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All’interno della comune oggettività giuridica patrimoniale, occorre tuttavia chiedersi quale sia il principium
individuationis che meglio consente di contraddistinguere i singoli delitti. Risultano essere completamente inadeguate:
ti col fine di danno
(animus nocendi): tale suddivisione, infatti, tende a spostare il disvalore del reato sulla finalità dell’azione, in contrasto
coi principi di materialità e di offensività, e non riflette compiutamente la sistematica del codice penale, ove tra l’altro
i delitti di danneggiamento si fermano all’incidenza immediata della condotta sulla cosa e non richiedono alcun
animus nocendi;
comportano un trapasso di valori da patrimonio a patrimonio e i delitti di impoverimento, che si esauriscono nella
mera diminuzione patrimoniale per la vittima: tale suddivisione, infatti, non riesce a contraddistinguere all’interno
delle due categorie le varie fattispecie criminose;
te violenza alle
persone e alle cose e i delitti mediante frode: tale suddivisione, infatti, pur avendo un indubbio valore criminologico,
sul piano tecnico-giuridico si rivela priva di utilità differenziatrice, sia per la sua generica approssimazione, sia perché
una stesso reato può essere posto in essere col mezzo violento o con quello fraudolento, sia perché esistono non poche
fattispecie difficilmente riconducibili all’uno o all’altra categoria senza che i concetti di violenza e di frode restino
snaturati.
Maggiormente conforme ai principi del nostro diritto penale è la classificazione incentrata sulle tipologie di
aggressione: secondo la dottrina moderna, infatti, nell’ambito della comune oggettività giuridica patrimoniale, le
singole figure criminose si stagliano, innanzitutto, in funzione dei differenti tipi di condotta, considerati nella loro
diversa attitudine offensiva.
La summa divisio dei delitti patrimoniali, quindi, deve essere effettuata tra:
delitti di aggressione unilaterale, nei quali il reo sceglie la via immediatamente diretta alla cosa e la vittima si
limita a subire il reato, non prestando alcuna collaborazione cosciente e volontaria alla produzione del risultato
patrimonialmente pregiudizievole. In tali delitti la mancanza dell’atto di disposizione patrimoniale costituisce un
requisito negativo, in quanto il risult. patrimoniale deve verificarsi al di fuori di qualsiasi consenso della vittima.
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Per conseguire l’atto dispositivo della vittima, all’agente si aprono gli schemi:
o dello sfruttamento di una preesistente situazione di svantaggio, dovuta alle condizioni di debolezza (psichica o
economica) o alla situazione di ignoranza o di errore in cui versa la vittima (es. circonvenzione di incapaci, usura,
insolvenza fraudolenta);
o dei tradizionali strumenti della violenza o minaccia e della frode, per carpire un consenso che altrimenti sarebbe
stato negato o prestato ad altre condizioni (es. estorsione, truffa).
Non rientrano nelle suddette categorie ma vanno comunque ricordate le aggressioni consistenti nella perpetrazione o
nel consolidamento di una situazione patrimonialmente pregiudizievole, creata dall’altrui precedente commissione di
un reato. In questo caso l’offesa patrimoniale consiste nell’aggravamento del danno per il titolare del bene, perché il
passaggio da un soggetto ad un altro ne rende più arduo il recupero (es. ricettazione) o perché si aiuta l’agente ad
assicurarsi i vantaggi derivanti dal reato (es. riciclaggio), creando ulteriori ostacoli all’accertamento giudiziario dei
reati e alla punizione dei colpevoli.
Beni costituzionalmente tutelati.
Beni di sicuro rilievo costituzionale sono:
patrimonio, perché funzionale alla conservazione, all’autonomia e allo sviluppo della persona umana e perché la
Costituzione, riconoscendone esplicitamente la componente più pregnante, rappresentata dal diritto di proprietà (art.
42), appare garantire implicitamente anche tutti i rapporti patrimoniali che da questa si diramano;
autonomia negoziale, incentrata sulla libera volontà e consistente nel potere dei privati di regolare i propri
interessi col costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici anche patrimoniali, essendo essa inscindibilmente
connessa alla tutela costituzionale non solo della proprietà ma anche della libera iniziativa economica (art. 41).
deve rinunciare alla sanzione penale (almeno detentiva) rispetto alle microaggressioni patrimoniali, a patto che le
sanzioni extrapenali siano adeguate.
Concetto di <<patrimonio>>.
In base al criterio dell’interpretazione realistica, occorre determinare la definizione di patrimonio, muovendo
criticamente dalla disputa, di particolare rilevanza pratica, tra:
concezione giuridica, per la quale il patrimonio è la somma dei rapporti giuridici preformati (esclude dalla tutela
le situazioni non ancora concretizzate), ossia i diritti e gli obblighi relativi a cose che fanno capo ad una persona.
Il danno patrimoniale è inteso come danno in senso giuridico, ossia come la perdita o limitazione di tale diritto.
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Per evitare i difetti e gli eccessi di tutela delle suddette teorie, quindi, occorre muovere da una concezione giuridico-
formale-personalistica che tenga conto della giuridicità del patrimonio, non potendo estendersi la tutela penale ai
beni acquisiti in modo disapprovato dal diritto, e della sua strumentalità personalistica, non essendo legittimo
escludere da essa cose atte a soddisfare bisogni materiali e spirituali. Deve conseguentemente considerarsi patrimonio
ai fini penali il complesso dei rapporti giuridici facenti capo ad un soggetto ed aventi per oggetto cose
strumentalmente funzionali, ossia capaci di soddisfare bisogni umani, materiali o spirituali.
In quanto incentrata sul rapporto giuridico, tale definizione consente:
diminuendone la strumentalità;
giustificare l’incriminazione, tra i delitti contro il patrimonio, anche delle aggressioni concretantesi in una mera
turbativa del godimento di una cosa.
la perfezione solo quando la strumentalità del patrimonio sia stata effettivamente diminuita;
trimonio in termini di offesa, essendo più lesivo della strumentalità patrimoniale
il danneggiamento del furto.
Per maggior precisione, la strumentalità patrimoniale meritevole di tutela va determinata con parametri oggettivo-
soggettivi, che consentono di obiettivizzare anche le valutazioni personali sulla strumentalità delle cose, nel senso di
considerarle meritevoli di tutela quando riguardano bisogni spirituali considerati positivi secondo il diffuso
sentimento.
Circa il contenuto, il patrimonio va assunto nel diritto penale in un’accezione peculiare, poiché, diversamente dal
diritto civile, non può che comprendere i soli rapporti attivi e non anche quelli passivi, essendo il fine perseguito dal
legislatore quello di punire l’illecita diminuzione della strumentalità dell’insieme delle cose facenti capo al soggetto.
La parte attiva del patrimonio, in particolare, è costituita:
Concetto di <<cosa>>.
I delitti contro il patrimonio hanno come punto di riferimento una porzione del mondo esteriore, la c.d. cosa. In
particolare:
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la condotta criminosa ha come obiettivo immediato l’atto di disposizione patrimonialmente dannoso che, come tale,
deve pur sempre comportare una riduzione della strumentalità del patrimonio, ossia la perdita o il mancato acquisto di
cose materiali, idonee a soddisfare bisogni umani.
Quale nucleo del concetto di patrimonio inteso in senso funzionale-personalistico, la cosa rappresenta ogni entità
fisico-materiale del mondo esterno, diversa dall’uomo o dal cadavere, spazialmente definitiva e autonomamente
esistente, avente la capacità di soddisfare un bisogno umano e, quindi, di formare oggetto di diritti patrimoniali.
Sono pertanto cose in senso patrimoniale penale:
oggetti corporali aventi un valore di scambio, un valore non economico o anche soltanto un valore spirituale e
affettivo o comunque rispondenti ad un interesse del soggetto a possederli.
dei reati patrimoniali, in particolare, assurge a cosa anche l’entità materiale su cui beni immateriali (es. diritti
di credito) vengono trasfusi (es. carta riproducente l’assegno), anche se in questo caso è il valore del bene che
conferisce alla fisicità della cosa la funzione strumentale;
energie, le quali per lungo tempo non furono considerate tali, dato che il segno caratteristico della cosa veniva
ravvisato nella corporeità. Il codice del 1930, tuttavia, per porre fine ad ogni dubbio, le ha esplicitamente incluse
(anticipando il codice civile) tra le cose mobili, tali considerando l’<<energia elettrica e ogni altra energia che abbia
un valore economico>>. Sono requisiti dell’energia cosa-patrimoniale:
o il valore economico, presunto rispetto all’energia elettrica e da accertarsi rispetto alle altre energie;
o la spossessabilità, dovendo l’energia essere suscettibile di aggressione unilaterale o di aggressione con la
cooperazione della vittima.
Perché la captazione dell’energia altrui costituisca reato contro il patrimonio, peraltro, occorre che essa si traduca in
un danno patrimoniale per il soggetto passivo e in un profitto per il soggetto agente.
Costituisce cosa mobile ogni cosa che può essere materialmente spostata dalla sfera patrimoniale altrui alla propria e,
in definitiva, sottratta, essendo del resto la cosa mobile l’oggetto materiale della sottrazione furtiva. Costituisce cosa
immobile, per esclusione, la cosa non mobile. La suddetta nozione di cosa, peraltro, rispetto alla nozione civilistica di
<<beni>>, appare ad un tempo:
Concetto di <<altruità>>.
Il concetto di altruità è previsto come attributo della cosa, nella quasi totalità dei delitti di aggressione unilaterale,
oppure del danno, nei significativi delitti con la cooperazione della vittima. L’altruità come attributo della cosa, in
quanto concetto non naturalistico ma normativo, pone complessi problemi interpretativi. Si discute se debba
considerarsi altrui alternativamente la cosa:
. di altri, con la conseguente impossibilità che il proprietario sia configurato come soggetto attivo del reato;
proprietario può essere soggetto attivo e che possono trovare tutela penale anche le mere relazioni di fatto con la cosa.
Nel procedimento ermeneutico, l’altruità svolge soltanto una funzione negativa, indicando che la cosa non deve
essere né nullius, né communis omnium né propria, ossia che deve essere legata da una relazione di interesse con un
altro soggetto. Similmente, sta ad indicare che il danno deve riguardare persona diversa dall’agente.
Il suo risvolto positivo, al contrario, deve essere determinato in funzione dell’oggettività giuridica, la quale deve
essere determinata:
attitudine offensiva dei diversi tipi di condotta, ossia alla sfera di interessi da questa
necessariamente offesi. Quanto detto, rispetto ad una serie di fattispecie, porta ad un tendenziale ampliamento della
sfera di tutela nei casi in cui sulla medesima cosa converga una pluralità di relazione in capo a soggetti diversi.
Il controverso problema dell’oggetto della tutela e dei soggetti passivi deve essere correttamente risolto in termini di
coesistenza di plurimi interessi e di plurimi soggetti passivi. Tale coesistenza, in particolare, comporta che:
o soggetti passivi possono essere sia il proprietario sia il titolare di altra relazione con la cosa;
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Il principale requisito dell’altruità è che sussista sulla cosa una relazione di altri, di diritto o comunque non derivante
da delitto patrimonialmente offensivo. Rispetto all’ipotesi del furto nei confronti del ladro, quindi, va respinta la
diffusa opinione che considera il ladro soggetto passivo del reato: la sottrazione della cosa, infatti, è sì fatto punibile,
ma non a danno del ladro, quanto piuttosto del titolare del diritto sulla cosa, che col nuovo reato vede ulteriormente
violato il suo diritto. Per quanto riguarda la tutela delle relazioni di diritto o, comunque, non derivanti da delitto
offensivo del patrimonio, l’ulteriore problema è di vedere a quali essa si estenda tra i molteplici tipi di relazioni che
possono cadere contemporaneamente sulla stessa cosa (dominio, godimento, garanzia, custodia):
delitti di aggressione unilaterale concretantisi nella perdita della cosa (es. furto), l’oggetto giuridico resta
circoscritto alle sole relazioni di proprietà e di godimento e i soggetti passivo sono il proprietario e chi ha il godimento
della cosa. In questo caso, quindi, viene ad essere altrui la cosa in proprietà o in godimento di altri.
Circa l’ulteriore problema se i delitti in questione siano configurabili anche tra proprietario e titolare del diritto di
godimento, negativa deve essere la risposta per quanto riguarda il furto e il danneggiamento di cosa propria (da parte
del proprietario). Non sembrano invece esistere delimitazioni legislative per escludere la configurabilità di detti reati
da parte del titolare del diritto di godimento;
turbativa immobiliare (es. turbativa violenta del possesso),
l’oggetto giuridico è la sola relazione di godimento della cosa. In questo caso, quindi, viene ad essere altrui la cosa in
godimento di altri;
spoglio immobiliare (es. usurpazione), l’oggetto giuridico
è la proprietà, per cui ai presenti fini viene ad essere altrui la cosa in proprietà di altri;
delitti con la cooperazione della vittima (es. estorsione), l’oggetto giuridico è la relazione di diritto che di
volta in volta viene lesa dall’atto dispositivo dell’agente. In questo caso, quindi, viene ad essere altrui il danno subito
dal titolare di tale relazione.
Concetto di <<danno>>.
I delitti contro il patrimonio debbono concretarsi necessariamente in un’offesa al patrimonio, che può consistere in una
lesione patrimoniale o nel pericolo di tale lesione. Incentrare il sistema dei delitti contro il patrimonio sull’offesa
patrimoniale, ha la funzione garantista di tenere ancorata la categoria ad un diritto penale a base oggettivistica, volto
alla tutela effettiva dei diritti patrimoniali, invece che ad un diritto penale ad impronta soggettivistica, volto alla
punizione di atteggiamenti di volontà.
I delitti contro il patrimonio, in particolare, si distinguono in:
delitti di danno, essendo per la loro sussistenza necessaria la distruzione o la diminuzione dell’oggetto giuridico
patrimoniale. In tali delitti, in particolare, il danno:
o deve considerarsi come elemento tipico espresso nei delitti di aggressione con la cooperazione della vittima,
incentrandosi essi sul momento effettuale del risultato patrimonialmente pregiudizievole;
o deve considerarsi come requisito implicito nei delitti di aggressione unilaterale, che come tali si dirigono
immediatamente sulla cosa, pur dovendo comunque comportare un danno patrimoniale per la vittima;
delitti di pericolo, per l’esistenza dei quali basta che l’oggetto giuridico patrimoniale sia messo in pericolo.
In base a tale accezione, il concetto di danno comprende tutte le forme di danno patrimoniale meritevoli di tutela e
rispondenti alle diverse ipotesi criminose:
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Il danno patrimoniale, quindi, se comprende innanzitutto il danno economico, abbraccia anche il danno non
economico (es. ingresso abusivo nel fondo altrui) o meramente morale (es. perdita delle cose di valore affettivo);
circa l’accertamento, il danno patrimoniale va constato in concreto, non essendo ammissibile un danno presunto (in
re ipsa). Pertanto non sussiste delitto contro il patrimonio quando:
o non esiste diminuzione della strumentalità patrimoniale, perché la cosa è priva di valore economico o affettivo
oppure perché la perdita della cosa è stata immediatamente compensata da altra cosa di pari utilità;
o esiste un incremento della strumentalità patrimoniale;
sua entità, occorre fare riferimento non alle valutazioni soggettive del
soggetto passivo, ma a valutazioni obiettive, dovendosi considerare danno non già quello che il soggetto passivo
reputa tale, ma quello che secondo il giudizio di generalità è sentito come capace di diminuire la strumentalità
patrimoniale, economica e spirituale;
che prescindono dal profitto, non essendo questo richiesto per la loro esistenza.
ma anche ogni altra utilità (materiale o spirituale) e qualunque piacere o soddisfazione che l’agente si procuri
attraverso l’azione criminosa. Pecca tuttavia per difetto, creando vuoti di tutela, l’opposta tesi che, pretendendo di
economizzare il profitto, lo circoscrive al solo vantaggio economico, escludendo così anche quando vi sia un
incremento strumentale del patrimonio, pur se non economico.
Per evitare i suddetti eccessi e conservare al profitto la sua funzione delimitatrice, quindi, occorre <patrimonializzare>
la nozione, considerando profitto ogni incremento della strumentalità patrimoniale. Il profitto può essere per sé o
per altri. Non esiste reato, quindi, se il soggetto agisce a profitto di questi (es. sottrazione di cose per impedire al
proprietario di dissiparle);
circa i rapporti tra profitto e fatto, il profitto:
o nei reati di aggressione unilaterale, deve derivare direttamente dal trasferimento della cosa dalla sfera patrimoniale
della vittima a quella del reo;
o nei reati con la cooperazione della vittima, deve derivare dall’altrui atto dispositivo, non sussistendo alcuna
delimitazione legislativa perché tali reati non siano configurabili.
Il reato di profitto non sussiste quando il profitto deriva come indiretta conseguenza del reato (es. omicida per vendetta
che deruba la vittima per far credere ad un omicidio per rapina);
deve essere provato come qualsiasi altro elemento tipico. Non valgono in materia
presunzioni di sorta o richiami a profitti in re ipsa;
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Tali nozioni, tuttavia, portano ad escludere sia l’appropriazione indebita, per mancanza del presupposto del possesso
(es. appropriazione dell’altrui automobile da parte del depositario garagista), sia il furto, per mancanza del
presupposto della detenzione nell’agente;
nozioni autonomistiche (o relativistiche):
o il possesso è il potere di disposizione autonoma della cosa con animus detinendi;
o la detenzione è il potere di fatto sulla cosa esplicato nella sfera di vigilanza del possessore.
Tali nozioni, tuttavia, allo stesso modo, portano ad escludere sia il furto, per mancanza del presupposto della
detenzione dell’agente, sia l’appropriazione indebita, per mancanza del presupposto del possesso.
L’incompatibilità e la continuità tra furto e appropriazione, quindi, possono essere assicurate soltanto considerando i
presupposti di detenzione e possesso non come un prius, ma come un posterius, essendo definibili in funzione delle
condotte della sottrazione e dell’appropriazione, con le seguenti fondamentali implicazioni:
instaurare la signoria di fatto sulla cosa:
o occorre ricorrere alla sottrazione qualora altri ne abbiano la disponibilità materiale;
o occorre ricorrere all’appropriazione qualora essa non sia nella disponibilità materiale di altri;
reati di furto hanno, come presupposto positivo, la disponibilità materiale della cosa da parte di altri e, come
presupposto negativo, la mancanza della disponibilità materiale della cosa da parte dell’agente;
reati di appropriazione hanno come presupposto negativo la mancanza in altri della disponibilità materiale della
cosa, non essendo tuttavia necessario che essa sia propria dell’agente;
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disponibilità materiale della cosa da parte di altri, il presupposto positivo del possesso nell’agente non rappresenta un
requisito essenziale e qualificante. Esso, al contrario, serve soltanto a differenziare, all’interno della categoria:
o i reati comuni di appropriazione, per i quali è richiesto il presupposto provvisorio;
o i reati minori di appropriaz., per i quali sono richieste soltanto particolari condizioni della cosa (es. cosa smarrita),
implicanti tutti la mancanza di disponibilità materiale della cosa e dell’autonomo potere materiale sulla stessa;
detenzione e possesso:
o si identificano sotto il profilo del corpus, dal momento che entrambi si concretano nell’autonomo potere di disporre
materialmente della cosa;
o si differenziano sotto il profilo del titolo, che deve essere penalmente lecito per il possesso, mentre può essere anche
penalmente illecito per la detenzione, e sotto il profilo dell’animus, che nel possesso consiste nella volontà di tenere la
cosa nomine alieno, mentre nella detenzione consiste anche nel considerare la cosa come propria;
In questo modo viene ripristinato il rapporto di incompatibilità e di continuità logica tra furto e appropriazione
indebita: uno stesso soggetto, infatti, non può contemporaneamente avere e non avere l’autonoma disponibilità
materiale della cosa. Tutte le volte che si verifica il presupposto positivo dell’appropriazione, quindi, mancano i
presupposti (negativo e positivo) del furto.
Violenza e frode.
Violenza e frode, peraltro, costituiscono i mezzi per sopprimere, coartare o carpire le deliberazioni di volontà.
Concetto di <<violenza>>.
Sotto il profilo concettuale la violenza può consistere:
violenza personale, quando ha come oggetto immediato la persona, la quale va ulteriormente distinta in:
o violenza fisica;
o violenza psichica (o minaccia);
violenza reale, quando ha come oggetto immediato una cosa.
Sotto il profilo della finalità la violenza può essere usata:
violenza fine, ossia con lo scopo immediato di arrecare il danno, la quale costituisce la condotta tipica e viene
incriminata in sé e per sé (es. delitti di percossa, lesioni, omicidio, minaccia, danneggiamento);
violenza mezzo, ossia per incidere sull’altrui volontà, annullandola o coartandola, perché il soggetto faccia,
ometta o tolleri qualche cosa, la quale viene incriminata in questa sua funzione coercitiva (es. delitti di violenza
privata, violenza sessuale, evasione aggravata, rapina, estorsione).
La minaccia, peraltro, può essere attiva od omissiva, a seconda che abbia per oggetto un’azione (minaccia di creare un
male) od un’omissione (minaccia di non impedire un male che si ha l’obbligo giuridico di impedire).
Circa l’idoneità, la minaccia, quali ne siano le modalità (può essere effettuata in tutte le forme e i modi
psicologicamente idonei a coartare l’altrui volontà), deve avere un’effettiva potenzialità coattiva, ossia deve apparire
capace (giudizio ex ante) di creare uno stato di costringimento, da valutarsi caso per caso con riferimento alle
circostanze del caso concreto, alle particolari condizioni psicologiche del soggetto passivo ed alla conoscenza di esse
da parte del soggetto attivo. Circa l’accertamento dell’idoneità, essa va accertata in base agli elementi sovraesposti.
Circa l’effetto psicologico, esso consiste nella coazione (assoluta o relativa);
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o la violenza reale, che si ha qualora l’energia fisica diretta sulla cosa sia usata per coartare l’altrui volontà. Quando la
legge parla di costrizione mediante violenza o minaccia, quindi, nel generico concetto di violenza rientra non solo la
violenza personale fisica, ma anche la violenza sulle cose. Agli effetti della legge penale, in particolare, si ha violenza
sulle cose qualora la cosa sia:
miglioramento;
specifica attribuita alla cosa dall’avente diritto.
In rapporto alla distinzione tra reati patrimoniali di aggressione unilaterale e reati patrimoniali con la cooperazione
della vittima occorre distinguere tra:
o la violenza che produce una coazione assoluta, con conseguente annullamento della volontà e riduzione del
soggetto a mero strumento materiale. Tale violenza preclude la configurabilità di quell’atto dispositivo la cui
mancanza è requisito negativo dell’aggressione unilaterale;
o la violenza che produce una coazione relativa, ossia che lascia quel tanto di potere di scelta indispensabile per una
comparazione meramente meccanica ma pur sempre cosciente e volontaria, onde si possa parlare di un consenso del
soggetto. In questo caso resta configurabile quell’atto dispositivo che costituisce requisito positivo dell’aggressione
con la cooperazione della vittima.
Due sono i problemi di fondo relativi ai rapporti tra contratto e i reati suddetti:
effetti sul reato (sussistenza o meno) delle cause di invalidità contrattuali.
Tale problema ha trovato differenti risposte, condizionate tutte in radice dalle diverse concezioni sui rapporti tra diritto
penale e diritto civile e dai rispettivi aprioristici eccessi opposti. Metodologicamente più corretta appare una soluzione
relativistica, che consideri ogni singola causa di invalidità in funzione della sua incidenza sulla struttura dello
specifico reato in contratto: diversi, infatti, possono essere gli effetti sul reato delle diverse cause di nullità (es.
l’inesistenza dell’oggetto rende il reato impossibile se trattasi dell’oggetto che il reo intende carpire dalla vittima);
con
modalità criminose.
La procedibilità a querela è prevista dall’art. 649 co. 2 nei confronti dei <fatti preveduti da questo titolo se commessi
a danno del coniuge legalmente separato, ovvero del fratello o della sorella che non convivano coll’autore del fatto,
ovvero dello zio o del nipote o dell’affine di secondo grado con lui conviventi>.
Perché sussista la causa di non punibilità o la causa di procedibilità a querela, quindi, occorre:
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giuridico. Tale causa, quindi, non sussiste se il fatto è commesso in danno anche di soggetti estranei;
siano con l’agente in rapporto di convivenza, da intendersi come comunanza stabile
di vita (nucleo familiare unico);
metta il reato da solo all’interno della famiglia, ma non in concorso con terzi estranei, venendo
altrimenti meno la ratio opportunistica del trattamento di favore.
Furto (comune).
Il furto consiste nel fatto di <chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di
trarne profitto per sé o per altri> (art. 624):
soggetto attivo è <<chiunque>> (reato comune);
soggetto passivo è proprietario della cosa o colui che ne ha il mero godimento;
elemento oggettivo, il presupposto della condotta consiste nell’altrui detenzione:
o quanto al corpus, va inteso nel generico senso di altrui disponibilità materiale della cosa, come pieno ed autonomo
potere di fatto sulla stessa;
o quanto all’animus, va inteso in senso lato, comprensivo non solo dei casi in cui il soggetto tenga la cosa nomine
alieno, ma anche nei casi in cui la tenga nomine proprio o la consideri come propria;
o quanto al titolo, va inteso nel senso di qualsiasi titolo, lecito, illecito o criminoso;
La condotta consiste non solo nella sottrazione, ma anche nell’impossessamento della cosa, costituendo essi due
elementi autonomi e distinti, concettualmente, logicamente ed anche cronologicamente:
o la sottrazione, dal punto di vista del soggetto passivo, è la privazione della disponibilità materiale della cosa, mentre
dal punto di vista del soggetto attivo è il porre la cosa in una posizione tale da consentirgli di instaurare la propria
disponibilità materiale sulla stessa (presupposto dell’impossessamento).
Non si ha sottrazione, quindi, fintanto che la cosa resta nella sfera di vigilanza del detentore, anche se questa è stata
dall’agente nascosta in qualche luogo;
o l’impossessamento è l’acquisizione della piena ed autonoma disponibilità materiale della cosa sottratta, sorretta non
necessariamente dall’animus domini, ma anche soltanto dall’intenzione di tenere la cosa.
I due elementi della sottrazione e dell’impossessamento, sebbene di norma si verificano contestualmente (es. ladro che
sottrae la cosa e si allontana), possono anche aver luogo in tempi diversi (es. ladro che sottrae la cosa nascondendola e
che provvede a raccoglierla in un secondo momento);
elemento soggettivo, il furto è reato a dolo specifico, richiedendo l’art. 624 non solo la coscienza e volontà
di sottrarre al detentore la cosa mobile altrui e di impossessarsene, ma anche il fine di procurare a sé o ad altri un
profitto ingiusto;
oggetto materiale è la cosa mobile altrui (comprensiva nelle energie);
oggetto giuridico sono le relazioni di proprietà e godimento della cosa;
offesa è il danno patrimoniale realmente verificatosi e oggetto di concreto accertamento;
a perfezione si ha nel momento e nel luogo in cui si verifica l’impossessamento della cosa, non bastando che il
soggetto passivo sia soltanto privato della disponibilità materiale della stessa. La consumazione si ha quando il
delitto, già perfetto, raggiunge la sua massima gravità concreta.
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post
factum di danneggiamento rispetto al precedente del furto, a fortiori non deve essere punito l’intra factum di
danneggiamento;
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nell’ipotesi aggravata dall’art. 4 della l. n. 533 del 1977 con la reclusione da 3 a 10 anni e la multa da € 206 a 1549;
caso di concorso di cui alla suddetta legge, con la reclusione da 5 a 12 anni e la multa da € 1032 a 3098;
Circa la non necessaria specificazione dei luoghi della vita domestica, occorre intendere:
completamento.
al pubblico;
di luoghi di privata dimora o di pertinenze.
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La condotta consiste nell’introdursi, ossia nell’entrare nella privata dimora altrui. Tale introduzione richiede che
l’agente entri con l’intera persona, non bastando l’introduzione di un braccio o di un mezzo meccanico, e che il luogo
destinato a privata dimora sia lo stesso luogo della commissione del furto o soltanto il luogo di transito per accedere a
questo;
circa l’elemento soggettivo, il dolo specifico deve abbracciare, oltre al fatto materiale del furto, anche la coscienza e
volontà di introdursi in un luogo e la consapevolezza che tale luogo è destinato all’altrui privata dimora o ne
costituisce pertinenza.
circa la natura, il furto in privata dimora è reato necessariamente complesso, di cui i reati di furto e di violazione di
domicilio sono elementi costitutivi;
circa l’oggetto giuridico, accanto al bene patrimoniale è tutelato anche il diritto di libertà domiciliare (reato
plurioffensivo);
circa il tentativo, la previsione del furto in privata dimora come fattispecie autonoma rende configurabile il tentativo
anche rispetto all’introduzione in tale luogo.
persona, se questa viene strappata di dosso. Il furto con strappo, quindi, non diviene rapina per il fatto che sia derivata
una lesione personale.
elle abrogate aggravanti dell’art. 625 n. 1 e 4, applicandosi in questi casi il furto aggravato
dell’art. 624 bis.
La ratio comune dei c.d. furti minori, comunque, consiste nella minore offensività del fatto e nella minore capacità a
delinquere dell’autore.
Furto d’uso. Ricorre <se il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa sottratta, e questa,
dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita>. Oltre ai requisiti del furto comune, questo reato richiede:
profilo oggettivo:
o l’immediatezza e momentaneità dell’uso, che deve avvenire subito dopo il furto ed essere di breve durata, essendo la
ratio del trattamento privilegiato costituita dalla momentanea privazione della cosa. Risponde quindi per furto comune
chi tiene in riserva la cosa per farne un uso, pur momentaneo, nel futuro;
o l’immediatezza dell’effettiva restituzione, che deve avvenire senza ritardo subito dopo tale uso. Risponde quindi per
furto comune chi non restituisce la cosa per volontà o per colpa, ma non chi non la restituisce per caso fortuito o forza
maggiore;
o la restituzione della stessa cosa sottratta o del tantumdem (cioè di cosa della stessa specie e qualità, sempre che si
tratti di cosa totalmente fungibile sotto il profilo della strumentalità materiale e morale) da parte dell’agente con
riconsegna al derubato o con il ricollocarla nel luogo della sottrazione o, comunque, in modo che questi ne rientri
agevolmente in possesso;
o il non deterioramento della cosa restituita, escluso quello minimo insito nell’uso;
profilo soggettivo, il dolo di uso, ossia l’esclusivo scopo di fare un uso momentaneo della cosa, esistente ab
initio e costituente una specificazione e concretizzazione del fine di profitto del furto comune, e la contestuale
intenzione di restituire la cosa subito dopo l’uso.
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Appropriazioni minori:
Appropriazione di cose smarrite: chiunque avendo trovato denaro o cose da altri smarrite, se li appropria, senza
osservare le prescrizioni della legge civile sull’acquisto della proprietà di cose ritrovate. Reato comune, presupposto è
il rinvenimento, oggetto materiale è la cosa smarrita. La condotta presuppone, oltre all’impossessamento e l’omessa
restituzione o consegna al sindaco, il compimento di atti appropriativi. Dolo specifico: coscienza e volontà di
appropriarsi della cosa smarrita altrui, fine di trarre un ingiusto profitto per sé o altri.
Appropriazione di cose avute per errore o caso fortuito: chiunque si appropria cose, delle quali sia venuto in possesso
per errore altrui o per caso fortuito. Reato proprio: sog. attivo è il possessore.
Appropriazione di tesoro: appropriandosi della quota dovuta al proprietario del fondo.
danneggiamento come mezzo offensivo anche di beni superiori, stante la particolare natura o destinazione delle cose
danneggiate o a causa del particolare mezzo usato, dell’evento verificatosi o del fine perseguito (es. personalità
internazionale dello Stato, pubblica amministrazione, incolumità pubblica).
Il fatto di danneggiamento, mentre di regola costituisce reato autonomo, in alcune fattispecie viene previsto come
elemento aggravante.
Il danneggiamento, peraltro, costituisce reato di aggressione unilaterale, onde non ricorre quando il reo perviene al
danneggiamento della cosa passando attraverso l’atto dispositivo della vittima. All’interno della categoria dei reati di
aggressione unilaterale, il danneggiamento si differenzia dalle altre fattispecie (es. furto, appropriazione):
primo il reo arreca la perdita di altrui elementi patrimoniali senza diretta trasfusione nel proprio patrimonio. Non
si ha danneggiamento ma furto, quindi, nei casi in cui la distruzione della cosa costituisca, in concreto, il modo per
l’immediato trapasso dei valori patrimoniali della vittima al reo.
Danneggiamento comune. Consiste nel fatto di <chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende inservibili cose
mobili o immobili altrui> (art. 635 co. 1):
soggetto attivo è <<chiunque>> (reato comune);
soggetto passivo è il proprietario o chi ha il godimento della cosa;
elemento oggettivo, la condotta consiste alternativamente ma pur sempre tassativamente:
o nel distruggere la cosa, ossia nell’annientarla nella sua funzione strumentale di soddisfazione di bisogni umani,
materiali o spirituali (es. demolizione, scasso);
o nel disperdere la cosa, ossia nel farla uscire dalla disponibilità del soggetto, in modo che egli non sia più in grado di
recuperarla o possa recuperala soltanto con notevole difficoltà. In questo caso non occorre che la cosa sia intaccata
nella sua essenza;
o nel deteriorare la cosa, ossia nel diminuire la sua funzione strumentale, pur lasciandola nella disponibilità del
soggetto;
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dei delitti preveduti dagli artt. 330, 331 e 333 c.p. La Corte costituzionale, tuttavia, ha dichiarato incostituzionale
l’art. 635 n. 2 nella parte in cui prevedeva come aggravante il danneggiamento commesso da lavoratori in occasione di
sciopero o da datori di lavoro in occasione di serrata, e questo in contrasto col principio di uguaglianza, dato il
trattamento discriminatorio del lavoratore scioperante e del terzo non lavoratore che nella stessa situazione commetta
danneggiamento. Quanto al danneggiamento in occasione del delitto dell’art. 331 (interruzione di un servizio
pubblico), esso si verifica quando è commesso in occasione dell’interruzione di un servizio pubblico o di pubblica
necessità dai soggetti indicati in tale articolo;
ovunque siano ubicate o su immobili compresi nel perimetro dei centri storici, o su altre cose indicate dall’art. 625 n. 7
(pubblica fede).
Tale aggravante, quindi, richiede che si tratti:
o di edifici pubblici o destinati ad uso pubblico;
o di edifici destinati all’esercizio di un culto;
o di cose di interesse storico o artistico ovunque ubicate;
o di cose indicate nell’art. 625 n. 7;
rimboschimento;
ere lo svolgimento di manifestazioni sportive,;
Circa i delicati rapporti tra danneggiamento e furto, il criterio differenziale deve essere individuato nel fatto che:
norma incriminatrice quello di proibire che altri si avvantaggino immettendo le cose altrui nel proprio patrimonio;
vittima, essendo lo scopo della norma incriminatrice quello di evitare che le cose siano poste in condizioni di non
essere utilizzate da parte dell’avente diritto.
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e con la permanenza
domiciliare da 6 a 30 giorni o col lavoro di pubblica utilità da 10 giorni a 3 mesi.
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L’ipotesi di cui all’art. 635 ter co. 2 (<se dal fatto deriva la distruzione, il deterioramento, la cancellazione,
l’alterazione o la soppressione delle informazioni, dei dati o dei programmi informatici>) deve essere considerata
come figura autonoma (non circostanziata) di reato aggravato dall’evento voluto, con conseguente inapplicabilità del
bilanciamento delle circostanze.
Trattamento sanzionatorio: il reato è punito di ufficio:
L’attuale distinta previsione del danneggiamento dei dati e del danneggiamento dei sistemi pone il problema, di non
agevole soluzione, di individuare le condotte che si limitano al solo danno per le informazioni, dati o programmi e le
condotte che, pur incidendo sulle informazioni, dati o programmi, si traducono anche in un danno per i sistemi (linea
di demarcazione tra gli artt. 635 bis e 635 quater);
circa l’elemento soggettivo, trattasi di reato a dolo generico, non richiedendo l’art. 635 quater alcun fine specifico,
ma soltanto la coscienza e volontà delle condotte tipiche e degli eventi da queste causati;
oggetto giuridico, anche in questo caso, sono le relazioni di proprietà e di godimento dei sistemi informatici e
telematici;
offesa, trattasi di reato di danno;
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quater co. 2 identico all’art. 635 ter co. 2), con la suddetta pena aument. fino a 1/3.
L’ipotesi di cui all’art. 635 quinquies co. 2 (<se dal fatto deriva la distruzione o il danneggiamento del sistema
informatico o telematico di pubblica utilità ovvero se questo è reso, in tutto o in parte, inservibile>), al pari di quella
dell’art. 635 ter co. 2, rappresenta una figura autonoma di reato aggravato dall’evento voluto. Circostanze
aggravanti, invece, sono quelle previste dall’art. 635 quinquies co. 3, identiche a quelle previste dall’art. 635 bis.
Trattamento sanzionatorio: il reato è punito di ufficio:
Danneggiamenti di animali.
L’uccisione o il danneggiamento di animali altrui consiste nel fatto di <chiunque senza necessità uccide o rende
inservibili o comunque deteriora animali che appartengono ad altri> e viene punito <salvo che il fatto costituisca più
grave delitto> (art. 638):
elemento oggettivo, pur prevedendo l’uccidere, il rendere inservibile o il deteriorare l’animale, non prevede
l’ipotesi della <dispersione>, la quale, pertanto, è riconducibile sotto la fattispecie del danneggiamento comune.
Circa il presupposto negativo dell’assenza di necessità, occorre sottolineare che esso rappresenta la ratio della
previsione autonoma del danneggiamento di animali, stante tra l’altro l’identità di pena col danneggiamento comune;
elemento soggettivo, anche tale reato è a dolo generico, consistente nella volontà di danneggiare l’animale,
con la consapevolezza dell’altrui appartenenza, del suo valore economico o affettivo e, comunque, dell’interesse del
soggetto a possederlo. Tale requisito, tuttavia, non equivale alla scriminante dello stato di necessità, perché altrimenti
sarebbe superfluo (interpretatio abrogans), ma si estende anche a situazioni che giustifichino il fatto (es. uccisione
pietosa di un animale sofferente);
oggetto materiale deve essere costituito da animali appartenenti ad altri, abbiano essi un valore economico o
anche soltanto affettivo.
Proprio rispetto al danneggiamento di animali, aventi non di rado un valore soltanto affettivo, si rivela di particolare
importanza l’inclusione nel concetto di bene patrimoniale anche delle res aventi esclusivamente un siffatto valore.
Una particolare causa di non punibilità è prevista dall’art. 638 co. 3, per il quale <<on è punibile chi commette il
fatto sopra volatili sorpresi nei fondi da lui posseduti e nel momento in cui gli recano danno>.
Il reato è invece aggravato (co. 2):
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Il danneggiamento di animali si differenzia dai maltrattamenti di animali, poiché, mentre quello tutela i sopraindicati
diritti patrimoniali sugli animali, questo tutela il sentimento di pietà verso gli animali (c.d. diritti alla non sofferenza), i
quali possono essere indifferentemente altrui o propri.
Stante la clausola di riserva <salvo che il fatto costituisca più grave reato>, l’art. 638 non trova applicazione quando
ricorrono i più gravi reati degli artt. 544 bis (uccisione di animali) e 544 quinquies (divieto di combatt. tra animali).
Trattamento sanzionatorio: il reato in esame è punito:
giudice di pace, con la multa da € 258 a 2582 o con la permanenza domiciliare da 6 a 30 giorni o il lavoro di pubblica
utilità da 10 giorni a 3 mesi;
pena aumentata da 1/3 a 1/2 nell’ipotesi aggravata dal fatto commesso da persona sottoposta a misura di sicurezza.
La condotta, quindi, deve limitarsi ad una semplice alterazione dell’estetica o della nettezza della cosa, facilmente o
completamente eliminabile, che non pregiudichi per un tempo giuridicamente apprezzabile l’utilizzabilità o il pregio
della stessa. Tale reato è aggravato:
o
dei centri storici;
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Art. 630. Sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione: Chiunque sequestra una persona allo scopo di
conseguire, per sé o per altri, un ingiusto profitto come prezzo della liberazione.
Figura speciale di sequestro di persona.
Reato plurioffensivo: libertà personale + patrimonio.
A. Soggetto attivo: chiunque reato comune.
B. Elemento oggettivo: sequestro di una persona.
C. Oggetto giuridico: patrimonio.
D. Soggetto passivo: persona sul cui patrimonio graverà il pagamento del riscatto.
E. Elemento soggettivo: reato a dolo specifico. Sono richiesti la coscienza e la volontà di sequestrare una persona
e il fine di conseguire per se o altri un ingiusto profitto. Erronea convinzione che il profitto conseguito sia
giusto esclude il dolo.
Ingiusto profitto: deve consistere nel prezzo della liberazione.
Reato permanente.
F. Inasprimenti ed attenuazioni:
1. Inasprimento: Se dal sequestro deriva comunque la morte, quale conseguenza non voluta dal reo, della persona
sequestrata.
2. Attenuante: Al concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera in modo che il soggetto passivo riacquisti
la libertà, senza che tale risultato sia conseguenza del prezzo della liberazione. Se tuttavia il soggetto passivo
muore, in conseguenza del sequestro, dopo la liberazione, la pena è maggiore.
3. Attenuante: Nei confronti del concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera, al di fuori del caso previsto
dal comma precedente, per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero aiuta
concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di prove decisive per l'individuazione
o la cattura dei concorrenti.
4. Inasprimento: se il fatto è commesso da persona sottoposta a misure di prevenzione.
Soggetto passivo può anche essere chi subisce la truffa in atti illeciti, che si ha quando il soggetto, nello stipulare un
negozio giuridico, viene truffato mentre cerca di perseguire un fine illecito (negotium turpe) (es. persona che versa una
somma per corrompere chi si fa credere pubblico ufficiale). Tale tipologia di truffa, sanzionata ai sensi dell’art. 640,
deve essere distinta dalla truffa di cose acquistate mediante delitto, non sanzionata (es. truffa nei confronti del ladro):
nella prima l’illiceità riguarda il risultato perseguito dall’ingannato, che viene spogliato di una cosa propria, mentre
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o non necessita un’autentica messa in scena alternatrice della realtà esterna, potendo bastare una menzogna
ingannatrice, purché sorretta da adeguata argomentazione;
o non bastano:
bligo giuridico di informare o del principio della buona fede: l’equiparazione ex art. 40
co. 2 del non impedire al cagionare, infatti, non opera rispetto ai reati a condotta vincolata;
e copia un quadro di autore, non ritenuto tale dal
proprietario), richiedendo l’art. 640 l’induzione in errore;
ni ingannatrici;
Il soggetto passivo della condotta, come si ricava dalla formula legislativa <inducendo taluno in errore>:
o deve essere una persona determinata, anche se gli artifici o i raggiri possono rivolgersi al pubblico;
o può essere anche persona diversa dal soggetto passivo del reato, sempre che gli effetti dell’inganno si riversino sul
danneggiato (es. commesso del negozio);
o può essere anche il giudice, come nel controverso esempio della truffa processuale, che si ha quando una delle parti
in giudizio civile o la parte civile nel processo penale, inducendo in errore il giudice con artifici o raggiri, ottenga una
decisione a lei favorevole e patrimonialmente dannosa per la controparte;
elemento soggettivo, trattasi di reato a dolo generico, consistente questo nella coscienza e volontà di
indurre, con artifici o raggiri, taluno in errore e di determinarlo in tal modo ad un atto di disposizione patrimoniale con
altrui danno e ingiusto profitto;
evento è quadruplice, dato che la condotta deve essere causa di quatto progressivi effetti:
o dell’altrui stato di errore, consistente in una falsa rappresentazione della realtà e che può cadere indifferentemente
sui vari elementi di cui all’art. 1429 c.c., sui motivi o su qualsiasi altro aspetto della realtà che abbia determinato la
volontà del soggetto. Non si ha truffa, quindi:
erronei convincimenti;
La truffa, peraltro, si incentra non sull’idoneità ex ante del mezzo ingannatorio, ma sull’effetto dell’errore, ossia
sull’idoneità ex post del mezzo ingannatorio usato;
o del compimento dell’atto di disposizione patrimoniale da parte del soggetto ingannato;
o del danno altrui, che deve essere procurato dall’atto dispositivo provocato dall’inganno;
o del profitto ingiusto, proprio o altrui, che deve derivare dall’atto dispositivo provocato dall’inganno;
oggetto giuridico patrimoniale è il rapporto giuridico inerente alla cosa, reale o di obbligazione, o l’aspettativa di
diritto costituente oggetto del singolo atto dispositivo;
perfezione si ha nel momento e nel luogo in cui si verifica, per la vittima, il danno patrimoniale e, per l’agente o
altri, l’ingiusto profitto, o in cui si verifica l’evento ultimo, se tali eventi sono successivi. La consumazione, invece, si
ha quando il delitto perfetto raggiunge la sua massima gravità concreta.
Costituendo la truffa reato di evento, è configurabile sia il tentativo incompiuto (es. falsa denuncia di sinistro stradale
non pervenuta alla compagnia assicurativa) sia il tentativo compiuto (es. falsa denuncia di sinistro stradale pervenuta
alla compagnia che non provvede al pagamento avendo scoperto l’errore).
La truffa è aggravata [trattasi di aggravanti speciali] (art. 640 co. 2):
ssenteismo retribuito del dipendente
pubblico) o col pretesto di fare esonerare taluno dal servizio militare.
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La prima ipotesi, la cui ratio va ravvisata nella particolare gravità ed efficacia del raggiro impiegato, pone problemi di
differenziazione con l’estorsione. La differenza deve essere individuata tenendo presente:
o che estorsione e truffa sono entrambe delitti con la cooperazione della vittima, che, nella prima, deve essere carpita
con la minaccia e, nella seconda, con l’inganno;
o che sia l’estorsione sia la truffa aggravata presuppongo il timore del pericolo di un male e che, pertanto, tale timore
deve derivare, nell’estorsione, da una minaccia e, nella truffa, da un inganno;
o che deve ravvisarsi estorsione in tutti i casi in cui vi sia la minaccia di un male, non importa se reale o immaginario
(es. malocchio minacciato dalla fattucchiera), mentre deve ravvisarsi truffa aggravata soltanto nei casi in cui il timore
di un pericolo immaginario sia ingenerato da un inganno (es. chi si fa cedere una cosa di valore ad un prezzo irrisorio
facendo credere al proprietario che si tratti di cose che di cui è vietato il possesso).
Anche la seconda ipotesi aggravante si differenzia dall’estorsione, in considerazione del fatto che si ha estorsione se il
preteso e falso ordine dell’autorità sia fatto apparire dall’agente come promanante da lui (es. ordine di confisca di certe
cose dato dal falso pubblico ufficiale, con minaccia di arresto in caso contrario), mentre si ha truffa aggravata se tale
preteso ordine viene fatto apparire dall’agente come non promanante da lui (es. esibizione da parte dell’agente di un
falso ordine di confisca emesso dall’autorità superiore);
ufficio, nelle ipotesi aggravate dell’art. 640 co. 2, con la reclusione da 1 a 5 anni e la multa da € 309 a 1549, e,
nell’ipotesi aggravata di cui al co. 3, con l’ulteriore aumento della pena da 1/3 a 1/2.
La truffa ex art. 640 bis è fattispecie speciale rispetto alla truffa, aggravata, a danno dello Stato o di un altro ente
pubblico, la quale si applica ai casi di elargizioni non destinate all’incentivazione di certe attività. Rispetto a tale art.
640 bis, inoltre, ha carattere sussidiario l’art. 316 ter, trovando applicazione quando non ricorrano gli estremi della
suddetta truffa.
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Frode informatica. Consiste nel fatto di <chiunque, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema
informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi
contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinente, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con
altrui danno> (art. 640 ter):
soggetto attivo è <<chiunque>> (reato comune);
elemento oggettivo, nel nuovo reato sono stati eliminati alcuni requisiti della truffa (gli artifici e raggiri e
l’induzione in errore), sia perché essi avevano costituito l’asserito ostacolo all’applicazione dell’art. 640, sia perché i
medesimi sono sempre meno ipotizzabili nel sistema della computerizzazione delle operazioni economiche.
Sono state invece specificate le condotte fraudolente, consistenti:
o nell’alterazione, in qualsiasi modo, del funzionamento di un sistema informatico o telematico, ossia in una modifica
del regolare svolgimento di un processo di elaborazione o di trasmissione di dati;
o nell’intervento senza diritto, con qualsiasi modalità, su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema
informatico o telematico o ad esso pertinente, dovendo ritenersi tale formula riferita ad ogni forma di interferenza,
diversa dall’alterazione del funzionamento del sistema informatico;
elemento soggettivo, trattasi di reato a dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di porre in essere
le condotte di alterazione o di intervento e di cagionare un altrui danno e un profitto ingiusto per sé o per altri;
oggetto materiale dell’alterazione è il sistema informatico o telematico, mentre quello dell’intervento sono i dati,
informazioni e programmi;
oggetto giuridico è il patrimonio;
evento è duplice, essendo costituito dal danno patrimoniale altrui e dall’ingiusto profitto per l’agente o per altri;
perfezione si ha nel momento in cui si verifica, per il soggetto passivo, il danno patrimoniale e, per l’agente,
l’ingiusto profitto, oppure nel momento in cui si verifica l’evento ultimo, se tali due eventi non sono simultanei.
Il tentativo è configurabile.
Circa i rapporti con altri reati, la frode informatica e la truffa sono in rapporto di specialità reciproca, onde trattasi di
ipotesi di concorso apparente di norme, con prevalenza, a prescindere dalla parità di sanzioni, di quest’ultima.
La frode informatica è aggravata (art. 640 bis co. 2):
ente pubblico col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare>);
tà di operatore del sistema.
Frode informatica del certificatore di firma elettronica. Consiste nel fatto descritto dall’art. 640 quinquies: <il
soggetto che presta servizi di certificazione di firma elettronica, il quale, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto
profitto ovvero di arrecare ad altri danno, viola gli obblighi previsti dalla legge per il rilascio di un certificato
qualificato>. Il reato in esame non costituisce un’ipotesi specifica di truffa, poiché è privo di qualsiasi requisito di
<fraudolenza>, consistendo la condotta nella violazione di obblighi extrapenali del certificatore. La denominazione in
rubrica di frode informatica, quindi, risulta essere impropria.
Con riferimento all’art. 640 quinquies possiamo individuare i seguenti caratteri fondamentali:
soggetto attivo è <il soggetto che presta servizi di certificazione di firma elettronica> (reato proprio);
elemento oggettivo, la condotta consiste nella violazione degli obblighi previsti dalla per il rilascio di un
certificato qualificato, concretandosi essa in condotte omissive.
Dal momento che gli eventi del profitto e del danno sono soltanto intenzionali, trattasi di reato di mera condotta;
elemento soggettivo, il reato in esame è a dolo specifico, poiché l’art. 640 quinquies richiede non solo la
coscienza e volontà di violare gli obblighi previsti dalla legge per il rilascio del certificato qualificato, ma anche il fine
di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto ovvero di arrecare ad altri un danno. Occorre tuttavia precisare che:
o il reato in esame è reato a dolo specifico di offesa, con funzione di tutela anticipata, poiché l’evento offensivo del
danno o del profitto è previsto come risultato meramente intenzionale;
o che il danno e il profitto sono previsti in termini alternativi;
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Trattamento sanzionatorio: il reato è punito di ufficio con la reclusione fino a 3 anni e con la multa da € 51 a 1032.
Frode in emigrazione
Art. 641. Insolvenza fraudolenta: Chiunque, dissimulando il proprio stato d'insolvenza, contrae un'obbligazione col
proposito di non adempierla è punito qualora l'obbligazione non sia adempiuta. L'adempimento dell'obbligazione
avvenuto prima della condanna estingue il reato.
A. Soggetto attivo: chiunque reato comune.
B. Presupposto: stato d’insolvenza dell’agente al momento in cui contrae l’obbligazione: incapacità di soddisfare le
proprie obbligazioni.
C. Condotta:
a. Dissimulazione del proprio stato di insolvenza: espediente usato dal reo per determinare la vittima a concedere il
vantaggio. Dissimulazione: celare lo stato di insolvenza; artificio o raggiro: simulare uno stato di solvibilità
b. Contrattazione di un’obbligazione: da contratto, a titolo oneroso, produttiva di effetti giuridici, tutelata mediante
azione e non solo in via d’eccezione, commutativa o aleatoria, avente per oggetto un dare o un fare..
c. Non adempimento dell’obbligazione contratta: l’inadempimento va inteso come elemento costitutivo e non
come condizione di punibilità.
D. Evento: la condotta deve essere causa di 4 effetti:
a. Stato di ignoranza in cui viene mantenuta la vittima circa lo stato di insolvenza del reo.
b. Compimento dell’atto dispositivo da parte della vittima (reato con la cooperazione della vittima).
c. Danno patrimoniale della vittima (reato di danno). Patrimonialità del danno: sussiste quando entrambe le
prestazioni delle parti hanno natura patrimoniale o quando la sola prestazione della vittima o dell’agente ha
natura patrimoniale. Danno patrimoniale: perdita di valori non compensata da alcuna controprestazione.
d. Profitto ingiusto dell’agente. Se il profitto è giusto non si ha insolvenza.
E. elementi soggettivi: reato a dolo generico e intenzionale che richiede la coscienza e la volontà di dissimulare il
proprio stato di insolvenza e di contrarre un’obbligazione e la intenzione iniziale di non adempiere. Il reato non
sussiste in caso di dolo eventuale (il soggetto abbia posto in essere il fatto senza la specifica intenzione ma
accettando il rischio di non poter adempiere). Occorre il dolo iniziale. Erronea convinzione che il profitto
perseguito sia giusto esclude il dolo.
F. Perfezione: nel momento e nel luogo dell’inadempimento.
G. Rapporti con altri reati: si differenzia da
a. Truffa ( si tratta di artifici o raggiri)
b. Ricorso abusivo al credito (l’imprenditore dissimula il proprio dissesto e ricorre al credito senza il proposito di
non adempiere.
H. Causa di non punibilità: l’adempimento tardivo estingue il reato.
Art. 643. Circonvenzione di persone incapaci: Chiunque, per procurare a sé o ad altri un profitto, abusando dei
bisogni, delle passioni o della inesperienza di una persona minore, ovvero abusando dello stato d'infermità o
deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto, che importi
qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso.
Reato plurioffensivo: libertà di autodeterminazione + interesse patrimoniale.
A. Soggetto attivo: chiunque reato comune.
B. Presupposto: Condizioni di debolezza psichica della vittima:
a. Bisogni, passioni o inesperienza di una persona minore.
b. Infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata.
C. Condotta: indurre una persona, abusando delle suddette condizioni, a compiere un atto dagli effetti dannosi.
Indurre: influire sul processo di formazione dell’altrui volere.
Abusare: sfruttamento, strumentalizzazione dell’altrui posizione di debolezza.
D. Evento: la condotta di abuso deve essere causa di 2 effetti:
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Usura.
Sotto la denominazione di usura l’art. 644 prevede:
usura, consistente nel fatto di <chiunque, fuori dei casi preveduti dall’art. 643, si fa dare o promettere, sotto
qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri
vantaggi usurari> (co. 1);
mediazione usuraria, consistente nel fatto di <chi, fuori dei casi di concorso nel delitto previsto dal primo
comma, procura a taluno una somma di denaro o altra utilità, facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la
mediazione, un compenso usurario> (co. 2).
Circa il problema della natura privatistica o pubblicistica dell’oggetto giuridico dei delitti di usura, la soluzione
tuttora più corretta appare quella dell’individuazione di tale oggetto nell’interesse patrimoniale e nella libertà di
autodeterminazione negoziale del contraente in condizioni di debolezza economica (reati plurioffensivi).
Usura (co. 1):
soggetto attivo è <<chiunque>> (reato comune);
elemento oggettivo, presupposto della condotta è lo stato di inferiorità economica di uno dei due contraenti,
costituendo questo un requisito imprescindibile per poter escludere i delitti usurari nei casi in cui, mancando la
suddetta sanzione, il compenso formalmente usurario sia liberamente e volontariamente pattuito dal soggetto da esso
gravato. La necessità di tale stato, peraltro, viene desunta:
o dall’autorizzazione da parte del codice civile dei negozi sorretti da un libero intento di liberalità, anche se con
prestazioni economiche sproporzionate;
o dal principio di non contraddizione, poiché in forza della propria unitarietà l’ordinamento giuridico non può
autorizzare qualunque negozio e, al contempo, incriminarlo quale delitto di usura.
Circa la definizione, la situazione di inferiorità economica deve ritenersi comprensiva di tutte le situazioni economiche
che costituiscono la causa determinante dell’accettazione del tasso usuraio, ossia ogni condizione di menomata
autonomia e di diminuita forza contrattuale, per l’impossibilità di accedere, a condizioni più favorevoli, ad una
prestazione corrispondente a quella offerta dall’usuraio.
La condotta consiste nella stipulazione di un contratto sinallagmatico in base al quale l’usuraio, in cambio della
propria prestazione di denaro o di altra utilità, si fa dare o promettere dalla vittima interessi o altri vantaggi usurari
(reato contratto). Il legislatore della riforma, con l’intento di eliminare le precedenti incertezze giurisprudenziali ha
provveduto (art. 644 co. 3 e 4):
o a stabilire l’interesse usuraio ex lege, che è quello che supera il limite fissato per legge (usura presunta);
o a prevedere gli interessi, i vantaggi o i compensi usurati concreti (usura in concreto), i quali ricorrono quando:
alle prestazioni;
dizioni di difficoltà economica o finanziaria;
o a stabilire che per la determinazione del tasso usuraio da parte del Ministero si deve tener conto delle commissioni,
delle remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese;
o a stabilire che per qualificare gli interessi come usurari occorre fare riferimento al momento in cui questi sono
promessi o comunque convenuti;
elemento soggettivo, trattasi di reato a dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di farsi dare o
promettere, attraverso la conclusione di un contratto sinallagmatico, come corrispettivo di una prestazione di denaro o
di altra utilità:
o interessi usurari ex lege da persona in situazione di inferiorità economica;
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Aggravanti speciali.
L’usura e la mediazione usuraria sono aggravate (art. 644 co. 5) da una serie di ipotesi, che, costituendo situazioni
tipiche nei rapporti usurari, riducono consistentemente l’ambito applicativo della fattispecie semplice:
Dal momento che la ratio di tale aggravante va ravvisata nel maggior disvalore dei fatti usurari nell’ambito di certe
attività professionali o intermediarie, per l’esistenza della stessa occorre un collegamento funzionale tra dette attività e
i fatti usurari, non essendo configurabile nei casi di attività professionali sfornite di tale;
i a quote societarie o aziendali oppure proprietà immobiliari>. La
ratio dell’aggravante è quella di impedire che attraverso tali garanzie l’usuraio (criminalità organizzata) ottenga il
controllo di attività economiche e di patrimoni immobiliari;
reato è commesso in danno di chi si trova in stato di bisogno>. Tale stato, elevato a circostanza aggravante,
va riferito ad una situazione più grave di quella della difficoltà economica o finanziaria di cui all’art. 644 co. 3, la
quale può individuarsi nelle necessità fondamentali di vita, materiali o morali;
ratio di tale
aggravante è quella di offrire una tutela privilegiata ai soggetti che, ricorrendo più frequentemente al credito, sono
maggiormente esposti alla criminalità usuraria;
L’art. 644 co. 6, peraltro, prevede la confisca obbligatoria dei beni costituenti il prezzo o il profitto del reato, ovvero di
somme di denaro, beni o utilità di cui il reo ha la disponibilità anche per interposta persona per un importo pari al
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La collocazione della ricettazione tra i delitti contro il patrimonio a prescindere dalla possibilità che essa si esplichi
senza offesa dell’altrui patrimonio, si ispira al criterio dell’interesse più frequentemente offeso dai fatti ricettativi,
provenendo, di regola, denaro e cose ricettati da reati patrimoniali o comunque patrimonialmente offensivi:
soggetto attivo è <<chiunque>> (reato comune), fatta eccezione per i soggetti concorrenti nel reato (riserva
esplicita dell’art. 648) e per il proprietario della cosa;
elemento oggettivo, presupposto negativo è che da parte dell’agente non vi sia stato concorso nel reato
principale. In particolare, il concorso:
o sussiste (non si ha ricettazione) quando l’agente consapevolmente e volutamente:
cose a reato avvenuto;
olezza della provenienza delittuosa della cosa solo dopo l’altrui commissione del delitto
principale.
Il presupposto positivo, al contrario, è dato dal c.d. delitto-presupposto, ossia dal delitto precedentemente commesso
da cui deriva la cosa da ricettare. Tale presupposto, peraltro, sussiste anche (art. 648 co. 3):
o nei casi in cui l’autore del reato principale <non è imputabile> oppure <non è punibile>;
o quando interviene una causa estintiva del delitto principale dopo (non prima) la commissione della ricettazione;
o quando manchi una condizione di procedibilità (es. querela) rispetto al delitto principale.
La provenienza delittuosa, peraltro, deve essere diretta, dovendo l’oggetto della ricettazione essere costituito dalla
stessa cosa proveniente dal delitto principale, anche se essa ha subito alterazioni o trasformazione. Non deve invece
trattarsi di provenienza indiretta, ossia del denaro ricavato dalla vendita delle cose di provenienza delittuosa;
perfezione si ha nel momento e nel luogo in cui si è perfezionato il negozio o il fatto traslativo della cosa
(acquisto) oppure si è verificata la ricezione materiale o l’occultamento della stessa o anche è stata compiuta
l’intromissione. Il tentativo è configurabile salvo che per l’ipotesi dell’intromissione.
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provenienza delle cose da reato, mentre l’incauto acquisto richiede in più che tale provenienza risulta anche
obiettivamente sospetta;
acquisto è reato colposo [è una contravvenzione], consistendo la colpa nel mancato accertamento della provenienza
illecita, pur risultando questa obiettivamente sospetta.
Trattamento sanzionatorio: il reato è punibile di ufficio, con la reclusione da 2 a 8 anni e la multa da € 516 a 10329.
Se ricorre l’attenuante specifica della ricettazione affievolita di cui all’art. 648 co. 2 (<se il fatto è di particolare
tenuità>), invece, il reato è punito con la reclusione sino a 6 anni e la multa sino a € 516.
Riciclaggio. Consiste nel fatto di chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato, <sostituisce o trasferisce denaro, beni
o altra utilità provenienti da delitti non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da
ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa> (art. 648 bis co. 1).
soggetto attivo è <<chiunque>> (reato comune), fatta eccezione per i concorrenti;
elemento oggettivo, presupposto negativo è che da parte dell’agente non vi sia concorso nel reato principale.
Il presupposto positivo, anche in questo caso, è il delitto-presupposto, specificato nel delitto non colposo.
La condotta consiste alternativamente:
o nella sostituzione, che consiste nel rimpiazzamento di denaro, di beni o di altre utilità provenienti dai delitti-
presupposto (c.d. sporchi) con altro denaro, altri beni o altre utilità (c.d. puliti);
o nel trasferimento, ossia nello spostare il provento delittuoso, nell’identica composizione quantitativa, nel patrimonio
altrui, attraverso gli strumenti ripulitivi negoziali o, comunque, giuridici;
o nel compiere altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, dei
beni e delle altre utilità (formula di chiusura);
elemento soggettivo, trattasi di reato a dolo generico, in quanto l’art. 648 bis richiede la consapevolezza che
il denaro, i beni o le altre utilità provengano da un delitto-presupposto e la consapevolezza e la volontà di compiere
l’attività di sostituzione o di trasferimento dei medesimi od altre operazioni di ostacolo all’identificazione della
provenienza delittuosa;
oggetto materiale sono il denaro, i beni o altre utilità provenienti dai suddetti delitti;
perfezione si ha nel momento e nel luogo della realizzazione della sostituzione, del trasferimento o delle altre
operazioni costituenti ostacolo all’identificazione. Il tentativo è configurabile.
l’elemento specializzante del fine di profitto e quella dell’art. 648 bis gli elementi specializzanti del delitto-
presupposto non colposo e dell’idoneità della condotta ad ostacolare l’individuazione della provenienza delittuosa;
ricorre la suddetta attenuante, con la diminuzione delle suddette pene fino a 1/3.
Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita. Consiste nel fatto di <chiunque, fuori dei casi di concorso
nel reato e dei casi previsti dagli artt. 648 e 648 bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre
utilità provenienti da delitto>>(art. 648 ter co. 1).
La ratio di tale reato consiste nel predisporre un ostacolo all’investimento di capitali illeciti nei normali circuiti delle
attività economiche e finanziarie lecite, coprendosi così la fase normalmente successiva al riciclaggio:
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Sono previste le aggravanti speciali (art. 648 ter co. 2) e l’attenuante speciale (co. 3) analoghe a quelle previste per il
riciclaggio.
Trattamento sanzionatorio: il reato, semplice, aggravato e attenuato, è punito di ufficio con la stessa pena prevista
per il riciclaggio semplice, aggravato e attenuato.
N.B. quest’opera rappresenta una rielaborazione dei temi trattati nel testo previsto dal
programma di studio e va intesa come materiale integrativo per la rielaborazione, apprendimento e ripetizione
della materia.
Aver scartato alcune parti e sottolineato l’importanza di altre non fa dell'autore docente, in quanto
l’elaborato è frutto di valutazioni soggettive di uno o più STUDENTI.
E’ doveroso, precisare che ognuno di noi è portatore di una singolarità che gli permette di
recepire le informazioni in maniera diversa, migliore o peggiore che sia.
Ti invitiamo, pertanto, ad integrare gli argomenti trattati con l’analisi diretta del libro di testo, scritto da un
docente e/o luminare in materia.
Speriamo davvero che questa mini-opera possa esservi d’aiuto.
Vi auguriamo di prendere un buon voto all’esame!!!
Sos Studenti Sud Campania Onlus
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