Introduzione
• il diritto penale deve, in primis, circoscrivere il suo intervento alla sfera dei beni
giuridici che si percepiscono come maggiormente rilevanti per la vita della
collettività;
Stato e contro l'ordine pubblico. Ma, a ben vedere, anche quando alcuni dei
presupposti per l'applicazione della norma penale risultano ricavabili da altri rami del
sistema giuridico, il collegamento che si viene ad instaurare tra il fatto vietato (cioè il
reato) e la conseguente sanzione (vale a dire la pena) prescinde da questi presupposti,
data la sua autonoma natura: così, per intenderci, se è vero che per configurare l'ipotesi
del furto è necessario far ricorso ai concetti di proprietà e possesso (ricavabili dalle
norme civilistiche), il precetto che comanda di non rubare trova, però, la sua fonte
originaria ed esclusiva all'interno del codice penale, all'art. 624;
• la tutela che offre il diritto penale presenta, infine, un carattere frammentario; e il
motivo di ciò risiede nel fatto che, nel provvedere alla protezione dei beni giuridici, il
diritto penale individua, tra le possibili ed infinite forme di aggressione, solo quelle più
significative dal punto di vista socio-giuridico (in questo modo, accade che, nel
codificare tali atteggiamenti, determinati comportamenti finiscono per risultare leciti o
anche indifferenti sotto il profilo penalistico).
• la terza è costituita, infine, dal tipo di sanzioni che si possono irrogare (prima tra
tutte la pena criminale, detentiva o pecuniaria, che si sostanzia in una considerevole
limitazione della libertà personale).
anche definite teorie della prevenzione. Al loro interno, per altro, si deve distinguere a
seconda che l'effetto preventivo sia rivolto alla generalità dei consociati (e, allora, si
parlerà di ed. prevenzione generale) o si ponga, al contrario, l'accento su obiettivi di
ri-socializzazione del reo (e, in tal caso, si parlerà di ed. prevenzione speciale).
Parte I
I presupposti culturali ed istituzionali del diritto penale vigente
Capitolo unico
§1. Alle origini del diritto penale moderno: il giusnaturalismo laico La nascita di una
teoria penale, razionalmente orientata, viene fatta risalire intorno al XVII secolo:
infatti, fu proprio in questo periodo storico che cominciò a maturare il passaggio dal
diritto naturale teologico al diritto naturale laico. In particolare, il motivo che
condusse all'attuazione di questo mutamento risiedeva nell'esigenza, avvertita dai
giuristi, di trovare un fondamento del diritto che fosse in grado di prescindere dalle
differenze religiose e da quelle confessionali: non a caso, sarà proprio su tali basi che
Hobbcs intraprenderà, poi, la fondazione giusnaturalistica del diritto. L'idea nuova
consisteva, in breve, nell'attribuire al diritto naturale non il compito di far calare dal
cielo la giustizia divina, ma solo quello di costruire in terra un sistema che fosse in
grado di superare il caos dello stato di natura pregiuridico e che riuscisse, per questa
via, a garantire la sicurezza dei consociati. Nella materia penale, tuttavia, le idee del
diritto naturale laico incontrarono particolari difficoltà ad affermarsi sulla tradizione,
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perché erano troppo forti le radici sacre del diritto penale (basti pensare alla totale
identificazione tra delitto e peccato, propria della ideologia medievale); nonostante
questi ostacoli, però, una prospettiva interamente giusnaturalistica era, in realtà, già
presente all'interno dell'opera di Ugo Grozio: il De Jurc belli ac pacis (1625), il cui
contenuto si presentava, infatti, in netto contrasto con le concezioni teocratiche del
tempo. Nella costruzione di Grozio, difatti, Stato e diritto erano concepiti da un punto di
vista esclusivamente razionale; e questo tratto caratteristico finì, di riflesso, per
influenzare anche la concezione dell'autore sulla materia penale, con riferimento alla
quale, infatti, l'illecito fu identificato con il fatto che contraddice alle regole di una
ordinata comunità di esseri razionali. La sfera giuridica, in tal modo, venne a separarsi
dalla sfera morale: e questo smembramento finì per indirizzare l'intervento punitivo
solo verso i comportamenti esteriori dell'uomo, in qualità di fatti socialmente dannosi.
c) Cesare Beccaria
Il discorso avviato in Francia dal Montesquieu sarà ripreso in Italia, vent'anni dopo, da
Cesare Beccaria, autore del trattato Dei delitti e delle pene, attraverso il quale, grazie
ad una felice sintesi dei principi dell'illuminismo in materia di leggi e di giustizia
penale, si porranno le basi dell'indirizzo liberale del diritto e del processo penale.
Grazie a quest'opera, invero, Beccaria può essere, a ragione, considerato il fondatore
del moderno diritto penale, in quanto la maggior parte dei principi da lui enunciati, in
polemica contro la crudeltà e l'arbitrarietà del sistema penale dell'antico regime,
costituiscono, ancora oggi, dei capisaldi fondamentali di un ordinamento che aneli a
essere definito garantista. Più precisamente, i principi enunciati dal Beccaria possono
essere sintetizzati nel modo seguente:
• concezione utilitaristica del diritto penale, in ragione della quale il sistema
penalistico non deve porsi l'obiettivo di far trionfare un'astratta virtù morale, bensì
intervenire solo quando sia assolutamente necessario e socialmente utile;
• certezza e chiarezza del diritto penale, in quanto è diritto di tutti i cittadini conoscere
in precedenza ciò che è vietato e ciò che è consentito dalla legge penale;
• la pena deve colpire il delinquente in misura proporzionata al male dallo stesso
commesso (ed. principio di proporzionalità della pena), ma le sue finalità devono
essere esclusivamente quelle di impedire al delinquente di danneggiare di nuovo la
società (ed. prevenzione speciale), nonché di distogliere i consociati dal commettere
reati dello stesso genere (ed. prevenzione generale);
• le pene, stabilite in modo chiaro e tassativo dal legislatore, devono essere inflitte con
rapidità, in quanto il potere intimidatorio di una pena mite, ma certa, è maggiore di
quello di una pena terribile, ma incerta nella sua applicazione.
Beccaria, infine, volge lo sguardo anche ai temi processuali, perché egli è consapevole
che le regole della procedura costituiscono un ambito essenziale del sistema penale:
non a caso, le pagine dedicate alla pratica della tortura e alla pena di morte sono tra le
più note del suo manuale (in particolare, per ciò che concerne la parte relativa alla pena
di morte, la cui abolizione viene giustificata in termini contrattualistici, in virtù del
fatto che nessun essere umano sarebbe disposto a concedere alla società il diritto di
disporre della propria vita).
L'esigenza di eseguire uno studio analitico delle principali categorie penalistiche (in
particolare per ciò che concerne il tema relativo alla teoria della pena), sarà avvertita
anche da Mario Pagano, il quale, attraverso la teoria della minaccia penale come un
contrario motivo rispetto ai motivi a delinquere, anticiperà l'elaborazione del concetto
di prevenzione generale mediante intimidazione.
Seguendo questo schema, Pagano considera la pena come la perdita di un diritto per
un diritto violato o per un dovere omesso; per essere giusta, quindi, essa deve
corrispondere al delitto sia per la qualità che per la quantità. Anche per Pagano, tuttavia,
il fine (o scopo) del diritto penale resta quello di prevenire i delitti, ed è in quest'ordine
di idee che egli maturerà la sua teoria del contrario motivo: in altre parole, al piacere
derivante dalla commissione del delitto, il legislatore deve opporre (al reo e agli altri
consociati) il timore della pena, quale argine fortissimo e potente ostacolo (in
quest'ottica, la pena viene configurata come controspinta alla spinta criminosa).
Negli stessi termini si pone, infine, la teoria penale di Gian Domenico Romagnosi, che
si ispira, infatti, alla concezione del diritto penale come strumento di difesa sociale:
degna di nota qui è, in particolare, la significativa sintonia con il famoso enunciato del
giurista tedesco Anselm von Feuerbach, per il quale, infatti, la pena si configura come
coazione psicologica all'osservanza del precetto.
nelle province del meridione, che erano infestate dal brigantaggio); e fu proprio a causa
di questa diatriba che i lavori preparatori del nuovo codice durarono oltre vent'anni, al
termine dei quali, tuttavia, prevalse l'opzione abolizionista, quanto alla pena capitale
(che, di fatto, già non veniva applicata da oltre un decennio, al tempo della
promulgazione del codice).
Va tenuto presente, in ogni caso, che il nuovo codice penale prevedeva, rispetto alla
legislazione preunitaria, non solo l'abolizione della pena di morte, ma anche:
Il codice, inoltre, dedicava degli ampi riferimenti alla categoria dell'imputabilità (che
era fondata sulla coscienza e libertà dei propri atti), ai criteri di imputazione soggettiva
del reato (dolo, colpa, responsabilità oggettiva), alle cause di giustificazione.
Ovviamente, all'interno del nuovo codice venivano enunciati i princìpi fondamentali
propri del garantismo illuministico-liberale: dal principio di legalità alla regola della
irretroattività della legge penale.
Per converso, nella parte speciale del codice affioravano, però, le esigenze di tutela di
classe, sia nel sistema dei delitti contro la sicurezza dello Stato, che in relazione ad
altre categorie di reati; d'altra parte, i contenuti garantistici del nuovo codice venivano
puntualmente disattesi dal ricorso alla legislazione di pubblica sicurezza e alle misure
di polizia: per cui, non ci si può sorprendere se il codice del 1889 (che certo segnava un
momento fondamentale di unificazione e di progresso) provocò l'effetto di spaccare
letteralmente in due la cultura giuridica italiana.
All'apice del suo successo, la Scuola positiva si fece promotore anche di un Progetto
preliminare di codice penale italiano (si tratta del ed. progetto Ferri, del 1921), che era
orientato all'accoglimento di tutti i presupposti (sia filosofici che politico-criminali)
dell'indirizzo positivistico: dalla negazione della distinzione tra delinquenti
imputabili e non imputabili, alla segregazione a tempo - assolutamente o
relativamente - indeterminato, alla parificazione del tentativo al delitto consumato,
alla costruzione delle circostanze, sia aggravanti che attenuanti, esclusivamente in
funzione della pericolosità del delinquente. Il progetto Ferri, in ogni caso, non riuscì
ad ottenere la trasformazione in legge dello Stato, anche perché, di lì a poco, si
sarebbero prodotti in Italia dei mutamenti politici molto significativi.
§5. Il diritto penale tra il codice Rocco e la Costituzione repubblicana Ad oltre 50 anni
dalla fine del secondo conflitto mondiale e dalla caduta del regime fascista, non si sono
mai determinate, in Italia, le condizioni per il varo di un nuovo codice penale; vi sono
state, tuttavia, riforme parziali di stampo legislativo, nonché ripetuti interventi della
Corte costituzionale, che hanno contribuito di sicuro a modificare la fisionomia del
sistema codicistico.
In particolare, tra gli interventi legislativi di più ampia portata ricordiamo:
• la L. 220/74, la prima e la seconda legge penitenziaria (L. 354/75 e L. 663/86) e la
L. 689/81 (denominata Modifiche al sistema penale);
• altra importante novità legislativa è, poi, costituita dalla L. 274/2000, attraverso la
quale sono state attribuite al giudice di pace limitate competenze in materia penale.
Al di là delle riforme legislative citate, però, quel che conta qui rilevare è soprattutto
l'importanza che rivestono, per il diritto penale, le norme della nostra Costituzione:
ci riferiamo, in particolare, a quelle contenute negli artt. 25, co. 2 e 3 e 27, co. 1, 3 e
4 (principio di legalità e principio della personalità della responsabilità penale).
Parte II
La legge penale
Capitolo I