficio può inviare ai contribuenti questionari relativi ai dati ed alle notizie rilevanti ai fini dell'accertamento nei loro confronti
d)richieste di informazioni a terzi: per quanto riguarda il potere,proprio dell'Amministrazione finanziaria,di richiedere a terzi informazioni inerenti allo status del contribuente,bisogna
distinguere tra soggetti pubblici ,o a rilievo pubblicistico,e soggetti di diritto privato. Difatti l'amministrazione finanziaria deve acquisire d'ufficio le informazioni già possedute da altre
pubbliche amministrazioni che riguardino il contribuente. Poi,l'amministrazione finanziaria ha il potere di richiedere dati e notizie relativi al contribuente agli organi ed alle amministrazioni
dello Stato,agli enti pubblici non economici,alle società di assicurazione ed agli intermediari finanziari,nonchè il potere di richiedere a notai,procuratori di registro e conservatori dei registri
immobiliari copia degli atti depositati presso di loro. Da ultimo, l'amministrazione finanziaria può richiedere l'invio di documenti ed informazioni relative al contribuente da sottoporre a
controllo a tutti i soggetti che intrattengano specifici rapporti con il contribuente (in particolare a soggetti che siano obbligati alla tenuta delle scritture contabili)
e)indagini bancarie: l'amministrazione finanziaria può richiedere alle banche,a Poste Italiane s.p.a.,agli intermediari finanziari,alle imprese di investimento,agli organismi di investimento
collettivo del risparmio,alle società di gestione del risparmio ed alle società fiduciarie dati ,notizie e documenti relativi ai rapporti intrattenuti con il contribuente,alle operazioni effettuate ed ai
servizi prestati ai clienti. È bene in merito osservare innanzitutto che per le banche vi è l'obbligo di comunicare all'Anagrafe tributaria il nome dei loro clienti,nonchè la natura dei rapporti
intrattenuti con essi.
Dunque,per l'amministrazione finanziaria non esiste il cd. Segreto bancario,dal momento che la Corte costituzionale ha espressamente statuito che il dovere di riservatezza non può in
alcun modo essere di ostacolo per l'accertamento di illeciti tributari. Da ciò ne discende che qualora la banca,o altri intermediari finanziari,non rispondano tempestivamente alle richieste
dell'amministrazione finanziaria,agli uffici fiscali sarà riconosciuta la facoltà di disporre l'accesso dei propri impiegati presso la banca,o l'intermediario finanziario, per rilevare direttamente i
dati e le notizie.
Da ultimo,occorre osservare che ai dati bancari ricevuti si collegano due presunzioni:
1)una presunzione generica: in virtù di tale presunzione,l'Ufficio può fondare gli avvisi di accertamento sui dati bancari,salvo che il contribuente non dimostri di averne tenuto
conto nella determinazione del reddito imponibile,oppure che egli dimostri che tali dati non hanno rilevanza ai fini dell'accertamento
2)una presunzione specifica: tale presunzione concerne soltanto gli imprenditori ed,in virtù di essa, viene stabilito che gli Uffici possono porre come ricavi,alla base delle
rettifiche e degli accertamenti,non soltanto gli importi riscossi,ma anche i prelevamenti,sempre che il contribuente non abbia indicato i beneficiari di tali prelevamenti e sempre
che tali prelevamenti non risultino già dalle scritture contabili. Tale presunzione opera soltanto per gli importi superiori a euro 1000 giornalieri e ,comunque,a 5000 euro
mensili.
f)poteri di accesso,ispezione e verifica

-IL RUOLO DELLA GUARDIA DI FINANZA:


La guardia di finanza coopera per l'accertamento dei fatti e per la repressione delle violazioni in una duplice veste.
Innanzitutto essa ha poteri di polizia tributaria ex art. 33 del d.p.r. 600/1973, e dunque i medesimi poteri dell'amministrazione finanziaria
La guardia di finanza potrà dunque cooperare con l'amministrazione finanziaria su richiesta di quest'ultima oppure potrà svolgere attività istruttoria di propria iniziativa ,naturalmente poi
comunicando gli esiti della propria attività,attraverso la notifica del processo verbale di constatazione,agli uffici finanziari ed ,eventualmente,qualora ricorrano notizie di
reato,trasmettendo il processo verbale di constatazione alla Procura della Repubblica. Dunque, la guardia di finanza,laddove agisca nell'ambito dei poteri di polizia tributaria,potrà agire o
su richiesta degli uffici finanziari o di propria iniziativa, mentre laddove operi di propria iniziativa,alla chiusura delle operazioni di verifica redigerà un processo verbale di constatazione
che sarà notificato alla parte e quindi trasmesso agli uffici finanziari,nonchè eventualmente alla procura della repubblica,laddove vi sia una notizia di reato.
In secondo luogo, la guardia di finanza,che è un corpo militare,può agire nell'ambito dei poteri di polizia giudiziaria ,sicchè,qualora in tale ambito reperisca delle notizie utili ai fini
dell'accertamento fiscale,potrà,previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria, trasmettere tali informazioni, in deroga al segreto istruttorio, all'amministrazione finanziaria . Lo stesso
procedimento,ossia richiesta di autorizzazione all'autorità giudiziaria,poi successivamente trasmissione dei dati,potrà aversi nel caso in cui la guardia di finanza reperisca
informazioni ,utili ai fini dell'accertamento fiscale ,da altre forze di polizia

1.3.1- I POTERI DI ACCESSO,ISPEZIONE E VERIFICA


-ACCESSO,ISPEZIONE E VERIFICA:
I poteri di accesso,ispezione e verifica ,disciplinati dall'art. 52 del d.p.r. 633/1972 e dall'art. 33 del d.p.r. 600/1973 sono poteri propri dell'Amministrazione finanziaria che comportano
l'intervento diretto presso i luoghi ove il contribuente svolga la sua attività ,o presso luoghi comunque riferibili al contribuente,ivi ricomprendendovi l'abitazione privata.
Accesso,ispezione e verifica sono tre attività sostanzialmente consequenziali l'una all'altra,con ciò intendendo che l'accesso costituisce un'attività strumentale alle successive e che
quindi non si potrà operare un'ispezione o una verifica senza un previo accesso nei locali del contribuente o comunque a questo riferibili.
Relativamente a tali attività,è evidente che il legislatore ha dovuto mediare tra ,come sovente accade, interessi contrapposti e forti ,tutelati a livello costituzionale,poichè si
ha ,evidentemente ,la necessità di bilanciare l'esigenza di contrastare l'evasione fiscale,nonchè l'illegittima applicazione della normativa tributaria e quindi la tutela dell'interesse di tutti al
concorso alle pubbliche spese ex art. 53 cost, con la garanzia di quei diritti inviolabili,di quelle libertà fondamentali presenti nella nostra carta costituzionale,tra cui essenzialmente,ma non
soltanto,rilevano la libertà individuale ex art. 13 cost.,l'inviolabilità del domicilio ex art. 14 cost. E la segretezza della corrispondenza di cui all'art. 15 cost.,ma basti ancora pensare alla
libertà di iniziativa economica e alla tutela della proprietà privata di cui agli artt. 41 e successivi della nostra carta costituzionale. Dunque il legislatore,nella disciplina dell'attività istruttoria,ha
dovuto contemperare, nel miglior modo possibile,l'interesse al contrasto all'evasione fiscale e di conseguenza l'interesse erariale alla riscossione dei tributi necessari al finanziamento
della spesa pubblica,con l'interesse di diritti fondamentali dell'individuo che abbiamo poc'anzi elencato.
Da ciò ne discende che il legislatore ha previsto una serie di vincoli ad intensità crescente in funzione del grado di lesione dei valori costituzionali operata dall'attività istruttoria,con ciò
ad intendere che tanto più l'attività istruttoria è pervasiva,tanto più l'attività istruttoria ed investigativa incide sui diritti e valori costituzionali,allora tanto più il legislatore ha previsto dei
presidi che servano a certificare le ragioni di tale lesione. Con ciò si intende che il legislatore ha posto una serie di presidi ,di intensità crescente, affinchè la lesione dei diritti e delle libertà
fondamentali dell'individuo,quali la libertà personale,la segretezza della corrispondenza,l'inviolabilità del domicilio,siano diminuiti nella loro rilevanza solo ed esclusivamente quando ciò sia
effettivamente giustificato ,e giustificabile, dalla tutela dell'interesse erariale.
Passiamo ad un'analisi dettagliata di queste 3 attività:
1)accesso: con accesso si intende l'accesso dei funzionari dell'Agenzia delle entrate,nonchè della Guardia di Finanza (su richiesta dei primi oppure autonomamente), nei locali
del contribuente o nei locali a questi riferibili,ivi compresa l'abitazione privata.
Il legislatore ha dovuto qui contemperare tra interessi costituzionali contrapposti,quali l'esigenza di contrastare l'evasione fiscale e la tutela dell'interesse generale al concorso alle pubbliche
spese ex art. 53 Cost. Da un lato,con la tutela di diritti e libertà inviolabili quali la libertà individuale ex art. 13 cost.,l'inviolabilità del domicilio ex art. 14 Cost.,la segretezza della
corrispondenza ex art. 15 Cost.,la libertà di iniziativa economica e la tutela della proprietà privata di cui,rispettivamente , agli artt. 41 e 42 Cost. Dall'altro lato.
In particolare,rileva qui l'art. 14 Cost.,il quale dispone che il domicilio è inviolabile,ma ammette al contempo che vi si possano eseguire ispezioni,perquisizioni e sequestri nei
casi e nei modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale; rileva inoltre la previsione di una riserva di legge,in virtù della quale
accertamenti ed ispezioni sono certamente ammessi per fini fiscali,ma debbono essere regolati da leggi speciali.
Nel dettaglio:
→ per l'accesso nei locali destinati all'esercizio di attività economiche,siano esse commerciali,agricole,artistiche o professionali,così come per l'accesso nei locali
ove si svolga l'attività di enti non commerciali o di onlus,non è necessaria l'autorizzazione dell'attività giudiziaria,bensì l'autorizzazione del direttore dell'ufficio
delle entrate per quanto riguarda i funzionari dell'agenzia delle entrate,oppure il foglio di servizio,ossia l'autorizzazione del comandante di reparto, per quanto
riguarda la guardia di finanza
→ nel caso di accesso nei locali destinati all'esercizio di arti e professioni è richiesta la presenza del titolare dello studio,o di un suo delegato. Essendo in questo
caso necessario tutelare il segreto professionale,sarà necessaria l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica per l'esame di documenti e la richiesta di
notizie relativamente ai quali è eccepito il segreto professionale
→ nel caso in cui si voglia effettuare l'accesso nei locali ad uso promiscuo e/o nei locali ad uso diverso rispetto all'esercizio dell'attività,ossia,rispettivamente,nei
locali che siano adibiti parzialmente all'attività e parzialmente ad abitazione e nei locali che siano adibiti esclusivamente ad abitazione,oltre all'autorizzazione del
capo dell'ufficio e /o del comandante di zona,sarà altresì necessaria l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica,che la concederà soltanto nei casi in cui
ritenga che vi siano gravi indizi di violazione delle norme
→ al momento dell'accesso ,l'autorizzazione,che per la guardia di finanza prende il nome di foglio di servizio, dovrà essere esibita al contribuente,il quale tramite
la lettura dell'autorizzazione, o del foglio di servizio,potrà verificare l'identità dei soggetti procedenti,verificando quindi che i soggetti autorizzati siano
effettivamente quelli che stanno operando l'accesso, e potrà altresì avere riscontro dell'ampiezza dell'attività investigativa,venendo a conoscenza di quali sono
le imposte oggetto di accertamento,quali sono i tributi oggetto dell'accertamento,quali sono le annualità oggetto di accertamento. Se l'accesso,l'ispezione e la
verifica sono autorizzate ai fini delle sole imposte dirette,sarà necessario integrare tale autorizzazione,laddove gli ufficiali procedenti intendano effettuare l'operazione,anche ai
fini dell'imposta sul valore aggiunto e di altre imposte. Secondo la giurisprudenza, tuttavia ,l'esibizione dell'autorizzazione non sarebbe prevista a fini di nullità e così i dati
raccolti,senza la previa esibizione dell'autorizzazione o del foglio di servizio,ovvero addirittura anche senza l'esistenza di questi,sarebbero utilizzabili ai fini fiscali.
2)ispezione: l'ispezione costituisce un'attività consequenziale all'accesso,per cui i funzionari dell'Agenzia delle Entrate e /o la Guardia di Finanza,una volta effettuato l'accesso
nei locali del contribuente,ispezionerà tutta la documentazione contabile ed amministrativa presente all'interno dei locali,quindi ricomprendendovi non soltanto le scritture
contabili in senso stretto (ossia i registri iva,i registri degli acquisti,i registri dei beni ammortizzabili,i bilanci),ma anche i registri del personale e la documentazione
sottostante,come,ad esempio,la contrattualistica,ossia i contratti stipulati con clienti e fornitori.
L'ispezione riguarda dunque tutta la documentazione contabile ed extra-contabile presente all'interno dei locali del contribuente.
È bene osservare che è necessaria altresì l'autorizzazione del procuratore della repubblica ,qualora, nel corso dell'accesso,dell'ispezione o della verifica ,i funzionari
procedenti reputino necessario operare delle perquisizioni di carattere personale o aprire borse,pieghi sigillati,etc.. dunque, qualora nel corso dell'attività di ispezione e
verifica autorizzata,i funzionari procedenti rinvengano delle fonti di prova prospetticamente utili ,ad esempio una cassaforte,una borsa con documenti sigillati,o anche
qualora reputino che sia necessario provvedere alla perquisizione personale del contribuente,che magari ha nascosto delle scritture contabili non ufficiali,in cui sia registrata la cd.
Contabilità in nero,in questi casi, i funzionari procedenti dovranno richiedere l'autorizzazione al procuratore della repubblica.
3)verifica: la verifica consiste nel controllo dell'adempimento delle norme tributarie,controllo che viene ad essere esteso anche al personale,alle merci ed agli impianti al fine di
verificare la congruità di tali elementi di fatto rispetto ai dati contabili.
Dunque,in sede di verifica si verifica, appunto ,se sono state adempiute correttamente le norme tributarie e si verifica se gli elementi di fatto riscontrati nei locali ,riferibili al
contribuente, trovino riscontro nella documentazione contabile del contribuente.
In merito alla verifica,possiamo distinguere tra la verifica contabile,che è una forma specifica di controllo rivolta ad esaminare la completezza,l'esattezza e la veridicità della
contabilità,sulla scorta delle scritture contabili del contribuente,eventualmente raffrontate con le scritture contabili di terzi(cd. Controllo incrociato), e verificazioni,che consistono in controlli
sugli impianti,sul personale dipendente,sull'impiego di materie prime e di altri acquisti,nonchè su ogni altro elemento utile ai fini del controllo dell'esatto adempimento delle norme fiscali.
Possiamo in merito fare un esempio: se il contribuente ha esposto un costo in contabilità,che poi sarà rifluito fisiologicamente nel bilancio di esercizio,determinando un abbattimento
dell'utile civilistico,ma anche del reddito imponibile ai fini fiscali,gli ufficiali procedenti verificheranno che questo elemento di costo sia effettivo e che quindi vi sia l'oggetto di quella spesa,di
quel cespite ammortizzabile.
È bene osservare che,per tutta la durata delle operazioni di verifica,verrà redatto giornalmente un processo verbale di verifica,ove sono riportate le ispezioni ed i rilievi
eseguiti,le richieste e le risposte del contribuente. Il processo verbale di verifica deve essere sottoscritto sia dai funzionari procedenti e/o Guardia di Finanza,sia dal
contribuente.
Al termine della verifica,verrà redatto un atto denominato processo verbale di constatazione (abbreviato P.V.C.),nel quale sono riassunti i tipi di controllo svolti e le violazioni
riscontrate.
Il contribuente,nel caso di accesso,ispezione e verifica,ha un obbligo di collaborazione con i funzionari procedenti,per cui lo stesso è tenuto a rispondere agli inviti ed alle richieste
dell'amministrazione finanziaria. L'eventuale inottemperanza di tale obbligo è sanzionata da una successiva preclusione probatoria: in sede amministrativa e contenziosa ,non è utilizzabile,a
favore del contribuente, tutto ciò che non è stato esibito o trasmesso in risposta ad inviti dell'ufficio (salvo che ciò non sia avvenuto per causa non imputabile al contribuente. Tale norma, che viene
esposta al contribuente all'inizio delle operazioni di verifica e che viene poi richiamata costantemente negli incipit dei processi verbali di constatazione, dispone quindi l'inutilizzabilità,a favore del
contribuente,di libri,registri e documenti di cui sia stata rifiutata l'esibizione,per cui se il contribuente ,o il professionista a lui legato ,si rifiuta di esibire i libri,i registri e i documenti,questi documenti ,ove
successivamente rinvenuti,non potranno essere utilizzati a favore,ma soltanto contro il contribuente,salvo che questi stessi documenti siano allegati nel ricorso introduttivo ed il contribuente riesca a
dimostrare di non averli potuti prima produrre per causa a lui non imputabile,quindi nel caso,ad esempio, del deposito della documentazione presso un professionista ed altresì nel caso in cui vi sia
l'impossibilità di reperire tale documentazione presso il professionista, per causa evidentemente non imputabile al contribuente.
È bene poi osservare che l'art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente predispone una serie di garanzie e di diritti per il contribuente che sia sottoposto ad operazioni di
accesso,ispezione e verifica,quali:
→ art. 12 comma 1: tutti gli accessi,le ispezioni e le verifiche,nei locali destinati all'esercizio di attività commerciali,industriali,agricole,artistiche e professionali, sono effettuati
sulla base di esigenze effettive di indagine e di controllo sul luogo.
→ art. 12 comma 1: gli accessi,le ispezioni e le verifiche si svolgono,salvo casi eccezionali ed urgenti che siano opportunamente documentati,durante l'orario ordinario di
esercizio delle attività e con modalità tali da arrecare la minor turbativa possibile allo svolgimento delle attività stesse,nonchè alle relazioni commerciali o professionali del
contribuente. (per fare un esempio: la guardia di finanza non potrà certamente collegarsi all'ingresso dell'impresa,svolgere attività investigativa, danneggiando così quantomeno
l'immagine del contribuente).
→ art. 12 comma 2: quando inizia la verifica,il contribuente ha diritto di essere informato delle ragioni che l'abbiano giustificata e dell'oggetto che la riguarda,nonchè della
facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria,nonchè,ancora,dei diritti e degli obblighi che vanno riconosciuti al
contribuente in occasione delle verifiche
→ l'esame dei documenti amministrativi e contabili,su richiesta del contribuente,può essere effettuato nell'ufficio dei verificatori o presso il professionista che assiste e /o
rappresenta il contribuente.
→ le osservazioni ed i rilievi del contribuente,nonchè del professionista che eventualmente lo assista,devono essere riportati nel processo verbale delle operazioni di verifica
→ art. 12 comma 5: la permanenza dei funzionari dell'Agenzia delle Entrate e/o della Guardia di Finanza all'interno della sede del contribuente,non può superare i 30 giorni,con
una proroga massima di ulteriori 30 giorni nei casi di particolare complessità dell'indagine,casi individuati e motivati dal dirigente dell'ufficio. Il periodo di permanenza,al pari
dell'eventuale proroga,non può superare i 15 giorni nei casi di verifica presso la sede di imprese in contabilità semplificata e lavoratori autonomi
→art. 12 comma 6: il contribuente,qualora ritenga che i funzionari procedenti stiano operando con modalità non conformi alla legge,può rivolgersi anche al Garante del
contribuente
Occorre poi soffermarsi sulle conseguenze di eventuali vizi dell'attività istruttoria,quindi,in buona sostanza,sulle conseguenze dell'illegittimità dell'attività istruttoria. In merito vi sono 3
teorie e va osservato che la giurisprudenza ha sostanzialmente recepito la teoria più favorevole all'amministrazione finanziaria.
Tali teorie sono di seguito elencate:
1)la tesi dell'invalidità derivata: Secondo tale teoria,derivante dal diritto amministrativo, qualora l'attività istruttoria sia viziata e quindi siano viziati i singoli atti e fasi del sub-
procedimento rappresentato dall'attività istruttoria,i vizi dell'attività istruttoria si ripercuotono anche sull'atto conclusivo del procedimento,ossia sull'atto di accertamento.
Quindi l'atto di accertamento sarebbe illegittimo per illegittimità derivata. I vizi dell'attività istruttoria si ripercuoterebbero sull'atto finale della attività accertativa,rappresentato dalla
notifica dell'atto di accertamento. Da ciò ne discende che,qualora l'attività istruttoria fosse viziata,verrebbe caducato anche l'atto di accertamento notificato dall'amministrazione finanziaria a
seguito e sulla base del processo verbale di constatazione notificato al termine dell'attività di verifica.
2)tesi dell'inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite: la seconda tesi,riduttiva rispetto alla prima,è quella secondo cui non vi sarebbe un'invalidità derivata dell'atto
conclusivo del procedimento di accertamento,ma solamente una più limitata inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite. In base a tale teoria dunque, il vizio della
singola attività istruttoria non si ripercuoterebbe sull'atto conclusivo del procedimento,ma limiterebbe la sua efficacia caducante solamente all'atto viziato,per cui quella prova raccolta
all'esito dell'attività viziata non sarebbe legittimamente utilizzabile,ferma restando la validità dell'atto di accertamento, evidentemente solo qualora lo stesso sia sorretto da altre prove
legittimamente utilizzabili. Se l'atto di accertamento è fondato soltanto sulla prova illegittimamente acquisita,di conseguenza l'atto di accertamento verrebbe ad essere caducato,travolto
dall'illegittimità che assiste e qualifica l'attività di acquisizione della singola prova.
3)tesi della mera responsabilità civilistico-contabile-penale: si tratta della tesi maggiormente a favore dell'amministrazione finanziaria,recepita dalla giurisprudenza. Con tale
tesi ,viene sancita la sussistenza di una mera responsabilità di carattere civilistico,contabile e penale dei funzionari procedenti. Dunque,secondo tale teoria, residuerebbe
soltanto una mera responsabilità di carattere civilistico ,contabile e penale dei funzionari che hanno svolto un'attività investigativa illegittima,ma rimarrebbe ferma
l'utilizzabilità delle prove,pur legittimamente acquisite,non esistendo nell'ordinamento tributario una norma analoga all'art. 191 c.p.p., salvo alcune limitate ipotesi ,in cui siano
violate delle norme specifiche sul potere degli uffici di utilizzare talune prove a fini fiscali.
-PROCESSO VERBALE DI CONSTATAZIONE:
Il processo verbale di constatazione,abbreviato in P.V.C., è un atto che viene redatto ,alla fine delle attività di verifica,dai funzionari che abbiano per l'appunto svolto operazioni di
accessi,ispezioni e verifiche presso i locali del contribuente o presso locali a questi riferibili.
Il processo verbale di constatazione fondamentalmente sintetizza i dati rilevati,quali:
→ la natura dell'attività svolta dal contribuente
→ lo scopo dell'accesso
→ la struttura produttiva
→ i documenti contabili ed extra-contabili esaminati
→ le violazioni delle norme fiscali riscontrate
→ le osservazioni e i rilievi del contribuente e/o del professionista che lo assiste
Esso consiste,sostanzialmente,nella sintesi dell'attività investigativa svolta dai funzionari dell'Agenzia delle Entrate e/o dalla Guardia di Finanza durante gli accessi,le ispezioni e le
verifiche presso la sede del contribuente
A norma dell'art. 12 comma 7 dello Statuto dei diritti del contribuente,i funzionari che abbiano provveduto ad effettuare le operazioni di verifica e quindi alla redazione del processo verbale
di constatazione,debbono consegnarne una copia al contribuente,al termine delle operazioni di verifica.
Una copia del processo verbale di constatazione viene altresì trasmessa all'Ufficio e ,qualora vi sia stata,nel corso delle operazioni di verifica,una notizia di reato,una copia dovrà essere
altresì trasmessa al Procuratore della Repubblica.
È bene osservare che i risultati dell'attività investigativa,contenuti nel processo verbale di constatazione, non producono effetti diretti nei confronti del contribuente,con ciò intendendo che
tali risultati,consacrati nel processo verbale di constatazione,dovranno essere ulteriormente valutati prima che vi possa essere la notifica di un avviso di accertamento.
Dunque,sostanzialmente,dopo che il contribuente si veda notificato il processo verbale di constatazione,egli avrà davanti a sé due strade:
1)il contribuente potrà adeguarsi immediatamente a quanto disposto dal processo verbale di constatazione,presentando una dichiarazione integrativa e beneficiare degli
effetti premiali del ravvedimento operoso,godendo,in questo caso,di sanzioni ridotte ad 1/5,oppure presentando un'istanza di accertamento con adesione,chiedendo
fondamentalmente all'ufficio di formulare una proposta che porti,per l'appunto,ad un accertamento con adesione
2)il contribuente potrà,entro 60 giorni dalla notifica del processo verbale di constatazione,presentare delle memorie difensive,contenenti osservazioni e richieste,con lo scopo
di spingere l'ufficio a rivedere le proprie posizioni
Da ultimo,ciò che rileva è l'obbligo di contraddittorio preventivo prima della notifica di un avviso di accertamento al contribuente: difatti,a seguito della notifica del processo verbale di
constatazione,abbiamo detto che il contribuente ha 60 giorni per presentare delle memorie difensive e per spingere quindi l'amministrazione finanziaria a rivedere la propria posizione. È
proprio in questo che consiste il contraddittorio preventivo,dal momento che l'amministrazione finanziaria provvederà poi a motivare in relazione alle osservazioni (memorie difensive)
presentate dal contribuente.
È altresì previsto,dall'art. 12,comma 7 dello Statuto dei diritti del contribuente,che l'avviso di accertamento non possa essere notificato al contribuente prima che siano trascorsi i suddetti
60 giorni dalla notifica del processo verbale di constatazione.
Qualora il contribuente non abbia presentato memorie difensive (senza presentare una dichiarazione integrativa o un'istanza di accertamento con adesione) nel termine dei 60
giorni,oppure qualora l'amministrazione finanziaria,anche a seguito delle memorie presentate dal contribuente,non abbia rivisitato la propria posizione, trascorsi i 60 giorni dalla notifica
del processo verbale di constatazione,l'amministrazione finanziaria potrà procedere alla notifica,al contribuente,di un avviso di accertamento.

CAPITOLO 2 – I METODI DI ACCERTAMENTO


2.1- GENERALITA' E STORIA DEI METODI DI ACCERTAMENTO
-METODI DI ACCERTAMENTO:
Con metodi di accertamento,o metodologie di accertamento, si intende far riferimento a quelle metodologie di controllo in senso stretto,disciplinate dagli artt. 37 e ss. Del d.p.r. 600/1973,
che permettono all'Amministrazione finanziaria di ricostruire la dimensione qualitativa e quantitativa del presupposto realizzato dal contribuente (in particolare il reddito imponibile) e di
“accertare” il tributo dovuto,con un'eventuale e successiva emissione di un avviso di accertamento.
Fondamentalmente,le metodologie di accertamento costituiscono forme di controllo necessarie in tutti i casi in cui non basti procedere alla liquidazione automatica della dichiarazione o al
controllo formale della dichiarazione (ossia quando non basti,rispettivamente,liquidare la dichiarazione o controllare l'esattezza della stessa sulla base del raffronto tra i dati ivi indicati e la
documentazione in possesso del contribuente), ma si riveli necessario rettificare la dichiarazione,oppure procedere ad accertamento di ufficio in caso di omissione della dichiarazione,
svolgendo operazioni giuridicamente rilevanti ed interpretando delle norme,ricostruendo dunque la fattispecie ed applicando la normativa al caso di specie.
Ovviamente,tali tipologie di controlli riguardano contribuenti individuati selettivamente,attraverso il programma elaborato annualmente dal MEF e attraverso le linee guida elaborate dalle
Agenzie fiscali e dalla Guardia di Finanza.
È bene ,da ultimo,osservare che ,in relazione ai metodi di accertamento,ci stiamo occupando ancora dell'accertamento in senso dinamico, del procedimento di accertamento,ossia di
quell'attività che si scompone in una serie di atti e di fasi che possono condurre,eventualmente,all'emissione di un avviso di accertamento,ossia di un provvedimento impositivo che viene
notificato al contribuente e che è impugnabile dal contribuente stesso entro 60 giorni dalla notifica (accertamento in senso statico). L'accertamento in senso dinamico,inteso dunque come
attività di controllo della posizione del contribuente o della dichiarazione del contribuente, non porta necessariamente all'emissione di un avviso di accertamento,dal momento che tale
attività di controllo potrebbe avere un esito positivo per il contribuente,con la consacrazione della correttezza della sua posizione a livello tributario.

-ITER STORICO DEI METODI DI ACCERTAMENTO:


E' bene osservare che i metodi di accertamento ,disciplinati attualmente dagli artt. 37 e s.s. Del d.p.r. 600/1973,hanno subito,nel corso del tempo,una profonda evoluzione,per cui si rende
necessaria una ricostruzione di carattere storico ed evolutivo:
→ introduzione delle prime leggi delle imposte sui redditi nel 1864 e nel 1867: già con l'introduzione delle prime leggi delle imposte sui redditi,ossia,rispettivamente,nel 1864 e nel
1867,veniva evidenziata la preferenza,propria del legislatore,per metodologie di accertamento del reddito dei contribuenti che si basavano su indici statistici,su coefficienti di ricarico e che
erano quindi volti a determinare il reddito su una base presuntiva,detta anche medio-ordinaria. Tali metodi di accertamento dunque avevano ad oggetto la determinazione del reddito
sulla base di criteri medio-ordinari,forfettari,statistici o paracatastali che dir si voglia.
È bene innanzitutto osservare che la preferenza,da parte del legislatore,per metodi di accertamento basati cui cd. Criteri medio-ordinari (o forfettari),derivava dal fatto
che,all'epoca,la platea dei contribuenti da sottoporre a controllo era assai ristretta,nonchè dal fatto che le fonti di deduzione del reddito dei contribuente erano
costituite,prevalentemente,dal possesso di cespiti immobiliari.
Proprio in questo periodo nacque un contrasto,in ambito dottrinale,che vedeva contrapposti ,da un lato,soggetti che preferivano (come il legislatore) metodi di accertamento
del reddito dei contribuenti sulla base di criteri medio-ordinari e forfettari e ,dall'altro lato,soggetti che auspicavano l'utilizzo di metodi di accertamento che determinassero in
maniera effettiva il reddito dei contribuenti.
→ Regio Decreto n. 4021/1877: con l'entrata in vigore del Testo unico delle leggi di imposta sui redditi,ossia il Regio Decreto n. 4021/1877, per quei soggetti che non venivano
tassati in base al bilancio,ossia quei soggetti che non erano obbligati alla tenuta di scritture contabili,l'imposta mobiliare veniva calcolata sulla base della media del reddito
imputato agli stessi nel biennio precedente. Dunque,in questo ambito,per i soggetti non obbligati alla tenuta delle scritture contabili,non soltanto non vi erano obblighi
contabili o obblighi di presentazione di una dichiarazione,ma il reddito di tali soggetti veniva determinato sulla base di criteri fondati sull'ordinarietà,sulla ripetitività del
reddito (nel corso degli anni).
→ art. 20 L. 1231/1936: nella prima metà del 900 si proseguì sul filone appena evidenziato,per cui i soggetti che non venivano tassati in base al bilancio vedevano determinati i loro
redditi (presupposto e base imponibile) sulla base della media del reddito imputato agli stessi nel biennio precedente. Diversa ,all'epoca ,era la situazione per i soggetti
obbligati alla tenuta delle scritture contabili (tassati in base al bilancio),i quali vedevano incrementare ,nei loro confronti,adempimenti formali e collaborativi. I controlli relativi
alla determinazione del reddito di tali soggetti si svolgevano dunque sulla base delle risultanze contabili.
È bene osservare che con l'art. 20 della L. 1231/1936 vi è stata un'inversione di marcia,dal momento che venne stabilito che,relativamente ai soggetti obbligati alla tenuta delle
scritture contabili,ci si potesse discostare dalle risultanze della contabilità,ma solo ed esclusivamente “per la fondata presunzione di frode fiscale”.
→ riforma Vanoni-Tremelloni negli anni '50: negli anni '50 si è assistito ad una riforma tributaria,nata dalla necessità di adeguare la normativa tributaria allora vigente all'ampliamento
costante della platea dei contribuenti,che prende il nome di riforma Vanoni-Tremelloni e che ha trovato i suoi punti salienti nel 1951,nel 1956 ed infine nel 1958,con l'introduzione
del Testo Unico delle imposte dirette. Le novità principali introdotte dalla suddetta riforma possono essere così riassunte:
1)obbligo di presentazione della dichiarazione anche per i soggetti non obbligati alla tenuta delle scritture contabili e quindi non tassabili in base al bilancio:
l'obbligo di presentazione della dichiarazione annuale anche per i soggetti non obbligati alla tenuta delle scritture contabili ha costituito una grande novità,dal momento
che,stante la natura della dichiarazione quale strumento attraverso cui il contribuente comunica all'amministrazione finanziaria la dimensione qualitativa-quantitativa del
presupposto d'imposta realizzato, a carico dei contribuenti viene posto,in sintesi,un obbligo generalizzato di collaborazione.
2)art. 31 del Testo Unico delle Imposte dirette(d.p.r. 645/1958): obbligo,in capo all'amministrazione finanziaria,di controllare le dichiarazioni
3)Testo Unico delle imposte dirette: obbligo,per l'amministrazione finanziaria,di motivare le rettifiche delle dichiarazioni operate in sede di controllo. Tale obbligo si sostanzia
dunque nell'obbligo,per l'amministrazione finanziaria,di esporre l'iter logico-giuridico sulla base del quale è stata adottata una determinata decisione,in rettifica della
dichiarazione presentata dal contribuente. Questo obbligo avrebbe consentito al contribuente di valutare in maniera migliore la fondatezza o meno della pretesa erariale e di
valutare, conseguentemente, l'opportunità di tutelarsi in giudizio . Da quanto esposto si deduce che l'obbligo di motivazione era stato posto a presidio della correttezza
dell'azione amministrativa ed altresì a presidio del diritto di difesa in giudizio del contribuente(contro l'azione erariale di rettifica della dichiarazione dei redditi presentata
Proprio con la riforma Vanoni-Tremelloni si è assistito alla codificazione della cd. Teoria dei metodi di accertamento. Secondo tale teoria,l'amministrazione finanziaria poteva
usare dei metodi di accertamento differenti in relazione al comportamento del contribuente. Nello specifico:
a)qualora il contribuente avesse tenuto un comportamento apparentemente regolare,l'amministrazione avrebbe utilizzato un metodo di accertamento di tipo
analitico,fondato sulle risultanze della contabilità e del bilancio
b)qualora il contribuente avesse omesso di presentare la dichiarazione,tenendo dunque un comportamento irregolare,l'amministrazione avrebbe potuto utilizzare
metodi di accertamento meno affidabili,fondati sul reperimento di dati e sull'utilizzo di presunzioni,anche non fondate e non del tutto convincenti.
Possiamo in merito fornire una spiegazione di tale teoria.
In base a tale teoria, nell'ipotesi in cui il contribuente ,obbligato alla tenuta delle scritture contabili e dunque tassato in base al bilancio, avesse regolarmente presentato la
dichiarazione dei redditi ,il suo reddito sarebbe stato accertato analiticamente, attraverso il raffronto tra la dichiarazione dei redditi presentata e le risultanze del conto profitti-
perdite o del rendiconto;diversamente,nel caso in cui il contribuente fosse stato un soggetto non obbligato alla tenuta delle scritture contabili (quindi non tassato in base al
bilancio,non imprenditore), ma che avesse comunque regolarmente presentato la dichiarazione dei redditi,la rettifica della dichiarazione sarebbe stata tendenzialmente
analitica,con ciò intendendo che la stessa si sarebbe retta,analiticamente, alle singole fonti di reddito, laddove erroneamente indicate o computate.
Differentemente,qualora il contribuente soggetto all'obbligo di tenuta delle scritture contabili avesse omesso di presentare la dichiarazione,oppure avesse inserito nei
documenti contabili spese risultate poi inesistenti o superiori a quelle effettive,così come perdite in realtà non realizzate,l'amministrazione finanziaria avrebbe potuto utilizzare
un metodo di accertamento induttivo-integrativo,fondato sull'utilizzo di presunzioni; nel caso invece in cui il contribuente fosse stato un soggetto non tassato in base al
bilancio (non avente l'obbligo di tenuta delle scritture contabili) che avesse commesso ripetute e gravi violazioni,sia formali che sostanziali,degli obblighi integrativi,
l'amministrazione finanziaria avrebbe potuto utilizzare un metodo di accertamento sintetico,prescindente dall'analisi delle singole fonti di reddito.
→ d.p.r. 600/1973: con l'entrata in vigore del d.p.r. 600/1973 e con la successiva introduzione,nel nostro ordinamento,dell'imposta sul valore aggiunto(IVA),vennero disciplinati
compiutamente diversi metodi di accertamento,che si differenziavano a seconda dei contribuenti presi in considerazione:
a)per quanto riguarda i soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili(imprese e imprenditori),furono introdotti ,sostanzialmente,tre metodi di accertamento:
1)accertamento analitico-contabile:il metodo di accertamento analitico-contabile ,disciplinato dall'art. 39 comma 1 del d.p.r. 600/1973,si basava sul raffronto tra
le dichiarazioni presentate dai contribuenti e le scritture contabili tenute dagli stessi
2)accertamento analitico-induttivo: il metodo di accertamento analitico-induttivo,detto anche metodo di accertamento analitico-presuntivo,consentiva all'ufficio
di muovere dai dati analitici indicati nella contabilità del contribuente per giungere,attraverso l'utilizzo di presunzioni qualificate,ossia gravi,precise e
concordanti,alla determinazione di attività non dichiarate,o al disconoscimento di passività dichiarate,prescindendo dunque parzialmente dalle scritture contabili.
3)accertamento(induttivo-)extracontabile: il metodo di accertamento induttivo-extracontabile,disciplinato dall'art. 39 comma 2 del d.p.r. 600/1973,poteva
essere applicato nei casi in cui il contribuente,obbligato alla tenuta delle scritture contabili,avesse omesso di presentare la dichiarazione,avesse omesso di
tenere la contabilità,oppure avesse tenuto una contabilità ritenuta inattendibile ,priva delle garanzie proprie di una contabilità ordinata. Tale metodologia di
accertamento faceva dunque sì che l'ufficio potesse “rettificare” la dichiarazione e di ricostruire conseguentemente il reddito d'impresa prescindendo dalle
risultanze della contabilità del contribuente,in quanto ritenuta non ordinata e dunque inattendibile, ed altresì avvalendosi di presunzioni semplici,ossia né gravi,nè
precise,nè concordanti.
b)per quanto riguarda i soggetti non obbligati alla tenuta delle scritture contabili,ossia,sostanzialmente,le persone fisiche,soggette semplicemente all'obbligo di
presentazione della dichiarazione,furono introdotti due metodi di accertamento:
1)accertamento analitico: attraverso il metodo di accertamento analitico,disciplinato dall'art. 38,commi 1,2,3 del d.p.r. 600/1973, l'ufficio provvedeva a ricostruire
analiticamente il reddito del contribuente considerandone le singole componenti (ad esempio,reddito derivante dal possesso di immobili,redditi derivanti da lavoro
dipendente,redditi derivanti dall'utilizzo di capitale) e potendo comunque ricorrere a presunzioni,semplici o legali.
2)accertamento sintetico: il metodo di accertamento sintetico,disciplinato dall'art. 38 comma 4 del d.p.r. 600/1973, consentiva all'ufficio di prescindere
dall'imputazione del reddito alle singole fonti e di ricostruire dunque il reddito sulla base delle spese sostenute ,avvalendosi di presunzioni. Tale metodo di
accertamento è stato definito come sintetico perché ,attraverso di esso,il reddito del contribuente viene determinato sinteticamente,prescindendo dalla
riqualificazione del reddito stesso e dall'imputazione analitica alle singole fonti di reddito.
Per fare un esempio:non si ricostruisce più il reddito del contribuente sommando il reddito derivante dal possesso di immobili con il reddito derivante da lavoro
dipendente e con il reddito derivante dall'utilizzo di capitale,ma si ricostruisce sinteticamente il reddito del contribuente sulla base delle spese sostenute
all'interno del periodo d'imposta.
Da quanto sopra esposto,possiamo tranquillamente affermare che, a partire dagli inizi degli anni 70 ,abbiamo assistito ad una progressiva evoluzione del sub-sistema avente ad oggetto le
metodologie di accertamento,nel senso di una sostanziale fungibilità tra le diverse metodologie di accertamento,che si differenziano, sostanzialmente, in relazione ed in funzione della
diversa tipologia di prove che devono o possono essere utilizzate dall'amministrazione,la quale può ,per l'appunto, giustificare la propria rettifica sulla base di prove documentali,oppure
di prove indiziarie e presuntive,dotate di un differente grado di attendibilità ,come risposta al comportamento posto in essere dal contribuente,il quale viene ad essere onerato di sempre
maggiori adempimenti,sia dal punto di vista formale che strumentale,in funzione di una piena partecipazione del contribuente medesimo alla fase di accertamento e di riscossione dei
tributi.
Da ciò ne consegue che in capo al contribuente non vi è soltanto un obbligo di presentazione della dichiarazione,ma anche obblighi vari di comunicazione dell'inizio dell'attività,di
cessazione dell'attività,di trasferimento della sede,obbligo di deposito dei bilanci,obbligo di versamento di conti,etc. Si sta dunque assistendo ad una sempre maggiore compartecipazione e
responsabilizzazione del contribuente, in funzione di una migliore attuazione del sistema tributario e ,di conseguenza, in funzione della realizzazione della funzione fiscale,ossia della
funzione avente ad oggetto il reperimento di risorse necessarie al finanziamento della cosa pubblica.

2.2- CONCETTI CHIAVE PER L'ANALISI DEI METODI DI ACCERTAMENTO: LE PRESUNZIONI


-PRESUNZIONE:
L'art. 2727 c.c. Qualifica come presunzione l'operazione logico-intuitiva con cui ,dalla conoscenza di un fatto noto,si deduce la prova di un fatto ignoto.
È bene in merito osservare,in primo luogo,che la legge non ha spiegato come debba essere provato il fatto noto da cui si prendono le mosse,per cui non vi è stata un'automatica esclusione della
circostanza per cui il fatto noto derivava,a sua volta ,da presunzioni. Questa “lacuna” è stata colmata dalla Cassazione,che,con sent. 6033/1994,ha sancito il divieto di presunzioni a catena,ossia
della cd. Praesumptio de praesumpto (presunzione che deriva a sua volta da un fatto presunto).
Occorre poi sottolineare che le presunzioni,nell'ambito del diritto tributario,possono distinguersi in due macro-categorie:
→ presunzioni legali(che rispondono alla riserva di legge ex art. 23 Cost.)
→ presunzioni semplici
-PRESUNZIONI LEGALI:
Le presunzioni legali sono quelle presunzioni il cui valore probatorio è espressamente riconosciuto dalla legge. Esse dispensano coloro a favore dei quali siano poste da
qualsiasi onere della prova. Le presunzioni legali si suddividono in:
→ presunzioni assolute: sono quelle presunzioni che non ammettono prova contraria. Nell'ordinamento tributario non vi sono presunzioni assolute,dal momento che
attraverso di esse si imputerebbe al contribuente una capacità contributiva senza dargli la possibilità di dimostrare quale sia l'entità della capacità contributiva effettivamente
manifestata. Dunque esse sono vietate per contrasto con l'art. 53 Cost.
→ presunzioni relative: sono quelle presunzioni che ammettono prova contraria. Dunque,anche nel caso in cui a favore del fisco operasse una presunzione relativa,in
capo al contribuente permarrebbe l'onere di provare la capacità contributiva effettivamente manifestata con la realizzazione del presupposto d'imposta.
-PRESUNZIONI SEMPLICI:
Le presunzioni semplici sono quelle presunzioni il cui valore probatorio viene,eventualmente,riconosciuto dal giudice (a seconda del caso concreto e secondo la sua discrezionalità). Esse
si possono distinguere,a loro volta,in :
→ presunzioni qualificate: con presunzioni qualificate si intende far riferimento a quelle presunzioni che devono necessariamente presentare al contempo i requisiti della
gravità,della precisione e della concordanza(come disposto dall'art. 2729 c.c.),con ciò intendendo che le stesse devono basarsi su fatti gravi,precisi e concordanti. Il requisito
della gravità attiene al grado dell'attendibilità,il requisito della precisione comporta che il ragionamento presuntivo porti senza contraddizioni alla conclusione sul fatto ignorato,mentre il
requisito della concordanza prevede che ,per raggiungere la prova di un fatto,le presunzioni debbano essere molteplici e che debbano essere valutate nel loro complesso e non
atomisticamente.
→ presunzioni non qualificate o semplicissime: le presunzioni non qualificate,dette anche presunzioni semplicissime,sono quelle presunzioni che non presentano i requisiti
della gravità,della precisione e della concordanza. Esse sono considerate come valide purchè siano espresse in maniera puntuale,argomentata e logicamente consequenziale.
Tali presunzioni sono tra le più pericolose per il contribuente e sono alla base di numerosi accertamenti induttivi-extracontabili (sfociano in un mero arbitrio).

E' bene osservare che ,nell'ambito del codice civile,la distinzione è solamente tra presunzioni legali e presunzioni semplici,che si configurano di per sé come qualificate,stante che l'art. 2729 c.c.
Dispone che le presunzioni rimesse alla prudente valutazione del giudice debbano necessariamente essere gravi,precise e concordanti. La categoria delle presunzioni semplicissime,o non
qualificate, è frutto di elaborazione giurisprudenziale e dottrinale.

2.3- METODI DI ACCERTAMENTO DEI REDDITI DELLE PERSONE FISICHE


-DESTINATARI:
Sono sottoposti alle metodologie di accertamento che verranno di seguito elencate quei soggetti per cui non vi è l'obbligo di tenuta delle scritture contabili,ossia le persone
fisiche,relativamente a redditi fondiari,a redditi di lavoro dipendente,a redditi di capitale e a redditi diversi,e gli enti non commerciali,in relazione ai soli redditi diversi.

-ACCERTAMENTO ANALITICO:
L'accertamento analitico del reddito delle persone fisiche mira a ricostruire l'imponibile considerandone le singole componenti e ,per la precisione,esso viene effettuato quando sono note
le fonti dei redditi e si perviene al reddito complessivo sommando i redditi delle singole fonti e categorie.
Detta in altre parole,a norma dell'art. 38 commi 1,2,3, del d.p.r. 600/1973,attraverso il metodo dell'accertamento analitico, viene ricostruito il reddito complessivo dei contribuenti non
obbligati alla tenuta delle scritture contabili sommando i redditi delle singole fonti e categorie; tale metodo di accertamento deve essere pertanto motivato con “riferimento analitico ai
redditi delle varie categorie”.
Dunque,attraverso il metodo di accertamento analitico,si mira ad accertare l'importo eventualmente evaso ricostruendo direttamente una o più componenti reddituali (singoli voci di
ricavi,compensi ,costi,oppure una serie di ricavi,compensi o costi) e solo indirettamente il reddito complessivo,che sarà aumentato degli importi analiticamente scoperti.
È bene sottolineare che con tale metodo,l'ufficio può pervenire all'accertamento di un maggior reddito sia mediante prove documentali,ossia mediante il raffronto tra i dati contenuti nelle
dichiarazioni e i documenti acquisiti nel corso dell'attività istruttoria,sia mediante presunzioni,che possono in questo caso essere legali(es. Movimentazioni bancarie),oppure semplici.
-ACCERTAMENTO SINTETICO:
Il metodo di accertamento sintetico ,disciplinato dall'art. 38 comma 4 del d.p.r. 600/1973,permette di determinare il reddito del contribuente(non soggetto all'obbligo di tenuta delle scritture
contabili) sinteticamente,cioè desumendolo dalle spese sostenute dal contribuente. Attraverso il metodo di accertamento sintetico,l'amministrazione finanziaria procede dunque a
ricostruire il reddito complessivo del contribuente sulla base delle spese sostenute,prescindendo da qualsivoglia determinazione analitica del reddito stesso (come invece accade
ricorrendo al metodo analitico,in base al quale il reddito complessivo viene calcolato sommando i redditi appartenenti a specifiche categorie)
L'accertamento sintetico ha dunque come base “le spese di qualsiasi genere sostenute dal contribuente nel periodo d'imposta”,per tali intendendosi le spese per consumi ed
investimenti,nonchè la cd. Quota risparmio. Se la somma delle spese è superiore al reddito netto dichiarato dal contribuente,si presume che la differenza sia reddito imponibile non
dichiarato.
Fondamentalmente,attraverso questo metodo di accertamento,si presume che l'acquisto o il mantenimento di beni particolari(ad esempio imbarcazioni,auto di lusso,possesso di
cavalli,iscrizione a scuole e circoli esclusivi,acquisto di opere d'arte,etc) implichi che si sia in possesso di un reddito tale da fronteggiare le spese comportate dalla natura di tali beni e si
presume che il maggior reddito complessivo desunto dalla ricostruzione delle spese sia reddito di capitale non dichiarato (due presunzioni).
Dato il suo forte carattere presuntivo,il metodo di accertamento sintetico non è ammesso per qualsivoglia scostamento tra il reddito dichiarato ed il reddito accertabile,ma soltanto nei
casi in cui il reddito accertabile si discosti di almeno 1/5 dal reddito netto dichiarato (ad esempio,reddito dichiarato 100,si può procedere all'accertamento sintetico qualora il reddito accertabile sia
almeno 121,ossia 100 + 1/5 di 100,ossia 20).
Nello specifico,possiamo osservare che il metodo di accertamento sintetico,a norma dell'art. 38,commi 4 e ss , d.p.r. 600/1973,così come modificato dal d.l. 78/2010:
→ può fondarsi sulla base di spese di qualsiasi genere,sostenute nel periodo d'imposta considerato,quindi,sia sulla totalità delle spese sostenute dal contribuente e dal suo
nucleo familiare,sia sulle singole spese di acquisto (per particolari beni considerati come non essenziali),sia sulle singole spese di mantenimento (spese necessarie per mantenere
determinati beni posseduti),sia sulle singole spese di investimento(per gli incrementi patrimoniali,occorre verificare l'ammontare speso in un dato periodo d'imposta,meno la somma
presa a mutuo,la quota risparmio presuntivamente accantonata negli anni precedenti all'investimento,i disinvestimenti dello stesso anno e dei 4 anni precedenti)
→ può fondarsi sul cd. Redditometro: in questo caso l'accertamento sintetico può essere definito come accertamento sintetico sulla base del contenuto induttivo di elementi
indicativi di capacità contributiva. Il redditometro,fondamentalmente,è uno strumento che va ad elencare elementi indicativi di capacità contributiva individuati mediante l'analisi di
campioni significativi di contribuenti,differenziati in funzione del nucleo familiare e dell'area territoriale di appartenenza. Il redditometro è contenuto in un decreto del Ministero dell'Economia
e delle Finanze,che deve essere aggiornato con periodicità biennale ed in tale decreto è allegata una tabella che elenca le spese per consumi ed investimenti da prendere in
considerazione,ivi ricomprendendovi le spese sostenute per bisogni ordinari,le spese sostenute per ragioni voluttuarie e le spese sostenute per l'acquisto di beni durevoli.
Dunque,mediante l'accertamento sintetico attraverso il redditometro,l'ufficio procede a quantificare le spese del contribuente , e dunque ad accertare il suo reddito
complessivo,tenendo conto del raffronto tra le spese sostenute dal contribuente da sottoporre a controllo e dal suo nucleo familiare e le spese medie sostenute da
determinati campioni di contribuenti( non a caso,si parla in merito di accertamento standardizzato).
Per quanto riguarda poi il profilo procedimentale,possiamo dire che,nel caso di accertamento sintetico,l'amministrazione finanziaria ha l'onere:
→ ex art. 38 comma 7 , d.p.r. 600/1973 , di invitare il contribuente ad un contraddittorio endoprocedimentale prima dell'emissione dell'avviso di accertamento: con ciò si intende
che grava sull'amministrazione finanziaria l'obbligo di invitare il contribuente a comparire di persona,o per mezzo di rappresentanti, per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento
→ ex art. 5 d.lgs. 218/1997,di attivare sempre il procedimento di accertamento con adesione
→ indicare ,nell'avviso di accertamento successivamente emesso,nonchè provare in giudizio,i fatti su cui si basa la presunzione di un reddito non dichiarato
→ di motivare l'avviso di accertamento successivamente emesso indicando altresì le ragioni per cui non sono state accolte le deduzioni con le quali il contribuente abbia
giustificato il maggior reddito.
I problemi principali dell'utilizzo del metodo di accertamento sintetico attengono al profilo della difesa del contribuente,dal momento che,per lungo tempo,la giurisprudenza e le circolari
ministeriali hanno ritenuto le presunzioni ex art. 38 d.p.r. 600/1973 quali presunzioni legali,anche nel caso di specie del redditometro,con la conseguenza che il fisco non avrebbe avuto l'onere di
provarle. Fortunatamente,nel tempo si è giunti alla soluzione per cui le presunzioni operate dall'amministrazione finanziaria nel caso di accertamento sintetico,anche mediante redditometro,
si configurano come presunzioni semplici, rimesse alla valutazione,ai fini probatori,del giudice ( difatti anche nel caso del redditometro,il decreto ministeriale che lo contiene racchiude un
regolamento,che può essere annullato dal giudice amministrativo o disapplicato dal giudice tributario),sicchè l'amministrazione finanziaria dovrà dimostrare volta per volta tali presunzioni,già con
l'emissione dell'atto di accertamento a seguito del contraddittorio endoprocedimentale.
Il contribuente potrà difendersi dimostrando,sia in sede amministrativa che ,eventualmente,nella successiva sede contenziosa, che il finanziamento degli elementi considerati dall'ufficio è
avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d'imposta,oppure con redditi esenti,o con redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ,comunque,con
redditi legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile (es. beni ricevuti per successione o donazione,o liberalità,somme provenienti da disinvestimenti,risarcimenti,vincite,somme prese a
prestito).
Da ultimo,occorre notare che l'art. 44 del d.p.r. 600/1973 disciplina la partecipazione dei Comuni all'attività di accertamento con metodo sintetico nei riguardi delle persone fisiche: quando
sia stata stipulata una convenzione in tal senso tra i Comuni e l'Agenzia delle Entrate,quest'ultima,prima di emettere un avviso di accertamento , mette a disposizione dei comuni
convenzionati le dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche sottoposte a controllo ,lasciando ai Comuni dunque 30 giorni di tempo per rispondere,comunicando dati,notizie ed elementi
di prova ,sulla base dei quali sia possibile desumere un maggior reddito del contribuente assoggettato a verifica. Questa partecipazione dei Comuni sovente è utile ,poiché ,evidentemente, gli
stessi possono essere più vicini alle fonti di prova e possono dunque trasmettere informazioni utili all'attività accertativa ,ove in tal senso sollecitati.

2.4- METODI DI ACCERTAMENTO DEI REDDITI DI IMPRESA


-DESTINATARI:
I destinatari dei metodi di accertamento che andremo di seguito ad elencare sono tutti quei soggetti che hanno l'obbligo di tenuta delle scritture contabili,quali lavoratori autonomi e
società che svolgono attività commerciale,in relazione ai redditi di lavoro autonomo ed ai redditi d'impresa percepiti,nonchè in relazione alle dichiarazioni IVA.

-ACCERTAMENTO ANALITICO-CONTABILE:
L'accertamento analitico-contabile dei redditi d'impresa,disciplinato dall'art. 39,comma 1 , d.p.r. 600/1973,nonchè dall'art. 54 del d.p.r. 633/1972 in materia di Imposta sul valore aggiunto,
presuppone che la contabilità del contribuente ,nel suo complesso,sia attendibile. Data l'attendibilità della contabilità del contribuente,l'amministrazione finanziaria,in virtù di tale metodo
di accertamento, dovrà rettificare o determinare singole componenti reddituali proprio sulla base del raffronto tra i dati presentati nella dichiarazione e l'analisi delle scritture
contabili(anche nelle singole poste contabili),unitamente agli altri elementi di prova eventualmente acquisiti nel corso dell'attività istruttoria.
È bene osservare che la rettifica analitico-contabile dei redditi del contribuente(soggetto all'obbligo di tenuta delle scritture contabili),può aversi,a norma dell'art. 39,comma 1, d.p.r.
600/1973,solo ed esclusivamente in tre ipotesi:
a) art. 39,comma 1,lettera A: se gli elementi indicati nella dichiarazione non corrispondono a quelli del bilancio,del conto dei profitti e delle perdite o di altre specifiche
scritture contabili
b)art. 39,comma 1,lettera B: se vi è stata la violazione di una norma del titolo I del Testo Unico delle Imposte sui redditi che abbia comportato una variazione in aumento del
reddito fiscale rispetto all'utile civilistico (cosa che si ha ,ad esempio,quando siano state dedotte quote di ammortamento superiori a quelle ammesse,oppure quando siano stati dedotti
componenti passivi non deducibili)
c)art. 39,comma 1,lettera C: se l'incompletezza,la falsità o l'inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione risulta in modo certo e diretto da altre prove documentali
(oltre alle scritture contabili) eventualmente rinvenute,quali risposte a questionari,esame di atti o documenti del contribuente o di altri soggetti,esami dei conti bancari,etc.
È bene qui osservare che,al pari dell'accertamento analitico relativo ai redditi delle persone fisiche,possono operare delle presunzioni(legali),sebbene la rettifica o la determinazione delle
singole componenti reddituali si basino, sostanzialmente, sull'esame analitico delle scritture contabili tenute dal contribuente.
-ACCERTAMENTO ANALITICO-INDUTTIVO:
L'accertamento analitico-induttivo dei redditi di impresa viene disciplinato dall'art. 39,comma 1,lettera D,d.p.r. 600/1973 e si qualifica per il fatto che l'amministrazione finanziaria possa
determinare o rettificare le componenti reddituali attive e passive del reddito d'impresa,affermando dunque l'esistenza di attività non dichiarate,oppure affermando l'inesistenza di
passività dichiarate,sulla base di presunzioni,purchè queste siano gravi,precise e concordanti.
Dunque,il metodo di accertamento analitico-induttivo si caratterizza per il fatto che:
→ non si prescinde completamente dalla contabilità: vi sono sì violazioni di carattere contabile,ma tali violazioni non sono così gravi,numerose e ripetute da rendere l'intero sistema
contabile inattendibile (es. omesse annotazioni di elementi che invece risultano dalla documentazione acquisita dall'ufficio,oppure annotazione di una componente negativa di reddito non
supportata da idonea documentazione)
→ sono individuate singole attività non dichiarate o singoli costi fittizi
→ la prova dell'esistenza delle attività non dichiarate,così come dei costi fittizi,è fornita dall'ufficio,che ricorre a presunzioni qualificate,ossia presunzioni semplici che,a norma
dell'art. 2729 c.c., abbiano i requisiti della gravità,della precisione e della concordanza
E' bene osservare che,secondo quanto disposto dal d.l. 331/1993, gli accertamenti analitico-induttivi dei redditi d'impresa possono essere fondati anche sull'esistenza di gravi incongruenze
tra i ricavi,i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondamentalmente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta,ossia dagli studi di
settore.
Si ha dunque una particolare tipologia di accertamento analitico-induttivo nel caso di accertamento mediante studi di settore(oggi, mediante INDICI ISA).
Gli studi di settore sono stati introdotti nel nostro ordinamento perché vi era la necessità di differenziare le grandi imprese,aderenti al regime di contabilità ordinaria e necessitate altresì
ad una tenuta sistematica della contabilità,dalle imprese minori e dai lavoratori autonomi,in relazione ai quali non si poteva fare affidamento assoluto sulla contabilità.
Gli studi di settore costituivano un'elaborazione statistica di più variabili,con cui le imprese venivano divise in gruppi omogenei,detti cluster, in base ad una molteplicità di fattori (come i
modelli organizzativi,il tipo di clientela,l'area di mercato,le modalità di svolgimento dell'attività. Ogni contribuente,obbligato alla tenuta delle scritture contabili,appartenente ad una
categoria alla quale si applicavano gli studi di settore,doveva presentare ,insieme con la dichiarazione dei redditi, il modello che comunicava i dati ai fini dello studio di settore.
Dunque,sulla base di tali elaborazioni,veniva individuato l'ammontare presunto dei ricavi e dei compensi,per cui ,qualora si fossero presentate delle gravi incongruenze tra i redditi
dichiarati dal contribuente ed i redditi desumibili ,per le caratteristiche dell'attività svolta,in base agli studi di settore.
Secondo la giurisprudenza,Cass.,S.S.U.U 26635/2009 ,gli studi di settore costituivano un sistema di presunzioni semplici,la cui gravità,precisione e concordanza non era determinata ex
lege,bensì dalla fase necessaria del contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente. Con ciò si vuole intendere che gli studi di settore,per qualificarsi come presunzioni qualificate ai
sensi dell'art. 2729 c.c. E per dar luogo all'emissione di un successivo avviso di accertamento,necessitano di un contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente,che permetta di
individuare se vi sono delle ragioni che confermano i ricavi indicati negli studi di settore o delle ragioni che giustificano i ricavi in misura inferiore. In mancanza del previo contraddittorio
endoprocedimentale,l'avviso di accertamento emanato a seguito di accertamento mediante studi di settore sarebbe stato nullo,da che ne è derivata altresì la previsione in base alla quale
l'avviso di accertamento in relazione agli studi di settore doveva necessariamente essere motivato dall'ufficio esponendo le motivazioni per cui i rilievi del contribuente,destinatario
dell'attività accertativa,erano stati disattesi. Secondo la più recente Cass.trib. 23252/2019,gli studi di settore avrebbero assunto il valore di presunzioni semplici,che si trasformerebbero in
presunzioni legali a seguito del contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente,restando ferma l'ammissibilità di prova contraria da parte del contribuente.
Come abbiamo detto,gli studi di settore sono stati sostanzialmente sostituiti dagli indici ISA,ossia dagli indici sintetici di affidabilità fiscale,introdotti dall'art. 9Bis del d.l. 50/2017,convertito
dalla l. 96/2017. L'ISA è un indice che esprime un giudizio di sintesi,su una scala da 1 a 10, dell'affidabilità fiscale riconosciuta a ciascun imprenditore,sulla base di indicatori elementari
tesi a verificare la normalità e la coerenza della gestione aziendale o professionale.
I dati rilevanti per l'elaborazione degli indici ISA sono tratti in prima istanza dalle dichiarazioni dei contribuenti medesimi e,in secondo luogo,da tutte le altre fonti informative a
disposizione dell'amministrazione finanziaria,quali l'anagrafe tributaria,l'inps,l'ispettorato nazionale del lavoro,la guardia di finanza,etc.
Tali indici si caratterizzano fondamentalmente come uno strumento di compliance tra i contribuenti e l'amministrazione finanziaria e ciò è altresì testimoniato dal fatto che ai contribuenti
che ottengano un punteggio compreso tra 8 e 10 viene riconosciuto un regime premiale ,con i seguenti benefici:
1)esonero dall'apposizione del visto di conformità per la compensazione di crediti iva non superiori a 50000 euro annui e per la compensazione di crediti relativi all'irap e alle imposte dirette
non superiori a 20000 euro annui
2)esonero dall'apposizione del visto di conformità,oppure dalla prestazione della garanzia,per i rimborsi iva fino a 50000 euro annui
3)esclusione dalla disciplina delle società di comodo ex art. 30 l. 724/1994
4)esclusione degli accertamenti basati sulle presunzioni semplici
5)anticipazione di almeno un anno,con graduazione in funzione del livello di affidabilità, dei termini di decadenza per l'attività di accertamento delle imposte dirette e dell'IVA
6)esclusione dalla determinazione sintetica del reddito complessivo di cui all'art. 38 d.p.r. 600/1973,a condizione che il reddito complessivo accertabile non acceda di due terzi il reddito
dichiarato.
In merito agli indici ISA occorre soffermarci sul fatto che gli stessi non costituirebbero uno strumento di accertamento diretto in sostituzione dei precedenti studi di settore,con ciò
intendendo che gli stessi si configurano in primo luogo come strumenti di compliance,volti a premiare i contribuenti più virtuosi e solo in seconda battuta quali strumenti di
accertamento,dal momento che la grande platea di contribuenti che non hanno ottenuto valori alti renderebbe impossibile far scattare un così elevato numero di avvisi di accertamento.
Secondo anche quanto disposto dalla circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 17/E del 2019,sarebbe più corretto definire gli indici ISA come uno strumento di selezione fiscale,ossia come
uno strumento atto ad individuare le posizioni più a rischio per la successiva fase dei controlli,con ciò intendendo che ,una volta individuate le posizioni più a rischio di evasione fiscale,eventuali
rettifiche o determinazioni della maggior imposta dovuta implicheranno necessariamente un'ulteriore attività,che richiede l'utilizzo dei tradizionali mezzi di accertamento.

-ACCERTAMENTO INDUTTIVO-EXTRACONTABILE:
Il metodo di accertamento induttivo-extracontabile del reddito d'impresa,disciplinato dall'art. 39,comma 2 del d.p.r. 600/1973,si configura come un metodo di accertamento che:
→ prescinde ,in tutto o in parte ,dalle scritture contabili del contribuente,in quanto ritenute prive della sistematicità propria di una contabilità affidabile,per cui presuppone una contabilità
inattendibile(ad esempio,in presenza di un valore di cassa negativo)
→ permette all'ufficio di determinare il reddito del contribuente utilizzando i dati e le notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza degli uffici,nonchè presunzioni non necessariamente
gravi,precise e concordanti (ossia presunzioni non qualificate o semplicissime).
È bene osservare che ,a norma dell'art. 39,comma 2 ,d.p.r. 600/1973,il metodo induttivo-extracontabile PUÒ essere utilizzato solo ed esclusivamente in 4 casi tassativi:
1)quando il reddito d'impresa non è stato indicato nella dichiarazione
2)quando,a seguito di ispezione,risulti dal verbale di ispezione che il contribuente non ha tenuto,o ha sottratto all'ispezione,una o più scritture contabili prescritte ai fini fiscali,nonchè nel
caso in cui le scritture contabili non siano disponibili per cause di forza maggiore
3)quando le omissioni e le false,o inesatte, indicazioni accertate mediante verbale di ispezione,o le irregolarità formali delle scritture contabili sono così gravi,numerose e ripetute da
rendere nel complesso inattendibili le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica
4)quando il contribuente non ha dato seguito all'invito a trasmettere o esibire atti o documenti e non ha risposto al questionario
Possiamo evidenziare che il metodo di accertamento induttivo-extracontabile può distinguersi in due fasi:
→ giudizio di complessiva inattendibilità della contabilità: si concreta nel giudizio sui presupposti che legittimano la stessa adozione del metodo induttivo . È bene sottolineare che l'ufficio
può ritenere la contabilità inattendibile solo in base a prove circostanziate circa le irregolarità contabili,senza potersi servire di dati astratti,come,ad esempio,la redditività media del settore,i
dati statistici circa i ricavi,etc.
→ giudizio di stima del reddito: il reddito d'impresa viene determinato complessivamente,prescindendo in tutto o in parte dalla contabilità,avvalendosi di dati ed elementi comunque
raccolti(dati raccolti in sede di indagini non riguardanti il contribuente) dall'ufficio e di presunzioni non assistite dai requisiti di gravità,precisione e concordanza. La ricostruzione del
reddito acquisisce qui la caratteristica di stima,poichè la prova del fatto è ancorata,piuttosto che al principio di capacità contributiva,alla rappresentazione del reddito mediante un esame
comparativo della redditività dell'impresa in condizioni di normalità di mercato
Da ultimo,va osservato che le presunzioni ,eventualmente semplicissime,sulla cui base l'ufficio ha ricostruito il reddito d'impresa,devono essere adeguatamente motivate nell'avviso di accertamento
successivamente emesso,sicchè ricadrà poi sul contribuente l'onere di provare l'insussistenza di tali presunzioni.

SCHEMA RIASSUNTIVO DEI METODI DI ACCERTAMENTO A SECONDA DEI CONTRIBUENTI COINVOLTI

ACCERTAMENTO ANALITICO
-mediante prove documentali
inerenti alla dichiarazione
-mediante presunzioni legali
(es. movimentazioni bancarie)
SOGGETTI NON AVENTI OBBLIGO DI e solo riduttivamente mediante
TENUTA DELLE SCRITTURE presunzioni qualificate
CONTABILI
Per spese di acquisto di beni

ACCERTAMENTO SINTETICO Per spese di mantenimento di beni


-PERSONE FISICHE IN RELAZIONE A Ricostruzione del reddito sulla
REDDITI FONDIARI,REDDITI DA base delle spese sostenute Per spese di investimento
LAVORO DIPENDENTE,REDDITI DI Utilizzo di presunzioni sia
CAPITALE E REDDITI DIVERSI legali,che semplici
-ENTI NON COMMERCIALI IN ACCERTAMENTO (STANDARDIZZATO) PER
RELAZIONE AI REDDITI DIVERSI REDDITOMETRO

ACCERTAMENTO ANALITICO-CONTABILE

-mediante analisi della


contabilità,risultata attendibile,nonchè di
altre prove documentali
IPOTESI EX ART. 39 COMMA 1 LETTERA D D.P.R.
-mediante presunzioni legali(es.
600/1973
Movimentazioni bancarie)

SOGGETTI AVENTI L'OBBLIGO DI ACCERTAMENTO ANALITICO-INDUTTIVO


TENUTA DELLE SCRITTURE
CONTABILI
-mediante analisi della ACCERTAMENTO (STANDARDIZZATO) PER
-contabilita' inattendibile STUDI DI SETTORE (oggi sostituiti dagli INDICI
-LAVORATORI AUTONOMI contabilità,parzialmente attendibile
-mediante dati e notizie raccolti o a ISA)
-SOCIETA' ESERCENTI ATTIVITA' -mediante presunzioni legali e
conoscenza dell'ufficio
COMMERCIALI presunzioni qualificate
-mediante presunzioni legali e
-ENTRAMBE LE CATEGORIE IN presunzioni sempliciINDUTTIVO-
di qualsiasi sorta
RELAZIONE ALLA DICHIARAZIONE DEI ACCERTAMENTO
(sia qualificate che semplicissime)
EXTRACONTABILE
REDDITI ED ALLE DICHIARAZIONI IVA
2.5- ALTRI SPECIFICI METODI DI ACCERTAMENTO
-ACCERTAMENTO DELL'INTERPOSIZIONE DI PERSONA:
L'accertamento dei redditi in caso di interposizione fittizia viene disciplinato dall'art. 37,comma 3,d.p.r. 600/1973,il quale dispone che “in sede di rettifica o di accertamento di ufficio,sono
imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti,quando sia dimostrato ,anche sulla base di presunzioni gravi,precise e concordanti,che egli ne è l'effettivo
possessore per interposta persona”.
Ricordando che ,nella disciplina civilistica,si ha interposizione fittizia,rientrante nella macrocategoria dell'interposizione di persona, quando un soggetto,formalmente estraneo al contratto concluso da
terzi,ne diventa tuttavia parte sostanziale,possiamo dire che,alla luce di quanto disposto dall'art. 37 comma 3 del d.p.r. 600/1973,nelle situazioni in cui vi sia un divario tra la titolarità apparente
ed il possesso effettivo di un reddito,l'imposta deve essere posta a carico del soggetto che sia possessore effettivo del reddito,non a carico del soggetto interposto.
Dunque se di un determinato reddito appare titolare Tizio,soggetto interposto,ma il possesso effettivo di quel reddito è di Caio,soggetto interponente,la tassazione sul reddito dovrà colpire il soggetto
interponente e non il soggetto interposto.
In sede di accertamento in rettifica di una dichiarazione,così come in sede di accertamento di ufficio,che si ha nel caso di omessa dichiarazione, possono essere imputati al
contribuente,possessore effettivo dei redditi,anche i redditi di cui formalmente appaiano titolari altre persone,purchè di dimostri,anche mediante presunzioni qualificate,che il contribuente
è il possessore effettivo di quei redditi.
È bene in merito osservare che l'interposizione fittizia appartiene al campo dell'evasione,commessa dal titolare effettivo del reddito,reddito che viene fittiziamente imputato ad un altro
soggetto e che l'alienazione simulata dei beni,se posta in essere dal contribuente per sottrarsi al pagamento delle imposte,è reato ai sensi dell'art. 11 d.lgs. 74/2000.
Di particolare rilievo è anche l'art. 37,comma 4 ,del d.p.r. 600/1973,il quale dispone che,qualora il soggetto interposto abbia pagato l'imposta relativa al reddito di cui è titolare apparente e
successivamente l'amministrazione finanziaria abbia accertato quel reddito imputandolo al soggetto interponente,avendosi dunque una doppia imposizione, il soggetto interposto potrà
richiedere il rimborso di quanto versato soltanto dopo che sia divenuto definitivo l'accertamento nei confronti dell'interponente,possessore effettivo del reddito accertato.
Casi particolari di interposizione fittizia si hanno:
→ nel caso in cui ,dall'esame delle movimentazioni bancarie di una società e dei relativi soci,risultino redditi apparentemente intestati ai singoli soci,ma in realtà riferibili alla
società: in questo caso,secondo un orientamento consolidato della Corte di Cassazione,è legittimo riferire alla società,soggetto interponente,i movimenti bancari e,di
conseguenza,imputarle il reddito conseguente. In merito la Cassazione è intervenuta da ultimo con sent. 437/2020,statuendo che è legittima l'imputazione, ad una società , di redditi non
dichiarati ,sulla base dell'esame della documentazione bancaria relativa ai soci della predetta società. In altre parole,l'amministrazione finanziaria ,nel caso della sentenza in oggetto,aveva
ricostruito ,induttivamente,il reddito di una società,esaminando le movimentazioni bancarie afferenti ai conti correnti dei soci della società : la Corte di Cassazione ha qui giustificato
l'operato dell'ufficio ritenendo legittima l'applicazione dell'art. 37 comma 3 del d.p.r. 600/1973 e ,dunque, l'imputazione alla società dei redditi di cui appaiono titolari altri soggetti,quali,nel
caso di specie, i soci della società destinataria della rettifica.
→ nel caso in cui l'interposto sia un soggetto residente all'estero,al quale risultino formalmente imputabili dei redditi in realtà conseguiti da soggetti residenti in Italia: si fa
riferimento qui al caso di alcuni calciatori ,i quali sono stati considerati effettivi possessori di somme corrisposte a società estere,per lo sfruttamento pubblicitario della loro immagine. La
società estera è stata considerata come soggetto fittiziamente interposto e sono state tassate,come reddito dei calciatori,le somme corrisposte alla società estera.
→ nel caso delle cd. Frodi carosello: le frodi carosello sono frodi Iva in cui vi è un soggetto interposto tra l'effettivo cedente e l'effettivo cessionario di un bene. Possiamo in merito fare un
esempio: poniamo che il cedente sia un soggetto residente all'estero e poniamo che la merce venga acquistata senza IVA,trattandosi di un acquisto intracomunitario,dal soggetto
interposto,il quale la rivende poi al soggetto interponente,omettendo però di versare l'iva incassata. In tal caso,l'evasione consiste nel mancato versamento dell'iva interna da parte della
società interposta,che,di solito , è insolvente; il fisco agirà qui per recuperare il tributo nei confronti del soggetto interponente,considerando indebita la detrazione dell'Iva versata
dall'interposto.
Va da ultimo osservato che fino a questo momento abbiamo parlato soltanto di interposizione fittizia,ma non abbiamo parlato dell'altro caso che rientra nella ben più ampia interposizione di
persona,ossia il caso dell'interposizione reale. Si ha interposizione reale,in ambito civilistico,quando un soggetto assume la veste di parte formale e sostanziale di un contratto ,per poi
ritrasferire gli effetti del contratto stesso ad un terzo,beneficiario effettivo del rapporto (es. negozio fiduciario). Sul piano del diritto tributario,appare qui evidente che l'interposizione e
l'operazione ad essa sottostante siano state effettivamente volute,nonchè il fatto che si sia imputato formalmente il reddito ad un soggetto diverso rispetto all'effettivo possessore del
reddito,ossia della ricchezza sprigionata dal presupposto.
In merito all'interposizione reale,la Cassazione ha statuito,con sentenze che arrivano sino al 2020,che è irrilevante distinguere tra interposizione fittizia ed interposizione reale ai fini
dell'applicabilità dell'accertamento ex art. 37,comma 3,d.p.r. 600/1973,con ciò sancendo che la norma si applica estensivamente,senza differenziazione alcuna,sia ai casi di interposizione
fittizia,sia ai casi di interposizione reale (secondo Tesauro invece,l'interposizione reale sarebbe da ricondurre al fenomeno dell'elusione e dunque si dovrebbe utilizzare lo strumento
dell'accertamento dell'abuso del diritto ex art. 10bis dello Statuto dei diritti del contribuente)
Secondo la corte di Cassazione,è altresì affermato che la disciplina dell'interposizione,di cui al succitato comma 3 dell'art. 37,non presuppone necessariamente un comportamento
fraudolento da parte del contribuente,ossia un comportamento dolosamente ordinato alla riduzione del prelievo fiscale. Secondo la Corte di Cassazione è sufficiente un uso ingiustificato ,non
coerente con la prassi mercatoria,di un legittimo strumento giuridico. La cassazione vuole quindi ribadire che non è necessario,ai fini dell'applicazione dell'istituto della
interposizione,che si tratti di interposizione fittizia,essendo rilevanti anche fattispecie di interposizione reale e ,dunque, ipotesi in cui le operazioni sono effettivamente volute. Basti fare un
esempio: un contribuente,avvocato del consiglio dell'ordine di Macerata, aveva disposto una vendita fortemente speculativa di un immobile,ma tale vendita veniva posta in essere,formalmente,da una
società allo stesso riconducibile,con la conseguenza che la plusvalenza realizzata con tale vendita non era stata imputata all'avvocato,quanto piuttosto al soggetto interposto,in questo caso la
società,che non era aggredibile; la Cassazione,in virtù di quanto disposto dal suddetto art. 37 comma 3,ha imputato tutta la plusvalenza derivante dalla compravendita immobiliare in questione
all'avvocato,soggetto interponente che aveva formalmente interposto una società nell'ambito di una cessione di un immobile plusvalente al fine dell'interposizione,in questo caso reale,di un soggetto che
non offriva le necessarie garanzie patrimoniali in sede di riscossione al fisco.

-ACCERTAMENTO DELL'ABUSO DEL DIRITTO( ELUSIONE) :


L'abuso del diritto,meglio conosciuto come elusione, è un istituto trasversale,che è stato elaborato ed introdotto nel nostro ordinamento, grazie alla spinta della Corte di Giustizia Europea
e ,successivamente,della Corte di Cassazione,con la L. 212/2000,ossia con lo Statuto dei diritti del contribuente,il quale lo disciplina nell'art. 10Bis .
È bene osservare che nell'ambito del diritto tributario,una clausola residuale antielusiva è rappresentata dall'art. 37,comma 3,d.p.r. 600/1973,ma essa,trattando di interposizione di
persona,si pone soltanto come affine all'istituto dell'abuso del diritto,che viene compiutamente disciplinato soltanto dall'art. 10Bis dello Statuto dei diritti del contribuente,articolo che si
configura altresì come una norma generale,seppur residuale,nell'ambito dell'attività accertativa,con ciò intendendo che tale norma è applicabile solo ed esclusivamente nei casi in cui non
sia contestabile la violazione di specifiche norme tributarie,eventualmente a carattere antielusivo specifico.
A norma dell'art. 10Bis,comma 1 ,dello Statuto dei diritti del contribuente,l'abuso del diritto si configura quando il contribuente pone in essere una o più operazioni prive di sostanza
economica che,pur nel rispetto formale delle norme fiscali,realizzano sostanzialmente vantaggi fiscali indebiti (anche non immediati), realizzati in contrasto con le finalità delle norme
fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario.
Dunque,se l'abuso del diritto si configura quando il contribuente pone in essere delle operazioni prive di sostanza economica che,pur nel rispetto formale delle norme fiscali,gli
consentono di realizzare vantaggi fiscali indebiti,possiamo dire che lo stesso si traduce nell'utilizzazione non fisiologica,distorta, di strumenti giuridici previsti dall'ordinamento per finalità
che non sono proprie,finalità che si sostanziano,fondamentalmente,nella realizzazione di vantaggi fiscali indebiti.
Non a caso dunque ,l'abuso del diritto viene anche definito come elusione fiscale,che si differenzia enormemente dall'evasione fiscale. Si ha infatti evasione fiscale quando il contribuente
viola determinate norme fiscali per ottenere un risparmio d'imposta,oppure per sottrarsi totalmente all'imposizione (ad esempio,si ha evasione quando il contribuente registra in contabilità una fattura e
poi la detrae come costo,con conseguente iva detraibile,relativa ad un'operazione oggettivamente inesistente e quindi mai realizzata). Diversamente,con riferimento all'abuso del diritto o elusione
fiscale,non si ha la violazione di specifiche norme tributarie,ma ,semplicemente,un'utilizzazione distorta delle norme tributarie,le quali vengono appunto ad essere utilizzate per conseguire risultati ,quali i
vantaggi fiscali indebiti ,che si pongono in contrasto con la ratio delle norme stesse,nonchè con i principi dell'ordinamento tributario. Questa grande differenza tra elusione,o abuso del diritto da un
lato,ed evasione fiscale dall'altro lato, trova riscontro anche sotto il profilo sanzionatorio,dal momento che per l'evasione si applicheranno le norme sanzionatorie penali,mentre ,per l'abuso del
diritto, si applicheranno soltanto,laddove riscontrato,le sanzioni amministrative tributarie.
Da questa breve analisi possiamo affermare che l'abuso del diritto costituisce un istituto che si pone a metà tra il legittimo risparmio d'imposta e l'evasione.
Un aspetto problematico concernente l'istituto dell'abuso del diritto è quello del suo ambito di applicazione,con ciò intendendo che è necessario individuare quando il porre in essere
determinate operazioni che comportino la realizzazione di un risparmio d'imposta si configuri come abuso del diritto,o elusione,e quando invece ciò non accade.
A delimitare l'ambito di applicazione dell'abuso del diritto è intervenuto l'art. 10Bis,comma 4 dello Statuto dei diritti del contribuente,il quale ha disposto che non costituisce abuso del
diritto:
→ scegliere tra regimi opzionali diversi,previsti dall'ordinamento: se non costituisce abuso del diritto la scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi,previsti dall'ordinamento,ne
consegue che il contribuente può avvalersi tranquillamente e legittimamente di un'opzione agevolativa prevista dall'ordinamento.
Basti in merito pensare che, nel mese di marzo 2020, è uscita una sentenza della Corte di Cassazione,nella quale la Corte ha affermato che il contribuente aveva legittimamente deciso di
accedere ad un regime opzionale ed agevolativo per la rivalutazione delle partecipazioni. In questo caso,in sostanza, il contribuente aveva rivalutato le partecipazioni pagando un'imposta
sostitutiva ridotta e poi aveva ceduto queste partecipazioni ormai rivalutate non conseguendo una plusvalenza imponibile. Dunque il contribuente,in questo caso, aveva legittimamente
utilizzato un'opzione prevista dal legislatore.
→ scegliere tra più operazioni comportanti un diverso prelievo fiscale: non costituisce abuso del diritto,o elusione,la scelta ,da parte del contribuente,tra diverse operazioni che
presentino un carico fiscale diversificato,per cui,ne discende che il contribuente,ai fini del raggiungimento di un determinato risultato,organizzativo od operativo che sia,non è obbligato a
scegliere la via fiscalmente più onerosa.
Questo è un portato della giurisprudenza comunitaria: la Corte di Giustizia, tradizionalmente, ha sempre affermato e ritenuto che il contribuente non è tenuto a scegliere la via fiscalmente
più onerosa,sempre che,ma sul punto torneremo,la scelta sia sorretta da valide motivazioni di ordine economico. Dunque il contribuente può scegliere tra diverse operazioni comportanti
un diverso carico fiscale,purchè queste scelte siano tutte sullo stesso livello,nel senso che tutte siano sorrette da un valido sostrato economico. Nell'ambito di scelte,tutte valide
economicamente,il contribuente non è assolutamente tenuto ad optare per la via fiscalmente più onerosa ,che si configura come più vantaggiosa ,in termini di gettito, per l'erario.
Per quanto riguarda il profilo dell'accertamento dell'abuso del diritto da parte dell'amministrazione finanziaria,vi è da fare un discorso più ampio.
Possiamo innanzitutto dire che l'accertamento dell'abuso del diritto ,a norma dell'art. 10Bis,comma 1,secondo periodo, dello Statuto dei diritti del contribuente,si sostanzia nel momento in
cui ,dall'analisi di un'operazione,o di più operazioni collegate,emerga l'assenza di un'operazione economica,la realizzazione di un vantaggio fiscale indebito e l'essenzialità di tale
vantaggio nella causa dell'operazione o delle operazioni. In questo caso l'amministrazione finanziaria è legittimata a contestare la condotta abusiva nei confronti del contribuente e a
procedere al disconoscimento dei vantaggi fiscali indebitamente goduti dal contribuente medesimo,determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenendo conto di
quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni.
Da quanto sopra esposto ne consegue che l'accertamento dell'abuso del diritto può essere scisso in due fasi:
1)fase dell'accertamento della presenza dell'abuso del diritto
2)fase del disconoscimento dei vantaggi fiscali indebitamente conseguiti e conseguente applicazione della normativa tributaria elusa
Per quanto riguarda l'accertamento della sussistenza dell'abuso del diritto,possiamo affermare che ,affinchè sia configurabile abuso del diritto,sono necessari 4 presupposti,o requisiti:
a)vi deve essere stato il rispetto della singola norma o delle singole norme tributarie: l'abuso del diritto,o elusione,come abbiamo detto,consiste in un'utilizzazione distorta di istituti
giuridici previsti dall'ordinamento tributario. Qualora vi sia stata la violazione,da parte del contribuente,di specifiche norme tributarie, non si avrebbe più elusione o abuso del diritto,quanto
piuttosto un caso di evasione fiscale
b)vi deve essere l'assenza di sostanza economica delle operazioni poste in essere dal contribuente: a norma dell'art. 10Bis,comma 2,lettera a, dello Statuto dei diritti del
contribuente,per operazioni prive di sostanza economica debbono intendersi “ i fatti,gli atti ed i contratti,anche tra loro collegati,inidonei a produrre effetti significativi diversi
dai vantaggi fiscali”.
Si intende quindi dire che le operazioni ,poste in essere dal contribuente, si configurano come prive di sostanza economica quando,considerandole nel loro
complesso,risultino inidonee a produrre vantaggi ulteriori e diversi rispetto a quelli fiscali. Detta più semplicemente,le operazioni sono prive di sostanza economica quando
conducono ad un risultato economicamente non apprezzabile,nè sotto il profilo gestionale,nè sotto l'aspetto organizzativo.
Il legislatore ha espressamente previsto che costituiscono indici di abuso del diritto e,nello specifico,indici di assenza di sostanza economica,la non coerenza delle singole
operazioni con la causa giuridica dell'operazione complessivamente considerata e la non rispondenza dell'operazione,complessivamente considerata,a logiche di mercato. Dunque sono
operazioni prive di sostanza economica sia le operazioni che,sia singolarmente,sia nel loro complesso,non rispondono ad una logica di mercato,sia le operazioni la cui causa
giuridica non sia coerente con la causa dell'operazione unitariamente considerata.
Esempio classico di operazioni prive di sostanza economica è dato dalle cd. Operazioni circolari: le operazioni circolari costituiscono delle operazioni al termine delle quali l'assetto
organizzativo-gestionale è sostanzialmente il medesimo che vi era prima di effettuare le operazioni stesse. In questo caso dunque l'operazione viene realizzata con quelle particolari
modalità non per conseguire un effettivo miglioramento dell'assetto gestionale ed organizzativo,bensì per conseguire soltanto un vantaggio fiscale (operazione neutra dal punto di vista di
ristrutturazione dell'azienda,ma non neutra per l'ordinamento tributario,dal momento che la stessa permette di conseguire un vantaggio di imposta privo di un reale sostrato economico).
c) vi deve esser stata la realizzazione di un vantaggio fiscale indebito: con vantaggi fiscali indebiti,il legislatore ha inteso far riferimento ai benefici,anche non
immediati,realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario.
Dunque, un vantaggio fiscale è indebito quando il risparmio d'imposta conseguito mediante l'utilizzazione distorta di strumenti giuridici previsti dall'ordinamento si pone
contrariamente o alle finalità delle stesse norme fiscali applicate,o ai principi generali dell'ordinamento tributario. Possiamo in merito fare un esempio relativo al caso in cui il
contribuente ponga in essere un'operazione che,seppur non espressamente vietata da singole norme tributarie,comporti un risultato contrario ai principi generali dell'ordinamento: mettiamo
che il contribuente riesca,all'esito dell'operazione,ad operare una doppia deduzione degli stessi costi; egli non ha in questo caso violato una specifica norma tributaria,ma ha violato un
principio generale dell'ordinamento,ossia il principio secondo il quale i costi possono essere dedotti ,da parte del soggetto che li ha effettivamente sostenuti, una sola volta.
In secondo luogo va osservato che il vantaggio fiscale indebito non deve necessariamente essere immediato,con ciò intendendo che non è necessario che lo stesso sia
immediatamente conseguito dopo aver posto in essere una determinata operazione,così come non è necessario che lo stesso sia conseguito nello stesso periodo d'imposta in cui si sia
realizzata l'operazione. Da ciò se ne deduce che il vantaggio fiscale indebito può configurarsi come un vantaggio meramente prospettico,come un vantaggio perseguito ma non
ancora conseguito dal contribuente. È questo il caso,ad esempio, in cui l'acquisizione di un maggior valore, fiscalmente riconosciuto, viene scontato dall'impresa mediante l'iscrizione in
bilancio di maggiori ammortamenti e ,di conseguenza, di maggiori costi negli esercizi successivi.
d)il vantaggio fiscale indebito deve essere essenziale: con essenzialità del vantaggio fiscale indebito si intende dire che il conseguimento dell'indebito risparmio d'imposta
deve aver costituito la motivazione prevalente che ha portato il contribuente a realizzare una determinata operazione,o più operazioni collegate.
È bene in merito osservare che affermare che il vantaggio fiscale indebito sia stato essenziale e che abbia costituito dunque la motivazione prevalente che ha spinto il contribuente a
realizzare una determinata operazione,non equivale ad affermare che tale motivazione debba essere stata esclusiva. Dunque,affinchè il vantaggio fiscale indebito possa essere
considerato come essenziale,è sufficiente che lo stesso abbia costituito la motivazione prevalente alla base dell'operazione,anche nel caso in cui tale motivazione sia stata
accompagnata da altre ragioni economiche,marginali o accessorie (es. Cass. 34750/2019).
Seguendo un ragionamento a contrario, da ciò ne discende che ,qualora il conseguimento di un vantaggio fiscale indebito sia accompagnato da ragioni economiche non
marginali e non accessorie,quanto,piuttosto,di carattere sostanziale,non è configurabile abuso del diritto.
In particolare,il legislatore ha sancito,all'art. 10Bis,comma 3 dello Statuto dei diritti del contribuente, che in ogni caso non si considerano abusive le operazioni giustificate da
valide ragioni extra-fiscali,non marginali,anche di ordine organizzativo o gestionale,che rispondano a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell'impresa,oppure
dell'attività professionale del contribuente. Sono dunque considerate come valide ragioni economiche anche quelle finalità ,di miglioramento funzionale e strutturale dell'impresa ,che
non ridondano vantaggio immediato in termini di redditività,ma che consentono ,in linea prospettica ,di migliorare l'assetto strutturale o funzionale dell'impresa, o dell'attività
economica ,professionale o artistica del contribuente. Quindi deve trattarsi, comunque, di ragioni economiche importanti,non marginali.
Appare dunque evidente che la valutazione concernente la sussistenza di valide ragioni economiche che giustificano il riconoscimento del vantaggio fiscale indebitamente
conseguito costituisce un apprezzamento meramente di fatto,che dovrà essere esposto sia dai funzionari dell'ufficio accertatore in sede di contraddittorio
endoprocedimentale,sia,qualora l'avviso di accertamento eventualmente emesso venga impugnato, da parte del giudice della commissione tributaria provinciale,del giudice
della commissione tributaria regionale ,da parte della Cassazione in sede contenziosa.
In questo risiede la peculiarità dell'istituto dell'abuso del diritto: se sussistono valide ragioni economiche,il vantaggio fiscale,anche se indebito,viene comunque riconosciuto
all'impresa o a colui che esercita la professione.
Ricapitolando, affinchè possa assere accertato l'abuso del diritto a carico del contribuente,occorre che il contribuente,senza violare alcuna specifica norma fiscale,ma,piuttosto,
avvalendosi di strumenti giuridici previsti dall'ordinamento,abbia posto in essere un'operazione,o delle operazioni,prive di sostanza economica,ossia non coerenti con le logiche di
mercato,che abbiano avuto come scopo prevalente,sebbene non necessariamente esclusivo , il perseguimento o il conseguimento di un vantaggio fiscale indebito,che rappresenta
dunque la causa essenziale delle operazioni poste in essere.
Una volta accertata la sussistenza dei requisiti necessari affinchè possa ricorrere il caso dell'abuso del diritto,l'amministrazione finanziaria procede,come abbiamo detto, a disconoscere i
vantaggi fiscali ingiustamente goduti dal contribuente,determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenendo altresì conto di quanto versato dal contribuente per
effetto delle operazioni poste in essere. Nel dettaglio:
1)disconoscimento parziale dei vantaggi fiscali indebitamente conseguiti: l'amministrazione finanziaria provvede a disconoscere il vantaggio fiscale indebitamente conseguito dal
contribuente ponendo in essere una determinata operazione: è bene qui osservare che con disconoscimento del vantaggio fiscale conseguito dal contribuente,si intende far riferimento
all'inopponibilità dell'operazione posta in essere dal contribuente nei confronti dell'amministrazione finanziaria,per cui tale operazione sarà considerata come improduttiva di effetti ai fini
tributari.
In secondo luogo,ma non di minore importanza,rileva che tale disconoscimento del vantaggio fiscale indebito si configura come parziale perché,sebbene l'operazione posta in essere dal
contribuente non sia produttiva di effetti ai fini fiscali,la stessa operazione rimarrà valida da un punto di vista civilistico,nonchè da un punto di vista tributario per il futuro: il regime fiscale
futuro del soggetto sarà proprio quello della struttura civilistica realizzata,per cui i vantaggi fiscali disconosciuti sono soltanto i vantaggi diretti dell'operazione. Possiamo in merito fare un
esempio: se trasformo,abusivamente,una società di capitali in una società di persone,al momento dell'operazione mi verrà disconosciuto il vantaggio fiscale conseguito,ma una volta
versata l'imposta risparmiata al momento dell'effettuazione dell'operazione,il regime della società di destinazione sarà proprio quello della società di persone.
2)applicazione del regime fiscale eluso: l'amministrazione finanziaria,una volta disconosciuti i vantaggi fiscali indebitamente conseguiti dal contribuente,procede ad applicare il regime
fiscale eluso da quell'operazione: l'amministrazione finanziaria realizza qui,fondamentalmente,una fictio iuris,con ciò intendendo che provvede alla determinazione dell'imposta dovuta
applicando il regime fiscale eluso,che si sarebbe reso applicabile se il contribuente avesse posto in essere operazioni coerenti con le logiche di mercato. In poche parole,avendo il
contribuente realizzato un'operazione priva di sostanza economica al fine prevalente di conseguire vantaggi fiscali indebiti,l'amministrazione finanziaria procede ad applicare il regime
fiscale legato a quell'operazione che il contribuente ,in maniera congrua con le logiche di mercato,avrebbe dovuto realizzare,ma che non ha appunto realizzato ,optando per un'operazione
abusiva fiscalmente meno onerosa.
3)detrazione dei tributi versati con la realizzazione dell'operazione abusiva: l'amministrazione finanziaria,una volta ricalcolato il debito d'imposta del contribuente sulla base del regime
fiscale eluso,riconosce in detrazione i tributi versati dal contribuente al momento della realizzazione dell'operazione abusiva,per cui li scomputa il loro valore dalla maggior imposta
accertata
Una volta esaminato l'accertamento dell'abuso del diritto da un punto di vista sostanziale,occorre andare ad analizzare alcune peculiarità che l'accertamento dell'abuso del diritto presenta da un
punto di vista procedimentale.
Ricordando che l'accertamento dell'abuso del diritto ex art. 10bis costituisce una clausola residuale nell'ambito dell'attività di accertamento ,con ciò intendendo che lo stesso può aversi
soltanto nei casi in cui non vi siano state violazioni di norme tributarie specifiche,possiamo dire che le peculiarità procedimentali dell'accertamento dell'abuso del diritto sono:
→ obbligo di contraddittorio endoprocedimentale anticipato rispetto alla notifica dell'atto di accertamento: l'obbligo del contraddittorio anticipato,che rende l'accertamento
dell'abuso del diritto più articolato,da un punto di vista procedimentale,rispetto all'accertamento ordinario,si sostanzia nell'obbligo,posto a carico dell'amministrazione finanziaria,di inviare al
contribuente una richiesta di chiarimenti,lasciandogli la possibilità di rispondere nei 60 giorni successivi,prima di poter emettere qualsivoglia avviso di accertamento. Dunque l'ufficio deve
procedere,prima dell'emissione di un avviso di accertamento,ad inviare al contribuente una richiesta di chiarimenti,lasciando altresì trascorrere 60 giorni ,per consentire al contribuente di
presentare appunto dei chiarimenti; solo una volta trascorsi i 60 giorni dalla richiesta di chiarimenti,l'amministrazione potrà emettere un avviso di accertamento inerente l'operazione
abusiva.
In primo luogo va osservato che la richiesta di chiarimenti deve essere motivata dall'ufficio,con ciò intendendo che l'ufficio deve necessariamente indicare l'operazione che si ritiene elusiva
e le ragioni per cui ritiene che quell'operazione sia elusiva.
In secondo luogo,bisogna notare che la richiesta di chiarimenti deve essere necessariamente inviata al contribuente entro i termini ordinari di decadenza del potere accertativo
dell'amministrazione finanziaria (entro il quinto anno successivo rispetto a quello in cui il contribuente abbia posto in essere l'operazione abusiva) e che,qualora si sia inviata la richiesta di
chiarimenti in prossimità della scadenza dei termini dell'accertamento,per evitare che l'attesa del tempo di risposta da parte del contribuente (i 60 giorni) determini la decadenza del potere
di accertamento,i termini per emettere l'avviso di accertamento sono prorogati di 60 giorni rispetto ai termini ordinari di decadenza.
Da ultimo, possiamo dire che il contribuente,rispondendo alla richiesta di chiarimenti,dovrà necessariamente indicare quali siano state le motivazioni economiche alla base delle operazioni
contestategli dall'amministrazione finanziaria,riuscendo a dimostrare,con argomentazioni ed altresì con prove eventualmente non conosciute dall'ufficio,che si è trattato di un'operazione,o
di operazioni collegate,assistite da un valido sostrato economico e finalizzate ad un miglioramento dell'assetto strutturale,organizzativo e funzionale dell'attività professionale o dell'attività
di impresa svolta dal contribuente medesimo.
Tale obbligo di contraddittorio endoprocedimentale,come vedremo,non si configura come un obbligo isolato o monistico,ma anzi,come un obbligo particolarmente rafforzato,dal momento
che i suoi effetti si andranno a riverberare nel tessuto argomentativo dell'atto di accertamento successivamente emesso dall'amministrazione finanziaria.
→ obbligo di motivazione rafforzata nell'avviso di accertamento inerente l'operazione elusiva: l'atto di accertamento eventualmente emesso dall'amministrazione finanziaria al
termine del contraddittorio endoprocedimentale dovrà contenere,al suo interno,una motivazione rafforzata. A differenza di quanto previsto ordinariamente ai sensi degli artt. 42 e ss. d.p.r.
600/1973,in questo particolare caso l'amministrazione finanziaria non potrà limitarsi ad esporre,nell'atto di accertamento,le ragioni che l'hanno spinta ad accertare il maggior tributo dovuto,
indicando quindi quale sia la condotta abusiva,quale sia il vantaggio fiscale indebito conseguito dal contribuente e quali siano state le norme ed i principi la cui ratio sia stata violata (iter
logico-giuridico della ripresa),ma dovrà necessariamente motivare anche sui chiarimenti forniti dal contribuente.
In buona sostanza, l'amministrazione non dovrà soltanto ,unilateralmente, esporre l'iter logico-giuridico della propria ripresa a tassazione,ma dovrà anche esternare, nell'atto di
accertamento, perché ha ritenuto necessario e non convincente disattendere i chiarimenti forniti dal contribuente
Per concludere sull'accertamento dell'abuso del diritto,occorre evidenziare dei profili di rilievo in sede contenziosa,che emergono ,per l'appunto, qualora il contribuente abbia
impugnato,dinanzi alle commissioni tributarie,l'avviso di accertamento emesso dall'amministrazione finanziaria in relazione all'abuso del diritto:
→ ripartizione dell'onere della prova tra il contribuente e l'amministrazione finanziaria: al fine di sostenere la propria pretesa,l'amministrazione finanziaria dovrà indicare e provare
quelli che sono gli elementi essenziali della condotta abusiva,ossia la mancanza di puntuali e valide motivazioni economiche sottese all'operazione e la sussistenza della volontà del
contribuente di perseguire,attraverso l'operazione abusiva,prevalentemente un vantaggio fiscale indebito; il contribuente,di contro,dovrà limitarsi ad argomentare e a fornire prove circa la
sussistenza delle motivazioni economiche sottese all'operazione posta in essere.
→ irrilevabilità d'ufficio dell'abuso del diritto:L'abuso del diritto non può essere rilevato d'ufficio dal giudice,ma deve essere espressamente e necessariamente dedotto
dall'amministrazione finanziaria nell'avviso di accertamento.da ciò ne consegue che l'abuso del diritto non può essere utilizzato,come è stato in passato,come clausola generale che il
giudice sollevava sistematicamente,addirittura in ultimo grado . Basti in merito pensare che la sussistenza dell'abuso del diritto veniva rilevata d'ufficio dalla Corte di Cassazione in
sentenza,non consentendo quindi al contribuente di difendersi.
In buona sostanza è successo che,fino all'introduzione della norma,l'amministrazione operava una rettifica della dichiarazione dei redditi del contribuente sulla base di una certa
argomentazione e sulla base di certe prove ,per cui,in sede contenziosa, il thema decidendum era incentrato su queste prove fornite dall'amministrazione . Ebbene,accadeva spesso che ,
in sede di Corte di Cassazione ,erano gli stessi giudici di legittimità a sollevare ,al momento dell'emissione della sentenza, la problematica dell'abuso del diritto , riconoscendo,
eventualmente, le ragioni dell'amministrazione sulla base di un principio,di un istituto, quale quello dell'abuso del diritto,che non era stato sollevato nemmeno dalla stessa amministrazione
finanziaria. Attraverso tale prassi, il contribuente veniva sostanzialmente privato di 3 gradi di giudizio,dal momento che,non essendogli mai stato contestato l'abuso del diritto nell'atto di
accertamento o in primo grado,lo stesso contribuente si era difeso su altri profili,per cui ,una volta uscita la sentenza con la dichiarazione di abusività dell'operazione e con il conseguente
disconoscimento dell'operazione posta in essere ,il contribuente non si poteva in alcun modo difendere,con evidente e macroscopica violazione del diritto di difesa in giudizio di cui all'art.
24 cost. .

-ACCERTAMENTO DELLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI:


Quando vi è solidarietà, vi sono più soggetti nei confronti dei quali può essere esercitato il potere impositivo; solidarietà equivale a cosoggezione. In passato, l’Amministrazione
finanziaria e la giurisprudenza ritenevano che l’avviso di accertamento, notificato ad uno soltanto dei condebitori, fosse efficace nei confronti di tutti; se l’avviso non era impugnato dal
condebitore al quale era stato notificato, si riteneva che gli effetti valessero nei confronti di tutti, anche nei confronti dei condebitori ai quali non era stato notificato. Nella solidarietà vi è
una pluralità di debitori per un’unica prestazione, e l’adempimento di uno libera tutti; da ciò ne deriva la facoltà del creditore di rivolgersi a sua scelta ad uno o ad alcuni o a tutti i debitori.
L’avviso esplica effetti solo nei confronti del soggetto che ne è il destinatario ed al quale è notificato.
I soli casi nei quali l’atto produce effetti verso soggetti diversi dai suoi destinatari sono i seguenti:
→ Quando vi sia successione nel debito di imposta;
→ Quando l’amministrazione sia titolare di privilegio speciale, perché in tal caso l’atto emesso nei confronti del soggetto passivo legittima l’esecuzione sul bene, anche se di proprietà di
terzi.
Il fisco può iscrivere a ruolo un condebitore, in quanto quella iscrizione a ruolo sia legittimata da un avviso di accertamento emesso nei confronti di quel condebitore.
L’avviso di accertamento deve essere notificato a ciascun condebitore nel termine di decadenza, perché alla decadenza non può essere applicato il principio secondo cui gli atti con i quali
il creditore interrompe la prescrizione contro uno dei debitori in solido hanno effetto anche nei riguardi di altri debitori.

-ACCERTAMENTO DEI REDDITI DELLE SOCIETA' CONSOLIDATE:


Ogni società, compresa la consolidante, deve presentare la dichiarazione del proprio reddito, cui si aggiunge la dichiarazione di gruppo presentata dalla consolidante.
Gli avvisi di accertamento che rettificano il reddito complessivo dichiarato da una consolidata devono contenere anche la rettifica del reddito globale dichiarato dalla
consolidante e sono notificati sia dalla consolidata, sia dalla consolidante.
Il pagamento delle somme scaturenti dall’atto unico estingue l’obbligazione sia se effettuato dalla consolidata che dalla consolidante.

CAPITOLO 3- L'AVVISO DI ACCERTAMENTO


3.1- DEFINIZIONE,NATURA E PRESUPPOSTI DELL'AVVISO DI ACCERTAMENTO
-ACCERTAMENTO IN SENSO STATICO:
Come abbiamo più volte detto,quando si parla di accertamento,occorre distinguere tra accertamento in senso dinamico ed accertamento in senso statico,intendendo,con accertamento in
senso dinamico,il procedimento di imposizione svolto dall'amministrazione finanziaria ai fini di accertare la maggior imposta dovuta dal contribuente,intendendo invece con accertamento in senso
statico l'atto di accertamento,ossia quel provvedimento amministrativo che si pone a conclusione del procedimento di accertamento e che prende il nome di avviso di accertamento . In
breve,possiamo definire l'avviso di accertamento come quel provvedimento amministrativo che viene emesso all'esito del procedimento di accertamento ,che deve essere motivato e
firmato dal responsabile dell'ufficio e che deve essere,in ultima istanza,notificato al contribuente,il quale avrà poi 60 giorni,a partire dalla data della notifica,per
impugnarlo,eventualmente,dinanzi alla commissione tributaria provinciale.

-AVVISO DI ACCERTAMENTO:
Con avviso di accertamento si intende far riferimento a quell'atto autoritativo mediante il quale l'amministrazione finanziaria manifesta formalmente la pretesa tributaria al contribuente,a
seguito di un'attività di controllo sostanziale. Per riprendere la definizione di Fantozzi,possiamo dire che l'avviso di accertamento si sostanzia in un atto autoritativo di individuazione del
presupposto e,conseguentemente,di determinazione dell'imponibile e ,eventualmente,dell'imposta,nonchè di altri elementi essenziali del presupposto stesso.
Da un punto di vista storico,occorre osservare che il termine avviso di accertamento comparve per la prima volta all'interno della L.1830/1964,ossia nella legge istitutiva dell'imposta di
ricchezza mobile,nella quale i termini atto di accertamento ed avviso di accertamento indicavano due atti distinti,ossia,rispettivamente,un atto collettivo di accertamento dei redditi (tabella) e un
avviso di tale accertamento ai contribuenti. Il dualismo dei termini è caduto da tempo,per cui,attualmente,parlare di atto di accertamento o di avviso di accertamento,significa comunque far
riferimento a quell'atto che viene emesso dall'amministrazione finanziaria al termine della procedura di accertamento delle maggiori imposte dovute dal contribuente.
Quanto alla natura dell'avviso di accertamento,possiamo affermare sinteticamente che esso è un provvedimento amministrativo vincolato,che determina autoritativamente l'obbligazione
tributaria. Nel dettaglio:
→ esso è un provvedimento amministrativo,indi per cui è sottoposto alla L. 241/1990,ossia alla legge sul procedimento amministrativo
→ esso costituisce un atto vincolato dell'amministrazione finanziaria: l'avviso di accertamento costituisce espressione del carattere di vincolatezza dell'azione dell'amministrazione
finanziaria,dal momento che,una volta operata (“discrezionalmente”) la scelta di quali soggetti sottoporre a controllo, l'Amministrazione finanziaria non ha discrezionalità alcuna né in merito
ai metodi di accertamento da adottare,nè in merito all'an ed al contenuto del provvedimento da emanare. Tale carattere di vincolatezza
→ esso è un atto che determina autoritativamente l'obbligazione tributaria: l'avviso di accertamento viene anche detto atto di imposizione per indicare che ,attraverso di
esso,l'amministrazione finanziaria “impone” al contribuente il debito tributario. Con ciò si intende dire che l'avviso di accertamento si pone essenzialmente come atto autoritativo,ossia che
viene emanato nell'esercizio di un potere autoritativo ,il quale consiste nell'imposizione unilaterale di effetti giuridici. Dal momento che l'art. 23 Cost. Sancisce che le leggi tributarie
debbano necessariamente disciplinare i presupposti,la misura ed i soggetti passivi dell'obbligazione tributaria, ne discende che ,qualora il contribuente non abbia rispettato le
norme tributarie,o omettendo di presentare la dichiarazione,o dichiarando meno di quanto dovuto,sarà l'avviso di accertamento,in esecuzione della legge, a determinare il
debito d'imposta e quindi i contenuti dell'obbligazione tributaria.
→ esso non costituisce comunque un atto necessitato: definendo l'avviso di accertamento come un atto non necessitato,si intende far riferimento alla circostanza che non
necessariamente,non sempre , l'attività di verifica del comportamento del contribuente conduce poi alla notifica di un atto di accertamento. Possiamo in merito fare degli esempi. In primo
luogo,se ,a seguito dell'accesso,ispezione e verifica,viene ad esempio redatto e notificato un processo verbale di constatazione nel quale non si hanno contestazioni di carattere
sostanziale,ma ,al limite,di carattere meramente formale meramente formale,oppure non si hanno contestazioni,l'ufficio non procederà alla notifica dell'avviso di accertamento. La stessa
cosa avviene nel caso in cui le circostanze di fatto segnalate vengono contestate dalla guardia di finanza nel suo processo verbale di constatazione,con ciò intendendo che,nel caso in cui
la guardia di finanza svolga un'attività di verifica nei confronti del contribuente e presenti allo stesso delle contestazioni nel suo processo verbale di constatazione,può accadere che le
conclusioni del processo verbale di constatazione della GdF non vengano condivise dall'ufficio competente,per cui quest'ultimo non notificherà alcun avviso di accertamento,che sia in
rettifica o d'ufficio, al contribuente. In altre parole,se al termine dell'attività di verifica la guardia di finanza,nella sua attività di cooperazione con l'amministrazione finanziaria,notifica un
processo verbale di constatazione ma le conclusioni di questo processo verbale di constatazione non vengono condivise dall'ufficio competente,quest'ultimo non notificherà l'avviso di
accertamento in rettifica o d'ufficio al contribuente,non condividendo le conclusioni rassegnate dalla guardia di finanza nel suddetto processo verbale di constatazione.
Da ultimo,occorre sottolineare che l'avviso di accertamento,ai fini dell'imposta sui redditi,trova la sua disciplina normativa negli artt. 42 e ss. Del d.p.r. 600/1973,mentre,ai fini dell'imposta
sul valore aggiunto,negli artt. 51 e ss. Del d.p.r. 633/1972 ed infine,ai fini dell'imposta di registro,negli artt. 52 e ss. Del Testo Unico del registro.

-PRESUPPOSTI DELL'AVVISO DI ACCERTAMENTO:


I presupposti affinchè vi possa essere l'emanazione di un avviso di accertamento sono i seguenti:
→ competenza dell'ufficio: l'atto di accertamento deve essere emanato dall'ufficio competente nei confronti del contribuente. L'ufficio competente viene individuato sulla
base del domicilio fiscale del contribuente. Nel caso in cui l'avviso di accertamento venga emanato da un ufficio territorialmente incompetente,vi è l'ipotesi di nullità dell'avviso
di accertamento
→ rispetto dei termini di decadenza: l'atto di accertamento deve essere emanato,a pena di nullità,entro i termini di decadenza previsti per legge
→ vi deve essere una difformità tra la dichiarazione e la situazione di fatto del contribuente: vi deve essere una difformità tra i dati presentati in dichiarazione dal
contribuente e la sua situazione di fatto,accertata sulla base dei poteri di controllo dell'amministrazione finanziaria. Tale difformità ricorre anche nel caso di dichiarazione
omessa e di dichiarazione nulla
Vi sono poi ulteriori requisiti affinchè l'avviso di accertamento possa essere legittimamente emesso dall'ufficio e affinchè,soprattutto,lo stesso possa essere considerato
valido,produttivo di effetti nei confronti del contribuente. Si tratta di requisiti ,sia formali che sostanziali, che verranno esaminati nella trattazione relativa alla forma ed al
contenuto dell'avviso di accertamento.

-PRINCIPI IN MATERIA DI AVVISO DI ACCERTAMENTO:


Vi sono dei principi cui l'avviso di accertamento,generalmente, deve sottostare. Tali principi sono rappresentati da:
1)divieto di doppia imposizione:Vi è doppia imposizione se uno stesso presupposto è tassato più volte, con la stessa imposta o con imposte diverse, nei confronti dello
stesso soggetto o di soggetti diversi. È bene osservare che vi sono varie ipotesi di doppia imposizione,ma soltanto alcune sono espressamente vietate:
a)doppia imposizione internazionale: in questo caso vi è la tassazione di un medesimo soggetto che abbia realizzato un presupposto d'imposta da parte di due Stati diversi.
La doppia imposizione internazionale è stata vietata da apposite convenzioni rientranti nella normativa comunitaria
b)doppia imposizione(interna) in senso economico: si ha quando il legislatore prevede che uno stesso fatto economico sia tassato con più imposte. Essa non è vietata
c)doppia imposizione (interna)in senso giuridico: si ha nel caso in cui l'amministrazione finanziaria emetta più avvisi di accertamento,per tassare più volte lo stesso
presupposto nei confronti dello stesso soggetto o di soggetti diversi.
Particolarmente rilevante è la doppia imposizione in senso giuridico,il cui divieto è stato sancito dall'art. 67 del d.p.r. 600/1973 e dall'art. 163 del TUIR. Il divieto di doppia
imposizione in senso giuridico,pur essendo enunciato,nei predetti articoli,soltanto in relazione alle imposte dirette,costituisce ormai un principio generale dell'ordinamento
tributario.
Il divieto di doppia imposizione ,in senso giuridico,in questo caso si sostanzia:
→ nel non poter imputare lo stesso presupposto a soggetti diversi: lo stesso reddito non può essere imputato prima a Tizio e poi a Caio,
→ nel non poter tassare lo stesso presupposto con imposte simili:quando siano coinvolte imposte simili ,diversificate dal punto di vista del soggetto ,come nel caso in cui il
reddito venga tassato prima con IRES come reddito di una società di capitali ,poi con IRPEF come reddito di una persona fisica,ciò è vietato
Il divieto di doppia imposizione (in senso giuridico) implica che non possono coesistere due atti impositivi sullo stesso presupposto,per cui il secondo avviso di accertamento
sarà considerato illegittimo ,dal momento che realizza una duplicazione,e,di conseguenza,uno dei due atti dovrà essere ritirato dall'amministrazione finanziaria.
2)principio di unicità e globalità dell'avviso di accertamento: il principio di unicità e globalità dell'avviso di accertamento,detto anche principio di unitarietà dell'atto di
accertamento,è un principio radicato all'interno del nostro ordinamento,che trova i suoi fondamenti normativi in alcune norme costituzionali,quali l'art. 97 Cost.,sul buon
andamento e imparzialità dell'Amministrazione,l'art. 24 e l'art. 113, in materia di diritto di difesa e giusto processo,nelle norme dello Statuto dei diritti del contribuente (art.
10,L. 212/2000, principio dell'affidamento) ed infine nelle norme del procedimento amministrativo (art. 1, L. n. 241/1990, economicità, efficacia, imparzialità dell'azione
amministrativa; principio di non aggravamento).
In virtù di tale principio, l'avviso di accertamento deve essere “unico” per ogni periodo d'imposta e “globale” ,nel senso che deve ricostruire la base imponibile complessiva
del contribuente. Con ciò si intende dire che,tendenzialmente ,l'amministrazione finanziaria deve completare la sua istruttoria e riversare tutte le sue conoscenze in un unico
atto di accertamento,per consentire al contribuente di valutare la fondatezza della pretesa erariale,complessivamente considerata,e via via eventualmente,una sola volta,per
tutelare i suoi diritti.
È evidente dunque che,sulla base di tale principio,l'amministrazione finanziaria non possa frammentare la sua attività accertativa, notificando una serie di atti di accertamento al
contribuente ,relativi al medesimo periodo d'imposta,in cui integri via via la base imponibile,rettificandola. Ciò risponde alla ratio di evitare che il potere accertativo venga utilizzato in modo
distorto, o ancor peggio arbitrario, attraverso la notifica di più avvisi di accertamento per un unico periodo di imposta.
Unica eccezione a detto principio è rappresentata dall'accertamento integrativo previsto dall'art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600/1973, in base al quale solo in presenza
della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi vi è la possibilità per l'Amministrazione di integrare o modificare un avviso di accertamento già notificato.
Una deroga al principio dell'unicità e globalità dell'avviso di accertamento è prevista per l'accertamento parziale (per le imposte dirette – art. 41-bis, d.P.R. n. 600/1973 – per
l'IVA - art. 54, comma 5, d.P.R. n. 633/1972) per il quale vi è l'espressa previsione normativa sulla possibilità di reiterazione dello stesso. Tale deroga, tuttavia, aveva una ragion
d'essere atteso che originariamente detto strumento accertativo, concepito come un “tertium genus”, era utilizzabile unicamente in presenza di “segnalazioni” qualificate provenienti dalla
Guardia di Finanza, da pubbliche amministrazioni da enti pubblici o dai dati in possesso dell'anagrafe tributaria.
Si trattava, in sostanza, di accertamenti pressoché automatizzati ovvero conseguenti a meri incroci di dati in possesso dell'Amministrazione.
Nel corso degli anni, però, è stata ampliata la possibilità di utilizzo dello stesso includendovi non solo le “segnalazioni” ma anche i processi verbali di constatazione conseguenti ad accessi,
ispezioni e verifiche, fino a ricomprendervi tutte le attività istruttorie di cui all'articolo 32, primo comma, numeri da 1) a 4) d.P.R. n. 600/1973 e nonché quelle di cui all'art. 51, secondo
comma, numeri da 1) a 4), d.P.R. n. 633/1972.

3.2- FORMA E CONTENUTO DELL'AVVISO DI ACCERTAMENTO


-FORMA DELL'AVVISO DI ACCERTAMENTO:
La legge disciplina solo in maniera limitata la forma dell'avviso di accertamento,limitandosi a disporre , ex art. 42 d.p.r. 600/1973, che l'avviso di accertamento,sia ai fini delle imposte sui
redditi,sia ai fini dell'imposta sul valore aggiunto (in quest'ultimo caso è un orientamento giurisprudenziale a sostenerlo), debba essere sottoscritto dal capo dell'ufficio o da un altro
impiegato della carriera direttiva dallo stesso delegato,pena la nullità dell'avviso di accertamento

-CONTENUTO DELL'AVVISO DI ACCERTAMENTO:


In merito ai contenuti che l'avviso di accertamento debba avere,possiamo innanzitutto evidenziare che ,all'interno dell'avviso di accertamento,possiamo distinguere due parti,quali:
→ dispositivo: il dispositivo,definito anche come parte dispositiva o precettiva, costituisce quella parte dell'avviso di accertamento che deve contenere i dati necessari ad
individuare la pretesa impositiva da parte dell'amministrazione ,ossia ,a norma dell'art. 42 comma 2 del d.p.r. 600/1973 e dunque ai fini dell'imposta sui redditi,l'indicazione
dell'imponibile o degli imponibili accertati,l'indicazione delle aliquote applicate,le imposte liquidate,al lordo ed al netto delle detrazioni,delle ritenute d'acconto e dei crediti
d'imposta. Il dispositivo o parte precettiva dell'avviso di accertamento ha dunque la funzione di consentire al contribuente di valutare la legittimità dell'azione impositiva,sotto il profilo dei
risultati cui è pervenuta l'amministrazione finanziaria.
È bene sottolineare che,secondo Tesauro,l'unico elemento essenziale del dispositivo è costituito dalla determinazione dell'imponibile,dal momento che,in primo luogo,le
statuizioni sulle detrazioni,sui crediti di imposta e sulle ritenute costituiscono elementi eventuali e dal momento che,in secondo ed ultimo luogo,vi sono degli avvisi di
accertamento,definiti come avvisi senza imposta,che non statuiscono sull'imposta dovuta (ad esempio,accertamento dei redditi ai quali si applica il principio di trasparenza,come
quelli delle società di persone,nei quali viene determinato l'imponibile della società,che verrà poi imputato,pro quota,a ciascun socio,agli effetti dell'imposta dovuta dal socio). Un'ipotesi di
avviso senza imposta di notevole importanza è costituita dagli accertamenti dei redditi per i quali hanno rilievo anche le perdite: in tali casi,nel momento in cui l'amministrazione rettifica la
base imponibile di un periodo d'imposta imputabile ad un determinato contribuente,essa dovrà necessariamente attribuire rilevanza a tale rettifica anche sulla base delle perdite di
imponibile maturate dal contribuente. Con ciò si intende dire che qualora il contribuente abbia subito delle perdite negli esercizi precedenti che non sono state utilizzate nella dichiarazione
dei redditi presentata ,egli dovrà presentare un'apposita istanza all'amministrazione finanziaria affinchè le perdite derivante dagli esercizi precedenti siano utilizzate in sede di
determinazione della nuova base imponibile e della maggior imposta dovuta (si tratta,in questo caso,di un requisito di legittimità sostanziale).
In materia di imposta sul valore aggiunto(iva),va osservato che il dispositivo dell'avviso di accertamento,a norma dell'art. 56 del d.p.r. 633/1972, deve necessariamente
contenere non soltanto la determinazione autoritativa dell'imponibile (calcolando operazioni imponibili,non imponibili ed esenti),ma altresì la rideterminazione dell'imposta
dovuta. Elemento eventuale è invece la rideterminazione dell'imposta detraibile o rimborsabile.
In ogni caso va osservato che gli avvisi di accertamento,nella loro parte dispositiva,contengono normalmente anche l'irrogazione di sanzioni (ad esempio, per dichiarazione
infedele o omessa),dal momento che,a norma dellart. 17 del d.p.r. 472/1997,le sanzioni devono essere necessariamente irrogate con l'avviso di accertamento del tributo
→ motivazione: la motivazione,o parte motiva dell'avviso di accertamento,costituisce quella parte dell'avviso di accertamento in cui l'amministrazione finanziaria dovrà
motivare la sua pretesa,esponendo l'iter logico giuridico adottato nella ripresa a tassazione notificata al contribuente.
La motivazione costituisce un elemento essenziale dell'atto di accertamento,da cui l'amministrazione finanziaria non può prescindere. Ciò si rileva innanzitutto dal fatto che
l'avviso di accertamento,al pari di altri atti dell'amministrazione finanziaria,a norma dell'art. 3 della l. 241/1990, deve essere motivato indicando “i presupposti di fatto e le ragioni
giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione,in relazione alle risultanze dell'istruttoria”. L'essenzialità della motivazione all'interno dell'avviso di accertamento è
altresì sancita dall'art. 7 ,comma 1, dello Statuto dei diritti del contribuente,il quale,richiamando la disposizione sopra esposta,ribadisce l'obbligo di motivare gli atti tributari
indicandone “ i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche”.
Dunque la parte motiva consta,fondamentalmente,dell'elencazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato la ripresa a tassazione da parte
dell'amministrazione finanziaria,sostanziandosi quindi nell'esplicazione dell'iter logico-giuridico che ha determinato la decisione dell'amministrazione medesima.
È bene osservare che,nell'ambito delle imposte sui redditi,a norma dell'art. 42 del d.p.r. 600/1973, i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno portato all'emissione
dell'avviso di accertamento devono essere distinti con riferimento ai singoli redditi divisi per categoria e che,oltre a tali elementi,nella parte motiva deve altresì figurare
l'indicazione dei fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso,da parte dell'amministrazione finanziaria,a metodi induttivi o sintetici ,nonchè l'indicazione delle ragioni che
hanno portato al mancato riconoscimento di deduzioni e detrazioni. Dunque, l'amministrazione non soltanto dovrà indicare ,nella parte motiva dell'atto di accertamento,quali sono le
circostanze di fatto che giustificano un maggior imponibile e una maggiore imposta dovuta ,nonchè le norme giuridiche coinvolte,ma dovrà altresì giustificare la metodologia di
accertamento concretamente prescelta e ,in particolare,laddove si sia fatto uso di metodologie di accertamento di tipo presuntivo,dovrà giustificare quali sono i presupposti di fatto che
hanno giustificato il ricorso a metodi induttivi e sintetici.
Possiamo in merito fare un esempio. Nel caso dei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili,l'amministrazione potrà certamente notificare un avviso di accertamento sulla base
dell'applicazione del metodo di accertamento extra-contabile,ma dovrà giustificare l'applicazione di questo metodo e quindi ,all'interno dell'avviso di accertamento , dovrà sottolineare,ad
esempio,che la contabilità del contribuente era talmente lacunosa da essere inattendibile nel suo complesso ,con conseguente riconoscimento all'amministrazione finanziaria della facoltà
di emettere un avviso di accertamento extracontabile, che possa legittimamente prescindere dalle risultanze della contabilità; in tali casi l'amministrazione potrà anche,volendo,sottolineare
che il contribuente non ha presentato la dichiarazione,oppure che, nella dichiarazione ,ha indicato un reddito d'impresa diverso,lasciandole la facoltà di notificare un avviso di
accertamento sulla base di una metodologia di accertamento extra-contabile. Allo stesso modo,l'amministrazione finanziaria potrà notificare un avviso di accertamento sintetico al
contribuente,giustificando l'adozione di questa metodologia sulla base dello scostamento,superiore al 20%,del reddito concretamente attribuibile al contribuente rispetto al reddito
dichiarato.
In materia di IVA,a norma dell'art. 56 del d.p.r. 633/1972,devono essere indicati nella parte motiva dell'avviso di accertamento,oltre ai presupposti di fatto ed alle ragioni
giuridiche,anche gli errori,le omissioni e le false/inesatte indicazioni su cui si fonda la rettifica,a pena di nullità dell'avviso di accertamento.
Vi sono poi altre norme rilevanti ai fini della trattazione della parte motiva dell'avviso di accertamento.
Un primo rilievo che è necessario fare è costituito dal fatto che ,a norma dell'art. 12,comma 7, dello Statuto dei diritti del contribuente,qualora il contribuente abbia partecipato
all'attività accertativa all'interno di un contraddittorio endoprocedimentale,in cui sia stato invitato ad esporre dei chiarimenti e le sue ragioni – cosa che si ha sia in caso di
accertamento dell'abuso del diritto,sia a seguito della notifica di un processo verbale di constatazione – prima di notificare al contribuente l'avviso di accertamento,l'ufficio
dovrà inserirvi all'interno,una motivazione rafforzata,che tenga conto delle osservazioni e dei chiarimenti forniti dal contribuente e che spieghi altresì perché tali osservazioni e
chiarimenti vengano contestati.
Una seconda norma rilevante in materia è costituita dall'art. 7 comma 1 dello Statuto dei diritti del contribuente,il quale disciplina la cd. Motivazione per relationem. Si ha
motivazione per relationem quando all'interno della motivazione dell'avviso di accertamento si faccia riferimento ad un altro atto,nè conosciuto ,nè notificato dal contribuente
e ,in tal caso,secondo quanto disposto dal suddetto art. 7 comma 1,l'atto né conosciuto,nè notificato al contribuente, cui la parte motiva faccia riferimento, dovrà essere
allegato all'avviso di accertamento ,o ,quantomeno, riprodotto nei suoi contenuti essenziali. La ratio di questa disciplina è evidente: se la motivazione fa riferimento ad un altro
atto,quindi, se parte della motivazione è contenuta in un altro atto,questo altro atto,almeno nei suoi passaggi essenziali per il contribuente,deve essere reso edotto,ancora una volta,per far
valutare al contribuente la fondatezza della pretesa erariale e per decidere se presentare o meno ricorso,oppure se prestare acquiescenza all'atto di accertamento notificato. Il caso tipico
di motivazione per relationem si ha quando l'avviso di accertamento richiami,nella motivazione,il processo verbale di constatazione: qualora l'avviso di accertamento si basi sulle
conclusioni di un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza e notificato al contribuente,sarà necessario che tale processo verbale di constatazione sia allegato
all'avviso di accertamento o ,quantomeno, trascritto nei suoi passaggi essenziali.
In conclusione, la motivazione serve a giustificare l'azione accertativa dell'amministrazione e ha dunque la funzione di consentire al contribuente di valutare o meno la
fondatezza della pretesa erariale permettendogli di impostare correttamente l'eventuale contenzioso.
Proprio in relazione al profilo del contenzioso tributario,possiamo osservare che il thema decidendum è circoscritto da due paletti,da due limiti,costituiti per l'appunto da
quanto il contribuente abbia esposto in sede di ricorso introduttivo da un lato e della motivazione contenuta nell'atto di accertamento . Proprio per la rilevanza che ha la
motivazione dell'atto di accertamento in sede di contenzioso tributario,si capisce perché è necessario che l'a motivazione dell'atto di accertamento sia il più esaustiva possibile,almeno per
quanto riguarda l'esposizione dell'iter logico-giuridico seguito nell'adozione del provvedimento(ciò viene sancito dall'art. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente),ferma restando la
possibilità ,per l'amministrazione finanziaria di integrare le fonti di prova e gli altri elementi che attengono alla dimostrazione dei fatti anche nella fase contenziosa,così come stabilito dalla
giurisprudenza. Ad esempio: l'amministrazione potrà dire nella parte emotiva che sulla base di un determinato contratto occultato dal contribuente risulta l'esistenza di maggiori componenti
positivi di reddito non indicati in dichiarazione,l'amministrazione è legittimata a riversare le fonti di prova e quindi ,nel caso di specie,il contratto in sede contenziosa,anche se,tuttavia,per
quanto riguarda il profilo motivazionale ,questo dovrà essere esaurientemente integrato nell'atto di accertamento.
È bene in ultima istanza osservare che l'avviso di accertamento ,in virtù dell'efficacia esecutiva riconosciuta allo stesso dal d.l. 78/2010 e dunque in virtù della concentrazione della
riscossione all'interno dell'atto di accertamento ,da un punto di vista contenutistico dovrà altresì contenere l'intimazione ad adempiere entro i 60 giorni successivi alla notifica dell'avviso
di accertamento medesimo. Data la natura esecutiva dell'avviso di accertamento,qualora il contribuente non adempia nei 60 giorni stabiliti,l'Agenzia delle entrate-riscossione,una volta
trascorsi ulteriori 30 giorni dal termine di adempimento, potrà intervenire direttamente con la procedura di esecuzione forzata,senza che si renda necessaria l'iscrizione a ruolo o l'invio di
una cartella di pagamento. Dunque,per fare un esempio, possiamo dire che l'avviso di accertamento ,sia che contenga la rettifica della dichiarazione infedele presentata ,sia che sostanzi in un
accertamento d'ufficio in caso di dichiarazione omessa o nulla,dovrà intimare al contribuente di adempiere nei 60 giorni successivi alla notifica e dovrà altresì avvertirlo che, in caso di mancato
adempimento nei 60 giorni dalla notifica,nei successivi 30 giorni,scadenti successivamente ai 60 predetti,il carico verrà affidato all'agente della riscossione.
Il contribuente dovrà dunque essere reso edotto non soltanto della possibilità di impugnare l'avviso di accertamento nei termini di 60 giorni successivi alla notifica dell'atto di
accertamento,ma altresì che ,entro i medesimi termini,egli è tenuto ad adempiere(salvo l'ipotesi di istanza di accertamento con adesione),giacchè,una volta trascorsi inutilmente tali
termini,entro ulteriori 30 giorni il carico verrà affidato all'Agenzia delle entrate-riscossione.
È importante in merito osservare che l'intimazione ad adempiere deve essere contenuta non soltanto nell'avviso di accertamento,ma anche in tutti i successivi atti che rideterminino
l'imposta,ad esempio,a seguito del contenzioso. Da ciò ne deriva che,nell'ipotesi in cui il contribuente non presti acquiescenza all'atto di accertamento ,lo impugni dinanzi alla
commissione tributaria e la commissione tributaria accolga soltanto parzialmente il suo ricorso,l'amministrazione dovrà notificare al contribuente un'intimazione ad adempiere l'importo
così come risultante dalla sentenza della commissione tributaria provinciale che abbia accolto solo parzialmente il ricorso del contribuente.

3.3- NOTIFICAZIONE E TERMINI PER LA NOTIFICAZIONE DELL'AVVISO DI ACCERTAMENTO


-NOTIFICAZIONE DELL'AVVISO DI ACCERTAMENTO:
La notificazione dell'avviso di accertamento non costituisce soltanto una particolare procedura con cui tale atto viene portato a conoscenza del destinatario ,ma costituisce
altresì la modalità con cui l'avviso di accertamento viene ad esistenza. Da ciò ne discende che l'atto impositivo viene ad esistenza e diventa produttivo di effetti per il
contribuente soltanto nel momento in cui lo stesso venga notificato al contribuente medesimo,ragion per cui,qualora manchi la notifica, l’atto sarà considerato come
giuridicamente inesistente.
La notificazione dell'avviso di accertamento,nonchè ,in generale,degli altri atti tributari,è disciplinata dall'art. 60 del D.P.R. 600/1973,il quale,oltre che richiamare in materia
quanto disposto dagli artt. 137 e s.s. c.p.c. Relativamente alla notifica degli atti processuali,dispone che:
→ La notificazione è eseguita dai messi comunali o da messi autorizzati dall'agenzia delle entrate (a differenza degli atti processuali,che sono notificati dagli
ufficiali giudiziari).
→ il messo deve far sottoscrivere dal consegnatario l'atto o l'avviso,oppure,qualora il consegnatario si rifiuti di sottoscriverlo, indicare i motivi del rifiuto della
sottoscrizione da parte del consegnatario. Qualora il soggetto consegnatario non sia il destinatario dell'atto o dell'avviso,il messo consegna o deposita la copia dell'atto
presso il consegnatario. Il destinatario poi dovrà sottoscrivere una ricevuta che dia notizia al messo dell'avvenuta notificazione
→ la notificazione deve essere fatta nel comune di domicilio fiscale del destinatario,salvo che non vi sia stata la notifica brevi manu
→ se l'atto non è consegnato in mani proprie,si applica l'art. 139 c.p.c.,in virtù del quale l'atto dovrà essere necessariamente notificato presso la casa di
abitazione o l'ufficio del destinatario. Qualora non sia possibile consegnare la copia dell'atto per irreperibilità del destinatario,o per mancanza di persone atte a
riceverla,il messo dovrà depositare l'atto in comune,affiggere un avviso sulla porta della casa comunale e dargliene avviso a mezzo raccomandata.
→ la notificazione alle persone giuridiche ,così come agli enti privi di personalità giuridica, si esegue nella loro sede legale,mediante consegna dell'atto al
rappresentante o alla persona incaricata di ricevere la copia,o ad altra persona addetta alla sede. Se la notificazione non può essere eseguita presso la sede,allora
l'atto è notificato secondo le regole previste per le persone fisiche,con riferimento al rappresentante dell'ente,se indicato nell'atto da notificare.
È bene poi osservare che vi è una scissione degli effetti della notifica,con ciò intendendo che per il notificante,la notifica si perfeziona con la spedizione della stessa e dunque
con il compimento delle formalità sopra esposte,mentre per il destinatario la notifica si perfeziona al momento della ricezione( anche a mezzo di lettera raccomandata). Questa
scissione porta ad una duplice conseguenza:
→ per il soggetto notificante,ossia l'amministrazione finanziaria,il momento della spedizione è rilevante,dal momento che la stessa deve avvenire prima dello
spirare dei termini per la notifica di un atto di accertamento
→ per il soggetto destinatario,ossia il contribuente,rileva la data di ricezione dell'atto,per cui è proprio da quella data che decorrerà il termine di 60 giorni per
impugnare
Da ultimo,occorre osservare che,stante l'applicabilità delle norme del c.p.c. Anche alla notificazione degli atti tributari,ugualmente,in relazione alla notificazione degli atti
tributari , viene applicata la sanatoria per le notifiche viziate ex art. 156 c.p.c. : in particolare ,rileva che si ha sanatoria dei vizi di notifica quando il contribuente impugni l'avviso
di accertamento,dal momento che il ricorso dimostra che l'atto è stato ricevuto e che dunque la notifica ha raggiunto il suo scopo.
Rimane comunque preclusa la possibilità di sanare una notifica giuridicamente inesistente,ossia una notifica la cui relazione non sia stata sottoscritta.
-NOTIFICAZIONE TELEMATICA:
L'art. 60,ultimo comma,del d.p.r. 600/1973,in deroga all'art. 149Bis c.p.c. Ed in deroga alle modalità di notificazione previste nelle singole leggi di imposta,dispone che la notificazione degli
avvisi di accertamento,nonchè degli altri atti impositivi, di cui siano destinatari imprese individuali,società o liberi professionisti , possa avvenire a mezzo PEC,all'indirizzo del destinatario
risultante dall'indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata.
In questo caso,la notificazione si intende perfezionata,per il notificante,nel momento in cui il gestore della sua casella di posta elettronica gli trasmetta la ricevuta di accettazione,accompagnata
dall'attestazione temporale che certifica l'avvenuta spedizione del messaggio; viceversa,la notifica si intende perfezionata,per il destinatario, alla data della consegna contenuta nella ricevuta,ricevuta
che il gestore della casella di posta elettronica trasmette all'ufficio,oppure nel quindicesimo giorno successivo a quello della pubblicazione dell'avviso nel sito internet InfoCamere Scpa.

APPROFONDIMENTO : OBBLIGATORIO IL CONTRADDITTORIO PREVENTIVO PRIMA DELLA NOTIFICA DI UN AVVISO DI ACCERTAMENTO


Dal 1° luglio 2020 gli uffici dell’Agenzia delle Entrate saranno tenuti a invitare al contraddittorio il contribuente prima di emettere avvisi di accertamento riguardanti imposte sui redditi e addizionali,
contributi previdenziali, ritenute, imposte sostitutive, IRAP, imposta sul valore degli immobili all’estero (IVIE), imposta sul valore delle attività finanziarie all’estero (IVAFE) e IVA, come previsto dal
decreto Crescita 2019. Con la circolare n. 17/E del 22 giugno 2020, l’Agenzia delle Entrate ha fornito le relative istruzioni, individuando l’ambito di applicazione, nonché i casi di esclusione e la motivazione rafforzata
inerente il nuovo contraddittorio preventivo. .
Con la circolare n. 17/E del 22 giugno 2020, l'Agenzia delle Entrate ha fornito i primi chiarimenti in tema di obbligo di invito al contraddittorio.
Come previsto dal decreto Crescita (D.L. n. 34/2019), dal 1° luglio 2020 gli uffici dell’Agenzia delle Entrate sono tenuti a invitare al contraddittorio il contribuente prima di emettere avvisi di
accertamento riguardanti imposte sui redditi e addizionali, contributi previdenziali, ritenute, imposte sostitutive, IRAP, IVIE, IVAFE e IVA.
Inoltre è stata prevista:
- una proroga “automatica” di 120 giorni del termine di decadenza per la notificazione dell’atto impositivo qualora, tra la data di comparizione indicata nell’invito di cui all’art. 5, D.Lgs. n.
218/1997 e quella di decadenza dell’amministrazione finanziaria dal potere di notificazione dell’atto impositivo intercorrano meno di 90 giorni, in deroga al termine ordinario;
- la preclusione, per il contribuente nei cui confronti sia stato notificato un avviso di accertamento, della possibilità di presentare l’istanza di cui all’art. 6, D.Lgs. n. 218/1997 con la quale
richiedere all’ufficio la formulazione di una proposta di accertamento con adesione, qualora l’avviso notificato sia stato preceduto da un invito al contraddittorio obbligatorio.
Nello specifico in alcune ipotesi specificamente individuate, è previsto l’obbligo di notificare al contribuente, prima di emettere un avviso di accertamento ai fini delle imposte dirette e dell’imposta sul
valore aggiunto, un invito per l’avvio del procedimento di accertamento con adesione.
Il confronto anticipato con il contribuente è importante per assicurare la corretta pretesa erariale e per spingere i contribuenti medesimi a incrementare il proprio adempimento spontaneo, così da ridurre,
conseguentemente, il tax gap.
In quest’ottica l’Amministrazione evidenzia che gli uffici sono tenuti ad attivare e valorizzare il contraddittorio preventivo, ove possibile, anche nelle ipotesi accertative per le quali lo stesso non è obbligatoriamente
previsto, fermo restando che nelle predette ipotesi, l’assenza del contraddittorio preventivo non determina l’invalidità dell’avviso di accertamento.
Ovviamente, considerato che la partecipazione del contribuente al procedimento non è obbligatoria, ne consegue che la mancata risposta all’invito dell’ufficio, pur determinando l’impossibilità per il
contribuente di avvalersi dell’accertamento con adesione dopo la notifica dell’atto impositivo preceduto dall’invito, non è sanzionabile, ferma restando, ovviamente, la possibilità per l’ufficio di
procedere alla notifica degli avvisi di accertamento sulla base delle informazioni di cui dispone.
In caso di mancata adesione, l’avviso di accertamento deve essere specificamente motivato tenendo conto anche dei chiarimenti forniti e dei documenti prodotti dal contribuente nel corso del
contraddittorio. Vi è quindi un obbligo di motivazione “rafforzata” dell’avviso di accertamento successivo alla mancata adesione.
Il nuovo contraddittorio preventivo
L'art. 5-ter si applica esclusivamente per la definizione degli accertamenti in materia di imposte sui redditi e relative addizionali, contributi previdenziali, ritenute, imposte sostitutive, IRAP, IVIE, IVAFE
e IVA.
Quindi con l’introduzione del nuovo istituto è necessaria una particolare attenzione da parte degli uffici in fase istruttoria al fine di verificare se, per lo specifico procedimento accertativo, sussista
l’obbligo di avviare l’iter dell’adesione tramite invito al contraddittorio.
La mancata attivazione del contraddittorio comporta l’invalidità dell’atto impositivo qualora, a seguito di impugnazione, il contribuente dimostri, in concreto, le ragioni che avrebbe potuto far valere se
il contraddittorio fosse stato attivato, salvo i casi di particolare urgenza o di fondato pericolo per la riscossione e quelli di «partecipazione del contribuente prima dell’emissione di un avviso di
accertamento»
In questi ultimi casi, l’invalidità dell’avviso di accertamento, emesso senza aver prima proceduto ad invitare il contribuente al contraddittorio obbligatorio, è rimessa quindi alla valutazione del giudice.
I casi di esclusione
L’obbligo di avvio del procedimento di adesione su iniziativa dell’ufficio è escluso nei «casi in cui sia stata rilasciata copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di
controllo».
Seppur non obbligatorio per legge, è sempre opportuno che l’ufficio attivi il contraddittorio anche nei casi di attività accertativa correlata agli esiti di un processo verbale di chiusura delle operazioni, al
fine di addivenire quanto più possibile alla corretta individuazione della pretesa tributaria.
L’applicazione del nuovo istituto dell’invito obbligatorio è, altresì, esclusa nel caso in cui l’ufficio procede all’emissione di avvisi di accertamento o di rettifica parziale.
E’ interessante notare che ai fini IVA, si fa riferimento agli avvisi di rettifica parziale previsti dall’art. 54, commi 3 e 4, D.P.R. n. 633/1972, mentre per le imposte dirette al solo art. 41-bis del D.P.R. n.
600/1973; quindi, diversamente da quanto statuito per le imposte dirette, per l’IVA è prevista l’esclusione dell’invito obbligatorio solo con riferimento agli accertamenti parziali basati su elementi “certi
e diretti”, che non presuppongono ricostruzioni induttive o utilizzo delle presunzioni.
Pertanto, gli uffici sono invitati, anche ai fini delle imposte dirette, ad attivare preventivamente il contraddittorio nei casi di determinazione della pretesa basata su elementi presuntivi.
Tra l’altro solo i casi di particolare urgenza o di fondato pericolo per la riscossione possono legittimare l’ufficio ad emettere l’avviso di accertamento o rettifica senza rispettare l’obbligo di invito al
contraddittorio.
L’obbligo di notifica dell’invito al contradditorio è, inoltre, escluso negli altri casi di partecipazione del contribuente prima dell’emissione di un avviso di accertamento.
La motivazione rafforzata
Nel caso di mancata adesione, l’avviso di accertamento emesso dall’ufficio deve essere specificatamente motivato con riferimento ai chiarimenti forniti e ai documenti prodotti dal contribuente.
L’esito del contraddittorio con il contribuente, quindi, costituisce parte della motivazione dell’accertamento: non è sufficiente che gli uffici si limitino a valutare gli elementi forniti dal contribuente, ma
dovranno essere argomentate in motivazione le ragioni del relativo mancato accoglimento.
Gli uffici devono assolvere all’onere motivazionale anche in relazione ai chiarimenti forniti dal contribuente, descrivendo le giustificazioni dallo stesso offerte e argomentando sulla relativa fondatezza,
in modo da rendere intellegibile l’iter seguito per addivenire alla determinazione della pretesa tributaria

-TERMINI DI DECADENZA DELLA NOTIFICAZIONE:


Se,come abbiamo detto,l'atto di accertamento viene ad esistenza nel momento in cui lo stesso viene notificato al contribuente,ne deriva che è proprio la data di notificazione a far fede per
la validità dell'atto di accertamento medesimo e per i termini di impugnazione dell'avviso di accertamento medesimo,senza omettere di ricordare che la data di notificazione è diversa in
relazione al soggetto notificante,ossia l'amministrazione finanziaria (per cui la notifica si ha nel momento della spedizione), ed in relazione al soggetto destinatario,ossia il contribuente
(per cui la notifica si ha nel momento della ricezione).
Con particolare riguardo all'amministrazione finanziaria,che notifica un avviso di accertamento ad un determinato contribuente,possiamo dire che:
→ qualora l'emissione dell'avviso di accertamento sia preceduta dalla consegna di un processo verbale di constatazione al contribuente,che sia stato sottoposto ad attività di
accesso,ispezione e verifica,la notifica dell'avviso di accertamento non può aversi prima che siano trascorsi 60 giorni dalla data di consegna al contribuente del processo
verbale di constatazione,essendo necessario consentire al contribuente di presentare le proprie osservazioni e le proprie richieste all'ufficio impositore. Da ciò ne discende che la notifica
dell'avviso di accertamento avvenuta prima dello spirare dei 60 giorni dalla consegna del PVC rende l'avviso di accertamento invalido,salvo casi di particolare e motivata urgenza
→TERMINI ORDINARI: l'attività accertativa dell'amministrazione finanziaria è sempre soggetta a termini di decadenza,per cui,a norma dell'art. 43 del d.p.r. 600/1973,così come
modificato dalla l. 208/2015,attualmente, l'avviso di accertamento deve essere notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della
dichiarazione dei redditi,quindi qualora si tratti di un accertamento in rettifica della dichiarazione,mentre,in caso di omessa presentazione della dichiarazione (o dichiarazione
nulla)e dunque in caso di accertamento d'ufficio, l'avviso di accertamento deve essere notificato necessariamente entro il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello
relativamente al quale si contesta la presentazione della dichiarazione.
Possiamo in merito fare un esempio: se ,relativamente all'anno di imposta 2016,io abbia presentato,nel successivo periodo d'imposta,quale il 2017, una dichiarazione dei redditi
infedele,l'amministrazione finanziaria potrà notificarmi l'avviso di accertamento relativo all'annualità del 2016 entro il 31 dicembre del 2021; allo stesso modo,qualora io abbia omesso di
presentare la dichiarazione dei redditi per l'anno di imposta 2016,l'amministrazione finanziaria potrà notificarmi l'avviso di accertamento entro il 31 dicembre del 2023.
E' bene osservare che i termini appena evidenziati valgono per gli avvisi relativi ai periodi d'imposta dal 2016(incluso) in poi,giacchè questa costituisce una novità introdotta
dalla l. 208/2015,che ha sostanzialmente sostituito gli artt. 57 del d.p.r. 633/72 in materia Iva e 43 del d.p.r. 600/1973,in materia di imposte sui redditi.
Prima dell'entrata in vigore di tale legge,conosciuta come legge di stabilità 2016,i termini di decadenza per gli avvisi di accertamento erano ,rispettivamente,entro il 31 dicembre del quarto
anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (caso dell'accertamento in rettifica) ed entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione omessa
avrebbe dovuto essere presentata (caso dell'accertamento d'ufficio). Anzi,tale legge ha previsto che i vecchi termini appena esposti fossero transitoriamente applicati anche agli anni di
imposta precedenti al 2016.
→ cd. Raddoppio dei termini: con raddoppio dei termini, si intende far riferimento all'istituto in forza del quale,in presenza di una violazione fiscale che imponga l'obbligo di
denuncia per un reato tributario,i termini dell'accertamento tributario vengono raddoppiati relativamente al periodo d'imposta in cui è stata commessa la violazione.
Fino al periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2016,era previsto il raddoppio dei termini di decadenza nel caso in cui vi fosse un obbligo di denuncia penale ai sensi
dell'art. 331 c.p.p. .
Con ciò si intende dire che ,antecedentemente all'entrata in vigore della L. 208/2015, era previsto un raddoppio dei termini di accertamento ordinari,previa presentazione di denuncia
penale ex art. 331 c.p.c. . Dunque,fino al periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2016,qualora dall'attività istruttoria o dall'attività accertativa fosse emersa una fattispecie che
comportasse l'obbligo di denuncia penale ex art. 331 c.p.p.,ossia nel caso in cui si fossero ravvisati gli estremi di un reato di sensi del d.lgs. 74/2000,l'amministrazione finanziaria era
obbligata a trasmettere alla procura della repubblica la denuncia di reato e questo,sempre nella sussistenza dell'obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p.,comportava il raddoppio dei termini di
accertamento ordinario(che erano e sono,relativamente agli accertamenti degli anni di imposta fino al 2015,di 4 e di 5 anni).
Si trattava di una risposta sanzionatoria o para-sanzionatoria al comportamento inadempiente ,o meglio fraudolento,del contribuente,che appunto veniva sanzionato con il raddoppio dei
termini sanzionatori(per le sanzioni penali) ,in maniera atecnica.
Per essere precisi,possiamo dire che il raddoppio dei termini per l'accertamento ha subito una sostanziale modifica già con il d.lgs. 108/2015,dal momento che lo stesso aveva
disposto che “ il raddoppio non opera qualora la denuncia da parte dell'amministrazione finanziaria,in cui è ricompresa la Guardia di Finanza,sia presentata o trasmessa oltre la scadenza
ordinaria dei termini di cui ai commi precedenti,facendo però salvi gli effetti degli atti già notificati alla data di entrata in vigore del decreto,ossia in data 2 settembre 2015”. Dunque,secondo
la previsione di tale decreto legislativo, per gli atti che fossero notificati successivamente alla sua data di entrata in vigore,il raddoppio dei termini di accertamento poteva
aversi solo nel caso in cui la denuncia fosse stata presentata o trasmessa entro i termini ordinari di accertamento.
Possiamo dire,senza scendere nel dettaglio,che l'istituto del raddoppio dei termini è stato definitivamente abrogato con i commi 130,131 e 132 dell'art. 1 della L.
208/2015,sebbene si sia cercato di ripristinarlo adducendo che la clausola di salvaguardia prevista dal d.lgs. 108/2015 non fosse stata abrogata e che quindi fossero
raddoppiati i termini per l'accertamento per gli atti notificati fino alla data del 2 settembre 2015.
Residua una fattispecie di raddoppio dei termini per quanto riguarda gli atti di accertamento dell'amministrazione finanziaria,nel caso in cui il contribuente detenga delle
attività finanziarie,di reddito,di azioni,di partecipazioni,in paradisi fiscali presenti nella cd black list, ed avrebbe dovuto indicare nel quadro RW della dichiarazione dei redditi
e che invece il contribuente ha omesso di indicare . Quindi in questo caso vi è il raddoppio dei termini per l'accertamento a favore dell'amministrazione finanziaria e sono previste
ulteriori conseguenze,ovvero la presunzione di redditualità di somme depositate all'estero e non indicate nel quadro RW della dichiarazione dei redditi e il raddoppio delle sanzioni. Quindi
la mancata indicazione in dichiarazione delle attività finanziarie detenute all'estero,in paesi in black list e che dunque sostanzialmente costituiscono paradisi fiscali,comporta una serie di
conseguenze gravose per il contribuente,esorbitanti rispetto alle fattispecie ordinarie,questo per la maggior insidiosità della condotta,giacchè non si dichiarano beni,attività finanziarie,beni
che essendo collocati all'estero sono più difficilmente accertabili dall'amministrazione finanziaria. Quindi raddoppio dei termini dell'accertamento,presunzione dei termini di redditualità delle
attività detenute all'estero,raddoppio delle sanzioni,quindi una serie di conseguenze estremamente gravose nel caso di attività finanziarie detenute all'estero in paradisi fiscali.
Quando la notificazione dell'avviso di accertamento non avviene entro i termini ordinari predetti(quinto anno e settimo anno),l'atto notificato in ritardo è annullabile.
Va osservato che in materia di imposta sul valore aggiunto valgono i termini ordinari già esposti con riferimento alle imposte sui redditi,mentre,nel caso dell'imposta di registro,vi è un termine di 5
anni per l'accertamento sugli atti non registrati e tale termine decorre da quando doveva essere richiesta la registrazione, vi è un termine di tre anni per riliquidare l'imposta principale o suppletiva e vi è
un termine di 2 anni per la rettifica del valore imponibile.
Da ultimo,rileva che in caso di presentazione di dichiarazione integrativa,il termine per rettificare eventualmente i nuovi elementi dichiarati decorre dalla data di presentazione della nuova
dichiarazione.

APPROFONDIMENTO - COVID-19: AI TERMINI DI DECADENZA PER GLI AVVISI DI ACCERTAMENTO PER GLI ANNI 2014 E 2015
La data di notifica dell’invito al contraddittorio, obbligatorio per gli avvisi di accertamento emessi dal 1° luglio 2020, potrebbe determinare la non applicazione della proroga della notifica degli
accertamenti relativi al periodo d’imposta 2015 (o 2014 per omessa dichiarazione), prevista dall’art. 157 del Decreto Rilancio.
Il Decreto Legge n. 34/2020, recante “Misure urgenti in materia di salute, Sostegno al lavoro e all’economia, nonchè di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, (c.d. Decreto
“Rilancio”), tra le numerose previsioni atte a fronteggiare l’emergenza sanitaria Covid-19 ha disposto anche specifiche misure che impattano sulla sospensione dei termini relativi all’attività degli
uffici degli enti impositori.
Più specificamente, in tema di disposizioni inerenti l’attività degli uffici dell’amministrazione finanziaria, in relazione alla proroga dei termini della notifica degli avvisi di accertamento, l’ art. 157, primo comma, ha
testualmente stabilito che :
“In deroga a quanto previsto dall’art. 3 della Legge 27 luglio 2000, n. 212, gli atti di accertamento, di contestazione, di irrogazione delle sanzioni, di recupero dei crediti d’imposta, di liquidazione e di
rettifica in liquidazione, per i quali i termini di decadenza, senza tener conto del periodo di sospensione di cui all’articolo 67, comma 1, del Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con
modificazioni, dalla Legge n. 24 aprile 2020, n. 27, scadono tra l’08 marzo 2020 ed il 31 dicembre 2020, sono emessi entro il 31 dicembre 2020 e sono notificati nel periodo compreso tra il 1° gennaio e il
31 dicembre 2021, salvo casi di indifferibilità e urgenza, o al fine del perfezionamento degli adempimenti fiscali che richiedono il contestuale versamento dei tributi”.
Orbene, da un’analisi della norma in esame, emerge che la disposta “scissione” tra la data di emissione e la data di notifica dell’atto, determinerà non poche problematiche alla luce del fatto che si
creeranno inevitabilmente due termini di decadenza solo per gli anni 2014 e 2015:
•uno per l’emissione dell’atto entro il 31/12/2020, con la conseguente difficoltà per il contribuente di verificare la data, nonostante il generico riferimento del quinto comma del citato art.
157;
•e uno per la notifica al contribuente dall’01 gennaio al 31 dicembre 2021, salvo specifiche urgenze.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, in considerazione delle difficoltà connesse all’emergenza COVID-19, la suddetta disposizione ha la finalità di consentire una distribuzione della notifica degli atti da
essa indicati da parte degli uffici in un più ampio lasso di tempo rispetto agli ordinari termini di decadenza dell’azione accertatrice; di fatto, però, da tale disposizione discende solo un maggior
trattamento di favore nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, che così facendo beneficerà di un maggior lasso temporale entro cui provvedere alla notifica degli avvisi di accertamento per gli anni
2014 e 2015.
Tanto premesso, si ritiene necessario osservare che il citato art. 157 deve essere coordinato ed interpretato con la lettura degli artt. 5 (comma 3 bis) e 5- ter del D.Lgs. n. 218 del 19 giugno 1997, con cui è
stata introdotta l’obbligatorietà dell’invito al contraddittorio. Più nel dettaglio:
•l’art. 5-ter cit., rubricato “Invito al contraddittorio”, prevede che per gli avvisi di accertamento emessi dal 1° luglio 2020 l’Ufficio, prima di emettere tale atto impositivo, deve notificare un invito a
comparire per l’avvio del procedimento di definizione dello stesso, salvo eccezioni. Si precisa che l’art. 5-ter cit. è stato inserito dall’art. 4 octies, comma 1, lett. b), D.L. 30.04.2019, n. 34, così come
inserito dall’allegato alla legge di conversione, L. 28.06.2019, n. 58, con decorrenza dal 30.06.2019 ed applicazione agli avvisi di accertamento emessi dal 1° luglio 2020;
•l’art. 5, comma 3-bis, rubricato “Avvio del procedimento”, dispone testualmente che: “Qualora tra la data di comparizione, di cui al comma 1, lett. b), e quella di decadenza dell’amministrazione dal
potere di notificazione dell’atto impositivo intercorrono meno di novanta giorni, il termine di decadenza per la notificazione dell’atto impositivo è automaticamente prorogato di centoventi giorni, in deroga
al termine ordinario”. Il presente comma è stato aggiunto dall’art. 4-octies, comma 1, lett. a), D.L. 30/04/2019 n. 34, così come inserito dall’allegato alla Legge di conversione, Legge n. 58 del
28/06/2019, con decorrenza dal 30/06/2019 ed applicazione agli avvisi di accertamento emessi dal 1° luglio 2020.
Da tanto discende che, in base alla suddetta normativa, laddove l’Agenzia delle Entrate inviti il contribuente al contraddittorio in un termine inferiore a 90 giorni rispetto al naturale termine di
decadenza, questo stesso termine automaticamente si prorogherà di 120 giorni.
Pertanto, in termini esemplificativi, se l’Agenzia delle Entrate dovesse invitare il contribuente al contraddittorio in data lunedì 05 ottobre 2020 (solo 88 giorni sino al 31/12/2020) , il termine di decadenza
per l’anno 2015 (o per l’anno 2014 in caso di omessa dichiarazione), ai sensi dell’art. 43 DPR n. 600/1973 (prima delle modifiche apportate dalla Legge di stabilità 2016), automaticamente slitterà al 30 aprile
2021 e, quindi, non si potrà più applicare il nuovo termine di decadenza del citato art. 157, in quanto lo spostamento automatico andrà ben oltre la decadenza compresa tra l’08 marzo 2020 ed il 31
dicembre 2020.
Bisogna tener conto che il mancato invito al contraddittorio può determinare l’invalidità dell’avviso di accertamento (art. 5-ter, comma 5, citato).
Pertanto, per gli avvisi di accertamento per gli anni 2014 e 2015, secondo me, è stata inutile la precisazione dell’art. 157, primo comma, cit, che per il calcolo della decadenza prevede che non si deve più tener conto
degli 85 giorni di sospensione (art. 67, primo comma, D.L. 18/2020), che avrebbero spostato al 2021 il termine di decadenza e, quindi, indirettamente, avrebbero determinato l’inapplicabilità dell’art. 157 più volte
citato.
Viceversa, nonostante la succitata modifica, ciò che è uscito dalla finestra (85 giorni) è rientrato dalla porta (120 giorni) con gli spostamenti suesposti dei termini di decadenza.
In sostanza, l’applicazione della proroga dei termini della notifica degli accertamenti per gli anni 2014 e 2015, disposta dall’art. 157 del decreto Rilancio, dipenderà dalla data di notifica dell’invito al contraddittorio.
In definitiva, con riferimento all’anno d’imposta 2015 (o 2014 per omessa dichiarazione), l’Agenzia delle Entrate per gli avvisi di accertamento che saranno emessi dall’01 luglio 2020:
•se notificherà l’invito al contraddittorio entro venerdì 02 ottobre 2020, potrà beneficiare della nuova decadenza al 31/12/2021 (art. 157 citato);
•se, invece, notificherà l’invito al contraddittorio a far data da lunedì 05 ottobre 2020 in poi, dovrà necessariamente notificare l’avviso di accertamento entro il 30/04/2021 e non il
31/12/2021;
•soltanto se dimostrerà che non era obbligata all’invito al contraddittorio, nei casi tassativamente previsti dall’art. 5-ter cit., potrà beneficiare della nuova decadenza al 31/12/2021.
Tanto chiarito, è bene che i contribuenti tengano conto dei diversi termini di decadenza per eccepire le nullità degli avvisi di accertamento per l’anno 2015 (o 2014 per omessa dichiarazione).

3.4-I VIZI DELL'AVVISO DI ACCERTAMENTO: NULLITA',ANNULLABILITA' E IRREGOLARITA'


-VIZI DELL'AVVISO DI ACCERTAMENTO:
Gli avvisi di accertamento,al pari degli altri atti tributari,possono presentare dei vizi,dando dunque vita a forme di invalidità.
Quanto all'invalidità dell'avviso di accertamento,possiamo dire che ,all'interno dell'ordinamento tributario,non vi è chiarezza terminologica riguardo alle conseguenze prodotte dai vizi
eventualmente recati dall'avviso di accertamento.
È bene osservare infatti che nell'ambito dei vizi dei diritti tributari si parla generalmente di nullità. Tale nullità non deve essere confusa assolutamente con il concetto di nullità dal punto di
vista civilistico,giacchè,mentre in quest'ultimo ambito si vuole indicare un atto i cui effetti sono caducati ex tunc,con nullità nell'ambito del diritto tributario si vuole far riferimento sia a casi in cui
gli atti presentino vizi tali da esser considerati inesistenti e quindi improduttivi di effetti ab origine,sia a casi in cui gli atti ,pur presentando dei vizi,sono ugualmente produttivi di effetti e
che,ai fini della rimozione dell'atto stesso,richiedono l'impugnazione dinanzi al giudice tributario.
Tesauro vuole dunque accostare la nullità degli atti tributari ai profili dell'illegittimità-annullabilità degli atti amministrativi, distinguendo tra :
1)nullità in senso forte: con nullità in senso forte Tesauro intende far riferimento a quei vizi che rendano l'atto improduttivo di effetti ab ab origine
2)nullità in senso debole: con nullità in senso debole , Tesauro vuole far invece riferimento a quei vizi che non rendono l'atto improduttivo di effetti,ma che possono esser
sollevati dal contribuente in sede di impugnazione dell'atto al fine di ottenere una caducazione degli effetti ex nunc
-NULLITA' DELL'AVVISO DI ACCERTAMENTO:
La normativa di riferimento per la nullità dell'avviso di accertamento è costituita dall'art. 21Septies L.241/1990,il quale dispone che “è nullo il provvedimento amministrativo che manca
degli elementi essenziali,che è viziato da difetto assoluto di attribuzione,che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato,nonchè negli altri casi espressamente previsti dalla
legge”.
È bene sottolineare che i vizi presentati dall'art. 21Septies rendono l'atto improduttivo di effetti ab origine e quindi inesistente da un punto di vista giuridico.
I casi dunque in cui si ha nullità,in senso forte,dell'avviso di accertamento,a norma dell'art. 21Septies L. 241/1990,sono i seguenti:
1)quando vi è ,nell'atto,la mancanza di elementi essenziali. Sono riconducibili alla mancanza di elementi essenziali:
→ la mancata sottoscrizione dell'avviso di accertamento da parte del capo dell'ufficio o da parte di un funzionario della carriera direttiva da lui espressamente
delegato
→ l'intestazione dell'avviso di accertamento ad una persona defunta o ad una società estinta
→ l'inesistenza della notificazione,che si ha quando la relazione della notificazione non sia stata sottoscritta
→ la mancanza,all'interno del dispositivo dell'avviso di accertamento,dell'indicazione della maggior base imponibile accertata,della maggior imposta
accertata( tranne che nei cd. Avvisi senza imposta),dell'aliquota applicata(solo in alcuni casi) e delle sanzioni irrogate(solo in alcuni casi)
→ la mancanza della parte motiva nell'avviso di accertamento: la motivazione è considerata come mancante sia quando manchi a livello grafico,sia quando essa
non sia completa,sia nel caso,nell'ipotesi specifica di motivazione per relationem, in cui l'atto richiamato nella motivazione non sia stato allegato o quantomeno
riprodotto nei suoi contenuti essenziali.
2)quando l'atto sia viziato da un difetto assoluto di attribuzione,che si ha:
→ quando l'avviso di accertamento sia stato emesso da un ufficio che non ha alcun potere impositivo
→ quando l'avviso di accertamento abbia per oggetto un tributo inesistente
3)in tutti gli altri casi espressamente previsti dalla legge
E' bene osservare che l'art. 21Septies non disciplina il trattamento processuale degli atti che siano viziati da nullità in senso forte,per cui in merito è sorto un dibattito.
Secondo Tesauro,bisogna muovere dalla considerazione che nel processo tributario non sono ammesse azioni meramente dichiarative,per cui non sarebbero ammissibili azioni volte a far
dichiarare semplicemente la nullità di un atto che già,di per sé,è improduttivo di effetti ab origine. In virtù di tale considerazione,Tesauro argomenta dunque che,non potendo il
contribuente impugnare l'atto nullo in senso forte ex art.21septies L.241/1990, il contribuente potrà impugnare soltanto il primo atto successivo a quello viziato,richiedendo in via
pregiudiziale l'accertamento della nullità dell'avviso di accertamento e ,conseguentemente,l'annullamento dell'atto successivo.
La giurisprudenza,di contro,ritiene che anche quando il provvedimento tributario sia affetto da nullità ex art.21septies L. 241/1990,la nullità in senso forte qui mostrata dovrebbe essere
equiparata,da un punto di vista processuale, con l'annullabilità,o nullità in senso debole, ex art. 21octies L. 241/1990,per cui la nullità,in ogni caso,dovrebbe essere fatta valere dal
contribuente mediante impugnazione dell'atto viziato dinanzi al giudice tributario (la nullità,sia in senso forte,che in senso debole,non può mai essere sollevata d'ufficio dal giudice tributario).
Sostanzialmente la giurisprudenza,seguendo un tale orientamento, sostiene che nel diritto tributario vi sarebbe un sistema monistico dei vizi degli atti tributari,tutti riconducibili ai casi di illegittimità-
annullabilità degli atti amministrativi e dunque tutti da far valere dinanzi al giudice tributario. Tale tesi,secondo Tesauro non è condivisibile,sulla base che non vi è un motivo valido tale da escludere la
presenza,nei casi descritti dall'art. 21Septies,di casi di nullità in senso forte e quindi di vizi che rendono l'atto privo di efficacia ab origine.
-ANNULLABILITA' DELL'AVVISO DI ACCERTAMENTO:
Con annullabilità dell'avviso di accertamento si vuole far riferimento ad una nullità in senso debole,come definita da Tesauro,ossia alla presenza di vizi,all'interno dell'atto di
accertamento,che non rendono tale atto improduttivo di effetti,almeno finchè non sia intervenuta in merito una pronuncia del giudice tributario.
I casi in cui si ha annullabilità dell'avviso di accertamento,o nullità in senso debole,sono descritti dall'art. 21Octies L. 241/1990,il quale dispone che “ E' annullabile il
provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di
norme sul procedimento,o sulla forma degli atti,qualora,per la natura vincolata del provvedimento,sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere
diverso da quello in concreto adottato”.
Dunque,i casi di annullabilità,o nullità in senso debole , disposti dall'art. 21Octies L.241/1990,sono:
→ violazione di legge: sono annullabili tutti gli atti compiuti in violazione di norme di legge che possano aver influito sul contenuto dell'atto(ad esempio,mancanza di richiesta
di chiarimenti al contribuente in caso di accertamento dell'abuso del diritto,dal momento che ,senza tali osservazioni,l'ufficio non può fornire una motivazione rafforzata)(altri
esempi sono dati dal mancato rispetto dei termini ordinari di decadenza del potere accertativo,così come il mancato rispetto del termine di 60 giorni che devono trascorrere tra
la consegna di un eventuale PVC ed il susseguente avviso di accertamento)
→ eccesso di potere: questo vizio è presente quando l'atto viene adottato per perseguire un interesse diverso dallo schema tipico proprio dell'atto. Si ha ,ad esempio,nel
caso di atto di diniego di autotutela
→ incompetenza territoriale: si ha quando l'atto viene emesso da un ufficio territorialmente non competente ad accertare la posizione del contribuente
Nei casi predetti,l'annullabilità degli atti viziati dovrà essere sollevata dinanzi al giudice tributario,esperendo l'azione di impugnazione dell'atto viziato medesimo.
-IRREGOLARITA' DELL'AVVISO DI ACCERTAMENTO:
Si ha invece una semplice irregolarità dell'avviso di accertamento- e non annullabilità- quando siano state violate norme procedimentali o inerenti la forma dell'atto di accertamento senza
che per questo il contenuto dell'atto ne sia stato inficiato.
Si ritiene che gli avvisi di accertamento siano semplicemente irregolari quando violino quanto disposto dall'art. 7 comma 2 dello Statuto dei diritti del contribuente,il quale dispone che “
gli atti dell'amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione devono tassativamente indicare:
a) l'ufficio presso il quale e' possibile ottenere informazioni complete in merito all'atto notificato o
comunicato e il responsabile del procedimento;
b) l'organo o l'autorità' amministrativa presso i quali e' possibile promuovere un riesame anche nel
merito dell'atto in sede di autotutela;
c) le modalità, il termine, l'organo giurisdizionale o l'autorità' amministrativa cui e' possibile ricorrere
in caso di atti impugnabili” .

SCHEMA RIASSUNTIVO SULLE INVALIDITA' DEGLI ATTI DI ACCERTAMENTO:

ATTI NULLI ATTI ANNULLABILI= ATTI MERAMENTE IRREGOLARI


= INEFFICACIA GIURIDICA CADUCAZIONE DEGLI EFFETTI AD OPERA DEL
GIUDICE,PREVIA IMPUGNAZIONE

1) Atti che non contengono gli elementi essenziali del provvedimento: Atti che ricadono in tutti gli altri casi espressi dalla legge, non Non sono invalidanti tutte le violazioni delle norme sul procedimento
non è sottoscritto, è intestato a un soggetto inesistente, è notificato ricadenti nei primi due punti dell'articolo 21 septies. o sulla forma degli atti impositivi, ma solo quelle che possono aver
con metodologia da inquadrare come giuridicamente inesistente, è Quando non ricorrono i casi specificati dall'articolo 21 septies il influito sul contenuto dell'atto. Sono atti irregolari quelli che non
totalmente privo di elementi essenziali ovvero motivazione o parte provvedimento non è nullo ma annullabile: nella legge tributaria indicano
dispositiva. troviamo molti casi in cui viene utilizzata la parola “nullità” ma è da a) l'ufficio presso il quale e' possibile ottenere informazioni complete
2) Atti che sono viziati da difetto di attribuzione: atti emessi da un intendersi come “annullabilità” in merito all'atto notificato o comunicato e il responsabile del
ufficio che non ha potestà impositiva in materia di quel tributo procedimento;
b) l'organo o l'autorità' amministrativa presso i quali e' possibile
promuovere un riesame anche nel merito dell'atto in sede di
autotutela;
c) le modalità, il termine, l'organo giurisdizionale o l'autorità'
amministrativa cui e' possibile ricorrere in caso di atti impugnabili.

3.5- GLI EFFETTI DELL'AVVISO DI ACCERTAMENTO SULL'OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA


-EFFETTI COSTITUTIVI:
Come abbiamo già accennato con riguardo all'obbligo di presentazione della dichiarazione,in passato vi è stato un dibattito in dottrina,inerente alla circostanza se l'obbligazione
tributaria,ossia se l'obbligazione tributaria nascesse ex lege al momento della semplice realizzazione del presupposto d'imposta,oppure se tale obbligazione tributaria nascesse nel
momento in cui veniva presentata la dichiarazione da parte del contribuente. Si tratta della contrapposizione ,rispettivamente,tra teoria dichiarativa e teoria costitutiva.
Ora,appare ovvio che se l'obbligazione tributaria,così come prefigurata dalla legge,non viene integralmente dichiarata dal contribuente,sicchè la stessa non viene resa esigibile,si rende
necessaria l'emanazione di un atto impositivo che rechi la statuizione autoritativa dell'esistenza e della misura dell'obbligazione tributaria,ossia l'avviso di accertamento.
Ebbene,anche in questo caso,relativamente all'avviso di accertamento,vi è stata la contrapposizione tra teoria dichiarativa e teoria costitutiva:
→ secondo la teoria dichiarativa,nascendo l'obbligazione tributaria ex lege al momento stesso della realizzazione del presupposto da parte del contribuente,l'avviso di
accertamento si configurerebbe come un provvedimento con effetti di mero accertamento dell'obbligazione tributaria
→ secondo la teoria costitutiva,invece,l'atto di accertamento ha valore costitutivo dell'obbligazione tributaria,con ciò intendendo che esso contiene un'obbligazione che in
precedenza doveva essere dichiarata dal contribuente,ma che non è stata dichiarata affatto,o è stata dichiarata in misura inferiore a quanto previsto per legge,sicchè l'atto di
accertamento va,in un certo senso,a sostituire la dichiarazione e viene dunque a configurarsi come quell'atto impositivo che fa nascere l'obbligazione tributaria non dichiarata
nella giusta misura o non dichiarata affatto.
Sembra preferibile condividere quanto espresso dalla teoria costitutiva,in virtù della quale,dunque,possiamo affermare che la dichiarazione e l'avviso di accertamento non sono una mera
ricognizione di un rapporto obbligatorio obbligatorio già sorto ex lege,bensì,rispettivamente:
→ la dichiarazione è un atto dovuto dal contribuente,che concorre alla nascita dell'obbligazione tributaria insieme con la realizzazione del presupposto d'imposta
→ l'avviso di accertamento è l'atto impositivo che costituisce l'obbligazione tributaria che il contribuente ha omesso di dichiarare,o non ha dichiarato in modo integrale
Per quanto riguarda il profilo della tutela del contribuente nei confronti dell'avviso di accertamento:
→ i sostenitori della teoria dichiarativa ritengono che il contribuente sia titolare di un diritto soggettivo,configurabile come diritto di proprietà o come diritto alla giusta
imposizione,sicchè il contribuente agirà in giudizio a tutela del diritto soggettivo leso per ottenere una sentenza di tipo dichiarativo,che sostituisca l'avviso di accertamento
→ i sostenitori della teoria costitutiva,invece, sostengono che il contribuente ,di fronte all'imposizione,sia titolare di un diritto potestativo,che viene esercitato in giudizio al
fine di ottenere,dal giudice tributario,l'annullamento,la rimozione di un atto d'imposizione illegittimo.
Da ciò ne discende comunque che qualora l'avviso di accertamento non sia impugnato,o sia impugnato ma con esito negativo per il contribuente,l'obbligazione tributaria statuita
dall'avviso di accertamento è da considerarsi come definitivamente stabilita,come cristallizzata,senza più possibilità,per il contribuente,di esperire qualsivoglia rimedio.
-EFFETTI DI CONSOLIDAMENTO O PRECLUSIVI:
Sicuramente,laddove l'atto di accertamento sia stato notificato al contribuente e non sia stato correttamente e tempestivamente impugnato nei 60 giorni successivi alla
notifica,la pretesa tributaria si consolida ,l'obbligazione diventa definitiva e a questa si applicheranno le regole civilistiche . Così ancora,nel caso in cui il contribuente non
abbia presentato nei termini previsti dall'art. 38 del D.P.R. 602, istanza di rimborso delle imposte e dei tributi indebitamente versati,il diritto al rimborso dell'eccedenza viene
meno per decadenza dai termini di legge; quindi anche qui per l'indebito ,la situazione si consolida e viene meno per decadenza dai termini il diritto alla restituzione di quanto
indebitamente versato e quindi si consolida,in questo caso per decadenza del contribuente, un versamento non conforme eventualmente a capacità contributiva.
Da ciò ne discende che tutte le considerazioni che abbiamo fatto sulla nascita dell'obbligazione tributaria,o anche in merito alla notifica dell'atto impositivo,oppure ancora in
merito alla realizzazione dell'atto o fatto ritenuto idoneo dal legislatore ad essere espressivo di capacità contributiva,devono coordinarsi con gli effetti preclusivi che
caratterizzano ,in maniera energica ,questo settore dell'ordinamento. Quindi laddove vi sia una decadenza(dai termini di impugnazione dell'avviso di accertamento o dai
termini per presentare istanza di rimborso),spesso a questa si collega il consolidamento o del debito ,oppure la perdita del diritto alla restituzione dell'eccedenza.

-EFFETTI ESECUTIVI:
E' bene osservare che,grazie all'art. 29 del D.L. 78/2010,si è avuta una significativa modifica della disciplina dell'avviso di accertamento,attuandosi quella che viene definita come cd.
Concentrazione della riscossione nell'atto di accertamento.
Fondamentalmente,grazie a tale disposizione,gli avvisi di accertamento in materia di imposte sui redditi,in materia di IVA,in materia di IRAP,ivi compresa l'irrogazione delle relative
sanzioni,sono titoli esecutivi,con la conseguenza che gli stessi non devono essere seguiti dall'iscrizione a ruolo e dalla notificazione di una cartella di pagamento,essendo già titoli
sufficienti a far sì che l'Agenzia delle entrate -riscossione possa agire con la procedura di esecuzione forzata(In precedenza,prima dell'entrata in vigore del d.l. 78/2010,l'amministrazione
finanziaria iscriveva il nome del contribuente debitore nel ruolo,che è l'elenco dei debitori nei confronti dell'amministrazione finanziaria,trasmetteva il ruolo,ossia tale elenco,all'agente della
riscossione,dopodiché l'agente della riscossione estraeva dal ruolo il singolo nominativo e notificava una cartella di pagamento ,contenente,per l'appunto, l'indicazione del debito pendente) .
È proprio in virtù di tale natura di titoli esecutivi che si rende necessario che l'avviso di accertamento contenga un'intimazione ad adempiere: tale intimazione ad adempiere si traduce
nell'intimazione,rivolta al contribuente,di adempiere quanto ricalcolato come maggior imposta dovuta entro 60 giorni dalla notifica dell'avviso di accertamento medesimo,con la
precisazione che lo stesso avviso,decorso tale termine senza che vi sia stata impugnazione, diventerà immediatamente esecutivo e ,di conseguenza,un titolo esecutivo. Trascorsi ulteriori
30 giorni,oltre i 60 indicati,il carico viene affidato all'agente della riscossione e può essere utilizzato per procedere alla riscossione ed anche,eventualmente,ad esecuzione forzata.
L'agente della riscossione potrà procedere anche ad esecuzione forzata,senza dover più notificare,come accadeva in precedenza,la cartella di pagamento,ma semplicemente esibendo
l'estratto dell'atto trasmesso.
Possiamo,a titolo esemplificativo,ricostruire l'iter della riscossione a seguito della notifica di un avviso di accertamento esecutivo:
→ al contribuente viene notificato un avviso di accertamento,nel quale è contenuta un'intimazione ad adempiere entro i 60 giorni successivi alla notificazione; tale termine è
allo stesso tempo il termine per proporre ricorso contro l'avviso di accertamento(impugnarlo)
→ entro i 60 giorni dalla notificazione dell'avviso di accertamento,il contribuente è tenuto a versare la maggior imposta dovuta,mentre,nel caso in cui nel frattempo lo stesso
contribuente abbia presentato ricorso,è tenuto soltanto a versare,nel medesimo termine, 1/3 della maggior imposta accertata
→ trascorsi inutilmente i 60 giorni dalla notifica dell'avviso di accertamento senza che il contribuente abbia adempiuto o a versare l'intera maggior imposta accertata o ,in
caso di ricorso, un terzo della maggior imposta accertata, l'atto di accertamento diverrà immediatamente esecutivo e costituirà quindi un titolo esecutivo; una volta trascorso
tale termine verranno calcolati gli interessi di mora(dal giorno della notifica dell'atto),l'aggio per l'agente della riscossione ed il rimborso delle spese di esecuzione,che si
andranno tutti ad aggiungere alla maggior imposta dovuta ed alle sanzioni calcolate all'interno dell'avviso di accertamento
→ trascorsi ulteriori 30 giorni,che ,sommati ai 60 precedenti, portano ad un totale di 90 giorni dalla notificazione dell'avviso di accertamento,il carico viene affidato all'Agente
della riscossione,il quale dovrà informare il contribuente ,a mezzo di raccomandata o di posta elettronica,di aver preso in carico le somme per la riscossione( Quindi
un'evidente funzione di informazione del contribuente,il quale sarà in questo modo edotto dell'imminenza di una procedura esecutiva a suo carico)
→ L'agenzia delle entrate e l'agenzia delle entrate-riscossione cooperano per la riscossione di quanto dovuto,perchè nel momento dell'affidamento del carico all'agente della
riscossione,l'ufficio preposto dell'agenzia delle entrate fornisce all'agenzia delle entrate-riscossione tutti gli elementi utili ai fini del potenziamento dell'azione esecutiva,anche
acquisiti durante la fase di accertamento. Ciò accade in omaggio al superiore principio della doverosità del concorso e dunque della tutela dell'interesse erariale alla riscossione di
quanto necessario al finanziamento della cosa pubblica.
→ prima di procedere all'esecuzione forzata nei confronti del contribuente,è previsto un periodo di cuscinetto,in cui l'esecuzione forzata è sospesa per 6 mesi,ossia 180
giorni,dalla data di affidamento del carico all'Agente di riscossione,pur rimanendo consentite le azioni cautelari e conservative,che costituiscono le normali azioni a tutela del
credito; tale periodo di cuscinetto può venir meno nel caso in cui sussista un fondato pericolo per la riscossione,sicchè l'esecuzione forzata potrà in questo caso aver luogo
prima che siano trascorsi tali 180 giorni,con la precisazione che ,proprio in virtù di tale pericolo per la riscossione,l'agente della riscossione non avrà nemmeno l'obbligo,in
questo,caso, di informare il contribuente riguardo l'affidamento del carico.
→ il periodo di 180 giorni, di sospensione dell'esecuzione forzata ,non si ha nel caso in cui l'atto di accertamento sia divenuto definitivo a seguito di intervenuto giudicato
(ricorso andato male per il contribuente) e nemmeno il caso in cui vi sia stata una decadenza dalla rateazione,ossia quando il contribuente,pur avendo convenuto una
rateazione mediante accertamento con adesione, non abbia provveduto ad adempiere nemmeno secondo la rateazione prestabilita(nel qual caso saranno ,tra l'altro,esecutivi
anche gli atti di rideterminazione del dovuto)

3.6- PARTICOLARI TIPOLOGIE DI ATTI DI ACCERTAMENTO ED ATTI ASSIMILABILI


3.6.1- ACCERTAMENTI IN RETTIFICA E ACCERTAMENTI D'UFFICIO
-ACCERTAMENTO IN RETTIFICA:
Si parla di accertamento in rettifica quando l'avviso di accertamento inviato al contribuente riguardi un periodo d'imposta in relazione al quale il contribuente abbia presentato una
dichiarazione infedele o una dichiarazione incompleta,per cui in questo caso l'Agenzia delle Entrate provvede a correggere la dichiarazione presentata dal contribuente e a rideterminare la
maggior imposta dovuta,irrogando,contestualmente,le sanzioni collegate al tributo.
-ACCERTAMENTO D'UFFICIO:
Si parla di accertamento d'ufficio quando l'avviso di accertamento notificato al contribuente riguardi un periodo d'imposta in relazione al quale il contribuente abbia omesso di presentare
la dichiarazione(dichiarazione omessa).
Ricordando innanzitutto che con dichiarazione omessa si fa riferimento non soltanto al caso in cui il contribuente abbia ,per l'appunto ,omesso di presentare la dichiarazione,ma anche al caso in cui la
dichiarazione sia stata presentata con un ritardo superiore ai 90 giorni rispetto alla relativa scadenza, e ricordando altresì che, ai fini dell'accertamento, anche i casi di dichiarazione nulla(dichiarazione
non redatta in conformità dei modelli ministeriali o non sottoscritta) vengono equiparati al caso di dichiarazione omessa,possiamo dire che in caso di dichiarazione omessa,dal punto di vista
dell'accertamento,l'amministrazione finanziaria potrà emettere un accertamento d'ufficio e quindi accertare il reddito globale delle persone fisiche con metodo sintetico piuttosto che
analitico,il reddito d'impresa e da lavoro autonomo con metodo induttivo - extracontabile piuttosto che con metodo analitico-contabile.
In caso di accertamento d'ufficio,l'amministrazione finanziaria ,secondo quanto disposto dalla L. 208/2015, avrà il potere di accertare le imposte dovute dal contribuente che abbia omesso
di presentare la dichiarazione entro il 31 Dicembre del settimo anno successivo a quello in cui il contribuente avrebbe dovuto presentare la dichiarazione

3.6.2- ACCERTAMENTO PARZIALE ED ACCERTAMENTO INTEGRATIVO: ECCEZIONI AL PRINCIPIO DI UNITARIETA'


DELL'AVVISO DI ACCERTAMENTO
-ACCERTAMENTO PARZIALE:
L'accertamento parziale ,che si pone,fondamentalmente,come un'eccezione al principio della tendenziale unitarietà dell'avviso di accertamento,è disciplinato dall'art. 41Bis del d.p.r.
600/1973 e si sostanzia in una particolare forma di accertamento che consente all'amministrazione finanziaria di rettificare il reddito(o altro presupposto d'imposta) dichiarato dal
contribuente,senza limitare la possibilità di successive azioni accertatrici,sulla base di informazioni ottenute da soggetti qualificati che facciano presupporre irregolarità tributarie,quali
l'esistenza di redditi non dichiarati,l'esistenza di detrazioni ,deduzioni e/o esenzioni non spettanti e l'esistenza di imposte non versate.
Dunque,l'accertamento parziale si sostanzia in un atto di accertamento attraverso il quale l'amministrazione finanziaria può limitarsi a riprendere a tassazione singole componenti di reddito
del contribuente,sulla base di specifiche informazioni pervenutegli da determinati soggetti e sulla base di documenti acquisiti secondo canali indicati tassativamente.Nel caso in cui,ad
esempio,l'amministrazione inviti il contribuente a comparire, o lo inviti a fornire documenti, o invii questionari al contribuente,sulla base dei chiarimenti forniti,dei documenti trasmessi ,o delle risposte ai
questionari,emergerà l'inesattezza parziale della dichiarazione,per cui l'amministrazione potrà limitarsi a rettificare,limitatamente a questo profilo,la dichiarazione presentata.
Dal momento che tale tipologia di accertamento non investe tutta la posizione fiscale del contribuente,ma ,anzi,consente all'amministrazione finanziaria di frammentare la propria attività
accertativa,possiamo dire che tale istituto ha ribaltato,sostanzialmente,il principio di unicità e globalità dell'avviso di accertamento,in base al quale,lo ricordiamo, era possibile notificare un
unico atto impositivo per ciascun periodo d'imposta,fondato sui vari elementi della fase istruttoria.
È bene sottolineare,sotto il profilo dei presupposti che sottendono l'applicabilità dell'accertamento parziale,che tale tipologia di accertamento è possibile soltanto qualora delle nuove
componenti di reddito da riprendere a tassazione emergano da informazioni cd. Qualificate.
Tali informazioni,cui fa riferimento l'art. 41Bis del d.p.r. 600/1973,possono essere qualificate sotto il profilo dei soggetti di provenienza,oppure sotto il profilo delle modalità di acquisizione.
Per quanto riguarda i soggetti qualificati da cui possono provenire tali nuove informazioni inerenti la posizione fiscale del contribuente,essi sono:
→ guardia di finanza
→ p.a.
→ enti pubblici
→ anagrafe tributaria
→ altri uffici della stessa agenzia fiscale
→ direzione centrale dell'accertamento
→ direzione centrale delle entrate
Per quanto riguarda invece le modalità con cui tali informazioni inerenti al contribuente debbano essere acquisite,rileva che tali informazioni devono essere acquisite dai soggetti
sovraesposti nel corso della loro attività istituzionale,per cui rileva,relativamente alla Guardia di Finanza,l'attività di accesso,ispezione e verifica,mentre,relativamente agli altri Uffici
dell'agenzia fiscale,rilevano gli inviti a comparire per fornire documenti e/o chiarimenti e l'invio di questionari(Diciamo che sono fonti informative dalle quali emerge direttamente l'inesattezza
della dichiarazione).
L'avviso di accertamento parziale dovrà essere notificato come qualunque avviso di accertamento e dunque ai sensi dell'art. 43 d.p.r. 600/1973,così come modificato dall'art. 1 ,co. 130-132,
L. 208/2015
Data la natura parziale di tale accertamento,la notifica di un atto di accertamento siffatto non pregiudica l'esercizio dell'ulteriore azione accertatrice nei termini di decadenza previsti dal
successivo art. 43 del d.p.r. 600/1973 .
Quanto ai profili procedimentali e processuali,emerge che l'accertamento parziale ha delle conseguenze:
→ in caso di accertamento con adesione: normalmente la sottoscrizione di un accertamento con adesione preclude ogni altra attività accertatrice dell'amministrazione finanziaria per il
medesimo periodo d'imposta. Va tuttavia osservato che qualora l'adesione riguardi un accertamento parziale,tale preclusione si ha solamente in relazione all'oggetto dell'accertamento
medesimo e non per eventuali e successive verifiche
→ sul comportamento del contribuente: il contribuente,ricevendo la notifica di più avvisi di accertamento relativi al medesimo periodo d'imposta,potrebbe erroneamente pensare che un
avviso sostituisca l'altro,impugnando soltanto l'ultimo ricevuto e di conseguenza rendendo definitivi i precedenti
→ sul processo tributario: sebbene la presenza di un giudicato non impedisca la notifica di ulteriori avvisi di accertamento da parte dell'amministrazione finanziaria, va osservato in primo
luogo che ,stante quanto disposto dall'art. 2909 c.c.,qualora il giudicato sia favorevole per il contribuente,ciò potrebbe influenzare anche i successivi giudicati. In secondo luogo,qualora
siano stati impugnati più avvisi di accertamento relativi al medesimo anno di imposta,potrebbe aversi o la riunione del processo,oppure la sospensione del processo
Da ultimo,va osservato che una recentissima ordinanza della Cassazione,ossia ord. 28681/2019,ha ribadito che l'atto di accertamento parziale non costituisce un metodo di accertamento
alternativo rispetto a quelli esaminati in precedenza,ma si tratta ,piuttosto,solamente di una particolare modalità procedurale attraverso cui possono essere applicate le stesse regole di
cui agli artt. 38 e ss. Del d.p.r. 600/1973 ,sostanziandosi dunque in uno strumento che, evidentemente, è finalizzato a sollecitare in maniera rapida l'emersione di materia imponibile che
emerge icto oculi dalle fonti informative prima descritte.

-ACCERTAMENTO INTEGRATIVO:
Ulteriore eccezione al principio della tendenziale unità dell'atto di accertamento,oltre a quella dell'accertamento parziale già esaminata,è rappresentata dall'accertamento integrativo ,o
modificativo,disciplinato dall'ultimo comma dell'art. 43 del d.p.r. 600/1973,che disciplina l'accertamento delle imposte sui redditi .
Si ha accertamento integrativo dunque,a norma dell'art. 43,comma 3 , d.p.r. 600/1973,quando,dopo la notifica di un precedente avviso di accertamento e sempre entro i termini ordinari di
accertamento per quell'anno di imposta,l'amministrazione finanziaria rinvenga dei nuovi elementi ,precedentemente conosciuti e non conoscibili,tali da modificare,nella
sostanza,l'oggettività del presupposto d'imposta precedentemente accertato(ad esempio,nuove componenti di reddito sottratte all'imposizione),sicchè alla stessa è consentito notificare al
contribuente un nuovo atto di accertamento,che integri e sostituisca il precedente.
Si tratta,sostanzialmente,di una rettifica di un precedente avviso di accertamento: da qui il termine “integrativo”
Vi sono dunque dei presupposti affinchè possa aversi accertamento integrativo:
→ deve esservi stata la notifica di un precedente avviso di accertamento valido,relativo al medesimo periodo d'imposta cui si riferisca l'accertamento integrativo
→ non devono essere scaduti i termini ordinari per l'accertamento,ossia i 5 ed i 7 anni previsti nei casi di dichiarazione infedele e di dichiarazione omessa
→ sopravvenienza di nuovi elementi ,rinvenuti in epoca successiva al primo accertamento e tali da modificare,in aumento(altrimenti si avrebbe autotutela), il presupposto
d'imposta precedentemente accertato
→ novità oggettiva di tali elementi sopravvenuti,con ciò intendendo che gli stessi,al contempo,non erano né conosciuti al momento della notifica del primo avviso di
accertamento,nè tantomeno conoscibili dai funzionari accertatori con l'ordinaria diligenza (se la mancata conoscenza deriva da negligenza,l'avviso integrativo sarebbe da
considerarsi nullo)(ad esempio ,può trattarsi dell'acquisizione di un processo verbale di constatazione, redatto nei confronti di un cliente o di un fornitore di un imprenditore soggetto a
verifica,notificato solamente dopo la notifica dell'atto di accertamento,che verrà dunque ad essere integrato in parte dal successivo avviso di accertamento, fondato sul processo verbale di
constatazione redatto e notificato successivamente).
Questi appena elencati costituiscono non soltanto dei presupposti affinchè l'amministrazione finanziaria possa notificare un valido accertamento integrativo,ma costituiscono altresì dei
limiti all'azione dell'amministrazione finanziaria,la quale ,altrimenti,potrebbe eludere facilmente il principio della tendenziale unitarietà dell'avviso di accertamento, ad esempio,utilizzando
l'avviso di accertamento integrativo per sostituire un precedente avviso di accertamento che presentasse dei vizi formali.
Un ulteriore limite,posto a garanzia del contribuente, che concerne il contenuto dell'avviso di accertamento integrativo,è rappresentato dall'obbligo di motivazione rafforzata,o cd.
Motivazione di secondo livello: l'amministrazione finanziaria infatti,all'interno dell'accertamento integrativo, oltre ad indicare i nuovi elementi sopraggiunti,dovrà necessariamente
indicare,a pena di nullità, anche le modalità attraverso cui tali nuovi elementi siano giunti nella sua sfera di conoscenza,ossia gli atti ,i fatti e le situazioni da cui tali nuovi elementi sono
stati desunti. Tale obbligo di motivazione rafforzata ha la finalità di contentire al contribuente di verificare che i nuovi elementi su cui si basa l'accertamento integrativo siano elementi oggettivamente
non conosciuti e non conoscibili ,con l'ordinaria diligenza,da parte dei funzionari procedenti al momento della notifica del primo atto di accertamento,permettendo quindi al contribuente di valutare la
legittimità dell'atto di accertamento integrativo.
3.6.3- ATTI ASSIMILABILI ALL'AVVISO DI ACCERTAMENTO
-AVVISO DI LIQUIDAZIONE:
Nell'accertamento dell imposta di registro, la legge distingue tra determinazione del valore imponibile e determinazione dell'imposta.
Si ha in unico atto la rettifica dell'imponibile e la liquidazione dell'imposta.
Può essere emesso solo un avviso di liquidazione nei casi in cui l'imponibile sia già determinato. La nuova liquidazione di un tributo, dopo una sentenza che riduce l'imponibile, è fatta
mediante avviso di liquidazione.
È un atto impositivo le cui determinazioni hanno valore autoritativo e diventa definitivo se non impugnato. E' altresì un atto della procedura di riscossione.
-ATTO DI RECUPERO:
È emesso quando il contribuente dichiara un credito d imposta che non gli spetta e lo compensa con somme da versare. Con questo atto si accerta l'insussistenza del credito e recupera
le somme non versate.
È un atto impositivo che va motivato e notificato; è titolo esecutivo.
-INGIUNZIONE FISCALE:
L'ingiunzione fiscale era, in passato, un atto che aveva molte funzioni. Dopo la riforma del 1988 l'ingiunzione ha perduto funzioni di titolo esecutivo e di precetto, ma è rimasta comunque
in vita come atto di accertamento per le imposte indirette per le quali la legge non prevede l avviso di accertamento quale atto tipico (tributi doganali e imposte di fabbricazione).
L'ingiunzione continua altresì ad essere un atto della riscossione inerentemente alla riscossione di tributi e altre entrate di spettanza di comuni e provincie ,quando svolta in proprio o
affidata a soggetti terzi diversi dagli agenti del servizio nazionale di riscossione.

3.7- DEFINIZIONI ,CONSENSUALI E NON, DEL RAPPORTO GIURIDICO D'IMPOSTA A SEGUITO DELL'AVVISO DI
ACCERTAMENTO
-DEFINIZIONI DEL RAPPORTO GIURIDICO D'IMPOSTA:
Qualora il contribuente si veda notificato un avviso di accertamento,una volta valutata la fondatezza o meno della pretesa erariale,avrà davanti a sé diverse soluzioni,diverse scelte,tra loro
alternative,quali:
→ tenere un comportamento omissivo: il contribuente non provvederà né a versare l'imposta,nè a richiedere una rateazione,nè ad impugnare l'atto. Ciò darà luogo alla riscossione
coattiva della maggior imposta dovuta,data la natura di titolo esecutivo dell'avviso di accertamento(si vedano gli effetti dell'avviso di accertamento)
→ impugnare l'avviso di accertamento dinanzi alla commissione tributaria provinciale
→ presentare un'istanza di autotutela all'amministrazione finanziaria
→ prestare acquiescenza: si tratta di uno strumento deflattivo,disciplinato dall'art. 15 del d.lgs. 218/1997,in virtù del quale il contribuente accetta gli effetti dell'avviso di
accertamento. Nello specifico,in virtù di quanto disposto dall'art. 15 del d.lgs. 218/1997,se il contribuente rinuncia ad impugnare l'avviso di accertamento e rinuncia anche a
presentare istanza di accertamento con adesione,versando,entro 60 giorni dalla notifica dell'avviso di accertamento, quanto richiesto dall'amministrazione finanziaria, egli
godrà del beneficio della riduzione delle sanzioni irrogate ad 1/3. Visto che normalmente le sanzioni sono irrogate in una misura pari al 90% ed al 180% del debito d'imposta,con la
riduzione delle sanzioni ad un terzo,le sanzioni non saranno più pari al 90% della maggior imposta,ma al 30% della maggior imposta. Si tratta quindi di un considerevole risparmio,in
termini di importi versati a titolo di sanzioni,per il contribuente che decida di prestare acquiescenza a quanto richiesto dall'amministrazione finanziaria, nei termini per impugnare,ossia nei
60 giorni dalla notifica dell'atto di accertamento.
→ definire le sanzioni,pagando un terzo delle sanzioni irrogate, ed impugnare l'avviso di accertamento soltanto nella parte concernente il tributo,nonchè gli interessi
→ aderire ad una proposta di accertamento con adesione eventualmente già formulata dall'amministrazione finanziaria
→ proporre un'istanza di accertamento con adesione

-AUTOTUTELA:
Autotutela sta ad indicare la potestà che ha la pubblica Amministrazione di intervenire, sia d'ufficio che su istanza di parte, al fine di modificare od annullare provvedimenti
precedentemente emessi, consentendo quindi alla stessa Amministrazione di autodifendersi dai propri errori, così da assolvere correttamente i propri compiti istituzionali.
Occorre precisare che, la stessa si configura come potere di annullamento, ma anche di revoca e di rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento fino a comprendere anche il
potere di sospendere gli effetti dell'atto che appaia illegittimo o infondato.
Ebbene, la prima ipotesi ricorre allorquando l'Amministrazione, riscontrando vizi di legittimità dell'atto emanato ovvero l’illegittimità di quest’ultimo derivante da illegittimità del
procedimento o di suoi precedenti atti, lo annulla con efficacia ex tunc; mentre, la seconda ipotesi ricorre allorquando l'Amministrazione, ritenendo mutati i presupposti di fatto o di diritto
su cui si è fondato il provvedimento oggetto di riesame, esercita il potere di revoca, con efficacia ex nunc nel caso in cui l’atto da annullare sia di carattere generale o favorevole al
contribuente e con efficacia ex tunc, invece, se l’atto è sfavorevole al contribuente.
Da ultimo, il potere di rinuncia all’imposizione, invece, viene esercitato in considerazione di criteri di economicità relativi ed assoluti, definiti dal rapporto tra l’esiguità delle pretese
tributarie ed i costi amministrativi connessi alla difesa delle pretese stesse ovvero sulla base del criterio della probabilità della soccombenza e della conseguente condanna al rimborso
delle spese di giudizio. Nello specifico, tali iniziative possono essere adottate dall’Amministrazione indipendentemente dal fatto che gli atti siano divenuti definitivi, sia stato presentato ricorso a suo
tempo respinto per motivi diversi dal merito, vi sia pendenza di giudizio, ovvero non sia stata prodotta alcuna istanza di parte.
Ciò vuol dire, che l'autotutela si manifesta nella possibilità di porre rimedio ad errori commessi (sia di diritto che di fatto) laddove è utile ad evitare che la contestazione sia portata per la
prima volta dal contribuente davanti agli organi del contenzioso tributario, e se attivata mira ad evitare che si protragga.
Ciò detto, gli atti sui quali gli uffici possono esercitare il potere di autotutela, sono in linea di massima, quelli espressamente elencati dall’art. 19, c. 1, del Dlgs 31.12.1992, n. 546, cioè gli
atti accertativi, quelli esecutivi, i dinieghi o i mancati rimborsi contro i quali sarebbe stato ammissibile il ricorso del contribuente in commissione tributaria.
Altresì, per quel che concerne le ipotesi in cui è possibile attivare l’autotutela, bisogna riferirsi a quanto espresso dall’art. 2, c. 1 del D.M. 11.2.1997, n. 37:
• errore di persona;
• evidente errore logico o di calcolo;
• errore sul presupposto dell’imposta;
• doppia imposizione;
• mancata considerazione di pagamenti d’imposta, regolarmente eseguiti;
• mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza;
• sussistenza di requisiti per usufruire di deduzioni o regimi agevolativi, precedentemente negati;
• errore materiale del contribuente facilmente riconoscibile dall’amministrazione.
Va detto però, che non è suscettibile di annullamento o rinuncia all’imposizione l’atto sul quale sia intervenuta una sentenza passata in giudicato a favore dell’amministrazione e per i
motivi addotti dal giudice adito. Attenzione però, il giudicato in rito basato su ragioni processuali ovvero irricevibilità, difetto di giurisdizione, incompetenza, ed inammissibilità ad esempio, non limita l'
autotutela. Pertanto, è necessario che il giudicato abbia per oggetto valutazioni di merito.
Anche qui però, va precisato che per l'esercizio dell'autotutela è possibile tenere conto di motivi di merito diversi da quelli presi in considerazione nella pronuncia della Commissione tributaria favorevoli
all'erario ossia degli stessi motivi dedotti con il ricorso introduttivo ma non esaminati dalla Commissione stessa, giacchè il giudicato sulla decisione di rigetto non si traduce nella dichiarazione
incontrovertibile di legittimità dell'atto impositivo. Ciò significa che, soltanto il giudicato di merito e solo per i motivi decisi con sentenza definitiva rappresenta un limite invalicabile all'esercizio
dell'autotutela. Altresì, altro limite al potere di autotutela, è ravvisabile nel caso di prescrizione del diritto al rimborso.
Ed allora, riassumendo, l’autotutela si potrà sempre proporre:
• quando il giudicato è solo formale (ad esempio, la sentenza ha deciso soltanto sul rito: inammissibilità, improcedibilità, ecc.);
• quando il giudicato è di merito ma parziale (la sentenza ha deciso su più punti, ma alcuni vengono impugnati), per le parti non ancora in giudicato;
• quando se pur il giudicato di merito è totale, l'istanza di autotutela è relativa a motivi di illegittimità del tutto differenti da quelli oggetto della sentenza che, pertanto, sono stati
esaminati e respinti dai giudici.
Peraltro, qualsiasi atto viziato è annullabile senza limiti di tempo, e deve essere annullato anche se il contribuente non ha presentato istanza di annullamento o non ha fatto ricorso; oppure l’atto è
diventato definitivo per il decorso dei termini per ricorrere; ed ancora, il ricorso è respinto con sentenza passata in giudicato per motivi di forma; infine, vi è pendenza di giudizio (sul punto Cass. n.
16897/03 secondo cui in tal caso si verifica un’ipotesi di cessazione della materia del contendere ex art. 46, D. Lgs. 31.12.1992, n. 546).
A questo punto, val la pena rammentare, quali sono le norme con cui si inquadra l’istituto.
L’autotutela, dapprima, è stata disciplinata dall’art. 68, co. 196 del D.P.R. 287/1992, secondo cui: «Salvo che sia intervenuto giudicato, gli uffici dell’amministrazione finanziaria possono procedere
all’annullamento, totale o parziale, dei propri atti riconosciuti illegittimi o infondati con provvedimento motivato, comunicato al destinatario dell’atto».
Di poi, il Legislatore è intervenuto a integrare la disciplina con la legge 656/1994, di conversione del D.L. 564/1994, recante l’art. 2-quater, dal titolo «Autotutela».
Ebbene, in attuazione del citato art. 2-quater, è stato emanato il D.M. 11.2.1997, n. 37, recante disposizioni di natura regolamentare relative all’esercizio dell’autotutela (casi, presupposti, organi
competenti).
Ed infine, l’art. 11, D.Lgs. 24.9.2015, n. 159 è intervenuto sull’art. 2-quater, D.L. 30.9.1994, n. 564, conv. con modif. dalla L. 30.11.1994, n. 656, consentendo di usufruire delle sanzioni ridotte qualora
vi sia annullamento o revoca parziale dell’atto di accertamento, alle medesime condizioni esistenti alla data di notifica dell'atto, purché rinunci al ricorso.
Ed allora esaminiamo, chi è competente ad istruire il procedimento di autotutela e ad emettere il provvedimento finale, laddove l’art. 1 del D.M. n. 37/97 regolamento del ’97, così stabilisce:
<<all’ufficio che ha emanato l’atto illegittimo e che è competente per gli accertamenti d’ufficio ovvero in via sostitutiva, in caso di grave inerzia, alla Direzione regionale o compartimentale dalla quale
l’ufficio stesso dipende>>.
Ciò vuol dire che, il potere di annullamento è conferito alla stessa autorità procedente in primo grado, secondo i principi generali in materia di autotutela amministrativa spontanea, fatta
salva comunque la possibilità per la Direzione regionale (o compartimentale) delle Entrate di sostituirsi all’ufficio in situazioni di grave inerzia. Ed infatti, tale potere sostitutivo si giustifica
in base alla posizione gerarchicamente sovraordinata degli organi direttivi, che consente loro di porre in essere, in presenza di talune circostanze, provvedimenti rientranti nella sfera di
competenza degli uffici sott’ordinati.
Ed ancora, è necessario individuare il c.d. responsabile del procedimento, ovvero “l’unità organizzativa responsabile dell’istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché
dell’adozione del provvedimento finale” (artt. 2 e 4 L. n. 241/90), nell’ambito, poi, della struttura competente ad esercitare il potere di autotutela. Tale figura riveste particolare importanza
nell’ambito dell’attività amministrativa, giacchè ha il compito non solo di seguire e sovrintendere l’intera procedura, di coordinare e curare le attività istruttorie, ma anche di interloquire con i
privati interessati, rappresentando il loro punto di riferimento durante lo svolgimento della stessa. Peraltro, il responsabile del procedimento di autotutela potrà, dunque, subire una condanna al
risarcimento del danno erariale, sia quando lo produca direttamente a carico dell’Amministrazione, sia quando quest’ultima lo subisca indirettamente trovandosi costretta a ristorare il pregiudizio
arrecato al contribuente.
A questo punto, va detto che tra i modi di attivazione dell’autotutela, rientra principalmente, quello di attivazione ad istanza del contribuente di cui all’art. 2, c. 1, L. n. 241/1990 laddove è
sufficiente trasmettere all’Ufficio competente una semplice domanda in carta libera, contenente un’esposizione sintetica dei fatti, corredata dalla documentazione utile a comprovare le
tesi sostenute, l’atto di cui si chiede l’annullamento e i motivi che fanno ritenere tale atto illegittimo e, di conseguenza, annullabile in tutto o in parte. Se l'ufficio non risponde, il
contribuente, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1, c. 1, del DM n. 37/97, può rivolgersi alla competente direzione regionale, che, se ritiene sussista una "grave inerzia" dell'Ufficio, può
sostituirlo nel procedere all'annullamento dell'atto illegittimo.
Attenzione però, la richiesta del contribuente è meramente sollecitatoria, ragion per cui non fa sorgere alcun obbligo per l’Ufficio.
Caso diverso, invece, è quello in cui l’avvio dell’autotutela venga attivata direttamente dall’Ufficio, ovvero senza istanza del contribuente. Le ipotesi, in genere, sono quelle già esposte sopra di
cui all’art. 2, c. 1, del D.M. n. 37/97.
Altra fattispecie ancora, è quella che prevede l’intervento del Garante del contribuente, che, ai sensi e per gli effetti dell’art. 13, c. 6, della L. n. 212/00, può agire sia di propria iniziativa che
sollecitato dallo stesso contribuente.
Orbene, esposti i tratti salienti della disciplina in oggetto, si possono esaminare quelli che sono i dubbi e i contrasti interpretativi giurisprudenziali relativamente a ciò che accade se l’Ufficio non
risponde e se l’Ufficio si pronuncia con un diniego nei confronti dell’istanza presentata dal contribuente.
Ed allora, come detto sopra, secondo l'orientamento prevalente, l'istanza del contribuente non determina, per l’Amministrazione Finanziaria, alcun obbligo giuridico di provvedere e, tanto
meno, di provvedere nel senso prospettato dal contribuente stesso. La richiesta del contribuente, pertanto si torna a ripetere, è meramente sollecitatoria. . Tuttavia, per motivi di opportunità
e di trasparenza, nonché di necessaria correttezza nei confronti dei contribuenti, gli uffici sono stati esortati, anche nelle ipotesi di non accoglimento delle istanze di parte per l'accertata insussistenza
delle ragioni addotte, a comunicare agli interessati l'esito dell'intervenuto riesame dell'atto contestato, enunciando, anche succintamente, i motivi del rigetto.
Sull’argomento, è recentissima la pronuncia della Corte Costituzionale del 13.7.2017, n. 181 che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale avanzate nei confronti degli artt. 2-
quater, co. 1, D.L. 564/1994, conv. con modif. dalla L. 656/1994 e dell’art. 19, co. 1, D.Lgs. 546/1992, rispetto agli artt. 3, 23, 24, 53, 97 e 113 Cost.. In sostanza, in ordine al carattere non doveroso
dell'autotutela tributaria, la ricostruzione della giurisprudenza della Corte di Cassazione è corretta: «Non esiste un dovere dell'amministrazione di pronunciarsi sull'istanza di autotutela e,
mancando tale dovere, il silenzio su di essa non equivale ad inadempimento, né, d'altro canto, il silenzio stesso può essere considerato un diniego, in assenza di una norma specifica che così lo
qualifichi giuridicamente , con la conseguenza che il silenzio dell'amministrazione finanziaria sull'istanza di autotutela non è contestabile davanti ad alcun giudice».
Tale situazione non determina, comunque, un «vuoto di tutela» costituzionalmente illegittimo, come lamentato dal giudice a quo. «L'annullamento d'ufficio non ha funzione giustiziale, costituisce
espressione di amministrazione attiva e comporta di regola valutazioni discrezionali, non esaurendosi il potere dell'autorità che lo adotta unicamente nella verifica della legittimità dell'atto e nel suo
doveroso annullamento se ne riscontra l'illegittimità».
In ogni caso, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, l'autotutela tributaria costituisce un potere esercitabile d'ufficio da parte delle Agenzie fiscali sulla base di valutazioni
largamente discrezionali, e non uno strumento di protezione del contribuente . Il privato può naturalmente sollecitarne l'esercizio, segnalando l'illegittimità degli atti impositivi, ma la
segnalazione non trasforma il procedimento officioso e discrezionale in un procedimento ad istanza di parte da concludere con un provvedimento espresso.
Ciò posto, altro aspetto su cui soffermare l’attenzione, è quello relativo al diniego dell'Amministrazione di procedere all'esercizio del potere di autotutela laddove il senso su cui la Corte sta
ormai orientando in maniera consolidata il suo indirizzo è che, contro il diniego può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per
contestare la fondatezza della pretesa tributaria. Diversamente, attraverso l’impugnazione del diniego di esercizio di autotutela si consentirebbe l'aggiramento del termine di decadenza previsto, a
garanzia del principio di certezza del diritto e di tendenziale stabilità dei rapporti giuridici, per la impugnazione degli atti impositivi, che rimarrebbero quindi esposti a riesame a tempo indeterminato tutte
le volte che il contribuente, pur divenuto definitivo l'avviso di accertamento o rettifica, presenti istanza di revisione in autotutela e ritenga di impugnare il provvedimento espresso o tacito non satisfattivo
del proprio interesse rivolto alla rimozione dell'atto impositivo definitivo.
Ciò posto il contribuente dovrebbe prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto, qualora richieda il ritiro in autotutela di un atto impositivo
divenuto definitivo, non potendo limitarsi a dedurre eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione deve ritenersi definitivamente preclusa, o in alternativa prospettare degli errori di calcolo o di
imposta commessi dall’Ufficio.
Peraltro, la Corte Suprema, con la sentenza 2870/2009, a Sezioni Unite, ha stabilito che: «È inammissibile il ricorso avverso il provvedimento di rigetto, espresso o tacito, dell’istanza di autotutela
promossa dal contribuente volta ad ottenere l’annullamento di un atto impositivo divenuto definitivo (nella specie, per l’intervenuto giudicato formatosi sulla decisione di reiezione del ricorso davanti alla
commissione tributaria provinciale), in conseguenza sia della discrezionalità nell’esercizio del potere di autotutela quanto dell’inammissibilità di un nuovo sindacato giurisdizionale sull’atto di
accertamento munito del carattere di definitività».
Nello stesso senso la Ordinanza, Cass. 10020/2012, secondo cui contro il diniego dell’Amministrazione finanziaria di procedere all’esercizio del potere di autotutela può essere proposta
impugnazione soltanto per dedurre profili di illegittimità del diniego stesso e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria divenuta definitiva.
Di poi, la Corte di Cassazione nella sentenza 20 novembre 2015, n. 23765 laddove la verifica da parte del giudice tributario deve riguardare, ancor prima dell’esistenza dell’obbligazione tributaria, il
corretto esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione, nei limiti e nei modi in cui esso è suscettibile di controllo giurisdizionale.
Da ultimo, interessante, Cass. sentenza n. 7511 del 15.04.2016, che in tema di impugnazione del diniego di autotutela nel processo tributario, ha espresso alcune considerazioni in parte
difformi rispetto al precedente orientamento. Ed allora, da una parte, la Corte richiamava quanto affermato da Cass., Sez. U, n. 3698 del 16/02/2009, secondo cui «in tema di contenzioso tributario,
l'atto con il quale l'Amministrazione manifesti il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, non rientra nella previsione di cui all’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546,
e non è quindi impugnabile, sia per la discrezionalità da cui l'attività di autotutela è connotata in questo caso, sia perché, altrimenti, si darebbe ingresso ad una inammissibile controversia sulla legittimità
di un atto impositivo ormai definitivo». Dall’altra parte, però, altra giurisprudenza, successiva alla sentenza richiamata, ha ritenuto impugnabile l'annullamento parziale, adottato nell'esercizio
del potere di autotutela, di un avviso impositivo già definitivo, trattandosi di un atto contenente la manifestazione di una compiuta e definitiva pretesa tributaria, rispetto a cui, pur se
riduttivo dell'originaria pretesa, non può privarsi il contribuente della possibilità di difesa (Cass., Sez. 5, n. 14243 del 08/07/2015). Tale precedente, secondo la Corte però, non offre argomenti
convincenti, giacchè trattasi nel caso di specie di annullamento parziale, o comunque di provvedimento di autotutela di portata riduttiva rispetto alla pretesa impositiva contenuta negli atti divenuti
definitivi, e che in definitiva non poteva comportare alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui già noto e consolidatosi in ragione della mancata tempestiva
impugnazione del precedente accertamento. In conclusione, per i supremi giudici, soltanto se il nuovo atto fosse stato di portata ampliativa rispetto all'originaria pretesa, sarebbe stato possibile
ammetterne una autonoma impugnabilità. (si veda Cass., sentenza n. 22253 del 30.10.2015).

-ACCERTAMENTO CON ADESIONE:


L'accertamento con adesione ,o concordato,disciplinato dal d.lgs. 218/97,costituisce uno degli strumenti deflattivi del contenzioso tributario che consente al contribuente di definire
l'accertamento fiscale nei suoi confronti prima dell'instaurazione del giudizio di primo grado,permettendogli altresì di fruire della riduzione della sanzione ad 1/3 del minimo edittale.
L'istituto può essere utilizzato da qualunque contribuente,ivi compresi i sostituti d'imposta,con riferimento alle imposte dirette,all'imposta sul valore aggiunto,all'imposta di registro,alle
imposte catastali ed all'IMU.
Fondamentalmente,possiamo dire che l'accertamento con adesione va analizzato sia come procedimento,sia come atto.
Dal punto di vista procedimentale,come avremo poi modo di analizzare meglio,il contribuente che abbia ricevuto un avviso di accertamento può presentare un'istanza di accertamento con
adesione,aprendo un contraddittorio endo-procedimentale con l'amministrazione finanziaria,all'esito del quale,se le parti avranno raggiunto un accordo,eventualmente,verrà firmato da
entrambe le parti un atto di accertamento con adesione,il quale andrà a sostituire l'avviso di accertamento precedentemente notificato(con il perfezionamento dell'accordo,l'avviso di
accertamento emesso dall'ente impositore viene meno,in quanto assorbito dall'atto di adesione sottoscritto dalle parti).
Quanto alla natura dell'accertamento con adesione,vi sono,in dottrina,due orientamenti:
→ un orientamento,di stampo privatistico,che ravvisa nell'accertamento con adesione un contratto assimilabile alla transazione (abbiamo già detto,in merito, che non vi è alcuna
transazione,alcuna concessione reciproca con l'accertamento con adesione,data la natura vincolata dell'azione dell'amministrazione finanziaria)
→ un altro orientamento che invece sostiene che l'accertamento con adesione si configura pur sempre come un atto di accertamento,esternato in un documento che contiene
anche l'adesione del contribuente,con ciò intendendo che ,pur essendo lo stesso il risultato di un contraddittorio endo-procedimentale ,di un accordo tra fisco e
contribuente,l'accertamento con adesione rappresenta comunque una forma di esercizio del potere impositivo e quindi si sostanzia in un atto impositivo,al pari
dell'accertamento ordinario
Passando all'analisi dell'aspetto procedurale dell'accertamento con adesione,possiamo osservare che la procedura avviene in maniera differente a seconda:
1)che venga proposta dall'Ufficio: in questo caso,stando al combinato disposto degli artt. 4 e 5 del d.lgs. 218/1997,l'ufficio competente invia al contribuente un invito a
comparire ,ai fini dell'instaurazione di un contraddittorio endoprocedimentale. Lo svolgimento del contraddittorio deve essere documentato da un apposito verbale e tale
contraddittorio può concludersi ,alternativamente,con :
→ archiviazione per non luogo a procedere
→ atto di adesione,qualora il contribuente intenda definire la propria posizione
→ atto di accertamento ordinario,nel caso in cui il contribuente non accetti di aderire ,oppure nel caso in cui,pur avendo il contribuente accettato di aderire,non perfeziona
l'adesione
2)che venga richiesto dal contribuente,con istanza di accertamento con adesio ne: in questa seconda ipotesi,disciplinata dall'art. 6 del d.lgs 218/1997,il contribuente presenta
un'istanza,in carta semplice, che può essere consegnata direttamente o a mezzo di raccomandata ,con la quale chiede all'amministrazione finanziaria di formulare una
proposta di accertamento con adesione. È bene osservare che la presentazione di un'istanza di accertamento con adesione da parte del contribuente può aversi,a norma
dell'art. 6 del d.lgs. 218/1997,solo ed esclusivamente in due casi:
→ quando nei confronti del contribuente siano stati previamente effettuati accessi,ispezioni e verifiche ai sensi dell'art. 33 d.p.r. 600/1973 (quando l'ufficio
procedente abbia consegnato al contribuente copia del processo verbale di constatazione,per cui,nel qual caso,il contribuente avrà ,dal momento della consegna , 60 giorni di
tempo per presentare le proprie osservazioni e per presentare istanza di accertamento con adesione,in considerazione del fatto che,una volta trascorsi tali 60 giorni,l'Ufficio
procedente potrà provvedere a notificare al contribuente un avviso di accertamento ordinario)
→ quando il contribuente abbia ricevuto un avviso di accertamento,non preceduto da un invito a comparire ex art. 5 d.lgs. 218/1997
Tale istanza di accertamento con adesione deve essere presentata prima che siano decorsi i 60 giorni dalla notifica dell'atto di accertamento (riferimento al secondo
caso),decorsi i quali l'avviso di accertamento diventerebbe inoppugnabile. Per effetto della presentazione dell'istanza di accertamento con adesione,il termine per
l'impugnazione dell'avviso di accertamento,che è di 60 giorni dalla notifica dell'avviso medesimo,viene sospeso per 90 giorni. Parimenti vengono sospese per 90 giorni anche
le iscrizioni provvisorie a ruolo. Quindi sostanzialmente,dal momento che,ai fini dell'impugnazione dell'atto prima che lo stesso diventi inoppugnabile ,definitivo e si consolidi,sono previsti
60 giorni dalla notifica dell'atto,più ulteriori 90 giorni per l'accertamento con adesione e sostanzialmente il contribuente ,se presenta istanza di accertamento con adesione ,ha 150
giorni per impugnare l'atto. Questo evidentemente accade se l'istanza di accertamento con adesione non perviene ad esito positivo e non si firma quindi un accertamento
con adesione; se ,viceversa ,si firma un accertamento con adesione,il contribuente evidentemente non potrà impugnare l'accertamento con adesione.
L'ufficio,ricevuta l'istanza,deve formulare,entro i 15 giorni successivi,l'invito a comparire
In questa ipotesi,di presentazione da parte del contribuente di istanza di accertamento con adesione,la procedura si può concludere con:
→ annullamento dell'atto
→ atto di adesione,qualora il contribuente intenda definire la propria posizione
→ nel caso in cui il contribuente non accetti di aderire,egli potrà pagare le somme risultanti dal successivamente notificato avviso di accertamento,oppure impugnare tale
ultimo atto dinanzi alla commissione tributaria provinciale(nel momento in cui rinuncia espressamente di aderire,la sospensione dei termini di impugnazione si interrompe)
E' bene tuttavia osservare che le modalità di avvio del procedimento di accertamento con adesione sono sostanzialmente cambiate,dal primo Luglio 2020,dal momento che il DL. 34/2020 ha
apportato una modifica al d.lgs 218/1997,introducendo l'art. 5Ter. Ebbene ,a norma dell'art. 5Ter del d.lgs. 218/1997,è stato sancito l'obbligo,posto a carico dell'Amministrazione
finanziaria,di invitare al contraddittorio preventivo il contribuente prima dell'emissione di un avviso di accertamento. Da tale obbligatorietà dell'invito a comparire e dunque del
contraddittorio preventivo,ne discende che ,a decorrere dal 1 Luglio 2020, l'amministrazione finanziaria sarà tenuta,nella stragrande maggioranza dei casi,a presentare essa stessa al
contribuente,una volta svoltosi il contraddittorio endo-procedimentale, una proposta di accertamento con adesione,prima di notificare al contribuente un avviso di accertamento cd.
Ordinario. Dunque ,mentre prima la proposta di accertamento con adesione era sostanzialmente discrezionale per l'amministrazione finanziaria,ora è quasi dovuta. Vi sono però delle eccezioni
all'obbligatorietà dell'invio di un invito a comparire al contribuente e dunque all'obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale. Tali eccezioni sono costituite da:
→ avvisi di accertamento parziale ex art. 41bis d.p.r. 600/1973: l'amministrazione finanziaria può qui emettere direttamente un avviso di accertamento parziale al contribuente senza
prima invitarlo al contraddittorio
→ avvisi di rettifica parziale ,in materia di imposta sul valore aggiunto,ex art. 54,co. 3-4, d.p.r. 633/1972
→ in tutti i casi di particolare urgenza,specificatamente motivata,o nelle ipotesi di fondato pericolo per la riscossione
Rimane sostanzialmente l'ipotesi ,per il contribuente,di presentare istanza di accertamento dopo aver subito accessi,ispezioni e verifiche,ossia attività istruttoria ai sensi dell'art. 33 d.p.r.
600/1973, ferma restando anche la possibilità di presentare istanza di accertamento con adesione a seguito della notifica di un avviso di accertamento che non sia stata preceduta
dall'invito a comparire. Va tuttavia osservato che ,alla luce di quanto disposto dall'art.5ter del d.lgs.218/1997,qualora l'amministrazione finanziaria invii un avviso di accertamento al
contribuente prima di invitarlo al contraddittorio,tale avviso di accertamento sarebbe nullo,ma soltanto nel caso in cui il contribuente,nella successiva fase contenziosa,dimostri in
concreto le ragioni che avrebbe potuto produrre nel contraddittorio endoprocedimentale. Dunque,in questo caso,l'avviso di accertamento sarebbe nullo per invalidità derivata del procedimento.
Non essendoci ancora evidentemente riscontri giurisprudenziali ,non sappiamo quale sarà la portata di questa norma e quindi se il contribuente dovrà anche dimostrare la fondatezza delle proprie
ragioni,quindi che le ragioni che avrebbe potuto dedurre in sede pre-contenziosa avrebbero probabilmente indotto l'amministrazione a non notificare l'atto di accertamento.
Per quanto riguarda poi il contenuto dell'accertamento con adesione,possiamo dire che in esso sono indicati,al pari dell'accertamento ordinario:
→ gli elementi su cui la definizione si fonda,la liquidazione delle maggiori imposte,delle sanzioni e delle altre somme eventualmente dovute,anche in forma rateale
→ motivazione rafforzata: è stato espressamente previsto l'obbligo di motivazione rafforzata già nello stesso accertamento con adesione. Difatti,all'interno della parte motiva
dell'accertamento con adesione,l'amministrazione finanziaria ha l'obbligo di motivare non soltanto in relazione ai presupposti ordinari dell'avviso di accertamento,ma anche
riguardo i chiarimenti forniti e la documentazione presentata dal contribuente in sede di previo contraddittorio endoprocedimentale,argomentando sulle ragioni per cui
condivida o meno delle osservazioni presentate dal contribuente. Qualora l'accertamento di adesione non venga poi a perfezionarsi,anche il successivo avviso di accertamento
notificato al contribuente dovrà presentare una motivazione rafforzata,in cui l'amministrazione finanziaria indichi le ragioni per cui ha ritenuto di dover procedere comunque alla notifica di un
atto di accertamento ordinario e le ragioni per cui il procedimento di accertamento con adesione non risulta essere andato a buon fine.
Dal combinato disposto degli artt. 7,8 e 9 del d.lgs. 218/1997,nonchè da consolidato orientamento giurisprudenziale, emerge che,se il contribuente e l'amministrazione finanziaria si
accordano sui valori dell'accertamento con adesione, tale accertamento con adesione si perfeziona quando,consecutivamente:
1)è stata effettuata la redazione e la sottoscrizione,a cura delle parti,di un apposito atto contenente le motivazioni che hanno portato al concordato,la liquidazione delle
maggiori imposte,sanzioni ed altre somme dovute
2)avviene il pagamento,da parte del contribuente,delle somme liquidate con l'atto di adesione entro 20 giorni dalla redazione dello stesso,o ,in alternativa il pagamento della
prima rata(max 8 rate trimestrali se il debito d'imposta è inferiore a 50 000 euro,16 rate trimestrali se è maggiore di 50000 euro). Il contribuente,entro 10 giorni dall'effettuazione
del pagamento,dovrà esibire la quietanza del pagamento integrale,ovvero della prima rata, e ritirare copia dell'atto di accertamento con adesione
Non è dunque necessaria la notifica dell'accertamento con adesione,che nasce come atto già definitivo
E' bene osservare che l'accordo di accertamento con adesione non si perfeziona se non viene innanzitutto prestata la sottoscrizione dal contribuente o dall'amministrazione
finanziaria,sicchè l'amministrazione finanziaria potrà allora notificare al contribuente un avviso di accertamento ordinario(per gli avvisi di accertamenti ordinari notificati prima del 1 luglio
2020,si avrà l'interruzione della sospensione dei termini per l'impugnazione dell'atto di accertamento),che il contribuente potrà impugnare entro 60 giorni dalla ricevuta notifica.
Ugualmente ,qualora il contribuente abbia prestato adesione,ma non abbia provveduto a pagare la prima rata,o rate successive,o l'importo integralmente dovuto,egli non potrà più
impugnare l'atto,e le somme residue dovute a titolo di debito d'imposta verranno iscritte a ruolo,ivi comprese le sanzioni,considerate però in misura piena.
Per quanto riguarda,da ultimo, il profilo degli effetti prodotti dall'accertamento con adesione perfezionato,possiamo dire che gli stessi,secondo il combinato disposto degli artt. 2 e 5 del
d.lgs. 218/1997,sono i seguenti:
→ cristallizzazione della posizione di ciascuna parte: per l'amministrazione finanziaria,l'atto di accertamento con adesione è irrevocabile,con ciò intendendo che la stessa,una
volta firmatolo ,non potrà più revocarlo. Rimane comunque ferma la possibilità,per l'amministrazione finanziaria,di integrare l'atto di accertamento con adesione in 4 ipotesi
tassative:
1)se sopravviene la conoscenza di nuovi elementi,non conosciuti e non conoscibili al momento della sottoscrizione,che portino a desumere un maggior reddito
superiore al 50% del reddito definito e comunque non inferiore a 77,468,53 euro,l'amministrazione finanziaria potrà emettere un avviso di accertamento integrativo
2)quando l'accertamento con adesione abbia riguardato accertamenti parziali
3)se l'accertamento con adesione abbia definito redditi derivanti da partecipazioni in società di persone,oppure redditi derivanti da associazioni o da aziende
coniugali non esercitate in forma societaria
4)se la nuova azione accertatrice è esercitata nei confronti della società,dell'associazione o dell'azienda coniugale alle quali partecipa il contribuente che abbia
sottoscritto l'accertamento con adesione.
Per quanto riguarda invece la posizione del contribuente,possiamo dire che lo stesso,prestando adesione all'atto di accertamento con adesione,rinuncia ad impugnare
l'avviso di accertamento emanato in precedenza alla definizione del concordato.
→ l'avviso di accertamento precedentemente notificato al contribuente perde di efficacia: l'avviso di accertamento notificato precedentemente alla definizione dell'accertamento con
adesione viene assorbito in toto dall'atto di adesione al concordato
→ non rilevanza ai fini extra-tributari: L'accertamento con adesione,intanto,non rileva ai fini extra-tributari,salvo che per la determinazione dei contributi previdenziali ed
assistenziali che rinviano,per la loro determinazione,alle imposte sui redditi . In altre parole,la diversa base imponibile che sarà concordata tra contribuente e amministrazione
finanziaria all'esito del sub-procedimento dell'accertamento con adesione,rileverà soltanto ai fini delle imposte dirette,dell'iva o delle eventuali imposte indirette interessate,ma non rileverà
ai fini extra-tributari,salvo che ai fini della determinazione dei contributi previdenziali,ad esempio,quelli dovuti dagli avvocati,per la cui determinazione della base imponibile si osservano le
norme previste per le imposte sui redditi . Quindi una modifica dell'atto di accertamento,al cui esito si perverrà ad un accertamento con adesione,avrà effetti anche ai fini dei contributi
previdenziali ed assistenziali dovuti dal contribuente.
→ riduzione delle sanzioni amministrative ad 1/3 del minimo edittale: la riduzione delle sanzioni amministrative riguarda le imposte definite ed il relativo contenuto delle dichiarazioni
dei redditi per il periodo d'imposta oggetto di adesione.
→ non punibilità a livello penale: gli artt. 13 e 13bis del d.lgs. 74/2000,inerenti ai reati tributari,prevedono, rispettivamente, una causa di esclusione della punibilità per reati di
omesso versamento delle ritenute,iva ed indebita compensazione da un lato,ed una circostanza attenuante in caso di avvenuto accertamento con adesione. In particolare l'art.
13 prevede l'ipotesi che in caso di mancato versamento di quanto dovuto anche a seguito della procedura di accertamento con adesione,il contribuente non potrà essere punibile per taluni
reati,come omesso versamento di ritenute e di iva e per indebita compensazione. Quindi opera per questi 3 reati l'avvenuto accertamento con adesione come causa di esclusione della
pena. Quindi un effetto premiale particolarmente importante,non soltanto la riduzione ad un terzo delle sanzioni,dal 90% al 30% ,ma l'avvenuto perfezionamento dell'accertamento con
adesione opera come causa di esclusione della punibilità per alcuni reati penali. Al di fuori dell'ipotesi dell'articolo 13,il mancato versamento delle somme dovute,anche a seguito di
accertamento con adesione,opera come circostanza attenuante per una serie di altri reati tributari,con una riduzione delle sanzioni fino alla metà ed esclusione delle misure accessorie
previste ex art. 12 d.lgs. 74/2000. Quindi ancora un effetto premiale particolarmente importante,per cui se il contribuente versa quanto dovuto all'amministrazione finanziaria a seguito della
definizione in adesione,questo versamento opererà come circostanza attenuante e comporterà la riduzione delle sanzioni fino alla metà e l'esclusione delle pervasive misure accessorie
previste dall'art. 12 d.lgs. 74/2000.

SCHEMA RIEPILOGATIVO DELL'ACCERTAMENTO CON ADESIONE PRIMA E DOPO LA RIFORMA(IVI RICOMPRESO ITER ACCERTAMENTO
ORDINARIO POST RIFORMA)
PERFEZIONATA: ufficio non puo'
piu' notificare accertamento
ordinario relativo agli stessi
PRIMA DELLA NOTIFICA DI UN PROPOSTA DI redditi di quel periodo
INVITO AL
PRIMA DELLA RIFORMA AVVISO DI ACCERTAMENTO ACCERTAMENTO CON d'imposta,soltanto accertamento
CONTRADDITTORIO
(< 1 LUGLIO 2020) ORDINARIO ADESIONE integrativo ed altri casi minori
ENDOPROCEDIMENTALE
(se il contribuente si
NON PERFEZIONATA:
presenta;altrimenti andare
successiva emissione di
direttamente a adesione non
accertamento ordinario con
AD INIZIATIVA DELL'UFFICIO perfezionata)
motivazione rafforzata e
preclusione per il contribuente
DOPO NOTIFICA DI UN AVVISO di presentare poi istanza di
NON SI HA,NON è accertamento con adesione
DI ACCERTAMENTO
CONVENIENTE PER
ORDINARIO
L'AMMINISTRAZIONE

ADESIONE PERFEZIONATA : ufficio non puo' piu'


notificare accertamento ordinario relativo agli stessi
redditi di quel periodo d'imposta,soltanto accertamento
PRIMA DELLA RIFORMA A SEGUITO DI ISTRUTTORIA ISTANZA DI INVITO AL integrativo ed altri casi minori
(< 1 LUGLIO 2020) (ACCESSI,VERIFICHE) MA PRIMA ACCERTAMENTO CON CONTRADDITTORIO
DELLA NOTIFICA DI UN AVVISO DI ADESIONE DA PARTE DEL ENDOPROCEDIMENTALE ADESIONE NON PERFEZIONATA: successiva
ACCERTAMENTO ORDINARIO BASATO CONTRIBUENTE emissione di accertamento ordinario con motivazione
SU PVC(ENTRO 60 GIORNI DA QUESTO rafforzata e preclusione per il contribuente di
AD INIZIATIVA DEL presentare poi istanza di accertamento con adesione
CONTRIBUENTE
ADESIONE PERFEZIONATA(con motivazione
DOPO LA NOTIFICA DI UN AVVISO DI ISTANZA DI
rafforzata) : ufficio non puo' piu' notificare accertamento
ACCERTAMENTO ORDINARIO,senza ACCERTAMENTO CON INVITO AL ordinario relativo agli stessi redditi di quel periodo
che vi sia stato un previo invito a ADESIONE DA PARTE DEL CONTRADDITTORIO d'imposta,soltanto accertamento integrativo ed altri casi
comparire (altrimenti adesione preclusa) CONTRIBUENTE ENDOPROCEDIMENTALE minori; contribuente non può più impugnare avviso di
accertamento precedente
Sospensione dei termini per
ADESIONE NON PERFEZIONATA: rimane in essere
impugnare avviso di
l'avviso di accertamento ordinario precedentemente
accertamento (60 giorni) Per 90
notificato al contribuente; interruzione della
giorni (60+90)
sospensione dei termini di impugnazione

ADESIONE PERFEZIONATA(con motivazione rafforzata sulla base dei chiarimenti


DOPO LA RIFORMA (> 1 del contribuente,condivisi o meno) : ufficio non puo' piu' notificare accertamento
LUGLIO 2020) ordinario relativo agli stessi redditi di quel periodo d'imposta,soltanto accertamento
integrativo ed altri casi minori; il contribuente non può impugnare l'atto di
INVITO AL PROPOSTA DI accertamento con adesione
AD INIZIATIVA DELL'UFFICIO CONTRADDITTORIO ACCERTAMENTO CON
ENDOPROCEDIMENTALE ADESIONE ADESIONE NON PERFEZIONATA: successiva NOTIFICA DI UN AVVISO DI
ED IL CONTRIBUENTE SI emissione di accertamento ordinario con motivazione ACCERTAMENTO ORDINARIO(CON
PRESENTA rafforzata(basata su ragioni della mancata adesione) MOTIVAZIONE RAFFORZATA)
(se non si presenta andare a e preclusione per il contribuente di presentare poi
notifica di un avviso di istanza di accertamento con adesione
ENTRO 60 GIORNI IL CONTRIBUENTE O
accertamento ordinario) TIENE UN COMPORTAMENTO
OMISSIVO,OPPURE PUO'

OBBLIGATORIO PRIMA DELLA NOTIFICA DI PRESTARE PRESENTARE


QUALSIVOGLIA ACCERTAMENTO ORDINARIO(ANCHE ACQUIESCENZA E ISTANZA DI
DOPO PVC) VERSARE IMPUGNARE AUTOTUTELA se ritiene
SE NOTIFICATO SENZA PREVIO INVITO A COMPARIRE QUANTO DOVUTO L'AVVISO DI che l'atto sia illegittimo e
è NULLO (NULLITA' IN SENSO DEBOLE) ACCERTAMENT voglia evitare il
O ORDINARIO contenzioso
ITER DI OGNI AVVISO DI ACCERTAMENTO
ORDINARIO POST RIFORMA
ADESIONE PERFEZIONATA(con motivazione rafforzata sulla
base dei chiarimenti del contribuente,condivisi o meno,più in
relazione a PVC) : ufficio non puo' piu' notificare accertamento
A SEGUITO DI ISTRUTTORIA PRESENTAZIONE DI CONTRADDITTORIO ordinario relativo agli stessi redditi di quel periodo
(ACCESSI,VERIFICHE) ,precedendo ISTANZA DI ENDOPROCEDIMENT d'imposta,soltanto accertamento integrativo ed altri casi minori; il
DOPO LA RIFORMA (> 1 l'ufficio nell'invito a comparire(che non è ACCERTAMENTO CON ALE contribuente non può impugnare l'atto di accertamento con
LUGLIO 2020) obbligatorio nei casi di pericolo per la ADESIONE adesione
riscossione) ADESIONE NON PERFEZIONATA: successiva emissione di
accertamento ordinario con motivazione rafforzata(basata su
AD INIZIATIVA DEL ragioni della mancata adesione ed in relazione al PVC) e
CONTRIBUENTE preclusione per il contribuente di presentare poi istanza di
accertamento con adesione

A SEGUITO DELLA NOTIFICA DI ATTO DI PRESENTAZIONE DI ISTANZA DI NOTIFICA DI UN AVVISO DI


ACCERTAMENTO PARZIALE ,O A ACCERTAMENTO CON ACCERTAMENTO ORDINARIO(CON
SEGUITO DI ACCERTAMENTO ORDINARIO ADESIONE(sospesi termini per MOTIVAZIONE RAFFORZATA basata su
SENZA OBBLIGO DI PREVIO impugnare di 90 giorni) mancata adesione e in relazione al PVC)
CONTRADDITTORIO PER PERICOLI ALLA
RISCOSSIONE
CONTRADDITTORIO
ENDOPROCEDIMENTALE

ADESIONE PERFEZIONATA(con motivazione rafforzata sul primo ADESIONE NON PERFEZIONATA: rimane in essere l'avviso di
accertamento e sulle osservazioni presentate dal contribuente,ivi comprese le accertamento parziale,oppure ordinario senza obbligo di previo
ragioni condivise e quelle non condivise) : ufficio non puo' piu' notificare contraddittorio per pericolo alla riscossione, precedentemente
accertamento ordinario relativo agli stessi redditi,o componenti di reddito, notificato al contribuente; interruzione della sospensione dei termini
accertati di quel periodo d'imposta,soltanto accertamento integrativo ed altri di impugnazione; preclusa la possibilità di presentare poi altra
casi minori; contribuente non può più impugnare avviso di accertamento istanza di accertamento con adesione
precedente

PARTE 7- L'ATTIVITA' DI RISCOSSIONE


CAPITOLO 1 – GENERALITA' E MODALITA' DI RISCOSSIONE
1.1- GENERALITA' DELL'ATTIVITA' DI RISCOSSIONE
-RISCOSSIONE:
La riscossione,o attività di riscossione,costituisce quell'attività avente ad oggetto il complesso delle norme che disciplinano i soggetti,il modo ed i tempi con cui si pagano e con cui
vengono incassati i tributi. La riscossione rileva dunque anch'essa quale fase di attuazione del tributo.
Come abbiamo detto più volte,il nostro sistema tributario è fondato sul principio della capacità contributiva,sul principio di legalità e sulla vincolatezza dell'azione amministrativa. Anche la fase
della riscossione è soggetta a tali principi e difatti la stessa si configura come una fase tipizzata,interamente disciplinata dalla legge,la quale dispone che si possano utilizzare
esclusivamente forme di riscossione tassativamente previste,lasciando all'amministrazione finanziaria,vincolata nel suo agire,un piccolo spazio di discrezionalità soltanto per quanto
concerne la rateazione. Dal punto di vista normativo,il testo fondamentale di riferimento è qui il d.p.r. 602/1973,che inizialmente disciplinava soltanto la riscossione delle imposte sui redditi,ma
che,nel tempo,si è esteso a ricomprendere la riscossione dell'IVA e di altre imposte indirette.
Sotto il profilo delle caratteristiche e delle funzioni ,possiamo dunque dire che la fase della riscossione:
→ è successiva alla fase dell'accertamento,che ,ricordiamo, serve a stabilire quale sia l'ammontare del presupposto
→ ha la funzione di concretizzare la pretesa erariale,cioè di quantificare,in termini di imposta,i presupposti già determinati,portando all'adempimento dell'obbligazione
tributaria secondo le forme tassativamente previste dalla legge
→ si è evoluta,richiedendo sempre una maggior collaborazione del contribuente: un tempo il contribuente aveva soltanto l'obbligo di presentare la dichiarazione,mentre attualmente il
contribuente è altresì obbligato a determinare l'esatto importo del tributo da lui dovuto ed a versare di propria iniziativa le somme dovute,nei tempi e nei modi stabiliti dalla legge.
Possiamo dunque dire che la fase della riscossione può essere suddivisa ,a sua volta, in 3 fasi,o in 3 tipologie:
1) riscossione spontanea: si ha riscossione spontanea,anche detta autotassazione o autoliquidazione, nel momento in cui il contribuente,una volta presentata la
dichiarazione,provvede spontaneamente all'adempimento dell'obbligazione tributaria. Tale autotassazione è in linea con la compliance che è stata realizzata tra il contribuente e
l'amministrazione finanziaria. È bene in merito osservare che talvolta vi è un'anticipazione della riscossione rispetto al verificarsi del presupposto,per cui il contribuente è
chiamato a versare delle imposte in relazione alle quali non abbia ancora realizzato definitivamente il presupposto( è il caso ,ad esempio, del professionista,che è tenuto ad
anticipare l'imposta sui redditi dovuta per un determinato periodo d'imposta sebbene tale periodo d'imposta non si sia ancora concluso,sulla base,solitamente,delle dichiarazioni dei redditi
e delle conseguenti imposte versate nei periodi d'imposta precedenti). Tale anticipazione della riscossione corrisponde all'esigenza di allineare il momento in cui si verifica il
presupposto al momento in cui viene a realizzarsi effettivamente il prelievo.
Nel caso dunque di auto-tassazione,si ha dunque una riscossione cd. Spontanea o fisiologica,la quale consta dei pagamenti che i contribuenti sono tenuti ad eseguire di
propria iniziativa,in adempimento di obblighi stabiliti ex lege (come avremo modo di vedere,rientrano in questa tipologie di riscossione i versamenti diretti)
2) riscossione in base ad atti emessi dall'Amministrazione finanziaria: qualora il contribuente non abbia provveduto spontaneamente a versare quanto dovuto
all'amministrazione finanziaria,oppure qualora abbia dichiarato di aver realizzato un presupposto in misura diversa da quanto poi accertato in rettifica dall'amministrazione
finanziaria,l'amministrazione finanziaria,una volta controllati gli adempimenti dei contribuenti,provvederà a formare atti diretti a provocare il pagamento dei tributi dovuti
3) riscossione coattiva: si ha riscossione coattiva dei debiti del contribuente quando il contribuente,che non abbia provveduto all'autotassazione,o che non vi abbia
provveduto in maniera corretta,non abbia versato quanto dovuto all'amministrazione finanziaria nemmeno dopo aver ricevuto degli atti della riscossione,quali accertamento
esecutivo,o cartella di pagamento. È bene osservare che la riscossione coattiva può aversi soltanto nel momento in cui ,una volta affidato il carico all'agente della riscossione
(affidamento del carico che si ha dopo 30 giorni dalla scadenza dei termini per impugnare un atto di accertamento esecutivo,oppure dopo 60 giorni dalla notifica della cartella
di pagamento),siano trascorsi almeno 180 giorni,ossia un periodo-cuscinetto necessario per consentire al contribuente,in ultima istanza ,di adempiere ,non subendo quindi
l'esecuzione forzata (periodo cuscinetto che non si ha in caso di pericolo per la riscossione).
-SOGGETTO ATTIVO DELLA RISCOSSIONE:
E' bene osservare che il soggetto che pone in essere l'attività di riscossione è un soggetto diverso dall'Agenzia fiscale che provvede all'attività di accertamento,la quale,come ben
sappiamo,è espletata prevalentemente dall'Agenzia delle Entrate,talvolta coadiuvata dalla Guardia di Finanza.
Ebbene,vi è stato un iter evolutivo con riguardo al soggetto attivo incaricato della riscossione dei tributi,che è cambiato nel corso del tempo. In particolare:
→ fino al 2006,la riscossione era affidata in concessione dallo Stato a soggetti privati,in genere società controllate da istituti bancari,chiamati concessionari della riscossione,i
quali anticipavano all'erario l'ammontare dei crediti non oggetto di versamento volontario dei contribuenti e di cui avrebbero curato la riscossione,salva la restituzione delle somme non
incassate dai contribuenti. Il sistema era inefficiente,dal momento che veniva incassata soltanto una modesta percentuale dei crediti.
→ a partire dal 1 ottobre 2006,la riscossione venne ricondotta nella sfera dell'amministrazione finanziaria e le funzioni della riscossione furono affidate ad una società a totale
capitale pubblico,ossia Equitalia s.p.a.,compartecipata al 51% dall'Agenzia delle Entrate ed al 49% dall'INPS,ossia dai due soggetti che usufruivano maggiormente dell'attività di
riscossione.
Tale riunificazione dell'attività di riscossione in un unico soggetto aveva innanzitutto lo scopo di assicurare uno stretto collegamento tra il soggetto creditore ed il soggetto chiamato a
riscuotere il credito,in ragione di una medesima cultura giuridica pubblicistica; in secondo luogo tale riunificazione era altresì finalizzata ad uniformare la prassi della riscossione,prima
parzialmente divergente in ragione delle 42 società concessionarie private operanti sul territorio nazionale. Oltre a ciò,si aggiunga l'esigenza di velocizzare l'attività di riscossione dei tributi
ed altresì di ridurre i costi che gli esattori,disseminati sull'intero territorio nazionale,comportavano.
→ Con il d.lgs. 193/2016, è stato disposto che Equitalia venisse soppressa a partire 1 Luglio del 2017 ,attribuendo dunque la funzione della riscossione all'Agenzia delle
Entrate,che la esercita attraverso un ente pubblico strumentale,denominato Agenzia delle Entrate-Riscossione. L'agenzia delle Entrate-Riscossione esercita la sua attività sotto la
direzione e la vigilanza del MEF,nonchè sotto il monitoraggio da parte dell'Agenzia delle Entrate medesima.
Questa riunificazione in un unico soggetto,ossia nell'Agenzia delle Entrate,che a sua volta controlla l'attività dell'Agenzia delle entrate-riscossione , è conforme ad una quasi
coeva,precedente, trasformazione dell'atto di accertamento,che ,limitatamente ad alcuni casi,riunisce ora,in un unico atto,sia la funzione accertativa che quella di
riscossione ,secondo quanto disposto dall'art. 29 d.l. 78/2010 ( non è più necessario,come invece era nel passato,la notifica della cartella di pagamento;ora è lo stesso atto di
accertamento,una volta notificato,che diventa titolo per la riscossione dei tributi).
In sintesi,la catena di comando è rappresentata da MEF,Agenzia delle entrate e Agenzia delle entrate -riscossione,che è costituita da un ente pubblico economico strumentale.
Le funzioni dell'agente della riscossione possono essere così sintetizzate:
a)incassare le somme pagate mediante versamento diretto e le somme iscritte a ruolo
b)gestire il conto fiscale
c)promuovere l'esecuzione forzata
d)eseguire i rimborsi

SCHEMA SULLE FASI DELLA RISCOSSIONE


RITENUTA
DIRETTA
RISCOSSIONE REALIZZAZIONE PRESENTAZION ADEMPIMENTO
SPONTANEA DEL E DELLA DELL'OBBLIGAZIONE
PRESUPPOSTO DICHIARAZIONE TRIBUTARIA ATTRAVERSO:
VERSAMENTI
DIRETTI

ANTICIPAZIONE
DEL PRELIEVO
SE IL CONTRIBUENTE NON VERSA
SPONTANEAMENTE ,O SE VERSA UN IMPORTO
INESATTO,

ATTO DI ACCERTAMENTO
ESECUTIVO SE IL CONTRIBUENTE NON
RISCOSSIONE MEDIANTE ATTI PROVVEDE A VERSARE RISCOSSIONE mediante
ESECUZIONE
DELL'AMMINISTRAZIONE L'IMPOSTA COATTIVA FORZATA
FINANZIARIA DOVUTA,COMPRENSIVA DI
ISCRIZIONE A RUOLO E SANZIONI,INTERESSI ED
CARTELLA DI AGGIO
PAGAMENTO

1.2- LE FATTISPECIE DELLA RISCOSSIONE


-FATTISPECIE DELLA RISCOSSIONE:
Con fattispecie della riscossione si intende far riferimento alle fattispecie che legittimano il prelievo. In tale categoria vi rientrano:
→ gli acconti d'imposta
→ le ritenute alla fonte
→ la dichiarazione tributaria
→ l'accertamento
→ le decisioni giurisdizionali (sentenze)
-ACCONTI D'IMPOSTA:
L'acconto d'imposta è un versamento d'imposta dovuto da alcune categorie di contribuenti anteriormente alla scadenza del periodo d'imposta cui il tributo si riferisce.
L'acconto è uguale ad una data percentuale dell'ammontare dell'imposta versata per l'anno precedente.
Il suo pagamento si inquadra nel sistema di autotassazione previsto per le imposte dirette sul reddito
-RITENUTE ALLA FONTE:
La ritenuta alla fonte, disciplinata dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi , è un particolare meccanismo attraverso il quale il sostituto
d’imposta trattiene un ammontare che avrebbe dovuto corrispondere al sostituito e versa tale ammontare direttamente all’erario a titolo di
pagamento delle di imposte, per conto di quest’ultimo. L’obbligazione tributaria che generalmente è posta a carico di chi realizza il presupposto
d’imposta, in questo caso ,viene imputata ad un soggetto terzo che non realizza alcun presupposto, ossia il sostituto. (vedere sostituzione
tributaria).
-DICHIARAZIONE:
Nelle imposte sui redditi: la redazione della dichiarazione comporta l’obbligo di auto liquidare l’imposta e di versarla prima della presentazione della dichiarazione stessa.
Nell’imposta sul valore aggiunto: la redazione della dichiarazione annuale comporta l’autoliquidazione dell’imposta e il suo versamento una volta detratti i versamenti mensili o trimestrali
già effettuati.
Nell’imposta di registro la presentazione dell’atto per la registrazione fa sorgere l’obbligazione per l’imposta principale.
-ACCERTAMENTO (vedi AVVISO DI ACCERTAMENTO):
L'atto di accertamento determina la nascita dell'obbligo di pagare l'imposta corrispondente al maggior imponibile accertato
-DECISIONI GIURISDIZIONALI:
Nell’ipotesi in cui l’avviso di accertamento ,o un altro atto,venga impugnato dinanzi alle commissioni tributarie ,la riscossione si frammenta in obbligazioni di importi via via maggiori,
man mano che aumenta il grado di giudizio.
Il versamento graduale degli importi,che dipende sia dall'esito della controversia,sia dal grado dell'organo giudicante,di basa sul principio della provvisoria esecutività della sentenza.
Il tributo deve essere pagato:
→ Per i due terzi dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale con la quale è stato respinto il ricorso, con i relativi interessi.
→ Per l’ammontare risultante dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, e comunque non oltre i due terzi, se la stessa accoglie parzialmente il ricorso.
→ Per il residuo ammontare determinato con sentenza della commissione regionale.
→ Per l'ammontare dovuto nella pendenza del giudizio di primo grado dopo la sentenza della Corte di Cassazione di annullamento con rinvio, e per l'intero importo indicato
nell'atto in caso di mancata riassunzione;
Gli importi anzidetti vanno ,in ogni caso, diminuiti di quanto già corrisposto .
Nel caso di accoglimento del ricorso, il tributo corrisposto in eccede nza rispetto a quanto stabilito, con i relativi interessi, deve essere rimborsato nel termine di 90 giorni dalla notifica
della sentenza.

1.3- LE MODALITA' DELLA RISCOSSIONE


-MODALITA' DELLA RISCOSSIONE:
Con modalità di riscossione si intende far riferimento,per l'appunto,alle modalità con cui l'obbligazione tributaria viene adempiuta e,di conseguenza,alle modalità attraverso le
quali il contribuente effettua il versamento di quanto dovuto al fisco. Per essere ancora più precisi,potremmo definire quali modalità della riscossione gli atti attraverso cui viene
effettuato il prelievo.
Abbiamo già sottolineato che nell'ambito della fase di riscossione possiamo riscontrare 3 sub-fasi,quali la riscossione spontanea,la riscossione per atti dell'amministrazione
finanziaria e ,in ultima istanza,la riscossione coattiva. È bene sottolineare che la prima fase che incontriamo,ossia la riscossione volontaria,è una fase necessaria,in quanto è
posto al capo del contribuente l'obbligo di versare le imposte dovute,nel loro corretto ammontare,sia al momento della presentazione della dichiarazione,se non,talvolta,prima ancora di
aver realizzato il presupposto dell'imposta (si parla,in tal caso,di riscossione anticipata). La seconda fase,ossia la fase della riscossione mediante atti dell'amministrazione
finanziaria,è consequenziale alla riscossione volontaria o spontanea,ma non costituisce una fase necessitata,avendosi infatti soltanto nei casi in cui il contribuente abbia omesso di
versare il tributo (prescindendo dalla presentazione della dichiarazione o meno)e nei casi in cui abbia versato il tributo nell'ammontare indicato da una dichiarazione infedele,sottoposta
quindi a controlli automatici,formali o sostanziali. In tali casi,l'amministrazione finanziaria promuove un'attività accertativa nei confronti del contribuente,secondo le modalità indicate nella
trattazione relativa, e provvede ad emettere atti con cui intima il contribuente a versare la maggior imposta ricalcolata. Per quanto riguarda la terza fase,ossia la fase della riscossione
coattiva,possiamo dire che la stessa ,seppur consequenziale alla fase di riscossione mediante atti dell'amministrazione finanziaria, non è ugualmente necessitata,dal momento
che si ha soltanto nei casi in cui il contribuente,pur essendogli stati notificati atti in cui gli veniva intimato di adempiere,non abbia adempiuto e nei casi in cui ,dopo aver impugnato un atto
dell'amministrazione finanziaria, sia intervenuto un giudicato a suo sfavore.
L'adempimento dell'obbligazione tributaria avviene in forme tipiche,rigidamente disciplinate,per cui l'ente impositore non può riscuotere se non nei modi previsti dalla legge
ed il contribuente non può liberarsi in forme diverse da quelle stabilite dalla legge.
Andiamo ora ad analizzare nel dettaglio le modalità con cui si realizza la riscossione di un tributo,tenendo conto della ripartizione appena esposta:
a)riscossione spontanea: la riscossione spontanea si realizza mediante gli strumenti delle ritenute dirette e dei versamenti diretti,ivi ricomprendendovi anche il
meccanismo della compensazione
b)riscossione mediante atti della pubblica amministrazione: la riscossione mediante atti della pubblica amministrazione si realizza mediante la notificazione di un atto
di accertamento esecutivo,oppure,in altri casi e sempre a seguito di controlli svolti dall'amministrazione finanziaria,mediante iscrizione a ruolo e successiva
notifica della cartella di pagamento
c)riscossione coattiva: la riscossione coattiva si realizza mediante esecuzione forzata sui beni del contribuente debitore

CAPITOLO 2 – RISCOSSIONE SPONTANEA: LE RITENUTE DIRETTE ED I VERSAMENTI DIRETTI


-AUTOLIQUIDAZIONE:
Fondamentalmente,in relazione alle imposte dirette (imposte sui redditi),in relazione all'IVA ed in relazione all'IRAP,vige la regola dell'autoliquidazione del tributo,la quale si sostanzia
nell'obbligo,posto a carico dei contribuenti,di quantificare la base imponibile,di applicare l'aliquota e di versare spontaneamente il quantum dovuto.
È bene osservare che l'attività di autoliquidazione,che si viene a concludere con i versamenti diretti,riveste un carattere di provvisorietà,dal momento che la stessa può essere oggetto di
rettifica a seguito del controllo operato dall'amministrazione finanziaria. L'intervento dell'amministrazione finanziaria si ha non soltanto nel caso in cui vengano richieste maggiori imposte
rispetto a quelle autoliquidate,ma anche nel caso di mera omissione del versamento. L'omesso o insufficiente versamento diretto viene contestato dall'amministrazione finanziaria tramite
una procedura di controllo della dichiarazione .
Nell’ambito dell’imposta di registro, salvo l’ipotesi della tassazione dei contratti di locazione di immobili, non vige il principio dell’autoliquidazione. L’Ufficio, infatti, provvede a quantificare
l’imposta dovuta sull’atto che si sottopone alla registrazione, senza tuttavia formalizzare tale attività in un atto da notificare al contribuente. Il contribuente deve versare l’imposta liquidata dall’Ufficio
prima della registrazione dell’atto. Pertanto, l’omesso versamento dell’imposta di registro può configurarsi solo qualora il contribuente non provveda alla registrazione dell’atto; circostanza da cui
scaturisce la registrazione d’ufficio, che è preceduta dalla notifica di un avviso di liquidazione, contenente l’invito ad effettuare entro sessanta giorni il versamento dell’imposta, degli interessi e delle
sanzioni.

-RITENUTA DIRETTA:
La ritenuta diretta è quella ritenuta operata direttamente dalla Pubblica Amministrazione,che assume verso i propri dipendenti il duplice ruolo di datore di lavoro che eroga la
retribuzione e di creditore per le imposte che ne derivano.
Fondamentalmente , si tratta di ritenute simili a quelle cui sono tenuti i sostituti d'imposta,con l'unica differenza che ,in questo caso,le ritenute sono fatte dallo stesso soggetto
che si rivela essere creditore,dal momento che si considerano tutte le amministrazioni pubbliche come articolazioni di un medesimo soggetto,ossia lo Stato. Proprio in ragione
di quanto esposto,ossia della coincidenza tra soggetto erogatore di una prestazione pecuniaria e soggetto destinatario del tributo, tali ritenute vengono definite dirette (mentre
nel caso delle ritenute operate al sostituto d'imposta,vediamo che le somme trattenute dal sostituto debbono essere poi versate all'erario,trattandosi dunque di soggetti
differenti).
La ritenuta diretta viene disciplinata dall'art.37 del d.p.r. 602/1973 e si applica soltanto in ipotesi tassativamente disciplinate dalla legge ed in relazione alle sole imposte sui
redditi. Essa si applica dunque:
→ ai redditi di lavoro dipendente ed ai redditi a questi assimilati
→ ai redditi di lavoro autonomo
→ ad alcune provvigioni
→ ai redditi di capitale
→ ai contributi
→ ai premi ed alle vincite
Occorre osservare che le ritenute dirette,al pari delle ritenute alla fonte operate dal sostituto d'imposta,sono eseguite,a seconda dei casi,a titolo di acconto o a titolo di imposta.
Da ultimo,va detto che una volta che le amministrazioni statali abbiano operato la ritenuta diretta,esse dovranno trasferirne l'importo alla Tesoreria dello Stato,secondo le
norme della contabilità pubblica.

2.1- LA RISCOSSIONE (SPONTANEA ) ANTICIPATA: I VERSAMENTI DIRETTI


-VERSAMENTI DIRETTI:
Con versamento diretto si fa riferimento al pagamento di somme effettuato dal contribuente in esecuzione di un obbligo stabilito dalla legge ed in base ad autonoma liquidazione della
somma da versare(cd. Autoliquidazione o auto-tassazione).
Dunque i versamenti diretti si sostanziano nel pagamento di somme,a titolo di imposta sui redditi,di IVA o di IRAP, fatte dal contribuente in ragione dell'obbligo di autoliquidazione posto a
suo carico. I versamenti diretti,in relazione ai tributi più complessi,implicano la previa presentazione della dichiarazione tributaria.
Da quanto sopra detto emerge che i versamenti diretti costituiscono il momento finale dell'autoliquidazione del tributo.
Possiamo classificare i versamenti diretti in due grandi gruppi,a fini descrittivi,ossia:
→ versamenti effettuati dal soggetto passivo dell'obbligazione tributaria: rientrano in questa categoria i versamenti relativi a:
1)imposta IRES(sui redditi delle società) in acconto ed a saldo: le imposte irpef,ires ed irap ,a norma dell'art. 17 del d.p.r. 435/2001,devono essere versate in due rate. La
prima rata è pari al 40% dell'acconto e deve essere versata nel termine previsto per il saldo dovuto in base alla dichiarazione relativa all'anno di imposta precedente,mentre la
seconda rata deve essere versata nel mese di novembre
2)imposta IRPEF(sui redditi delle persone fisiche) in acconto e a saldo:le imposte irpef,ires ed irap ,a norma dell'art. 17 del d.p.r. 435/2001,devono essere versate in due
rate. La prima rata è pari al 40% dell'acconto e deve essere versata nel termine previsto per il saldo dovuto in base alla dichiarazione relativa all'anno di imposta
precedente,mentre la seconda rata deve essere versata nel mese di novembre
3)IVA,liquidata mensilmente,trimestralmente o annualmente ed anche dovuta a titolo di acconto: l'iva deve essere versata entro il giorno 16 di ogni mese,sulla base
delle liquidazioni mensili,oppure,trascorso un trimestre,entro il giorno 16 del mese successivo
4)imposta IRAP(imposta regionale sulle attività produttive) in acconto e a saldo:le imposte irpef,ires ed irap ,a norma dell'art. 17 del d.p.r. 435/2001,devono essere
versate in due rate. La prima rata è pari al 40% dell'acconto e deve essere versata nel termine previsto per il saldo dovuto in base alla dichiarazione relativa all'anno di
imposta precedente,mentre la seconda rata deve essere versata nel mese di novembre
5)imposta municipale sugli immobili (IMU)
→ versamenti effettuati dai sostituti d'imposta: rientrano in tale categoria di versamenti diretti:
1)le ritenute alla fonte operate dal sostituto d'imposta: i sostituti d'imposta devono versare entro il giorno 16 di ogni mese le ritenute operate nei mesi precedenti
2)le imposte sostitutive delle imposte sui redditi
Con riguardo al meccanismo con cui operano tali versamenti diretti,va detto ,in prima istanza,che essi realizzano una riscossione anticipata,dal momento che,pur nella circostanza che il
presupposto dei maggiori tributi evidenziati (quali IRPEF,IRES,IVA,IRAP),i quali costituiscono tributi periodici, viene a perfezionarsi al momento della conclusione del periodo d'imposta,la
loro riscossione avviene già nel corso del periodo d'imposta,quindi in via anticipata,essendovi l'obbligo,posto a carico dei contribuenti, di versare tali imposte in parte in acconto ed in
parte in saldo. Da ciò ne discendono le seguenti conseguenze:
→ la riscossione anticipata si ha mediante versamenti,o anche ritenute(operate dal sostituto d'imposta), a titolo di acconto
→ la riscossione anticipata precede sia la realizzazione del presupposto,sia la presentazione della dichiarazione, avvicinando quindi,fin quasi a renderli coevi,i fatti imponibili
ed il pagamento del tributo
→ la riscossione anticipata trova la sua giustificazione nella presunzione che il reddito si riproduce di anno in anno,almeno nella medesima misura
→ La previsione della riscossione anticipata mediante acconti, pur rappresentando una forma di tassazione anticipata rispetto alla compiuta manifestazione del presupposto
del tributo, non è lesiva dell’art. 53 Cost. per un duplice ordine di ragioni: per lo stretto collegamento che vi è tra il pagamento provvisorio e la realizzazione del presupposto
del tributo; per l’immediata possibilità di utilizzare eventuali crediti di imposta attraverso l’istituto della compensazione.
→ i singoli obblighi di versamento anticipato consentono sì al fisco di riscuotere,ma non di trattenere le somme percepite,che dovranno essere ricalcolate alla fine del periodo
d'imposta,con la presentazione della dichiarazione annuale,con cui si avrà il versamento a saldo delle imposte dovute,oppure un rimborso qualora le imposte già versate a
titolo di acconto eccedano quanto effettivamente risulti dalla dichiarazione medesima.
Quanto alle modalità con cui vengono effettuati i versamenti diretti,possiamo dire che gli stessi sono effettuati o direttamente presso gli uffici dell'agente della riscossione,o mediante
delega irreversibile ad una banca,oppure alle poste. I soggetti titolari di partita Iva devono effettuare i versamenti diretti delle imposte esclusivamente con modalità telematiche, cioè
utilizzando i sistemi di home banking, ovvero attraverso i “canali” Entratel o Fisconline(ovviamente assistiti da un professionista). A decorrere dal 1° ottobre 2014, tale obbligo di versamento
diretto in modalità telematica è esteso a tutti i contribuenti, qualora l’ammontare dei tributi da versare sia superiore a mille euro.
È bene osservare che i versamenti diretti,secondo quanto disposto dal d.lgs. 241/1997,vengono effettuati mediante il modulo F24,che consente ai contribuenti di versare cumulativamente
sia le imposte dirette(IRPEF E IRES),sia le ritenute,sia le altre imposte (iva,irap,etc.),sia i contributi previdenziali ed assistenziali,nonchè i tributi dovuti agli enti locali ed i tributi dovuti ad
altri enti (ad esempio,le camere di commercio).
L’omesso versamento diretto dei tributi, oltre la corresponsione degli interessi, determina conseguenze sanzionatorie di tipo amministrativo e, in casi particolarmente gravi, anche penali.
La sanzione amministrativa per omesso versamento dei tributi, prevista dall’art. 13, d.lgs. 18.12.1997, n. 471, con riguardo alle imposte sui redditi ed all’IVA, è stabilita nella misura del
trenta per cento del tributo non versato; analoga sanzione si applica nei casi di tardivo versamento. Anche con riferimento agli altri tributi indiretti e locali è generalmente prevista una sanzione per
l’omesso o ritardato versamento nella misura del trenta per cento.
Va precisato, però, che la sanzione in questione riguarda solo l’omesso versamento di tributi dovuti in acconto o a saldo sulla base di una dichiarazione regolarmente presentata. Nel caso in cui il
contribuente abbia omesso di presentare la dichiarazione, o la abbia presentata indicando solo una parte dei fatti fiscalmente rilevanti realizzati, viene applicata dall’Ufficio impositore
esclusivamente la ben più grave sanzione per omessa o infedele dichiarazione.
L’omesso versamento diretto di tributi dichiarati è di recente divenuto una fattispecie avente, in determinati casi, rilevanza penale. In precedenza, il comportamento ritenuto particolarmente
offensivo per l’Erario, e quindi da sanzionare penalmente, era essenzialmente quello della presentazione della dichiarazione con indicazioni di imponibili inferiori a quelli effettivi attraverso
comportamenti fraudolenti o meno, caratterizzati dal dolo specifico. L’omesso versamento dei tributi dichiarati era, invece, considerato una conseguenza dell’indisponibilità di risorse finanziarie, per cui si
riteneva ragionevole applicare una sanzione amministrativa.
La crescita del fenomeno dell’evasione da riscossione ha indotto il legislatore ad un ripensamento. Sono state così previste due fattispecie di reato: la prima, relativa al sostituto di imposta,
consistente nell’omesso versamento di ritenute risultanti dalla certificazioni rilasciate ai sostituiti per un importo superiore a € 150.000 (art. 10 bis, d.lgs. 10.3.2000, n. 74); la seconda
riguardante i soggetti titolari di partita Iva, consistente nell’omesso versamento dell’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale per un importo superiore a € 250.000 (art. 10 ter, d.lgs. n.
74/2000). Costituisce, inoltre, fattispecie penalmente rilevante la compensazione di crediti non spettanti o inesistenti attraverso la procedura di cui all’art. 17, d.lgs. n. 241/1997 (art.
10 quater, d.lgs. n. 74/2000), per un importo superiore a € 50.000.

-COMPENSAZIONE:
L'art. 8,co. 1 dello Statuto dei diritti del contribuente,dispone espressamente che l'obbligazione tributaria può essere estinta per compensazione.
Ebbene,come abbiamo detto, i versamenti diretti in acconto,che vengono effettuati nel periodo d'imposta corrente ma sulla base dell'imponibile dichiarato relativamente al precedente
periodo d'imposta(in virtù della presunzione per cui il reddito si riproduce di anno in anno nella medesima misura),possono essere ,cumulativamente, di importo maggiore rispetto a
quanto poi risulti da versare a saldo alla fine del periodo d'imposta corrente (in poche parole,il reddito di quest'anno è diminuito rispetto a quello dell'anno scorso ,per cui mi sono trovato a versare
un'imposta in acconto che alla fine ,al momento della presentazione della dichiarazione annuale,si rivela essere maggiore di quanto avrei dovuto versare).
In questi casi,sempre nei modi e nei limiti espressamente previsti dalla legge,è consentito al contribuente o di chiedere un rimborso al fisco,oppure di operare la compensazione fiscale.
La compensazione fiscale,o tributaria,si sostanzia dunque nella possibilità,per il contribuente,di utilizzare eventuali crediti d'imposta ,risultanti dalle dichiarazioni annuali,per estinguere
debiti della medesima natura ,oppure debiti di carattere contributivo e previdenziale. Essa costituisce dunque un'ulteriore modalità di versamento diretto.
La compensazione deve essere necessariamente distinta in :
→ compensazione verticale: con compensazione verticale si vuole far riferimento ad una compensazione che interessa un unico tributo,per cui ,qualora relativamente a tale tributo
risultasse un credito d'imposta dalle dichiarazioni annuali precedenti,tale credito d'imposta verrebbe “riportato in avanti” e verrebbe ad essere scomputato dal debito d'imposta risultante
dalla dichiarazione dell'anno corrente. La compensazione verticale è disciplinata nell’ambito della legislazione istitutiva dei tributi periodici, specificamente nelle norme dedicate al
procedimento di quantificazione del debito d’imposta (si vedano in particolare gli artt. 22 e 80, d.P.R. 22.12.1986, n. 917 per l’IRPEF e l’IRES, nonché l’art. 30, d.P.R. n. 633/1972, per l’IVA).
→ compensazione orizzontale: con tale forma di compensazione, i debiti d'imposta relativi a imposte diverse,così come i debiti relativi ai contributi previdenziali,che devono essere
soddisfatti mediante versamento con il modello F24,possono essere compensati con crediti spettanti al contribuente,anche relativi a tributi differenti.La compensazione orizzontale
(introdotta limitatamente alle imposte sui redditi dall’art. 2 del d.l. 31.12.1991, n. 417) è disciplinata dall’art. 17, d.lgs. n. 241/1997, secondo cui tutti i tributi che devono essere versati con il
modello unitario di pagamento possono essere compensati con crediti risultanti dalla dichiarazione. L’estensione dell’ambito di applicazione della compensazione orizzontale si giustifica
anche nella prospettiva di attenuare le distorsioni dovute alla sempre maggiore incidenza del fenomeno dell’anticipazione del prelievo (acconti d’imposta).
Con la previsione ex art. 8,co.1 dello Statuto dei diritti del contribuente, la possibilità di corrispondere i tributi previa compensazione è divenuta una regola generale del diritto tributario .
Tale norma, a prescindere dal fatto che di per sé offre immediata possibilità al contribuente di eccepire la compensazione, ha avuto il pregio di stimolare successive innovazioni legislative con cui si è
ulteriormente ampliato lo spettro applicativo dell’istituto in questione. La compensazione fiscale può, infatti, avvenire anche tra crediti certi, liquidi ed esigibili, vantati a qualsiasi titolo nei
confronti della Pubblica amministrazione, risultanti da apposita certificazione, e debiti di natura tributaria connessi ad accertamenti esecutivi o iscrizioni a ruolo, nonché dovuti in
relazione ad istituti definitori della pretesa e deflatori del contenzioso . Non è escluso che in futuro il legislatore intervenga per disciplinare espressamente la possibilità di utilizzare i crediti vantati
nei confronti della Pubblica amministrazione per effettuare i versamenti dovuti sulla base della dichiarazione tributaria, nonché la possibilità di utilizzare in compensazione anche i crediti risultanti da
sentenze tributarie.
Occorre, però, sottolineare che ,di recente, per contrastare i sempre più frequenti casi di compensazione di crediti inesistenti, sono stati previsti limiti (inizialmente riguardanti l’IVA, poi
estesi alle imposte sui redditi dall’art. 1, co. 574, l. 27.12.2013, n. 147) alla compensazione di crediti e debiti risultanti dalle dichiarazioni. Infatti, qualora la compensazione superi l’importo
di diecimila euro, bisogna preventivamente presentare la dichiarazione dalla quale emerge il credito oggetto di compensazione (limite riguardante solo la compensazione di crediti IVA);
qualora superi l’importo di euro quindicimila, occorre l’apposizione sulla dichiarazione tributaria del cd. visto di conformità. Un’ulteriore limitazione riguarda i soggetti che abbiano debiti
tributari scaduti risultanti da atti impositivi esecutivi (iscrizione a ruolo/accertamento esecutivo) di importo superiore a euro millecinquecento: la possibilità di effettuare compensazioni è
subordinata al pagamento del debito (art. 31, d.l. n. 31.5.2010, n. 78).
Costituisce, fattispecie penalmente rilevante la compensazione di crediti non spettanti o inesistenti attraverso la procedura di cui all’art. 17, d.lgs. n. 241/1997 (art. 10 quater, d.lgs. n.
74/2000), per un importo superiore a € 50.000.

CAPITOLO 3- LA RISCOSSIONE MEDIANTE ATTI DELL'AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA


3.1- LA RISCOSSIONE MEDIANTE ATTO DI ACCERTAMENTO ESECUTIVO
-ATTO DI ACCERTAMENTO ESECUTIVO:
Come abbiamo analizzato nella precedente sezione,a seguito dell'entrata in vigore del D.L. 78/2010,si è avuta la cd. Concentrazione della riscossione nell'accertamento,con ciò intendendo
che ,a partire da quel momento,l'atto di accertamento avrebbe concentrato su di sé le diverse nature di atto impositivo,di titolo esecutivo e di precetto. Con tale nuovo atto si è voluta
sostituire l'intimazione ad adempiere e l'esecutività già contenute e già operanti nel ruolo e nella cartella di pagamento,al fine di anticipare e di potenziare la riscossione,rispetto ai lunghi
tempi di attuazione di formazione dell'iscrizione a ruolo e della notificazione della stessa cartella di pagamento.
È di massima importanza sottolineare che a seguito della riforma non tutti gli atti di accertamento sono diventati esecutivi. Difatti l'art. 29 del D.L. 78/2010 ha disposto che siano da
considerarsi come accertamenti esecutivi soltanto gli avvisi di accertamento relativi alle imposte sui redditi (IRPEF ed IRES),gli avvisi di accertamento relativi all'imposta regionale sulle
attività produttive (IRAP),gli avvisi di accertamento relativi all'imposta sul valore aggiunto (IVA) ed il connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni,nonchè tutti gli atti ,successivi
ai suddetti avvisi di accertamento,che concernano la rideterminazione degli importi dovuti.
L'avviso di accertamento esecutivo trova il suo elemento distintivo nella presenza,nella parte dispositiva,dell'intimazione ad adempiere: attraverso tale intimazione il contribuente viene
avvisato che ,qualora non provveda al versamento delle maggiori imposte accertate nel termine di 60 giorni dalla notificazione dell'avviso di accertamento (senza che abbia nel frattempo
provveduto ad impugnare l'avviso di accertamento medesimo),l'avviso di accertamento di cui è destinatario diventerà un titolo esecutivo e che ,trascorso un termine di ulteriori 30 giorni,
il carico verrà affidato all'Agenzia delle Entrate-riscossione.

-RISCOSSIONE MEDIANTE ATTO DI ACCERTAMENTO ESECUTIVO:


Come abbiamo detto,l'atto di accertamento relativo alle imposte delineate dall'art. 29 del D.L. 78/2010 contiene un'intimazione ad adempiere,attraverso la quale il contribuente
viene avvisato che ,qualora non provveda al pagamento delle maggiori imposte accertate entro il termine di 60 giorni dalla notificazione dell'avviso di accertamento
medesimo, l'avviso di accertamento diventerà un titolo esecutivo (che ingloba altresì la natura di precetto) e che,nel termine di ulteriori 30 giorni,sempre nel caso in cui le
maggiori imposte accertate non siano state versate dal contribuente, il carico verrà affidato all'Agenzia delle Entrate-riscossione.
Prima di procedere nell'analisi di come avvenga dunque la riscossione mediante un atto di accertamento esecutivo,occorre tenere in conto due fattori eventuali:
→ qualora il contribuente proponga ricorso contro l'avviso di accertamento esecutivo nel termine di 60 giorni dalla notificazione dello stesso,egli dovrà versare ,a
titolo provvisorio,un terzo dell'imposta accertata,con gli interessi,secondo quanto disposto dall'art. 15 del d.p.r. 602/1973. E' bene qui soffermarsi sulla circostanza
per cui,sempre in riferimento agli avvisi di accertamento esecutivi,non vi è la possibilità di iscrivere a ruolo le somme dovute in pendenza di giudizio o le somme
dovute a seguito di intervenute sentenze,per cui la riscossione,anche frazionata,dovrà sempre aversi mediante l'emissione di atti di intimazione ad adempiere in
cui viene ricalcolato il dovuto.
→ secondo quanto disposto dalla più recente normativa,qualora venga notificato un avviso di accertamento esecutivo (per cui non sia obbligatorio il
contraddittorio preventivo,magari perché parziale) ed il contribuente provveda a presentare istanza di accertamento con adesione,i termini per impugnare
l'atto,coincidenti con i termini affinchè l'avviso di accertamento possa diventare titolo esecutivo,vanno maggiorati di 90 giorni (per un totale di 150 giorni)
Una volta esaminati questi due casi particolari,possiamo ritornare all'iter della riscossione mediante avviso di accertamento esecutivo.
Dicevamo che qualora il contribuente non abbia provveduto al versamento della maggior imposta accertata,nonchè delle sanzioni,degli interessi e dell'aggio, nemmeno nel
termine ultimo di 30 giorni decorrenti dalla scadenza dei termini per impugnare l'avviso di accertamento(60+ 30),la riscossione verrà affidata in carico all'agente della
riscossione.
L'agente della riscossione provvede a comunicare al contribuente debitore,o a mezzo di raccomandata semplice,o a mezzo di posta elettronica, la presa in carico. Una volta
avvenuta tale comunicazione e una volta trascorso un ulteriore periodo-cuscinetto di 180 giorni,l'agente della riscossione può provvedere ad avviare l'esecuzione forzata sui
beni del contribuente debitore,realizzando dunque,in ultima istanza,quella che definiamo come riscossione coattiva.
Va osservato che qualora vi sia un fondato pericolo per la riscossione,l'agente della riscossione può omettere di comunicare al contribuente debitore la presa in carico e non
troverà assolutamente applicazione il periodo-cuscinetto di 180 giorni,per cui l'agente della riscossione,una volta presa in carico la riscossione delle somme risultanti dagli
avvisi di accertamento esecutivi,potrà direttamente procedere ad esecuzione forzata sui beni del contribuente debitore(si parla,in tal caso,di riscossione straordinaria)
Tale procedura,in definitiva,si configura come molto più snella rispetto a quella prevista in passato per tutti gli avvisi di accertamento,una procedura che,basandosi sull'iscrizione a ruolo e
sulla successiva notifica della cartella di pagamento, si è dimostrata inadatta ad una rapida esazione del tributo,sebbene,come vedremo,essa trova ancora applicazione relativamente a
determinati casi.

3.2- LA RISCOSSIONE MEDIANTE RUOLO


-RUOLO:
Il ruolo costituisce il mezzo di riscossione di tutti i tributi relativamente ai quali la riscossione non avviene né mediante ritenuta alla fonte,nè mediante versamenti diretti,nè mediante
avviso di accertamento (comprensivo di atto sanzionatorio) esecutivo; esso si sostanzia in un atto amministrativo collettivo,che racchiude un elenco di contribuenti debitori con le
domme dovute dagli stessi,distinte per tributi,sanzioni ed interessi.
I ruoli sono formati per ciascuno degli ambiti territoriali in cui operano gli agenti della riscossione e con riferimento ai contribuenti aventi domicilio fiscale nello stesso ambito territoriale.
Essi vengono posti in essere dall'Agenzia delle Entrate,secondo una disciplina dettagliata,costituita dall'art. 12 del d.p.r. 602 /1973 e dal d.m. 321/1999 che ne determina
contenuti,procedure,modalità di formazione e di consegna: l'agenzia delle entrate forma il ruolo iscrivendo le somme da riscuotere,indicando il codice fiscale del contribuente,la specie del ruolo,la
data in cui il ruolo diviene esecutivo ed il riferimento al titolo che legittima la riscossione. I ruoli devono essere sottoscritti,divenendo così esecutivi,dal titolare dell'ufficio o da un suo delegato. Essi
vengono poi inviati in via telematica all'agente della riscossione,che rende note ai contribuenti le singole iscrizioni a ruolo mediante successiva notifica di una cartella di pagamento
Dunque, al fine di rendere le cose più chiare,potremmo dire che il ruolo è :
→ un atto amministrativo contenente l'elenco dei contribuenti debitori con l'indicazione delle somme da riscuotere dagli stessi
→ un atto che implica un previo titolo(non esecutivo!) che legittima la riscossione da parte dell'amministrazione finanziaria,un titolo legittimante che può essere
costituito,alternativamente,o dalla dichiarazione presentata dal contribuente,o da un avviso di accertamento (il titolo legittimante deve essere necessariamente richiamato
e ,qualora non motivato, l'iter logico giuridico che ha adito alla riscossione,ossia la parte motiva, deve essere inserita nel ruolo)
→ un atto che diviene titolo esecutivo una volta sottoscritto dal capo dell'ufficio o da un suo delegato
Quanto all'ambito di applicazione della riscossione mediante ruolo,possiamo tracciare un iter storico-evolutivo,per cui:
→ originariamente la riscossione mediante ruolo era prevista soltanto nei casi in cui si dovesse procedere alla riscossione di imposte dirette,ossia di imposte sui redditi,secondo quanto
disposto anche dalle norme del d.p.r. 602/1973
→ successivamente,la riscossione mediante ruolo è stata estesa,ad opera dell'art. 17 del d.lgs. 46/1999 anche alle imposte indirette e dunque a tutte le entrate tributarie dello Stato;
→ tale modalità di riscossione è stata altresì ammessa con riferimento alla riscossione di tutti i tributi degli enti locali che avessero affidato il servizio di riscossione all'Agenzia delle
Entrate-Riscossione,ferma restando la possibilità,per tali enti,di avvalersi della riscossione mediante ingiunzione fiscale(uguale al ruolo in pratica),ai sensi del R.d. 639/1910.
L'ambito di applicazione della riscossione mediante ruolo è stato significativamente ridotto con la cd. Concentrazione della riscossione nell'accertamento,disciplinata dall'art. 29 del D.L.
78/2010,il quale ha introdotto ,per l'appunto,la figura degli accertamenti esecutivi,i quali contemporaneamente hanno la natura di atti impositivi,di titoli esecutivi e di precetti.
Alla luce di quanto sopra esposto ed altresì alla luce della considerazione per cui gli atti di accertamento esecutivi,ex art. 29 d.l. 78/2010, riguardano le imposte sui redditi quali l'irpef e
l'ires,l'imposta sul valore aggiunto(iva) e l'imposta regionale sulle attività produttive,possiamo dire che la riscossione mediante ruolo si ha ora soltanto relativamente a :
→ tributi erariali di minore importanza
→ tributi locali
Condicio sine qua non ,o presupposto necessario per l'iscrizione di una determinata somma a ruolo, è dato dalla presenza di un titolo legittimante del ruolo stesso. Titoli che legittimano
l'iscrizione a ruolo sono:
→ la dichiarazione tributaria
→ l'avviso di accertamento relativo a tributi diversi dall'irpef,dall'ires,dall'iva e dall'irap (quindi non esecutivo)
→ tutti gli avvisi di accertamento ,non esecutivi,che siano stati impugnati e che dunque non siano definitivi,
→ il provvedimento sanzionatorio
→ l'atto di contestazione delle sanzioni,nel caso in cui il contribuente non presenti memorie
Quanto alla natura giuridica del ruolo,possiamo dire che lo stesso si configura come un atto collettivo,che riguarda una molteplicità di soggetti e di iscrizioni.
Per quanto invece concerne,in ultima istanza,gli effetti del ruolo,possiamo dire che lo stesso ha un duplice effetto: difatti, da un lato , il ruolo attualizza un obbligo di versamento che deve
essere adempiuto entro 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento; dall’altro lato,se l’obbligo non è adempiuto entro la scadenza, l’iscrizione a ruolo legittima l’esecuzione forzata.
In linea di principio il ruolo esplica effetti soltanto nei confronti del soggetto a cui si rivolge. Nel caso di pluralità di soggetti obbligati in solido, il ruolo ha dunque efficacia solo nei
confronti dei soggetti che ,tra i coobbligati, siano stati iscritti a ruolo (abusiva sarebbe l'esecuzione forzata promossa nei confronti di coobbligati non iscritti a ruolo). Il ruolo,in
conclusione,non ha efficacia verso i terzi.

-ISCRIZIONE A RUOLO IN BASE ALLA DICHIARAZIONE:


L'iscrizione a ruolo di determinate somme ed in relazione a determinati contribuenti può trovare,come detto,il suo titolo giustificativo nella dichiarazione tributaria presentata
dal contribuente.
L'iscrizione a ruolo ha come base la dichiarazione in 3 ipotesi tassative:
1)in caso di mancato versamento di somme che risultano dovute in base alla liquidazione fatta nella stessa dichiarazione (dunque,nel caso di omessi versamenti
diretti)
2)quando la dichiarazione sia stata sottoposta alla procedura di liquidazione automatica ex art. 36bis d.p.r. 600/1973 o alla procedura di controllo formale ex art.
36ter d.p.r. 600/1973 e si riscontri che il contribuente non abbia provveduto,in sede di autotassazione,a versare quanto dovuto( caso di liquidazione automatica della
dichiarazione e di controllo formale della dichiarazione che abbiano portato alla luce componenti di reddito, o altra tipologia di imponibile, non autoliquidati correttamente dal
contribuente in sede di versamenti diretti,quindi incompleti)
3)quando vi siano da riscuotere imposte sui redditi soggetti a tassazione separata
Particolarmente rilevante per noi è il caso in cui vi sia stata una liquidazione automatica della dichiarazione ex art. 36bis del d.p.r. 600/1973 ,oppure un controllo formale della
dichiarazione ex art. 36ter del d.p.r. 600/1973. Va ricordato che tali forme di controllo sono inerenti alle dichiarazioni dei redditi ed alle dichiarazioni IVA. Detto questo,occorre,ancora una
volta,ricordare che prima di iscrivere a ruolo le maggiori imposte che risultino dovute sulla base di tali controlli,l'ufficio deve obbligatoriamente inviare un avviso bonario al
contribuente,con il quale quest'ultimo viene invitato a partecipare ad un contraddittorio endoprocedimentale e,in ultima istanza,a versare la somma dovuta.
La necessità di un previo avviso bonario ci viene confermata dal dettato dell'art. 6 dello Statuto dei diritti del contribuente,il quale dispone che “ prima di procedere alle iscrizioni
a ruolo derivanti dalla liquidazione dei tributi risultanti da dichiarazioni,qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione,l'amministrazione finanziaria deve invitare il
contribuente,a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici,a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a
30 giorni dalla ricezione della richiesta” . Attraverso tale articolo viene sancita la nullità di tutti gli atti emessi in violazione dell'obbligo del previo invito bonario,sicchè,qualora
l'iscrizione a ruolo di una somma risultante dai controlli ex artt. 36Bis e 36ter del d.p.r. 600/1973 non venga preceduta da un invito bonario rivolto al contribuente,sarà nulla la
cartella di pagamento emessa successivamente all'iscrizione a ruolo.

-ISCRIZIONE A RUOLO IN BASE AD AVVISI DI ACCERTAMENTO NON ESECUTIVI:


L'iscrizione a ruolo non si ha con riguardo agli avvisi di accertamento esecutivi,in nessun caso(nemmeno in caso di impugnazione degli stessi ,perchè ,nel corso del processo e con il susseguirsi delle
sentenze delle commissioni tributarie,gli importi da versare a titolo provvisorio vengono presentati al contribuente mediante atti di intimazione ad adempiere ,che rideterminano puntualmente il
dovuto,senza contare che una volta intervenuto un giudicato sfavorevole per il contribuente,la riscossione si avrà mediante il medesimo atto impugnato).
Diverso è il discorso per gli avvisi di accertamento non esecutivi,ossia per tutti quegli avvisi di accertamento che non siano inerenti alle imposte sui redditi,all'iva ed all'irap.
L'iscrizione a ruolo per gli avvisi di accertamento non esecutivi può configurarsi diversamente a seconda che:
→ l'avviso di accertamento sia divenuto definitivo per mancata impugnazione nei termini,nel qual caso si avrà un'iscrizione a ruolo a titolo definitivo
→ l'avviso di accertamento non sia divenuto definitivo poiché il contribuente,nei termini,lo ha impugnato,per cui,in questo caso,si avrà iscrizione a ruolo a titolo provvisorio
Particolarmente rilevante è l'iscrizione a ruolo a titolo provvisorio,che si ha per l'appunto quando il contribuente abbia impugnato l'avviso di accertamento (non esecutivo) nei termini. Nel
qual caso,sebbene tali avvisi di accertamento non abbiano la natura di titolo esecutivo,possiamo notare che ,nel corso del giudizio,vi saranno delle riscossioni frazionate con somme
iscritte a ruolo a titolo provvisorio via via maggiori. In particolare:
a)in pendenza di giudizio di primo grado,può essere iscritto a ruolo un terzo dell'imposta,o della maggior imposta accertata,con gli interessi
b) se la sentenza della commissione tributaria provinciale (1° grado) ha respinto il ricorso del ricorrente,questi è tenuto a versare i 2/3 del tributo,ivi compresi gli interessi e
previa detrazione di quanto già versato in pendenza di giudizio
b)se la sentenza della commissione tributaria provinciale (1° grado) ha accolto solo parzialmente il ricorso,allora il ricorrente è tenuto a versare detratte le somme già versate
in pendenza di giudizio,l'intero ammontare che risulta dovuto in base a tale sentenza,che non deve comunque eccedere i 2/3 dell'importo del tributo controverso
c) la sentenza della commissione tributaria regionale (2° grado) rende riscuotibile l'intero importo che risulta dovuto,sempre previa detrazione di quanto già versato
in precedenza
Una volta intervenuta una sentenza passata in giudicato sfavorevole per il contribuente,la riscossione di quanto dovuto sulla base di questa avviene mediante iscrizione a ruolo,stavolta a
titolo definitivo, e successiva notifica della cartella di pagamento.

3.2.1- APPROFONDIMENTI SULLA RISCOSSIONE MEDIANTE RUOLO: LA CARTELLA DI PAGAMENTO


-CARTELLA DI PAGAMENTO:
La cartella di pagamento deve essere notificata ,secondo le modalità prestabilite dall'art. 60 del d.p.r. 600/1973,oppure a mezzo raccomandata o in modalità telematica entro un termine
previsto a pena di decadenza,secondo quanto previsto dall'art. 25 del d.p.r. 602/1973,ossia:
 31/12 del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione per le somme dovute a seguito di liquidazione automatica ex art. 36bis d.p.r. 600/1973
 31/12 del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione per le somme dovute a seguito di controllo formale ex art. 36ter
 31/12 del secondo anno successivo a quello in cui l accertamento è divenuto definitivo per fatti dovuti in base agli accertamenti(sempre con l'esclusione degli avvisi di
accertamento esecutivi)
Essa è formata, sulla base del ruolo, dall'agente della riscossione territorialmente competente in relazione alla domicilio fiscale del contribuente.
Nella cartella di pagamento devono essere necessariamente indicati i seguenti elementi:
→ il titolo sulla base del quale è stata effettuata l'iscrizione a ruolo (se i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che sono il fondamento degli atti della riscossione non
siano stati indicati già da atti precedenti,come ,ad esempio,l'avviso di accertamento,allora tali elementi devono essere necessariamente indicati nel ruolo e nella cartella di
pagamento. Si parla in tal proposito di motivazione)
→ le imposte iscritte a ruolo,
→ gli interessi,
→ le sanzioni
→ l'aggio da corrispondere,a titolo di compenso,all'agente della riscossione
→ la data in cui il ruolo è stato reso esecutivo (ossia quando è stato sottoscritto),
→ la descrizione delle partite
→ le modalità di pagamento.
→ l'indicazione del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e del procedimento di emissione e di notificazione della cartella ( se manca tale indicazione ,la cartella
è nulla)
→ l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro il termine di 60 giorni dalla notificazione della cartella medesima, con l'avvertimento che ,in mancanza, si
procederà ad esecuzione forzata.
La notifica della cartella di pagamento equivale dunque alla notifica del titolo esecutivo e del precetto,con riferimento all'esecuzione forzata ordinaria.
Allo scadere dei 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento ,senza che sia intervenuto il versamento delle somme dovute,la cartella diventa esecutiva ,per cui l'agente della
riscossione potrà procedere ad esecuzione forzata(vedasi riscossione coattiva). Va fatta una precisazione in merito: l'esecuzione forzata deve essere avviata entro un anno dalla notifica della
cartella di pagamento,altrimenti ,oltre detto termine,l'intimazione ad adempiere contenuta in quest'ultima esaurirà il suo effetto e per iniziare l'esecuzione forzata sarà necessaria la notifica
di una nuova intimazione ad adempiere.

SCHEMA RIEPILOGATIVO SULLA RISCOSSIONE MEDIANTE ATTI DELL'AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA


CONTROLLO NOTIFICA DI UN ATTO
DICHIARAZIONE DEI SOSTANZIALE DELLA DI ACCERTAMENTO
RISCOSSIONE IN BASE AD AVVISO DI
REDDITI,DICHIARAZIONE DICHIARAZIONE EX ESECUTIVO AI SENSI
ACCERTAMENTO ESECUTIVO
IVA O DICHIARAZIONE ARTT. 37 SS. DPR DELL'ART. 29 D.L.
IRAP INFEDELE O OMESSA 600/1973 78/2010

SE NON IMPUGNATO ENTRO I SE IMPUGNATO,IL CONTRIBUENTE DEVE


TERMINI DI 60 GG DALLA VERSARE PROVVISORIAMENTE DELLE FRAZIONI
1 NOTIFICAZIONE ED IL
CONTRIBUENTE NON HA
DELLE MAGGIORI IMPOSTE,DEGLI INTERESSI E
DELLE SANZIONI ACCERTATE,SIA IN CORSO DI
PROVVEDUTO A GIUDIZIO,SIA A SEGUITO DI SENTENZE ANCHE
VERSARE,DECORRONO ALTRI 30 SOLO PARZIALMENTE SFAVOREVOLI. TALE
GIORNI,DOPODICHE' IL CARICO RISCOSSIONE PROVVISORIA E FRAZIONATA
VIENE AFFIDATO ALL'AGENTE DELLA AVVIENE SULLA BASE DI ATTI DI INTIMAZIONE AD
RISCOSSIONE. L'AGENTE COMUNICA ADEMPIERE,IN CUI,DI VOLTA IN VOLTA,VIENE
LA PRESA IN CARICO AL RIDETERMINATA LA SOMMA DOVUTA ,DETRATTO
CONTRIBUENTE E DEVE ATTENDERE QUANTO GIA' VERSATO. INTERVENUTO IL
180 GIORNI PER PROCEDERE AD GIUDICATO ,LA RISCOSSIONE HA LUOGO SULLA
ESECUZIONE FORZATA (PERIODO BASE DELL'ATTO DI ACCERTAMENTO
CUSCINETTO CHE NON SI HA IN IMPUGNATO
CASO DI FONDATI PERICOLI PER LA
RISCOSSIONE)

Si ha nei casi in cui DICHIARAZIONE RELATIVA AD o o CONTROLLO SOSTANZIALE DELLA


IMPOSTE DIRETTE O INDIRETTE SIA OMESSI VERSAMENTI DICHIARAZIONE ,EX ARTT. 37 SS D.P.R.
RISCOSSIONE MEDIANTE
SOTTOPOSTA A LIQUIDAZIONE DIRETTI 600/1973,AI FINI DI IMPOSTE DIVERSE DA
ISCRIZIONE A RUOLO E NOTIFICA
AUTOMATICA EX ART.36BIS O A IRPEF,IRES,IRAP E IVA
DELLA CARTELLA DI PAGAMENTO
CONTROLLO FORMALE EX ART.36TER

2 LA RISCOSSIONE MEDIANTE ISCRIZIONE A RUOLO SI


LA RISCOSSIONE MEDIANTE ISCRIZIONE A FONDA DUNQUE SULLA PREVIA NOTIFICA DI UN ATTO DI
RUOLO SI BASA DUNQUE SULLA ACCERTAMENTO NON RISPONDENTE AI CANONI
DICHIARAZIONE DELINEATI DALL'ART.29 DEL D.L. 78/2010

INVITO BONARIO
OBBLIGATORIO
ISCRIZIONE A RUOLO

NOTIFICA
ISCRIZIONE CARTELLA DI A TITOLO A TITOLO
A RUOLO PAGAMENTO PROVVISORIO DEFINITIVO
entrambi sono atti impugnabili se l'avviso di accertamento (non esecutivo) viene Se l'avviso di accertamento,non
impugnato,per cui il contribuente e' tenuto,sia in corso esecutivo,non viene impugnato,esso
di giudizio,sia a seguito di sentenze a lui anche solo diventerà per definitivo e
parzialmente sfavorevoli,a versare frazioni della l'amministrazione finanziaria provvederà ad
maggior imposta,degli interessi e delle sanzioni iscrivere la maggior imposta accertata,le
accertate. l'amministrazione finanziaria provvede sanzioni,gli interessi,etc. A ruolo a titolo
dunque di volta in volta ad iscrivere a ruolo a titolo definitivo,per poi emettere una cartella
provvisorio frazioni del quantum dovuto,detraendo di pagamento che,qualora entro 60 giorni
quanto gia' versato. una volta intervenuto il giudicato dalla notifica della stessa il contribuente
sfavorevole per il contribuente,si avra' iscrizione a non abbia provveduto ad adempiere,darà
CAPITOLO 4 – LA RISCOSSIONE COATTIVA: L'ESECUZIONE FORZATA TRIBUTARIA ruolo a titolo definitivo per il quantum rimanente luogo ad esecuzione forzata

4.1- GENERALITA' SULLA RISCOSSIONE COATTIVA


-RISCOSSIONE COATTIVA:
Per definizione,la riscossione coattiva costituisce il procedimento attraverso cui l'amministrazione finanziaria esige il pagamento di un tributo non versato spontaneamente e nemmeno a
seguito della notificazione di un titolo esecutivo.
La riscossione coattiva si sostanzia dunque in quella particolare fase della riscossione dei tributi che si ha nel caso in cui il contribuente non abbia provveduto al versamento di un
tributo né in maniera spontanea,nè a seguito della notifica,da parte dell'amministrazione finanziaria,di atti avente valore di titoli esecutivi,quali:
→ avviso di accertamento esecutivo: si ha riscossione coattiva quando il contribuente avrebbe potuto adempiere nei 90 giorni successivi alla notifica di un avviso di accertamento
esecutivo (60+30),sicchè l'agente della riscossione prende in affidamento il carico e procede ad esecuzione forzata,trascorso,generalmente,un periodo cuscinetto di 180 giorni
→ ruolo esecutivo e successiva notifica di una cartella di pagamento: si ha riscossione coattiva quando ,a seguito dell'iscrizione a ruolo di somme non versate,il contribuente non
abbia adempiuto ,versando il quantum dovuto,entro i 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento
Dunque,possiamo dire,in breve,che la riscossione coattiva si rende necessaria ogniqualvolta siano trascorsi i termini per il pagamento delle somme riportate dal titolo esecutivo senza che
il contribuente abbia versato il quantum dovuto.
Ai fini descrittivi possiamo dividere la trattazione della riscossione coattiva in due momenti,quali:
1)procedure cautelari:scaduto inutilmente il termine di 60 giorni dalla notificazione di una cartella di pagamento,o scaduto il termine di 90 giorni dalla notificazione di un
avviso di accertamento esecutivo ,– atti aventi entrambi valore di precetto – l'agente della riscossione potrà azionare delle procedure cautelari finalizzate alla riscossione
coattiva dei tributi. Tali procedure cautelari sono:
→ iscrizione ipotecaria sui beni immobili del contribuente
→ sequestro conservativo dei beni del contribuente
→ fermo amministrativo
2)esecuzione forzata tributaria: con esecuzione forzata tributaria si intende far riferimento alla fase di attuazione del credito tributario che concerne procedure esecutive
sostanzialmente espropriative dei beni del contribuente debitore (in parole povere,con l'esecuzione forzata tributaria si procede al pignoramento dei beni del contribuente). È
bene in merito osservare,in via sommaria,che se il titolo esecutivo è costituito da un avviso di accertamento ex art. 29 d.l. 78/2010(esecutivo,che racchiuda in sé altresì il valore
di precetto),l'agente della riscossione,trascorsi i 90 giorni dalla notificazione dello stesso (30 da quando gli sia stato affidato il carico),dovrà attendere ulteriori 180 giorni
prima di poter dare avvio all'esecuzione forzata,salvo il caso in cui vi sia un fondato ed imminente pericolo per la riscossione. Viceversa,qualora il titolo esecutivo sia
costituito dall'iscrizione a ruolo e dalla conseguente cartella di pagamento recante l'intimazione ad adempiere,l'agente della riscossione potrà avviare l'esecuzione forzata
soltanto una volta trascorsi 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento,salvo il caso in cui vi sia un fondato ed imminente pericolo per la riscossione
Relativamente ad ogni caso sopra esaminato,prima di procedere alla riscossione coattiva,sia essa data dal porre in essere procedure cautelari preventive o dall'esecuzione forzata
tributaria,l'agente della riscossione dovrà,nel caso di debiti di valore inferiore a € 1.000,attendere ulteriori 120 dalla comunicazione delle somme iscritte a ruolo, notificata al contribuente
con posta ordinaria, salvo il caso in cui l’Agenzia delle Entrate non gli abbia già notificato l’inesistenza dei presupposti per la sospensione o l’annullamento delle somme “a credito” per
l’Ufficio (secondo la più recente normativa del 2019 e del 2020 in materia di pace fiscale,i debiti tributari fino a 1000 euro verrebbero stralciati).

4.2- LE PROCEDURE CAUTELARI PRODROMICHE ALL'ESECUZIONE FORZATA TRIBUTARIA


-ISCRIZIONE IPOTECARIA:
L'iscrizione ipotecaria ,nell'ambito del diritto tributario,costituisce non una fase dell'esecuzione forzata tributaria,quanto piuttosto una procedura cautelare,che l'amministrazione
finanziaria pone in essere qualora abbia il timore di perdere la garanzia del proprio credito,ossia quando tema che il contribuente possa spogliarsi dei propri beni e rendersi insolvente.
Difatti,attraverso l'iscrizione di ipoteca sui beni immobili del contribuente(trascrizione nei pubblici registri immobiliari),l'amministrazione finanziaria si assicura di poter eventualmente
procedere ad esecuzione forzata (pignoramento) sull'immobile ipotecato anche nel caso in cui il contribuente abbia alienato tale bene immobile. Non solo: il creditore con l’ipoteca si
soddisfa per primo, rispetto a tutti gli altri creditori, sul ricavato della vendita. Ad esempio: se una persona ha debiti con tre soggetti e uno di questi è l’agente della riscossione esattoriale che ha
iscritto un’ipoteca fiscale di «primo grado», una volta messo all’asta e aggiudicato l’immobile, il ricavato andrà innanzitutto a coprire tutto il credito dell’esattore e poi il residuo servirà per estinguere, in
proporzione, gli altri due creditori senza ipoteca.
Sinteticamente, possiamo descrivere l’ipoteca come quello strumento che garantisce al fisco il diritto di espropriare, anche nei confronti del terzo acquirente, i beni immobili vincolati a
garanzia del credito e di essere soddisfatto con preferenza sul prezzo ricavato dall’espropriazione.
Fatta questa premessa di carattere generale,dobbiamo necessariamente precisare che nell'ambito del diritto tributario,vi possono essere due diverse tipologie di iscrizione ipotecaria,e
conseguentemente di ipoteca,sulla base del soggetto che le ponga in essere:
→ IPOTECA FISCALE: quando si parla di ipoteca fiscale,si vuole far riferimento all'ipoteca posta sui beni immobili del contribuente da parte dell'Agenzia delle Entrate(non da
parte dell'agenzia delle entrate-riscossione). In merito all'ipoteca fiscale,possiamo dire che essa si può avere nei seguenti casi:
1)a seguito di processo verbale di constatazione(quindi prima della notifica di un avviso di accertamento)
2))a seguito della notifica di un titolo esecutivo (sia che si tratti di un avviso di accertamento,sia che si tratti di una cartella di pagamento notificata a seguito di
iscrizione a ruolo; in tutti questi casi si prescinde dall'eventuale impugnazione dell'atto da parte del contribuente)
Con particolare riferimento al caso in cui sia stato notificato un titolo esecutivo,va detto che affinchè si possa procedere all'iscrizione ipotecaria sono necessari più presupposti:
-notifica del titolo esecutivo (avviso di accertamento, cartella di pagamento, sentenza di condanna della commissione tributaria) a prescindere se impugnato
davanti al giudice;
-decorso del termine per il pagamento: 30 giorni per l’avviso di accertamento esecutivo; 60 giorni per le cartelle di pagamento;
-notifica del preavviso di ipoteca;
-decorso di altri 30 giorni
-iscrizione dell’ipoteca.
Per quanto riguarda il procedimento di iscrizione ipotecaria da parte dell'Agenzia delle entrate,possiamo dire che:
1)deve essere presentata istanza motivata per l'iscrizione ipotecaria alla commissione tributaria provinciale(si apre dunque un procedimento giurisdizionale)
2)l'istanza deve essere notificata alle parti interessate,le quali,entro 20 giorni,possono presentare memorie e difendersi
3)il presidente fissa con decreto la trattazione dell'istanza per la prima camera di consiglio utile,disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno 10 giorni prima
3)le parti vengono sentite in camera di consiglio
4)il giudice,collegiale,provvede a decidere con sentenza
Decorso, dunque, il termine di pagamento per l’atto impositivo, l’Agenzia Entrate ha facoltà (non è quindi un obbligo e non scatta pertanto in automatico) di iscrivere l’ipoteca
sugli immobili del contribuente. Ma solo a condizione che il debito sia pari o superiore a 20mila euro. Per i debiti inferiori, il fisco dovrà adottare altre forme di pignoramento,
salvo il caso di recupero di rate per l’adesione ai condoni in cui il limite per l’iscrizione dell’ipoteca è di 5mila euro.
Se il debito è pari o superiore a 20mila euro ma inferiore a 120mila euro, l’Agenzia delle Entrate può iscrivere l’ipoteca, ma non può procedere al pignoramento. L’ipoteca resta
quindi una misura di coercizione più psicologica se il debitore non ha intenzione di vendere l’immobile. Certo è che, se qualche altro creditore dovesse pignorare e mettere all’asta
lo stesso bene ove vi è già l’ipoteca fiscale, l’Agenzia delle Entrate parteciperebbe alla divisione del ricavato con prelazione rispetto agli altri creditori.
Se il debito è pari o superiore a 120mila euro, l’Agenzia delle Entrate può iscrivere l’ipoteca e dopo procedere al pignoramento.
Quindi a rischiare è solo chi ha debiti pari o superiori a 120mila euro. Ma siccome il fisco non può rifiutare pagamenti parziali dal contribuente, chi ha un debito ad esempio di
130mila euro, versandone solo 11mila, evita anche il rischio del pignoramento.
Non si può procedere a pignoramento se prima non si iscrive l’ipoteca, nel rispetto della procedura appena elencata.
L’Agenzia delle Entrate può iscrivere l’ipoteca fiscale anche sulla prima casa. Difatti, il divieto volto a tutelare l’unico immobile di residenza, adibito a civile abitazione e non di
lusso riguarda solo il pignoramento. Ad esempio, se un contribuente ha solo una casa, vi vive dentro e vi ha la residenza, non è accatastata in A/8 e A/9, e ha un debito superiore a
20mila euro, può subire l’ipoteca, ma non può mai subire il pignoramento (neanche se il debito fosse superiore a 120mila euro).
L’ipoteca fiscale richiede innanzitutto la notifica di un preavviso di ipoteca. Il preavviso deve dare 30 giorni di tempo per pagare. In caso di omesso versamento del dovuto può
quindi scattare l’ipoteca fiscale.
Di recente, la Cassazione ha confermato che , in tema di riscossione coattiva delle imposte, l’amministrazione finanziaria prima di iscrivere l’ipoteca sui beni immobili deve comunicare al
contribuente che procederà all’iscrizione concedendogli un termine di 30 giorni per presentare osservazioni o procedere con il pagamento. In caso contrario l’ipoteca è nulla.
Come abbiamo anticipato, prima della iscrizione dell’ipoteca è necessario aver notificato al contribuente l’atto impositivo con gli importi da corrispondere. Non è necessario che l’atto sia
divenuto definitivo e dunque l’Agenzia Entrate vi può procedere anche se il contribuente l’ha impugnato ma non ha chiesto o non ha ottenuto la sospensione dell’atto. Se invece la
Commissione Tributaria adita con l’impugnazione dell’atto o l’ente impositore in sede di autotutela hanno concesso la sospensione dell’esecuzione dell’atto impositivo, l’Agenzia non può
iscrivere ipoteca.
Decorso un anno dalla notifica del titolo esecutivo (cartella di pagamento o accertamento esecutivo), se l’espropriazione non è iniziata, l’Agenzia delle Entrate prima di iniziare
l’espropriazione, deve notificare al debitore un avviso che contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro 5 giorni. In verità, secondo numerose
sentenze, questo avviso è necessario solo prima di procedere al pignoramento e non anche all’ipoteca che non è – come abbiamo detto – un atto dell’esecuzione forzata.
Se il contribuente presenta istanza di rateazione del debito, l’Agenzia Entrate non può iscrivere ipoteca se non in caso di rigetto dell’istanza o di decadenza dal beneficio della
rateazione. Per questi motivi, è importante che il contribuente presenti istanza di dilazione prima del decorso del termine di pagamento, posto che, in detto lasso temporale,
l’ipoteca non può essere iscritta. Il contribuente potrebbe presentare l’istanza anche dopo la notifica del preavviso di ipoteca. L’eventuale ipoteca già iscritta prima della
concessione della rateazione rimane valida.
L’ipoteca perde efficacia nei seguenti casi:
-adempimento del contribuente;
-annullamento dell’iscrizione da parte del giudice tributario;
-annullamento (in autotutela o ad opera del giudice) della cartella o dell’avviso di accertamento.
Inoltre, occorre considerare che in base alle disposizioni ordinarie, l’ipoteca si estingue:
-con la cancellazione dell’iscrizione;
-con la mancata rinnovazione dell’iscrizione entro il termine dell’art. 2847 c.c.;
-con l’estinguersi dell’obbligazione;
-con il perimento del bene ipotecato;
-con la rinunzia del creditore;
-con lo spirare del termine a cui l’ipoteca è stata limitata o col verificarsi della condizione risolutiva;
-con la pronunzia del provvedimento che trasferisce all’acquirente il diritto espropriato e ordina la cancellazione delle ipoteche.
→ IPOTECA ESATTORIALE: l'ipoteca esattoriale è quell'ipoteca che viene iscritta sui beni immobili del contribuente dall'Agenzia delle Entrate-Riscossione . L’ipoteca iscritta
dall’agente della riscossione è identica, nei presupposti ,a quella fiscale dell’Agenzia delle Entrate.,per cui possiamo semplicemente ripetere quelli che sono gli elementi
essenziali di tale tipologia di iscrizione ipotecaria :
-può essere iscritta solo se prima viene notificata la cartella di pagamento;
-dalla notifica della cartella di pagamento devono decorrere 60 giorni;
-se in questi 60 giorni il contribuente presenta istanza di rateazione o anche dopo la loro scadenza ma prima dell’effettiva iscrizione dell’ipoteca, l’ipoteca non può più
avvenire;
-dopo il decorso dei 60 giorni, ed almeno 30 giorni prima di iscrivere l’ipoteca, l’agente della riscossione deve notificare un preavviso di ipoteca;
-dopo 30 giorni dal preavviso di ipoteca si può iscrivere l’ipoteca anche se la cartella è stata impugnata (e sempre che il giudice non l’abbia sospesa);
-l’ipoteca si può iscrivere a condizione che il debito sia pari o superiore a 20mila euro; se poi è superiore a 120mila euro, oltre all’ipoteca è possibile anche il pignoramento
dell’immobile (altrimenti resta ferma solo l’ipoteca);
-l’ipoteca si può iscrivere anche sulla cosiddetta “prima casa” (ossia l’unico immobile di proprietà del debitore, adibito a civile abitazione di residenza, non accatastato A/8 e A/
9), ma su di essa non è mai possibile il pignoramento, anche se il debito supera 120mila euro;
-non si può procedere a pignoramento se prima non si iscrive l’ipoteca, nel rispetto della procedura appena elencata;
-si può iscrivere ipoteca anche sui beni inseriti nel fondo patrimoniale se si tratta di debiti fiscali collegati alla famiglia (ad esempio imposte sulla casa) o sul lavoro (ad esempio
imposte sui redditi);
-si può iscrivere l’ipoteca per un importo non superiore al doppio del valore del credito per il quale si procede; di conseguenza, è illegittima l’iscrizione ipotecaria quando il
valore del bene sottoposto al provvedimento è sproporzionata rispetto al credito vantato, ed in particolare superiore rispetto al doppio del credito.
-SEQUESTRO CONSERVATIVO:
Il sequestro conservativo è una misura cautelare che può essere messa in atto dall'Agenzia delle Entrate qualora vi sia il timore di perdere la garanzia del proprio credito. Quanto ai
presupposti,possiamo osservare che l'istanza di sequestro conservativo può essere richiesta sia semplicemente a seguito di un PVC,sia dopo la notifica di un titolo esecutivo(quale
avviso di accertamento o cartella di pagamento).
In merito al procedimento necessario per porre sotto sequestro conservativo i beni del contribuente debitore,possiamo osservare che esso ricalca quello già delineato per l'iscrizione
ipotecaria,sicchè:
→ il creditore,che abbia timore di perdere la garanzia del proprio credito,deve presentare istanza,motivata, per l'autorizzazione a procedere al sequestro conservativo,dinanzi alla
commissione tributaria provinciale (aprendosi quindi un procedimento giurisdizionale)
→ l'istanza deve essere notificata alle parti interessate,le quali,entro 20 giorni,possono presentare memorie e difendersi
→ il presidente fissa con decreto la trattazione dell'istanza per la prima camera di consiglio utile,disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno 10 giorni prima
→ le parti vengono sentite in camera di consiglio
→ il giudice,collegiale,provvede a decidere con sentenza
A norma dell'art. 671 c.p.c.,il sequestro conservativo può essere posto su beni immobili o su beni mobili del contribuente debitore,ivi ricompresa l'azienda.
I beni sequestrati sono sottratti alla libera disponibilità del debitore proprietario e sono sottoposti a custodia.
Il sequestro conservativo,a norma dell'art. 2906 c.c., rende inefficaci,in pregiudizio del creditore sequestrante,le alienazioni e gli altri atti che hanno per oggetto la cosa sequestrata,in
conformità delle regole stabilite per il pignoramento(cd. Inefficacia relativa).
-FERMO AMMINISTRATIVO DEI BENI MOBILI REGISTRATI:
Il fermo amministrativo è l’atto con cui si dispone il blocco di uno o più veicoli intestati al debitore.
Prima che la procedura venga attivata, il debitore riceve la comunicazione di “preavviso” contenente i dati identificativi del veicolo (targa), l’elenco delle cartelle/avvisi a cui il
fermo è riferito e l’invito a mettersi in regola nei successivi 30 giorni.
Trascorsi 30 giorni dalla notifica del preavviso senza che il debitore abbia dato seguito al pagamento del proprio debito, oppure senza che ne abbia richiesto la rateizzazione,
ovvero in mancanza di provvedimenti di sgravio o sospensione, l’Agente della riscossione procede, senza ulteriore comunicazione, con l’iscrizione del fermo amministrativo
al Pubblico registro automobilistico (PRA).
Il fermo non viene iscritto se il debitore dimostra, sempre nel medesimo termine di 30 giorni, che il veicolo è strumentale all’attività di impresa o della professione dallo stesso
esercitata (DL n. 69/2013 cd. “decreto del fare” convertito con modificazioni dalla legge n. 98/2013). Inoltre, per evitare situazioni di disagio alle persone diversamente abili, l’Agenzia non
darà seguito all’iscrizione del fermo amministrativo su veicoli adibiti al loro trasporto, ovvero procede alla relativa cancellazione nel caso sia già avvenuta la registrazione.
L’Agente della riscossione provvede, con modalità telematiche e senza che il debitore presenti alcuna istanza, alla cancellazione del fermo nel caso di pagamento integrale del
debito oggetto della procedura.
Inoltre, se le cartelle/avvisi per le quali è stato iscritto il fermo sono oggetto di rateizzazione o di definizione agevolata, dopo l’integrale e tempestivo pagamento della prima
rata, è prevista la sospensione del fermo al fine di consentire al contribuente di poter circolare con il veicolo interessato.

4.3- L'ESECUZIONE FORZATA TRIBUTARIA


-ESECUZIONE FORZATA TRIBUTARIA:
Con esecuzione forzata tributaria si vuole far riferimento ad una serie di procedure esecutive,disciplinate dal d.p.r. 602/1973, finalizzate all'espropriazione dei beni del contribuente,sì da
soddisfare la pretesa erariale. Attraverso l'esecuzione forzata tributaria dunque,al pari dell'esecuzione forzata di stampo civilistico, l'Agenzia delle Entrate-Riscossione provvede ad
espropriare il contribuente inadempiente dei suoi beni,pignorandoli e dunque soddisfacendo la propria pretesa sul ricavato di questi.
Nell'esecuzione forzata tributaria,al pari dell'esecuzione forzata contemplata dal codice di procedura civile,vige il principio per cui “nulla executio sine titulo”,per cui possiamo affermare
tranquillamente che l'esecuzione forzata tributaria presuppone la notifica di un titolo esecutivo e di un precetto. Va a tal proposito ricordato che l'ordinamento tributario contempla, in
generale, due distinti atti che assurgono alla funzione di titolo esecutivo ,su cui si può fondare una esecuzione forzata tributaria ai sensi del d.P.R. n. 602/1973 e, precisamente, gli
“accertamenti esecutivi”, operanti nell’ambito dei tributi reddituali, Irap ed Iva (disciplinati dall’art. 29 del d.l. 31.5.2010, n. 78 e dal successivo art. 30 per gli avvisi di addebito in materia
contributiva) e l’iscrizione a ruolo (regolata dal d.P.R. 602/1973 e dal d.lgs. 13.4.1999, n. 112).
Ai sensi dell’art. 7, co. 2, lett. gg quater), del d.l. n. 70/2011 è possibile utilizzare la procedura esecutiva di cui al d.P.R. n. 602/1973 anche per le entrate degli enti locali riscosse a mezzo di
ingiunzione fiscale di cui al r.d. n. 639/1910 .
Da quanto sopra detto emerge che costituiscono dunque presupposti dell'esecuzione forzata tributaria,alternativamente:
→ l'avviso di accertamento esecutivo di cui all'art. 29 del d.l. 78/2010,il quale,contenendo un'intimazione ad adempiere entro 30 giorni decorrenti dalla scadenza dei 60 giorni
previsti come termine di impugnazione,ha la natura di atto impositivo,di titolo esecutivo ed altresì di precetto
→ la cartella di pagamento:il ruolo costituisce il titolo esecutivo,mentre la cartella di pagamento ha la natura di precetto,dal momento che essa contiene l'intimazione ad
adempiere entro i 60 giorni dalla notifica della cartella medesima
Per quanto riguarda il momento in cui l'agente della riscossione può effettivamente avviare l'esecuzione forzata sui beni del contribuente debitore,vi è una differenziazione:
→ in caso di avviso di accertamento esecutivo infatti, una volta affidato il carico all'agente della riscossione (cosa che avviene trascorsi 90 giorni dalla notifica dell'atto di
accertamento stesso),quest'ultimo dovrà attendere necessariamente 180 giorni dal momento in cui abbia preso in carico la somma dovuta(periodo cuscinetto),tranne nel caso
in cui vi sia un fondato ed imminente pericolo per la riscossione. È bene poi osservare che qualora il contribuente proponga ricorso contro l'avviso di accertamento esecutivo e
richieda la sospensione dell'esecuzione,qualora la sua istanza venga accolta(entro un termine massimo di 120 giorni),l'esecuzione forzata verrà sospesa.
→ in caso di iscrizione a ruolo e notifica successiva della cartella di pagamento: nel caso di notificazione al contribuente di una cartella di pagamento,la quale,ricordiamo,ha il
valore di precetto,il contribuente ha a disposizione 60 giorni dalla notificazione per impugnarla. Trascorso inutilmente il termine di 60 giorni dalla notifica della cartella,l'agente
della riscossione potrà sia procedere eventualmente ad azionare procedure cautelari,sia procedere a dare avvio all'esecuzione forzata. In virtù del fatto che la cartella esattoriale
ha la natura di precetto,per cui la stessa ha efficacia di un anno dal momento in cui viene notificata,l'agente della riscossione che voglia procedere all'esecuzione forzata dopo che sia
trascorso oltre un anno dalla notifica della cartella di pagamento,dovrà necessariamente notificare al contribuente un atto di intimazione ad adempiere (entro 5 giorni)(altrimenti non potrà
procedere ad esecuzione forzata).
Fondamentalmente,attraverso l'esecuzione forzata tributaria,l'agente della riscossione vuole realizzare un pignoramento dei beni del contribuente. Prima di procedere,l'agente della
riscossione deve individuare i beni del contribuente inadempiente da pignorare. I beni da pignorare,ossia da sottoporre ad esecuzione forzata,vengono individuati attraverso le seguenti
modalità:
a)accesso agli uffici pubblici,anche in modalità telematica,con il potere di prendere visione e di estrarre copia degli atti riguardanti i beni dei debitori iscritti a ruolo e dei
coobbligati,nonchè di ottenere,in carta libera,le relative certificazioni
b) accesso ai dati contenuti nell'anagrafe tributaria,nonchè nella banche dati di altri enti pubblici
Il d.p.r. 602/1973 ,similmente a quanto si rinviene nel codice di procedura civile, fissa alcuni principi generali in materia di esecuzione forzata, per poi disciplinare ,più nello specifico,le
singole forme di esecuzione forzata,o ,per essere più precisi, le singole forme di espropriazione.
Gli artt. 51-56 del d.P.R. n. 602/1973 dettano alcune regole valide per tutte le procedure espropriative (a ben vedere sono applicabili essenzialmente alle espropriazioni mobiliari o
immobiliari). Tali regole sono così sintetizzabili:
a) la procedura esecutiva tributaria può essere avviata anche nei confronti di un debitore che sta subendo una procedura ordinaria iniziata da un creditore privato e, in tali
ipotesi, l’agente della riscossione si può surrogare al creditore procedente instaurando l’esecuzione speciale in luogo di quella ordinaria che dunque si estingue (art. 51, d.P.R.
n. 602/1973)
b) la vendita dei beni espropriati avviene sempre mediante incanto e, a differenza della procedura ordinaria, non deve essere autorizzata dal giudice (art. 52, d.P.R. n. 602/1973)
c)il pignoramento perde efficacia se, decorsi duecento giorni dalla sua esecuzione, non sia stato effettuato il primo incanto (art. 53, d.P.R. n. 602/1973, come da ultimo modificato
dall’art. 52, co. 1, lett. c), d.l. 21.6.2013, n. 69)
d)i creditori privati possono intervenire nella procedura speciale, con istanza redatta ai sensi dell’art. 499 c.p.c., indirizzata all’agente della riscossione (art. 54, d.P.R. n.
602/1973)
e) l’agente della riscossione non può mai chiedere l’assegnazione dei beni pignorati (art. 55, d.P.R. n. 602/1973), né può essere custode (art. 64, d.P.R. n. 602/1973)
f) il primo contatto con il giudice dell’esecuzione si ha entro dieci giorni dalla vendita, termine entro il quale l’agente della riscossione deve depositare in cancelleria gli atti ed
il prezzo, per essere autorizzato dal giudice a trattenere l’ammontare corrispondente al credito per cui si procede (art. 56, d.P.R. n. 602/1973).
Come accennato poc'anzi,anche nell'ambito dell'esecuzione forzata tributaria,al pari dell'esecuzione forzata di stampo civilistico, sono previste tre forme di esecuzione,di
espropriazione,o,per meglio dire,3 forme di pignoramento,quali:
→ espropriazione ,o pignoramento,immobiliare:il pignoramento immobiliare dei beni del contribuente debitore merita particolare attenzione. In merito va anzitutto sottolineato
che devono sussistere 3 condizioni affinchè si possa procedere al pignoramento dei beni immobili del contribuente. Tali condizioni sono le seguenti:
1. L’importo complessivo del credito deve essere complessivamente pari o superiore ad € 120.000;
2. L’immobile pignorabile non può essere costituito dall’abitazione principale del contribuente, salvo il caso in cui si tratti di immobile di lusso(classi
catastali a8 e a9,per ville e castelli)
3. qualora ,eventualmente,sia stata iscritta ipoteca sull'immobile da pignorare,devono essere decorsi sei mesi dall'iscrizione ipotecaria,senza che il
contribuente abbia estinto il proprio debito
Oltre alle condizioni sopra elencate,possiamo aggiungere che l'agente della riscossione,sulla base dei requisiti previsti dal d.m. 2 agosto 1969,non può in alcun modo pignorare un
immobile che risulti essere un bene essenziale,ossia unico bene di proprietà del contribuente debitore,prescindendo dalla classe catastale.
Per quanto riguarda poi la procedura del pignoramento immobiliare dei beni del contribuente,possiamo evidenziare i seguenti passaggi:
→ il pignoramento immobiliare si esegue mediante trascrizione dell'avviso di vendita dell'immobile presso la Conservatoria dei registri immobiliari territorialmente competenti
→ l'avviso di vendita deve indicare le generalità del debitore,il prezzo base del bene che sarà ceduto all'asta,l'importo minimo di rilancio dell'offerta ,la data e l'ora in cui
avverrà la vendita
→ l'avviso di vendita deve essere notificato al contribuente pignorato entro 5 giorni dalla data in cui abbia avuto luogo la trascrizione nei registri immobiliari
→ il prezzo base del bene è pari al valore determinato in base alla rendita catastale agli effetti dell'imposta di registro,moltiplicato per tre
→ la vendita dell'immobile pignorato avrà luogo all'incanto: se al primo incanto la vendita non ha luogo,si procederà via via al secondo ed al terzo incanto,con una diminuzione
del prezzo base pari,rispettivamente,ad 1/3 del prezzo fissato per l'incanto precedente (ad esempio,primo incanto 90 000,secondo incanto 60 000,terzo incanto 40 000).
Qualora anche il terzo incanto abbia esito negativo,l'immobile sarà devoluto allo Stato per il prezzo base del terzo incanto
→ espropriazione,o pignoramento,mobiliare:La disciplina dell’espropriazione mobiliare,secondo quanto disposto dal d.p.r. 602/1973, si ricava dagli artt. 513 ss. c.p.c. ,in
quanto compatibili e non derogati dalle disposizioni generali del d.P.R. 602/1973 (artt. 49-56), nonché dalle disposizioni particolari dettate per questa procedura (artt. 62-71).
Sono previsti due incanti, il secondo alla metà del prezzo rispetto al primo e, se la vendita non avviene, l’agente della riscossione può procedere ad una trattativa privata ad un
prezzo ulteriormente ridotto della metà, ovvero procedere ad un terzo incanto ad offerta libera
→ pignoramento presso terzi:Del tutto particolare è il procedimento di espropriazione presso terzi (disciplinato dagli artt. 72 ss., d.P.R. n. 602/1973). Attraverso questa forma di
pignoramento,l'agente della riscossione ordina al terzo di corrispondere direttamente al fisco quanto invece spetterebbe al contribuente. Dunque,
fondamentalmente,attraverso il pignoramento presso terzi,è possibile rivolgersi a soggetti che siano debitori del contribuente(il terzo,per il fisco,è debitor debitoris),ordinando
loro di versare quanto dovuto direttamente al fisco. Il pignoramento presso terzi può riguardare i conti correnti bancari facenti capo al contribuente debitore,i canoni di
locazione eventualmente a lui dovuti, i beni mobili che si trovino presso l'immobile di proprietà di un terzo ma che siano però ,presumibilmente,di proprietà del contribuente
che ivi abbia la sua residenza,nonchè gli stipendi( pignorabili in misura massima di 1/10 qualora essi siano fino a 2500 euro,in misura pari ad 1/7 per stipendi compresi tra
2500 e 5000 euro,in misura pari ad 1/5 per stipendi maggiori di 5000 euro)
Sembra, però, difettare di qualunque efficacia “espropriativa”, poiché la stessa norma prevede che, nel caso in cui il terzo non ottemperi all’ordine dell’agente della riscossione, quest’ultimo
deve avviare il procedimento ordinario di cui agli artt. 543 ss. c.p.c.
-OPPOSIZIONI NEL PROCESSO ESECUTIVO:
Quali forme di tutela del contribuente che si veda promuovere l'esecuzione forzata tributaria da parte dell'agente della riscossione,sono state previste 3 tipologie di opposizioni nel
processo esecutivo tributario(al pri di quanto previsto nel c.p.c.),quali:
→ opposizione all'esecuzione: si ha opposizione all'esecuzione qualora il contribuente contesti il diritto della parte istante di procedere all'esecuzione forzata (art. 615 c.p.c.).
Si ha opposizione all'esecuzione ,ad esempio,qualora il contribuente contesti che l'agente della riscossione sta provvedendo ad espropriare un bene essenziale ex d.m. 2 agosto
1969,quindi un bene assolutamente inespropriabile,oppure qualora il contribuente sollevi che ,a seguito dell'affidamento in carico della somma all'agente della riscossione decorsi 90 giorni
dalla notifica dell'avviso di accertamento esecutivo,non sia ancora trascorso il termine di ulteriori 180 giorni necessari affinchè si possa procedere ad esecuzione forzata
→ opposizione agli atti esecutivi: si ha opposizione agli atti esecutivi qualora il contribuente contesti la regolarità formale dei titoli esecutivi,del precetto,o dei singoli atti
esecutivi che darebbero luogo all'esecuzione forzata(art. 617 c.p.c.)
→ opposizione di terzo: si ha opposizione di terzo qualora il terzo contesti di essere egli stesso proprietario dei beni pignorati,oppure di essere titolare di un diritto reale sugli
stessi(art. 619 c.p.c.). Tale opposizione si può avere entro e non oltre la data fissata per il primo incanto
Tali forme di opposizione nel processo esecutivo costituiscono forme di tutela per il contribuente che si vanno ad aggiungere al ben più noto ricorso contro i titoli esecutivi.
Per quanto riguarda il giudice da adire,possiamo notare che vi è un riparto della giurisdizione (che si ricava dal combinato disposto degli artt. 2 e 19 del d.lgs. 31.12.1992, n. 546 e dall’art.
57, d.P.R. n. 602/1973),per cui:
a)alla Commissione tributaria nel caso di ipoteca sugli immobili o fermo amministrativo, sempre che la riscossione sia legata a tributi di sua competenza (ai sensi dell’art.
19 D.Lgs. 546/1992);
b)al giudice ordinario del luogo in cui si trovano i beni pignorati (nel caso di crediti, del luogo in cui risiede il terzo), in tutti gli altri casi.
Qualora il giudice dell'esecuzione accolga l'opposizione proposta dal contribuente, potrà sospendere la procedura esecutiva sulla base della ricorrenza di “gravi e fondati motivi “,nonchè
qualora vi sia un fondato pericolo di grave e irreparabile danno.
Da ultimo,occorre osservare che l'art. 59 D.P.R. 602/1973 dispone che i soggetti che si ritengono lesi dall’azione di riscossione coattiva, alla conclusione della procedura possono agire contro il
concessionario, il quale risponderà ‹‹ dei danni e delle spese di giudizio anche con la cauzione prestata, salvi i diritti degli enti creditori. ››

PARTE 8 – LE SANZIONI NELL'ORDINAMENTO TRIBUTARIO


CAPITOLO 1- NOZIONI GENERALI E SISTEMA SANZIONATORIO TRIBUTARIO
-SANZIONE TRIBUTARIA:
Con sanzione tributaria si intende far riferimento alla reazione dell'ordinamento dinanzi alla violazione della norma tributaria,per cui la sanzione viene essa stessa a configurarsi quale
strumento attraverso cui si assicura l'osservanza del precetto contenuto nella norma tributaria (e attraverso cui si garantisce un rilevante gettito all'erario)
Come avremo poi meglio modo di vedere,le sanzioni,nell'ambito del diritto tributario,hanno avuto,in differenti momenti storici,diverse finalità,quali:
→ una finalità punitiva o afflittiva: nel qual caso la sanzione ricade direttamente in capo a chi ha commesso la violazione,per cui la sanzione si configura come personale ed
intrasmissibile
→ una finalità risarcitoria: nel qual caso la sanzione grava su chi abbia beneficiato della violazione della norma tributaria,per cui essa,negando rilevanza all'elemento personalistico,si
configura come avente natura civile e come trasmissibile.
Le sanzioni tributarie possono essere di due tipi,ossia sanzioni amministrative e sanzioni penali,le quali sono da ricondursi, rispettivamente,ad un illecito amministrativo e ad un illecito
penale.
Sulla base del cd. Criterio nominalistico,la qualificazione dell'illecito dipende dal tipo di sanzione che la legge commina,per cui:
→ è illecito amministrativo l'illecito per il quale sono previste sanzioni amministrative;
→ è illecito penale, l'illecito per il quale è irrogata una delle pene previste dal codice penale (reclusione e multa per i delitti, arresto e ammenda per le contravvenzioni)
Tale criterio distintivo è valido anche nel diritto tributario, con l'avvertenza che l'illecito penale tributario è attualmente sanzionato solo con la pena della reclusione.
Ai reati ed alle sanzioni penali si contrappongono le violazioni e le sanzioni amministrative.
È bene dunque stabilire quali siano le differenze intercorrenti tra sanzioni amministrative tributarie e sanzioni penali tributarie. Vi sono differenze inerenti a :
→ soggetto che commina la sanzione: nel caso delle sanzioni amministrative tributarie,esse vengono comminate dall'amministrazione finanziaria,eccezion fatta per la Guardia
di Finanza; nel caso invece delle sanzioni penali tributarie,esse vengono comminate dall'autorità giudiziaria a seguito di un procedimento di giurisdizione penale.
→ oggetto della sanzione: la sanzione amministrativa tributaria si sostanzia fondamentalmente in una sanzione pecuniaria,con ciò intendendo che essa consiste nel
pagamento di una somma di denaro proporzionale rispetto alla violazione della norma tributaria riscontrata e quindi proporzionale al tributo non dichiarato o non versato.
Alcune sanzioni amministrative tributarie possono anche qualificarsi come accessorie,in quanto collegate alla violazione di obblighi formali(si pensi ad esempio all'omessa
comunicazione dati, all'omessa risposta alle richieste di informazioni del fisco, etc..); tali sanzioni amministrative tributarie accessorie sono a contenuto interdittivo,con ciò
intendendo che esse prevedono una limitazione di facoltà ,poteri o status riconosciuti al contribuente. Le sanzioni tributarie penali,di contro,piuttosto che colpire il
patrimonio,restringono la libertà personale del contribuente,sostanziandosi nell'arresto e nella reclusione
→ carattere generale o speciale: le sanzioni penali tributarie sono connotate dal principio di specialità,con ciò intendendo che,nell'ambito del diritto penale tributario, sono
contemplati esclusivamente casi di delitti punibili a titolo di dolo specifico(che deve essere provato dal PM),ossia delitti per la cui punibilità è richiesta non soltanto la
coscienza e la volontà del fatto tipico,ma altresì il fine specifico di evadere determinate imposte(a differenza del diritto penale comune,che prevede,accanto alla figura del delitto
doloso,anche la figura del delitto colposo). Al contrario, le sanzioni amministrative tributarie puniscono sia le condotte dolose che colpose e il grado di colpevolezza influisce sulla
determinazione della sanzione che è rapportata alla gravità della violazione, desunta anche dalla condotta dell'agente; l'ufficio dell'agenzia fiscale deve provare il dolo o la
colpa grave, mentre la semplice colpa è presunta a carico del contribuente che ha coscientemente e volontariamente posto in essere la violazione.
-CONCORSO DI SANZIONI PENALI ED AMMINISTRATIVE:
Qualora uno stesso fatto venga a configurarsi al contempo come illecito penale ed illecito amministrativo,con ciò intendendo che tale fatto viene considerato sia come violazione di norme
penali tributarie,sia come violazioni di norme amministrative tributarie,dovrà applicarsi ,in virtù del principio di specialità,la norma speciale,che abbia un ambito di applicazione
maggiormente ristretto. Solitamente è la norma penale tributaria ad avere carattere di specialità,dal momento che,come abbiamo detto,essa commina sanzioni soltanto a carico di quei
soggetti che abbiano agito,in violazione della norma,con dolo specifico,ossia con volontarietà della condotta e volontarietà degli effetti lesivi conseguenti alla condotta.
È bene tuttavia osservare che esistono alcune eccezioni all'operatività del principio di specialità,che,dall'analisi che abbiamo fatto,risulta finalizzato ad evitare che un medesimo soggetto venga
sanzionato due volte. Tali eccezioni sono costituite da casi in cui le sanzioni penali tributarie vengono a cumularsi con le sanzioni amministrative tributarie: un esempio si ha nell'ambito degli illeciti
commessi in ambito societario,per cui la sanzione pecuniaria per cui sono solidalmente responsabili i socie e la società di va a cumulare con la sanzione penale irrogabile alla persona fisica del socio.

CAPITOLO 2- LE SANZIONI AMMINISTRATIVE TRIBUTARIE


2.1- DEFINIZIONE E STORIA DELLE SANZIONI AMMINISTRATIVE TRIBUTARIE
-SANZIONE AMMINISTRATIVA TRIBUTARIA:
La sanzione amministrativa tributaria rappresenta una delle reazioni punitive dell'ordinamento giuridico alla realizzazione di un illecito fiscale ,quindi alla violazione di una norma
tributaria. Essa si sostanzia in una sanzione irrogata dall'amministrazione finanziaria ,consistente nell'obbligo di pagamento di una somma di denaro(proporzionale rispetto al tributo non
dichiarato o non versato),obbligo che tuttavia può essere integrato da misure accessorie stabilite ex lege e a contenuto interdittivo.
Dunque la sanzione amministrativa tributaria si configura in genere come una sanzione pecuniaria,improduttiva di interessi ed intrasmissibile agli eredi,la cui misura,alternativamente,:
→ può variare tra un minimo ed un massimo ,essendo quindi stabilita,entro tale forchetta,in maniera discrezionale,avendo riguardo alla gravità della violazione,al
comportamento dell'agente ed alle condizioni economiche e sociali di quest'ultimo
→ può essere pari ad una frazione o ad un multiplo del tributo cui si riferisce la violazione
→ può essere stabilita in misura fissa
Le sanzioni amministrative accessorie,come abbiamo detto,hanno contenuto principalmente interdittivo,per cui possono consistere in:
→ interdizione dalla carica di amministratore,sindaco o revisore di società di capitali
→ interdizione dalla partecipazione a gare pubbliche
→ interdizione dal conseguimento di licenze,concessioni ed autorizzazioni
→ sospensione,per un massimo di 6 mesi,dall'esercizio di attività di lavoro autonomo o di impresa
-STORIA DELLA DISCIPLINA NORMATIVA DELLE SANZIONI AMMINISTRATIVE TRIBUTARIE:
Attualmente,la disciplina della sanzione tributaria amministrativa costituisce il punto d'arrivo di una rilevante evoluzione storica,all'interno della quale si è cercato di coniugare gli aspetti
peculiari della materia tributaria con i principi generali della disciplina sanzionatoria. Per cercare di esporre l'iter storico-evolutivo che la sanzione amministrativa tributaria ha
avuto,possiamo dire che la disciplina normativa della sanzione amministrativa tributaria può essere divisa in 3 fasi:
→ L. 4/1929: la L. 4 /1929,entrata in vigore contestualmente all'attuale codice penale,titolava “ norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie”. Essa ha costituito la
prima normativa compiuta in materia di violazioni tributarie. È in primo luogo da osservare che ,in tale ambito,si parlava non tanto di sanzioni tributarie autonome,quanto,piuttosto,di
sanzioni pubbliche. Possiamo addentrarci nell'esposizione dei contenuti maggiormente di rilievo della L. 4/1929:
1)divisione interna tra le violazioni delle leggi finanziarie dello Stato: in base alla L. 4/1929,costituivano delitto o contravvenzione le violazioni di norme contenute in leggi
finanziarie per le quali era stabilita una delle pene previste dal codice penale. Si trattava dunque di sanzioni penali. Distinte dalle sanzioni penali erano invece le sanzioni
amministrative,che venivano definite come “obbligazioni di carattere civile” e che ricorrevano quando “alla violazione delle leggi finanziarie che non costituisce reato sorge per
il trasgressore l'obbligazione al pagamento di una somma a titolo di pena pecuniaria. Le obbligazioni a carattere civile,che costituivano dunque l'antecedente storico della
sanzione amministrativa,erano la pena pecuniaria e la soprattassa,irrogate rispettivamente dalle Intendenze di Finanza e dall'Amministrazione finanziaria,consistenti entrambe
in un'obbligazione di pagamento di una somma di denaro.
Questa costituisce forse la novità più significativa introdotta dalla L. 4 /1929,dal momento che questa summa divisio ,tra violazioni che davano luogo a reati e violazioni che
generavano obbligazioni di carattere civile,va a ricalcare appieno quella che oggi è la divisione tra sanzioni amministrative tributarie e sanzioni penali tributarie
2)principio di fissità: la L. 4/1929 enunciava il principio di fissità,in virtù del quale le disposizioni della l. 4/1929 medesima non sarebbero potute essere modificate o abrogate
da leggi posteriori,salvo espressa dichiarazione del legislatore in tal senso (no abrogazione tacita)
Il sistema sanzionatorio introdotto con la l. 4/1929 avrebbe regolato la materia fino alla metà del 900.
per avere qualche cambiamento occorre arrivare alla riforma degli anni 70,con la quale si è provveduto ad un riordino delle competenze sanzionatorie rispetto ai singoli
tributi,con la quale si è avuta una depenalizzazione delle sanzioni penali di minor ammontare (riducendole a sanzioni amministrative) e con la quale,infine,si è eliminato il
precedente principio di fissità e la cd. Pregiudiziale tributaria(in virtù della quale il reo doveva attendere i tempi della definizione contenziosa dell'accertamento ,prima che potesse
avere inizio il processo penale).
→ L.689/1981: il sistema delle sanzioni amministrative tributarie fu integralmente riformato grazie alla L. 689/1981,la quale non soltanto ebbe il merito di introdurre una
disciplina generale delle sanzioni irrogate dalla Pubblica Amministrazione,ma ebbe altresì la peculiarità di rendere le sanzioni amministrative in ambito tributario(ma non solo)
assoggettabili in qualche modo ai principi di diritto penale,con particolare riferimento agli elementi dell'imputabilità e della colpevolezza.
→ D.lgs. 472/1997: con il d.lgs. 472/1997,si è avuta una riforma sostanziale del sistema sanzionatorio, introducendo una disciplina organica delle sanzioni amministrative
tributarie,per certi versi dotata di autonomia e per altri versi ispirata comunque ai principi del diritto penale . Successivamente, vi sarebbe stata una riforma delle sanzioni
penali con il d.lgs. 74/2000.
In particolare,va osservato che,relativamente alle sanzioni amministrative tributarie,mentre le stesse,alla luce della L. 4/1929,avevano una natura sostanzialmente risarcitoria,in virtù della
quale tali sanzioni erano commisurate al danno provocato e presentavano una scarsa rilevanza sotto il profilo soggettivo,essendo le stesse trasmissibili,con la riforma operata invece dal
D.lgs. 472/1997 tali sanzioni hanno sostanzialmente assunto un modello punitivo,o afflittivo,ispirato ai principi del diritto penale,per cui l'elemento soggettivo ha assunto un rilievo
preminente,rendendo tali sanzioni intrasmissibili e rendendo ,qualora vi fossero,i diversi autori dell'illecito non più coobbligati solidali.
Dunque con la riforma operata dal D.lgs 472/1997,le sanzioni amministrative tributarie sono state ispirate da un principio personalistico. Tale principio personalistico è però venuto meno
con riguardo alle società ed agli enti con personalità giuridica,giacchè il d.l. 269 /2003,all'art.7 ,ha disposto che: “le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o
di enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica”.

SCHEMA RIASSUNTIVO DELLA DISCIPLINA DELLE SANZIONI AMMINISTRATIVE TRIBUTARIE PRIMA E POST RIFORMA

SANZIONI AMMINISTRATIVE TRIBUTARIE PRE-RIFORMA – L. 4/1929 POST RIFORMA EX D.LGS472/1997 Natura afflittiva /modello
Natura Risarcitoria /modello risarcitorio personalistico
Caratteristiche L'obiettivo della sanzione era risarcire l'ente del danno subito. La L'obiettivo è punire il trasgressore. Ha rilievo preminente l'elemento
generali sanzione è commisurata al danno provocato,quindi rapportata al soggettivo (dolo o colpa). La sanzione è riferita alla persona fisica
tributo a cui si riferisce la sanzione. che ha commesso o concorso a commettere la violazione.

Conseguenze Per Società E Enti Sono destinatari della sanzione Non sono destinatari della sanzione: non è ad essi imputato l'illecito
Collettivi,nonchè enti con personalità giuridica e non è irrogata la sanzione. Un eccezione è il caso di
dipendente/amministratore che commette un illecito con colpa lieve:
se la sanzione supera i 50.000€ il fisco può richiedere il pagamento
alla società. Il pagamento per intero della società libera chi ha
commesso l‟illecito.illecito.
Dopo il 2003, le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale
proprio di società o enti con personalità giuridica sono a carico di
quest'ultima.
L'obbligazione sanzionatoria è riferita alla società.

Pluralità di autori della violazione per cui si commina la Rispondono in solido del pagamento della sanzione Ciascun trasgressore è responsabile per un'autonoma obbligazione
sanzione di sanzione

Morte dell'autore della violazione L'obbligo di pagare la sanzione passa agli eredi Intrasmissibilità della sanzione, salvo eccezioni

2.2- PRINCIPI SULLE SANZIONI AMMINISTRATIVE TRIBUTARIE EX D.LGS. 472/1997


-PRINCIPI DELLE SANZIONI AMMINISTRATIVE TRIBUTARIE:
Le sanzioni amministrative sono disciplinate dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, con un sistema organico di principi generali ispirati al modello penalistico tipico della legge generale
sulle sanzioni amministrative (L. 24 novembre 1981, 689).
Si è così affermata una funzione afflittiva e preventiva delle sanzioni amministrative in luogo dell'originaria funzione risarcitoria, volta a reintegrare il danno subito dall'ente impositore per
effetto della violazione dell'obbligo tributario, la quale consentiva di qualificare le sanzioni amministrative come obbligazioni di stampo civilistico cui applicare le regole delle obbligazioni
civili, come, ad esempio, la trasmissibilità agli eredi. Tale modello “afflittivo” della sanzione comporta la riferibilità della sanzione all'autore materiale del fatto e ai concorrenti , la sua non
trasmissibilità agli eredi, e la non produttività degli interessi.
Alcuni dei principi generali sono mutuati direttamente dal diritto penale, come ad esempio, il principio di legalità, di imputabilità, del “favor rei”, di colpevolezza.
In particolare, possono distinguersi due categorie di principi generali:
→ quelli relativi alla condotta del trasgressore, cioè della persona fisica che ha commesso la violazione (si evidenzia che il principio personalistico è stato in parte superato con l'art 7,
del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, che ha previsto l'irrogazione di sanzioni anche alle persone giuridiche): imputabilità (art. 4), colpevolezza (art. 5), cause di non punibilità (art. 6),
concorso di persone (art. 9), concorso di violazioni e continuazione (art. 12);
→ quelli relativi alla sanzione amministrativa: non trasmissibilità dell'obbligazione (art. 8), principio di specialità, criteri di determinazione della sanzione (art. 7), termini di
prescrizione e decadenza (art. 20).
Oltre alla modifica dei principi generali, le sanzioni relative alle singole legge d'imposta sono state riformulate e inserite in due specifici decreti legislativi, uno relativo alle imposte sui redditi ed IVA e
l'altro al resto dei tributi (D.Lgs. nn. 471 e 473, entrambi del 18 dicembre 1997).
-PRINCIPIO DI LEGALITA':
L'art. 3 comma 1 del d.lgs. 472/1997 sancisce il principio di legalità,disponendo che “ nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non in forza di una legge entrata in vigore prima
della commissione della violazione ed esclusivamente nei casi considerati dalla legge”.
Tale disposizione costituisce una sintesi tra l'art. 25 Cost. E l'art. 2 c.p. . In particolare,la disposizione in esame sembra richiamare l'art. 25 comma 2 Cost.,il quale,ricordiamo,pone una
riserva di legge assoluta,stabilendo che “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.
Dunque,in base al principio di legalità,solo la legge può comminare sanzioni,con ciò intendendo che deve essere il solo legislatore a determinare quali fattispecie possano essere
considerate perseguibili, escludendo quindi il ricorso all'interpretazione analogica (ma ferma restando la possibilità di ricorrere ad un'interpretazione estensiva).
Corollari del principio di legalità, sono il principio di tassatività e il divieto di analogia, la cui ratio è quella di scongiurare l'ampliamento o la creazione di fattispecie punitive in sede
attuativa o giurisdizionale. Anche tali principi si intendono riferiti alle disposizioni sanzionatorie tributarie in virtù della previsione della riserva di legge.
-PRINCIPIO DI IRRETROATTIVITA' DELLA LEGGE:
Stante quanto disposto dall'art. 3 comma 1 del d.lgs. 472/1997,ossia che “ nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non in forza di una legge entrata in vigore prima
della commissione della violazione ed esclusivamente nei casi considerati dalla legge” ,possiamo osservare che anche nell'ambito delle sanzioni amministrative tributarie
opera il principio di irretroattività della legge.
Il principio di irretroattività della legge è in questo caso mutuato dall'art. 2, primo comma, c.p., secondo cui “nessuno può essere punito per un fatto che secondo la legge del
tempo in cui fu commesso non costituiva reato”.
Il principio di irretroattività della legge implica,nella materia considerata,che nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non in forza di una legge entrata in vigore prima della
commissione della violazione; al pari,esso implica che non possa operare retroattivamente una norma che renda più onerosa l'entità di una sanzione già esistente.
Secondo un certo orientamento, il principio di irretroattività, a garanzia della autodeterminazione e della libertà dei contribuenti, riguarderebbe non solo le norme sostanziali,
ma anche quelle norme procedimentali e processuali che rilevano direttamente ai fini della restrizione delle libertà personali, economiche e patrimoniali del trasgressore. Tale
tesi è condivisa dalla prassi amministrativa che incentra sul principio del favor rei la soluzione delle questioni di diritto transitorio, giungendo a ritenere inapplicabili alle violazioni
commesse prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 472/1997 non solo “le disposizioni sanzionatorie sopravvenute...” e “le disposizioni che prevedono sanzioni più severe rispetto a quelle
in vigore al tempo della violazione”, ma anche, “in ogni caso”, le “norme che determinano un trattamento più sfavorevole” (Circolare 10 luglio 1998, n. 180).
-FAVOR REI E RETROATTIVITA' DELLA ABOLITIO CRIMINIS:
I successivi commi 2 e 3 dell'art. 3 del D.Lgs. n. 472/1997, invece, richiamano i commi secondo e quarto dell'art. 2 c.p.. In particolare, il comma 2 dell'art. 3 fa riferimento al principio
secondo cui nessuno può essere punito per un fatto che secondo una legge successiva non costituisce più reato (c.d. abolitio criminis).
In particolare, l'abolitio criminis si realizza in caso di abrogazione della norma che prevede la fattispecie sanzionata, vale a dire nell'ipotesi in cui un comportamento punito cessa di essere
tale. In tal caso, se la sanzione è stata già irrogata con provvedimento definitivo, si estingue soltanto il debito residuo e non è ammessa la ripetizione di quanto pagato (art. 3, co. 2, D.Lgs.
n. 472/1997). Si evidenzia che si ha l'abolitio criminis anche quando la norma sanzionatoria è abrogata senza che faccia seguito l'introduzione di una nuova disciplina che sanzioni la medesima
condotta.
Nell'ipotesi di successione di norme nel tempo in relazione alla medesima fattispecie ricorre, invece, il principio del favor rei, in base al quale, se la legge in vigore al momento in cui è
stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole. Il trattamento sanzionatorio più mite, ai fini dell'applicazione di tale
principio, va riscontrato in concreto, non raffrontando in astratto le due norme sanzionatorie, ma verificando gli effetti della loro applicazione in rapporto alle caratteristiche della condotta realizzata dal
trasgressore. Il principio del favor rei si applica non solo quando a mutare sia la sanzione, ma anche quando siano modificati i presupposti della fattispecie che giustifica l'irrogazione della sanzione
medesima. Tale principio, inoltre, si rende applicabile anche ad una norma speciale. Esso opera ogni volta che intervenga una modifica normativa (sia di una norma generale che speciale
secondo principi di giustizia sostanziale che devono comunque ispirare il processo tributario), la quale abroghi una disposizione sanzionatoria o ritocchi l'entità della sanzione (nel senso
della sua concreta determinazione e non semplicemente della misura edittale).
Unico limite per l'applicabilità retroattiva del principio del favor rei è quello della definitività del provvedimento sanzionatorio per mancata impugnazione ovvero a seguito di sentenza
passata in giudicato avente ad oggetto proprio il provvedimento in questione. Nel caso in cui il provvedimento non sia divenuto definitivo la sanzione precedentemente irrogata dovrà
essere ricalcolata in conformità alla disposizione più mite con diritto alla restituzione di quanto già pagato in eccedenza.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, l'applicazione dello “jus superveniens” per norme più favorevoli per il contribuente deve essere rilevato “anche d'ufficio, in ogni stato e grado del
giudizio, e quindi anche in sede di legittimità, all'unica condizione che il provvedimento sanzionatorio non sia divenuto definitivo”. Tale orientamento è stato confermato dalla Suprema
Corte che, con sentenza n. 1656 del 24 gennaio 2013, ha asserito che il giudice può applicare d'ufficio al contribuente la sanzione più favorevole.

APPROFONDIMENTO SUL PRINCIPIO DEL NE BIS IN IDEM:


Il principio del ne bis in idem è un principio generale di diritto (penale) in molti sistemi giuridici, talvolta persino riconosciuto quale diritto costituzionale, come la clausola relativa al ne bis in idem (che proibisce la
doppia punizione - double jeopardy) contenuta nel Quinto Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d'America. In passato si sosteneva che il principio del ne bis in idem trovasse applicazione soltanto a livello
nazionale e che fosse limitato alla giustizia penale.
Molti sono i dubbi sulla praticabilità del divieto nel sistema tributario (Cass. civ., sez. III, 8 aprile 2014 n. 15680), in cui la previsione espressa dell'autonomia e indipendenza del procedimento tributario e penale,
consente l'applicazione delle sanzioni tributarie, le quali non sono tuttavia eseguite in attesa dell'esito del processo penale.
Come sottolineato in dottrina, l'apparato normativo del D.Lgs. n. 74/2000 (artt. 19-21), pur avendo l'obiettivo di impedire una duplicazione di sanzioni in considerazione del rapporto di specialità tra la disposizione
penale e tributaria, può non evitare, tuttavia, la duplicazione dei procedimenti. Il “principio del ne bis in idem sancito dall'art. 50 della Carta non osta, ad esempio, a che uno Stato membro imponga, per le medesime
violazioni di obblighi dichiarativi in materia di IVA, una sanzione tributaria e successivamente una sanzione penale, qualora la prima sanzione non sia di natura penale”.

-PRINCIPIO DI RESPONSABILITA' PERSONALE:


Altro principio cardine del sistema sanzionatorio è quello della responsabilità personale, cioè della riferibilità della sanzione alla persona fisica che ha commesso o a concorso a
commettere la violazione, introdotto con la riforma del 1997 nel convincimento che la responsabilizzazione della persona fisica fosse un passo necessario per creare maggiore coscienza
nell'adempimento del dovere tributario.
Tale principio impone che ,affinchè vi sia un illecito,debbano ricorrere 3 elementi,uno a carattere oggettivo e due a carattere soggettivo:
1)deve essere stato un comportamento,commissivo od omissivo,che abbia violato una norma
2)imputabilità:con imputabilità,desumibile dall'art. 4 del d.lgs. 472/1997,si intende la capacità di intendere e di volere,per cui deve ravvisarsi in capo all'autore della violazione
la capacità di intendere e di volere,da valutarsi secondo i criteri del codice penale
3)colpevolezza: è bene sottolineare che il legislatore non definisce espressamente la nozione di colpevolezza,sicchè la stessa è desumibile dai principi generali,per cui con
colpevolezza si intenderebbe la colpa o il dolo dell'autore della violazione. Possiamo ricordare che una condotta è colposa se la violazione,non voluta dal soggetto agente,è
conseguenza di negligenza,imprudenza ed imperizia (la colpa, invece, è definita grave ,ex art. 5 comma 3 d.lgs. 472/1997,“quando l'imperizia o la negligenza del comportamento sono
indiscutibili e non è possibile dubitare ragionevolmente del significato e della portata della norma violata e, di conseguenza, risulta evidente la macroscopica inosservanza di elementari
obblighi tributari”). A norma dell'art. 5 comma 4 del d.lgs. 472/19977,è invece definibile come condotta dolosa, invece, “la violazione attuata con l'intento di pregiudicare la determinazione
dell'imponibile o dell'imposta ovvero di ostacolare l'attività amministrativa di accertamento”.
Dunque,con colpevolezza,il legislatore fa riferimento alla circostanza per cui ,in capo all'autore della violazione,deve ricorrere alternativamente,o la semplice volontarietà della
condotta(non accompagnata dalla volontarietà delle conseguenze),oppure la volontarietà della condotta insieme alla consapevolezza che tale condotta si pone come
violazione delle norme tributarie.
Il dolo e la colpa grave rilevano ai fini della responsabilità del consulente tributario e del rappresentante negoziale dell'imprenditore individuale e del rappresentante legale delle società ed
enti privi di personalità giuridica (quali ad es. le associazioni non riconosciute). Le violazioni, infatti, commesse dal consulente tributario e comportanti la soluzione di problemi di speciale difficoltà
sono punibili solo in caso di dolo o colpa grave (art. 5, comma 1). Non può, inoltre, essere eseguita la sanzione di importo superiore a 51.645,69 euro nei confronti del rappresentante negoziale
dell'imprenditore individuale o del rappresentante legale delle società di persone e degli enti privi di personalità giuridica (ad es. associazioni non riconosciute) autore della violazione, se quest'ultima
non è stata commessa con dolo o colpa grave e il rappresentante stesso non ne abbia tratto vantaggio (art. 5, comma 2).
-PRINCIPIO DI PROPORZIONALITA':
La misura della sanzione deve essere proporzionata alla gravità della violazione commessa. Tale principio è desumibile dall'art. 7 del d.lgs. 472/1997,il quale,in particolare,dispone :
→ al comma 4,che la sanzione può essere ridotta fino alla metà del minimo qualora concorrano circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l'entità del tributo,cui la
violazione si riferisce,e la sanzione
→ al comma 4bis,che la sanzione è ridotta della metà in caso di presentazione di una dichiarazione o di una denuncia entro 30 giorni dalla scadenza del termine
2.3- CRITERI DI DETERMINAZIONE DELLA SANZIONE
-CRITERI DELLA DETERMINAZIONE DELLA SANZIONE:
Eccetto i limitati casi in cui la sanzione pecuniaria è stabilita in misura fissa, la sanzione tributaria è congegnata in misura variabile, tra un minimo ed un massimo, tenuto conto di fattori
oggettivi e soggettivi, affini a quelli previsti nel diritto penale, secondo il principio di proporzionalità della sanzione rispetto alla violazione commessa.
I criteri di determinazione della sanzione sono i seguenti:
1)la gravità della violazione (art. 7, comma 1), la quale può essere desunta dalle caratteristiche della condotta dell'agente, dall'opera da lui svolta per l'attenuazione o l'eliminazione delle
conseguenze e, per altro verso, dalla personalità del trasgressore e dalle sue condizioni economiche sociali. In particolare, rileva, sotto questo profilo, l'entità del tributo evaso e l'elemento
soggettivo (dolo o colpa);
2)la personalità dell'autore della violazione e le sue condizioni economiche e sociali (art. 7, comma 1). Occorre avere riguardo al fatto che il peso della sanzione è minore quanto
maggiori sono le disponibilità economiche di colui al quale viene inflitta e, nei limiti del possibile18. La personalità del trasgressore è desunta anche dai suoi precedenti fiscali;
3)la recidiva (art. 7, comma 3), secondo la vecchia disposizione la sanzione può essere aumentata fino alla metà nei confronti di chi nei tre anni precedenti sia incorso in altra violazione
della stessa indole. Devono considerarsi della stessa indole non solo le violazioni delle stesse disposizioni, ma anche quelle di disposizioni diverse che presentino però profili di sostanziale
identità per la natura dei fatti che le costituiscono e dei motivi che le determinano: a titolo esemplificativo, si può pensare ad una prima infrazione consistente in una dichiarazione
infedele rilevante ai soli fini delle imposte dirette (indebita deduzione di una quota di ammortamento) e ad una successiva infrazione consistente in una infedele dichiarazione ai fini IVA:
benché le disposizioni violate siano diverse, pare evidente la sostanziale identità delle due violazioni (Circolare n. 180/1998). Come nel diritto penale, la recidiva è compatibile con la
continuazione. Ne consegue che, prima di procedere all'unificazione della sanzione ai sensi dell'art. 12 del D.lgs. n. 472/1997, la sanzione può essere aumentata per la recidiva. Perché
rilevino ai fini della recidiva, deve trattarsi di violazioni non definite dal contribuente con l'istituto del ravvedimento operoso, mediante definizione della sanzione, in dipendenza di adesione
all'accertamento o, stante la modifica operata dal decreto in esame che ne ha aggiunto il riferimento, per effetto di mediazione e di conciliazione. Quindi, ogniqualvolta il contribuente
provveda alla definizione della sanzione attraverso uno degli istituti deflativi del contenzioso, la stessa fuoriesce dal perimetro di valutazione ai fini del monitoraggio e dell'applicazione della
recidiva;
4)la eccezionale e manifesta sproporzione tra entità del tributo e la sanzione (art. 7, comma 4): in questo caso la sanzione può essere ridotta fino alla metà del minimo20. L'onere
della prova delle circostanze eccezionali che determinano tale evidente sproporzione spetta al contribuente.
Il nuovo articolo 7 comma 3 del D.Lgs. n. 472, in tema di recidiva, ha subito una radicale modifica (a partire dal 2016) per effetto del D.Lgs. n. 158/2015 che ha riformato il sistema
sanzionatorio tributario. Il nuovo meccanismo applicativo della recidiva si caratterizza ora per la sua obbligatorietà nell'an; nel quantum gli uffici mantengono ancora una qualche
discrezionalità, potendo aumentare la sanzione base fino alla metà.
Ai sensi del nuovo articolo infatti “la sanzione è aumentata fino alla metà nei confronti di chi, nei tre anni precedenti, sia incorso in altra violazione della stessa indole non definita ai sensi degli articoli 13,
16 e 17 o in dipendenza di adesione all'accertamento di mediazione e di conciliazione”.
Prima della modifica normativa l'applicazione della maggiorazione per la recidiva era discrezionale: il decreto ha rimosso tale carattere, con la conseguenza che gli uffici, in presenza di
recidiva infratriennale, sono tenuti ad aumentare la pena nella misura stabilita dalla legge. Attraverso il rinvio al comma 4 della medesima disposizione, il legislatore ha, comunque, previsto
un'ipotesi di esclusione della recidiva nei casi in cui la sua applicazione determini una manifesta sproporzione fra l'entità del tributo e la sanzione, sproporzione che sarà oggetto di opportuna valutazione
da parte degli uffici.
Una delle problematiche più evidenti che si pone è quella dell'individuazione del triennio precedente, ovvero se la nuova norma sulla recidiva debba riguardare anche i periodi di imposta
ante 2016, data di entrata in vigore della nuova normativa.
Secondo l'Amministrazione finanziaria (si veda la risposta fornita a Telefisco 2016) la modifica si applica alle violazioni accertate a partire dal 1° gennaio 2016 senza incidere sulla
tempistica della precedente violazione accertata in via definitiva. Occorre perciò guardare alla data di commissione della violazione per stabilire il triennio di riferimento. Quindi, se la violazione
avviene nel 2016, il periodo di riferimento può̀ includere il 2013-2015. Tale applicazione immediata sarebbe controbilanciata dalla facoltà, prevista dall'art. 7, co. 4, di ridurre le sanzioni fino alla metà̀ del
minimo «qualora concorrano circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l'entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione». È̀ stata eliminata la condizione rappresentata dalla
ricorrenza di circostanze «eccezionali», con l'obiettivo evidente di promuovere l'utilizzo da parte degli uffici tale facoltà.
Una corretta applicazione del «favor rei» porterebbe però a considerare il triennio di riferimento solo quello successivo al 2016 e non il precedente: in caso contrario troverebbe infatti applicazione
un'aggravante (la recidiva) per violazioni commesse in periodi in cui non era obbligatoriamente prevista.

2.4- CAUSE DI NON PUNIBILITA' O ESIMENTI DELLA RESPONSABILITA'


-CAUSE DI NON PUNIBILITA':
Nel d.lgs. 472/1997 sono previste 5 cause di esclusione dalla punibilità,con ciò intendendo che vengono sancite delle esimenti dalla responsabilità dell'autore della violazione della norma
tributaria,al quale non vengono dunque comminate sanzioni in relazione a quella determinata violazione.
Tali cause di non punibilità,o esimenti di responsabilità,sono:
1)errore incolpevole sul fatto (art. 6, comma 1): sussiste quando il soggetto, incolpevolmente, ritiene di tenere un comportamento diverso da quello vietato dalla norma
sanzionatoria (es. omessa indicazione di cespiti ereditari nella dichiarazione di successione perché sconosciuti);
2)errore di diritto,derivante da ignoranza inevitabile della legge tributaria: non è punibile chi ha commesso l'illecito per errore,in quanto ignorava la legge tributaria.
L'ignoranza della legge tributaria deve essere necessariamente inevitabile,con ciò intendendo che la mancata conoscenza della legge tributaria non deve essere in alcun
modo riconducibile alla negligenza,imprudenza ed imperizia dell'autore della violazione. Tale causa di non punibilità si ritrova nell'art. 5 c.p. .
3)obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni tributarie (art. 6, comma 2): a norma dell'art. 6 comma 2 del d.lgs. 472/1997,non
sono punibili “ le violazioni determinate da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono,nonchè quelle
causate da indeterminatezza delle richieste di informazioni o dei modelli per la dichiarazione o il pagamento”. È bene osservare in merito che tale esimente si fonda sul dato
oggettivo dell'incertezza della norma,contrariamente all'esimente dell'ignoranza inevitabile,che si fonda invece su un dato soggettivo. Dunque non si può essere puniti per la
violazione di una norma tributaria nel caso in cui ,in merito,vi siano norme equivoche, tali da ammettere interpretazioni diverse ugualmente fondate, e da non consentire, in un
determinato momento, l'individuazione certa di un significato determinato. Ciò si può verificare, ad esempio, in presenza di leggi di recente emanazione rispetto alle quali non si sia
formato un orientamento interpretativo definito, ovvero coesistano orientamenti contraddittori. Il beneficio è inapplicabile quando il contribuente commette un errore in buona fede su una
questione che non presenta margini di incertezza oggettiva, la quale, a rigore, si distingue dalla buona fede (soggettiva) del contribuente.
In ogni caso, l'onere della prova grava sul contribuente.
Si riportano qui di seguito i principi fissati da una consolidata giurisprudenza di legittimità, sia in ordine alla definizione del concetto di “obiettiva incertezza normativa”, sia in
ordine alla non rilevabilità d'ufficio della esimente de qua.
In particolare appare significativa la sentenza della Cassazione civile n. 8825/2012 secondo la quale:
→ per "incertezza normativa oggettiva tributaria" ,deve intendersi la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell'azione di tutti i formanti del
diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall'impossibilità, esistente in se ed accertata dal giudice, d'individuare
con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di
specie;
→ l' “incertezza normativa oggettiva", pertanto, non ha il suo fondamento nell'ignoranza giustificata, ma (si richiede cioè un quid pluris rispetto allo stato di
incertezza normativa soggettiva determinata da ignoranza giustificata) nell'impossibilità, abbandonato lo stato d'ignoranza, di pervenire comunque allo stato di
conoscenza sicura della norma giuridica tributaria. L'essenza del fenomeno ''incertezza normativa oggettiva” si può rilevare attraverso una serie di fatti indice,
che spetta al giudice accertare e valutare nel loro valore indicativo (n.b. e che devono essere allegati dalla parte che invoca l'esimente data la non rilevabilità ex officio), e
che sono stati individuati a titolo di esempio e, quindi, non esaustivamente: 1) nella difficoltà d'individuazione delle disposizioni normative, dovuta magari al diletto di esplicite
previsioni di legge; 2) nella difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) nella difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa
individuata; 4) nella mancanza di informazioni amministrative o nella loro contraddittorietà; 5) nella mancanza di una prassi amministrativa o nell'adozione di prassi
amministrative contrastami: 6) nella mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) nella formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, magari accompagnati dalla
sollecitazione, da parte dei Giudici comuni, di un intervento chiarificatore della Corte costituzionale; 8) nel contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale;
9) nel contrasto tra opinioni dottrinali.
4)fatto del terzo(art. 6 comma 3): tale causa di non punibilità si ha quando il contribuente,il sostituto o il responsabile d'imposta “dimostrino che il pagamento del tributo non è
stato eseguito per fatto denunciato all'autorità giudiziaria ed addebitabile esclusivamente a terzi”. Dunque,riassumendo,il mancato versamento delle imposte deve dipendere
da un fatto imputabile esclusivamente a terzi ed altresì denunciato all'autorità giudiziaria.
La norma, di carattere generale, non si limita considerare la condotta illecita di dottori commercialisti, ragionieri, consulenti del lavoro, avvocati, notai e altri professionisti iscritti negli
appositi albi, ma si riferisce a qualsiasi terzo e quindi, in particolare, a ogni altro soggetto cui venga conferito mandato dal contribuente, dal responsabile o dal sostituto d'imposta (tale
norma deve essere integrata con la Legge 11 ottobre 1995, n. 423 (e con il D.M. 2 febbraio 1996) secondo cui, quando la condotta illecita, penalmente rilevante, derivante
dall'omesso (ritardato o insufficiente) versamento, sia ascrivibile a dottori commercialisti, ragionieri e consulenti del lavoro, iscritti negli appositi albi, in dipendenza del loro mandato
professionale, il contribuente o il sostituto d'imposta potranno presentare, unitamente alla copia della denuncia del fatto illecito all'autorità giudiziaria o ad un ufficiale di polizia giudiziaria,
istanza per la sospensione della riscossione delle sanzioni);
5)forza maggiore (art. 6, comma 5): la forza maggiore deve essere intesa come quella forza del mondo esterno che determina in modo necessario e inevitabile il
comportamento del soggetto (es. mancato adempimento degli obblighi tributari per calamità naturali ). La Corte di Cassazione, in linea con la consolidata giurisprudenza, afferma
che “la causa di forza maggiore non consiste soltanto in eventi naturali, ma può consistere anche in fatti umani, quali la guerra, lo sciopero e, quindi, anche più in generale, il fatto del terzo,
quando ovviamente abbia le caratteristiche dell'estraneità, della imprevedibilità e dell'insormontabilità… Da ciò discende che richiedere di provare la causa di forza maggiore… significa
richiedere, in sostanza, la prova dell'interruzione del nesso di causalità per l'intervento di un determinato fattore da solo capace di produrre l'evento” (Cass. civ. 30 aprile 1992, n. 5225).
E' bene infine sottolineare che anche lo Statuto dei diritti del contribuente ha disposto due cause di non punibilità dell'autore della violazione. Tali cause si hanno nei seguenti casi:
→ Non sono punibili violazioni formali che non pregiudicano la determinazione dell'imponibile, dell'imposta e del versamento. Non c'è pregiudizio sostanziale (art. 10 comma
3)
→ Non sono sanzionabili comportamenti presi in conformità alle indicazioni contenute nell'interpello.(artt. 10 e 11)

2.5- CONCORSO DI PERSONE E RESPONSABILITA' IN SOLIDO


-CONCORSO DI PERSONE:
Ai sensi dell'art. 9 del D.Lgs. n. 472/1997, se più persone concorrono in una violazione, ciascuna di esse soggiace alla sanzione per essa disposta. Tale norma recepisce la disciplina
penalistica del concorso di persone, in base alla quale, secondo il principio di personalità, se più soggetti commettono un illecito rispondono personalmente dell'intera sanzione.
Perché si configuri concorso di persone sono necessari i seguenti elementi:
→ una pluralità di soggetti agenti;
→ la realizzazione di una fattispecie di reato;
→ il contributo di ciascun concorrente alla realizzazione del reato;
→ l'elemento soggettivo ovvero la consapevolezza di contribuire con la propria partecipazione alla realizzazione di un reato.
Per il concorso deve sussistere una pluralità di partecipanti e non rilevano eventuali cause di non punibilità relative a uno o più dei compartecipi. Il concorso può essere necessario o
eventuale, a seconda che la norma incriminatrice della fattispecie monosoggettiva richieda oppure no, per la realizzazione del fatto, la partecipazione fattiva di più soggetti.
Ai fini del concorso di persone, non rileva che la condotta punita sia posta in essere da tutti i concorrenti, essendo sufficiente la realizzazione c.d. frazionata di tale condotta, purché sussista
l'elemento del contributo di ciascuno di essi, che può tradursi in un azione concreta (concorso materiale) ovvero morale/progettuale (concorso morale):
→ In particolare, il concorso materiale sussiste quando il soggetto interviene personalmente nella fase di esecuzione del reato, nella veste di coautore o di complice,
agevolando o rinforzando con la propria condotta (anche omissiva) la condotta degli altri concorrenti. In tal caso non è necessario che il contributo sia condizionante, sia cioè tale
che in sua assenza il reato non si sarebbe compiuto, ma che abbia in concreto permesso la sua realizzazione, anche se il reato avrebbe potuto essere realizzato in altro modo.
→ Il concorso morale, invece, si verifica nell'ipotesi di partecipazione alla fase ideativa di un reato concretamente commesso da altri, facendo sorgere in altri un proposito
criminoso prima inesistente ovvero rafforzando quello già maturato. In tale ipotesi le condotte del concorrente possono essere varie, ma per assumere rilievo devono aver agevolato,
mediante una effettiva influenza sull'atteggiamento psichico dell'autore materiale, la realizzazione del reato.
La condotta del concorrente deve essere animata dalla piena consapevolezza di contribuire, con la propria partecipazione, alla realizzazione di un reato. La consapevolezza di partecipare
con altri non è necessario che sussista originariamente (c.d. previo concerto); essa può anche sopravvenire nel corso dello svolgimento del comportamento.
L'elemento soggettivo richiesto è quello doloso, non ritenendosi configurabile, in assenza di una specifica previsione legislativa, prevista invece in via generale per i reati colposi (art. 42,
secondo comma, c.p.), una responsabilità a titolo di colpa nel reato concorsuale doloso.
Per il concorso nella violazione di norme tributarie, si precisa che non sussistono ipotesi di illeciti tributari a concorso necessario, configurandosi sempre ipotesi di concorso eventuale.
Ne consegue che assume rilevanza decisiva il contributo fornito da ciascun concorrente nella realizzazione dell'illecito. La violazione inoltre, dovrà essere compiutamente realizzata, non sussistendo
l'istituto della violazione amministrativa tentata, a somiglianza del delitto tentato.
Circa l'apporto causale del concorrente, in ambito tributario si configura con maggiore frequenza il concorso morale, realizzato mediante suggerimenti o consigli, rispetto al concorso
materiale, astrattamente ipotizzabile in casi residuali (quali, ad esempio, l'emissione di documentazione fiscale irregolare per consentire la formazione di una dichiarazione infedele). Il contributo
causale nella forma della partecipazione psichica assume peculiare rilievo nel caso (non infrequente) del contribuente che sostiene di aver agito secondo le indicazioni fornitegli dal consulente.
La disciplina del concorso subisce, in alcuni casi, un'attenuazione, che si esprime in specifiche limitazioni di responsabilità. Si tratta dell'illecito commesso nell'esercizio dell'attività di
consulenza e di assistenza fiscale che comporta la soluzione di questioni di speciale difficoltà, degli illeciti che rientrano nell'ambito di applicazione dell'art. 11 del D.Lgs. n. 472/1997, e del caso in cui la
violazione consiste nell'omissione di un comportamento cui sono obbligati in solido più soggetti. In tale ultima ipotesi è irrogata un'unica sanzione e il pagamento eseguito da uno solo dei responsabili
libera tutti gli altri, salvo il diritto di regresso.
-RESPONSABILITA' IN SOLIDO:
Quando è punita una persona fisica, l’obbligo di pagare la sanzione è posto anche a carico del contribuente che ne ha beneficato. Della violazione risponde anche la società o
l’ente che ha beneficiato dell’illecito, con diritto di regresso verso il trasgressore.
La responsabilità solidale di soggetti diversi dall’autore dell’illecito si ha quando la violazione incide sulla determinazione dell’obbligazione ovvero sul pagamento del tributo,
ed è commessa dal rappresentante legale, o dall’amministratore, o da un dipendente di una società od ente senza personalità giuridica nell’esercizio delle proprie funzioni.
Quando l’autore della violazione è diverso dal contribuente che ne ha beneficiato, e la violazione non è stata commessa con dolo o colpa grave, l’autore non risponde per più
di 50000 euro.
-RESPONSABILITA' IN SOLIDO DEL CESSIONARIO D'AZIENDA:
La cessione di azienda è un fenomeno che il legislatore tributario prende in considerazione per il timore che i debiti tributari del cedente, non assolti al momento della cessione, restino
definitivamente insoluti. Il cessionario d’azienda è responsabile, in solido con il cedente, per il pagamento delle sanzioni derivanti da violazioni commesse dal cedente.
Il cessionario risponde delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione.
La responsabilità del cessionario non è soggetta ad alcuna limitazione quando la cessione sia stata fatta per frodare il fisco; la frode è presunta quando il trasferimento si verifichi entro
sei mesi dalla constatazione di un reato. Al cessionario è accordato il beneficio della preventiva escussione del cedente e la sua responsabilità è limitata dal valore dell’azienda acquistata.

2.6- IL CUMULO DELLE SANZIONI AMMINISTRATIVE TRIBUTARIE


-CUMULO MATERIALE:
Si ha cumulo materiale delle sanzioni amministrative tributarie quando si applicano e si sommano tante sanzioni quante sono le violazioni commesse.
È bene osservare che il principio del cumulo materiale costituisce un derivato del diritto penale e ha valenza generale nell'ambito del diritto tributario,salvo i casi in cui lo stesso viene
derogato dal cd. Cumulo giuridico.
Tra le due forme di cumulo,comunque,si applicherà sempre quella più favorevole per l'autore della violazione
-CUMULO GIURIDICO:
Il cumulo giuridico delle sanzioni tributarie costituisce un meccanismo ,disciplinato dall'art. 12 del d.lgs. 472/1997, in virtù del quale si prevede l'irrogazione di un'unica
sanzione,maggiorata, per la pluralità delle violazioni commesse dal medesimo contribuente. In caso di cumulo giuridico dunque,l'ammontare della sanzione unica viene
calcolato applicando alla sanzione prevista per la violazione più grave,che costituisce dunque una sorta di base della sanzione,degli aumenti previsti ex lege.
Il cumulo giuridico costituisce una deroga al cumulo materiale delle sanzioni,con ciò intendendo che ,nei casi espressamente previsti dall'art. 12 del d.lgs 472/1997,piuttosto
che la sommatoria corrispondente all'ammontare delle sanzioni previste per le varie violazioni commesse,verrà applicata una sanzione unica,calcolata apportando delle
maggiorazioni alla sanzione prevista per la violazione più grave. Esso trova la sua ratio nella circostanza per cui la sanzione derivante da cumulo giuridico non potrà
mai,teoricamente,risultare superiore a quella determinata con il cumulo materiale.
La norma che disciplina il cumulo giuridico delle sanzioni si rivolge agli uffici dell'amministrazione finanziaria,i quali ,sebbene in presenza di una molteplicità di violazioni,devono
obbligatoriamente applicarla nella formazione degli atti accertativi e degli atti sanzionatori tributari.
Le fattispecie per le quali è previsto obbligatoriamente il cumulo giuridico delle sanzioni sono disciplinate dall'art. 12 del d.lgs. 472/1997 e sono le seguenti 4:
1)concorso formale di sanzioni
2)concorso materiale di sanzioni
3)progressione
4)continuazione
Oltre alle fattispecie appena descritte,rileva anche quella della recidiva(5).
-CONCORSO FORMALE DI SANZIONI:
A norma dell'art. 12 comma 1 del d.lgs. 472/1997,si realizza concorso formale delle sanzioni quando,alternativamente:
a) con una sola azione od omissione si commettono diverse violazioni della medesima disposizione (concorso formale omogeneo);
b) ovvero con una sola azione od omissione vengono violate disposizioni diverse (concorso formale eterogeneo).
È bene osservare in merito che la disposizione va letta alla luce dell'art. 6,comma 5Bis del d.lgs 472/1997,in virtù del quale non sono punibili,costituendo un'esimente di responsabilità,le
violazioni formali che non incidono sulla determinazione della base imponibile,dell'imposta e sul versamento del tributo,non arrecando altresì pregiudizio alcuno all'esercizio delle azioni
di controllo.
Da quanto sopra esposto ne deriva quindi che le violazioni formali possono essere distinte in:
→ violazioni meramente formali non punibili: ad esse non consegue l'irrogazione di una sanzione in quanto da esse non deriva alcun debito d'imposta ed in quanto non arrecano
pregiudizio all'azione accertatrice
→ violazioni formali punibili: si tratta di violazioni che,seppur formali,arrecano pregiudizio all'azione di controllo,oppure incidono sulla determinazione del tributo,ovvero ,ancora,sul
versamento del tributo
Nel caso di concorso formale di sanzioni,che non rientrino nella fattispecie esimente di cui all'art. 6 comma 5 bis del d.lgs 472/1997,deve essere applicato il cumulo giuridico,secondo
quanto disposto dall'art. 12,comma 1 del d.lgs 472/1997,in virtù del quale deve essere comminata la sanzione prevista per la violazione più grave ,aumentata in misura che va da ¼ al
doppio (da x + ¼ x , fino a 2x).
-CONCORSO MATERIALE DI SANZIONI:
Si ha concorso materiale di sanzioni quando la medesima disposizione è violata più volte,con ciò intendendo che taluno,anche con più azioni od omissioni,commette diverse violazioni
formali della medesima disposizione( si ha concorso materiale di violazioni) quando,ad esempio,nelle fatture viene ripetutamente indicato in maniera errata il codice fiscale).
Nel caso di concorso materiale di violazioni,deve essere applicato il cumulo giuridico,secondo quanto disposto dall'art. 12,comma 1 del d.lgs 472/1997,in virtù del quale deve essere
comminata la sanzione prevista per la violazione più grave ,aumentata in misura che va da ¼ al doppio (da x + ¼ x , fino a 2x).
-PROGRESSIONE:
Si ha progressione ,a norma dell'art. 12 comma 2 del d.lgs472/1997,quando taluno,anche in tempi diversi,commette più violazioni che ,nella loro progressione,pregiudicano,o tendono a
pregiudicare, la determinazione dell'imponibile ovvero la liquidazione anche periodica del tributo.
Dunque affinchè si abbia progressione occorrono i seguenti elementi:
→ una molteplicità di violazioni,commesse anche in tempi diversi
→ l'unitarietà di tali violazioni,data dalla loro progressione e dall'unico fine,costituito dall'alterazione della determinazione dell'imponibile o dall'alterazione della liquidazione
del tributo)
Il concetto di progressione nell'ambito del diritto tributario ricalca solo in parte il concetto penalistico di “medesimo disegno criminoso” di cui all'art. 81,comma 2 c.p.,in quanto si
presenta,a differenza di quest'ultimo,come un concetto oggettivo,sganciato da elementi soggettivi ,quale ad esempio il dolo,che rilevano invece per il disegno criminoso: affinchè si possa
parlare di progressione,nell'ambito del diritto tributario,ciò che rileva è la commissione di violazioni che,in forza del loro legame strutturale,oppure in ragione della loro connessione
funzionale ed oggettiva,sono riunibili in ragione della loro progressione da comportamento prodromico ad evasione.
Nel caso di progressione di violazioni,deve essere applicato il cumulo giuridico,secondo quanto disposto dall'art. 12,comma 1 del d.lgs 472/1997,in virtù del quale deve essere comminata
la sanzione prevista per la violazione più grave ,aumentata in misura che va da ¼ al doppio (da x + ¼ x , fino a 2x).
-CONTINUAZIONE:
Si ha continuazione,a norma dell'art. 12 comma 5 del d.lgs 472/1997,quando violazioni della stessa indole vengono commesse in periodi d'imposta diversi,per cui dovrà applicarsi la
sanzione base,aumentata dalla metà al triplo( x + ½ x fino a 3x). si ha quindi l'applicazione del cumulo giuridico.
Per effetto delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 203/1998, il successivo comma 6 prevede che la continuazione delle violazioni – che rende applicabile la disciplina sanzionatoria sopra
descritta – è interrotta dalla “constatazione” delle violazioni.
Il D.Lgs. n. 203/1998, infine, ha introdotto nell'art. 12, il comma 8, prevedendo:
→ da un lato, la parziale inapplicabilità delle norme sulla continuazione delle violazioni, nel caso in cui intervenga un accertamento con adesione. La parzialità discende dalla
circostanza che le norme sulla continuazione si applicano “separatamente per ciascun tributo e per ciascun periodo d'imposta”, mentre, secondo la regola generale innanzi ricordata, si
sarebbe avuta la determinazione di un'unica sanzione per tutti i tributi e per tutti i periodi d'imposta considerati;
→ che la sanzione conseguente alla rinuncia all'impugnazione dell'avviso di accertamento, alla conciliazione giudiziale e alla definizione agevolata ai sensi degli artt. 16 e 17
del D.Lgs. n. 472/1997 deve essere rapportata, nella sua determinazione, alle sole violazioni indicate nell'atto di contestazione o di irrogazione delle sanzioni. La stessa
sanzione, così come determinata, non può esplicare i propri effetti al di fuori delle violazioni ivi contestate, né può essere influenzata da altre violazioni.
-RECIDIVA:
Si ha recidiva quando un soggetto che abbia compiuto una determinata violazione nei 3 anni precedenti,sia incorso in un'ulteriore violazione della stessa indole (art. 7,comma 3 d.lgs.
472/1997).
-ART. 12 COMMA 3 D.LGS 472/1997-VIOLAZIONI INERENTI A PIU' TRIBUTI:
A norma dell'art. 12 comma 3 del d.lgs 472/1997,se le violazioni rilevano ai fini di più tributi,occorre applicare un ulteriore aumento,pari al 20% .
SCHEMA RIASSUNTIVO DELLE FATTISPECIE DI CUMULO GIURIDICO DELLE SANZIONI:
CASO DEFINIZIONE FATTISPECIE SANZIONE

Concorso formale Un soggetto con una sola azione viola più norme, anche relative a tributi SE LE VIOLAZIONI CONCERNONO IL MEDESIMO TRIBUTO:
diversi. sanzione prevista per la violazione più grave,aumentata da un quarto fino al doppio.
Può essere omogeneo quando con una sola azione o omissione si SE LE VIOLAZIONI CONCERNONO TRIBUTI DIFFERENTI,EX ART. 3 :
violano più aspetti della medesima disposizione. sanzione prevista per la violazione più grave ,aumentata del 20% (di un quinto),poi aumentata
Può essere eterogeneo se si violano nuovamente da un quarto al doppio
disposizioni diverse (anche riferite a tributi diversi)
Esempio: mancata registrazione ricavi

Concorso materiale La medesima disposizione è violata più volte con più azioni o omissioni. SE LE VIOLAZIONI CONCERNONO IL MEDESIMO TRIBUTO:
Esempio: indicato ripetitivamente errato il codice fiscale in fattura. sanzione prevista per la violazione più grave,aumentata da un quarto fino al doppio.
SE LE VIOLAZIONI CONCERNONO TRIBUTI DIFFERENTI,EX ART. 3 :
sanzione prevista per la violazione più grave ,aumentata del 20% (di un quinto),poi aumentata
nuovamente da un quarto al doppio

Progressione Quando qualcuno anche in tempi diversi, commette più violazioni che, SE LE VIOLAZIONI CONCERNONO IL MEDESIMO TRIBUTO:
nella loro progressione, pregiudicano o tendono a pregiudicare la sanzione prevista per la violazione più grave,aumentata da un quarto fino al doppio.
determinazione dell'imponibile. Sono molteplici e unitarie, commesse SE LE VIOLAZIONI CONCERNONO TRIBUTI DIFFERENTI,EX ART. 3 :
per raggiungere un unico fine. sanzione prevista per la violazione più grave ,aumentata del 20% (di un quinto),poi aumentata
C'è convergenza obiettiva tra più violazioni, tutte finalizzate ad alterare nuovamente da un quarto al doppio
la determinazione dell'imponibile o ostacolare la liquidazione periodica
Esempio: omissione di fatturare un'operazione Le violazioni prodomiche spesso
rientrano nella fattispecie di omessa o infedele dichiarazione.

Continuazione Violazioni che attengono a più periodi di imposta diversi SE LE VIOLAZIONI CONCERNONO IL MEDESIMO TRIBUTO:
L'ufficio, se emette in tempi diversi gli avvisi di accertamento attinenti a sanzione prevista per la violazione più grave,aumentata dalla metà al triplo,poi riaumentata da un
periodi di imposta diversi, deve determinare la sanzione dovuta tenendo quarto al doppio se si verifica concorso di violazioni ex comma 1
conto dei provvedimenti già emessi. SE LE VIOLAZIONI CONCERNONO TRIBUTI DIFFERENTI:
In sede processuale il giudice che prende la decisione deve sanzione prevista per la violazione più grave,aumentata del 20%,poi aumentata dalla metà al triplo ed
rideterminare la sanzione unica complessiva tenendo conto delle eventualmente anche ,poi,da un quarto al doppio in caso di concorso
sentenze precedenti.

Recidiva Chi nei tre anni precedenti è incorso in una violazione della stessa La sanzione può essere aumentata fino alla metà
indole Compatibilità conla continuazione

2.7- IL PROCEDIMENTO DI IRROGAZIONE DELLE SANZIONI


-PROCEDIMENTO DI IRROGAZIONE DELLE SANZIONI:
Il sistema sanzionatorio prevede diverse modalità di contestazione e di irrogazione della sanzioni irrogate dagli ufficio o dall'ente locale competente all'accertamento del tributo cui si
riferisce la violazione:
1) il procedimento ordinario (artt. 16 e 16-bis), quando si tratta di sanzioni non collegate al tributo che è avviato mediante notifica dell'atto di contestazione. L'atto di
contestazione deve contenere, a pena di nullità, alcuni elementi:
→ i fatti attribuiti al trasgressore (che non consistono esclusivamente in quelle che configurano la fattispecie illecita sanzionata, ma ricomprendono anche quelli che
incidono sull'esercizio del potere sanzionatorio);
→ gli elementi probatori ovvero l'indicazione delle prove a sostegno della pretesa sanzionatoria;
→ le norme applicate, che sono diverse dalle norme che l'A.F. ritiene siano state violate. La disposizione si riferisce alle norme sanzionatorie, sebbene queste disciplinano il
contenuto dell'atto di contestazione che è prodromico al procedimento di irrogazione della sanzione. Soltanto nell'ipotesi di assenza di deduzioni l'atto di contestazione
coincide con quello di irrogazione (art. 17);
→ i criteri seguiti per la determinazione delle sanzioni e della loro entità, nonché dei minimi edittali previsti dalla legge per le singole violazioni.
→ inoltre, come segnalato dalla Circolare n. 180/1998, l'atto di contestazione deve contenere l'invito al pagamento delle somme effettivamente dovute, l'indicazione
della possibilità di produrre entro il termine di 60 giorni deduzioni difensive qualora non si acceda alla definizione agevolata e, infine, l'indicazione dell'autorità
giudiziaria o amministrativa alla quale è possibile proporre l'impugnazione immediata. Entro 60 giorni dalla notifica dell'atto di contestazione il trasgressore e i soggetti
obbligati possono: - produrre deduzioni difensive determinando l'improcedibilità e rinunciando così all'impugnazione immediata. Ciò comporta che se la memoria è stata
prodotta da uno qualsiasi dei legittimati anche gli altri coobbligati non possono prestare impugnazione immediata e diventa improcedibile anche l'eventuale proposta avanzata
da uno di essi. Se l'ufficio non condivide le deduzioni deve emanare apposito atto di irrogazione, adeguatamente motivato a pena di nullità, da notificare a tutti i coobbligati
entro un anno dalla presentazione delle deduzioni medesime; - impugnare immediatamente l'atto avanti alle Commissioni tributarie, in quanto l'atto di contestazione si
converte per legge in un provvedimento di irrogazione delle sanzioni;
2) il procedimento di irrogazione immediata (art. 17), nel senso che le sanzioni collegate al tributo cui si riferiscono (violazioni sostanziali) devono essere irrogate senza previa
contestazione, con atto contestuale all'avviso di accertamento o rettifica, motivato a pena di nullità. Anche in questo caso è ammessa la definizione agevolata;
3) il procedimento di irrogazione mediante iscrizione a ruolo (e senza previa contestazione) (art. 17, comma 3) che consente agli uffici e agli enti locali l'irrogazione
delle sanzioni per omesso o ritardato pagamento dei tributi, escludendo le violazioni commesse con dolo o colpa grave o quelle per le quali non è prevista questa forma di
riscossione.
2.8- ESTINZIONE DELL'ILLECITO E/O DELLA SANZIONE AMMINISTRATIVA
-ESTINZIONE MEDIANTE RAVVEDIMENTO OPEROSO:
Il contribuente può estinguere l'illecito se rimedia alla violazione commessa mediante ravvedimento operoso,ossia pagando,oltre alle imposte ed agli interessi,anche la sanzione in misura
ridotta.
Come precedentemente visto,l'importo della sanzione da versare varia da un decimo ad un quinto del minimo,in maniera inversamente proporzionale rispetto al tempo trascorso tra la
violazione ed il ravvedimento operoso.
-ESTINZIONE MEDIANTE PAGAMENTO DELL'OBBLIGAZIONE SANZIONATORIA:
Il modo naturale di estinzione della sanzione pecuniaria è il pagamento dell'obbligazione sanzionatoria.
Va osservato che in caso di impugnazione del provvedimento sanzionatorio dinanzi alle commissioni tributarie,le sanzioni sono riscosse nella medesima misura delle imposte
dopo le sentenze di primo e di secondo grado.
Rilevano poi due casi particolari:
→ la commissione tributaria regionale può sospendere l'esecuzione,previa prestazione di idonea garanzia,consistente in fideiussione bancaria o assicurativa
→ se la sanzione amministrativa riguarda un fatto che potrebbe avere rilevanza penale,la riscossione della sanzione amministrativa è sospesa fino a quando non
si concluda il processo penale. Se il processo penale si conclude con la condanna del contribuente,lo stesso non sarà tenuto a pagare la sanzione amministrativa,data
l'alternatività tra sanzioni amministrative e sanzioni penali.
-ESTINZIONE MEDIANTE DEFINIZIONE AGEVOLATA:
Gli effetti dell'illecito cessano se,nel termine di 60 giorni dalla notificazione dell'atto di contestazione o dell'avviso di accertamento,il trasgressore(o uno dei coobbligati in solido) paga un
terzo della sanzione
-ESTINZIONE PER MORTE DEL TRASGRESSORE:
La morte della persona fisica che ha commesso la violazione estingue l'illecito e,se è già stata irrogata,estingue contemporaneamente la sanzione (senza che cessi,tuttavia ,la
responsabilità solidale dei soggetti tenuti a titolo di garanzia).
-ESTINZIONE PER DECORRENZA DEL TERMINE DI DECADENZA:
L'atto di contestazione,o l'atto di irrogazione delle sanzioni devono essere notificati ,a pena di decadenza,entro il termine di 5 anni dalla commissione della violazione,o nel
diverso termine previsto per l'accertamento della violazione.
Distinto dal termine di decadenza è il termine di prescrizione del credito tributario,relativo ad una sanzione già irrogata: in questo caso il termine è di 5 anni,ma l'impugnazione
del provvedimento di irrogazione interrompe la prescrizione,che riprenderà a decorrere una volta terminato il procedimento.

2.9- CENNI SUI SINGOLI ILLECITI E SULLE SINGOLE SANZIONI


-CLASSIFICAZIONE DEGLI OBBLIGHI DEI CONTRIBUENTI E DELLE RELATIVE VIOLAZIONI :
Gli obblighi dei contribuenti possono essere distinti in 3 gruppi:
1)obblighi formali di documentazione e contabilizzazione
2)obblighi inerenti alle dichiarazioni
3)obblighi relativi alla riscossione
In relazione al primo gruppo,ossia quello degli obblighi formali di documentazione e contabilizzazione,possono verificarsi le seguenti violazioni:
→ mancata violazione e registrazione di operazioni imponibili ai fini IVA: sanzione tra il 90% ed il 180% dell'imposta relativa all'imponibile non documentato e non registrato
→ mancata tenuta e conservazione delle scritture contabili: sanzione dai 1000 agli 8000 euro
In relazione al secondo gruppo,ossia quello degli obblighi inerenti alle dichiarazioni,possono verificarsi le seguenti violazioni:
→ dichiarazione dei redditi,irap o iva omessa: sanzione dal 120% al 240% dell'imposta non dichiarata. Se la dichiarazione viene presentata entro il termine di presentazione della
dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo,prima che comunque sia iniziata qualsivoglia attività di accertamento,la sanzione è invece dal 60% al 120%
→ dichiarazione dei redditi,irap,o iva infedele: la sanzione va dal 90% al 180% dell'imposta non dichiarata,ossia della maggior imposta dovuta. Va osservato che la sanzione è
aumentata della metà se la violazione è realizzata mediante l'utilizzo di documentazione falsa oppure per mezzo di operazioni inesistenti,artifici o raggiri,condotte simulatorie o fraudolente;
la sanzione è invece ridotta quando la maggiore imposta è di piccolo ammontare e quando la violazione deriva da errori di imputazione temporale
In relazione al terzo gruppo,ossia quello degli obblighi relativi alla riscossione,possono aversi le seguenti violazioni:
→ versamento non effettuato: sanzione pari al 30% dell'importo non versato
→ versamento in ritardo: per i versamenti effettuati con ritardo non superiore ai 90 giorni,la sanzione del 30% è ridotta della metà; se il ritardo non supera i 30 giorni ed i 15 giorni la
sanzione viene ulteriormente ridotta. In caso di ritardo maggiore ai 90 giorni si applicano le disposizioni in materia di ravvedimento operoso.

CAPITOLO 3 – LE SANZIONI PENALI TRIBUTARIE


3.1- I PRINCIPI IN MATERIA DI SANZIONI PENALI TRIBUTARIE
-PRINCIPIO DI SPECIALITA':
Il principio di specialità è un principio in forza del quale,quando uno stesso fatto è punito sia con sanzione penale,sia con sanzione amministrativa,si applica soltanto la disposizione
speciale. Tale principio,disciplinato dall'art. 19,comma 1 del d.lgs. 74/2000, costituisce una derivazione dal diritto penale,in particolare dall'art. 15 c.p. .
In forza del principio appena descritto,qualora vi sia il concorso,per una medesima violazione di norme tributarie,di sanzioni penali e di sanzioni amministrative,si applicheranno soltanto
le sanzioni che abbiano carattere speciale e quindi un ambito di applicazione più ristretto(solitamente quelle penali).
Ciò comporta,sostanzialmente,un rapporto di alternatività tra sanzione penale e sanzione amministrativa,le quali,per un medesimo fatto,non possono cumularsi(si ha un ne bis in idem
sostanziale),con la conseguenza che il sistema tributario viene ad essere improntato alla regola dell'unicità della sanzione.
Ai fini dell'individuazione di quale disposizione sanzionatoria debba essere concretamente applicata,è necessario stabilire quale sia generale ed abbia quindi portata più ampia e quale
invece sia speciale,con un ambito di applicazione più ristretto. Solitamente,la norma generale ha un minor numero di elementi caratterizzanti,mentre la norma speciale presenta degli elementi
ulteriori rispetto a quelli della norma generale,degli elementi ulteriori che vanno a restingere consistentemente l'ambito di applicazione della norma speciale. Da questa configurazione,possiamo ben
affermare che la violazione di una norma generale non comporta necessariamente la contestuale violazione,per il medesimo fatto,di una norma speciale; viceversa,la violazione di una norma speciale
comporta necessariamente la violazione della ben più ampia norma generale.
Con particolare riferimento al confronto tra norme sanzionatorie amministrative e norme sanzionatorie penali,possiamo affermare che le norme sanzionatorie penali presentano sempre e
costantemente un elemento ulteriore,ossia il dolo: difatti,mentre per l'imputazione di sanzioni amministrative tributarie condizione sufficiente è la colpevolezza,ossia la volontarietà della
condotta data da negligenza,imprudenza ed imperizia,affinchè ad un determinato soggetto possa essere irrogata una sanzione penale è necessario che ricorra il dolo,ossia che,oltre alla
volontarietà della condotta,si palesi anche,in quel soggetto,la volontarietà di produrre,con la propria azione,la violazione della norma tributaria. Dunque,di regola,la norma penale è
speciale rispetto a quella che prevede l'illecito amministrativo,per cui,in applicazione del principio di specialità,troverà di regola applicazione la sanzione penale.
Un primo rilievo da fare riguarda la circostanza per cui il principio di specialità trova una deroga relativamente agli illeciti commessi in ambito societario. Difatti, l'art. 19,comma 2 del d.lgs.
74/2000 sancisce espressamente che,qualora per la sanzione amministrativa siano solidalmente responsabili la persona fisica del socio,che ha commesso altresì un illecito penale, e la
società,la sanzione penale sarà comminata al socio autore dell'illecito,mentre la sanzione amministrativa,invece che essere esclusa in toto in forza del principio di specialità, non verrà
comminata soltanto in relazione alla persona fisica del socio,ma troverà applicazione per la società,in quanto coobbligata solidale. Da ciò se ne deduce che il principio di specialità
impedisce semplicemente che la sanzione penale e la sanzione amministrativa vengano inflitte alla stessa persona.
Da ultimo,dato il rapporto di alternatività tra sanzione penale e sanzione amministrativa,occorre analizzare quale sia il rapporto intercorrente tra processo penale e processo tributario. In merito
possiamo fare i seguenti rilievi:
→ tra i due processi non vi è alcun rapporto di pregiudizialità,per cui gli stessi si svolgono in maniera indipendente,senza che la contemporanea pendenza comporti la sospensione
dell'uno o dell'altro
→ pur in pendenza di un processo penale,qualora il processo tributario sia giunto a conclusione,l'amministrazione irroga comunque le sanzioni amministrative relative alle
violazioni tributarie fatte oggetto di notizia di reato,anche se il provvedimento di irrogazione delle sanzioni amministrative resta sospeso,in attesa della conclusione del
processo penale,che potrebbe comportare l'esecutività di tale provvedimento sanzionatorio in caso di assoluzione dell'imputato,oppure la definitiva inesecutività del
provvedimento sanzionatorio amministrativo.
-PRINCIPIO DEL NE BIS IN IDEM:
Il principio del ne bis in idem pone il divieto di comminare sanzioni doppie e pone altresì il divieto a che si svolgano,per un medesimo fatto,due processi sanzionatori,secondo
quanto disposto dall'art. 649 c.p.p. . Tale principio ,nell'ambito del nostro ordinamento tributario,è riscontrabile nell'art. 163 del TUIR e nell'art. 67 del d.p.r. 600/1973,i quali
dispongono il divieto ,per l'amministrazione finanziaria,di accertare due volte la stessa imposta,sullo stesso presupposto ,a carico dello stesso soggetto,ma anche a carico di
soggetti diversi qualora un determinato reddito venga prima tassato come in capo ad un soggetto,poi in capo ad un altro soggetto.
È bene osservare che tale principio costituisce una derivazione europea,essendo infatti lo stesso contemplato da:
→ art. 4,protocollo 7 della CEDU: “ nessuno potrà essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un'infrazione per cui è già stato
scagionato o condannato a seguito di una sentenza definitiva conforme alla legge ed alla procedura penale di tale Stato”
→ art. 50 della Carta di Nizza: “ nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell'Unione a seguito di una
sentenza penale definitiva “
La Corte di Strasburgo,nella sentenza Grand Stevens del 2014,aveva affermato che il principio del ne bis in idem impediva che potesse avere svolgimento un processo penale
dopo che fosse stata applicata in via definitiva una sanzione amministrativa.
Tale orientamento della Corte di Strasburgo è stato sostanzialmente rivisto,andando a definire dei casi di concorso di sanzioni penali e di sanzioni amministrative che non
costituivano violazione del principio del ne bis in idem:
1)due contribuenti norvegesi erano stati perseguiti e puniti due volte,per lo stesso fatto,in un procedimento amministrativo ed in un procedimento penale: la Corte ha escluso
che vi possa essere violazione del principio del ne bis in idem quando i due procedimenti si svolgano parallelamente e siano tra loro connessi,quando i fatti accertati in un
procedimento siano richiamati dall'altro e la pena inflitta nel processo penale sia determinata tenendo conto della sanzione amministrativa
2)non vi è violazione del principio del ne bis in idem quando ,per un medesimo fatto,sia applicata una sanzione penale alla persona fisica ed una sanzione amministrativa alla
società contribuente.
3.2- PRESCRIZIONE DEI REATI TRIBUTARI
-PRESCRIZIONE DEI REATI TRIBUTARI:
Secondo la previsione originaria dell'art. 157 c.p.,il termine di prescrizione per tutti i reati tributari previsti dal d.lgs. 74/200 era di 6 anni dal momento della commissione del reato,di 7 anni
e mezzo,sempre a decorrere dalla data di commissione del reato,in caso di interruzione della prescrizione.
È bene osservare che i suddetti termini sono stati novellati dal d.l. 138/2011,sicchè,per tutti i reati tributari ,ad eccezione di quelli di omesso versamento,di indebita compensazione e di
sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte,il termine di prescrizione è stato elevato ad 8 anni dalla data di compimento del reato. In considerazione di quanto disposto dall'art. 161
c.p.,ossia che l'interruzione della prescrizione non può comportare un aumento superiore ad ¼ del tempo necessario a prescrivere,il termine massimo per la prescrizione di tali reati
tributari,in caso di interruzione,è stato elevato a 10 anni.
In merito a tale riforma è intervenuta la Corte di Giustizia europea ,la quale ha ritenuto,nella sentenza Taricco del 2015(frodi carosello),che l'aumento del termine di prescrizione di
massimo ¼ in caso di atti interruttivi della prescrizione (max 10 anni) fosse in contrasto con l'art. 325 tfue,il quale imponeva ed impone agli Stati membri di infliggere sanzioni effettive e
dissuasive in casi di frode grave che ledano gli interessi finanziari dell'UE ed impone altresì che non vi possano essere termini di prescrizione più lunghi per i casi che ledono gli interessi
finanziari del singolo Stato membro rispetto ai casi di frode lesivi degli interessi UE.
Sostanzialmente,con la sentenza Taricco,la Corte di Giustizia ha sancito che il giudice nazionale debba disapplicare l'art. 161 c.p. Nella parte in cui fissa un termine massimo alla
prescrizione,con ciò intendendo che il giudice è chiamato a non dichiarare prescritto il reato qualora ciò impedisca al fisco di rispettare gli obblighi di tutela penale effettiva in materia di
evasione IVA.
La Suprema Corte di Cassazione ha ,ad oggi ,certamente applicato i principi enunciati dalla Corte di Giustizia europea nella sentenza del 5 dicembre 2017 c.d. Taricco 2, nella quale è stato
riconosciuto un limite alla supremazia del diritto europeo nella disapplicazione della prescrizione, ma ha anche puntualizzato, in linea con quanto affermato dalla Corte Costituzionale con
l’Ordinanza n.24 del 26 gennaio 2017, n. 24, che le norme sulla prescrizione per le frodi IVA non vanno disapplicate per effetto della sentenza della Corte Ue Taricco per reati commessi
prima dell’ 8 settembre 2015 (data del deposito della pronuncia comunitaria).
La Cassazione prende così atto della situazione venutasi a creare precisando che ci si trova davanti a una particolare forma di diritto sopravvenuto «rispetto al quale deve constatarsi anche d’ ufficio, ex
articolo 609, comma 2, Codice procedura penale, l’incompatibilità delle statuizioni della giurisprudenza nazionale che, sulla base della prima sentenza Taricco, avevano disapplicato le disposizioni del
Codice penale in materia di prescrizione dei reati di frode fiscale commessi prima dell’8 settembre 2015».
3.3- IL PROCESSO PER REATI TRIBUTARI
-PROCESSO PER REATI TRIBUTARI:
Dei reati tributari giudica il giudice penale. Per i delitti in materia di dichiarazione è competente il giudice del luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale.
Processo penale e processo tributario si svolgono in modo indipendente: quando vi è contemporanea pendenza, non deve essere sospeso né il processo tributario, né il processo
penale(prima della riforma del 1982,per i reati riguardanti le imposte dirette e l'iva vigeva la cd. Pregiudiziale tributaria,ossia la regola in base alla quale “l'azione penale ha corso dopo che
l'accertamento dell'imposta è divenuto definitivo a norma delle leggi regolanti la materia”).
Occorre pertanto vedere quale rapporto vi sia tra i due processi, nell’ipotesi in cui un medesimo fatto è punibile sia come illecito amministrativo, sia come illecito penale. In tale ipotesi, la
sanzione penale esclude quella amministrativa. In pendenza del processo penale, il provvedimento di irrogazione della sanzione amministrativa resta sospeso; quando si conclude il
processo penale, la sanzione amministrativa, se è da eseguire, viene eseguita o diventa definitivamente ineseguibile. Se invece il processo si conclude con l’archiviazione, o con sentenza
irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento, la sanzione amministrativa diviene eseguibile.
Da ultimo,occorre osservare che il giudice penale deve accertare l'evasione in modo autonomo,senza essere vincolato dagli accertamenti e dalle sentenze del giudice tributario(ritenendo
dunque superata la soglia della punibilità anche in caso di contrasto con quanto accertato dall'amministrazione finanziaria o dal giudice tributario); parimenti,gli accertamenti di fatto contenuti nelle
sentenze penali passate in giudicato,non creano vincoli nel processo tributario,dal momento che il giudice tributario non può basarsi su prove testimoniali ,ma soltanto basarsi su
presunzioni che però,al contempo,non hanno valore nel processo penale.

PARTE 9- IL PROCESSO TRIBUTARIO


CAPITOLO 1- GENERALITA' DEL PROCESSO TRIBUTARIO: ORGANI ED OGGETTO DELLA GIURISDIZIONE
TRIBUTARIA,LE PARTI E LA DIFESA/ASSISTENZA TECNICA
-PROCESSO TRIBUTARIO:
Il processo tributario,meglio conosciuto come contenzioso tributario,è disciplinato dal d.lgs 546/1992,modificato dal d.lgs/156/2015 e, in via residuale,ove le disposizioni siano
compatibili,dal codice di procedura civile. Il contenzioso tributario è un procedimento a cui può ricorrere un contribuente che ritenga che un atto emesso nei suoi confronti non sia
fondato o legittimo(ad esempio,avviso di accertamento,cartella di pagamento,etc.).
Per dare il via al contenzioso tributario,il contribuente non deve far altro che rivolgersi alla Commissione Tributaria Provinciale( giudici di primo grado) del territorio di riferimento,in modo
tale da chiedere l'annullamento,totale o parziale,dell'atto emesso dall'amministrazione finanziaria nei suoi confronti. Qualora il contribuente intenda impugnare le pronunce rese dalla
Commissione Tributaria Provinciale,egli potrà rivolgersi alla Commissione Tributaria Regionale territorialmente competente,la quale giudica come giudice d'appello. Contro le sentenze
emesse dalle Commissioni Tributarie Regionali, la legge ammette la possibilità di ricorrere in Cassazione ,per soli motivi di legittimità.
1.1-GIURISDIZIONE E COMPETENZA
-GIURISDIZIONE TRIBUTARIA:
Con giurisdizione tributaria si indica l'attività di giurisdizione ,esercitata dalle autorità competenti,in materia di contenzioso tributario.
La giurisdizione tributaria rientra tra le giurisdizioni speciali ed è organizzata ,secondo quanto disposto dall'art. 1 del d.lgs 546/1992 in Commissioni Tributarie Provinciali e in Commissioni
Tributarie Regionali:
→ le Commissioni Tributarie Provinciali operano in primo grado e sono organizzate presso ciascun capoluogo di Provincia ; esse sono altresì suddivise in sezioni secondo la tabella
stabilita con decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze,di concerto con il Ministro della Giustizia
→ le Commissioni Tributarie Regionali sono invece istituite presso ciascun capoluogo di Regione ed operano in secondo grado
L'analisi dell'oggetto della giurisdizione tributaria,nonchè dei suoi organi,è rimandata a trattazione separata.
-OGGETTO DELLA GIURISDIZIONE TRIBUTARIA:
Sono oggetto di giurisdizione tributaria,a norma dell'art. 2 del d.lgs 546/1992:
→art 2 comma 1 d.lgs 546/1992: “tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati,compresi quelli regionali,provinciali e comunali,nonchè il
contributo per il Servizio sanitario nazionale,le sovrimposte,le addizionali,le relative sanzioni ,gli interessi ed ogni altro accessorio”
→ art. 2 comma 2 d.lgs. 546/1992: “le controversie promosse dai singoli possessori concernenti l'intestazione,la delimitazione,la figura,l'estensione,il classamento dei terreni e la
ripartizione dell'estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità della stessa particella,nonchè le controversie concernenti la consistenza,il classamento delle singole unità immobiliari
urbane e l'attribuzione della rendita catastale”
→ art. 2 comma 2 d.lgs. 546/1992: “le controversie attinenti l'imposta o il canone comunale sulla pubblicità ed il diritto sulle pubbliche affissioni”
Dunque,riassumendo,sono oggetto di giurisdizione tributaria tutte le controversie inerenti ai tributi,le controversie in materia catastale e le controversie relative al canone comunale sulla
pubblicità.
È bene sottolineare in merito che la Corte Costituzionale ,con due sentenze del 2008,ha dichiarato illegittimo l'art. 2 comma 2 del d.lgs 546/1992, nella parte in cui attribuiva alla giurisdizione
tributaria le controversie concernenti canoni di natura non tributaria e sanzioni non tributarie.
-ORGANI DELLA GIURISDIZIONE TRIBUTARIA:
Sono organi della giurisdizione tributaria,ossia organi chiamati a decidere sulle controversie delineate dall'art. 2 del d.lgs 546/1992,le Commissioni Tributarie,che si articolano
in commissioni tributarie provinciali ed in commissioni tributarie regionali,secondo quanto disposto dall'art. 1 del d.lgs 546/1992:
→ le Commissioni Tributarie Provinciali operano in primo grado e sono organizzate presso ciascun capoluogo di Provincia ; esse sono altresì suddivise in sezioni
secondo la tabella stabilita con decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze,di concerto con il Ministro della Giustizia
→ le Commissioni Tributarie Regionali sono invece istituite presso ciascun capoluogo di Regione ed operano in secondo grado
Per quanto riguarda la composizione delle Commissioni Tributarie,possiamo dire che i membri delle commissioni tributarie non sono selezionati attraverso concorsi pubblici
per esami,ma sono invece scelti per titoli dal Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria (eletto dai componenti stessi delle commissioni tributarie),secondo graduatorie
formate in base a criteri e punteggi predeterminati.
È bene sottolineare che i requisiti per la nomina a componente di una commissione tributaria,elencati dagli artt. 4 e 5 del d.lgs. 546/1992,rispettivamente per le commissioni
tributarie provinciali e per le commissioni tributarie regionali,non sono molto stringenti,anzi: essi costituiscono una nota dolente del sistema tributario,giacchè,come avremo
tra poco modo di vedere,non si rende necessaria un'adeguata preparazione nelle discipline giuridiche o economiche,acquisita con l'esercizio ,protrattosi per almeno 10
anni,di attività professionale. Possono dunque far parte delle commissioni tributarie,ai sensi degli artt. 4 e 5 del d.lgs 546/1992:
→ i magistrati,ivi compresi i magistrati del pubblico ministero
→ gli avvocati dello Stato a riposo
→ i dipendenti civili dello Stato
→ gli ufficiali della Guardia di Finanza cessati dal servizio
→ i ragionieri con 10 anni di attività
→ i revisori dei conti con 5 anni di attività
→ gli insegnanti di materie giuridiche
→ i laureati in giurisprudenza o in economia da almeno due anni
→ altri professionisti con 10 anni di attività(es. Ingegneri,architetti,geometri,periti industriali,periti agrari)
Dall'elenco appena fornito risulta dunque chiaro che possono essere quindi membri delle commissioni tributarie anche magistrati non togati,senza la garanzia che gli stessi siano
dotati di un'adeguata preparazione giuridico-tributaria.
Da ultimo,va notato che sono in situazione di incompatibilità coloro che svolgono attività professionale di consulenza in materia tributaria e coloro che sono abilitati
all'assistenza tecnica nel processo tributario.

-COMPETENZA TERRITORIALE:
La competenza territoriale delle Commissioni Tributarie è stabilita dall'art. 4 del d.lgs 546/1992,riformato ,a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 44/2016,dal d.lgs 156/2015.
Attualmente,la competenza per territorio è così individuata:
→ per le controversi proposte nei confronti degli enti impositori,degli agenti della riscossione e dei soggetti iscritti all'albo di cui all'art. 53 del d.lgs 446/1997,sono competenti
le Commissioni Tributarie nella cui circoscrizione i primi hanno la sede
→ per le controversie proposte nei confronti di articolazioni dell'Agenzia delle Entrate,con competenza su tutto o parte del territorio nazionale,sono competenti le
Commissioni tributarie nella cui circoscrizione hanno sede,non le articolazioni medesime,ma l'ufficio al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso
Dunque,se il ricorso viene proposto contro un ufficio dell'amministrazione finanziaria,è competente la commissione tributaria provinciale dove ha sede l'ufficio contro cui si propone
ricorso; diversamente,se il ricorso viene proposto contro un gestore dei tributi locali,rileva la sede dell'ente locale.
Non vi è qui,a differenza del diritto processuale civile,una distribuzione delle competenze per materia o per valore,dal momento che il valore della causa è rilevante soltanto per stabilire se sia
obbligatoria o meno l'assistenza tecnica.

-REGOLAMENTO PREVENTIVO DI GIURISDIZIONE (EVENTUALE):


Nell'ambito del contenzioso tributario,è possibile applicare la disciplina civilistica in materia di difetto di giurisdizione ed in materia di regolamento preventivo di
giurisdizione,così come disciplinato dall'art. 41 c.p.c. .
Il difetto di giurisdizione può essere eccepito in ogni stato e grado del processo,ed anche d'ufficio. Per mezzo di questa eccezione ,le parti tendono a dimostrare che il giudice
naturale,inteso quale organo giudicante individuato dalla legge per la cognizione di una determinata controversia,non è quello adito,ma un altro.
Oltre a ciò,è possibile ricorrere al regolamento preventivo di giurisdizione ex art. 41 c.p.c.,il quale consiste in uno strumento di accertamento preventivo della giurisdizione,in
virtù del quale,durante il corso del processo di primo grado,ogni parte ha la facoltà di richiedere che la Corte di Cassazione si pronunci sulla giurisdizione. La relativa istanza,in
forma di normale ricorso,può essere proposta esclusivamente da avvocati ammessi al patrocinio innanzi alla Corte di Cassazione,sempre che il processo di primo grado non si sia già
concluso con sentenza. Questo procedimento,avente natura incidentale,si incardina con ricorso da depositarsi presso la cancelleria delle Sezioni Unite della Corte.

1.1.1- GIURISDIZIONE DELL'AUTORITA' GIUDIZIARIA ORDINARIA E DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO


-GIURISDIZIONE DELL'A.G.O.:
E' bene sottolineare che non tutte le controversie tributarie sono devolute alla giurisdizione delle commissioni tributarie.
Alla giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria (a.g.o.) sono infatti riconducibili le controversie riguardanti l'esecuzione forzata tributaria,secondo quanto disposto dall'art. 9 c.p.c.;
oltre a ciò si aggiungono le cause di danni contro le agenzie fiscali e l'agente della riscossione.
Le controversie riguardanti l'esecuzione forzata ordinaria non vanno tuttavia confuse con le controversie inerenti il titolo esecutivo e inerenti alle misure cautelari (ipoteca,fermo
amministrativo,sequestro conservativo),dal momento che tali controversie rimangono comunque nella giurisdizione del giudice tributario,ossia delle commissioni tributarie.
-GIURISDIZIONE DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO:
Dinanzi al giudice amministrativo possono essere impugnati atti amministrativi generali e regolamenti,anche qualora gli stessi contengano norme tributarie. Oltre a questi atti,dinanzi al
giudice amministrativo sono impugnabili gli atti tributari individuali non impugnabili dinanzi alle commissioni tributarie (ad esempio,atti istruttori aventi come destinatari soggetti diversi dal
contribuente,i provvedimenti di fissazione del domicilio fiscale
È bene sottolineare che dinanzi alle commissioni tributarie non si possono impugnare tali atti,essendo possibile soltanto chiederne la disapplicazione(è il caso ,ad esempio,dell'impugnazione
di un avviso di accertamento sintetico ,impugnazione che viene motivata per vizio di un regolamento,come il redditometro,che si riflette,viziandolo,sull'atto impugnato). Tali atti dovranno essere
impugnati ,a norma dell'art. 7 del d.lgs 546/1992,nella diversa sede competente,ossia dinanzi al Tar.

1.2- LE PARTI DEL PROCESSO TRIBUTARIO E LA DIFESA TECNICA


-PARTI DEL CONTENZIOSO TRIBUTARIO:
Le parti nel processo tributario sono:
1)il ricorrente: si tratta del solitamente del contribuente nei cui confronti è stato emesso dall'amministrazione finanziaria un atto illegittimo o infondato,oppure del contribuente
nei cui confronti l'amministrazione finanziaria non abbia emesso l'atto richiesto. È bene in merito osservare che a carico del contribuente è posto l'obbligo di farsi assistere da
un difensore tecnico(con delle eccezioni ),ma non vi è l'obbligo di eleggere il domicilio nel luogo ove si svolge il giudizio,potendo il domicilio essere eletto ovunque sul
territorio nazionale.
Il contribuente ricorrente viene anche definito come attore formale,con ciò intendendo che lo stesso costituisce il soggetto che formalmente propone la lite, in contrapposizione all'attore
sostanziale
2)l'ufficio o ente che ha emesso l'atto impugnato nei confronti del contribuente o che non ha emesso l'atto richiesto: si tratta dell'Ufficio dell'Agenzia delle Entrate,o
dell'Agenzia delle dogane e dei Monopoli,l'agente della riscossione,o uno degli altri enti impositori o gestori dei tributi locali che abbiano emesso l'atto impugnato dal
ricorrente o che abbiano omesso di emettere l'atto richiesto dal contribuente. È bene osservare che sebbene l'ufficio costituisca l'articolazione di un'agenzia fiscale più ampia,o
di un ente impositore più ampio,esso è considerato parte necessaria del processo tributario,a norma dell'art. 10 del d.lgs 546/1992, poiché gli spettano le attribuzioni sul rapporto
controverso. In secondo luogo è necessario osservare che l'ufficio dell'Agenzia delle Entrate,o dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli,o l'agente della riscossione stanno in
giudizio senza necessità di difesa tecnica,quindi o direttamente o mediante la struttura territoriale sovraordinata. In ultima istanza,è molto importante la sede di tale
soggetto,in quanto determina la competenza territoriale della commissione tributaria.
L'ufficio dell'amministrazione finanziaria che ha emesso l'atto impugnato dal contribuente viene anche detto come attore sostanziale,dal momento che costituisce il soggetto
che,attraverso l'emissione dell'atto poi contestato,provoca di fatto la lite con il contribuente ricorrente
-DIFESA DELLE PARTI O ASSISTENZA TECNICA:
L’art. 12 D. Lgs. n° 546/92, dispone l’obbligo dell’assistenza in giudizio di un difensore abilitato, per le parti diverse dagli enti impositori, dagli agenti della riscossione, dai soggetti iscritti
nell’albo di cui all’art. 53 del D. Lgs. N° 446/1997.
L’obbligo non sussiste per le controversie il cui valore non sia maggiore di tremila euro, calcolato sulla base dell’importo del tributo, al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni.
In caso di difetto di rappresentanza di assistenza o di autorizzazione, o in caso di vizio che determina la nullità della procura al difensore, si applica, per espresso rinvio dell’art. 12, la
disciplina dell’art. 182 c.p.c.
L’incarico deve essere conferito,alternativamente:
1.con atto pubblico o scrittura privata autenticata;
2.in calce o a margine di un atto nel processo, con certificazione dello stesso incaricato dell’autografia della sottoscrizione;
3.oralmente in udienza pubblica, dandone atto nel verbale.
Possono essere abilitati all’assistenza tecnica le categorie di soggetti seguenti:
→ se iscritti nei relativi albi professionali: gli avvocati, i commercialisti (iscritti nella sezione A del relativo albo), i consulenti del lavoro(per le controversie tributarie)
→ se iscritti nell’elenco tenuto a cura del Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze ed in possesso degli ulteriori requisiti richiesti per ciascuna categoria, a titolo
esemplificativo: gli impiegati delle carriere dirigenziale; gli ufficiali e ispettori della guardia di finanza; i dipendenti delle associazioni di categoria rappresentate dal CNEL, e i
dipendenti delle imprese, o delle loro controllate; i dipendenti dei centri di assistenza fiscale (CAF) e delle relative società di servizi, limitatamente alle controversie dei propri
assistiti, se scaturite da adempimenti per i quali i CAF hanno prestato assistenza. L’elenco di cui sopra è tenuto secondo le modalità stabilite nel decreto del Ministero dell’economia e
delle finanze del 5 agosto 2019, sentito il Ministero della giustizia, congiuntamente alla determinazione delle ipotesi di incompatibilità, diniego, sospensione e revoca della iscrizione, anche
sulla base dei principi contenuti nel codice deontologico forense(per le controversie tributarie)
→ se iscritti nei relativi albi professionali, e per le controversie concernenti l’intestazione, la delimitazione, la figura, l’estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo di una
particella e la consistenza, il classamento delle unità immobiliari e l’attribuzione della rendita catastale: gli ingegneri, gli architetti, i geometri, i periti industriali, i dottori agronomi e
forestali, gli agrotecnici, i periti agrari(per le controversie catastali)
→ se iscritti nel relativo albo e per le controversie relative ai tributi doganali: gli spedizionieri doganali(per le controversie doganali)
I soggetti di cui sopra possono stare in giudizio personalmente limitatamente alle controversie rientranti nell’ambito della loro attività.
Dunque,in buona sostanza,l'obbligo di farsi assistere da un difensore tecnico (la cui categoria varia a seconda della controversia intrapresa) trova delle eccezioni sia per tutte le
controversie di valore inferiore ad euro 3000,sia per tutte le controversie che vedono quali soggetti ricorrenti proprio i soggetti abilitati all'assistenza tecnica,che si difendono quindi da
soli.

CAPITOLO 2- INTRODUZIONE DEL PROCESSO TRIBUTARIO IN PRIMO GRADO


2.1- LE AZIONI ESPERIBILI NEL PROCESSO TRIBUTARIO
-AZIONI ESPERIBILI:
Nel processo tributario possono essere esperite ,rispettivamente:
1)azioni di impugnazione: le azioni di impugnazione sono rivolte contro un atto autoritativo,per ottenerne l'annullamento. L'annullamento richiesto può
essere,alternativamente:
→ totale: per cui si chiede l'annullamento dell'intero atto
→ parziale: per cui si chiede l'annullamento soltanto di una parte dell'atto,in virtù della consapevolezza del contribuente ricorrente di essere parzialmente in torto,con
conseguente impossibilità di ottenere l'annullamento totale dell'atto impositivo impugnato
2)azioni di condanna : si chiede la condanna dell'ufficio al rimborso di una somma di denaro
3)azioni cautelari: dette anche azioni di tutela cautelare,esse sono finalizzate a sospendere la riscossione della maggior imposta accertata. Ricordiamo infatti che l'impugnazione di
un provvedimento esecutivo (ad esempio,un avviso di accertamento esecutivo) non ne sospende la riscossione,che deve essere espressamente richiesta dal contribuente,che per
l'appunto voglia inibire la riscossione per la durata del processo.
4)azioni per ottemperanza: le azioni di ottemperanza,dette anche giudizi di ottemperanza,possono essere esperite dal contribuente che abbia ottenuto,dopo aver esperito
un'azione di condanna (al rimborso) ,una sentenza favorevole da parte della Commissione tributaria regionale. Tale azione di ottemperanza viene esperita qualora l'ufficio non
provveda a pagare il quantum cui è stato condannato a pagare al contribuente. Nel qual caso verrà emesso un provvedimento esecutivo finalizzato a far ottenere al
contribuente ricorrente il quantum dovuto,attraverso la nomina,tra l'altro,di un soggetto incaricato di effettuare materialmente il pagamento.
-AZIONE DI IMPUGNAZIONE:
Le azioni di impugnazione sono quelle azioni con le quali il contribuente ,nei cui confronti sia stato emesso un atto autoritativo ritenuto infondato o illegittimo, impugna l'atto autoritativo
di cui è destinatario al fine di ottenerne l'annullamento (è bene in merito ricordare la differenza tra nullità in senso lato e nullità in senso stretto,disciplinata dagli artt. 21Septies e 21 octies
della L. 241/1990 ed esaminata nella trattazione dei vizi dell'avviso di accertamento).
Il processo tributario di impugnazione presenta le seguenti caratteristiche:
→ il processo è instaurato mediante impugnazione del provvedimento impositivo,impugnazione volta ad ottenerne il sindacato giurisdizionale sulla legittimità formale e sostanziale
→ il ricorrente non può agire in via preventiva,con azione di mero accertamento,senza che l'amministrazione finanziaria abbia emesso un atto impugnabile
→ a norma dell'art. 10 del d.lgs 546/1992,il ricorso deve essere proposto nei confronti del soggetto che ha emanato l'atto impugnato o che non ha emanato l'atto richiesto
→ l'oggetto del giudizio è delimitato dai motivi di impugnazione,costituenti la causa petendi della domanda di annullamento dell'atto impositivo
→ il ricorrente non può sottoporre al giudice questioni estranee all'atto impugnato(conseguenza di quanto detto nel punto precedente)(difatti vi deve essere,a norma dell'art. 112 c.p.c.,la cd.
Corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato,per cui il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa,non potendo quindi sollevare d'ufficio eccezioni che possono
essere sollevate soltanto dalle parti)
→ l'amministrazione resistente,costituendosi in giudizio,non esercita un autonomo potere di azione,ma difende semplicemente l'atto impugnato dal ricorrente,per cui non potrà fondare la
sua difesa su titoli o ragioni non indicati nella motivazione dell'atto impugnato
→ non sono ammesse domande riconvenzionali,nè da parte dell'amministrazione finanziaria,nè da parte del contribuente ricorrente
→ il contribuente non può opporre alla pretesa fiscale una domanda di rimborso,sia in ragione del fatto che egli deve limitarsi a contestare la legittimità dell'atto impugnato,sia perché le
domande di rimborso,dette anche azioni di condanna,devono essere proposte a fronte di un atto di diniego ,espresso o tacito,da parte dell'amministrazione finanziaria(è una conseguenza
di quanto detto nel punto precedente)
→ il giudice tributario,in quanto giudice amministrativo( e a differenza del giudice ordinario) può soltanto annullare gli atti impugnati,ma non ha di certo il potere per sostituirli
Qualora l'atto impugnato costituisca un titolo esecutivo( ad esempio,un avviso di accertamento esecutivo ),la riscossione della maggior imposta accertata,nonchè dei relativi interessi e
sanzioni,non è sospesa con la semplice proposizione dell'azione di impugnazione,sicchè si renderà necessario,per il contribuente ricorrente,esperire altresì un'azione
cautelare,finalizzata,per l'appunto,a sospendere la riscossione del quantum richiesto dall'amministrazione finanziaria.
-AZIONE DI CONDANNA (AL RIMBORSO):
Come abbiamo detto,il contribuente che mira ad ottenere un rimborso può esperire un'azione di condanna,finalizzata a far sì che l'amministrazione finanziaria venga condannata al
pagamento del rimborso.
È bene tuttavia osservare che un requisito essenziale affinchè il contribuente possa esperire l'azione di condanna è la presentazione di una previa istanza di rimborso,alla quale sia
seguito un rifiuto,espresso o tacito,da parte dell'amministrazione finanziaria. Stante tale requisito,possiamo osservare che:
→ se l'amministrazione finanziaria risponde negativamente in maniera espressa: il ricorso deve essere presentato entro 60 giorni dalla notificazione dell'atto di rifiuto
→ se l'amministrazione rifiuta tacitamente (omettendo di fornire una risposta all'istanza di rimborso del contribuente): il ricorso non è soggetto in questo caso ad un termine
decadenziale,ma non può essere proposto prima che siano trascorsi 90 giorni dalla data di presentazione dell'istanza di rimborso
La diversa configurazione che può avere la risposta dell'amministrazione finanziaria a fronte dell'istanza di rimborso del contribuente ha una grande rilevanza,dal momento che essa va ad
influenzare il contenuto della stessa,conseguente,azione di condanna. Difatti:
→ in caso di rifiuto tacito(silenzio),l'azione di condanna viene a configurarsi come una semplice azione diretta,al contempo,a far accertare il credito insoddisfatto del
ricorrente e ad ottenere una pronuncia di condanna
→ in caso di rifiuto espresso(atto di rifiuto),l'azione di condanna viene a configurarsi come un'azione dal contenuto complesso,finalizzata a far accertare il credito
insoddisfatto del contribuente, a far annullare l'atto di rifiuto del rimborso e finalizzata a far condannare l'amministrazione finanziaria al pagamento di quanto richiesto con
l'istanza di rimborso (non basta proporre azione di annullamento-impugnazione del rifiuto)
Da ultimo,occorre ricordare che qualora l'amministrazione finanziaria,pur condannata, anche non in via definitiva,al pagamento di quanto il contribuente aveva richiesto con l'istanza di
rimborso rifiutata,non provveda ad eseguire quanto disposto dalla sentenza(della commissione regionale) e quindi a pagare il quantum dovuto al contribuente ricorrente,quest'ultimo
potrà esperire l'azione ,o giudizio,per ottemperanza

SCHEMA RIASSUNTIVO DELLE AZIONI ESPERIBILI NEL PROCESSO TRIBUTARIO


Ricorso contro l'atto impositivo GIUDIZIO DI PRIMO Ricorso contro la sentenza di GIUDIZIO DI Ricorso contro la sentenza di GIUDIZIO DI TERZO
AZIONE DI IMPUGNAZIONE GRADO DINANZI 1° grado da parte del SECONDO GRADO 2° grado da parte del GRADO DINANZI
(ANNULLAMENTO DELL'ATTO ALLAC.T.P soccombente DINANZI ALLA C.T.R. soccombente ALLA CORTE DI
IMPOSITIVO) CASSAZIONE.

AZIONE CAUTELARE finalizzata a


Se si tratta di ricorso contro un sospendere la riscossione della
atto autoritativo avente natura di maggior imposta accertata,degli
titolo esecutivo interessi e delle sanzioni

Ricorso contro la sentenza di Ricorso contro la sentenza di


GIUDIZIO DI PRIMO 1° grado da parte del GIUDIZIO DI 2° grado da parte del
AZIONE DI CONDANNA AL GIUDIZIO DI TERZO
GRADO DINANZI soccombente SECONDO GRADO soccombente
RIMBORSO GRADO DINANZI
ALLAC.T.P DINANZI ALLA C.T.R.
Previo rifiuto espresso o tacito a ALLA CORTE DI
fronte dell'istanza di rimborso CASSAZIONE.

A seguito di sentenza,anche non passata in


giudicato

AZIONE /GIUDIZIO PER


OTTEMPERANZA,proposta con ricorso e
finalizzata ad ottenere l'adempimento da
parte dell'A.F. Di quanto disposto dalla
2.2- GLI ATTI IMPUGNABILI sentenza

-ATTI IMPUGNABILI:
Con atti impugnabili si intende far riferimento a quegli atti contro i quali può essere esperita l'azione di impugnazione e dunque quegli atti avverso i quali il contribuente possa proporre
ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale territorialmente competente. È bene osservare che relativamente agli atti impugnabili vi è da fare una differenziazione,necessaria
per via dello stesso dettato dell'art. 19 del d.lgs 546/1992,per cui dovremo distinguere:
1)atti autonomamente impugnabili,che sono elencati in via tassativa dall'art. 19,comma 1 , d.lgs 546/1992
2)atti ad impugnazione differita,che ,secondo quanto disposto dall'art. 19,comma 3 d.lgs. 546/1992,sono atti,non ricompresi nell'elenco di cui al comma 1 e dunque non
autonomamente impugnabili
-ATTI AUTONOMAMENTE IMPUGNABILI:
L'art. 19,comma 1 del d.lgs 546/1992 contiene l'elenco tassativo degli atti che possono essere oggetto di impugnazione autonoma dinanzi alle commissioni tributarie. Tali atti
autonomamente impugnabili sono:
→ avviso di accertamento: a riguardo dell'avviso di accertamento,va osservato che un orientamento consolidato, sia a livello giurisprudenziale che dottrinale , ha fornito
un'interpretazione estensiva del concetto di avviso di accertamento,per cui ,ferma restando la tassatività dell'elencazione, si è ritenuto che l'espressione avviso di
accertamento dovesse poter essere riferibile a qualsiasi atto,conclusivo di un procedimento o di un sub-procedimento di accertamento,che avesse efficacia nei confronti del
soggetto passivo del tributo( ad esempio, sent. Corte Costituzionale 313/1985). Dunque,secondo tale interpretazione estensiva,sarebbero autonomamente impugnabili tutti gli
atti,provenienti dall'amministrazione finanziaria o dall'ente locale,aventi natura provvedimentale,comunque denominati,che accertino o dichiarino l'obbligazione
tributaria,oppure anche solo uno dei suoi elementi,quale,ad esempio,la base imponibile: tali atti,che rientrerebbero indirettamente nell'interpretazione estensiva del concetto di avviso
di accertamento,sarebbero costituiti dall'ingiunzione fiscale e dai cd. Atti di recupero,in quanto gli stessi costituirebbero atti impositivi aventi effetti simili agli avvisi di
accertamento,pur se denominati diversamente.
In secondo luogo,ma non di minore importanza,va ricordata la necessarietà della motivazione,o della cd. Parte motiva,all'interno dell'avviso di accertamento: qualora manchi la
motivazione,ossia la ricostruzione,da parte dell'ufficio procedente,dell'iter logico-giuridico seguito dall'ufficio ,sia in punto di fatto che in punto di diritto,nella formazione della parte
dispositiva ,l'avviso di accertamento sarà affetto da nullità insanabile.
→ avviso di liquidazione: l'avviso di liquidazione del tributo si sostanzia nella quantificazione della pretesa dell'amministrazione finanziaria determinando,quindi,tempi e modi
dell'assolvimento dell'obbligazione tributaria,sia in relazione alle imposte suppletive,sia in relazione alla liquidazione delle somme dovute a seguito di decisione
giurisdizionale. Dunque,l'avviso di liquidazione potrebbe essere definito come un avviso che l'amministrazione finanziaria notifica al contribuente per portarlo a conoscenza
dell'ammontare dell'imposta dovuta,in relazione alle imposte suppletive ed in relazione alla liquidazione delle somme dovute a seguito di decisione giurisdizionale. Non è
sempre necessario che tale atto sia preceduto da un avviso di accertamento.
→ provvedimento che irroga le sanzioni: si tratta,principalmente,di provvedimenti con cui l'amministrazione finanziaria o l'ente locale quantificano pene pecuniarie e soprattasse
dovute a seguito dell'omissione di un adempimento o di un versamento.
→ il ruolo e la cartella di pagamento: Dunque,secondo Cass. SS.UU. 19704/2015, l'iscrizione a ruolo ,purchè sia rilasciato l'estratto del ruolo al contribuente,è da ritenersi
autonomamente impugnabile, nel caso in cui tale iscrizione non sia stata poi resa nota ed efficace nei confronti del contribuente mediante successiva notifica della cartella di
pagamento. È bene sottolineare che la legittimazione passiva spetta qui all'Agenzia delle Entrate,che ha formato il ruolo.
Un discorso più articolato merita invece l'impugnazione della cartella di pagamento,che deve avvenire,in tutti i casi,entro e non oltre i 60 giorni dalla sua notifica. La cartella di
pagamento ,in prima istanza,può essere impugnata per vizi riflessi,ossia per vizi propri dell'iscrizione a ruolo (errori),che investono indirettamente la cartella di pagamento,per
cui,nel qual caso , la legittimazione passiva spetta all'Agenzia delle Entrate ,che ha formato il ruolo. In secondo luogo,la cartella di pagamento può essere impugnata per vizi
propri,o per vizi relativi alla sua notificazione,per cui,in tal caso,la legittimazione passiva spetta all'agente della riscossione ,poichè si pone in discussione il suo operato.
→ l'avviso di mora (oggi intimazione ad adempiere): ricordiamo che l'intimazione ad adempiere,pur essendo un elemento intrinseco all'avviso di accertamento
esecutivo,nonchè alla cartella di pagamento,costituisce altresì un atto a sé stante sia nel caso in cui venga impugnato un avviso di accertamento esecutivo e vi sia un
accoglimento parziale del ricorso,per cui l'amministrazione finanziaria,invece di iscrivere le somme residuali a ruolo,provvede ad emettere atti di intimazione ad adempiere,sia
nel caso in cui ,dopo la notifica della cartella di pagamento,sia trascorso più di un anno senza che abbia avuto luogo l'esecuzione forzata tributaria,sicchè si renderà
necessaria la notifica di un atto di intimazione ad adempiere che rinnovi gli effetti di precetto propri della cartella di pagamento e che consenta dunque l'esecuzione forzata
tributaria.
Per quanto riguarda l'impugnazione dell'intimazione ad adempiere,possiamo dire che la stessa è impugnabile o per vizi propri,intrinseci,o perché non è stata preceduta dalla
notifica di una cartella di pagamento. È bene sottolineare che se l'intimazione ad adempiere è stata preceduta dalla notificazione di una cartella di pagamento,tale intimazione
non potrà essere impugnata per vizi riflessi del ruolo o della cartella,proprio in ragione del fatto che gli stessi costituiscono,ai sensi dell'art. 19 comma 1 d.lgs. 546/1992,atti
autonomamente impugnabili
→ l'iscrizione di ipoteca sugli immobili ex art. 77 d.p.r. 602/1973 e successive modificazioni: è bene in merito ricordare che,ai sensi dell'art. 77 del d.p.r. 602/1973,l'agente della
riscossione,prima di iscrivere ipoteca,deve comunicare al contribuente che procederà a tale iscrizione. L'impugnazione dell'iscrizione ipotecaria deve essere proposta entro e
non oltre i 60 giorni da tale comunicazione.
→ il fermo di beni mobili registrati di cui all'art. 86 d.p.r. 602/1973 e successive modificazioni: l'agente della riscossione,dopo aver emesso il provvedimento di fermo e prima di
iscriverlo nei registri (PRA),deve inviare al contribuente moroso un avviso ad adempiere entro 20 giorni,decorsi i quali il fermo diventa operativo. Entro i 20 giorni dal
ricevimento di tale avviso decorre il termine per impugnare.
→ gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell'art. 2 comma 3 del d.lgs 546/1992
→ il rifiuto espresso o tacito alla restituzione di tributi,sanzioni pecuniarie ed interessi,o altri accessori,non dovuti (vedi azione di condanna,che ha natura complessa quando il
rifiuto di rimborso è espresso in un atto,che deve essere impugnato)
→ il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari
E' bene osservare che l'art. 19 comma 1 d.lgs 546/1992 dispone altresì che può essere proposto ricorso contro “ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l'autonoma impugnabilità” :
tale disposizione ha la funzione di consentire al legislatore di adeguare in maniera automatica la futura normazione relativa al processo tributario.
Tali atti vengono definiti come autonomamente impugnabili non perché,contrariamente a quanto si sosteneva in passato, essi contengono una pretesa di pagamento e nemmeno per via
del risalente principio per cui gli atti impugnabili,ove non impugnati,diventano definitivi,ma,piuttosto perché gli stessi si configurano come atti direttamente lesivi,possono essere
impugnati soltanto per vizi propri,salvo l'irregolarità della notifica,ossia per vizi intrinseci e non per i vizi riflessi,cioè per i vizi da cui sono stati eventualmente affetti precedenti atti
impositivi,che sarebbero potuti essere oggetto a loro volta di autonoma impugnazione. Ricapitolando,gli atti di cui all'art. 19 comma 1 d.lgs 546/1992 sono autonomamente impugnabili ,con
ciò intendendo che gli stessi sono impugnabili solo per vizi propri,ossia per inesattezze,errori,omissioni e false applicazioni di legge contenuti nell'atto impugnato ed esclusivamente in
quello.
Dunque,gli atti autonomamente impugnabili vengono così definiti perché:
a)direttamente lesivi
b)impugnabili soltanto per vizi propri,intrinseci (ivi ricompresi vizi eventuali inerenti alla notificazione),ma non per vizi riflessi,ossia per vizi riscontrabili in precedenti atti impositivi,a loro
volta autonomamente impugnabili
Anche nel caso dell'impugnazione della cartella di pagamento infatti,qualora con tale impugnazione si facciano valere vizi propri del ruolo,tali vizi sono da considerarsi ,per
l'appunto,come vizi propri del ruolo ,che per l'appunto viene poi portato a conoscenza del contribuente mediante la notifica della cartella di pagamento,sicchè si capisce bene perché,in
questi casi,si parla di ricorsi avverso il ruolo e perché la legittimazione passiva spetta all'Agenzia delle entrate,che ha formato il ruolo.
Tali atti,sopra elencati,costituiscono,fondamentalmente,l'oggetto del ricorso,ossia gli atti avverso i quali il contribuente propone ricorso dinanzi alla commissione tributaria provinciale
territorialmente competente.
Con riguardo,da ultimo,al contenuto degli atti autonomamente impugnabili,va osservato che ,a norma del c. 2 dell'art. 19 del D.Lgs. 546/1992, gli atti impositivi dovranno indicare:
a)il termine per l’impugnativa;
b) il procedimento per la proposizione del ricorso;
c)la commissione tributaria cui è possibile ricorrere.
Tali elementi, vanno integrati con le prescrizioni dell’art. 7 dello statuto del contribuente (L. 212/2000), che prevede che gli atti dell'Amministrazione finanziaria e dell’Agente della
riscossione (già concessionario della riscossione) devono tassativamente indicare:
a)l'ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all'atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento;
b) l'organo o l'autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell'atto in sede di autotutela;
c) le modalità, il termine, l'organo giurisdizionale o l'autorità amministrativa cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili;
d) nel caso di titolo esecutivo, il riferimento all'eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione della pretesa tributaria.
La mancata indicazione di tali elementi negli atti impugnabili non determina alcun vizio dell’accertamento e conseguentemente alcuna invalidità dell’atto che, quindi, diviene definitivo se
non tempestivamente impugnato, infatti la legge in tale ipotesi non dispone la nullità dell’atto. Si ritiene tra l’altro non applicabile l’istituto della rimessione in termine in quanto l’art. 184 bis c.p.c.,
riguardante le sole ipotesi in cui le parti costituite siano decadute dal potere di compiere determinate attività difensive nell’ambito della causa in corso di trattazione, non è applicabile alle situazioni
esterne al giudizio. Per queste vige la regola della improrogabilità dei termini perentori (art.153 c.p.c.), che impedisce di utilizzare l’istituto in argomento anche per le decadenze relative al compimento
del termine perentorio per instaurare il giudizio.
A maggior ragione in caso di indicazioni erronee le stesse non sono vincolanti, in quanto il ricorso ben può essere indirizzato al giudice depositario secundum legem della giurisdizione e della
competenza.

-ATTI AD IMPUGNAZIONE DIFFERITA:


Con atti ad impugnazione differita si intende far riferimento agli atti citati dall'art. 19 comma 3 del d.lgs 546/1992,ossia “gli atti diversi da quelli indicati non sono impugnabili
autonomamente”.
Gli atti ad impugnazione differita sono dunque atti che incidono negativamente nella sfera giuridica del soggetto destinatario ma che non possono essere impugnati direttamente dal
contribuente,il quale,per poterli impugnare,dovrà attendere che gli venga notificato l'atto autonomamente impugnabile direttamente successivo,proponendo ricorso contro entrambi.
Dunque,la mancata impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente citato dall'art. 19 comma 1 d.lgs 546/1992 non determina,in ogni caso,la non impugnabilità,ossia la
cristallizzazione,di quella pretesa,che va successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dall'art. 19 comma 1 d.lgs 546/1992.
Sono dunque atti ad impugnazione differita:
1)le risposte negative agli interpelli disapplicativi di norme elusive,che possono essere impugnate insieme al successivo atto impositivo
2)il provvedimento di revoca dell'accertamento con adesione,proprio in base alla sua funzione sostanzialmente impositiva,dovendosi ritenere lo stesso ricompreso,con interpretazione
estensiva,nella nozione di avviso di accertamento
3)il rifiuto espresso o tacito a provvedere in autotutela. Compete al giudice tributario stabilire se quel rifiuto sia o meno impugnabile, così come valutare se con l’istanza di
autotutela il contribuente chiede l’annullamento dell’atto impositivo per vizi originari di tale atto per eventi sopravvenuti. Nel giudizio instaurato contro il mero, ed esplicito,
rifiuto di esercizio dell'autotutela può esercitarsi un sindacato - nelle forme ammesse sugli atti discrezionali -soltanto sulla legittimità del rifiuto, e non sulla fondatezza delle
pretesa tributaria, sindacato che costituirebbe un'indebita sostituzione dal giudice nell'attività amministrativa. Il sindacato del giudice dovrà riguardare l’esistenza dell’obbligazione
tributaria solo qualora l’atto di autotutela contenga tale verifica
4) l’avviso di liquidazione Iva di cui all’art. 54-bis del D.P.R. 633/72
Dunque gli atti ad impugnazione differita si vengono a configurare come atti che incidono sì negativamente nella sfera giuridica del contribuente,ma che non possono essere impugnati
singolarmente in virtù del fatto che gli stessi non rientrano tra gli atti autonomamente impugnabili ex art. 19 comma 1 d.lgs 546/1992,per cui gli stessi dovranno essere impugnati
congiuntamente all'atto impositivo ,autonomamente impugnabile,immediatamente successivo(oppure,con l'atto finale del procedimento).
-ATTI CD NON IMPUGNABILI:
Con atti non impugnabili si intende far riferimento a degli atti che non sono lesivi per la sfera giuridica del contribuente ma che presentano vizi che possono andare a
ripercuotersi sul provvedimento impositivo finale. Dunque,tali atti,che andremo ad esaminare,non possono essere impugnati,nemmeno con il provvedimento impositivo
immediatamente successivo o finale,ma di essi possono essere eccepiti i vizi che si vadano a riflettere sul provvedimento impositivo finale,che viene quindi ad essere colpito
di illegittimità derivata.
Degli atti non impugnabili,in buona sostanza,possono essere soltanto contestati i vizi che si siano andati a ripercuotere sul provvedimento finale,impugnando dunque tale
provvedimento finale per illegittimità derivata.
Tali atti non impugnabili sono:
- gli atti istruttori (questionari, processo verbale di constatazione). Essendo atti intermedi del procedimento amministrativo e non immediatamente lesivi,
dovranno impugnarsi unitamente al provvedimento finale;
-le comunicazioni che contengano (come, ad esempio, quelle previste dal comma 3 dell'art. 36-bis del D.P.R. 600/1973 e dal c. 3 dell'art. 54-bis del D.P.R. 633/1972) un
“invito” a fornire “eventuali dati o elementi non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione dei tributi” e che quindi manifestano una volontà
impositiva ancora in itinere e non formalizzata in un atto definitivo, cancellabile solo in via di autotutela o attraverso l'intervento del giudice;
-l'emissione di atti "irrituali", in merito ai quali è possibile soltanto instaurare un rapporto informale con l'ufficio emittente, con la conseguenza della possibile
definizione del procedimento amministrativo o del rapporto tributario posto in essere, se si è nella sfera impositiva;
- l’avviso bonario. In merito, all’opposizione ad un avviso bonario, emesso dal concessionario avete ad oggetto la TARSU, la Corte ha evidenziato che: "nel caso
esaminato l'atto fatto pervenire dal concessionario della riscossione (invito al pagamento) non è espressione di un potere pubblicistico autoritativo, ma è un atto
riconducibile alla sfera privatistica di un creditore che rivolge un invito di pagamento al suo debitore, senza che ad esso possano essere ricollegati effetti negativi,
significativi e rilevanti per il destinatario. In concreto la Corte ha affermato il principio secondo cui il concessionario della riscossione agisce in veste privatistica e come
tale, ai fini della richiesta di pagamento di quanto dovuto dal suo debitore, è legittimato a svolgere qualsiasi attività sollecitatoria per il recupero del credito, prima di dar
corso alle azioni previste dalla normativa in vigore, mediante la formazione del ruolo (di competenza dell'ente creditore) e l'emissione della cartella esattoriale, atti che
rivestono la loro tipicità, quindi, opponibili secondo le norme procedurali previste dal decreto sul contenzioso. Il predetto avviso, pertanto, costituendo un atto premonitorio è
il mezzo attraverso il quale si prendono contatti informali con il debitore, perché questi valuti l'opportunità di definire il debito evitando le successive azioni esecutive da
parte del creditore (concessionario della riscossione), con l'aggravio delle spese conseguenti, ma anche per verificare se sussistono eventuali errori che potrebbero
essere corretti in via breve, evitando, conseguentemente, il ricorso al contenzioso in sede di emissione della cartella;
- l’atto di interpello previsto dall'art. 11 della L. 27 luglio 2000 n. 212, in considerazione che lo stesso non riveste natura di provvedimento amministrativo bensì
natura interpretativa, ben potendo il contribuente discostarsene facendo successivamente valere le proprie ragioni innanzi al giudice tributario in caso di
esercizio del potere di accertamento da parte dell’ufficio tributario;
- il rifiuto alla conciliazione opposto dall’ufficio in quanto atto discrezionale e non assimilabile al rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari
di cui alla lettera h) dell’art. 19;
- atti regolamentari ed atti amministrativi generali in materia tributaria, in merito ai quali al giudice tributario è consentita solo la disapplicazione (art. 7 comma 5);
- gli atti con efficacia meramente interna,in quanto la cosiddetta interpretazione ministeriale, sia essa contenuta in circolari o risoluzioni, non vincola né i
contribuenti né i giudici, né costituisce fonte di diritto; la deliberazione adottata dal garante del contribuente;
- il D.M. contenente tariffe d’estimo.
Fondamentalmente dunque,rientrano nella categoria degli atti non impugnabili gli atti endoprocedimentali e gli atti espressivi dell'attività interpretativa dell'amministrazione
finanziaria.
È bene sottolineare che la Corte di Cassazione,secondo un orientamento più recente,ha coniato per tali atti la nomenclatura di atti ad impugnazione facoltativa: starebbe alla
discrezionalità del contribuente,sostanzialmente ,impugnare tali atti ,ai fini però non del loro annullamento,bensì ai fini di un'azione di mero accertamento,di un'azione
meramente dichiarativa,che però la stessa Corte ha vietato in più occasioni. Certamente,qualora il contribuente propendesse per impugnare ,ad esempio,un avviso
bonario,non potrebbe poi sottrarsi all'impugnazione dell'atto impositivo successivamente notificato.
(da tutto quanto sopra esposto se ne deduce che la tassatività degli atti impugnabili ex art. 19 comma 1 d.lgs 546/1992 è in qualche modo venuta meno,non soltanto poiché si
ammette interpretazione estensiva,ma perché la Cassazione ha ritenuto impugnabili altri atti,lesivi o meno, o in via differita o in via facoltativa)

2.3- PARTICOLARI TIPOLOGIE E FORME DEL PROCESSO TRIBUTARIO (EVENTUALI)


-PROCESSO CON PLURALITA' DI PARTI:
Tipicamente il processo tributario vede da un lato il contribuente e dall’altro l’ente che ha emesso l’atto impugnato.
Se le parti sono entrambe privati (lavoratore vs datore di lavoro per ritenute subite) la giurisdizione è ordinaria. Se la lite verte invece non sulle ritenute, ma sul fatto che un reddito sia o meno tassabile,
rientriamo in una particolare fattispecie che coinvolge una pluralità di parti, il litisconsorzio necessario.
Il processo tributario può svolgersi con pluralità di parti: sono ammessi il ricorso collettivo proposto da più soggetti, e il ricorso cumulativo, promosso contro più atti connessi (emessi da
diversi soggetti impositori).
Quando l'oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti rientriamo nel campo del litisconsorzio necessario. Se non tutte le parti coinvolte prendono parte al processo, la
sentenza non produce effetti perché viene a mancare i diritto costituzionale alla difesa sancito dall’articolo 24 della Costituzione. Inoltre si vogliono evitare giudicati diversi sul medesimo
fatto (impugnato autonomamente da ciascun socio in regime di trasparenza un avviso accertamento viene annullato per tizio e non per caio dall'altra sezione della commissione tributaria). Per esservi
litisconsorzio necessario la giurisprudenza precisa che è necessario che la fattispecie presenti elementi comuni a più soggetti posti a fondamento del ricorso proposto da uno degli
obbligati.
Abbiamo litisconsorzio necessario quando:
 Atti di accertamento inviati a società sottoposte al regime di trasparenza fiscale (reddito della società tassato direttamente in capo ai soci)
 Litisconsorzio tra consolidante e consolidata per impugnazione di avvisi di rettifica del reddito di società consolidate
Abbiamo litisconsorzio facoltativo ,invece ,quando l'atto impositivo ha una pluralità di destinatari ma l'impugnazione non è fondata su motivi comuni. Possono essere chiamati in giudizio
anche gli altri soggetti per istanza di parte o per ordine del giudice.
-PROCESSO TRIBUTARIO TELEMATICO(PTT)(ORMAI OBBLIGATORIO IN 1° ED IN 2° GRADO):
Il processo tributario telematico,a partire dal 1 Luglio 2019,è divenuto obbligatorio per il primo e per il secondo grado di giudizio.
La procedura ruota attorno al Sistema Informativo della Giustizia Tributaria (SIGIT),che mette in contatto le parti con le comissioni,riceve i files,li controlla e rilascia le ricevute,forma il
fascicolo telematico,etc.
Gli atti ed i provvedimenti del processo,compresi quelli del procedimento di mediazione,sono formati come documenti informatici sottoscritti con forma elettronica qualificata o firma
digitale,e sono notificati mediante PEC.
2.4- VICENDE EVENTUALI DEL PROCESSO TRIBUTARIO : SOSPENSIONE,INTERRUZIONE ED ESTINZIONE
-SOSPENSIONE DEL PROCESSO:
La sospensione del processo consiste nell’arresto temporaneo del suo svolgimento al verificarsi di un determinato evento. In ambito tributario, tali eventi sono individuati dall’articolo 39
del D.Lgs. 546/1992, il quale prevede che la sospensione possa essere disposta nel caso in cui:
•sia proposta la querela di falso o una questione sullo stato o sulla capacità delle persone;
•sia iniziata, su richiesta delle parti, una procedura amichevole (MAP – Mutual Agreement Procedure) per evitare le doppie imposizioni;
•Quando viene presentato un regolamento preventivo di giurisdizione
•quando viene sollevata una questione di costituzionalità
•la Commissione tributaria adita o altra debba risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa (cd. sospensione per pregiudizialità).
Con specifico riferimento alla sospensione per pregiudizialità, è opportuno ricordare come tale condizione ricorra nel caso in cui tra le stesse parti e in relazione ai medesimi fatti sia
necessario definire un procedimento che costituisce un indispensabile presupposto logico-giuridico di un altro.
Tale ipotesi di sospensione può essere:
•interna, se il rapporto di pregiudizialità intercorre tra controversie rientranti nella giurisdizione tributaria;
•esterna, se il rapporto di pregiudizialità intercorre tra controversie rientranti in giurisdizioni diverse.
La prima è espressamente prevista anche nel rito tributario a decorrere dal 1° gennaio 2016, a seguito dell’introduzione, ad opera del D.Lgs. 156/2015, dell’articolo 39, comma 1-bis, D.Lgs. 546/1992.
Con riferimento alla seconda, invece, la norma di riferimento deve essere individuata tra le disposizioni del codice di procedura civile ed in particolare nell’articolo 295.
Appare utile sottolineare che la sospensione per pregiudizialità esterna non può configurarsi:
•né con riferimento alla giurisdizione penale, in quanto il principio del doppio binario di cui all’articolo 20 D.Lgs. 74/2000 prevede che il processo tributario e penale siano indipendenti l’uno
dall’altro;
•né con riferimento alla giurisdizione amministrativa, in quanto l’articolo 7, comma 5, D.Lgs. 546/1992 attribuisce al giudice tributario il potere di disapplicare l’atto amministrativo ritenuto
illegittimo.
Pertanto, nell’ipotesi in cui il contribuente impugni un avviso di accertamento Tarsu, eccependo, tra l’altro, l’illegittimità della delibera di approvazione delle aliquote Tarsu, il giudice tributario non potrà
disporre la sospensione del relativo giudizio in attesa della decisione del giudice amministrativo sulla legittimità di detto provvedimento.
Allo stesso modo, nel caso in cui in relazione agli stessi fatti oggetto di accertamento tributario penda un processo penale, non può essere disposta la sospensione del processo tributario in virtù del
citato principio del doppio binario di cui all’articolo 20 D.Lgs. 74/2000.
Dal momento in cui cessa la causa della sospensione del processo tributario,entro il termie di 6 mesi deve essere presentata istanza di trattazione,altrimenti il processo si estingue.
-INTERRUZIONE DEL PROCESSO :
L’interruzione del processo consiste nell’arresto temporaneo del suo svolgimento al verificarsi di un determinato evento, al fine di assicurare l’effettività del contraddittorio.
In ambito tributario, tali eventi sono individuati nell’articolo 40 D.Lgs. 546/1992, il quale prevede che il processo è interrotto se si verifica:
•il venir meno, per morte o altre cause, o la perdita della capacità di stare in giudizio di una parte, diversa dall’ufficio tributario, o del suo legale rappresentante o
la cessazione di tale rappresentanza;
•la morte, la radiazione o la sospensione dall’albo o dall’elenco del difensore incaricato ai sensi dell’articolo 12 D.Lgs. 546/1992.
Ex articolo 41 D.Lgs. 546/1992, l’interruzione è dichiarata con:
•decreto, dal presidente di sezione prima della fissazione dell’udienza di trattazione, ovvero in sede di esame preliminare del ricorso;
•ordinanza, dalla Commissione tributaria dopo la fissazione dell’udienza di trattazione.
Mentre il decreto di interruzione è reclamabile dalle parti ai sensi dell’articolo 28 D.Lgs. 546/1992, l’ordinanza di interruzione non è impugnabile, con la conseguenza che la parte non potrà
fare altro che riassumere la causa.
Ai sensi del successivo articolo 43 D.Lgs. 546/1992, l’istanza di trattazione e riassunzione deve essere proposta dalla parte colpita dall’evento interruttivo, dai suoi successori o
da qualsiasi altra parte entro sei mesi dalla data di dichiarazione dell’interruzione al presidente della sezione.
Tale istanza deve necessariamente contenere l’indicazione degli estremi relativi al:
•processo interrotto,
•evento che ha comportato l’interruzione,
•fatto che consentirebbe la ripresa del processo,
•nonché la sottoscrizione dell’istante e la sollecitazione alla fissazione dell’udienza per la trattazione e la decisione della controversia.
Successivamente, il presidente di sezione fissa con decreto l’udienza ai sensi dell’articolo 30 D.Lgs. 546/1992 e la segreteria ne dà comunicazione almeno trenta giorni
liberi prima ex articolo 31 D.Lgs. 546/1992.
Ai sensi dell’articolo 43 D.Lgs. 546/1992, la predetta comunicazione deve essere effettuata:
•alle parti costituite nei luoghi di cui all’articolo 17 D.Lgs. 546/1992;
•personalmente alla parte colpita dall’evento o ai suoi successori;
•agli eredi collettivamente o impersonalmente nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza dichiarata dal defunto risultante dagli atti del processo, se la comunicazione
avviene entro un anno dalla morte di una delle parti.
Infine, si ricorda che la mancata riassunzione comporta l’estinzione del processo per inattività delle parti ex articolo 45 D.Lgs. 546/1992, da cui deriva:
•la definitività dell’atto, se l’estinzione si verifica in primo grado;
•il passaggio in giudicato della sentenza, se l’estinzione si verifica in appello.
-ESTINZIONE DEL PROCESSO:
Il termine estinzione del processo indica la fine prematura del procedimento, che non riesce ad arrivare alla sua conclusione naturale ,ovvero alla decisione del giudice che definisce la
controversia, pronunciando sul merito della causa.
In ambito tributario, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 prevede le seguenti fattispecie di estinzione:
• rinuncia al ricorso (art. 44):Ai sensi dell’art. 44, co. 1, D.Lgs. 546/92, “Il processo si estingue per rinuncia al ricorso”.La fattispecie in commento rappresenta la
rinuncia agli atti del giudizio, ossia al ricorso introduttivo e a tutti gli atti processuali successivi compiuti fino a tale evento estintivo.
La dichiarazione di rinuncia deve essere:
→ chiara, univoca e incondizionata (l’apposizione di riserve o condizioni rende inefficace la dichiarazione di rinuncia e tale inefficacia non è sanabile
dall’eventuale accettazione della controparte);
→ esplicitata con apposito atto scritto, sottoscritto sia dalla parte personalmente (o dal suo procuratore speciale) che dall’eventuale
difensore. È sufficiente la sottoscrizione del solo difensore qualora tale potere gli sia stato espressamente conferito con apposita procura speciale.
Nel silenzio della legge, si discute se la rinuncia e la correlata accettazione possano essere effettuate anche nella forma della dichiarazione orale resa nel corso
della pubblica udienza (come previsto espressamente nel processo civile ex art. 306, co. 2, c.p.c.), debitamente trascritta nel relativo processo verbale e sottoscritta dal
dichiarante e dal suo difensore . Secondo l’Amministrazione finanziaria invece tale forma non è ammissibile ; diversamente la Cassazione, secondo la quale “una
dichiarazione resa in udienza, alla presenza del segretario e del Collegio, integra gli estremi del verbale-atto pubblico, fidefacente (…), pertanto la sostituzione della forma
scritta con la dichiarazione a verbale in corso di udienza è da considerarsi ammissibile” (Cass. 15.03.2004, n. 5270; nello stesso senso, Cass. n. 305/2006 e n. 3519/2010).
La dichiarazione di rinuncia non deve essere notificata, ma va depositata presso la Segreteria della Commissione adita entro la data di trattazione della causa.
La rinuncia produce effetto solo ove accettata dalle altre parti costituite che hanno “effettivo interesse alla prosecuzione del processo”: secondo un consolidato
orientamento giurisprudenziale, siffatto interesse sussiste solamente quando la controparte ha proposto una domanda di merito, il cui accoglimento gli
procurerebbe un vantaggio maggiore rispetto all’estinzione del giudizio; viceversa, se la controparte ha sollevato un’eccezione di rito, ancorché insieme alla
domanda di merito, è escluso l’interesse alla prosecuzione del giudizio, in quanto le eccezioni di rito vanno esaminate prima di quelle di merito.
In caso di litisconsorzio necessario, tutte le parti intervenute devono manifestare concorde volontà in ordine alla cessazione della lite; diversamente, nell’ipotesi
di litisconsorzio facoltativo, in virtù dell’autonomia dei diversi rapporti processuali, la rinuncia può essere effettuata anche solo da alcuni litisconsorti e, in tal caso, avrà effetto
esclusivamente nei loro confronti (Circ. Min. n. 98/E/1996).
Nell’ambito del processo tributario di primo grado, è da escludere in linea generale che l’ufficio resistente abbia interesse alla prosecuzione del giudizio, in quanto la rinuncia
del ricorso introduttivo, di regola, rende definitivo l’atto impositivo impugnato; similmente, la rinuncia all’atto di appello da parte del contribuente produce il passaggio in
giudicato della sentenza di merito appellata, pertanto, non avrebbe interesse alla prosecuzione del gravame l’ufficio che non l’ha impugnata, salvo che abbia proposto appello
incidentale.
L’accettazione ha le stesse caratteristiche della rinuncia, pertanto va manifestata nelle stesse forme.
L’estinzione del giudizio è dichiarata, previa verifica della regolarità della rinuncia e dell’accettazione, dal Presidente della sezione cui è assegnato il ricorso con
decreto o dalla Commissione con sentenza, a seconda che la rinuncia intervenga, rispettivamente, prima o dopo la fissazione dell’udienza di discussione.
Il provvedimento, presidenziale o collegiale, ha natura meramente dichiarativa in quanto l’effetto estintivo si produce automaticamente in virtù dell’accordo fra
rinunciante e accettante.
Tale pronuncia può essere contestata dalla parte che la ritenga infondata: avverso il decreto presidenziale è ammesso reclamo alla Commissione (ai sensi dell’art.
28, D.Lgs. n. 546/92), mentre la sentenza collegiale è soggetta ai normali mezzi di gravame.
L’estinzione per rinuncia al ricorso incide solo sul processo in corso, nella fase in cui lo stesso si trova, ossia determina l’inefficacia degli atti processuali
compiuti fino al perfezionarsi della fattispecie estintiva (eventuali atti processuali compiuti dopo l’evento estintivo e fino alla pronuncia di estinzione sono
ritenuti nulli) ma non priva di validità eventuali sentenze di merito già rese, nonché, entro certi limiti, quelle sulla competenza e sulla giurisdizione. In proposito,
secondo l’orientamento prevalente, si applica anche al processo tributario l’art. 310, co. 2, c.p.c., secondo il quale “L’estinzione rende inefficaci gli atti compiuti, ma non le
sentenze di merito pronunciate nel corso del processo e le pronunce che regolano la competenza”.
Nello specifico:
→ l’estinzione del primo grado di giudizio a seguito di rinuncia al ricorso introduttivo, determinando, come detto, l’inefficacia degli atti processuali compiuti, rende
definitivo l’atto impugnato
→ l’estinzione dei gradi di giudizio successivi, a seguito di rinuncia all’atto di gravame, travolgendo soltanto gli atti compiuti in tali fasi del giudizio, determina
il passaggio in giudicato della sentenza di merito impugnata (viceversa, perde efficacia l’eventuale sentenza di rito pronunciata). In particolare, la rinuncia al
ricorso per cassazione, come anticipato,è disciplinata dagli artt. 390 e ss del c.p.c.
→ diversamente, in sede di giudizio di rinvio, la rinuncia al ricorso in riassunzione - ai sensi dell’art. 63, co. 2, D.Lgs. n. 546/92 - determina l’estinzione dell’intero
processo, con perdita di efficacia di tutte le sentenze (dunque, anche quelle di merito) rese nel corso dello stesso, pertanto, l’atto impositivo originariamente
impugnato diventa definitivo.
▪ inattività delle parti (art. 45):Ai sensi dell’art. 45, co.1, D.Lgs. n. 546/92, “Il processo si estingue nei casi in cui le parti alle quali spetta di proseguire, riassumere o integrare
il giudizio non vi abbiano provveduto entro il termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a fissarlo”. Ai sensi della norma tributaria, il
processo si estingue nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge, nelle quali le parti sono onerate del compimento di atti necessari alla prosecuzione del
processo, entro un termine perentorio, e rimangono inerti. In particolare, si fa riferimento alle fattispecie contemplate dallo stesso D.Lgs. n. 546/92:
A)la mancata ripresa del processo sospeso o interrotto (art. 43);
B)la mancata riassunzione davanti alla Commissione dichiarata competente (art. 5, co. 5) o davanti al giudice a cui il processo è stato rinviato a
seguito della pronuncia della Corte di Cassazione (art. 63, co. 2);
C)l’omessa integrazione del contraddittorio, in caso di litisconsorzio necessario (art. 14, co. 2).
Come nel processo civile, l’estinzione opera automaticamente al perfezionarsi della fattispecie estintiva ma deve essere appurata e dichiarata dal Presidente della
sezione con decreto o dalla Commissione con sentenza, a seconda che la stessa intervenga, rispettivamente, prima o dopo la fissazione dell’udienza di
discussione (il provvedimento, presidenziale o collegiale, pertanto ha natura meramente dichiarativa).
Secondo l’espressa previsione del co. 3 dell’art. 45, l’estinzione può essere “rilevata anche d’ufficio” ma“solo nel grado di giudizio in cui si verifica”: non è
necessaria, dunque, un’apposita eccezione di parte, in quanto anche il giudice può, di sua iniziativa, appurare il comportamento inerte delle parti e dichiarare, di
conseguenza, l’estinzione del processo. Secondo consolidata dottrina, il limite del grado del giudizio in cui si è verificato l’evento estintivo è operante anche per le
parti, le quali pertanto non possono proporre l’eccezione di estinzione nella successiva fase di merito: in mancanza della relativa eccezione durante il primo
grado, se il processo continua in quanto l’estinzione non è stata rilevata dal giudice, la sentenza che decide il merito (senza dichiarare l’estinzione) non può
essere impugnata per tale ragione; viceversa, ove l’estinzione sia stata eccepita dalla parte interessata ma non riconosciuta dal giudice di prime cure, tale vizio
della pronuncia può essere denunciato in sede di gravame: se il giudice dell’appello riconosce il verificarsi della fattispecie estintiva (nel grado precedente) annulla la
sentenza appellata e dichiara l’estinzione del processo, con effetto dal primo grado di giudizio.
L’estinzione per inattività delle parti determina effetti diversi a seconda della fase processuale in cui viene dichiarata:
→ in sede del primo grado di giudizio rende inefficaci gli atti processuali compiuti fino all’evento estintivodeterminando, pertanto, la definitività
dell’atto impugnato (gli atti compiuti dopo tale evento estintivo e fino la pronuncia di estinzione sono ritenuti nulli);
→ durante la fase di appello determina il passaggio in giudicato della sentenza di merito appellata (salvo che ne siano stati modificati gli effetti con
provvedimenti pronunciati nel processo estinto - cfr. Cass. civ., 18 giugno 2014, n. 13808);
→ nel giudizio di rinvio la mancata riassunzione nei termini di legge determina - ai sensi dell’art. 63, co. 2, D.Lgs. n. 546/92 - l’estinzione
dell’intero giudizio, la quale,travolgendo tutte le sentenze pronunciate nel corso dello stesso, rende definitivo l’atto impositivo impugnato.
• cessazione della materia del contendere (art. 46):Ai sensi dell’art. 46, co. 1, D.Lgs. n. 546/92, “Il giudizio si estingue, in tutto o in parte, nei casi di definizione delle
pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni altro caso di cessazione della materia del contendere”. La norma tributaria contempla le ipotesi in cui il processo si
estingue a seguito del verificarsi di un fatto o un evento che fa venir meno la lite sostanziale tra le parti.
In proposito, è opportuno distinguere tra:
1)i “casi di definizione delle pendenze tributarie previste dalla legge”, quali la conciliazione giudiziale (art. 48, D.Lgs. n. 546/92) ovvero i condoni e
le sanatorie fiscali, quando definiscono l’intera pretesa;
2)“ogni altro caso di cessazione della materia del contendere”, ossia le ipotesi in cui l’oggetto del processo viene meno a causa del comportamento
volontario di una delle parti, la quale, durante il processo, riconosce la fondatezza delle ragioni di controparte, come accade quando
l’Amministrazione finanziaria riconosce l’illegittimità/infondatezza dell’atto impositivo emanato, annullandolo in via di autotutela, ovvero quando il
contribuente, dopo aver contestato la pretesa fiscale, presta acquiescenza alla stessa.
In particolare, sono qualificabili in termini di “cessazione della materia del contendere” tutte le fattispecie in grado di determinare la definizione dell’oggetto del
processo tributario (è tale anche l’adempimento spontaneo della pretesa dell’Amministrazione finanziaria da parte del contribuente, a prescindere da una formale rinuncia al
ricorso).
In tale ambito, l’ipotesi più rilevante è l’annullamento dell’atto impositivo impugnato in via di autotutela, da parte dello stesso ufficio che lo ha emanato : si avrà
cessazione della materia del contendere quando l’autotutela è stata determinata dall’accoglimento di uno dei motivi proposti nel ricorso introduttivo a pena di
nullità/annullamento dell’atto impugnato ; in particolare si ritiene che in tali ipotesi la cessazione della materia del contendere sia rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del
processo.
L’estinzione opera automaticamente al perfezionarsi della fattispecie estintiva, ma deve essere dichiarata - ai sensi dell’attuale comma 2 dell’art. 46 in commento -
“salvo quanto diversamente disposto da singole norme di legge”, dal Presidente della sezione con decreto o dalla Commissione con sentenza, a seconda che
intervenga, rispettivamente, prima o dopo la fissazione dell’udienza di discussione.
L’art. 9, comma 1, lett. q), n. 1), del D.Lgs. n. 156/2015 ha novellato il comma 2 dell’art. 44 sopra esposto, eliminando le parole: “salvo quanto diversamente disposto da
singole norme di legge”.
In altri termini, la riforma ex D.Lgs. n. 156/2015 ha previsto che, dal 1° gennaio 2016, l’estinzione del giudizio potrà essere dichiarata solo con sentenza o con decreto
presidenziale, sopprimendo il riferimento ad altre leggi speciali, le quali avrebbero potuto disporre diversamente.
La cessazione della materia del contendere è rilevabile d’ufficio, purché il fatto che la determina risulti dagli atti del giudizio o vi sia concorde dichiarazione in tal
senso delle parti .
Si ritiene che la pronuncia di estinzione per cessata materia del contendere rappresenti il mero riflesso processuale del venir meno della ragione sostanziale del
processo: accerta il sopravvenuto venir meno dell’interesse alla situazione giuridica sostanziale dedotta in giudizio e attesta, appunto, la cessata materia del
contendere.
Si discute se tale pronuncia abbia carattere di mero rito oppure se incida anche sul merito della pretesa:
→ la prevalente giurisprudenza civile afferma la natura meramente processuale del provvedimento di estinzione, in quanto il giudice adito si limita a prendere
atto della sopravvenuta carenza dell’interesse ad agire, ma esula dalla sua cognizione la pretesa sostanziale controversa;
→ diversamente, una parte della dottrina ritiene che la pronuncia di estinzione per cessazione della materia del contendere, sebbene si limiti a dichiarare la
mancanza dell’interesse ad agire, investe anche il c.d. merito della pretesa: l’estinzione del processo è provocata dal venir meno del diritto controverso, pertanto,
il provvedimento giudiziale attesta anche l’infondatezza della pretesa giuridica iniziale.
Sotto certi profili, anche la giurisprudenza conferma l’orientamento della dottrina prevalente laddove sostiene che la pronuncia di estinzione per cessata materia
del contendere comporti la caducazione, oltre che degli atti processuali compiuti, anche di tutte le sentenze (comprese quelle sul merito) rese nel corso del
processo, avendo scaturigine dall’annullamento ab origine della pretesa sostanziale controversa (Cass. civ., sez. trib., 8 luglio 2998, n. 18640). In particolare, la
cessazione della materia del contendere :
→ se dichiarata nel primo grado di giudizio, non rende definitivo l’atto impositivo contestato (in quanto lo stesso è stato annullato o non produce più
effetti);
→ se pronunciata in sede di appello, non fa passare in giudicato la sentenza di merito appellata (dato che la stessa riguarda un atto amministrativo
annullato o inefficace);
→ se dichiarata nel giudizio di rinvio, non rende definitivo l’atto impositivo originariamente impugnato (in quanto ormai venuto meno).
Le norme tributarie si applicano ai giudizi innanzi alle Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali, mentre l’estinzione del processo innanzi alla Cassazione, anche in materia tributaria,
è disciplinato dagli artt. 390 e ss. c.p.c. (in virtù del rinvio operato dall’art. 62, co. 2, D.Lgs. n. 546/1992).
CAPITOLO 3- L'ITER PROCESSUALE DINANZI ALLA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE
3.1-LA PROPOSIZIONE DEL RICORSO DINANZI ALLA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE
-RICORSO ALLA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE:
Il ricorso costituisce l'atto iniziale del processo tributario,che il contribuente propone dinanzi alla commissione tributaria provinciale territorialmente competente.
Il ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale deve contenere l’indicazione ,a norma dell'art. 18 del d.lgs. 546/1992,dei seguenti elementi:
1.della Commissione Tributaria cui è diretto;
2.del ricorrente e del suo legale rappresentante, della relativa residenza o sede legale o del domicilio eventualmente eletto nel territorio dello Stato, nonché del codice fiscale e
dell’indirizzo di posta elettronica certificata;
3.dell’ufficio nei cui confronti il ricorso è proposto;
4.dell’atto impugnato e dell’oggetto della domanda:l'oggetto della domanda viene anche detto petitum ed insieme alla causa petendi,costituisce l'oggetto del processo.
Il petitum consiste,nei processi d'impugnazione, nel provvedimento ,che si chiede al giudice, di annullamento,totale o parziale,dell'atto impugnato( bisogna ricordare che qui si fa
riferimento ai cd. Atti autonomamente impugnabili,che sono impugnabili soltanto per vizi propri e non anche per vizi attinenti ad atti precedenti,anche perché,secondo quanto disposto dall'art.
19 comma 3 del d.lgs 546/1992,la mancata impugnazione di un atto autonomamente impugnabile,preclude la deducibilità successiva del vizio). Possiamo in merito fare un esempio: i vizi
dell'accertamento devono esser fatti valere impugnando tale atto e non possono essere dedotti nel ricorso contro il ruolo o contro la cartella; viceversa,in caso di iscrizione a ruolo fatta sulla base
della dichiarazione,essendo la dichiarazione un atto non autonomamente impugnabile,i vizi della dichiarazione che si riflettano sull'iscrizione a ruolo potranno essere fatti valere impugnando il
ruolo.
Nei processi di rimborso,il petitum consiste invece nella richiesta,rivolta al giudice,di un provvedimento con cui si accerti il credito del ricorrente nei confronti dell'ente impositore e
con cui si condanni tale ente a soddisfare tale credito(nel caso di rifiuto espresso del rimborso,occorre il previo ricorso per l'annullamento dello stesso)
5.dei motivi o del motivo del ricorso:il motivo del ricorso,che deve essere chiaro e conciso, è definito come causa petendi,la quale,nei processi di impugnazione,è costituita dalla
deduzione di un vizio invalidante dell'atto impugnato,mentre,nei processi di rimborso,è costituita dall'indicazione del fatto da cui scaturisce il diritto al rimborso,ossia un
pagamento indebito,e dalla ragione per cui si ritiene tale pagamento indebito.
Il difensore, o il ricorrente, in caso di valore della controversia inferiore a euro 3.000,00, deve sottoscrivere sia l'originale sia le copie destinate alle controparti.
Se il ricorso è privo delle indicazioni previamente elencate,oppure se esso non è sottoscritto,esso è da considerarsi inammissibile(quando non venga sottoscritto si potrebbe parlare di
atto giuridicamente inesistente).
È bene poi osservare che all'interno del ricorso dovrebbero essere altresì contenuti ulteriori elementi,ma non sempre a pena di inammissibilità dello stesso:
→ indicazione del valore della lite,ai fini del calcolo del contributo unificato
→ la procura ad un difensore o ad un soggetto abilitato all'assistenza tecnica,che si rende obbligatoria per controversie il cui valore sia superiore ad euro 3000,con l'obbligo
anche di indicare la categoria di appartenenza del difensore ai sensi dell'art. 12 d.lgs 546/1992, che consenta al giudice la liquidazione delle spese di lite secondo la tariffa
professionale)
→ indirizzo pec del difensore
→ codice fiscale del ricorrente e del difensore
Costituiscono invece elementi eventuali del ricorso l'istanza di sospensione dell'atto impugnato e l'istanza di discussione in pubblica udienza.

3.1.1- TERMINI E MODALITA' DI PROPOSIZIONE DEL RICORSO DINANZI ALLA COMMISSIONE TRIBUTARIA
PROVINCIALE
-TERMINI DI PROPOSIZIONE DEL RICORSO:
Il ricorso ,dinanzi alla commissione tributaria provinciale territorialmente competente,deve essere proposto,a pena di inammissibilità,entro 60 giorni dalla notificazione dell'atto( si tratta di
un termine decadenziale;nel caso di avviso di accertamento con susseguente presentazione di istanza di accertamento con adesione,i termini vengono sospesi di ulteriori 90
giorni),secondo quanto disposto dall'art. 21 del d.lgs 546/1992. Questi termini ricorrono nel caso in cui ci si trovi davanti ad un'azione di impugnazione,per cui il petitum consiste nella
richiesta di un provvedimento che annulli l'atto lesivo.
È bene osservare che i suddetti termini si applicano anche nel caso in cui ad essere impugnato sia l'atto di rifiuto espresso del rimborso.
Nel caso invece di rifiuto tacito alla restituzione di tributi,sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti (rifiuto tacito di rimborso),il ricorso potrà essere proposto soltanto
una volta che siano decorsi 90 giorni dalla data di presentazione dell'istanza di rimborso e sempre entro i termini di prescrizione del diritto al rimborso.
È la notifica del ricorso alla controparte che deve essere eseguita nei suddetti termini.
-NOTIFICA DEL RICORSO ALLA CONTROPARTE:
Il ricorso deve essere portato a conoscenza in primo luogo della controparte,mediante notifica dello stesso. Solo successivamente il ricorso potrà essere portato a
conoscenza del giudice tributario mediante costituzione in giudizio.
Per quanto riguarda la notifica del ricorso alla controparte,ossia all'ufficio dell'amministrazione finanziaria che abbia emesso l'atto lesivo,ovvero che abbia tacitamente negato
il rimborso al contribuente ricorrente,essa deve obbligatoriamente avvenire,secondo quanto disposto dall'art. 16Bis del. d.lgs. 546/1992,novellato dal D.L. 119/2018,a mezzo
PEC.
La notifica del ricorso a mezzo PEC è divenuta obbligatoria dal 1 Luglio 2019,a seguito delle modifiche apportate all'art. 16Bis del d.lgs 546/1992 dal d.l. 119/2018.
Nei casi di notifica tramite PEC, qualora non sia possibile fornirne la prova della notifica o della comunicazione mediante modalità telematiche, il difensore del contribuente e il difensore o il
dipendente di cui si avvalgono l'ente impositore, l'agente della riscossione ed i soggetti iscritti nell'albo di cui all'articolo 53 del D. Lgs. 15 dicembre 1997 n° 446, provvedono ai sensi
dell'articolo 9, commi 1 bis e 1 ter della legge 21 gennaio 1994, n° 53 che disciplina le notifiche in proprio degli avvocati nel settore civile, amministrativo e stragiudiziale (articolo 16, comma
3, D.L. n° 119/2018). Nello specifico il citato articolo 9 commi 1 bis della L. 53/94 prevede che, in questi casi l'avvocato estrae copia su supporto analogico del messaggio di posta
elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi dell'articolo 23,
comma 1, del D. Lgs. 7 marzo 2005, n° 82.
L'obbligo della notifica del ricorso a mezzo PEC non sussiste nei seguenti casi:
→ per i soggetti che non si avvalgono della difesa tecnica nelle cause di valore inferiore ai tremila euro. In tale ipotesi le notifiche sono eseguite ai sensi
dell’articolo 16 del D. Lgs. n° 546/92.
→ nei casi di mancata indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore o della parte; qualora l’indirizzo PEC non sia rinvenibile nei pubblici
elenchi e infine nell’ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario (art. 16 bis, comma 2, D. Lgs. n°
546/92); anche in questi casi la notifica viene eseguita secondo le modalità prescritte dall'art. 16 del d.lgs 546/1992.
Le modalità residuali di notificazione del ricorso all'ente impositore,nei casi sopracitati,vengono descritte dall'art. 16 del d.lgs 546/1992 e sono,alternativamente:
a)a mezzo ufficiale giudiziario,secondo gli artt. 137 e ss. c.p.c. : in quest'ipotesi,contemplata dall'art. 16,comma 1 del d.lgs 546/1992,il pubblico ufficiale consegna copia
autentica dell'atto al destinatario della notifica e restituisce l'originale al ricorrente,con la relazione di notifica
b)mediante consegna diretta da parte del ricorrente all'ufficio impositore (art. 16 comma 3 d.lgs 546/1992): il ricorrente consegna l'originale del ricorso e ne deposita
copia uniforme per la costituzione in giudizio
c)mediante spedizione postale(art. 16 comma 3 d.lgs 546/1992): con plico senza busta,raccomandato e con avviso di ricevimento. Il ricorrente spedisce in questo caso
l'originale del ricorso e ne deposita copia conforme per la costituzione in giudizio.
-COSTITUZIONE IN GIUDIZIO DEL RICORRENTE:
Il ricorrente,attraverso la costituzione in giudizio, porta il ricorso,già notificato alla controparte, a conoscenza della commissione tributaria provinciale.
La costituzione in giudizio del ricorrente deve aversi entro 30 giorni dalla data in cui il ricorso sia stato notificato alla controparte(conta la data di ricezione dello stesso)
La costituzione in giudizio del ricorrente, a pena di inammissibilità, si effettua esclusivamente mediante deposito del ricorso, previamente notificato a mezzo pec, attraverso il Sistema
informativo della Giustizia Tributaria - SIGIT (art. 16 bis, comma 3, D. Lgs. n° 546/92), secondo le disposizioni sul processo tributario telematico (PTT) dettate dal D.M. 23/12/2013, n° 163 e dai
successivi decreti attuativi.
L'art. 16 del D. L. n° 119/2018, modificando il comma 3 dell'art. 16 bis del D. Lgs. n° 546/92, ha infatti disposto l'obbligo della costituzione in giudizio in primo e secondo grado con modalità
telematica relativamente ai ricorsi notificati a decorrere dal 1° luglio 2019 (precedentemente,la costituzione in giudizio del ricorrente si effettuava depositando il fascicolo del ricorso
presso la segreteria della commissione tributaria provinciale,anche a mezzo di spedizione postale)
L’obbligo del deposito con modalità telematiche non vale:
a) per i soggetti che decidono di non avvalersi dell’assistenza tecnica nelle cause di valore inferiore ai tremila euro (articolo 16-bis, comma 3-bis del D. Lgs. n° 546/92). Tuttavia se
intendono avvalersi della modalità telematica ai fini della costituzione in giudizio devono avere un indirizzo di posta elettronica certificata da indicare nel ricorso.
b) qualora il giudice, con provvedimento motivato, autorizzi il deposito con modalità diversa da quella telematica. Nello specifico tale autorizzazione spetta:
• al Presidente della Commissione tributaria nella fase antecedente all’iscrizione a ruolo del ricorso/appello (esempio blocco giornaliero della funzionalità del Sigit non
programmato);
• al Presidente di Sezione nel caso di un ricorso/appello già iscritto a ruolo;
• al Collegio nell’ipotesi in cui la questione sia sollevata in udienza.
Ne deriva che, in tali casi, il deposito del ricorso notificato può essere effettuato con la trasmissione dello stesso a mezzo posta, in plico raccomandato senza busta con avviso di
ricevimento, o direttamente presso la segreteria della Commissione Tributaria adita, entro 30 giorni dalla data di notifica,secondo quanto disposto dall'art. 22, D.Lgs. n° 546/92.
In tale ipotesi resta comunque l’obbligo per l’ente impositore resistente o appellante del deposito telematico degli atti.
Contestualmente alla costituzione in giudizio, il ricorrente deve depositare la nota di iscrizione a (NIR), scaricabile in pdf – doc NIR CTP, NIR CTR, contenente l’indicazione delle parti, del difensore,
dell’atto impugnato, della materia del contendere, del valore della controversia e della data della notificazione. Unitamente a quanto già indicato, il ricorrente deposita il proprio fascicolo, con l’originale o
la fotocopia dell’atto impugnato, se notificato, e i documenti che produce in originale o fotocopia(tra cui la prova della notifica).
Il deposito di eventuali motivi aggiunti o di altra documentazione (art. 24, D. Lgs. n° 546/92) deve avvenire sempre in modalità telematica per i soggetti obbligati, inserendo
necessariamente il numero di iscrizione a ruolo.
Al fine di semplificare le attività correlate al PTT, il citato articolo 16 del D.L. n° 119/18 con l’introduzione dell’articolo 25-bis del D. Lgs. n° 546/92 attribuisce il potere di certificazione di
conformità sia al difensore del contribuente e sia al difensore e al dipendente di cui si avvalgono l'ente impositore, l'agente della riscossione ed i soggetti iscritti nell'albo per la
riscossione degli Enti locali, ovvero il potere di attestare la conformità delle copie degli atti e dei documenti in loro possesso in originale o in copia conforme, secondo le modalità previste
dal Codice dell’amministrazione digitale.
Analogo potere di certificazione in conformità è riconosciuto anche per gli atti estratti dal fascicolo processuale telematico formato ai sensi dell’articolo 14 del decreto del Ministero dell’economia e delle
finanze 23 dicembre 2013, n° 163. La copia informatica o cartacea munita dell’attestazione di conformità, come sopra descritta, equivale all’originale o alla copia conforme dell’atto o del provvedimento
detenuto ovvero presente nel fascicolo informatico. L’estrazione delle copie autentiche dal fascicolo informatico è esonerata dal pagamento dei diritti di copia.
Con il medesimo D.L. n° 119/2018 è stata data l’interpretazione autentica all’attuale formulazione del comma 3 dell’articolo 16-bis del D. Lgs. n° 546/92 in merito ai contenziosi instaurati
prima del regime obbligatorio delle modalità telematiche in vigore dal 1°luglio 2019: le parti possono utilizzare in ogni grado di giudizio la modalità telematica “indipendentemente dalla
modalità prescelta da controparte nonché dall’avvenuto svolgimento del giudizio di primo grado con modalità analogiche”. Con tale interpretazione autentica si superano quelle posizioni
giurisprudenziali che avevano sinora ritenuto soccombente l'Amministrazione finanziaria laddove si fosse costituita telematicamente in presenza di ricorso cartaceo del contribuente.
Le disposizioni relative alla costituzione in giudizio del ricorrente si applicano anche alla costituzione in giudizio dell'appellante(2° grado,dinanzi alla commissione tributaria regionale).
È bene ,da ultimo, sottolineare che la mancata costituzione in giudizio del ricorrente rende il ricorso inammissibile,per cui la causa non potrà essere iscritta nel ruolo generale,non potrà
esservi la trasmissione del fascicolo dalla segreteria al presidente,non potrà esservi assegnazione della causa ad una sezione. Anzi,la mancata costituzione in giudizio del ricorrente fa sì
che il presidente non possa nemmeno pronunciarsi sull'inammissibilità di un ricorso non depositato.
Se il ricorrente non si costituisce in giudizio,non potrà costituirsi in giudizio nemmeno l'altra parte resistente.
Se il ricorrente rinuncia invece al ricorso,il processo si estingue,a norma dell'art. 44 del d.lgs 546/1992,senza bisogno di accettazione della parte non costituita.
-COSTITUZIONE IN GIUDIZIO DEL RESISTENTE:
La costituzione in giudizio della parte resistente può avvenire, entro sessanta giorni dalla avvenuta notifica del ricorso, mediante deposito delle controdeduzioni e degli altri
documenti offerti in comunicazione, notificati a mezzo PEC, mediante il Sistema Informativo della Giustizia Tributaria (SIGIT) secondo le disposizioni sul processo tributario
telematico (PTT) dettate dal D.M. 23/12/2013, n.° 163 e dai successivi decreti attuativi. Per la costituzione in giudizio del resistente valgono le stesse regole per il deposito del
ricorso, ovvero l’obbligo a partire dal 1° luglio 2019 del deposito delle controdeduzioni con modalità telematiche (art. 16 bis, comma 3, D. Lgs. n° 546/92). Nelle
controdeduzioni sono esposte le proprie difese, le prove di cui intende valersi, le eccezioni processuali o di merito non rilevabili d'ufficio e l'eventuale chiamata in causa di
terzi.
Il giudice tributario può tuttavia autorizzare, con provvedimento motivato, il deposito con modalità diverse da quelle telematiche.
L’obbligo del deposito del ricorso in modalità telematica non sussiste per i soggetti che decidono di non avvalersi dell’assistenza tecnica nelle cause di valore inferiore ai
tremila euro (articolo 16-bis, comma 3-bis del D. Lgs. n° 546/92). Per cui la costituzione in giudizio per tali soggetti avviene mediante il deposito presso la segreteria della
Commissione Tributaria adita, del fascicolo cartaceo contenente le controdeduzioni, in tante copie quante sono le parti in giudizio, e i documenti offerti in comunicazione (art.
23, D. Lgs. n° 546/92). Tuttavia, qualora intendano avvalersi della modalità telematica devono avere un indirizzo di posta elettronica certificata da indicare nel ricorso e
osservare le disposizioni sul PTT.
In merito valgono le medesime osservazioni fornite con riguardo alla costituzione in giudizio del ricorrente.
Qualora la parte resistente non si costituisca in giudizio,essa non avrà diritto a ricevere avviso di fissazione dell'udienza,nè a ricevere la notifica dell'istanza di pubblica
udienza,nè la comunicazione del dispositivo.

3.1.2- EFFETTI EXTRA-PROCESSUALI DELLA PRESENTAZIONE DEL RICORSO : RECLAMO E MEDIAZIONE


(EVENTUALE)
-RECLAMO E MEDIAZIONE:
Per le controversie di valore non superiore a cinquantamila euro, il ricorso produce anche gli effetti di un reclamo e può contenere una proposta di mediazione con rideterminazione
dell’ammontare della pretesa. La procedura di reclamo/mediazione deve essere conclusa, a pena di improcedibilità del ricorso, entro il termine di novanta giorni dalla data di notifica di
quest’ultimo (art. 17 bis, D. Lgs. n° 546/92).
L’istituto del reclamo/mediazione si applica agli atti emessi dall’Agenzia delle entrate, delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n° 300. Si applica inoltre, in
quanto compatibili, anche agli atti emessi dagli agenti della riscossione e dai soggetti iscritti nell’albo di cui all’art. 53 del D. Lgs. n° 446/97.
L’istituto non si applica alle controversie di valore indeterminabile (ad eccezione di quelle in materia catastale, di cui all’articolo 2, comma 2, primo periodo) e alle controversie di cui all’art. 47 bis, relative
al recupero degli aiuti di Stato.
L’istanza di reclamo/mediazione, se non diversamente specificato nell’atto impugnato, va inoltrata alla Direzione dell’Agenzia delle entrate, dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli e, più
in generale all’ente che ha emanato l’atto o ha omesso quello richiesto.
La proposizione deve essere effettuata entro sessanta giorni dalla notificazione dell’atto da impugnare, o novanta giorni dal rifiuto tacito dell’atto richiesto(e comunque dopo la notifica
del ricorso all'ente impositore).
La descritta procedura amministrativa, volta alla composizione della lite, costituisce condizione di procedibilità del ricorso, che diviene esperibile decorsi novanta giorni fissati per la
conclusione della stessa. Da tale termine riprendono a decorrere i trenta giorni per la costituzione in giudizio davanti alla Commissione Tributaria e, in quella sede, all'atto del deposito del
fascicolo di parte, andrà allegato il pagamento del contributo unificato. E’ espressamente prevista l’applicabilità della sospensione feriale dei termini processuali (dal 1 al 31 agosto).
In seguito all’ esame istruttorio dell’istanza di reclamo/mediazione, l’ente interessato può:
1.ritenere la proposta di mediazione completa nell’ammontare della pretesa e, per l’effetto accogliere l’istanza del ricorrente, invitando quest’ultimo a sottoscrivere l’accordo di
mediazione senza formalità;
2.ritenere non accoglibile il reclamo, ed in tal caso la procedura può concludersi con un provvedimento motivato espresso di rigetto ovvero con un silenzio-rifiuto, che si
perfeziona decorsi novanta giorni dalla presentazione del reclamo, a fronte del quale il contribuente può:
•fare acquiescenza all’atto;
•costituirsi in giudizio decorsi novanta giorni dalla data di notifica della rigettata istanza di reclamo/mediazione.
Nelle controversie aventi ad oggetto un atto impositivo o di riscossione,la mediazione si perfezione,oltre che con un accordo,con il versamento,entro il termine di 20 giorni dalla data di
sottoscrizione dell'accordo,dell'intera somma dovuta,ovvero della prima rata. Le sanzioni amministrative si applicheranno nella misura pari al 35% del minimo edittale.
Nelle cause di rimborso invece,la mediazione si perfeziona con la sottoscrizione di un accordo in cui sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. L'accordo
costituisce titolo per il pagamento delle somme dovute al contribuente.

3.1.3- ELEMENTO ALLEGATO AL RICORSO: SOSPENSIONE CAUTELARE DELL'ATTO IMPUGNATO (EVENTUALE)


-ISTANZA DI SOSPENSIONE DELL'ATTO IMPUGNATO:
L’art. 47 del D. Lgs. n° 546/92 riconosce al ricorrente la possibilità di chiedere alla Commissione Tributaria Provinciale la sospensione dell’esecuzione dell'atto impugnato, con istanza
inserita o nel ricorso, oppure formulata con atto separato, debitamente notificato alle altre parti e depositato in segreteria.
Bisogna infatti ricordare che il ricorso contro un atto impositivo,come può essere infatti un avviso di accertamento esecutivo ,non comporta ex se la sospensione totale della riscossione
da parte dell'amministrazione finanziaria,la quale potrà dunque riscuotere un terzo dell'imposta,con gli interessi. Anzi,nel caso in cui ad essere impugnati siano l'iscrizione a ruolo o la
cartella di pagamento,l'impugnazione non impedisce nemmeno in parte l'esecuzione dell'atto impugnato.
Per i motivi sopra esposti si ritiene di fondamentale importanza e nell'interesse del contribuente,presentare un'istanza di sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato,già inserendola
all'interno del ricorso medesimo,oppure presentandola con atto separato in corso di giudizio dinanzi alla commissione tributaria provinciale adita.
Affinchè la sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato possa essere concessa ,devono sussistere due presupposti:
→ il fumus boni iuris: ossia la probabile fondatezza del ricorso
→ il periculum in mora: ossia il pericolo che,nelle more del processo,si verifichi un danno grave ed irreparabile
Dopo la presentazione dell'istanza cautelare, il presidente della sezione provvederà con decreto alla fissazione dell'udienza per la trattazione nella prima camera di consiglio utile,
disponendone la comunicazione alle parti almeno dieci giorni prima. La Commissione, sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito, si pronuncia nel termine di centottanta
giorni, salvo nei casi di eccezionale urgenza in cui il presidente della sezione, delibato il merito, dispone con decreto motivato la provvisoria sospensione fino alla pronuncia del Collegio.
La sospensione, ove concessa, può essere totale o parziale e in alcuni subordinata alla prestazione di idonea garanzia (cauzione o fideiussione bancaria o assicurativa).
Il provvedimento che eventualmente respinga la domanda di sospensione non potrà essere appellato.
Dall’emanazione del provvedimento cautelare di sospensione, la trattazione della controversia deve avvenire non oltre novanta giorni, e i suoi effetti cessano dalla data della pubblicazione
della sentenza di primo grado. Previa istanza motivata di parte, è altresì ammessa la revoca o la modifica del provvedimento cautelare.

3.2- LA TRATTAZIONE DEL RICORSO DINANZI ALLA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE


-FASE DI TRATTAZIONE DEL RICORSO:
La fase di trattazione del ricorso riguarda tutte le attività successive alla costituzione in giudizio delle parti dopo l'iscrizione del ricorso nel registro generale,formazione del fascicolo
processuale ed assegnazione del ricorso.
Difatti,una volta costituitesi le parti in giudizio,la segreteria deve inserire i fascicoli delle parti nel fascicolo del processo,che è sottoposto al presidente della commissione,il quale deve
compiere un esame preliminare del ricorso.
Il presidente della commissione tributaria provinciale potrebbe riscontrare uno dei casi di inammissibilità manifesta del ricorso,quali:
→ difetti di contenuto del ricorso
→ ricorso proposto fuori termine
→ mancata costituzione in termine
→ non conformità tra originale e copia
Qualora il presidente riscontri uno dei suddetti elementi,egli dovrà dichiarare,con decreto l'inammissibilità del ricorso.
In sede di tale esame,ove ne sussistano i presupposti,egli potrà dichiarare,con decreto,la sospensione,l'interruzione o l'estinzione del processo.
Non trovando invece cause di inammissibilità del ricorso ,egli dovrà assegnare il ricorso ad una sezione.

-FISSAZIONE DELL'UDIENZA DI TRATTAZIONE:


Il presidente della sezione,ove non abbia emesso provvedimenti di inammissibilità o di sospensione,interruzione od estinzione del processo,deve procedere alla fissazione
dell'udienza di trattazione della controversia ed alla nomina del relatore.
È bene sottolineare che la fissazione della data dell'udienza di trattazione deve essere comunicata dalla segreteria della Commissione tributaria alle parti almeno 30 giorni
liberi prima che la stessa abbia luogo,secondo quanto disposto dall'art. 31 del d.p.r. 546/1992.
Le comunicazioni alle parti sono eseguite:
1.con posta elettronica certificata ;
2.con avviso della segreteria della Commissione Tributaria, consegnato a mano o mediante spedizione postale in plico senza busta raccomandata con avviso di
ricevimento (art. 16, D. Lgs. n° 546/92).
Le modalità di comunicazione di cui al punto 2, si applicano esclusivamente per le comunicazioni nell’ambito dei processi tributari per i quali non vige l’obbligo della
modalità telematica (controversie inferiori ai 3.000 euro). Tuttavia se nel ricorso depositato presso la Commissione tributaria è indicato un indirizzo di posta elettronica
certificata, le comunicazioni sono inviate all’indirizzo PEC.
Nell’ambito del processo tributario telematico, la mancata indicazione dell'indirizzo di posta elettronica certificata del difensore o della parte, ove lo stesso non sia reperibile da pubblici
elenchi, ovvero nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio PEC per cause imputabili al destinatario, le comunicazioni sono eseguite esclusivamente mediante deposito presso
l’Ufficio di Segreteria della Commissione tributaria (art. 16 bis, comma 2, D. Lgs. N° 546/92).
Qualora le parti non vengano ritualmente avvertite,la decisione assunta dalla commissione tributaria provinciale è nulla.
-DISCUSSIONE DELLA CAUSA:
La discussione della causa avviene in Camera di Consiglio, salvo che almeno una delle parti non abbia chiesto la discussione in pubblica udienza,per cui avremo,alternativamente:
→ Trattazione in camera di consiglio e attività difensiva
La discussione del ricorso in Camera di Consiglio(in modo non pubblico e senza partecipazione delle parti) è esercitata dalle parti osservando, a pena di
decadenza, i seguenti termini:
• 20 giorni liberi prima dell'udienza possono depositare documenti
• 10 giorni liberi prima dell'udienza possono depositare le memorie illustrative
• 5 giorni liberi prima dell'udienza possono depositare brevi repliche scritte
Il relatore espone al collegio, senza la presenza delle parti, i fatti e le questioni della controversia. Il segretario redige processo verbale (art. 33, D. Lgs. n° 546/92).
Il collegio giudicante, subito dopo l'esposizione del relatore, delibera la decisione in segreto nella camera di consiglio (art. 35, D. Lgs. n° 546/92). La decisione è
presa a maggioranza dei voti.
→ Trattazione in pubblica udienza e attività difensiva
La discussione in pubblica udienza deve essere chiesta con apposita istanza da depositare nella segreteria della Commissione Tributaria competente, e da
notificare alle altre parti costituite entro dieci giorni liberi prima della data dell'udienza stessa (art. 34, D. Lgs. n° 546/92)(oppure può essere già presentata nel
ricorso).
Nella discussione in pubblica udienza, le parti possono esercitare le proprie attività di difesa rispettando i seguenti termini, a pena di decadenza:
• 20 giorni liberi prima dell'udienza possono depositare documenti
• 10 giorni liberi prima dell'udienza possono depositare le memorie illustrative
A differenza della discussione in Camera di consiglio, non è ammesso il deposito delle brevi repliche.
All’udienza pubblica il relatore espone al collegio i fatti e le questioni della controversia e quindi il presidente ammette le parti presenti alla discussione. Subito
dopo il collegio delibera la decisione in segreto nella camera di consiglio. Il segretario redige processo verbale.
All'udienza pubblica possono partecipare anche persone estranee al processo.

3.2.1- POSSIBILITA' DI CONCILIAZIONE GIUDIZIALE(EVENTUALE)


-CONCILIAZIONE TRIBUTARIA(GIUDIZIALE):
La conciliazione giudiziale, come modificata dall’art. 9, comma 1, lett. s), t) del D. Lgs. n° 156/2015, è il mezzo attraverso il quale il contribuente può definire, in tempi brevi, un
contenzioso, già in atto o anche solo potenziale, godendo di una riduzione delle sanzioni amministrative, variabile in base al grado di giudizio in cui si perfeziona.
La disciplina della conciliazione è contenuta negli articoli articolo 48 (conciliazione fuori udienza), 48 bis (conciliazione in udienza) e 48 ter (definizione e pagamento delle somme dovute).
Per quanto riguarda la conciliazione fuori udienza,le parti che fuori udienza raggiungano un accordo,debbono presentare istanza congiunta,sottoscritta o personalmente o dai rispettivi
difensori,per la definizione totale o parziale della controversia.
Se vi è già stata la data di fissazione dell'udienza di trattazione e se sussistono comunque le condizioni di ammissibilità,la commissione pronuncia,con sentenza,la cessazione della
materia del contendere (se l'accordo è parziale,la commissione dichiara,con ordinanza,la cessazione parziale della materia del contendere. La conciliazione stragiudiziale si perfeziona con
la sottoscrizione dell'accordo ,nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento; l'accordo costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all'ente
impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente.
Per quanto riguarda invece la conciliazione giudiziale,disciplinata dall'art. 48Bis del d.p.r. 546/1992,vi è da dire che ciascuna parte,entro e non oltre il termine in cui possono essere presentate
memorie,quindi entro e non oltre i 10 giorni liberi prima che abbia luogo l'udienza di trattazione,può presentare istanza per la conciliazione totale o parziale della controversia. Il giorno
dell'udienza,la commissione tributaria,se sussistono le condizioni di ammissibilità,invita le parti alla conciliazione e rinvia eventualmente la causa alla successiva udienza per il
perfezionamento dell'accordo. In questo caso ,la conciliazione si perfeziona ,previo vaglio di legittimità formale e di ammissibilità da parte della commissione tributaria mediante
redazione di un processo verbale in cui sono indicate le somme dovute,i termini e le modalità di pagamento. Tale processo verbale costituisce titolo per la riscossione di quanto dovuto
all'ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente (si ricorda che le sanzioni si applicano al 40% del minimo edittale se si perviene a conciliazione nel primo grado di
giudizio,mentre al 50% nel secondo grado di giudizio).
Per quanto concerne l'aspetto inerente a quali controversie possono essere conciliate,vi è da dire che non vi sono limiti specifici,ma ciò non comporta assolutamente che l'amministrazione
finanziaria possa accedere ad una soluzione non conforme al diritto o che non rappresenti la giusta composizione della lite. Naturalmente,la conciliazione si applica soprattutto nelle liti estimative ed in
tutte le questioni di fatto che siano di incerta soluzione Non sono conciliabili questioni riguardanti le sanzioni.
Da ultimo,occorre dire brevemente che parte della dottrina ha ritenuto la conciliazione,al pari dell'accertamento con adesione, come un accordo transattivo e quindi come una deroga al
principio dell'indisponibilità dell'obbligazione tributaria. Tale soluzione non appare in alcun modo condivisibile per il semplice fatto che mentre la transazione civilistica prevede
reciproche concessioni tra le parti,che quindi dispongono in parte dei loro diritti,la conciliazione tributaria consente all'amministrazione finanziaria semplicemente di accordarsi con il
contribuente per realizzare una giusta composizione della lite,senza fare concessioni e dunque senza disporre del suo diritto. L'accordo attraverso cui si raggiunge la conciliazione,in tal
senso,si andrà a configurare come un provvedimento amministrativo a carattere autoritativo,che consta dell'accettazione da parte del contribuente e che va a rettificare l'atto impugnato.

3.3- L'ISTRUZIONE PROBATORIA


3.3.1- PRINCIPI IN MATERIA DI ISTRUZIONE PROBATORIA E POTERI ISTRUTTORI DEL GIUDICE TRIBUTARIO
-PRINCIPI IN MATERIA DI ISTRUZIONE PROBATORIA:
Premettendo che l'istruzione probatoria è quella fase del processo tributario in cui si acquisiscono gli elementi di fatto e si controllano gli aspetti giuridici necessari per la
definizione del processo e che si ha a seguito della costituzione delle parti e prima della rimessione della causa in decisione,possiamo definire la stessa,in senso stretto,come
attività di acquisizione delle prove,scritte e orali,necessarie per definire la controversia.
Essa di configura dunque come una fase interna alla trattazione della causa,prodromica all'assunzione della causa in decisione.
L'istruzione probatoria,nell'ambito del processo tributario,è regolata da norme contenute sia nel d.lgs 546/1992,sia da norme del codice di procedura civile
È bene osservare che una norma cardine ,in materia di attività istruttoria è rappresentata dall'art. 115 c.p.c .,il quale dispone che “ salvi i casi previsti dalla legge,il giudice deve
porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero,nonchè i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita”.
L'art. 115 c.p.c. Esprime due differenti principi,che presiedono lo svolgimento dell'attività di istruzione probatoria,ossia:
→ principio dispositivo:Con tale formulazione dell'art. 115 c.p.c. Si intende far riferimento innanzitutto al cd. Principio dispositivo,ossia il principio in virtù del quale il giudice
deve porre a fondamento della sua decisione soltanto le prove che le parti hanno esibito in giudizio,salve le ipotesi in cui la legge lo autorizzi a disporne d'ufficio l'acquisizione
(in altri termini,il giudice non potrà decidere che sulla base degli atti o dei fatti proposti dalle parti medesime).
→ principio di non contestazione:Osservando poi l'art. 115 comma 2 c.p.c.,per cui il giudice deve porre a fondamento della decisione anche i fatti non specificatamente
contestati dalla parte costituita, emerge un altro principio,ossia il cd. Principio di non contestazione o principio dell'onere di contestazione,in virtù del quale devono ritenersi
provati i fatti affermati da una parte e non tempestivamente contestati dall'altra parte.
-POTERI ISTRUTTORI DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE:
I poteri istruttori delle commissioni tributarie sono disciplinati dall'art. 7 del d.lgs 546/1992,il quale dispone quanto segue:” le commissioni tributarie,ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle
parti,esercitano tutte le facoltà di accesso,di richiesta di dati,di informazioni e chiarimenti conferiti agli uffici tributari ed all'ente locale da ciascuna legge d'imposta”, esse inoltre “ quando occorre
acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità,possono richiedere apposite relazioni ad organi tecnici dell'amministrazione dello stato o di altri enti pubblici,compreso il corpo della Guardia di
Finanza,ovvero disporre consulenza tecnica”.
Da quanto sopra esaminato,emerge che il giudice tributario,di sua iniziativa,possa:
→ disporre accessi ed ispezioni
→ richiedere dati,informazioni e chiarimenti
→ richiedere relazioni tecniche ad organi dello Stato
→ disporre lo svolgimento di una consulenza tecnica (CTU,ossia consulenza tecnica d'ufficio)
Rileva comunque che i poteri istruttori del giudice tributario sono circoscritti,secondo quanto disposto dal suddetto art. 7 d.lgs/546/1992, nei limiti dei fatti dedotti dalle parti,con ciò
intendendo che al giudice non è attribuita la possibilità di indagare su fatti che non siano stati indicati dalle parti.
Da ultimo,va sottolineato che i poteri istruttori delle commissioni tributarie regionali sono ancor più limitati,dal momento che gli stessi possono riguardare soltanto prove che siano ritenute
necessarie per la decisione ,oppure prove che la parte non abbia potuto fornire in sede di giudizio di primo grado per causa a lui non imputabile.

3.3.2- PROVE INAMMISSIBILI E PROVE AMMISSIBILI


-PROVE NEL PROCESSO TRIBUTARIO:
L'istruttoria,nel processo tributario,ha un carattere marcatamente documentale,per cui si esclude l'ammissibilità di prove testimoniali e di giuramenti,così come disposto dall'art. 7 comma
4 del d.lgs 546/1992 (anche se acquisite,sarebbero inutilizzabili).
Parimenti,secondo quanto disposto dall'art. 32 comma 4 del d.p.r. 600/1973,non sono utilizzabili a favore del contribuente le notizie ,i dati ed i documenti che egli non abbia fornito
all'amministrazione finanziaria,previa richiesta da parte della stessa, in sede di attività di accertamento. In merito va osservato che tali documenti,dati o notizie rimangono comunque
utilizzabili da parte dell'ufficio resistente contro il contribuente e che la preclusione dell'utilizzabilità degli stessi da parte del contribuente può essere superata soltanto se il contribuente
prova che la mancata consegna di tali elementi è stata dovuta a cause a lui non imputabili.
Ulteriori prove considerate inammissibili sono le prove precostituite,acquisite in modo irrituale o illecito: esse non sono utilizzabili sia se siano state violate le norme dettate per garantire il
risultato dell'istruttoria,sia se siano state violate norme che limitano i poteri di indagine a tutela di interessi privati costituzionalmente riconosciuti( es. non sono utilizzabili i documenti acquisiti nel corso di
accesso ad abitazione privata senza autorizzazione del Procuratore della Repubblica).
A questo punto,osservato quali prove siano inammissibili in sede di contenzioso tributario,occorre ora analizzare quali siano invece le prove ammissibili:
→ prove documentali precostituite,purchè acquisite in maniera rituale e lecita
→ atti ,documenti ,libri e registri contabili che il contribuente non abbia sottratto alla visione dell'amministrazione finanziaria
→ atti e documenti dell'amministrazione finanziaria,nonchè eventuali e inerenti informazioni scritte richieste dal giudice: va ricordato che se trattasi di atti pubblici,come ad
esempio i verbali delle verifiche, essi fanno piena prova ,fino a querela di falso,dei fatti compitu dal verbalizzante o avvenuti in sua presenza.
→ dati bancari,anche acquisiti in modo illecito
→ dichiarazioni sostitutive di notorietà scritte da terzi: per tali sin intendono sia le dichiarazioni di terzi riprodotte nei processi verbali della Guardia di Finanza o dell'amministrazione
finanziaria,sia le dichiarazioni scritte da terzi e prodotte dal contribuente. In merito va osservato che le stesse non hanno valenza probatoria se rappresentanti l'unico elemento di prova
Occorre poi evidenziare che tutta la fase istruttoria del processo tributario si basa sulle cd presunzioni,ossia le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire ad
un fatto ignoto. È soprattutto l'amministrazione finanziaria a ricorrere all'uso di tali presunzioni,già nei suoi stessi atti amministrativi e, è bene sottolinearlo, essa si avvale non soltanto di
presunzioni legali,il cui valore probatorio è sancito ex lege,ma anche delle cd. Presunzioni semplici,il cui valore probatorio è rimesso al prudente apprezzamento del giudice (le quali si
dividono in qualificate,che si presentano come gravi ,precise e concordanti,ed in semplicissime,che non presentano i requisiti di gravità,precisione e concordanza e che vengono utilizzate
soprattutto nell'ambito dell'accertamento induttivo extra-contabile). Dunque, nel contenzioso tributario non trova applicazione l'art. 2729 comma 2 c.c.,il quale dispone che le presunzioni
semplici sarebbero escluse nei casi in cui non fosse consentita la prova testimoniale.
Esempi di presunzioni semplici ricorrenti nell'ambito del processo tributario , il cui valore probatorio è ormai supportato da una consolidata produzione giurisprudenziale,sono:
→ presunzione di attribuzione pro-quota ai soci degli utili extra-bilancio prodotti da società di capitali a ristretta base azionaria
→ presunzione semplice data dal comportamento anti-economico del contribuente,ossia da una condotta non ispirata ai normali criteri di economicità ed efficienza
dell'imprenditore,in contrasto con le scelte del buon senso e prive di razionale motivazione. Tale comportamento anti-economico può giustificare il disconoscimento della deducibilità
dei costi.
→ presunzione semplice data dalla confessione su fatti relativi a diritti non disponibili (tali sono i fatti relativi ai tributi ed alle relative infrazioni): valgono come confessione le
dichiarazioni che il contribuente faccia,nel processo o in atti extra-processuali,di fatti a sé sfavorevoli (tal valore è attribuito alle stesse dichiarazioni dei redditi ed alle altre dichiarazioni
fiscali,che costituiscono dunque confessioni stragiudiziali). Parimenti,hanno valore di confessione stragiudiziale anche le dichiarazioni rese con i questionari,o documentate nei verbali
redatti presso l'ufficio,o in sede di accesso,se il verbale che le documenta è stato sottoscritto dal contribuente.
Interessante poi è l'analisi del valore degli accertamenti di fatto contenuta nelle sentenze penali passate in giudicato,che non rilevano sotto il profilo del valore probatorio,ma che,tuttavia ,
costituiscono il mezzo attraverso cui le prove raccolte in sede penale sono portate a conoscenza del giudice tributario,che può prenderle o meno in considerazione.

3.3.3- L'ONERE DELLA PROVA NEL CONTENZIOSO TRIBUTARIO


-ONERE DELLA PROVA:
Tramontata la presunzione di legittimità degli atti amministrativi,la giurisprudenza ha ritenuto di ripartire l'onere della prova,ai sensi dell'art. 2697 c.c., secondo quanto segue:
→ è posto a carico dell'amministrazione finanziaria l'onere di provare gli elementi attivi della base imponibile,considerati gli stessi come fatti costitutivi ed essendo il fisco
attore in senso sostanziale
→ è posto a carico del contribuente l'onere di provare gli elementi negativi della base imponibile.
È bene poi osservare che il problema delle prove e del relativo onere della prova investe non soltanto il processo tributario,ma anche la stessa attività di accertamento e l'attività di
indagine posta in essere dall'amministrazione finanziaria,per cui si spiega la necessarietà di limiti precisi ai poteri d'indagine e della motivazione all'interno degli avvisi di accertamento. Allargando il
campo di analisi,possiamo osservare che l'atto amministrativo non può essere emesso se non sulla base di prove che lo giustifichino,per cui eventuali vizi dell'atto lo andrebbero ad inficiare sotto il
profilo della legittimità.
Dunque,in merito alla contestazione della legittimità degli atti emessi ,spetta all'amministrazione finanziaria l'onere della prova relativo a:
→ rispetto delle regole procedurali,quando il contribuente contesti la legittimità formale dell'atto
→ gli elementi attivi accertati ed il disconoscimento dei costi dedotti(tale disconoscimento dei costi dedotti deve essere provato alla luce sia del fatto che esso costituisce
accertamento di maggior imponibile,sia del fatto che tale disconoscimento deve basarsi su fatti che siano a fondamento dell'indeducibilità)
Diversamente,grava sul contribuente l'onere della prova di:
→ dei costi (se non ha presentato dei documenti all'amministrazione finanziaria in sede di accessi,ispezioni e verifiche,nonchè in sede di inviti,tali documenti che provino i costi non
potranno essere utilizzati a suo favore)
→ fatti che hanno reso applicabile un'esenzione o un'agevolazione

3.4- L'ASSUNZIONE DELLA CAUSA IN DECISIONE


-ASSUNZIONE DELLA CAUSA IN DECISIONE:
Alla conclusione della trattazione della causa nella relativa udienza,la commissione tributaria provinciale si riunisce in camera di consiglio e delibera in segreto. La decisione
viene approvata a maggioranza dei voti ed il segretario redige processo verbale.
Come nel processo civile,la sentenza è resa pubblica mediante deposito nella segreteria della commissione tributaria provinciale. Il deposito della sentenza deve aversi
necessariamente entro 30 giorni dalla data di deliberazione e deve essere certificato dall'apposizione della data e della firma da parte del segretario .
La segreteria della commissione tributaria provinciale,entro e non oltre i 10 giorni seguenti al deposito,deve comunicare il dispositivo alle parti costituite.
-SENTENZA:
La sentenza è l'atto conclusivo del processo tributario. È pronunciata in nome del popolo italiano ed è intestata alla Repubblica italiana (art. 36, D. Lgs. n° 546/92). Essa deve contenere:
1.l'indicazione della composizione del collegio, delle parti e dei loro difensori se vi sono;
2.la breve esposizione dello svolgimento del processo;
3.le richieste delle parti;
4.la sintetica esposizione dei motivi di fatto e di diritto;
5.il dispositivo.
La sentenza deve inoltre contenere la data della deliberazione e deve essere sottoscritta dal presidente e dal giudice estensore. La mancata sottoscrizione ne comporta la nullità
insanabile, rilevabile anche d’ufficio.
La Commissione Tributaria giudica nei limiti e nell'ambito delle domande e delle eccezioni di parte.
La sentenza è pubblicata, nel testo integrale originale, mediante deposito nella segreteria della Commissione Tributaria, entro trenta giorni dalla deliberazione. L'avvenuto deposito è
certificato dal segretario, con apposizione sulla sentenza della propria firma e della data. Il dispositivo è comunicato alle parti costituite a cura della segreteria, entro dieci giorni
dall'avvenuto deposito.
-CONDANNA ALLE SPESE DI LITE:
La parte soccombente è condannata a rimborsare le spese di giudizio liquidate con la sentenza (art. 15, D. Lgs. n° 546/92). La Commissione Tributaria può tuttavia dichiarare
compensate, in tutto o in parte, le spese di lite soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere
espressamente motivate. Con la previsione del comma 2 bis dell'art. 15 è richiamata espressamente l'applicabilità dell'articolo 96, primo e terzo comma, c.p.c., in tema di condanna al
risarcimento del danno per responsabilità aggravata, che si aggiunge alla condanna del pagamento delle spese di lite.
In materia di spese di lite, si evidenzia:
1.in caso di rinuncia, il ricorrente deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo fra loro (art. 44, D. Lgs. n° 546/92);
2.in caso di estinzione del processo per inattività delle parti, le spese del processo estinto restano a carico delle parti che le hanno anticipate (art. 45, D. Lgs. n°
546/92);
3.in caso di estinzione del giudizio per definizione delle pendenze tributarie previste dalla legge, le spese del giudizio estinto restano a carico della parte che le ha
anticipate (art. 46, D. Lgs. n° 546/92);
4.con l’ordinanza che decide sulle istanze cautelari, la commissione provvede sulle spese della relativa fase. Tale pronuncia conserva efficacia anche dopo il
provvedimento che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza di merito (art. 15, comma 2 quater, D. Lgs. n° 546/92);
5.nelle controversie di cui all'art. 17 bis del D. Lgs. n° 546/92, le spese di giudizio sono maggiorate del 50% a titolo di rimborso delle maggiori spese del
procedimento (art. 15, comma 2 septies, D. Lgs. n° 546/92);
6.le spese processuali restano a carico della parte che non abbia accettato, senza giustificato motivo, una proposta conciliativa della controparte, qualora il
riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della proposta avanzata (art. 15, comma 2 octies, D. Lgs. n° 546/92);
7.mentre la riscossione delle somme liquidate a favore dell’ente impositore, dell’agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’art. 53 del decreto
legislativo 15 dicembre 1997, n° 446, se assistiti da propri funzionari, avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo, solo dopo che la sentenza che le dispone è
passata in giudicato (art. 15, comma 2 sexies, D. Lgs. n° 546/92), per il contribuente la sentenza è immediatamente esecutiva ai fini del recupero delle spese di lite.
-COMUNICAZIONE DEL DISPOSITIVO:
La comunicazione del dispositivo della sentenza è eseguita:
1.con posta elettronica certificata (art. 16 bis del D. Lgs. n° 546/92 e decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 26/04/2012).
2.con avviso della segreteria consegnato a mano o utilizzando la spedizione postale (art. 16, comma 1 del D. Lgs. n° 546/92);
Le modalità di comunicazione di cui al punto 2, si applicano esclusivamente per le comunicazioni nell’ambito dei processi tributari per i quali non vige l’obbligo della modalità telematica
(controversie inferiori ai 3.000 euro). Tuttavia se nel ricorso depositato presso la Commissione tributaria è indicato un indirizzo di posta elettronica certificata, le comunicazioni sono inviate all’indirizzo
PEC.
Nell’ambito del processo tributario telematico la mancata indicazione dell'indirizzo di posta elettronica certificata del difensore o della parte e qualora non sia possibile reperirlo da pubblici elenchi,
ovvero nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio PEC per cause imputabili al destinatario, le comunicazioni sono eseguite esclusivamente mediante deposito presso l’Ufficio di Segreteria della
Commissione tributaria (art. 16 bis, comma 2, D. Lgs. n° 546/92).
La comunicazione si intende perfezionata con la ricezione avvenuta nei confronti di almeno uno dei difensori della parte (articolo 16 bis. comma 1, D.lgs. n. 546/92).

-PAGAMENTO DEL TRIBUTO IN PENDENZA DI GIUDIZIO:


Gli atti impositivi per i quali è pendente il giudizio dinanzi alle Commissioni Tributarie sono oggetto, nei casi previsti, di una riscossione frazionata del quantum in essi definito, anche in
deroga alle prescrizioni delle singole leggi di imposta (art. 68, D. Lgs. n° 546/92). Il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere pag ato:
1.per i due terzi, dopo la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale che respinge il ricorso;
2.per l'ammontare risultante dalla sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, e comunque non oltre i due terzi, se la stessa accoglie parzialmente il ricorso;
3.per il residuo ammontare determinato nella sentenza della Commissione Tributaria Regionale.
4.per l'ammontare dovuto nella pendenza del giudizio di primo grado dopo la sentenza della Corte di Cassazione di annullamento con rinvio, e per l'intero importo indicato
nell'atto in caso di mancata riassunzione;
Gli importi anzidetti vanno in ogni caso diminuiti di quanto già corrisposto.

SCHEMA SULLE TIPOLOGIE DI SENTENZE DELLA COMMISSIONE TRIBUTARIA:


TIPOLOGIA DELLA SENTENZA NATURA DELLA SENTENZA EFFETTI DELLA SENTENZA

SENTENZA CHE RESPINGE IL RICORSO( A Sentenza con effetti dichiarativi o di accertamento,dal momento che con essa la L'atto impugnato sopravvive al
SEGUITO DI AZIONE DI IMPUGNAZIONE) commissione tributaria dichiara l'insussistenza dei vizi dedotti dal contribuente con giudizio e continua a produrre effetti. L'esecuzione riguarda
riferimento all'atto impugnato in questo caso
l'atto, non la sentenza,dal momento che la sentenza non
sostituisce l'atto impositivo originariamente emesso.

SENTENZA CHE ACCOGLIE TOTALMENTE Sentenza di accertamento del diritto del ricorrente all'annullamento dell'atto impositivo e La sentenza annulla l'atto impugnato, che cessa di esistere.
IL RICORSO(A SEGUITO DI AZIONE DI sentenza al contempo di di annullamento totale dell'atto impugnato. Cade l‟atto e così i suoi effetti.
IMPUGNAZIONE)

SENTENZA CHE ACCOGLIE Sentenza di accertamento del diritto del contribuente all'annullamento dell'atto impositivo e La sentenza annulla parzialmente l'atto impugnato,lasciando in piedi
PARZIALMENTE IL RICORSO( A SEGUITO sentenza al contempo di annullamento parziale dell'atto impugnato e produttiva di effetti la parte dell'atto impugnato che invece ritiene
DI AZIONE DI IMPUGNAZIONE) legittima.
Quindi atto impugnato parzialmente annullato e suoi effetti
parzialmente caducati

SENTENZA DI CONDANNA (A SEGUITO DI Sentenza dal contenuto complesso: Le sentenze di condanna,che per l'appunto condannano
AZIONE DI CONDANNA AL RIMBORSO) qualora si tratti di sentenza emessa a seguito di azione di condanna al rimborso a fronte di l'amministrazione finanziaria al rimborso nei confronti del
un diniego espresso,la sentenza si pone come di accertamento del credito del contribuente ricorrente,una volta che siano passate in giudicato,sono
ricorrente,come di annullamento del diniego espresso e come di condanna al rimborso per esecutive,per cui il contribuente,qualora l'amministrazione non
l'amministrazione finanziaria; qualora si tratti di sentenza emessa a seguito di azione di provveda ancora al rimborso,potrà esperire il giudizio di
condanna al rimborso a fronte di un diniego tacito,la sentenza si pone come di ottemperanza
accertamento del credito e come di condanna al rimborso per l'amministrazione finanziaria
INTERPRETAZIONE GIURISPRUDENZIALE: La giurisprudenza ritiene,in maniera non condivisibile,che qualora il giudizio verta su vizi sostanziali dell'atto impugnato( an e quantum
dell'imposta),la sentenza sostituirebbe l'atto impugnato,sia quando respinga il ricorso,sia quando lo accolga. Per questo motivo il processo tributario verrebbe definito come processo di
impugnazione-merito,intendendo con ciò dire che la sentenza sostituisce l'atto impugnato. Non è assolutamente pensabile che il giudice,qualora respinga il ricorso,formuli un nuovo atto impositivo
che riproduca il contenuto di quello emesso dall'amministrazione finanziaria; parimenti,in caso di accoglimento del ricorso,la sentenza di accoglimento del ricorso non potrebbe mai sostituire l'atto
annullato con un nuovo atto impositivo,di matrice giurisprudenziale.

3.4.1- ESECUZIONE DELLA SENTENZA DELLA COMMISSIONE TRIBUTARIA


-ESECUZIONE DELLA SENTENZA:
L’art. 67 bis del D. Lgs. n° 546/92 stabilisce che “le sentenze emesse dalle commissioni tributarie sono esecutive…”, innovando rispetto al passato con l’introduzione del principio
generale di immediata esecutività delle pronunce delle Commissioni Tributarie Provinciale e Regionale, per tutte le parti in causa, ed attuando di fatto il riconoscimento di una parità fra
fisco e contribuente.
I successivi artt. 68 e 69 del D. Lgs. n° 546/92 dispongono che l’esecuzione delle sentenze tributarie favorevoli al contribuente è effettuata con l’esperimento del giudizio di ottemperanza,
pur distinguendo le seguenti ipotesi :
1.Esecuzione delle sentenze favorevoli al contribuente: restituzione delle somme versate a titolo di riscossione frazionata in pendenza di giudizio (art. 68, comma 2, D. Lgs. n° 546/92). In
caso di accoglimento del ricorso, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto definito dalla sentenza, unitamente agli interessi previsti per legge, deve essere rimborsato d’ufficio entro
novanta giorni dalla notificazione della stessa. L’inosservanza di quanto sopra legittima il contribuente, ai sensi dell’art. 70 del D. Lgs. n° 546/92, ad esperire l’ottemperanza dinanzi alla
Commissione Tributaria Provinciale oppure, se il giudizio è pendente nei gradi successivi, alla Commissione Tributaria Regionale.
2.Esecuzione delle sentenze favorevoli al contribuente: restituzione delle somme versate in carenza di una causa solvendi ed esecuzione delle sentenze sulle liti catastali (art. 69, comma 2,
D. Lgs. n° 546/92).
Le sentenze di condanna al pagamento di somme versate indebitamente e quelle emesse su ricorso avverso gli atti relativi alle operazioni catastali di cui all’art. 2, comma 2, sono
immediatamente esecutive. La restituzione deve essere eseguita entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza ovvero dalla presentazione della garanzia. Quest’ultima, disciplinata
dal regolamento di attuazione del comma 2, dell’art. 69 del D. Lgs. n° 546/92, introdotto con il decreto ministeriale n° 22 del 06/02/2017 ed entrato in vigore il 28/03/2017, può essere disposta dal
giudice in caso di pagamento di somme di importo superiore a diecimila euro, diverse dalle spese di lite, anche in considerazione delle condizioni di solvibilità dell’istante. I costi della garanzia, anticipati
dal contribuente, sono a carico della parte soccombente all’esito definitivo del giudizio.
L’inosservanza di quanto sopra legittima il contribuente, ai sensi dell’art. 70 del D. Lgs. n° 546/92, ad esperire il rimedio dell’ottemperanza dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale
oppure, se il giudizio è pendente nei gradi successivi, dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale.
-RICORSO PER OTTEMPERANZA:
I presupposti per esperire il giudizio di ottemperanza (art. 70, D. Lgs. n° 546/92) sono:
1.l'inutile decorso del termine entro il quale è prescritto dalla legge l’adempimento o, in mancanza, il decorso di trenta giorni dalla messa in mora a mezzo di ufficiale giudiziario;
2.una sentenza la cui esecuzione richieda una specifica attività non posta in essere dall'ufficio soccombente (es.: rimborso, riconoscimento di un beneficio, correzione delle
risultanze catastali).
Sul punto si precisa che, nonostante il tenore letterale dell’art. 70 del D. Lgs. n° 546/92 prescriva, quale ulteriore requisito, il passaggio in giudicato della sentenza, il ricorso per
ottemperanza può essere esperito anche nelle ipotesi di sentenze non definitive, per il combinato disposto degli artt. 67, 68 e 69 del D. Lgs. n° 546/92.
Il giudice competente per il giudizio di ottemperanza è la Commissione Tributaria Provinciale che ha pronunciato la sentenza, se rimasta inappellata o il cui appello si sia concluso con
una dichiarazione di inammissibilità, di improcedibilità o di estinzione del giudizio stesso.
In ogni altro caso la competenza spetta alla Commissione Tributaria Regionale.
Il ricorso deve essere indirizzato al presidente della Commissione Tributaria competente, deve contenere la sommaria esposizione dei fatti che ne giustificano la proposizione con la
precisa indicazione, a pena di inammissibilità, della sentenza passata in giudicato di cui si chiede l'ottemperanza, prodotta in copia unitamente all’originale o copia autentica dell’atto di
messa in mora notificato. Il ricorso, sottoscritto dal difensore tecnico abilitato (art. 12, D. Lgs. n° 546/1992), deve essere inoltre depositato, in doppio originale, alla segreteria della
Commissione Tributaria competente. Quest’ultima cura la comunicazione di uno dei due originali all'Ufficio inadempiente, il quale, entro il termine di venti giorni può trasmettere alla
Commissione Tributaria le proprie osservazioni, allegando la documentazione dell’eventuale adempimento. Scaduto il predetto termine, il presidente della Commissione Tributaria
assegna il ricorso alla sezione che ha pronunciato la sentenza e dunque il presidente fissa, non oltre novanta giorni dal deposito, la data per la trattazione del ricorso in camera di
consiglio, che sarà comunicata alle parti, a cura della segreteria, almeno dieci giorni liberi prima. Nell'udienza camerale di trattazione il Collegio, sentite le parti in contraddittorio e
acquisiti i documenti necessari, adotta con sentenza immediatamente esecutiva i provvedimenti indispensabili per l'ottemperanza, in luogo dell'ufficio che li ha omessi, conformandosi
alle forme amministrative per essi prescritti, agli obblighi risultanti espressamente dal dispositivo della sentenza e alla relativa motivazione.
La trattazione della controversia avviene sempre in camera di consiglio. Qualora lo ritenga opportuno, il Collegio può delegare un proprio componente o nominare un commissario ad acta nella
persona di un esperto della materia oggetto di contenzioso, definendone i poteri nell’atto di nomina, e fissando un termine congruo per i necessari provvedimenti attuativi.
Il giudizio di ottemperanza viene dichiarato chiuso dal Collegio con ordinanza, per avvenuta esecuzione della sentenza.
Dal 1° gennaio 2016, le competenze del giudice monocratico sono in materia di (art. 70, comma 10 bis, D. Lgs. n° 546/1992):
1.pagamento di somme dell’importo fino a ventimila euro;
2.pagamento delle spese di giudizio.
Si precisa inoltre che, le modifiche apportate dal D. Lgs. n° 156/2015 alla disciplina del processo tributario di cui al D. Lgs. 31 dicembre 1992, n° 546, eliminando il riferimento all’applicabilità
in via sussidiaria delle disposizioni del codice di procedura civile, prevedono il giudizio di ottemperanza, nell’attuale formulazione di cui all’art. 70 del D. Lgs. n° 546/92, quale unico
rimedio esperibile in materia di esecuzione coattiva delle sentenze tributarie, ancorché non definitive.
Per attivare il giudizio di ottemperanza non è più necessario il rilascio di copia della sentenza in forma esecutiva, salvo per i due casi di seguito elencati ed individuati dall’Avvocatura
Generale dello Stato nel parere del 10 marzo 2018:
1.esecuzione del decreto di liquidazione del CTU, adottato in pendenza di giudizio;
2.esecuzione della sentenza a favore dell’avvocato di un agente della riscossione, in qualità di antistatario, nel caso in cui il giudice, nel dispositivo della sentenza, abbia espressamente
liquidato le spese di giustizia ex art. 15 del D. Lgs. n. 546/1992 a favore dell’ente impositore/agente della riscossione, con distrazione delle somme dovute in favore del difensore antistatario.

3.4.2- IL PASSAGGIO IN GIUDICATO DELLA SENTENZA


-GIUDICATO:
Le sentenze tributarie passano in giudicato,in senso formale,quando non sono più soggette ad impugnazione ordinaria mediante appello,cassazione e revocazione ordinaria.
Quando una sentenza tributaria passa in giudicato:
→ essa può essere impugnata soltanto mediante revocazione straordinaria
→ può aver luogo la riscossione a titolo definitivo
Diverso dal giudicato formale di cui sopra è invece il giudicato sostanziale,che consiste,a norma dell'art. 2909 c.c., nell'accertamento irrevocabile di una situazione giuridica soggettiva.
Nello specifico,nel processo tributario,il giudicato sostanziale consiste nell'accertamento,positivo o negativo,del diritto potestativo all'annullamento dell'atto impugnato,seguito,in caso di
accoglimento,dall'annullamento dell'atto impugnato.
Oggetto del giudicato ,ed anche limite oggettivo del giudicato, è “la conclusione ultima del ragionamento del giudice,non le sue premesse” . Con ciò si intende dire che l'oggetto del
giudicato è la statuizione (del giudice)relativa all'impugnazione di un determinato atto,non rientrandovi quindi la motivazione della sentenza,nè la causa petendi del ricorso,nè gli stessi
eventuali vizi dell'atto.
Ulteriori limiti oggettivi del giudicato possono essere ravvisati:
→ nel fatto che il giudicato vincola per un determinato tributo e non per altri tributi
→ nel fatto che il giudicato relativo ad un determinato periodo d'imposta non vincola anche per altri periodi,salvo il caso in cui la pronuncia investa fatti a rilevanza pluriennale
Va in merito tuttavia osservato che ,secondo la giurisprudenza,il giudicato tributario avrebbe una capacità espansiva in altri giudizi tra le stesse parti e lo stesso vincolerebbe l'esito di
ulteriori giudizi,sempre tra le stesse parti,qualora riconosca la spettanza di un'agevolazione pluriennale,o qualora riconosca una medesima attività investigativa come illegittima.
Un altro limite ,soggettivo stavolta,del giudicato,risiede nel fatto che il giudicato vale solo tra le parti del processo, i loro eredi ed aventi causa,quindi non vale per i terzi. Il principio del
contraddittorio e il diritto di difesa impediscono di opporre il giudicato a chi non ha partecipato al processo o non è stato messo in grado di esserne parte. Il giudicato intercorso tra l'amministrazione
finanziaria ed un determinato soggetto contribuente,può tuttavia,qualora favorevole e con dei limiti precisi,essere invocato dal soggetto che sia coobbligato di quest'ultimo(vedi
solidarietà tributaria).

CAPITOLO 4 – I MEZZI DI IMPUGNAZIONE


4.1- LE IMPUGNAZIONI IN GENERALE
-MEZZI DI IMPUGNAZIONE:
Con riguardo ai mezzi di impugnazione del processo tributario,va detto che gli stessi ,secondo un espresso rinvio operato dall'art. 49 d.lgs 546/1992,sono disciplinate dalle norme sulle
impugnazioni del codice di procedura civile,fatto salvo quanto disposto dal medesimo d.lgs. 546/1992 .
I mezzi di impugnazione,nel processo tributario,sono:
1)l'appello alla Commissione Tributaria Regionale,avverso la sentenza della commissione tributaria provinciale(2° grado)
2)il ricorso per Cassazione,contro la sentenza della Commissione tributaria Regionale(3° grado)
3)la revocazione(ordinaria)
Quelli appena elencati costituiscono mezzi di impugnazione ordinaria nel processo tributario,che sono proponibili contro le sentenze che non siano passate in giudicato e che si
diversificano dal mezzo di impugnazione straordinaria rappresentato dalla revocazione (straordinaria),che è l'unica tipologia di impugnazione proponibile contro le sentenze che siano
passate in giudicato.
Va osservato che nel processo tributario non è ammessa,a norma dell'art. 5 comma 4 d.lgs 546/1992,nè l'opposizione di terzo,nè il regolamento di competenza.
Possiamo poi notare che i mezzi di impugnazione,o le impugnazioni,possono essere di due tipologie differenti:
→ impugnazioni sostitutive: sono impugnazioni che conducono a sentenze che sostituiscono a tutti gli effetti le sentenze impugnate (es. le sentenze di appello). Per quanto
riguarda l'oggetto,le impugnazioni sostitutive sottopongono al giudice ad quem lo stesso oggetto di giudizio del grado precedente; per quanto riguarda i motivi,nelle
impugnazioni sostitutive essi non sono predeterminati ,ragion per cui tali impugnazioni vengono definite come “a critica libera”; per quanto riguarda la cognizione,nei giudizi
sostitutivi si ha un effetto cd. Devolutivo,in virtù del quale tutti i materiali già acquisiti nel processo sono devoluti al nuovo giudice. Con riguardo agli effetti,la decisione sostitutiva
prende in qualsiasi caso il posto della decisione impugnata.
→ impugnazioni rescindenti: sono impugnazioni che conducono ad una pronuncia di mero annullamento,o cassazione,della sentenza impugnata,senza sostituirla (essendo a tal
fine necessario un nuovo giudizio). Per quanto riguarda l'oggetto,nelle impugnazioni rescindenti,l'oggetto del nuovo giudizio è la sentenza impugnata; per quanto riguarda i
motivi, le impugnazioni rescindenti possono essere proposte solo per motivi che riflettono vizi ritenuti rilevanti,ai fini dell'impugnazione,dal legislatore; per quanto riguarda la
cognizione,nel giudizio di impugnazione rescindente,il giudice limita la sua cognizione ai motivi dell'impugnazione. Per quanto riguarda da ultimo gli effetti,va osservato che se
la decisione rescindente giudica fondati i motivi di gravame, essa eliminerà la precedente sentenza,aprendo la strada ad una nuova decisione (cd. Giudizio rescissorio);
viceversa,se la decisione rescindente ritiene non fondati i motivi,essa lascerà in vita la pronuncia impugnata.
4.2- L'APPELLO
-GIUDIZIO DI APPELLO:
Le sentenze delle commissioni tributarie provinciali possono essere impugnate ricorrendo in appello alla commissione tributaria regionale nella cui regione ha sede la commissione
tributaria provinciale che ha pronunciato la sentenza appellata,secondo quanto disposto dall'art. 4,comma 2 del d.lgs 546/1992
Il ricorso introduttivo del giudizio di appello deve contenere (art. 53, D. Lgs. n° 546/92):
1.l'indicazione della Commissione Tributaria a cui è diretto, dell’appellante e delle altri parti nei cui confronti è proposto
2.gli estremi della sentenza impugnata
3.l'esposizione sommaria dei fatti
4.l'oggetto della domanda
5.i motivi specifici dell'impugnazione
6.la sottoscrizione del difensore
7.l’indicazione dell’incarico a norma dell’art. 12, comma 7, salvo che il ricorso non sia sottoscritto personalmente
8.l’indirizzo PEC e codice fiscale del difensore
9.l’indirizzo PEC e codice fiscale del ricorrente
10.la dichiarazione del valore della causa (art. 14, comma 3 bis, D.P.R. n° 115/2002).
Se manca o è assolutamente incerta una delle indicazioni contenute dai numeri 1) a 6) il ricorso in appello è inammissibile.
Occorre ora soffermarsi su quando si può impugnare in appello una sentenza della commissione tributaria provinciale e su chi può farlo:
→ con riguardo al momento temporale: il ricorso in appello contro la sentenza di primo grado può essere proposto entro 60 giorni dalla data dell'eventuale notificazione della
sentenza di primo grado (ad istanza di parte); qualora manchi la notifica della sentenza di primo grado,il ricorso in appello può essere proposto nel termine lungo di 6 mesi
dalla data di deposito della sentenza di primo grado,secondo quanto disposto dall'art. 327 c.p.c.
→ con riguardo al soggetto che può ricorrere in appello: soggetto appellante è normalmente il soggetto che è risultato soccombente a seguito della sentenza della
commissione tributaria provinciale,le cui istanze non sono state quindi accolte o non sono state accolte in toto; non si esclude tuttavia che possa ricorrere in appello anche il
soggetto appellato ,che ,qualora anch'egli soccombente,può proporre appello incidentale
Va ricordato che il soggetto appellante ha il doppio onere di riproporre i motivi di critica del provvedimento,dedotti nel corso del primo grado e di censurare la sentenza che non ha accolto tali motivi.
L'appello costituisce un mezzo di impugnazione sostitutivo,per cui non avranno rilievo i vizi procedurali inerenti al primo grado di giudizio,fatto salvo il caso in cui gli stessi comportino
rimessione.
L’appellante può chiedere alla Commissione Tributaria Regionale competente la sospensione, in tutto o in parte, dell’esecutività della sentenza impugnata, se sussistono gravi e fondati
motivi. Può, comunque, chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto, se da questa può derivargli un danno grave ed irreparabile (art. 52, comma 2, D. Lgs. n° 546/92). La sospensione
può essere subordinata alla prestazione della garanzia di cui all’art. 69, comma 2, del D. Lgs. n° 546/92 e, nel silenzio della norma, si propende per ritenere applicabile tale istituto ad entrambi i
provvedimenti inibitori dell’esecutività, sia della sentenza che dell’atto impositivo impugnati.
Per quanto riguarda l'oggetto del giudizio di appello,va detto che esso è delimitato dall'atto di appello,sia esso principale o incidentale,ossia dai motivi (causa petendi) e dal petitum
dell'appello,che deve indicare i capi della decisione di primo grado su cui viene richiesto un nuovo giudizio. In merito rileva altresì che qualora l'appellante non richieda la riforma integrale
della sentenza di primo grado,potrebbe venirsi a creare una scissione interna alla prima sentenza,giacchè la sentenza di appello potrebbe sostituirla solo in parte,lasciando quindi una
parte di tale sentenza in vita e produttiva di effetti (e tale parte passerà in giudicato, cd. Giudicato interno o parziale derivante da acquiescenza impropria).
Nel giudizio di appello non si possono proporre nuove domande e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d'ufficio(non può essere formulato un petitum diverso o più
ampio di quello formulato in primo grado,nè possono essere presentati motivi non dedotti in primo grado) e non possono proporsi nuove eccezioni che non siano rilevabili d'ufficio (art.
57, D. Lgs. n° 546/92). Il giudice inoltre non può disporre nuove prove, salvo che non le ritenga necessarie ai fini della decisione o che la parte dimostri di non averle potute fornire nel
precedente grado di giudizio per causa ad essa non imputabile (art. 58, D. Lgs. n° 546/92). E’ fatta salva la facoltà di produrre nuovi documenti. Poi,come precedentemente detto,nel giudizio di
appello si ha un effetto devolutivo,per cui le deduzioni ed i materiali acquisiti in primo grado passeranno automaticamente all'esame della commissione tributaria regionale( escludendo le
eccezioni non precedentemente sollevate,che si intendono rinunciate).
Anche per il giudizio di appello si applica il regime di obbligatorietà delle modalità telematiche nel processo tributario, con le relative eccezioni.

-APPELLO INCIDENTALE:
E’ un istituto giuridico che risponde all'esigenza di rendere unitario il processo di appello e di evitare il rischio di giudicati contrastanti (art. 54 D. Lgs. n° 546/92). Permette all'appellato, in
caso di soccombenza ripartita o reciproca, di impugnare le disposizioni della sentenza a sé sfavorevoli. Deve essere proposto nell’atto delle controdeduzioni, a pena di inammissibilità,
entro sessanta giorni dall’avvenuta notificazione dell'appello principale, deve contenere i motivi specifici su cui si fonda l'impugnazione e si osservano, per quanto non espressamente
previsto, le norme in tema di costituzione del convenuto in primo grado (art. 23 D. Lgs. n° 546/92).

-SOSPENSIONE DELLA SENTENZA IMPUGNATA IN APPELLO :


L'art. 52 del d.lgs 546/1992 riconosce all'appellante la possibilità di chiedere alla commissione tributaria regionale la sospensione,in tutto o in parte,dell'esecutività della
sentenza impugnata,se sussistono gravi e fondati motivi. Il contribuente può comunque chiedere la sospensione dell'atto,se da questa può derivargli un danno grave ed
irreparabile.
A seguito della presentazione di apposita istanza,il presidente fissa,con decreto,la relativa trattazione nella prima camera di consiglio utile,disponendone la comunicazione alle parti almeno
10 giorni prima. Il Collegio,sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito,provvede con ordinanza motivata non impugnabile,salvo nei casi di eccezionale urgenza in cui il
presidente,delibato il merito,può disporre con decreto motivato la sospensione dell'esecutività della sentenza fino alla pronuncia del Collegio. La sospensione può essere subordinata alle
prestazione della garanzia di cui all'art. 62Bis del d.lgs 546/1992 e ,nelle more,si applicano gli interessi al tasso previsto per la sospensione amministrativa.

-SENTENZA DI APPELLO:
Le sentenze di appello,al pari delle sentenze di primo grado,possono avere sia contenuto processuale,anche in via esclusiva,sia contenuto di merito:
→ le sentenze di merito: sostituiscono la sentenza di primo grado,sia quando accolgono,sia quando respingono l'appello(ossia,rispettivamente,quando riformano e quando accolgono la
sentenza di primo grado)
→ le sentenze a contenuto esclusivamente processuale: vengono dette anche sentenze di puro rito e possono essere classificate,a loro volta,in :
a)decisioni dichiarative dell'inammissibilità dell'appello: cessa il processo e passa in giudicato la sentenza di primo grado
b)decisioni di estinzione del giudizio di appello: cessa il processo e passa in giudicato la sentenza di primo grado
c)decisioni di rimessione al primo giudice: il processo prosegue,anzi ricomincia, in primo grado. La rimessione della causa al giudice di primo grado si ha soltanto quando
nel primo grado di giudizio di siano verificate anomalie talmente gravi da giustificare un rifacimento del primo giudizio,anomalie elencate tassativamente dall'art. 59 d.lgs
546/1992 (ad esempio: dichiara competenza declinata o giurisdizione negata dal primo giudice; quando in primo grado il contraddittorio non è stato regolarmente costituito o
integrato; quando manca la sottoscrizione della sentenza di primo grado)

4.3- IL GIUDIZIO DI CASSAZIONE


-GIUDIZIO DI CASSAZIONE:
In ambito tributario, al ricorso per Cassazione e al relativo procedimento si applicano, in quanto compatibili con il D.lgs. 546/92, le norme dettate dal codice di procedura civile.
Il termine per proporre ricorso in Cassazione è di 60 giorni dalla data dell'eventuale notificazione della sentenza di appello;altrimenti,in caso di mancata notificazione della sentenza di
appello,il termine per ricorrere in Cassazione è di 6 mesi dalla data del deposito della sentenza di appello.
Le sentenze pronunciate dalle Commissioni Tributarie Regionali possono essere impugnate con ricorso per Cassazione per i motivi di cui ai numeri da 1 a 5 dell’art. 360, comma 1, del
c.p.c. (art. 62, D. Lgs. n° 546/92), di seguito elencati:
1.motivi attinenti alla giurisdizione;
2.violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza;
3.violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro;
4.nullità della sentenza o del procedimento;
5.omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Da ciò ne deriva,ad esempio,che al giudice di Cassazione non possono essere riproposte questioni di fatto risolte in modo sfavorevole per il contribuente,per cui il ricorrente non potrà censurare il merito
della decisione e potrà soltanto ricorrere,in questo caso,per il motivo di cui al n. 5 ( non si può proporre ricorso in cassazione ai sensi dell'art. 360,comma 1,n. 5. c.p.c. Quando la sentenza di appello
abbia confermato la decisione di primo grado circa le questioni di fatto, cd. Doppia conforme).
In merito si segnala ancora che, con l’introduzione del comma 2 bis dell’art. 62 del D. Lgs. n° 546/92, è stato esteso anche al processo tributario il ricorso per saltum di cui all’art. 360, comma 2, del
c.p.c. che consente, previo accordo tra le parti, la possibilità di proporre ricorso per Cassazione avverso le sentenze pronunciate dalle Commissioni Tributarie Provinciali omettendo l’appello. In tal caso,
la sentenza può essere impugnata unicamente a norma dell'articolo 360, comma 1, n° 3, c.p.c., ovvero per violazione o falsa applicazione di norme di diritto.
Il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità:
1.l’indicazione delle parti;
2.l’indicazione della sentenza o della decisione impugnata;
3.l’esposizione sommaria dei fatti della causa;
4.i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano, secondo quanto previsto dall’art. 366 bis;
5.l’indicazione della procura, se conferita con atto separato e, nel caso di ammissione al gratuito patrocinio, del relativo decreto;
6.la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi su cui si fonda.
La parte che ha proposto ricorso per Cassazione può chiedere alla Commissione Tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata la sospensione, in tutto o in parte, dell’esecutività,
allo scopo di evitare un danno grave e irreparabile. Può, comunque, chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto, se da questa può derivargli un danno grave ed irreparabile (art.
62 bis, D. Lgs. n° 546/92). La sospensione può essere subordinata alla prestazione della garanzia di cui all’art. 69, comma 2, del D. Lgs. n° 546/92 e, nel silenzio della norma, si propende per ritenere
applicabile tale istituto ad entrambi i provvedimenti inibitori dell’esecutività, sia della sentenza che dell’atto impositivo impugnati
.I ricorsi sono decisi dalla sezione filtro della Cassazione,ossia la sezione sesta,dalla sezione semplice,ossia la sezione quinta,oppure dalle sezioni unite.
I ricorsi vengono in prima istanza esaminati dal primo presidente,che li smista a seconda che gli stessi debbano essere mandati alla sezione sesta o alle sezioni unite:
→ La causa è solitamente decisa dalla sezione sesta quando il ricorso principale ed il ricorso incidentale siano inammissibili,oppure quando siano da accogliere o da
rigettare,rispettivamente,per manifesta fondatezza o per manifesta infondatezza: in questo caso il presidente della sezione fissa con decreto l'adunanza della sezione ed almeno 20 giorni
prima che essa abbia luogo il decreto presidenziale viene notificato agli avvocati delle parti,i quali possono presentare memorie fino a 5 giorni prima dell'adunanza.
→ se la sezione sesta non condivide la proposta del relatore,rimette la causa alla sezione semplice,ossia alla quinta sezione: la causa è in questo caso decisa con ordinanza in
camera di consiglio; la data della camera di consiglio è comunicata alle parti almeno 40 giorni prima e le parti possono presentare memorie non oltre 10 giorni prima che abbia luogo
l'adunanza in camera di consiglio
→ la pronuncia a sezioni unite si ha in due sole ipotesi,disciplinate dall'art. 374 c.p.c.: quando debbono essere decise questioni attinenti alla giurisdizione; quando vi sono questioni
già decise in modo difforme dalle sezioni semplici o quando si tratta di questioni di diritto della massima importanza,quale,ad esempio,l'interpretazione di una nuova legge
La Corte di Cassazione può:
1.rigettare il ricorso con ordinanza;
2.dichiarare il ricorso inammissibile o improcedibile con ordinanza;
3.dichiarare l'estinzione del giudizio con sentenza;
4.accogliere il ricorso con sentenza (con o senza rinvio alla commissione che ha emesso il provvedimento):annulla la sentenza impugnata ed eventualmente rinvia alla commissione
tributaria regionale ,oppure alla commissione tributaria provinciale. Se il ricorso è manifestamente fondato,la Corte lo accoglie con ordinanza
-GIUDIZIO DI RINVIO:
La Cassazione rinvia alla commissione tributaria provinciale quando accerta anomalie del giudizio svoltosi in primo grado e cassa una sentenza della commissione tributaria regionale
che avrebbe dovuto rinviare alla commissione provinciale ma non lo ha fatto.
Negli altri casi,la Cassazione rinvia alla Commissione tributaria regionale e tale rinvio verrà a configurarsi in maniera differente a seconda del motivo del rinvio: solitamente tale rinvio si ha
quando la Cassazione abbia riscontrato,nella sentenza impugnata,i vizi di cui all'art. 360,comma1 n. 3 c.p.c.(violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi
collettivi nazionali di lavoro).
Il giudizio di rinvio è promosso con impulso d’ufficio quando il rinvio è disposto da una commissione tributaria, occorre invece l’impulso di parte quando il rinvio è disposto dalla Corte di
cassazione.
La riassunzione deve essere fatta nei confronti di tutte le parti entro il termine perentorio di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza della Cassazione. In assenza di riassunzione, ,o se
la riassunzione non è tempestiva,la conseguenza è l’estinzione dell’intero processo,per cui l'atto impugnato diventerà definitivo.
In sede di rinvio,si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti al giudice del rinvio ,per cui le parti conservano la posizione che avevano nel precedente
procedimento,restano ferme le domande assunte in precedenza senza possibilità di produrne di nuove,fatti salvi gli adeguamenti imposti dalla Corte di Cassazione.

4.4- LA REVOCAZIONE
-REVOCAZIONE:
La revocazione è un mezzo di impugnazione che si propone allo stesso giudice che ha emesso la sentenza da revocare. Si fonda sul presupposto che i vizi della sentenza che involgono
accertamenti di fatto siano tanto gravi ed evidenti da far ritenere che la sentenza impugnata sarà riformata dallo stesso giudice che l’ha pronunciata . La revocazione è proponibile solo:
- Se le sentenze sono l’effetto del dolo di una delle parti in danno dell’altra;
- Se si è giudicato in base a prove riconosciute o dichiarate false dopo la sentenza;
- Se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata;
- Se la sentenza è l’effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato.
L'impugnazione per revocazione può essere ordinaria o straordinaria:
1.La revocazione ordinaria si fonda su vizi emergenti dalla sentenza stessa o riguardanti elementi conosciuti o conoscibili dalla parte, e va proposta entro i termini di
impugnazione ordinari. I motivi di revocazione ordinaria sono: l'errore revocatorio (art. 395, comma 1, n° 4, c.p.c.) e il conflitto teorico tra giudicati (art. 395, comma 1, n° 5 c.p.c.)
2.La revocazione straordinaria può invece avere luogo per i seguenti motivi: dolo della parte (art. 395, comma 1, n° 1 c.p.c.), prove false (art. 395, comma 1, n° 2 c.p.c.),
rinvenimento di documenti (art. 395, comma 1, n° 3 c.p.c.), dolo del giudice accertata con sentenza passata in giudicato (art. 395, comma 1, n° 6 c.p.c.). Può essere proposta entro
sessanta giorni dalla scoperta del vizio revocatorio, purché successiva alla scadenza dei termini per l’appello. Qualora antecedente, il mezzo di impugnazione esperibile è l’appello, la cui
scadenza di sessanta giorni decorre dal momento della scoperta del vizio.
3.In forza della citata modifica dell'art. 62 del D. Lgs. n° 546/92, anche le sentenze emesse in un unico grado (in esito al cd ricorso per saltum) possono essere oggetto di ricorso
per revocazione straordinaria, in quanto i motivi di revocazione ordinaria possono essere fatti valere con l'appello.
4.Per espressa previsione dell’art. 65, comma 3 bis, del D. Lgs. n° 546/92, all’istituto della revocazione si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo art. 52, del
D. Lgs. n° 546/92 in materia di sospensione.
Dunque,la revocazione è proponibile ,a norma dell'art. 64 del d.lgs 546/1992, contro le sentenze delle commissioni tributarie in grado di appello o in unico grado,con ciò intendendo che le
sentenze di primo grado,finchè impugnabili con appello,non sono soggette a revocazione. Anzi,è bene sottolineare che una sentenza di secondo grado è impugnabile sia per
revocazione,sia per cassazione,dal momento che tali impugnazioni sono proponibili per motivi diversi. La proposizione della revocazione non sospende il termine per proporre il ricorso
per Cassazione.
Il ricorso per revocazione deve contenere gli stessi elementi del ricorso in appello e la specifica indicazione del motivo di revocazione.
La revocazione è un giudizio a due fasi:
→ la prima fase,detta fase rescindente, ha ad oggetto il motivo di revocazione e si conclude con una pronuncia a carattere esclusivamente processuale. Se si accerta che il vizio non
sussiste, il giudice non annulla,mentre,se è accertata la fondatezza del motivo e quindi il vizio sussiste,la sentenza impugnata viene meno e si passa alla seconda fase.
→ la seconda fase,detta fase rescissoria,ha lo stesso oggetto della sentenza revocanda e si conclude con una sentenza che decide il merito della causa, sostituendosi a quella
revocata.

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