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1.4.1- LE IMPOSTE
-IMPOSTA:
L'imposta è il tributo principale e si configura come quel tributo dovuto sulla base di un presupposto ,ossia un fatto , un atto o un'attività, che esclude qualsiasi riferimento specifico ad
un'attività svolta dall'ente pubblico e da cui tale soggetto possa derivare un vantaggio suscettibile o meno di valutazione economica.
Per essere più precisi possiamo definire l'imposta come una prestazione coattiva dovuta ad un ente pubblico in base ad un presupposto di fatto che esclude qualunque relazione specifica
con l'attività dell'ente pubblico riferita al soggetto o da cui questo soggetto possa derivare un qualsivoglia vantaggio. Con ciò si intende dire che non vi è alcun collegamento giuridicamente
rilevante tra l'imposizione di questa determinata figura di tributo con la fruizione di un servizio pubblico da parte del contribuente obbligato,mancando quindi un rapporto di prestazione e contro-
prestazione.
Possiamo altresì osservare come nella definizione dell'imposta vengano alla luce delle caratteristiche diverse a seconda della scienza considerata,per cui:
→ Dal punto di vista delle teorie giuridiche,l'imposta è dunque un tributo fondato ,dovuto, sulla base della realizzazione di un presupposto che non contiene alcun riferimento
giuridicamente rilevante ad un'attività svolta dall'ente pubblico e che ridondi a beneficio o a vantaggio del contribuente inciso dal tributo.
→ secondo la linea interpretativa degli economisti classici e dunque sulla base della loro distinzione tra servizi divisibili ed indivisibili,l'imposta è il tributo tipicamente dovuto a
fronte dell'erogazione di servizi cd. Indivisibili,i quali quindi ridondano a beneficio dell'intera collettività,ma che non hanno alcun riferimento specifico con il soggetto inciso dal tributo(es.
Servizio di ordine pubblico e servizio sanitario,di istruzione di ogni ordine e grado). Non a caso si dice che l'imposta,dal punto di vista economico,si fonda sul principio del sacrificio (si
misura l'entità del sacrificio che si ritiene equo addossare ad un singolo contribuente) e non sul principio del beneficio (che misura quanto vantaggio trae il soggetto dalla fruizione del
servizio pubblico).
Proprio per quanto sopra esposto, l'imposta viene definita come il tributo acausale per eccellenza ed,in quest'ottica,essa rappresenta la manifestazione più ampia e pervasiva del potere di
supremazia,del potere coercitivo dello Stato sul contribuente.In tal ottica sovra esposta, l'imposta,in quanto massima espressione del potere di supremazia dello Stato sul contribuente, trova
limiti solamente:
→ nel principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost,in virtù del quale situazioni eguali devono essere trattate in maniera eguale e situazioni differenti devono essere trattate in maniera
differente tra loro
→ nel principio della riserva di legge relativa ex art. 23 Cost.
→ nel principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost.
→ eventualmente,in altre norme costituzionali e principi a queste ultime sottesi,nonchè in norme sovranazionali
Dunque, sulla base della definizione che abbiamo dato dell'imposta come tributo acausale per eccellenza,come tributo dovuto sulla base di un presupposto che non contiene un
collegamento giuridicamente rilevante con attività svolte dall'ente pubblico, possiamo ritenere che non vi è alcun collegamento tra il gettito derivante dall'imposta e le spese pubbliche
che con tale gettito vengono finanziate.
Questo è l'ambito dei principi della universalità del bilancio e dell'unitarietà della cassa. Da ciò se ne deduce che il gettito derivante dal versamento di imposte affluisce unitariamente nel bilancio
dello stato e che da tale massa lo stato deriva le fonti necessarie a finanziare la spesa pubblica indistintamente considerata,anche se è bene sottolineare che non vi è alcun collegamento specifico tra il
gettito dell'imposta e l'erogazione di determinati servizi,con ciò intendendo che quindi non vi è un collegamento giuridicamente rilevante tra il versamento dell'imposta e l'utilizzazione del gettito,
derivante da tale imposta, ai fini,ad esempio, del finanziamento della spesa pubblica per servizi sanitari.
Con riguardo alle finalità dell'imposta,possiamo osservare che essa risponde certamente alla finalità tributaria del concorso dei consociati alle pubbliche spese,anche se non è da
escludersi che l'introduzione dell'imposta possa anche avere finalità extra-tributarie,purchè non prevalenti sulla finalità tributaria .
Per fare un'esempio, l'imposta può avere anche finalità diverse da quelle tributarie,come la tutela del patrimonio storico ed artistico della nazione,la tutela della salute e dell'ambiente: queste
finalità,costituzionalmente legittime, possono essere dunque presenti,tuttavia non devono essere prevalenti rispetto alla finalità tributaria di determinazione del concorso alle pubbliche spese.
-FISCALIZZAZIONE DEGLI ONERI SOCIALI:
Avete talvolta sentito parlare di fiscalizzazione degli oneri sociali,o di fiscalizzazione tout court. Si utilizza questo termine quando si vuole richiamare l'utilizzazione,la finalizzazione
della leva fiscale attraverso l'introduzione di imposte al raggiungimento di determinate finalità costituzionalmente legittime,come, ad esempio l'utilizzazione delle imposte per
ripianare il bilancio di enti pubblici,di enti locali nello specifico, i quali invece ordinariamente si finanziano attraverso tributi commutativi o paracommutativi ,come le tasse ed i
contributi,oppure con tariffe e corrispettivi che hanno natura ,diversamente, di prezzo privato.
-ADDIZIONALI E SOVRIMPOSTE:
Con addizionali e sovrimposte si intende far riferimento a figure minori ,con ciò intendendo che le stesse presentano minori problematiche dal punto di vista teoria generale. Tali figure hanno
comunque acquisito, negli ultimi tempi, una certa importanza,soprattutto laddove siano di competenza degli enti locali,dal momento che questi ultimi hanno utilizzato tali figure per
incrementare il gettito a loro riferibile.
Le addizionali ,o meglio le imposte addizionali, costituiscono un inasprimento di un'imposta esistente: sostanzialmente viene ad applicarsi un'ulteriore aliquota percentuale
sull'ammontare dell'imposta,per cui l'addizionale viene a configurarsi come un'aliquota applicata all'ammontare dell'imposta cui va a sommarsi.
Quindi un'addizionale dell'imposta sui redditi significa che,determinato il carico tributario ai fini delle imposte sui redditi,sul risultato ottenuto,sull'imposta che devo versare applico ad esempio
un'addizionale del 10%,quindi se devo versare 1000 euro ai fini delle imposte sui redditi,se vi è un'addizionale del 10% dovrò versare ulteriori 100 euro a titolo di addizionale delle imposte sui redditi.
Per fare un esempio più semplice,poniamo di avere una base imponibile di 1000,cui vada applicata un'imposta del 30%,pari dunque a 300 ; poniamo di dover porre all'imposta un'addizionale del 10%: si
verrà a configurare un debito d'imposta pari a 330,cifra che costituisce la somma dell'imposta (calcolata sulla base imponibile) e dell'addizionale,quest'ultima calcolata soltanto sull'imposta previamente
determinata.
L'imposta addizionale costituisce così un inasprimento dell'imposta esistente e ,in merito,va osservato che giuridicamente non ha propri profili di autonomia ,seguendo la stessa
disciplina dell'imposta cui accede.
Diversamente, la sovrimposta è un tributo autonomo che si applica sulla base imponibile di un altro tributo,il cui gettito normalmente è riferibile ad un soggetto diverso,normalmente un
ente locale. La sovrimposta consiste dunque in un'aliquota applicata alla base imponibile dell'imposta ordinaria.
In questo caso la sovrimposta non si applica all'imposta,ma si applica alla base imponibile di un altro tributo: quindi mentre nel caso precedente abbiamo detto che l'addizionale si applica
sull'imposta e quindi sul risultato deriva applicando l'aliquota ad una base imponibile (es aliquota del 30%),nel caso della sovraimposta alla base imponibile,e quindi al reddito
posseduto,si applica un'aliquota autonoma.
Altre definizioni che possono incontrarsi anche nella pratica sono quelle di imposte surrogatorie,sostitutive,definitive e in acconto:
→ IMPOSTA DEFINITIVA ED IMPOSTA A TITOLO DI ACCONTO: se ne parla soprattutto laddove si sia in presenza di una ritenuta operata dal sostituto d'imposta. Quando un
datore di lavoro eroga un reddito ad un dipendente,lo stipendio al dipendente,ne trattiene una parte e la versa all'erario. Così nel caso in cui un professionista svolge una prestazione nei
confronti dell'imprenditore,l'imprenditore che è sostituto d'imposta,quando versa gli onorari al professionista,ne trattiene una parte e la versa all'erario. Questa ritenuta,e cioè la trattenuta
che opera il sostituto d'imposta sullo stipendio o sull'onorario,rispettivamente del dipendente e del professionista,può essere a titolo definitivo o a titolo di acconto. La
differenza sta nel fatto che nel caso in cui la ritenuta sia a titolo definitivo,tale ritenuta esaurisce il prelievo; viceversa,laddove la ritenuta è a titolo di acconto,la ritenuta stessa non esaurisce
il prelievo ed il contribuente ,che si vede decurtare i propri emolumenti per effetto dell'applicazione della ritenuta dovrà comunque dichiarare l'intero importo ,ricalcolare il debito d'imposta
ed eventualmente scomputare quanto trattenuto e considerare quindi la ritenuta come semplice acconto. Quindi la differenza tra ritenuta a titolo di imposta (definitiva) e ritenuta a
titolo di acconto risiede nel fatto che la ritenuta operata dal sostituto d'imposta esaurisca o meno il prelievo riferibile al soggetto obbligato (in caso positivo l'importo non andrà
nemmeno dichiarato,in caso negativo si tratta di un'anticipazione del prelievo ed il soggetto che subisce la ritenuta dovrà comunque dichiarare l'importo percepito al lordo della ritenuta e
scomputare la ritenuta come acconto dal proprio debito d'imposta).
→ IMPOSTA SOSTITUTIVA: con imposta sostitutiva si intende che un'imposta ,normalmente per finalità agevolative o semplificatorie,sostituisce vari altri tributi. Ad esempio,
l'imposta sostitutiva sui finanziamenti bancari,quando viene richiesto e concesso un mutuo, in luogo dell'applicazione di numerose imposte e tributi,viene pagata solamente l'imposta
sostitutiva sui finanziamenti e questa operazione ha normalmente finalità sia semplificatorie ,sia agevolative per ridurre il carico fiscale sull'operazione. Si pensi appunto al caso
dell'acquisto di una prima casa: l'imposta sostitutiva sui finanziamenti appunto ha l'intento di agevolare l'acquisto di immobili.
→ IMPOSTA SURROGATORIA: è un'imposta con finalità antielusiva,avente quindi lo scopo di includere,nell'ambito di applicazione del tributo,delle fattispecie
che,probabilmente ,potrebbero essere adoperate dai contribuenti con l'intento di eludere la norma impositrice
Sempre nell'ambito di addizionali e sovrimposte,si riscontra la distinzione per cui le stesse si configurino come tributi erariali o tributi locali:
→ i tributi erariali sono quelli imposti ed applicati dallo Stato
→ i tributi locali,in senso stretto,secondo la definizione della Corte Costituzionale,sono quei tributi che sono istituiti ed applicati dagli enti locali
-MONOPOLI FISCALI:
L' ultima figura di tributo da esaminare è rappresentata dai monopoli ,che hanno un'importanza, tuttavia ,abbastanza ridotta nel nostro ordinamento. La nozione di monopolio fiscale viene riscontrata
in ambito comunitario,nello specifico, nell'art. 106 TFUE.
Si ha un monopolio fiscale,o monopolio di diritto , quando,sulla base di una riserva originaria o di un'espropriazione di impresa, si realizza un monopolio legale ,con la conseguenza che
una determinata attività di impresa viene ad essere svolta in situazione di monopolio da parte dello Stato.
Dunque il monopolio fiscale costituisce un istituto giuridico mediante il quale lo Stato si riserva la produzione e /o vendita di determinati beni o servizi,vietando al contempo a terzi
l'esercizio di tali attività.
Il fatto che tale attività sia svolta in posizione di monopolio consente allo Stato la fissazione dei prezzi dei beni e dei servizi, svolti in regime di monopolio, ad una cifra superiore ai costi
di produzione . La differenza tra il costo di produzione ed il corrispettivo richiesto ai consumatori rappresenta la partecipazione alle pubbliche spese richiesta al consumatore stesso: tale
partecipazione rappresenta una prestazione patrimoniale imposta in virtù della natura autoritativa dell'atto che disciplina il rapporto e che,conseguentemente ,fissa il corrispettivo per la
vendita dei beni,per l'erogazione del servizio.
Secondo Tesauro,se si ha riguardo alla funzione fiscale dei tributi,ossia alla finalità di procacciare entrate all'ente pubblico,allora anche il monopolio fiscale deve essere considerato come
un tributo,in quanto ha come scopo quello di procurare entrate necessarie al sostentamento della cosa pubblica. Di qui l'applicabilità ,ai monopoli fiscali,dell'art. 53 cost. . Vi è poi da aggiungere
che essendo tali monopoli fiscali ,unitamente alla fissazione successiva dei prezzi, istituiti con provvedimento legislativo,allora tali monopoli fiscali rientrano altresì nell'ambito di applicazione dell'art. 23
cost. .
Per quanto riguarda la configurazione giuridica dei monopoli:
→ secondo parte della dottrina si tratta di un servizio che non è ricollegabile ad un interesse pubblico, e quindi non si tratta di un servizio avente natura pubblica,per cui
potrebbe in realtà individuare un'imposta,dovuta per la semplice realizzazione di un presupposto espressivo di forza economica (es. monopolio dei tabacchi)
→ secondo altri,laddove si sia in presenza dell'erogazione di un servizio di natura pubblica,e che quindi risponde ad un bisogno della collettività,eventuali forme di riparto dei
carichi pubblici sarebbero piuttosto da considerare come tasse (es. i ticket per l'erogazione di prestazioni sanitarie)
-FISCALITA' NEGATIVA:
La fiscalità comunitaria assume una valenza di fiscalità negativa,dal momento che la stessa si preoccupa soprattutto di evitare che l'esercizio del potere impositivo, da parte dei singoli
stati unionali, alteri il funzionamento del mercato all'interno dell'Unione Europea.
Dunque, la fiscalità unionale si preoccupa soprattutto di espungere ,dall'ordinamento, quelle determinate norme ,espressione della potestà impositiva dei singoli stati ,che alterano
l'esercizio delle 4 libertà fondamentali.
In quest'ottica vanno interpretate ,altresì, quelle norme di origine comunitaria che prevedono espressamente il divieto di aiuti di Stato,ossia il divieto,per i singoli stati, di concedere
agevolazioni che ,per il fatto di essere limitate a determinate attività o a determinate aree geografiche ,possono alterare la concorrenza tra gli operatori dei vari stati.
I cd. Aiuti di stato sono ammissibili solamente se de minimis,ossia se gli stessi sono contenuti entro limiti quantitativi molto ristretti. Sono tuttavia ammesse,a favore degli Stati membri, singole
agevolazioni,anche se è bene osservare che un'agevolazione che potrebbe costituire aiuto di stato, deve essere notificata alla comunità europea e e sarà poi la stessa comunità europea
a poter autorizzare,in casi eccezionali, i singoli aiuti di stato o le singole agevolazioni.
Sempre nell'ottica di una fiscalità negativa, si inquadra il divieto di nuovi monopoli,ossia il divieto di esercizio di attività economiche in regime di monopolio o di esercizio di attività ,diverse da
quelle già esercitate in regime di monopolio al momento dell'approvazione del trattato istitutivo dell'UE.
Il modello dunque risultante dall'applicazione di norme di origine comunitaria costituisce un modello di integrazione negativa,ossia un modello che tende ,o che si limita, ad espungere
dai singoli ordinamenti quelle norme che alterino il libero funzionamento del mercato all'interno dell'Unione Europea.
Pur non essendovi un sistema fiscale comune,vi è comunque l'attenzione,da parte degli organi unionali, verso un prelievo fiscale che sia sostanzialmente ,o almeno tendenzialmente,
omogeneo,anche se,a ben vedere, i settori armonizzati sono rappresentati esclusivamente dall'imposta sul valore aggiunto,dalle accise e dalle imposte sul consumo,mentre- e questo
costituisce una nota dolente- non vi è alcuna armonizzazione, a livello comunitario, per quanto riguarda le imposte dirette sui redditi,pur essendo state emanate una serie di direttive volte ad
eliminare quelle norme che alteravano il libero funzionamento delle forze del mercato e direttive disciplinanti alcuni aspetti della vita delle imprese,come ,ad esempio, la direttiva sulle fusioni,sulle
scissioni e sui relativi gettiti fiscali applicabili , o,ancora,le direttive che si occupano di royalties,canoni, e direttive in materia di abuso. Quindi,per quanto riguarda le imposte dirette sui
redditi,l'intervento comunitario è abbastanza limitato,occupandosi di settori molto specifici ,con finalità evidentemente anti-elusiva.
(Costituzione,leggi costituzionali)
-DECRETI LEGISLATIVI:
Atto avente forza di legge, che può integrare la riserva di cui all'art. 23 Cost., È rappresentato dal decreto legislativo. Il principio della delegazione legislativa è desumibile dall'art. 76
Cost.,il quale dispone che “l'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al governo se non con la determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato ed oggetti
definiti”.
Dunque , il Parlamento può delegare al governo l'esercizio della funzione legislativa,ma solamente attraverso la previa individuazione dei criteri e principi direttivi e soltanto per un tempo
limitato e per oggetti ben definiti,fermo restando che il Parlamento rimane comunque titolare del potere legislativo,sicchè lo stesso può revocare,sia esplicitamente che
implicitamente,legiferando sulla stessa materia delegata ,la delega concessa.
È bene osservare che la delegazione della funzione legislativa al Governo deve rispettare non soltanto i paletti posti dall'art. 76 Cost.,in base al quale la legge di delega deve contenere
determinati principi e criteri direttivi, deve precisare il tempo e la materia oggetto della delegazione,ma anche i vincoli posti dall'art. 23 Cost.,in base al quale nessuna
prestazione,personale o patrimoniale,può essere imposta se non in base alla legge.
Alla luce di quanto disposto dall'art. 23 Cost. Ed alla luce della necessarietà che taluni elementi della fattispecie imponibile siano regolati dalla legge o da altro atto avente forza di legge, bisogna
domandarsi se gli elementi fondamentali della fattispecie imponibile ,di cui all'art. 23 Cost. ,Debbano già essere contenuti nella legge di delega ,ovvero se gli stessi possano essere
contenuti direttamente nel decreto legislativo, di attuazione della legge delega. In parole povere gli elementi fondamentali della fattispecie imponibile che devono essere necessariamente previsti
con legge ex art. 23 Cost,quali soggetti attivi e passivi,presupposto,base imponibile,sanzioni ed aliquota,devono essere contenuti già nella legge di delega o possono essere contenuti nel decreto
legislativo che si pone in attuazione della legge delega?
Secondo l'interpretazione dominante, gli elementi fondamentali della fattispecie imponibile ex art. 23 Cost. Possono essere legittimamente previsti dal decreto legislativo di
attuazione ,mentre la legittimità della legge delega andrà valutata solamente alla luce dell'art. 76 Cost. .
Dunque , la legge delega sarà costituzionalmente legittima soltanto qualora rispetti i limiti oggettivi e temporali di cui all'art. 76 Cost.; di contro, il decreto legislativo di attuazione dovrà
evidentemente rispettare sia i paletti posti dalla legge delega ,sia i vincoli posti dall'art. 23 Cost.,per cui l'attuazione della delega dovrà necessariamente realizzarsi attraverso l'emanazione di
norme che siano ,al contempo, sufficientemente chiare e precise e che rispettino quanto stabilito dall'art. 23 Cost.
L'estremo ricorso alla delega legislativa,in materia tributaria, trova giustificazione in tre ordini di ragioni:
→ perché la materia tributaria si configura come una materia estremamente tecnica,per cui si preferisce rimettere la funzione legislativa in materia tributaria al Governo
→ per evitare le lungaggini parlamentari
→ qualora vi siano maggioranze instabili,per evitare le pressioni delle lobby e delle corporazioni
Dunque, le riforme legislative tributarie di maggior importanza sono state realizzate con lo strumento della delega legislativa, limitandosi dunque il Parlamento ad individuare i principi ed i criteri
direttivi ,perchè era ed è più semplice trovare le maggioranze ,o l'accordo, soltanto sui principi direttivi,mentre ,di contro,non si troverebbe facilmente l'accordo sulle norme di dettaglio,le quali vengono
dunque elaborate dal governo ,con l'ausilio dei propri organi tecnici.
Da ultimo, i decreti legislativi ,è bene osservarlo,rappresentano l'espressione di un meccanismo inverso rispetto a quello rappresentato dai decreti legge: nel caso dei decreti legislativi, il
parlamento individua i principi direttivi e demanda l'esercizio della funzione legislativa, nel dettaglio ,al governo;mentre, nel caso invece dei decreti-legge, è il governo ad approvare un provvedimento
legislativo ,in casi straordinari di necessità e di urgenza ,provvedimenti che poi saranno rimessi ,per la conversione in legge ,all'esame del Parlamento.
-DECRETI-LEGGE:
Altro atto avente forza di legge, che va a integrare la riserva di legge di cui all'art. 23 Cost. ,È il decreto-legge. I decreti-legge sono provvedimenti provvisori con forza di legge
che,a norma dell'art. 77 Cost,possono essere adottati in casi straordinari di necessità ed urgenza; essi hanno efficacia dal giorno della loro pubblicazione (salvo che non sia
stata stabilita una data diversa) e perdono efficacia ex tunc se non vengono convertiti in legge entro 60 giorni dalla loro pubblicazione,fatta salva la possibilità,per il
legislatore,di disciplinare retroattivamente i rapporti giuridici sorti da decreti-legge non convertiti.
Lo strumento rappresentato dal decreto-legge è utilizzabile ,soprattutto, nel caso in cui sia necessario intervenire rapidamente per evitare fenomeni di accaparramento o
comportamenti distorsivi( l'esempio che possiamo fare a marzo 2020: se il governo,sentito il Parlamento,volesse introdurre un'agevolazione per l'acquisto di un particolare medicinale o
per l'acquisto di mascherine protettive,è evidente che ,nelle more dell'approvazione della norma da parte del Parlamento, si verificherebbero fenomeni di accaparramento; così è anche ,ad
esempio, per la norma che voglia aggravare il prelievo su una certa attività, ovvero introdurre un'imposizione di tipo patrimoniale sui conti correnti,per cui se si adotta il procedimento
ordinario di cui agli artt. 70 e ss. Cost., appare evidente che il contribuente ,consapevole che è in corso di approvazione una norma che introduce un'imposizione di tipo patrimoniale sui
conti correnti, ha tutto il tempo di alleggerire il conto corrente per sottrarsi all'imposizione).
Possiamo poi parlare del problema del cd. Abuso del decreto-legge,poichè tale strumento è stato molto spesso utilizzato per introdurre norme ,o per modificare norme
esistenti, senza che sussistessero i requisiti di necessità e di urgenza di cui all'art. 77 Cost.. Per questo motivo vi è la previsione dello Statuto dei diritti del contribuente,
che,all'art. 4, prevede che “non si può disporre con decreto legge l'istituzione di nuovi tributi,nè prevedere l'applicazione di tributi esistenti ad altre categorie di contribuenti”.
Quindi vi è una valutazione preventiva ,di massima ,da parte del legislatore tributario, che dispone che,nel caso in cui si debba istituire un nuovo tributo o sia necessario estendere un
tributo esistente a nuove categorie di soggetti,non vi è la condizione della necessità e dell'urgenza ,per cui l'adozione del nuovo tributo ,o la riforma del tributo esistente, dovrà avvenire
attraverso la legge ordinaria.
La corte Costituzionale è poi intervenuta più volte sul problema della cd. reiterazione dei decreti-legge . Ricordando che la reiterazione dei decreti -legge consiste nella
riproduzione,in un nuovo decreto-legge,del contenuto di un precedente decreto-legge non convertito,occorre osservare che la Corte Costituzionale,con sent. 360/1996,ha
stabilito l'illegittimità costituzionale dei decreti-legge di reitera,ossia di quei decreti-legge che riproducano fedelmente il contenuto di un precedente decreto-legge non
convertito,fatto salvo il caso in cui tali decreti-legge di reitera siano fondati su presupposti autonomi di necessità ed urgenza (presupposti che ovviamente non possono essere
rappresentati dalla semplice decadenza del decreto-legge originario). In altre parole, un decreto-legge, emanato dal governo e non convertito dalle camere nei 60 giorni successivi dalla
sua pubblicazione, può essere reiterato,ossia ri-approvato dal governo, ma ,affinchè sia costituzionalmente legittimo ex art. 77 Cost. , lo stesso deve essere fondato su autonomi
presupposti di necessità e urgenza ,presupposti che,come abbiamo detto, non possono essere rappresentati dalla mancata conversione in legge del decreto-legge originario .
Da ultimo,la Corte Costituzionale è intervenuta successivamente sui decreti-legge in materia tributaria,ad esempio, stabilendo che sono illegittimi quei decreti-legge che
introducono norme con efficacia differita nel tempo,dal momento che,in questi casi, vi è un utilizzo del decreto legge che farebbe venir meno la stessa ratio del decreto
legge,il quale dovrebbe intervenire rapidamente, in casi straordinari di necessità e di urgenza. Se l'efficacia della norma introdotta viene dunque differita, rispetto all'approvazione
del testo di legge che la prevede, è evidente che non ricorrono ,nel caso di specie, casi straordinari di necessità e di urgenza.
Così ancora, la Corte costituzionale ,nel 2014 ,ha stabilito l'illegittimità di quelle norme, introdotte in sede di conversione del decreto-legge, che siano eterogenee rispetto al
contenuto del decreto-legge originario,giacchè in questo caso si manifestava una forte incoerenza tra le norme introdotte , che giustificavano il ricorso allo strumento del
decreto-legge, e le norme poi introdotte in sede di conversione.
-TESTI UNICI:
Il Testo Unico non costituisce una tipologia di fonte ,a differenza della legge,dei decreti legislativi e dei decreti legge, quanto,piuttosto,un testo normativo caratterizzato da un particolare
contenuto,ossia la raccolta e la riunificazione di norme,relative alla stessa materia,ma contenute in più testi.
Dal punto di vista formale,i testi unici possono essere contenuti in leggi,in decreti legislativi o in regolamenti,mentre,dal punto di vista del contenuto,i testi unici possono distinguersi
semplicemente come compilativi o innovativi.
Tra i Testi Unici attualmente vigenti nel nostro ordinamento,rilevano: il Testo Unico delle imposte sui redditi,il Testo Unico dell'imposta di registro,il Testo Unico delle imposte ipotecaria e catastale, il
Testo Unico dell'imposta sulle successioni e donazioni.
-LEGGI REGIONALI:
E' bene osservare che,a seguito della riforma del Titolo V operata dalla L. cost. 3/2001,lo Stato ha potestà legislativa esclusiva,a norma del novellato art. 117 comma 2,in
materia di sistema tributario e contabile dello Stato e in materia di perequazione delle risorse finanziarie.
La potestà legislativa regionale assume di conseguenza due connotazioni,quale potestà legislativa concorrente e quale potestà legislativa residuale.
Per quanto riguarda la prima connotazione,quale potestà legislativa concorrente,la potestà legislativa delle Regioni ,nelle materie di competenza legislativa concorrente,trova
un limite nei principi fondamentali fissati da leggi dello Stato,così come stabilito dall'art. 117 comma 3 Cost.; nella legislazione regionale concorrente è altresì ricompreso il
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario,ossia il coordinamento della finanza e dei tributi regionali e locali. Allo Stato è dunque riservata la fissazione dei
principi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente ed il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario complessivo. È questo l'aspetto che ci interessa
relativamente alla materia tributaria.
Dunque ,per quanto riguarda la materia tributaria,spetta allo Stato la competenza legislativa esclusiva sul sistema tributario e contabile dello Stato e sulla perequazione delle risorse
finanziaria,mentre sono attribuite alla potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni le materie di armonizzazione dei bilanci pubblici e di coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario.
In poche parole,spetta allo Stato indicare quali oggetti imponibili e quali tributi possono essere oggetto di legislazione regionale; di contro ,alle Regioni viene attribuito il
potere di istituire tributi locali,ma sempre in attuazione del coordinamento del sistema tributario.
La L.15/2009 ha previsto ,in merito,tre tipi di tributi regionali:
1)i tributi propri derivati,ossia quei tributi,istituiti e regolati da leggi statali,il cui gettito è attribuito alle Regioni,le quali possono modificare le aliquote e disporre
esenzioni,detrazioni e deduzioni,nei limiti e secondo criteri fissati dalle leggi statali
2)addizionali sulle basi imponibili dei tributi erariali: le Regioni,con propria legge,possono modificare le aliquote delle addizionali e disporre detrazioni entro i limiti fissati
da leggi statali
3)tributi propri,ossia tributi istituiti da leggi regionali,in relazione a presupposti non assoggettati ad imposizione erariale
La riserva di legge ex art. 23 Cost. Si viene dunque a configurare come una riserva di legge statale e regionale.
-OVERRULING:
Si ha overruling nel caso in cui vi sia il mutamento giurisprudenziale di un orientamento consolidato. Nel qual caso,la nuova interpretazione di norme sostanziali vale anche per i fatti
pregressi,mentre,la nuova interpretazione di norme processuali non può avere effetto su atti compiuti in precedenza,in virtù del principio secondo cui le regole del processo non possono
cambiare durante il suo svolgimento.
-CIRCOLARI E RISOLUZIONI:
Le circolari e le risoluzioni dell'amministrazione finanziaria,dell'Agenzia delle Entrate in particolare,costituiscono degli atti amministrativi di interpretazione e non sono qualificabili come
fonti del diritto tributario,dal momento che il diritto tributario stesso è presidiato dalla riserva di legge ex art. 23 Cost. (nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta
se non in base alla legge),riserva la quale,pur essendo relativa,certamente non ammette che una determinata prestazione patrimoniale possa essere imposta sulla base di un atto
amministrativo.
Nello specifico,possiamo definire:
→ le circolari: le circolari sono atti interpretativi che l'amministrazione finanziaria pone in essere o in merito ad una nuova normativa, o in merito ad una legge di cui non sia mai
stato dato un chiarimento ufficiale,o in merito ad una legge che abbia posto un dubbio interpretativo ,seppur risalente, o nella stessa amministrazione finanziaria,ovvero nella
giurisprudenza. Le circolari non costituiscono assolutamente attività normativa,ma semplicemente attività interpretativa posta in essere dall'Agenzia delle Entrate ,utile a chiarire i dubbi
posti da una disposizione controversa ed altresì ad orientare il comportamento degli uffici periferici. Non essendo dunque un atto normativo ,nè una fonte del diritto, la circolare,in virtù del
principio gerarchico, ha efficacia soltanto nei confronti degli uffici periferici della stessa amministrazione finanziaria e nei confronti dell'amministrazione finanziaria medesima.
La circolare non ha alcuna efficacia vincolante nei confronti del contribuente,o nei confronti dei giudici e,a ben vedere,nemmeno nei confronti delle stesse agenzie fiscali,le
quali potrebbero revocare l'orientamento espresso dalla circolare e disattenderla,salvo sanzioni disciplinari,dal momento che le stesse sono chiamate semplicemente ad
attenersi al contenuto della legge,nel rispetto dell'art. 23 Cost. .
Possiamo in merito fare un esempio:Vi è una norma ,approvata a marzo 2020, che sospende i termini di impugnazione degli atti di accertamento dal 9 marzo al 15 aprile. Un atto di
accertamento notificato al contribuente può essere impugnato dinanzi alla commissione tributaria provinciale,normalmente, entro 60 giorni dalla notificazione. Nel caso in cui il contribuente
presenti istanza di accertamento con adesione,il termine di impugnazione si sospende per 90 giorni ed il contribuente avrà sostanzialmente 150 giorni per impugnare l'atto (60 di
sospensione ordinaria e 90 di sospensione per la presentazione dell'istanza di accertamento con adesione). Una volta subentrato questo provvedimento normativo di sospensione dei
termini dal 9 marzo al 15 aprile,possiamo osservare che questo presenta lacune enormi ,sia dal punto di vista sia procedimentale che dal punto di vista processuale : basti pensare che
non vengono disciplinati i termini a ritroso (quando è previsto un termine di 10 giorni per depositare una memoria!),o al fatto che non si faccia minimamente riferimento agli accertamenti
con adesione. L'amministrazione in merito ha emanato una circolare,in cui dice che tale periodo di sospensione ,dal 9 marzo al 15 aprile 2020,si aggiunge ai 90 giorni ed ai 60 giorni
previsti in caso di istanza di accertamento con adesione. Nella norma questo non viene detto e ciò risulta soltanto dal contenuto di una circolare: qui è chiaro che si corre il rischio per cui,
se si impugna l'atto ,invece che alla scadenza dei 150 giorni,alla scadenza dei 165 giorni, il giudice potrebbe ritenere o la norma di sospensione legittimamente introdotta
nell'ordinamento ,così come interpretata nel senso estensivo auspicato dall'agenzia delle entrate, ovvero ritenere che la norma introdotta per la sospensione dei termini non si applichi in
senso estensivo come auspicato dall'agenzia delle entrate,con la conseguenza che,in tal ultimo caso,potrebbe dichiarare tardivo il ricorso del contribuente,perchè presentato 35 giorni dopo
la scadenza legislativamente prevista.
In merito alle circolari,va ,da ultimo, osservato che le stesse hanno la funzione non soltanto di orientare il comportamento delle agenzie fiscali,ma altresì di informare i
contribuenti dell'interpretazione fatta propria dalla P.A.,fondando quindi l'affidamento dei contribuenti medesimi in ordine al comportamento da tenere nell'applicazione delle
leggi tributarie.
Riguardo al legittimo affidamento del contribuente,va ricordato quanto disposto dall'art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente,il quale dispone:
→ al comma 1 ,che i rapporti tra contribuente ed amministrazione finanziaria sono improntati al principio di collaborazione e di buona fede
→ al comma 2 ,che non sono irrogate sanzioni,nè richiesti interessi moratori al contribuente,quando egli si sia conformato ad indicazioni contenute in atti dell'amministrazione
finanziaria,ancorchè successivamente modificate dall'amministrazione medesima,o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente a
ritardi,omissioni od errori dell'amministrazione stessa. Con ciò si intende che il contribuente non è tenuto al versamento delle sanzioni ,o degli interessi moratori (ma soltanto
del tributo dovuto) ,qualora il comportamento ,che ha dato luogo alla violazione ,si sia realizzato in conformità di quanto previsto inizialmente in merito da una circolare
dell'agenzia delle entrate medesima ,che avrebbe successivamente,in un'altra circolare,cambiato orientamento.
→ al comma 3, che le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione della
norma tributaria,o quando si traduce in mera violazione formale senza alcun debito d'imposta.
Con ciò si intende dire che le circolari potranno dunque essere utilizzate dal contribuente per dimostrare l'obiettiva incertezza sull'ambito di applicazione di una determinata
norma ricorrendo all'esimente prevista dall'art. 10 comma 3 dello Statuto dei diritti del contribuente,ossia l'esimente dell'obiettiva incertezza: qualora il contribuente dimostri ,o in
sede di contenzioso dinanzi alla commissione tributaria,o in sede di contenzioso endo-procedimentale con l'Agenzia delle Entrate,che riguardo l'applicazione o riguardo la portata di una
determinata norma tributaria,l'Agenzia delle Entrate ha emanato circolati contrastanti,egli potrà chiedere l'applicazione dell'esimente dell'obiettiva incertezza,richiedendo quindi che non gli
vengano irrogate sanzioni.
→ le risoluzioni: le risoluzioni,dette anche note,sono atti amministrativi sempre di natura interpretativa ma che,a differenza delle circolari,si sostanziano in risposte su casi
concreti e specifici,su casi posti all'attenzione delle agenzie fiscali da parte dei contribuenti. Anche le risoluzioni,al pari delle circolari,non costituiscono atti normativi,il che
implica che non sono giuridicamente vincolanti né per il contribuente,nè per i giudici,nè ,eventualmente,per la stessa amministrazione finanziaria,che può disattenderle ,con
conseguenze su un piano meramente disciplinare.
Dunque, la differenza tra circolari e risoluzioni risiede solamente nel fatto che le prime hanno normalmente una rilevanza più generale,coinvolgendo quindi una maggior platea di soggetti o
attenendo a questioni di maggior interesse e complessità,mentre le seconde ,essendo delle risposte a casi concreti e specifici, presentano una platea di soggetti,nonchè di
interessi,circostanziati.
Entrambe le categorie di atti amministrativi non costituiscono fonti normative,indi per cui ,come abbiamo detto,non sono giuridicamente vincolanti. Ciò comporta che ,sia le circolari,sia le
risoluzioni,non siano impugnabili. Sebbene infatti in passato si sia ritenuto che una circolare fosse impugnabile ,dinanzi al TAR, per violazione dell'interesse legittimo alla tutela del proprio
affidamento ed eventualmente anche per vizio di eccesso di potere,oggi è ormai assolutamente pacifico,per giurisprudenza consolidata di legittimità, che le circolari non abbiano alcuna efficacia
normativa e costituiscano quindi mera attività interpretativa,per cui le stesse non sono né direttamente impugnabili ,nè,tanto meno, disapplicabili (come accade invece per i regolamenti) da parte del
giudice tributario.
Possiamo fare un esempio. Quand'anche una circolare,nel chiarire il significato di una normativa , estendesse l'ambito di un'applicazione di una norma ed il contribuente,conseguentemente si attenesse
all'interpretazione fornita dalla circolare,nel caso in cui ,successivamente, l'amministrazione rettificasse la dichiarazione dei redditi del contribuente sulla base di un orientamento non coincidente con
quello precedentemente espresso dalla circolare,non per questo la rettifica sarebbe illegittima. Quindi il contribuente non potrebbe dire che l'atto di accertamento è viziato,illegittimo ,o nullo, e che è
stato emanato sulla base di un orientamento,sulla base dell'interpretazione di una norma diversa da quella che era stata espressa in una precedente circolare,poichè ciò che rileva è solamente la
coerenza tra atto di accertamento e la norma: se l'atto di accertamento è conforme alla norma, allora è legittimo;diversamente, se non è conforme alla norma,non è legittimo,a prescindere dal fatto che
esso sia invece coerente o meno con l'interpretazione di quella norma espressa nella circolare. Ciò che rileva è soltanto il legame tra norma , comportamento del contribuente ed atto di accertamento.
In punto di legittimità o di illegittimità dell'atto di accertamento,quando si impugna questo di fronte alle commissioni tributarie, è la sua conformità o meno rispetto alla norma ad avere rilevanza, a nulla
rilevando,invece, la conformità o meno dell'atto di accertamento ad una precedente circolare interpretativa dell'agenzia delle entrate.
3.3- L'INTERPELLO
-INTERPELLO:
L'interpello è un istituto che si sostanzia nella richiesta ,del contribuente,volta a sollecitare un intervento chiarificatore da parte dell'amministrazione finanziaria. Nello specifico,con la
proposizione di un interpello,il contribuente chiede all'amministrazione finanziaria di fornire chiarimenti in merito all'interpretazione di una norma tributaria,oppure di fornire un parere
riguardo al fatto che determinate operazioni,poste in essere dal contribuente ,potrebbero configurarsi come elusive o meno.
L'interpello,sostanzialmente, è uno strumento attraverso cui si attua la collaborazione tra fisco e contribuente,nel senso che entrambi cooperano nella miglior interpretazione della norma
e nella ricerca della corretta applicazione della stessa fattispecie in gioco.
Analizzando l'istituto dell'interpello dal punto di vista della sua natura giuridica,possiamo osservare che la Corte Costituzionale,con sent. 191/2007, ha espressamente sancito che non ci si
trova in presenza di una fonte del diritto ,per cui l'interpello non vincola il contribuente,il quale,consequenzialmente, non sarà certamente obbligato ad impugnare la risposta, eventualmente negativa,
data dall'amministrazione,dal momento che egli potrà esporre le sue argomentazioni ,o fornire le prove(in caso di interpello probatorio),anche in sede di contraddittorio preventivo con l'amministrazione
nel caso di accertamento con adesione,nonchè in sede di contenzioso.In buona sostanza,secondo l'interpretazione della Corte costituzionale,l'interpello consiste in un mero parere ,che non ha
valenza di atto impositivo e che quindi non deve, necessariamente, essere impugnato dal contribuente.
Attualmente,l'istituto dell'interpello ha assunto un ambito di applicazione davvero vasto,tanto che ormai è possibile distinguere diverse forme di interpelli,che hanno in comune soltanto la
struttura,struttura che si configura nella maniera seguente:
→ il contribuente presenta istanza di interpello all'amministrazione finanziaria e deve ,all'interno di tale istanza,prospettare la soluzione da lui elaborata
→ l'amministrazione finanziaria è tenuta a rispondere all'istanza di interpello del contribuente entro un termine che può variare dai 90 ai 120 giorni (in alcuni casi tale termine è
dimezzato)
→ il contribuente ha diritto a che l'amministrazione finanziaria si pronunci sulla sua istanza di interpello,così come chiarito dall'art. 11 dello Statuto dei diritti del contribuente
(che parla,per l'appunto,di diritto di interpello),sicchè , qualora l'amministrazione finanziaria non si pronunci entro i suddetti termini di 90/120 giorni,dovrà ritenersi che
l'amministrazione finanziaria abbia tacitamente ritenuto di accedere all'interpretazione fornita dal contribuente (sembra una sorta di applicazione del principio di silenzio-assenso,il
che ci fa comprendere perché sia così importante ,per il contribuente,prospettare ,all'interno dell'istanza di interpello,una determinata soluzione o interpretazione).
→ la risposta dell'amministrazione finanziaria si configura come qualificata ed agevola il contribuente,con ciò intendendo che il contribuente,qualora si uniformi alla risposta
fornitagli dall'amministrazione finanziaria,non potrà vedersi notificati avvisi di accertamento che siano difformi rispetto al contenuto della risposta. Dunque,ponendo l'attenzione
sugli effetti della risposta ad un'istanza di interpello,possiamo osservare che essi,per certi versi,sono assimilabili a quelli delle circolari e delle risoluzioni,ma ,d'altro canto,gli stessi hanno
una vincolatività maggiore,il che costituisce una differenza con gli effetti di circolari e risoluzioni: nel caso di risposta agli interpelli infatti,l'amministrazione finanziaria è vincolata alla risposta
data,sia in forma espressa che in forma tacita,sicchè gli atti di accertamento emanati in difformità di tale risposta saranno da considerarsi nulli.
→ il contribuente è libero di attenersi o meno alla risposta dell'amministrazione e,qualora non ritenga di accedere alla risposta data dall'amministrazione,
potrà ,eventualmente, dare le argomentazioni che ritiene condivisibili anche in sede di contraddittorio con l'amministrazione dopo la notifica dell'atto di accertamento ,ovvero
in ipotesi di impugnazione dell'atto di accertamento dinanzi ai giudici delle commissioni tributarie provinciali e regionali.
Come abbiamo poc'anzi accennato,possiamo distinguere diverse forme di interpello,quali:
→ l'interpello ordinario:
L'interpello cd. ordinario viene disciplinato dall'art. 11 co.1 lett. A dello Statuto dei diritti del contribuente,il quale recita: “Il contribuente può interpellare
l'amministrazione per ottenere una risposta riguardante fattispecie concrete e personali relativamente a: (a)l'applicazione delle disposizioni tributarie, quando vi sono
condizioni di obiettiva incertezza sulla corretta interpretazione di tali disposizioni e la corretta qualificazione di fattispecie alla luce delle disposizioni tributarie applicabili alle
medesime, ove ricorrano condizioni di obiettiva incertezza e non siano comunque attivabili le procedure di cui all'articolo 31-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre 1973, n. 600, introdotto dall'articolo 1 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 e di cui all'articolo 2 del medesimo decreto legislativo 14 settembre 2015, n.
147”.
Alla luce di quanto disposto dall'art. 11 comma 1,lettera A dello Statuto,emergono le seguenti caratteristiche dell'interpello cd. Ordinario:
1) vi è la condizione per cui il contribuente deve presentare istanza di interpello relativamente a fattispecie concrete e personali: in realtà,questa è una
condizione che riguarda tutte le forme di interpello ,non soltanto l'interpello ordinario,ma che si sostanzia comunque nel fatto che la fattispecie deve essere
necessariamente concreta e non astratta,nonchè nel fatto che la fattispecie debba riguardare personalmente il contribuente istante e non altri soggetti.
2)l'istanza di interpello ordinario può riguardare sia l'applicazione delle disposizioni tributarie che presentino condizioni di obiettiva incertezza dal
punto di vista interpretativo,sia la corretta qualificazione di determinate fattispecie alla luce di diverse disposizioni tributarie: Evidentemente ,laddove
non vi sia una obiettiva condizione di incertezza,nell'ipotesi in cui ,ad esempio,sulla stessa norma l'amministrazione si sia già pronunciata ed abbia
eventualmente pubblicato una circolare in merito,l'istanza di interpello si concluderà con una pronuncia di inammissibilità dell'interpello stesso(non con una
pronuncia di infondatezza), per inesistenza della condizione della obiettiva incertezza; salvo il caso in cui il contribuente dimostri che,sulla base di elementi
sopravvenuti, l'interpretazione precedentemente fornita dall'amministrazione non sia più condivisibile.
3) ai fini della presentazione dell'istanza di interpello ordinario,non devono essere attivabili altre procedure,quali quelle degli accordi preventivi e
degli interpelli per nuovi investimenti ,di cui, rispettivamente, all'art. 31 ter del d.p.r. 600/1973 e all'art. 2 del d.lgs. 147/2015.
→ l'interpello cd probatorio:
L'interpello cd. Probatorio viene disciplinato dall'art. 11 co.1 ,lett. B,dello Statuto dei diritti del contribuente,il quale dispone che Il contribuente può interpellare
l'amministrazione per ottenere una risposta riguardante fattispecie concrete e personali relativamente a: (b)la sussistenza delle condizioni e la valutazione della idoneità degli
elementi probatori richiesti dalla legge per l'adozione di specifici regimi fiscali nei casi espressamente previsti”.
Tale tipo di interpello viene definito come probatorio perché,sostanzialmente, attraverso questa istanza di interpello,il contribuente fornisce all'amministrazione
finanziaria quegli elementi probatori necessari al fine di consentire, all'amministrazione medesima, di determinare la sussistenza o meno delle condizioni per
l'applicazione di un determinato regime fiscale.
Un esempio di interpello probatorio è riscontrabile nell'art. 167 del testo unico delle imposte sui redditi(TUIR),al comma 5 ed al comma 8ter.
Nel primo caso,di cui al comma 5,si dispone che il contribuente ,per evitare l'imputazione dei redditi conseguiti all'estero, da una società partecipata,debba dimostrare lo
svolgimento di un'attività economica effettiva nell'altro paese,ovvero dimostrare che, dalla partecipazione, non sia conseguito l'effetto di di coniugare i redditi di un paese con
regime fiscale artificioso.
Nel secondo caso,di cui all'art.8ter,si dispone che il contribuente,per evitare l'imputazione dei redditi conseguiti all'estero,da una società partecipata,debba dimostrare che la
società partecipata,residente in un altro Stato,non sia una costruzione di puro artificio.
Dunque,l'art 167 del TUIR detta il regime fiscale per le società controllate e dispone ,semplificando,che laddove un soggetto residente partecipi,direttamente o
indirettamente, in un soggetto non residente,sia esso collocato in un paese a bassa fiscalità,o anche in un paese dell'UE, i redditi conseguiti dal soggetto non residente sono
comunque imputati al soggetto residente e,di conseguenza, assoggettati interamente ad imposizione in Italia. Per evitare questo fenomeno di imputazione dei
redditi ,conseguiti dal soggetto estero partecipato ,al soggetto controllante,il soggetto residente deve presentare istanza di interpello ,nella quale deve
dimostrare ,alternativamente, o che il soggetto partecipato esercita un'attività economica effettiva nell'altro paese,o che il reddito non è allocato in un paese a bassa
fiscalità,oppure,ancora, che il soggetto residente in un paese UE non si sostanzia in una costruzione di puro artificio,ma che ,anzi,si tratta di un soggetto ,effettivamente
esistente,che svolge un'attività economica effettiva.
L'interpello probatorio è anche idoneo a consentire l'accesso al regime del consolidato mondiale,oppure per consentire la permanenza nel regime del consolidato
nazionale (L'opzione per il Consolidato mondiale consente alle società di capitale e agli enti commerciali di includere nella propria base imponibile, indipendentemente
dalla distribuzione, i redditi di tutte le proprie società controllate non residenti. L'imputazione dei risultati positivi e negativi avviene per la quota parte corrispondente alla
percentuale di partecipazione agli utili, tenendo conto della demoltiplicazione determinata dalla catena societaria di controllo; di contro, Il consolidato nazionale non obbliga al
consolidamento di tutto il gruppo: l’opzione può essere esercitata anche soltanto da alcune delle società del gruppo. Inoltre, l’esercizio dell’opzione va in questo caso
effettuato congiuntamente da ciascuna controllata e dall’ente o società controllante. Si hanno, pertanto, tante opzioni a coppia quante sono le società controllate che
esercitano la facoltà. Il soggetto consolidante deve presentare la dichiarazione dei redditi del consolidato (utilizzando il modello Cnm) e calcolare il reddito complessivo globale
che è pari alla somma algebrica dei redditi complessivi netti dei soggetti che hanno esercitato l’opzione, assunti per l’intero importo, indipendentemente dalla quota di
partecipazione riferibile al consolidante).
→ l'interpello antielusivo:
L'interpello cd. Antielusivo viene disciplinato,in combinato disposto,dagli artt. 11,comma 1,lettera C e 10bis dello Statuto dei diritti del contribuente. Nel suddetto
art. 11,co.1,lett. C, si dispone che “Il contribuente può interpellare l'amministrazione per ottenere una risposta riguardante fattispecie concrete e personali relativamente a:
(C) l'applicazione della disciplina sull'abuso del diritto ad una specifica fattispecie”.
Dunque,il contribuente può presentare istanza di interpello antielusivo quando voglia chiedere ,all'amministrazione finanziaria, se una determinata
fattispecie,personale e concreta,sia elusiva,cioè se vi sia stato un utilizzo di istituti ,astrattamente previsti dall'ordinamento , per scopi non conformi rispetto alle
finalità previste dall'ordinamento .
Facendo un passo indietro,possiamo osservare come,a norma del succitato art. 10bis,l'elusione o abuso del diritto,possa definirsi come utilizzo di uno strumento
giuridico per finalità non proprie. Più correttamente,configura abuso del diritto o elusione, una o più operazioni ,prive di sostanza economica,che,pur nel rispetto
formale delle norme fiscali,realizzano ,essenzialmente, vantaggi fiscali indebiti.
Dalla definizione appena data,si può dedurre che due sono le condizioni ,previste dall'art. 10Bis,affinchè una determinata operazione possa essere considerata
come elusiva:
1)l'operazione deve essere priva di sostanza economica,con ciò intendendo che la stessa non deve essere dettata da valide ragioni economiche: nello
specifico,l'art. 10Bis ,comma 1, detta degli indici di assenza di sostanza economica,indici in virtù dei quali si considerano come operazioni prive di sostanza
economica ,i fatti,gli atti ed i contratti,anche tra loro collegati,inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali.
Sono indici di mancanza di sostanza economica ,in particolare: la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico nel loro
insieme e la non conformità dell'utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato.
Da ciò rileva che si può desumere l'assenza di sostanza economica,all'interno di una determinata operazione ,quando si utilizzano degli strumenti giuridici per
finalità che non sono loro proprie,oppure quando si utilizzano degli strumenti giuridici in maniera non conforme alla comune logica di mercato.
Quindi si può desumere l'assenza di sostanza economica quando vengono utilizzati strumenti giuridici che non sono coerenti con la prassi mercatoria. Quindi si
utilizzano strumenti per finalità che non sono loro proprio o in maniere comunque non conforme alla prassi,alle normali logiche di mercato.
2)l'operazione deve essere realizzata al solo fine di conseguire vantaggi fiscali indebiti:per vantaggio fiscale indebito ,si intende il beneficio,anche non
immediato,realizzato in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario.
Se un'operazione è qualificata come abusiva(o elusiva),l'art. 10Bis dello statuto dei diritti del contribuente prevede che l'operazione,pur essendo civilisticamente
valida e pur mantenendo dunque i suoi effetti sul piano civilistico,è inopponibile (viene disconosciuta) all'amministrazione finanziaria in relazione ai vantaggi
tributari conseguiti,sicchè l'amministrazione finanziaria potrà applicare le imposte dovute,come se l'operazione non fosse stata realizzata,fermo restando il
credito per quanto effettivamente già versato dal contribuente.
Il comma 3 dell'art. 10Bis dispone poi che non si considerano abusive ,in ogni caso ,le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali,anche
di ordine organizzativo/gestionale , finalizzate al miglioramento strutturale o funzionale dell'impresa o dell'attività professionale del contribuente.
Dunque,in base a quanto stabilito dall'art. 10Bis comma 3,un'operazione non viene considerata come abusiva,risultando pertanto come legittima e ,di conseguenza,
opponibile all'amministrazione finanziaria, quando ,pur consentendo di ottenere un risparmio fiscale,venga dimostrato che l'operazione è accompagnata anche da una
valida ragione economica,di tipo extra-fiscale,diversa dal mero risparmio d'imposta (l'operazione potrebbe anche essere legittima se posta in essere per soddisfare esigenze
di carattere meramente organizzativo o gestionale.
Il comma 4 dell'art. 10Bis ribadisce altresì che al contribuente è attribuita libertà di scelta tra diverse operazioni,comportanti un differente carico fiscale,purchè tali
operazioni rispondano ad un effettivo interesse economico del contribuente stesso. Con tale norma si intende dire che il contribuente non è obbligato a scegliere la via
fiscalmente più onerosa,ma,al contrario,ha la possibilità di porre in essere operazioni che comportino un minor carico fiscale,purchè tali operazioni siano rispondenti ,oltre che
all'interesse al risparmio fiscale,anche ad altri interessi economici del contribuente medesimo.
Dunque, il contribuente,prima di porre in essere un'operazione complessa,come, ad esempio, un'operazione di fusione,di scissione o di conferimento,oppure una cessione di
partecipazioni,può interpellare preventivamente l'amministrazione,perchè ,una volta ottenuta la risposta dell'amministrazione, il contribuente potrà decidere se uniformarsi alla
risposta,ad esempio negativa, dell'amministrazione e quindi potrà decidere di non procedere all'operazione,così evitando il rischio,in sede di accertamento,della contestazione
dell'operazione in esame e dell'irrogazione di sanzioni,ovvero,di contro, sempre in sede di risposta negativa dell'amministrazione (che qualifichi come abusiva
l'operazione),può anche decidere di porre in essere l'operazione e eventualmente di difendersi poi in sede contenziosa (in tal ultimo caso, il giudice non sarà vincolato alla
risposta negativa resa dall'agenzia delle entrate in sede di interpello,salvo che ne possa tener conto ,eventualmente, in sede di imputazione e quantificazione delle spese di
giudizio, in caso di rigetto del ricorso in primo grado).
Al di fuori dell'ipotesi di proposizione,da parte del contribuente,dell'istanza di interpello antielusivo,vi è il caso in cui l'amministrazione,in sede di
accertamento,voglia contestare l'abuso del diritto da parte del contribuente. In questo caso , vi è un obbligo di contraddittorio preventivo ,per cui
l'amministrazione,prima di notificare l'atto di accertamento,è obbligata ad inviare una richiesta di chiarimenti al contribuente,a carico del quale è posto l'obbligo di rispondere a
tale richiesta di chiarimenti entro i 60 giorni successivi. Nel caso in cui ,sebbene il contribuente abbia fornito i chiarimenti entro i termini predetti,l'amministrazione finanziaria
intenda comunque procedere alla contestazione dell'abuso del diritto da parte del contribuente,essa dovrà necessariamente adottare il modello della cd. Motivazione
rafforzata,con ciò intendendo che,in sede di stesura dell'atto di accertamento,la stessa non potrà limitarsi ad esporre le ragioni della contestazione dell'abuso del diritto,ma
dovrà altresì esplicitare le ragioni per cui non ha accettato,per cui non ha ritenuto condivisibili, le argomentazioni ed i chiarimenti esposti dal contribuente in sede di
contraddittorio anticipato.
→ l'interpello disapplicativo
L'interpello cd. disapplicativo viene disciplinato dall'art. 11 comma 2 dello Statuto dei diritti del contribuente,il quale dispone che “Il contribuente interpella
l'amministrazione finanziaria per la disapplicazione di norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d'imposta, o
altre posizioni soggettive del soggetto passivo altrimenti ammesse dall'ordinamento tributario, fornendo la dimostrazione che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non
possono verificarsi. Nei casi in cui non sia stata resa risposta favorevole, resta comunque ferma la possibilità per il contribuente di fornire la dimostrazione di cui al periodo
precedente anche ai fini dell'accertamento in sede amministrativa e contenziosa”.
Dunque,in questo caso, il contribuente interpella l'amministrazione finanziaria ai fini di ottenere la disapplicazione di norme tributarie che ,allo scopo di
contrastare comportamenti elusivi,limitano deduzioni,detrazioni,premi di imposta ,o anche altre posizioni soggettive del soggetto passivo -altrimenti ammesse
dall'ordinamento-,fornendo la dimostrazione per cui,nella particolare fattispecie ,gli effetti elusivi non possono verificarsi.
L'interpello disapplicativo si propone quindi quando vi è una norma che limita delle posizioni soggettive, normalmente riconosciute al contribuente, per finalità
antielusive. Il contribuente,in questo caso,può richiedere l'applicazione del regime ordinario,o meglio,prima ancora, può chiedere la disapplicazione della norma
limitativa antielusiva e quindi ,sostanzialmente, l'applicazione del regime ordinario,fornendo ,attraverso l'interpello disapplicativo,la prova che ,in quella
particolare fattispecie, gli effetti antielusivi ,che la norma intendeva ostacolare, non possono verificarsi ,per via dell'esistenza di condizioni particolari.
Nei casi in cui l'amministrazione finanziaria non abbia reso risposta favorevole all'istanza di interpello disapplicativo del contribuente ,avendo lo stesso proceduto
alle detrazioni,deduzioni,etc di cui sopra,egli avrà ,a prescindere,la possibilità di fornire tali dimostrazioni anche ai fini dell'accertamento,sia in sede amministrativa che in sede
contenziosa .
Come abbiamo detto,l'amministrazione finanziaria, con particolare riferimento all'agenzia delle entrate,ha un termine ,per rispondere al contribuente ,che varia dai 90 ai 120 giorni. Alla luce
delle sovresposte tipologie di interpello,possiamo meglio specificare che:
→ il termine è di 90 giorni in caso di interpello ordinario
→ il termine è di 120 giorni in caso di interpello probatorio,antielusivo o disapplicativo
Qualora l'amministrazione non risponda espressamente all'istanza di interpello,si avrà il silenzio-assenso e quindi si ritiene ,ope legis, che la soluzione prospettata dal contribuente sia
quella corretta,con la conseguenza che gli atti impositivi ,emanati in difformità rispetto al contenuto della risposta ,saranno nulli,sicchè nessuna sanzione potrà essere irrogata al
contribuente.
CAPITOLO 2- I PRINCIPI COSTITUZIONALI DEL DIRITTO TRIBUTARIO: IL PRINCIPIO DELLA CAPACITA' CONTRIBUTIVA
EX ART. 53 COST. Ed IL PRINCIPIO DI PROGRESSIVITA'
2.1- IL PRINCIPIO DI CAPACITA' CONTRIBUTIVA EX ART. 53 COST.- GENERALITA'
-DOVERE DI CONCORRERE ALLE PUBBLICHE SPESE-STORIA:
L'art. 53 Cost. Dispone che “ Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
Il principio di capacità contributiva si sostanzia in un criterio di ripartizione dei carichi pubblici tra i consociati ed è desumibile dal dettato dell'art. 53 comma 1 Cost.,in virtù del quale
“tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.
La capacità contributiva,quale criterio di ripartizione dei carichi pubblici,rappresenta una nozione relativamente recente,introdotta soltanto con la Costituzione repubblicana del 1948.
Storicamente,possiamo osservare che il dovere di concorrere alle pubbliche spese si è atteggiato diversamente a seconda del momento storico analizzato:
→ vi era inizialmente l'epoca dell'imposizione violenta,dell'aggressione: quando ancora si trattava di economie in guerra,possiamo osservare che la contribuzione alle pubbliche
spese veniva ad atteggiarsi quale aggressione alla sfera patrimoniale dei singoli,quale imposizione coattiva
→ si arrivò poi all'epoca della contribuzione spontanea: in quest'epoca si diede prevalentemente rilievo al cd principio del consenso,in base al quale i singoli individui,nonchè i singoli
gruppi di individui, ripartivano volontariamente,al loro interno,il costo delle spese pubbliche,soprattutto in occasione di guerre,di calamità,o di realizzazione di particolari opere pubbliche.
→ si ritornò alla coercitività del prelievo fiscale: la contribuzione spontanea alle pubbliche spese non venne più ritenuta sufficiente per assicurare quella determinata certezza del
gettito,necessaria per finanziare la spesa pubblica. Tale ritorno all'imposizione coattiva ha trovato ,in parte,la sua giustificazione nel fatto che ci si trovava di fronte alla nascita di uno Stato
moderno ed accentrato,che aveva maggiori esigenze rispetto al passato,in particolare l'esigenza di prevedere flussi stabili di entrate che finanziassero la spesa pubblica. In questo senso,la
coercitività del prelievo fiscale venne vista come espressione del potere di supremazia dello Stato sui propri cittadini,nonchè come potere si supremazia su tutti quei soggetti,non
residenti,che entravano in contatto con la collettività organizzata.
Il problema fondamentale,a livello storico, era quello di individuare ,di volta in volta,un criterio,un indice di ripartizione delle spese pubbliche tra i consociati ,un indice che fosse
generalmente accettato. Ciò portò all'individuazione di diversi criteri,ritenuti come espressivi di ricchezza e dunque come espressivi di capacità,dei singoli, di contribuire alle spese
pubbliche:
→ gli economisti classici ed il criterio della corrispettività o del beneficio: gli economisti classici,tra la fine del 700 e l'800, ripresero gli schemi commutativi del diritto privato per
individuare dei criteri,a loro volta commutativi, di collegamento tra due soggetti posti in posizione di equilibrio e di sostanziale eguaglianza. Secondo gli economisti classici infatti, vi era un
soggetto privato,che versava un importo,ed un altro soggetto,ossia un ente pubblico,che erogava un servizio; tra i due soggetti intercorreva un rapporto che potremmo definire come
contrattualistico. Alla luce di ciò,gli economisti classici individuarono ,come criterio di ripartizione delle pubbliche spese,il criterio della corrispettività o del beneficio: il criterio di
corrispettività trovava applicazione con riguardo ai servizi pubblici divisibili,nei quali ,ricordiamo,vi era un legame più stretto tra la richiesta di un servizio da parte di un
soggetto e l'erogazione di quel servizio richiesto da parte di un altro soggetto; il criterio del beneficio,di contro,trovava applicazione con riferimento ai cd. Servizi pubblici
indivisibili,i quali ridondavano a beneficio dell'intera collettività e presentavano dunque un collegamento diretto con il versamento del tributo. Questa teoria contrattualistica era
frutto dell'individualismo tipico della cultura giuridica italiana dell'epoca,nonchè del principio di uguaglianza che aveva avuto un fiorente sviluppo a seguito della rivoluzione francese
→ la scuola tedesca e l'impostazione pubblicistica dell'imposizione coattiva: tra la fine dell'800 e gli inizi del 900,trovò un grande sviluppo l'impostazione tedesca,la quale proponeva
una teoria pubblicistica in cui veniva attribuita maggior rilevanza al potere di supremazia dello Stato sul cittadino. Veniva dunque meno la precedente teoria contrattualistica,che
vedeva lo Stato ed il cittadino su un piano di sostanziale eguaglianza,a favore di una teoria pubblicistica,che ruotava intorno alla nozione di tributo quale espressione del potere di
supremazia dello Stato e ,di conseguenza, quale espressione di sovranità e di coercitività. Questa si rivela essere l'impostazione attualmente seguita.
→ le costituzioni pre-repubblicane e la ripartizione sulla base delle facoltà economiche:Nelle costituzioni pre-repubblicane si faceva riferimento ad una ripartizione sulla base
delle facoltà economiche,sulla base dei mezzi economici,come testimoniano,rispettivamente,sia le costituzioni preunitarie,sia l'art. 134 della Costituzione di Weimar. Basti
ancora pensare all'art. 25 dello Statuto Albertino,il quale affermava espressamente che “i regnicoli contribuiscono indistintamente nella proporzione dei loro averi ai carichi dello Stato”.
Anche l'art. 13 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 stabiliva,non a caso, la necessità di un contributo comune per spese-in questo caso un contributo di
carattere generale-,ossia per l'erogazione di servizi indivisibili,facendo particolare riferimento soltanto al mantenimento della forza pubblica e alle spese di amministrazione : “è
indispensabile un contributo comune da ripartire tra tutti i concittadini in ragione della loro capacità”. Le formule presenti in questi testi, pur non coincidendo, fanno comunque
riferimento ad un'economia,ad un'imposizione sostanzialmente di tipo reale e non di tipo personale, proponendo un concorso alle pubbliche spese che fosse comunque
proporzionale “rispetto alle facoltà economiche o agli averi posseduti”.
La capacità contributiva, intesa come formula normativa,comparve per la prima volta durante i lavori preparatori della Costituzione. In questa sede, fu la Corte di Cassazione a proporre
tale concetto di capacità contributiva,un concetto che ,contenutisticamente, risultava come tecnicamente preferibile sia alla nozione di “averi” propria dello Statuto Albertino,sia alla
nozione di “mezzi” contemplata dalla Costituzione della Repubblica di Weimar. Tale concetto di capacità contributiva,secondo la Corte di Cassazione, aveva soprattutto la finalità di
sottolineare la non corrispettività tra obbligazione tributaria e prestazione di servizi pubblici indivisibili(con un abbandono definitivo dell'impostazione privatistica),dal momento che essa
si veniva a configurare quale criterio,di tipo solidaristico,in forza del quale si era tenuti a concorrere alle pubbliche spese in ragione della propria appartenenza alla collettività organizzata.
Questa formula di capacità contributiva,intesa quale criterio di partecipazione ai carichi pubblici in ragione dell'appartenenza alla collettività organizzata,venne ripresa dal Vanoni,il quale
la inserì nel Rapporto della Commissione economica dell'Assemblea costituente e poi nel testo definitivo della nostra Carta costituzionale.
Recap su effettività,certezza ed attualità della capacità contributiva:Quindi la capacità contributiva deve essere certa,deve essere effettiva e deve essere attuale: certezza della capacità contributiva
significa che non sono ammesse presunzioni assolute di capacità contributiva,essendo ammesse soltanto presunzioni relative; l'effettività della capacità contributiva si traduce nel fatto che sono escluse da
imposizione le manifestazioni di forza economica che sono al di sotto del cd minimo vitale e che dunque siano appena sufficienti per mantenere la famiglia e quindi rendano la retribuzione percepita effettivamente
idonea a consentire un'esistenza libera e dignitosa; l'attualità della capacità contributiva indica che sono ammissibili tributi retroattivi solo nei limiti in cui sia razionalmente presumibile che la forza economica
manifestata sia tutt'ora esistente al momento dell'entrata in vigore del tributo che assuma a presupposto d'imposta un fatto realizzato nel passato.
Considerazioni: Una volta concluso l'esame della nozione di capacità contributiva,abbiamo gli strumenti per porci qualche domanda,come,ad esempio,se sarebbe costituzionalmente legittima una norma che
prevedesse un regime di favore,a parità di reddito conseguito,per le attività volte alla produzione di impianti per la terapia intensiva,o per la cura della polmonite. Con ciò si intende dire: a parità di reddito,sarebbe
costituzionalmente legittima,ai sensi dell'art.53 cost. , una configurazione delle imposte sui redditi in maniera tale che siano agevolate ,in questo momento, le imprese che convertano la loro attività per la produzione
di macchine e apparecchiature per la terapia intensiva? Probabilmente si. Il limite di questa agevolazione,in questo esempio, può servire a richiamare il concetto secondo cui i tributi non hanno solamente la finalità di
determinare il concorso alle pubbliche spese,ma possono perseguire,al contempo, anche finalità extra-tributarie,come la tutela della salute pubblica o tout court.
Si assiste poi ,in questi giorni ,alla sospensione dei termini di versamento dei tributi ,che si configura quindi come una sospensione fisiologicamente temporanea dell'obbligo contributivo. È questa sospensione del
dovere di solidarietà ,di cui all'art. 53 cost., Conforme al principio di capacità contributiva, o è comunque conforme alla Costituzione? Una sospensione del termine di versamento dei tributi è conforme al principio di
capacità contributiva laddove si ritenga che ,nel momento attuale,dato il blocco delle attività economiche,non ci sia forza economica e dunque capacità di concorrere alle pubbliche spese. In quest'ottica si potrebbe
benissimo individuare, nella sospensione dei termini per il versamento dei tributi ,un'applicazione del principio di capacità contributiva, da intendersi ,in questo momento, come ridotta, o come compressa, dal blocco
delle attività economiche,oppure, la si potrebbe interpretare anche come utilizzazione della leva fiscale per perseguire finalità extra-tributarie,quali la tutela della proprietà privata e della libera iniziativa economica.
Questa analisi serve per rafforzare quella considerazione per cui la capacità contributiva ,o meglio, la ricostruzione dei confini della capacità contributiva,non rappresenta un dato oggettivo ,quanto,piuttosto,un dato
storicamente condizionato ,cangiante con il trascorrere del tempo e con il mutare sia delle forme di svolgimento delle attività economiche ,sia delle situazioni contingenti .
-4 LIBERTA' FONDAMENTALI:
Le 4 libertà fondamentali,riconosciute dall'UE come necessarie per l'instaurazione ed il buon funzionamento del mercato interno,sono elencate dall'art. 26 del TFUE:
→ libertà di circolazione delle merci: vi è stata ,all'interno dell'Unione Europea,un'unione doganale,sancita altresì dall'art. 28 TFUE,in virtù del quale è stato posto il divieto,fra gli Stati
membri, di porre dazi doganali all'importazione o all'esportazione,così come di qualsiasi tassa equivalente. Dunque ,nell'UE non possono esservi,a norma dell'art. 30 TFUE,dogane e dazi
doganali e ,per quanto riguarda le merci provenienti da paesi terzi, si applica una tariffa doganale comune,come sancito dall'art. 31 TFUE. Di particolare importanza,in quest'analisi,sono gli artt. 110 e
111 TFUE,i quali ,rispettivamente, da un lato vietano agli Stati membri di applicare imposizioni interne,sui prodotti provenienti da altri Stati membri,superiori a quelle applicate ai prodotti
nazionali similari ,mentre,dall'altro lato, vietano che i prodotti esportati nel territorio di uno degli Stati membri possano godere di un ristorno di imposizioni interne superiore alle
imposizioni ad essi applicati,direttamente o indirettamente.
→ libertà di circolazione delle persone: a norma dell'art. 20 TFUE, i cittadini di ogni Stato membro sono,al contempo,anche cittadini dell'Unione Europea,per cui essi hanno diritto di
circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Di particolare rilevanza qui,è l'art. 45 TFUE,il quale sancisce il diritto di libera circolazione dei lavoratori,implicando
“l'abolizione di qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità,tra i lavoratori degli Stati membri,per quanto riguarda l'impiego,la retribuzione e le altre condizioni di lavoro” . Questo
diritto di libera circolazione dei lavoratori è di fondamentale importanza per quanto riguarda la distinzione che viene fatta,in materia tributaria,tra soggetti residenti e soggetti non
residenti: i soggetti residenti sono normalmente soggetti ad imposta per la totalità del loro reddito,mentre i soggetti non residenti sono soggetti ad imposizione soltanto per i redditi
prodotti nello Stato,in virtù del fatto che ,normalmente,il reddito percepito nel territorio di uno Stato da un soggetto non residente costituisce soltanto una parte del suo reddito
complessivo. Va tuttavia osservato che la Corte di Giustizia ha sancito che ,qualora un soggetto produca la maggior parte del suo reddito in uno Stato UE diverso da quello di residenza,egli avrà diritto
alle stesse attenuazioni del carico fiscale che sono concessi ai soggetti residenti (avrà diritto al cd. Trattamento nazionale).
→ libertà di stabilimento(sussumibile nella libertà di circolazione delle persone): la libertà di stabilimento viene sancita dall'art. 49 del TFUE e comporta il divieto di restrizioni alla libertà di
trasferirsi e di stabilirsi nel territorio di un altro Stato membro (libertà primaria),così come il divieto di restrizioni alla libertà di aprire agenzie,succursali o filiali nel territorio di un altro
Stato membro (libertà secondaria). Tale libertà di stabilimento comporta innanzitutto che le società possano essere costituite e gestite secondo le condizioni poste dalla legislazione del
paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini; in secondo luogo,tale libertà di stabilimento implica altresì una libertà di scelta sulla forma giuridica con cui esercitare il diritto di
stabilimento, con particolare riferimento alla scelta tra società e stabile organizzazione. Per quanto riguarda le società,va osservato che l'art. 54 TFUE sancisce che,pur essendo le società
residenti all'interno dell'Unione equiparate alle persone fisiche aventi la cittadinanza di uno Stato membro,esse non hanno la garanzia di potersi liberamente trasferire e stabilire in uno Stato membro
diverso rispetto a quello dove si sono costituite,mentre gli viene riconosciuto appieno il diritto di aprire agenzie o succursali in uno Stato membro differente da quello ove si sono costituite. A livello
fiscale,sempre per quanto riguarda le società,possiamo dire che le stesse non possono essere sottoposte ad una exit tax né da parte dello Stato di origine,nè da parte dello Stato ospitante ; per quanto
riguarda i gruppi di società poi,si ammette la deduzione ,da parte della società madre,degli interessi passivi derivanti da prestiti contratti per finanziare società controllate residenti in altri Paesi. Per
quanto riguarda infine le organizzazioni stabili,va osservato che le stesse godono di parità di trattamento con le società residenti.
→ libertà di circolazione dei servizi: secondo l'art. 56 TFUE, la libertà di circolazione dei servizi si sostanzia nella libertà di prestazione di servizi,da parte di determinate società, a cittadini
residenti in un Paese diverso da quello ove tali società sono stabilite. Tale libertà riguarda dunque attività svolte ,in modo non permanente, da chi è stabilito In un Paese diverso rispetto a
quello in cui viene reso il servizio. In merito,va da ultimo osservato che il principio in esame ha carattere residuale,operando soltanto quando non valgano le norme sulla libera circolazione delle
merci,delle persone e dei capitali.
→ libertà di circolazione dei capitali: il principio di libera circolazione dei capitali,sancito dall'art. 63 TFUE, implica che i Paesi membri non debbano ostacolare in alcun modo gli
investimenti ,con norme fiscali che possono avere effetti restrittivi della circolazione dei capitali,ovvero effetti discriminatori tra investitori residenti e non residenti. Rileva ,in particolare,il
fatto che la Corte di Giustizia europea abbia censurato il sistema,italiano,di ritenuta alla fonte del 27% per i dividendi in uscita,in quanto meno favorevole di quello applicato ai dividendi distribuiti alle
società residenti,che godevano di un'esenzione del 95% . Dunque,i dividendi in entrata,ossia i dividendi distribuiti da società non residenti a contribuenti residenti,ed i dividendi in uscita,ossia i dividendi
distribuiti da società residenti a soggetti non residenti,non possono essere tassati in modo discriminatorio rispetto ai cd. Dividendi domestici,cioè quei dividendi distribuiti da società residenti a
contribuenti residenti.
-DIVIETO DI AIUTI DI STATO:
Secondo quanto previsto dal TFUE,ai fini dell'istituzione e del buon funzionamento del mercato europeo , è necessario non soltanto che lo stesso sia senza frontiere,ma
altresì che ,al suo interno,le imprese possano operare ad armi pari,in condizioni di una concorrenza non falsata. A questo scopo,l'art. 107,par. 21 ,del TFUE sancisce il divieto
di aiuti di Stato,ossia il divieto di aiuti concessi dagli Stati,o concessi mediante risorse statali,sotto qualsiasi forma,che,favorendo alcune imprese o talune produzioni,falsino o
minaccino di falsare la concorrenza. Innanzitutto occorre notare che affinchè una misura possa essere considerata come aiuto di Stato,è necessario che la stessa
presenti ,congiuntamente,le seguenti caratteristiche: vi deve essere un vantaggio sotto forma di sovvenzioni o alleggerimento di costi, il vantaggio deve essere concesso
dallo Stato o mediante risorse statali,il vantaggio deve incidere sulla concorrenza e sugli scambi tra Stati membri,il vantaggio deve essere concesso in maniera specifica e
selettiva (dunque sono aiuti di Stato i trattamenti fiscali molto tenui di alcuni Stati membri,quali l'Olanda,il Lussemburgo,l'Irlanda). In secondo luogo,rileva che ,a norma dell'art.
108 TFUE ,gli Stati membri,prima di adottare un provvedimento di favore per le imprese,debbano comunicarne preventivamente il relativo progetto alla Commissione Europea
ed attenderne la pronuncia in merito,prima di poterlo adottare (clausola di standstill). Qualora gli Stati concedano aiuti non notificati o ritenuti non compatibili dalla
Commissione,quest'ultima ne disporrà la revoca ed altresì il recupero,recupero che dovrà essere portato a termine dallo Stato membro interessato con ogni misura ritenuta idonea al
raggiungimento di tal fine,con un'unica esimente rappresentata dalla cd. Impossibilità assoluta.
-PRESUPPOSTO D'IMPOSTA :
Con presupposto d'imposta ,o,più semplicemente,con presupposto,si vuole indicare quell'atto,fatto o situazione ,espressivo di capacità contributiva e dunque di forza economica,al
verificarsi del quale nasce l'obbligazione tributaria,al verificarsi del quale il tributo diventa dovuto.
Va osservato innanzitutto che non tutti i testi normativi parlano,in merito ,di presupposto,essendo questa un'espressione usata nel Testo unico delle imposte sui redditi: non a caso infatti,la fattispecie
imponibile che dà vita,direttamente o indirettamente,all'imposta è variamente denominata,come presupposto,come fatto imponibile,come fatto generatore,come situazione base,come oggetto
dell'imposta (anche se a ben vedere si discorre di presupposto d'imposta nei discorsi giuridici,mentre di oggetto dell'imposta nei discorsi di stampo economico.
Rileva poi che molte sono le classificazioni dei tributi fatte sulla base dell'analisi del presupposto: basti ricordare che ,a seconda che il presupposto costituisca,rispettivamente ,una
manifestazione diretta o indiretta di capacità contributiva, si distingue tra imposte dirette ed imposte indirette,oppure ,ancora,che a seconda che il presupposto si configuri come un fatto istantaneo o
come un fatto di durata,si distinguono imposte istantanee ed imposte periodiche
-SOGGETTO PASSIVO DELL'IMPOSTA:
Il soggetto passivo dell'imposta costituisce il centro di imputazione degli effetti del presupposto,ossia il soggetto che viene ad essere inciso dal tributo. Normalmente ,il soggetto passivo
dell'imposta coincide con il soggetto che ha realizzato il presupposto,che ha quindi posto in essere il fatto manifestativo di capacità contributiva,ma va osservato che tale coincidenza non
vi è sempre,essendovi soggetti,quali il sostituto d'imposta ed il responsabile d'imposta,che sono tenuti al versamento del tributo pur non avendo realizzato gli stessi il presupposto (salvo
rivalsa).
-BASE IMPONIBILE:
La base imponibile è costituita dalla grandezza che misura la capacità contributiva manifestata dal presupposto,ossia l'oggetto del tributo. Essa può anche essere definita
come il valore che viene attribuito al presupposto ed in relazione al quale viene calcolato il tributo.
A differenza del presupposto,che definisce l'an debeatur , l'applicabilità o meno di un tributo,la base imponibile costituisce il quantum debeatur,ossia la misura del tributo
dovuto. Per fare un esempio,possiamo dire che ai fini IRPEF,il presupposto è costituito dal possesso del reddito,mentre l'oggetto del tributo,la base imponibile,è costituita dalla quantità di
reddito tassabile posseduta da un determinato soggetto. Ovviamente il tributo non è applicabile qualora la base imponibile non superi il cd. Minimo vitale,ossia quel minimo di
risorse,pecuniarie o meno,necessarie affinchè un soggetto,unitamente alla sua famiglia,possa condurre un'esistenza libera e dignitosa.
La base imponibile,nella maggior parte dei casi,è costituita dunque da una grandezza monetaria,che,relativamente alle imposte dirette, si configura come un importo netto,pari a
ciò che residua a seguito dell'applicazione,al reddito lordo,di tutte le deduzioni e riduzioni previste,mentre,relativamente alle imposte indirette, si configura come variabile a seconda del
tributo in esame. Appare qui ovvio che qualora gli elementi della base imponibile non siano entità monetarie,sarà necessario quantificarne il valore in moneta.
Da ultimo,va osservato che le norme sulla base imponibile,espresse necessariamente da legge o da atto avente forza di legge (in virtù del rispetto del principio della riserva di
legge di cui all'art. 23 Cost.), sono particolarmente complesse,dal momento che il legislatore non si limita a stabilire quale sia la base imponibile di un tributo,ma detta altresì
norme che fissano la composizione della base imponibile ed i criteri di valutazione. In merito alla composizione della base imponibile, la legge indica quali componenti
negative devono essere dedotte da quelle positive.
- ALIQUOTA:
L'aliquota costituisce il coefficiente da applicare alla base imponibile per ottenere l'ammontare dell'imposta ed è rappresentata da una percentuale del valore imponibile in base alla quale
si determina l'imposta dovuta.
Essa si distingue innanzitutto in fissa,se rimane invariabile al variare della grandezza della base imponibile(es. Nell'imposta di registro), o variabile,se varia al variare della grandezza della base
imponibile. Qualora l'aliquota si presenti come variabile,possiamo osservare che la stessa può configurarsi,alternativamente,come:
→ proporzionale: quando varia proporzionalmente con il variare della base imponibile
→ progressiva: quando muta più che proporzionalmente al crescere della base imponibile
→ regressiva: quando essa decresce all'aumentare della base imponibile
In merito all'aliquota,occorre richiamare delle riflessioni:
→ ai fini del rispetto del principio della riserva di legge di cui all'art. 23 Cost. ,è sufficiente che il legislatore determini una forchetta,un minimo ed un massimo entro il quale
l'aliquota ,relativa ad un determinato tributo, debba essere fissata,potendone demandare la concreta determinazione anche ad altri soggetti aventi potestà tributaria,quali
Regioni ed Enti locali
→ bisogna ricordare che,a norma dell'art. 53 comma 2 Cost. ,il nostro sistema tributario deve essere ispirato a criteri di progressività,ma ciò non preclude l'introduzione di un
tributo avente aliquota non progressiva (es. regressiva),essendo sufficiente che il sistema tributario nel suo complesso non ne venga stravolto e dunque,secondo
l'orientamento consolidato della Corte Costituzionale, che quel determinato tributo non abbia carattere strutturale e definitivo.
-AGEVOLAZIONI:
Le agevolazioni,dette anche misure di favore, sono istituti,previsti dalla normativa fiscale, che accordano un trattamento preferenziale a determinati soggetti d'imposta. Dunque
l'agevolazione,in deroga a quanto previsto in via ordinaria (dal trattamento fiscale ordinario o benchmark) , riduce il quantum dell'imposta.
Esse sono introdotte in considerazione di particolari situazioni personali o in base a situazioni oggettive che necessitano di adeguata tutela (basti pensare alle agevolazioni per i settori
produttivi in crisi ed alle agevolazioni dirette a fronteggiare eventi e calamità) ,quindi con finalità extra-fiscali,ovvero anche per motivi tecnico-tributari.
Pur essendovi delle agevolazioni che hanno l'effetto di produrre una riduzione della base imponibile o una riduzione dell'imposta, va osservato che esse non vanno confuse con le deduzioni e con le
detrazioni fiscali,le quali costituiscono elementi caratterizzanti del regime ordinario.
Esse,insieme alle esenzioni,possono costituire,a norma dell'art. 107 TFUE, aiuti di Stato.
-ESENZIONI:
Le esenzioni costituiscono meccanismi agevolativi ,adottati dal legislatore per motivi di politica sociale o di sviluppo economico,in virtù dei quali determinati atti a rilevanza tributaria
vengono totalmente,o parzialmente,sottratti all'imposizione fiscale (possono comportare sia l'esonero da qualsiasi imposta,sia l'applicazione di un'imposta sostitutiva). Esse si
distinguono in soggettive ed oggettive,a seconda che siano dovute,rispettivamente,a particolari condizioni del soggetto passivo del tributo oppure che riguardino il presupposto del
tributo.
Al fine di individuare le fattispecie esenti si possono seguire due criteri:
→ un criterio logico,in base al quale sono esenzioni tutti i casi che sono in rapporto di deroga rispetto alla norma che definisce il presupposto
→ un criterio nominalistico,in virtù del quale sono considerate esenzioni quelle che il legislatore qualifica e disciplina espressamente come tali,prescindendo dal fatto che le
stesse siano o meno in rapporto di deroga o eccezione rispetto alla regola generale (esempi ne sono le esenzioni dall'Iva,disciplinate dall'art. 10 del d.p.r. 633/1972) .
Da ultimo,occorre osservare che le stesse vanno tenute distinte dalle cd. Esclusioni,mentre presentano punti di contatto con le agevolazioni,potendo ,tra l'altro,essere considerate entrambe
come aiuti di Stato a norma dell'art. 107 TFUE.
-ESCLUSIONI:
L'esclusione è una norma che chiarisce il presupposto del tributo,specificando ciò che ,concettualmente, ne è al di fuori. Dunque le esclusioni si realizzano attraverso enunciati con cui il
legislatore chiarisce i limiti di applicabilità del tributo,senza derogare a quanto risulta dagli enunciati generali.
Le esclusioni non vanno confuse con le esenzioni,in quanto queste ultime costituiscono delle deroghe,delle eccezioni all'applicabilità di un determinato tributo: pur rientrando un determinato fatto
nella definizione del presupposto,viene stabilito che esso non è soggetto a tassazione; di contro,con l'esclusione,il legislatore si limita a definire l'ambito di applicazione del tributo senza creare alcuna
norma derogatoria a quella ordinaria.
-REGIME FISCALE SOSTITUTIVO:
Si ha regime fiscale sostitutivo nel caso in cui il legislatore stabilisca,con una norma derogatoria,che talune categorie di fatti siano sottratte all'applicazione di un tributo,cui
sarebbero soggette in via ordinaria, e siano soggette ad un altro,speciale regime.
Il regime fiscale sostitutivo può essere accordato o per scopi di agevolazione,ossia per motivi extra-fiscali,oppure per ragioni di tecnica impositiva,ossia per ragioni di
semplificazione del meccanismo impositivo.
-CREDITI D'IMPOSTA:
I crediti d'imposta costituiscono uno strumento ,assai utilizzato dal legislatore,attraverso il quale vengono attribuiti a determinate categorie di contribuenti dei crediti d'imposta,ossia delle
somme di denaro,che i titolari,in ragioni di caratteristiche soggettive e /o oggettive,possono detrarre dalle imposte ,oppure possono dedurre dall'imponibile di una o più imposte.
Il credito d'imposta fondamentalmente ,dunque,rappresenta un credito che il contribuente vanta nei confronti del fisco.
Nell'ambito dei crediti d'imposta occorre distinguere:
→ i crediti d'imposta accordati per motivi di tecnica tributaria dai crediti d'imposta accordati per ragioni extra-fiscali: si tratta qui di distinguere tra quei crediti d'imposta che
vengono accordati,rispettivamente,per porre rimedio a fenomeni di doppia imposizione, e quei crediti d'imposta che costituiscono in realtà dei finanziamenti,i cui beneficiari
ne fruiscono compensando i crediti così attribuiti con i debiti d'imposta (sono crediti fiscali soltanto per la loro attuazione)
→ tra crediti d'imposta rimborsabili e crediti d'imposta non rimborsabili: i crediti d'imposta non rimborsabili sono utilizzati dal contribuente soltanto a compensazione del
debito d'imposta,sicchè,qualora vi sia un'eccedenza,il contribuente non avrà diritto a rimborso alcuno (costituiscono sostanzialmente delle detrazioni ); di contro,i crediti
d'imposta rimborsabili possono essere utilizzati o meno in compensazione del debito d'imposta dal contribuente ,sicchè,se non usati in compensazione,ovvero nel caso in cui
,a seguito della compensazione,ne risulti un'eccedenza,relativamente agli stessi potrà essere presentata istanza di rimborso.
Da ultimo occorre osservare che i crediti d'imposta,a norma dell'art. 1260 c.c.,possono essere oggetto di cessione,ma affinchè la cessione di questi abbia efficacia nei confronti del fisco, sarà
necessario che la stessa sia stipulata per atto pubblico o per scrittura privata autenticata e che venga poi notificata all'ente pubblico cui spetta ordinare il pagamento.
-OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA:
L'obbligazione tributaria si configura come quel rapporto giuridico che si instaura quando si verifica un atto,un fatto o una situazione che siano rappresentativi di capacità
contributiva (di forza economica),in ragione del quale un determinato soggetto,solitamente colui che ha posto in essere l'atto,il fatto o la situazione espressivi di capacità
contributiva,è tenuto al versamento del tributo,mentre, un altro soggetto,un ente pubblico, ha diritto a vedersi versato il tributo.
Quanto ai caratteri dell'obbligazione tributaria,possiamo dire che si tratta di un'obbligazione:
→di diritto pubblico,in quanto uno dei soggetti coinvolti è un ente pubblico
→ legale o ex lege: essa trova la sua fonte nella legge o in un atto avente forza di legge,rispettando così la riserva di legge di cui all'art. 23 Cost. . La legge ,ponendo
disposizioni,enuncia norme impositrici,in base alle quali,al realizzarsi di un determinato presupposto,di un determinato fatto espressivo di capacità contributiva, il tributo si
rende dovuto. Nulla viene dunque lasciato alla disponibilità delle parti ,per cui il rapporto risulta vincolato (a differenza dell'obbligazione civile)
→ pecuniaria,in quanto comporta la dazione di una somma di denaro(tuttavia in casi eccezionali è ammessa la dazione di beni culturali ,oppure di cedole scadute di titoli di
stato).
In particolare,va osservato che tale nozione di obbligazione tributaria veniva a configurarsi come uno schema privatistico che trovava la sua fonte nella legge,in un atto autoritativo,per cui
questa sua configurazione come obbligazione ex lege ha permesso di risolvere la tensione dialettica,caratterizzante tutto l'ambito del diritto tributario,tra l'interesse generale a
che tutti concorrano alle pubbliche spese e l'interesse individuale a non concorrere oltre quanto consentito dalla propria forza economica e dunque dalla propria capacità
contributiva. In questa ricostruzione,la fase di accertamento del tributo da parte dell'ente impositore rappresentava lo strumento per inserire,nonchè per tutelare , l'interesse pubblico ,al
concorso di tutti alle pubbliche spese, in uno schema privatistico quale quello dell'obbligazione,schema nel quale era altresì garantita la corretta ricostruzione della capacità contributiva
facente capo ad un determinato soggetto (attraverso la corretta determinazione della base imponibile).
In sintesi ,la configurazione dell'obbligazione tributaria ,quale obbligazione ex lege, ha fatto sì che fosse trovato un contemperamento tra l'interesse pubblico e l'interesse
privato,tra strumenti privatistici e strumenti pubblicistici.
Un'ulteriore caratteristica importante dell'obbligazione tributaria è costituita dal fatto che la stessa si configura come un rapporto mutabile ,dal momento che non sempre
l'ente impositore può essere considerato come creditore e dal momento che,di conseguenza,non sempre il contribuente può essere considerato come debitore. Difatti vi sono
dei casi in cui l'ente pubblico impositore accerta un tributo in maniera non corretta,sicchè il contribuente, inciso da tale tributo, dovrà necessariamente andare in contenzioso,pagando
tuttavia il tributo in pendenza di giudizio; appare qui ovvio che ,qualora il contribuente ottenga,in sede contenziosa,l'annullamento dell'avviso di accertamento emesso nei suoi confronti,egli
avrà diritto a vedersi restituito quanto indebitamente versato all'ente impositore nelle more del contenzioso. In tal caso, la posizione,in senso privatistico,assunta qui dal contribuente,non
sarà più la posizione di un debitore,bensì la posizione di un creditore,che ha diritto a vedersi restituito dall'ente impositore,specularmente in posizione debitoria, il tributo indebitamente
versato.
Da ultimo,rileva che l'obbligazione diventa definitiva nel suo ammontare
a. Quando è decorso il termine di decadenza senza che l amministrazione fiscale abbia emesso avvisi di accertamento. Ciò che è stato versato estingue
l'obbligazione a titolo definitivo, non può essere richiesto un ulteriore versamento.
b. In caso di accertamento e successivo processo tributario l obbligazione diventa definitiva quando la sentenza passa in giudicato e non è più impugnabile
-AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA:
Tra i soggetti attivi del rapporto giuridico d'imposta abbiamo citato l'Amministrazione finanziaria. La cd. Amministrazione finanziaria,più comunemente nota come fisco,si sostanzia nel
complesso degli uffici finanziari,sia centrali che periferici,preposti all'acquisizione ed alla gestione delle entrate pubbliche di natura finanziaria.
All'interno dell'Amministrazione finanziaria vi rientrano:
1)il Ministero dell'Economia e delle Finanze (il MEF)
2)le agenzie fiscali,sia centrali che locali
Tale scissione è stata dovuta già all'operato del d.lgs 300/1999,il quale ha per l'appunto attuato una separazione tra la direzione politica da un lato e la gestione amministrativa dei tributi
dall'altro lato,affidate,rispettivamente , al MEF ed alle agenzie fiscali.
-MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE(MEF):
Il Ministero dell'economia e delle finanze (MEF), è un ministero che si occupa,in ambito tributario,della direzione politica tributaria,con ciò intendendo che lo stesso individua
quei determinati obiettivi che devono essere perseguiti dalle agenzie fiscali,vigila sull'andamento dell'attività nel corso dell'anno e controlla l'attività di attuazione delle
agenzie fiscali,ferma restando l'autonomia gestionale di queste ultime. Tra il MEF e le singole agenzie viene stipulata ,annualmente, una convenzione,che fissa, per ciascun
periodo d'imposta, le direttive generali,precedentemente elaborate dal MEF,i servizi che sono dovuti al MEF ed ai contribuenti ,nonchè gli obiettivi da raggiungere e le
modalità di verifica dei risultati perseguiti.
È importante poi sottolineare che ,storicamente,con l'introduzione del d.lgs. 300/1999, il MEF ha ottenuto la direzione politica in materia tributaria,lasciando alle agenzie fiscali la
gestione amministrativa dei tributi; rileva poi che,agli inizi degli anni 2000,il MEF è stato è arrivato ad incorporare altri Ministeri,quali il Ministero delle Finanze,il Ministero del Tesoro,il
Ministero dell'Economia e il Ministero del Bilancio e della programmazione economica.
Il MEF,il Ministero dell'Economia e delle Finanze,esercita le sue attività di direzione politica sostanzialmente attraverso due strutture,quali:
→ il dipartimento delle finanze: il dipartimento delle finanze è quel dipartimento del MEF che vigila sulle agenzie fiscali e svolge un'attività di supporto relativamente
all'elaborazione di regolamenti e di studi in materia di politica tributaria. Il dipartimento delle finanze conduce quindi degli studi sulle politiche fiscali,sugli obiettivi da
raggiungere e sull'attività di attuazione dei tributi svolta dalle agenzie fiscali,le quali sono appunto vigilate e controllate da tale dipartimento. Il dipartimento delle finanze si
occuperà anche dell'attività di coordinamento con la Guardia di Finanza,in considerazione del fatto che l'attività di accertamento,nonchè l'attività di controllo del
comportamento del contribuente,preordinato all'adempimento degli obblighi fiscali, può essere demandato non soltanto alle agenzie fiscali,ma anche alla Guardia
di Finanza,la quale,come vedremo,svolge sia funzioni di politica tributaria che di politica giudiziaria.
→ l'anagrafe tributaria: l'anagrafe tributaria è stata istituita e disciplinata dal d.p.r. 605/1973.L'anagrafe tributaria è un sistema informatico che raccoglie,con la
collaborazione di diversi enti ed istituti,informazioni sui diversi contribuenti,ai quali viene attribuito un codice fiscale attraverso il quale gli stessi vengono
individuati .
Proprio in ragione del fatto che ad ogni contribuente viene assegnato un codice fiscale ai fini delle attività di controllo e di raccolta dati,si spiega perché vi sia l'obbligo per i
contribuenti,da un lato,di indicare il codice fiscale in una serie di atti (ad esempio negli atti di contenzioso tributario,ma anche nei contratti) ,giacchè mediante tale indicazione
quegli atti saranno riferibili,a ritroso,al contribuente che li ha posti in essere ,nonchè perché vi sia,dall'altro lato, l'obbligo,posto a carico di una serie di soggetti,quali le camere
di commercio,gli ordini professionali,gli intermediari finanziari ed assicurativi, di segnalare all'anagrafe tributaria i rapporti che siano intercorsi tra gli stessi ed i contribuenti.
L'anagrafe tributaria,che costituisce fondamentalmente una banca dati,si avvale anche del rapporto fattivo con i Comuni,i quali hanno,per l'appunto, l'obbligo di
segnalare all'anagrafe tributaria eventuali indici di capacità contributiva, desunti da fatti certi,relativi ai soggetti che risiedono in tali Comuni o che in tali Comuni possiedono
beni,o svolgono un'attività economica. Quest'obbligo ,posto a carico dei Comuni, sorge in ragione del fatto che i Comuni sono quei soggetti che hanno contiguità territoriale
con il soggetto che ivi risiede o che ivi svolge un'attività economica o vi possiede dei beni. Dunque,qualora il Comune abbia notizia dell'indice di capacità contributiva,
desumibile da fatti certi,riconducibile ad un determinato contribuente residente nel territorio,potrà segnalare tali indici di capacità contributiva all'anagrafe tributaria.
Al pari dell'obbligo di comunicazione di dati all'anagrafe tributaria,va osservato che ,parimenti, vi è la possibilità per la stessa anagrafe tributaria di richiedere i
dati dei contribuenti ai soggetti su cui grava l'obbligo di comunicazione.
Questi dati,confluiti nell'anagrafe tributaria, possono essere utilizzati Dall'Agenzia Delle Entrate, sia ai fini dell'accertamento(ossia ai fini dell'eventuale rettifica
della dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente),sia ai fini della riscossione,essendo i dati dell'anagrafe tributaria accessibili anche da parte della cd.
Agenzia delle Entrate-Riscossione,ente di recente costituzione che ha soppiantato la precedente Equitalia (che a sua volta aveva sostituito la Riscossione s.p.a.) e
che è preposto,per l'appunto,alla riscossione dei tributi.
Va rilevato che ai dati presenti nell'anagrafe tributaria possono accedere altresì le autorità giudiziarie,sia ai fini della repressione di reati,sia ai fini di coadiuvare i
privati nelle procedure esecutive (art. 492bis c.p.c.)
Essendo custode di una serie di dati sensibili,l'anagrafe tributaria è soggetta ad un'attività di vigilanza da parte di un'apposita commissione parlamentare,composta da 11
membri,designati dai presidenti delle camere
-AGENZIE FISCALI:
Le agenzie fiscali sono delle agenzie cui,a partire dall'entrata in vigore del d.lgs. 1999, è stata affidata la gestione amministrativa dei tributi.
Esse inizialmente erano 4,ma hanno subito,con una riforma,un parziale accorpamento,per cui ora vi rientrano:
1)l'Agenzia delle Entrate: l'Agenzia delle Entrate amministra tutti i tributi statali,con l'eccezione dei tributi che sono di competenza dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
Al vertice dell'Agenzia delle Entrate vi è un Direttore Generale,da cui dipendono poi le cd. Direzioni Regionali delle Entrate (o DRE),che sovraintendono ai tributi di
competenza dell'Agenzia delle entrate,coordinando a loro volta l'attività degli uffici periferici presenti a livello regionale. I compiti strettamente operativi sono invece svolti
dagli uffici periferici dell'Agenzia delle Entrate,che controllano le dichiarazioni dei contribuenti,svolgono indagini,emettono gli accertamenti,formano i ruoli di
riscossione,dispongono i rimborsi,rappresentano l'Agenzia delle Entrate in sede contenziosa,etc. (la competenza territoriale degli uffici è collegata al domicilio fiscale del
contribuente).
Per quanto riguarda ,in particolare,la riscossione dei tributi,va osservato che vi è stata un'evoluzione normativa nel corso del tempo,per cui si è passati da un sistema,che
prevedeva l'esercizio del potere esattivo attraverso i concessionari della riscossione,considerati come soggetti autonomi su tutto il territorio nazionale,ad un unico soggetto,
rappresentato dalla Riscossione spa,soppiantata poi da Equitalia,compartecipata per il 51% dalla stessa Agenzia delle Entrate e per il restante 49 % dall'INPS. Tale riunificazione del
potere di riscossione in capo ad un unico soggetto,titolare anche del potere di accertare i tributi, è stata fatta principalmente per velocizzare l'attività di riscossione dei tributi e per eliminare i
costi che gli esattori,disseminati sull'intero territorio nazionale,comportavano.
Con il d.lgs. 193/2016, è stato disposto che Equitalia venisse soppressa a partire 1 Luglio del 2017 ,attribuendo dunque la funzione della riscossione all'Agenzia delle
Entrate,che la esercita attraverso un ente pubblico strumentale,denominato Agenzia delle Entrate-Riscossione. L'agenzia delle Entrate-Riscossione esercita la sua attività sotto la
direzione e la vigilanza del MEF,nonchè sotto il monitoraggio da parte dell'Agenzia delle Entrate medesima.
Questa riunificazione in un unico soggetto,ossia nell'Agenzia delle Entrate,che a sua volta controlla l'attività dell'Agenzia delle entrate-riscossione , è conforme ad una quasi
coeva,precedente, trasformazione dell'atto di accertamento,che riunisce ora,in un unico atto,sia la funzione accertativa che quella di riscossione ,secondo quanto disposto
dall'art. 29 d.l. 78/2010 ( non è più necessario,come invece era nel passato,la notifica della cartella di pagamento;ora è lo stesso atto di accertamento,una volta notificato,che diventa titolo
per la riscossione dei tributi).
In sintesi,la catena di comando è rappresentata da MEF,Agenzia delle entrate e Agenzia delle entrate -riscossione,che è costituita da un ente pubblico economico strumentale.
2)l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli: l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli amministra i tributi doganali ,le accise,nonchè i Monopoli di Stato
3)il Demanio: il Demanio si occupa della gestione del catasto e di tutte le attività inerenti ,generalmente,ai beni immobili dello Stato
(istituti ispirati ai principi di leale collaborazione e di buona fede ,nonchè al principio del legittimo affidamento)
-INTERPELLI
-AUTOTUTELA
-CONTRADDITTORIO ENDOPROCEDIMENTALE:
Il contraddittorio endoprocedimentale costituisce un principio del procedimento amministrativo che viene sovente utilizzato per indicare la partecipazione del privato nei procedimenti
amministrativi.
Esso viene primariamente previsto nell'ambito della normativa comunitaria,in particolare dall'art. 41 della Carta di Nizza,che sancisce espressamente”il diritto di ogni individuo di essere
ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio”; da ciò ne è derivato che la Cassazione ha ritenuto obbligatorio il contraddittorio
endoprocedimentale in materia di tributi armonizzati (iva,accise,dazi doganali).
Pur non essendovi nel nostro ordinamento delle norme specifiche ,nell'ambito tributario,a riguardo,possiamo però osservare che vi sono dei casi determinati in cui è prevista la
partecipazione obbligatoria del contribuente:
→ in caso di liquidazione automatica e di controllo formale della dichiarazione,quando emerge un risultato diverso da quello dichiarato: in tal caso l'amministrazione deve
comunicare al contribuente,con avviso bonario,l'esito del procedimento,pena l'illegittimità della cartella di pagamento successivamente emessa
→ in caso di accertamento di operazioni elusive: prima di emettere un accertamento di tal tipo,l'amministrazione finanziaria deve necessariamente invitare il contribuente a fornire i
chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti
→ in caso di accertamento sintetico del reddito del contribuente,l'amministrazione finanziaria ha l'obbligo di invitare il contribuente a fornire dati e notizie rilevanti ai fini
dell'accertamento stesso,nonchè ad avviare il procedimento di accertamento con adesione
→ in caso di accessi,ispezioni e verifiche da parte dell'amministrazione finanziaria, vi è l'obbligo,per la stessa, di redarre,alla fine dell'attività di indagine,un processo verbale di
constatazione,di cui deve essere consegnata copia al contribuente indagato,che avrà 60 giorni per presentare le proprie osservazioni all'ufficio impositore,60 giorni nei quali
l'amministrazione finanziaria non potrà al contempo notificare un atto di accertamento relativo a quel processo verbale di constatazione
-REGIME DI ADEMPIMENTO COLLABORATIVO:
Il regime di adempimento collaborativo,definito anche come cooperative compliance,costituisce una forma regolamentata di collaborazione tra contribuente e fisco,introdotta dal d.lgs.
128/2015, alla quale possono aderire i contribuenti dotati di un sistema di rilevazione,misurazione,gestione e controllo del rischio fiscale,ossia del rischio di violare le norme tributarie.
Si tratta dunque di un regime riservato ai contribuenti di maggiori dimensioni che comporta ,per l'Agenzia delle Entrate,la pubblicazione periodica dell'elenco delle operazioni ritenuti di
pianificazione fiscale aggressiva,la semplificazione degli adempimenti tributari,l'esame preventivo delle situazioni suscettibili di generare rischi fiscali significativi; dall'altro lato,esso
comporta,per il contribuente,l'istituzione ed il mantenimento del sistema di rilevazione,misurazione ,gestione e controllo del rischio fiscale,la comunicazione all'Agenzia dei rischi di
natura fiscale e soprattutto di quelle operazioni che possono rientrare nella pianificazione aggressiva,la risposta da parte dell'Agenzia delle Entrate nel più breve tempo possibile.
-RAPPRESENTANTE FISCALE:
Il rappresentante fiscale (diverso dal contribuente), è quel soggetto che deve essere nominato da parte di società ed enti non residenti, che svolgano attività economica in Italia,o
posseggano beni in Italia, per facilitare i rapporti con l'amministrazione finanziaria ai fini delle imposte dirette; egli deve essere altresì nominato ai fini dell'adempimento degli obblighi
inerenti l'imposta sul valore aggiunto,sia dai soggetti non residenti che svolgano operazioni rilevanti ai fini IVA,sia dai soggetti residenti che svolgano determinate operazioni con soggetti
non residenti.
Si tratta,definitivamente,non di un soggetto passivo,quanto piuttosto di un soggetto titolare di obblighi meramente strumentali .che facilita i rapporti con l'amministrazione finanziaria .
Certamente il rappresentante fiscale non è un soggetto che viene ad essere inciso economicamente da obblighi di tipo sostanziale o da obblighi di versamento del tributo che incidano
sul suo patrimonio.
-SOGGETTIVITA' TRIBUTARIA:
Quando si discorre di soggettività tributaria o,per meglio dire,di soggettività tributaria passiva,si fa riferimento a quei soggetti che,nell'ambito della materia tributaria,possono essere
soggetti passivi del rapporto giuridico d'imposta,ossia soggetti nel cui patrimonio si riverberano gli effetti negativi collegati al versamento del tributo.
Tale nozione di soggettività tributaria passiva è stata in passato oggetto di numerosi dibattiti,soprattutto relativi alla necessità di comprendere il rapporto tra tale soggettività tributaria da un lato
e la capacità giuridica e la personalità giuridica del diritto civile dall'altro lato.
Ricordando che con capacità giuridica si vuole far riferimento alla capacità di essere titolari di situazioni giuridiche soggettive sia attive che passive e ricordando altresì che con personalità giuridica si fa
invece riferimento ad una caratteristica degli enti che rispondono delle proprie obbligazioni con il patrimonio dell'ente stesso,ossia al concetto di autonomia patrimoniale perfetta,possiamo dire che la
norma al centro del dibattito era l'art. 73 del TUIR,ossia del Testo Unico delle Imposte sui Redditi,il quale ricomprendeva tra i soggetti tenuti al versamento dell'imposta sul reddito delle
società anche soggetti non dotati di personalità giuridica,quindi non dotati di autonomia patrimoniale perfetta,quali le società di persone,le associazioni non riconosciute,i consorzi e le
altre organizzazioni non appartenenti a soggetti passivi,nei confronti delle quali il presupposto d'imposta si verificava in modo unitario e autonomo.
Ebbene,il problema sorgeva dal fatto che ,mentre in ambito civilistico erano riconosciuti come titolari di soggettività giuridica,come titolari di capacità giuridica soltanto le persone fisiche
e gli enti dotati di personalità giuridica,ossia di autonomia patrimoniale perfetta,con tale norma,nell'ambito del diritto tributario, pareva configurarsi una nozione di soggettività giuridica
tributaria e,conseguentemente,di capacità giuridica tributaria,più ampia rispetto a quella civilistica,dal momento che questa era riconosciuta anche ad enti privi di personalità giuridica.
Tale dibattito si è presto sopito,dal momento che l'art. 73 del TUIR si limitava e si limita,essendo rimasta tale norma sostanzialmente immutata,ad attribuire rilevanza ad ipotesi residuali
che rappresentano forme di soggettività anche nel diritto civile,attribuendo rilevanza,in particolare, a quelle fattispecie in cui vi è un centro di imputazione ,di un presupposto, unitario ed autonomo,
ossia un centro di imputazione che ha ha autonomia patrimoniale ed economica e in particolare il potere di disporre dei beni che rappresentano una fonte di reddito.
Dunque,attualmente vi è una sostanziale coincidenza tra soggettività civilistica e soggettività di diritto tributario e ,come anticipato,in talune residuali ipotesi vengono coinvolti ,nella
dinamica di applicazione del tributo,sia dei soggetti che vengono ad essere imputati di obblighi sostanziali,ossia di versamento del tributo,sia di soggetti che vengono ad essere imputati
meramente formali,come ad esempio gli obblighi dichiarativi,senza aver realizzato il presupposto d'imposta (casi del sostituto e del responsabile d'imposta).
Pur non essendo possibile analizzare tutte le fattispecie di soggettività tributaria che si sono dimostrate problematiche in passato e ricordando comunque che ad oggi la dottrina e la
giurisprudenza sono concordi,secondo un orientamento consolidato,nell'affermare che le ipotesi di soggettività nel diritto civile e nel diritto tributario coincidono,possiamo comunque
accennare ad alcune di tali fattispecie problematiche:
→ associazioni non riconosciute
→ società di fatto,che sono state equiparate alle società di diritto relativamente all'assoggettamento a tassazione
→ fondi di assistenza e di previdenza complementare costituiti all'interno delle aziende ,di cui all'art. 2117 c.c.: tali fondi sono assoggettati a tassazione quando dotati di autonomia
organizzativa e patrimoniale
→ impresa familiare,che è stata ricondotta,pur essendo un soggetto collettivo,all'impresa individuale
→ condominio: Il condominio,dal punto di vista fiscale,ha trovato un'espressa disciplina legislativa soltanto nel 1997.
Il condominio,secondo tale normativa, è obbligato ad effettuare la ritenuta di acconto nel momento in cui corrisponde compensi in denaro o in natura,con ciò ad intendere che, nel momento
in cui il condominio paga lo stipendio al portiere o all'amministratore,al momento dell'erogazione dei compensi, ne trattiene una parte e la versa all'erario.
Il condominio si configura quindi come un sostituto d'imposta,nei termini che vedremo dopo,con ciò ad intendere che è un soggetto che,pur non avendo realizzato il presupposto e quindi
pur non essendo portatore della capacità contributiva che il l'imposta sui redditi intende colpire,è coinvolto nella dinamica di applicazione del tributo.
Dunque, nel momento in cui viene erogato lo stipendio al portiere o all'amministratore,una parte viene trattenuta e versata all'erario,ma il condominio non diventa soggetto passivo
d'imposta. Soggetti passivi in senso stretto saranno sempre i singoli condomini,nei cui patrimoni si riverbereranno definitivamente gli effetti negativi collegati al versamento del tributo.
Questo vale,ad esempio, anche per eventuali redditi derivanti dall'uso di beni condominiali: si pensi alla locazione del lastrico solare per l'installazione di impianti di trasmissione,o all'affitto
della facciata per manifestazioni pubblicitarie,o ,ancora, all'eventuale percezione di redditi derivanti dalla locazione di immobili. Tutti questi redditi verranno ripartiti pro quota tra i singoli
condomini ,sulla base dei millesimi. Da ciò ne discende che non è il condominio il soggetto passivo d'imposta in senso stretto e tecnico,con ciò ad intendere che non è il soggetto che ha
realizzato il presupposto e a cui ,quindi, è riferibile la capacità di contribuire alle pubbliche spese manifestata da quel presupposto,ma il condominio viene coinvolto ugualmente nella
dinamica di applicazione del tributo per ragioni di semplificazione e di anticipazione del prelievo ,di implementazione delle garanzie patrimoniali legate alla riscossione di quanto dovuto.
→ i fondi comuni di investimento: essi avrebbero soggettività tributaria ai fini delle imposte sui redditi,mentre,relativamente all'imposta sul valore aggiunto,secondo la dottrina
maggioritaria,soggetti passivi del tributo sarebbero le società di gestione dei fondi medesimi.
→ chiamato all'eredità in caso di eredità giacente: qualora il periodo transitorio si prolunghi oltre il periodo d'imposta,il chiamato che non abbia dunque accettato l'eredità prima dello
scadere del periodo d'imposta,ma che la accetti successivamente,sarà retroattivamente obbligato a versare l'imposta per tutto il periodo rilevante. Dunque l'accettazione ha efficacia
retroattiva,sicchè il chiamato delato che abbia accettato l'eredità sarà retroattivamente considerato titolare dei redditi derivanti dal patrimonio del de cuius,per la precisione,dal momento in
cui si sia aperta la successione stessa.
→ fallimento ed altre procedure concorsuali: il reddito viene ad essere imputato all'imprenditore fallito,come accade nella disciplina civilistica.
→ associazioni temporanee di imprese:anche qui non vi sarebbe discordanza tra diritto civile e diritto tributario,nel senso che tali associazioni temporanee di imprese avrebbero
soggettività ,sia di diritto comune, sia di diritto tributario, solo nel caso in cui le stesse siano dotate di autonomia organizzativa e patrimoniale,ossia nel caso in cui siano enti distinti dalle
imprese che ne fanno parte ed,in definitiva , siano in grado di assolvere al debito tributario mediante la disponibilità di mezzi propri e distinti ,rispetto a quelli delle singole imprese che
partecipano all'associazione temporanea.
→ gruppi di società:i gruppi di società non sarebbero sempre soggetti di diritto,ma lo sarebbero soltanto nel caso in cui gli stessi abbiano adottato un particolare regime, cioè il regime del
consolidato fiscale,che si configura come un regime che consente di determinare unitariamente,ai fini fiscali,il reddito del gruppo.
→ gruppo europeo di interesse economico:non vi sarebbero discordanze e vi sarebbe soggettività sia ai fini del diritto civile che ai fini del diritto tributario.
→ patrimoni destinati ad uno specifico affare ex art. 2447bis c.c.: secondo l'orientamento prevalente, non vi sarebbe soggettività ,né ai fini civilistici, né ai fini tributari, in quanto non vi
sarebbe ,essenzialmente, autonomia organizzativa, trattandosi di patrimoni vincolati ad uno specifico affare,senza autonomo potere decisionale.
PRESUPPOSTO Il responsabile d'imposta è tenuto al versamento del tributo pur non avendo Il sostituto d'imposta è tenuto al versamento del tributo pur non avendo realizzato il
realizzato il presupposto. Egli è tenuto al versamento del tributo in ragione della presupposto.
particolare posizione ricoperta e dunque per finalità di semplificazione dell'attività Sebbene il presupposto sia riconducibile ad altri soggetti,il sostituto d'imposta è
accertativa e di riscossione da parte del fisco e per rafforzamento delle garanzie obbligato al versamento del tributo al posto dei soggetti sostituiti proprio in virtù del
patrimoniali a favore del fisco medesimo. rapporto civilistico intercorrente con questi (rapporto principale),sicchè,se non vi fosse
tale la sussistenza di tale rapporto civilistico tra le parti,non sussisterebbe l'obbligo
posto a carico del sostituto d'imposta. Tale figura è sempre da ricondurre a finalità di
semplificazione dell'attività accertativa e di riscossione da parte del fisco,nonchè ad
un rafforzamento delle garanzie patrimoniali a favore del fisco medesimo.
COOBBLIGAZIONE SOLIDALE Il responsabile d'imposta è coobbligato solidale con i soggetti che abbiano realizzato Il sostituto d'imposta non è coobbligato solidale con i soggetti sostituiti che abbiano
CON I SOGGETTI CHE HANNO il presupposto del tributo,come emerge dalla stessa lettera dell'art. 64 comma 3 del realizzato il presupposto. Difatti,dalla lettera dell'art. 64 comma 1 c.c., emerge che il
REALIZZATO IL PRESUPPOSTO d.p.r. 600/1973,che definisce il responsabile d'imposta come colui che è “obbligato al sostituto d'imposta è “obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri” e dunque
pagamento dell'imposta insieme con altri”. egli risulta come unico soggetto obbligato nei confronti dell'amministrazione finanziaria
Ciò comporta che l'amministrazione finanziaria,qualora il responsabile d'imposta non al versamento del tributo.
abbia versato il tributo,potrà agire nei confronti dei soggetti che abbiano realizzato il Si ha però un'eccezione nel caso disciplinato dall'art. 35 del d.p.r. 602/1973: qualora il
presupposto,coobbligati solidali del responsabile d'imposta. sostituto d'imposta sia chiamato ad effettuare una ritenuta a titolo di imposta (che
esaurisca la pretesa erariale),ma non operi la ritenuta e non la versi all'erario,il
soggetto sostituito sarà considerato coobbligato solidale con il sostituto d'imposta,così
come sancito da S.S.U.U. 10378/2019.
RIVALSA La rivalsa ,per il sostituto d'imposta,si configura come un diritto,dal momento che per La rivalsa,per il sostituto d'imposta,si configura come un obbligo,da attuarsi mediante
il fisco sarà sempre possibile rivolgersi,qualora egli non provveda al versamento del l'effettuazione di ritenute. Tale configurazione come obbligo discende dal fatto che in
tributo,ai soggetti coobbligati solidali che abbiano realizzato il presupposto. questo caso il sostituto è l'unico soggetto passivo su cui incombe il conseguente
Va altresì osservato che il responsabile d'imposta ha diritto di rivalsa per l'intero,non dovere di versare il tributo.
avendo egli concorso alla realizzazione del presupposto riconducibile alla debenza La rivalsa può essere operata o a titolo d'imposta,ossia trattenendo dal compenso del
del tributo. sostituito la somma necessaria ad esaurire la pretesa erariale,oppure ,nella maggior
parte dei casi,a titolo di acconto,ossia trattenendo dal compenso del sostituito una
somma che costituisce un mero acconto del prelievo,con conseguente obbligo per il
sostituito di effettuare successivamente un conguaglio.
B) ATTIVITA' DECISORIA:
2) ATTIVITA' DI
ATTUAZIONE DEI TRIBUTI ACCERTAMENTO
Sub a)metodi di accertamento
Sub b) formazione e tipologie degli atti di accertamento
3)ATTIVITA' DI RISCOSSIONE
C) ATTIVITA' INTEGRATIVA DELL'EFFICACIA:
Notifica dell'avviso di accertamento al contribuente
DICHIARAZIONI E CONTRIBUENTI Viene operata su tutte le dichiarazioni dei redditi,nonchè su tutte le Si rivolge alle dichiarazioni dei redditi ed alle dichiarazioni dei sostituti d'imposta.
COINVOLTI dichiarazioni IVA. Essa quindi si ha per tutti i contribuenti. Si ha successivamente rispetto alla liquidazione automatica della dichiarazione e i contribuenti
coinvolti sono preventivamente individuati mediante criteri selettivi enunciati dal MEF e dalle linee
guida degli uffici dell'amministrazione finanziaria.
DATI CONFRONTATI Nella liquidazione automatica vengono raffrontati i dati interni alla Nel controllo formale della dichiarazione,si ha un raffronto tra i dati della dichiarazione ed i dati forniti
dichiarazione stessa,nonchè i dati della dichiarazione con i dati da terzi,quali intermediari bancari,assicurativi ed enti previdenziali,nonchè con altri dati in possesso
rilevati all'interno dell'Anagrafe tributaria,quindi ,in ogni caso,dati del contribuente che non siano stati allegati alla dichiarazione.
tutti già in possesso dell'amministrazione finanziaria. L'amministrazione finanziaria non può,in questo caso,richiedere al contribuente dati che siano già a
sua disposizione,giacchè tale richiesta verrebbe considerata come inefficace,senza creare preclusioni
o sanzioni di sorta a carico del contribuente
TERMINI La liquidazione automatica deve essere svolta entro l'inizio del Il controllo automatico della dichiarazione deve essere svolto dall'amministrazione finanziaria entro il
periodo di presentazione delle dichiarazioni dell'anno successivo. 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione. Si tratta di un
Si tratta di un termine ordinatorio,non previsto a pena di nullità termine ordinatorio,non previsto a pena di nullità.
AVVISO BONARIO Avviso bonario necessario prima della notifica della cartella di Avviso bonario necessario prima della notifica della cartella di pagamento,altrimenti questa sarebbe
pagamento,altrimenti questa sarebbe nulla. Ciò sempre che la nulla.Ciò sempre che la contestazione riguardi aspetti poco chiari della dichiarazione e non ritardato o
contestazione riguardi aspetti poco chiari della dichiarazione e non omesso versamento.
ritardato o omesso versamento.
E' bene osservare che ,nell'ambito del codice civile,la distinzione è solamente tra presunzioni legali e presunzioni semplici,che si configurano di per sé come qualificate,stante che l'art. 2729 c.c.
Dispone che le presunzioni rimesse alla prudente valutazione del giudice debbano necessariamente essere gravi,precise e concordanti. La categoria delle presunzioni semplicissime,o non
qualificate, è frutto di elaborazione giurisprudenziale e dottrinale.
-ACCERTAMENTO ANALITICO:
L'accertamento analitico del reddito delle persone fisiche mira a ricostruire l'imponibile considerandone le singole componenti e ,per la precisione,esso viene effettuato quando sono note
le fonti dei redditi e si perviene al reddito complessivo sommando i redditi delle singole fonti e categorie.
Detta in altre parole,a norma dell'art. 38 commi 1,2,3, del d.p.r. 600/1973,attraverso il metodo dell'accertamento analitico, viene ricostruito il reddito complessivo dei contribuenti non
obbligati alla tenuta delle scritture contabili sommando i redditi delle singole fonti e categorie; tale metodo di accertamento deve essere pertanto motivato con “riferimento analitico ai
redditi delle varie categorie”.
Dunque,attraverso il metodo di accertamento analitico,si mira ad accertare l'importo eventualmente evaso ricostruendo direttamente una o più componenti reddituali (singoli voci di
ricavi,compensi ,costi,oppure una serie di ricavi,compensi o costi) e solo indirettamente il reddito complessivo,che sarà aumentato degli importi analiticamente scoperti.
È bene sottolineare che con tale metodo,l'ufficio può pervenire all'accertamento di un maggior reddito sia mediante prove documentali,ossia mediante il raffronto tra i dati contenuti nelle
dichiarazioni e i documenti acquisiti nel corso dell'attività istruttoria,sia mediante presunzioni,che possono in questo caso essere legali(es. Movimentazioni bancarie),oppure semplici.
-ACCERTAMENTO SINTETICO:
Il metodo di accertamento sintetico ,disciplinato dall'art. 38 comma 4 del d.p.r. 600/1973,permette di determinare il reddito del contribuente(non soggetto all'obbligo di tenuta delle scritture
contabili) sinteticamente,cioè desumendolo dalle spese sostenute dal contribuente. Attraverso il metodo di accertamento sintetico,l'amministrazione finanziaria procede dunque a
ricostruire il reddito complessivo del contribuente sulla base delle spese sostenute,prescindendo da qualsivoglia determinazione analitica del reddito stesso (come invece accade
ricorrendo al metodo analitico,in base al quale il reddito complessivo viene calcolato sommando i redditi appartenenti a specifiche categorie)
L'accertamento sintetico ha dunque come base “le spese di qualsiasi genere sostenute dal contribuente nel periodo d'imposta”,per tali intendendosi le spese per consumi ed
investimenti,nonchè la cd. Quota risparmio. Se la somma delle spese è superiore al reddito netto dichiarato dal contribuente,si presume che la differenza sia reddito imponibile non
dichiarato.
Fondamentalmente,attraverso questo metodo di accertamento,si presume che l'acquisto o il mantenimento di beni particolari(ad esempio imbarcazioni,auto di lusso,possesso di
cavalli,iscrizione a scuole e circoli esclusivi,acquisto di opere d'arte,etc) implichi che si sia in possesso di un reddito tale da fronteggiare le spese comportate dalla natura di tali beni e si
presume che il maggior reddito complessivo desunto dalla ricostruzione delle spese sia reddito di capitale non dichiarato (due presunzioni).
Dato il suo forte carattere presuntivo,il metodo di accertamento sintetico non è ammesso per qualsivoglia scostamento tra il reddito dichiarato ed il reddito accertabile,ma soltanto nei
casi in cui il reddito accertabile si discosti di almeno 1/5 dal reddito netto dichiarato (ad esempio,reddito dichiarato 100,si può procedere all'accertamento sintetico qualora il reddito accertabile sia
almeno 121,ossia 100 + 1/5 di 100,ossia 20).
Nello specifico,possiamo osservare che il metodo di accertamento sintetico,a norma dell'art. 38,commi 4 e ss , d.p.r. 600/1973,così come modificato dal d.l. 78/2010:
→ può fondarsi sulla base di spese di qualsiasi genere,sostenute nel periodo d'imposta considerato,quindi,sia sulla totalità delle spese sostenute dal contribuente e dal suo
nucleo familiare,sia sulle singole spese di acquisto (per particolari beni considerati come non essenziali),sia sulle singole spese di mantenimento (spese necessarie per mantenere
determinati beni posseduti),sia sulle singole spese di investimento(per gli incrementi patrimoniali,occorre verificare l'ammontare speso in un dato periodo d'imposta,meno la somma
presa a mutuo,la quota risparmio presuntivamente accantonata negli anni precedenti all'investimento,i disinvestimenti dello stesso anno e dei 4 anni precedenti)
→ può fondarsi sul cd. Redditometro: in questo caso l'accertamento sintetico può essere definito come accertamento sintetico sulla base del contenuto induttivo di elementi
indicativi di capacità contributiva. Il redditometro,fondamentalmente,è uno strumento che va ad elencare elementi indicativi di capacità contributiva individuati mediante l'analisi di
campioni significativi di contribuenti,differenziati in funzione del nucleo familiare e dell'area territoriale di appartenenza. Il redditometro è contenuto in un decreto del Ministero dell'Economia
e delle Finanze,che deve essere aggiornato con periodicità biennale ed in tale decreto è allegata una tabella che elenca le spese per consumi ed investimenti da prendere in
considerazione,ivi ricomprendendovi le spese sostenute per bisogni ordinari,le spese sostenute per ragioni voluttuarie e le spese sostenute per l'acquisto di beni durevoli.
Dunque,mediante l'accertamento sintetico attraverso il redditometro,l'ufficio procede a quantificare le spese del contribuente , e dunque ad accertare il suo reddito
complessivo,tenendo conto del raffronto tra le spese sostenute dal contribuente da sottoporre a controllo e dal suo nucleo familiare e le spese medie sostenute da
determinati campioni di contribuenti( non a caso,si parla in merito di accertamento standardizzato).
Per quanto riguarda poi il profilo procedimentale,possiamo dire che,nel caso di accertamento sintetico,l'amministrazione finanziaria ha l'onere:
→ ex art. 38 comma 7 , d.p.r. 600/1973 , di invitare il contribuente ad un contraddittorio endoprocedimentale prima dell'emissione dell'avviso di accertamento: con ciò si intende
che grava sull'amministrazione finanziaria l'obbligo di invitare il contribuente a comparire di persona,o per mezzo di rappresentanti, per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento
→ ex art. 5 d.lgs. 218/1997,di attivare sempre il procedimento di accertamento con adesione
→ indicare ,nell'avviso di accertamento successivamente emesso,nonchè provare in giudizio,i fatti su cui si basa la presunzione di un reddito non dichiarato
→ di motivare l'avviso di accertamento successivamente emesso indicando altresì le ragioni per cui non sono state accolte le deduzioni con le quali il contribuente abbia
giustificato il maggior reddito.
I problemi principali dell'utilizzo del metodo di accertamento sintetico attengono al profilo della difesa del contribuente,dal momento che,per lungo tempo,la giurisprudenza e le circolari
ministeriali hanno ritenuto le presunzioni ex art. 38 d.p.r. 600/1973 quali presunzioni legali,anche nel caso di specie del redditometro,con la conseguenza che il fisco non avrebbe avuto l'onere di
provarle. Fortunatamente,nel tempo si è giunti alla soluzione per cui le presunzioni operate dall'amministrazione finanziaria nel caso di accertamento sintetico,anche mediante redditometro,
si configurano come presunzioni semplici, rimesse alla valutazione,ai fini probatori,del giudice ( difatti anche nel caso del redditometro,il decreto ministeriale che lo contiene racchiude un
regolamento,che può essere annullato dal giudice amministrativo o disapplicato dal giudice tributario),sicchè l'amministrazione finanziaria dovrà dimostrare volta per volta tali presunzioni,già con
l'emissione dell'atto di accertamento a seguito del contraddittorio endoprocedimentale.
Il contribuente potrà difendersi dimostrando,sia in sede amministrativa che ,eventualmente,nella successiva sede contenziosa, che il finanziamento degli elementi considerati dall'ufficio è
avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d'imposta,oppure con redditi esenti,o con redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ,comunque,con
redditi legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile (es. beni ricevuti per successione o donazione,o liberalità,somme provenienti da disinvestimenti,risarcimenti,vincite,somme prese a
prestito).
Da ultimo,occorre notare che l'art. 44 del d.p.r. 600/1973 disciplina la partecipazione dei Comuni all'attività di accertamento con metodo sintetico nei riguardi delle persone fisiche: quando
sia stata stipulata una convenzione in tal senso tra i Comuni e l'Agenzia delle Entrate,quest'ultima,prima di emettere un avviso di accertamento , mette a disposizione dei comuni
convenzionati le dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche sottoposte a controllo ,lasciando ai Comuni dunque 30 giorni di tempo per rispondere,comunicando dati,notizie ed elementi
di prova ,sulla base dei quali sia possibile desumere un maggior reddito del contribuente assoggettato a verifica. Questa partecipazione dei Comuni sovente è utile ,poiché ,evidentemente, gli
stessi possono essere più vicini alle fonti di prova e possono dunque trasmettere informazioni utili all'attività accertativa ,ove in tal senso sollecitati.
-ACCERTAMENTO ANALITICO-CONTABILE:
L'accertamento analitico-contabile dei redditi d'impresa,disciplinato dall'art. 39,comma 1 , d.p.r. 600/1973,nonchè dall'art. 54 del d.p.r. 633/1972 in materia di Imposta sul valore aggiunto,
presuppone che la contabilità del contribuente ,nel suo complesso,sia attendibile. Data l'attendibilità della contabilità del contribuente,l'amministrazione finanziaria,in virtù di tale metodo
di accertamento, dovrà rettificare o determinare singole componenti reddituali proprio sulla base del raffronto tra i dati presentati nella dichiarazione e l'analisi delle scritture
contabili(anche nelle singole poste contabili),unitamente agli altri elementi di prova eventualmente acquisiti nel corso dell'attività istruttoria.
È bene osservare che la rettifica analitico-contabile dei redditi del contribuente(soggetto all'obbligo di tenuta delle scritture contabili),può aversi,a norma dell'art. 39,comma 1, d.p.r.
600/1973,solo ed esclusivamente in tre ipotesi:
a) art. 39,comma 1,lettera A: se gli elementi indicati nella dichiarazione non corrispondono a quelli del bilancio,del conto dei profitti e delle perdite o di altre specifiche
scritture contabili
b)art. 39,comma 1,lettera B: se vi è stata la violazione di una norma del titolo I del Testo Unico delle Imposte sui redditi che abbia comportato una variazione in aumento del
reddito fiscale rispetto all'utile civilistico (cosa che si ha ,ad esempio,quando siano state dedotte quote di ammortamento superiori a quelle ammesse,oppure quando siano stati dedotti
componenti passivi non deducibili)
c)art. 39,comma 1,lettera C: se l'incompletezza,la falsità o l'inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione risulta in modo certo e diretto da altre prove documentali
(oltre alle scritture contabili) eventualmente rinvenute,quali risposte a questionari,esame di atti o documenti del contribuente o di altri soggetti,esami dei conti bancari,etc.
È bene qui osservare che,al pari dell'accertamento analitico relativo ai redditi delle persone fisiche,possono operare delle presunzioni(legali),sebbene la rettifica o la determinazione delle
singole componenti reddituali si basino, sostanzialmente, sull'esame analitico delle scritture contabili tenute dal contribuente.
-ACCERTAMENTO ANALITICO-INDUTTIVO:
L'accertamento analitico-induttivo dei redditi di impresa viene disciplinato dall'art. 39,comma 1,lettera D,d.p.r. 600/1973 e si qualifica per il fatto che l'amministrazione finanziaria possa
determinare o rettificare le componenti reddituali attive e passive del reddito d'impresa,affermando dunque l'esistenza di attività non dichiarate,oppure affermando l'inesistenza di
passività dichiarate,sulla base di presunzioni,purchè queste siano gravi,precise e concordanti.
Dunque,il metodo di accertamento analitico-induttivo si caratterizza per il fatto che:
→ non si prescinde completamente dalla contabilità: vi sono sì violazioni di carattere contabile,ma tali violazioni non sono così gravi,numerose e ripetute da rendere l'intero sistema
contabile inattendibile (es. omesse annotazioni di elementi che invece risultano dalla documentazione acquisita dall'ufficio,oppure annotazione di una componente negativa di reddito non
supportata da idonea documentazione)
→ sono individuate singole attività non dichiarate o singoli costi fittizi
→ la prova dell'esistenza delle attività non dichiarate,così come dei costi fittizi,è fornita dall'ufficio,che ricorre a presunzioni qualificate,ossia presunzioni semplici che,a norma
dell'art. 2729 c.c., abbiano i requisiti della gravità,della precisione e della concordanza
E' bene osservare che,secondo quanto disposto dal d.l. 331/1993, gli accertamenti analitico-induttivi dei redditi d'impresa possono essere fondati anche sull'esistenza di gravi incongruenze
tra i ricavi,i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondamentalmente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta,ossia dagli studi di
settore.
Si ha dunque una particolare tipologia di accertamento analitico-induttivo nel caso di accertamento mediante studi di settore(oggi, mediante INDICI ISA).
Gli studi di settore sono stati introdotti nel nostro ordinamento perché vi era la necessità di differenziare le grandi imprese,aderenti al regime di contabilità ordinaria e necessitate altresì
ad una tenuta sistematica della contabilità,dalle imprese minori e dai lavoratori autonomi,in relazione ai quali non si poteva fare affidamento assoluto sulla contabilità.
Gli studi di settore costituivano un'elaborazione statistica di più variabili,con cui le imprese venivano divise in gruppi omogenei,detti cluster, in base ad una molteplicità di fattori (come i
modelli organizzativi,il tipo di clientela,l'area di mercato,le modalità di svolgimento dell'attività. Ogni contribuente,obbligato alla tenuta delle scritture contabili,appartenente ad una
categoria alla quale si applicavano gli studi di settore,doveva presentare ,insieme con la dichiarazione dei redditi, il modello che comunicava i dati ai fini dello studio di settore.
Dunque,sulla base di tali elaborazioni,veniva individuato l'ammontare presunto dei ricavi e dei compensi,per cui ,qualora si fossero presentate delle gravi incongruenze tra i redditi
dichiarati dal contribuente ed i redditi desumibili ,per le caratteristiche dell'attività svolta,in base agli studi di settore.
Secondo la giurisprudenza,Cass.,S.S.U.U 26635/2009 ,gli studi di settore costituivano un sistema di presunzioni semplici,la cui gravità,precisione e concordanza non era determinata ex
lege,bensì dalla fase necessaria del contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente. Con ciò si vuole intendere che gli studi di settore,per qualificarsi come presunzioni qualificate ai
sensi dell'art. 2729 c.c. E per dar luogo all'emissione di un successivo avviso di accertamento,necessitano di un contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente,che permetta di
individuare se vi sono delle ragioni che confermano i ricavi indicati negli studi di settore o delle ragioni che giustificano i ricavi in misura inferiore. In mancanza del previo contraddittorio
endoprocedimentale,l'avviso di accertamento emanato a seguito di accertamento mediante studi di settore sarebbe stato nullo,da che ne è derivata altresì la previsione in base alla quale
l'avviso di accertamento in relazione agli studi di settore doveva necessariamente essere motivato dall'ufficio esponendo le motivazioni per cui i rilievi del contribuente,destinatario
dell'attività accertativa,erano stati disattesi. Secondo la più recente Cass.trib. 23252/2019,gli studi di settore avrebbero assunto il valore di presunzioni semplici,che si trasformerebbero in
presunzioni legali a seguito del contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente,restando ferma l'ammissibilità di prova contraria da parte del contribuente.
Come abbiamo detto,gli studi di settore sono stati sostanzialmente sostituiti dagli indici ISA,ossia dagli indici sintetici di affidabilità fiscale,introdotti dall'art. 9Bis del d.l. 50/2017,convertito
dalla l. 96/2017. L'ISA è un indice che esprime un giudizio di sintesi,su una scala da 1 a 10, dell'affidabilità fiscale riconosciuta a ciascun imprenditore,sulla base di indicatori elementari
tesi a verificare la normalità e la coerenza della gestione aziendale o professionale.
I dati rilevanti per l'elaborazione degli indici ISA sono tratti in prima istanza dalle dichiarazioni dei contribuenti medesimi e,in secondo luogo,da tutte le altre fonti informative a
disposizione dell'amministrazione finanziaria,quali l'anagrafe tributaria,l'inps,l'ispettorato nazionale del lavoro,la guardia di finanza,etc.
Tali indici si caratterizzano fondamentalmente come uno strumento di compliance tra i contribuenti e l'amministrazione finanziaria e ciò è altresì testimoniato dal fatto che ai contribuenti
che ottengano un punteggio compreso tra 8 e 10 viene riconosciuto un regime premiale ,con i seguenti benefici:
1)esonero dall'apposizione del visto di conformità per la compensazione di crediti iva non superiori a 50000 euro annui e per la compensazione di crediti relativi all'irap e alle imposte dirette
non superiori a 20000 euro annui
2)esonero dall'apposizione del visto di conformità,oppure dalla prestazione della garanzia,per i rimborsi iva fino a 50000 euro annui
3)esclusione dalla disciplina delle società di comodo ex art. 30 l. 724/1994
4)esclusione degli accertamenti basati sulle presunzioni semplici
5)anticipazione di almeno un anno,con graduazione in funzione del livello di affidabilità, dei termini di decadenza per l'attività di accertamento delle imposte dirette e dell'IVA
6)esclusione dalla determinazione sintetica del reddito complessivo di cui all'art. 38 d.p.r. 600/1973,a condizione che il reddito complessivo accertabile non acceda di due terzi il reddito
dichiarato.
In merito agli indici ISA occorre soffermarci sul fatto che gli stessi non costituirebbero uno strumento di accertamento diretto in sostituzione dei precedenti studi di settore,con ciò
intendendo che gli stessi si configurano in primo luogo come strumenti di compliance,volti a premiare i contribuenti più virtuosi e solo in seconda battuta quali strumenti di
accertamento,dal momento che la grande platea di contribuenti che non hanno ottenuto valori alti renderebbe impossibile far scattare un così elevato numero di avvisi di accertamento.
Secondo anche quanto disposto dalla circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 17/E del 2019,sarebbe più corretto definire gli indici ISA come uno strumento di selezione fiscale,ossia come
uno strumento atto ad individuare le posizioni più a rischio per la successiva fase dei controlli,con ciò intendendo che ,una volta individuate le posizioni più a rischio di evasione fiscale,eventuali
rettifiche o determinazioni della maggior imposta dovuta implicheranno necessariamente un'ulteriore attività,che richiede l'utilizzo dei tradizionali mezzi di accertamento.
-ACCERTAMENTO INDUTTIVO-EXTRACONTABILE:
Il metodo di accertamento induttivo-extracontabile del reddito d'impresa,disciplinato dall'art. 39,comma 2 del d.p.r. 600/1973,si configura come un metodo di accertamento che:
→ prescinde ,in tutto o in parte ,dalle scritture contabili del contribuente,in quanto ritenute prive della sistematicità propria di una contabilità affidabile,per cui presuppone una contabilità
inattendibile(ad esempio,in presenza di un valore di cassa negativo)
→ permette all'ufficio di determinare il reddito del contribuente utilizzando i dati e le notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza degli uffici,nonchè presunzioni non necessariamente
gravi,precise e concordanti (ossia presunzioni non qualificate o semplicissime).
È bene osservare che ,a norma dell'art. 39,comma 2 ,d.p.r. 600/1973,il metodo induttivo-extracontabile PUÒ essere utilizzato solo ed esclusivamente in 4 casi tassativi:
1)quando il reddito d'impresa non è stato indicato nella dichiarazione
2)quando,a seguito di ispezione,risulti dal verbale di ispezione che il contribuente non ha tenuto,o ha sottratto all'ispezione,una o più scritture contabili prescritte ai fini fiscali,nonchè nel
caso in cui le scritture contabili non siano disponibili per cause di forza maggiore
3)quando le omissioni e le false,o inesatte, indicazioni accertate mediante verbale di ispezione,o le irregolarità formali delle scritture contabili sono così gravi,numerose e ripetute da
rendere nel complesso inattendibili le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica
4)quando il contribuente non ha dato seguito all'invito a trasmettere o esibire atti o documenti e non ha risposto al questionario
Possiamo evidenziare che il metodo di accertamento induttivo-extracontabile può distinguersi in due fasi:
→ giudizio di complessiva inattendibilità della contabilità: si concreta nel giudizio sui presupposti che legittimano la stessa adozione del metodo induttivo . È bene sottolineare che l'ufficio
può ritenere la contabilità inattendibile solo in base a prove circostanziate circa le irregolarità contabili,senza potersi servire di dati astratti,come,ad esempio,la redditività media del settore,i
dati statistici circa i ricavi,etc.
→ giudizio di stima del reddito: il reddito d'impresa viene determinato complessivamente,prescindendo in tutto o in parte dalla contabilità,avvalendosi di dati ed elementi comunque
raccolti(dati raccolti in sede di indagini non riguardanti il contribuente) dall'ufficio e di presunzioni non assistite dai requisiti di gravità,precisione e concordanza. La ricostruzione del
reddito acquisisce qui la caratteristica di stima,poichè la prova del fatto è ancorata,piuttosto che al principio di capacità contributiva,alla rappresentazione del reddito mediante un esame
comparativo della redditività dell'impresa in condizioni di normalità di mercato
Da ultimo,va osservato che le presunzioni ,eventualmente semplicissime,sulla cui base l'ufficio ha ricostruito il reddito d'impresa,devono essere adeguatamente motivate nell'avviso di accertamento
successivamente emesso,sicchè ricadrà poi sul contribuente l'onere di provare l'insussistenza di tali presunzioni.
ACCERTAMENTO ANALITICO
-mediante prove documentali
inerenti alla dichiarazione
-mediante presunzioni legali
(es. movimentazioni bancarie)
SOGGETTI NON AVENTI OBBLIGO DI e solo riduttivamente mediante
TENUTA DELLE SCRITTURE presunzioni qualificate
CONTABILI
Per spese di acquisto di beni
ACCERTAMENTO ANALITICO-CONTABILE
-AVVISO DI ACCERTAMENTO:
Con avviso di accertamento si intende far riferimento a quell'atto autoritativo mediante il quale l'amministrazione finanziaria manifesta formalmente la pretesa tributaria al contribuente,a
seguito di un'attività di controllo sostanziale. Per riprendere la definizione di Fantozzi,possiamo dire che l'avviso di accertamento si sostanzia in un atto autoritativo di individuazione del
presupposto e,conseguentemente,di determinazione dell'imponibile e ,eventualmente,dell'imposta,nonchè di altri elementi essenziali del presupposto stesso.
Da un punto di vista storico,occorre osservare che il termine avviso di accertamento comparve per la prima volta all'interno della L.1830/1964,ossia nella legge istitutiva dell'imposta di
ricchezza mobile,nella quale i termini atto di accertamento ed avviso di accertamento indicavano due atti distinti,ossia,rispettivamente,un atto collettivo di accertamento dei redditi (tabella) e un
avviso di tale accertamento ai contribuenti. Il dualismo dei termini è caduto da tempo,per cui,attualmente,parlare di atto di accertamento o di avviso di accertamento,significa comunque far
riferimento a quell'atto che viene emesso dall'amministrazione finanziaria al termine della procedura di accertamento delle maggiori imposte dovute dal contribuente.
Quanto alla natura dell'avviso di accertamento,possiamo affermare sinteticamente che esso è un provvedimento amministrativo vincolato,che determina autoritativamente l'obbligazione
tributaria. Nel dettaglio:
→ esso è un provvedimento amministrativo,indi per cui è sottoposto alla L. 241/1990,ossia alla legge sul procedimento amministrativo
→ esso costituisce un atto vincolato dell'amministrazione finanziaria: l'avviso di accertamento costituisce espressione del carattere di vincolatezza dell'azione dell'amministrazione
finanziaria,dal momento che,una volta operata (“discrezionalmente”) la scelta di quali soggetti sottoporre a controllo, l'Amministrazione finanziaria non ha discrezionalità alcuna né in merito
ai metodi di accertamento da adottare,nè in merito all'an ed al contenuto del provvedimento da emanare. Tale carattere di vincolatezza
→ esso è un atto che determina autoritativamente l'obbligazione tributaria: l'avviso di accertamento viene anche detto atto di imposizione per indicare che ,attraverso di
esso,l'amministrazione finanziaria “impone” al contribuente il debito tributario. Con ciò si intende dire che l'avviso di accertamento si pone essenzialmente come atto autoritativo,ossia che
viene emanato nell'esercizio di un potere autoritativo ,il quale consiste nell'imposizione unilaterale di effetti giuridici. Dal momento che l'art. 23 Cost. Sancisce che le leggi tributarie
debbano necessariamente disciplinare i presupposti,la misura ed i soggetti passivi dell'obbligazione tributaria, ne discende che ,qualora il contribuente non abbia rispettato le
norme tributarie,o omettendo di presentare la dichiarazione,o dichiarando meno di quanto dovuto,sarà l'avviso di accertamento,in esecuzione della legge, a determinare il
debito d'imposta e quindi i contenuti dell'obbligazione tributaria.
→ esso non costituisce comunque un atto necessitato: definendo l'avviso di accertamento come un atto non necessitato,si intende far riferimento alla circostanza che non
necessariamente,non sempre , l'attività di verifica del comportamento del contribuente conduce poi alla notifica di un atto di accertamento. Possiamo in merito fare degli esempi. In primo
luogo,se ,a seguito dell'accesso,ispezione e verifica,viene ad esempio redatto e notificato un processo verbale di constatazione nel quale non si hanno contestazioni di carattere
sostanziale,ma ,al limite,di carattere meramente formale meramente formale,oppure non si hanno contestazioni,l'ufficio non procederà alla notifica dell'avviso di accertamento. La stessa
cosa avviene nel caso in cui le circostanze di fatto segnalate vengono contestate dalla guardia di finanza nel suo processo verbale di constatazione,con ciò intendendo che,nel caso in cui
la guardia di finanza svolga un'attività di verifica nei confronti del contribuente e presenti allo stesso delle contestazioni nel suo processo verbale di constatazione,può accadere che le
conclusioni del processo verbale di constatazione della GdF non vengano condivise dall'ufficio competente,per cui quest'ultimo non notificherà alcun avviso di accertamento,che sia in
rettifica o d'ufficio, al contribuente. In altre parole,se al termine dell'attività di verifica la guardia di finanza,nella sua attività di cooperazione con l'amministrazione finanziaria,notifica un
processo verbale di constatazione ma le conclusioni di questo processo verbale di constatazione non vengono condivise dall'ufficio competente,quest'ultimo non notificherà l'avviso di
accertamento in rettifica o d'ufficio al contribuente,non condividendo le conclusioni rassegnate dalla guardia di finanza nel suddetto processo verbale di constatazione.
Da ultimo,occorre sottolineare che l'avviso di accertamento,ai fini dell'imposta sui redditi,trova la sua disciplina normativa negli artt. 42 e ss. Del d.p.r. 600/1973,mentre,ai fini dell'imposta
sul valore aggiunto,negli artt. 51 e ss. Del d.p.r. 633/1972 ed infine,ai fini dell'imposta di registro,negli artt. 52 e ss. Del Testo Unico del registro.
APPROFONDIMENTO - COVID-19: AI TERMINI DI DECADENZA PER GLI AVVISI DI ACCERTAMENTO PER GLI ANNI 2014 E 2015
La data di notifica dell’invito al contraddittorio, obbligatorio per gli avvisi di accertamento emessi dal 1° luglio 2020, potrebbe determinare la non applicazione della proroga della notifica degli
accertamenti relativi al periodo d’imposta 2015 (o 2014 per omessa dichiarazione), prevista dall’art. 157 del Decreto Rilancio.
Il Decreto Legge n. 34/2020, recante “Misure urgenti in materia di salute, Sostegno al lavoro e all’economia, nonchè di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, (c.d. Decreto
“Rilancio”), tra le numerose previsioni atte a fronteggiare l’emergenza sanitaria Covid-19 ha disposto anche specifiche misure che impattano sulla sospensione dei termini relativi all’attività degli
uffici degli enti impositori.
Più specificamente, in tema di disposizioni inerenti l’attività degli uffici dell’amministrazione finanziaria, in relazione alla proroga dei termini della notifica degli avvisi di accertamento, l’ art. 157, primo comma, ha
testualmente stabilito che :
“In deroga a quanto previsto dall’art. 3 della Legge 27 luglio 2000, n. 212, gli atti di accertamento, di contestazione, di irrogazione delle sanzioni, di recupero dei crediti d’imposta, di liquidazione e di
rettifica in liquidazione, per i quali i termini di decadenza, senza tener conto del periodo di sospensione di cui all’articolo 67, comma 1, del Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con
modificazioni, dalla Legge n. 24 aprile 2020, n. 27, scadono tra l’08 marzo 2020 ed il 31 dicembre 2020, sono emessi entro il 31 dicembre 2020 e sono notificati nel periodo compreso tra il 1° gennaio e il
31 dicembre 2021, salvo casi di indifferibilità e urgenza, o al fine del perfezionamento degli adempimenti fiscali che richiedono il contestuale versamento dei tributi”.
Orbene, da un’analisi della norma in esame, emerge che la disposta “scissione” tra la data di emissione e la data di notifica dell’atto, determinerà non poche problematiche alla luce del fatto che si
creeranno inevitabilmente due termini di decadenza solo per gli anni 2014 e 2015:
•uno per l’emissione dell’atto entro il 31/12/2020, con la conseguente difficoltà per il contribuente di verificare la data, nonostante il generico riferimento del quinto comma del citato art.
157;
•e uno per la notifica al contribuente dall’01 gennaio al 31 dicembre 2021, salvo specifiche urgenze.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, in considerazione delle difficoltà connesse all’emergenza COVID-19, la suddetta disposizione ha la finalità di consentire una distribuzione della notifica degli atti da
essa indicati da parte degli uffici in un più ampio lasso di tempo rispetto agli ordinari termini di decadenza dell’azione accertatrice; di fatto, però, da tale disposizione discende solo un maggior
trattamento di favore nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, che così facendo beneficerà di un maggior lasso temporale entro cui provvedere alla notifica degli avvisi di accertamento per gli anni
2014 e 2015.
Tanto premesso, si ritiene necessario osservare che il citato art. 157 deve essere coordinato ed interpretato con la lettura degli artt. 5 (comma 3 bis) e 5- ter del D.Lgs. n. 218 del 19 giugno 1997, con cui è
stata introdotta l’obbligatorietà dell’invito al contraddittorio. Più nel dettaglio:
•l’art. 5-ter cit., rubricato “Invito al contraddittorio”, prevede che per gli avvisi di accertamento emessi dal 1° luglio 2020 l’Ufficio, prima di emettere tale atto impositivo, deve notificare un invito a
comparire per l’avvio del procedimento di definizione dello stesso, salvo eccezioni. Si precisa che l’art. 5-ter cit. è stato inserito dall’art. 4 octies, comma 1, lett. b), D.L. 30.04.2019, n. 34, così come
inserito dall’allegato alla legge di conversione, L. 28.06.2019, n. 58, con decorrenza dal 30.06.2019 ed applicazione agli avvisi di accertamento emessi dal 1° luglio 2020;
•l’art. 5, comma 3-bis, rubricato “Avvio del procedimento”, dispone testualmente che: “Qualora tra la data di comparizione, di cui al comma 1, lett. b), e quella di decadenza dell’amministrazione dal
potere di notificazione dell’atto impositivo intercorrono meno di novanta giorni, il termine di decadenza per la notificazione dell’atto impositivo è automaticamente prorogato di centoventi giorni, in deroga
al termine ordinario”. Il presente comma è stato aggiunto dall’art. 4-octies, comma 1, lett. a), D.L. 30/04/2019 n. 34, così come inserito dall’allegato alla Legge di conversione, Legge n. 58 del
28/06/2019, con decorrenza dal 30/06/2019 ed applicazione agli avvisi di accertamento emessi dal 1° luglio 2020.
Da tanto discende che, in base alla suddetta normativa, laddove l’Agenzia delle Entrate inviti il contribuente al contraddittorio in un termine inferiore a 90 giorni rispetto al naturale termine di
decadenza, questo stesso termine automaticamente si prorogherà di 120 giorni.
Pertanto, in termini esemplificativi, se l’Agenzia delle Entrate dovesse invitare il contribuente al contraddittorio in data lunedì 05 ottobre 2020 (solo 88 giorni sino al 31/12/2020) , il termine di decadenza
per l’anno 2015 (o per l’anno 2014 in caso di omessa dichiarazione), ai sensi dell’art. 43 DPR n. 600/1973 (prima delle modifiche apportate dalla Legge di stabilità 2016), automaticamente slitterà al 30 aprile
2021 e, quindi, non si potrà più applicare il nuovo termine di decadenza del citato art. 157, in quanto lo spostamento automatico andrà ben oltre la decadenza compresa tra l’08 marzo 2020 ed il 31
dicembre 2020.
Bisogna tener conto che il mancato invito al contraddittorio può determinare l’invalidità dell’avviso di accertamento (art. 5-ter, comma 5, citato).
Pertanto, per gli avvisi di accertamento per gli anni 2014 e 2015, secondo me, è stata inutile la precisazione dell’art. 157, primo comma, cit, che per il calcolo della decadenza prevede che non si deve più tener conto
degli 85 giorni di sospensione (art. 67, primo comma, D.L. 18/2020), che avrebbero spostato al 2021 il termine di decadenza e, quindi, indirettamente, avrebbero determinato l’inapplicabilità dell’art. 157 più volte
citato.
Viceversa, nonostante la succitata modifica, ciò che è uscito dalla finestra (85 giorni) è rientrato dalla porta (120 giorni) con gli spostamenti suesposti dei termini di decadenza.
In sostanza, l’applicazione della proroga dei termini della notifica degli accertamenti per gli anni 2014 e 2015, disposta dall’art. 157 del decreto Rilancio, dipenderà dalla data di notifica dell’invito al contraddittorio.
In definitiva, con riferimento all’anno d’imposta 2015 (o 2014 per omessa dichiarazione), l’Agenzia delle Entrate per gli avvisi di accertamento che saranno emessi dall’01 luglio 2020:
•se notificherà l’invito al contraddittorio entro venerdì 02 ottobre 2020, potrà beneficiare della nuova decadenza al 31/12/2021 (art. 157 citato);
•se, invece, notificherà l’invito al contraddittorio a far data da lunedì 05 ottobre 2020 in poi, dovrà necessariamente notificare l’avviso di accertamento entro il 30/04/2021 e non il
31/12/2021;
•soltanto se dimostrerà che non era obbligata all’invito al contraddittorio, nei casi tassativamente previsti dall’art. 5-ter cit., potrà beneficiare della nuova decadenza al 31/12/2021.
Tanto chiarito, è bene che i contribuenti tengano conto dei diversi termini di decadenza per eccepire le nullità degli avvisi di accertamento per l’anno 2015 (o 2014 per omessa dichiarazione).
1) Atti che non contengono gli elementi essenziali del provvedimento: Atti che ricadono in tutti gli altri casi espressi dalla legge, non Non sono invalidanti tutte le violazioni delle norme sul procedimento
non è sottoscritto, è intestato a un soggetto inesistente, è notificato ricadenti nei primi due punti dell'articolo 21 septies. o sulla forma degli atti impositivi, ma solo quelle che possono aver
con metodologia da inquadrare come giuridicamente inesistente, è Quando non ricorrono i casi specificati dall'articolo 21 septies il influito sul contenuto dell'atto. Sono atti irregolari quelli che non
totalmente privo di elementi essenziali ovvero motivazione o parte provvedimento non è nullo ma annullabile: nella legge tributaria indicano
dispositiva. troviamo molti casi in cui viene utilizzata la parola “nullità” ma è da a) l'ufficio presso il quale e' possibile ottenere informazioni complete
2) Atti che sono viziati da difetto di attribuzione: atti emessi da un intendersi come “annullabilità” in merito all'atto notificato o comunicato e il responsabile del
ufficio che non ha potestà impositiva in materia di quel tributo procedimento;
b) l'organo o l'autorità' amministrativa presso i quali e' possibile
promuovere un riesame anche nel merito dell'atto in sede di
autotutela;
c) le modalità, il termine, l'organo giurisdizionale o l'autorità'
amministrativa cui e' possibile ricorrere in caso di atti impugnabili.
-EFFETTI ESECUTIVI:
E' bene osservare che,grazie all'art. 29 del D.L. 78/2010,si è avuta una significativa modifica della disciplina dell'avviso di accertamento,attuandosi quella che viene definita come cd.
Concentrazione della riscossione nell'atto di accertamento.
Fondamentalmente,grazie a tale disposizione,gli avvisi di accertamento in materia di imposte sui redditi,in materia di IVA,in materia di IRAP,ivi compresa l'irrogazione delle relative
sanzioni,sono titoli esecutivi,con la conseguenza che gli stessi non devono essere seguiti dall'iscrizione a ruolo e dalla notificazione di una cartella di pagamento,essendo già titoli
sufficienti a far sì che l'Agenzia delle entrate -riscossione possa agire con la procedura di esecuzione forzata(In precedenza,prima dell'entrata in vigore del d.l. 78/2010,l'amministrazione
finanziaria iscriveva il nome del contribuente debitore nel ruolo,che è l'elenco dei debitori nei confronti dell'amministrazione finanziaria,trasmetteva il ruolo,ossia tale elenco,all'agente della
riscossione,dopodiché l'agente della riscossione estraeva dal ruolo il singolo nominativo e notificava una cartella di pagamento ,contenente,per l'appunto, l'indicazione del debito pendente) .
È proprio in virtù di tale natura di titoli esecutivi che si rende necessario che l'avviso di accertamento contenga un'intimazione ad adempiere: tale intimazione ad adempiere si traduce
nell'intimazione,rivolta al contribuente,di adempiere quanto ricalcolato come maggior imposta dovuta entro 60 giorni dalla notifica dell'avviso di accertamento medesimo,con la
precisazione che lo stesso avviso,decorso tale termine senza che vi sia stata impugnazione, diventerà immediatamente esecutivo e ,di conseguenza,un titolo esecutivo. Trascorsi ulteriori
30 giorni,oltre i 60 indicati,il carico viene affidato all'agente della riscossione e può essere utilizzato per procedere alla riscossione ed anche,eventualmente,ad esecuzione forzata.
L'agente della riscossione potrà procedere anche ad esecuzione forzata,senza dover più notificare,come accadeva in precedenza,la cartella di pagamento,ma semplicemente esibendo
l'estratto dell'atto trasmesso.
Possiamo,a titolo esemplificativo,ricostruire l'iter della riscossione a seguito della notifica di un avviso di accertamento esecutivo:
→ al contribuente viene notificato un avviso di accertamento,nel quale è contenuta un'intimazione ad adempiere entro i 60 giorni successivi alla notificazione; tale termine è
allo stesso tempo il termine per proporre ricorso contro l'avviso di accertamento(impugnarlo)
→ entro i 60 giorni dalla notificazione dell'avviso di accertamento,il contribuente è tenuto a versare la maggior imposta dovuta,mentre,nel caso in cui nel frattempo lo stesso
contribuente abbia presentato ricorso,è tenuto soltanto a versare,nel medesimo termine, 1/3 della maggior imposta accertata
→ trascorsi inutilmente i 60 giorni dalla notifica dell'avviso di accertamento senza che il contribuente abbia adempiuto o a versare l'intera maggior imposta accertata o ,in
caso di ricorso, un terzo della maggior imposta accertata, l'atto di accertamento diverrà immediatamente esecutivo e costituirà quindi un titolo esecutivo; una volta trascorso
tale termine verranno calcolati gli interessi di mora(dal giorno della notifica dell'atto),l'aggio per l'agente della riscossione ed il rimborso delle spese di esecuzione,che si
andranno tutti ad aggiungere alla maggior imposta dovuta ed alle sanzioni calcolate all'interno dell'avviso di accertamento
→ trascorsi ulteriori 30 giorni,che ,sommati ai 60 precedenti, portano ad un totale di 90 giorni dalla notificazione dell'avviso di accertamento,il carico viene affidato all'Agente
della riscossione,il quale dovrà informare il contribuente ,a mezzo di raccomandata o di posta elettronica,di aver preso in carico le somme per la riscossione( Quindi
un'evidente funzione di informazione del contribuente,il quale sarà in questo modo edotto dell'imminenza di una procedura esecutiva a suo carico)
→ L'agenzia delle entrate e l'agenzia delle entrate-riscossione cooperano per la riscossione di quanto dovuto,perchè nel momento dell'affidamento del carico all'agente della
riscossione,l'ufficio preposto dell'agenzia delle entrate fornisce all'agenzia delle entrate-riscossione tutti gli elementi utili ai fini del potenziamento dell'azione esecutiva,anche
acquisiti durante la fase di accertamento. Ciò accade in omaggio al superiore principio della doverosità del concorso e dunque della tutela dell'interesse erariale alla riscossione di
quanto necessario al finanziamento della cosa pubblica.
→ prima di procedere all'esecuzione forzata nei confronti del contribuente,è previsto un periodo di cuscinetto,in cui l'esecuzione forzata è sospesa per 6 mesi,ossia 180
giorni,dalla data di affidamento del carico all'Agente di riscossione,pur rimanendo consentite le azioni cautelari e conservative,che costituiscono le normali azioni a tutela del
credito; tale periodo di cuscinetto può venir meno nel caso in cui sussista un fondato pericolo per la riscossione,sicchè l'esecuzione forzata potrà in questo caso aver luogo
prima che siano trascorsi tali 180 giorni,con la precisazione che ,proprio in virtù di tale pericolo per la riscossione,l'agente della riscossione non avrà nemmeno l'obbligo,in
questo,caso, di informare il contribuente riguardo l'affidamento del carico.
→ il periodo di 180 giorni, di sospensione dell'esecuzione forzata ,non si ha nel caso in cui l'atto di accertamento sia divenuto definitivo a seguito di intervenuto giudicato
(ricorso andato male per il contribuente) e nemmeno il caso in cui vi sia stata una decadenza dalla rateazione,ossia quando il contribuente,pur avendo convenuto una
rateazione mediante accertamento con adesione, non abbia provveduto ad adempiere nemmeno secondo la rateazione prestabilita(nel qual caso saranno ,tra l'altro,esecutivi
anche gli atti di rideterminazione del dovuto)
-ACCERTAMENTO INTEGRATIVO:
Ulteriore eccezione al principio della tendenziale unità dell'atto di accertamento,oltre a quella dell'accertamento parziale già esaminata,è rappresentata dall'accertamento integrativo ,o
modificativo,disciplinato dall'ultimo comma dell'art. 43 del d.p.r. 600/1973,che disciplina l'accertamento delle imposte sui redditi .
Si ha accertamento integrativo dunque,a norma dell'art. 43,comma 3 , d.p.r. 600/1973,quando,dopo la notifica di un precedente avviso di accertamento e sempre entro i termini ordinari di
accertamento per quell'anno di imposta,l'amministrazione finanziaria rinvenga dei nuovi elementi ,precedentemente conosciuti e non conoscibili,tali da modificare,nella
sostanza,l'oggettività del presupposto d'imposta precedentemente accertato(ad esempio,nuove componenti di reddito sottratte all'imposizione),sicchè alla stessa è consentito notificare al
contribuente un nuovo atto di accertamento,che integri e sostituisca il precedente.
Si tratta,sostanzialmente,di una rettifica di un precedente avviso di accertamento: da qui il termine “integrativo”
Vi sono dunque dei presupposti affinchè possa aversi accertamento integrativo:
→ deve esservi stata la notifica di un precedente avviso di accertamento valido,relativo al medesimo periodo d'imposta cui si riferisca l'accertamento integrativo
→ non devono essere scaduti i termini ordinari per l'accertamento,ossia i 5 ed i 7 anni previsti nei casi di dichiarazione infedele e di dichiarazione omessa
→ sopravvenienza di nuovi elementi ,rinvenuti in epoca successiva al primo accertamento e tali da modificare,in aumento(altrimenti si avrebbe autotutela), il presupposto
d'imposta precedentemente accertato
→ novità oggettiva di tali elementi sopravvenuti,con ciò intendendo che gli stessi,al contempo,non erano né conosciuti al momento della notifica del primo avviso di
accertamento,nè tantomeno conoscibili dai funzionari accertatori con l'ordinaria diligenza (se la mancata conoscenza deriva da negligenza,l'avviso integrativo sarebbe da
considerarsi nullo)(ad esempio ,può trattarsi dell'acquisizione di un processo verbale di constatazione, redatto nei confronti di un cliente o di un fornitore di un imprenditore soggetto a
verifica,notificato solamente dopo la notifica dell'atto di accertamento,che verrà dunque ad essere integrato in parte dal successivo avviso di accertamento, fondato sul processo verbale di
constatazione redatto e notificato successivamente).
Questi appena elencati costituiscono non soltanto dei presupposti affinchè l'amministrazione finanziaria possa notificare un valido accertamento integrativo,ma costituiscono altresì dei
limiti all'azione dell'amministrazione finanziaria,la quale ,altrimenti,potrebbe eludere facilmente il principio della tendenziale unitarietà dell'avviso di accertamento, ad esempio,utilizzando
l'avviso di accertamento integrativo per sostituire un precedente avviso di accertamento che presentasse dei vizi formali.
Un ulteriore limite,posto a garanzia del contribuente, che concerne il contenuto dell'avviso di accertamento integrativo,è rappresentato dall'obbligo di motivazione rafforzata,o cd.
Motivazione di secondo livello: l'amministrazione finanziaria infatti,all'interno dell'accertamento integrativo, oltre ad indicare i nuovi elementi sopraggiunti,dovrà necessariamente
indicare,a pena di nullità, anche le modalità attraverso cui tali nuovi elementi siano giunti nella sua sfera di conoscenza,ossia gli atti ,i fatti e le situazioni da cui tali nuovi elementi sono
stati desunti. Tale obbligo di motivazione rafforzata ha la finalità di contentire al contribuente di verificare che i nuovi elementi su cui si basa l'accertamento integrativo siano elementi oggettivamente
non conosciuti e non conoscibili ,con l'ordinaria diligenza,da parte dei funzionari procedenti al momento della notifica del primo atto di accertamento,permettendo quindi al contribuente di valutare la
legittimità dell'atto di accertamento integrativo.
3.6.3- ATTI ASSIMILABILI ALL'AVVISO DI ACCERTAMENTO
-AVVISO DI LIQUIDAZIONE:
Nell'accertamento dell imposta di registro, la legge distingue tra determinazione del valore imponibile e determinazione dell'imposta.
Si ha in unico atto la rettifica dell'imponibile e la liquidazione dell'imposta.
Può essere emesso solo un avviso di liquidazione nei casi in cui l'imponibile sia già determinato. La nuova liquidazione di un tributo, dopo una sentenza che riduce l'imponibile, è fatta
mediante avviso di liquidazione.
È un atto impositivo le cui determinazioni hanno valore autoritativo e diventa definitivo se non impugnato. E' altresì un atto della procedura di riscossione.
-ATTO DI RECUPERO:
È emesso quando il contribuente dichiara un credito d imposta che non gli spetta e lo compensa con somme da versare. Con questo atto si accerta l'insussistenza del credito e recupera
le somme non versate.
È un atto impositivo che va motivato e notificato; è titolo esecutivo.
-INGIUNZIONE FISCALE:
L'ingiunzione fiscale era, in passato, un atto che aveva molte funzioni. Dopo la riforma del 1988 l'ingiunzione ha perduto funzioni di titolo esecutivo e di precetto, ma è rimasta comunque
in vita come atto di accertamento per le imposte indirette per le quali la legge non prevede l avviso di accertamento quale atto tipico (tributi doganali e imposte di fabbricazione).
L'ingiunzione continua altresì ad essere un atto della riscossione inerentemente alla riscossione di tributi e altre entrate di spettanza di comuni e provincie ,quando svolta in proprio o
affidata a soggetti terzi diversi dagli agenti del servizio nazionale di riscossione.
3.7- DEFINIZIONI ,CONSENSUALI E NON, DEL RAPPORTO GIURIDICO D'IMPOSTA A SEGUITO DELL'AVVISO DI
ACCERTAMENTO
-DEFINIZIONI DEL RAPPORTO GIURIDICO D'IMPOSTA:
Qualora il contribuente si veda notificato un avviso di accertamento,una volta valutata la fondatezza o meno della pretesa erariale,avrà davanti a sé diverse soluzioni,diverse scelte,tra loro
alternative,quali:
→ tenere un comportamento omissivo: il contribuente non provvederà né a versare l'imposta,nè a richiedere una rateazione,nè ad impugnare l'atto. Ciò darà luogo alla riscossione
coattiva della maggior imposta dovuta,data la natura di titolo esecutivo dell'avviso di accertamento(si vedano gli effetti dell'avviso di accertamento)
→ impugnare l'avviso di accertamento dinanzi alla commissione tributaria provinciale
→ presentare un'istanza di autotutela all'amministrazione finanziaria
→ prestare acquiescenza: si tratta di uno strumento deflattivo,disciplinato dall'art. 15 del d.lgs. 218/1997,in virtù del quale il contribuente accetta gli effetti dell'avviso di
accertamento. Nello specifico,in virtù di quanto disposto dall'art. 15 del d.lgs. 218/1997,se il contribuente rinuncia ad impugnare l'avviso di accertamento e rinuncia anche a
presentare istanza di accertamento con adesione,versando,entro 60 giorni dalla notifica dell'avviso di accertamento, quanto richiesto dall'amministrazione finanziaria, egli
godrà del beneficio della riduzione delle sanzioni irrogate ad 1/3. Visto che normalmente le sanzioni sono irrogate in una misura pari al 90% ed al 180% del debito d'imposta,con la
riduzione delle sanzioni ad un terzo,le sanzioni non saranno più pari al 90% della maggior imposta,ma al 30% della maggior imposta. Si tratta quindi di un considerevole risparmio,in
termini di importi versati a titolo di sanzioni,per il contribuente che decida di prestare acquiescenza a quanto richiesto dall'amministrazione finanziaria, nei termini per impugnare,ossia nei
60 giorni dalla notifica dell'atto di accertamento.
→ definire le sanzioni,pagando un terzo delle sanzioni irrogate, ed impugnare l'avviso di accertamento soltanto nella parte concernente il tributo,nonchè gli interessi
→ aderire ad una proposta di accertamento con adesione eventualmente già formulata dall'amministrazione finanziaria
→ proporre un'istanza di accertamento con adesione
-AUTOTUTELA:
Autotutela sta ad indicare la potestà che ha la pubblica Amministrazione di intervenire, sia d'ufficio che su istanza di parte, al fine di modificare od annullare provvedimenti
precedentemente emessi, consentendo quindi alla stessa Amministrazione di autodifendersi dai propri errori, così da assolvere correttamente i propri compiti istituzionali.
Occorre precisare che, la stessa si configura come potere di annullamento, ma anche di revoca e di rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento fino a comprendere anche il
potere di sospendere gli effetti dell'atto che appaia illegittimo o infondato.
Ebbene, la prima ipotesi ricorre allorquando l'Amministrazione, riscontrando vizi di legittimità dell'atto emanato ovvero l’illegittimità di quest’ultimo derivante da illegittimità del
procedimento o di suoi precedenti atti, lo annulla con efficacia ex tunc; mentre, la seconda ipotesi ricorre allorquando l'Amministrazione, ritenendo mutati i presupposti di fatto o di diritto
su cui si è fondato il provvedimento oggetto di riesame, esercita il potere di revoca, con efficacia ex nunc nel caso in cui l’atto da annullare sia di carattere generale o favorevole al
contribuente e con efficacia ex tunc, invece, se l’atto è sfavorevole al contribuente.
Da ultimo, il potere di rinuncia all’imposizione, invece, viene esercitato in considerazione di criteri di economicità relativi ed assoluti, definiti dal rapporto tra l’esiguità delle pretese
tributarie ed i costi amministrativi connessi alla difesa delle pretese stesse ovvero sulla base del criterio della probabilità della soccombenza e della conseguente condanna al rimborso
delle spese di giudizio. Nello specifico, tali iniziative possono essere adottate dall’Amministrazione indipendentemente dal fatto che gli atti siano divenuti definitivi, sia stato presentato ricorso a suo
tempo respinto per motivi diversi dal merito, vi sia pendenza di giudizio, ovvero non sia stata prodotta alcuna istanza di parte.
Ciò vuol dire, che l'autotutela si manifesta nella possibilità di porre rimedio ad errori commessi (sia di diritto che di fatto) laddove è utile ad evitare che la contestazione sia portata per la
prima volta dal contribuente davanti agli organi del contenzioso tributario, e se attivata mira ad evitare che si protragga.
Ciò detto, gli atti sui quali gli uffici possono esercitare il potere di autotutela, sono in linea di massima, quelli espressamente elencati dall’art. 19, c. 1, del Dlgs 31.12.1992, n. 546, cioè gli
atti accertativi, quelli esecutivi, i dinieghi o i mancati rimborsi contro i quali sarebbe stato ammissibile il ricorso del contribuente in commissione tributaria.
Altresì, per quel che concerne le ipotesi in cui è possibile attivare l’autotutela, bisogna riferirsi a quanto espresso dall’art. 2, c. 1 del D.M. 11.2.1997, n. 37:
• errore di persona;
• evidente errore logico o di calcolo;
• errore sul presupposto dell’imposta;
• doppia imposizione;
• mancata considerazione di pagamenti d’imposta, regolarmente eseguiti;
• mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza;
• sussistenza di requisiti per usufruire di deduzioni o regimi agevolativi, precedentemente negati;
• errore materiale del contribuente facilmente riconoscibile dall’amministrazione.
Va detto però, che non è suscettibile di annullamento o rinuncia all’imposizione l’atto sul quale sia intervenuta una sentenza passata in giudicato a favore dell’amministrazione e per i
motivi addotti dal giudice adito. Attenzione però, il giudicato in rito basato su ragioni processuali ovvero irricevibilità, difetto di giurisdizione, incompetenza, ed inammissibilità ad esempio, non limita l'
autotutela. Pertanto, è necessario che il giudicato abbia per oggetto valutazioni di merito.
Anche qui però, va precisato che per l'esercizio dell'autotutela è possibile tenere conto di motivi di merito diversi da quelli presi in considerazione nella pronuncia della Commissione tributaria favorevoli
all'erario ossia degli stessi motivi dedotti con il ricorso introduttivo ma non esaminati dalla Commissione stessa, giacchè il giudicato sulla decisione di rigetto non si traduce nella dichiarazione
incontrovertibile di legittimità dell'atto impositivo. Ciò significa che, soltanto il giudicato di merito e solo per i motivi decisi con sentenza definitiva rappresenta un limite invalicabile all'esercizio
dell'autotutela. Altresì, altro limite al potere di autotutela, è ravvisabile nel caso di prescrizione del diritto al rimborso.
Ed allora, riassumendo, l’autotutela si potrà sempre proporre:
• quando il giudicato è solo formale (ad esempio, la sentenza ha deciso soltanto sul rito: inammissibilità, improcedibilità, ecc.);
• quando il giudicato è di merito ma parziale (la sentenza ha deciso su più punti, ma alcuni vengono impugnati), per le parti non ancora in giudicato;
• quando se pur il giudicato di merito è totale, l'istanza di autotutela è relativa a motivi di illegittimità del tutto differenti da quelli oggetto della sentenza che, pertanto, sono stati
esaminati e respinti dai giudici.
Peraltro, qualsiasi atto viziato è annullabile senza limiti di tempo, e deve essere annullato anche se il contribuente non ha presentato istanza di annullamento o non ha fatto ricorso; oppure l’atto è
diventato definitivo per il decorso dei termini per ricorrere; ed ancora, il ricorso è respinto con sentenza passata in giudicato per motivi di forma; infine, vi è pendenza di giudizio (sul punto Cass. n.
16897/03 secondo cui in tal caso si verifica un’ipotesi di cessazione della materia del contendere ex art. 46, D. Lgs. 31.12.1992, n. 546).
A questo punto, val la pena rammentare, quali sono le norme con cui si inquadra l’istituto.
L’autotutela, dapprima, è stata disciplinata dall’art. 68, co. 196 del D.P.R. 287/1992, secondo cui: «Salvo che sia intervenuto giudicato, gli uffici dell’amministrazione finanziaria possono procedere
all’annullamento, totale o parziale, dei propri atti riconosciuti illegittimi o infondati con provvedimento motivato, comunicato al destinatario dell’atto».
Di poi, il Legislatore è intervenuto a integrare la disciplina con la legge 656/1994, di conversione del D.L. 564/1994, recante l’art. 2-quater, dal titolo «Autotutela».
Ebbene, in attuazione del citato art. 2-quater, è stato emanato il D.M. 11.2.1997, n. 37, recante disposizioni di natura regolamentare relative all’esercizio dell’autotutela (casi, presupposti, organi
competenti).
Ed infine, l’art. 11, D.Lgs. 24.9.2015, n. 159 è intervenuto sull’art. 2-quater, D.L. 30.9.1994, n. 564, conv. con modif. dalla L. 30.11.1994, n. 656, consentendo di usufruire delle sanzioni ridotte qualora
vi sia annullamento o revoca parziale dell’atto di accertamento, alle medesime condizioni esistenti alla data di notifica dell'atto, purché rinunci al ricorso.
Ed allora esaminiamo, chi è competente ad istruire il procedimento di autotutela e ad emettere il provvedimento finale, laddove l’art. 1 del D.M. n. 37/97 regolamento del ’97, così stabilisce:
<<all’ufficio che ha emanato l’atto illegittimo e che è competente per gli accertamenti d’ufficio ovvero in via sostitutiva, in caso di grave inerzia, alla Direzione regionale o compartimentale dalla quale
l’ufficio stesso dipende>>.
Ciò vuol dire che, il potere di annullamento è conferito alla stessa autorità procedente in primo grado, secondo i principi generali in materia di autotutela amministrativa spontanea, fatta
salva comunque la possibilità per la Direzione regionale (o compartimentale) delle Entrate di sostituirsi all’ufficio in situazioni di grave inerzia. Ed infatti, tale potere sostitutivo si giustifica
in base alla posizione gerarchicamente sovraordinata degli organi direttivi, che consente loro di porre in essere, in presenza di talune circostanze, provvedimenti rientranti nella sfera di
competenza degli uffici sott’ordinati.
Ed ancora, è necessario individuare il c.d. responsabile del procedimento, ovvero “l’unità organizzativa responsabile dell’istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché
dell’adozione del provvedimento finale” (artt. 2 e 4 L. n. 241/90), nell’ambito, poi, della struttura competente ad esercitare il potere di autotutela. Tale figura riveste particolare importanza
nell’ambito dell’attività amministrativa, giacchè ha il compito non solo di seguire e sovrintendere l’intera procedura, di coordinare e curare le attività istruttorie, ma anche di interloquire con i
privati interessati, rappresentando il loro punto di riferimento durante lo svolgimento della stessa. Peraltro, il responsabile del procedimento di autotutela potrà, dunque, subire una condanna al
risarcimento del danno erariale, sia quando lo produca direttamente a carico dell’Amministrazione, sia quando quest’ultima lo subisca indirettamente trovandosi costretta a ristorare il pregiudizio
arrecato al contribuente.
A questo punto, va detto che tra i modi di attivazione dell’autotutela, rientra principalmente, quello di attivazione ad istanza del contribuente di cui all’art. 2, c. 1, L. n. 241/1990 laddove è
sufficiente trasmettere all’Ufficio competente una semplice domanda in carta libera, contenente un’esposizione sintetica dei fatti, corredata dalla documentazione utile a comprovare le
tesi sostenute, l’atto di cui si chiede l’annullamento e i motivi che fanno ritenere tale atto illegittimo e, di conseguenza, annullabile in tutto o in parte. Se l'ufficio non risponde, il
contribuente, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1, c. 1, del DM n. 37/97, può rivolgersi alla competente direzione regionale, che, se ritiene sussista una "grave inerzia" dell'Ufficio, può
sostituirlo nel procedere all'annullamento dell'atto illegittimo.
Attenzione però, la richiesta del contribuente è meramente sollecitatoria, ragion per cui non fa sorgere alcun obbligo per l’Ufficio.
Caso diverso, invece, è quello in cui l’avvio dell’autotutela venga attivata direttamente dall’Ufficio, ovvero senza istanza del contribuente. Le ipotesi, in genere, sono quelle già esposte sopra di
cui all’art. 2, c. 1, del D.M. n. 37/97.
Altra fattispecie ancora, è quella che prevede l’intervento del Garante del contribuente, che, ai sensi e per gli effetti dell’art. 13, c. 6, della L. n. 212/00, può agire sia di propria iniziativa che
sollecitato dallo stesso contribuente.
Orbene, esposti i tratti salienti della disciplina in oggetto, si possono esaminare quelli che sono i dubbi e i contrasti interpretativi giurisprudenziali relativamente a ciò che accade se l’Ufficio non
risponde e se l’Ufficio si pronuncia con un diniego nei confronti dell’istanza presentata dal contribuente.
Ed allora, come detto sopra, secondo l'orientamento prevalente, l'istanza del contribuente non determina, per l’Amministrazione Finanziaria, alcun obbligo giuridico di provvedere e, tanto
meno, di provvedere nel senso prospettato dal contribuente stesso. La richiesta del contribuente, pertanto si torna a ripetere, è meramente sollecitatoria. . Tuttavia, per motivi di opportunità
e di trasparenza, nonché di necessaria correttezza nei confronti dei contribuenti, gli uffici sono stati esortati, anche nelle ipotesi di non accoglimento delle istanze di parte per l'accertata insussistenza
delle ragioni addotte, a comunicare agli interessati l'esito dell'intervenuto riesame dell'atto contestato, enunciando, anche succintamente, i motivi del rigetto.
Sull’argomento, è recentissima la pronuncia della Corte Costituzionale del 13.7.2017, n. 181 che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale avanzate nei confronti degli artt. 2-
quater, co. 1, D.L. 564/1994, conv. con modif. dalla L. 656/1994 e dell’art. 19, co. 1, D.Lgs. 546/1992, rispetto agli artt. 3, 23, 24, 53, 97 e 113 Cost.. In sostanza, in ordine al carattere non doveroso
dell'autotutela tributaria, la ricostruzione della giurisprudenza della Corte di Cassazione è corretta: «Non esiste un dovere dell'amministrazione di pronunciarsi sull'istanza di autotutela e,
mancando tale dovere, il silenzio su di essa non equivale ad inadempimento, né, d'altro canto, il silenzio stesso può essere considerato un diniego, in assenza di una norma specifica che così lo
qualifichi giuridicamente , con la conseguenza che il silenzio dell'amministrazione finanziaria sull'istanza di autotutela non è contestabile davanti ad alcun giudice».
Tale situazione non determina, comunque, un «vuoto di tutela» costituzionalmente illegittimo, come lamentato dal giudice a quo. «L'annullamento d'ufficio non ha funzione giustiziale, costituisce
espressione di amministrazione attiva e comporta di regola valutazioni discrezionali, non esaurendosi il potere dell'autorità che lo adotta unicamente nella verifica della legittimità dell'atto e nel suo
doveroso annullamento se ne riscontra l'illegittimità».
In ogni caso, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, l'autotutela tributaria costituisce un potere esercitabile d'ufficio da parte delle Agenzie fiscali sulla base di valutazioni
largamente discrezionali, e non uno strumento di protezione del contribuente . Il privato può naturalmente sollecitarne l'esercizio, segnalando l'illegittimità degli atti impositivi, ma la
segnalazione non trasforma il procedimento officioso e discrezionale in un procedimento ad istanza di parte da concludere con un provvedimento espresso.
Ciò posto, altro aspetto su cui soffermare l’attenzione, è quello relativo al diniego dell'Amministrazione di procedere all'esercizio del potere di autotutela laddove il senso su cui la Corte sta
ormai orientando in maniera consolidata il suo indirizzo è che, contro il diniego può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per
contestare la fondatezza della pretesa tributaria. Diversamente, attraverso l’impugnazione del diniego di esercizio di autotutela si consentirebbe l'aggiramento del termine di decadenza previsto, a
garanzia del principio di certezza del diritto e di tendenziale stabilità dei rapporti giuridici, per la impugnazione degli atti impositivi, che rimarrebbero quindi esposti a riesame a tempo indeterminato tutte
le volte che il contribuente, pur divenuto definitivo l'avviso di accertamento o rettifica, presenti istanza di revisione in autotutela e ritenga di impugnare il provvedimento espresso o tacito non satisfattivo
del proprio interesse rivolto alla rimozione dell'atto impositivo definitivo.
Ciò posto il contribuente dovrebbe prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto, qualora richieda il ritiro in autotutela di un atto impositivo
divenuto definitivo, non potendo limitarsi a dedurre eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione deve ritenersi definitivamente preclusa, o in alternativa prospettare degli errori di calcolo o di
imposta commessi dall’Ufficio.
Peraltro, la Corte Suprema, con la sentenza 2870/2009, a Sezioni Unite, ha stabilito che: «È inammissibile il ricorso avverso il provvedimento di rigetto, espresso o tacito, dell’istanza di autotutela
promossa dal contribuente volta ad ottenere l’annullamento di un atto impositivo divenuto definitivo (nella specie, per l’intervenuto giudicato formatosi sulla decisione di reiezione del ricorso davanti alla
commissione tributaria provinciale), in conseguenza sia della discrezionalità nell’esercizio del potere di autotutela quanto dell’inammissibilità di un nuovo sindacato giurisdizionale sull’atto di
accertamento munito del carattere di definitività».
Nello stesso senso la Ordinanza, Cass. 10020/2012, secondo cui contro il diniego dell’Amministrazione finanziaria di procedere all’esercizio del potere di autotutela può essere proposta
impugnazione soltanto per dedurre profili di illegittimità del diniego stesso e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria divenuta definitiva.
Di poi, la Corte di Cassazione nella sentenza 20 novembre 2015, n. 23765 laddove la verifica da parte del giudice tributario deve riguardare, ancor prima dell’esistenza dell’obbligazione tributaria, il
corretto esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione, nei limiti e nei modi in cui esso è suscettibile di controllo giurisdizionale.
Da ultimo, interessante, Cass. sentenza n. 7511 del 15.04.2016, che in tema di impugnazione del diniego di autotutela nel processo tributario, ha espresso alcune considerazioni in parte
difformi rispetto al precedente orientamento. Ed allora, da una parte, la Corte richiamava quanto affermato da Cass., Sez. U, n. 3698 del 16/02/2009, secondo cui «in tema di contenzioso tributario,
l'atto con il quale l'Amministrazione manifesti il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, non rientra nella previsione di cui all’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546,
e non è quindi impugnabile, sia per la discrezionalità da cui l'attività di autotutela è connotata in questo caso, sia perché, altrimenti, si darebbe ingresso ad una inammissibile controversia sulla legittimità
di un atto impositivo ormai definitivo». Dall’altra parte, però, altra giurisprudenza, successiva alla sentenza richiamata, ha ritenuto impugnabile l'annullamento parziale, adottato nell'esercizio
del potere di autotutela, di un avviso impositivo già definitivo, trattandosi di un atto contenente la manifestazione di una compiuta e definitiva pretesa tributaria, rispetto a cui, pur se
riduttivo dell'originaria pretesa, non può privarsi il contribuente della possibilità di difesa (Cass., Sez. 5, n. 14243 del 08/07/2015). Tale precedente, secondo la Corte però, non offre argomenti
convincenti, giacchè trattasi nel caso di specie di annullamento parziale, o comunque di provvedimento di autotutela di portata riduttiva rispetto alla pretesa impositiva contenuta negli atti divenuti
definitivi, e che in definitiva non poteva comportare alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui già noto e consolidatosi in ragione della mancata tempestiva
impugnazione del precedente accertamento. In conclusione, per i supremi giudici, soltanto se il nuovo atto fosse stato di portata ampliativa rispetto all'originaria pretesa, sarebbe stato possibile
ammetterne una autonoma impugnabilità. (si veda Cass., sentenza n. 22253 del 30.10.2015).
SCHEMA RIEPILOGATIVO DELL'ACCERTAMENTO CON ADESIONE PRIMA E DOPO LA RIFORMA(IVI RICOMPRESO ITER ACCERTAMENTO
ORDINARIO POST RIFORMA)
PERFEZIONATA: ufficio non puo'
piu' notificare accertamento
ordinario relativo agli stessi
PRIMA DELLA NOTIFICA DI UN PROPOSTA DI redditi di quel periodo
INVITO AL
PRIMA DELLA RIFORMA AVVISO DI ACCERTAMENTO ACCERTAMENTO CON d'imposta,soltanto accertamento
CONTRADDITTORIO
(< 1 LUGLIO 2020) ORDINARIO ADESIONE integrativo ed altri casi minori
ENDOPROCEDIMENTALE
(se il contribuente si
NON PERFEZIONATA:
presenta;altrimenti andare
successiva emissione di
direttamente a adesione non
accertamento ordinario con
AD INIZIATIVA DELL'UFFICIO perfezionata)
motivazione rafforzata e
preclusione per il contribuente
DOPO NOTIFICA DI UN AVVISO di presentare poi istanza di
NON SI HA,NON è accertamento con adesione
DI ACCERTAMENTO
CONVENIENTE PER
ORDINARIO
L'AMMINISTRAZIONE
ADESIONE PERFEZIONATA(con motivazione rafforzata sul primo ADESIONE NON PERFEZIONATA: rimane in essere l'avviso di
accertamento e sulle osservazioni presentate dal contribuente,ivi comprese le accertamento parziale,oppure ordinario senza obbligo di previo
ragioni condivise e quelle non condivise) : ufficio non puo' piu' notificare contraddittorio per pericolo alla riscossione, precedentemente
accertamento ordinario relativo agli stessi redditi,o componenti di reddito, notificato al contribuente; interruzione della sospensione dei termini
accertati di quel periodo d'imposta,soltanto accertamento integrativo ed altri di impugnazione; preclusa la possibilità di presentare poi altra
casi minori; contribuente non può più impugnare avviso di accertamento istanza di accertamento con adesione
precedente
ANTICIPAZIONE
DEL PRELIEVO
SE IL CONTRIBUENTE NON VERSA
SPONTANEAMENTE ,O SE VERSA UN IMPORTO
INESATTO,
ATTO DI ACCERTAMENTO
ESECUTIVO SE IL CONTRIBUENTE NON
RISCOSSIONE MEDIANTE ATTI PROVVEDE A VERSARE RISCOSSIONE mediante
ESECUZIONE
DELL'AMMINISTRAZIONE L'IMPOSTA COATTIVA FORZATA
FINANZIARIA DOVUTA,COMPRENSIVA DI
ISCRIZIONE A RUOLO E SANZIONI,INTERESSI ED
CARTELLA DI AGGIO
PAGAMENTO
-RITENUTA DIRETTA:
La ritenuta diretta è quella ritenuta operata direttamente dalla Pubblica Amministrazione,che assume verso i propri dipendenti il duplice ruolo di datore di lavoro che eroga la
retribuzione e di creditore per le imposte che ne derivano.
Fondamentalmente , si tratta di ritenute simili a quelle cui sono tenuti i sostituti d'imposta,con l'unica differenza che ,in questo caso,le ritenute sono fatte dallo stesso soggetto
che si rivela essere creditore,dal momento che si considerano tutte le amministrazioni pubbliche come articolazioni di un medesimo soggetto,ossia lo Stato. Proprio in ragione
di quanto esposto,ossia della coincidenza tra soggetto erogatore di una prestazione pecuniaria e soggetto destinatario del tributo, tali ritenute vengono definite dirette (mentre
nel caso delle ritenute operate al sostituto d'imposta,vediamo che le somme trattenute dal sostituto debbono essere poi versate all'erario,trattandosi dunque di soggetti
differenti).
La ritenuta diretta viene disciplinata dall'art.37 del d.p.r. 602/1973 e si applica soltanto in ipotesi tassativamente disciplinate dalla legge ed in relazione alle sole imposte sui
redditi. Essa si applica dunque:
→ ai redditi di lavoro dipendente ed ai redditi a questi assimilati
→ ai redditi di lavoro autonomo
→ ad alcune provvigioni
→ ai redditi di capitale
→ ai contributi
→ ai premi ed alle vincite
Occorre osservare che le ritenute dirette,al pari delle ritenute alla fonte operate dal sostituto d'imposta,sono eseguite,a seconda dei casi,a titolo di acconto o a titolo di imposta.
Da ultimo,va detto che una volta che le amministrazioni statali abbiano operato la ritenuta diretta,esse dovranno trasferirne l'importo alla Tesoreria dello Stato,secondo le
norme della contabilità pubblica.
-COMPENSAZIONE:
L'art. 8,co. 1 dello Statuto dei diritti del contribuente,dispone espressamente che l'obbligazione tributaria può essere estinta per compensazione.
Ebbene,come abbiamo detto, i versamenti diretti in acconto,che vengono effettuati nel periodo d'imposta corrente ma sulla base dell'imponibile dichiarato relativamente al precedente
periodo d'imposta(in virtù della presunzione per cui il reddito si riproduce di anno in anno nella medesima misura),possono essere ,cumulativamente, di importo maggiore rispetto a
quanto poi risulti da versare a saldo alla fine del periodo d'imposta corrente (in poche parole,il reddito di quest'anno è diminuito rispetto a quello dell'anno scorso ,per cui mi sono trovato a versare
un'imposta in acconto che alla fine ,al momento della presentazione della dichiarazione annuale,si rivela essere maggiore di quanto avrei dovuto versare).
In questi casi,sempre nei modi e nei limiti espressamente previsti dalla legge,è consentito al contribuente o di chiedere un rimborso al fisco,oppure di operare la compensazione fiscale.
La compensazione fiscale,o tributaria,si sostanzia dunque nella possibilità,per il contribuente,di utilizzare eventuali crediti d'imposta ,risultanti dalle dichiarazioni annuali,per estinguere
debiti della medesima natura ,oppure debiti di carattere contributivo e previdenziale. Essa costituisce dunque un'ulteriore modalità di versamento diretto.
La compensazione deve essere necessariamente distinta in :
→ compensazione verticale: con compensazione verticale si vuole far riferimento ad una compensazione che interessa un unico tributo,per cui ,qualora relativamente a tale tributo
risultasse un credito d'imposta dalle dichiarazioni annuali precedenti,tale credito d'imposta verrebbe “riportato in avanti” e verrebbe ad essere scomputato dal debito d'imposta risultante
dalla dichiarazione dell'anno corrente. La compensazione verticale è disciplinata nell’ambito della legislazione istitutiva dei tributi periodici, specificamente nelle norme dedicate al
procedimento di quantificazione del debito d’imposta (si vedano in particolare gli artt. 22 e 80, d.P.R. 22.12.1986, n. 917 per l’IRPEF e l’IRES, nonché l’art. 30, d.P.R. n. 633/1972, per l’IVA).
→ compensazione orizzontale: con tale forma di compensazione, i debiti d'imposta relativi a imposte diverse,così come i debiti relativi ai contributi previdenziali,che devono essere
soddisfatti mediante versamento con il modello F24,possono essere compensati con crediti spettanti al contribuente,anche relativi a tributi differenti.La compensazione orizzontale
(introdotta limitatamente alle imposte sui redditi dall’art. 2 del d.l. 31.12.1991, n. 417) è disciplinata dall’art. 17, d.lgs. n. 241/1997, secondo cui tutti i tributi che devono essere versati con il
modello unitario di pagamento possono essere compensati con crediti risultanti dalla dichiarazione. L’estensione dell’ambito di applicazione della compensazione orizzontale si giustifica
anche nella prospettiva di attenuare le distorsioni dovute alla sempre maggiore incidenza del fenomeno dell’anticipazione del prelievo (acconti d’imposta).
Con la previsione ex art. 8,co.1 dello Statuto dei diritti del contribuente, la possibilità di corrispondere i tributi previa compensazione è divenuta una regola generale del diritto tributario .
Tale norma, a prescindere dal fatto che di per sé offre immediata possibilità al contribuente di eccepire la compensazione, ha avuto il pregio di stimolare successive innovazioni legislative con cui si è
ulteriormente ampliato lo spettro applicativo dell’istituto in questione. La compensazione fiscale può, infatti, avvenire anche tra crediti certi, liquidi ed esigibili, vantati a qualsiasi titolo nei
confronti della Pubblica amministrazione, risultanti da apposita certificazione, e debiti di natura tributaria connessi ad accertamenti esecutivi o iscrizioni a ruolo, nonché dovuti in
relazione ad istituti definitori della pretesa e deflatori del contenzioso . Non è escluso che in futuro il legislatore intervenga per disciplinare espressamente la possibilità di utilizzare i crediti vantati
nei confronti della Pubblica amministrazione per effettuare i versamenti dovuti sulla base della dichiarazione tributaria, nonché la possibilità di utilizzare in compensazione anche i crediti risultanti da
sentenze tributarie.
Occorre, però, sottolineare che ,di recente, per contrastare i sempre più frequenti casi di compensazione di crediti inesistenti, sono stati previsti limiti (inizialmente riguardanti l’IVA, poi
estesi alle imposte sui redditi dall’art. 1, co. 574, l. 27.12.2013, n. 147) alla compensazione di crediti e debiti risultanti dalle dichiarazioni. Infatti, qualora la compensazione superi l’importo
di diecimila euro, bisogna preventivamente presentare la dichiarazione dalla quale emerge il credito oggetto di compensazione (limite riguardante solo la compensazione di crediti IVA);
qualora superi l’importo di euro quindicimila, occorre l’apposizione sulla dichiarazione tributaria del cd. visto di conformità. Un’ulteriore limitazione riguarda i soggetti che abbiano debiti
tributari scaduti risultanti da atti impositivi esecutivi (iscrizione a ruolo/accertamento esecutivo) di importo superiore a euro millecinquecento: la possibilità di effettuare compensazioni è
subordinata al pagamento del debito (art. 31, d.l. n. 31.5.2010, n. 78).
Costituisce, fattispecie penalmente rilevante la compensazione di crediti non spettanti o inesistenti attraverso la procedura di cui all’art. 17, d.lgs. n. 241/1997 (art. 10 quater, d.lgs. n.
74/2000), per un importo superiore a € 50.000.
INVITO BONARIO
OBBLIGATORIO
ISCRIZIONE A RUOLO
NOTIFICA
ISCRIZIONE CARTELLA DI A TITOLO A TITOLO
A RUOLO PAGAMENTO PROVVISORIO DEFINITIVO
entrambi sono atti impugnabili se l'avviso di accertamento (non esecutivo) viene Se l'avviso di accertamento,non
impugnato,per cui il contribuente e' tenuto,sia in corso esecutivo,non viene impugnato,esso
di giudizio,sia a seguito di sentenze a lui anche solo diventerà per definitivo e
parzialmente sfavorevoli,a versare frazioni della l'amministrazione finanziaria provvederà ad
maggior imposta,degli interessi e delle sanzioni iscrivere la maggior imposta accertata,le
accertate. l'amministrazione finanziaria provvede sanzioni,gli interessi,etc. A ruolo a titolo
dunque di volta in volta ad iscrivere a ruolo a titolo definitivo,per poi emettere una cartella
provvisorio frazioni del quantum dovuto,detraendo di pagamento che,qualora entro 60 giorni
quanto gia' versato. una volta intervenuto il giudicato dalla notifica della stessa il contribuente
sfavorevole per il contribuente,si avra' iscrizione a non abbia provveduto ad adempiere,darà
CAPITOLO 4 – LA RISCOSSIONE COATTIVA: L'ESECUZIONE FORZATA TRIBUTARIA ruolo a titolo definitivo per il quantum rimanente luogo ad esecuzione forzata
SCHEMA RIASSUNTIVO DELLA DISCIPLINA DELLE SANZIONI AMMINISTRATIVE TRIBUTARIE PRIMA E POST RIFORMA
SANZIONI AMMINISTRATIVE TRIBUTARIE PRE-RIFORMA – L. 4/1929 POST RIFORMA EX D.LGS472/1997 Natura afflittiva /modello
Natura Risarcitoria /modello risarcitorio personalistico
Caratteristiche L'obiettivo della sanzione era risarcire l'ente del danno subito. La L'obiettivo è punire il trasgressore. Ha rilievo preminente l'elemento
generali sanzione è commisurata al danno provocato,quindi rapportata al soggettivo (dolo o colpa). La sanzione è riferita alla persona fisica
tributo a cui si riferisce la sanzione. che ha commesso o concorso a commettere la violazione.
Conseguenze Per Società E Enti Sono destinatari della sanzione Non sono destinatari della sanzione: non è ad essi imputato l'illecito
Collettivi,nonchè enti con personalità giuridica e non è irrogata la sanzione. Un eccezione è il caso di
dipendente/amministratore che commette un illecito con colpa lieve:
se la sanzione supera i 50.000€ il fisco può richiedere il pagamento
alla società. Il pagamento per intero della società libera chi ha
commesso l‟illecito.illecito.
Dopo il 2003, le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale
proprio di società o enti con personalità giuridica sono a carico di
quest'ultima.
L'obbligazione sanzionatoria è riferita alla società.
Pluralità di autori della violazione per cui si commina la Rispondono in solido del pagamento della sanzione Ciascun trasgressore è responsabile per un'autonoma obbligazione
sanzione di sanzione
Morte dell'autore della violazione L'obbligo di pagare la sanzione passa agli eredi Intrasmissibilità della sanzione, salvo eccezioni
Concorso formale Un soggetto con una sola azione viola più norme, anche relative a tributi SE LE VIOLAZIONI CONCERNONO IL MEDESIMO TRIBUTO:
diversi. sanzione prevista per la violazione più grave,aumentata da un quarto fino al doppio.
Può essere omogeneo quando con una sola azione o omissione si SE LE VIOLAZIONI CONCERNONO TRIBUTI DIFFERENTI,EX ART. 3 :
violano più aspetti della medesima disposizione. sanzione prevista per la violazione più grave ,aumentata del 20% (di un quinto),poi aumentata
Può essere eterogeneo se si violano nuovamente da un quarto al doppio
disposizioni diverse (anche riferite a tributi diversi)
Esempio: mancata registrazione ricavi
Concorso materiale La medesima disposizione è violata più volte con più azioni o omissioni. SE LE VIOLAZIONI CONCERNONO IL MEDESIMO TRIBUTO:
Esempio: indicato ripetitivamente errato il codice fiscale in fattura. sanzione prevista per la violazione più grave,aumentata da un quarto fino al doppio.
SE LE VIOLAZIONI CONCERNONO TRIBUTI DIFFERENTI,EX ART. 3 :
sanzione prevista per la violazione più grave ,aumentata del 20% (di un quinto),poi aumentata
nuovamente da un quarto al doppio
Progressione Quando qualcuno anche in tempi diversi, commette più violazioni che, SE LE VIOLAZIONI CONCERNONO IL MEDESIMO TRIBUTO:
nella loro progressione, pregiudicano o tendono a pregiudicare la sanzione prevista per la violazione più grave,aumentata da un quarto fino al doppio.
determinazione dell'imponibile. Sono molteplici e unitarie, commesse SE LE VIOLAZIONI CONCERNONO TRIBUTI DIFFERENTI,EX ART. 3 :
per raggiungere un unico fine. sanzione prevista per la violazione più grave ,aumentata del 20% (di un quinto),poi aumentata
C'è convergenza obiettiva tra più violazioni, tutte finalizzate ad alterare nuovamente da un quarto al doppio
la determinazione dell'imponibile o ostacolare la liquidazione periodica
Esempio: omissione di fatturare un'operazione Le violazioni prodomiche spesso
rientrano nella fattispecie di omessa o infedele dichiarazione.
Continuazione Violazioni che attengono a più periodi di imposta diversi SE LE VIOLAZIONI CONCERNONO IL MEDESIMO TRIBUTO:
L'ufficio, se emette in tempi diversi gli avvisi di accertamento attinenti a sanzione prevista per la violazione più grave,aumentata dalla metà al triplo,poi riaumentata da un
periodi di imposta diversi, deve determinare la sanzione dovuta tenendo quarto al doppio se si verifica concorso di violazioni ex comma 1
conto dei provvedimenti già emessi. SE LE VIOLAZIONI CONCERNONO TRIBUTI DIFFERENTI:
In sede processuale il giudice che prende la decisione deve sanzione prevista per la violazione più grave,aumentata del 20%,poi aumentata dalla metà al triplo ed
rideterminare la sanzione unica complessiva tenendo conto delle eventualmente anche ,poi,da un quarto al doppio in caso di concorso
sentenze precedenti.
Recidiva Chi nei tre anni precedenti è incorso in una violazione della stessa La sanzione può essere aumentata fino alla metà
indole Compatibilità conla continuazione
-COMPETENZA TERRITORIALE:
La competenza territoriale delle Commissioni Tributarie è stabilita dall'art. 4 del d.lgs 546/1992,riformato ,a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 44/2016,dal d.lgs 156/2015.
Attualmente,la competenza per territorio è così individuata:
→ per le controversi proposte nei confronti degli enti impositori,degli agenti della riscossione e dei soggetti iscritti all'albo di cui all'art. 53 del d.lgs 446/1997,sono competenti
le Commissioni Tributarie nella cui circoscrizione i primi hanno la sede
→ per le controversie proposte nei confronti di articolazioni dell'Agenzia delle Entrate,con competenza su tutto o parte del territorio nazionale,sono competenti le
Commissioni tributarie nella cui circoscrizione hanno sede,non le articolazioni medesime,ma l'ufficio al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso
Dunque,se il ricorso viene proposto contro un ufficio dell'amministrazione finanziaria,è competente la commissione tributaria provinciale dove ha sede l'ufficio contro cui si propone
ricorso; diversamente,se il ricorso viene proposto contro un gestore dei tributi locali,rileva la sede dell'ente locale.
Non vi è qui,a differenza del diritto processuale civile,una distribuzione delle competenze per materia o per valore,dal momento che il valore della causa è rilevante soltanto per stabilire se sia
obbligatoria o meno l'assistenza tecnica.
-ATTI IMPUGNABILI:
Con atti impugnabili si intende far riferimento a quegli atti contro i quali può essere esperita l'azione di impugnazione e dunque quegli atti avverso i quali il contribuente possa proporre
ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale territorialmente competente. È bene osservare che relativamente agli atti impugnabili vi è da fare una differenziazione,necessaria
per via dello stesso dettato dell'art. 19 del d.lgs 546/1992,per cui dovremo distinguere:
1)atti autonomamente impugnabili,che sono elencati in via tassativa dall'art. 19,comma 1 , d.lgs 546/1992
2)atti ad impugnazione differita,che ,secondo quanto disposto dall'art. 19,comma 3 d.lgs. 546/1992,sono atti,non ricompresi nell'elenco di cui al comma 1 e dunque non
autonomamente impugnabili
-ATTI AUTONOMAMENTE IMPUGNABILI:
L'art. 19,comma 1 del d.lgs 546/1992 contiene l'elenco tassativo degli atti che possono essere oggetto di impugnazione autonoma dinanzi alle commissioni tributarie. Tali atti
autonomamente impugnabili sono:
→ avviso di accertamento: a riguardo dell'avviso di accertamento,va osservato che un orientamento consolidato, sia a livello giurisprudenziale che dottrinale , ha fornito
un'interpretazione estensiva del concetto di avviso di accertamento,per cui ,ferma restando la tassatività dell'elencazione, si è ritenuto che l'espressione avviso di
accertamento dovesse poter essere riferibile a qualsiasi atto,conclusivo di un procedimento o di un sub-procedimento di accertamento,che avesse efficacia nei confronti del
soggetto passivo del tributo( ad esempio, sent. Corte Costituzionale 313/1985). Dunque,secondo tale interpretazione estensiva,sarebbero autonomamente impugnabili tutti gli
atti,provenienti dall'amministrazione finanziaria o dall'ente locale,aventi natura provvedimentale,comunque denominati,che accertino o dichiarino l'obbligazione
tributaria,oppure anche solo uno dei suoi elementi,quale,ad esempio,la base imponibile: tali atti,che rientrerebbero indirettamente nell'interpretazione estensiva del concetto di avviso
di accertamento,sarebbero costituiti dall'ingiunzione fiscale e dai cd. Atti di recupero,in quanto gli stessi costituirebbero atti impositivi aventi effetti simili agli avvisi di
accertamento,pur se denominati diversamente.
In secondo luogo,ma non di minore importanza,va ricordata la necessarietà della motivazione,o della cd. Parte motiva,all'interno dell'avviso di accertamento: qualora manchi la
motivazione,ossia la ricostruzione,da parte dell'ufficio procedente,dell'iter logico-giuridico seguito dall'ufficio ,sia in punto di fatto che in punto di diritto,nella formazione della parte
dispositiva ,l'avviso di accertamento sarà affetto da nullità insanabile.
→ avviso di liquidazione: l'avviso di liquidazione del tributo si sostanzia nella quantificazione della pretesa dell'amministrazione finanziaria determinando,quindi,tempi e modi
dell'assolvimento dell'obbligazione tributaria,sia in relazione alle imposte suppletive,sia in relazione alla liquidazione delle somme dovute a seguito di decisione
giurisdizionale. Dunque,l'avviso di liquidazione potrebbe essere definito come un avviso che l'amministrazione finanziaria notifica al contribuente per portarlo a conoscenza
dell'ammontare dell'imposta dovuta,in relazione alle imposte suppletive ed in relazione alla liquidazione delle somme dovute a seguito di decisione giurisdizionale. Non è
sempre necessario che tale atto sia preceduto da un avviso di accertamento.
→ provvedimento che irroga le sanzioni: si tratta,principalmente,di provvedimenti con cui l'amministrazione finanziaria o l'ente locale quantificano pene pecuniarie e soprattasse
dovute a seguito dell'omissione di un adempimento o di un versamento.
→ il ruolo e la cartella di pagamento: Dunque,secondo Cass. SS.UU. 19704/2015, l'iscrizione a ruolo ,purchè sia rilasciato l'estratto del ruolo al contribuente,è da ritenersi
autonomamente impugnabile, nel caso in cui tale iscrizione non sia stata poi resa nota ed efficace nei confronti del contribuente mediante successiva notifica della cartella di
pagamento. È bene sottolineare che la legittimazione passiva spetta qui all'Agenzia delle Entrate,che ha formato il ruolo.
Un discorso più articolato merita invece l'impugnazione della cartella di pagamento,che deve avvenire,in tutti i casi,entro e non oltre i 60 giorni dalla sua notifica. La cartella di
pagamento ,in prima istanza,può essere impugnata per vizi riflessi,ossia per vizi propri dell'iscrizione a ruolo (errori),che investono indirettamente la cartella di pagamento,per
cui,nel qual caso , la legittimazione passiva spetta all'Agenzia delle Entrate ,che ha formato il ruolo. In secondo luogo,la cartella di pagamento può essere impugnata per vizi
propri,o per vizi relativi alla sua notificazione,per cui,in tal caso,la legittimazione passiva spetta all'agente della riscossione ,poichè si pone in discussione il suo operato.
→ l'avviso di mora (oggi intimazione ad adempiere): ricordiamo che l'intimazione ad adempiere,pur essendo un elemento intrinseco all'avviso di accertamento
esecutivo,nonchè alla cartella di pagamento,costituisce altresì un atto a sé stante sia nel caso in cui venga impugnato un avviso di accertamento esecutivo e vi sia un
accoglimento parziale del ricorso,per cui l'amministrazione finanziaria,invece di iscrivere le somme residuali a ruolo,provvede ad emettere atti di intimazione ad adempiere,sia
nel caso in cui ,dopo la notifica della cartella di pagamento,sia trascorso più di un anno senza che abbia avuto luogo l'esecuzione forzata tributaria,sicchè si renderà
necessaria la notifica di un atto di intimazione ad adempiere che rinnovi gli effetti di precetto propri della cartella di pagamento e che consenta dunque l'esecuzione forzata
tributaria.
Per quanto riguarda l'impugnazione dell'intimazione ad adempiere,possiamo dire che la stessa è impugnabile o per vizi propri,intrinseci,o perché non è stata preceduta dalla
notifica di una cartella di pagamento. È bene sottolineare che se l'intimazione ad adempiere è stata preceduta dalla notificazione di una cartella di pagamento,tale intimazione
non potrà essere impugnata per vizi riflessi del ruolo o della cartella,proprio in ragione del fatto che gli stessi costituiscono,ai sensi dell'art. 19 comma 1 d.lgs. 546/1992,atti
autonomamente impugnabili
→ l'iscrizione di ipoteca sugli immobili ex art. 77 d.p.r. 602/1973 e successive modificazioni: è bene in merito ricordare che,ai sensi dell'art. 77 del d.p.r. 602/1973,l'agente della
riscossione,prima di iscrivere ipoteca,deve comunicare al contribuente che procederà a tale iscrizione. L'impugnazione dell'iscrizione ipotecaria deve essere proposta entro e
non oltre i 60 giorni da tale comunicazione.
→ il fermo di beni mobili registrati di cui all'art. 86 d.p.r. 602/1973 e successive modificazioni: l'agente della riscossione,dopo aver emesso il provvedimento di fermo e prima di
iscriverlo nei registri (PRA),deve inviare al contribuente moroso un avviso ad adempiere entro 20 giorni,decorsi i quali il fermo diventa operativo. Entro i 20 giorni dal
ricevimento di tale avviso decorre il termine per impugnare.
→ gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell'art. 2 comma 3 del d.lgs 546/1992
→ il rifiuto espresso o tacito alla restituzione di tributi,sanzioni pecuniarie ed interessi,o altri accessori,non dovuti (vedi azione di condanna,che ha natura complessa quando il
rifiuto di rimborso è espresso in un atto,che deve essere impugnato)
→ il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari
E' bene osservare che l'art. 19 comma 1 d.lgs 546/1992 dispone altresì che può essere proposto ricorso contro “ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l'autonoma impugnabilità” :
tale disposizione ha la funzione di consentire al legislatore di adeguare in maniera automatica la futura normazione relativa al processo tributario.
Tali atti vengono definiti come autonomamente impugnabili non perché,contrariamente a quanto si sosteneva in passato, essi contengono una pretesa di pagamento e nemmeno per via
del risalente principio per cui gli atti impugnabili,ove non impugnati,diventano definitivi,ma,piuttosto perché gli stessi si configurano come atti direttamente lesivi,possono essere
impugnati soltanto per vizi propri,salvo l'irregolarità della notifica,ossia per vizi intrinseci e non per i vizi riflessi,cioè per i vizi da cui sono stati eventualmente affetti precedenti atti
impositivi,che sarebbero potuti essere oggetto a loro volta di autonoma impugnazione. Ricapitolando,gli atti di cui all'art. 19 comma 1 d.lgs 546/1992 sono autonomamente impugnabili ,con
ciò intendendo che gli stessi sono impugnabili solo per vizi propri,ossia per inesattezze,errori,omissioni e false applicazioni di legge contenuti nell'atto impugnato ed esclusivamente in
quello.
Dunque,gli atti autonomamente impugnabili vengono così definiti perché:
a)direttamente lesivi
b)impugnabili soltanto per vizi propri,intrinseci (ivi ricompresi vizi eventuali inerenti alla notificazione),ma non per vizi riflessi,ossia per vizi riscontrabili in precedenti atti impositivi,a loro
volta autonomamente impugnabili
Anche nel caso dell'impugnazione della cartella di pagamento infatti,qualora con tale impugnazione si facciano valere vizi propri del ruolo,tali vizi sono da considerarsi ,per
l'appunto,come vizi propri del ruolo ,che per l'appunto viene poi portato a conoscenza del contribuente mediante la notifica della cartella di pagamento,sicchè si capisce bene perché,in
questi casi,si parla di ricorsi avverso il ruolo e perché la legittimazione passiva spetta all'Agenzia delle entrate,che ha formato il ruolo.
Tali atti,sopra elencati,costituiscono,fondamentalmente,l'oggetto del ricorso,ossia gli atti avverso i quali il contribuente propone ricorso dinanzi alla commissione tributaria provinciale
territorialmente competente.
Con riguardo,da ultimo,al contenuto degli atti autonomamente impugnabili,va osservato che ,a norma del c. 2 dell'art. 19 del D.Lgs. 546/1992, gli atti impositivi dovranno indicare:
a)il termine per l’impugnativa;
b) il procedimento per la proposizione del ricorso;
c)la commissione tributaria cui è possibile ricorrere.
Tali elementi, vanno integrati con le prescrizioni dell’art. 7 dello statuto del contribuente (L. 212/2000), che prevede che gli atti dell'Amministrazione finanziaria e dell’Agente della
riscossione (già concessionario della riscossione) devono tassativamente indicare:
a)l'ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all'atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento;
b) l'organo o l'autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell'atto in sede di autotutela;
c) le modalità, il termine, l'organo giurisdizionale o l'autorità amministrativa cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili;
d) nel caso di titolo esecutivo, il riferimento all'eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione della pretesa tributaria.
La mancata indicazione di tali elementi negli atti impugnabili non determina alcun vizio dell’accertamento e conseguentemente alcuna invalidità dell’atto che, quindi, diviene definitivo se
non tempestivamente impugnato, infatti la legge in tale ipotesi non dispone la nullità dell’atto. Si ritiene tra l’altro non applicabile l’istituto della rimessione in termine in quanto l’art. 184 bis c.p.c.,
riguardante le sole ipotesi in cui le parti costituite siano decadute dal potere di compiere determinate attività difensive nell’ambito della causa in corso di trattazione, non è applicabile alle situazioni
esterne al giudizio. Per queste vige la regola della improrogabilità dei termini perentori (art.153 c.p.c.), che impedisce di utilizzare l’istituto in argomento anche per le decadenze relative al compimento
del termine perentorio per instaurare il giudizio.
A maggior ragione in caso di indicazioni erronee le stesse non sono vincolanti, in quanto il ricorso ben può essere indirizzato al giudice depositario secundum legem della giurisdizione e della
competenza.
3.1.1- TERMINI E MODALITA' DI PROPOSIZIONE DEL RICORSO DINANZI ALLA COMMISSIONE TRIBUTARIA
PROVINCIALE
-TERMINI DI PROPOSIZIONE DEL RICORSO:
Il ricorso ,dinanzi alla commissione tributaria provinciale territorialmente competente,deve essere proposto,a pena di inammissibilità,entro 60 giorni dalla notificazione dell'atto( si tratta di
un termine decadenziale;nel caso di avviso di accertamento con susseguente presentazione di istanza di accertamento con adesione,i termini vengono sospesi di ulteriori 90
giorni),secondo quanto disposto dall'art. 21 del d.lgs 546/1992. Questi termini ricorrono nel caso in cui ci si trovi davanti ad un'azione di impugnazione,per cui il petitum consiste nella
richiesta di un provvedimento che annulli l'atto lesivo.
È bene osservare che i suddetti termini si applicano anche nel caso in cui ad essere impugnato sia l'atto di rifiuto espresso del rimborso.
Nel caso invece di rifiuto tacito alla restituzione di tributi,sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti (rifiuto tacito di rimborso),il ricorso potrà essere proposto soltanto
una volta che siano decorsi 90 giorni dalla data di presentazione dell'istanza di rimborso e sempre entro i termini di prescrizione del diritto al rimborso.
È la notifica del ricorso alla controparte che deve essere eseguita nei suddetti termini.
-NOTIFICA DEL RICORSO ALLA CONTROPARTE:
Il ricorso deve essere portato a conoscenza in primo luogo della controparte,mediante notifica dello stesso. Solo successivamente il ricorso potrà essere portato a
conoscenza del giudice tributario mediante costituzione in giudizio.
Per quanto riguarda la notifica del ricorso alla controparte,ossia all'ufficio dell'amministrazione finanziaria che abbia emesso l'atto lesivo,ovvero che abbia tacitamente negato
il rimborso al contribuente ricorrente,essa deve obbligatoriamente avvenire,secondo quanto disposto dall'art. 16Bis del. d.lgs. 546/1992,novellato dal D.L. 119/2018,a mezzo
PEC.
La notifica del ricorso a mezzo PEC è divenuta obbligatoria dal 1 Luglio 2019,a seguito delle modifiche apportate all'art. 16Bis del d.lgs 546/1992 dal d.l. 119/2018.
Nei casi di notifica tramite PEC, qualora non sia possibile fornirne la prova della notifica o della comunicazione mediante modalità telematiche, il difensore del contribuente e il difensore o il
dipendente di cui si avvalgono l'ente impositore, l'agente della riscossione ed i soggetti iscritti nell'albo di cui all'articolo 53 del D. Lgs. 15 dicembre 1997 n° 446, provvedono ai sensi
dell'articolo 9, commi 1 bis e 1 ter della legge 21 gennaio 1994, n° 53 che disciplina le notifiche in proprio degli avvocati nel settore civile, amministrativo e stragiudiziale (articolo 16, comma
3, D.L. n° 119/2018). Nello specifico il citato articolo 9 commi 1 bis della L. 53/94 prevede che, in questi casi l'avvocato estrae copia su supporto analogico del messaggio di posta
elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi dell'articolo 23,
comma 1, del D. Lgs. 7 marzo 2005, n° 82.
L'obbligo della notifica del ricorso a mezzo PEC non sussiste nei seguenti casi:
→ per i soggetti che non si avvalgono della difesa tecnica nelle cause di valore inferiore ai tremila euro. In tale ipotesi le notifiche sono eseguite ai sensi
dell’articolo 16 del D. Lgs. n° 546/92.
→ nei casi di mancata indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore o della parte; qualora l’indirizzo PEC non sia rinvenibile nei pubblici
elenchi e infine nell’ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario (art. 16 bis, comma 2, D. Lgs. n°
546/92); anche in questi casi la notifica viene eseguita secondo le modalità prescritte dall'art. 16 del d.lgs 546/1992.
Le modalità residuali di notificazione del ricorso all'ente impositore,nei casi sopracitati,vengono descritte dall'art. 16 del d.lgs 546/1992 e sono,alternativamente:
a)a mezzo ufficiale giudiziario,secondo gli artt. 137 e ss. c.p.c. : in quest'ipotesi,contemplata dall'art. 16,comma 1 del d.lgs 546/1992,il pubblico ufficiale consegna copia
autentica dell'atto al destinatario della notifica e restituisce l'originale al ricorrente,con la relazione di notifica
b)mediante consegna diretta da parte del ricorrente all'ufficio impositore (art. 16 comma 3 d.lgs 546/1992): il ricorrente consegna l'originale del ricorso e ne deposita
copia uniforme per la costituzione in giudizio
c)mediante spedizione postale(art. 16 comma 3 d.lgs 546/1992): con plico senza busta,raccomandato e con avviso di ricevimento. Il ricorrente spedisce in questo caso
l'originale del ricorso e ne deposita copia conforme per la costituzione in giudizio.
-COSTITUZIONE IN GIUDIZIO DEL RICORRENTE:
Il ricorrente,attraverso la costituzione in giudizio, porta il ricorso,già notificato alla controparte, a conoscenza della commissione tributaria provinciale.
La costituzione in giudizio del ricorrente deve aversi entro 30 giorni dalla data in cui il ricorso sia stato notificato alla controparte(conta la data di ricezione dello stesso)
La costituzione in giudizio del ricorrente, a pena di inammissibilità, si effettua esclusivamente mediante deposito del ricorso, previamente notificato a mezzo pec, attraverso il Sistema
informativo della Giustizia Tributaria - SIGIT (art. 16 bis, comma 3, D. Lgs. n° 546/92), secondo le disposizioni sul processo tributario telematico (PTT) dettate dal D.M. 23/12/2013, n° 163 e dai
successivi decreti attuativi.
L'art. 16 del D. L. n° 119/2018, modificando il comma 3 dell'art. 16 bis del D. Lgs. n° 546/92, ha infatti disposto l'obbligo della costituzione in giudizio in primo e secondo grado con modalità
telematica relativamente ai ricorsi notificati a decorrere dal 1° luglio 2019 (precedentemente,la costituzione in giudizio del ricorrente si effettuava depositando il fascicolo del ricorso
presso la segreteria della commissione tributaria provinciale,anche a mezzo di spedizione postale)
L’obbligo del deposito con modalità telematiche non vale:
a) per i soggetti che decidono di non avvalersi dell’assistenza tecnica nelle cause di valore inferiore ai tremila euro (articolo 16-bis, comma 3-bis del D. Lgs. n° 546/92). Tuttavia se
intendono avvalersi della modalità telematica ai fini della costituzione in giudizio devono avere un indirizzo di posta elettronica certificata da indicare nel ricorso.
b) qualora il giudice, con provvedimento motivato, autorizzi il deposito con modalità diversa da quella telematica. Nello specifico tale autorizzazione spetta:
• al Presidente della Commissione tributaria nella fase antecedente all’iscrizione a ruolo del ricorso/appello (esempio blocco giornaliero della funzionalità del Sigit non
programmato);
• al Presidente di Sezione nel caso di un ricorso/appello già iscritto a ruolo;
• al Collegio nell’ipotesi in cui la questione sia sollevata in udienza.
Ne deriva che, in tali casi, il deposito del ricorso notificato può essere effettuato con la trasmissione dello stesso a mezzo posta, in plico raccomandato senza busta con avviso di
ricevimento, o direttamente presso la segreteria della Commissione Tributaria adita, entro 30 giorni dalla data di notifica,secondo quanto disposto dall'art. 22, D.Lgs. n° 546/92.
In tale ipotesi resta comunque l’obbligo per l’ente impositore resistente o appellante del deposito telematico degli atti.
Contestualmente alla costituzione in giudizio, il ricorrente deve depositare la nota di iscrizione a (NIR), scaricabile in pdf – doc NIR CTP, NIR CTR, contenente l’indicazione delle parti, del difensore,
dell’atto impugnato, della materia del contendere, del valore della controversia e della data della notificazione. Unitamente a quanto già indicato, il ricorrente deposita il proprio fascicolo, con l’originale o
la fotocopia dell’atto impugnato, se notificato, e i documenti che produce in originale o fotocopia(tra cui la prova della notifica).
Il deposito di eventuali motivi aggiunti o di altra documentazione (art. 24, D. Lgs. n° 546/92) deve avvenire sempre in modalità telematica per i soggetti obbligati, inserendo
necessariamente il numero di iscrizione a ruolo.
Al fine di semplificare le attività correlate al PTT, il citato articolo 16 del D.L. n° 119/18 con l’introduzione dell’articolo 25-bis del D. Lgs. n° 546/92 attribuisce il potere di certificazione di
conformità sia al difensore del contribuente e sia al difensore e al dipendente di cui si avvalgono l'ente impositore, l'agente della riscossione ed i soggetti iscritti nell'albo per la
riscossione degli Enti locali, ovvero il potere di attestare la conformità delle copie degli atti e dei documenti in loro possesso in originale o in copia conforme, secondo le modalità previste
dal Codice dell’amministrazione digitale.
Analogo potere di certificazione in conformità è riconosciuto anche per gli atti estratti dal fascicolo processuale telematico formato ai sensi dell’articolo 14 del decreto del Ministero dell’economia e delle
finanze 23 dicembre 2013, n° 163. La copia informatica o cartacea munita dell’attestazione di conformità, come sopra descritta, equivale all’originale o alla copia conforme dell’atto o del provvedimento
detenuto ovvero presente nel fascicolo informatico. L’estrazione delle copie autentiche dal fascicolo informatico è esonerata dal pagamento dei diritti di copia.
Con il medesimo D.L. n° 119/2018 è stata data l’interpretazione autentica all’attuale formulazione del comma 3 dell’articolo 16-bis del D. Lgs. n° 546/92 in merito ai contenziosi instaurati
prima del regime obbligatorio delle modalità telematiche in vigore dal 1°luglio 2019: le parti possono utilizzare in ogni grado di giudizio la modalità telematica “indipendentemente dalla
modalità prescelta da controparte nonché dall’avvenuto svolgimento del giudizio di primo grado con modalità analogiche”. Con tale interpretazione autentica si superano quelle posizioni
giurisprudenziali che avevano sinora ritenuto soccombente l'Amministrazione finanziaria laddove si fosse costituita telematicamente in presenza di ricorso cartaceo del contribuente.
Le disposizioni relative alla costituzione in giudizio del ricorrente si applicano anche alla costituzione in giudizio dell'appellante(2° grado,dinanzi alla commissione tributaria regionale).
È bene ,da ultimo, sottolineare che la mancata costituzione in giudizio del ricorrente rende il ricorso inammissibile,per cui la causa non potrà essere iscritta nel ruolo generale,non potrà
esservi la trasmissione del fascicolo dalla segreteria al presidente,non potrà esservi assegnazione della causa ad una sezione. Anzi,la mancata costituzione in giudizio del ricorrente fa sì
che il presidente non possa nemmeno pronunciarsi sull'inammissibilità di un ricorso non depositato.
Se il ricorrente non si costituisce in giudizio,non potrà costituirsi in giudizio nemmeno l'altra parte resistente.
Se il ricorrente rinuncia invece al ricorso,il processo si estingue,a norma dell'art. 44 del d.lgs 546/1992,senza bisogno di accettazione della parte non costituita.
-COSTITUZIONE IN GIUDIZIO DEL RESISTENTE:
La costituzione in giudizio della parte resistente può avvenire, entro sessanta giorni dalla avvenuta notifica del ricorso, mediante deposito delle controdeduzioni e degli altri
documenti offerti in comunicazione, notificati a mezzo PEC, mediante il Sistema Informativo della Giustizia Tributaria (SIGIT) secondo le disposizioni sul processo tributario
telematico (PTT) dettate dal D.M. 23/12/2013, n.° 163 e dai successivi decreti attuativi. Per la costituzione in giudizio del resistente valgono le stesse regole per il deposito del
ricorso, ovvero l’obbligo a partire dal 1° luglio 2019 del deposito delle controdeduzioni con modalità telematiche (art. 16 bis, comma 3, D. Lgs. n° 546/92). Nelle
controdeduzioni sono esposte le proprie difese, le prove di cui intende valersi, le eccezioni processuali o di merito non rilevabili d'ufficio e l'eventuale chiamata in causa di
terzi.
Il giudice tributario può tuttavia autorizzare, con provvedimento motivato, il deposito con modalità diverse da quelle telematiche.
L’obbligo del deposito del ricorso in modalità telematica non sussiste per i soggetti che decidono di non avvalersi dell’assistenza tecnica nelle cause di valore inferiore ai
tremila euro (articolo 16-bis, comma 3-bis del D. Lgs. n° 546/92). Per cui la costituzione in giudizio per tali soggetti avviene mediante il deposito presso la segreteria della
Commissione Tributaria adita, del fascicolo cartaceo contenente le controdeduzioni, in tante copie quante sono le parti in giudizio, e i documenti offerti in comunicazione (art.
23, D. Lgs. n° 546/92). Tuttavia, qualora intendano avvalersi della modalità telematica devono avere un indirizzo di posta elettronica certificata da indicare nel ricorso e
osservare le disposizioni sul PTT.
In merito valgono le medesime osservazioni fornite con riguardo alla costituzione in giudizio del ricorrente.
Qualora la parte resistente non si costituisca in giudizio,essa non avrà diritto a ricevere avviso di fissazione dell'udienza,nè a ricevere la notifica dell'istanza di pubblica
udienza,nè la comunicazione del dispositivo.
SENTENZA CHE RESPINGE IL RICORSO( A Sentenza con effetti dichiarativi o di accertamento,dal momento che con essa la L'atto impugnato sopravvive al
SEGUITO DI AZIONE DI IMPUGNAZIONE) commissione tributaria dichiara l'insussistenza dei vizi dedotti dal contribuente con giudizio e continua a produrre effetti. L'esecuzione riguarda
riferimento all'atto impugnato in questo caso
l'atto, non la sentenza,dal momento che la sentenza non
sostituisce l'atto impositivo originariamente emesso.
SENTENZA CHE ACCOGLIE TOTALMENTE Sentenza di accertamento del diritto del ricorrente all'annullamento dell'atto impositivo e La sentenza annulla l'atto impugnato, che cessa di esistere.
IL RICORSO(A SEGUITO DI AZIONE DI sentenza al contempo di di annullamento totale dell'atto impugnato. Cade l‟atto e così i suoi effetti.
IMPUGNAZIONE)
SENTENZA CHE ACCOGLIE Sentenza di accertamento del diritto del contribuente all'annullamento dell'atto impositivo e La sentenza annulla parzialmente l'atto impugnato,lasciando in piedi
PARZIALMENTE IL RICORSO( A SEGUITO sentenza al contempo di annullamento parziale dell'atto impugnato e produttiva di effetti la parte dell'atto impugnato che invece ritiene
DI AZIONE DI IMPUGNAZIONE) legittima.
Quindi atto impugnato parzialmente annullato e suoi effetti
parzialmente caducati
SENTENZA DI CONDANNA (A SEGUITO DI Sentenza dal contenuto complesso: Le sentenze di condanna,che per l'appunto condannano
AZIONE DI CONDANNA AL RIMBORSO) qualora si tratti di sentenza emessa a seguito di azione di condanna al rimborso a fronte di l'amministrazione finanziaria al rimborso nei confronti del
un diniego espresso,la sentenza si pone come di accertamento del credito del contribuente ricorrente,una volta che siano passate in giudicato,sono
ricorrente,come di annullamento del diniego espresso e come di condanna al rimborso per esecutive,per cui il contribuente,qualora l'amministrazione non
l'amministrazione finanziaria; qualora si tratti di sentenza emessa a seguito di azione di provveda ancora al rimborso,potrà esperire il giudizio di
condanna al rimborso a fronte di un diniego tacito,la sentenza si pone come di ottemperanza
accertamento del credito e come di condanna al rimborso per l'amministrazione finanziaria
INTERPRETAZIONE GIURISPRUDENZIALE: La giurisprudenza ritiene,in maniera non condivisibile,che qualora il giudizio verta su vizi sostanziali dell'atto impugnato( an e quantum
dell'imposta),la sentenza sostituirebbe l'atto impugnato,sia quando respinga il ricorso,sia quando lo accolga. Per questo motivo il processo tributario verrebbe definito come processo di
impugnazione-merito,intendendo con ciò dire che la sentenza sostituisce l'atto impugnato. Non è assolutamente pensabile che il giudice,qualora respinga il ricorso,formuli un nuovo atto impositivo
che riproduca il contenuto di quello emesso dall'amministrazione finanziaria; parimenti,in caso di accoglimento del ricorso,la sentenza di accoglimento del ricorso non potrebbe mai sostituire l'atto
annullato con un nuovo atto impositivo,di matrice giurisprudenziale.
-APPELLO INCIDENTALE:
E’ un istituto giuridico che risponde all'esigenza di rendere unitario il processo di appello e di evitare il rischio di giudicati contrastanti (art. 54 D. Lgs. n° 546/92). Permette all'appellato, in
caso di soccombenza ripartita o reciproca, di impugnare le disposizioni della sentenza a sé sfavorevoli. Deve essere proposto nell’atto delle controdeduzioni, a pena di inammissibilità,
entro sessanta giorni dall’avvenuta notificazione dell'appello principale, deve contenere i motivi specifici su cui si fonda l'impugnazione e si osservano, per quanto non espressamente
previsto, le norme in tema di costituzione del convenuto in primo grado (art. 23 D. Lgs. n° 546/92).
-SENTENZA DI APPELLO:
Le sentenze di appello,al pari delle sentenze di primo grado,possono avere sia contenuto processuale,anche in via esclusiva,sia contenuto di merito:
→ le sentenze di merito: sostituiscono la sentenza di primo grado,sia quando accolgono,sia quando respingono l'appello(ossia,rispettivamente,quando riformano e quando accolgono la
sentenza di primo grado)
→ le sentenze a contenuto esclusivamente processuale: vengono dette anche sentenze di puro rito e possono essere classificate,a loro volta,in :
a)decisioni dichiarative dell'inammissibilità dell'appello: cessa il processo e passa in giudicato la sentenza di primo grado
b)decisioni di estinzione del giudizio di appello: cessa il processo e passa in giudicato la sentenza di primo grado
c)decisioni di rimessione al primo giudice: il processo prosegue,anzi ricomincia, in primo grado. La rimessione della causa al giudice di primo grado si ha soltanto quando
nel primo grado di giudizio di siano verificate anomalie talmente gravi da giustificare un rifacimento del primo giudizio,anomalie elencate tassativamente dall'art. 59 d.lgs
546/1992 (ad esempio: dichiara competenza declinata o giurisdizione negata dal primo giudice; quando in primo grado il contraddittorio non è stato regolarmente costituito o
integrato; quando manca la sottoscrizione della sentenza di primo grado)
4.4- LA REVOCAZIONE
-REVOCAZIONE:
La revocazione è un mezzo di impugnazione che si propone allo stesso giudice che ha emesso la sentenza da revocare. Si fonda sul presupposto che i vizi della sentenza che involgono
accertamenti di fatto siano tanto gravi ed evidenti da far ritenere che la sentenza impugnata sarà riformata dallo stesso giudice che l’ha pronunciata . La revocazione è proponibile solo:
- Se le sentenze sono l’effetto del dolo di una delle parti in danno dell’altra;
- Se si è giudicato in base a prove riconosciute o dichiarate false dopo la sentenza;
- Se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata;
- Se la sentenza è l’effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato.
L'impugnazione per revocazione può essere ordinaria o straordinaria:
1.La revocazione ordinaria si fonda su vizi emergenti dalla sentenza stessa o riguardanti elementi conosciuti o conoscibili dalla parte, e va proposta entro i termini di
impugnazione ordinari. I motivi di revocazione ordinaria sono: l'errore revocatorio (art. 395, comma 1, n° 4, c.p.c.) e il conflitto teorico tra giudicati (art. 395, comma 1, n° 5 c.p.c.)
2.La revocazione straordinaria può invece avere luogo per i seguenti motivi: dolo della parte (art. 395, comma 1, n° 1 c.p.c.), prove false (art. 395, comma 1, n° 2 c.p.c.),
rinvenimento di documenti (art. 395, comma 1, n° 3 c.p.c.), dolo del giudice accertata con sentenza passata in giudicato (art. 395, comma 1, n° 6 c.p.c.). Può essere proposta entro
sessanta giorni dalla scoperta del vizio revocatorio, purché successiva alla scadenza dei termini per l’appello. Qualora antecedente, il mezzo di impugnazione esperibile è l’appello, la cui
scadenza di sessanta giorni decorre dal momento della scoperta del vizio.
3.In forza della citata modifica dell'art. 62 del D. Lgs. n° 546/92, anche le sentenze emesse in un unico grado (in esito al cd ricorso per saltum) possono essere oggetto di ricorso
per revocazione straordinaria, in quanto i motivi di revocazione ordinaria possono essere fatti valere con l'appello.
4.Per espressa previsione dell’art. 65, comma 3 bis, del D. Lgs. n° 546/92, all’istituto della revocazione si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo art. 52, del
D. Lgs. n° 546/92 in materia di sospensione.
Dunque,la revocazione è proponibile ,a norma dell'art. 64 del d.lgs 546/1992, contro le sentenze delle commissioni tributarie in grado di appello o in unico grado,con ciò intendendo che le
sentenze di primo grado,finchè impugnabili con appello,non sono soggette a revocazione. Anzi,è bene sottolineare che una sentenza di secondo grado è impugnabile sia per
revocazione,sia per cassazione,dal momento che tali impugnazioni sono proponibili per motivi diversi. La proposizione della revocazione non sospende il termine per proporre il ricorso
per Cassazione.
Il ricorso per revocazione deve contenere gli stessi elementi del ricorso in appello e la specifica indicazione del motivo di revocazione.
La revocazione è un giudizio a due fasi:
→ la prima fase,detta fase rescindente, ha ad oggetto il motivo di revocazione e si conclude con una pronuncia a carattere esclusivamente processuale. Se si accerta che il vizio non
sussiste, il giudice non annulla,mentre,se è accertata la fondatezza del motivo e quindi il vizio sussiste,la sentenza impugnata viene meno e si passa alla seconda fase.
→ la seconda fase,detta fase rescissoria,ha lo stesso oggetto della sentenza revocanda e si conclude con una sentenza che decide il merito della causa, sostituendosi a quella
revocata.