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A nché si possa parlare di reato è necessario che il fatto sia tipico, antigiuridico e colpevole.

Questo secondo ltro del carattere illecito del fatto tipico è imposto dal principio dell’unità del
sistema giuridico secondo cui se un’azione è consentita in un settore dell’ordinamento non può
risultare illecita in un altro settore dello stesso ordinamento.

Soltanto l’intero ordinamento giuridico è in grado di indicare ad un soggetto la regola di condotta


da adottare nel caso singolo.

All’interno della concezione tripartita del reato la categoria dell’antigiuridicità ha carattere


oggettivo, essa cioè costituisce una qualità oggettiva del fatto tipico che come tale prescinde ed
è distinta dalla colpevolezza. Questo modo d’intendere l’antigiuridicità corrisponde alla stessa
impostazione codicistica l’articolo 59 infatti nel ssare la regola della rilevanza obiettiva delle
cause di giusti cazione, secondo cui esse operano anche se non conosciute dall’agente,
presuppone un’antigiuridicità concepita su base puramente oggettiva.

Il giudizio di antigiuridicità si risolve strutturalmente nella veri ca che il fatto tipico non è coperto
da alcuna causa di giusti cazione o esimente.

Si de niscono cause di esclusione dell’antigiuridicità o di giusti cazione quelle situazioni


normativamente previste in presenza delle quali viene meno il contrasto tra un fatto conforme a
una fattispecie incriminatrice e l’intero ordinamento.

Dalla circostanza che le cause di giusti cazione sono desumibili da qualsiasi branca del sistema
giuridico deriva che la loro e cacia non è limitata al diritto penale ma si estende a tutti i rami
dell’ordinamento, pertanto la presenza di cause di giusti cazione rende di regola inapplicabili
anche le sanzioni civili o amministrative.

Per spiegare sul piano dogmatico l’operatività delle cause di giusti cazione taluni autori fanno
ricorso al concetto di elementi negativi del fatto, cioè di elementi che devono mancare perché
l’illecito penale si con guri. La ragione storica che ha dato origine a tale teoria era costituita dalla
ricerca di espedienti concettuali che consentissero di risolvere il problema dell’errore
sull’esistenza di cause di giusti cazione nell’ambito di ordinamenti come quello tedesco-
occidentale privi di una norma ad hoc.

Tale teoria appare super ua in ordinamenti che come quello italiano disciplinano invece
espressamente l’errore sulle scriminanti.

È però opportuno precisare che l’espressione tecnica “cause di giusti cazione” è estranea al
linguaggio del codice e costituisce una categoria di matrice dottrinale. La mancata utilizzazione di
essa da parte del legislatore si spiega con la circostanza che egli ha preferito parlare più
genericamente di circostanze che escludono la pena (art 59) prescindendo dal prendere posizione
sulla loro speci ca quali cazione dogmatica all’interno della teoria del reato.

Esempli cante si considerano le disposizioni che dichiarano non punibile:

- Chi agisce per legittima difesa (art 52)

- Consenso dell’avente diritto(art 50)

- L’esercizio del diritto o l’adempimento del dovere (art 51)

- Uso legittimo delle armi (art 53)

- Stato di necessità (art 54)

Le ragioni che spiegano l’esclusione della punibilità in tutti questi casi appaiono riconducibili
almeno a 3 piani di valutazione distinti, corrispondenti ad altrettante categorie dogmatiche:

1. Cause di giusti cazione o esimenti


le prime elidendo l’antigiuridicità o illiceità come contrasto tra il fatto e l’intero ordinamento
giuridico rendono inapplicabile qualsiasi tipo di sanzione, esse inoltre si estendono a tutti
coloro che eventualmente prendono parte alla commissione del fatto medesimo.

2. Cause di esclusione della colpevolezza o scusanti


lasciano invece integra l’antigiuridicità e fanno venir meno soltanto la possibilità di muovere un
rimprovero al suo autore. Appunto perché attengono all’elemento soggettivo le circostanze in
questione operano soltanto se conosciute dall’agente e siccome lasciano integra l’illiceità del
fatto esse operano soltanto a vantaggio dei soggetti cui si riferiscono e non sono estensibili ad
eventuali concorrenti.

3. Cause di non punibilità in senso stretto


consistono in circostanze che lasciano sussistere sia l’antigiuridicità sia la colpevolezza.
La loro speci ca ragion d’essere consiste in valutazioni di opportunità circa la necessità o la
meritevolezza di pena. Di conseguenza le circostanze in parola non sono estendibili ad
eventuali concorrenti nel reato. A tale categoria è riconducibile l’art 384.

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Per spiegare il fondamento sostanziale delle cause di giusti cazione, la dottrina adotta un modello
esplicativo ora di tipo monistico, ora di tipo pluralistico.

Secondo il primo modello, tutte le scriminanti andrebbero ricondotte ad uno stesso principio:
principio ravvisato, di volta in volta, nel criterio del «mezzo adeguato per il raggiungimento di uno
scopo approvato dall'ordinamento»; ovvero della «prevalenza del vantaggio sul danno»

o ancora del «bilanciamento tra beni in con itto»; oppure di un «giusto contemperamento tra
interesse e controinteresse»), ecc.

Sia rinvenibile o no un fondamento comune a tutte le scriminanti, rimane tuttavia il dato


incontestabile che ciascuna causa di giusti cazione presenta elementi ad essa propri: sicché, nell'
individuare portata e limiti di ogni scriminante, decisivo appare un approccio che tenga conto
delle corrispondenti peculiarità contenutistiche.

Così si comprende perché la dottrina dominante propenda per un modello esplicativo di tipo
pluralistico, tendente a ricondurre le esimenti a principi diversi. Tra i criteri solitamente più
invocati, rientrano i due principi dell'interesse prevalente e dell'interesse mancante: il primo
spiega le scriminanti dell'esercizio del diritto, dell'adempimento del dovere, della difesa legittima e
dell'uso legittimo delle armi; il secondo spiega, invece, le altre due scriminanti generali del
consenso dell'avente diritto e dello stato di necessità.

Non è da escludere che la struttura particolare delle singole scriminanti possa rendere inevitabile
la presa in considerazione di eventuali coe cienti soggettivi. Casi, nei quali la legge fa dipendere
la con gurabilità della causa di giusti cazione dalla presenza di stati psicologici, sono per lo più
individuabili nell’ambito delle scriminanti speciali cioè applicabili soltanto a talune gure di reato
(es scriminante della reazione agli atti arbitrari del pubblico u ciale ex art 4 dl 288 1944).

Il nostro ordinamento penale sottopone le cause di giusti cazione ad alcune regole comuni
previste dagli articoli 55 e 59 del codice.

L'articolo 59 comma 1 stabilisce che: Le circostanze che attenuano o escludono la pena sono


valutate a favore dell'agente anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti.
La dottrina italiana prevalente ritiene che le cause di giusti cazione operino su di un piano
meramente oggettivo, esse cioè vengono valutate a favore dell’agente in virtù della loro solo
esistenza a prescindere dalla consapevolezza che quest'ultimo ne abbia.

L'ultimo co dell’art 59 stabilisce che: Se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze di
esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore
determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come
delitto colposo.
Il nostro codice attribuisce dunque rilevanza alla gura della scriminante putativa equiparando
così la situazione di chi agisce e ettivamente in presenza di una causa di giusti cazione a quella
di chi con da erroneamente nella sua esistenza. Va tuttavia precisato che l'errore, per spiegare
l'e cacia scusante, deve investire I presupposti di fatto che integrano la causa di giusti cazione
ovvero una norma extrapenale integratrice di un elemento normativo della fattispecie giusti cante
(es Tizio a causa di un errore di percezione crede di essere aggredito da Caio e reagisce
difendendosi). È invece da escludere la rilevanza esimente di un errore di diritto altrimenti si
nirebbe col considerare inoperante il principio generale “ignorantia legis non excusat (es non
avrebbe alcuna rilevanza l’erronea convinzione che la provocazione escluda il reato).

È da segnalare che la giurisprudenza tende a interpretare restrittivamente l'ultimo comma


dell'articolo 59 nel senso che non si accontenta, per escludere la responsabilità dolosa, che
l’agente supponga erroneamente l'esistenza di una causa di giusti cazione ma richiede altresì
come requisito aggiuntivo che l'errore in cui il soggetto versa sia ragionevole, possa apparire
scusabile sulla base dei dati di fatto e simili. Questo atteggiamento rigoristico si spiega con la
preoccupazione di evitare che l'errore sulle scriminanti possa essere facilmente accampato come
falsa e comoda scusa per eludere ingiusti catamente la responsabilità penale.

In ne sempre a norma dell'articolo 59 ultimo comma, se l'errore sulla presenza di una scriminante
è dovuto a colpa dell’agente, la punibilità non è esclusa quando il fatto è preveduto dalla legge
come delitto colposo (es Tizio avvicinato di notte da un estraneo che si limita a chiedere
informazioni, scambiandolo per e etto di autosuggestione per un rapinatore, lo uccide. Tizio
appare rimproverabile perché dovuto a eccessiva precipitazione di giudizio9.
La disciplina in esame è analoga a quella preveduta dall’art 47 co 1 (anche se prevista solo per i
delitti) secondo cui come l’erronea supposizione che manchino uno o più elementi costitutivi di un
reato dà vita, quando è dovuta a colpa, ad una responsabilità per delitto colposo lo stesso
accade nel caso dell'erronea credenza che sussistano situazioni scriminanti.

(Putatività—> non ci sono i requisiti della scriminante ma io erroneamente credo ci siano)

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L’articolo 55 invece dispone: Quando, nel commettere alcuno dei fatti preveduti dagli
articoli 51, 52, 53 e 54, si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall'ordine
dell'Autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti
colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.
Nei casi di cui ai commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 52, la punibilità è esclusa se chi ha
commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito nelle condizioni di
cui all'articolo 61, primo comma, n. 5) ovvero in stato di grave turbamento, derivante dalla
situazione di pericolo in atto.
La disposizione richiamata si riferisce alla gura dell'eccesso colposo la quale ricorre quando
sussistono i presupposti di fatto di una causa di giusti cazione ma l’agente per colpa ne travalica
i limiti.

La situazione di eccesso colposo si distingue da quella di erronea supposizione di una


scriminante poiché in quest'ultima la causa di giusti cazione non esiste nella realtà ma soltanto
nella mente di chi agisce.

Il giudizio relativo alla natura colposa del superamento dei limiti dell'agire consentito si e ettua
alla stregua dei parametri normativi contenuti nell'articolo 43; il travalicamento dei con ni della
scriminante deve cioè dipendere da difetto inescusabile di conoscenza della situazione concreta.

Parte della dottrina distingue due forme di eccesso colposo:

1. Il primo si ha quando si cagiona un determinato risultato volutamente perché si valuta


erroneamente la situazione di fatto

2. Il secondo si veri ca invece quando la situazione di fatto è valutata esattamente ma per un


errore esecutivo si riproduce un evento più grave di quello che sarebbe stato necessario
cagionare

Si è fuori dai limiti dell'eccesso colposo se l’agente essendo ben a conoscenza della situazione
concreta e dei mezzi necessari al raggiungimento dell'obiettivo consentito superi volontariamente
i limiti dell'agire scriminato.

Parte della dottrina e la giurisprudenza ritengono giustamente che la disposizione relativa


all'eccesso colposo sia applicabile anche nell'ipotesi di scriminante putativa.

Es: uccisione a seguito di una rapina



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CONSENSO DELL’AVENTE DIRITTO

L'articolo 50 stabilisce: Non è punibile(1) chi lede o pone in pericolo un diritto(2),


col consenso(3) della persona che può validamente disporne (579; c.c. 5)(4).
Si tratta della scriminante ispirata al tradizionale principio “volenti et consentienti non t iniuria”
secondo cui non vi è ragione che lo stato appresti la tutela penale di un interesse alla cui
salvaguardia il titolare mostra di rinunciare consentendone appunto la lesione.

A nché però esplichi e cacia scriminante il consenso deve essere libero, spontaneo, deve
essere cioè immune da violenza, errore o dolo.

Dalla speci ca sfera di operatività della causa di giusti cazione in esame, esulano le ipotesi nelle
quali il consenso costituisce un elemento la cui presenza fa venir meno lo stesso fatto tipico, es i
reati di violenza privata o violenza sessuale i cui corrispondenti fatti tipici presuppongono
un’azione realizzata contro la volontà del soggetto passivo sicché il consenso di quest’ultimo fa
venir meno il requisito costitutivo del fatto materiale.

Quanto alla quali cazione tecnica il consenso non ha natura di negozio giuridico né di diritto
privato né di diritto pubblico ma va inteso come un semplice atto giuridico cioè un permesso col
quale si attribuisce al destinatario un potere di agire che non crea alcun vincolo obbligatorio a
carico dell’avente diritto e non trasferisce alcun diritto in capo all’agente. (sempre revocabile, a
meno che l’attività consentita non possa essere interrotta se non ad avvenuto esaurimento).

Data la sua natura non negoziale la relativa validità prescinde da requisiti di forma potendo il
consenso essere prestato in qualsiasi modo.

Occorre inoltre precisare che:

- Il consenso è tacito se deriva da comportamento oggettivamente univoco dell’avente diritto


perché sussista al momento del fatto, non scrimina infatti il consenso successivo o rati ca.

- Il consenso è putativo se il soggetto agisce nell’erronea supposizione della sua esistenza ma la


sua e cacia scriminante viene meno ove debba escludersi, in base alle circostanze del caso
concreto, la ragionevole persuasione di operare con l’assenso della persona che può
validamente disporre del diritto.

- Il consenso dell'o eso è invece presunto quando si può fondatamente ritenere che il titolare del
bene lo avrebbe concesso se fosse stato a conoscenza della situazione di fatto.

La legittimazione a prestare il consenso spetta innanzitutto al titolare del bene penalmente


protetto e nel caso di più titolari occorrerà il consenso di tutti i cointeressati. La legittimazione può
spettare in secondo luogo al rappresentante legale.

Il soggetto legittimato a consentire deve possedere la capacità di agire, ma stante la natura non
negoziale del consenso tale capacità di agire nisce col risolversi in una capacità di intendere di
volere da accertare caso per caso (cosiddetta capacità naturale). La maggiore età sarà infatti
necessaria soltanto per potere validamente consentire alla lesione di diritti patrimoniali.

Speci cando che il consenso deve provenire dalla persona che può validamente disporne, lo
stesso articolo 50 circoscrive la sfera di operatività della scriminante in esame ai casi in cui il
consenso abbia ad oggetto diritti disponibili e ciò si spiega in base alla stessa ratio dell’istituto.
L’interesse alla repressione infatti viene meno soltanto se il consenso ha ad oggetto la lesione di
beni di pertinenza esclusiva o prevalente del privato che ne è titolare.

L'interesse alla repressione infatti viene meno soltanto se il consenso ha ad oggetto la lesione di
beni di pertinenza esclusiva o prevalente del privato che ne è titolare.

Tale articolo però non precisa quali siano i diritti disponibili e il compito di individuarli non può che
spettare all'interprete, il quale deve ricavarli dall'intero ordinamento giuridico e della stessa
consuetudine.

Comunemente si ritengono disponibili i beni che non presentano un'immediata utilità sociale e
che lo Stato riconosce esclusivamente per garantirne al singolo libero godimento.

In applicazione di questo criterio guida si annoverano tra i diritti disponibili innanzitutto i diritti
patrimoniali purché non si eccedano i limiti stabiliti dalla legge ma anche gli attributi della
personalità puntualizzando che il consenso per essere e cace deve avere ad oggetto lesioni
circoscritte, le quali non comportino il totale sacri cio dei beni predetti e che non deve comunque
trattarsi di atti di disposizione contrari alla legge, al buon costume o all’ordine pubblico.

Rispetto al bene dell'integrità sica è opinione dominante che la portata del consenso scriminante
vada determinata innanzitutto assumendo come parametro di riferimento l’articolo 5 del codice
civile secondo il quale gli atti disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una
diminuzione permanente dell'integrità sica stessa, ovvero siano altrimenti contrari alla legge,
all’ordine pubblico e al buon costume.

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Si considerano invece indisponibili tutti gli interessi che fanno capo allo stato, agli enti pubblici e
alla famiglia. Tra i beni indisponibili va poi indubbiamente annoverato il bene vita come peraltro si
desume dagli articoli 579 e 580.

Dalla lettura dell’Art.579 c.p. (omicidio del consenziente) si può evincere che non si può disporre
per mano aliena (altrui) della vita di un’altra persona nemmeno col consenso di quest’ultima, in
caso contrario si è puniti con la reclusione da 6 a 15 anni.

Un’altra fattispecie riguardante la disponibilità della vita è quella descritta dall’art. 580 c.p.
(istigazione o aiuto al suicidio); in questo caso il messaggio di divieto imposto dal legislatore è il
divieto di non istigare o aiutare (in qualsiasi maniera) una persona a commettere un suicidio.

Durante il corso abbiamo poi analizzato 3 casi:

1. CASO WELBY: Tizio è a etto da un gravissimo stato degenerativo clinicamente diagnosticato


come distro a fascio scapolo-omerale. La sua sopravvivenza è assicurata esclusivamente per
mezzo del respiratore automatico collegatogli sin dal 1997. I trattamenti sanitari praticati sulla
sua persona non erano in grado di arrestare in alcun modo il decorso della malattia, dunque
l’unico scopo che avevano era posporre il certo esito infausto cercando di prolungare le
funzioni essenziali alla sopravvivenza biologica. Tizio dopo essere stato informato dai medici
della situazione chiese, al medico che l’assistiva (Caio), di non essere più sottoposto alle cure
di sostentamento e di ricevere assistenza solo per lenire le so erenze siche ed in particolare
chiedeva che si procedesse al distacco dell’impianto di ventilazione (tutto ciò sotto
sedazione). Il medico oppose ri uto asserendo che non poteva esaudire le richieste del
paziente in relazione agli obblighi ai quali era ascritto. A questo punto tizio prima manda una
lettera al Presidente della Repubblica in cui appunto fa richiesta espressa di eutanasia, e poi si
rivolge alla magistratura attraverso un ricorso d’urgenza e facendo leva sull’art.32 Cost. (ri uto
di ricevere cure) e sul diritto di autodeterminazione dell’individuo.
(omicidio del consenziente)
Per quanto riguarda invece la responsabilità penale, la decisione ha previsto l’assoluzione del
dottore perché il suo comportamento rientrerebbe in un’ipotesi di adempimento di un dovere.

2. CASO DJ FABO E CAPPATO: Fabiano Antoniani, in seguito ad un incidente stradale,


riporta paralisi e cecità permanenti che non gli permettono di svolgere le fondamentali funzioni
vitali senza assistenza di un familiare o di personale medico oltre che ad aver bisogno di un
sistema di auto ventilazione meccanico; la sua condizione, inoltre, gli causa gravi so erenze
siche. A causa di tali lancinanti dolori e al fallimento delle cure a cui si è sottoposto, matura la
decisione di porre ne alla propria esistenza e si rivolge alla clinica svizzera Alpha la quale
o re dei servizi di assistenza al suicidio che permettono al paziente di porre ne alla propria
vita in maniera del tutto autonoma. A questo punto interviene Marco Cappato il quale è un
politico che da tempo lotta per la causa riguardante il diritto ad avere una morte dignitosa e si
o re di accompagnare, con la propria autovettura, tizio alla clinica. Giunti alla clinica il 27
febbraio 2017, tizio dà seguito autonomamente alla decisione di porre ne alle proprie
so erenze.

3. CASO ENGLARO

RISOLUZIONE 2 CASO: Marco Cappato, esponente dell’associazione ‘Luca Coscioni’, il giorno


successivo si autodenuncia. La procura di Milano è, così, obbligata ad accusarlo di aiuto al
suicidio e per lui inizia il processo, arrivato no alla Consulta.

Quest’ultima dichiara illegittimo l’art.580 c.p. nella parte in cui non esclude la punibilità di chi
agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un
paziente in n di vita a etto da una patologia irreversibile fonte di so erenze siche o
psicologiche facendo anche riferimento all’art.32 Cost.

Sulla scia di questa pronuncia la Corte Costituzionale con sentenza n242 del 2019 individua una
vera e propria area di non punibilità dell’aiuto al suicidio indicando condizioni chiare in presenza
delle quali la condotta di chi aiuta non è punibile ai sensi dell’art.580 c.p.; le condizioni indicate
dalla Corte sono 4:

- La persona deve essere a etta da una patologia irreversibile

- La patologia deve essere fonte di so erenze siche e/o psicologiche intollerabili.

- La persona deve essere tenuta in vita a mezzi di mantenimento di sostegno vitale.

- La persona deve essere capace di prendere decisioni in modo libero e consapevole. 


Quest’area di punibilità è dunque circoscritta sia da condizioni oggettive che soggettive. Sulla
base di questi principi la Corte d’Assise assolve Caio. (bene vita disponibile)

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ESERCIZIO DI UN DIRITTO

A norma dell’articolo 51: L'esercizio di un diritto(1) o l'adempimento di un dovere imposto da


una norma giuridica o da un ordine legittimo(2) della pubblica Autorità, esclude la punibilità [55].
Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell'Autorità, del reato risponde sempre
il pubblico u ciale che ha dato l’ordine.
Risponde del reato altresì chi ha eseguito l'ordine, salvo che, per errore di fatto, abbia ritenuto di
obbedire ad un ordine legittimo(3).
Non è punibile chi esegue l'ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato
sulla legittimità dell'ordine(4)(5).
La ragione giusti catrice della scriminante va ravvisata nella prevalenza dell’interesse di chi agisce
esercitando un diritto rispetto agli interessi eventualmente con ggenti.

Nello stesso tempo la ragion d’essere della non punibilità riposa sull’esigenza di rispettare il
principio di non contraddizione all’interno di uno stesso ordinamento giuridico; sarebbe infatti
logicamente contraddittorio che da un lato una norma concedesse un potere di agire e dall’altro
ne sanzionasse penalmente l’esercizio.

Ai ni dell’articolo 51 il concetto di diritto va inteso nell’accezione più ampia cioè come potere
giuridico di agire non importa quale sia la corrispondente denominazione legislativa o dogmatica.

La fonte del diritto può essere assai varia: Legge in senso stretto, Regolamento, Atto
amministrativo, Provvedimento giurisdizionale, Contratto di diritto privato, Consuetudine.

Nel dare riconoscimento esplicito alla prevalenza dell’interesse di chi agisce esercitando un
diritto, l’art 51 di per sé però non indica quando la norma attributiva del diritto debba ritenersi
prevalente rispetto alla norma incriminatrice. Vi sono infatti dei casi nei quali è la norma penale ad
avere la prevalenza rispetto alla norma che prevede il diritto e non viceversa, ad es risponde
penalmente chi incendia la casa propria con pericolo per la pubblica incolumità anche se le
norme civilistiche sulla proprietà attribuiscono la facoltà di disporre delle proprie cose.

I criteri invocabili al ne di stabilire se la norma attributiva del diritto limiti o, sia per contro, limitata
dalla norma penale sono essenzialmente 3:

I. Gerarchico (lex superior derogat legi inferiori)

II. Cronologico (lex posterior derogat legi inferiori)

III. Di specialità (lex speciali derogat legi generali)

Va precisato però che non basta vantare in astratto un diritto ma è necessario che l’attività
realizzata costituisca una corretta estrinsecazione delle facoltà inerenti al diritto in questione,
altrimenti si superano i con ni dell’esercizio scriminante e subentra un’ipotesi di abuso.

Per quanto riguarda i limiti cui il diritto e il relativo esercizio vanno incontro, in conseguenza della
necessità di salvaguardare altri diritti ugualmente meritevoli di protezione, si è soliti distinguere tali
limiti in interni ed esterni.

I primi sono desumibili dalla natura e dal fondamento del diritto esercitato.

I secondi invece vengono ricavati dal complesso delle norme di cui fa parte la norma attributiva
del diritto.

Come casi rilevanti di esercizio del diritto, si ricordano ad esempio il diritto di cronaca
giornalistica, garantito dall'art. 21 Cost, il diritto di sciopero, costituzionalmente garantito
dall'art. 40 Cost, nonché il ricorso ai cd o endicula cioè a quei mezzi di tutela della proprietà ( lo
spinato) il cui impiego talora provoca o ese a terzi.

L’e cacia scriminante dell’impiego dell’o endiculum viene tuttavia giustamente subordinata
all’esistenza di un rapporto di proporzione tra mezzo usato e bene da difendere.

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ADEMPIMENTO DI UN DOVERE

La ratio della scriminante va individuata nell'esigenza di rispettare il principio di non


contraddizione all'interno di uno stesso ordinamento giuridico.

Quanto alla fonte il dovere può scaturire o da una norma giuridica o da un ordine legittimo della
pubblica autorità; è opportuno trattare separatamente le due ipotesi:

• Qualsiasi regola di diritto sia scritta che consuetudinaria; Tipici casi esempli cativi del dovere
imposto da una norma giuridica sono quelli del poliziotto che esegue un arresto o dell'u ciale
giudiziario che procede ad un pignoramento, nei quali vengono appunto meno i rispettivi reati di
sequestro di persona e furto. Conformemente all'indirizzo giurisprudenziale consolidato, la
locuzione “dovere imposto da una norma giuridica” va intesa come comprensiva di qualsiasi
precetto giuridico non importa se emanato dal potere legislativo o da quello esecutivo.
• Nel dovere invece imposto da un ordine dell'autorità, l'ordine consiste in una manifestazione di
volontà che un superiore rivolge ad un subordinato in vista del compimento di una data
condotta. A nché l'esecuzione dell'ordine possa assumere e cacia esimente è necessario che
tra il superiore e l’inferiore intercorra un rapporto di subordinazione di diritto pubblico non di
diritto privato.
Quanto ai limiti del concetto di pubblica autorità quale fonte dell'ordine si oscilla tra
un'interpretazione restrittiva che vi ricomprende i soli pubblici u ciali e un'interpretazione più
estensiva che vi include gli incaricati di pubblici servizi legati da un rapporto di supremazia/
subordinazione e i soggetti esercenti servizi di pubblica necessità.
Ai ni della non punibilità non basta l'esistenza di un ordine ma occorre che questo sia legittimo.
Al riguardo bisogna distinguere tra presupposti formali e sostanziali di legittimità. I primi si
riferiscono: alla competenza del superiore ad emanare l'ordine, alla competenza dell'inferiore ad
eseguirlo, alla forma prescritta. I secondi invece attengono all’esistenza dei presupposti stabiliti
dalla legge per l'emanazione dell’ordine. (per esempio l'emanazione di una ordinanza di custodia
cautelare presuppone che sussistano su cienti indizi di colpevolezza).

Il subordinato ha il potere di sindacare la legittimità dell’ordine?

La risposta in senso a ermativo la ricaviamo indirettamente dall'ultimo comma dell'art.51, il quale


esclude la punibilità dell'esecutore di un ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun
sindacato sulla legittimità dell'ordine medesimo: se ne desume che, fuori da questa ipotesi
espressamente eccettuata, la sindacabilità del carattere legittimo dell'ordine è la regola.

Laddove il controllo di legittimità non venga e ettuato dai subordinati legittimati a farlo, la regola è
che anche loro rispondono penalmente dell'eventuale reato connesso in esecuzione dell'ordine
legittimo. L'articolo 51 comma 2 dispone infatti che del fatto commesso risponde sempre chi ha
dato l’ordine, e al 3 comma il legislatore aggiunge chi risponde altresì chi ha eseguito l’ordine.

La regola secondo la quale risponde anche l'esecutore dell'ordine legittimo partorisce tuttavia 2
eccezioni, l'esecutore cioè è esentato da responsabilità:

I. Se per errore di fatto ha ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo (art 51 comma 3)

II. Se la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine (art 51 ultimo co)

Sia la dottrina che la giurisprudenza concordano oggi nell'ammettere che esiste un limite
all'impossibilità di sindacare la legittimità sostanziale dell'ordine da parte dello stesso inferiore
vincolato alla più pronta obbedienza.

Tale limite viene individuato nella manifesta criminosità dell'ordine medesimo.

Si tratta di un'estensione analogica al diritto penale comune di un esplicito limite prima


contemplato dall’art. 40 (ora abrogato) del codice penale militare, e in atto previsto dall'art-4 delle
nuove norme di principio sulla disciplina militare (I. Il luglio 1979, n. 382), dove al ultimo comma è

stabilito: « il militare al quale viene impartito un ordine manifestamente rivolto contro le istituzioni
dello Stato o la cui esecuzione costituisce comunque manifestamente reato, ha il dovere di non
eseguire l'ordine e di informare al più presto il superiore».

Come caso emblematico di adempimento di un dovere abbiamo analizzato una questione attuale
riguardante un uomo di 100 anni, portato in tribunale con l’accusa di aver favorito l’uccisione di
migliaia di prigionieri nel campo di concentramento di Sachsenhausen, nel quale svolgeva la
funzione di guardia. Questo fatto di cronaca ha di peculiare 2 fattori: l’età del soggetto in
questione e la datazione dei fatti commessi (65 anni fa).

Il fatto che l’imputato fosse una guardia e che quindi eseguisse degli ordini può essere causa di
giusti cazione.

Ai sensi del comma 3 di tale articolo non sussiste la scriminante ma data l’età del soggetto in
questione il processo andrebbe svolto facendo leva sul valore simbolico ed etico del processo
medesimo data l’ine ettività della pena a causa dell’età del soggetto. 

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LEGITTIMA DIFESA

L'articolo 52 stabilisce che: Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto
dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un'o esa
ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'o esa [55].
Nei casi previsti dall'articolo 614, primo e secondo comma, sussiste sempre il rapporto di
proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno
dei luoghi indicati usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al ne di difendere:
a) la propria o altrui incolumità;
b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d'aggressione (1).
Le disposizioni di cui al secondo e al quarto comma si applicano anche
nel caso in cui il fatto sia avvenuto all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività
commerciale, professionale o imprenditoriale (1).
Nei casi di cui al secondo e al terzo comma agisce sempre in stato di legittima difesa colui che
compie un atto per respingere l'intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o
di altri mezzi di coazione sica, da parte di una o più persone (2)
La legittima difesa rappresenta un residuo di autotutela che lo Stato concede al cittadino nei casi
in cui l'intervento dell'autorità non può risultare tempestivo.

Il fondamento sostanziale dell’esimente è oggi quasi unanimemente ravvisato nella prevalenza


attribuita all'interesse di chi sia ingiustamente aggredito rispetto all'interesse di chi si è posto fuori
dalla legge (vim vi repellere licet). L'aggressione giusti ca la reazione difensiva anche se
l'aggressore sia un soggetto non imputabile, e ciò si spiega considerando che l'antigiuridicità
della condotta rileva in termini puramente oggettivi.

La struttura della legittima difesa ruota essenzialmente attorno a due comportamenti chi si
contrappongono: Una condotta aggressiva e Una condotta difensiva.

Per quanto riguarda le caratteristiche dell'aggressione possiamo a ermare che:

- Innanzitutto la minaccia deve provenire da una condotta umana; può scaturire anche da animali
o cose soltanto se è individuabile un soggetto tenuto ad esercitare su di essi una vigilanza.

- L’attacco deve avere ad oggetto un diritto altrui, dove per diritto si intende un qualsiasi
interesse giuridicamente tutelato;

- Deve trattarsi di un pericolo attuale e perdurante. Occorre dunque una minaccia di lesione
incombente al momento del fatto tale cioè che la reazione nei confronti dell'aggressore
rappresenti l'unico mezzo per mettere al riparo il bene posto in pericolo.

- Inoltre l’o esa deve essere ingiusta, contra jus, ovvero che l'aggressione oltre a minacciare un
diritto altrui non deve essere espressamente facoltizzata dall’ordinamento.

- La giurisprudenza e parte della dottrina ritengono che la scriminante in esame non sia
invocabile se la situazione di pericolo è volontariamente cagionata dal soggetto che reagisce: in
tal caso verrebbe infatti meno o il requisito della necessità della difesa o quello dell'ingiustizia
dell’o esa. Se ne deduce che l'art. 52 è inapplicabile al provocatore o a chi accolga una s da in
caso di rissa. Tuttavia se il legislatore avesse voluto subordinare la difesa legittima alla
produzione involontaria del pericolo, avrebbe manifestato questa sua volontà enunciando
espressamente tale requisito nello stesso testo dell'art. 52, il fatto invece che egli abbia
menzionato l'involontarietà del pericolo tra i requisiti del solo stato di necessità, costituisce la
migliore riprova dell’intenzione di non attribuire ad essa rilievo in tale ambito.

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Per quanto riguarda invece la reazione, quest'ultima è giusti cata solo in presenza di 2 requisiti:

• la difesa deve, innanzitutto, apparire necessaria ovvero inevitabile per salvaguardare iI bene
posto in pericolo (non deve essere sostituibile da altre azioni). Beninteso, il giudizio di necessità-
inevitabilità non è assoluto, ma relativo perché si deve tenere conto di tutte le circostanze del
caso concreto (mezzo difensivo a disposizione, forza sica delle persone coinvolte, condizioni di
tempo e di luogo, ecc.).

• Il secondo requisito necessario perché la reazione possa apparire giusti cata è quello della
proporzione tra difesa e o esa. Secondo un primo punto di vista, oggi senz'altro in via di
superamento, la proporzione dovrebbe intercorrere tra i mezzi difensivi a disposizione
dell'aggredito e quelli e ettivamente impiegati (ad es si potrebbe, quando altro mezzo non sia
disponibile, uccidere un individuo che senza motivo tenta di ammazzare il cane di una famiglia).
Accogliendo tale tesi criticata, si dovrebbe giungere alla conclusione che la difesa di un bene
meramente patrimoniale possa giusti care anche la lesione di un bene personale come la vita o
l'integrità sica: ma ciò equivarrebbe a sovvertire la gerarchia dei valori recepita dal nostro
ordinamento. È dunque da accogliere l'orientamento che assume a termine del giudizio di
proporzione il rapporto di valore tra i beni o interessi in con itto: in questo senso, occorre
operare un bilanciamento tra il bene minacciato e il bene leso, con la conseguenza che
all'aggredito che si difende non è consentito di ledere un bene dell'aggressore marcatamente
superiore a quello posto in pericolo dall'iniziale aggressione illecita. Per stabilire la proporzione
occorre inoltre distinguere se il con itto intercorre tra beni omogenei (ad es integrità sica
contro integrità sica), è ovvio che si dovrà porre a ra ronto il rispettivo grado di lesività
dell'azione aggressiva e dell’azione lesiva. Il discorso invece si complica rispetto ai beni
eterogenei (vita contro integrità sica, patrimonio, libertà sessuale. ecc.). Fuori dai casi nei quali
il rapporto gerarchico è particolarmente evidente dovrà farsi ricorso all'ausilio di “indicatori”
diversi, quali l'eventuale rilevanza costituzionale del bene o la valutazione o erta dal legislatore
penale attraverso l’entità della sanzione prevista. Al giudizio sull’importanza dei beni
contrapposti deve però seguire un secondo giudizio che ponga a confronto il rispettivo grado di
intensità dell’o esa minacciata dall’aggressore e di quella prodotta dall’aggredito.

Tradizionalmente si discute se la legittima difesa esuli ove l’aggredito possa mettersi in salvo con
la fuga. Un’opinione assai di usa in passato distingueva tra fuga e Commodus discessus; in
questo senso si sarebbe tenuti a fuggire soltanto quando le modalità della ritirata siano tali da non
far apparire vile il soggetto aggredito. Una simile soluzione sembra però troppo rigida soprattutto
in un epoca, come la nostra, meno legata al concetto di onore individuale.

Pertanto ad oggi il nodo dei rapporti tra reazione e fuga va sciolto tenendo conto del principio-
cardine del bilanciamento degli interessi. Dovrà pertanto ritenersi che il soggetto non è tenuto a
fuggire in tutti quei casi, nei quali la fuga esporrebbe beni suoi personali o di terzi a rischi
maggiori.

Si ricordi poi che è con gurabile una legittima difesa putativa (v. 59 4), ovvero quella esercitata a
fronte di una la situazione di pericolo che non esiste obiettivamente, ma è supposta erroneamente
dall'agente a causa di un erroneo apprezzamento dei fatti. A nché possa trovare applicazione
tale tipologia di legittima difesa è però necessario che l'erroneo convincimento abbia un
fondamento obbiettivo. Come esempio abbiamo esaminato durante il corso un caso riguardante
un ex giocatore della Lazio che entra nella gioielleria di un suo amico mimando una rapina.
Quest’ultimo non lo riconosce e lo spara con l’arma legittimamente detenuta causando il suo
decesso. In questo caso dunque non c’erano i presupposti reali della legittima difesa ma c’erano
nella mente di chi ha agito.

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La disciplina codicistica della legittima difesa è stata innovata con la l.13 febbraio 2006, n. 59, la
quale ha aggiunto all'art. 52 due nuovi commi destinati appositamente a regolamentare
l'esercizio del «diritto all'autotutela in un privato domicilio».

L’aspetto di maggiore novità consiste nella modi ca di disciplina del requisito della proporzione,
nel senso che, quando la reazione difensiva è diretta contro un «intruso» in una privata dimora, il
giudice è dispensato dal veri care in concreto la sproporzione tra o esa e difesa, essendo d'ora
in avanti il requisito della proporzione, in questi casi, legislativamente presunto “juris et de iure”.

In particolare analizzando in dettaglio la struttura normativa della difesa legittima nei luoghi di
privata dimora possiamo notare che dall'esame dei commi aggiunti emerge che la nuova
disciplina lascia sussistere, astenendosi dal modi carli, alcuni dei presupposti tradizionali della
legittima difesa cosi come indicati nel 1 comma dell'art. 52 e cioè:

—la necessità di difendersi;

—il pericolo attuale di una o esa ingiusta ad un diritto proprio o altrui



Ulteriori elementi di novità sono oltre la «presunzione» di proporzione, lo speci co contesto
situazionale in cui l'aggredito viene sorpreso, nonché dalle connesse condizioni concomitanti che
devono essere presenti perché la reazione violenta risulti legittima e, dunque. scriminata.

—Quanto al «contesto», la legittima difesa «allargata» riguarda tutti i casi di reazioni difensive che
avvengono all'interno di luoghi chiusi, inclusi quelli che sfuggono all’ambito di espressa previsione
dell'art. 614 del codice: infatti il 3° comma dell'art. 52 esplicita che la reazione armata è
ammissibile in «ogni altro luogo ove venga esercitata una attività commerciale, professionale o
imprenditoriale»

—Quanto alle connesse condizioni concomitanti che devono sussistere a nché sia consentito
contro l'intruso fare uso di un arma o altro mezzo idoneo alla difesa, distinguiamo 2 presupposti
indicate alle lettere a) b) del 2 comma
A. La prima ipotesi è quella in cui l'aggredito in una privata dimora attua una reazione violenta «al
ne di difendere la propria o altrui incolumità». Dalla nuova formulazione testuale sembra
doversi ricavare che non basta una situazione oggettiva di pericolo attuale di o esa ingiusta,
ma occorre che l'aggredito si rappresenti soggettivamente tale situazione e che reagisca
animato da un animus defendendi suscettibile di autonomo accertamento giudiziale.

B. La seconda ipotesi è quella in cui l'aggredito in una privata dimora attua una reazione violenta
allo scopo di difendere «i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di
aggressione». Sembrerebbe, in base ad una prima lettura di tale formulazione testuale, che il
legislatore del 2006 abbia deciso di anteporre la salvaguardia dei beni patrimoniali addirittura
al valore della vita e dell'integrità sica di chi li aggredisce. Se questo fosse e ettivamente il
senso della nuova normativa si contrasterebbe sia col sistema dei valori costituzionali, sia con
l'art. 2 della CEDU (che considera legittima la privazione della vita altrui a condizione che
avvenga per difendersi da una violenza illecita). Ma cosi non è perché la legittimità
dell'impiego dell'arma è subordinata alla presenza di 2 requisiti ulteriori, occorre che l'intruso
aggressore «non desista» e che sussista un «pericolo di aggressione».

In entrambe le ipotesi la liceità del ricorso in funzione difensiva all’uso di un’arma o altro mezzo
idoneo è subordinata alla presenza di un’ulteriore doppia condizione di legittimità; cioè il soggetto
che si difende deve essere presente legittimamente all’interno del luogo chiuso in cui subisce
l’intrusione del malvivente e l’arma usata deve essere legittimamente detenuta.

OSSERVAZIONE: Ma se io detengo un'arma in casa detenuta illegalmente e subisco


un'aggressione armata e nella foga del momento sparo, in questo caso il fatto che io detenga
l'arma illegalmente potrebbe essere utilizzata contro di me oppure si applicherà il primo comma
dell'art. 52? si applicherebbe comunque il 1 comma ma risponderò di detenzione illegale di arma.

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In ne, un accenno merita l’ulteriore riforma della legittima difesa, operata con legge 26 aprile
2019 n. 36, che è intervenuta a modi care l’ultimo comma dell’art. 52.

A tal riguardo, la disposizione oggi prevede che “nei casi di cui al secondo e al terzo comma
agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l'intrusione
posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione sica, da parte
di una o più persone”.

Secondo un primo orientamento tal comma ha aggravato ancora di più i requisiti da dover
accertare per dire che vi è difesa legittima.

E’ stata poi individuata un'altra possibile lettura (visione far west nota come difesa legittima
presunta), che a erma che se c'è qualcuno che sta per entrare nella propria abitazione, se costui
ha in mano un mezzo di scasso (mezzo di coazione) si può compiere qualsiasi atto per
respingerlo, e quindi senza badare ad alcun criterio di proporzionalità.

La giurisprudenza più consistente ad oggi, invece a erma che, siccome tale comma è stato
introdotto nell'ambito della legittima difesa, allora deve presentare il requisito della necessità,
quindi l'atto è valido ad escludere la punibilità quando è quello necessario ad evitare l'intrusione.
Solo 'l'atto necessario è lecito, qualsiasi esso sia.

A tal proposito abbiamo esaminato un caso durante il corso riguardante un malvivente Tizio, con
l'ausilio del complice Caio, che poco dopo la mezzanotte si introduce all'interno di un negozio di
abbigliamento di proprietà di Sempronio grazie ad un varco aperto nella saracinesca.

Caio, invece, lo aspetta in auto pronto a fuggire con la refurtiva.

Sempronio, che si trovava con la moglie e i gli nella sua abitazione ubicata al primo piano del
medesimo stabile e con accesso non collegato al negozio sottostante, viene allertato dal primo
allarme e acquista la certezza dell'avvenuta intrusione con lo scatto del secondo allarme munito
di arma da fuoco legittimamente detenuta, dopo aver chiesto ai vicini di allertare le forze
dell'ordine, si reca al di fuori della propria abitazione e inizia a sparare, esplodendo i primi colpi in
aria, poi all’indirizzo dell'autovettura dei ladri, mettendola fuori gioco, ed in ne all'indirizzo di Caio,

che era nel frattempo sceso dall'auto per in larsi nel varco aperto nella saracinesca del negozio,
provocandone il decesso.

Innanzitutto siccome il fatto non è avvenuto all’interno del domicilio ma sulla strada pubblica,
allora la legittima difesa di cui si potrebbe trattare è quella di cui al comma 1.

individuato l’istituto da applicare bisogna comprendere se ci sono i requisiti previsti.

Il requisito dell’attualità del pericolo sembrerebbe esserci; il problema sta nella necessità dello
sparo infatti sappiamo che la difesa privata è ammessa in via residuale cioè quando non ci si può
a dare alla difesa statale ma in questo caso erano suonati ben 2 allarmi e le forze dell’ordine
erano state avvertite quindi lo sparo è stato un atto di vendetta privata.

Si tratta di una riforma che ha suscitato reazioni fortemente contrastanti.

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USO LEGITTIMO DELLE ARMI

Lart. 53, comma 1° del codice penale stabilisce che: ferme le disposizioni contenute nei due
articoli precedenti, «non è punibile il pubblico u ciale che, al ne di adempiere un dovere del
proprio u cio, fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo di coazione sica,
quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza
all'Autorità, e comunque di impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio,
sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e
sequestro di persona».
La scriminante dell'uso legittimo delle armi è stata con gurata come causa di giusti cazione
autonoma soltanto dal legislatore del 1930.

La ragione dell'innovazione legislativa è, probabilmente, da ravvisare nell'intento del legislatore

fascista di sottolineare la prevalenza del potere di coercizione statuale nelle situazioni che
pongono in con itto i cittadini e l'autorità: un indizio a riprova sembra ricavabile dalla mancata
menzione della «proporzione» tra i requisiti dell'esimente.

Da qui la necessità di interpretare la causa di giusti cazione in esame in modo restrittivo, cioè
conforme ai principi che caratterizzano il nuovo ordinamento democratico.

Dalla «clausola di riserva» inserita all'inizio dell'art. 53 («ferme le disposizioni contenute nei due
articoli precedenti») si desume che la causa di giusti cazione dell'uso legittimo delle armi ha
natura sussidiaria, nel senso che si fa luogo alla sua applicazione soltanto ove difettino i
presupposti della legittima difesa o dell'adempimento del dovere.

Occorre, per poter bene ciare della scriminante, la qualità di pubblico u ciale del soggetto, si
tratta infatti dell’unica scriminante propria (onde la scriminante è inapplicabile agli «incaricati di un
pubblico servizio» e agli «esercenti un servizio di pubblica necessità»).

Per quanto l'ampia formula legislativa adottata dall'art. 53 sembri voler ricomprendere tutti i
soggetti che esercitano una pubblica funzione e che perciò sono pubblici u ciali a norma dell'art.
357 dello stesso codice, appare preferibile l'interpretazione più restrittiva, rivolta a circoscrivere
l’operatività della scriminante agli agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria e

ai militari in servizio di Pubblica sicurezza.

Per e etto del 2° comma dell'art. 53, la scriminante in esame può essere altresì applicata «a
qualsiasi persona che, legalmente richiesta dal pubblico u ciale, gli presti assistenza».

Il ne perseguito dal pubblico u ciale deve essere quello di adempiere un dovere del proprio
u cio, sicché la scrininante è esclusa in presenza di uno scopo di vendetta o di arbitraria
sopra azione.

Il ricorso alla coazione sica è giusti cato quando non si ha altra scelta per adempiere al proprio
dovere, all'infuori di quella di far uso di un mezzo coercitivo.

Considerato il carattere di extrema ratio della scriminante in esame, il requisito della necessità va
però interpretato anche nel senso che il pubblico u ciale deve impiegare, tra i mezzi idonei a
disposizione, quello meno lesivo.

La violenza deve consistere in un comportamento attivo tendente a frapporre ostacoli


all'adempimento del dovere di u cio.

Stante la mancata di erenziazione, nel testo dello stesso art. 53, tra «violenza» e «minaccia»,

qualche autore ritiene che la violenza abbracci anche la coercizione psichica tendente a in uire
sul comportamento dei destinatari; a nostro avviso, la tesi è accoglibile purché si sottolinei che la
minaccia deve essere seria e particolarmente grave.

Più controvertibile appare l'interpretazione dell'estremo della resistenza che richiede un rapporto
di proporzione da un lato tra i mezzi di coazione impiegati e il tipo di resistenza da vincere e
dall’altro tra i beni in con itto.

La ratio della scriminante in esame va ravvisata nel principio “eius nulla culpa est, cui parere
necesse sit” ovvero colui che ha l’obbligo di obbedire non incorre in colpa.

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STATO DI NECESSITA’

L'art. 54. comma 1° del codice stabilisce che «non è punibile chi ha commesso il fatto per
esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave
alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il
fatto sia proporzionato al pericolo».
La ragione giusti catrice della scriminante viene fatta risiedere nella mancanza di interesse dello
Stato a salvaguardare l'uno o l'altro dei beni in con itto, posto che nella situazione data un

bene è in ogni caso destinato a soccombere. In base al principio del bilanciamento degli interessi,
è però necessario che il bene sacri cato sia di rango inferiore o equivalente o di poco superiore
rispetto a quello salvato.

Dal punto di vista strutturale, lo stato di necessità presenta forti analogie con la legittima difesa,
ma se ne di erenzia per 3 elementi fondamentali:

I. si giusti ca una condotta lesiva nei confronti di un terzo estraneo e non di un aggressore;

II. L’azione giusti cata non deve tendere a salvaguardare un qualsiasi diritto come nella legittima
difesa ma deve mirare a scongiurare il pericolo attuale di un danno grave alla persona;

III. In ne è da precisare che, sul piano delle conseguenze sanzionatorie, lo stato di necessità si
di erenzia dalla legittima difesa: infatti ai sensi dell'art. 2045 del codice civile, in caso di
stato di necessità al danneggiato (terzo estraneo) è dovuta un'indennità, la cui misura è
rimessa all'equo apprezzamento del giudice. Ciò si spiega considerando che il soggetto
passivo della lesione è un terzo estraneo e non un aggressore.

Per quanto riguarda le caratteristiche principali di quesa forma di giusti cazione possiamo
a ermare che:

- Deve trattarsi di un pericolo attuale, anche se non di rado è opportuno agire anticipatamente
per impedire l'aggravamento delle potenzialità lesive insite nella situazione pericolosa, ed
inoltre non deve essere volontariamente causato né altrimenti evitabile. Si considerano
volontariamente causate le situazioni di pericolo dovute anche a semplice colpa: ad es.
l'automobilista che crea una situazione di rischio a causa della propria condotta imprudente, e
che prevede (colpa c.d. cosciente) o poteva prevedere (colpa cd. incosciente) il veri carsi di un
sinistro, non potrebbe giusti carsi delle lesioni prodotte ad altri adducendo come scusa che
l'investimento è derivato dalla necessità di evitare un pericoloso urto contro un ostacolo.
L'esplicita menzione della inevitabilità-altrimenti come requisito ra orzativo della «necessità» di
salvare sé od altri da un danno grave alla persona sta a indicare che nell'ambito dello stato di
necessità non solo può scriminare soltanto la condotta che arreca il minore danno al terzo
coinvolto senza sua colpa, ma che la valutazione della inevitabilità stessa deve essere
e ettuata con criteri più rigorosi che non nella legittima difesa. In questo senso, si ritiene
comunemente che la «fuga» sarebbe sempre da preferire all'o esa arrecata al terzo innocente
(beninteso, sempre purché la fuga non esponga lo stesso agente o terzi a rischi maggiori di
quelli incombenti sul soggetto passivo dell’azione necessitata).

- Il pericolo deve avere ad oggetto un danno grave alla persona, dove l’opinione ad oggi
dominante ritiene che l’interpretazione del concetto di «danno alla persona» deve evitare
restrizioni aprioristiche: tale concetto è, di per sé, idoneo a ricomprendere qualsiasi lesione
minacciata ad un bene personale giuridicamente rilevante.

- L'ultimo elemento proprio dello stato di necessità è la proporzione fatto-pericolo, la quale dovrà
essere valutata sulla base del rapporto di valore intercorrente tra i beni con iggenti. In questo
senso sussiste un rapporto di proporzione tra fatto e pericolo se il bene minacciato prevale
rispetto a quello sacri cato o, almeno, gli equivale. Tuttavia in tal modo si riduce il giudizio di
equivalenza ad un ra ronto tra i beni in con itto concepiti come entità statiche, così
escludendo dalla prospettiva della proporzione tutti gli altri elementi signi cativi che
contribuiscono a caratterizzare la situazione concreta: come l'attualità del pericolo, la
necessità-inevitabilità di realizzare l'azione difensiva del bene minacciato, ecc. Per superare
quest'ottica ristretta, occorre integrare il ra ronto del valore dei dei beni con l'esame
comparativo dei rischi rispettivamente incombenti in base ad un accertamento ex ante sul bene
da salvaguardare e su quello del terzo che viene aggredito. Si può dunque adottare in sede di
giudizio di proporzione tale criterio-base secondo cui quando il rischio maggiore è quello
gravante sull'interesse del terzo innocente, il rapporto di valore tra i beni dev'essere
proporzionalmente a vantaggio di quello da salvaguardare; quando invece il bene di maggior
peso è quello aggredito, il rapporto tra i rischi deve essere proporzionalmente a vantaggio di
quello salvaguardato.

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Il 1 comma dell’art 54 contempla anche l’ipotesi del c.d. soccorso di necessita: la quale ricorre
se l’azione necessitata è compiuta non dallo stesso soggetto minacciato, ma da un terzo
soccorritore. (es Tizia sta attraversando le strisce pedonali e c'è una macchina che sta per
investirla e Caio per salvare Tizia si scaraventa su di lei per salvarla ma di fatto travolge lei e tre
tizi sul marciapiede provocando loro delle lesioni. In questo caso la condotta che ho posto in
essere per salvare lei ha inevitabilmente leso dei tizi fermi sul marciapiede e in questo caso la mia
azione sarà scriminante.)

Il 2° comma dell'art. 54 stabilisce che la scriminante dello stato di necessità «non si applica a chi
ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo»: tale ad es. il caso dei vigili del fuoco,
delle guardie alpine, ecc.

Si deve ritenere che la scriminante sia applicabile se chi ha un particolare dovere di esporsi

al pericolo realizza un'azione necessitata per salvare non se stesso, ma terzi in pericolo.

L'ultimo comma dell'art. 54 estende l'ambito di operatività della causa morale di giusti cazione
in esame ai casi in cui «lo stato di necessità è determinato dall'altrui minaccia; ma, in tal caso, del
fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l'ha costretta a commetterlo».

Si tratta dell'ipotesi della cd coazione morale, esempli cata dal caso dell'automobilista che
provoca un incidente perché spinto a correre sotto la minaccia di una pistola: pur nel silenzio della
legge, l'e cacia scriminante della coazione morale deve ritenersi subordinata all'esistenza di tutti
i requisiti dello stato di necessità come n qui esaminati.

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Nel linguaggio penalistico si suole parlare di antigiuridicità o illiceità speciale riguardo a casi nei
quali la stessa condotta tipica è contraddistinta da una nota di illiceità, desunta da una norma
diversa da quella incriminatrice.

La presenza di questa speciale antigiuridicità è indiziata da espressioni legislative quali
illegittimamente, abusivamente, arbitrariamente, indebitamente e simili, oppure quali abusando dei
poteri e delle qualità, ecc. Si tratta nella gran parte del casi di elementi c.d. normativi della
fattispecie, per la cui determinazione concettuale occorre fare riferimento ad una disposizione
extra-penale potenzialmente appartenente a qualsiasi ramo dell'ordinamento.

Un esempio è fornito dal delitto di cui all’art. 348 c.p. (esercizio abusivo di una professione per la
quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato): l’avverbio abusivamente richiede il
contrasto con le disposizioni amministrative sulle professioni. Analogamente, l’art. 659 (esercizio
di un mestiere rumoroso) richiede che il fatto avvenga contro le disposizioni della legge o le
prescrizioni dell’autorità.

La rilevanza pratica della categoria si proietta sul terreno del dolo e dell’errore, posto che il
contrasto tra la condotta tipica e la norma extra-penale deve ri ettersi nel momento conoscitivo
della volontà colpevole: come si vedrà un errore sulla illiceità speciale, ove scaturisca dalla
erronea interpretazione di una norma extra- penale, può risolversi in un errore sul fatto che
esclude il dolo (art. 47, comma 3).

La presenza di un requisito di antigiuridicità speciale è, nella maggior parte dei casi,


espressamente evidenziata dallo stesso legislatore mediante una delle formule linguistiche sopra
accennate. Talvolta può accadere che la fattispecie incriminatrice in proposito taccia e che
l’illiceità speciale emerga interpretativamente; ancora all’uso delle tipiche formule linguistiche non
sempre corrisponde una illiceità speciale (illiceità speciale apparente): queste formule di illiceità
speciale si risolvono in una ridondanza retorica o superfetazione normativa, giacché ribadiscono
inutilmente l'esigenza che al fatto tipico non si accompagni una causa di giusti cazione.

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