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Reati contro la Pubblica Amministrazione
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Reati contro la Pubblica
Amministrazione
SOMMARIO
Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.)
Capitolo Unico
Delitti contro la Pubblica Amministrazione
(articoli 314-360 c.p.)
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Invero, la categoria dei delitti in esame è stata oggetto di diverse modifiche legislative volte
a potenziare la risposta punitiva dello Stato nei confronti delle condotte illecite poste in
essere dai soggetti rivestiti di funzioni pubbliche nell’esercizio di tali funzioni e, conte-
stualmente, ad eliminare ogni ingiustificato ed arbitrario sindacato del giudice penale sul
merito (L. 26-4-1990, n. 86, Modifiche in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica
Amministrazione; L. 16-7-1997, n. 234, Modifica dell’articolo 323 del codice penale, in materia di
abuso d’ufficio, e degli articoli 289, 416 e 555 del codice di procedura penale; L. 6-11-2012 n. 190,
Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella Pubblica Ammi-
nistrazione c.d. legge anticorruzione 2012; L. 27-5-2015, n. 69, Disposizioni in materia di delitti
contro la Pubblica Amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio c.d. legge
anticorruzione 2015; L. 3-7-2017, n. 105, Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale
e al testo unico di cui al D.P.R. 570/1960, a tutela dei Corpi politici, amministrativi o giudiziari
e dei loro singoli componenti; L. 9-1-2019, n. 3, Misure per il contrasto dei reati contro la Pubblica
Amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e
movimenti politici, c.d. legge spazzacorrotti).
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> l’agente sotto copertura. Sotto il profilo delle indagini penali, la legge ha esteso
la disciplina delle operazioni di polizia sotto copertura al contrasto di alcuni reati
contro la Pubblica Amministrazione. Si tratta della discussa figura dell’agente sotto
copertura ovvero del cosiddetto agente provocatore. Chi agisce sotto copertura non è
punibile se, al solo fine di acquisire elementi di prova, metta in atto condotte che
costituirebbero reato, ma risultino necessarie per dimostrare l’esistenza di un dise-
gno criminoso più grande. L’agente sotto copertura, che era già previsto nell’am-
bito dei reati di stampo mafioso e terroristico nel corpus del codice, d’ora in avanti
sarà operativo anche per il reato di corruzione e per tutti gli altri delitti contro la
Pubblica Amministrazione. Conseguente a tali modifiche è l’inasprimento delle
pene per i delitti di corruzione e di appropriazione indebita, ai sensi del nuovo
comma 1 dell’art. 646 c.p. (Appropriazione indebita). Per il reato c.d. di corruzione im-
propria, sussistente quando il pubblico ufficiale si faccia corrompere in cambio del
compimento di un atto legato al suo ufficio, la pena è aumentata da uno a 3 anni
di reclusione nel minimo, e da 6 a 8 anni nel massimo, sì com’è stato modificato
l’art. 318 c.p.
Inoltre, i condannati per i reati contro la Pubblica Amministrazione (tra cui fi-
gurano: peculato, corruzione e concussione) non potranno più beneficiare delle
pene alternative alla detenzione, come i permessi premio e l’assegnazione di lavo-
ro esterno. Ancora, la legge ha aumentato la durata delle sanzioni interdittive che
possono essere comminate alle società e agli enti riconosciuti amministrativamen-
te responsabili di una serie di reati contro la P.A.;
> obbligo di trasparenza (art. 1, co. 17, lett. a e ss.). Per contrastare la corruzione e
prevenire gli sperperi del denaro pubblico, il testo approvato stabilisce delle nuo-
ve regole in merito alla trasparenza dei finanziamenti ai partiti. In particolare: per
ogni donazione superiore a 500 euro dovrà essere reso noto il nome del donatore;
sussiste l’obbligo di sottoscrivere una dichiarazione congiunta per le donazioni che
superano i 3.000 euro (rispetto ai 5.000 euro precedenti); ai fini dell’estensione delle
regole sulla trasparenza sono stati equiparati fondazioni e partiti politici (art. 1, co.
20); è stato sancito il divieto per le cooperative di finanziare i partiti. Per quanto
riguarda la dichiarazione dei redditi, inoltre, la legge anticorruzione stabilisce che
i Parlamentari, i Ministri ed i tesorieri di partito dovranno rendere pubbliche tutte
le donazioni ricevute superiori a 500 euro, anziché 5.000 euro, come previsto in
precedenza;
> riforma della prescrizione (art. 1, co. 1, lett. d). Tale modifica è stata attuata inno-
vando gli articoli 158 (nuovo comma 1), 159 (nuovo comma 2, abrogati i commi 3
e 4) e 160 (abrogato il comma 1 e modificato il comma 2) del codice penale. In sin-
tesi, il provvedimento ha: individuato nel giorno di cessazione della continuazione
il termine di decorrenza della prescrizione in caso di reato continuato (si tratta di
un ritorno alla disciplina anteriore alla legge ex Cirielli del 2005); ha sospeso il cor-
so della prescrizione dalla data di pronuncia della sentenza di primo grado (sia di
condanna che di assoluzione) o dal decreto di condanna, fino alla data di esecutività
della sentenza che definisce il giudizio o alla data di irrevocabilità del citato decreto.
L’emendamento è stato approvato, con il compromesso che le disposizioni di cui al
co. 1, lett. d), e) ed f) (tra cui rientra evidentemente quella in esame) diventeranno
operative solo il 1 gennaio 2020, in concomitanza con ulteriori e successive misure
di riforma del processo civile;
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Art. 357 c.p., Nozione del pubblico ufficiale: «(I). Agli effetti della legge penale,
sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa,
giudiziaria o amministrativa. (II). Agli stessi effetti è pubblica la funzione ammini-
strativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratteriz-
zata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica ammini-
strazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi».
Dal tenore letterale della norma è facile dedurre che l’elemento caratterizzante la
qualifica di pubblico ufficiale è l’esercizio da parte del soggetto di una funzione pubblica.
La riformulazione della norma negli anni Novanta mirava, infatti, ad una inequivo-
ca consacrazione legislativa della cosiddetta concezione funzionale oggettiva di «pubblico
ufficiale» e di «incaricato di pubblico servizio»: alla concezione, cioè, che fa dipendere la
titolarità dell’una ovvero dell’altra qualifica non tanto (e non solo) dal rapporto di
dipendenza tra il soggetto stesso ed un ente pubblico, quanto dai caratteri dell’atti-
vità oggettivamente esercitata. Irrilevante, dunque, è l’esistenza o meno di un rap-
porto d’impiego, permanente o temporaneo, tra il soggetto e un ente pubblico, in
quanto ciò che conta è esclusivamente che il soggetto in questione svolga, anche in
via di mero fatto, una pubblica funzione o un pubblico servizio.
La Suprema Corte di Cassazione ha con più arresti chiarito che è pubblico ufficiale il
pubblico dipendente o il privato che, nell’ambito dei poteri di diritto pubblico, può e deve formare
e manifestare la volontà della pubblica amministrazione, anche senza investiture formali, ovvero
esercita poteri autoritativi, deliberativi o certificativi, considerati distintamente. La stessa
Corte ha puntualizzato che è pubblico ufficiale ai sensi dell’art. 357 c.p. non solo colui
il quale con la sua attività concorre a formare la volontà dello Stato o degli altri enti
pubblici, ma anche chi è chiamato a svolgere compiti aventi carattere accessorio o
sussidiario ai fini istituzionali degli enti pubblici, poiché pure in questo caso ha luogo,
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attraverso l’attività svolta, una partecipazione, sia pure in misura ridotta, alla forma-
zione della volontà della Pubblica Amministrazione (cfr. Cass. 5-5-2004, n. 21088).
Ne discende che ai fini della qualifica di pubblico ufficiale non sia indispensabile
svolgere un’attività che abbia efficacia diretta nei confronti dei terzi, giacché ogni
atto preparatorio, propedeutico ed accessorio, che esaurisca nell’ambito del procedi-
mento amministrativo i suoi effetti certificativi, valutativi o autoritativi (seppure de-
stinato a produrre effetti interni alla Pubblica Amministrazione) comporta, in ogni
caso, l’attuazione dei fini dell’ente pubblico e non può essere isolato dal contesto
delle funzioni pubbliche.
Il secondo comma dell’articolo in parola ha aggiunto ulteriori connotati volti ad
operare la delimitazione interna tra Pubblica Amministrazione e pubblico servizio: la fun-
zione pubblica viene definita come attività caratterizzata dalla formazione e dalla
manifestazione della volontà della pubblica amministrazione ovvero, come ulteriore
criterio, quale attività caratterizzata dallo svolgimento di poteri deliberativi, autori-
tativi e certificativi.
Nel concetto di poteri deliberativi rientra l’attività amministrativa più elevata che si
sostanzia della formazione della volontà dell’ente, cui è equiparabile l’attività di rap-
presentanza in senso stretto ovvero quella che si manifesta all’esterno, nei rapporti
con i terzi: le deliberazioni prese dall’ente medesimo (Fiandaca-Musco).
Nel concetto di poteri autoritativi, invece, rientrano, per costante giurisprudenza (ex
multis, cfr. Cass. Sez. Un. 11-7-1992, n. 7958) e dottrina, non solo i poteri coercitivi,
ma anche tutte quelle attività che sono comunque esplicazione di un potere pubblico
discrezionale nei confronti di un soggetto che si trova su di un piano non paritetico
rispetto all’autorità.
Infine, nel concetto di poteri certificativi rientrano, invece, tutte le attività di documenta-
zione alle quali l’ordinamento assegna efficacia probatoria, quale che ne sia il grado.
Approfondimento: nel concetto di pubblico ufficiale di cui al citato art. 357 c.p.
dev’essere fatto rientrare, secondo la giurisprudenza prevalente e la dottrina (Man-
zini, Pannain), anche il cosiddetto funzionario di fatto, ovvero il soggetto che effetti-
vamente eserciti una pubblica funzione pur senza una formale o regolare – perché
affetta da annullabilità o nullità non ancora riconosciuta e dichiarata dalla compe-
tente autorità – investitura, con la tolleranza o acquiescenza della Pubblica Ammini-
strazione (cfr. Cass. 17-6-1995, n. 6980). Trattasi di una figura di creazione dottrinale
con la quale si suole indicare l’esercizio dell’azione amministrativa da parte di un
soggetto privo della relativa legittimazione. La teoria del funzionario di fatto comporta
il riconoscere legittimi gli atti compiuti da tale figura e «trova vita solo allorquando si
tratti di esercizio di funzioni essenziali e/o indifferibili, che per loro natura riguardino i terzi
con efficacia immediata e diretta» (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 20-5-1999 n. 853) ed,
inoltre, è invocabile solo a vantaggio dei terzi medesimi. La figura, infatti, assolve
alla duplice esigenza di salvaguardare la continuità della azione amministrativa e di
tutelare l’affidamento del soggetto terzo che, in buona fede ed incolpevolmente, ha
ritenuto legittimo l’esercizio della pubblica funzione.
Ancora, l’art. 322-bis c.p. ha assimilato ai pubblici ufficiali, qualora esercitino funzioni
corrispondenti, e agli incaricati di un pubblico servizio negli altri casi i seguenti soggetti:
> i membri della Commissione europea, del Parlamento europeo, della Corte di Giu-
stizia e della Corte dei conti dell’Unione europea;
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> i funzionari e gli agenti assunti per contratto a norma dello statuto e i funzionari
delle Comunità europee o del regime applicabile agli agenti delle Comunità euro-
pee;
> le persone comandate dagli Stati membri o da qualsiasi ente pubblico o privato
presso le Comunità europee, che esercitino funzioni corrispondenti a quelle dei
funzionari o agenti delle Comunità europee;
> i membri e gli addetti a enti costituiti sulla base dei Trattati che istituiscono le Co-
munità europee;
> ai giudici, al procuratore, ai procuratori aggiunti, ai funzionari e agli agenti della
Corte penale internazionale, alle persone comandate dagli Stati parte del Trattato
istitutivo della Corte penale internazionale le quali esercitino funzioni corrispon-
denti a quelle dei funzionari o agenti della Corte stessa, ai membri ed agli addetti
a enti costituiti sulla base del Trattato istitutivo della Corte penale internazionale
(assimilazione operata dalla L. 20-12-2012 n. 237).
Art. 358 c.p., Nozione della persona incaricata di un pubblico servizio: «(I). Agli
effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a
qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. (II). Per pubblico servizio deve
intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma
caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di questa ultima, e con esclusione
dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera me-
ramente materiale».
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Art. 359 c.p., Persona esercente un servizio di pubblica necessità: «(I). Agli effetti
della legge penale, sono persone che esercitano un servizio di pubblica necessità: 1) i
privati che esercitano professioni forensi o sanitarie, o altre professioni il cui esercizio
sia per legge vietato senza una speciale abilitazione dello Stato, quando dell’opera di
essi il pubblico sia per legge obbligato a valersi; 2) i privati che, non esercitando una
pubblica funzione, né prestando un pubblico servizio, adempiono un servizio dichia-
rato di pubblica necessità mediante un atto della pubblica amministrazione».
Art. 360 c.p., Cessazione della qualità di pubblico ufficiale: «(I). Quando la legge
considera la qualità di pubblico ufficiale, o di incaricato di un pubblico servizio,
o di esercente un servizio di pubblica necessità, come elemento costitutivo o come
circostanza aggravante di un reato, la cessazione di tale qualità, nel momento in
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La legge anticorruzione 2015 (L. 69/2015) aveva introdotto nel codice penale la nor-
ma in questione prevedendo, per i reati di cui agli articoli sopra menzionati (artt.
314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320 e 322-bis), il pagamento di una somma pari
all’ammontare di quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale o dall’inca-
ricato di un pubblico servizio a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’ammi-
nistrazione cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio appartiene,
ovvero nel caso di cui all’articolo 319-ter c.p., in favore dell’amministrazione della
giustizia, restando impregiudicato il diritto al risarcimento del danno.
Pertanto, accanto alla confisca del profitto, possibile anche per equivalente e prevista
dall’art. 322-ter c.p., con cui il legislatore privava il reo del vantaggio economico deri-
vatogli dalla commissione del reato, andava ad aggiungersi un’autentica sanzione pa-
trimoniale, per effetto della quale il medesimo profitto costituiva oggetto di specifica
condanna, finalizzata alla riparazione e al ristoro dell’Amministrazione.
La sanzione operava solo nei confronti del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico
servizio, mentre non operava per il privato corruttore: ciò in quanto la previsione
legislativa era a favore della Pubblica Amministrazione di appartenenza del soggetto
che aveva commesso il reato.
L’art. 1, co. 1, lett. q), L. 3/2019 ha inserito tra i reati menzionati dalla norma anche
l’art. 321 c.p. (Pene per il corruttore), ampliandone l’ambito di applicazione.
La legge anticorruzione 2019 ha altresì sostituito l’espressione «di una somma equi-
valente al prezzo o al profitto del reato a titolo di riparazione pecuniaria in favore
dell’amministrazione lesa dalla condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di
un pubblico servizi» a quella «di una somma pari all’ammontare di quanto indebita-
mente ricevuto dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio a titolo
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Soggetto del reato: può essere il pubblico ufficiale (357) o l’incaricato di un pubblico
servizio (358) (reato proprio).
Oggetto materiale: il denaro ovvero altra cosa mobile. Di tale denaro o di tale cosa
mobile il pubblico ufficiale o l’incaricato del pubblico servizio deve avere il possesso
o comunque la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio.
Non è configurabile il peculato se: il bene oggetto del reato sia di valore estremamen-
te esiguo (cfr. Cass., 6-12-2004, n. 47193); non sussista il requisito dell’altruità della
cosa oggetto del reato, rientrando in tale nozione di altruità sia la cosa di proprietà
altrui, sia quella oggetto di qualsiasi altro diritto reale o personale. Pertanto, il pub-
blico ufficiale che si appropria di una res nullius non commette alcun reato.
Oggetto della tutela: la norma mira non solo alla tutela del regolare funzionamento
e del prestigio degli enti pubblici, ma anche e soprattutto ad impedire danni patri-
moniali alla Pubblica Amministrazione: si tratta, dunque, di un reato plurioffensivo
(cfr. Cass., 24-8-1993, n. 8009).
Condotte punibili: la condotta tipica consiste nell’appropriarsi del denaro o di altra
cosa mobile posseduti per ragione d’ufficio o del servizio. Appropriarsi significa com-
portarsi nei confronti della cosa uti dominus, esercitando su di essa atti di dominio in-
compatibili con il titolo che ne giustifica il possesso (ad es. alienazione, distruzione,
mancata restituzione). Il concetto di appropriazione comprende anche la condotta di
distrazione, in quanto imprimere alla cosa una destinazione diversa da quella consen-
tita dal titolo del possesso significa esercitare su di essa poteri tipicamente proprieta-
ri e, quindi, impadronirsene (cfr. Cass. 13-6-2014, n. 25258).
La nuova formulazione dell’art. 314 c.p., nella parte in cui ha equiparato al posses-
so la disponibilità, ha dato definitivamente conferma alla tesi secondo cui, ai fini
dell’integrazione del peculato, rilevano tanto la disponibilità materiale, quanto quel-
la giuridica, della res. In tal senso, la Cassazione, dopo aver ribadito che la nozione
di possesso di denaro deve intendersi come comprensiva non solo della detenzione
materiale, ma anche della disponibilità giuridica, ha affermato che l’appropriazione
di esso può avvenire anche attraverso il compimento di un atto di carattere disposi-
tivo (es. l’atto di ricognizione, posto in essere dall’amministratore di una società di
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Parte della dottrina (Russo) ha individuato un duplice fondamento alla base dell’a-
bolizione del peculato per distrazione: da un lato, eliminare i dubbi giurisprudenzia-
li su tale ipotesi di reato; dall’altro, la difficoltà di realizzare un efficiente sistema di
controlli in campo amministrativo, che consenta di ridurre il margine di discreziona-
lità del giudice penale, in ossequio al principio di separazione dei poteri.
Va, tuttavia, precisato che l’abolizione della figura del peculato per distrazione non
significa che il legislatore abbia inteso sguarnire di copertura quelle esigenze di tu-
tela che pur erano affidate ad essa: la protezione delle medesime è, in realtà, solo
demandata ad altra disposizione che, come si legge più volte nella stessa relazione
alla legge, è da identificarsi nel nuovo abuso d’ufficio delineato nell’art. 323 c.p.
Art. 314 c.p., Peculato, secondo comma: ai sensi dell’art. 314, co. 2, «Si applica la
pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo sco-
po di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata
immediatamente restituita».
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Una delle ipotesi di scuola: l’utilizzo del telefono d’ufficio per fini personali al di
fuori dei casi d’urgenza o di specifiche e legittime autorizzazioni, integra il reato
di peculato d’uso se produce un danno apprezzabile al patrimonio della P.A. o di
terzi, ovvero una lesione concreta alla funzionalità dell’ufficio, mentre deve ritenersi
penalmente irrilevante se non presenta conseguenze economicamente e funzional-
mente significative (cfr. Cass., sez. un., 2-5-2013, n. 19054).
Deve, infine, precisarsi che il peculato d’uso è connotato dalla preordinazione
dell’appropriazione ad un uso temporaneo, quindi non meramente istantaneo, della
cosa e dalla immediata restituzione della stessa dopo il momentaneo utilizzo, con la
conseguenza che, in presenza di tali requisiti, la reiterazione delle condotte determi-
na l’integrazione di una pluralità di reati ex art. 314, co. 2, c.p., eventualmente avvinti
dal vincolo della continuazione, ma non il mutamento della qualificazione giuridica
del fatto in peculato ordinario ex art. 314, co. 1, c.p. (cfr. Cass. 25-9-2014, n. 39770).
Elemento soggettivo: la fattispecie di peculato d’uso configura come dolo specifico
lo scopo di usare momentaneamente della cosa.
Trattamento sanzionatorio: quanto al peculato d’uso, la pena resta la reclusione da
6 mesi a 3 anni.
Art. 316 c.p., Peculato mediante profitto nell’errore altrui: «(I). Il pubblico ufficia-
le o l’incaricato di un pubblico servizio, il quale, nell’esercizio delle funzioni o del
servizio, giovandosi dell’errore altrui, riceve o ritiene indebitamente, per sé o per
un terzo, denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni».
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Art. 316-bis c.p., Malversazione a danno dello Stato: «(I). Chiunque, estraneo alla
pubblica amministrazione, avendo ottenuto dallo Stato o da altro ente pubblico
o dalle Comunità europee contributi, sovvenzioni o finanziamenti destinati a
favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere od allo svolgimento di attività
di pubblico interesse, non li destina alle predette finalità, è punito con la reclusione
da sei mesi a quattro anni».
Art. 316-ter c.p., Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato: «(I). Salvo
che il fatto costituisca il reato previsto dall’articolo 640-bis, chiunque mediante l’u-
tilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non
vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamen-
te, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni
dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri
enti pubblici o dalle Comunità europee è punito con la reclusione da sei mesi a tre
anni. La pena è della reclusione da uno a quattro anni se il fatto è commesso da un
pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso della sua
qualità o dei suoi poteri. (II). Quando la somma indebitamente percepita è pari o
inferiore a 3.999,96 euro si applica soltanto la sanzione amministrativa del paga-
mento di una somma di denaro da 5.164 euro a 25.822 euro. Tale sanzione non può
comunque superare il triplo del beneficio conseguito».
Soggetto del reato: trattasi di reato comune, potendo essere realizzato da chiunque, ed
a carattere sussidiario, sussistendo solo se il fatto non costituisca il diverso reato di
cui all’art. 640-bis c.p.
Condotte punibili: la condotta può consistere nell’utilizzare o nel presentare dichia-
razioni o documenti falsi o attestanti cose non vere; in presenza di artifici o raggiri
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Art. 317 c.p., Concussione: «Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico ser-
vizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a
promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità, è punito con la
reclusione da sei a dodici anni».
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denza prevalente e parte della dottrina ritengono che nella nozione di utilità, di cui
all’art. 317, rientrino solo i vantaggi per il patrimonio o la persona dell’agente, con
esclusione quindi dei profitti meramente sentimentali, dei compiacimenti estetici e
dei piaceri sessuali.
Per contro, altra parte della giurisprudenza e della dottrina ritiene che il concetto di
utilità sia comprensivo di qualsiasi forma di vantaggio o piacere, compresi quelli che
costituiscono i più riprovevoli (Antolisei).
Alla concussione è applicabile l’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, c.p., essendo regola
generale la riparabilità del danno ex art. 185 c.p. (cfr. Cass., Sez. Un., 1-2-1992, n.
1048).
Oggetto della tutela: lo scopo della norma è duplice: con essa, il legislatore ha inteso
tutelare l’interesse della P.A. alla correttezza e alla buona reputazione dei pubblici
funzionari, evitando nel contempo che gli estranei subiscano sopraffazioni e in gene-
re danni per gli abusi di potere dei funzionari medesimi.
Condotte punibili: l’abuso della qualità consiste nella strumentalizzazione da parte
del pubblico funzionario della propria qualifica soggettiva, finalizzata a costringere
(o indurre, ex art. 319-quater) taluno alla dazione o alla promessa di prestazioni non
dovute.
Per rilevare come condotta concussoria, l’abuso deve produrre un effetto motivante
nei confronti del destinatario, nel senso che la vittima deve prevedere come proba-
bile un’estrinsecazione funzionale dei poteri del reo, pregiudizievole per sé e per i
suoi interessi.
L’abuso dei poteri consiste, invece, nella strumentalizzazione, da parte del pubblico
ufficiale, dei poteri funzionali conferitigli. Il caso più comune: il pubblico ufficiale fa
uso dei poteri inerenti alla pubblica funzione o al pubblico servizio in modo distorto
o eccedendo i limiti stabiliti dalla legge ovvero in violazione delle regole giuridiche
di legalità, imparzialità e buon andamento.
L’abuso del potere, dunque, presuppone la capacità di esercitare legittimamente il pote-
re, in quanto rientrante nei limiti della competenza, e consiste nell’esercizio della po-
testà, di cui il soggetto è investito, difformemente dallo scopo per cui la legge gliel’ha
conferita. In tale seconda forma di abuso, quindi, il pubblico ufficiale prospetta un
uso del potere non conforme a quello che ne costituisce la causa o funzione.
L’abuso della funzione deve avere come effetto il costringimento della vittima a dare o
promettere danaro o altra utilità non dovuti. La costrizione consiste in quel compor-
tamento del pubblico ufficiale idoneo ad ingenerare nel privato una situazione di
timore, cd. metus, derivante dall’esercizio del potere pubblico, che sia tale da limitare
la libera determinazione di quest’ultimo, ponendolo in una situazione di minorata
difesa rispetto alle richieste più o meno larvate di denaro o altra utilità, e si distingue
dall’induzione, elemento oggettivo della nuova fattispecie di cui all’art. 319-quater c.p.
(introdotto dalla riforma del 2012) che, invece, può manifestarsi in un contegno im-
plicito o blando del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio in grado,
comunque, di determinare uno stato di soggezione ovvero in un’attività di determi-
nazione più subdolamente persuasiva (cfr. Cass. 21-1-2013, n. 3093).
Si ha, dunque, costrizione quando il reo agisca con modalità ovvero con forme di
pressione tali da non lasciare margine alla libertà di autodeterminazione del destina-
tario della pretesa, il quale decide, senza che gli sia stato prospettato alcun vantaggio
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Art. 317-bis c.p., Pene accessorie: «(I) La condanna per i reati di cui agli articoli
314, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, co. 1, 320, 321, 322, 322-bis e 346-bis im-
porta l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e l’incapacità in perpetuo di con-
trattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di
un pubblico servizio. Nondimeno, se viene inflitta la reclusione per un tempo non
superiore a due anni o se ricorre la circostanza attenuante prevista dall’articolo
323-bis, primo comma, la condanna importa l’interdizione e il divieto temporanei,
per una durata non inferiore a cinque anni né superiore a sette anni. (II) Quando
ricorre la circostanza attenuante prevista dall’articolo 323-bis, secondo comma, la
condanna per i delitti ivi previsti importa le sanzioni accessorie di cui al primo co.
del presente articolo per una durata non inferiore a un anno né superiore a cinque
anni».
L’articolo è stato così sostituito dall’art. 1, co. 1, lett. m) L. 3/2019 (legge anticorru-
zione 2019). In precedenza il testo (nella versione modificata dall’art. 1, co. 75, L.
190/2012) recava: «La condanna per i reati di cui agli articoli 314, 317, 319 e 319-ter
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20 Reati contro la Pubblica Amministrazione
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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 21
Art. 318 c.p., Corruzione per l’esercizio della funzione: «(I). Il pubblico ufficiale
che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per
sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa è punito con la
reclusione da tre a otto anni».
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22 Reati contro la Pubblica Amministrazione
Corruzione propria antecedente (artt. 319, 320, 321 e 323-bis): il pubblico ufficiale
o l’incaricato di un pubblico servizio che, per omettere o ritardare un atto del pro-
prio ufficio, ovvero per compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio, riceva, per
sé o per un terzo, danaro o altra utilità, ovvero ne accetti la promessa, risponde di
corruzione propria antecedente in concorso necessario con chi dia o prometta il dana-
ro ovvero un’utilità a tali soggetti per uno dei fini sopraelencati.
Art. 319 c.p., Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio: «(I). Il pubblico
ufficiale, che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo
ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di uf-
ficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa,
è punito con la reclusione da sei a dieci anni».
Art. 320 c.p., Corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio: «(I). Le
disposizioni degli articoli 318 e 319 si applicano anche all’incaricato di un pubbli-
co servizio. (II). In ogni caso, le pene sono ridotte in misura non superiore ad un
terzo».
Art. 321 c.p., Pene per il corruttore: «(I). Le pene stabilite nel comma 1 dell’artico-
lo 318, nell’articolo 319, nell’articolo 319-bis, nell’articolo 319-ter e nell’articolo 320
in relazione alle suddette ipotesi degli articoli 318 e 319, si applicano anche a chi dà
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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 23
Art. 323-bis c.p., Circostanze attenuanti: «(I). Se i fatti previsti dagli articoli 314,
316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-quater, 320, 322, 322-bis e 323 sono di partico-
lare tenuità, le pene sono diminuite. (II). Per i delitti previsti dagli articoli 318, 319,
319-ter, 319-quater, 320, 321, 322 e 322-bis, per chi si sia efficacemente adoperato per
evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le
prove dei reati e per l’individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro
delle somme o altre utilità trasferite, la pena è diminuita da un terzo a due terzi».
La norma, inserita dalla L. 86/1990, prevede al primo comma l’attenuante della par-
ticolare tenuità del fatto per i reati ivi richiamati, mentre al secondo comma l’at-
tenuante del cd. ravvedimento operoso da parte dell’agente che si sia adoperato per
evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, ovvero per assicu-
rare le prove dei reati e per l’individuazione degli altri responsabili o, ancora, per il
sequestro delle somme o altre utilità trasferite (comma aggiunto dalla L. 69/2015).
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24 Reati contro la Pubblica Amministrazione
Corruzione propria susseguente (artt. 319, 320, 321 e 323-bis): il pubblico ufficiale
o l’incaricato di un pubblico servizio che riceva il denaro ovvero un’utilità per aver
agito contro i doveri del proprio ufficio, o per aver omesso o ritardato un atto d’uf-
ficio, nonché colui che abbia dato denaro/altra utilità a tali soggetti per i suddetti
fini rispondono, in concorso necessario tra loro, di tale reato.
Art. 319-ter c.p., Corruzione in atti giudiziari: «(I). Se i fatti indicati negli articoli
318 e 319 sono commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civi-
le, penale o amministrativo, si applica la pena della reclusione da sei a dodici anni.
(II). Se dal fatto deriva l’ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore
a cinque anni, la pena è della reclusione da sei a quattordici anni; se deriva l’ingiu-
sta condanna alla reclusione superiore a cinque anni o all’ergastolo, la pena è della
reclusione da otto a venti anni».
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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 25
Art. 319-quater c.p., Induzione indebita a dare o promettere utilità: «(I). Salvo che
il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico
servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a
promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la
reclusione da sei anni a dieci anni e sei mesi. (II). Nei casi previsti dal primo comma,
chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni».
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26 Reati contro la Pubblica Amministrazione
Art. 322 c.p., Istigazione alla corruzione: «(I). Chiunque offre o promette denaro
od altra utilità non dovuti ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pub-
blico servizio, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, soggiace, qualora
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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 27
l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nel comma 1 dell’arti-
colo 318, ridotta di un terzo. (II). Se l’offerta o la promessa è fatta per indurre un
pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio ad omettere o a ritardare
un atto del suo ufficio, ovvero a fare un atto contrario ai suoi doveri, il colpevo-
le soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita
nell’articolo 319, ridotta di un terzo. (III). La pena di cui al primo comma si ap-
plica al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio che sollecita una
promessa o dazione di denaro o altra utilità per l’esercizio delle sue funzioni o dei
suoi poteri. (IV). La pena di cui al secondo comma si applica al pubblico ufficiale
o all’incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di de-
naro od altra utilità da parte di un privato per le finalità indicate dall’articolo 319».
Con tale previsione il legislatore penale ha punito anche l’ipotesi dell’istigazione alla
corruzione propria e impropria. A ben guardare, trattasi di una deroga all’art. 115 c.p.
(Accordo per commettere un reato. Istigazione), poiché viene incriminata un’istigazione
non accolta.
La giurisprudenza ha chiarito che, per integrarne gli estremi, è sufficiente la sempli-
ce offerta o promessa di denaro o altra utilità non dovuti, purché caratterizzata da
adeguata serietà e in grado di turbare psicologicamente il pubblico ufficiale ovvero
l’incaricato di pubblico servizio: solo in tal caso, infatti, può sorgere il pericolo che
quest’ultimo accetti l’offerta o la promessa. Non è necessario invece, che l’offerta
abbia una giustificazione, né che sia specificata l’utilità promessa né quantificata la
somma di denaro, risultando bastevole la prospettazione, da parte dell’agente, dello
scambio illecito (cfr. Cass. 5-5-2004, n. 21095).
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28 Reati contro la Pubblica Amministrazione
Art. 322-ter c.p., Confisca: «(I). Nel caso di condanna, o di applicazione della pena
su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale,
per uno dei delitti previsti dagli articoli da 314 a 320, anche se commessi dai sog-
getti indicati nell’articolo 322-bis, primo comma, è sempre ordinata la confisca dei
beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona
estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il
reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto. (II).
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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 29
Nel caso di condanna, o di applicazione della pena a norma dell’articolo 444 del
codice di procedura penale, per il delitto previsto dall’articolo 321, anche se com-
messo ai sensi dell’articolo 322-bis, secondo comma, è sempre ordinata la confisca
dei beni che ne costituiscono il profitto salvo che appartengano a persona estranea
al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la
disponibilità, per un valore corrispondente a quello di detto profitto e, comunque,
non inferiore a quello del denaro o delle altre utilità date o promesse al pubblico
ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio o agli altri soggetti indicati nell’arti-
colo 322-bis, secondo comma. (III). Nei casi di cui ai commi primo e secondo, il
giudice, con la sentenza di condanna, determina le somme di denaro o individua
i beni assoggettati a confisca in quanto costituenti il profitto o il prezzo del reato
ovvero il valore corrispondente al profitto o al prezzo del reato».
Art. 323 c.p., Abuso d’ufficio: «(I). Salvo che il fatto non costituisca un più grave
reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento
delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ov-
vero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo
congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un
ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito
con la reclusione da uno a quattro anni. (II). La pena è aumentata nei casi in cui il
vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità».
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30 Reati contro la Pubblica Amministrazione
sacrati in norme espresse di legge, sono comunque inerenti alla natura stessa del po-
tere amministrativo e si ricavano dai principi generali dell’ordinamento (artt. 3 e 97
Costituzione); lo stesso nuovo testo dell’articolo, col generico richiamo alle norme di
legge o di regolamento, consente un’interpretazione estensiva. Altra parte della dottrina
ritiene che nella nozione rilevante di legge possa rientrarvi anche quella sul procedi-
mento amministrativo ed in genere le norme procedurali, purché il giudice verifichi,
caso per caso, la derivazione logico-causale del danno o del vantaggio ingiusto dalla
violazione della norma procedurale.
La giurisprudenza ha chiarito che sussiste il requisito della violazione di legge non solo
quando la condotta del pubblico ufficiale sia svolta in contrasto con le norme che
regolano l’esercizio del potere, ma anche quando la stessa risulti orientata alla sola
realizzazione di un interesse contrastante con quello per il quale il potere è attribui-
to, realizzandosi in tale ipotesi il vizio dello sviamento di potere, che integra la viola-
zione di legge poiché lo stesso non viene esercitato secondo lo schema normativo che
ne legittima l’attribuzione (cfr. Cass., sez. un., 10-1-2012, n. 155).
Con riguardo alla nozione di danno ingiusto, questa non può intendersi limitata solo
a situazioni soggettive di carattere patrimoniale e nemmeno a diritti soggettivi per-
fetti, ma riguarda anche l’aggressione ingiusta alla sfera della personalità per come
tutelata dalle norme costituzionali (cfr. Cass. 22-9-2016, n. 39452).
Il delitto è configurabile non solo quando la condotta si ponga in contrasto con il
significato letterale o logico-sistematico di una norma di legge o di regolamento, ma
anche quando la stessa contraddica lo specifico fine perseguito dalla norma, con-
cretandosi in uno svolgimento della funzione o del servizio che oltrepassi ogni possibile
scelta discrezionale attribuita al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servi-
zio; tuttavia, deve escludersi la sussistenza del reato qualora si sia in presenza di un
quadro normativo disorganico e suscettibile di contrapposte letture interpretative,
che impedisca di individuare con certezza una condotta violativa del contenuto pre-
cettivo di una precisa disposizione di legge o di regolamento (cfr. Cass. 21-7-2014, n.
32237).
Consumazione: il delitto si consuma con il verificarsi del vantaggio o del danno. In
giurisprudenza si è precisato che, nel caso in cui la condotta abusiva abbia prodotto
l’indebito rilascio di un permesso di costruire, il vantaggio configurante il momento
consumativo non si identifica con la realizzazione dell’immobile, ma con il rilascio
del titolo, rappresentante il momento in cui si amplia la sfera dei diritti patrimoniali
del beneficiato (cfr. Cass. 20-3-2007, n. 11620).
Tentativo: il nuovo testo risolve definitivamente anche la disputa sull’ammissibilità
del tentativo, che con la nuova formulazione della norma è senz’altro configurabile.
Elemento soggettivo e circostanze: sotto il profilo soggettivo è sufficiente il dolo
generico, dovendosi interpretare l’espressione intenzionalmente usata dal legislatore
nel senso di coscienza e volontà sia dell’abuso che dell’ingiusto vantaggio o danno.
La Cassazione ha precisato che, in tale reato, l’uso dell’avverbio intenzionalmente im-
plica la sussistenza del reato solo quando l’agente si rappresenti e voglia l’evento di
danno altrui o di vantaggio patrimoniale proprio o altrui come conseguenza diretta
ed immediata della sua condotta e come obiettivo primario perseguito, e non invece
quando egli intenda perseguire l’interesse pubblico come obiettivo primario (cfr.
Cass. 15-1-2004, n. 708). Ne consegue che, se l’evento tipico è una semplice con-
seguenza accessoria dell’operato dell’agente – diretto a perseguire in via primaria,
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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 31
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32 Reati contro la Pubblica Amministrazione
Art. 328 c.p., Rifiuto di atti d’ufficio. Omissione: «(I). Il pubblico ufficiale o l’in-
caricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio
che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igie-
ne e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei
mesi a due anni. (II). Fuori dei casi previsti dal primo comma il pubblico ufficiale
o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi
vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le
ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a
1.032 euro. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta
giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa».
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34 Reati contro la Pubblica Amministrazione
Art. 336 c.p., Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale: «(I). Chiunque usa vio-
lenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio,
per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto
dell’ufficio o del servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. (II).
La pena è della reclusione fino a tre anni, se il fatto è commesso per costringere
alcuna delle persone anzidette a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o
per influire, comunque, su di essa».
Art. 337 c.p., Resistenza a un pubblico ufficiale: «(I). Chiunque usa violenza o
minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico
servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli
prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni».
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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 35
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36 Reati contro la Pubblica Amministrazione
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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 37
te anni. (II). Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto per ottenere, ostacolare
o impedire il rilascio o l’adozione di un qualsiasi provvedimento, anche legislativo,
ovvero a causa dell’avvenuto rilascio o adozione dello stesso. (III). Alla stessa pena
soggiace chi commette il fatto per influire sulle deliberazioni collegiali di imprese
che esercitano servizi pubblici o di pubblica necessità, qualora tali deliberazioni
abbiano per oggetto l’organizzazione o l’esecuzione dei servizi».
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38 Reati contro la Pubblica Amministrazione
Art. 339 c.p., Circostanze aggravanti: «(I). Le pene stabilite nei tre articoli prece-
denti sono aumentate se la violenza o la minaccia è commessa nel corso di mani-
festazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero con armi, o da persona
travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico,
o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o
supposte. (II). Se la violenza o la minaccia è commessa da più di cinque persone
riunite, mediante uso di armi anche soltanto da parte di una di esse, ovvero da
più di dieci persone, pur senza uso di armi, la pena è, nei casi preveduti dalla
prima parte dell’articolo 336 e dagli articoli 337 e 338, della reclusione da tre a
quindici anni, e, nel caso preveduto dal capoverso dell’articolo 336, della reclusio-
ne da due a otto anni. (III). Le disposizioni di cui al secondo comma si applicano
anche, salvo che il fatto costituisca più grave reato, nel caso in cui la violenza o
la minaccia sia commessa mediante il lancio o l’utilizzo di corpi contundenti o
altri oggetti atti ad offendere, compresi gli artifici pirotecnici, in modo da creare
pericolo alle persone (articolo così modificato dall’art. 7 D.L. 53/2019, cosiddetto
decreto sicurezza-bis)».
La norma in esame, al primo comma, dispone che le pene stabilite per i suddetti
delitti (336, 337 e 338 c.p.) sono aumentate quando la violenza sia commessa «nel
corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero con armi, o da
persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbo-
lico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti
o supposte».
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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 39
Art. 346 c.p., Millantato credito: «(I). Chiunque, millantando credito presso un
pubblico ufficiale, o presso un pubblico impiegato che presti un pubblico servizio,
riceve o fa dare o fa promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo
della propria mediazione verso il pubblico ufficiale o impiegato, è punito con la
reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 309 euro a 2.065 euro. (II). La
pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da 516 euro a 3.098 euro,
se il colpevole riceve o fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità,
col pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale o impiegato, o di
doverlo remunerare».
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40 Reati contro la Pubblica Amministrazione
Art. 346-bis c.p., Traffico di influenze illecite: «(I). Chiunque, fuori dei casi di
concorso nei reati di cui agli articoli 319 e 319-ter, sfruttando relazioni esistenti con
un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente
fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come
prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l’incaricato di
un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un
atto contrario ai doveri di ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo uffi-
cio, è punito con la reclusione da uno a tre anni. (II). La stessa pena si applica a chi
indebitamente dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale (III). La pena
è aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri,
denaro o altro vantaggio patrimoniale riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di
incaricato di un pubblico servizio. (IV). Le pene sono altresì aumentate se i fatti
sono commessi in relazione all’esercizio di attività giudiziarie. (V). Se i fatti sono di
particolare tenuità, la pena è diminuita».
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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 41
ritardo di un atto del suo ufficio; quella di chi indebitamente dà o promette denaro o
altro vantaggio patrimoniale ai suddetti soggetti e per le finalità di cui sopra.
Il delitto costituisce una figura speciale di millantato credito.
Diversamente dall’ipotesi base, nell’ipotesi speciale la condotta del reo è volta ad
ottenere il compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio ovvero l’omissione o il
ritardo di un atto del proprio ufficio.
In quest’ottica è chiara la ratio della clausola di sussidiarietà, che esclude la configura-
bilità del reato ove la condotta del millantatore, lungi dal tradursi in mera vanteria
di conoscenze e relazioni, integri gli estremi del concorso nei reati di corruzione
propria o di corruzione in atti giudiziari.
Ulteriore elemento specializzante è costituito dalla punibilità del soggetto che corri-
sponde il denaro o il diverso vantaggio patrimoniale (differentemente dal millantato
credito comune, ove è esclusa la punibilità di tale soggetto).
Ancora, diversamente dall’ipotesi base, oltre al denaro, rilevano esclusivamente i
vantaggi di natura patrimoniale e non anche altre utilità. Pertanto, anche nell’ipote-
si speciale il denaro o il diverso vantaggio patrimoniale possono costituire il prezzo
della mediazione ovvero la remunerazione del pubblico ufficiale.
In definitiva, mentre nell’ipotesi base ai due diversi scopi dell’erogazione vengono as-
sociati due diversi trattamenti sanzionatori – dovuti al fatto che nella prima figura
l’agente promette solo la propria mediazione verso il pubblico ufficiale facendosi
dare o promettere il danaro o l’utilità come prezzo di tale mediazione, mentre nel-
la seconda figura il millantatore promette la corruzione del funzionario, in quanto
riceve la dazione o promessa con il pretesto di dover comprare il favore del funzionario –
nella figura speciale in esame, invece, mediazione e remunerazione quanto al profilo
sanzionatorio sono equiparate.
Elemento soggettivo e circostanze: la fattispecie è punibile a titolo di dolo generico
e consiste, dunque, nella coscienza e volontà di porre in essere la condotta tipica, ac-
compagnata dalla consapevolezza di ricevere il compenso o la promessa quale prezzo
della propria mediazione o come strumento per corrompere il pubblico funzionario.
Costituiscono circostanze aggravanti: il fatto commesso da chi riveste la qualifica di
pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio; il fatto commesso in rela-
zione all’esercizio di attività giudiziarie.
Costituisce una circostanza attenuante il fatto di particolare tenuità.
Trattamento sanzionatorio: la pena è la reclusione da 1 a 3 anni, anche per il de-
stinatario della millanteria (pena aumentata o ridotta fino ad un terzo in presenza,
rispettivamente, della configurazione aggravata o di quella attenuata).
Art. 348 c.p., Abusivo esercizio di una professione: «(I). Chiunque abusivamente
esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Sta-
to è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 10.000 a
euro 50.000. (II). La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la con-
fisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e, nel caso
in cui il soggetto che ha commesso il reato eserciti regolarmente una professione o
attività, la trasmissione della sentenza medesima al competente Ordine, albo o re-
gistro ai fini dell’applicazione dell’interdizione da uno a tre anni dalla professione
o attività regolarmente esercitata. (III). Si applica la pena della reclusione da uno a
cinque anni e della multa da euro 15.000 a euro 75.000 nei confronti del professio-
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42 Reati contro la Pubblica Amministrazione
nista che ha determinato altri a commettere il reato di cui al primo co. ovvero ha
diretto l’attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo».
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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 43
Con riguardo all’espressione determinare altri a commettere il reato, questa è già stata uti-
lizzata dal legislatore penale nell’ambito di circostanze aggravanti generali (es. artt.
111 e 112 c.p.) con riferimento a categorie specifiche di soggetti «quali, per esempio,
le persone soggette ad altrui autorità, direzione o vigilanza o i minori di età».
Con riguardo, invece, alla direzione, la norma in esame sanziona l’attività del professio-
nista abilitato che si avvalga dell’opera di soggetti privi di pubblica abilitazione, con
ruolo meramente direttivo. Diversamente, per le ipotesi di promozione ed organizza-
zione dei concorrenti, trova applicazione l’aggravante generale di cui all’art. 112 cit.
Come si diceva poco sopra, l’articolo è stato riformulato dalla L. 3/2018: prima di
tale intervento normativo, la giurisprudenza riteneva che il professionista abilitato
che avesse consentito o agevolato lo svolgimento di attività professionale da parte di
soggetto non autorizzato dovesse essere considerato concorrente nel reato.
Per effetto della modifica, invece, al professionista è riservata una sanzione inasprita
rispetto al concorrente non abilitato.
Trattamento sanzionatorio: la pena, per l’ipotesi base, è la reclusione da 6 mesi a 3
anni e la multa da 10.000 a 50.000 euro. Per l’ipotesi aggravata è la reclusione da 1 a
5 anni e la multa da 15.000 a 75.000 euro.
Il secondo comma, come riformato dalla L. 3/2018, ha disposto che la condanna per
il reato in esame è accompagnata dalla pubblicazione della sentenza e la confisca del-
le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato: trattasi di una pena
accessoria con valenza sanzionatoria, ma anche preventiva.
Art. 393-bis c.p., Causa di non punibilità: «Non si applicano le disposizioni degli
articoli 336, 337, 338, 339, 339-bis, 341-bis 342 e 343 quando il pubblico ufficiale o
l’incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa
al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue
attribuzioni».
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44 Reati contro la Pubblica Amministrazione
Art. 341-bis c.p., Oltraggio a pubblico ufficiale: «(I) Chiunque, in luogo pubblico
o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio
di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio
delle sue funzioni è punito con la reclusione fino a tre anni. (II) La pena è au-
mentata se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Se la verità
del fatto è provata o se per esso l’ufficiale a cui il fatto è attribuito è condannato
dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’offesa non è punibile. (III)
Ove l’imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno, mediante
risarcimento di esso sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti dell’en-
te di appartenenza della medesima, il reato è estinto».
La norma è stata introdotta, rectius reintrodotta, nel corpus del codice penale dall’art.
1, co. 8, L. 94/2009 (cd. Pacchetto sicurezza), con un ripensamento del legislatore pe-
nale rispetto alla legge-delega n. 205/1999 per la depenalizzazione dei reati minori,
con la conseguente abrogazione della fattispecie corrispondente.
Se la norma era il prodotto della concezione autoritaria e sacrale dei rapporti tra
pubblici ufficiali e collettività dei consociati, i promotori della reintroduzione della
figura delittuosa in esame hanno puntato i riflettori sulla tutela dell’immagine della
Pubblica Amministrazione e sull’importanza, altrimenti attenuata, delle istituzioni e
dei soggetti che incarnano queste ultime.
Soggetto attivo: chiunque (reato comune).
Condotte punibili: la norma incrimina chi, in luogo pubblico o aperto al pubblico
e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale
mentre compie un atto d’ufficio e a causa o nell’esercizio delle proprie funzioni.
Il legislatore sanziona penalmente l’offesa, manifestabile in qualsiasi modo (anche
con atti o in forma gestuale, oltre che con espressioni di uso comune, purché, per il
contesto in cui tali espressioni sono pronunciate, esprimano disprezzo per la funzio-
ne del pubblico ufficiale), all’onore (da intendersi come il complesso delle qualità mo-
rali di una persona) ed al prestigio (da intendersi come la particolare forma di decoro
determinata dalla posizione del soggetto passivo) del pubblico ufficiale.
Con riguardo all’offesa, la Suprema Corte ha recentemente affermato che, in tema
di oltraggio a pubblico ufficiale, un’espressione intrinsecamente offensiva, seppur di
uso corrente nel linguaggio moderno, abbia una valenza obiettivamente denigratoria
e minatoria, in quanto perde il carattere di antigiuridicità quando sia pronunciata in
circostanze che, esulando dai limiti della critica anche accesa, siano tali da incidere
in senso negativo sul consenso che il pubblico ufficiale deve avere nella società (cfr.
Cass. 2-12-2016, n. 51613).
Tuttavia, se ai sensi dell’originaria formulazione della norma il fatto doveva essere
commesso in presenza del pubblico ufficiale, nell’attuale configurazione il medesi-
mo dev’essere commesso in presenza di più persone (circostanza che, nella formula-
zione originaria, dava luogo ad un aggravio sanzionatorio),
Analogamente alla versione precedente della norma, il legislatore ha richiesto la pre-
senza di una relazione causale o temporale tra l’offesa e la qualifica funzionale.
L’inedito ultimo comma dispone che qualora l’imputato, prima del giudizio, abbia
riparato interamente il danno, mediante risarcimento di esso sia nei confronti della
persona offesa sia nei confronti dell’ente di appartenenza della medesima, il reato è
estinto.
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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 45
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