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DELITTI DEI PUBBLICI UFFICIALI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

1. QUALIFICHE SOGGETTIVE
2. PECULATO
3. MALVERSAZIONE A DANNO DELLO STATO
4. INDEBITA PERCEZIONE
5. CONCUSSIONE
6. INDUZIONE INDEBITA
7. CORRUZIONE
8. ABUSO D’UFFICIO
9. CAUSA DI NON PUNIBILITÀ
10. RIFIUTO D’ATTI D’UFFICIO
11. INTERRUZIONE SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI

QUALIFICHE SOGGETTIVE
Il pubblico ufficiale e l’incaricato di un pubblico servizio sono i soggetti attivi dei delitti contro la pubblica amministrazione
ma anche di altri delitti come, ad esempio, quelli di falso; quindi, la qualifica soggettiva è quella cosa che fa scattare solitamente
innalzamenti di pena o determina la punibilità di fatti altrimenti leciti.
Il dato normativo sta negli articoli 357, 358 e 359 (anche se questo non è una qualifica pubblicistica: l'esercente un servizio di
pubblica necessità è un privato, non un pubblico).
Nel 1930 il codice diceva che “era pubblico ufficiale un soggetto appartenente o meno alla pubblica amministrazione che
svolgesse un pubblico ufficio a titolo oneroso o a titolo gratuito in modo permanente o in modo temporaneo” = definizione
tautologica, vuota. Nel non dire nulla, però, richiamava l'attenzione sul profilo di appartenenza all’ente, anche se poi diceva che
era superabile, però c'è il riferimento “dipendenti o meno dalla pubblica amministrazione”.
Questa definizione evidentemente non era ritenuta appagante: per questo, il legislatore la modifica nel 1990.
Una problematica molto discussa a cavallo tra gli anni 80 e gli anni 90 era quella delle banche e degli operatori bancari: si avvertì
il vuoto legislativo che fu riempito dalla giurisprudenza, da due pronunce della Corte di Cassazione a Sezioni Unite che si sono
susseguite a distanza di pochi anni l'una dall'altra, che operarono la famosa equiparazione prima verso l'alto e poi verso il
basso, passando da un criterio soggettivo, che era quello della dipendenza dall'ente del soggetto, a un criterio oggettivo che
era quello dello svolgimento di un'attività. Quindi si diceva: se questa attività è pubblica, il soggetto è un pubblico ufficiale; se
l'attività è privata, invece, è sprovvisto delle qualifiche soggettive.
Si cercarono degli indici sintomatici della natura pubblica o privata dell’attività.
Si espressero due Sezioni Unite della Cassazione:

• una era la sent. Carfì (1981), la quale argomentò sulla base degli indici sintomatici, ritenendo che l’attività delle banche
fosse di carattere pubblicistico perché, raccogliendo i risparmi ed erogando il credito, le banche rendono un servigio alla
collettività e l’indice sintomatico più importante era il fatto che le banche agivano in regime di concessione, su delega da
parte dello Stato (attività in origine statale).
Quindi questa sentenza operò la EQUIPARAZIONE DELLE BANCHE VERSO L’ATTIVITÀ PUBBLICA con la
conseguenza che i dipendenti erano ritenuti indistintamente pubblici ufficiali.
Nel 1987 il criterio degli indici sintomatici viene confermato, però si prende atto della mutazione del dato normativo,
conseguentemente ad alcune direttive comunitarie che prevedono una normativa differente: le banche che possiedono determinati
requisiti hanno diritto a raccogliere risparmio ed erogare il credito → si passa da regime di concessione a regime di autorizzazione.
Le Sez. Unite ne desumono che questa attività non è più pubblica ma privata. Dunque, gli operatori bancari non sono più pubblici
ufficiali ma soggetti privati.
In questo contesto l’avv. Paola Severino propone di definire le qualifiche di pubblico ufficiale/incaricato di pubblico servizio nei
termini odierni del Codice penale:
ART.357 NOZIONE DI PUBBLICO UFFICIALE
“Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o
amministrativa.
Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi, e
caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo
di poteri autoritativi o certificativi.”
ART. 358 NOZIONE DI INCARICATO DI UN PUBBLICO SERVIZIO
“Agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico
servizio.
Per pubblico servizio deve intendersi un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla
mancanza dei poteri tipici di quest'ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione
di opera meramente materiale.”
ART. 359 PERSONE ESERCENTI UN SERVIZIO DI PUBBLICA NECESSITA’
“Agli effetti della legge penale, sono persone che esercitano un servizio di pubblica necessità:
1) i privati che esercitano professioni forensi o sanitarie, o altre professioni il cui esercizio sia per legge vietato senza una speciale
abilitazione dello Stato, quando dell'opera di essi il pubblico sia per legge obbligato a valersi;
2) i privati che, non esercitando una pubblica funzione, né prestando un pubblico servizio, adempiono un servizio dichiarato di
pubblica necessità mediante un atto della pubblica Amministrazione.”
Con la terminologia di Paola Severino si parla di CRITERI DI DELIMITAZIONE INTERNO ED ESTERNO.
ESTERNO → riguarda tutta l'attività pubblica rispetto a tutta l'attività privata. È rappresentato dalla disciplina da parte di norme
di diritto pubblico e da atti autoritativi = questa definizione è presente nell'articolo 357 ma è richiamata anche nell'articolo 358, il
quale dice che il servizio pubblico è svolto nelle stesse forme della pubblica funzione ossia la disciplina da parte di norme di leggi
di diritto pubblico e atti amministrativi. distingue ciò che è pubblico da ciò che è privato;
INTERNA → nel pubblico, distingue il pubblico ufficiale dall’incaricato di pubblico servizio;
PUBBLICO UFFICIALE → è pubblica la funzione legislativa, esecutiva o giudiziaria.
Il problema di identificazione non si pone per la funzione legislativa e giudiziaria. Invece, si pone per la funzione amministrativa.
Il legislatore cerca di definirla al 2° co. dell’art.357: quella disciplinata da norme di diritto pubblico e atti autoritativi.
La disciplina da parte di norme di diritto pubblico e atti autoritativi caratterizza sia la pubblica funzione, sia il pubblico servizio
= criterio di delimitazione esterno. Le norme di diritto pubblico, tuttavia, che cosa siano non è mai stato definito con chiarezza,
(si parla sempre della pubblica funzione amministrativa, ovviamente problemi non si pongono per la pubblica funzione
giudiziario- legislativa, perché in cui siamo di fronte a un numerus clausus di soggetti facilmente identificabili), ma anche qui
soccorre il criterio di delimitazione interno cioè la presenza di alcuni POTERI che sono proprio tipici del pubblico ufficiale:
1. AUTORITITATVI
2. CERTIFICATIVI
3. DELIBERATIVI (formazione e manifestazione della volontà della p.a.) Se c’è solo una delle due non è pubblico ufficiale.
Se mancano (tutti e tre)→ incaricato di pubblico servizio (a meno che non svolga mansioni d’ordine meramente materiale).
All’indomani del varo della riforma e quindi dell’emanazione di questi articoli 357/358, iniziarono alcune considerazioni critiche:
1. perché differenziare i due soggetti? Perché ci sono reati che possono essere commessi differentemente dai due soggetti;
2.Vi è un serio problema di legittimità e tassatività in relazione alle norme di diritto pubblico → ci sono molte zone di penombra
tra il pubblico e il privato. Allora la dottrina ha stilato una serie di criteri per distinguere se è una disciplina pubblica o privata:
- a chi è indirizzata la legge;
- se il soggetto è vincolato (norma di diritto pubblico) o è libero;
- criterio della supremazia (rapporto di pariteticità o supremazia di un soggetto rispetto all’altro);
- perseguimento di un interesse pubblico;
Nessuno è riuscito a individuare una distinzione definitiva tra norme di diritto pubblico e norme di diritto privato.
Gli atti autoritativi invece sono comprensibili e conoscibili facilmente → esproprio, l’alt da parte di un vigile…
Poiché ai fini della definizione di pubblico ufficiale occorre, oltre alla disciplina da parte di norme di diritto pubblico, anche di
atti autoritativi, il problema è superato: non è difficile capire chi sia un pubblico ufficiale e soprattutto ci si può avvalere del
criterio di delimitazione interna (poteri) perché sono tassativi.
[Il pubblico ufficiale per antonomasia è il notaio che dispone di poteri certificativi.]
Queste definizioni fornite, sia di pubblico ufficiale, che di incaricato di un pubblico servizio, sono OGGETTIVE = si passa da
una definizione in chiave soggettiva ad una in chiave oggettiva – funzionale: non soltanto si desume la natura del soggetto dalla
natura dell'attività (criterio oggettivo) che guarda l'attività e non alla dipendenza da un ente, ma funzionale nel senso che
circoscrive ad un determinato ambito l'attenzione, e allora quando non svolgono più la loro funzione non sono più pubblici
ufficiali, mentre con la definizione soggettiva lo sono sempre.
Un caso discusso ha riguardato una pronuncia del 2006 il difensore, l’avvocato che è per definizione un soggetto privato.
In forza di una legge sulle investigazioni difensive, emanata per cercare di riequilibrare i poteri dell’accusa e della difesa, nel
segno di perseguire l’ideale di un modello accusatorio, al difensore vengono date una serie di prerogative:
- Sentire persone informate sui fatti;
- con diverse modalità, verbalizzare queste affermazioni che poi rifluiscono nel fascicolo d’indagine del p.m.;
Quindi ha un potere certificativo che le Sez. Un. ritengono poter essere alla base della qualifica di questo soggetto come pubblico
ufficiale. Sono esclusi i poteri autoritativi. Mancano anche gli atti autoritativi, benché sia un’attività disciplinata da norme di
diritto pubblico. Non c’è un provvedimento della P.A. che incardina il pubblico ufficiale in una funzione.
Tuttavia, le Sez. Un. della Corte di Cassazione del 2006 ritennero che il difensore potesse essere un pubblico ufficiale, con
riferimento al criterio di delimitazione interno, ma glissando sul criterio di delimitazione esterno.
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Il vero punto dolente di questa disciplina è l’incaricato di un pubblico servizio perché, se i poteri sono l’elemento tipizzante che
rendono abbastanza tassativa la definizione di pubblico ufficiale, nell’incaricato di pubblico servizio questi poteri mancano e
quindi ci si può rifare solo alle norme di diritto pubblico e agli atti autoritativi, e qui si pone il problema.
Chi è incaricato di pubblico servizio? Ad es. la guardia giurata.
Chi è l’incaricato di pubblico servizio nel privato? Il servizio di pubblica necessità.
C’è una locuzione che fa proprio la differenza: la concessione, ma anche ogni atto di delega.
Per individuare l'attività pubblica la giurisprudenza individua alcuni indici sintomatici, tra cui il REGIME DI CONCESSIONE
atto autoritativo in cui tale attività fosse svolta (e, guarda caso, inizialmente le banche agivano proprio in regime di concessione:
la Banca d'Italia rilasciava la concessione alle banche per lo svolgimento di quelle attività di interesse pubblico che erano la
raccolta del risparmio e l'erogazione del credito)
Le cose cambiarono di lì a poco tempo perché, sempre le Sezioni Unite della Corte di Cassazione presero atto di un mutato quadro
normativo: l'intervento di alcune direttive avevano determinato il passaggio dal regime di concessione dell'ente al regime di
autorizzazione.

• Sent. Minzolini 2015 → il direttore di un telegiornale è incaricato di pubblico servizio perché svolge attività data in regime
di concessione ed è irrilevante la natura privata dell’ente. Senza dubbio rientra nell’ambito del servizio pubblico perché agisce
in regime di concessione.
• Sent Bertè 2003 → scambio di favori nella selezione dei giovani talenti di Sanremo. Per qualificarsi la corruzione il
selezionatore dovrebbe essere pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio. È un programma RAI, la quale agisce in
concessione = se c’è concessione c’è pubblico servizio. Essendo una nozione oggettivo-funzionale bisogna dire che non tutto
ciò che rientra nella concessione qualifica un incaricato di pubblico servizio, ma le attività vanno distinte. L’attività
commerciale non è disciplinata da norme di diritto pubblico e atti autoritativi ma da norme privatistiche. Questo caso si colloca
a metà tra il servizio pubblico e l’attività commerciale, allora la Corte di Cassazione, in maniera probabilmente non
condivisibile, dice che c’è un RAPPORTO DI STRETTA SRUMENTALITA’. Quindi, attraverso questo criterio, recupera la
qualifica soggettiva pubblicistica.
Successivamente questo è stato negato e quindi si ritiene che si tratti di attività privata
Si evidenzia così che bisogna scegliere tra due approcci diversi:

• uno a intermittenza → lo stesso soggetto può essere privato o assumere qualifiche a seconda di ciò che sta facendo in un
determinato momento, a prescindere dai nessi di strumentalità [es. del soggetto pubblico che mentre pubblicizza un
prodotto diventa privato].
Questo in concreto può recare difficoltà.
Infatti, la Corte di Cassazione entra in conflitto con sé stessa, e lo fa anche nell’ambito del servizio banco-posta delle Poste Italiane
(l’attività bancaria oggi è privata [sent. Tuzzet 1989]).
Non è facile distinguere in concreto sulla base del criterio della normativa di diritto pubblico. Ciò che riemerge sempre è il
riferimento all’interesse pubblico perseguito dall’attività, che era proprio quello che il legislatore voleva negare introducendo
le norme sulle qualifiche pubblicistiche, perché quello dell’interesse pubblico è un criterio troppo discrezionale.
Trattandosi di nozione oggettivo-funzionale bisognerebbe ragionare solo sulla base di quel segmento di attività. Ma la pretesa di
segmentare l’attività è difficile da mantenere in maniera coerente.
Prima del 1990 la base della qualifica pubblicistica era la natura pubblica dell’interesse e la riforma ha cercato di definire in chiave
normativa il concetto di pubblico, attraverso i criteri di delimitazione interno ed esterno, ma poiché non sono risolutivi, di fatto
rispunta il carattere dell’interesse.
Prima si faceva riferimento non alla natura dell’attività ma al rapporto con l’ente, quando è stato privatizzato tutto si è fatto
riferimento poi alla natura pubblica dell’interesse, poi il legislatore è intervenuto dicendo di ragionare sulla base dei criteri di
delimitazione interno ed esterno, tuttavia non risolutivi. Residuano dei margini interpretativi che l’interprete scioglie secondo la
sua preferenza teorica per cui la giurisprudenza non prescinde ancora dalla natura pubblica dell’interesse che però legislativamente
non esiste.
Privatizzazioni=determinate attività svolte prima dallo stato o diventano del tutto private o vengono date in concessione a una
società privata e lo stato si riserva una partecipazione consistente per poter intervenire, pone determinate regole per lo svolgimento
dell’attività
Non è detto che l’atto amministrativo sia di concessione, quindi sorge anche un altro problema interpretativo dell’atto
amministrativo.

Criterio delimitazione esterno:


se c’èautorizzazione/abilitazione→ non c’è diritto pubblico ma privato ed è esercente servizio di pubblica utilità
Questo criterio funziona nei settori privatizzati

Se c’è concessione c’è incaricato di pubblico servizio


PECULATO
ART. 314, comma 1: il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio,
il possesso o comunque la disponibilità di denaro di altra cosa mobile altrui se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro
anni a dieci anni e sei mesi.
Il delitto di peculato consiste in un'appropriazione indebita qualificata, che può essere svolta solo dal pubblico funzionario. Questo
delitto è stato oggetto di riforma negli anni ’90: infatti, nella formulazione originaria del codice, la fattispecie prevedeva come
condotte sia l'appropriazione che la distrazione; nella formula attuale, la condotta rilevante ai fini del peculato è solo
l'appropriazione, mentre la distrazione integra la fattispecie di abuso d'ufficio. Con questa riforma è stato inoltre abrogato il delitto
di malversazione a danno dei privati, confluito nella fattispecie di peculato e, allo stesso tempo, è stata espressamente prevista la
fattispecie di peculato d'uso di cui al comma 2 dello stesso articolo 314.
Il legislatore ha operato queste modifiche perché, escludendo la distrazione dalla fattispecie di peculato, poteva porsi un freno alle
distorsioni interpretative che c'erano nella prassi applicativa, per cui con il peculato si reprimeva anche il semplice uso distorto
della discrezionalità amministrativa. “Distrarre” significa “deviare dallo scopo originariamente preso di mira.”
La giurisprudenza interpretava la distrazione come la semplice sottrazione delle risorse finanziarie della pubblica amministrazione
alla loro specifica destinazione, in violazione alle prescrizioni dettate per il funzionamento interno dell'ente, ma utilizzate pur
sempre per il raggiungimento di altre finalità dell'ente medesimo. La fattispecie di peculato veniva usata per sanzionare dei casi
di utilizzo formalmente irregolare delle risorse pubbliche ma senza che ci fosse un reale danno alla pubblica amministrazione e
un vero e proprio arricchimento privato del pubblico funzionario.
BENE PROTETTO: con riferimento ai principi costituzionali di cui all'art.97 Cost. del buon andamento e dell'imparzialità
dell'attività amministrativa, è stato appurato che la dimensione lesiva del peculato vada identificata in termini di offesa ad un
interesse patrimoniale della pubblica amministrazione, dunque la Suprema Corte esclude che si possa configurare peculato quando
il soggetto pubblico compia atti appropriativi di valore economico irrilevante.
Il peculato è un reato proprio, potendo essere commesso soltanto dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio.
La Cassazione stabilisce che, mentre l'appropriazione indebita è un reato comune contro il patrimonio, il peculato è un reato
proprio contro il patrimonio della pubblica amministrazione.
CONDOTTA INCRIMINATA: appropriazione del denaro o della cosa mobile altrui.
Per “appropriazione” si intende il comportamento di chi fa propria una cosa altrui mutandone il possesso e agendo nei confronti
di questa cosa uti dominus, ossia come se ne fosse il proprietario. Essa può essere espressa nei modi più vari, come l’alienazione
o rifiuto di restituzione o nascondimento.
Non assume rilevanza ai fini del reato di peculato la condotta di distrazione che, prima della riforma del 90, costituiva la condotta
alternativa all'appropriazione. I comportamenti distrattivi adesso vengono ricondotti alla fattispecie di abuso d'ufficio.
È stato a lungo discusso se nel concetto di appropriazione potesse farsi rientrare anche la condotta di distrazione realizzata a
profitto proprio, in quanto le condotte di distrazione a profitto proprio presentano un disvalore penale sostanzialmente omogeneo
a quello della condotta appropriativa in senso stretto, per cui sarebbe irragionevole prevedere un trattamento punitivo più tenue.
Tuttavia, è più conforme allo spirito della riforma del 90 ricondurre ogni ipotesi di distrazione, sia a profitto di altri che dello
stesso soggetto agente, alla fattispecie di abuso d'ufficio, altrimenti la eliminazione di questo comportamento dalla fattispecie di
peculato verrebbe elusa.
OGGETTO MATERIALE: il denaro o la cosa mobile sono previsti congiuntamente. Per denaro s'intende la carta moneta e la
moneta metallica; per cosa mobile si intende ogni entità materiale suscettibile di trasporto e di valutazione economica. In mancanza
di valore o in caso di valore non rilevante, non si ha una cosa nel senso dell'articolo 314. Per cose mobili devono intendersi anche
le energie, si fa infatti l'esempio del pubblico ufficiale che risponde di peculato qualora faccia comunicazioni telefoniche private
ponendole a carico della P.A.
Il denaro o la cosa mobile sono qualificati come “altrui”, presentano la caratteristica dell'altruità, e questo è il risultato della
modifica introdotta dalla riforma del 90, quando ha abrogato il delitto di malversazione a danno di privati; prima della riforma
questi erano due ipotesi criminose autonome e distinte proprio dal requisito dell'appartenenza alla P.A. nel caso del peculato, a un
privato nel caso della malversazione. Eliminata questa distinzione, il requisito dell’altruità sta a significare semplicemente che il
denaro la cosa non siano dello stesso soggetto agente.
Era discusso, in precedenza, se il requisito dell'appartenenza fosse sinonimo di “proprietà” o se ricomprendesse anche altri diritti
reali/obbligatori. A seguito dell'unificazione normativa del reato di peculato e malversazione, è corretta l'interpretazione estensiva
dell'altruità che prevede che il denaro o la cosa mobile non siano di proprietà del pubblico funzionario e neanche costituiscano
oggetto di un altro suo diritto reale o di obbligazione in forza del quale egli abbia disponibilità della res. L'esistenza di un qualsiasi
titolo che autorizza il soggetto pubblico ad utilizzare liberamente la cosa, neutralizza la possibile rilevanza penale di questa
utilizzazione.
Il possesso o comunque la disponibilità della cosa sono un presupposto della condotta di peculato. Anche la disponibilità è stata
aggiunta dal legislatore del ‘90.
La nozione di possesso va identificata in via autonoma nella fattispecie di peculato e non va cercata nel suo significato civilistico;
infatti, nell'articolo 314 si parla di possesso per ragioni di ufficio o servizio (ratione officii). Cosa significa ragione di ufficio o di
servizio? Significa che tra il possesso e l’esercizio della pubblica funzione c'è un rapporto di dipendenza funzionale ossia di
competenza, intesa come complesso di poteri spettanti ad un soggetto generi ufficio quando la cosa avviene rientrano fra le attività
funzionalmente devolute all'ufficio.
La nozione di possesso in questo senso consiste non solo nella disponibilità materiale della cosa ma anche nella semplice
disponibilità giuridica, ossia nel potere di custodia, di uso, di destinazione autonomo e funzionalmente destinato all'esercizio
dell'ufficio o del servizio, con l'obbligo di restituzione o di rispetto della destinazione; quindi, è escluso che il possesso sussista
nell'ipotesi in cui il soggetto attivo non abbia nessun potere sulla cosa perché opera nella vigilanza di un superiore.
IL DOLO è un dolo generico: coscienza volontà di appropriarsi della cosa di cui si ha la disponibilità per ragioni di ufficio o
servizio, in una prospettiva di vantaggio personale.
SI CONSUMA nel tempo e nel luogo in cui si verifica l’appropriazione del denaro o della cosa. È controverso se, quando ci si
appropria di cose fungibili, si possa integrare il peculato già prima della scadenza del rendiconto se il soggetto pubblico riesce a
coprire prima l'ammanco. La giurisprudenza e una dottrina maggioritaria sostengono che l'esistenza del reato non è esclusa né dal
proposito dell’agente di restituire le somme, né dalla loro effettiva restituzione; è irrilevante il fatto che non sia ancora scaduto il
termine per il rendiconto: il pubblico ufficiale risponde in ogni momento delle somme (questa condotta può rientrare nel peculato
d'uso). IL TENTATIVO è ammissibile.
PECULATO D’USO
ART.314. comma 2: si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare
uso momentaneo della cosa e questa, dopo l'uso momentaneo, è stata immediatamente restituita.
Quella del peculato d'uso è una figura delittuosa autonoma: vuole colmare dei vuoti di tutela eliminando ogni incertezza circa la
rilevanza penale dell’ipotesi di utilizzo momentaneo e dosare il trattamento sanzionatorio, tenendo conto del minor disvalore del
fatto.
La fattispecie ripete lo schema del furto d'uso e lo si intende dal riferimento alla restituzione “immediata”. Tuttavia, ci sono delle
differenze: nel caso del furto è possibile che l'impossessamento della cosa sia solo momentaneo; nel peculato l'appropriazione
richiede proprio la volontà di acquisire definitivamente la cosa, volendone privare per sempre la vittima.
Secondo questa interpretazione, il requisito dell'appropriazione momentanea è più omogeneo al significato di “distrazione” (uso
difforme della cosa rispetto agli scopi istituzionali).
La Suprema Corte ha ritenuto che costituisca peculato solo l’utilizzazione temporanea della vettura dell'ufficio per fini personali
e non anche l'uso del telefono d'ufficio per fini privati, dal momento che quest'ultima condotta consiste nell'appropriazione degli
impulsi elettrici per la trasmissione della voce.
L'elemento soggettivo è un dolo specifico → scopo di usare momento diamante la cosa
Sentenza n.1085/1988 Corte costituzionale in tema di furto d'uso si estende anche al peculato d'uso → non si configura il reato
nel caso di chi, dopo l'uso momentaneo, non sia riuscito a restituire la cosa per caso fortuito o forza maggiore.
MALVERSAZIONE A DANNO DELLO STATO
ART.316-bis: Chiunque, estraneo alla pubblica amministrazione, avendo ottenuto dallo Stato o da altro ente pubblico o
dalle Comunità Europee contributi, sovvenzioni o finanziamenti destinati a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere
od allo svolgimento di attività di pubblico interesse, non li destina alle predette finalità, è punito con la reclusione da sei mesi a
quattro anni.
Questa norma vuole porsi come strumento di controllo penale, più incisivo di quelli già esistenti nell'ordinamento, del crescente
fenomeno delle frodi nei finanziamenti pubblici. Difatti, il ricorso alla figura della truffa, in alcune ipotesi appariva
problematico in quanto ne risultava difficile la prova in sede processuale.
Tuttavia, anche questa fattispecie solleva dei problemi: ha una struttura che si discosta dai modelli di incriminazione più
anticipata suggeriti dalla dottrina ed è poco rigorosa e approssimativa sul piano della tipicità.
interesse protetto: corretta gestione delle risorse pubbliche destinate ai fini di incentivazione economica
soggetto attivo: un privato estraneo alla pubblica amministrazione (è discutibile la collocazione di questo delitto tra i delitti dei
pubblici ufficiali contro la P.A.). È un reato proprio, perché non può essere un qualsiasi soggetto a commetterlo, ma soltanto chi
beneficia del finanziamento.
Condotta incriminata: ha una natura omissiva = consiste nel non destinare i contributi, le sovvenzioni, i finanziamenti ricevuti
alle previste finalità di pubblico interesse.
Si ha mancata destinazione sia nel caso in cui il soggetto si astenga del tutto dall'impiegare le somme ricevute, sia nel caso in cui
queste somme siano destinate ad uno scopo diverso da quello previsto, che non presenta nessun punto di omogeneità con quello
per il quale finanziamento è stato concesso.
Nel primo caso, ossia di condotta omissiva pura, bisogna accertare che la mancata destinazione non sia dovuta a fattori oggettivi
o a causa non imputabile all’agente → non si può sanzionare penalmente l'obbligo di realizzare comunque e ad ogni costo le
attività o le opere per le quali il finanziamento pubblico è stato concesso.
Per le nozioni di contributo o finanziamento si rimanda alla legislazione in tema di pubblici incentivi.
dolo: è un dolo generico
concorso: qui sorge il problema di una concorrente applicabilità della truffa nei casi in cui la nuova destinazione impressa alla
pubblica erogazione venga realizzata con artifici e raggiri e provochi un concreto danno patrimoniale alla pubblica
amministrazione. Tuttavia, secondo Fiandaca-Musco, il concorso materiale è da escludere, in ottemperanza al principio del ne
bis in idem sostanziale: ove si ritenesse più appropriata all'ipotesi concreta la truffa ai danni dello Stato, questa dovrebbe essere
applicata da sola perché sanzionata più rigorosamente.
INDEBITA PERCEZIONE DI ERGOAZIONI A DANNO DELLO STATO
ART.316-ter: Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall'articolo 640 bis, chiunque mediante l'utilizzo o la presentazione
di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l'omissione di informazioni dovute, consegue
indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque
denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee è punito con la reclusione da sei
mesi a tre anni. La pena è della reclusione da uno a quattro anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un
incaricato di un pubblico servizio con abuso della sua qualità o dei suoi poteri. La pena è della reclusione da sei mesi a quattro
anni se il fatto offende gli interessi finanziari dell'Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000.
Quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a euro 3.999,96 si applica soltanto la sanzione amministrativa del
pagamento di una somma di denaro da euro 5.164 a euro 25.822. Tale sanzione non può comunque superare il triplo del
beneficio conseguito.
Questa fattispecie è stata introdotta in sede di ratifica delle convenzioni internazionali, per completare il quadro normativo
contro il fenomeno delle captazioni abusive di sovvenzioni pubbliche.
Si colloca tra il reato di cui al precedente 316-bias (malversazione) e il 640-bis (truffa – captazione abusiva di risorse pubbliche
tramite artifici o raggiri). Il 316-ter punisce delle condotte di minore gravità, quali le dichiarazioni o documenti utilizzati in
maniera irregolare ovvero l’omissione di informazioni dovute.
INTERESSE PROTETTO: corretta gestione delle risorse pubbliche.
SOGGETTO ATTIVO: un privato estraneo alla P.A.
CONDOTTA INCRIMINATA: è realizzabile sia in forma commissiva → utilizzo, presentazione di documenti falsi o
dichiarazioni attestanti cose non vere (se questi hanno caratteristiche che integrano artifici o raggiri si va nel 640-bis);
sia in forma omissiva → mancata comunicazione di dati o notizie per le quali c’era un preesistente obbligo giuridico di
informazione.
OGGETTO MATERIALE: contributi, finanziamenti, mutui agevolati, altre erogazioni dello stesso tipo concessi o erogati dallo
Stato o altri enti pubblici, compresi quelli delle Comunità europee.
DOLO: generico
SI CONSUMA: nel momento/luogo in cui si consegue l’indebita erogazione di denaro
TENTATIVO: ammissibile.
Avendo questa sanzione un carattere sussidiario in conformità agli accordi assunti in sede internazionale, il legislatore ha
previsto la degradazione del reato in illecito amministrativo per i casi di frode di lieve entità: quando la somma indebitamente
percepita è pari o inferiore a €3.999,96 si applica solo una sanzione pecuniaria amministrativa.
CONCUSSIONE
ART.317: “Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe
taluno a dare o promettere indebitamente a lui o a un terzo denaro o un’altra utilità è punito con la reclusione da sei a dodici
anni.”
La concussione è il più grave tra i reati realizzati dai soggetti pubblici contro la pubblica amministrazione e la ratio di questa
gravità, in uno Stato liberal-democratico, serve a impedire la strumentalizzazione dell'ufficio al fine di coartare la libertà e
l'autonomia del privato.
Il BENE TUTELATO è il regolare funzionamento della pubblica amministrazione sotto il profilo del buon andamento e
dell'imparzialità ex art.97 Cost. Non rilevano nella fattispecie l'autodeterminazione e gli interessi in generale della vittima.
La struttura originaria della fattispecie di concussione è stata modificata dalla riforma Severino del 2012: l'art.317 in origine
comprendeva la concussione mediante costrizione e la concussione mediante induzione: erano due condotte equiparate
normativamente, in quanto entrambe derivanti da un abuso di potere e da un'attività di coazione psicologica del pubblico ufficiale.
Con la riforma del 2012 questa equiparazione viene meno e la concussione si incentra sulla sola costrizione, mentre la condotta
induttiva è stata trasferita nella fattispecie autonoma di induzione indebita a dare o promettere utilità (art.319-quater).
la previsione di questa incriminazione autonoma dell'attività induttiva persegue due obiettivi quello di prevedere una pena più
ridotta ma anche quello di una punibilità bilaterale sottoponendo a punizione anche il privato che subisce l'attività induttiva infatti
il privato assume un ruolo ambiguo non soltanto è vittima ma è anche complice nei casi di induzione e non di costrizione così con
questa punibilità bilaterale il legislatore del 2012 ha voluto sollecitare con la minaccia della sanzione degli atteggiamenti di
resistenza e opposizione da parte dei cittadini e non di soggezione nei confronti dei pubblici ufficiali rivendicando così il rispetto
della legalità
Il SOGGETTO ATTIVO della condotta e sia il pubblico ufficiale sia l'incaricato di pubblico servizio
La CONDOTTA INCRIMINATA è costituita dalla costrizione che il pubblico ufficiale esercita sul soggetto passivo per
un'azione o una promessa indebita con la modalità dell'abuso della qualità o dei poteri. L'attività costrittiva del pubblico ufficiale
deve risultare collegata ad una strumentalizzazione illecita per fini privati della posizione di preminenza rivestita. L'abuso deve
costituire lo strumento per costringere il soggetto concusso a effettuare la prestazione per paura o timore di subire un danno
ingiusto (se acconsentisse per un tornaconto personale sussisterebbe il reato di induzione indebita).
Differenza tra abuso della qualità e abuso dei poteri:
Abuso della qualità: è un abuso soggettivo → consiste in una strumentalizzazione da parte del soggetto pubblico della propria
qualifica soggettiva con l'obiettivo di costringere il privato a effettuare una prestazione non dovuta; l'oggetto di questa
strumentalizzazione illecita è la mera posizione rivestita, a prescindere dal concreto esercizio dei poteri. È sufficiente che sorga
nella vittima una rappresentazione costrittiva tale da condizionarne la volontà.
Abuso di poteri → è un abuso oggettivo perché consiste nell'effettiva strumentalizzazione di attribuzioni funzionali: il pubblico
funzionario fa uso dei poteri inerenti alla sua funzione in modo distorto. Questo comportamento coincide con un eccesso o con
uno sviamento del potere inteso come nel diritto amministrativo.
C'è un orientamento giurisprudenziale diffuso che distingue l'abuso di qualità e l'abuso dei poteri con il criterio della competenza:
l'abuso di qualità presuppone la mancanza della competenza, mentre l'abuso dei poteri richiede l'esistenza della competenza ma il
pubblico agente andrebbe oltre le sue prerogative. Tuttavia, questo criterio è di uso incerto.
L'abuso della qualifica o dei poteri deve risultare strumentale all'esercizio di una coazione sul privato tale da integrare una vera e
propria costrizione → il concetto di costrizione è interpretato in maniera restrittiva, in quanto più in linea con i principi penalistici
di legalità e determinatezza. Lo strumento di coazione impiegato nella concussione e la vis psichica relativa, cioè la minaccia di
una conseguenza spiacevole che il pubblico ufficiale rivolge al privato per costringerlo a una prestazione non dovuta.
Il concetto di costrizione è stato approfondito nella sentenza a Sezioni Unite Maldera del 2014 con la quale la Cassazione stabilisce
un criterio di distinzione tra la concussione ex art.317 e l'induzione indebita ex art.319 sulla base di una dicotomia ossia una coppia
duplice di requisiti: minaccia-non minaccia; danno ingiusto-vantaggio indebito.
Quindi la minaccia di un danno ingiusto costituisce concussione; l'assenza di minaccia, accompagnata dalla prospettazione di un
vantaggio indebito da parte del pubblico ufficiale al privato, costituisce induzione indebita.
Tuttavia, le Sezioni Unite raccomandano ai giudici di marito di non limitarsi ad utilizzare questi due criteri, procedendo ad una
approfondita valutazione globale del caso concreto.
È un reato di evento, in cui l’evento è la dazione o la promessa del denaro o altre utilità.
La dazione implica il passaggio di un bene dalla sfera di disponibilità di un soggetto a quella di un altro soggetto.
La promessa è la manifestazione di un impegno ad effettuare in futuro la prestazione. Occorre che abbia una sua apparente validità
e che derivi direttamente dall'attività del pubblico ufficiale: deve essere vera quindi è escluso il requisito nelle ipotesi di riserva
mentale, dove il soggetto solo apparentemente promette, ma in realtà persegue altri scopi.
L'oggetto della dazione o della promessa è il denaro o altre utilità, nozione che bisogna precisare: il concetto di utilità ha significati
differenti a seconda della fattispecie in cui è inserito, quindi, va ricostruito autonomamente in ogni reato.
Per quanto riguarda l'utilità nella concussione, si sono formati due indirizzi interpretativi: il primo riconosce come utilità ogni
cosa che comporti un vantaggio per il patrimonio per la persona; il secondo riconosce come utilità qualcosa che produca un
vantaggio in termini di interesse giuridicamente valutabile.
La dazione o la promessa deve essere indebita ossia né ex lege, né per consuetudine.
La concussione può essere commessa esclusivamente con DOLO → un dolo generico che richiede la rappresentanza e la volontà
di tutti gli elementi costitutivi del fatto di reato: l’agente deve essere consapevole sia della abusività della sua condotta, sia del
carattere indebito della prestazione.
La concussione SI CONSUMA nel momento e nel luogo in cui è avvenuta la dazione o si è fatta la promessa.
È configurabile il TENTATIVO quando il pubblico ufficiale compie atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere taluno
a dare o promettere, ma non conseguono la dazione o la promessa.
INDUZIONE INDEBITA A DARE O PROMETTERE UTILITA’
Art.319-quater: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che,
abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o promettere indebitamente a lui o a un terzo denaro o altre
utilità, è punito con la reclusione da sei anni a dieci anni e sei mesi.”
Questo reato è frutto della riforma Severino del 2012 e risponde alla ratio di evitare che rimanga impunito il privato (non costretto
ma) indotto da possibili vantaggi prospettati da un pubblico funzionario scorretto, che assecondi l'abuso dando o promettendo
denaro o altre utilità. La fattispecie si inserisce in una posizione intermedia tra la concussione e la corruzione, potendosi
identificare come una concussione attenuata dal lato del pubblico ufficiale o come una corruzione attenuata dal lato del privato.
È un reato plurisoggettivo, in quanto i soggetti attivi sono sia il pubblico ufficiale/incaricato di un pubblico servizio, sia chi dà o
promette denaro o altre utilità.
Per quanto riguarda l'elemento oggettivo ritornano l'abuso della qualità o dei poteri da parte del soggetto pubblico di cui all'art.317,
ma l'elemento sostanziale che differenzia l'induzione indebita dalla concussione è proprio il nucleo centrale del fatto tipico → la
condotta di induzione che il pubblico ufficiale mette in atto per spingere il privato ad una prestazione indebita, che si differenza
quindi dalla costrizione.
L'induzione comporta una pressione psicologica di minore intensità, consentendo alla vittima di mantenere ampi margini di libera
scelta rispetto alla costrizione, che limita fortemente la libertà di autodeterminazione.
L'attività induttiva si può manifestare nelle forme di esortazione, consiglio, convinzione, persuasione, suggestione, prospettazione
maliziosa, allusione, messaggio implicito. In sede applicativa si fa un’interpretazione elastica del concetto di induzione,
ricomprendendovi anche i comportamenti sintomatici o gli atteggiamenti silenziosi del soggetto pubblico.
È opportuno citare di nuovo il metodo argomentativo prospettato dalle Sezioni Unite che stabiliscono che sarà configurabile
un’induzione indebita tutte le volte in cui il privato abbia assecondato l'abuso del pubblico ufficiale per perseguire un proprio
indebito vantaggio (e non per scongiurare un danno ingiusto) dal momento che l'attività induttiva del soggetto pubblico lascia al
privato ampi margini di libera scelta, tali da consentirgli di opporre resistenza. La dazione o promessa di utilità condiscendente,
da parte del privato, è una condotta anch'essa punibile in forma di correità.
Elemento soggettivo: dolo generico. Entrambi i soggetti (sia l'induttore che l'indotto) devono avere la consapevolezza e la volontà
di compiere e di assecondare un abuso di qualità o di poteri, produttivo di un'utilità non dovuta e di un vantaggio indebito.
Il reato si consuma nel momento in cui avviene la dazione/la promessa del denaro o dell'utilità indebita.
Il tentativo è in linea di principio configurabile, tuttavia si pone un problema di difficile demarcazione tra l'istigazione alla
corruzione e un'induzione indebita tentata, perché si potrà configurare l’induzione indebita tentata nel momento in cui il soggetto
pubblico non si limita alla semplice proposta di uno scambio corruttivo non accolto, ma comincia a esercitare una pressione
psicologica sul privato destinata però a non avere esito.
CORRUZIONE
Riforma del 2012 ha modificato i reati di corruzione, che nel codice erano incentrati sulla doppia figura della “corruzione per atto
contrario doveri d'ufficio (propria)” e “corruzione per atto conforme ai doveri di ufficio (impropria)”.
Con la riforma, la corruzione propria è stata mantenuta invariata nella sua struttura, mentre la corruzione impropria è stata
trasformata in una fattispecie di ampia portata, denominata “corruzione per l'esercizio della funzione”, che (a detta di molti)
assume il ruolo di fattispecie incriminatrice generale, mentre la corruzione propria regredisce ipotesi criminosa speciale.
La nuova legge vuole ricomprendere i casi in cui il soggetto pubblico viene indebitamente retribuito, non affinché compia o
ometta uno specifico atto, bensì la fattispecie punisce la condotta di mera messa a disposizione (messa a busta/libro paga) del
pubblico ufficiale, che si inquadra nell'ambito di una relazione intersoggettiva di lunga durata. Si ha un mercimonio della funzione,
anche a prescindere dal compimento di atti singoli.
I reati di corruzione sono reati a concorso necessario che richiedono la contemporanea presenza e l'interazione tra due o più
soggetti che stipulano un accordo criminoso, avente ad oggetto il mercimonio dell'attività funzionale della pubblica
amministrazione. Il corrotto e il corruttore sono in una posizione di parità, non ci sono condizionamenti psicologici di
costrizione o induzione, ed è proprio questa la distinzione tra la concussione, l'induzione indebita e la corruzione. Tuttavia, questa
distinzione non sempre è facile, in particolare è problematico il discrimine tra corruzione e induzione indebita, perché nella prassi
giudiziaria può apparire incerto se l'indotto subisca una qualche forma di prevaricazione psicologica o sia pienamente complice -
e non vittima - del pubblico ufficiale.
Ci sono dei criteri per DISTINGUERE LA CONCUSSIONE DALLA CORRUZIONE
1. metus pubblice potestatis→ timore della ritorsione da parte del pubblico ufficiale, che c’è nella concussione e non nella
corruzione: questo criterio è smentito peraltro a livello legislativo dalla riforma del 90 che introduce tra i soggetti attivi
del peculato l’incaricato di un pubblico servizio che, per definizione legislativa, non è dotato di poteri e non può inculcare
alcun metus nel privato; costizione e induzione →concussione
2. Criterio dell’iniziativa: con la fattispecie di istigazione alla corruzione, si sono previste 2 ipotesi in cui esplicitamente si
dice che l’iniziativa può essere presa dal pubblico ufficiale.
3. Atteggiamento di parità o supremazia del pubblico rispetto al privato: se c’è parità c’è corruzione, se c’è supremazia
invece c’è concussione. Questo criterio dà ragione anche della differenza sanzionatoria, dà ragione del fatto che nella
concussione il privato sia vittima e nella corruzione sia autore del reato; ha avuto successo questo criterio ma è
discrezionale nell’accertamento giudiziario perché nella prassi stabilire se l’atteggiamento dei due è di parità o di
soccombenza lascia margini amplissimi di valutazione discrezionale. Quindi questo criterio si è prestato ad abusi sul piano
applicativo perché permetteva alla procura di contestare l’una o l’altra fattispecie non a seconda di dati oggettivi ma a
seconda dell’atteggiamento di cooperazione da parte del privato: se coopera è concussione, se non coopera è corruzione.
Il legislatore aggrava la situazione con l'introduzione dell'induzione indebita nel 2012 che ha posto l’induzione da parte del
pubblico ufficiale come nucleo centrale della fattispecie e al secondo comma punisce anche il privato quando non soggiace alle
insistenze della p.a., ma deve opporvisi. La sentenza Maldera è già del 2013. Le sezioni unite individuano vari criteri, li rinnegano
a parole ma non riescono a trovare una via d’uscita. Infine, individuano una serie di tipologie casistiche in cui la situazione da
decidere è dubbia e concludono dicendo che la valutazione va fatta di caso in caso.
CORRUZIONE PER L’ESERCIZIO DELLA FUNZIONE (EX IMPROPRIA-PER ATTI CONFORMI) rietntra tutto!
Art. 318: “Il pubblico ufficiale che, per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo,
denaro o altra utilità o ne accetta la promessa è punito con la reclusione da tre a otto anni.”
La corruzione per l'esercizio della funzione, che sostituisce la corruzione impropria per atti conformi ai doveri d'ufficio, è stata
concepita dal legislatore del 2012 con lo scopo di reprimere l’asservimento della funzione pubblica agli interessi privatistici.
Ha una portata generale rispetto alla figura della corruzione propria (art. 319).
Il bene protetto, oltre al buon andamento della pubblica amministrazione, è soprattutto l'imparzialità, nel senso che il pubblico
funzionario che mette a disposizione del privato la sua funzione in cambio di un compenso mette in pericolo l'interesse pubblico,
facendo un'applicazione imparziale delle regole amministrative, le quali non prevedono trattamenti di favore per privilegiare gli
interessi privatistici. Esponendo a rischio il bene dell'imparzialità, l'art. 318 è un reato di pericolo.
È un reato plurisoggettivo: i soggetti sono il pubblico ufficiale/incaricato di pubblico servizio e il soggetto corruttore, entrambi
passibili del medesimo trattamento punitivo.
La struttura del fatto tipico si incentra su uno scambio di prestazioni, vantaggiose per entrambe le parti coinvolte: l’agente
pubblico mette a disposizione la sua funzione, il privato dà o promette denaro o altre utilità per ricambiare l'atteggiamento
favoristico.
Cosa significa ricevere denaro/altre utilità per l'esercizio delle funzioni o dei poteri?
“Per l'esercizio” ricomprende sia lo svolgimento di attività funzionali sia effettivamente compiute (nel passato o nel presente),
sia solo potenziale (nel futuro), ma non è necessario che l'esercizio delle funzioni pubbliche sfoci in veri e propri atti di ufficio:
il senso del reato è la messa a disposizione dei privati del munus (ufficio) pubblico, ossia l'asservimento della funzione =mettere
a libro paga il pubblico agente.
L'asservimento viene realizzato attraverso l'IMPEGNO a compiere/omettere un’eventuale serie di atti o comportamenti
ricollegabili alle funzioni e ai poteri rivestiti, sempre nell'ambito degli atti conformi ai doveri d'ufficio [nel caso di atti contrari si
applica il 319 SE SI RIESCE AD ACCERTARE].
Il fatto è punibile a titolo di dolo = la consapevolezza e la volontà di strumentalizzare la funzione esercitata per ottenere un
vantaggio personale. Il dolo può essere escluso da un eventuale errore di fatto su uno degli elementi costitutivi della fattispecie,
ad esempio, l'errata convinzione sul carattere lecito del corrispettivo.
Momento consumativo: si distinguono due tesi:
- la prima dice che la consumazione si verifica al momento in cui interviene l'accordo corruttivo;
- la seconda dice che il momento consumativo è posticipato all'effettiva dazione, coincidendo con l'ultimo versamento.
CORRUZIONE PROPRIA
ART.319: “Il pubblico ufficiale, che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per
compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne
accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei a dieci anni.”
L'oggetto della tutela di questa fattispecie è il buon andamento e l'imparzialità dell'attività amministrativa. Il buon andamento
perché il compimento di atti contrari ai doveri d'ufficio comporta la violazione delle regole che dell'attività amministrativa;
l'imparzialità perché l’agente pubblico corrotto trasgredisce all'obbligo di far prevalere la tutela dell'interesse collettivo rispetto
agli interessi particolaristici ed evitare disparità di trattamento tra i cittadini.
I soggetti attivi sono: il pubblico ufficiale/incaricato di pubblico servizio (intraneus) e il privato (extraneus).
Occorre che il pubblico ufficiale al momento del fatto possegga la qualifica soggettiva.
La condotta incriminata per l’intraneus è ricevere o accettare la promessa, per l'extraneus consiste nel dare o promettere denaro o
altra utilità.
Questa condotta di corruzione è a forma libera, purché sia realizzata con un comportamento positivo.
Sebbene l'art.319 non parli di retribuzione per indicare il nesso tra prestazione del privato e del pubblico ufficiale (come invece
avviene per la corruzione impropria art.318), la dottrina e la giurisprudenza ritengono che anche la corruzione propria sia
caratterizzata dal sinallagma che lega le due prestazioni, perché dare denaro al pubblico ufficiale per il compimento di un atto
contrario ai doveri di ufficio significa retribuirlo, ricompensarlo.
La conseguenza di tale ricompensa è che deve esistere un rapporto di proporzione tra le due controprestazioni, quindi, è escluso
il reato nell'ipotesi di piccoli donativi o nel caso di palese squilibrio tra le due prestazioni.
L'oggetto materiale della condotta è il denaro o altra utilità.
La prestazione a favore dell’intraneus deve essere indebita: non deve esistere un dovere del privato di effettuarla.
La condotta di corruzione deve essere compiuta per omettere o ritardare (/aver omesso ritardato) un atto dell'ufficio o per
compiere (/aver compiuto) un atto contrario ai doveri d'ufficio.
- omissione: mancato compimento dell'atto;
- ritardo: compimento dell'atto dopo la scadenza del termine;
- atto d'ufficio: qualsiasi esercizio dei poteri inerenti all'ufficio senza che sia necessario un atto amministrativo formale.
L'omissione o il ritardo presuppongono la competenza del pubblico ufficiale.
Nell’emanazione dell’atto contrario può anche non esserci.

Interpretazione della formula “contrarietà ai doveri d'ufficio”. È CONTRARIO ogni atto che viola:
- i doveri generali di fedeltà, correttezza, onestà;
- quelli specifici di un singolo affare;
- i doveri discendenti da norme di legge, regolamenti o d’istruzione interna: in questo senso, la contrarietà implica la
illegittimità dell'atto nei vizi di incompetenza, violazione di legge o eccesso di potere;
- contrarietà ai beni giuridici del buon funzionamento e dell'imparzialità della P.A.
Si pone il problema della contrarietà negli atti che sono esercizio di un potere discrezionale: esso presuppone una valutazione
imparziale degli interessi pubblici coinvolti nell'atto. La Corte costituzionale ha ravvisato la contrarietà ai doveri d’ufficio qualora
il pubblico ufficiale rinunci preventivamente alla valutazione comparata degli interessi contrapposti.
L'elemento soggettivo è il dolo: coscienza e volontà della condotta normativamente descritta, al quale si aggiunge un dolo specifico
nel fine di compiere un atto contrario ai doveri di ufficio o di omettere/ritardare l'atto d'ufficio.
Il momento consumativo è lo stesso della corruzione impropria, risultando indifferente il mancato adempimento della promessa.
L'art.319-bis prevede una circostanza aggravante qualora la corruzione propria abbia per oggetto il conferimento di pubblici
impieghi, stipendi, pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l'amministrazione, nonché il pagamento o
rimborso di tributi.
Art.319-ter: CORRUZIONE IN ATTI GIUDIZIARI
Sembrerebbe un’ipotesi aggravata a prima lettura, però il 321 (pene per il corruttore) lo richiama, facendo intendere che si tratti
di un’ipotesi autonoma di reato.
Riguarda la corruzione propria, perché si paga per favorire o danneggiare una parte del processo civile/penale/amministrativo in
maniera indebita, ossia un risultato processuale diverso da quello che fisiologicamente si sarebbe dovuto realizzare.
È antecedente perché io pago PERCHÈ SI COMPIA IN FUTURO UN ATTO.
Si è ritenuto che il soggetto corrotto chi fosse il giudice, fino a una pronuncia della Cassazione, sul caso dell’avvocato Mirs, che
invece era un TESTIMONE.

ISTIGAZIONE ALLA CORRUZIONE


ART.322: “Chiunque offre o promette denaro od altra utilità non dovuti ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico
servizio per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, soggiace, qualora l'offerta o la promessa non sia accettata, alla pena
stabilita nel primo comma dell'articolo 318, ridotta di un terzo.
Se l'offerta o la promessa è fatta per indurre un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio a omettere o a ritardare
un atto del suo ufficio, ovvero a fare un atto contrario ai suoi doveri, il colpevole soggiace, qualora l'offerta o la promessa non
sia accettata, alla pena stabilita nell'articolo 319, ridotta di un terzo.
La pena di cui al primo comma si applica al pubblico ufficiale o all'incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa
o dazione di denaro o altra utilità per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri.
La pena di cui al secondo comma si applica al pubblico ufficiale o all'incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa
o dazione di denaro ad altra utilità da parte di un privato per le finalità indicate dall'articolo 319.”
La riforma del 90 ha lasciato invariati i primi due commi dell'articolo 322, se non per un piccolo ritocco formale, modificando la
dizione “retribuzione non dovuta” in “denaro o altra utilità”. Questa modifica non è incisiva, perché l'idea della retributività nel
senso di proporzionalità tra le due corrispettive di prestazioni caratterizza tutte le forme di corruzione.
L'innovazione consiste nell'aggiunta di due ulteriori commi in cui è espressamente prevista l'istigazione alla corruzione realizzata
dal pubblico ufficiale/incaricato di pubblico servizio. Con questa aggiunta il legislatore elimina ogni incertezza circa la
punibilità a titolo di tentativo del soggetto pubblico che prende un'iniziativa volta a richiedere al privato un corrispettivo
indebito, in cambio dell'esercizio della funzione o del compimento di atti contrari ai doveri ufficio.
Le condotte incriminate sono due:
- l'istigazione alla corruzione ATTIVA nei primi due commi, nelle quali il soggetto attivo è il privato che offre o
promette denaro o altra utilità non dovuta;
- istigazione alla corruzione PASSIVA nei commi tre e quattro, nei quali il soggetto attivo è l'intraneus, che sollecita
il privato a fare una promessa o una dazione di denaro o altra utilità.
L'offerta o la promessa devono essere serie e idonee.
La Cassazione esclude che la promessa o la dazione possano riguardare un terzo, nel caso, ad es., della promessa fatta a favore di
un partito politico; infatti, l'articolo 322 menziona esplicitamente soltanto la promessa a vantaggio del pubblico ufficiale.
La sollecitazione (condotta del pubblico agente) è una richiesta da questi formulata senza esercitare pressione o suggestioni che
tendano a persuadere il soggetto privato: gli viene prospettato, su basi paritarie, uno scambio di favori SENZA forme di abuso
della qualità o dei poteri. A questa sollecitazione non deve conseguire l'adesione da parte del privato. Invece, se il pubblico
ufficiale formula la richiesta esercitando forme di pressione psicologica, ci si troverà in presenza di un tentativo di induzione
indebita, ma sono tratti distintivi molto sottili.
L’elemento soggettivo è il dolo specifico → lo scopo perseguito dal privato è di indurre il soggetto pubblico a compiere un atto
che non occorre poi venga effettivamente realizzato; viceversa, il dolo specifico dell’intraneus è per le finalità di cui agli ultimi
due commi.
CAUSA DI NON PUNIBILITA’
ART. 323-ter: “Non è punibile chi ha commesso taluno dei fatti previsti dagli articoli 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321,
322-bis, limitatamente ai delitti di corruzione e di induzione indebita ivi indicati, 353, 353 bis e 354 se, prima di avere notizia
che nei suoi confronti sono svolte indagini in relazione a tali fatti e, comunque, entro quattro mesi dalla commissione del fatto,
lo denuncia volontariamente e fornisce indicazioni utili e concrete per assicurare la prova del reato e per individuare gli altri
responsabili.
La non punibilità del denunciante è subordinata alla messa a disposizione dell'utilità dallo stesso percepita o, in caso di
impossibilità, di una somma di denaro di valore equivalente, ovvero all'indicazione di elementi utili e concreti per individuarne
il beneficiario effettivo, entro il medesimo termine di cui al primo comma.
La causa di non punibilità non si applica quando la denuncia di cui al primo comma è preordinata rispetto alla commissione del
reato denunciato. La causa di non punibilità non si applica in favore dell'agente sotto copertura che ha agito in violazione delle
disposizioni dell'articolo 9 della legge 16 marzo 2006, n. 146.”
Questa causa di non punibilità risponde all'esigenza di fronteggiare nella maniera più efficace possibile il fenomeno della
corruzione.
L'art.323-bis prevede una circostanza attenuante in relazione alle fattispecie di corruzione e di induzione indebita nei confronti di
chi si adoperi efficacemente per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati
e per l'individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme di altre utilità trasferite.
Nel 2019 si introduce anche il 323-ter, una causa di non punibilità del colpevole che denuncia il fatto delittuoso corruttivo,
fornendo indicazioni utili per l'accertamento processuale: il reato denunciato deve rientrare tra le figure criminose espressamente
menzionate nell'articolo: corruzione, induzione indebita, turbata libertà degli incanti, turbata libertà del procedimento di scelta del
contraente.
La ratio dell'istituto tende a rompere il muro di omertà e la catena di solidarietà che proteggono le condotte corruttive e vuole
consentire l'acquisizione di elementi probatori in un settore criminoso nel quale è difficile rinvenire elementi certi di responsabilità.
Perché sia esclusa la punibilità sono richieste delle condotte che devono presentarsi in modo cumulativo:
1. autodenuncia volontaria del fatto e contributo utile all'accertamento dell’autore del reato e degli altri responsabili;
2. restituzione delle utilità illecitamente conseguite o, in caso di impossibilità, messa a disposizione di una somma del valore
equivalente ovvero dell'effettivo beneficiario dell'indebito.
Queste condotte vanno realizzate entro un limite temporale (indicato dalla legge) di quattro mesi dalla commissione del reato.
Il terzo comma dell'articolo 323-ter prevede delle cause ostative all'applicazione della causa di non punibilità:
1. la denuncia è preordinata rispetto alla commissione del reato denunciato: cioè, il denunciante strumentalizza la denuncia
per delinquere più agevolmente con la certezza di poter beneficiare dell'immunità;
2. quando gli agenti sotto copertura agiscano in violazione delle disposizioni dell'art.9 l.146/2006.

Nella concussione mediante induzione la giurisprudenza aveva fatto rientrare pacificamente anche l’inganno, il caso in cui
l’extraneus venga ingannato dal pubblico ufficiale e per questo è spinto a dargli delle somme. La concussione mediante
inganno quindi x induzione, che fine fa? Potrebbe rientrare nel 319-quater ma la concussione mediante induzione qualora
l’induzione sia fatta con l’inganno ora non può più essere punita.

CONCUSSIONE AMBIENTALE: era una fenomenologia analoga alla corruzione per messa a busta paga del pubblico ufficiale.
Gli imprenditori ai tempi di tangentopoli dicevano
La concussione ambientale si ha quando non c’è una richiesta esplicita da parte di un pubblico ufficiale ma si sa che se io voglio
lavorare devo per forza pagare. Nessuno esplicita la richiesta però era un sistema in cui l’imprenditore, se avesse voluto avere gli
appalti in alcuni settori avrebbe dovuto pagare determinate persone.
Adesso questa fattispecie non c’è più perché oggi il 319-quater OBBLIGA IL PRIVATO ALLA RESISTENZA.
DISTINZIONE FRA CONCUSSIONE E INDUZIONE INDEBITA
La sentenza Maldera a Sezioni Unite, resa nel 2013, avrebbe dovuto risolvere i problemi della distinzione tra concussione e
induzione indebita.
Con l’entrata in vigore dell'articolo 319-quater, che elegge a fattispecie autonoma l’induzione indebita, sradicandola dalla
fattispecie di concussione (317), si pose il problema di capire quali fossero i rapporti tra le due fattispecie, soprattutto quando si
configura l'induzione e quando si configura invece la costrizione, posto che dalle due fattispecie derivano delle conseguenze
notevolissime (in un caso il privato viene considerato vittima, nell'altro caso viene considerato correo).
Ma si posero anche altri problemi:
- distinguere tra induzione indebita e corruzione, visto che in tutti e due i casi il privato è punito;
- capire quali fossero i rapporti di diritto intertemporale sussistenti tra le due fattispecie di induzione indebita e
concussione per costrizione.
Era un problema di forte rilevanza pratica, non solo dal punto di vista della individuazione della legge da applicare dal punto di
vista temporale, ma anche perché dire che la vecchia concussione per induzione era cosa diversa dall'attuale, implicava anche
delle diverse conseguenze rispetto all'istigazione alla corruzione quando l'iniziativa è presa dal privato.
Cioè: dire che l’induzione indebita si pone in continuità con la concussione significa chiedersi questo: in cosa si distingue il
tentativo di induzione indebita dalla istigazione alla corruzione, quando l'iniziativa è presa dal pubblico ufficiale?
Dire invece che l'articolo 319-quater si pone in successione con le ipotesi di corruzione significa non porsi questo problema,
perché a quel punto si applicherebbe l'istigazione alla corruzione (322).
Sostanzialmente le Sezioni Unite sono state chiamate a dare una risposta a questi quesiti, notando innanzitutto come non sia più
possibile sorvolare nell'individuazione di una linea netta di demarcazione tra la concussione per induzione e la concussione per
costrizione. Come si ricava questa differenza? La giurisprudenza formatasi sotto la vigenza del vecchio codice era abbastanza
coesa nel dire che c'è concussione per costrizione quando la libertà del privato è totalmente coartata, mentre c'è concussione
per induzione quando il privato conserva un margine di scelta. Oggi non si può utilizzare questo criterio, perché il codice
Zanardelli puniva solo il pubblico ufficiale, quindi questa soluzione non è percorribile.
Dunque, le posizioni in ballo erano sostanzialmente 3:
1. la differenza tra costrizione e induzione è esclusivamente psicologica, risiede nella forza intimidatrice utilizzata dal
pubblico ufficiale: se il pubblico ufficiale coarta totalmente la volontà del privato, a quel punto si realizza concussione
per costrizione; laddove il privato conserva un margine di scelta, perché questa forza intimidatrice non è così forte da
comprimere totalmente la sua autodeterminazione, si configurerà l’induzione indebita che appunto punisce anche il
privato. NON È SODDISFACENTE perché va ad indagare totalmente sulla componente psicologica del privato che
potrebbe negare di aver “ceduto” alle suggestioni del p.u. per non incorrere in sanzioni
2. un secondo orientamento faceva leva sul danno che era minacciato al privato: se il pubblico ufficiale minacciava il
privato di un danno contra jus [tu avresti diritto a questo appalto: se non mi paghi io non te lo do] c’è concussione;
se invece il privato può trarre anche solo un vantaggio dalla dazione o dalla promessa, a quel punto c'è induzione
indebita [tu non hai diritto all'appalto; pagami e io ti do l'appalto]. In un caso il soggetto ha tutti i requisiti per cui
dovrebbe avere quella concessione; nel secondo caso il soggetto non ne ha diritto, ma se paga la ottiene. NON È
SODDISFACENTE perché ci sono dei casi in cui le conseguenze dell’applicazione di tale soluzione sono controverse.
A fronte di questo di questo problema, le Sezioni Unite ritornano al criterio originario:
3. la costrizione si ha quando la libertà di autodeterminazione dell’extraneus è totalmente coartata e quindi è posto di
fronte ad un aut aut; l'induzione indebita invece presuppone una forza intimidatrice “scemata”, che non coarta
totalmente la libertà dell'extraneus, aggiungendo a tutto ciò un quid pluris, ripreso dall’ultima tesi: guardare al danno
o all'eventuale vantaggio che l'extraneus riceve, tenendo in considerazione anche il rango del bene giuridico
tutelato: la sproporzione tra i due beni giuridici in gioco è tale e tanta per cui è naturale dire che il comportamento
del p.u. si è atteggiato come una forma di costrizione non come una forma di semplice induzione. [esempio della
prostituta]
Il ragionamento fatto dalla Cassazione a Sezioni Unite dice tutto e non dice niente perché, introducendo questa regola di carattere
generale e tutta questa serie di avvertenze che l'interprete deve tenere in considerazione, finisce per dire di muoversi secondo un
atteggiamento prettamente casistico: guardate caso per caso e capite se c'è o meno spazio all'autodeterminazione del privato.
A questo punto, dicendo che c'è induzione indebita quando il privato ha libertà di autodeterminazione ed ottiene un vantaggio
dalla dazione, si assottiglia anche la DIFFERENZA TRA INDUZIONE INDEBITA E CORRUZIONE. In cosa si differenziano?
- Corruzione: sussiste quando c'è un rapporto di natura prettamente sinallagmatica in cui i soggetti dialogano in modo
paritario e si accordano in modo paritario;
- Induzione indebita: presuppone ancora che il pubblico ufficiale/incaricato di pubblico servizio vada a coartare (ma
non del tutto) la libertà di autodeterminazione dell’extraneus.
… ancora una volta bisogna guardare alla situazione di fatto.

Veniamo ad analizzare il problema relativo alla successione di leggi penali nel tempo.
Come si atteggia il 319-quater (induzione indebita)? È una nuova incriminazione? È un'ipotesi che si pone in continuità con il
vecchio 317 (concussione)? O con il 318 (corruzione per l’esercizio della funzione) e il 319 (corruzione per atto contrario)?
Bisogna guardare al criterio della continenza: si mettono a confronto, dal punto di vista strutturale, le due fattispecie per vedere
se c'è o meno un rapporto di genus a species.
A detta della cassazione maldera Seguendo questo criterio, l'articolo 319-quater si pone in continuità con il vecchio 317 → ma,
se l'articolo 319-quater è una fattispecie a concorso necessario perché è punito anche l’extraneus, e invece l'articolo 317 è una
fattispecie giuridica soggettiva perché l’extraneus non è punito, come si conciliano queste due cose?
La Cassazione a sezioni unite ha sostenuto che:

• per quanto riguarda la condotta del pubblico ufficiale, c’è continuità con il vecchio articolo 317 (e dunque poi bisogna vedere
qual è la fattispecie più favorevole è 319-quater= abrogatione sine abolitione = la vecchia fattispecie incriminatrice è stata
abrogata perché l'induzione non c'è più nel 317, ma è un’abrogazione solo apparente perché poi quella condotta in realtà è
entrata a far parte di un'altra fattispecie);
• la condotta del privato implica una nuova incriminazione concusso x induzione prima 2012 non punito
Se però il 319-quater si pone in continuità col 317 (e non con il 318 e 319), laddove il 319-quater si arresta alla soglia del tentativo
questa diventa una fattispecie autonoma e non è sussumibile all'interno del 322 dell’istigazione alla corruzione.
DISTINZIONE TRA ISTIGAZIONE ALLA CORRUZIONE E TENTATIVO DI INDUZIONE INDEBITA
La Cassazione ha detto: posto che l'articolo 322 utilizza il termine “sollecitare”, la sollecitazione è qualcosa di diverso dal tentativo
di induzione, il quale invece presuppone un'insistenza reiterata da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio.
La sollecitazione è la semplice richiesta fatta in modo estemporaneo, il tentativo di induzione presuppone che il pubblico ufficiale
si vada a mettere lì nell'orecchio a dire “vuoi darmi del denaro per avere questo atto, che tutto sommato ti fa comodo”?!
ABUSO D’UFFICIO
ART.323: “Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello
svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da
atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un
interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto
vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno carattere di rilevante gravità.”
Con la dicitura “in violazione di norma di regolamento” intervenuta in un momento successivo alla formulazione originaria si
elimina l’eccesso di potere come strumento per sindacare sull’attività discrezionale della P.A.
Non abbastanza → formulazione odierna
Originariamente, nel 1930, esisteva l’abuso d’ufficio ex art.323, prima detto “abuso innominato d’ufficio”: “se il fatto non
costituisce altro reato […]” che non definiva e non diceva in cosa consistesse l’abuso e l’art.324, ossia l’interesse privato in atti
d’ufficio, che configurava la condotta del p.u. il quale prendesse un interesse privato in atto d’ufficio ed era punito in maniera più
blanda. Il p.u. era punito sia se avesse tratto un interesse economico in contrasto con buon andamento della p.a. sia quando avesse
fatto gli interessi della stessa p.a., perché all’epoca i delitti contro la p.a. tutelavano sì il buon andamento, ma soprattutto il
PRESTIGIO della P.A.
Il legislatore, poiché il 324 si prestava a punire delle situazioni in cui era leso solo il prestigio, lo eliminò, facendo rifluire le
condotte gravi nell’abuso d’ufficio. Così, nel ’90, alla clausola iniziale di riserva “se il fatto non costituisce altro reato” si sostituì
“se il fatto non costituisce più grave reato”. Si continua tuttavia a non definire il concetto di abuso e si articola la tutela in due
commi:
1. al fine di realizzare un ingiusto vantaggio patrimoniale
2. al fine di realizzare un ingiusto vantaggio non patrimoniale
(fattispecie a dolo specifico)
L’aggettivo ingiusto è fondamentale, perché nell’ingiustizia del vantaggio avrebbero dovuto rifluire le condotte di natura dubbia:
assessore del comune che non si astiene dal partecipare alla delibera della giunta in cui viene deciso l’acquisto del terreno di mio
marito e lo faccio per ottenere un vantaggio ingiusto, io ho commesso un abuso d'ufficio e sono punito per abuso d'ufficio;
se invece manca il requisito della ingiustizia del vantaggio, perché il mio vantaggio non confligge con gli interessi della pubblica
amministrazione, il mio comportamento non potrà più essere penalmente perseguito perché non rientra in nessuna delle due
fattispecie (323/324).
La giurisprudenza disse che in realtà l’ingiustizia del vantaggio c’è sempre perché se il p.u. realizza un abuso = uso distorto, e
lo fa per trarre un vantaggio (patrimoniale o no che sia), questo vantaggio sarà contra jus. Non intese più l’ingiustizia come un
requisito sostanziale = contrarietà al buon andamento della p.a., ma lo rese un requisito di fattispecie immanente nel concetto
stesso di abuso = se realizzo un abuso lo faccio per realizzare un vantaggio, che automaticamente è ingiusto perché proviene da
un abuso.
COSA SIGNIFICA ABUSO? Consisteva nell’eccesso di potere che, dal punto di vista del diritto amministrativo, è il tipico vizio
dell’atto amministrativo nell’ambito dell’attività discrezionale della P.A. Essendo vietato il sindacato del giudice nel merito
dell’attività amministrativa discrezionale, l’abuso d’ufficio era diventata una fattispecie che consentiva questa valutazione al
giudice penale, ravvisando in rapporto ad essa ipotesi di reato.
In ambito penale si è cercato di limitare il sindacato del giudice penale sull’attività discrezionale
L’unico strumento selettivo era quel dolo specifico: si richiedeva che il soggetto avesse agito al fine di procurarsi un ingiusto
vantaggio, ma nel momento in cui l’ingiustizia del vantaggio viene sempre presunta, di fatto l’abuso d’ufficio diventava uno
strumento pericolosissimo del quale la giurisprudenza fece un uso spropositato con l’avvento di Tangentopoli. Quel dolo specifico
venne reso di nuovo generico dall’opera giurisprudenziale.
Nel 1997 viene ri-descritto l’abuso d’ufficio e arricchito sul piano della tipicità: “in violazione di norme di leggi o regolamenti
ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, intenzionalmente cagiona ad altri
un danno ingiusto”.
-Si richiede che il soggetto realizzi la condotta nell’esercizio dei suoi poteri o servizio → da reato di mera condotta diventa un
reato di evento, a modalità di condotta (perché non soltanto si deve cagionare un danno ma lo si deve fare con condotte particolari).
-Il dolo è iper-tipizzato, perché il legislatore introduce l’avverbio “intenzionalmente” (è rilevante solo dolo intenzionale e non
anche diretto? Fu sollevata questione di legittimità costituzionale che non è stata accolta perché l’ambito del penalmente rilevante
si sarebbe allargato, ma la Corte costituzionale disse che “intenzionalmente” va letto come se comprende anche il dolo diretto).
Con la sentenza Tosches, si ridusse il campo applicativo del 323, riferendolo soltanto all’attività vincolata (violazione di legge)
della P.A. da cui fosse derivato ad altri un danno, non prestandosi più a coprire comportamenti di malcostume anche gravi.

Negli ultimi dieci anni si è insinuata un’altra lettura. Si disse: il richiamo alla violazione di legge non definisce necessariamente
il campo applicativo della fattispecie, la legge può disciplinare anche attività della P.A. in maniera lasta.
Fiandaca osservò essere legge anche l’art.97 Cost, per cui c’è il rischio che si contesti l’abuso d’ufficio per violazione di legge
qualora sia rilevata una violazione del buon andamento della pubblica amministrazione.
La corte di Cassazione rispose che c’era violazione di legge quando vi fosse violazione del buon andamento della P.A., cioè nei
casi di eccesso di potere.
Per questa strana evoluzione, l’art.323 aveva ricominciato a comprendere le ipotesi di eccesso di potere.

I soggetti attivi → i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio


La fattispecie di abuso oggi è un reato di evento il nucleo centrale del fatto punibile e l'effettiva produzione di un vantaggio o di
un danno ingiusto quindi ai fini della punibilità a titolo di consumazione non è più sufficiente il dolo specifico cioè il semplice
fine di avvantaggiare o danneggiare
il vantaggio asse ad altri viene preso in considerazione solo se patrimoniale ovvero economicamente valutabile cerca pace di
accrescere la situazione economica del soggetto beneficiario
a togliere rilevanza penale al vantaggio non patrimoniale è stato il legislatore del 97 per evitare interpretazioni giurisprudenziali
troppo estensive da ricomprendere nel vantaggio non patrimoniale anche il prestigio ho la credibilità della pubblica
amministrazione
l'evento di danno ossia il pregiudizio arrecato a terzi può essere sia patrimoniale che non patrimoniale
il vantaggio il danno devono poter essere qualificati in giusti essendo il requisito dell'ingiustizia un indice normativo che conferma
l'irrilevanza penale dei casi di semplice coincidenza tra interesse privato interesse pubblico quindi ad esempio l'amicizia
all'inimicizia nei confronti del destinatario di un atto non basteranno a renderlo ingiusto adesso viene emanato secondo parametri
normativi che ne assicurano la conformità all'interesse obiettivo della pubblica amministrazione
La fattispecie in esame è un reato di evento ma indica anche le specifiche modalità attraverso le quali la condotta deve essere
produttiva di un danno di un vantaggio questo per evitare che l'abuso si identifichi con il semplice eccesso di potere o sviamento
di potere finendo con il sovrapporre l'illecito amministrativo con l'illecito penale
propria rispetto alle modalità di condotta ha innovato la riforma del 2020: se nella versione previgente la fattispecie richiedeva
ma che il fatto fosse commesso in violazione di norme di legge e di regolamento nella formulazione post 2020 la fattispecie non
fa più riferimento ai regolamenti e non richiede più come modalità di condotta la violazione di norme di legge ma esige una
violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non
residuino margini di discrezionalità quindi l'abuso non potrà configurarsi quando c'è la violazione di norme dal contenuto generico
che attribuiscono al pubblico ufficiale un potere discrezionale di scelta Quindi anche dei principi generali com'è quelli di cui
all'articolo 97 costituzione la specifica regola di condotta violata deve riguardare le modalità di esercizio delle funzioni o del
servizio
la violazione per essere penalmente rilevante deve avere ad oggetto una regola di condotta espressa e specifica e anche priva di
margini di discrezionalità cioè deve disciplinare in maniera vincolante l'attività amministrativa in questione, quindi, è sulla
dall'ambito dell'abuso punibile l'accesso o lo sviamento di potere intesi come forma di esercizio illegittimo del potere discrezionale
in quanto piegato ad un fine diverso da quello per cui è attribuito
l'altra possibile modalità di realizzazione dell'abuso e l'omissione dell'astensione omettere di astenersi in presenza di un interesse
proprio di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti l'ho messo astensione rilevante soltanto in quanto sussiste un obbligo
giuridico di astenersi derivante dalla legge con altri a fonte normativa
L'attuale fattispecie di abuso mantiene la clausola di riserva salvo che il fatto non costituisca più grave reato, quindi, è una
fattispecie sussidiaria rispetto a fatti abusivi che integrano gli estremi più gravi di corruzione concussione peculato eccetera
l'elemento soggettivo e il dolo intenzionale non anche il dolo eventuale, quindi, è necessario lo scopo di avvantaggiare o
danneggiare.
RIFIUTO DI ATTI D’UFFICIO. OMISSIONE.
ART.328 “Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta (1) un atto del suo ufficio(2) che,
per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è
punito con la reclusione da sei mesi a due anni.
Fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla
richiesta di chi vi abbia interesse non compie l'atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con
la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a euro 1.032. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di
trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa (3)
INDEBITAMENTE COSA SIGNIFICA? rifiuta indebitamente un atto che per ragioni del suo ufficio avrebbe dovuto compiere.
senza un giustificato motivo. dal punto di vista dell'analisi logica del reato che cos'è indebitamente clausola di antigiuridicità
speciale, vuole introdurre un riferimento a un’antigiuridicità che non è specificamente penale ma si deve guardare alle altre
branche del diritto. quindi questo soggetto per essere in dolo si deve rappresentare tutti gli elementi del fatto, compresa la
contrarietà ad altra branca del diritto. Togliendo indebitamente non si capisce in cosa consiste il disvalore del fatto, perché la
condotta assume rilevanza penale solo se il rifiuto è INDEBITO. Si contrappone ad “arbitrariamente” nella fattispecie di esercizio
arbitrario delle proprie ragioni che è una clausola di antigiuridicità ESPRESSA, cioè si tratta di una SUPERFETAZIONE
NORMATIVA, un avverbio che si potrebbe eliminare senza togliere disvalore alla fattispecie, la cui unica interpretazione è un
richiamo all’assenza di cause di giustificazione.
L'articolo 328 tipici pizza due fattispecie al primo e al secondo comma
la prima fattispecie consiste. Nell'ambito rifiuto da parte del pubblico ufficiale dell'incaricato di pubblico servizio di compiere atti
di ufficio qualificati cioè che devono essere realizzati senza ritardo per realizzare obiettivi normativamente specificati ossia ragioni
di giustizia sicurezza pubblica ordine pubblico igiene e sanità
la condotta penalmente rilevante si incentra sul rifiuto, quindi, presuppone una precedente richiesta di adempimento
il rifiuto deve essere in debito speciale che tende ad eliminare la rilevanza penale alle sue forme di vincolo di adempimento che
non sono giustificabili alla stregua delle norme amministrative
la seconda ipotesi invece è un delitto cioè fuori dai casi previsti dal primo comma e punito il pubblico ufficiale incaricato di
pubblico servizio che entro 30 giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l'atto del suo ufficio e non risponde per
esporre le ragioni del ritardo questa ora serve a fornire al cittadino uno strumento per assicurare comunque il soddisfacimento
delle aspettative e poi per eliminare le incertezze che sorgono nei casi in cui non siano normativamente predeterminati i termini
di adempimento
la condotta alternativa prevista il luogo dell'adempimento sia la risposta in 30 giorni per esporre le ragioni del ritardo si può
trasformare però in un alibi per sottrarsi al compimento dell'atto d'ufficio senza incorrere in responsabilità e quindi occorrerà che
il giudice accerti la fondatezza delle ragioni dell'inadempimento per cui l'articolo 328 continuerà ad essere applicabile in tutti i
casi in cui i motivi addotti per giustificare la inazione risultino manifestamente pretestuosi.
se poi la pretestuosità dei motivi è accompagnata dalla produzione di un vantaggio di un danno si applicherà l'abuso mediante
omissione
la richiesta di adempimento da parte dell'interessato deve essere redatta in forma scritta
il dolo è generico: si tratta di condotta omissiva e richiede la conoscenza dei presupposti del dovere di attivarsi ossia la
consapevolezza delle ragioni come giustizia sicurezza pubblica che qualificano l'atto d'ufficio da compiere o della richiesta di
adempimento formulato dall'interessato.

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