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SEZIONE TERZA

IL CONCORSO DI PERSONE NEL REATO

Il concorso di persone nel reato indica, in via generale, il fenomeno della realizzazione plurisoggettiva del
reato.
Si suole distinguere tra concorso necessario e concorso eventuale.
a) Il concorso di persone si definisce necessario quando la fattispecie di reato contemplata dalla norma
richiede necessariamente la partecipazione di più soggetti (la presenza di più soggetti appartiene alla struttura
del fatto tipico). Esempio classico è quello della rissa.
I reati a concorso necessario vengono a loro volta distinti da un lato in reati plurisoggettivi unilaterali o
bilaterali, a seconda che la direzione delle condotte dei vari soggetti sia l’una verso l’altra (corruzione,
bigamia), o l’una contro l’altra (rissa), e dall’altro in reati plurisoggettivi propri e impropri, a seconda che i
soggetti “necessari” per l’esistenza della fattispecie siano tutti autori punibili, o alcuno di essi rivesta un
ruolo diverso, non rilevante penalmente (es. atti sessuali con un minorenne). In tale ultima ipotesi, si discute
se il partecipe non punibile possa tuttavia rispondere del reato a titolo di concorso eventuale. La dottrina
propende per la soluzione negativa, giacchè, in caso contrario, si finirebbe con il punire il concorrente non
espressamente assoggettato a pena dalla legge e quindi si violerebbe il principio di legalità.
Altro problema è quello dell’applicabilità alle ipotesi di concorso necessario della disciplina del concorso
eventuale, per quanto attiene alle circostanze aggravanti e attenuanti, e al relativo regime. L’opinione
prevalente è nel senso della applicabilità, a meno che le norme in questione non siano espressamente escluse
o derogate dalle disposizioni che incriminano il reato necessariamente plurisoggettivo.
b) Il concorso di persone si definisce, invece, eventuale, quando la fattispecie di reato contemplata dalla
norma può essere realizzata anche da un unico soggetto, ma in realtà commesso da più persone.
Gli aspetti maggiormente problematici della disciplina del concorso, non concernono i casi in cui ciascuno dei
soggetti attivi realizza per intero la condotta tipica (come, ad esempio, nell’ipotesi di più persone che sparino
contemporaneamente, ciascuno con la propria arma, contro una o più vittima designate), bensì le ipotesi in cui
un soggetto non realizza per intero gli elementi della fattispecie di parte speciale richiesta dalla norma
incriminatrice. Si pensi al basista di un furto o di una rapina. In questi casi l’art. 110 c.p. ha una funzione
costitutiva per la rilevanza penale delle condotte che, pur esprimendo una forma di partecipazione, talvolta
essenziale, alla realizzazione del reato, tuttavia non corrispondono in alcun modo alla descrizione della
condotta tipica che lo costituisce.
Alla disciplina del concorso di persone spetta, dunque, la funzione di estendere la tipicità in relazione a
condotte che non sarebbero tipiche ai sensi della fattispecie di parte speciale.
Gli ordinamenti positivi contemporanei vi provvedono secondo due modelli di disciplina: il modello
differenziato e il modello unitario.
Nel modello differenziato di incriminazione delle condotte di concorso il legislatore individua e descrive
singolarmente le diverse “forme” di partecipazione al reato, penalmente rilevanti, distinguendole in base al
ruolo che ciascun concorrente svolge nell’economia della realizzazione comune (correità, istigazione,
agevolazione, etc.)
Nel modello unitario di incriminazione delle condotte di concorso di persone, il legislatore prescinde dal
tipo particolare di condotta posta in essere dai singoli compartecipi, valorizzando essenzialmente, come
criterio di punibilità, l’efficienza causale del contributo di ciascuno alla realizzazione del reato, in una
tendenziale parificazione della loro rilevanza penale; salva la possibilità di tener conto dei singoli
comportamenti a livello di circostanze aggravanti o attenuanti o a livello di colpevolezza individuale.
Il c.p. del 1930 ha optato per una scelta radicalmente diversa rispetto a quella del Codice Zanardelli, passando
da un modello differenziato a un modello unitario di incriminazione del concorso, non distinguendo tra le
varie condotte di concorso e considerandole equivalenti.
Per quanto concerne le teorie giuridiche del concorso la dottrina oscilla essenzialmente fra due orientamenti,
rispettivamente costituiti dalla teoria dell’accessorietà delle condotte di concorso e la e la teoria delle
fattispecie plurisoggettive eventuali (la cui struttura sarebbe determinata da un effetto di integrazione tra la
fattispecie monosoggettiva di parte speciale e le norme sul concorso di persone).
Secondo la teoria dell’accessorietà il fondamento della punibilità a titolo di concorso risiede nel fatto che
la condotta del concorrente accede alla condotta dell’esecutore. Ciò implica l’esistenza di un fatto principale,
nonché l’esistenza di un rapporto, per così dire, “servente” rispetto alla realizzazione di una fattispecie
conforme a quella descritta (nella forma monosoggettiva) da una norma incriminatrice speciale. Si osserva,
tuttavia, che proprio in quanto presuppone l’esistenza di un fatto principale, il principio di accessorietà non
sarebbe idoneo ad esprimere in una formula unitaria e omnicomprensiva la struttura del concorso di persone
nel reato. Ed invero, il rapporto di accessorietà non si rinviene nell’ipotesi in cui tutti i concorrenti compiono
l’intera azione tipica o nei casi di esecuzione frazionata, ove manca la realizzazione per intero di un fatto
principale.
Secondo la teoria della “fattispecie plurisoggettiva eventuale”, il fondamento della punibilità a titolo
di concorso risiede nella combinazione della norma di parte generale che punisce il concorso di persone nel
reato con la norma incriminatrice di parte speciale, da cui originerebbero diversi tipi di reati plurisoggettivi
tipici, sicchè la tipicità della condotta del concorrente non andrebbe vista in relazione alla fattispecie astratta
di parte speciale ma in relazione al tipo che scaturirebbe dalla combinazione tra l'art. 110 cp e la norma
incriminatrice di parte speciale.

LA STRUTTURA DEL CONCORSO (DOLOSO IN FATTO DOLOSO ALTRUI).


La disciplina del concorso di persone nel reato è contenuta nell’art. 110 c.p., a norma del quale: “Quando più
persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salve le
disposizioni degli articoli seguenti”.
Il concorso di persone nel reato è caratterizzato dalla presenza di una serie di elementi strutturali:
- la pluralità di persone;
- la commissione, in forma plurisoggettiva, di un reato;
- il contributo causale di ciascun concorrente nella realizzazione del fatto di reato;
- l'elemento soggettivo tipico della commissione plurisoggettiva del reato.
1) Con riferimento al requisito della pluralità di persone, secondo la dottrina dominante, ai fini della
ricorrenza del concorso di persone nel reato, non è necessaria la punibilità di tutti i correi essendo sufficiente il
materiale concorso nel reato anche laddove uno o più dei correi risultino non punibili per difetto dell'elemento
soggettivo o in quanto non imputabili. Ai fini della punibilità, a titolo di concorso, sarebbe, in tale prospettiva,
sufficiente che anche uno solo dei soggetti concorrenti sia punibile ed abbia la volontà o la consapevolezza di
aver realizzato il fatto di reato in forma concorsuale. L’assunto che il concorso si configura anche quando
taluno dei concorrenti non è punibile o non imputabile trova riscontro negli artt. 112 e 119 del c.p.
In particolare, l’ultimo comma dell’art. 112 stabilendo che gli aggravamenti di pena da esso stesso stabiliti si
applicano anche se taluno dei partecipi al fatto non è imputabile o non è punibile implica che ai fini della
sussistenza del concorso si può prescindere dalla punibilità di qualcuno dei concorrenti.
D'altra parte l’art. 119, affermando che le circostanze "soggettive" che escludono la pena per taluno di coloro
che sono concorsi nel reato hanno effetto soltanto riguardo alla persona cui si riferiscono, sancisce che la
pluralità di soggetti sussiste anche se taluno sia incapace di intendere o di volere o agisca senza volontà
colpevole.
2) Ulteriore elemento per la punibilità dei concorrenti è la commissione, in forma plurisoggettiva, di
un reato.
È ormai pacifico che per il configurarsi di condotte di concorso nel “reato” sia sufficiente la realizzazione di un
fatto che sia conforme a una fattispecie legale dell’incriminazione (= fatto tipico), a prescindere dalla sua
antigiuridicità e dalla colpevolezza personale dell’autore, o degli autori, del fatto.
L’irrilevanza del carattere “antigiuridico” del fatto in cui si concorre, si desume sia dall’art. 119 co. 2 c.p., a
norma del quale: “Le circostanze oggettive che escludono la pena hanno effetto per tutti coloro che sono
concorsi nel reato”, sia dall’art. 54 c.p., nella parte in cui, nello stabilire l’applicabilità dello stato di necessità
anche quando esso è determinato “dall’altrui minaccia”, prevede che “del fatto commesso dalla persona
incriminata, risponde chi l’ha costretta a commetterlo”.
L’irrilevanza della colpevolezza dell’esecutore, invece, si desume dal fatto che la legge prevede, da un lato, un
aggravamento della pena per chi ha determinato a “commettere il reato” una persona non imputabile o
altrimenti non punibile “a cagione di una condizione o qualità personale” (art. 111 c.p.) e, dall’altro, che le
circostanze soggettive le quali escludono la pena per taluno di coloro che sono concorsi nel reato hanno
effetto soltanto riguardo alla persona a cui si riferiscono (art. 119 c.p.).
Ciò premesso, si è posto il problema di stabilire quali siano le condizioni minime, in presenza delle quali, può
dirsi realizzata la fattispecie oggettiva del reato, ritenuta indispensabile per il configurarsi di una
partecipazione al reato.
Per l’individuazione della fattispecie oggettiva del concorso di persone bisogna far riferimento all’art.
115 c.p. (“Salvo che la legge disponga altrimenti, qualora due o più persone si accordino allo scopo di
commettere un reato, e questo non sia commesso, nessuna di esse è punibile per il solo fatto dell’accordo.
Nondimeno, nel caso di accordo per commettere un delitto, il giudice può applicare una misura di sicurezza.
Le stesse disposizioni si applicano nel caso di istigazione a commettere un reato, se la istigazione è stata
accolta, ma il reato non è stato commesso. Qualora la istigazione non sia stata accolta, e si sia trattato di
istigazione a un delitto, l’istigatore può essere sottoposto a misura di sicurezza”) che prevede la non
punibilità dell’accordo o dell’istigazione non seguita dalla commissione del reato, salvo la possibilità di
sottoporre a m.s. i soggetti dell’accordo o l’istigatore a commettere un delitto.
Da questa disposizione si evince, infatti, che nessuno è punibile per il semplice accordo o per la semplice
istigazione (anche se accolta) qualora il reato non venga poi commesso.
Esempio: Pasquale e Giuseppe si mettono d'accordo uccidere Antonio ma poi il reato non viene commesso.
Non sono punibili.
Pasquale istiga Giuseppe ad uccidere Antonio, Giuseppe accoglie l'istigazione ma poi non mette in pratica
l'omicidio. Non sono punibili.
La non punibilità dell’accordo o dell’istigazione non seguiti dalla commissione del reato dipende, in realtà, dal
fatto che le condotte rientranti nello schema dell’accordo (vi rientrano tutte le attività di preparazione del
reato che ne precedono la realizzazione) o dell’istigazione (condotte meramente preparatorie) di per sé non
integrano il modello legale del reato e non potrebbero, dunque, essere sottoposte a pena, in mancanza di una
norma espressa dettata ad hoc, se non a prezzo di una palese violazione del principio di legalità. Tuttavia, nei
casi di accordo o di istigazione a commettere un delitto, è possibile sottoporre i soggetti
dell'accordo o l'istigatore a misura di sicurezza.
Per altro, va osservato che l’art. 115 c.p., nello stabilire la non punibilità dei concorrenti “per il solo fatto”
dell’accordo non seguito dalla commissione del reato, non esclude affatto l’autonoma rilevanza delle condotte
di partecipazione, che, per quanto “atipiche”, tuttavia costituiscono esse stesse atti di esecuzione del reato.
Dare il segnale convenuto con i complici perché aprano il fuoco sulla vittima, costituisce di per sé atto iniziale
di tentativo di omicidio e resta punibile come tale anche se il reato non venga poi concretamente realizzato.
In conclusione, la condizione necessaria per il configurarsi di una condotta collettiva, rilevante come concorso
in un “reato”, è che almeno uno dei “concorrenti” realizzi nel mondo esterno un fatto che riveste quantomeno
il carattere del tentativo; atti cioè, non meramente “preparatori” e che siano, altresì, idonei e diretti in modo
non equivoco alla commissione di un reato.
È possibile il concorso in delitto tentato, ma non è possibile il tentativo di concorso.
Per potersi applicare le norme sul concorso di persone nel reato occorre che almeno due soggetti concorrano
alla commissione di un reato dove per “commissione” si intende: 1) la consumazione di un reato, ossia che il
fatto concreto corrisponda interamente al modello legale delineato dalla norma incriminatrice; 2) il
tentativo punibile ex art 56 c.p..
Non è invece rilevante il tentativo di concorso, cioè l'attività svolta al fine di concorrere, qualora il reato non
sia commesso. Il principio si desume dall'art. 115 c.p., che dichiara la non punibilità dell'accordo e
dell'istigazione non seguiti dalla commissione del reato concertato o istigato, ammettendo solamente che tali
condotte possano essere valutate come sintomo di pericolosità ai fini dell'eventuale applicazione di una
misura di sicurezza.
3) Affinchè sussista la punibilità dei concorrenti ai sensi dell'art. 110 cp, è necessario che sussista
un contributo causale, riferibile a ciascuno di essi, nella realizzazione del fatto di reato. Il contributo
causale, poi, può essere fornito in sede di ideazione del reato ovvero nella sua fase esecutiva. Nel primo caso, si
avrà il concorso morale, nel secondo il concorso materiale nel reato.
La verifica della causalità tra le condotte tenute da ciascun concorrente ed il fatto di reato concretamente
realizzatosi, si presenta in maniera distinta a seconda che si versi in situazione di concorso morale o in
situazione di concorso materiale.
Il concorso morale, infatti, non si estrinseca sul piano materiale ma esclusivamente sul piano psicologico. Il
ruolo che il concorrente morale può rivestire è sia quello del determinatore, che induce nell'autore
materiale un proposito criminoso prima inesistente, sia quello dell'istigatore che rafforza nell'autore
materiale un proposito criminoso già esistente. Queste due figure vanno tenute ben distinte da quella del da
quella del connivente, cioè colui che assiste passivamente alla perpetrazione di un reato che avrebbe la
possibilità - ma non l’obbligo giuridico - di impedire (si caratterizza per un'adesione interiore al fatto di
reato realizzato che non arreca, tuttavia, alcun contributo causale, neppure sotto il profilo del rafforzamento
del proposito criminoso, alla realizzazione del fatto di reato). Per la verifica del nesso di causalità nel concorso
morale, non è necessaria la prova che, in difetto dell'apporto del correo, l'autore materiale non avrebbe
maturato il proposito criminoso. È sufficiente, l'astratta idoneità della condotta posta in essere ad influenzare,
sotto il profilo psicologico, l'autore materiale del reato effettivamente commesso.
Il concorso materiale nel reato si presenta in maniera distinta per gli autori ed i coautori (il soggetto che
compie le stesse azioni (con altri) che sarebbero punibili anche considerate singolarmente quale condotta-
reato) e per i complici (colui che si limita ad un qualsiasi intervento nella preparazione materiale o nella
esecuzione del reato: il dolo del complice ha di mira la realizzazione della fattispecie criminosa decisa da altri,
ma "dominus" dell'azione resta sempre e soltanto l'autore o il correo). Mentre, per le prime due categorie,
l'individuazione del nesso causale può avvenire con gli stessi criteri del nesso di causalità relativo alle
fattispecie monosoggettive, discusso è il caso della condotta del complice dati i ruoli potenzialmente infiniti
che questi può rivestire nella commissione del fatto di reato.
Secondo una prima teoria (teoria condizionalistica), la punibilità della condotta del complice ed il nesso di
causalità tra la sua condotta ed il fatto di reato andrebbe affermata ogni qual volta tale condotta sia condizione
del reato, ogni qual volta, cioè, in mancanza dell'apporto causale del complice, il reato non si sarebbe
verificato. Tale teoria è stata però criticata in quanto eccessivamente restrittiva delle condotte punibili.
Secondo altra teoria (teoria della causalità agevolatrice o rinforzo), la punibilità della condotta del complice ed
il nesso di causalità tra la sua condotta ed il fatto di reato andrebbe affermata ogni qual volta tale condotta
abbia agevolato la commissione del fatto di reato. Tale teoria è stata però criticata in quanto limiterebbe
eccessivamente la punibilità e, in particolare, la escluderebbe in tutti quei casi in cui il contributo del
complice non sia risultato in concreto utile alla commissione del fatto di reato (si pensi all'ipotesi del complice
maldestro).
È stato, dunque, proposto un nuovo criterio per accertare il nesso di causalità tra la condotta del complice ed il
fatto di reato e, cioè, il criterio dell'aumento del rischio, secondo la quale basterebbe che l’azione del partecipe
appaia ex ante idonea a facilitare la commissione del reato accrescendone le probabilità di verificazione
(prognosi postuma con il quale si verifica ex ante l'idoneità del contributo del complice a favorire la
realizzazione del fatto di reato) a prescindere dal suo esito effettivo. Si è, tuttavia, obiettato che il criterio della
prognosi postuma non può essere utilizzato laddove un fatto di reato si sia effettivamente realizzato in quanto,
in tale caso, la verifica sul nesso di causalità va effettuata ex post. Secondo autorevole dottrina, dunque, in caso
di concorso materiale, il nesso di causalità tra la condotta del complice ed il fatto di reato deve essere ravvisato
ogni qual volta il contributo del complice abbia determinato il verificarsi di un fatto di reato, secondo
determinate modalità con valutazione ex post; va dunque escluso il concorso materiale allorchè il contributo
alla realizzazione dello specifico fatto di reato sia risultato nullo.
4) Ulteriore requisito del concorso di persone nel reato è quello psicologico che si atteggia in guisa
particolare in quanto comprende, oltre alla coscienza e volontà del fatto criminoso (dolo in almeno uno dei
concorrenti), la volontà di concorrere con altri alla realizzazione di un reato. Affinché sussista la volontà di
concorrere è sufficiente la coscienza del contributo fornito all’altrui condotta. Tra l’altro, la giurisprudenza ha
avuto modo di precisare che, ai fini dell'applicabilità dell'art. 110 cp e dell'individuazione di una responsabilità
concorsuale, non è necessario né il previo accordo, in quanto è ben ipotizzabile un'intesa estemporanea che si
realizza contestualmente alla realizzazione della fattispecie tipica, né la reciproca conoscenza della
cooperazione di altri nella commissione del reato, in quanto è ipotizzabile che tale consapevolezza sia
attribuibile anche ad uno solo dei materiali concorrenti nella realizzazione del fatto tipico. È chiaro che, in tale
ipotesi, soltanto nei confronti di tale soggetto sarà configurabile una responsabilità penale a titolo di concorso
per il reato commesso mentre gli altri soggetti che abbiano posto in essere il fatto o una frazione di esso,
risponderanno della fattispecie monosoggettiva di reato eventualmente commessa individualmente.
Del resto, quando si consideri che è possibile concorrere anche in un delitto solamente tentato, appare
quanto mai evidente l’imprescindibilità del riferimento all’elemento psicologico del reato, dal momento che,
nella struttura della fattispecie di tentativo, il dolo opera come un fattore essenziale della tipicità degli atti.
Una ulteriore conferma della rilevanza dell’elemento psicologico del “reato” nella struttura del concorso
criminoso si ricava dalla esplicita distinzione legislativa fra i casi di “concorso” e quelli di “cooperazione” nel
delitto colposo (art. 113 c.p.). La distinzione normativa delle diverse ipotesi di partecipazione, sulla base del
differente elemento psicologico del fatto, sembra definitivamente smentire la tesi secondo cui il concorso si
configurerebbe come mero contributo causale a un fatto “oggettivamente” tipico, senza alcun riguardo, in
questa fase, all’elemento psicologico del “reato”. Se la legge prevede espressamente, come una sorta di
ipotesi “specializzante” del concorso di persone, la figura della cooperazione colposa, ciò vuol dire che
l’elemento psicologico (dolo o colpa) ha fin dall’inizio il ruolo di un elemento tipicizzante nella struttura del
concetto di “reato”, assunto come presupposto della compartecipazione.
Anche nelle ipotesi della c.d. esecuzione frazionata del reato, a ben vedere, la esecuzione “in comune” del
fatto tipico dà luogo ad un’ipotesi di concorso, solo in quanto sia sorretta da una comune volontà di agire.

IL MECCANISMO DI IMPUTAZIONE DELL’ART. 110 RISPETTO AL RAPPORTO DI


CAUSALITA’
Nel reato monosoggettivo, il fatto tipico sussiste in presenza di un solo autore, benché in concreto esso possa
venire realizzato anche da più persone: è la figura del concorso eventuale.
Nell’ordinamento penale il ruolo della causalità è quello di imputare il fatto alla persona, cioè in sostanza
quello di identificare il suo autore materiale. La responsabilità a titolo di concorso eventuale nel reato viene a
porsi nell'area della causalità. La logica è quella di estendere la tipicità del fatto di reato, unificando le diverse
condotte che si dirigono sull'evento e rendendo punibili quelle atipiche.

La norma incriminatrice contempla l'evento illecito, l'art. 110 c.p. prende in considerazione tutte le condotte
causalmente efficienti ad esso e le unifica, consentendo l'imputazione dello stesso reato ai più autori.
Da un punto di vista fenomenico il fatto che un evento possa essere determinato da più fattori è del tutto ovvio
anzi è la regola, perché non esiste in natura alcun fenomeno che sia il prodotto di una sola causa.
È ben possibile che le condotte umane che intervengono nel processo causale siano più d'una.
Sostanzialmente possono verificarsi due casi: 1) il concorso di cause “indipendenti”, quindi il semplice
sommarsi di più azioni nella causazione dell'evento; 2) la sinergia tra le azioni, viceversa tra loro “dipendenti”.
Il rapporto di causalità sussiste tutte le volte che l’evento dannoso o pericoloso da cui dipende il reato è
conseguenza dell’azione o dell’omissione del reo (art. 40 c.p.).
Il concorso di cause (preesistenti, simultanee o sopravvenute) non esclude il rapporto di causalità fra
l’azione/omissione e l’evento. La causa che determina l’evento può consistere nel fatto illecito altrui (cfr. art.
41, comma 3).
Una cosa è il concorso di cause tra loro indipendenti che hanno determinato il fatto e ben altra cosa è la
rilevanza di condotte legate tra loro dalla convergenza verso la realizzazione del reato collettivo.
Come affermato dalla Suprema Corte, il concorso di più persone nel reato scaturisce non già dal mero
concorso di cause che fanno capo a più persone, ma dal comune intento verso il conseguimento di un
determinato risultato (del risultato caratteristico di quel reato) che anima più persone legate dalla coscienza di
ciascuna di contribuire, in maggiore o minore misura, alla produzione dell’evento.
I rapporti tra l'istituto del concorso di persone rispetto a quella del concorso di cause illecite possono
comprendersi meglio attraverso una serie di ipotesi esemplificative, prima in un reato a forma libera
(omicidio), poi in un reato a forma vincolata (rapina).
Caso 1
Pasquale aggredisce Giuseppe, che, trasportato in ospedale gravemente ferito, muore a causa della mancanza
di cure mediche idonee da parte di Antonio. Entrambi “cagionano la morte” della persona, pur agendo
indipendentemente l'uno dall'altro, essendo l'intervento di ciascuno concausa dell'evento. In questo caso l'art.
110 c.p. non opera, Pasquale e Antonio rispondono ai sensi degli artt. 40 e 41 c.p. per l'evento causato
(Pasquale per omicidio doloso, Antonio per omicidio colposo tramite omissione).
Caso 2
Pasquale e Antonio, preventivamente accordatisi, feriscono con separate azioni Giuseppe, che muore per le
lesioni riportate. Entrambi “cagionano la morte” della persona, essendo l'intervento di ciascuno concausa
dell'evento. In questo caso opera l'art. 110 c.p., sicché Pasquale e Antonio rispondono di omicidio doloso in
concorso. In mancanza dell'art. 110 c.p. ciascuno sarebbe stato responsabile ai sensi degli artt. 40 e 41 c.p. di
omicidio doloso.
In entrambi i casi l’intervento di ciascuno è concausa dell’evento. Vediamo le differenze:
Caso 1
a) agiscono in modo indipendente, senza volontà di concorrere, nemmeno unilateralmente;
b) sussiste il nesso di causalità perché l’evento morte è conseguenza della condotta di ciascuno;
c) sussiste il concorso di cause (sopravvenuta quella di Antonio ed indipendente da quella di Pasquale).
Caso 2
a) agiscono previo accordo;
b) sussiste il nesso di causalità perché l’evento morte è conseguenza della condotta di ciascuno;
c) sussiste il concorso di cause.
Ciò che li distingue nella sostanza è il previo accordo.
Caso 3
Pasquale dà mandato ad Antonio di uccidere Giuseppe, che muore a causa dell'azione di Antonio. Solo
Antonio “cagiona la morte”, poiché l'azione di Pasquale è condizione dell'evento, ma non concausa. L'art. 110
c.p. opera unificando le condotte, il che vale ad attribuire alla condotta di Pasquale efficacia causale
dell'evento, sicché Pasquale e Antonio rispondono di omicidio doloso in concorso. In assenza dell'art. 110 c.p.
Pasquale non avrebbe risposto di omicidio.
Caso 4
Pasquale assume il compito di sorvegliare l'entrata di un'abitazione, mentre Antonio procede ad uccidere chi
vi abita. Solo Antonio “cagiona la morte”, non essendone la condotta di Pasquale una condizione. L'art. 110
c.p. opera nel senso di far acquistare alla condotta di Antonio rilevanza nell'esecuzione del reato. In mancanza
dell'art. 110 c.p. Antonio non sarebbe stato responsabile di omicidio.

Caso 5
Pasquale e Antonio effettuano una rapina in banca, l'uno minacciando il cassiere, l'altro sottraendo il denaro
dalla cassaforte. Entrambi pongono in essere una condotta parzialmente sussumibile negli elementi costitutivi
del delitto (violenza o minaccia e sottrazione della cosa mobile altrui), ma nessuna di esse è tipica. L'art. 110
c.p. unifica le condotte, che insieme diventano tipiche, sicché Pasquale e Antonio rispondono di rapina in
concorso. In assenza dell'art. 110 c.p. ciascuno avrebbe risposto limitatamente alla condotta posta in essere
(Pasquale per violenza privata, Antonio per furto).
Caso 6
Pasquale assume il compito di sorvegliare l'entrata della banca, mentre Antonio procede a rapinarla. Solo
Antonio pone in essere una condotta tipica, mentre Pasquale non realizza alcun frammento di essa e neppure
una condizione dell'evento. In questo caso l'art. 110 c.p. opera unificando le condotte e valendo ad attribuire
alla condotta di Pasquale rilevanza nell'esecuzione del reato. In mancanza dell'art. 110 c.p. Pasquale non
sarebbe stato responsabile di rapina.

REITA’ MEDIATA
Lo schema della reità mediata ricomprende esclusivamente i casi in cui l’esecutore materiale (o mediato)
realizzi la fattispecie oggettiva di un reato, senza il concorso della sua volontà; autore del fatto tipico è, quindi,
un altro soggetto, cd. autore mediato, che ha l’effettivo dominio finalistico della condotta.
Ipotesi non controverse di reità mediata sono il “costringimento fisico” e l’“errore determinato dall’altrui
inganno”. Nell’ipotesi del costringimento fisico (disciplinato dall’ all’art. 46 c.p. “Non è punibile chi ha
commesso il fatto per esservi stato da altri costretto, mediante violenza fisica, alla quale non poteva resistere
o comunque sottrarsi. In tal caso del fatto commesso dalla persona costretta risponde l’autore della
violenza”) il vero autore del fatto è l’autore della violenza che si serve della vittima come di uno strumento:
non a caso la legge prevede il “trasferimento” della responsabilità penale, dall’autore “materiale” del fatto,
all’autore mediato di esso, cioè colui che detiene l’effettivo dominio finalistico della condotta.
Anche nell’ipotesi di errore determinato dall’altrui inganno (disciplinato dall’art. 48 c.p., a norma del
quale: “Le disposizioni dell’articolo precedente si applicano anche se l’errore sul fatto che costituisce il reato è
determinato dall’altrui inganno; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona ingannata risponde chi
l’ha determinata a commetterlo”) la legge prevede il “trasferimento” della responsabilità penale, dall’autore
“materiale” del fatto, all’autore mediato di esso.
Solo chi pone consapevolmente in essere l’inganno, infatti, prevede e vuole l’evento, come conseguenza
dell’azione od omissione dell’autore materiale; quest’ultimo, invece, non sa quel che fa e non prevede, né
vuole, l’evento causalmente connesso alla propria condotta. Si pensi al caso del notaio che autentichi una
sottoscrizione apocrifa, perché tratto in inganno dai testimoni, circa la vera identità del firmatario.
Ciò non di meno, l’esecutore materiale del fatto risponderà di delitto colposo, qualora, nell’indursi ad agire
(sia pure per effetto dell’inganno perpetrato ai suoi danni) abbia tuttavia violato elementari misure di cautela.
È evidente la differenza rispetto alla fattispecie del concorso di persone (tra il fatto di chi induce all’azione un
soggetto privo di dolo e quello di concorre nel fatto doloro altrui): mentre, a norma dell’art. 115 c.p., chi istiga
altri a commettere un reato non è mai punibile per il solo fatto dell’istigazione, nell’ipotesi dell’art. 48 c.p.,
invece, l’invito ad agire costituisce di per sé atto di esecuzione del reato, poiché corrisponde già alla messa in
opera del mezzo, destinato, nel piano particolare del determinatore, alla realizzazione del delitto.
La condotta dell’ingannatore si differenzia dalla “normale” ipotesi dell’istigazione, proprio perché le energie
causali dell’evento sono già messe in moto nel momento in cui egli agisce per determinare l’istigato a compiere
l’atto di cui ignora le conseguenze. Si pensi al caso di chi consegni al servizio postale un plico esplosivo da
inoltrare alla vittima designata, non vi è dubbio che l’agente abbia con ciò già realizzato un tentativo di
omicidio e che se l’evento si verifica ne debba rispondere come unico autore, proprio perché possiede il
dominio finalistico dell’evento.
In queste ipotesi, non siamo certo di fronte a una condotta che “acceda” ad un “reato” commesso da altri (vale
a dire l’ignaro esecutore). Al contrario, colui che possiede il dominio finalistico – o, se si preferisce, la
“signoria” del fatto – è, e resta, il solo e vero “autore” del reato.
Non configurano, invece, casi di reità mediata, ma di concorso di persone nel reato le fattispecie
di cui agli artt. 51 co. 2 c.p. (reato commesso per ordine dell’autorità), e 54 co. 4 (stato di necessità
determinato dall’altrui minaccia). In entrambi i casi l’esecutore materiale del fatto, cioè la persona che riceve
l’ordine o che è minacciata, ne è da ogni pdv anche l’autore (poiché integra gli estremi di un fatto tipico doloso,
realizza i requisiti minimi per il concorso del determinatore ai fini e per gli effetti dell’art. 110 c.p.), sia pure
non punibile. Colui che ha dato l’ordine o ha posto in essere la minaccia agisce a sua volta come concorrente
nel reato assumendo il ruolo di determinatore.
Tant’è vero che il tipo di fatto di cui il determinatore sarà chiamato a rispondere, ex art. 51 co. 2 e 54 co. 3 c.p.,
dipenderà pur sempre dalla decisione di chi esegue l’ordine, o subisce la minaccia.
Per quanto attiene alla fattispecie disciplinata dall’art. 86 c.p. (“Determinazione in altri dello stato di
incapacità allo scopo di far commettere un reato”) occorre, invece, distinguere fra i casi in cui lo stato
d’incapacità determinato in altri è tale da escludere ogni contenuto di volontà nell’azione dell’esecutore (come
nell’azione etero diretta: si pensi all’induzione di uno stato di ipnosi) e i casi in cui il soggetto sia tuttavia
capace di assumere decisioni.
La prima ipotesi è riconducibile allo schema della reità mediata, poiché solo chi ha provocato lo stato di
incapacità ha “il possesso esclusivo del dominio finalistico del fatto; nella seconda ipotesi il carattere doloso
dell’azione dell’incapace è sufficiente a connotare come concorso nel “reato” il fatto di chi ha cagionato lo stato
di incapacità. Naturalmente, a quest’ultimo soggetto competerà in ogni caso la qualifica di autore, condivisa
con lui dall’esecutore incolpevole.

“AUTORI” E “PARTECIPI” NELLA STRUTTURA DEL CONCORSO DI PERSONE.


La struttura dell’azione collettiva, proprio perché in essa confluiscono le condotte di soggetti diversi, pone
l’esigenza di stabilire il ruolo di ciascuno nell’ambito del fatto comune.
A ciò si riferisce la distinzione tradizionale fra autori e partecipi.
Autore (o co-autore) del fatto è colui che realizza, con l’elemento psicologico richiesto, la fattispecie
esecutiva di un reato, nonché chi, pur non prendendo parte all’esecuzione del reato, tuttavia possiede il potere
di decidere se esso debba essere compiuto o meno ovvero chi possiede il dominio finalistico sul fatto collettivo
(la commissione del “reato” dipende dalla sua decisione). La qualità di autore, perciò, è sempre posseduta da
chi esegue il fatto tipico; ma può essere (com)posseduta anche da soggetti che, in un diverso contesto,
sarebbero da considerarsi semplici partecipi, in virtù del carattere “accessorio” della loro condotta, rispetto
alla condotta dell’autore o degli autori.
La posizione di autore non spetta, viceversa, ai soggetti la cui azione è, oggettivamente, attuazione di una
condotta di mero sostegno (istigazione, agevolazione) di un fatto “altrui”, senza condivisione della decisione
finale e che, pertanto, da un punto di vista soggettivo, si configura come adesione alla volontà altrui. Non è
autore, bensì mero partecipe colui che, in sostanza, vuole sì il fatto, ma pur sempre sotto condizione della
decisione dell’autore e che, pertanto, non ne (com)possiede il dominio finalistico.
Ciò premesso, in nessun caso, chi realizza la fattispecie oggettiva di un reato in assenza dell’elemento
psicologico richiesto può assumere la qualità di “concorrente”; né come autore, né come partecipe.

IL CONCORSO NELLE FATTISPECIE OMISSIVE


I reati omissivi si distinguono in reati omissivi propri (o “di pura omissione”) o impropri (o
“commessi mediante omissione”).
a) Nei reati omissivi propri, a integrare la fattispecie legale del reato basta il mancato compimento
dell’azione doverosa, senza necessità che si realizzi un qualsiasi evento naturalistico – vale a dire una
modificazione del mondo esterno – come conseguenza della condotta omissiva. Perché sussista il reato è
sufficiente che, in presenza di determinati presupposti oggettivi e/o soggettivi, l’autore obbligato ad agire si
astenga dal compiere l’azione che era tenuto a compiere. Nei reati omissivi propri, quindi, il delitto si
configura con la semplice omissione, mentre l’evento, se c’è, può essere considerato un’aggravante.
Dal punto di vista della struttura del fatto, i reati omissivi propri sono, reati c.d. di pura condotta (scilic.:
senza evento materiale); dal punto di vista dell’offesa, sono inquadrati nella categoria dei reati di pericolo
presunto. Un esempio di questo tipo di reati è l’omissione di soccorso (art. 593 c.p.), reato che si configura
con la semplice inerzia del “soccorritore”, mentre l’evento lesivo si aggiunge come mera circostanza
aggravante (se al mancato soccorso segue la morte del soggetto leso il reo non risponderà di omicidio, ma di
omissione aggravata).
b) Nei reati omissivi impropri o commissivi mediante omissione, invece, l’autore non impedisce il
verificarsi di un evento – da lui non cagionato mediante una condotta attiva – che concreta la fattispecie
obiettiva di un reato, essendo giuridicamente obbligato ad impedire l’evento stesso. Si richiede, quindi,
l’esistenza: di un dovere giuridico di attivarsi per evitare l’evento; di un nesso causale tra l’omissione e
l’evento.
Mentre i reati omissivi propri sono oggetto di previsione espressa, l’individuazione di quelli omissivi impropri
avviene grazie alla discrezionalità del giudice che si avvale della clausola contenuta nel secondo comma
dell’art. 40 c.p. (Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo).
Per quanto riguarda il concorso di persone nel reato le ipotesi prospettabili sono:
- concorso mediante omissione nel reato omissivo proprio, quando tutti i soggetti sono obbligati a
compiere l’azione doverosa (in tal caso è improprio parlare di concorso poiché ciascuno per suo conto
commette il reato nella sua interezza);
- concorso mediante azione nel reato omissivo proprio, quando un soggetto istiga un altro a omettere
l’azione doverosa (es. Tizio che istiga Caio, pubblico ufficiale, a non rilasciare un atto amministrativo dovuto);
- concorso mediante omissione nel reato omissivo improprio, quando il soggetto che omette di agire
è, a sua volta, garante dell’impedimento dell’evento da parte del soggetto con il quale concorre (es. capo dei
vigilantes che omette di far chiudere la porta di un supermercato a uno dei suoi colleghi, con cui è d’accordo,
per consentire che loro complici si introducano nel supermercato stesso per rubare);
- concorso mediante azione nel reato omissivo improprio (un soggetto istiga un altro a omettere la
condotta doverosa).
Il reato omissivo è configurabile, solo se in capo a uno o più soggetti esista un dovere di agire, secondo le
aspettative dell’ordinamento. Sia che si tratti di un obbligo posto dalla stessa norma incriminatrice che
prevede il reato, sia che si tratti, viceversa, dell’obbligo radicato in una posizione di garanzia, nascente dalla
legge, dal contratto o da una precedente iniziativa del soggetto.
Da ciò si deduce la necessità, in materia di concorso di persone nei reati omissivi dolosi, che sia proprio il
soggetto, o i soggetti, che si trovano nella situazione di obbligo, ad agire come autori. Ed invero, in mancanza
della volontaria omissione dell’azione dovuta, non si configura nemmeno il realizzarsi del “reato”, a cui
dovrebbero accedere le condotte degli eventuali concorrenti.
Va sottolineato che se l’omissione dell’atto dovuto effettivamente si verifica, ma per una causa riconducibile a
terzi e non imputabile alla volontà dell’obbligato, secondo le regole generali viene meno il presupposto per la
configurabilità di un concorso di persone, profilandosi, per contro, un caso di reità mediata. Si pensi al
casellante che viene legato da un gruppo di terroristi per impedirgli di azionare uno scambio.

LA COOPERAZIONE COLPOSA (CONCORSO COLPOSO IN UN FATTO COLPOSO ALTRUI).


Art. 113 c.p.: “Nel delitto colposo, quando l’evento è stato cagionato dalla cooperazione di più persone,
ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso.
La pena è aumentata per chi ha determinato altri a cooperare nel delitto, quando concorrono le condizioni
stabilite nell'articolo 111 e nei numeri 3 e 4 dell'articolo 112.".
Il concetto di cooperazione colposa, contemplato è stato elaborato dal legislatore per disciplinare quelle
fattispecie in cui più persone contribuiscono alla realizzazione di un evento non voluto. L'istituto si distingue
sia dalla figura del concorso nel reato ex art. 110 cp., sia dalla figura del concorso di cause indipendenti ex art.
41 cp.
Rispetto alla figura del concorso doloso, nella cooperazione colposa deve assolutamente mancare la
volontà di concorrere, con la propria condotta, alla realizzazione di un reato doloso (si caratterizza proprio per
l'assenza di dolo in ognuno dei soggetti a cui è riconducibile la condotta). Ed invero, ciascun cooperante deve
essere unicamente consapevole dell’esistenza di quell’azione altrui, che leda, in concorrenza con la propria
condotta, un b.g. penalmente rilevante, pur non essendoci un accordo finalizzato alla concretizzazione
dell'evento.
Rispetto alla figura del concorso di cause indipendenti, nella cooperazione colposa è necessario un quid
pluris, e cioè la consapevolezza di contribuire ad una condotta colposa altrui, per cui si instaura un
collegamento delle volontà dei diversi soggetti agenti (si avrà unità di reato). Ed è proprio questo aspetto a
distinguere l'istituto in oggetto dal concorso di cause colpose, in cui caso v’è una mera coincidenza causale di
più condotte colpose non collegate da alcun vincolo di ordine psicologico fra di loro (l'evento è provocato da
condotte indipendenti, senza che vi sia la consapevolezza degli agenti di contribuire alla condotta altrui).
Pertanto, nell’ipotesi di cooperazione colposa si verifica un’unità di reato con pluralità di soggetti, mentre
nell’ipotesi di concorso di cause si realizza una pluralità di reati, nonostante l’unità dell’evento.
Esempio cooperazione colposa (unico reato): le condotte del pilota negligente e del co-pilota che non
pone i necessari correttivi alle manovre, quando vengano causate lesioni a terzi; Tizio sa che Caio non ha la
patente ma gli presta la sua auto e costui investe un passante; la morte di un paziente cagionata da errore di
un’equipe medica; la lesione di un operaio causata da plurime violazioni di norme sulla sicurezza da parte di
soggetti all’interno dell’impresa (direttore, capo-reparto, capo-officina).
Esempio concorso colposo (due distinti reati): Tizio e Caio mentre viaggiano ognuno sulla propria
auto, si scontrano frontalmente a causa della loro condotta imprudente; se un soggetto conduce un'auto a
velocità folle perché il secondo lo ha invitato a farlo, ma il primo ignora che quest'ultimo aveva lo scopo di
investire un pedone, l'uno risponderà a titolo di colpa e l'altro a titolo di dolo, per due reati differenti.
Nella cooperazione colposa, in ogni caso, l'evento dev'essere quantomeno prevedibile e il contributo causale di
ognuno dei soggetti agenti deve risultare giuridicamente apprezzabile.
Si rivela, così, anche nell’ipotesi della cooperazione colposa, la funzione costitutiva dell’elemento psicologico,
che risulta decisivo per stabilire la pertinenza della condotta all’ambito giuridico della cooperazione nel delitto
colposo, e quale fattore insostituibile della qualificazione indiretta della condotta di mera partecipazione al
reato commesso da altri.
Il 2 comma dell'art. 113 qualifica come circostanze aggravanti i comportamenti di chi determina un altro
soggetto a cooperare nel delitto. Nello specifico, la pena è aumentata se il soggetto indotto a cooperare è: non
imputabile, non punibile, soggetto alla propria autorità o alla propria responsabilità genitoriale, minore di 18
anni o se si tratti di soggetto con infermità psichica.

INAMMISSIBILITA’ DEL CONCORSO DOLOSO NEL FATTO COLPOSO E DEL CONCORSO


COLPOSO NEL FATTO DOLOSO
Si discute se sia ammissibile il concorso colposo in un fatto doloso altrui. Ad esempio Tizio presta la sua
auto a Caio, noto omicida, pur potendo prevedere che forse se ne servirà per uccidere una persona; Tizio,
intenzionato a realizzare la fattispecie di avvelenamento doloso di cui all’art. 439 c.p., approfitti invece di un
errore di Caio, che colposamente ignora la natura tossica di una certa sostanza e, indotto da Tizio, la immette
nelle acque, così integrando la fattispecie di avvelenamento colposo ex art. 452 c.p.; un soggetto a conoscenza
di un astratto proposito omicida di una donna le consegna del veleno per topi pensando che serva per uccidere
i ratti, ma la donna lo usa per uccidere il marito .
Ci sono una serie di argomenti a favore della tesi che nega il concorso colposo nel delitto doloso:
- Quando il legislatore ha voluto ammettere la responsabilità dei concorrenti a titoli diversi lo ha fatto in
modo esplicito (articolo 116), per cui nel silenzio del legislatore non è dato all’interprete di ampliare il
numero dei casi in cui un medesimo reato è imputato a titoli diversi;
- l’art. 42 comma 2 c.p., dispone che i delitti colposi devono essere espressamente previsti dalla legge.,
previsione inesistente nelle norme che disciplinano il concorso di persone nel reato; l'art. 113 cp,
infatti, parla di cooperazione nel delitto colposo e non già di cooperazione colposa nel delitto doloso;
- Si osserva, inoltre, che, dovendosi limitare l’ambito del dovere di diligenza – nella cui violazione sta
l’essenza del fatto colposo – alla sfera di responsabilità personale del soggetto, questo sarà tenuto ad
evitare i pericoli derivanti dalla “propria” condotta, ma non ha anche il dovere di impedire che altri,
con autonoma scelta di carattere volontario, sfruttino per delinquere una occasione qualsiasi fornita
dal comportamento altrui, quand’anche imprudente o negligente. Come nel caso di chi approfitti di
un’arma lasciata incustodita per commettere un omicidio.
La dottrina moderna, in merito a due note sentenze della Corte Cost. del 1988, ed in ossequio al rispetto del
dettato costituzionale dell’art. 27, ritiene che l’evento del reato vada attribuito a titolo di colpa, se ve ne sono i
presupposti, a chi collabora nel delitto, non volendo il fatto, affidandosi imprudentemente anche alla condotta
altrui.
Controversa è, invece, la configurabilità del concorso doloso in fatto colposo altrui. Si pensi ad esempio
al caso di un soggetto che istiga taluno, già in errore colposo inescusabile, sulla natura tossica di una sostanza,
ad immetterla in acque destinate all’alimentazione. È evidente che si versa, in una ipotesi di reità mediata ex
art. 48 c.p, perché colui che pone in essere una condotta atipica dolosa, sfrutta quella dei concorrenti a titolo
di colpa, e, quindi, si serve di questi come fossero “autori mediati” (l’esecutore viene comunque a trovarsi nella
condizione di strumento non doloso per la realizzazione del fatto); dunque è inquadrabile nella fattispecie
dell’art. 48 c.p. si pensi al caso di chi sostituisca con un veleno mortale la medicina che l’infermiera deve
iniettare a un paziente e che viene effettivamente somministrata, nonostante la differenza di colore, di cui
l’infermiera avrebbe dovuto accorgersi. Se l’ammalato muore, chi ha sostituito il prodotto risponderà di
omicidio volontario ex art. 48 c.p., mentre all’infermiere l’evento sarà addebitabile a titolo di colpa
Per l’applicazione dell’art. 48 c.p. non sembra, dunque, decisivo che la condotta del terzo sia la causa “iniziale”
dell’errore del soggetto; quanto, piuttosto, che la sua attività di istigazione o di agevolazione si inserisca nel
processo causativo dell’evento, in guisa tale che, nel momento dell’azione – a causa della condotta del terzo –
l’esecutore materiale sia posto, o deliberatamente mantenuto, in una condizione psicologica di errore, che gli
impedisce di rappresentarsi (colpevolmente o meno) il proprio agire come la realizzazione della fattispecie
oggettiva di un reato.

IL CONCORSO DI PERSONE NEI REATI CONTRAVVENZIONALI


La dottrina è concorde circa l’ammissibilità del concorso di persone nelle contravvenzioni dolose, essendo
il termine “reato”, ex art. 110 c.p., riconducibile sia ai delitti che alle contravvenzioni, mentre esclude la
configurabilità del concorso nelle contravvenzioni colpose, in quanto l’art. 113 c.p., si riferisce solo ai
delitti e non anche alle contravvenzioni.
La rilevanza del “concorso” nei fatti contravvenzionali colposi resta dunque racchiusa nell’ambito di
applicazione del concorso di cause, regolato dall’art. 41 c.p.

LE CIRCOSTANZE AGGRAVANTI E ATTENUANTI SPECIALI DEL CONCORSO


L’art. 111 c.p. dispone un aggravamento della pena per chi abbia determinato al reato una
persona non imputabile o non punibile a cagione di una condizione o qualità personale. Per
l’applicabilità della norma si riconosce concordemente che non è sufficiente un’opera di convincimento
tendente a eccitare o a rafforzare nel soggetto non imputabile o non punibile una decisione criminosa, ma si
richiede un intervento sulla volontà del soggetto, di qualità e intensità tali da “determinarne” le scelte di
azione. Non vi è dubbio, perciò, che il determinatore debba essere configurato quale “autore”, e ciò in quanto,
ricorrendo le condizioni previste dall’art. 111 c.p., si può dire che egli (com)possieda il dominio finalistico del
fatto. La ratio dell’aggravante sta dunque proprio nel fatto che si approfitta della immaturità o della
condizione di impunità di altri per indurlo a delinquere, assumendosi in tal modo anche una sorta di
“paternità” del fatto. La circostanza aggravante prevista dall’art. 111 c.p. è applicabile anche alle ipotesi di
cooperazione nel delitto colposa.
L’art. 112 c.p. contempla quattro distinte circostanze aggravanti del concorso di persone.
In particolare, la pena da infliggere per il reato commesso è aumentata:
1) se il numero delle persone, che sono concorse nel reato, è di cinque o più, salvo che la legge disponga
altrimenti;
Il concorso comporta, in questo caso, un aggravio di pena, giustificato dal particolare allarme sociale che
genera la partecipazione di un numero elevato di persone ad una determinata impresa criminosa.
2) per chi, anche fuori dei casi preveduti dai due numeri seguenti, ha promosso od organizzato la cooperazione
nel reato, ovvero diretto l’attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo (c.d. promotori,
organizzatori e direttori);
Questa circostanza aggravante colpisce la condotta di chi ha rivestito una posizione di dominio dell’azione
collettiva, esercitando sui concorrenti una supremazia che gli attribuisce in ogni caso la qualità di correo.
Mentre, per l’applicazione dell’aggravante, si richiede una particolare portata dell’attività di direzione e
organizzazione, non è tuttavia necessario che fra chi promuove ed organizza la cooperazione nel reato e gli
altri concorrenti intercorra un particolare rapporto di dipendenza o di soggezione. Ciò è confermato dalla
stessa norma, là dove stabilisce che l’aggravante in parola si applica “anche fuori dei casi preveduti dai due
numeri seguenti”;
3) per chi, nell’esercizio della sua autorità, direzione o vigilanza, ha determinato a commettere il reato persone
ad esso soggette;
La locuzione “autorità, direzione o vigilanza” deve essere intesa nel senso più ampio, e quindi comprensivo
di ogni rapporto di subordinazione o soggezione, anche di indole privata o attinente ai rapporti familiari
4) per chi, fuori del caso preveduto dall’articolo 111, ha determinato a commettere il reato un minore di anni 18
o una persona in stato d’infermità o di deficienza psichica, ovvero si è comunque avvalso degli stessi nella
commissione di un delitto per il quale è previsto l’arresto in flagranza.
La nozione di “infermità” o “deficienza psichica”, rilevante per l’art. 112 n. 4 c.p., si estende anche al di là
della condizione di non imputabile o semi-imputabile, includendo anche la vecchiaia ed in generale tutte le
forme di “ipoevoluzione psichica” o di “decadimento intellettuale” che rendono il soggetto facilmente
condizionabile.
Le aggravanti di cui ai numeri 1, 2 e 3 di questo articolo si applicano anche se taluno dei partecipi al fatto non è
imputabile o non è punibile (viene quindi nuovamente confermato, come già visto all'art. 111 del c.p. che anche
un soggetto non imputabile o non punibile può essere considerato compartecipe nel concorso, e di
conseguenza potranno trovare applicazione nei confronti di questo anche gli aumenti di pena); le aggravanti di
cui all’art. 112 n. 3 e 4 c.p. si applicano, per espressa previsione di legge (art. 113 co. 2 c.p.), anche all’ipotesi
della cooperazione colposa. Inoltre, possono ricorrere anche congiuntamente e, conseguenzialmente,
cumularsi fra loro ai fini della pena.
L’art. 113 comma 2 qualifica come circostanze aggravanti i comportamenti di chi determina un altro
soggetto a cooperare nel delitto. Nello specifico, la pena è aumentata se il soggetto indotto a cooperare è: non
imputabile, non punibile, soggetto alla propria autorità o alla propria responsabilità genitoriale, minore di 18
anni o se si tratti di soggetto con infermità psichica.
L'art. 114 cp prevede le circostanze attenuanti specifiche del concorso di persone. Innanzitutto,
può essere diminuita la pena del concorrente che abbia prestato un contributo di minima importanza.
Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte l'individuazione del contributo di minima importanza va
verificata sul piano oggettivo della causalità e va riconosciuta ogni qual volta tale contributo possa essere
eliminato senza apprezzabili conseguenze sull'eziologia del reato. Inoltre può applicarsi una diminuzione di
pena in favore del soggetto minore di anni 18 o del soggetto che versi in situazione di deficienza psichica o in
stato di infermità o se sia stato determinato al reato da persona al cui potere di direzione o vigilanza.
L’attenuante della “minima partecipazione” può essere concessa anche nei casi di cooperazione colposa. Una
circostanza attenuante facoltativa è contemplata dall’art. 114 co. 3 c.p., anche a favore di chi è stato
determinato a commettere il reato o a cooperare nel reato, “quando concorrono le condizioni stabilite nell’art.
112 co. 1 n. 3 e 4 e co. 3 c.p.”.

LIMITI DI COMUNICABILITA’ DELLE CIRCOSTANZE ORDINARIE


La nuova disciplina delle circostanze ha condizionato anche il regime della comunicabilità nell'ambito del
concorso di persone. Il regime precedente prevedeva la comunicabilità automatica di tutte le circostanze
oggettive (attenuanti e aggravanti), nonchè delle circostanze di natura soggettiva che avessero,
comunque, agevolato la commissione del delitto. La legge 19/1990 ha modificato l'art. 118 c.p. che, nell'attuale
versione, prevede: "le circostanze che aggravano o diminuiscono le pene concernenti i motivi a delinquere,
l'intensità del dolo, il grado della colpa e le circostanze inerenti alla persona del colpevole (cioè quelle
attinenti all’imputabilità e alla recidiva) sono valutate soltanto riguardo la persona cui si riferiscono".
All'esito dell'intervento del 90 il regime di comunicabilità delle circostanze ai correi nelle fattispecie
concorsuali è il seguente: 1) le circostanze attenuanti oggettive e quelle soggettive, inerenti taluno dei correi
e non ricomprese tra quelle di cui all'art. 118 c.p., si comunicano oggettivamente a prescindere dalla
conoscenza o dalla conoscibilità che ne abbiano i correi; 2) le circostanze aggravanti oggettive e
quelle soggettive inerenti a taluno dei correi e non ricomprese nell'art. 118 c.p., si comunicano agli altri correi
solo se da essi conosciute ovvero dai medesimi conoscibili; 3) le circostanze soggettive di cui all'art. 118
c.p. non sono comunicabili

CIRCOSTANZE DI ESCLUSIONE DELLA PENA: DESISTENZA E RECESSO ATTIVO NEL


CONCORSO DI PERSONE
Circostanze di esclusione della pena art. 119 c.p.: "Le circostanze soggettive, le quali escludono la
pena per taluno di coloro che sono concorsi nel reato hanno effetto soltanto riguardo alla persona a cui si
riferiscono.
Le circostanze oggettive che escludono la pena hanno effetto per tutti coloro che sono concorsi nel reato."
Con riferimento alla desistenza, nell'ambito del concorso di persone, si è discusso se, per poter godere di tale
causa di esclusione della pena il concorrente possa limitarsi a neutralizzare il proprio contributo alla
realizzazione del fatto collettivo o debba invece impedire la consumazione del reato da parte degli altri correi.
Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che la desistenza del complice consista nell'eliminazione
del personale contributo causale alla fattispecie concorsuale così da elidere ogni efficienza eziologica della
propria condotta nell'eventuale produzione del risultato offensivo programmato. La desistenza ha,
naturalmente, in tale caso, efficacia solo in favore del soggetto che l'abbia posta in essere non essendo
estensibile ai compartecipi. Diverso è il caso in cui la desistenza riguardi l'autore in quanto, in tale ipotesi, il
reato non sarà commesso e, della stessa si gioveranno anche i correi.
Con riguardo, invece, al recesso attivo, nessun particolare problema si pone nel concorso di persone in
quanto si tratta della possibilità, offerta a tutti i concorrenti, di eliminare le conseguenze offensive di una
condotta criminosa già realizzata. Anche con riferimento al recesso attivo, della diminuzione di pena in esso
prevista potrà giovarsi solo il correo che l'abbia posto in essere.

CONCORSO ANOMALO: RESPONSABILITA’ DEL PARTECIPE PER UN REATO DIVERSO DA


QUELLO VOLUTO
La figura del concorso anomalo è disciplinata dall'art. 116 c.p. a norma del quale: "Qualora il reato
commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti anche questi ne risponde se l'evento è
conseguenza della sua azione od omissione. Se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è
diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave".
La norma, quindi, descrive e disciplina il caso in cui taluno dei correi commetta un reato diverso da quello
originariamente programmato e tale fatto di reato, pur essendo riconducibile, sotto il profilo della causalità,
anche al contributo offerto da altro concorrente, non è da questi voluto.
Si pensi al caso in cui alcuni soggetti si mettono inizialmente d’accordo per commettere un furto e
successivamente gli esecutori materiali commettono, in luogo del furto, una rapina più un sequestro di
persona. Attribuire i reati di rapina e sequestro di persona anche al concorrente che non li ha voluti,
esclusivamente sulla base del fatto che l’evento è conseguenza della sua azione od omissione significa
rinunciare ad indagare l’aspetto soggettivo del reato in capo al concorrente che voleva commettere solamente
un furto: in altre parole sembra un caso di responsabilità oggettiva.
La questione è stata affrontata dalla Corte Costituzionale la quale, nella sentenza n. 42 del 13 maggio
1965, ha precisato che una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 116 c.p., rispettosa del principio di
personalità della responsabilità penale ex art. 27 Cost, impone di ravvisare la responsabilità del concorrente ex
art. 116 c.p. per il diverso fatto di reato doloso commesso dal correo solo qualora sussista, non solo un
rapporto di causalità materiale, ma anche un rapporto di causalità psichica, nel senso che il compartecipe
avrebbe potuto rappresentarsi la realizzazione del reato diverso e più grave come sviluppo logicamente
prevedibile di quello voluto e oggetto del programma criminoso.
Ne consegue che per la sussistenza del concorso anomalo devono ricorrere i seguenti requisiti:
-l’adesione psichica del concorrente ad un reato concorsuale diverso da quello poi realizzato;
-la commissione da parte di altro concorrente di un diverso reato doloso ( l’applicazione di tale norma richiede
come requisito imprescindibile la realizzazione dolosa del fatto “diverso” da parte dell’esecutore, non si
applica quindi se l’evento diverso da quello voluto è realizzato dall’esecutore per colpa, ovvero rientri nello
schema del delitto preterintenzionale);
-la mancanza di volontà relativa al reato diverso (la responsabilità del concorrente per il fatto doloso del
correo è di natura sostanzialmente colposa);
-la prevedibilità della commissione del reato diverso (e, quindi, la violazione della norma cautelare insita
nell'affidarsi ad una condotta, di per sé non controllabile, come quella degli altri correi).
In tale prospettiva, nella fattispecie di cui all'art. 116 cp, è stata ravvisata la sussistenza di un concorso
anomalo in quanto il correo risponde a titolo di dolo di un fatto al medesimo imputabile a titolo di colpa.
Con riferimento al requisito della prevedibilità del fatto di reato ulteriore, deve sottolinearsi che
sussistono due orientamenti diversi.
Un primo orientamento sostiene che la prevedibilità del reato diverso deve sussistere solo in
astratto, nel senso che, ai fini della configurabilità della responsabilità del concorrente nolente, è necessario
che l’illecito non voluto deve appartenere in astratto a quelli che si prospettano come sviluppo naturale del
reato originariamente voluto.
Un secondo orientamento, invece, sostiene che la prevedibilità del reato diverso deve sussistere in
concreto, bisogna cioè tenere conto di tutte le circostanze relative alla singola vicenda.
Tornando all’esempio del furto, vi è certamente la sussistenza della prevedibilità in astratto in merito alla
rapina essendo la stessa omogenea al furto; non altrettanto può dirsi del sequestro di persona.
Per valutare la sussistenza o meno della prevedibilità in concreto che il reato commesso possa essere la rapina
e non il semplice furto, si dovrà analizzare la modalità di realizzazione dell’azione furtiva ovvero accertare il
tenore degli accordi criminosi tra i compartecipi per poi stabilire se che i soggetti coinvolti nel reato
prevedevano (o non prevedevano) il ricorso a mezzi violenti.
Il reato diverso (con nomen iuris diverso) può essere più o meno grave; nel caso di concorso anomalo nel reato
più grave, al correo nolente potrà essere applicata una diminuzione di pena.
Con riferimento al concorso anomalo di cui all'art. 116 cp, deve sottolinearsi come esso costituisca una
particolare ipotesi di aberratio delicti, nel senso che il correo nolente viene chiamato a rispondere, a
titolo di dolo, di reato diverso da quello voluto; mentre, però, con riferimento all'aberratio delicti, il delitto
diverso viene commesso per errore nell'uso dei mezzi d'esecuzione del reato (o per altra causa), nella
fattispecie del concorso anomalo il reato diverso è effettivamente voluto dall'autore materiale e la
responsabilità a titolo di dolo nei riguardi del correo nolente si giustifica, rispetto a quella colposa prevista
nella fattispecie di cui all'art. 83 cp, per la maggiore pericolosità che presenta la forma di commissione
plurisoggettiva del reato. Inoltre, ove il diverso reato sia commesso per errore, s'applicherà alla fattispecie
concorsuale, il disposto di cui all'art. 83 cp a tutti i concorrenti che risponderanno dunque, a titolo di colpa,
del diverso reato commesso se tale titolo di responsabilità sia previsto dalla norma che contempla il reato
erroneamente commesso.

LA PARTECIPAZIONE AL REATO PROPRIO E I LIMITI DI APPLICABILITA’ DELL’ART. 117


C.P.
I reati si distinguono in:
a. reati comuni, quando l’illecito può essere eseguito da qualsiasi soggetto (sono le norme che utilizzano il
pronome “chiunque”).
b. reati propri, quando l’agente deve necessariamente rivestire una particolare qualità o qualifica affinché il
delitto sussista.
All’interno della categoria dei reati propri si distingue ulteriormente tra:
1) reati propri esclusivi, il cui proposito criminoso può essere portato a termine solo da chi riveste una
certa posizione rispetto ad un fatto (ad esempio i prossimi congiunti per il delitto di incesto);
2) reati propri non esclusivi, in cui la presenza o meno della particolare qualità induce solo il mutamento
del titolo del reato (es. l'appropriazione indebita art. 646 c.p., se commessa da un privato; peculato se
commessa dal pubblico ufficiale ex art. 314 c.p.).
Il concorso nel reato proprio è comunemente ammesso dalla dottrina e dalla giurisprudenza,
sul presupposto che sussista da parte dell'extraneus (cioè il soggetto privo della qualità
personale), la consapevolezza sulla qualità soggettiva dell'intraneus (cioè il soggetto
qualificato) determinante il titolo di reato applicabile. In tale ipotesi, risulta direttamente applicabile
l'art. 110 cp e la responsabilità dell'extraneus ricorre sia nel caso in cui il reato commesso sia proprio esclusivo
(ovvero un fatto che presuppone, per la sua stessa esistenza come fatto di reato, la commissione da parte
dell'intraneus), sia nel caso in cui il reato commesso sia proprio non esclusivo (ovvero un fatto che, in difetto
della qualifica dell'intraneus, costituirebbe comunque reato - es. peculato o appropriazione indebita a seconda
che il fatto sia commesso dall'intraneus o dall'extraneus).
Sostanzialmente possiamo avere due casi:
1) Sussistenza del concorso nel reato proprio (esclusivo o non) con applicazione dell’art. 110
c.p.: in tutti i casi in cui l’extraneus abbia consapevolezza sulla qualità soggettiva
dell’intraneus;
Premessa la consapevolezza della qualità dell'intraneus, si ritiene inoltre, che il comportamento dell’extraneus,
anche se posto in essere senza la compartecipazione dell’intraneus, realizzi il concorso nel reato proprio ex art.
110: a) sia nel caso in cui il comportamento dell'extraneus risulti penalmente irrilevante; b) sia nel caso in cui
esso integrerebbe comunque una fattispecie di reato comune.
Esempio: Pasquale (privato) convince Giuseppe (pubblico ufficiale) ad appropriarsi di denaro pubblico: dal
punto di vista di Pasquale (extraneus) il fatto configura l’appropriazione indebita mentre dal punto di vista di
Giuseppe (intranues) configura il peculato. In base all’art. 110 c.p., Pasquale, conoscendo la qualifica
dell’autore materiale del reato, risponde di concorso in peculato.
2) Non sussistenza del concorso nel reato proprio (esclusivo o non): se l'extraneus ignori le
qualità personali dell'intraneus (occorre però che la condotta dell'extranues integri comunque un reato,
cioè costituisca reato a prescindere della qualifica dell'intraneo). In particolare, nel caso in cui l'azione
commessa integri l'elemento materiale di un reato proprio esclusivo, l'extraneus andrà esente da
pena in quanto, in difetto di consapevolezza delle qualità personali che determinano il disvalore penale del
fatto, egli ritiene di compiere un'azione lecita (il fatto che l'extraneus debba avere la consapevolezza sulla
qualità dell'intraneus deriva dal principio per cui la responsabilità penale è personale, e a ragionare
diversamente si verserebbe in una ipotesi di responsabilità oggettiva). Nel caso in cui, invece, l'azione
commessa integri l'elemento materiale di un reato proprio non esclusivo s'applica l'art. 117 cp
("Se, per le condizioni o le qualità personali del colpevole, o per i rapporti tra il colpevole e l'offeso, muta il
titolo del reato per taluno di coloro che vi sono concorsi, anche gli altri rispondono dello stesso reato.
Nondimeno, se questo è più grave, il giudice può, rispetto a coloro per i quali non sussistono le condizioni, le
qualità o i rapporti predetti, diminuire la pena") il quale prevede, che, in caso di concorso nel reato proprio
non esclusivo, tutti i concorrenti rispondano del reato proprio anche in difetto di consapevolezza delle qualità
dell'intraneus determinanti l'incriminazione a tale titolo. Ove, tuttavia, il reato proprio sia più grave del
corrispondente reato comune, il soggetto che sia privo di consapevolezza sulle qualità dell'intraneus potrà
ottenere una diminuzione di pena (tale diminuzione è applicata facoltativamente dal giudice al contrario di
quella di cui all'art. 116 cp).
Riprendendo l’esempio fatto in precedenza, supponiamo che Pasquale ignorando il fatto che Giuseppe è un
pubblico ufficiale, lo convinca ad appropriarsi di una soma di denaro. In tal caso, Pasquale non può essere
responsabile di concorso in peculato ex art. 110. Ed è qui che entra in gioco l’art. 117, svolgendo un ruolo
incriminatrice, mutando il titolo del reato da appropriazione indebita in peculato: Pasquale risponderà a titolo
di concorso di quest’ultimo più grave reato. Può sembrare ingiusto che Pasquale venga incriminato per
peculato pur ignorando la qualifica di pubblico ufficiale di Giuseppe. Ma d’altro canto non sarebbe logico che
per lo stesso fatto di reato Pasquale rispondesse di appropriazione indebita e Giuseppe di peculato. Secondo
l’impostazione unitaria della disciplina del concorso, quando più persone concorrono nel medesimo reato,
ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita. È evidente che si prescinde del tutto dall’accertamento
dell'elemento soggettivo e quindi viene da pensare, anche in questo caso, che si tratti di un caso di
responsabilità oggettiva. Forse per questo motivo il legislatore ha pensato di mitigare la pena per i concorrenti
per i quali sussistano le condizioni, nel caso in cui il reato sia più grave del previsto.
Peraltro, secondo la dottrina dominante non è necessario, ai fini dell'affermazione di una responsabilità
penale a titolo di concorso ex art. 110 cp o ex art. 117 cp, che l'azione materiale sia posta in essere
dall'intraneus, salvo, naturalmente, il caso dei reati propri esclusivi, laddove, ai fini della configurabilità stessa
del fatto come penalmente rilevante è richiesta la sua commissione da parte dell'intraneus (si pensi al caso
dell'evasione laddove, se l'azione tipica fosse commessa dall'extraneus, nessun reato sarebbe ovviamente
configurabile).
La giurisprudenza, comunque, ritiene:
a. che il fatto commesso dall’estraneo deve costituire di per sé reato, anche in mancanza della qualifica
rivestita dall’autore principale (nell’esempio occorre che Pasquale commetta l’appropriazione indebita), ne
consegue che, quando l’azione del concorrente è di per sé lecita e la sua illiceità dipende dalla qualità
personale di altro concorrente, trova applicazione la norma generale sul concorso di persone, di cui all’art. 110;
b. la diminuzione di pena, prevista dall’art. 117 c.p. per colui nei confronti del quale sia mutato il titolo del
reato per le condizioni o le qualità personali di un concorrente, può trovare applicazione solo quando la qualità
del concorrente, che fa mutare il titolo del reato, sia ignorata dal concorrente (nell’esempio, occorre che
Pasquale ignori la qualifica di pubblico ufficiale di Giuseppe altrimenti si applicherebbe il concorso ex art.
110);
c. il venir meno del reato per il soggetto qualificato, qualunque ne sia la ragione, e quindi anche per estinzione
conseguente alla morte, non esclude la sussistenza del reato per il concorrente “estraneo”.
In altre parole, l'art. 117 tende ad evitare - nel quadro della concezione unitaria del reato concorsuale - che
degli autori volontari di un medesimo fatto alcuni siano puniti per un reato ed altri per un diverso titolo solo
perché abbiano interferito particolari qualità personali di un compartecipe o particolari rapporti di costui con
la persona offesa.
Da quanto detto risulta evidente la differenza del concorso nel reato proprio rispetto ai casi dei c.d.
reati propri esclusivi. Nei reati propri esclusivi, infatti, non solo è indispensabile, per l’esistenza del reato,
che l’intraneo ne sia l’esecutore, ma è sicuramente necessario, per il configurarsi del dolo dell’estraneo, che
egli conosca la particolare qualità o condizione dell’intraneo, la cui partecipazione è costitutiva della stessa
rilevanza penale del fatto, che altrimenti sarebbe lecito. Non è in alcun modo configurabile, infatti, il concorso,
a qualsiasi titolo, in un reato di incesto, o di falsa testimonianza, se non a patto che il concorrente estraneo sia
a conoscenza della particolare qualità dell’autore.

CONCORSO DI PERSONE E REATI ASSOCIATIVI


L’elemento distintivo tra concorso di persone e associazione per delinquere va individuato nel carattere
dell’accordo criminoso, che nel concorso di persone nel reato continuato si concretizza in via meramente
occasionale ed accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati – anche nell’ambito di un
medesimo disegno criminoso – con la realizzazione dei quali si esaurisce l’accordo e cessa ogni motivo di
allarme sociale, mentre nel reato associativo risulta diretto all’attuazione di un più vasto programma
criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo
associativo tra i partecipanti, anche indipendentemente e al di fuori dell’effettiva commissione dei singoli
reati programmata.
La differenza tra concorso di persone e associazione per delinquere risiede essenzialmente nella natura
dell'accordo criminoso. Mentre nel concorso di persone due o più soggetti si accordano occasionalmente
per la commissione di uno o più reati ben determinati e dopo la realizzazione dei quali l’accordo si scioglie,
nell’associazione per delinquere tre o più soggetti si accordano allo scopo di dar vita ad un’entità stabile e
duratura diretta alla commissione di una pluralità indeterminata di delitti (lo stesso fatto di partecipare
stabilmente all'associazione, a prescindere dalla realizzazione di alcuno dei reati scopo dell'associazione,
configura un fatto di reato del quale sono tenuti a rispondere tutti i partecipanti).
Con riferimento ai reati associativi, tra i problemi maggiormente dibattuti in dottrina vi sono: a)
la responsabilità per i reati scopo in capo ai partecipanti; b) la configurabilità di un concorso eventuale esterno
nel delitto associativo, vale a dire da parte di un soggetto non appartenente all’associazione stessa.
Con riferimento al primo dei delineati profili, la giurisprudenza esclude che la mera partecipazione
all'associazione possa far sorgere automaticamente una responsabilità per i reati scopo dei quali dovranno
rispondere solo i soggetti che abbiano posto in essere i presupposti materiali e psicologici del fatto di reato
realizzato. Il concorso eventuale esterno al reato associativo è, invece, stato considerato ammissibile qualora la
partecipazione sia risultata isolata e confinata ad un atto unico posto in essere anche a soli fini utilitaristici
purchè abbia avuto l'effetto di rafforzare l'associazione. Il presupposto negativo è quello della mancata
partecipazione stabile nell'associazione e nella mancata possibilità, da parte di questa, di fare affidamento
durevole sull'apporto del partecipante esterno (cfr. Cass. Pen. 16493/06; Cass. Pen. n 33748/2005).

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