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Reati contro la Pubblica Amministrazione


Reati contro la Pubblica
Amministrazione

SOMMARIO
Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.)
Capitolo Unico
Delitti contro la Pubblica Amministrazione
(articoli 314-360 c.p.)

1.1 Evoluzione della disciplina legislativa


1.1.1 Le disposizioni codicistiche e le successive modifiche legislative
Il titolo II del libro I del codice penale è dedicato all’esame dei delitti contro la Pubblica
Amministrazione, ed è suddiviso in tre Capi:
> il primo capo riguarda i delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministra-
zione (articoli da 314 a 335-bis c.p.);
> il secondo riguarda i delitti dei privati contro la Pubblica Amministrazione (artt.
336-356 c.p.);
> il terzo, infine, che ha ad oggetto le disposizioni comuni ai capi precedenti (artt.
357-360).
Nel diritto penale, il concetto di Pubblica Amministrazione ha due diverse accezioni:
in senso lato, s’intendono tutte le pubbliche funzioni imputabili allo Stato o ad altro
Ente pubblico; in senso stretto, s’identifica con la mera funzione amministrativa, ovvero
con gli organi preposti all’esercizio della medesima funzione.
Il Codice Rocco ha inteso rifarsi ad una nozione lata di P.A., come si evince facilmen-
te dalla citata Relazione ministeriale, ove si può leggere «(...) per quanto attiene ai
reati compresi nel presente titolo, viene assunta al senso più ampio e comprensivo
dell’intera attività dello Stato e degli altri Enti pubblici. Pertanto, con le norme ri-
flettenti i delitti contro la pubblica amministrazione, viene tutelata non solo l’attività
amministrativa in senso stretto, tecnico, ma sotto un certo aspetto, anche quella legi-
slativa e giudiziaria. Invero, la legge penale, in questo titolo, prevede e persegue fatti
che impediscono o turbano il regolare svolgimento dell’attività dello Stato e degli
altri enti pubblici» (p. 110, Relazione cit.).
Il Codice ha, dunque, fatto proprio un ampio concetto di Pubblica Amministrazione,
peraltro funzionale ad un preciso obiettivo di tutela: la protezione dell’intera attività
dello Stato e degli altri enti pubblici «sia dagli attacchi portati dall’interno, sia da
quelli provenienti dall’esterno» (Pagliaro).
L’inserimento, in tale lato concetto di P.A., della funzione legislativa e della funzione
giudiziaria, corrisponde ad un preciso disegno di politica criminale, realizzato in un
momento ed in un contesto istituzionali che tendono alla «unità della sovranità e alla
degradazione della teoria della separazione dei poteri a semplice criterio di distribu-
zione delle competenze» (Bricola).
V’è stato anche chi (Severino Di Benedetto) ha criticato siffatta concezione, obiet-
tando che questa non risulti compatibile con i principi fondamentali dell’attuale

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Stato democratico che conferisce autonoma dimensione costituzionale alle diver-


se funzioni statali e che, di conseguenza, il concetto di Pubblica Amministrazione
dovrebbe avere un contenuto ristretto e coincidente con la mera funzione ammi-
nistrativa.
Sulla scorta di tale dicotomia, l’esigenza di rivedere l’originaria disciplina dei reati
contro la Pubblica Amministrazione ha sollecitato, negli anni, la presentazione di
numerosi progetti di riforma.

Invero, la categoria dei delitti in esame è stata oggetto di diverse modifiche legislative volte
a potenziare la risposta punitiva dello Stato nei confronti delle condotte illecite poste in
essere dai soggetti rivestiti di funzioni pubbliche nell’esercizio di tali funzioni e, conte-
stualmente, ad eliminare ogni ingiustificato ed arbitrario sindacato del giudice penale sul
merito (L. 26-4-1990, n. 86, Modifiche in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica
Amministrazione; L. 16-7-1997, n. 234, Modifica dell’articolo 323 del codice penale, in materia di
abuso d’ufficio, e degli articoli 289, 416 e 555 del codice di procedura penale; L. 6-11-2012 n. 190,
Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella Pubblica Ammi-
nistrazione c.d. legge anticorruzione 2012; L. 27-5-2015, n. 69, Disposizioni in materia di delitti
contro la Pubblica Amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio c.d. legge
anticorruzione 2015; L. 3-7-2017, n. 105, Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale
e al testo unico di cui al D.P.R. 570/1960, a tutela dei Corpi politici, amministrativi o giudiziari
e dei loro singoli componenti; L. 9-1-2019, n. 3, Misure per il contrasto dei reati contro la Pubblica
Amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e
movimenti politici, c.d. legge spazzacorrotti).

1.1.2 La legge anticorruzione 2019 (L. 3/2019)


Con la L. 9-1-2019, n. 3 è stato approvato un provvedimento che reca «Misure per il
contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di pre-
scrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici», la
cosiddetta legge spazzacorrotti, in vigore dal 31 gennaio 2019.
La legge consta di un unico articolo composto di 30 commi contenenti rilevanti novi-
tà in ambito penale, tra cui: il c.d. DASPO; l’ampliamento dei poteri dell’agente sotto
copertura; l’inasprimento delle pene per il delitto di corruzione, la riforma della
prescrizione, operativa dal 2020; una stretta ai finanziamenti dei partiti e regole più
severe per la dichiarazione dei redditi per Parlamentari e Ministri.
Vale la pena riportare, schematicamente, le modifiche apportate al codice penale:
> il DASPO. La legge ha introdotto il c.d. DASPO per i corrotti, ovvero misure più seve-
re per quanto riguarda l’interdizione dai pubblici uffici per corrotti e corruttori. È
stato previsto, infatti, che i pubblici ufficiali condannati per il delitto di corruzione
siano interdetti dalle cariche pubbliche per un periodo che va dai 5 a 7 anni, men-
tre per un biennio i medesimi soggetti non possano in alcun modo contrarre con
la Pubblica Amministrazione. Per le condanne superiori a 2 anni l’interdizione è a
vita, senza la possibilità di ricevere degli sconti, neanche in caso di patteggiamento
ovvero di ottenimento della libertà condizionale, ai sensi del rinnovato art. 317-bis
c.p., rubricato «Pene accessorie». Ancora, in virtù della modifica dell’art. 32-quater
c.p. («Casi nei quali alla condanna consegue la incapacità di contrattare con la Pub-
blica Amministrazione»), le suddette pene si applicano ad un numero più elevato
di reati commessi nell’esercizio delle pubbliche funzioni;

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> l’agente sotto copertura. Sotto il profilo delle indagini penali, la legge ha esteso
la disciplina delle operazioni di polizia sotto copertura al contrasto di alcuni reati
contro la Pubblica Amministrazione. Si tratta della discussa figura dell’agente sotto
copertura ovvero del cosiddetto agente provocatore. Chi agisce sotto copertura non è
punibile se, al solo fine di acquisire elementi di prova, metta in atto condotte che
costituirebbero reato, ma risultino necessarie per dimostrare l’esistenza di un dise-
gno criminoso più grande. L’agente sotto copertura, che era già previsto nell’am-
bito dei reati di stampo mafioso e terroristico nel corpus del codice, d’ora in avanti
sarà operativo anche per il reato di corruzione e per tutti gli altri delitti contro la
Pubblica Amministrazione. Conseguente a tali modifiche è l’inasprimento delle
pene per i delitti di corruzione e di appropriazione indebita, ai sensi del nuovo
comma 1 dell’art. 646 c.p. (Appropriazione indebita). Per il reato c.d. di corruzione im-
propria, sussistente quando il pubblico ufficiale si faccia corrompere in cambio del
compimento di un atto legato al suo ufficio, la pena è aumentata da uno a 3 anni
di reclusione nel minimo, e da 6 a 8 anni nel massimo, sì com’è stato modificato
l’art. 318 c.p.
Inoltre, i condannati per i reati contro la Pubblica Amministrazione (tra cui fi-
gurano: peculato, corruzione e concussione) non potranno più beneficiare delle
pene alternative alla detenzione, come i permessi premio e l’assegnazione di lavo-
ro esterno. Ancora, la legge ha aumentato la durata delle sanzioni interdittive che
possono essere comminate alle società e agli enti riconosciuti amministrativamen-
te responsabili di una serie di reati contro la P.A.;
> obbligo di trasparenza (art. 1, co. 17, lett. a e ss.). Per contrastare la corruzione e
prevenire gli sperperi del denaro pubblico, il testo approvato stabilisce delle nuo-
ve regole in merito alla trasparenza dei finanziamenti ai partiti. In particolare: per
ogni donazione superiore a 500 euro dovrà essere reso noto il nome del donatore;
sussiste l’obbligo di sottoscrivere una dichiarazione congiunta per le donazioni che
superano i 3.000 euro (rispetto ai 5.000 euro precedenti); ai fini dell’estensione delle
regole sulla trasparenza sono stati equiparati fondazioni e partiti politici (art. 1, co.
20); è stato sancito il divieto per le cooperative di finanziare i partiti. Per quanto
riguarda la dichiarazione dei redditi, inoltre, la legge anticorruzione stabilisce che
i Parlamentari, i Ministri ed i tesorieri di partito dovranno rendere pubbliche tutte
le donazioni ricevute superiori a 500 euro, anziché 5.000 euro, come previsto in
precedenza;
> riforma della prescrizione (art. 1, co. 1, lett. d). Tale modifica è stata attuata inno-
vando gli articoli 158 (nuovo comma 1), 159 (nuovo comma 2, abrogati i commi 3
e 4) e 160 (abrogato il comma 1 e modificato il comma 2) del codice penale. In sin-
tesi, il provvedimento ha: individuato nel giorno di cessazione della continuazione
il termine di decorrenza della prescrizione in caso di reato continuato (si tratta di
un ritorno alla disciplina anteriore alla legge ex Cirielli del 2005); ha sospeso il cor-
so della prescrizione dalla data di pronuncia della sentenza di primo grado (sia di
condanna che di assoluzione) o dal decreto di condanna, fino alla data di esecutività
della sentenza che definisce il giudizio o alla data di irrevocabilità del citato decreto.
L’emendamento è stato approvato, con il compromesso che le disposizioni di cui al
co. 1, lett. d), e) ed f) (tra cui rientra evidentemente quella in esame) diventeranno
operative solo il 1 gennaio 2020, in concomitanza con ulteriori e successive misure
di riforma del processo civile;

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> riabilitazione abbreviata e ravvedimento operoso. I condannati per corruzione po-


tranno ottenere dei tempi più brevi per la riabilitazione penale: si passa da 12 a 7
anni, ma la riabilitazione non si estende alle pene accessorie perpetue (art. 179 c.p.,
nuovo ultimo comma). Sul fronte del c.d. ravvedimento operoso, il testo di legge ha
previsto che non è punibile chi collabora con la giustizia e si autodenunci, entro
il lasso temporale di quattro mesi dalla commissione del reato. Da questa norma
è stato escluso il reato di traffico di influenze illecite (ex art. 346-bis c.p.). Infine, la
sospensione condizionale della pena nelle ipotesi di reati contro la Pubblica Am-
ministrazione è stata subordinata al pagamento della somma determinata a titolo
di riparazione pecuniaria ai sensi dell’art. 322-quater, come disposto dalla modifica
dell’art. 165, co. 4, c.p.

1.2 Nozioni generali e condotte rilevanti


I delitti contro la Pubblica Amministrazione presuppongono sempre la presenza di
un soggetto rivestito di una determinata qualifica: tale qualifica concerne il soggetto
attivo o il soggetto passivo o, ancora, l’oggetto della condotta incriminata. Le condot-
te cui la legge dà rilevanza, di seguito analizzate, sono tre: pubblico ufficiale, incaricato
di pubblico servizio, esercente un servizio di pubblica necessità.

Art. 357 c.p., Nozione del pubblico ufficiale: «(I). Agli effetti della legge penale,
sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa,
giudiziaria o amministrativa. (II). Agli stessi effetti è pubblica la funzione ammini-
strativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratteriz-
zata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica ammini-
strazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi».

Dal tenore letterale della norma è facile dedurre che l’elemento caratterizzante la
qualifica di pubblico ufficiale è l’esercizio da parte del soggetto di una funzione pubblica.
La riformulazione della norma negli anni Novanta mirava, infatti, ad una inequivo-
ca consacrazione legislativa della cosiddetta concezione funzionale oggettiva di «pubblico
ufficiale» e di «incaricato di pubblico servizio»: alla concezione, cioè, che fa dipendere la
titolarità dell’una ovvero dell’altra qualifica non tanto (e non solo) dal rapporto di
dipendenza tra il soggetto stesso ed un ente pubblico, quanto dai caratteri dell’atti-
vità oggettivamente esercitata. Irrilevante, dunque, è l’esistenza o meno di un rap-
porto d’impiego, permanente o temporaneo, tra il soggetto e un ente pubblico, in
quanto ciò che conta è esclusivamente che il soggetto in questione svolga, anche in
via di mero fatto, una pubblica funzione o un pubblico servizio.
La Suprema Corte di Cassazione ha con più arresti chiarito che è pubblico ufficiale il
pubblico dipendente o il privato che, nell’ambito dei poteri di diritto pubblico, può e deve formare
e manifestare la volontà della pubblica amministrazione, anche senza investiture formali, ovvero
esercita poteri autoritativi, deliberativi o certificativi, considerati distintamente. La stessa
Corte ha puntualizzato che è pubblico ufficiale ai sensi dell’art. 357 c.p. non solo colui
il quale con la sua attività concorre a formare la volontà dello Stato o degli altri enti
pubblici, ma anche chi è chiamato a svolgere compiti aventi carattere accessorio o
sussidiario ai fini istituzionali degli enti pubblici, poiché pure in questo caso ha luogo,

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attraverso l’attività svolta, una partecipazione, sia pure in misura ridotta, alla forma-
zione della volontà della Pubblica Amministrazione (cfr. Cass. 5-5-2004, n. 21088).
Ne discende che ai fini della qualifica di pubblico ufficiale non sia indispensabile
svolgere un’attività che abbia efficacia diretta nei confronti dei terzi, giacché ogni
atto preparatorio, propedeutico ed accessorio, che esaurisca nell’ambito del procedi-
mento amministrativo i suoi effetti certificativi, valutativi o autoritativi (seppure de-
stinato a produrre effetti interni alla Pubblica Amministrazione) comporta, in ogni
caso, l’attuazione dei fini dell’ente pubblico e non può essere isolato dal contesto
delle funzioni pubbliche.
Il secondo comma dell’articolo in parola ha aggiunto ulteriori connotati volti ad
operare la delimitazione interna tra Pubblica Amministrazione e pubblico servizio: la fun-
zione pubblica viene definita come attività caratterizzata dalla formazione e dalla
manifestazione della volontà della pubblica amministrazione ovvero, come ulteriore
criterio, quale attività caratterizzata dallo svolgimento di poteri deliberativi, autori-
tativi e certificativi.
Nel concetto di poteri deliberativi rientra l’attività amministrativa più elevata che si
sostanzia della formazione della volontà dell’ente, cui è equiparabile l’attività di rap-
presentanza in senso stretto ovvero quella che si manifesta all’esterno, nei rapporti
con i terzi: le deliberazioni prese dall’ente medesimo (Fiandaca-Musco).
Nel concetto di poteri autoritativi, invece, rientrano, per costante giurisprudenza (ex
multis, cfr. Cass. Sez. Un. 11-7-1992, n. 7958) e dottrina, non solo i poteri coercitivi,
ma anche tutte quelle attività che sono comunque esplicazione di un potere pubblico
discrezionale nei confronti di un soggetto che si trova su di un piano non paritetico
rispetto all’autorità.
Infine, nel concetto di poteri certificativi rientrano, invece, tutte le attività di documenta-
zione alle quali l’ordinamento assegna efficacia probatoria, quale che ne sia il grado.
Approfondimento: nel concetto di pubblico ufficiale di cui al citato art. 357 c.p.
dev’essere fatto rientrare, secondo la giurisprudenza prevalente e la dottrina (Man-
zini, Pannain), anche il cosiddetto funzionario di fatto, ovvero il soggetto che effetti-
vamente eserciti una pubblica funzione pur senza una formale o regolare – perché
affetta da annullabilità o nullità non ancora riconosciuta e dichiarata dalla compe-
tente autorità – investitura, con la tolleranza o acquiescenza della Pubblica Ammini-
strazione (cfr. Cass. 17-6-1995, n. 6980). Trattasi di una figura di creazione dottrinale
con la quale si suole indicare l’esercizio dell’azione amministrativa da parte di un
soggetto privo della relativa legittimazione. La teoria del funzionario di fatto comporta
il riconoscere legittimi gli atti compiuti da tale figura e «trova vita solo allorquando si
tratti di esercizio di funzioni essenziali e/o indifferibili, che per loro natura riguardino i terzi
con efficacia immediata e diretta» (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 20-5-1999 n. 853) ed,
inoltre, è invocabile solo a vantaggio dei terzi medesimi. La figura, infatti, assolve
alla duplice esigenza di salvaguardare la continuità della azione amministrativa e di
tutelare l’affidamento del soggetto terzo che, in buona fede ed incolpevolmente, ha
ritenuto legittimo l’esercizio della pubblica funzione.
Ancora, l’art. 322-bis c.p. ha assimilato ai pubblici ufficiali, qualora esercitino funzioni
corrispondenti, e agli incaricati di un pubblico servizio negli altri casi i seguenti soggetti:
> i membri della Commissione europea, del Parlamento europeo, della Corte di Giu-
stizia e della Corte dei conti dell’Unione europea;

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> i funzionari e gli agenti assunti per contratto a norma dello statuto e i funzionari
delle Comunità europee o del regime applicabile agli agenti delle Comunità euro-
pee;
> le persone comandate dagli Stati membri o da qualsiasi ente pubblico o privato
presso le Comunità europee, che esercitino funzioni corrispondenti a quelle dei
funzionari o agenti delle Comunità europee;
> i membri e gli addetti a enti costituiti sulla base dei Trattati che istituiscono le Co-
munità europee;
> ai giudici, al procuratore, ai procuratori aggiunti, ai funzionari e agli agenti della
Corte penale internazionale, alle persone comandate dagli Stati parte del Trattato
istitutivo della Corte penale internazionale le quali esercitino funzioni corrispon-
denti a quelle dei funzionari o agenti della Corte stessa, ai membri ed agli addetti
a enti costituiti sulla base del Trattato istitutivo della Corte penale internazionale
(assimilazione operata dalla L. 20-12-2012 n. 237).

Art. 358 c.p., Nozione della persona incaricata di un pubblico servizio: «(I). Agli
effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a
qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. (II). Per pubblico servizio deve
intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma
caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di questa ultima, e con esclusione
dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera me-
ramente materiale».

La norma, nel definire la qualifica di una persona incaricata di pubblico servizio, a


differenza della precedente formulazione ante riforma degli anni Novanta, sì come
novellata dall’art. 18 L. 86/1990, ha accentuato il profilo funzionale-oggettivo, elimi-
nando ogni riferimento al tipo di rapporto intercorrente tra lo Stato o altro ente
pubblico e il soggetto che presta il servizio. Ponendo l’accento sul dato oggettivo
della prestazione, ha qualificato come incaricati di pubblico servizio «coloro i quali, a
qualunque titolo, prestano un pubblico servizio».
Il secondo comma ha precisato il contenuto della nozione di pubblico servizio. Allo
stesso modo della funzione, anche il servizio dev’essere disciplinato da norme di di-
ritto pubblico, per definirsi pubblico. Il servizio rappresenta una nozione residuale
rispetto a quella di pubblica funzione, proprio perché caratterizzato dalla mancanza
di quei poteri di natura deliberativa, autorizzativa e certificativa che concorrono a
connotare quest’ultima.
Il legislatore ha precisato che non può mai costituire servizio pubblico lo svolgimento
di semplici mansioni di ordine, né la prestazione di opera meramente materiale: emerge, così,
un atteggiamento conservatore del legislatore.
La Suprema Corte ha chiarito che sono incaricati di pubblico servizio coloro i quali,
pur agendo nell’ambito di un’attività disciplinata nelle forme della pubblica funzio-
ne, mancano dei poteri tipici di questa, purché non svolgano semplici mansioni di
ordine, né prestino opera meramente materiale. Si ritiene, dunque, che la riforma
del ‘90 abbia operato un ampliamento della nozione di incaricato di pubblico servi-
zio, corredandola all’attività concretamente esercitata dall’agente, a prescindere da
un rapporto di subordinazione con l’ente pubblico (cfr. Cass. 25-1-1997, n. 3809).

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Art. 359 c.p., Persona esercente un servizio di pubblica necessità: «(I). Agli effetti
della legge penale, sono persone che esercitano un servizio di pubblica necessità: 1) i
privati che esercitano professioni forensi o sanitarie, o altre professioni il cui esercizio
sia per legge vietato senza una speciale abilitazione dello Stato, quando dell’opera di
essi il pubblico sia per legge obbligato a valersi; 2) i privati che, non esercitando una
pubblica funzione, né prestando un pubblico servizio, adempiono un servizio dichia-
rato di pubblica necessità mediante un atto della pubblica amministrazione».

La norma distingue due categorie di soggetti:


> i soggetti privati che svolgono la professione forense o sanitaria o altre professioni
per il cui esercizio è necessaria una speciale abilitazione dello Stato;
> i soggetti privati che adempiono un servizio dichiarato di pubblica necessità me-
diante un atto della Pubblica Amministrazione.
Al riguardo occorre precisare che anche i privati che esercitano professioni forensi o sani-
tarie di cui parla il co. 1, n. 1 dell’articolo, possono essere pubblici ufficiali allorché ne
ricorrano gli estremi, per cui: è pubblico ufficiale l’avvocato che autentica la firma di
un cliente in calce alla procura alle liti, perché esercita potestà certificativa (Antoli-
sei); è pubblico ufficiale il sanitario che eserciti le funzioni di ufficiale sanitario di un
Comune o le funzioni di medico condotto. Inoltre, vi è obbligo a valersi dell’opera di
uno dei tanti soggetti da parte del pubblico ogniqualvolta la legge imponga, espressamen-
te o implicitamente, l’assistenza di uno di tali soggetti nel compimento di un atto (ad
es. a pena di nullità dell’atto).
Il servizio di pubblica necessità è un’attività di natura privata, esercitata da soggetti pri-
vati in nome e per conto proprio e svincolata da ogni collegamento soggettivo con la
P.A., ma oggettivamente caratterizzata da un rilievo, da un bisogno e da un interesse
pubblico e come tale sottoposta a controllo da parte dello Stato (Romano).
Per distinguere il servizio di pubblica necessità dal pubblico servizio, ai sensi del n. 2 dell’ar-
ticolo in parola, occorre ricordare che il pubblico servizio esercitato dal soggetto
privato presuppone una vera e propria concessione amministrativa mentre il servizio
di pubblica necessità è quello esercitato sulla base di un provvedimento di «autoriz-
zazione» (Antolisei).
Approfondimento: È opportuno precisare che la semplice qualifica, nell’agente o
nella vittima, di pubblico ufficiale, di incaricato di un pubblico servizio o di esercen-
te un servizio di pubblica necessità, non basta affinché un determinato fatto possa
considerarsi rientrante tra le fattispecie criminose previste nel titolo secondo. Spes-
so, infatti, occorre un particolare rapporto tra la qualifica e il fatto, rapporto che può
essere di: contestualità, nel senso che il fatto deve essere commesso contestualmente
all’esercizio della funzione (es. art. 316 c.p.); finalità, nel senso che tra il fatto e la
funzione vi deve essere un nesso finalistico (es. art. 318 c.p.); causalità, nel senso che
il fatto deve verificarsi a causa dell’esercizio della funzione o servizio.

Art. 360 c.p., Cessazione della qualità di pubblico ufficiale: «(I). Quando la legge
considera la qualità di pubblico ufficiale, o di incaricato di un pubblico servizio,
o di esercente un servizio di pubblica necessità, come elemento costitutivo o come
circostanza aggravante di un reato, la cessazione di tale qualità, nel momento in

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10 Reati contro la Pubblica Amministrazione

cui il reato è commesso, non esclude la esistenza di questo né la circostanza aggra-


vante, se il fatto si riferisce all’ufficio o al servizio esercitato».

La disposizione – dettata, come le altre, nell’interesse dell’Amministrazione (Antoli-


sei) – opera un’estensione dell’efficacia delle norme che contemplano i delitti contro
la P.A. «al di là del permanere della qualifica» (Manzini) ovvero al caso in cui il fatto
sia commesso quando il soggetto abbia perso la qualità, purché tuttavia vi sia un nes-
so di carattere funzionale tra il fatto e la qualifica. Affinché, dunque, sia configurabi-
le il reato, occorre che il fatto si riferisca alle funzioni o al servizio, e cioè che esso sia
in qualche modo connesso con le funzioni già esercitate dal soggetto.
Ad esempio, si pensi all’ipotesi di un ex ufficiale che rilevi un segreto d’ufficio: la
norma in esame intende evitare che un caso del genere si possa verificare dopo la
cessazione della qualifica. Al fine di colmare lacune di tutela particolarmente insi-
diose, l’art. 360 c.p. incrimina anche i fatti commessi successivamente alla cessazione
dell’ufficio o del servizio ma ad esso riferibili (Antolisei).

Art. 322-quater c.p., Riparazione pecuniaria: «(I). Con la sentenza di condanna


per i reati previsti dagli articoli 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321 e
322-bis, è sempre ordinato il pagamento di una somma equivalente al prezzo o al
profitto del reato a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione
lesa dalla condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio,
restando impregiudicato il diritto al risarcimento del danno».

La legge anticorruzione 2015 (L. 69/2015) aveva introdotto nel codice penale la nor-
ma in questione prevedendo, per i reati di cui agli articoli sopra menzionati (artt.
314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320 e 322-bis), il pagamento di una somma pari
all’ammontare di quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale o dall’inca-
ricato di un pubblico servizio a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’ammi-
nistrazione cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio appartiene,
ovvero nel caso di cui all’articolo 319-ter c.p., in favore dell’amministrazione della
giustizia, restando impregiudicato il diritto al risarcimento del danno.
Pertanto, accanto alla confisca del profitto, possibile anche per equivalente e prevista
dall’art. 322-ter c.p., con cui il legislatore privava il reo del vantaggio economico deri-
vatogli dalla commissione del reato, andava ad aggiungersi un’autentica sanzione pa-
trimoniale, per effetto della quale il medesimo profitto costituiva oggetto di specifica
condanna, finalizzata alla riparazione e al ristoro dell’Amministrazione.
La sanzione operava solo nei confronti del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico
servizio, mentre non operava per il privato corruttore: ciò in quanto la previsione
legislativa era a favore della Pubblica Amministrazione di appartenenza del soggetto
che aveva commesso il reato.
L’art. 1, co. 1, lett. q), L. 3/2019 ha inserito tra i reati menzionati dalla norma anche
l’art. 321 c.p. (Pene per il corruttore), ampliandone l’ambito di applicazione.
La legge anticorruzione 2019 ha altresì sostituito l’espressione «di una somma equi-
valente al prezzo o al profitto del reato a titolo di riparazione pecuniaria in favore
dell’amministrazione lesa dalla condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di
un pubblico servizi» a quella «di una somma pari all’ammontare di quanto indebita-
mente ricevuto dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio a titolo

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di riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione cui il pubblico ufficiale o


l’incaricato di un pubblico servizio appartiene, ovvero, nel caso di cui all’articolo
319-ter, in favore dell’amministrazione della giustizia».

1.3 I delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica


Amministrazione (artt. 314-335-bis c.p.)
Art. 314 c.p., Peculato, primo comma: «(I). Il pubblico ufficiale o l’incaricato di
un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o
comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria,
è punito con la reclusione da quattro anni a dieci anni e sei mesi. (II). Si applica
la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo
scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è
stata immediatamente restituita».

Soggetto del reato: può essere il pubblico ufficiale (357) o l’incaricato di un pubblico
servizio (358) (reato proprio).
Oggetto materiale: il denaro ovvero altra cosa mobile. Di tale denaro o di tale cosa
mobile il pubblico ufficiale o l’incaricato del pubblico servizio deve avere il possesso
o comunque la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio.
Non è configurabile il peculato se: il bene oggetto del reato sia di valore estremamen-
te esiguo (cfr. Cass., 6-12-2004, n. 47193); non sussista il requisito dell’altruità della
cosa oggetto del reato, rientrando in tale nozione di altruità sia la cosa di proprietà
altrui, sia quella oggetto di qualsiasi altro diritto reale o personale. Pertanto, il pub-
blico ufficiale che si appropria di una res nullius non commette alcun reato.
Oggetto della tutela: la norma mira non solo alla tutela del regolare funzionamento
e del prestigio degli enti pubblici, ma anche e soprattutto ad impedire danni patri-
moniali alla Pubblica Amministrazione: si tratta, dunque, di un reato plurioffensivo
(cfr. Cass., 24-8-1993, n. 8009).
Condotte punibili: la condotta tipica consiste nell’appropriarsi del denaro o di altra
cosa mobile posseduti per ragione d’ufficio o del servizio. Appropriarsi significa com-
portarsi nei confronti della cosa uti dominus, esercitando su di essa atti di dominio in-
compatibili con il titolo che ne giustifica il possesso (ad es. alienazione, distruzione,
mancata restituzione). Il concetto di appropriazione comprende anche la condotta di
distrazione, in quanto imprimere alla cosa una destinazione diversa da quella consen-
tita dal titolo del possesso significa esercitare su di essa poteri tipicamente proprieta-
ri e, quindi, impadronirsene (cfr. Cass. 13-6-2014, n. 25258).
La nuova formulazione dell’art. 314 c.p., nella parte in cui ha equiparato al posses-
so la disponibilità, ha dato definitivamente conferma alla tesi secondo cui, ai fini
dell’integrazione del peculato, rilevano tanto la disponibilità materiale, quanto quel-
la giuridica, della res. In tal senso, la Cassazione, dopo aver ribadito che la nozione
di possesso di denaro deve intendersi come comprensiva non solo della detenzione
materiale, ma anche della disponibilità giuridica, ha affermato che l’appropriazione
di esso può avvenire anche attraverso il compimento di un atto di carattere disposi-
tivo (es. l’atto di ricognizione, posto in essere dall’amministratore di una società di

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12 Reati contro la Pubblica Amministrazione

gestione di un pubblico servizio, di un falso debito pecuniario; cfr. Cass. 14-11-2013,


n. 45908).
Sul concetto di ragione d’ufficio, come titolo del possesso, vi è incertezza in dottrina e
in giurisprudenza. Per la Cassazione, il possesso qualificato dalla ragione d’ufficio
o di servizio non è solo quello che rientra nella competenza funzionale specifica del
pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, ma anche quello che si basa
su un rapporto che consente al soggetto di inserirsi di fatto nel maneggio o nella
disponibilità della cosa o del denaro altrui, rinvenendo nella pubblica funzione o
nel servizio la sola occasione per tale comportamento (cfr. Cass. 31-3-2014, n. 14825).
La dottrina, invece, rifiuta generalmente che la ragione d’ufficio si possa considerare
equivalente ad occasione (Fiandaca-Musco) e ritiene, quindi, necessario un nesso cau-
sale tra il possesso e l’esercizio della funzione.
Tentativo: la giurisprudenza ha ritenuto l’ammissibilità del tentativo, in quanto la
condotta del reo può consistere in più atti (ex multis, cfr. Cass. 9 aprile 1980).
Elemento soggettivo e circostanze: il dolo del reato di peculato è generico, consi-
stendo nella coscienza e volontà dell’appropriazione. Si ritiene che, per aversi vera
interversione nel possesso, non basti acquisire la materiale disponibilità della res,
occorrendo che il reo abbia agito con la volontà di ritenere il bene (c.d. animus rem
sibi habendi).
Atteso che la qualità del pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio e
l’abuso di tale qualità costituiscono elemento essenziale del reato, non sono ipotizza-
bili per il delitto di peculato le aggravanti di cui ai nn. 9 e 11 dell’art. 61 c.p. Nessun
dubbio, invece, sussiste circa la configurabilità dell’aggravante di cui al n. 7 dell’art.
61 (danno patrimoniale di rilevante gravità).
Il reato è attenuato ove il fatto sia di particolare tenuità, ex art. 323-bis c.p.
Consumazione: il peculato si consuma nel tempo e nel luogo in cui si verifica l’appro-
priazione del denaro o della cosa ovvero quando il soggetto inizia a comportarsi nei
confronti della cosa uti dominus. Non è richiesto anche il verificarsi di un danno per
la Pubblica Amministrazione.
Le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato, in proposito, che il peculato si
consuma nel momento in cui abbia luogo l’appropriazione della res o del danaro da
parte dell’agente, la quale, anche quando non arreca, per qualsiasi motivo, danno
patrimoniale alla P.A., è comunque lesiva dell’ulteriore interesse tutelato dall’art. 314
c.p. che si identifica nella legalità, imparzialità e buon andamento del suo operato
(cfr. Cass. Sez. Un. 6-10-2009, n. 38691).
Più di recente, invece, è prevalso l’orientamento per il quale non sussiste il delitto di
peculato in assenza di intrinseco rilievo economico dell’oggetto dell’appropriazione
e di concreta incidenza di quest’ultima sulla funzionalità dell’ufficio o del servizio
(cfr. Cass. 18-10-2013, n. 42836).
Trattamento sanzionatorio: per effetto delle modifiche all’impianto sanzionatorio di
tale fattispecie, dovute alla citata L. 69/2015 (legge anticorruzione 2015), la pena è della
reclusione da 4 a 10 anni e 6 mesi (prima dei citati correttivi era da 4 a 10 anni). In
precedenza, la legge anticorruzione del 2012 aveva sostituito la parola quattro con la
parola tre (art. 1, co. 75, L. 190/2012).
Approfondimento: la nuova formulazione dell’art. 314 c.p. ha fatto venir meno il
peculato cosiddetto per distrazione che si concretizzava nell’indirizzare la cosa o il
danaro a profitto proprio o di altri.

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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 13

Parte della dottrina (Russo) ha individuato un duplice fondamento alla base dell’a-
bolizione del peculato per distrazione: da un lato, eliminare i dubbi giurisprudenzia-
li su tale ipotesi di reato; dall’altro, la difficoltà di realizzare un efficiente sistema di
controlli in campo amministrativo, che consenta di ridurre il margine di discreziona-
lità del giudice penale, in ossequio al principio di separazione dei poteri.
Va, tuttavia, precisato che l’abolizione della figura del peculato per distrazione non
significa che il legislatore abbia inteso sguarnire di copertura quelle esigenze di tu-
tela che pur erano affidate ad essa: la protezione delle medesime è, in realtà, solo
demandata ad altra disposizione che, come si legge più volte nella stessa relazione
alla legge, è da identificarsi nel nuovo abuso d’ufficio delineato nell’art. 323 c.p.

Art. 314 c.p., Peculato, secondo comma: ai sensi dell’art. 314, co. 2, «Si applica la
pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo sco-
po di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata
immediatamente restituita».

Trattasi, secondo un recente orientamento giurisprudenziale, di ipotesi autonoma


di reato e non di un’attenuante del peculato. Questa scelta legislativa mira a due
obiettivi: per un verso, a colmare vuoti di tutela, eliminando ogni incertezza circa
la rilevanza penale dell’ipotesi di utilizzo momentaneo, da parte del pubblico uffi-
ciale o dell’incaricato di pubblico servizio, di beni della Pubblica Amministrazione
o comunque di altri; per altro verso, a dosare il trattamento sanzionatorio in modo
corrispondente al minore disvalore del fatto.
Strutturalmente la fattispecie di peculato d’uso ripete lo schema del furto d’uso,
disciplinato ex art. 626, n. 1, c.p.
Soggetto del reato: il pubblico ufficiale (357) o l’incaricato di un pubblico servizio
(358) (reato proprio).
Oggetto materiale del delitto: possono essere solo le cose mobili di specie: se fossero
il denaro o le cose generiche, sarebbe configurabile il peculato ex art. 314, co. 1, (in
senso contrario, v. Cass. 19-4-1995, n. 4195). Quanto agli altri elementi, si rinvia al
peculato.
Ricorre, invece, l’ipotesi di peculato mediante profitto dell’errore altrui di cui all’art. 316
c.p., quando, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio «nell’esercizio
delle funzioni o del servizio, giovandosi dell’errore altrui, riceve o ritiene indebita-
mente, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da sei
mesi a tre anni».
Si tratta in sostanza di una forma attenuata di peculato caratterizzata dalla presenza
dell’errore (sull’an o sul quantum debeatur) di colui che effettua il pagamento. È neces-
sario che tale errore non sia in alcun modo provocato dolosamente dal funzionario,
altrimenti ricorre il reato di concussione.
Condotte punibili: per configurare il peculato d’uso è necessario che la durata
dell’appropriazione non superi il tempo di utilizzazione della cosa sottratta, in modo
da comportare una sottrazione della stessa alla sua destinazione istituzionale tale da
non compromettere seriamente la funzionalità della Pubblica Amministrazione. È,
inoltre, richiesto un rapporto di funzionalità della cosa sottratta rispetto alla natura
dell’uso momentaneo per cui si fa ricorso all’appropriazione (in tal senso Cass. 1-3-
2004, n. 9205).

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14 Reati contro la Pubblica Amministrazione

Una delle ipotesi di scuola: l’utilizzo del telefono d’ufficio per fini personali al di
fuori dei casi d’urgenza o di specifiche e legittime autorizzazioni, integra il reato
di peculato d’uso se produce un danno apprezzabile al patrimonio della P.A. o di
terzi, ovvero una lesione concreta alla funzionalità dell’ufficio, mentre deve ritenersi
penalmente irrilevante se non presenta conseguenze economicamente e funzional-
mente significative (cfr. Cass., sez. un., 2-5-2013, n. 19054).
Deve, infine, precisarsi che il peculato d’uso è connotato dalla preordinazione
dell’appropriazione ad un uso temporaneo, quindi non meramente istantaneo, della
cosa e dalla immediata restituzione della stessa dopo il momentaneo utilizzo, con la
conseguenza che, in presenza di tali requisiti, la reiterazione delle condotte determi-
na l’integrazione di una pluralità di reati ex art. 314, co. 2, c.p., eventualmente avvinti
dal vincolo della continuazione, ma non il mutamento della qualificazione giuridica
del fatto in peculato ordinario ex art. 314, co. 1, c.p. (cfr. Cass. 25-9-2014, n. 39770).
Elemento soggettivo: la fattispecie di peculato d’uso configura come dolo specifico
lo scopo di usare momentaneamente della cosa.
Trattamento sanzionatorio: quanto al peculato d’uso, la pena resta la reclusione da
6 mesi a 3 anni.

Art. 316 c.p., Peculato mediante profitto nell’errore altrui: «(I). Il pubblico ufficia-
le o l’incaricato di un pubblico servizio, il quale, nell’esercizio delle funzioni o del
servizio, giovandosi dell’errore altrui, riceve o ritiene indebitamente, per sé o per
un terzo, denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni».

Soggetto del reato: il pubblico ufficiale (357) o l’incaricato di un pubblico servizio


(358) (reato proprio).
Oggetto materiale: è il denaro o altra utilità. Con riguardo all’espressione «altra uti-
lità» vi è disaccordo in dottrina, in quanto quest’ultima è considerata equivalente ad
«altra cosa mobile» con motivazioni differenti e non sempre accettabili. In particolare,
autorevole dottrina ha ritenuto la natura patrimoniale del peculato incompatibile
con vantaggi di ordine morale (Pagliaro).
Oggetto della tutela: la norma intende tutelare pur sempre il patrimonio pubblico
ovvero il regolare funzionamento della P.A., sotto il profilo del buon andamento e
dell’imparzialità (Pagliaro).
Condotte punibili: consiste, alternativamente, nella ricezione o nella ritenzione per
sé o per un terzo.
Elemento soggettivo e circostanze: il dolo del peculato mediante profitto dell’erro-
re altrui è generico: consiste nella volontà di ricevere o ritenere il denaro o la cosa
mobile di cui il soggetto attivo è venuto in possesso nell’esercizio della sua funzione,
unitamente alla consapevolezza dell’errore altrui (Antolisei).
In applicazione delle regole generali il dolo è escluso nel caso in cui il soggetto attivo
abbia errato sulle norme che disciplinano l’esercizio della funzione o del servizio.
Consumazione: il momento consumativo è quello in cui l’agente riceve consapevol-
mente l’indebito, ovvero quello in cui trattiene la cosa o il denaro senza restituirla.
Tentativo: la giurisprudenza ha ritenuto l’ammissibilità del tentativo.
Trattamento sanzionatorio: il legislatore della riforma del 1990 ha modificato il trat-
tamento sanzionatorio, eliminando anche in questo caso la pena pecuniaria.

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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 15

Art. 316-bis c.p., Malversazione a danno dello Stato: «(I). Chiunque, estraneo alla
pubblica amministrazione, avendo ottenuto dallo Stato o da altro ente pubblico
o dalle Comunità europee contributi, sovvenzioni o finanziamenti destinati a
favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere od allo svolgimento di attività
di pubblico interesse, non li destina alle predette finalità, è punito con la reclusione
da sei mesi a quattro anni».

La fattispecie tende a soddisfare l’esigenza di fronteggiare, mediante strumenti di


controllo più incisivi di quelli già esistenti nell’ordinamento, il grave e crescente fe-
nomeno delle frodi nei finanziamenti pubblici.
Soggetto del reato: chiunque (reato comune) ovvero un privato estraneo alla P.A.: trat-
tandosi di un soggetto privo di ruoli pubblicistici, appare discutibile la collocazione
della malversazione ai danni dello Stato tra i delitti dei «pubblici ufficiali» contro la
P.A. La dottrina sostiene che si tratti di un reato proprio, in quanto il soggetto attivo
del reato non può essere un qualsiasi privato, ma soltanto il soggetto beneficiario del
finanziamento (Pelissero).
Oggetto della tutela: l’interesse protetto dalla fattispecie in esame attiene, più che
alla Pubblica Amministrazione, all’economia pubblica; più precisamente, oggetto di
tutela è la corretta gestione delle risorse pubbliche destinate ai fini di incentivazione
economica.
Condotte punibili: la condotta punita ha natura omissiva, e consiste nel non desti-
nare i contributi, le sovvenzioni o i finanziamenti alle previste finalità di pubblico
interesse.
Elemento soggettivo: il dolo è generico e consiste nella volontaria distrazione della
erogazione pubblica dalle finalità originarie a scopi incompatibili con il soddisfaci-
mento del pubblico interesse.
Trattamento sanzionatorio: è la reclusione da 6 mesi a 4 anni.

Art. 316-ter c.p., Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato: «(I). Salvo
che il fatto costituisca il reato previsto dall’articolo 640-bis, chiunque mediante l’u-
tilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non
vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamen-
te, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni
dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri
enti pubblici o dalle Comunità europee è punito con la reclusione da sei mesi a tre
anni. La pena è della reclusione da uno a quattro anni se il fatto è commesso da un
pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso della sua
qualità o dei suoi poteri. (II). Quando la somma indebitamente percepita è pari o
inferiore a 3.999,96 euro si applica soltanto la sanzione amministrativa del paga-
mento di una somma di denaro da 5.164 euro a 25.822 euro. Tale sanzione non può
comunque superare il triplo del beneficio conseguito».

Soggetto del reato: trattasi di reato comune, potendo essere realizzato da chiunque, ed
a carattere sussidiario, sussistendo solo se il fatto non costituisca il diverso reato di
cui all’art. 640-bis c.p.
Condotte punibili: la condotta può consistere nell’utilizzare o nel presentare dichia-
razioni o documenti falsi o attestanti cose non vere; in presenza di artifici o raggiri

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16 Reati contro la Pubblica Amministrazione

tesi ad ingannare l’autorità procedente, ricorrerà la diversa figura prevista dall’art.


640-bis c.p.
Può trattarsi tanto di una falsità materiale (documento non genuino perché contraf-
fatto o alterato), quanto di una falsità ideologica (dichiarazione non corrispondente
al vero o documento contenente un’affermazione non corrispondente al vero). Ad
avviso della Cassazione, il reato di falso di cui all’art. 483 c.p. resta assorbito in quello
di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato in tutti i casi in cui l’uso o
la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi costituiscano elementi essenziali
di quest’ultimo, pur quando la somma indebitamente percepita o non pagata dal
privato, non superando la soglia minima di erogazione (3.999,96 euro) dia luogo ad
una mera violazione amministrativa (Cass. Sez. Un. 25-2-2011, n. 7537). La seconda
modalità esecutiva consiste nell’omettere informazioni dovute.
Elemento soggettivo e circostanze: il dolo richiesto è specifico, dovendo il fatto es-
sere commesso al fine di conseguire l’erogazione. L’errore sulla genuinità del docu-
mento o sulla veridicità delle dichiarazioni esclude il dolo.
Ai sensi dell’art. 323-bis c.p., la pena è diminuita fino ad un terzo se il fatto è di par-
ticolare tenuità.
Consumazione: il delitto si consuma con il conseguimento indebito del beneficio
(contributo, finanziamento, mutuo agevolato o altra erogazione), sempreché lo stes-
so superi la cifra di 3.999,96 euro. Nel caso di erogazioni protratte nel tempo, il
momento consumativo del reato, e, quindi, il termine da prendere in esame ai fini
della prescrizione, coincide con la cessazione dei pagamenti (cfr. Cass. 5-12-2013, n.
48820).
Tentativo: la giurisprudenza ha ritenuto senza dubbio la configurabilità del tentativo.
Trattamento sanzionatorio: se la somma indebitamente percepita è pari o inferiore
a 3.999,96 euro, il fatto costituisce un mero illecito amministrativo. La pena è della
reclusione da sei mesi a tre anni.
La legge anticorruzione 2019 (art. 1, co. 1, lett. l, L. 3/2019) ha aggiunto l’ultimo
periodo del primo comma, per il quale la pena è della reclusione da 1 a 4 anni se il
fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio
con abuso della sua qualità o dei suoi poteri.

Art. 317 c.p., Concussione: «Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico ser-
vizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a
promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità, è punito con la
reclusione da sei a dodici anni».

Soggetto del reato: il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio (reato


proprio).
Quanto ai soggetti attivi, la fattispecie è stata oggetto di correttivi ad opera della
L. 69/2015 (legge anticorruzione 2015), in virtù dei quali è stato esteso il novero dei
potenziali soggetti attivi del reato agli incaricati di pubblico servizio, espressamente
esclusi dalla riforma del 2012, per tal via ritornando all’opzione politico-criminale
della riforma del 1990: soggetti passivi del reato sono dunque, contemporaneamente,
la Pubblica Amministrazione e la persona che subisce il danno derivante dall’abuso.
Oggetto materiale: il denaro o l’altra utilità. Oggetto della dazione o promessa deve
essere il denaro o altra utilità. Con riguardo al concetto di altra utilità la giurispru-

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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 17

denza prevalente e parte della dottrina ritengono che nella nozione di utilità, di cui
all’art. 317, rientrino solo i vantaggi per il patrimonio o la persona dell’agente, con
esclusione quindi dei profitti meramente sentimentali, dei compiacimenti estetici e
dei piaceri sessuali.
Per contro, altra parte della giurisprudenza e della dottrina ritiene che il concetto di
utilità sia comprensivo di qualsiasi forma di vantaggio o piacere, compresi quelli che
costituiscono i più riprovevoli (Antolisei).
Alla concussione è applicabile l’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, c.p., essendo regola
generale la riparabilità del danno ex art. 185 c.p. (cfr. Cass., Sez. Un., 1-2-1992, n.
1048).
Oggetto della tutela: lo scopo della norma è duplice: con essa, il legislatore ha inteso
tutelare l’interesse della P.A. alla correttezza e alla buona reputazione dei pubblici
funzionari, evitando nel contempo che gli estranei subiscano sopraffazioni e in gene-
re danni per gli abusi di potere dei funzionari medesimi.
Condotte punibili: l’abuso della qualità consiste nella strumentalizzazione da parte
del pubblico funzionario della propria qualifica soggettiva, finalizzata a costringere
(o indurre, ex art. 319-quater) taluno alla dazione o alla promessa di prestazioni non
dovute.
Per rilevare come condotta concussoria, l’abuso deve produrre un effetto motivante
nei confronti del destinatario, nel senso che la vittima deve prevedere come proba-
bile un’estrinsecazione funzionale dei poteri del reo, pregiudizievole per sé e per i
suoi interessi.
L’abuso dei poteri consiste, invece, nella strumentalizzazione, da parte del pubblico
ufficiale, dei poteri funzionali conferitigli. Il caso più comune: il pubblico ufficiale fa
uso dei poteri inerenti alla pubblica funzione o al pubblico servizio in modo distorto
o eccedendo i limiti stabiliti dalla legge ovvero in violazione delle regole giuridiche
di legalità, imparzialità e buon andamento.
L’abuso del potere, dunque, presuppone la capacità di esercitare legittimamente il pote-
re, in quanto rientrante nei limiti della competenza, e consiste nell’esercizio della po-
testà, di cui il soggetto è investito, difformemente dallo scopo per cui la legge gliel’ha
conferita. In tale seconda forma di abuso, quindi, il pubblico ufficiale prospetta un
uso del potere non conforme a quello che ne costituisce la causa o funzione.
L’abuso della funzione deve avere come effetto il costringimento della vittima a dare o
promettere danaro o altra utilità non dovuti. La costrizione consiste in quel compor-
tamento del pubblico ufficiale idoneo ad ingenerare nel privato una situazione di
timore, cd. metus, derivante dall’esercizio del potere pubblico, che sia tale da limitare
la libera determinazione di quest’ultimo, ponendolo in una situazione di minorata
difesa rispetto alle richieste più o meno larvate di denaro o altra utilità, e si distingue
dall’induzione, elemento oggettivo della nuova fattispecie di cui all’art. 319-quater c.p.
(introdotto dalla riforma del 2012) che, invece, può manifestarsi in un contegno im-
plicito o blando del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio in grado,
comunque, di determinare uno stato di soggezione ovvero in un’attività di determi-
nazione più subdolamente persuasiva (cfr. Cass. 21-1-2013, n. 3093).
Si ha, dunque, costrizione quando il reo agisca con modalità ovvero con forme di
pressione tali da non lasciare margine alla libertà di autodeterminazione del destina-
tario della pretesa, il quale decide, senza che gli sia stato prospettato alcun vantaggio

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18 Reati contro la Pubblica Amministrazione

diretto, di dare o promettere un’utilità, al solo scopo di evitare il danno minacciato


(cfr. Cass. 14-3-2013, n. 11944).
La costrizione può tradursi anche nella minaccia di un male indeterminato, purché
idonea a coartare la volontà del privato; essa non deve essere necessariamente esplici-
ta, potendosi anche desumere dal complessivo comportamento del pubblico ufficiale
(cfr. Cass. 6-11-2013, n. 44720).
Effetto del costringimento dev’essere la dazione o la promessa indebita.
Dazione è l’effettiva consegna della cosa in modo definitivo.
Oggetto della dazione può essere anche un’utilità o un bene immateriale: in tali ipo-
tesi non può esservi una consegna in senso tecnico, per cui la condotta si atteggerà
in modo diverso, secondo il tipo di utilità che si intende cedere al pubblico ufficiale
(es. si svolge un lavoro a vantaggio del pubblico ufficiale).
Promessa è l’impegno ad eseguire una futura prestazione, comunque assunta.
Indebita è la dazione o la promessa che non è dovuta, per legge o per consuetudine,
all’agente in quanto tale; è perciò indebita anche la dazione di una somma dovuta
al soggetto, ma come privato, ed ottenuta inducendo la vittima mediante l’abuso dei
suoi poteri o della sua qualità.
Così, ad esempio, risponderà di concussione l’agente della forza pubblica il quale,
essendo creditore di una somma di denaro per contratto di mutuo, induca il debitore
a pagargli la somma dovuta minacciando che, in caso contrario, lo arresterà per un
ipotetico, inesistente reato.
La dazione o la promessa indebita deve avvenire a favore dello stesso agente o a favore di
altri. Dottrina e giurisprudenza sono concordi nell’escludere che altri possa essere lo
Stato o l’ente pubblico da cui dipende l’agente.
Così, ad esempio, è stato escluso il reato di concussione nel caso del pubblico ufficia-
le che, per rilasciare un atto dovuto, abbia fatto versare una somma ai richiedenti in
favore dell’ospedale civile.
Concussione e truffa aggravata ex art. 61, n. 9, c.p.: secondo la giurisprudenza, i due
reati si differenziano per la diversa efficacia dell’abuso di ufficio, che nella concussio-
ne costituisce la causa dell’induzione in errore della vittima, mentre nella truffa ne
è solo mera occasione.
Elemento soggettivo e circostanze: il dolo previsto è generico; esso consiste nella
coscienza e volontà di tutti gli elementi del reato, con la consapevolezza del carattere
indebito della dazione o promessa (Antolisei). L’errore sul carattere indebito della
dazione o promessa esclude il dolo. Il delitto è attenuato se il fatto è di particolare
tenuità (323-bis c.p.).
Consumazione: il delitto si consuma nel momento e nel luogo in cui avviene la da-
zione o la promessa. Se, quindi, una volta intervenuta la promessa, segue la dazione,
quest’ultima non è autonomamente punibile, perché il reato è già consumato (post
factum non punibile).
Tentativo: nessun dubbio sussiste circa l’ammissibilità del tentativo, per la cui con-
figurabilità è sufficiente la richiesta di danaro o altra utilità, mediante costrizione.
Trattamento sanzionatorio: la pena è della reclusione da 6 a 12 anni (ante riforma
2012, il minimo edittale era di 4 anni).
La condanna comporta l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, salvo che, per
effetto di attenuanti, sia stata inflitta la reclusione per un tempo inferiore a 3 anni,
nel qual caso l’interdizione è temporanea (art. 317-bis c.p.). La condanna comporta,

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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 19

altresì, la pena accessoria dell’incapacità di contrattare con la Pubblica Amministra-


zione qualora il delitto stesso sia stato commesso a causa o in occasione dell’esercizio
di un’attività imprenditoriale, ai sensi degli artt. 19, n. 5, e 32-quater c.p.
Approfondimento: la concussione è il più grave tra i reati realizzabili dai soggetti
pubblici contro la Pubblica Amministrazione. Se la ratio di tale gravità andava colta,
all’interno della logica propria dello Stato totalitario, nell’esigenza di evitare sopraf-
fazioni da parte dei pubblici funzionari dotati di una posizione di supremazia rispet-
to ai singoli cittadini annullati nella comunità statuale, in uno Stato liberal-demo-
cratico, caratterizzato dalla reciproca parità di posizione tra individuo ed autorità,
questa dev’essere individuata nella preoccupazione di impedire la strumentalizzazio-
ne dell’ufficio al fine di coartare la libertà e l’autonomia del privato.
Secondo la più tradizionale dottrina (Antolisei), la concussione garantisce l’osser-
vanza del dovere di probità, fedeltà o correttezza del pubblico ufficiale; la dottrina
moderna, invece, più sensibile alle dimensioni costituzionali dell’illecito penale, rav-
visa il bene tutelato nel regolare funzionamento della P.A., sotto il profilo del buon
andamento e dell’imparzialità ex art. 97 Cost.
La norma è stata oggetto di correttivi ad opera della L. 190/2012 (legge anticorruzione
2012). Ante riforma il legislatore sanzionava la concussione per costrizione e quelle per
induzione, per tale intendendosi un’attività dialettica dell’agente che, avvalendosi del-
le sue autorità e ricorrendo ad argomentazioni di indole varia, fondate su elementi
non privi di obiettiva veridicità, riesce a convincere il soggetto passivo alla dazione
o alla promessa. Con l’intervento del 2012, il legislatore penale ha reso autonoma
la concussione per induzione, creando una figura di reato ad hoc, prevista dall’art.
319-quater c.p., rubricato Induzione indebita a dare o a promettere utilità dotata di talune
peculiarità disciplinari rispetto alla figura base.
Invero, ai sensi della citata disposizione, riformulata dalla L. 190/2012, nonché, da
ultimo, dalla L. 69/2015, risponde penalmente del reato di concussione «(I). Il pub-
blico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità
o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un
terzo, denaro o altra utilità, è punito con la reclusione da sei a dodici anni».

Art. 317-bis c.p., Pene accessorie: «(I) La condanna per i reati di cui agli articoli
314, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, co. 1, 320, 321, 322, 322-bis e 346-bis im-
porta l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e l’incapacità in perpetuo di con-
trattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di
un pubblico servizio. Nondimeno, se viene inflitta la reclusione per un tempo non
superiore a due anni o se ricorre la circostanza attenuante prevista dall’articolo
323-bis, primo comma, la condanna importa l’interdizione e il divieto temporanei,
per una durata non inferiore a cinque anni né superiore a sette anni. (II) Quando
ricorre la circostanza attenuante prevista dall’articolo 323-bis, secondo comma, la
condanna per i delitti ivi previsti importa le sanzioni accessorie di cui al primo co.
del presente articolo per una durata non inferiore a un anno né superiore a cinque
anni».

L’articolo è stato così sostituito dall’art. 1, co. 1, lett. m) L. 3/2019 (legge anticorru-
zione 2019). In precedenza il testo (nella versione modificata dall’art. 1, co. 75, L.
190/2012) recava: «La condanna per i reati di cui agli articoli 314, 317, 319 e 319-ter

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20 Reati contro la Pubblica Amministrazione

importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Nondimeno, se per circostanze


attenuanti viene inflitta la reclusione per un tempo inferiore a tre anni, la condanna
importa l’interdizione temporanea».
Con la nuova formulazione, dunque, per le condanne superiori a 2 anni l’interdizio-
ne è a vita, senza la possibilità di ricevere degli sconti, neanche in caso di patteggia-
mento ovvero di ottenimento della libertà condizionale.

1.4 Le fattispecie delittuose della corruzione


Il codice, agli artt. 318-322 c.p., disciplina i cosiddetti delitti di corruzione orientati
a colpire uno dei più gravi fenomeni di «disgregazione dello Stato e dell’ordine sociale»
(Contento).
La corruzione come reato unico a concorso necessario (Antolisei) consiste in un ac-
cordo criminoso ovvero un pactum sceleris, avente ad oggetto il mercimonio, il baratto
dell’attività funzionale della Pubblica Amministrazione.
La figura generale della corruzione che emerge, dunque, dall’esame coordinato di
tali articoli può essere definita come «un accordo fra un pubblico funzionario e un priva-
to, in forza del quale il primo accetta dal secondo, per un’attività relativa all’esercizio delle sue
attribuzioni un compenso che non gli è dovuto» (Antolisei).
Ratio dell’incriminazione della corruzione è il discredito che tale reato getta sull’in-
tera categoria dei pubblici funzionari e, quindi, sulla stessa Amministrazione pub-
blica.
Oggetto della tutela penale è l’interesse della P.A. all’imparzialità, correttezza e pro-
bità dei propri funzionari (cfr. art. 97 Cost.) e, in particolare, l’interesse che gli atti
d’ufficio – più in generale la pubblica funzione – non siano oggetto di compravendita
privata (Pagliaro).
Le norme in esame sono state oggetto di sostanziali correttivi ad opera della legge
anticorruzione 2012 (L. 190/2012). Invero, ante 2012, il codice distingueva la corruzio-
ne cd. propria da quella c.d. impropria sulla scorta di un criterio discretivo dato dalla
contrarietà ai doveri d’ufficio: nella corruzione propria, prevista dall’art. 319 cp., il
mercimonio dell’ufficio (l’omissione o il ritardo di un atto di ufficio, ovvero il compi-
mento di un atto contrario ai doveri di ufficio) concerneva un atto contrario ai doveri
d’ufficio nella corruzione impropria, disciplinata dall’art. 318 c.p., il mercimonio con-
cerneva un atto conforme ai doveri d’ufficio.
Nell’ambito di ciascuna figura, poi, veniva operata un’ulteriore distinzione: la cor-
ruzione (propria o impropria) cd. antecedente, allorquando il fatto di corruzione si
riferiva ad un atto che il funzionario non aveva ancora posto in essere; la corruzione
(propria o impropria) cd. susseguente, che si riferiva ad un fatto di corruzione che il
funzionario aveva già compiuto.
L’art. 318 c.p., nell’attuale formulazione – che ha molto risentito dei correttivi operati
dalla L. 190/2012 – distingue tra le due diverse forme di corruzione: quella propria, di
cui all’art. 319, ancorata alla prospettiva del compimento di un atto contrario ai doveri
d’ufficio (es. omissione di atto d’ufficio), con l’ulteriore distinzione tra antecedente e
susseguente; quella impropria, avente ad oggetto l’accettazione di un’utilità indebita ov-
vero della sua promessa, da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico
servizio, che prescinde dall’adozione o dall’omissione di atti inerenti al proprio ufficio,

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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 21

essendo esclusivamente finalizzata a remunerare l’esercizio delle funzioni o dei poteri


spettanti al pubblico ufficiale. Tale circostanza ha fatto venire meno, nella nuova cor-
ruzione impropria, non solo il distinguo tra corruzione antecedente e susseguente, ma
altresì del diverso trattamento sanzionatorio delle due, mancando il riferimento ad
uno specifico atto d’ufficio compiuto o da compiersi, oggetto della corruzione.

Art. 318 c.p., Corruzione per l’esercizio della funzione: «(I). Il pubblico ufficiale
che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per
sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa è punito con la
reclusione da tre a otto anni».

Soggetto attivo: il pubblico ufficiale (reato proprio). Trattasi di un reato necessaria-


mente plurisoggettivo, poiché risponde del delitto in esame tanto il corrotto, ovvero
il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, quanto il corruttore (privato
cittadino).
Elemento soggettivo e circostanze: il dolo richiesto è specifico e consiste nella coscien-
za e volontà del privato di dare o promettere il denaro o altra utilità e del funzionario
di accettare, con la consapevolezza che quanto corrisposto o promesso non sia do-
vuto, ma sia funzionale esclusivamente all’esercizio della funzione come voluto dal
corruttore.
La dottrina è concorde nel ritenere che l’elemento soggettivo del corrotto debba
essere valutato autonomamente rispetto a quello del corruttore. Pertanto, nel caso
in cui il privato per errore ritenga dovuta la dazione (errore su legge extrapenale),
essendo il funzionario consapevole del carattere indebito della medesima, il primo
non sarà punibile. Diversamente, la condotta del privato rileva a titolo di istigazione
alla corruzione.
Il reato è attenuato se il fatto è di particolare tenuità (art. 323-bis c.p.).
Consumazione: il delitto si consuma alternativamente con l’accettazione della pro-
messa ovvero con la dazione-ricezione dell’utilità e, tuttavia, ove alla promessa faccia
seguito la dazione-ricezione, è solo in tale ultimo momento che, approfondendosi
l’offesa tipica, il reato viene a consumazione.
Trattamento sanzionatorio: la pena è la reclusione da 3 a 8 anni.
La pena è stata così modificata dall’art. 1, co. 1, lett. n), L. 3/2019. Precedentemente
l’art. 1 L. 69/2015 aveva sostituito le parole «da uno a cinque anni» con le parole «da
uno a sei anni».
Approfondimento: la norma rientra fra quelle oggetto di correttivi ad opera della L.
190/2012. Tale intervento normativo, nel sostituire integralmente il previgente art.
318 (rubricato Corruzione per un atto d’ufficio), ha legato la percezione o la promessa
di indebito compenso all’esercizio delle funzioni o dei poteri del pubblico ufficiale
sganciandola, dunque, dal compimento di uno specifico atto di ufficio, con conse-
guente soppressione della corruzione susseguente, quale figura sanzionata più lieve-
mente. Con l’occasione si è provveduto, altresì, ad inasprire la risposta sanzionatoria
concernente il delitto in esame.
Diversamente dalla previgente formulazione della norma, per la quale l’oggetto dell’ac-
cordo criminoso consisteva nella realizzazione di un atto d’ufficio, nella vigente dispo-
sizione è invece il mercimonio ovvero l’esercizio della funzione o del potere secondo la
volontà del corruttore.

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22 Reati contro la Pubblica Amministrazione

L’innovazione si poneva nel solco di quanto affermato dalla giurisprudenza in mate-


ria, che attribuiva alla nozione di atto di ufficio un’accezione molto estensiva, spingen-
dosi addirittura a ritenere di poter prescindere dalla concreta individuazione di un
atto al cui compimento connettere l’accordo corruttivo.
Da un semplice confronto tra la previgente e l’attuale formulazione della norma
emerge che il corrispettivo della corruzione è qualsiasi prestazione in denaro ovvero
altra utilità: è scomparso, dunque, il riferimento alla retribuzione non dovuta. Con
il termine retribuzione, infatti, il legislatore penale intendeva escludere dall’ambito
di operatività della fattispecie le situazioni non caratterizzate da un vero e proprio
rapporto sinallagmatico tra la prestazione del corruttore e quella del corrotto, in-
cludendovi solo le dazioni o promesse proporzionate al tipo e all’importanza della
prestazione richiesta al pubblico ufficiale.
La Suprema Corte ha chiarito che riscrittura dell’articolo in esame, ad opera della L.
190/2012, non ha operato l’abolitio criminis delle condotte previste dalla precedente
formulazione, determinando invece un’estensione dell’area di punibilità e «configu-
rando una fattispecie di onnicomprensiva monetizzazione del munus pubblico, sganciata da
una logica di formale sinallagma» (cfr. Cass. 3-5-2013, n. 19189).
Per altra utilità si intende qualsiasi vantaggio materiale o morale, patrimoniale o non
patrimoniale, che abbia valore per il pubblico agente, a nulla rilevando, inoltre, che
lo stesso venga corrisposto a distanza di tempo dall’accordo corruttivo (cfr. Cass.
5-11-2014, n. 45847).
Indebita è la dazione o promessa non dovuta sia perché espressamente vietata dalla
legge, sia perché non prevista da una legge o dalla consuetudine (rientrano, ad esem-
pio, nella consuetudine gli omaggi natalizi, pasquali etc., che quindi, non integrano
la corruzione).
La L. 3/2019 è intervenuta sulla disposizione in esame inasprendo il trattamento
sanzionatorio.

Corruzione propria antecedente (artt. 319, 320, 321 e 323-bis): il pubblico ufficiale
o l’incaricato di un pubblico servizio che, per omettere o ritardare un atto del pro-
prio ufficio, ovvero per compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio, riceva, per
sé o per un terzo, danaro o altra utilità, ovvero ne accetti la promessa, risponde di
corruzione propria antecedente in concorso necessario con chi dia o prometta il dana-
ro ovvero un’utilità a tali soggetti per uno dei fini sopraelencati.
Art. 319 c.p., Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio: «(I). Il pubblico
ufficiale, che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo
ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di uf-
ficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa,
è punito con la reclusione da sei a dieci anni».
Art. 320 c.p., Corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio: «(I). Le
disposizioni degli articoli 318 e 319 si applicano anche all’incaricato di un pubbli-
co servizio. (II). In ogni caso, le pene sono ridotte in misura non superiore ad un
terzo».
Art. 321 c.p., Pene per il corruttore: «(I). Le pene stabilite nel comma 1 dell’artico-
lo 318, nell’articolo 319, nell’articolo 319-bis, nell’articolo 319-ter e nell’articolo 320
in relazione alle suddette ipotesi degli articoli 318 e 319, si applicano anche a chi dà

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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 23

o promette al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio il denaro


od altra utilità».

Soggetto attivo: il corruttore e il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico ser-


vizio che si lascia corrompere.
Diversamente dall’ipotesi della corruzione per l’esercizio della funzione, l’oggetto
dell’accordo criminoso nelle ipotesi in esame è il ritardo o l’omissione da parte del fun-
zionario di un atto del proprio ufficio o l’emanazione di un atto contrario ai doveri
di ufficio, ovvero di un atto illegittimo, dunque in contrasto con le norme giuridiche
o con le istruzioni di servizio, nonché con il buon uso del potere discrezionale (An-
tolisei).
Consumazione: se la giurisprudenza ha ritenuto che il delitto di corruzione si per-
feziona, alternativamente, con l’accettazione della promessa ovvero con la dazione-
ricezione dell’utilità, per aversi consumazione del reato la promessa dev’essere neces-
sariamente seguita dalla condotta della dazione-ricezione. È in tale momento, infatti,
che l’offesa tipica si consuma (ex multis, Cass. sez. un., 21-4-2010, n. 15208).
Elemento soggettivo e circostanze: il dolo è specifico, in quanto gli agenti devono
compiere il fatto per il fine indicato nella norma.
Ai sensi dell’art. 391-bis del codice penale, la sanzione relativa al debito in esame è
aumentata: se il fatto commesso ha per oggetto il conferimento di pubblici impieghi
o stipendi o pensioni; se il fatto commesso ha per oggetto la stipulazione di contratti
nei quali sia interessata l’Amministrazione alla quale il pubblico ufficiale appartiene,
nonché il pagamento o il rimborso dei tributi.
Il reato, invece, è attenuato se il fatto è di particolare tenuità (art. 323-bis c.p.).
Trattamento sanzionatorio: a seguito dei correttivi all’impianto sanzionatorio, dovu-
ti alla L. 69/2015, la pena è la reclusione da 6 a 10 anni (ante 2015 era da 4 a 8 anni),
ed ancor prima, ante riforma 2012, da 2 a 5 anni.
Se ricorrono le aggravanti previste dall’art. 219-bis c.p. le pene suddette sono au-
mentate fino ad un terzo. Alla condanna per una qualsiasi delle ipotesi esaminate
consegue la pena accessoria dell’incapacità di contrattare con la Pubblica Ammi-
nistrazione qualora il delitto sia stato commesso a causa o in occasione dell’attività
imprenditoriale.

Art. 323-bis c.p., Circostanze attenuanti: «(I). Se i fatti previsti dagli articoli 314,
316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-quater, 320, 322, 322-bis e 323 sono di partico-
lare tenuità, le pene sono diminuite. (II). Per i delitti previsti dagli articoli 318, 319,
319-ter, 319-quater, 320, 321, 322 e 322-bis, per chi si sia efficacemente adoperato per
evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le
prove dei reati e per l’individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro
delle somme o altre utilità trasferite, la pena è diminuita da un terzo a due terzi».

La norma, inserita dalla L. 86/1990, prevede al primo comma l’attenuante della par-
ticolare tenuità del fatto per i reati ivi richiamati, mentre al secondo comma l’at-
tenuante del cd. ravvedimento operoso da parte dell’agente che si sia adoperato per
evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, ovvero per assicu-
rare le prove dei reati e per l’individuazione degli altri responsabili o, ancora, per il
sequestro delle somme o altre utilità trasferite (comma aggiunto dalla L. 69/2015).

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24 Reati contro la Pubblica Amministrazione

Corruzione propria susseguente (artt. 319, 320, 321 e 323-bis): il pubblico ufficiale
o l’incaricato di un pubblico servizio che riceva il denaro ovvero un’utilità per aver
agito contro i doveri del proprio ufficio, o per aver omesso o ritardato un atto d’uf-
ficio, nonché colui che abbia dato denaro/altra utilità a tali soggetti per i suddetti
fini rispondono, in concorso necessario tra loro, di tale reato.

Soggetti attivi: il corruttore e il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servi-


zio che si lasci corrompere.
Consumazione: il reato si consuma quando alla promessa segua la dazione-ricezione.
È in tale momento, infatti, che l’offesa tipica si consuma. Diversamente dalla corru-
zione propria antecedente, l’oggetto dell’accordo criminoso riguarda l’omissione o il
ritardo di un atto d’ufficio ovvero l’emanazione di un atto illegittimo già compiuto.
Elemento soggettivo e circostanze: il dolo di tale reato è generico, non essendo ri-
chiesto alcun fine (il fatto, invero, è già stato compiuto).
Il reato è attenuato se il fatto è di particolare tenuità (art. 323-bis).
Trattamento sanzionatorio: il trattamento sanzionatorio segue le precedenti ipotesi.

Art. 319-ter c.p., Corruzione in atti giudiziari: «(I). Se i fatti indicati negli articoli
318 e 319 sono commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civi-
le, penale o amministrativo, si applica la pena della reclusione da sei a dodici anni.
(II). Se dal fatto deriva l’ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore
a cinque anni, la pena è della reclusione da sei a quattordici anni; se deriva l’ingiu-
sta condanna alla reclusione superiore a cinque anni o all’ergastolo, la pena è della
reclusione da otto a venti anni».

La L. 86/1990 ha introdotto, all’art. 9, tale figura criminosa, che ricorre quando i


fatti di corruzione siano stati commessi per favorire o danneggiare una parte di un
processo civile, penale o amministrativo.
Soggetto attivo: il delitto può essere commesso da qualsiasi persona che rivesta la
qualità di un pubblico ufficiale.
Con la modifica apportata all’art. 321 c.p. dalla L. 181/1992 (che ha esteso la pena al
corruttore anche per l’ipotesi prevista dall’art. 319-ter), ad oggi risponde del delitto
in esame anche il corruttore del pubblico ufficiale.
Condotte punibili: il delitto di corruzione in atti giudiziari si configura quando il
denaro o l’utilità siano ricevuti, o di essi se ne accetti la promessa, per un atto già
compiuto, ovvero nell’ipotesi della c.d. corruzione susseguente (cfr. Cass., sez. un., 21-
4-2010, n. 15208).
Ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 319-ter c.p., è atto giudiziario l’atto
funzionale ad un procedimento giudiziario, sicché rientra nello stesso anche la de-
posizione testimoniale resa nell’ambito di un processo penale. È, altresì, indifferente
che l’atto compiuto sia conforme, o non, ai doveri di ufficio (cfr. Cass. 3-7-2007, n.
25418).
Elemento soggettivo e circostanze: il legislatore penale esige la sussistenza di un
dolo specifico che, tuttavia, non richiede il verificarsi del favore o del danno.
Tentativo: è ammissibile.

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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 25

Trattamento sanzionatorio: per effetto dei correttivi dovuti, dapprima, alla L.


190/2012, e successivamente alla L. 69/2015, la pena è della reclusione da 6 a 12 anni
(ante riforma, da 4 a 10 anni e, prima della L. 190/2012, da 3 a 8 anni). Quanto alle
ipotesi aggravate, se dal fatto deriva l’ingiusta condanna di taluno alla reclusione non
superiore a cinque anni, la pena è della reclusione da 6 a 14 anni (ante riforma, da 5
a 12 anni, mentre prima della riforma del 2012, il minimo edittale era di 4 anni); se
deriva l’ingiusta condanna alla reclusione superiore a cinque anni o all’ergastolo, la
pena è della reclusione da 8 a 20 anni (ante riforma, da 6 a 20 anni e tale era anche
prima della riforma del 2012).

Art. 319-quater c.p., Induzione indebita a dare o promettere utilità: «(I). Salvo che
il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico
servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a
promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la
reclusione da sei anni a dieci anni e sei mesi. (II). Nei casi previsti dal primo comma,
chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni».

La norma rientra tra quelle introdotte ad opera della L. 190/2012, nell’intento di


estrapolare dall’art. 317 c.p. la figura della concussione per induzione per farne un’ipo-
tesi speciale rispetto a quella base di concussione per costrizione.
La novità legislativa discendeva dalla necessità di recepire nell’ordinamento le racco-
mandazioni internazionali ed in particolar modo quanto suggerito dal rapporto c.d.
Greco (in merito al monitoraggio della conformità dei 49 Stati membri con gli stru-
menti di lotta alla corruzione del Consiglio d’Europa), che poneva i riflettori sulla
circostanza per la quale, essendo stata dilatata a dismisura la figura della concussio-
ne da parte della giurisprudenza, con la conseguente restrizione dello spazio della
corruzione, si palesava il rischio di trasformare i corruttori in vittime di concussione.
La norma si poneva, dunque, nel solco di evitare aree di impunità del privato che
effettuasse dazioni o promesse indebite di denaro o altra utilità ai pubblici funziona-
ri, per tal via conformandosi a pratiche di corruzione diffusa in determinati settori,
nelle quali manca una precisa attività costrittiva o induttiva del pubblico funzionario.
Soggetto attivo: riproducendo il disposto dell’art. 317 c.p. ante riforma 2012, il legi-
slatore penale ha esteso il novero dei potenziali soggetti attivi del reato all’incaricato
di pubblico servizio.
Condotte punibili: le condotte sanzionate si traducono in una strumentalizzazione
della qualifica soggettiva in cui sia implicita la possibilità di un esercizio di poteri
(cd. abuso della qualità) ovvero nell’esercizio di potestà di cui il soggetto è investito
in modo difforme dallo scopo prefissato dalla legge (cd. abuso di poteri), finalizzate a
convincere mediante attività dialettica (cd. concussione per induzione) la vittima a dare
o promettere senza alcun titolo (indebitamente) denaro o altra utilità (per alcuni
intesa anche in senso non patrimoniale).
La norma sanziona penalmente (pur se in modo attenuato), accanto al concussore
che induce, anche il concusso indotto, cioè colui che, per effetto dell’induzione, «da
o promette denaro o altra utilità».
L’induzione consiste nella condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico
servizio che, attraverso i suddetti abusi e svariate forme di attività persuasiva, anche

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26 Reati contro la Pubblica Amministrazione

tacita, o di atti ingannatori, determina taluno, consapevole dell’indebita pretesa, a


dare o promettere, a lui o a terzi, denaro o altra utilità (cfr. Cass. 21-2-2013, n. 8695).
La giurisprudenza ha anche chiarito che l’induzione si configura quando, in assen-
za di qualsivoglia minaccia, vengano prospettate, da parte del pubblico ufficiale o
dell’incaricato di pubblico servizio, conseguenze sfavorevoli derivanti dall’applica-
zione della legge, per ottenere il pagamento o la promessa indebita di denaro ovvero
di altra utilità (cfr. Cass. 22-1-2013, n. 3251).
Oggetto della tutela: il regolare funzionamento e l’imparzialità della Pubblica Am-
ministrazione.
Elemento soggettivo e circostanze: la fattispecie è punibile a titolo di dolo generico,
consistente nella cosciente e volontaria realizzazione della condotta, con la consa-
pevolezza del carattere indebito della dazione o promessa. Il delitto è attenuato se il
fatto sia di particolare tenuità (art. 323-bis).
Trattamento sanzionatorio: per effetto dei correttivi dovuti alla L. 69/2015, la pena
è la reclusione da 6 a 10 anni e 6 mesi (ante riforma era da 3 a 8 anni), per chi induce
mediante abuso è la reclusione fino a 3 anni per chi, in conseguenza dell’induzione,
dà o promette denaro o altra utilità.
Consumazione: il delitto si consuma con la dazione o la promessa (l’eventuale dazio-
ne successiva alla promessa sposta in avanti il momento consumativo).
Tentativo: è configurabile (es. promessa con riserva mentale di non adempiere).
La giurisprudenza ha chiarito che il reato si configura in forma tentata nel caso in
cui l’evento non si verifichi per la resistenza opposta dal privato alle illecite pressioni
del pubblico agente (cfr. Cass. 22-8-2016, n. 35271).
Approfondimento: quanto ai rapporti fra concussione per costrizione (ex art. 317)
ed induzione indebita (ex art. 319-quater), la Suprema Corte ha chiarito che la con-
cussione si configura nel caso in cui la condotta si traduca in un abuso costrittivo del
pubblico ufficiale, realizzato mediante violenza o minaccia, idoneo a produrre una
grave limitazione della libertà di autodeterminazione del concusso, il quale, senza
avere la prospettiva di alcun vantaggio, viene messo innanzi all’alternativa di subire
il male prospettato dal reo oppure di evitarlo attraverso la dazione o la promessa
dell’utilità; l’induzione indebita si configura invece ove sussista un abuso induttivo
posto in essere dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio che, con
una condotta di persuasione, suggestione, inganno o pressione morale, condizioni
in modo più tenue la libertà di autodeterminazione del privato, il quale disponendo
di ampi margini decisori, accetta di prestare acquiescenza alla richiesta della presta-
zione non dovuta, nella prospettiva di un tornaconto personale (cfr. Cass., sez. un.,
14-3-2014, n. 12228).
Quanto ai rapporti tra corruzione ed induzione indebita, la giurisprudenza ha pre-
cisato che l’iniziativa assunta dal pubblico ufficiale, pur potendo costituire un indice
sintomatico dell’induzione, non assume una valenza decisiva ai fini dell’esclusione
della fattispecie di corruzione, in quanto il requisito caratterizzante l’induzione in-
debita è la condotta prevaricatrice del funzionario pubblico, cui consegue una condi-
zione di soggezione psicologica del privato (cfr. Cass. 9-12-2016, n.52321).

Art. 322 c.p., Istigazione alla corruzione: «(I). Chiunque offre o promette denaro
od altra utilità non dovuti ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pub-
blico servizio, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, soggiace, qualora

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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 27

l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nel comma 1 dell’arti-
colo 318, ridotta di un terzo. (II). Se l’offerta o la promessa è fatta per indurre un
pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio ad omettere o a ritardare
un atto del suo ufficio, ovvero a fare un atto contrario ai suoi doveri, il colpevo-
le soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita
nell’articolo 319, ridotta di un terzo. (III). La pena di cui al primo comma si ap-
plica al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio che sollecita una
promessa o dazione di denaro o altra utilità per l’esercizio delle sue funzioni o dei
suoi poteri. (IV). La pena di cui al secondo comma si applica al pubblico ufficiale
o all’incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di de-
naro od altra utilità da parte di un privato per le finalità indicate dall’articolo 319».

Con tale previsione il legislatore penale ha punito anche l’ipotesi dell’istigazione alla
corruzione propria e impropria. A ben guardare, trattasi di una deroga all’art. 115 c.p.
(Accordo per commettere un reato. Istigazione), poiché viene incriminata un’istigazione
non accolta.
La giurisprudenza ha chiarito che, per integrarne gli estremi, è sufficiente la sempli-
ce offerta o promessa di denaro o altra utilità non dovuti, purché caratterizzata da
adeguata serietà e in grado di turbare psicologicamente il pubblico ufficiale ovvero
l’incaricato di pubblico servizio: solo in tal caso, infatti, può sorgere il pericolo che
quest’ultimo accetti l’offerta o la promessa. Non è necessario invece, che l’offerta
abbia una giustificazione, né che sia specificata l’utilità promessa né quantificata la
somma di denaro, risultando bastevole la prospettazione, da parte dell’agente, dello
scambio illecito (cfr. Cass. 5-5-2004, n. 21095).

Art. 322-bis c.p.: «Peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere


utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri delle Corti internazio-
nali o di assemblee parlamentari internazionali o di organizzazioni internaziona-
li e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri»: «(I). Le disposizioni
degli articoli 314, 316, da 317 a 320 e 322, terzo e quarto comma, si applicano
anche: 1) ai membri della Commissione delle Comunità europee, del Parlamento
europeo, della Corte di Giustizia e della Corte dei conti delle Comunità europee;
2) ai funzionari e agli agenti assunti per contratto a norma dello statuto dei funzio-
nari delle Comunità europee o del regime applicabile agli agenti delle Comunità
europee; 3) alle persone comandate dagli Stati membri o da qualsiasi ente pubbli-
co o privato presso le Comunità europee, che esercitino funzioni corrispondenti a
quelle dei funzionari o agenti delle Comunità europee; 4) ai membri e agli addetti
a enti costituiti sulla base dei Trattati che istituiscono le Comunità europee; 5) a
coloro che, nell’ambito di altri Stati membri dell’Unione europea, svolgono fun-
zioni o attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di
un pubblico servizio. 5-bis) ai giudici, al procuratore, ai procuratori aggiunti, ai
funzionari e agli agenti della Corte penale internazionale, alle persone comandate
dagli Stati parte del Trattato istitutivo della Corte penale internazionale le quali
esercitino funzioni corrispondenti a quelle dei funzionari o agenti della Corte stes-
sa, ai membri ed agli addetti a enti costituiti sulla base del Trattato istitutivo della
Corte penale internazionale; 5-ter) alle persone che esercitano funzioni o attività
corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico ser-

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28 Reati contro la Pubblica Amministrazione

vizio nell’ambito di organizzazioni pubbliche internazionali; 5-quater) ai membri


delle assemblee parlamentari internazionali o di un’organizzazione internazionale
o sovranazionale e ai giudici e funzionari delle corti internazionali. (II). Le dispo-
sizioni degli articoli 319-quater, secondo comma, 321 e 322, primo e secondo com-
ma, si applicano anche se il denaro o altra utilità è dato, offerto o promesso: 1) alle
persone indicate nel primo co. del presente articolo; 2) a persone che esercitano
funzioni o attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati
di un pubblico servizio nell’ambito di altri Stati esteri o organizzazioni pubbliche
internazionali. (III). Le persone indicate nel primo co. sono assimilate ai pubblici
ufficiali, qualora esercitino funzioni corrispondenti, e agli incaricati di un pubbli-
co servizio negli altri casi».

La previsione è stata oggetto di diversi correttivi, da ultimo, ad opera della L. 3/2019


e, in precedenza, dalla L. 190/2012 e dalla L. 237/2012.
L’intervento del 2012 aveva esteso l’applicabilità delle disposizioni degli articoli 314,
316, 317, 317-bis, 318, 319, 319-bis 319-ter, 319-quater, 320 e 322, co. 3 e 4, ai fatti com-
messi dai soggetti indicati dalla norma medesima.
Questa aveva, inoltre, previsto che le disposizioni degli articoli 319-quater, co. 2, 321 e
322, co. 1 e 2, si applicassero anche se il denaro o altra utilità fosse dato, offerto o pro-
messo, oltre che alle persone sopra ricordate, alle persone che esercitano funzioni o
attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico
servizio nell’ambito di altri Stati esteri o organizzazioni pubbliche internazionali,
qualora il fatto fosse commesso per procurare a sé o ad altri un indebito vantaggio
in operazioni economiche internazionali ovvero al fine di ottenere o di mantenere
un’attività economica o finanziaria.
La rubrica della norma in esame è stata sostituita dall’art. 1, co. 1, lett. o), n. 1, L.
3/2019. Il testo della rubrica, come modificato dall’art. 10 L. 237/2012, era il seguen-
te: «Peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzio-
ne e istigazione alla corruzione di membri della Corte penale internazionale o degli
organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati
esteri». Precedentemente l’art. 1, co. 75, L. 190/2012 aveva inserito nella rubrica le
parole «induzione indebita a dare o promettere utilità».
La legge anticorruzione 2019 ha anche introdotto, al comma 1, i numeri 5-ter e 5-qua-
ter, estendendo il novero dei soggetti cui si applicano i reati richiamati dalla disposi-
zione in esame.
Al comma 2, punto 2), il legislatore del 2019 è intervenuto a sopprimere l’espressione
«qualora il fatto sia commesso per procurare a sé o ad altri un indebito vantaggio
in operazioni economiche internazionali ovvero al fine di ottenere o di mantenere
un’attività economica o finanziaria» (art. 1, co. 1, lett. o, n. 3, L. 3/2019).

Art. 322-ter c.p., Confisca: «(I). Nel caso di condanna, o di applicazione della pena
su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale,
per uno dei delitti previsti dagli articoli da 314 a 320, anche se commessi dai sog-
getti indicati nell’articolo 322-bis, primo comma, è sempre ordinata la confisca dei
beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona
estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il
reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto. (II).

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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 29

Nel caso di condanna, o di applicazione della pena a norma dell’articolo 444 del
codice di procedura penale, per il delitto previsto dall’articolo 321, anche se com-
messo ai sensi dell’articolo 322-bis, secondo comma, è sempre ordinata la confisca
dei beni che ne costituiscono il profitto salvo che appartengano a persona estranea
al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la
disponibilità, per un valore corrispondente a quello di detto profitto e, comunque,
non inferiore a quello del denaro o delle altre utilità date o promesse al pubblico
ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio o agli altri soggetti indicati nell’arti-
colo 322-bis, secondo comma. (III). Nei casi di cui ai commi primo e secondo, il
giudice, con la sentenza di condanna, determina le somme di denaro o individua
i beni assoggettati a confisca in quanto costituenti il profitto o il prezzo del reato
ovvero il valore corrispondente al profitto o al prezzo del reato».

La L. 190/2012 (legge anticorruzione 2012) ha introdotto il riferimento al profitto del


reato quale parametro della confisca per equivalente: ante riforma, infatti, in assenza
di un espresso riferimento nella norma, si riteneva che si potesse disporre la confisca
per equivalente soltanto del prezzo e non anche del profitto del reato.
La norma in esame dispone che, in caso di condanna o di applicazione della pena a
norma dell’art. 444 c.p.p., per il delitto previsto dall’art. 321, anche se commesso ai
sensi dell’art. 322-bis, co. 2, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituisco-
no il profitto, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando
essa non sia possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un
valore corrispondente a quello di detto profitto e, comunque, non inferiore a quello
del denaro o delle altre utilità date o promesse al pubblico ufficiale o all’incaricato
di pubblico servizio o agli altri soggetti indicati nell’art. 322-bis, co. 2.
Il giudice, con la sentenza di condanna, determina le somme di denaro o individua i
beni assoggettati a confisca in quanto costituenti il profitto o il prezzo del reato ovve-
ro in quanto di valore corrispondente al profitto o al prezzo del reato.

Art. 323 c.p., Abuso d’ufficio: «(I). Salvo che il fatto non costituisca un più grave
reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento
delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ov-
vero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo
congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un
ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito
con la reclusione da uno a quattro anni. (II). La pena è aumentata nei casi in cui il
vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità».

Soggetto attivo: il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio (reato pro-


prio).
Condotte punibili: l’espresso riferimento, nel testo della norma, alla violazione delle
norme di legge o di regolamento sembrerebbe escludere la rilevanza penale dell’ec-
cesso di potere sancendo, dunque, l’insindacabilità, da parte del giudice, del potere
discrezionale della Pubblica Amministrazione.
Una parte della dottrina (Sandulli) ritiene che l’eccesso di potere sia da ricondurre
ad una violazione di legge, sostanziandosi nella violazione dei limiti interni alla di-
screzionalità amministrativa (logicità e ragionevolezza), che, pur non essendo con-

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30 Reati contro la Pubblica Amministrazione

sacrati in norme espresse di legge, sono comunque inerenti alla natura stessa del po-
tere amministrativo e si ricavano dai principi generali dell’ordinamento (artt. 3 e 97
Costituzione); lo stesso nuovo testo dell’articolo, col generico richiamo alle norme di
legge o di regolamento, consente un’interpretazione estensiva. Altra parte della dottrina
ritiene che nella nozione rilevante di legge possa rientrarvi anche quella sul procedi-
mento amministrativo ed in genere le norme procedurali, purché il giudice verifichi,
caso per caso, la derivazione logico-causale del danno o del vantaggio ingiusto dalla
violazione della norma procedurale.
La giurisprudenza ha chiarito che sussiste il requisito della violazione di legge non solo
quando la condotta del pubblico ufficiale sia svolta in contrasto con le norme che
regolano l’esercizio del potere, ma anche quando la stessa risulti orientata alla sola
realizzazione di un interesse contrastante con quello per il quale il potere è attribui-
to, realizzandosi in tale ipotesi il vizio dello sviamento di potere, che integra la viola-
zione di legge poiché lo stesso non viene esercitato secondo lo schema normativo che
ne legittima l’attribuzione (cfr. Cass., sez. un., 10-1-2012, n. 155).
Con riguardo alla nozione di danno ingiusto, questa non può intendersi limitata solo
a situazioni soggettive di carattere patrimoniale e nemmeno a diritti soggettivi per-
fetti, ma riguarda anche l’aggressione ingiusta alla sfera della personalità per come
tutelata dalle norme costituzionali (cfr. Cass. 22-9-2016, n. 39452).
Il delitto è configurabile non solo quando la condotta si ponga in contrasto con il
significato letterale o logico-sistematico di una norma di legge o di regolamento, ma
anche quando la stessa contraddica lo specifico fine perseguito dalla norma, con-
cretandosi in uno svolgimento della funzione o del servizio che oltrepassi ogni possibile
scelta discrezionale attribuita al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servi-
zio; tuttavia, deve escludersi la sussistenza del reato qualora si sia in presenza di un
quadro normativo disorganico e suscettibile di contrapposte letture interpretative,
che impedisca di individuare con certezza una condotta violativa del contenuto pre-
cettivo di una precisa disposizione di legge o di regolamento (cfr. Cass. 21-7-2014, n.
32237).
Consumazione: il delitto si consuma con il verificarsi del vantaggio o del danno. In
giurisprudenza si è precisato che, nel caso in cui la condotta abusiva abbia prodotto
l’indebito rilascio di un permesso di costruire, il vantaggio configurante il momento
consumativo non si identifica con la realizzazione dell’immobile, ma con il rilascio
del titolo, rappresentante il momento in cui si amplia la sfera dei diritti patrimoniali
del beneficiato (cfr. Cass. 20-3-2007, n. 11620).
Tentativo: il nuovo testo risolve definitivamente anche la disputa sull’ammissibilità
del tentativo, che con la nuova formulazione della norma è senz’altro configurabile.
Elemento soggettivo e circostanze: sotto il profilo soggettivo è sufficiente il dolo
generico, dovendosi interpretare l’espressione intenzionalmente usata dal legislatore
nel senso di coscienza e volontà sia dell’abuso che dell’ingiusto vantaggio o danno.
La Cassazione ha precisato che, in tale reato, l’uso dell’avverbio intenzionalmente im-
plica la sussistenza del reato solo quando l’agente si rappresenti e voglia l’evento di
danno altrui o di vantaggio patrimoniale proprio o altrui come conseguenza diretta
ed immediata della sua condotta e come obiettivo primario perseguito, e non invece
quando egli intenda perseguire l’interesse pubblico come obiettivo primario (cfr.
Cass. 15-1-2004, n. 708). Ne consegue che, se l’evento tipico è una semplice con-
seguenza accessoria dell’operato dell’agente – diretto a perseguire in via primaria,

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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 31

l’obiettivo di un interesse pubblico di preminente rilievo, riconosciuto dall’ordina-


mento e idoneo ad oscurare il concomitante favoritismo o danno per il privato – non
è configurabile il dolo intenzionale e, pertanto, il reato non sussiste.
Il reato è aggravato nei casi in cui il vantaggio o il danno abbiano carattere di rile-
vante gravità.
Ai sensi dell’art. 323-bis c.p. il reato è attenuato se i fatti siano di speciale tenuità.
Trattamento sanzionatorio: per effetto dei correttivi operati dalla L. 190/2012, anti-
cipati in precedenza, la pena è della reclusione da 1 a 4 anni (ante riforma 2012, come
visto, era da 6 mesi a 3 anni). La condanna comporta l’interdizione temporanea dai
pubblici uffici; se la pena irrogata non è inferiore a cinque anni, l’interdizione è
perpetua (art. 29).
Approfondimento: il reato di abuso d’ufficio ha subìto delle modifiche rilevanti
(dapprima con la L. 86/1990 e, successivamente, con la L. 234/1997 nonché, da ulti-
mo, dalla L. 190/2012).
Se nell’originaria versione la norma era rubricata abuso innominato d’ufficio e svolgeva
una funzione sussidiaria o residuale di tutela, risultando applicabile ove il fatto non
integrasse i presupposti di una disposizione incriminatrice più specifica, la modifica
del 1990 ha trasformato l’abuso d’ufficio in figura criminosa-cardine del sistema dei
delitti contro la Pubblica Amministrazione.
Il legislatore penale, infatti, si è sforzato di descrivere il fatto punibile con precisio-
ne, introducendo una distinzione tra condotta favoritrice o prevaricatrice, da un lato,
tendente ad un fine di vantaggio non patrimoniale o di danno ad altri e, dall’altro,
condotta affaristica diretta come tale ad un fine di vantaggio patrimoniale. Corrispon-
dentemente, il legislatore ha disciplinato il nuovo abuso in due distinti commi, dan-
do vita a due autonome figure di reato.
La ratio dell’intervento è da rinvenirsi nel restringimento del campo all’intervento
del giudice penale, per liberare la Pubblica Amministrazione da ingerenze del po-
tere giudiziario: a tal fine, infatti, il legislatore penale ha cercato di tipizzare i fatti
di abuso attraverso un’indicazione delle condotte vietate più specificamente che in
passato.
Con riguardo alle circostanze attenuanti, l’art. 323-bis c.p., dispone che: «(I). Se i
fatti previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-quater, 320, 322,
322-bis e 323 sono di particolare tenuità, le pene sono diminuite. (II). Per i delitti
previsti dagli articoli 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322 e 322-bis, per chi si
sia efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conse-
guenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione degli altri
responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite, la pena è
diminuita da un terzo a due terzi».
La 3/2019 (art. 1, co. 1, lett. r) ha introdotto nel corpus del codice l’art. 323-ter c.p.,
rubricato Causa di non punibilità, che reca: «(I). Non è punibile chi ha commesso
taluno dei fatti previsti dagli articoli 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322-bis, li-
mitatamente ai delitti di corruzione e di induzione indebita ivi indicati, 353, 353-bis e
354 se, prima di avere notizia che nei suoi confronti sono svolte indagini in relazione
a tali fatti e, comunque, entro quattro mesi dalla commissione del fatto, lo denuncia
volontariamente e fornisce indicazioni utili e concrete per assicurare la prova del
reato e per individuare gli altri responsabili. (II). La non punibilità del denunciante
è subordinata alla messa a disposizione dell’utilità dallo stesso percepita o, in caso di

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32 Reati contro la Pubblica Amministrazione

impossibilità, di una somma di denaro di valore equivalente, ovvero all’indicazione


di elementi utili e concreti per individuarne il beneficiario effettivo, entro il medesi-
mo termine di cui al primo comma. (III). La causa di non punibilità non si applica
quando la denuncia di cui al primo co. è preordinata rispetto alla commissione del
reato denunciato. La causa di non punibilità non si applica in favore dell’agente sotto
copertura che ha agito in violazione delle disposizioni dell’articolo 9 della legge 16
marzo 2006, n. 146».
I requisiti applicativi della causa speciale di non punibilità, che devono ricorrere con-
giuntamente, sono i seguenti: dev’essere stato commesso un reato che rientri nella
lista di quelli ex art. 323-ter c.p. (per i quali soltanto è prevista l’applicabilità della cau-
sa di non punibilità); in relazione a detti reati, l’autore del fatto volontariamente deve
denunciarlo e fornire indicazioni utili e concrete per assicurare la prova del reato e
per individuare gli altri responsabili; il denunciante deve svelare la commissione del
fatto prima di avere notizia che nei suoi confronti siano state svolte indagini in rela-
zione a tali fatti e, comunque, entro quattro mesi dalla commissione del fatto stesso.
Ancora, fermi tali requisiti, l’applicabilità della causa di non punibilità è subordinata
alla circostanza che il denunciante, alternativamente, metta a disposizione l’utilità
percepita o, nel caso di impossibilità, metta a disposizione una somma di denaro di
valore equivalente ovvero fornisca elementi utili ad individuare il beneficiario effetti-
vo dell’utilità entro il termine di quattro mesi dalla commissione del fatto.
La norma in esame non si applica quando la denuncia sia preordinata rispetto alla
commissione del reato denunciato in favore dell’agente sotto copertura che abbia
agito in violazione delle disposizioni dell’art. 9 L. 146/2006.
In altre parole, la speciale causa di non punibilità introdotta in esame presuppone:
la spontaneità e la volontarietà della denuncia, perché la propalazione deve avvenire
prima che il reo abbia avuto notizia che nei suoi confronti siano state svolte indagini
in relazione ai fatti denunciati; la tempestività della denuncia, perché, in ogni caso,
non potrà mai decorrere un lasso di tempo superiore a quattro mesi dalla commis-
sione del fatto; la fattività della collaborazione, perché il denunciante deve fornire
indicazioni utili e concrete per assicurare la prova del reato e per individuare gli altri
responsabili.
La norma ha introdotto il cosiddetto whistleblowing, ovvero la segnalazione di attività
illecite da parte di chi ne sia venuto a conoscenza, che si inserisce nell’ormai noto
fenomeno conosciuto all’interno delle attività svolte dalle Amministrazioni pubbli-
che o dalle aziende private, consistente nella segnalazione alle Autorità di un illecito
commesso nell’ambiente di lavoro del whistleblower.

Art. 328 c.p., Rifiuto di atti d’ufficio. Omissione: «(I). Il pubblico ufficiale o l’in-
caricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio
che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igie-
ne e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei
mesi a due anni. (II). Fuori dei casi previsti dal primo comma il pubblico ufficiale
o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi
vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le
ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a
1.032 euro. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta
giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa».

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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 33

Soggetto attivo: il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio (reato proprio).


Condotte punibili: l’articolo, sì come modificato dalla L. 86/1990, distingue due
categorie di atti: gli atti qualificati, motivati da ragioni di giustizia, sicurezza pubblica,
ordine pubblico, igiene o sanità, in relazione ai quali viene punita tanto la condotta
del rifiuto, quanto quella dell’omissione; gli atti non qualificati, ovvero gli altri atti
amministrativi per i quali viene punita solo la condotta omissiva.
Con riguardo alla prima ipotesi – rifiuto di atti qualificati – per rifiuto s’intende il di-
niego di compiere un atto dovuto ed espressamente richiesto (Fiandaca). A tal fine
è richiesto un vero e proprio rifiuto da parte dell’incauto funzionario, non essendo
sufficiente una mera inerzia ovvero il semplice ritardo. Oltre che manifestato, in
modo espresso o tacito, il rifiuto deve anche essere indebito, ovvero non deve trovare
giustificazione nella legge o in una disposizione della Pubblica autorità.
Poiché il rifiuto implica necessariamente una richiesta rivolta ad ottenere quel certo
provvedimento, il delitto non sarà mai configurabile per quegli atti sì doverosi, ma
rispetto ai quali non è prevista una richiesta da parte di un soggetto particolare.
Con riguardo alla seconda ipotesi – l’ipotesi di omissione di atti non qualificati ma
che possono essere ritardati – la condotta punita consiste nell’omissione, ovvero nel
mancato compimento dell’atto dovuto.
Tuttavia, affinché la condotta omissiva sia punibile occorre che: vi sia una richiesta in
forma scritta da parte dell’interessato; siano decorsi trenta giorni dal momento in cui
il pubblico ufficiale o l’incaricato del pubblico servizio abbiano ricevuto la richiesta;
il pubblico ufficiale ovvero l’incaricato del pubblico servizio non solo abbia compiuto
l’atto, ma non abbia neanche risposto per esporre le ragioni del ritardo.
La giurisprudenza ha chiarito che non va esente da responsabilità penale il pubblico
ufficiale che adduca a propria discolpa la complessità della pratica, ovvero la circo-
stanza dell’ignoranza della necessità di una risposta scritta da parte del primo (cfr.
Cass. 6-2-2004, n. 4907).
Elemento soggettivo: sia per la prima che per la seconda ipotesi è richiesto il dolo,
trattandosi di delitto. Pertanto, non è mai punibile l’omissione dovuta a mera negli-
genza, dimenticanza o errore.
Trattamento sanzionatorio: la pena è, per la prima ipotesi, la reclusione da 6 mesi a
2 anni; per la seconda, la reclusione fino ad 1 anno o la multa fino a milletrentadue
euro. La condanna importa interdizione temporanea dai pubblici uffici.

1.5 Le principali figure dei delitti dei privati contro la P.A.


Il Capo II del libro II del codice, agli artt. 336-356 c.p., contempla le fattispecie ascri-
vibili ai delitti commessi dai privati a danno della Pubblica Amministrazione.
La ratio della tutela è stata tradizionalmente ravvisata nelle esigenze di funzionamen-
to e di prestigio della Pubblica Amministrazione, nel senso che i pubblici funzionari
non dovessero subire, da parte dei soggetti privati, condizionamenti nel processo di
formazione delle loro decisioni (Manzini).
Oggetto specifico della tutela penale è, dunque, l’interesse ad uno svolgimento ordi-
nato, decoroso ed efficace dell’attività dei pubblici funzionari (Antolisei).

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34 Reati contro la Pubblica Amministrazione

La peculiarità di tali categorie di delitti, rispetto a quelle di cui ai precedenti Capi,


risiede nella circostanza per la quale l’offesa agli interessi della P.a. non deriva dalla
stessa amministrazione, ma da un soggetto esterno ad essa.
Vale la pena analizzare le principali fattispecie delittuose.

Art. 336 c.p., Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale: «(I). Chiunque usa vio-
lenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio,
per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto
dell’ufficio o del servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. (II).
La pena è della reclusione fino a tre anni, se il fatto è commesso per costringere
alcuna delle persone anzidette a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o
per influire, comunque, su di essa».

Soggetto attivo: chiunque (reato comune).


Condotte punibili: l’art. 336 prevede due distinte ipotesi delittuose (Antolisei): commet-
te la prima chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incarica-
to di un pubblico servizio, per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri,
o ad omettere un atto dell’ufficio o del servizio (primo comma); commette la seconda
chiunque usa violenza o minaccia ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un
pubblico servizio, per costringerlo a compiere un atto del proprio ufficio o servizio,
o per influire, comunque, su di lui (secondo comma).
La norma tutela l’interesse pubblico al normale funzionamento della P.A. e, allo
stesso tempo, la persona del pubblico ufficiale o dell’incaricato del pubblico servizio
da ingiuste aggressioni: si tratta, dunque, di reato plurioffensivo.
Sia la violenza che la minaccia devono essere finalizzate contro un’azione futura del
pubblico ufficiale. Ne deriva che non è necessario che il pubblico ufficiale si trovi
nell’esercizio delle sue funzioni nel momento in cui il fatto è commesso.
Consumazione: il reato si consuma con l’uso della violenza o minaccia; non è richie-
sto che l’agente raggiunga lo scopo prefissosi. Ai fini della consumazione del reato,
inoltre, si ritiene necessaria la percezione della minaccia da parte del pubblico uffi-
ciale.
Elemento soggettivo e circostanze: in entrambe le ipotesi è richiesto il dolo specifico.
Quando la violenza esercitata ecceda il fatto di percosse e l’agente volontariamente
provochi lesioni personali in danno dell’interessato, si determina un concorso tra il
delitto in esame e quello di lesioni, e per quest’ultimo sussiste l’aggravante della con-
nessione teleologica, a nulla rilevando che reato-mezzo e reato-fine siano integrati
dalla stessa condotta materiale (cfr. Cass. 23-7-2014, n. 32703).
Trattamento sanzionatorio: per la prima ipotesi la pena è della reclusione da 6 mesi
a 5 anni; per la seconda è della reclusione fino a 3 anni.

Art. 337 c.p., Resistenza a un pubblico ufficiale: «(I). Chiunque usa violenza o
minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico
servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli
prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni».

Soggetto attivo: chiunque (reato comune).

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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 35

Condotte punibili: commette il delitto in esame chiunque usa violenza o minac-


cia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio,
mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano
assistenza.
La norma tutela la libertà d’azione del pubblico ufficiale.
Se nel caso dell’art. 336 c.p. la violenza o la minaccia si riferiscono ad un’attività fu-
tura del funzionario, nell’ipotesi in esame la violenza o la minaccia è posta in essere
mentre il funzionario compie l’atto del suo ufficio e mira ad opporsi all’attività in
corso.
Il delitto assorbe esclusivamente la violenza che si estrinseca nella resistenza opposta
al pubblico ufficiale che compie un atto del proprio ufficio e non anche gli ulteriori
atti violenti che, esorbitando da tale limite, cagionino al medesimo lesioni persona-
li. In quest’ultima ipotesi, le lesioni personali sono aggravate dall’essere state com-
messe in danno di un pubblico ufficiale e concorrono con il delitto in esame (cfr.
Cass. 11-1-2013, n. 1420). Può assumere rilievo anche una mera condotta ingiuriosa,
quando essa, lungi dal rappresentare l’espressione di uno sfogo di sentimenti ostili
e di disprezzo verso il pubblico ufficiale, riveli la volontà di opporsi allo svolgimento
dell’atto di ufficio e risulti chiaro il nesso di causalità psicologica tra l’offesa arrecata
e le funzioni esercitate (cfr. Cass. 14-1-2013, n. 1737).
La giurisprudenza ha chiarito che in concreto non è necessario che sia impedita la
libertà di azione del pubblico ufficiale, essendo sufficiente che si usi la violenza o la
minaccia per opporsi al compimento di un atto di ufficio o di servizio, indipenden-
temente dall’esito positivo o negativo di tale azione e dall’effettivo verificarsi di un
ostacolo al compimento degli atti predetti (cfr. Cass. 22-11-2013, n. 46743).
La cd. resistenza meramente passiva (come, ad esempio, buttarsi a terra, rifiutarsi di
obbedire, aggrapparsi ad appigli per non esser trascinato via etc.) non integra né la
violenza né la minaccia e, dunque, non integra il delitto in esame neppure nel caso
in cui il funzionario sia costretto ad usare la forza per vincerla.
Con riguardo alla fuga, sebbene non rappresenti una condotta idonea ad integrare il
reato, può eccezionalmente assumere rilievo ove ad essa si accompagnino manovre
dirette ad esplicare una vera e propria intimidazione contro il pubblico ufficiale, atta
ad impedire o, quantomeno, a contrastare l’attività di quest’ultimo (cfr. Cass. 26-3-
2007, n. 12446).
Il delitto è comunque configurabile quando la minaccia non venga direttamente per-
cepita dal destinatario ma da altro operante, quando questa produca comunque un
pregiudizio nell’assolvimento delle funzioni (cfr. Cass. 30-1-2007, n. 3417).
Infine, si ritiene che il delitto di resistenza a pubblico ufficiale possa essere integrato
anche da una condotta autolesionistica dell’agente, quando la stessa sia finalizzata ad
impedire o contrastare il compimento di un atto dell’ufficio ad opera del pubblico
ufficiale (cfr. Cass. 11-10-2016, n. 42951).
Consumazione: il delitto si consuma attraverso l’uso della violenza o della minaccia,
indipendentemente dai propri effetti.
Elemento soggettivo: il dolo è specifico e si traduce nella coscienza e volontà della
condotta finalizzata ad opporsi all’operato dei soggetti indicati dalla norma. Il com-
portamento che non risulti tenuto a tale scopo, per quanto eventualmente illecito ad
altro titolo, non integra il delitto in questione (cfr: Cass. 19-2-2004, n. 7176).
Trattamento sanzionatorio: la pena è della reclusione da 6 mesi a 5 anni.

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36 Reati contro la Pubblica Amministrazione

Art. 337-bis c.p., Occultamento, custodia o alterazione di mezzi di trasporto: «(I).


Chiunque occulti o custodisca mezzi di trasporto di qualsiasi tipo che, rispetto alle
caratteristiche omologate, presentano alterazioni o modifiche o predisposizioni
tecniche tali da costituire pericolo per l’incolumità fisica degli operatori di polizia,
è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 2.582 euro a
10.329 euro. (II). La stessa pena di cui al primo comma si applica a chiunque altera
mezzi di trasporto operando modifiche o predisposizioni tecniche tali da costitui-
re pericolo per l’incolumità fisica degli operatori di polizia. (III). Se il colpevole è
titolare di concessione o autorizzazione o licenza o di altro titolo abilitante l’attivi-
tà, alla condanna consegue la revoca del titolo che legittima la medesima attività».

Soggetto attivo: chiunque (reato comune).


Oggetto della tutela: quanto all’interesse tutelato, la norma non si limita ad avere
uno scopo analogo a quello della resistenza a pubblico ufficiale, ma tende pure a
tutelare, anche se in via anticipata, l’incolumità fisica degli operatori di polizia.
Condotte punibili: il legislatore penale punisce chiunque occulti o custodisca mezzi
di trasporto di qualsiasi tipo che, rispetto alle caratteristiche omologate, presentano
alterazioni o modifiche o predisposizioni tecniche tali da costituire pericolo per l’in-
columità fisica degli operatori di polizia, nonché chiunque altera mezzi di trasporto
operando modifiche o predisposizioni tecniche tali da costituire pericolo per l’inco-
lumità fisica degli operatori di polizia.
È, dunque, punita l’alterazione di mezzi di trasporto operata mediante modifiche o
predisposizioni tecniche, comunque realizzate, purché idonee a costituire pericolo
per l’incolumità fisica degli operatori di polizia (es. installazione di robuste carena-
ture, accompagnate da particolari incrementi di potenza dei motori, idonei a vincere
la resistenza opposta dai mezzi di polizia).
L’anticipazione della tutela dell’interesse è realizzata dalla fattispecie di cui al primo
comma, la quale punisce l’occultamento o la custodia dei mezzi di trasporto alterati
o modificati nel senso anzidetto.
Elemento soggettivo: il reato, in entrambe le sue configurazioni, è punito a titolo di
dolo generico (il potenziale pericolo per l’incolumità delle forze di polizia rientra
nella struttura oggettiva della fattispecie, non costituisce l’intento perseguito dall’a-
gente).
A norma del comma 3 dell’articolo in esame, se il colpevole è titolare di concessione
o autorizzazione o licenza o di altro titolo abilitante l’attività di cui alla norma in
esame, alla condanna consegue la pena accessoria della revoca del titolo che legitti-
ma la medesima attività, costituendo un’evidente illecita degenerazione rispetto alle
attività lecitamente autorizzate.
Trattamento sanzionatorio: la pena è della reclusione da due a cinque anni e della
multa da 2.582 a 10.329 euro.

Art. 338 c.p., Violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giu-


diziario o ai suoi singoli componenti: «(I). Chiunque usa violenza o minaccia ad
un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, ai singoli componenti o ad una
rappresentanza di esso, o ad una qualsiasi pubblica Autorità costituita in collegio o
ai suoi singoli componenti, per impedirne, in tutto o in parte, anche temporanea-
mente, o per turbarne comunque l’attività, è punito con la reclusione da uno a set-

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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 37

te anni. (II). Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto per ottenere, ostacolare
o impedire il rilascio o l’adozione di un qualsiasi provvedimento, anche legislativo,
ovvero a causa dell’avvenuto rilascio o adozione dello stesso. (III). Alla stessa pena
soggiace chi commette il fatto per influire sulle deliberazioni collegiali di imprese
che esercitano servizi pubblici o di pubblica necessità, qualora tali deliberazioni
abbiano per oggetto l’organizzazione o l’esecuzione dei servizi».

Soggetto attivo: chiunque (reato comune).


Oggetto della tutela: il buon andamento ed il prestigio della Pubblica Amministra-
zione in senso lato. In particolare, l’articolo tutela la libertà di azione e di decisione
nonché il prestigio dei corpi politici, amministrativi o giudiziari considerati collegial-
mente e nei loro singoli componenti.
Condotte punibili: commette il delitto in esame chi usa violenza o minaccia ad un
corpo politico, amministrativo o giudiziario ai singoli componenti o ad una rappre-
sentanza di esso, o ad una qualsiasi pubblica autorità costituita in collegio, o ai suoi
singoli componenti per impedirne, in tutto o in parte, anche temporaneamente, o
per turbarne comunque l’attività; chi commette il fatto per ottenere, ostacolare o
impedire il rilascio o l’adozione di un qualsiasi provvedimento, anche legislativo,
ovvero a causa dell’avvenuto rilascio o adozione dello stesso; chi commette il fatto per
influire sulle deliberazioni collegiali di imprese che esercitano servizi pubblici o di
pubblica necessità, qualora tali deliberazioni abbiano per oggetto l’organizzazione o
l’esecuzione dei servizi.
Con riguardo alle nozioni richiamate dalla norma:
> i corpi politici sono quelli che esercitano una funzione preminentemente politica (es. i
seggi elettorali o le commissioni degli uffici elettorali, mentre ne restano esclusi il
Governo, il Senato, la Camera dei Deputati e le Assemblee regionali. Ciò in quanto
per gli attentati a tali corpi è prevista un’autonoma punibilità ai sensi dell’art. 289
c.p.);
> i corpi amministrativi sono le autorità amministrative collegiali (es. il Consiglio di
Stato, la Corte dei Conti, i Consigli comunali e provinciali etc.);
> i corpi giudiziari sono i collegi che esercitano poteri giurisdizionali, comuni o specia-
li, permanenti o temporanei (es. la Corte di Cassazione, le sezioni giurisdizionali
del Consiglio di Stato, i Tribunali Amministrativi Regionali, I Tribunali Militari, la
Corte di Appello, i Tribunali Ordinari etc.);
> le rappresentanze di tali corpi sono le collettività formate da elementi appartenenti
ai corpi suddetti con potere di iniziativa, di decisione, di inchiesta, di esecuzione;
> una qualsiasi pubblica Autorità costituita in collegio è qualsiasi organo collegiale dello
Stato che eserciti una pubblica funzione, come ad esempio una commissione esa-
minatrice di un pubblico concorso;
> le imprese che esercitano servizi pubblici o di pubblica necessità sono quelle che esercitano
un servizio dichiarato tale mediante un atto della pubblica amministrazione.
Elemento soggettivo e circostanze: il dolo è specifico in tutte le ipotesi. Si applica la
scriminante ex art. 393-bis c.p.;
Il delitto si consuma al momento della violenza o della minaccia. Non è richiesto, ai
fini della configurabilità del reato, che la minaccia sia fatta in presenza dell’organo
collegiale riunito, né è richiesto che l’agente consegua lo scopo che si era prefisso.

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38 Reati contro la Pubblica Amministrazione

La fattispecie è stata oggetto di correttivi ad opera della L. 105/2017.


È possibile cogliere tali modifiche solo avendo riguardo alla citata nozione di corpo
politico, amministrativo o giudiziario: se le funzioni esercitate dall’autorità collegiale
esprimono una volontà unica tradotta in atti che appaiono riferibili al medesimo
collegio e non ai singoli componenti che alla formazione di tale volontà concorrono,
è evidente l’inadeguatezza del ricorso alla norma in esame per contestare le inti-
midazioni ai singoli componenti quando il soggetto leso non sia il corpo nella sua
interezza o qualora il singolo destinatario non abbia poteri di rappresentanza. In tal
senso si pone, dunque, la novità introdotta al primo comma, ovvero il riferimento
anche ai singoli componenti del corpo politico, amministrativo o giudiziario o di una
qualsiasi pubblica autorità costituita in collegio.
Ancora, la legge ha introdotto un inedito secondo comma con il quale vengono san-
zionati gli atti intimidatori volti a piegare la volontà dell’amministratore. La condotta
violenta o minacciosa può precedere il provvedimento, anche legislativo, favorevole,
ovvero essere diretta ad ostacolare o impedire l’emissione di un provvedimento, an-
che legislativo, sfavorevole, così come può seguire l’adozione dei suddetti provvedi-
menti, a titolo ritorsivo.
Il riferimento all’emissione di provvedimenti, anche legislativi, è evidentemente vol-
to alla tutela dei consiglieri regionali e dai parlamentari nazionali dagli atti intimi-
datori.
La L. 105/2017 ha anche introdotto nel corpus del codice l’art. 393-bis, di cui si dirà
a breve.
Trattamento sanzionatorio: la pena è la reclusione da 1 a 7 anni.

Art. 339 c.p., Circostanze aggravanti: «(I). Le pene stabilite nei tre articoli prece-
denti sono aumentate se la violenza o la minaccia è commessa nel corso di mani-
festazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero con armi, o da persona
travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico,
o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o
supposte. (II). Se la violenza o la minaccia è commessa da più di cinque persone
riunite, mediante uso di armi anche soltanto da parte di una di esse, ovvero da
più di dieci persone, pur senza uso di armi, la pena è, nei casi preveduti dalla
prima parte dell’articolo 336 e dagli articoli 337 e 338, della reclusione da tre a
quindici anni, e, nel caso preveduto dal capoverso dell’articolo 336, della reclusio-
ne da due a otto anni. (III). Le disposizioni di cui al secondo comma si applicano
anche, salvo che il fatto costituisca più grave reato, nel caso in cui la violenza o
la minaccia sia commessa mediante il lancio o l’utilizzo di corpi contundenti o
altri oggetti atti ad offendere, compresi gli artifici pirotecnici, in modo da creare
pericolo alle persone (articolo così modificato dall’art. 7 D.L. 53/2019, cosiddetto
decreto sicurezza-bis)».

La norma in esame, al primo comma, dispone che le pene stabilite per i suddetti
delitti (336, 337 e 338 c.p.) sono aumentate quando la violenza sia commessa «nel
corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero con armi, o da
persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbo-
lico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti
o supposte».

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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 39

La dottrina ha chiarito che:


> l’uso delle armi debba essere strumentale all’azione del colpevole. In altre parole,
le armi devono essere adoperate o tenute addosso in maniera vistosa al fine di ingi-
gantire l’effetto intimidatorio della condotta violenta o della minaccia;
> nel concetto di travisamento possa rientra qualsivoglia modificazione o alterazione
dei segni di riconoscimento di una persona (es. l’alterazione della voce);
> l’espressione relativa alla riunione di più persone possa essere riferita anche a due
sole persone e vi rientrino anche i soggetti non imputabili o non punibili, purché
si tratti di persone tutte presenti nel locus commissi delicti;
> l’espressione in modo simbolico debba essere riferita alla circostanza in cui la condot-
ta violenta o la minaccia si concretino in un’espressione non letterale, ma figurati-
va, volta a realizzare l’intimidazione.
Alle figure circostanziali ad efficacia comune (primo comma), il legislatore penale af-
fianca ulteriori ipotesi di maggior gravità (secondo comma), che si configurano quando
la condotta violenta o la minaccia vengano commesse «da più di cinque persone riu-
nite, mediante uso di armi, anche soltanto da parte di una di esse, ovvero da più di
dieci persone, pur senza uso di armi».
Infine, l’ultimo comma della norma in esame estende l’applicabilità delle prescri-
zioni anche alle ipotesi in cui la condotta violenta o la minaccia siano commesse
attraverso «il lancio o l’utilizzo di corpi contundenti o altri oggetti atti ad offendere,
compresi gli artifici pirotecnici, in modo da creare pericolo alle persone».

Art. 346 c.p., Millantato credito: «(I). Chiunque, millantando credito presso un
pubblico ufficiale, o presso un pubblico impiegato che presti un pubblico servizio,
riceve o fa dare o fa promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo
della propria mediazione verso il pubblico ufficiale o impiegato, è punito con la
reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 309 euro a 2.065 euro. (II). La
pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da 516 euro a 3.098 euro,
se il colpevole riceve o fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità,
col pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale o impiegato, o di
doverlo remunerare».

Soggetto attivo: chiunque (reato comune).


Condotte punibili: la norma in esame punisce due condotte: quella di chi, millantan-
do un credito presso un pubblico ufficiale ovvero un pubblico impiegato che presti
un pubblico servizio, riceva o faccia dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra
utilità, quale prezzo della propria mediazione verso il pubblico ufficiale o impiegato
(primo comma); quella di chi riceva o faccia dare o promettere, a sé o ad altri, danaro
o altra utilità, con il pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale o
impiegato, o di doverlo remunerare (secondo comma).
La millanteria, nell’ipotesi di cui al primo comma, si concreta nella condotta di van-
tare una particolare influenza presso un pubblico ufficiale o presso un impiegato
che presti un pubblico servizio. Come ha chiarito la giurisprudenza, la millanteria
dev’essere idonea a raggiungere lo scopo propostosi dall’agente: tale idoneità va, di
volta in volta, accertata in concreto, con riferimento al singolo soggetto preso di mira
dall’agente.

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40 Reati contro la Pubblica Amministrazione

Nell’ipotesi di cui al secondo comma, invece, la millanteria consiste nel promettere


la corruzione del funzionario, in quanto il millantatore ovvero un terzo ricevono la
dazione o la promessa con il pretesto di dover comprare il favore del primo. Trattasi
di un’autonoma figura delittuosa e non di una circostanza aggravante della prima.
La Suprema Corte ha chiarito che, ai fini dell’integrazione della seconda figura,
è irrilevante che l’iniziativa parta dalla persona cui è richiesto di corrispondere il
denaro o l’utilità, né occorre che l’agente indichi nominativamente i funzionari o
gli impiegati i cui favori devono essere comprati o remunerati (cfr. Cass., sez. un.,
2-4-2010, n. 12822).
Consumazione: il delitto si consuma nel momento e nel luogo in cui l’agente ottenga
la dazione o la promessa connesse alla millanteria.
Oggetto della tutela: il prestigio della Pubblica Amministrazione, che viene leso ogni
qualvolta si mercanteggiano pretese influenze presso pubblici ufficiali o pubblici im-
piegati o si faccia credere falsamente che gli stessi siano corruttibili o, comunque,
arrendevoli ad illecite inframmettenze.
Elemento soggettivo: il dolo, in entrambi i reati, è generico, bastando la coscienza e
volontà di carpire la promessa o la dazione del danaro o di altra utilità millantando
credito.
Trattamento sanzionatorio: la pena per la prima figura è della reclusione da 1 a 5
anni e della multa da 309 a 2.065 euro; per la seconda della reclusione da 2 a 6 anni
e della multa da 516 a 3.098 euro.

Art. 346-bis c.p., Traffico di influenze illecite: «(I). Chiunque, fuori dei casi di
concorso nei reati di cui agli articoli 319 e 319-ter, sfruttando relazioni esistenti con
un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente
fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come
prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l’incaricato di
un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un
atto contrario ai doveri di ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo uffi-
cio, è punito con la reclusione da uno a tre anni. (II). La stessa pena si applica a chi
indebitamente dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale (III). La pena
è aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri,
denaro o altro vantaggio patrimoniale riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di
incaricato di un pubblico servizio. (IV). Le pene sono altresì aumentate se i fatti
sono commessi in relazione all’esercizio di attività giudiziarie. (V). Se i fatti sono di
particolare tenuità, la pena è diminuita».

Soggetto attivo: chiunque (reato comune).


Oggetto della tutela: il buon andamento, l’imparzialità e il prestigio della Pubblica
Amministrazione.
Condotte punibili: la norma in esame, come riformata dalla L. 190/2012, punisce
due condotte: quella di chi, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319
e 319-ter sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato
di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro
o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso
il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in
relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all’omissione o al

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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 41

ritardo di un atto del suo ufficio; quella di chi indebitamente dà o promette denaro o
altro vantaggio patrimoniale ai suddetti soggetti e per le finalità di cui sopra.
Il delitto costituisce una figura speciale di millantato credito.
Diversamente dall’ipotesi base, nell’ipotesi speciale la condotta del reo è volta ad
ottenere il compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio ovvero l’omissione o il
ritardo di un atto del proprio ufficio.
In quest’ottica è chiara la ratio della clausola di sussidiarietà, che esclude la configura-
bilità del reato ove la condotta del millantatore, lungi dal tradursi in mera vanteria
di conoscenze e relazioni, integri gli estremi del concorso nei reati di corruzione
propria o di corruzione in atti giudiziari.
Ulteriore elemento specializzante è costituito dalla punibilità del soggetto che corri-
sponde il denaro o il diverso vantaggio patrimoniale (differentemente dal millantato
credito comune, ove è esclusa la punibilità di tale soggetto).
Ancora, diversamente dall’ipotesi base, oltre al denaro, rilevano esclusivamente i
vantaggi di natura patrimoniale e non anche altre utilità. Pertanto, anche nell’ipote-
si speciale il denaro o il diverso vantaggio patrimoniale possono costituire il prezzo
della mediazione ovvero la remunerazione del pubblico ufficiale.
In definitiva, mentre nell’ipotesi base ai due diversi scopi dell’erogazione vengono as-
sociati due diversi trattamenti sanzionatori – dovuti al fatto che nella prima figura
l’agente promette solo la propria mediazione verso il pubblico ufficiale facendosi
dare o promettere il danaro o l’utilità come prezzo di tale mediazione, mentre nel-
la seconda figura il millantatore promette la corruzione del funzionario, in quanto
riceve la dazione o promessa con il pretesto di dover comprare il favore del funzionario –
nella figura speciale in esame, invece, mediazione e remunerazione quanto al profilo
sanzionatorio sono equiparate.
Elemento soggettivo e circostanze: la fattispecie è punibile a titolo di dolo generico
e consiste, dunque, nella coscienza e volontà di porre in essere la condotta tipica, ac-
compagnata dalla consapevolezza di ricevere il compenso o la promessa quale prezzo
della propria mediazione o come strumento per corrompere il pubblico funzionario.
Costituiscono circostanze aggravanti: il fatto commesso da chi riveste la qualifica di
pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio; il fatto commesso in rela-
zione all’esercizio di attività giudiziarie.
Costituisce una circostanza attenuante il fatto di particolare tenuità.
Trattamento sanzionatorio: la pena è la reclusione da 1 a 3 anni, anche per il de-
stinatario della millanteria (pena aumentata o ridotta fino ad un terzo in presenza,
rispettivamente, della configurazione aggravata o di quella attenuata).

Art. 348 c.p., Abusivo esercizio di una professione: «(I). Chiunque abusivamente
esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Sta-
to è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 10.000 a
euro 50.000. (II). La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la con-
fisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e, nel caso
in cui il soggetto che ha commesso il reato eserciti regolarmente una professione o
attività, la trasmissione della sentenza medesima al competente Ordine, albo o re-
gistro ai fini dell’applicazione dell’interdizione da uno a tre anni dalla professione
o attività regolarmente esercitata. (III). Si applica la pena della reclusione da uno a
cinque anni e della multa da euro 15.000 a euro 75.000 nei confronti del professio-

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42 Reati contro la Pubblica Amministrazione

nista che ha determinato altri a commettere il reato di cui al primo co. ovvero ha
diretto l’attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo».

La norma in esame è stata riformulata dalla L. 11-1-2018 n. 3, recante un’ampia de-


lega al Governo per il riassetto e la riforma delle disposizioni vigenti in materia di
sperimentazione clinica dei medicinali per uso umano, oltre a disposizioni imme-
diatamente precettive per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza
sanitaria del Ministero della salute.
Trattasi di una cd. norma penale in bianco, poiché presuppone l’esistenza di norme giu-
ridiche speciali che vietino l’esercizio di determinate professioni senza una speciale
abilitazione dello Stato.
Soggetto attivo: chiunque (reato comune).
Condotte punibili: la norma sanziona la condotta di chi esercita abusivamente una
professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato.
L’esercizio della professione deve ritenersi come abusivo sia quando avvenga senza
che sia stata mai ottenuta la relativa abilitazione, sia quando il soggetto sia decaduto
da essa o ne sia stato sospeso (cfr. Cass. 24-5-2007, n. 20439).
Con riferimento al numero di atti da porre in essere per la configurabilità del reato,
l’orientamento giurisprudenziale più risalente riteneva che si trattasse di un delitto
di natura istantanea, non esigendo un’attività continuativa od organizzata ma perfe-
zionandosi con il compimento anche di un solo atto tipico o proprio della professio-
ne abusivamente esercitata; la Suprema Corte ha recentemente affermato che, ai fini
della configurabilità del delitto in esame, è necessario che la condotta sia connotata
da: ripetitività, continuità o, comunque, dalla pluralità degli atti tipici (cfr. Cass. 13-
2-2017, n. 6664).
La giurisprudenza ha ritenuto configurabile il delitto in esame anche quando siano
compiuti atti senza titolo alcuno che, sebbene non possano essere attribuiti singo-
larmente in via esclusiva ad una determinata professione, siano univocamente indi-
viduati come di competenza specifica di essa. Ciò quando il compimento di tali atti
avvenga con continuatività, onerosità e organizzazione tali da creare, in assenza di
chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta
da un soggetto regolarmente abilitato.
La Suprema Corte ha anche chiarito che l’eventuale consenso prestato dal destina-
tario della prestazione abusiva non esclude la configurabilità del reato in oggetto in
quanto l’interesse leso, essendo di carattere pubblico, resta indisponibile (cfr. Cass.
8-1-2003, n. 49).
Il legislatore del 2018 ha previsto che quando il reato sia commesso da abilitato in
diversa professione (es. l’odontotecnico professionista che eserciti abusivamente l’at-
tività di odontoiatra) la condanna dell’agente è trasmessa «al competente ordine,
albo o registro ai fini dell’applicazione dell’interdizione da uno a tre anni dalla pro-
fessione o attività regolarmente esercitata» (II comma).
Circostanze: sì come da ultimo riformata, la norma prevede un’ipotesi aggravata ad
effetto speciale, a carico del c.d. concorrente abilitato, sanzionando il professionista che
abbia determinato altri a commettere il reato, il cd. determinatore, ovvero il soggetto
che faccia nascere nell’autore del reato un proposito criminoso prima inesistente,
ovvero abbia diretto l’attività delle persone che sono concorse nel reato.

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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 43

Con riguardo all’espressione determinare altri a commettere il reato, questa è già stata uti-
lizzata dal legislatore penale nell’ambito di circostanze aggravanti generali (es. artt.
111 e 112 c.p.) con riferimento a categorie specifiche di soggetti «quali, per esempio,
le persone soggette ad altrui autorità, direzione o vigilanza o i minori di età».
Con riguardo, invece, alla direzione, la norma in esame sanziona l’attività del professio-
nista abilitato che si avvalga dell’opera di soggetti privi di pubblica abilitazione, con
ruolo meramente direttivo. Diversamente, per le ipotesi di promozione ed organizza-
zione dei concorrenti, trova applicazione l’aggravante generale di cui all’art. 112 cit.
Come si diceva poco sopra, l’articolo è stato riformulato dalla L. 3/2018: prima di
tale intervento normativo, la giurisprudenza riteneva che il professionista abilitato
che avesse consentito o agevolato lo svolgimento di attività professionale da parte di
soggetto non autorizzato dovesse essere considerato concorrente nel reato.
Per effetto della modifica, invece, al professionista è riservata una sanzione inasprita
rispetto al concorrente non abilitato.
Trattamento sanzionatorio: la pena, per l’ipotesi base, è la reclusione da 6 mesi a 3
anni e la multa da 10.000 a 50.000 euro. Per l’ipotesi aggravata è la reclusione da 1 a
5 anni e la multa da 15.000 a 75.000 euro.
Il secondo comma, come riformato dalla L. 3/2018, ha disposto che la condanna per
il reato in esame è accompagnata dalla pubblicazione della sentenza e la confisca del-
le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato: trattasi di una pena
accessoria con valenza sanzionatoria, ma anche preventiva.

Art. 393-bis c.p., Causa di non punibilità: «Non si applicano le disposizioni degli
articoli 336, 337, 338, 339, 339-bis, 341-bis 342 e 343 quando il pubblico ufficiale o
l’incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa
al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue
attribuzioni».

La L. 94/2009 ha trasformato in disposizione codicistica l’esimente prevista dall’art.


4 D.Lgs. Lgt. 14-9-1944, n. 288. La disposizione, già contemplata dal Codice Zanar-
delli, fu dapprima abrogata dal legislatore del Codice Rocco, notoriamente ispirato
al principio dell’incondizionato rispetto dell’autorità e, successivamente, alla caduta
del regime, venne ripristinata dal legislatore.
Da ultimo, la norma è stata oggetto di correttivi ad opera della L. 105/2017.
La norma neointrodotta si traduce in una circostanza aggravante ad effetto speciale
– è previsto un incremento di pena da un terzo alla metà – connessa alla realizza-
zione dei suddetti delitti in danno di uno o più componenti di un corpo politico,
amministrativo o giudiziario, quando tali delitti si traducano in atti intimidatori ri-
torsivi commessi a causa del compimento di un atto realizzato nell’adempimento del
mandato, delle funzioni ovvero del servizio.
Ai sensi di tale modifica, l’aggravante per gli atti intimidatori ritorsivi ai danni di
pubblici funzionari, di cui all’art. 339-bis, non trova applicazione quando sia stato
lo stesso amministratore ad avere dato causa all’intimidazione, eccedendo con atti
arbitrari i limiti delle sue attribuzioni. Ante 2017, infatti, la causa di non punibilità
riguardava la fattispecie base (art. 338 c.p.) e quella aggravata (art. 339 c.p.) di vio-
lenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario.

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44 Reati contro la Pubblica Amministrazione

Art. 341-bis c.p., Oltraggio a pubblico ufficiale: «(I) Chiunque, in luogo pubblico
o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio
di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio
delle sue funzioni è punito con la reclusione fino a tre anni. (II) La pena è au-
mentata se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Se la verità
del fatto è provata o se per esso l’ufficiale a cui il fatto è attribuito è condannato
dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’offesa non è punibile. (III)
Ove l’imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno, mediante
risarcimento di esso sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti dell’en-
te di appartenenza della medesima, il reato è estinto».

La norma è stata introdotta, rectius reintrodotta, nel corpus del codice penale dall’art.
1, co. 8, L. 94/2009 (cd. Pacchetto sicurezza), con un ripensamento del legislatore pe-
nale rispetto alla legge-delega n. 205/1999 per la depenalizzazione dei reati minori,
con la conseguente abrogazione della fattispecie corrispondente.
Se la norma era il prodotto della concezione autoritaria e sacrale dei rapporti tra
pubblici ufficiali e collettività dei consociati, i promotori della reintroduzione della
figura delittuosa in esame hanno puntato i riflettori sulla tutela dell’immagine della
Pubblica Amministrazione e sull’importanza, altrimenti attenuata, delle istituzioni e
dei soggetti che incarnano queste ultime.
Soggetto attivo: chiunque (reato comune).
Condotte punibili: la norma incrimina chi, in luogo pubblico o aperto al pubblico
e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale
mentre compie un atto d’ufficio e a causa o nell’esercizio delle proprie funzioni.
Il legislatore sanziona penalmente l’offesa, manifestabile in qualsiasi modo (anche
con atti o in forma gestuale, oltre che con espressioni di uso comune, purché, per il
contesto in cui tali espressioni sono pronunciate, esprimano disprezzo per la funzio-
ne del pubblico ufficiale), all’onore (da intendersi come il complesso delle qualità mo-
rali di una persona) ed al prestigio (da intendersi come la particolare forma di decoro
determinata dalla posizione del soggetto passivo) del pubblico ufficiale.
Con riguardo all’offesa, la Suprema Corte ha recentemente affermato che, in tema
di oltraggio a pubblico ufficiale, un’espressione intrinsecamente offensiva, seppur di
uso corrente nel linguaggio moderno, abbia una valenza obiettivamente denigratoria
e minatoria, in quanto perde il carattere di antigiuridicità quando sia pronunciata in
circostanze che, esulando dai limiti della critica anche accesa, siano tali da incidere
in senso negativo sul consenso che il pubblico ufficiale deve avere nella società (cfr.
Cass. 2-12-2016, n. 51613).
Tuttavia, se ai sensi dell’originaria formulazione della norma il fatto doveva essere
commesso in presenza del pubblico ufficiale, nell’attuale configurazione il medesi-
mo dev’essere commesso in presenza di più persone (circostanza che, nella formula-
zione originaria, dava luogo ad un aggravio sanzionatorio),
Analogamente alla versione precedente della norma, il legislatore ha richiesto la pre-
senza di una relazione causale o temporale tra l’offesa e la qualifica funzionale.
L’inedito ultimo comma dispone che qualora l’imputato, prima del giudizio, abbia
riparato interamente il danno, mediante risarcimento di esso sia nei confronti della
persona offesa sia nei confronti dell’ente di appartenenza della medesima, il reato è
estinto.

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Capitolo Unico Delitti contro la Pubblica Amministrazione (articoli 314-360 c.p.) 45

Elemento soggettivo e circostanze: è punibile a titolo di dolo generico che consiste


nella coscienza e volontà della condotta, accompagnata dalla consapevolezza, nell’a-
gente, della potenzialità oltraggiosa della frase pronunciata, e dalla volontà di desti-
nare l’oltraggio al pubblico ufficiale.
Ai sensi del secondo comma della norma in esame, il reato è aggravato se l’offesa
consiste nell’attribuzione di un fatto determinato: ne deriva, dunque, che se la verità
del fatto è provata o se per esso l’ufficiale a cui il fatto è attribuito viene condannato
dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’offesa non è punibile.
Trattamento sanzionatorio: la pena è la reclusione fino a 3 anni, aumentata fino ad
un terzo se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato.

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