1. QUALIFICHE SOGGETTIVE
2. PECULATO
3. MALVERSAZIONE A DANNO DELLO STATO
4. INDEBITA PERCEZIONE
5. CONCUSSIONE
6. INDUZIONE INDEBITA
7. CORRUZIONE
8. ABUSO D’UFFICIO
9. CAUSA DI NON PUNIBILITÀ
10. RIFIUTO D’ATTI D’UFFICIO
11. INTERRUZIONE SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI
QUALIFICHE SOGGETTIVE
Il pubblico ufficiale e l’incaricato di un pubblico servizio sono i soggetti attivi dei delitti contro la pubblica amministrazione
ma anche di altri delitti come, ad esempio, quelli di falso; quindi, la qualifica soggettiva è quella cosa che fa scattare solitamente
innalzamenti di pena o determina la punibilità di fatti altrimenti leciti.
Il dato normativo sta negli articoli 357, 358 e 359 (anche se questo non è una qualifica pubblicistica: l'esercente un servizio di
pubblica necessità è un privato, non un pubblico).
Nel 1930 il codice diceva che “era pubblico ufficiale un soggetto appartenente o meno alla pubblica amministrazione che
svolgesse un pubblico ufficio a titolo oneroso o a titolo gratuito in modo permanente o in modo temporaneo” = definizione
tautologica, vuota. Nel non dire nulla, però, richiamava l'attenzione sul profilo di appartenenza all’ente, anche se poi diceva che
era superabile, però c'è il riferimento “dipendenti o meno dalla pubblica amministrazione”.
Questa definizione evidentemente non era ritenuta appagante: per questo, il legislatore la modifica nel 1990.
Una problematica molto discussa a cavallo tra gli anni 80 e gli anni 90 era quella delle banche e degli operatori bancari: si avvertì
il vuoto legislativo che fu riempito dalla giurisprudenza, da due pronunce della Corte di Cassazione a Sezioni Unite che si sono
susseguite a distanza di pochi anni l'una dall'altra, che operarono la famosa equiparazione prima verso l'alto e poi verso il
basso, passando da un criterio soggettivo, che era quello della dipendenza dall'ente del soggetto, a un criterio oggettivo che
era quello dello svolgimento di un'attività. Quindi si diceva: se questa attività è pubblica, il soggetto è un pubblico ufficiale; se
l'attività è privata, invece, è sprovvisto delle qualifiche soggettive.
Si cercarono degli indici sintomatici della natura pubblica o privata dell’attività.
Si espressero due Sezioni Unite della Cassazione:
• una era la sent. Carfì (1981), la quale argomentò sulla base degli indici sintomatici, ritenendo che l’attività delle banche
fosse di carattere pubblicistico perché, raccogliendo i risparmi ed erogando il credito, le banche rendono un servigio alla
collettività e l’indice sintomatico più importante era il fatto che le banche agivano in regime di concessione, su delega da
parte dello Stato (attività in origine statale).
Quindi questa sentenza operò la EQUIPARAZIONE DELLE BANCHE VERSO L’ATTIVITÀ PUBBLICA con la
conseguenza che i dipendenti erano ritenuti indistintamente pubblici ufficiali.
Nel 1987 il criterio degli indici sintomatici viene confermato, però si prende atto della mutazione del dato normativo,
conseguentemente ad alcune direttive comunitarie che prevedono una normativa differente: le banche che possiedono determinati
requisiti hanno diritto a raccogliere risparmio ed erogare il credito → si passa da regime di concessione a regime di autorizzazione.
Le Sez. Unite ne desumono che questa attività non è più pubblica ma privata. Dunque, gli operatori bancari non sono più pubblici
ufficiali ma soggetti privati.
In questo contesto l’avv. Paola Severino propone di definire le qualifiche di pubblico ufficiale/incaricato di pubblico servizio nei
termini odierni del Codice penale:
ART.357 NOZIONE DI PUBBLICO UFFICIALE
“Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o
amministrativa.
Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi, e
caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo
di poteri autoritativi o certificativi.”
ART. 358 NOZIONE DI INCARICATO DI UN PUBBLICO SERVIZIO
“Agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico
servizio.
Per pubblico servizio deve intendersi un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla
mancanza dei poteri tipici di quest'ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione
di opera meramente materiale.”
ART. 359 PERSONE ESERCENTI UN SERVIZIO DI PUBBLICA NECESSITA’
“Agli effetti della legge penale, sono persone che esercitano un servizio di pubblica necessità:
1) i privati che esercitano professioni forensi o sanitarie, o altre professioni il cui esercizio sia per legge vietato senza una speciale
abilitazione dello Stato, quando dell'opera di essi il pubblico sia per legge obbligato a valersi;
2) i privati che, non esercitando una pubblica funzione, né prestando un pubblico servizio, adempiono un servizio dichiarato di
pubblica necessità mediante un atto della pubblica Amministrazione.”
Con la terminologia di Paola Severino si parla di CRITERI DI DELIMITAZIONE INTERNO ED ESTERNO.
ESTERNO → riguarda tutta l'attività pubblica rispetto a tutta l'attività privata. È rappresentato dalla disciplina da parte di norme
di diritto pubblico e da atti autoritativi = questa definizione è presente nell'articolo 357 ma è richiamata anche nell'articolo 358, il
quale dice che il servizio pubblico è svolto nelle stesse forme della pubblica funzione ossia la disciplina da parte di norme di leggi
di diritto pubblico e atti amministrativi. distingue ciò che è pubblico da ciò che è privato;
INTERNA → nel pubblico, distingue il pubblico ufficiale dall’incaricato di pubblico servizio;
PUBBLICO UFFICIALE → è pubblica la funzione legislativa, esecutiva o giudiziaria.
Il problema di identificazione non si pone per la funzione legislativa e giudiziaria. Invece, si pone per la funzione amministrativa.
Il legislatore cerca di definirla al 2° co. dell’art.357: quella disciplinata da norme di diritto pubblico e atti autoritativi.
La disciplina da parte di norme di diritto pubblico e atti autoritativi caratterizza sia la pubblica funzione, sia il pubblico servizio
= criterio di delimitazione esterno. Le norme di diritto pubblico, tuttavia, che cosa siano non è mai stato definito con chiarezza,
(si parla sempre della pubblica funzione amministrativa, ovviamente problemi non si pongono per la pubblica funzione
giudiziario- legislativa, perché in cui siamo di fronte a un numerus clausus di soggetti facilmente identificabili), ma anche qui
soccorre il criterio di delimitazione interno cioè la presenza di alcuni POTERI che sono proprio tipici del pubblico ufficiale:
1. AUTORITITATVI
2. CERTIFICATIVI
3. DELIBERATIVI (formazione e manifestazione della volontà della p.a.) Se c’è solo una delle due non è pubblico ufficiale.
Se mancano (tutti e tre)→ incaricato di pubblico servizio (a meno che non svolga mansioni d’ordine meramente materiale).
All’indomani del varo della riforma e quindi dell’emanazione di questi articoli 357/358, iniziarono alcune considerazioni critiche:
1. perché differenziare i due soggetti? Perché ci sono reati che possono essere commessi differentemente dai due soggetti;
2.Vi è un serio problema di legittimità e tassatività in relazione alle norme di diritto pubblico → ci sono molte zone di penombra
tra il pubblico e il privato. Allora la dottrina ha stilato una serie di criteri per distinguere se è una disciplina pubblica o privata:
- a chi è indirizzata la legge;
- se il soggetto è vincolato (norma di diritto pubblico) o è libero;
- criterio della supremazia (rapporto di pariteticità o supremazia di un soggetto rispetto all’altro);
- perseguimento di un interesse pubblico;
Nessuno è riuscito a individuare una distinzione definitiva tra norme di diritto pubblico e norme di diritto privato.
Gli atti autoritativi invece sono comprensibili e conoscibili facilmente → esproprio, l’alt da parte di un vigile…
Poiché ai fini della definizione di pubblico ufficiale occorre, oltre alla disciplina da parte di norme di diritto pubblico, anche di
atti autoritativi, il problema è superato: non è difficile capire chi sia un pubblico ufficiale e soprattutto ci si può avvalere del
criterio di delimitazione interna (poteri) perché sono tassativi.
[Il pubblico ufficiale per antonomasia è il notaio che dispone di poteri certificativi.]
Queste definizioni fornite, sia di pubblico ufficiale, che di incaricato di un pubblico servizio, sono OGGETTIVE = si passa da
una definizione in chiave soggettiva ad una in chiave oggettiva – funzionale: non soltanto si desume la natura del soggetto dalla
natura dell'attività (criterio oggettivo) che guarda l'attività e non alla dipendenza da un ente, ma funzionale nel senso che
circoscrive ad un determinato ambito l'attenzione, e allora quando non svolgono più la loro funzione non sono più pubblici
ufficiali, mentre con la definizione soggettiva lo sono sempre.
Un caso discusso ha riguardato una pronuncia del 2006 il difensore, l’avvocato che è per definizione un soggetto privato.
In forza di una legge sulle investigazioni difensive, emanata per cercare di riequilibrare i poteri dell’accusa e della difesa, nel
segno di perseguire l’ideale di un modello accusatorio, al difensore vengono date una serie di prerogative:
- Sentire persone informate sui fatti;
- con diverse modalità, verbalizzare queste affermazioni che poi rifluiscono nel fascicolo d’indagine del p.m.;
Quindi ha un potere certificativo che le Sez. Un. ritengono poter essere alla base della qualifica di questo soggetto come pubblico
ufficiale. Sono esclusi i poteri autoritativi. Mancano anche gli atti autoritativi, benché sia un’attività disciplinata da norme di
diritto pubblico. Non c’è un provvedimento della P.A. che incardina il pubblico ufficiale in una funzione.
Tuttavia, le Sez. Un. della Corte di Cassazione del 2006 ritennero che il difensore potesse essere un pubblico ufficiale, con
riferimento al criterio di delimitazione interno, ma glissando sul criterio di delimitazione esterno.
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Il vero punto dolente di questa disciplina è l’incaricato di un pubblico servizio perché, se i poteri sono l’elemento tipizzante che
rendono abbastanza tassativa la definizione di pubblico ufficiale, nell’incaricato di pubblico servizio questi poteri mancano e
quindi ci si può rifare solo alle norme di diritto pubblico e agli atti autoritativi, e qui si pone il problema.
Chi è incaricato di pubblico servizio? Ad es. la guardia giurata.
Chi è l’incaricato di pubblico servizio nel privato? Il servizio di pubblica necessità.
C’è una locuzione che fa proprio la differenza: la concessione, ma anche ogni atto di delega.
Per individuare l'attività pubblica la giurisprudenza individua alcuni indici sintomatici, tra cui il REGIME DI CONCESSIONE
atto autoritativo in cui tale attività fosse svolta (e, guarda caso, inizialmente le banche agivano proprio in regime di concessione:
la Banca d'Italia rilasciava la concessione alle banche per lo svolgimento di quelle attività di interesse pubblico che erano la
raccolta del risparmio e l'erogazione del credito)
Le cose cambiarono di lì a poco tempo perché, sempre le Sezioni Unite della Corte di Cassazione presero atto di un mutato quadro
normativo: l'intervento di alcune direttive avevano determinato il passaggio dal regime di concessione dell'ente al regime di
autorizzazione.
• Sent. Minzolini 2015 → il direttore di un telegiornale è incaricato di pubblico servizio perché svolge attività data in regime
di concessione ed è irrilevante la natura privata dell’ente. Senza dubbio rientra nell’ambito del servizio pubblico perché agisce
in regime di concessione.
• Sent Bertè 2003 → scambio di favori nella selezione dei giovani talenti di Sanremo. Per qualificarsi la corruzione il
selezionatore dovrebbe essere pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio. È un programma RAI, la quale agisce in
concessione = se c’è concessione c’è pubblico servizio. Essendo una nozione oggettivo-funzionale bisogna dire che non tutto
ciò che rientra nella concessione qualifica un incaricato di pubblico servizio, ma le attività vanno distinte. L’attività
commerciale non è disciplinata da norme di diritto pubblico e atti autoritativi ma da norme privatistiche. Questo caso si colloca
a metà tra il servizio pubblico e l’attività commerciale, allora la Corte di Cassazione, in maniera probabilmente non
condivisibile, dice che c’è un RAPPORTO DI STRETTA SRUMENTALITA’. Quindi, attraverso questo criterio, recupera la
qualifica soggettiva pubblicistica.
Successivamente questo è stato negato e quindi si ritiene che si tratti di attività privata
Si evidenzia così che bisogna scegliere tra due approcci diversi:
• uno a intermittenza → lo stesso soggetto può essere privato o assumere qualifiche a seconda di ciò che sta facendo in un
determinato momento, a prescindere dai nessi di strumentalità [es. del soggetto pubblico che mentre pubblicizza un
prodotto diventa privato].
Questo in concreto può recare difficoltà.
Infatti, la Corte di Cassazione entra in conflitto con sé stessa, e lo fa anche nell’ambito del servizio banco-posta delle Poste Italiane
(l’attività bancaria oggi è privata [sent. Tuzzet 1989]).
Non è facile distinguere in concreto sulla base del criterio della normativa di diritto pubblico. Ciò che riemerge sempre è il
riferimento all’interesse pubblico perseguito dall’attività, che era proprio quello che il legislatore voleva negare introducendo
le norme sulle qualifiche pubblicistiche, perché quello dell’interesse pubblico è un criterio troppo discrezionale.
Trattandosi di nozione oggettivo-funzionale bisognerebbe ragionare solo sulla base di quel segmento di attività. Ma la pretesa di
segmentare l’attività è difficile da mantenere in maniera coerente.
Prima del 1990 la base della qualifica pubblicistica era la natura pubblica dell’interesse e la riforma ha cercato di definire in chiave
normativa il concetto di pubblico, attraverso i criteri di delimitazione interno ed esterno, ma poiché non sono risolutivi, di fatto
rispunta il carattere dell’interesse.
Prima si faceva riferimento non alla natura dell’attività ma al rapporto con l’ente, quando è stato privatizzato tutto si è fatto
riferimento poi alla natura pubblica dell’interesse, poi il legislatore è intervenuto dicendo di ragionare sulla base dei criteri di
delimitazione interno ed esterno, tuttavia non risolutivi. Residuano dei margini interpretativi che l’interprete scioglie secondo la
sua preferenza teorica per cui la giurisprudenza non prescinde ancora dalla natura pubblica dell’interesse che però legislativamente
non esiste.
Privatizzazioni=determinate attività svolte prima dallo stato o diventano del tutto private o vengono date in concessione a una
società privata e lo stato si riserva una partecipazione consistente per poter intervenire, pone determinate regole per lo svolgimento
dell’attività
Non è detto che l’atto amministrativo sia di concessione, quindi sorge anche un altro problema interpretativo dell’atto
amministrativo.
Interpretazione della formula “contrarietà ai doveri d'ufficio”. È CONTRARIO ogni atto che viola:
- i doveri generali di fedeltà, correttezza, onestà;
- quelli specifici di un singolo affare;
- i doveri discendenti da norme di legge, regolamenti o d’istruzione interna: in questo senso, la contrarietà implica la
illegittimità dell'atto nei vizi di incompetenza, violazione di legge o eccesso di potere;
- contrarietà ai beni giuridici del buon funzionamento e dell'imparzialità della P.A.
Si pone il problema della contrarietà negli atti che sono esercizio di un potere discrezionale: esso presuppone una valutazione
imparziale degli interessi pubblici coinvolti nell'atto. La Corte costituzionale ha ravvisato la contrarietà ai doveri d’ufficio qualora
il pubblico ufficiale rinunci preventivamente alla valutazione comparata degli interessi contrapposti.
L'elemento soggettivo è il dolo: coscienza e volontà della condotta normativamente descritta, al quale si aggiunge un dolo specifico
nel fine di compiere un atto contrario ai doveri di ufficio o di omettere/ritardare l'atto d'ufficio.
Il momento consumativo è lo stesso della corruzione impropria, risultando indifferente il mancato adempimento della promessa.
L'art.319-bis prevede una circostanza aggravante qualora la corruzione propria abbia per oggetto il conferimento di pubblici
impieghi, stipendi, pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l'amministrazione, nonché il pagamento o
rimborso di tributi.
Art.319-ter: CORRUZIONE IN ATTI GIUDIZIARI
Sembrerebbe un’ipotesi aggravata a prima lettura, però il 321 (pene per il corruttore) lo richiama, facendo intendere che si tratti
di un’ipotesi autonoma di reato.
Riguarda la corruzione propria, perché si paga per favorire o danneggiare una parte del processo civile/penale/amministrativo in
maniera indebita, ossia un risultato processuale diverso da quello che fisiologicamente si sarebbe dovuto realizzare.
È antecedente perché io pago PERCHÈ SI COMPIA IN FUTURO UN ATTO.
Si è ritenuto che il soggetto corrotto chi fosse il giudice, fino a una pronuncia della Cassazione, sul caso dell’avvocato Mirs, che
invece era un TESTIMONE.
Nella concussione mediante induzione la giurisprudenza aveva fatto rientrare pacificamente anche l’inganno, il caso in cui
l’extraneus venga ingannato dal pubblico ufficiale e per questo è spinto a dargli delle somme. La concussione mediante
inganno quindi x induzione, che fine fa? Potrebbe rientrare nel 319-quater ma la concussione mediante induzione qualora
l’induzione sia fatta con l’inganno ora non può più essere punita.
CONCUSSIONE AMBIENTALE: era una fenomenologia analoga alla corruzione per messa a busta paga del pubblico ufficiale.
Gli imprenditori ai tempi di tangentopoli dicevano
La concussione ambientale si ha quando non c’è una richiesta esplicita da parte di un pubblico ufficiale ma si sa che se io voglio
lavorare devo per forza pagare. Nessuno esplicita la richiesta però era un sistema in cui l’imprenditore, se avesse voluto avere gli
appalti in alcuni settori avrebbe dovuto pagare determinate persone.
Adesso questa fattispecie non c’è più perché oggi il 319-quater OBBLIGA IL PRIVATO ALLA RESISTENZA.
DISTINZIONE FRA CONCUSSIONE E INDUZIONE INDEBITA
La sentenza Maldera a Sezioni Unite, resa nel 2013, avrebbe dovuto risolvere i problemi della distinzione tra concussione e
induzione indebita.
Con l’entrata in vigore dell'articolo 319-quater, che elegge a fattispecie autonoma l’induzione indebita, sradicandola dalla
fattispecie di concussione (317), si pose il problema di capire quali fossero i rapporti tra le due fattispecie, soprattutto quando si
configura l'induzione e quando si configura invece la costrizione, posto che dalle due fattispecie derivano delle conseguenze
notevolissime (in un caso il privato viene considerato vittima, nell'altro caso viene considerato correo).
Ma si posero anche altri problemi:
- distinguere tra induzione indebita e corruzione, visto che in tutti e due i casi il privato è punito;
- capire quali fossero i rapporti di diritto intertemporale sussistenti tra le due fattispecie di induzione indebita e
concussione per costrizione.
Era un problema di forte rilevanza pratica, non solo dal punto di vista della individuazione della legge da applicare dal punto di
vista temporale, ma anche perché dire che la vecchia concussione per induzione era cosa diversa dall'attuale, implicava anche
delle diverse conseguenze rispetto all'istigazione alla corruzione quando l'iniziativa è presa dal privato.
Cioè: dire che l’induzione indebita si pone in continuità con la concussione significa chiedersi questo: in cosa si distingue il
tentativo di induzione indebita dalla istigazione alla corruzione, quando l'iniziativa è presa dal pubblico ufficiale?
Dire invece che l'articolo 319-quater si pone in successione con le ipotesi di corruzione significa non porsi questo problema,
perché a quel punto si applicherebbe l'istigazione alla corruzione (322).
Sostanzialmente le Sezioni Unite sono state chiamate a dare una risposta a questi quesiti, notando innanzitutto come non sia più
possibile sorvolare nell'individuazione di una linea netta di demarcazione tra la concussione per induzione e la concussione per
costrizione. Come si ricava questa differenza? La giurisprudenza formatasi sotto la vigenza del vecchio codice era abbastanza
coesa nel dire che c'è concussione per costrizione quando la libertà del privato è totalmente coartata, mentre c'è concussione
per induzione quando il privato conserva un margine di scelta. Oggi non si può utilizzare questo criterio, perché il codice
Zanardelli puniva solo il pubblico ufficiale, quindi questa soluzione non è percorribile.
Dunque, le posizioni in ballo erano sostanzialmente 3:
1. la differenza tra costrizione e induzione è esclusivamente psicologica, risiede nella forza intimidatrice utilizzata dal
pubblico ufficiale: se il pubblico ufficiale coarta totalmente la volontà del privato, a quel punto si realizza concussione
per costrizione; laddove il privato conserva un margine di scelta, perché questa forza intimidatrice non è così forte da
comprimere totalmente la sua autodeterminazione, si configurerà l’induzione indebita che appunto punisce anche il
privato. NON È SODDISFACENTE perché va ad indagare totalmente sulla componente psicologica del privato che
potrebbe negare di aver “ceduto” alle suggestioni del p.u. per non incorrere in sanzioni
2. un secondo orientamento faceva leva sul danno che era minacciato al privato: se il pubblico ufficiale minacciava il
privato di un danno contra jus [tu avresti diritto a questo appalto: se non mi paghi io non te lo do] c’è concussione;
se invece il privato può trarre anche solo un vantaggio dalla dazione o dalla promessa, a quel punto c'è induzione
indebita [tu non hai diritto all'appalto; pagami e io ti do l'appalto]. In un caso il soggetto ha tutti i requisiti per cui
dovrebbe avere quella concessione; nel secondo caso il soggetto non ne ha diritto, ma se paga la ottiene. NON È
SODDISFACENTE perché ci sono dei casi in cui le conseguenze dell’applicazione di tale soluzione sono controverse.
A fronte di questo di questo problema, le Sezioni Unite ritornano al criterio originario:
3. la costrizione si ha quando la libertà di autodeterminazione dell’extraneus è totalmente coartata e quindi è posto di
fronte ad un aut aut; l'induzione indebita invece presuppone una forza intimidatrice “scemata”, che non coarta
totalmente la libertà dell'extraneus, aggiungendo a tutto ciò un quid pluris, ripreso dall’ultima tesi: guardare al danno
o all'eventuale vantaggio che l'extraneus riceve, tenendo in considerazione anche il rango del bene giuridico
tutelato: la sproporzione tra i due beni giuridici in gioco è tale e tanta per cui è naturale dire che il comportamento
del p.u. si è atteggiato come una forma di costrizione non come una forma di semplice induzione. [esempio della
prostituta]
Il ragionamento fatto dalla Cassazione a Sezioni Unite dice tutto e non dice niente perché, introducendo questa regola di carattere
generale e tutta questa serie di avvertenze che l'interprete deve tenere in considerazione, finisce per dire di muoversi secondo un
atteggiamento prettamente casistico: guardate caso per caso e capite se c'è o meno spazio all'autodeterminazione del privato.
A questo punto, dicendo che c'è induzione indebita quando il privato ha libertà di autodeterminazione ed ottiene un vantaggio
dalla dazione, si assottiglia anche la DIFFERENZA TRA INDUZIONE INDEBITA E CORRUZIONE. In cosa si differenziano?
- Corruzione: sussiste quando c'è un rapporto di natura prettamente sinallagmatica in cui i soggetti dialogano in modo
paritario e si accordano in modo paritario;
- Induzione indebita: presuppone ancora che il pubblico ufficiale/incaricato di pubblico servizio vada a coartare (ma
non del tutto) la libertà di autodeterminazione dell’extraneus.
… ancora una volta bisogna guardare alla situazione di fatto.
Veniamo ad analizzare il problema relativo alla successione di leggi penali nel tempo.
Come si atteggia il 319-quater (induzione indebita)? È una nuova incriminazione? È un'ipotesi che si pone in continuità con il
vecchio 317 (concussione)? O con il 318 (corruzione per l’esercizio della funzione) e il 319 (corruzione per atto contrario)?
Bisogna guardare al criterio della continenza: si mettono a confronto, dal punto di vista strutturale, le due fattispecie per vedere
se c'è o meno un rapporto di genus a species.
A detta della cassazione maldera Seguendo questo criterio, l'articolo 319-quater si pone in continuità con il vecchio 317 → ma,
se l'articolo 319-quater è una fattispecie a concorso necessario perché è punito anche l’extraneus, e invece l'articolo 317 è una
fattispecie giuridica soggettiva perché l’extraneus non è punito, come si conciliano queste due cose?
La Cassazione a sezioni unite ha sostenuto che:
• per quanto riguarda la condotta del pubblico ufficiale, c’è continuità con il vecchio articolo 317 (e dunque poi bisogna vedere
qual è la fattispecie più favorevole è 319-quater= abrogatione sine abolitione = la vecchia fattispecie incriminatrice è stata
abrogata perché l'induzione non c'è più nel 317, ma è un’abrogazione solo apparente perché poi quella condotta in realtà è
entrata a far parte di un'altra fattispecie);
• la condotta del privato implica una nuova incriminazione concusso x induzione prima 2012 non punito
Se però il 319-quater si pone in continuità col 317 (e non con il 318 e 319), laddove il 319-quater si arresta alla soglia del tentativo
questa diventa una fattispecie autonoma e non è sussumibile all'interno del 322 dell’istigazione alla corruzione.
DISTINZIONE TRA ISTIGAZIONE ALLA CORRUZIONE E TENTATIVO DI INDUZIONE INDEBITA
La Cassazione ha detto: posto che l'articolo 322 utilizza il termine “sollecitare”, la sollecitazione è qualcosa di diverso dal tentativo
di induzione, il quale invece presuppone un'insistenza reiterata da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio.
La sollecitazione è la semplice richiesta fatta in modo estemporaneo, il tentativo di induzione presuppone che il pubblico ufficiale
si vada a mettere lì nell'orecchio a dire “vuoi darmi del denaro per avere questo atto, che tutto sommato ti fa comodo”?!
ABUSO D’UFFICIO
ART.323: “Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello
svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da
atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un
interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto
vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno carattere di rilevante gravità.”
Con la dicitura “in violazione di norma di regolamento” intervenuta in un momento successivo alla formulazione originaria si
elimina l’eccesso di potere come strumento per sindacare sull’attività discrezionale della P.A.
Non abbastanza → formulazione odierna
Originariamente, nel 1930, esisteva l’abuso d’ufficio ex art.323, prima detto “abuso innominato d’ufficio”: “se il fatto non
costituisce altro reato […]” che non definiva e non diceva in cosa consistesse l’abuso e l’art.324, ossia l’interesse privato in atti
d’ufficio, che configurava la condotta del p.u. il quale prendesse un interesse privato in atto d’ufficio ed era punito in maniera più
blanda. Il p.u. era punito sia se avesse tratto un interesse economico in contrasto con buon andamento della p.a. sia quando avesse
fatto gli interessi della stessa p.a., perché all’epoca i delitti contro la p.a. tutelavano sì il buon andamento, ma soprattutto il
PRESTIGIO della P.A.
Il legislatore, poiché il 324 si prestava a punire delle situazioni in cui era leso solo il prestigio, lo eliminò, facendo rifluire le
condotte gravi nell’abuso d’ufficio. Così, nel ’90, alla clausola iniziale di riserva “se il fatto non costituisce altro reato” si sostituì
“se il fatto non costituisce più grave reato”. Si continua tuttavia a non definire il concetto di abuso e si articola la tutela in due
commi:
1. al fine di realizzare un ingiusto vantaggio patrimoniale
2. al fine di realizzare un ingiusto vantaggio non patrimoniale
(fattispecie a dolo specifico)
L’aggettivo ingiusto è fondamentale, perché nell’ingiustizia del vantaggio avrebbero dovuto rifluire le condotte di natura dubbia:
assessore del comune che non si astiene dal partecipare alla delibera della giunta in cui viene deciso l’acquisto del terreno di mio
marito e lo faccio per ottenere un vantaggio ingiusto, io ho commesso un abuso d'ufficio e sono punito per abuso d'ufficio;
se invece manca il requisito della ingiustizia del vantaggio, perché il mio vantaggio non confligge con gli interessi della pubblica
amministrazione, il mio comportamento non potrà più essere penalmente perseguito perché non rientra in nessuna delle due
fattispecie (323/324).
La giurisprudenza disse che in realtà l’ingiustizia del vantaggio c’è sempre perché se il p.u. realizza un abuso = uso distorto, e
lo fa per trarre un vantaggio (patrimoniale o no che sia), questo vantaggio sarà contra jus. Non intese più l’ingiustizia come un
requisito sostanziale = contrarietà al buon andamento della p.a., ma lo rese un requisito di fattispecie immanente nel concetto
stesso di abuso = se realizzo un abuso lo faccio per realizzare un vantaggio, che automaticamente è ingiusto perché proviene da
un abuso.
COSA SIGNIFICA ABUSO? Consisteva nell’eccesso di potere che, dal punto di vista del diritto amministrativo, è il tipico vizio
dell’atto amministrativo nell’ambito dell’attività discrezionale della P.A. Essendo vietato il sindacato del giudice nel merito
dell’attività amministrativa discrezionale, l’abuso d’ufficio era diventata una fattispecie che consentiva questa valutazione al
giudice penale, ravvisando in rapporto ad essa ipotesi di reato.
In ambito penale si è cercato di limitare il sindacato del giudice penale sull’attività discrezionale
L’unico strumento selettivo era quel dolo specifico: si richiedeva che il soggetto avesse agito al fine di procurarsi un ingiusto
vantaggio, ma nel momento in cui l’ingiustizia del vantaggio viene sempre presunta, di fatto l’abuso d’ufficio diventava uno
strumento pericolosissimo del quale la giurisprudenza fece un uso spropositato con l’avvento di Tangentopoli. Quel dolo specifico
venne reso di nuovo generico dall’opera giurisprudenziale.
Nel 1997 viene ri-descritto l’abuso d’ufficio e arricchito sul piano della tipicità: “in violazione di norme di leggi o regolamenti
ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, intenzionalmente cagiona ad altri
un danno ingiusto”.
-Si richiede che il soggetto realizzi la condotta nell’esercizio dei suoi poteri o servizio → da reato di mera condotta diventa un
reato di evento, a modalità di condotta (perché non soltanto si deve cagionare un danno ma lo si deve fare con condotte particolari).
-Il dolo è iper-tipizzato, perché il legislatore introduce l’avverbio “intenzionalmente” (è rilevante solo dolo intenzionale e non
anche diretto? Fu sollevata questione di legittimità costituzionale che non è stata accolta perché l’ambito del penalmente rilevante
si sarebbe allargato, ma la Corte costituzionale disse che “intenzionalmente” va letto come se comprende anche il dolo diretto).
Con la sentenza Tosches, si ridusse il campo applicativo del 323, riferendolo soltanto all’attività vincolata (violazione di legge)
della P.A. da cui fosse derivato ad altri un danno, non prestandosi più a coprire comportamenti di malcostume anche gravi.
Negli ultimi dieci anni si è insinuata un’altra lettura. Si disse: il richiamo alla violazione di legge non definisce necessariamente
il campo applicativo della fattispecie, la legge può disciplinare anche attività della P.A. in maniera lasta.
Fiandaca osservò essere legge anche l’art.97 Cost, per cui c’è il rischio che si contesti l’abuso d’ufficio per violazione di legge
qualora sia rilevata una violazione del buon andamento della pubblica amministrazione.
La corte di Cassazione rispose che c’era violazione di legge quando vi fosse violazione del buon andamento della P.A., cioè nei
casi di eccesso di potere.
Per questa strana evoluzione, l’art.323 aveva ricominciato a comprendere le ipotesi di eccesso di potere.