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Dispensa di istituzioni di diritto privato Bocchini - Quadri

Istituzioni di diritto privato (Università degli Studi di Napoli Federico II)

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PARTE II
CATEGORIE GENERALI
Cap.1
Soggetto e persona.
Il codice civile non offre la nozione di soggetto giuridico dandola evidentemente per scontata. Più
che altro i destinatari delle regole su cui si fonda l'ordinamento sono le persone giuridiche (titolo I) e
le persone fisiche(titolo II). Il nostro ordinamento giuridico, come poi ogni altro, individua i soggetti
come titolari degli interessi presi in considerazione e disciplinati mediante le regole finalizzate alla
risoluzione dei relativi conflitti. Con la formula di soggetto giuridico si allude ad un possibile punto di
riferimento di rapporti giuridici, e quindi tale soggetto risulta titolare di situazioni giuridiche
soggettive. La nozione di soggetto giuridico è una nozione di carattere puramente formale in quanto
esclusivamente collegata alla potenziale titolarità di situazioni giuridiche soggettive, con il
riconoscimento da parte dell'ordinamento di quella attitudine ad essere titolare di situazioni
giuridiche soggettive che viene definita come capacità giuridica. Tuttavia non sempre a tutti gli
uomini viene riconosciuta la capacità di essere titolari di situazioni giuridiche soggettive, relegando
taluni addirittura al rango di mero oggetto di situazioni giuridiche altrui. Il riconoscimento
dell'autonomia delle valutazioni dell'ordinamento in materia è risultato funzionale all'estensione
della capacità giuridica anche ad entità diverse dall'uomo. Ed è proprio in questo senso che la
dottrina si è preoccupata di elaborare la nozione di soggetto giuridico quale categoria unitaria che
comprende sia persone giuridiche sia persone fisiche. Persone fisiche considerate senz'altro soggetti
in quanto uomini, persone giuridiche considerate soggetti di diritto solo in quanto riconosciute tali
attraverso meccanismi specificamente predisposti dall'ordinamento.

Tipologie
Sono considerati soggetti giuridici innanzitutto le persone fisiche. Il codice civile non ha potuto fare
altro che riconoscere ad ogni uomo la qualità di soggetto giuridico e lo si è fatto ricollegando al
momento della nascita l'acquisto della capacità giuridica. Il riconoscimento dell'uguale qualitá di
soggetto giuridico ad ogni uomo, in quanto considerato come persona, centro di imputazione di
situazioni giuridiche attive e passive, nell'impianto originario del codice civile non evitava
discriminazioni sul piano della capacità giuridica. In particolare oltre alle discriminazioni rivolte
contro la donna, l'ordinamento proponeva una discriminazione anche riguardo la razza. L'art. 1 del
codice civile del 1938 prevedeva che “limitazioni della capacità giuridica derivanti dall'appartenenza
a determinate razze sono stabilite da leggi speciali”. A prescindere dall'abrogazione di tale
previsione avvenuta nel 1944, qualsiasi discriminazione in tema di capacità sarebbe destinata a
trovare un insormontabile ostacolo nell'articolo. 3 della costituzione che sancisce il principio di pari
dignità sociale e della eguaglianza davanti alla legge senza distinzione di sesso, razza, lingua,
religione, opinione politica ecc.,

Una persona giuridica, in diritto, indica un ente (associazioni, fondazioni ecc) al quale l'ordinamento
giuridico attribuisce la capacità giuridica facendone così un soggetto di diritto. In generale la
capacità giuridica riconosciuta alla persona giuridica (personalità giuridica) è meno estesa di quella
riconosciuta all'essere umano in quanto soggetto di diritto, ossia alla persona fisica, poiché la
persona giuridica non può essere parte di quei rapporti giuridici che, per loro natura, possono
intercorrere solo tra persone fisiche (l'esempio tipico è rappresentato dai rapporti familiari).

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Soggetto e status
Gli ordinamenti essendo fondati sul principio di uguaglianza consentono di guardare l'uomo nella
veste di soggetto giuridico in una prospettiva unitaria, cioè che prescinde da ogni considerazione
relativa al suo stato o condizione sociale inteso nel senso di appartenenza a classi, ceti o caste. Il
superamento del senso di appartenenza a ceti, classi o caste è rappresentato dal passaggio dalla
vecchia alla nuova concezione di organizzazione della società. In tale passaggio risulta fondamentale
l'applicazione delle medesime regole a tutti i consociati, riconosciuti come portatori di una identica
capacità giuridica con uguali potenzialità quanto a titolarità di diritti ed obblighi. Con il concetto di
status non ci si riferisce più ad una qualità del soggetto ricollegato ad un ceto o ad una casta di
appartenenza, ma piuttosto ad una situazione giuridica soggettiva che indica la posizione di un
soggetto rispetto a determinati gruppi sociali organizzati.

Particolare importanza assumono, anche sotto un profilo storico, lo stato di cittadino (status
civitatis) e lo stato familiare (status familiae) del soggetto. Il primo fa riferimento al diritto pubblico
mentre il secondo al diritto privato per l'importanza sociale che l'ordinamento conferisce all'organo
famiglia. Bisogna comunque affermare che è lo stato a fissare rigidamente le condizioni e gli effetti
in ordine allo status del soggetto: di qui il principio della INDISPONIBILITÀ DEGLI STATUS FAMILIARI E
DELLE AZIONI. Al di là degli status familiari, è possibile utilizzare il medesimo concetto con riguardo
alla posizione del soggetto quale membri di gruppi organizzati come, associazioni o società
(associato o socio).
Dove manchi un gruppo organizzato piuttosto che status si può parlare principalmente delle qualità
del soggetto. Si pensi a qualitá collegate ad attività svolte abitualmente dal soggetto come ad
esempio l'imprenditore, lavoratore subordinato, consumatore, cliente o utente.

CAPITOLO 2
Beni giuridici
Secondo l'art. 810 sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti. Con il termine bene
indichiamo una entità in grado di provocare utilità al soggetto. Il bene in ragione dell'utilitas può
provocare attitudine a soddisfare interessi considerati rilevanti così da farne possibile oggetto di
diritti. Una cosa per essere considerata bene deve essere suscettibile di appropriazione e di utilizzo,
deve possedere cioè un valore. Una cosa ha valore quando esiste in qualità limitata ed è suscettibile
di appropriazione. I beni sono formati oltre che da cose materiali anche da res incorporales (beni di
naturala patrimoniale o secondo l'art 814 le energie naturali). Non sono definite beni le cose
incommerciabili. Un discorso particolare va fatto per le parti separate del corpo umano. Solo per
alcune di esse vige una condizione di libera disponibilità e di circolazione come ad esempio i capelli.
Per altre parti si ha una situazione di massima incommerciabilità e di una limitata disponibilità senza
mai la possibilità di trarne lucro. Non si considerano beni poi le cose comuni a tutti in quanto
essendo liberamente disponibili a tutti in natura e essendo illimitate il loro godimento non può
essere fonte di conflitti e di interessi. Esempi sono l'aria o l'acqua del mare. Tuttavia l'intervento
dell'uomo può determinare un valore economico dando così luogo all'esistenza di un bene anche
per il diritto. Si pensi allo sfruttamento dell'atmosfera come luogo di propagazione delle onde
radioelettriche da reputare beni mobili ai sensi dell'articolo 814. Sono da considerare beni le cose
che al momento non costituiscono oggetto di diritti ma sono suscettibili di diventarlo attraverso la
relativa appropriazione, si tratta delle cose di nessuno come i pesci e le case abbandonate
intenzionalmente dal proprietario a differenza di quelle smarrite trattate diversamente dal
legislatore.

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Beni immobili e beni mobili.


Il codice civile vigente ha conservato la tradizionale distinzione tra beni immobili e beni mobili. L'art.
812 individua i beni immobili, mentre beni mobili sono considerati tutti gli altri beni. Per l'art. 812
sono beni immobili il suolo, le sorgenti, i corsi d'acqua, gli alberi, gli edifici e in genere tutto ciò che
naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo. Sono reputati beni immobili ai sensi
dell'articolo 812 i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti a condizione che siano saldamente
assicurati alla riva o all'alveo. I beni mobili vengono reputati in via residuale in quanto a tale
categoria appartengono tutti i beni non considerati tra quelli immobili. Le energie naturali, aventi
valore economico, sono considerate beni mobili. Decisiva per l'individuazione della disciplina
applicabile è la NATURA dell'oggetto del diritto: ai fini dell'applicabilità del regime dei beni mobili
opera il CRITERIO DELLA RESIDUALITÀ. La categoria dei beni mobili inoltre comprende il denaro, le
azioni di società, le obbligazioni e i titoli di credito.

Distinzione tra cose generiche e cose specifiche, cose fungibili e cose infungibili, cose consumabili
e cose inconsumabili, cose divisibili e cose indivisibili, cose produttive e cose improduttive.

Relativa alle cose si propongono altre distinzioni. La prima è relativa a quella tra cose generiche e
cose specifiche.

a. Si definiscono cose generiche le cose che vengono prese in considerazione per la loro
appartenenza ad un genere (copia di un libro).Cose specifiche sono invece le cose considerate per la
loro individualità (copia di un libro firmato dall'autore).

b. Cose fungibili sono tutte quelle considerate a peso, numero e misura (esempio e il prodotto
industriale interscambiabile). Significativo è il prestito che a seconda della fungibilità è mutuo o
comodato. Cose infungibili, quando non possono essere sostituite con cose appartenenti allo stesso
genere. Ad esempio, un libro appena edito è certamente fungibile, ma se è una rara copia di un libro
non più stampato, o se è, ad esempio, una copia con dedica dell’autore, non è più sostituibile,
quindi diventa un bene infungibile.

Cose consumabili e cose inconsumabili. Sono consumabili le cose cui la loro utilizzazione normale ne
comporta la distruzione quale entità (alimenti). Inconsumabili quelle che si presentano a una
utilizzazione normale ripetuta nel tempo.

Cose divisibili e indivisibili. La divisibilità sussiste quando la cosa può essere divisa in parti
omogenee. Cose indivisibili, cioè cose che non possono essere divise senza che perdano la loro
utilità (es.: un cavallo da corsa), o per volontà delle parti o per legge.

La distinzione tra cose produttive e non produttive dipende dall'attitudine della cosa alla produzione
di frutti.

Infine si hanno i beni di consumo a tutela del consumatore.

Il danaro.

Il danaro è inquadrato nella categoria dei beni. Viene qualificato come cosa mobile, generica,
fungibile, consumabile e divisibile.

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Le pertinenze.
Le cose, oltre che nella loro individualità, possono presentarsi unite o in rapporto tra loro.
Quindi le cose possono ulteriormente dividersi in:
a) cose semplici: cioè le cose dotate di una propria autonoma utilità (un tavolo, un animale);
b) cose composte: formate da più cose semplici, che perdono nella composizione la loro autonomia.
Le cose che compongono la cosa composta, pur essendo separabili, sono tra di loro in un rapporto
di complementarità economica (un paio di occhiali è formato da più cose semplici e separabili, lenti,
montatura, viti, ma la separazione delle cose fa venir meno la funzione cui gli occhiali sono
destinati).
c) cose connesse: cioè quando più cose, mantenendo una loro individualità materiale, sono poste
però in relazione tra loro, in modo tale che è distinguibile una cosa principale ed una accessoria,
legata alla cosa principale da un vincolo di dipendenza. Sono ipotesi di connessione di cose
l’incorporazione, cioè la compenetrazione materiale o artificiale di una cosa all’altra, e la pertinenza.

Per l'art. 817 pertinenza è la cosa mobile o immobile destinata in modo durevole a servizio o
ornamento di un’altra cosa, che normalmente è immobile. Il rapporto di pertinenza può intercorrere
tra cose mobili (cornice e quadro), tra cose mobili e cose immobili (antenna televisiva ed edificio)
tra cose immobili (la cantina rispetto all'appartamento). Essenziale perché sorga il rapporto di
pertinenza è la destinazione, la quale può essere effettuata esclusivamente dal proprietario della
cosa principale. Perché si abbia la costituzione del rapporto occorre che il proprietario della cosa
principale sia tale anche della cosa accessoria.
Affinché sussista un rapporto di pertinenza tra due beni sono necessari due presupposti
Oggettivo: che consiste nel rapporto di servizio ad ornamento rispetto la cosa principale
Soggettivo: la volontà da parte del proprietario o titolare di destinare la cosa al servizio od
ornamento della cosa principale.

Un volta costituito il rapporto, la pertinenza segue la sorte della cosa principale. Se ad esempio si
vende la cosa principale si intende venduta la pertinenza a meno che le parti non abbiano
convenuto diversamente art 818.
È possibile costituire rapporti diversi per pertinenza. Posso dunque concedere l'uso del garage
annesso alla mia casa o venderlo.
Il vincolo di pertinenza cessa quando viene meno l'elemento oggettivo e soggettivo, ad esempio
quando la cosa è stata venduta o è perita.

Le universalità.
Per universalità di beni mobili si intende, secondo l'articolo 816 del Codice civile italiano, la pluralità
di cose che appartengono alla stessa persona e che hanno una destinazione unitaria (es. un gregge,
una pinacoteca, una biblioteca). Tre sono gli elementi necessari perché si possa parlare di
universalità: una pluralità di cose mobili, una destinazione unitaria intesa come funzione comune e
l'appartenenza delle cose al medesimo soggetto. La destinazione unitaria non fa comunque perdere
l'autonomia alle cose che formano la universalità le quali potranno quindi essere oggetto,
separatamente l'una dall'altra, di singoli atti. Quando l'universalità nasce per volere del proprietario
(ad es. di chi ha raccolto i libri), si parla di universalità di fatto. Invece quando l'universalità è
stabilita dal legislatore si parla di universalità di diritto, ad es. l'azienda è definita come universalità
di beni dalla legge, in quanto una pluralità di beni è destinata al medesimo scopo (catene di
montaggio).

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Frutti.
Tra i beni il codice civile disciplina i frutti distinguendoli in frutti naturali e frutti civili. Sono
considerati frutti naturali quelli che provengono dalla cosa direttamente con o senza l'intervento
dell'uomo. I frutti naturali seguono la stessa sorte della cosa fruttifera fino alla separazione, ne
fanno parte fino a tal momento che segna il momento dell'acquisto da parte dell'avente diritto. È
possibile disporre di essi prima della separazione come cose mobili future, con applicazione per la
relativa vendita, dell'art 1472 relativo alla vendita di cose future. La separazione, ossia il distacco
dalla cosa madre, determina una autonoma identità giuridica dei frutti facendo sorgere su di essi un
diritto di proprietà. Tale proprietà spetta al proprietario della cosa fruttifera, salvo che spetti ad altri
soggetti quale effetto di un diritto di godimento vantato relativamente alla cosa madre. Vale il
principio per cui chi fa proprio i frutti deve, entro il limite del relativo valore, rimborsare colui che ha
fatto spese per la produzione e il raccolto. Per i frutti civili si intendono quelli che si ritraggono dalla
cosa come corrispettivo di godimento che ne sia attribuito ad altri (interessi capitali, rendite
vitalizie, corrispettivo delle locazioni). Anche i frutti civili come i frutti naturali spettano al
proprietario della cosa fruttifera ovvero a chi abbia un diritto di godimento sulla cosa medesima.

Patrimonio.
Il patrimonio viene inteso come l'insieme delle situazioni giuridiche di rilevanza economica di cui il
soggetto è titolare. Ne restano esclusi i diritti di natura non patrimoniale. Esso finché la persona è
vivente non viene considerato dell'ordinamento come possibile oggetto di situazioni giuridiche.
L'art. 2740 intitolato alla responsabilità patrimoniale indica che ciascuno risponde
dell'adempimento delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.
Ogni soggetto ha un solo patrimonio ma esistono dei patrimoni di destinazione che danno vita a
patrimoni separati attenuando la responsabilità patrimoniale. Esempi significativi di tale fenomeno
sono offerti dalla destinazione di beni che avviene con la costituzione del fondo patrimoniale, con
conseguente trattamento differenziato dei creditori, dai fondi speciali per la previdenza e
l'assistenza e dalla possibile costituzione, da parte di una società per azioni, di patrimoni destinati
ad uno specifico affare.

Beni pubblici.
Il codice civile non ha mancato di delineare anche la particolare condizione giuridica dei beni
appartenenti allo stato ed agli enti pubblici. Taluni beni fanno parte del demanio pubblico in quanto
non è ammessa l'appartenenza ai privati. I beni pubblici demaniali naturali sono: spiagge, porti,
laghi, fiumi, torrenti, opere di difesa nazionale. I beni pubblici demaniali artificiali sono: strade,
aerodromi, immobili di interesse storico, archeologico e artistico ecc.
I beni demaniali sono inalienabili e possono formare oggetti di diritti di terzi solo nei modi e nei
limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano. Per i beni non necessariamente demaniali è ammessa la
cosiddetta sdemanializzazione. Tale procedimento avviene attraverso procedure particolari. I beni
appartenenti allo stato e agli altri enti territoriali non compresi tra quelli considerati demaniali
fanno parte del relativo patrimonio. Bisogna fare una distinzione per quanto riguarda i beni
patrimoniali indisponibili. Di quello dello stato fanno parte i beni indicati dal l'articolo 826 (miniere,
cave, torbiere, case di interesse storico, archeologico, artistico, caserme, aereo mobili militari,
armamenti ecc). Di quello dello stato o dell'ente pubblico territoriale fanno parte gli edifici pubblici
con tutti i relativi arredi. I beni che fanno parte del patrimonio indisponibile sono comunque
vincolati alla loro destinazione e non possono essere ad essa sottratti se non nei modi stabiliti dalla
legge. Per i beni dello stato e degli enti pubblici territoriali che non fanno parte del patrimonio
indisponibile opera invece la disciplina dettata in generale dal codice civile per i diversi tipi di beni.

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CAPITOLO 3
Rapporto giuridico e situazioni soggettive.
La funzione della norma giuridica va ricercata nell'esigenza di ordinare le relazioni umane. Se
l'interesse può essere visto come una sorta di tensione tra soggetto e bene, ne consegue la possibile
insorgenza di conflitti ove una pluralità di soggetti si presentino interessati allo stesso bene.
L'ordinamento giuridico allora interviene con le sue regole per organizzare gli interessi in gioco.
L'ordinamento riconosce ai soggetti portatori di interessi una situazione giuridica soggettiva la quale
costituisce sul piano soggettivo la regola giuridica.

La situazione giuridica soggettiva di chi risulta essere investito il soggetto a seguito dell'intervento
regolatore dell'ordinamento, risulta favorevole ove sia il suo interesse ad essere considerato
meritevole di tutela e realizzazione, o sfavorevole ove sia il suo interesse subordinato a quello altrui.
Si definisce attiva la situazione giuridica di vantaggio attribuita al soggetto del rapporto per
assicurargli la realizzazione di uno interesse, passiva la situazione giuridica di svantaggio tenuto a
rendere possibile con il suo comportamento la realizzazione dell'interesse altrui.

Diritto soggettivo
Nel codice civile la situazione giuridica soggettiva favorevole (attiva) riconosciuta ad un soggetto in
relazione ad un bene è identificata con il termine di diritto. Si parla di diritto, inteso in senso
soggettivo, ogni volta che viene garantito al soggetto, da parte dell'ordinamento la realizzazione del
suo interesse.
Alla conformazione del contenuto del diritto concorrono facoltá, poteri, limiti ed obblighi.

Abuso del diritto.


Con la formula abuso del diritto si tende ad indicare un limite esterno all'esercizio, potenzialmente
pieno ed assoluto, del diritto soggettivo, il cui riconoscimento, come si insegna, implica
l'attribuzione al soggetto di una duplice posizione, di libertà e di forza.

Come può evincersi dalla radice etimologica del termine (ab-uti), si ha abuso nel caso di uso
anormale del diritto, che conduca il comportamento del singolo (nel caso concreto) fuori della sfera
del diritto soggettivo esercitato, per il fatto di porsi in contrasto con gli scopi etici e sociali per cui il
diritto stesso viene riconosciuto e protetto dall'ordinamento giuridico positivo. Un siffatto
comportamento abusivo costituisce, quindi, un illecito (a seconda dei casi aquiliano o contrattuale,
se trattasi, rispettivamente, di diritto reale o di credito), sanzionato secondo le norme generali di
diritto in materia.

Nel nostro codice non esiste una norma che sanzioni in via generale l'abuso del diritto. La cultura
giuridica degli anni 30 riteneva che l'abuso del diritto, più che essere una nozione giuridica, fosse un
concetto di natura etico-morale, con la conseguenza che colui che ne abusava veniva considerato
meritevole di biasimo, ma non di sanzione giuridica.

Tipologia dei diritti soggettivi.


La categoria del diritto soggettivo rappresenta il risultato dello sforzo tendente ad una ricostruzione
in chiave unitaria delle situazioni in cui l'ordinamento garantisce al soggetto piena e diretta tutela
del suo interesse relativamente a un bene.

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I diritti soggettivi possono essere di natura molto diversa tra loro. Distinguiamo così tre categorie
fondamentali di diritti soggettivi.

• Una prima fondamentale distinzione è tra diritti patrimoniali e diritti non


patrimoniali. Carattere patrimoniale hanno il diritto di proprietà e i diritti di credito, non
patrimoniale i diritti della personalità e i diritti familiari.
• Una seconda distinzione è tra diritti assoluti e diritti relativi. La distinzione si basa sul
diverso modo in cui la posizione del soggetto, titolare del diritto attivo, si correla con la
posizione di chi (titolare del rapporto passivo) col suo comportamento deve consentire la
realizzazione dell'interesse che l'ordinamento ha reputato meritevole di tutela, collocandolo
in una posizione sovraordinata. I diritti assoluti si caratterizzano per il fatto che si possono far
valere nei confronti di tutti. Per la loro realizzazione non è necessaria la collaborazione di
altri soggetti. Tipico diritto assoluto è il diritto di proprietá. Il proprietario per realizzare il
proprio diritto infatti non ha bisogno dell'aiuto di altre persone che devono solo limitarsi a
non turbarlo nel suo godimento. Da un lato abbiamo il diritto, dall'altra parte, cioè dal lato
passivo, un generico dovere di astensione carico di tutti i consociati. Per quanto riguarda il
diritto relativo esso si fa valere solo nei confronti di soggetti determinati. Si distinguono da
quelli assoluti anche perché per la loro realizzazione è necessaria la collaborazione di altri
soggetti. Il creditore avrà nei confronti del debitore una pretesa, il debitore invece dovrà
adempire ad un obbligo.
• Una terza distinzione si ha in campo patrimoniale dove si ha una distinzione tra diritti
reali e diritti di credito. La caratteristica dei diritti reali è quella di attribuire al titolare un
potere immediato sulla cosa, consentendogli di realizzare immediatamente il suo interesse
attraverso l'esercizio delle facoltà e dei poteri conferiti dall'ordinamento rispetto alla cosa
stessa. Tale realizzazione non necessita di mediazione. I diritti di credito si caratterizzano per
la pretesa che il creditore ha nei confronti di uno o più soggetti determinati a che questi
tengono uno specifico comportamento positivo o negativo suscettibile di valutazione
economica. In questo caso si parla di mediatezza.

Diritto potestativo.
L'essenza del diritto potestativo è da ricercare nel potere riconosciuto al soggetto di incidere su
situazioni giuridiche, costituendole, modificandole o estinguendole, con una propria manifestazione
unilaterale di volontà. Abbiamo quindi da una parte una situazione di potere, mentre dall'altra (lato
passivo del rapporto) una posizione di soggezione del soggetto passivo, che si trova nella condizione
di essere costretto a subire gli effetti giuridici derivanti dall'esercizio del diritto potestativo. Un
esempio del diritto potestativo possiamo trovarlo nell'ipotesi di diritto di prelazione conferito dalla
legge, diritto di riscatto del venditore in caso di vendita con patto di riscatto, diritto di recesso
unilaterale attribuito ad una delle due parti, ecc. In tutti questi casi l'effetto è la manifestazione
unilaterale di volontà restando la controparte semplicemente assoggettata. Altra ipotesi di diritto
potestativo viene individuata nel potere riconosciuto a ciascuno dei partecipanti di domandare lo
scioglimento della comunione di un bene. Se un bene è di proprietà di più soggetti, cioè in
comunione, ognuno di loro potrà chiedere la divisione del suddetto bene senza che gli altri possano
fare nulla per impedirlo.

Potestá
Il potere conferito nel diritto potestativo può essere usato per realizzare interessi altrui, in tal caso la
situazione giuridica prende il nome di potestá. Un potere del genere può essere conferito dallo
stesso titolare degli interessi in gioco al rappresentante incaricato di concludere un contratto
destinato a produrre effetti direttamente nel patrimonio del titolare. I casi di maggiore interesse

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sono però quelli in cui è la legge conferire un tale potere. Esempi significativi di una simile
situazione dell'utilizzo della potestá sono quelli che fanno riferimento alla tutela e alla
responsabilità genitoriale. L'attribuzione del potere nell'interesse altrui non si presenta libero, ma
vincolato alla realizzazione dell'interesse in vista della cui realizzazione è attribuito. Ciò comporta
l'evidente esigenza di provvedere a forme di controllo dell'esercizio del potere. Nell'ipotesi di
rappresentanza diretta il rappresentato può chiedere l'annullamento contro tutti gli atti abusivi del
l'esercizio di rappresentanza come il caso di contratto concluso dal rappresentante in conflitto di
interessi con il rappresentato e in caso di contratto concluso dal rappresentate con se stesso.
L'esercizio dei poteri connessi alla potestá viene ad assumere, di conseguenza, per il soggetto cui
essa è attribuita, un carattere di vera e propria doverosità. Del tutto coerente allora si presta la
previsione della possibile rimozione del soggetto dalla titolarità della potestá, nel caso in cui venga
esercitata in maniera tale da recare pregiudizio nei confronti di altri soggetto. Esemplare si presenta
in tale prospettiva l'articolato controllo sulla responsabilità genitoriale, fino alla possibile pronuncia
della decadenza di essa.

Aspettativa.
Dalla situazione giuridica di diritto soggettivo si distingue la situazione di aspettativa, quando i
requisiti che l'ordinamento pone per il sorgere del diritto soggettivo stesso non siano ancora
completamente realizzati. Si parla in questo caso di una situazione giuridica di natura provvisoria
destinata a cadere con l'acquisizione del diritto. Affinché si parli di aspettativa nel senso accennato,
occorre che l'ordinamento consideri, già attualmente meritevole di tutela, un interesse del soggetto.
Un esempio che si può fare riguardo l'aspettativa di fatto, viene visto nella situazione in cui si trova il
soggetto in ordine all'eredità di chi si ancora vivente, che hanno diritto a una quota della relativa
eredità, dato che è solo con la morte del soggetto da cui si conta di ereditare, che comincia a
realizzarsi la fattispecie successoria.
Ipotesi riguardante l'aspettativa di diritto si ritiene essere quella di chi acquisti un diritto sotto
condizione sospensiva o l'alieni sotto condizione risolutiva. Nella fase in cui è incerta l'avverarsi o
meno della condizione (fase di pendenza) non solo il soggetto può disporre della propria situazione,
appunto di aspettativa, rispetto al diritto, ma vede tutelato in maniera incisiva l'interesse al rispetto
della sua aspettativa da parte del controinteressato. Così egli può compiere gli opportuni atti
conservativi, la controparte deve comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni
dell'altra parte”.

Interesse legittimo.
L'interesse legittimo è una delle situazioni giuridiche soggettive riconosciute dal diritto italiano. Si
tratta della situazione giuridica soggettiva della quale è titolare un soggetto nei confronti della
pubblica amministrazione che esercita un potere autoritativo attribuitole dalla legge e consiste nella
pretesa che tale potere sia esercitato in conformità alla legge. Nell'ordinamento italiano non
esistono norme definitorie: l'espressione "interessi legittimi" è comunque presente in tre articoli
della Costituzione: all'art. 24 dove è stabilito il diritto di agire in giudizio per la difesa dei diritti
(intesi come diritti soggettivi) e degli interessi legittimi, all'art. 103, in cui si stabilisce la giurisdizione
del Consiglio di Stato e degli altri organi di giustizia amministrativa per la tutela degli interessi
legittimi, e all'art. 113, dove si prevede che avverso gli atti della pubblica amministrazione è sempre
ammessa la possibilità di tutelare questa posizione soggettiva in sede giurisdizionale. L'interesse
legittimo ha come oggetto una utilità o un bene della vita che un soggetto privato mira,
rispettivamente, a conservare o a conseguire tramite l'esercizio legittimo del potere amministrativo.
Nel primo caso si parla di interesse legittimo oppositivo, che sorge, per esempio, nei casi di
espropriazione o di imposizione di un vincolo alla proprietà; nel secondo caso di interesse legittimo
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pretensivo, che sorge per esempio in relazione a un'autorizzazione o a una concessione necessaria
per intraprendere un'attività. Viene contrapposto al diritto soggettivo inteso, in questo contesto,
come situazione soggettiva di vantaggio riconosciuta automaticamente come degna di tutela nei
riguardi sia dei privati sia della pubblica amministrazione.
La distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi ha assunto particolare rilevanza nel nostro
ordinamento sotto diversi profili, innanzitutto per quanto concerne le competenze relative alla
tutela giurisdizionale. In tal modo per la tutela dei diritti soggettivi opera il giudice ordinario, per la
tutela degli interessi legittimi il giudice amministrativo. Con importanti interventi del legislatore
sono state estese le materie di competenza del giudice amministrativo. In tal modo tale giudice è
stato ritenuto competente a giudicare anche le controversie aventi oggetto diritti soggettivi, inoltre
è stato consentito al giudice amministrativo il potere di condannare la pubblica amministrazione al
risarcimento del danno conseguente ad un provvedimento legittimo. La giurisprudenza con un
fondamentale intervento della corte di cassazione ha sancito la risarcibilità del danno conseguente
la lesione di un interesse legittimo ai sensi dell'articolo. 2043. Inoltre ha riconosciuto al giudice
ordinario la possibilità di giudicare la controversie relativi agli interessi legittimi eventualmente
condannando la pubblica amministrazione al risarcimento del danno.

Interessi collettivi e diffusi.


Carattere comune delle situazioni giuridiche considerate è quello di tutelare l'interesse del soggetto,
conferendogli una posizione di vantaggio rispetto ad un bene. Nell'evoluzione dell'ordinamento
crescente attenzione è stata rivolta agli interessi facenti capo al soggetto in quanto appartenente ad
una determinata collettività, in quanti membro di una comunità. La tutela degli interessi collettivi ha
trovato meno difficoltà dato che trova il suo naturale punto di riferimento nell'attribuzione del
potere di agire per la relativa salvaguardia degli enti di struttura tipicamente associativa.

A differenza dall'interesse collettivo, gli interessi diffusi sono comuni a individui di una formazione
sociale non organizzata e non individuabile autonomamente. Esempi di interesse diffuso possono
essere la tutela dell'ambiente e la tutela del consumatore.

Onere.
Tale termine viene impiegato per indicare sia la posizione del soggetto passivo del rapporto ed
anche per alludere ad una diversa situazione ossia quella in cui il soggetto sia tenuto ad un certo
comportamento, non al fine di realizzare un interesse altrui ma con il fine di realizzare un interesse
proprio. Il sacrificio di un proprio interesse è imposto per soddisfarne un altro sempre proprio. Tale
figura viene qualificata con il termine di onere. Esempio in proposito è l'onere della prova. Ai sensi
dell'articolo. 2697 “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il
fondamento”. L'attività probatoria, anche se la legge utilizza il termine “deve” non è oggetto di
obbligo, ma per il soggetto in questione è una necessità in quanto in mancanza di essa non riuscirà a
far valere il proprio diritto in giudizio.

CAPITOLO 4
Fatti giuridici.
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Ogni fatto materiale è preso in considerazione dall'ordinamento per verificare quanto esso sia
giuridicamente rilevante. Più specificamente il singolo comportamento o accadimento è valutato
dall'ordinamento con il fine di verificare se la situazione coinvolga interessi futili e quindi irrilevanti
o interessi rilevanti. Ogni struttura sociale produce il suo diritto, cosicché con il mutare della realtà
sociale ed economica e con il connesso evolvere dell'ordinamento, alcuni interessi possono subire
una modificazione di giudizio e quindi di rilevanza giuridica. Così appunto interessi che i passato
venivano considerati irrilevanti magari nel presente possono essere considerati come rilevanti. Un
esempio può essere lo sfruttamento dell'atmosfera con la propagazione di onde radioelettriche ecc.

Fatti ed effetti giuridici


In un quadro così delineato poniamo una distinzione tra fatti ed effetti giuridici.

• I fatti giuridici sono accadimenti della realtà materiale rilevanti per l'ordinamento giuridico
che producono effetti nel mondo naturale e nel mondo giuridico. Affinché un fatto venga
considerato rilevante è necessario che venga preso in considerazione dall'ordinamento e sia
connesso a tale fatto la produzione di un effetto giuridico. Quando ciò avviene il fatto riveste la
qualifica di fattispecie. I fatti giuridici sono positivi quando rileva giuridicamente il comportamento
attivo del soggetto che compie l'azione. Sono considerati negativi quando rileva giuridicamente il
comportamento passivo del soggetto.
• L'effetto giuridico è la nascita, la modificazione o l'estinzione di un rapporto giuridico in
conseguenza dell'accadimento di un fatto giuridico. Distinguiamo due categorie di effetti giuridici.
EFFETTI NECESSARI: provengono dall'ordinamento e non è consentito ai privati di derogarvi. EFFETTI
NATURALI: pur provenendo dall'ordinamento è consentito derogarvi.

Struttura dei fatti giuridici.


Per quanto riguarda la struttura dei fatti giuridici è possibile distinguere tre tipi di fattispecie:

• Fattispecie semplice, occorre un unico accadimento per produrre un effetto giuridico.


Esempio, nascita ai fini dell'acquisto della capacità giuridica
• Fattispecie complessa, occorrono più fatti per produrre un effetto giuridico. Esempio
acquisto di un immobile per usucapione da chi non è proprietario. Per verificarsi l'acquisto per
usucapione devono concorrere più fatti: possesso continuo, pubblico e pacifico, l'atto di acquisto, la
buona fede dell'acquirente, la trascrizione dell'atto e il decorso di dieci anni dalla trascrizione.
• Fattispecie a formazione progressiva. Si ha tale fattispecie quando più fatti sono previsti
dall'ordinamento in sequenza cronologica ma logicamente coordinati.

Atti giuridici:
Sono atti giuridici i fatti umani compiuti consapevolmente da una persona capace cui l'ordinamento
ricollega ad effetti giuridici. È possibile distinguere gli atti giuridici in base al compimento, contenuto
e valutazione.

• In relazione al compimento gli atti giuridici si presentano sotto due fondamentali


modelli: di dichiarazione e di contegno. 1)Il primo modello è caratterizzato dalla
dichiarazione nel senso che l'atto esprime i propri effetti attraverso la parola, lo scritto o altri
segnali. Gli atti dichiarativi a loro volta si suddividono in atti recettizi e atti non recettizi. Gli
atti recettizi producono effetti nel momento in cui pervengono a conoscenza del
destinatario. Nel nostro ordinamento opera il principio della recezione temperato da una
presunzione di coscienza fissata dall'art. 1334 per cui la proposta, l'accettazione, la revoca e
qualsiasi altra dichiarazione diretta ad una determinata persona si reputano conosciute al
momento in cui giungono all'indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato,

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senza colpa, nell'impossibilità di averne notizia. Sono atti non recettizi quelli che non sono
destinati a terzi e pertanto producono effetto in virtù della mera redazione. 2) Il secondo
modello è caratterizzato dal contegno nel senso che l'atto pur non contenendo una
compiuta determinazione volitiva presenta indici della stessa dai quali è possibile
ricostruirla.
• In relazione ai contenuti gli atti giuridici si distinguono in due fondamentali categorie,
gli atti giuridici in senso stretto e negozi giuridici. 1) Gli atti giuridici in senso stretto sono fatti
dell'uomo per i quali assume rilevanza la mera volontarietà della materia dell'atto. La
volontarietà è connessa alla struttura e non alla funzione dell'atto e cioè al risultato
perseguito. 2) I negozi giuridici sono mezzi di esplicazione dell'autonomia privata.
Strutturalmente sono manifestazioni di volontà rivolte ad uno scopo pratico tutelato
dall'ordinamento. Rilevano giuridicamente non solo la volontà e la consapevolezza del
comportamento ma anche l'intento perseguito e cioè il risultato voluto dal soggetto. C'è
volontà e consapevolezza degli effetti. Tipico esempio è il contratto art. 1321.
• In relazione alla valutazione distinguiamo poi atti leciti e atti illeciti a seconda della
conformità o meno all'ordinamento giuridico. 1) Gli atti leciti sono voluti dal l'agente e
conformi all'ordinamento giuridico. 2) Gli atti illeciti sono atti che sono in contrasto con
l'ordinamento giuridico.

Attivitá.
L'attività esprime la coordinazione di più fatti e atti preordinati svolti verso il conseguimento di uno
scopo unitario.

Vicende giuridiche.
Le vicende giuridiche indicano i mutamenti dei rapporti e delle situazioni giuridiche soggettive dalla
nascita fino all'estinzione determinando la sorte dei corrispondenti poteri o obblighi in capo ai
singoli titolari. Distinguiamo vicende costitutive, modificative e estintive.
1) Le vicende costitutive segnano la nascita di situazioni giuridiche soggettive e dunque l'acquisto in
capo ad un soggetto di un diritto che non esisteva e di cui quindi non poteva essere titolare.
2)Le vicende estintive segnano la cessazione di situazioni giuridiche soggettive nel senso che il
diritto prima esistente viene meno. Es. con il pagamento del debito si realizza l'estinzione del diritto
di credito art. 1176.
3)Le vicende modificative determinano il mutamento di una situazione giuridica, più spesso rispetto
al soggetto, eccezionalmente con riguardo all'oggetto. In particolare la modificazione soggettiva
realizza il trasferimento del diritto da un soggetto ad un diverso soggetto. Ad esempio con la vendita
si ha il trasferimento di proprietà o di altri diritti dal venditore al compratore.

Titoli di acquisito.
La circolazione dei diritti pone come problema giuridico fondamentale quello del titolo di acquisto.
Distinguiamo i titoli di acquisto in due grandi categorie: a titolo derivato e a titolo originario.
1)Gli acquisti a titolo derivato stabiliscono che un soggetto avente causa acquista il diritto del
precedente titolare dante causa. Gli acquisiti possono intervenire per atto tra vivi o a causa di
morte. L'acquisto a titolo derivativo si distingue in: acquisto derivativo traslativo e acquisto
derivativo costitutivo.
Si ha l'acquisto derivativo traslativo quando il diritto acquistato è lo stesso che era in capo al dante
causa che quindi lo perde. Si ha acquisto derivativo costitutivo quando il diritto acquistato non
esisteva nella realtà giuridica ma promana dal diritto dell'alienante comportandone una restrizione.
2) Gli acquisti a titolo originario: realizzano l'acquisto di un diritto nuovo indipendentemente dal

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rapporto con l'originario titolare. L'usucapione costituisce il modo più diffuso di acquisto a titolo
originario

Funzione del tempo.


Ogni fenomeno giuridico incide nella realtà temporale e spaziale. Tempo e spazio esprimono le
modalità di svolgimento dei fatti giuridici influenzando la determinazione delle vicende giuridiche e
la stessa vita delle situazioni giuridiche. Il tempo può essere rilevato nel suo correre e perciò
riguardo alla sua durata o può essere rilevato nel momento e perciò come data. Ad esempio in un
contratto di locazione, il tempo fissa il termine di efficacia del contratto e segna il termine di
scadenza del pagamento del canone. Per l'essenza le rilevanza della dimensione temporale la legge
dedica una specifica normativa al computo dei termini. La legge colloca la disciplina del computo dei
termini nel capo dedicato alla prescrizione (artt. 2962 e 2963).

La prescrizione.
L'art. 2105 del cod. civ. abrogato, considerava la prescrizione come un mezzo con cui, col decorso
del tempo e sotto determinate condizioni, taluno acquista un diritto o è liberato da una
obbligazione. Era un sistema orientato all'osservazione della titolarità del diritto, per cui la
prescrizione, rivolta ad assicurare la stabilità dei rapporti, si fondava sulla presunzione che il
proprietario e il creditore che per lungo tempo non avevano esercitato i propri diritti avessero inteso
di abbandonarli.

Per l'art. 2934 ogni diritto si estingue per prescrizione quando il titolare non lo esercita per il tempo
determinato dalla legge. La prescrizione quindi si atteggia come generale modo di estinzione dei
diritti. Sono imprescrittibili i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge. Tra i diritti
indisponibili ricordiamo i diritti della personalità e quelli connessi agli stati e alle potestá familiari. La
disciplina della prescrizione è di ordine pubblico nel senso che non è derogabile da privati. È nullo
ogni patto diretto a modificare la disciplina legale della prescrizione art. 2936. La prescrizione non è
rilevabile d'ufficio dal giudice ma deve essere opposta e cioè rimessa alla valutazione del soggetto
interessato se avvalersi o meno della prescrizione. Si può rinunziare alla prescrizione solo quando
essa è compiuta. La rinunzia può essere espressa o tacita e cioè risultare da un fatto incompatibile
con la volontà di valersi della prescrizione. È invece vietata la rinunzia preventiva alla prescrizione o
intervenuta durante il decorso del termine di prescrizione con il fine di evitare abusi di una parte a
danno dell'altra. Quanto alla decorrenza del termine prescrizionale, principio fondamentale è che la
prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere art. 2935, non
opera quando il mancato esercizio è giustificato. Molto spesso è la legge stessa a specificare il
giorno dal quale decorre il termine della prescrizione. Quanto alla durata la regola generale è che i
diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni salvi nei casi in cui la legge dispone
diversamente. Sono molte le ipotesi per le quali è previsto un termine diverso di prescrizione:
talvolta più lungo ad esempio i diritti reali di godimento su cosa altrui si prescrivono in venti anni o
più breve dando luogo a prescrizioni brevi come il risarcimento del danno che si prescrive in cinque
anni.

Sospensione.
Durante il decorso del tempo possono determinarsi due tipi di vicende che incidono sulla operatività
della prescrizione ossia la sospensione e la interruzione.
• Si ha sospensione della prescrizione quando il mancato esercizio del diritto è dalla legge
giustificato in considerazione di specifiche circostanze che impediscono o anche solo ostacolano
l'esercizio del diritto. All'occorrenza la legge prevede due categorie di fattispecie. La prima categoria
di ragioni giustificative è inerente alla relazione giuridica che lega il titolare del diritto con il soggetto
passivo art. 2941. Ad esempio la prescrizione rimane sospesa tra il debitore che ha dolosamente
occultato l'esistenza del debito e il creditore finché il dolo non sia stato scoperto. La seconda

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categoria di fattispecie giustificativa riguarda la condizione del titolare del diritto art. 2942. Ad
esempio la prescrizione rimane sospesa contro minori ed interdetti per il tempo in cui non hanno
rappresentante legale e per sei mesi successivi alla nomina del medesimo o alla cessazione
dell'incapacità.
• Si ha interruzione della prescrizione quando il diritto è esercitato. In tale ipotesi vi è
cessazione dell'inerzia. L'eccezione è rilevabile d'ufficio dal giudice. Regola generale è che la
prescrizione è interrotta dalla notificazione dell'atto con il quale si inizia un giudizio o dell'atto di
accesso arbitrale. Per effetto della interruzione inizia un nuovo periodo di prescrizione.

Le prescrizioni presuntive.
La legge presume che alcuni rapporti obbligatori siano usualmente estinti in un breve lasso di tempo
e senza formalità (rilascio di ricevute) perciò le prescrizioni presuntive sono tutte brevi. Per regola
generale il creditore che chiede l'adempimento dell'obbligazione è tenuto alla sola allegazione del
credito, è onere del debitore provare l'adempimento o altra causa di estinzione del debito. La
prescrizione presuntiva solleva il debitore dall'onere di tale prova. Non è tenuto cioè a provare
l'adempimento essendo lo stesso presunto dalla legge dopo il decorso di un determinato periodo di
tempo. In ogni caso si tratta di una presunzione semplice di estinzione che ammette la prova
contraria. La prova è però circoscritta al solo giuramento. Se il debitore giurando il falso, dichiara
che l'obbligazione è stata adempiuta o in altro modo estinta, il diritto si considera estinto, ma se non
c'è stata estinzione incorre nel reato di falso giuramento, per avere come parte in giudizio civile
giurato il falso. Art 371 c.p

La decadenza.
La legge mira a garantire che un diritto sia oggettivamente esercitato entro un dato termine. Il
decorso del tempo pertanto a differenza della prescrizione rileva non come durata del
comportamento di inerzia nell'esercizio del diritto ma nella sola prospettiva della scadenza del
termine entro il quale il titolare del diritto avrebbe dovuto esercitarlo, scaduto il termine il diritto si
perde. La decadenza non può essere rilevata di ufficio dal giudice con la conseguenza che per la sua
operatività deve essere eccepita dalla parte. Può essere rilevata d'ufficio dal giudice, quando trattasi
di materia sottratta alla disponibilità delle parti, il giudice debba rilevare le cause d'improponibilità
dell'azione. C'è nella legge una disciplina differenziata a seconda che la decadenza inserisca a diritto
disponibili o indisponibili dai privati. Se la decadenza inerisce ai diritti disponibili l'operativitá della
decadenza è rimessa alla iniziativa del soggetto interessato che ha l'onore di eccepirla. Se la
decadenza inerisce a diritti indisponibili le parti non possono modificare la disciplina legale della
decadenza, ne possono rinunziare alla decadenza medesima. Il giudice può rilevare la decadenza
come causa di improponibilità dell'azione.

Influenza dello spazio.


L'adempimento delle obbligazioni deve avvenire nel luogo determinati nel contratto o se non è
stabilito in uno di quelli fissati dall'art. 1182. Lo spazio vale ad indicare il domicilio o la residenza
delle persone fisiche e la sede giuridica degli enti.

5
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Autonomia negoziale.
L'espressione autonomia privata indica il potere dei privati di darsi autonomamente regole.
L'esercizio dell'autonomia deve risultare compatibile con i doveri di solidarietà sociale. L'autonomia
privata è espressione delle libertà fondamentali ed è in grado di procurare il massimo benessere
economico collettivo. Sia nella costituzione sia nell'ordinamento comunitario non c'è un espresso e
formale riconoscimento dell'autonomia negoziale, ma la sua rilevanza giuridica deriva da dati
testuali che necessariamente la implicano. Nella carta costituzionale fondamentali risultano gli art.
2,41,42,47 che sottendono al riconoscimento dell'autonomia privata. In particolare l'art.2 riconosce
e garantisce l'autonomia privata, collettiva e individuale come espressione della libertà
fondamentale limitandone l'esercizio con il rispetto dei doveri di solidarietà. Anche il diritto
comunitario prevedendo un mercato caratterizzato dall'eliminazione degli ostacoli alla libera
circolazione di merci, persone, capitali e servizi, implica il necessario riconoscimento dell'autonomia
privata quale strumento di realizzazione di tali obbiettivi. Neppure il codice civile contiene una
espressa formalizzazione dell'autonomia privata ma la previsione dell'autonomia contrattuale con il
testamento e altri negozi unilaterali ne implicano il riconoscimento.

Le considerazioni appena fatte fanno emergere alcuni essenziali criteri come:

• L'autonomia negoziale rimane espressione di libertà e perciò non può essere


funzionale ad un interesse generale ma deve risultare ad esso compatibile.
• Riguardo alla forma i negozi devono avere requisiti di validitá previsti dalla legge per
garantire una valida espressione della volontà negoziale.
• Principio di indipendenza della sfera giuridica individuale per cui solo con la propria
volontà si può modificare la propria sfera giuridica, non si può incidere con la propria volontà
in una sfera giuridica altrui contro la volontà del titolare.
L'espressione autonomia negoziale indica l'autonomia privata espressa mediante negozi giuridici.
L'ordinamento accorda ai privati il potere di autoregolare i propri interessi. Il negozio giuridico si
presenta come un atto giuridico lecito, come manifestazione di volontà diretta alla realizzazione di
effetti giuridici. I negozi giuridici richiedono quindi la capacità di agire come idoneità a porre in
essere atti giuridici idonei ad incidere sulla sfera giuridica e in essi la consapevolezza e volontarietà
non attiene solo all'atto ma anche agli effetti giuridici. L'efficacia del negozio giuridico è legata alla
valutazione e dunque al trattamento che del singolo negozio compie l'ordinamento.

I negozi giuridici si specificano rispetto agli atti giuridici in senso stretto in quanto assumono
rilevanza non solo la volontarietà e la consapevolezza dell'atto ma anche la volontarietà dello scopo
perseguito nel senso che gli effetti giuridici determinati dall'ordinamento si conformano allo scopo
pratico perseguito.
Ogni negozio giuridico consiste dunque in una manifestazione di volontà rivolta al perseguimento di
uno scopo concreto giuridicamente rilevante. Sono dunque elementi essenziali di ogni negozio
giuridico:
• La manifestazione di volontà
• Lo scopo perseguito
• La forma vincolata
• La manifestazione di volontà rappresenta l'espressione volitiva degli autori
dell'atto. È necessario che la volontà negoziale sia manifestata e cioè esteriorizzata
con il fine di rilevare l'interesse che si intende realizzare. Talvolta la volontà è
manifestata attraverso dichiarazione, espressa o tacita, o tramite l'attuazione dello

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scopo perseguito. Fondamentali mezzi di manifestazione di volontà son il linguaggio


ed il contegno.
• Lo scopo perseguito indica uno scopo prefissato e voluto dagli autori del
negozio rivolto all'attuazione di un assetto di interessi per cui il negozio si atteggia
quale autoregolamento di interessi. Il profilo è espresso dalla causa del negozio quale
funzione concreta realizzata dal negozio.
• Per quanto riguarda la forma prescritta talvolta la manifestazione è
assoggettata ad una forma vincolata per validitá dell'atto (c.d. forma ad sub
stantiam).

Soggetti e parte del negozio.


Gli atti dei negozi giuridici provengono da soggetti che sono autori dell'atto, che devono avere
capacità di agire e capacità giuridica. È inoltre necessario che i soggetti abbiano la competenza ad
incidere sugli interessi regolati e dunque rispetto al rapporto dedotto nel negozio, la cosiddetta
legittimazione.
Per quanto riguarda la parte essa esprime il centro di interessi cui si riferisce l'atto che può
riguardare uno o più soggetti.

Fondamentali categorie di negozi giuridici.


Delineiamo alcune fondamentali classi di negozi giuridici.

• Parti: si vuole distinguere tra negozi unilaterali, negozi bilaterali, negozi plurilaterali a
seconda del numero delle parti che concorrono alla determinazione dell'intento negoziale. Il
negozio è unilaterale quando proviene da una sola parte, esprime la manifestazione di un intento
negoziale di un solo centro di interessi. Sono di regola negozi recettizi ma ne esistono anche non
recettizi. Il negozio è bilaterale quando proviene da due parti, esprime un regolamento di interessi
in grado di apprestare soluzione alla tensione di due parti tendenzialmente conflittuali. Se ha un
contenuto patrimoniale, in quanto verte su un oggetto di suscettibile di valutazione economica,
integra un contratto (vendita, appalto, trasloco). Un esempio emblematico di negozio bilaterale si ha
in materia di famiglia con riguardo al matrimonio. Il negozio è plurilaterale quando è finalizzato al
soddisfacimento di interessi di più parti spesso con uno scopo comune.
• Contenuto: negozi a contenuto patrimoniale sono quelli che incidono sul patrimonio dei
soggetti o con attribuzioni patrimoniali o con la costituzione di vincoli di destinazione. Distinguiamo
inoltre due categorie, i negozi a titolo oneroso dai negozi a titolo gratuito. Tra i negozi a titolo
oneroso si pensi ai contratti di vendita, appalto, trasporto ecc. Tra i negozi a titolo gratuito si pensi
alla donazione. Sono negozi con titolo non patrimoniale quello che incidono sulla sfera esistenziale
dei soggetti, nella dimensione personale del soggetto o nella dimensione collettiva delle formazioni
sociali, senza che una previsione di carattere economico possa assumere la funzione di corrispettivo.
• Forma: sono negozi solenni per i quali è prescritta una determinata forma per la validità
dell'atto. Sono negozi non solenni, in via residuale, tutti gli altri.
• Efficacia: a riguardo si opera la distinzione tra negozi con effetti reali e negozi con effetti
obbligatori. I negozi con effetti reali, detti anche negozi di alienazione, realizzano lo scopo pratico
perseguito dai privati come suo risultato immediato ricollegandosi direttamente al negozio l'effetto
finale avuto di mira. I negozi con effetti obbligatori, detti anche negozi obbligatori, producono la
costituzione di obbligazioni a carico delle parti, sicchè la realizzazione dello scopo pratico perseguito
attraverso il negozio avviene solo successivamente in dipendenza dell'adempimento
dell'obbligazione stessa. Una categoria autonoma è rappresentata poi dai negozi di accertamento.
Tali negozi hanno la funzione di eliminare immediatamente e con efficacia retroattiva la incertezza
circa un determinato rapporto.

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• Vita/morte. Distinguiamo tra negozi inter vivos e negozi mortis causa. Alla prima categoria
appartiene la più diffusa esplicazione dell'autonomia negoziale (es. vendita, appalto, ecc.). Negozio
tipico mortis causa è il testamento quale atto di disposizione per il tempo in cui il testatore avrà
cessato di vivere.

6 Iniziativa economica.
• Non c'è nella legge una esplicita nozione di iniziativa economica. Il concetto di
iniziativa economica è sinergico con quello di impresa. Il codice civile contiene la definizione
di imprenditore e non di impresa per essere l'imprenditore il soggetto che svolge l'attività
economica. Per l'art. 2082 è imprenditore colui che esercita professionalmente un'attività
economica organizzata ai fini della produzione o dello scambio di beni e servizi. Non è
necessario che l'imprenditore sia proprietario dei mezzi di produzione ma che se ne assicuri
la disponibilità e la loro utilizzazione. Mediante i contratti l'imprenditore si procura i mezzi di
produzione, attinge a finanziamenti, si approvvigiona delle risorse necessarie, stringe
rapporti di lavoro con la mano d'opera e piazza i prodotti sul mercato. L'imprenditore dirige il
processo produttivo, è capo dell'impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi
collaboratori. Gli ulteriori caratteri dell'art. 2082 stabiliscono che un attività economica si
definisce imprenditoriale solamente se colui che la esercita si prefigga di ricavare dalla
stessa, sia che produca sia che scambi beni e servizi, un profitto personale. Inoltre deve
essere un'attività esercitata professionalmente e cioè con abitualità, seppure non
continuativamente. Infine l'attività dell'impresa può essere rivolta alla produzione di nuovi
prodotti o allo scambio degli stessi. Uno specifico statuto è riservato alle imprese di maggiori
dimensioni e cioè le imprese commerciali. Per tali imprese si prevede l'iscrizione
dell'imprenditore nel registro per le imprese la tenuta dei registri contabili e la soggezione a
fallimento. Non sono soggetti a tale statuto i piccoli imprenditori e gli imprenditori agricoli.

L'impresa può essere esercitata in forma individuale o in forma collettiva, in quest'ultimo


caso si parla di società. Per l'art. 2247 con il contratto di società due o più persone
conferiscono beni o servizi per l'esercizio in comune di un'attività economica allo scopo di
dividersi gli utili. I conferimenti in danaro o di natura economica suscettibili di valutazione
economica vanno a formare il patriminio della società o cosidetto fondo sociale. L'attività
economica deve essere rivolta ad uno scopo produttivo al fine del conseguimento di utili e
cioè di profitto per i soci. Le società che hanno come oggetto l'esercizio di un'attività
commerciale devono costituirsi secondo:
• Accomandata semplice
• Società a responsabilità limitata
• Società per azioni
• Società in accomandata per azioni
Tali società sono di diritto imprese commerciali e perciò soggette al relativo statuto. Le società che
hanno per oggetto l'esercizio di un'attività diversa sono regolate da disposizioni sulla società
semplice. Le società di cui precedentemente si è detto sono società lucrative dove il vantaggio viene
perseguito direttamente dalla società che poi viene distribuito ai soci. Diversamente si atteggiano le
società mutualistiche. Tali società forniscono beni, servizi o occasioni di lavoro direttamente ai
membri dell'organizzazione a condizioni più vantaggiose di quelle che i soci otterrebbero sul
mercato. Tra queste assumono una particolare rilevanza le società cooperative e le mutue
assicurazioni.

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L'azienda.
L'azienda è il complesso di beni organizzato dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa. Non è
necessario che l'imprenditore sia proprietario dei mezzi di produzione ma che esso ne abbia
disponibilità. L'imprenditore organizza l'attività economica con la destinazione dei beni alla
produzione e allo scambio. Il complesso di beni organizzato rappresenta l'azienda. Segni distintivi
dell'azienda sono la ditta, l'insegna ed il marchio. La ditta identifica la titolarità e deve contenere
almeno il nome o la sigla dell'imprenditore salvo ipotesi di trasferimento dell'azienda. L'insegna
connota il luogo ove è esercitata l'attività, il marchio contraddistingue il prodotto.

Concorrenza e mercato.
Il naturale approdo dei risultati dell'attività imprenditoriale è il mercato dove i prodotti sono
collocati e scambiati. Il mercato è il luogo di incontro tra domanda e offerta e poiché sono vari i
soggetti del sistema economico per ognuna di tale componente si svolge un relativo mercato. Un
tempo il mercato era circostritto ad un unità fisica dove materialmente si incontravano e
dialogavano i soggetti del percorso produttivo, da tempo il mercato esprime uno spazio ideale
sempre più virtuale e organizzato dove impulsi elettronici segnano le impersonali dichiarazioni dei
singoli operatori. Più i confini si dilatano maggiormente è avvertita l'esigenza di garantire
informazione e trasparenza.

Il mercato, quale punto di riferimento per lo sviluppo economico, non può essere lasciato ad uno
spontaneismo senza regole con l'inevitabile vittoria del più forte. Un mercato senza regole non
garantirebbe un libero accesso a tutti e dunque una corretta gara. La libertà di iniziativa economica
privata segna anche la libertà di accesso al mercato. Tradizionalmente la concorrenza è stata
configurata come conseguenza della libertà di iniziativa economica. La libertà di iniziativa tra i singoli
operatori si traduce nella concorrenza degli stessi quando in un determinato tempo o area
geografica, più operatori offrono o domandano i medesimi prodotti.

Il codice civile prevede varie restrizioni alla concorrenza, ma le limitazioni legali della concorrenza
operano nella prospettiva di tutela dei soli imprenditori al fine di evitare che vincoli troppo incisivi o
molto prolungati possano svuotare la libertà di iniziativa economica. Analogamente è rimesso agli
imprenditori disporre della libertà di concorrenza attraverso la stipula di divieti convenzionali di
concorrenza, altre volte attraverso cartello impositivi di determinati comportamenti. Anche la
disciplina sulla concorrenza sleale è rivolta a disciplinare esclusivamente la concorrenza tra
imprenditori. Per l'art.2598 compie atti di concorrenza sleale chiunque compie atti idonei a creare
confusione con i prodotti e con l'attività di un concorrente, oppure determina il discredito altrui o si
appropria di pregi dei prodotti o dell'impresa di un concorrente e in generale si vale direttamente o
indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo
a danneggiare l'altro azienda.

Vediamo che i protagonisti del mercato non sono più i soli imprenditori, a fianco ad essi rilevano i
fruitori dei prodotti ossia i consumatori. Il contesto dunque muta ed è capovolto viene in rilievo i
questo caso il cosiddetto mercato concorrenziale. La struttura concorrenziale del mercato diventa il
presupposto e non più la conseguenza della libertà di iniziativa economica privata. È il bene
oggettivo rispetto al quale l'iniziativa economica privata deve confrontarsi e i consumatori traggono
alimento per la scelta dei prodotti. È i particolare con la legge 287/1990, cosiddetta legge antitrust,
su modello degli art. 85 e 86 del trattato CE, che muta la configurazione della concorrenza. L'art. 1 di
tale legge annette la struttura concorrenziale del mercato rilevanza costituzionale quale esplicazione

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del principio della libertà economica. È opinione diffusa che la disciplina antitrust tutela la
concorrenza e non i concorrenti. Il bene giuridico tutelato non è più soli la libertà di iniziativa
economica delle imprese, ma la struttura concorrenziale del mercato presidiato da doveri di lealtà e
trasparenza. A garanzia della concorrenza è stata istituita l'autorità garante della concorrenza e del
mercato con poteri di regolazione e con poteri di emettere diffide e sanzioni. L'autorità valutati gli
elementi in suo possesso e quelli portati a sua conoscenza da pubbliche amministrazioni o da
chiunque ne abbia interesse, procede ad istruttoria per verificare l'esistenza di infrazioni e divieti.

Stato e concorrenza.
Lo stato ha legislazione esclusiva in materia di concorrenza unilateralmente alle materie riguardanti
la moneta, la tutela del risparmio, mercati finanziari, il sistema valutario, sistema tributario e
contabile, la perequazione delle risorse finanziarie. A seguito degli art. 85 e 86 del trattato del CE
della legge 287/1990 anche le pubbliche amministrazioni quando operano sul mercato sono
soggette alle regole di concorrenza.

7 CLAUSOLE GENERALI.
L'evoluzione dell'ordinamento derivante dalla conseguente evoluzione della realtà sociale viene
assicurata in gran parte dalle cosidette clausole generali. La natura delle clausole generali è molto
controversa e molte sono le definizioni date di clausole generali anche per distinguerle da figure
contigue. In effetti il ricorso a clausole generali esprime l'esigenza degli ordinamenti di far fronte a
due importanti esigenze: da un lato l'impossibilità di disciplinare tutti i casi della realtà materiale,
dall'altro la risposta al continuo cambiamento dell'ordinamento in base alla evoluzione della realtà
sociale. Le clausole generali indicano una tecnica di normazione, mirano alla determinazione del
contenuto precettivo delle singole regole mediante strumenti dotati di elasticitá e adattabilità. Si
pensi ad esempio alle previsioni di buona fede, correttezza, diligenza, buon costume ecc, norme
necessariamente elastiche a dal contenuto necessariamente vago.

La clausola generale si concretizza nel tempo secondo i valori storicamente espressi


dall'ordinamento ai quali anche il giudice deve e necessariamente uniformarsi. Si comprende in
questo modo come una determinata clausola generale possa subire mutamenti in base
all'evoluzione dell'ordinamento. Si vedrà ad esempio come il contenuto della “buona fede”, che tra
l'altro rappresenta la clausola generale per eccellenza, con l'avvento della carta costituzionale, abbia
assunto un significato diverso rispetto a quello ricavabile dal codice civile. In tal modo le clausole
generali da un lato favoriscono la regolazione di fattispecie non previste, dall'altro lato operano una
costante integrazione delle regole consentendo l'aderenza delle stesse all'evoluzione
dell'ordinamento.
Alcune di tali clausole come appunto buona fede, correttezza, diligenza, buon costume ecc sono già
presenti nel nostro codice civile. Altre clausole generali stanno emergendo invece in virtù della
legislazione successiva al codice civilee sotto l'influsso della carta costituzionale o perché impegnate
nelle normative comunitarie. Emblematica e la clausola generale del divieto di abuso del diritto
contenuta nelle fondamentali convenzioni europee sui diritti dell'uomo e sulle libertà fondamentali.

Come appunto si è detto tra le clausole generali una posizione di rilievo è assunta dalla buona fede
che può considerarsi come clausola assorbente di ogni altra clausola. La buona fede esprime una
categoria generale che attraverso l'intero ordinamento giuridico e connota in modo sempre più
incisivo la recente disciplina dei rapporti sociali. Manca però nella legge una nozione o definizione
precisa di buona fede, nozione che necessariamente bisogna trarre dall'ordinamento.
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Buona fede soggettiva.


La buona fede esprime l'ispirazione alla realizzazione di una convivenza civile cementata da un
vincolo di lealtà tra i vari soggetti. Distinguiamo due tipi di buona fede: buona fede soggettiva e
buona fede oggettiva.
• La buona fede soggettiva esprime uno stato soggettivo di ignoranza della realtà giuridica. In
particolare la legge tutela la situazione soggettiva del soggetto che senza colpa ignora l'esigenza di
un fatto o di un diritto o al contrario considera esistente un diritto che in realtà non esiste.
(Cosiddetto affidamento incolpevole.) tuttavia anche quando esiste un dovere di informare non può
venire meno il dovere di informarsi. Perciò la legge tutela non la negligente ignoranza ma solo lo
stato psicologico dell'affidamento senza colpa. Inoltre la tutela della buona fede non può mai
condurre alla disapplicazione di regole giuridiche. Le regole fondamentali sulla buona fede
soggettiva sono dettate con riguardo al possesso di buona fede. La norma innanzitutto qualifica
possessore di buona fede chi possiede un diritto ignorando di ledere un diritto altrui. Dalla stessa
norma si ricavano poi due principi ossia la buona fede non giova se l'ignoranza dipende da colpa
grave, la buona fede è presunta al tempo dell'acquisto. I principi trovano generale applicazione
salvo norme contrarie. Ipotesi di tutela di buona fede soggettiva si trovano in tema di obbligazioni e
di contratti. Ad esempio l'annullamento del contratto che non dipende da una incapacità legale, non
pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso da terzi di buona fede che ignoravano o comunque non
potevano conoscere le cause dell'annullabilità. In tema di rappresentanza di potere il falso
rappresentante è responsabile del danno che il terzo contraente ha sofferto per avere confidato
senza sua colpa nell'efficacia del contratto.
• A differenza della buona fede soggettiva che esprime uno stato soggettivo, la buona fede
oggettiva indica un dovere di comportamento e più precisamente il dovere di comportarsi con lealtà
e correttezza. Si ha un dovere in senso negativo di non gabellare gli altri con la menzogna e la
reticenza sia un dovere positivo di comportamento collaborativo verso gli altri. Tale principio trova
una specifica previsione in tema di contratti e obbligazioni per il vincolo che si determina tra le parti
del contratto e in via generale tra i soggetti del rapporto obbligatorio. Già nella formazione
dell'accordo e durante le trattative le parti sono obbligate a comportarsi secondo la buona fede.
Inoltre il contratto deve essere interpretato in buona fede ed eseguito in buona fede. Il dovere di
buona fede però si distingue dal dovere di diligenza nell'adempimento dell'obbligazione.
Quest'ultimo allude al dovere della parte di comportarsi senza colpa è cioè in generale di non
incorrere in imprudenza o imperizia o in negligenza. I due doveri non sono né antitetici ne
incompatibili ma esprimono solo due prospettive di osservazione del generale dovere di
collaborazione cui deve informarsi il comportamento di ciascuno nelle relazioni giuridiche.

Informazione e trasparenza.
La buona fede nella dimensione del mercato si caratterizza sempre di più come dovere di
informazione e regola di trasparenza. Sono criteri che presidiano l'azione di tutti gli operatori del
mercato (imprenditori e consumatori). L'agire leale e corretto è un comportamento che tutela non
solo i soggetti del rapporto ma si risolve a vantaggio del generale sviluppo economico-sociale in
quanto consente di selezionare le imprese efficienti attraverso un corretto gioco della concorrenza.

Persona e solidarietà.
Nella prospettiva di tutela della persona umana la buona fede è di recente evoluta nel principio di
solidarietà, quale generale valore di rilevanza costituzionale che attraversa ormai l'intero diritto
privato, inteso come disciplina delle relazioni tra soggetti. Negli articoli 2 e 3 cost. è raffigurata una
solidarietà sociale che non è solo politica o economica ma aperta allo sviluppo della persona umana.
Affiora una costituzionalizzazione del principio di buona fede, e dunque dei doveri di lealtà e
correttezza in cui si articola, derivando dalla norma costituzionale forza normativa e ampiezza di
contenuto che si specificano di volta in volta in ragione della peculiarità del rapporto. L'obbligo di
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solidarietà così si appunta in capo ad ogni situazione giuridica soggettiva. Così in materia
contrattuale il principio di buona fede si colloca come dovere in capo a ciascun contraente di non
essere menzognero e reticente ma di compiere quanto è necessario alla salvaguardia dell'interesse
della controparte nei limiti di un sacrificio sostenibile. Più in generale la solidarietà si atteggia come
criterio fondamentale di civiltà e convivenza umana è linfa essenziale di coesione sociale.

PARTE IV

ISTITUTI

Soggetti

Persona fisica e capacità giuridica.


La capacità giuridica è l'attitudine ad essere titolare di situazioni giuridiche soggettive. La capacità
giuridica è una qualità, di carattere generale e astratto, il cui riconoscimento rende chi ne è investito
possibile centro di imputazione dei diritti e di obblighi. Come tale, la capacità giuridica va a definire
la posizione del soggetto all'interno dell'ordinamento. Di capacità giuridica sono dotati anche i
soggetti di diritti diversi dalle persone fisiche (persone giuridiche ed enti non riconosciuti, non solo
per quanto concerne le situazioni soggettive di contenuto patrimoniale ma anche per taluni diritti di
natura non patrimoniale (diritti della personalità). È evidente che gli enti non possono per loro
natura essere titolari di situazioni soggettive che presuppongono l'attributo della fisicità della
persona (es. le situazioni soggettive di natura familiare.) È scontato il collegamento tra la capacità
giuridica e l'esistenza della persona fisica. L'art. 1 del c.c indica che l'acquisto della capacità giuridica
avviene con la nascita. Contrariamente al passato non è richiesto, ai fini dell'acquisto della capacità
giuridica, il requisito della vitalità ovvero l'idoneità alla sopravvivenza, ma è sufficiente che il
neonato sia nato vivo anche solo per un istante. Parte della dottrina, in relazione alla situazione del
concepito, pur riconoscendo che manchi attualmente una capacità giuridica generale, accenna ad
una capacità giuridica parziale di carattere anticipato o provvisorio. Tuttavia prevale la tesi secondo
cui il concepito risulta privo della capacità giuridica, che si acquista solo al momento della nascita.
Per il periodo anteriore alla nascita vi sarebbe una situazione di attesa e l'ordinamento si
limiterebbe a predisporre una tutela anticipata dei diritti che questi potrebbe acquistare al
momento della nascita. Come già si è detto ai fini dell'acquisto della capacità giuridica è necessario
che il soggetto nasca vivo. Per la nascita decisivo risulta l'accertamento della respirazione.
L'ordinamento, come già si è detto, prevede una forma di tutela anticipata dei diritti che questi
potrebbe acquistare al momento della nascita, come il diritto ad essere risarcito per chi abbia subito
danni a livello fetale.

Fine della persona.


Si osservato come l'acquisto della capacità giuridica avvenga con la nascita del soggetto vivo. Non
meno importante risulta quindi la cessazione della capacità giuridica che avviene con la morte.
Sopratutto le esigenze legate ai trapianti di organi hanno indotto il legislatore a precisare il
momento in cui il soggetto deve essere considerato morto a tutti gli effetti. Per la legge 578/1993 la
morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo. Il concetto legale
di morte coincide con quello di morte cerebrale. Il venir meno della capacità giuridica comporta
l'impossibilità di riferire al defunto situazioni giuridiche. Con la morte della persona, situazioni
giuridiche si estinguono (in quanto intrasmissibili) e un numero consistente di rapporti giuridici
trova una nuova configurazione soggettiva. Di qui l'interesse della determinazione precisa della
morte. Tale interesse assume peculiare rilevanza nella situazione prevista dall'art.4 che regola

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l'ipotesi di commorienza. Si parla di commorienza quando un effetto giuridico dipende dalla


sopravvivenza di una persona a un'altra e non consti quale di esse sia morte prima, tutte si
considerano morte nello stesso momento. Con una finzione, cioè nonostante l'evento morte dei
diversi soggetti possa essersi verificato in momenti cronologicamente non coincidenti,
l'ordinamento giuridico considera come se i medesimi soggetti fossero morti nello stesso istante. Un
esempio può essere: nel medesimo incidente muoiano due coniugi e non consti quale dei due sia
morto per primo, i genitori dell'uno o dell'altro avrebbero interesse a dimostrare la sopravvivenza
del proprio figlio rispetto al coniuge, dal momento che il suo asse ereditario risulterebbe accresciuto
dei diritti spettantigli in quanto coniuge superstite. L'art.4 per evitare ogni incertezza pone appunto
la presunzione legale di non sopravvivenza.

Scomparsa, assenza e morte presunta.


L'irreperibilità del soggetto o addirittura la incertezza circa la sua stessa esistenza determinano
problemi gravi in ordine alla gestione e alla sorte delle situazioni giuridiche di cui sia titolare.

• Rilevante viene considerata la semplice scomparsa della persona. Una persona si reputa
scomparsa quando essa non è più comparsa nel luogo del suo ultimo domicilio o dell'ultima sua
residenza e non si hanno più notizie. Il tribunale su istanza degli interessati può nominare un
curatore che lo rappresenti. I provvedimenti legati alla scomparsa della persona sembrano
giustificarsi in base ad una sorta di presunzione, da parte del legislatore, di temporaneità della
situazione di incertezza circa l'esistenza della persona.
• Diversa e ben più grave ipotesi viene considerata l'ipotesi dell'assenza. Trascorsi due anni dal
giorno a cui risale l'ultima notizia, i presunti successori legittimi e chiunque ragionevolmente creda
di avere sui beni dello scomparso diritti dipendenti dalla morte possono domandare al tribunale che
ne sua dichiarata l'assenza. La dichiarazione di assenza si fonda sulla considerazione della
persistenza nel tempo dell'incertezza circa l'esistenza della persona: stato di incertezza che si
protrae per almeno 2 anni. Sotto il profilo dei rapporti personali, l'assenza non è configurata quale
causa di scoglimento del matrimonio. Sotto il profilo dei rapporti patrimoniali, una volta dichiarata
l'assenza del soggetto coloro che sarebbero gli eredi testamentari o legittimi possono domandare
l'immissione nel possesso temporaneo dei beni. Per effetto dell'immissione nel possesso
temporaneo dei beni, che deve essere necessariamente preceduto dalla formazione di un
inventario, coloro che l'abbiano ottenuta assumono l'amministrazione dei beni dell'assente, la
rappresentanza di lui in giudizio e il godimento delle rendite dei beni. I beni permangono nel
patrimonio dell'assente per tutta la sua assenza e non si ha un fenomeno successorio. Quanto ai
rapporti obbligatori dell'assente, coloro che per effetto della sua morte sarebbero liberati da
obbligazioni possono essere temporaneamente esonerati dall'adempimento (art.50 comma 4). La
situazione di assenza termina o con la prova della morte dell'assente o con la dichiarazione di morte
presunta dell'assente, o con il suo ritorno. Per effetto del ritorno dell'assente i possessori
temporanei devono restituire tutti i beni restando peraltro irrevocabili gli atti compiuti prima della
costituzione in mora art. 56.
• Anche se non vi sia stata una preventiva dichiarazione di assenza (art.58), quando siano
trascorsi 10 anni dal giorno a cui risale l'ultima notizia, il tribunale su istanza del PM o di qualsiasi
interessato, può dichiarare la morte presunta dello scomparso nel giorno a cui risale l'ultima notizia.
Per effetto della sentenza che dichiara la morte presunta si apre la successione ereditaria del
soggetto analogamente a ciò che si verifica nell'ipotesi di morte naturale del medesimo. A differenza
dell'ipotesi ordinaria di successione c'è la possibilità che il morto presunto faccia ritorno o che dello
stesso sia provata l'esistenza. Dal punto di vista patrimoniale, se la dichiarazione di morte presunta
risulta preceduta dalla preventiva immissione nel possesso dei beni dell'assente, gli immessi nel
possesso acquistano la disponibilità definitiva dei beni e coloro ai quali fu concesso l'esercizio
temporaneo dei diritti o la liberazione temporanea delle obbligazioni conseguono l'esercizio
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definitivo dei diritti o la liberazione definitiva dalle obbligazioni. Qualora non vi sia stata già
immissione nel possesso temporaneo dei beni, gli aventi diritto o i loro successori conseguono il
pieno esercizio dei diritti loro spettanti una volta che la dichiarazione di morte sia divenuta
eseguibile. In tale ultimo caso l'immissione del possesso deve essere preceduto dalla redazione di
un inventario dei beni. Ove la persona dichiarata morta presunta ritorni, la stessa recupera i beni
nello stato in cui si trovano e ha diritto a conseguire il prezzo di quelli alienati, ha il diritto a
pretendere l'adempimento delle obbligazioni in precedenza reputate estinte. Dal punto di vista
personale, a seguito della sentenza che dichiara che il soggetto sia morto presunto, il coniuge di tale
soggetto può contrarre nuovo matrimonio. Tuttavia tale matrimonio è considerato nullo nell'ipotesi
di ritorno del morto presunto o di accertamento della sua esistenza in vita.

Localizzazione della persona.


Per l'applicazione delle norme giuridiche è necessario stabilire una relazione tra il soggetto e una
sua ubicazione. Particolare importanza assume il luogo della nascita dato che è presso il comune in
cui essa è avvenuta che viene formato l'atto di nascita. Dall'atto di nascita è possibile evincere le
principali vicende esistenziali del soggetto idonee ad incidere sul suo status.
Sono considerare rilevanti le distinzioni tra dimora, residenza e domicilio.

• Per dimora si intende il luogo in cui il soggetto si trova, anche solo


temporaneamente, a soggiornare.
• La residenza è il luogo in cui la persona ha la propria dimora abituale. Ai fini della
fissazione della residenza si ritiene che debba ricorrere un elemento oggettivo ossia la
stabile permanenza nel luogo e un elemento soggettivo ossia l'intenzione di fissare la propria
dimora in quel luogo. Il luogo di residenza risulta rilevante sopratutto per i rapporti di natura
personale es. luogo dove deve essere richiesta la pubblicazione in vista del matrimonio. La
residenza determina la competenza territoriale degli organi giurisdizionali, nonché il luogo
dove deve avvenire la notifica degli atti giudiziari.
• Il domicilio è il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e
dei suoi interessi. Anche per il domicilio vi deve concorrere un elemento soggettivo ossia
l'intenzione di concentrare in un luogo i propri affari e interessi. Dal domicilio volontario si
distingue il domicilio legale stabilito dalla legge in relazione a certe categorie di soggetti: il
minore ha il luogo di residenza della famiglia o quello del tutore, l'interdetto ha il domicilio
del tutore. L'art.44 pone una ipotesi di trasferimento del domicilio, qualora una persona che
abbia nel medesimo luogo il domicilio e la residenza trasferisca quest'ultima altrove. Per le
persone giuridiche vale quale criterio di localizzazione quello della sede.
Capacità di agire.
Per capacità di agire si intende l'attitudine a compiere atti idonei ad incidere sulla propria sfera
giuridica. Ai sensi dell'articolo 2 la capacità di agire si acquista con la maggiore età, vale a dire al
compimento del diciottesimo anno. La fissazione di un criterio presuntivo per la valutazione
dell'attitudine del soggetto a regolare i propri interessi rappresenta una necessità per lo svolgimento
di relazioni giuridiche. L'ordinamento non manca di assicurare un’adeguata tutela degli interessi del
soggetto, prevedendo l'incidenza di sue peculiari condizioni personali sulla valutazione di tale
attitudine, quali in particolare le condizioni psichiche e fisiche con conseguente riduzione o
addirittura perdita della capacità di agire. Si tratta delle ipotesi di incapacità legale di agire in
conseguenza di un provvedimento giudiziale e l'incapacità di intendere o di volere stato in cui il
soggetto viene a trovarsi.

Carattere sanzionatorio ha la limitazione della capacità di agire in dipendenza di gravi condanne


penali.

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La differenza con la capacità giuridica è evidente. Mentre chi è dotato di capacità giuridica può
essere titolare di situazioni giuridiche soggettive, il soggetto capace di agire può altresì validamente
compiere atti giuridici idonei a produrre modificazioni nella sfera delle proprie situazioni soggettive.
Così mentre con la nascita il soggetto ha la capacità di essere titolare della proprietà di beni, con il
conseguimento della capacità di agire lo stesso soggetto può con propri atti acquistare, vendere,
dare in garanzia, ecc., i beni di cui risulta proprietario.

Minore.
Fissando alla maggiore età l'acquisto della capacità di agire, il minore si trova in una situazione in
incapacità di agire generale. Numerose sono le disposizioni che riconoscono al minore la capacità di
compiere atti idonei ad incidere sulla sua sfera giuridica, sia pure al di fuori dell'area dei rapporti di
natura più strettamente patrimoniale. Il tutto è legato alla sua maturazione, è più precisamente alla
sua capacità di discernimento. L'autonomia del minore circa le scelte di carattere personale e
l'esercizio dei diritti fondamentali, che non si ritiene possa essere esclusa in presenza di una
maturità adeguata, trova ormai ampio riconoscimento anche a livello internazionale. Può essere
ascoltata l'opinione del minore capace di discernimento, può prestare attività lavorativa dai 15 anni,
può compiere tutti gli atti ove è richiesta solo la capacità di intendere e di volere. Il minore deve
essere tutelato e assistito fino al raggiungimento della maggiore età art.30 cost.

Responsabilitá genitoriale.
Alla luce di una simile esigenza di protezione dell'interesse del minore il legislatore ha dettato un
articolata disciplina della responsabilità genitoriale. La responsabilità genitoriale, il cui esercizio è
disciplinato dagli articoli 316 ss., si ricollega alla nozione di potestá, intesa quale situazione giuridica
soggettiva complessa attribuita dall'ordinamento in vista della tutela degli interessi altrui reputati
meritevoli di tutela. In considerazione della rilevanza dell'interesse protetto la responsabilità
genitoriale viene definita come un potere-dovere. Essa è esercitata in comune accordo da entrambi
i genitori.

Dettagliata risulta la disciplina del profilo patrimoniale della responsabilità genitoriale art.320.
Questa si stanzia nella rappresentanza del minore e nell'amministrazione dei beni del medesimo. I
genitori che esercitano la responsabilità genitoriale hanno la rappresentanza legale del minore
(permettono al soggetto incapace di operare nel mondo dei traffici giuridici). I genitori compiono in
nome e per conto del minore gli atti idonei ad incidere sulla sfera giuridica patrimoniale, così
permettendo di attuare la modificazione delle sue situazioni giuridiche soggettive. I genitori in modo
congiunto rappresentano i figli in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni. L'attività di
amministrazione dei beni comprende non solo tutti gli atti necessari alla conservazione del
patrimonio, ma anche quelli tesi alla sua valorizzazione. In base alla rilevanza dell'atto distinguiamo
gli atti di ordinaria amministrazione e gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione. Un atto si reputa
eccedente l'ordinaria amministrazione allorché comporti una modifica nella struttura del
patrimonio. L'atto di ordinaria amministrazione non incide sulla sostanza del patrimonio non
comportando nessuna modificazione nella sua composizione. Gli atti di ordinaria amministrazione
possono essere compiuti disgiuntamente da ciascun genitore, mentre per i secondi la valutazione
non viene rimessa solo ai genitori ma anche al giudice tutelare che valuterà la necessità o utilità
dell'atto. I genitori non possono compiere atti personalissimi come donazione e testamento per
conto del minore. Nel caso di conflitto di interessi tra figli soggetti alla stessa responsabilità
genitoriale, o tra essi e i genitori interviene l'ultimo comma dell'art.320 che prevede la nomina di un
curatore speciale, che rappresenterà il minore nel compimento dell'atto.
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Un curatore speciale può essere nominato anche quando i genitori non possono o non vogliono
compiere atti eccedenti l'ordinaria amministrazione. Art.(321.). Gli atti compiuti senza osservare le
regole previste dal legislatore sono annullabili come ad esempio l'atto con cui i genitori abbiano
venduto un bene del figlio senza la necessaria autorizzazione del giudice tutelare. L'azione di
annullamento dell'atto può essere esercitata dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale, dal
figlio, nonché dai suoi eredi o aventi causa. L'azione di annullamento si prescrive in 5 anni dal giorno
in cui il minore ha raggiunto la maggiore età. Nel caso di decesso del minore in data anteriore al
raggiungimento della maggiore età il termine di prescrizione decorre dal giorno della morte del
minore stesso. I genitori che esercitano la responsabilità genitoriale sul minore hanno in comune
l'usufrutto legale sui beni del minore. I frutti percepiti dai beni del minore devono essere destinati al
mantenimento della famiglia ed all'istruzione ed educazione dei figli. La responsabilità genitoriale
cessa con il raggiungimento della maggiore età del minore o con la sua emancipazione. A seguito un
controllo dell'autorità giudiziaria può essere pronunciata la decadenza della responsabilità
genitoriale prevedendo poi l'allontanamento del figlio o del coniuge. I provvedimenti adottati sono
sempre revocabili art. 333. Se i genitori conducono una cattiva amministrazione dei beni del figlio, il
tribunale può stabilire condizioni o addirittura può rimuovere da essa uno o entrambi i genitori,
nominando un curatore, privandoli in tutto o in parte dell'usufrutto legale. Art. 334. Il processo di
controllo dell'attività del genitore può essere attivato dall'altro genitore, dai parenti, o dal P.M. La
vigilanza dell'osservanza delle regole è affidata al giudice tutelare.

Tutela.
Se entrambi genitori sono morti, o per qualunque altra causa non possono esercitare la
responsabilità genitoriale, si apre la tutela presso il tribunale circondario dove è la sede principale
degli affari e interessi del minore, cioè il suo domicilio art. 343. L'istituto della tutela è da ritenersi
espressione del precetto costituzionale secondo cui, nei casi di incapacità dei genitori, la legge
provvede che siano assolti i loro compiti art. 30 comma 2. La tutela ha dunque la funzione di
garantire, attraverso l'intervento di un altro soggetto ed il controllo da parte di organi giudiziali sulla
relativa attività del genitore, al minore la cura dei propri interessi personali e patrimoniali. I poteri
riconosciuti a chi è investito di una simile potestá devono essere esercitati nell'interesse del minore
che l'ordinamento intende proteggere. L'ufficio tutelare è gratuito. Rispetto alla responsabilità
genitoriale che trova un suo fondamento nel vincolo di sangue che lega i genitori al figlio, la tutela
deriva da una pronuncia dell'autorità giudiziaria. È per questo che nella tutela, in particolare in
ordine all'attività di amministrazione del patrimonio del minore, sono previsti vincoli e controlli di
maggiore intensità rispetto a quelli caratterizzanti l'esercizio della responsabilità genitoriale. Nel
quadro dell'esercizio della tutela un ruolo fondamentale assume la figura del giudice tutelare, il
quale soprintende l'esercizio della tutela e può chiedere assistenza agli organi della pubblica
amministrazione e di tutti gli enti i cui scopi corrispondano alle sue funzioni. L'attività del giudice si
atteggia come controllo e coordinamento, egli decide su tutte le questioni maggiormente rilevanti al
minore e al suo patrimonio. Presso ogni giudice tutelare è istituito il registro delle tutele (tutti gli atti
e i provvedimenti). Il giudice tutelare appena ricevuta notizia del fatto da cui deriva l'apertura della
tutela, procede alla nomina del tutore e del protutore art.346. Prima della nomina del tutore deve
essere sentito anche il minore che abbia raggiunto l'età di dodici anni. Il giudice nomina tutore la
persona designata dal genitore che ha esercitato per ultimo la responsabilità genitoriale. La
designazione può essere fatta per testamento, atto pubblico o per scrittura privata autenticata.
Qualora manchi la designazione la scelta del tutore viene effettuata preferibilmente tra gli
ascendenti o tra gli altri prossimi parenti o affini del minore(tutela legittima). In mancanza il tutore

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viene scelto tra altre persone (tutela dativa), o deferita a un ente o assistenza (tutela assistenziale).
In quest'ultimo caso l'amministrazione dell'ente delega uno dei propri membri a esercitare le
funzioni di tutela. Il tutore ha la cura della persona del minore, lo rappresenta in tutti gli atti civili e
ne amministra i beni. Il tutore assume sia una funzione di carattere personale, che una funzione di
carattere patrimoniale. Sotto il profilo personale ha gli stessi doveri che competono ai genitori
(istruzione, educazione e assistenza morale del minore). Deve però attenersi alle direttive del
giudice tutelare. Sotto il profilo patrimoniale lo stesso giudice indica la spesa annua occorrente per
l'amministrazione del patrimonio del minore, fissando i modi di impiego dei redditi eccedente se
autorizza ad investire i capitali secondo specifici criteri. Il tutore rappresenta il minore in tutti gli atti
civili e amministra il patrimonio del medesimo. Vediamo inoltre come al tutore è impedito
l'usufrutto legale sui beni del minore, proprio in assenza del carattere familiare del rapporto che
rappresenta attributo peculiare del rapporto genitore-figlio. Il tutore compie da solo gli atti di
ordinaria amministrazione, gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione sono compiuti dal tutore su
autorizzazione del giudice tutelare. Tuttavia per gli atti che debbono reputarsi di maggiore
importanza e che comunque comportano una rilevante modificazione della composizione del
patrimonio del minore, l'atto non può essere compiuto se non previa autorizzazione del tribunale e
il parere del giudice tutelare. L'atto compiuto senza osservare le regole accennate è da considerare
annullabile su istanza del tutore, del minore o dei suoi eredi aventi causa. L'azione di annullamento
si prescrive in 5 anni dal giorno in cui il minore ha compiuto la maggiore età oppure dal giorno della
sua morte. Si è visto come il giudice tutelare accanto alla nomina del tutore provveda
contemporaneamente anche alla nomina di un protutore. Il protutore rappresenta il minore quando
l'interesse del tutore è in contrasto con quello del minore. Il protutore è poi tenuto alla nomina del
nuovo tutore nel caso l'originario tutore sia venuto a mancare o abbia abbandonato l'ufficio, in
questo tempo il protutore stesso assume la cura della persona del minore, lo rappresenta e può
compiere gli atti conservativi e gli atti urgenti di amministrazione. In ordine alla responsabilità il
tutore deve amministrare il patrimonio con diligenza del buon padre di famiglia. Il tutore risponde
verso il minore di ogni danno a lui cagionato violando i propri doveri. Nella stessa responsabilità
incorre il protutore per ciò che riguarda i doveri del proprio ufficio. La tutela termina quando il
minore raggiunge la maggiore età o eventualmente consegua l'emancipazione per effetto del
matrimonio. Il giudice tutelare tuttavia può sempre esonerare il tutore dall'ufficio qualora l'esercizio
di esso sia per il tutore soverchiamente gravoso e vi sia altra persona a sostituirlo, può inoltre
rimuovere dall'ufficio il tutore che si sia reso colpevole di negligenza o abbia abusato dei suoi poteri
o si sia dimostrato inetto all'adempimento di essi oppure quando il tutore sia diventato insolvente.

Emancipazione.
Il minore che abbia compiuto 16 anni, qualora sussistano gravi motivi, può esser ammesso con
decreto del tribunale per i minorenni al matrimonio, previo accertamento della sua maturità psico-
fisica e della fondatezza delle ragioni addotte, sentito il p.m. i genitori o il tutore (art. 84). Il minore
acquista, così, lo stato di emancipato: la emancipazione avviene di diritto in conseguenza del
matrimonio (art. 390). Il minore acquista così una capacità di agire limitata. Il minore viene reputato
idoneo a curare i propri interessi di natura personale e l’ordinamento interviene esclusivamente
nella cura dei suoi interessi patrimoniali. La funzione di provvedere alla cura degli interessi
patrimoniali del minore emancipato viene assolta dal curatore (coniuge se di maggiore età). Se
entrambi i coniugi sono di minore età, il giudice tutelare può nominare un unico curatore, scelto
preferibilmente tra i genitori. Il curatore ha solo funzioni di carattere patrimoniale: la sua attività è
limitata all’amministrazione del patrimonio dell’emancipato. Il tutore rappresenta il minore, il
curatore si limita ad assistere l’emancipato, senza rappresentarlo. L'atto viene compiuto in prima

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persona dal minore emancipato la cui volontà risulta essenziale, tuttavia il suo consenso non risulta
sufficiente in quanto deve essere necessariamente integrato dal consenso del curatore. L’atto
compiuto dal minore emancipato, con il consenso del curatore, è un atto soggettivamente
complesso (atto complesso ineguale). In considerazione della sua limitata capacità di agire il minore
emancipato compie da solo solo atti di ordinaria amministrazione. Il minore può, con l’assistenza del
curatore, riscuotere capitali sotto la condizione di idoneo reimpiego. Gli atti eccedenti l’ordinaria
amministrazione sono compiuti dal minore col consenso del curatore, previa autorizzazione del
giudice tutelare. Per gli atti maggiormente rilevanti (atti di disposizione) indicati dall'art.375,
l'autorizzazione, se curatore non è il genitore deve essere data dal tribunale previo parere del
giudice tutelare. Nell’ipotesi di conflitto tra minore e curatore, il giudice tutelare nomina un
curatore speciale. Anche la violazione delle norme che regolano gli atti di amministrazione dei beni
dell’emancipato comporta l’annullabilità del medesimo. (azione di annullamento cade in
prescrizione in 5 anni dal compimento della maggiore età o dal giorno della morte dell'emancipato).
Una capacità di agire quasi piena ha il minore emancipato autorizzato dal tribunale all’esercizio di
impresa commerciale. Resta comunque preclusa la possibilità di fare testamento e donazioni. La
situazione dell'emancipato termina con il raggiungimento della maggiore età.

Cause modificative della capacità di agire e protezione dell'incapace.


Si è avuto modo di considerare come alcuni soggetti, i minori, siano senz'altro considerati privi della
capacità di agire in dipendenza della loro età. In tale ipotesi il legislatore muove da una sorta di
presunzione che il minore sia inidoneo a provvedere ai propri interessi fino al raggiungimento della
maggiore età.
L’esigenza di proteggere il soggetto incapace e di predisporre adeguati strumenti di tutela a suo
favore sussiste pure in relazione a persone che, ancorché maggiori di età, non siano comunque
dotate delle condizioni psico-fisiche, idonee a consentire una corretta cura dei propri interessi e una
ponderata esplicazione della propria autonomia negoziale. La disciplina ha subito una notevole
maggiorazione di elasticità a seguito della L. 6/2004, rendendo maggiormente flessibili da parte
dell'autorità giudiziaria i provvedimenti di interdizione e di inabilitazione e introducendo l'istituto
dell’amministrazione di sostegno. La legge 104/92 esprime l’idea che deve essere adottata ogni
misura atta a valorizzare la capacità residua di chi si trovi in qualsiasi condizione di menomazione. La
prospettiva è quella di non allontanare il soggetto dalla vita di relazione, ritenendo funzionale il
riconoscere la possibilità di continuare ad operare nei campi personali e patrimoniali fino al cui non
sussistano imprescindibili motivi di sostituirlo.

Interdizione giudiziale.
Il maggiore di età e il minore emancipato, i quali si trovino in condizioni di abituale infermità di
mente che li renda incapaci di provvedere ai propri interessi, sono interdetti, quando ciò sia
“necessario per assicurare la loro adeguata protezione”. L’art 414 conferma, quali presupposti di
interdizione, lo stato di abituale infermità di mente e l’incapacità di provvedere ai propri interessi.
Diversamente che in precedenza viene resa esplicita la ratio del provvedimento in esame, che risulta
ora esclusivamente quella di garantire un’adeguata protezione all’incapace: proprio il carattere di
reale necessarietà del provvedimento per la protezione dell’incapace costituirà oggetto della
valutazione che compete all’autorità giudiziale.
Tra i soggetti legittimati a chiedere l’interdizione (art. 417) viene espressamente indicato lo stesso
incapace (istituto di protezione). Per la pronunzia di interdizione, risulta sempre necessario l'esame
del soggetto interdicendo da parte di un consulente tecnico e può anche d'ufficio interrogare i
parenti prossimi dell'interdicendo e assumere le necessarie informazioni. L'ampiezza dei poteri del
giudice in materia denota la presenza di un interesse generale ad assicurare la protezione del
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soggetto che si presenta essere incapace, ma solo a seguito di un rigoroso accertamento delle
condizioni che impongono l'adozione delle misure necessarie. In tale prospettiva è da evidenziare
come anche se venga chiesta la interdizione del soggetto, il giudice possa disporre, pure d'ufficio, la
inabilitazione per infermità mentale. Vale anche la situazione inversa. Quanto agli effetti
dell’interdizione, il momento decisivo è da individuarsi nella sentenza: ai sensi dell’art. 421, la
interdizione produce i suoi effetti dal giorno della pubblicazione della sentenza. Una prospettiva
analoga vale per la cessazione degli effetti dell’interdizione. La revoca dallo stato di interdizione si
produce non quando viene meno la causa dell'interdizione, ma solo a far data dal passaggio in
giudicato della sentenza che revoca l'interdizione medesima. Per evidenti ragioni di pubblicità, la
sentenza deve essere annotata immediatamente, a cura del cancelliere del tribunale, nel registro
delle tutele e comunicata entro 10 giorni all’ufficiale dello stato civile per l’annotazione in margine
all’atto di nascita (art. 423). Alle stesse forme di pubblicità è soggetta anche la sentenza che
pronuncia la revoca dello stato di interdizione. Con la sentenza di interdizione si da luogo alla tutela:
all’interdetto vengono assegnati un tutore e un protutore, si applicheranno le stesse norme che
regolano la tutela del minore. Per la scelta del tutore dell'interdetto il giudice tutelare deve
individuare di preferenza la persona più idonea all’incarico. Circa la durata della tutela nessuno è
tenuto a continuare l'incarico oltre dieci anni, ad eccezione del coniuge, della persona stabilmente
convivente, degli ascendenti o dei discendenti. Le conseguenze di maggiore rilevanza riguardano la
drastica limitazione della capacità di agire, sia sotto il profilo personale che sotto quello
patrimoniale. L’interdizione giudiziale consegue ad una valutazione di globale inettitudine del
soggetto a provvedere ai propri interessi sia quelli di natura personale che quelli di natura
patrimoniale. Sotto il profilo personale al tutore compete la cura della persona dell’interdetto
(educazione, istruzione, assistenza morale). L’interdetto non può contrarre matrimonio né
procedere al riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio. È sotto il profilo patrimoniale e
precisamente riguardo l'amministrazione del patrimonio dell'incapace che si registra una
importante modificazione rispetto alla disciplina anteriore. In precedenza l'interdetto veniva del
tutto privato della capacità di agire, pertanto gli atti di ordinaria amministrazione venivano compiuti
dal tutore quale rappresentate legale dell'interdetto. Quanto agli atti eccedenti l'ordinaria
amministrazione dovevano essere compiuti dal tutore previa autorizzazione del giudice tutelare ad
eccezione degli atti più importanti ossia i cosiddetti atti di disposizione compiuti dal tutore previa
autorizzazione del tribunale su parere del giudice tutelare. Oggi, in base l’art 427, si dispone che
taluni atti di ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall’interdetto senza l’intervento
del tutore. Deve però essere integrato dal consenso del tutore. All’interdetto è preclusa la possibilità
di effettuare donazioni e di fare testamento. Viene riconosciuta quindi una limitata capacità di agire.
Circa la sorte degli atti compiuti in violazione delle norme che regolano l'amministrazione dei beni
dell'interdetto, basta fare rinvio a quanto osservato in relazione alla tutela del minore con la
differenza che il termine quinquennale di prescrizione del l'annullamento dell'atto decorrerà dalla
cessazione dello stato di interdizione e quindi con il passaggio in giudicato della sentenza che revoca
la interdizione oltre che eventuale dal giorno della morte dell'interdetto.

Inabilitazione.
Il maggiore di età infermo di mente, lo stato del quale non è talmente grave da far luogo
all’interdizione, può essere inabilitato. Possono essere inabilitati coloro che per prodigalità o per
abuso abituale di bevande alcoliche o stupefacenti, espongano sé o la loro famiglia a gravi pregiudizi
economici. Infine, possono essere inabilitati il sordo e il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia, se
non hanno ricevuto una educazione sufficiente. L’inabilitazione è una forma di limitazione della
capacità di agire, meno grave dell’interdizione giudiziale. Le conseguenze rilevano esclusivamente

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sotto il profilo patrimoniale, così in particolare l'inabilitato può contrarre matrimonio, e può
riconoscere il figlio nato fuori dal matrimonio. L'inabilitazione può essere promossa anche su istanza
dal soggetto interessato o dalla persona che convive con lui stabilmente. L'inabilitando deve essere
esaminato dal giudice, gli effetti della inabilitazione si producono dalla pubblicazione della relativa
sentenza e la revoca ha efficacia a partire dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di
revoca. La sentenza di inabilitazione come la sentenza di revoca sono annotate nel registro delle
curatele ed annotate in margine all'atto di nascita. Con la sentenza di inabilitazione si da luogo alla
curatela. Viene nominato un curatore, e non un tutore, con gli stessi poteri del curatore del minore
emancipato. L’inabilitato compie da solo gli atti di ordinaria amministrazione, può, con assistenza
del curatore, riscuotere capitali sotto la condizione di un idoneo reimpiego; gli atti eccedenti
l’ordinaria amministrazione sono compiuti dall’inabilitato, col consenso del curatore, previa
autorizzazione del giudice tutelare; gli atti di disposizione sono compiuti dall’inabilitato, col
consenso del curatore e previa autorizzazione del tribunale, su parere del giudice tutelare. L’art. 427
prevede che alcuni atti eccedenti l’ordinaria amministrazione possano essere compiuti
dall’inabilitato senza la presenza del curatore. Quanto alla sorte degli atti compiuti in violazione
della norma che regola l'amministrazione dei beni dell'inabilitato si fa rinvio a quanto osservato in
relazione alla curatela del minore emancipato con l'unica differenza che il termine quinquennale di
prescrizione dell'azione di annullamento dell'atto decorrerà dalla cessazione dello stato di
inabilitazione e quindi dal momento del passaggio in giudicato della sentenza che revoca
l'inabilitazione oltre che dal giorno della morte dell'inabilitato. Mentre l'interdetto non può fare
testamento, l’inabilitato può fare testamento ed effettuare donazioni.

Amministrazione di sostegno.
L'amministrazione di sostegno è un nuovo strumento giuridico di protezione finalizzato a tutelare,
con la minore limitazione possibile della capacità di agire, chiunque si trovi in condizioni di
particolare difficoltà e ridotta capacità di autonomia. Si pensi all'anziano che, pur mantenendo
buone capacità di relazione e di comprensione della sua situazione, non è del tutto autosufficiente,
all'invalido che non sia in grado di compiere alcuni atti, al malato psichiatrico che a seguito di
adeguata terapia manifesti un buon grado di autonomia. Queste persone, pur conservando la
capacità di agire e di compiere gli atti diretti a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana,
necessitano di una persona, l'amministratore di sostegno, che abbia cura di loro e provveda a
compiere le azioni necessarie per la gestione dei loro beni.

Presupposto per l’assegnazione al soggetto di una amministratore di sostegno è l'impossibilità,


anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, dovuta ad infermità, ovvero
menomazione psichica o fisica (404). Il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno deve
contenere una serie di indicazioni che valgono a delineare i poteri e i limiti delle attribuzioni
dell’amministratore di sostegno stesso. Il decreto di apertura dell'amministrazione di sostegno e
quello di eventuale chiusura così come per qualsiasi altro provvedimento assunto nel relativo corso
devono essere annotati nell'apposito registro delle amministrazioni di sostegno, tenuto presso
l'ufficio del giudice tutelare, e annotati in margine all'atto di nascita del beneficiario. Il giudice
tutelare deve sentire personalmente la persona cui si riferisce il procedimento recandosi, ove
occorra, nel luogo in cui questa si trova e deve tener conto compatibilmente con gli interessi e le
esigenze di protezione della persona dei bisogni e delle richieste di questa. La scelta
dell’amministratore di sostegno deve avvenire con esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi della
persona del beneficiario e, addirittura, può essere designato dallo stesso beneficiario, in previsione
di una sua futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata. In mancanza di

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nomina da parte dello stesso beneficiario, il giudice tutelare sceglierà l'amministratore di sostegno
tra i soggetti più vicini al destinatario del provvedimento come per esempio coniuge, persona
stabilmente convivente, genitore, figlio, parenti entro il quarto grado. L’amministratore di sostegno
deve svolgere i sui compiti tenendo conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario e deve
tempestivamente informare il beneficiario circa gli atti da compiere nonché il giudice tutelare in
caso di dissenso col beneficiario stesso (art. 410). Quanto alla capacità del soggetto sottoposto ad
amministrazione di sostegno può agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza
esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministrazione di sostegno. Mentre l’amministrazione di
sostegno comporta una limitazione relativa solo a singoli atti o categorie di atti, specificamente
individuati dal giudice nel provvedimento di nomina dell’amministratore, l’interdizione e la
inabilitazione determinano una compressione più o meno ampia della capacità di agire in via
generale. Quanto alla sorte degli atti compiuti dal beneficiario o dall'amministratore di sostegno in
violazione di norme di legge o di disposizioni del giudice, essi sono o annullabili su istanza
dell'amministratore di sostegno, dal P.M, dal beneficiario o dai suoi eredi e aventi causa. L'azione di
annullamento si prescrive in cinque anni a far data dal giorno in cui sia cessata lo stato di
sottoposizione ad amministrazione di sostengo. La cessazione dell'amministrazione di sostegno può
derivare, oltre dalla morte del beneficiario, esclusivamente con il provvedimento di revoca o da un
provvedimento con cui sia disposta l'interdizione giudiziale o l'inabilitazione del soggetto.

Interdizione legale.
Sono sottoposti ad interdizione legale, ai sensi dell’art. 32 c.p., i soggetti condannati all’ergastolo o
alla reclusione per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni. L’interdizione viene definita
legale in quanto costituisce un effetto che discende automaticamente dalla sentenza di condanna,
senza risultare dalla sentenza. L'interdizione legale differisce da quella giudiziale in quanto si tratta
non della protezione di un soggetto incapace di provvedere ai propri interessi, ma una pena
accessoria rispetto alla condanna principale. L’interdetto legale subisce limitazioni analoghe a quelle
dell’interdetto giudiziale, con l’unica differenza che le limitazioni attengono solo alla sfera
patrimoniale e non a quella personale (matrimonio- donazioni-testamento). Gli atti compiuti da
esso al di fuori delle forme abilitative prescritte sono annullabili su richiesta di chiunque vi abbia
interesse . Si parla quindi di annullabilità assoluta, come ipotesi che si contrappone appunto a
quella relativa la quale può essere solo fatta valere dalla parte nel cui interesse è stabilita dalla
legge. La ragione di una simile deviazione dal principio generale in materia è da cogliere proprio nel
carattere sanzionatorio e non protettivo dell'interdizione legale. Il carattere assoluto
dell'annullabilità costituisce un connotato che rende del tutto precario per l'incapace lo stato in cui
versano gli atti da lui conclusi senza l'osservanza delle prescrizioni circa la sua rappresentanza.
L'incapace in sostanza è inibito operare nella sfera degli affari di persona, si parla dell'antica morte
civile.

Incapacità naturale.
Mentre l’amministrazione di sostegno, l’interdizione giudiziale e l'inabilitazione conferiscono al
soggetto, una condizione legale, dalla quale derivano limitazioni alla capacità di agire, l’incapacità
naturale (o non dichiarata) consiste nella incapacità di fatto del soggetto di intendere o di volere. È
incapace naturale colui che pur legalmente capace, nel momento del compimento di una attività
giuridicamente rilevante non è in grado di valutare la portata del suo contegno. L’incapacità di
intendere o di volere assume rilievo ai fini della validità dell’atto compiuto. Ai sensi dell’art. 428, gli
atti compiuti da persona che, seppur non interdetta, si provi essere stata incapace di intendere o di
volere al momento del compimento dell’atto medesimo, possono essere annullati su istanza della
persona medesima o dei suoi eredi o aventi causa, se ne risulta un grave pregiudizio per l’autore.
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Riguardo al grave pregiudizio la cassazione ha sottolineato che non deve trattarsi necessariamente
di un pregiudizio di natura economica o patrimoniale ben potendo consistere esso anche nella
lesione di altri interessi del soggetto in particolare personali. Quanto ai contratti conclusi dal
soggetto non capace di intendere e di volere, possono essere annullati quando risulti la malafede
dell’altro contraente, senza dimostrazione del pregiudizio per l’incapace. Un esempio potrà chiarire
meglio la differenza tra incapacità naturale ed interdizione. Se l'interdetto compie personalmente
un atto al di fuori delle modalità abilitative richieste, l'atto è sempre annullabile, qualora lo stesso
atto sia compiuto da una persona legalmente capace di agire ma incapace di intendere e di volere al
momento del compimento dell'atto, esso sarà annullabile solo a condizione che sia provato.
L'azione di annullamento dell'incapacità di intendere e di volere si prescrive nel termine di cinque
anni dal giorno del compimento dell'atto e non dal giorno in cui sia cessata l'incapacità naturale. Il
matrimonio, il testamento e la donazione compiuti in stato di incapacità di intendere o di volere
sono di per sé annullabili. Non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la
capacità di intendere o di volere al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato
d’incapacità non derivi da sua colpa (art. 2046).

2
Diritti della personalità

Persona e diritti fondamentali.


I diritti della persona (definiti anche diritti fondamentali o diritti umani) sono quelli il cui
riconoscimento tende ad assicurare il pieno sviluppo della persona umana, tutelandone gli interessi
assistenziali, sono inviolabili e l’ordinamento li riconosce per promuovere la garanzia. L’attività della
persona è inquadrata nelle relazioni sociali (principio personalista e pluralista). Essi sono espressi
nell’art. 2 della costituzione. A volte sono considerati quali veri e propri diritti soggettivi, i diritti della
personalità vengono annoverati tra quelli assoluti. Pretesa del titolare, nei confronti della generalità
dei consociati, a una astensione da qualsiasi violazione dell’interesse tutelato.
Essi sono innati (non può non averi), imprescrittibili, intrasmissibili (il diritto muore con la morte del
proprietario), indisponibili, inalienabili, irrinunciabili, non patrimoniali.
Sono soggetti ad una tutela preventiva (atta ad evitare la lesione) piuttosto che successiva, secondo
il modello risarcitorio, lo strumento usato è l’azione inibitoria: con essa si tende a impedire lo stesso
evento lesivo, prevenendo la condotta idonea a determinarlo, ovvero a farlo cessare, evitando che il
suo protrarsi aggravi la lesione degli interessi protetti.
Ulteriori strumenti di puntuale tutela degli interessi relativi alla sfera morale del soggetto che sono
rappresentati, da una parte, dalla pubblicazione delle sentenze in giornali; dall’altra, dal diritto di
rettifica. In conseguenza della lesione di diritti della personalità opera, ovviamente, il rimedio
generale del risarcimento del danno, ai sensi degli artt. 2043 ss.

La pretesa al rispetto della dignità del soggetto in quanto persona rappresenta il reale tessuto
connettivo della tutela della persona umana nella globalità delle sue manifestazioni (art. 2 Cost.) La
tutela del diritto alla vita è affidata alla legislazione penale, dalla quale si evince la sua
indisponibilità.
Il diritto all’integrità fisica, oltre a trova tutela nella legislazione penale, la trova anche in quella
civile con il risarcimento del danno (art. 2043). L’art. 5 c.c. vieta gli atti di disposizione del proprio
corpo (tranne per donazioni, solo a titolo gratuito). Divieto di fecondazione eterologa.
Il diritto alla salute trova tutela nei confronti dello stato (salvaguardia ambientale) e nei rapporti
intersoggettivi (risarcimento del danno). Testamento biologico (ricercare la volontà). Rispetto del
cadavere (sentimento collettivo di pietà). In ambito di donazione degli organi post mortem è
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intervenuta la l. 91/99 affermano che deve sussistere una volontarietà del soggetto deceduto a non
protendere per una donazione degli organi post mortem. In caso di mancanza, vale il principio del
silenzio assenso.
Integrità morale crea profili da tutelare: onore e reputazione hanno sul piano penale la tutela
attraverso la repressile dei reati di ingiuria e diffamazione, mentre la tutela civile è affidata al
risarcimento del danno. Il diritto alla riservatezza ha una maggiore estensione rispetto a quello della
eruttazione per assicurare la protezione della vita personale.
Il rispetto della sfera morale della persona trova il suo bilanciamento nella libertà di manifestazione
del pensiero a cui si riconnettono il diritto di cronaca (limite tutela onore e reputazione) e il diritto di
critica (finalizzato alla valutazione di fatti e opinioni altrui). Tollerano è il diritto alla satira.
L’immagine costituisce, col nome, un aspetto della personalità espressamente preso in
considerazione già dal codice civile vigente (art. 10): col diritto all’immagine viene vietato l’interesse
del soggetto ad esimere il consenso per la diffusione del ritratto. L’art. 10 vieta l’abuso
dell’immagine altrui, attribuendo all’interessato la possibilità di chiederne l cessazione, salvo il
risarcimento del danno. Il principio generale è quella secondo cui il ritratto della persona non può
essere divulgato senza il suo consenso, a meno che sia giustificata dalla notorietà o dall’ufficio
pubblico ricoperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali. La
riproduzione può avvenire liberalmente, ove collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse
pubblico o svoltisi in pubblico. E’ assolutamente pacifico che vi debba sempre essere un
collegamento funzionale tra la divulgazione dell’immagine e l’evento.
Il diritto alla protezione dei dati personali riguarda i dati personali che sono una qualsiasi
informazione riguardo una persona fisica; il principio generale è il consenso dell’interessato.
Disciplina particolare è per i dati sensibili (razza, religione, politica). Sotto il profilo sanzionatorio
sono previste sanzioni amministrative di tipo pecuniario e sanzioni penali.
Il nome è un segno distintivo e identificativo del soggetto, viene disciplinato riguardo l’interesse
della persona alla propria identificazione sociale. Per nome si intende il prenome e il cognome. Art.
22, Cost. “nessuno, per motivi politici, può essere privato del nome”. In caso di filiazione fuori dal
matrimonio il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo abbia riconosciuto con
prevalenza di quello paterno. Le modificazioni del nome e del cognome sono previsti solo nei casi
indicati dalla legge.
Col diritto alla identità personal si vuole assicurare la tutela della proiezione sociale della personalità
dell’individuo: del suo interesse ad essere rappresentato con la sua vera identità, senza che ne
risulti modificato, offuscato, o alterato il patrimonio intellettuale, ideologico, etico, professionale.

3
Enti

Persona fisica e persona giuridica.


La persona fisica non è per l'ordinamento l'unica entità dotata di capacità giuridica, considerata cioè
in grado di essere titolare di situazioni giuridiche. Accanto alle persone fisiche, quali soggetti dotati
di capacità giuridica, si collocano gli enti, vale a dire organizzazioni di beni e di persone, cui
l'ordinamento riconosce la qualità di centri di imputazione di situazioni giuridiche soggettive al pari
delle persone fisiche. La motivazione che induce l'ordinamento a considerare gli enti quali soggetti
di diritto distinti dalle persone fisiche sembra radicarsi nella constatazione che il singolo può
perseguire solo una certa gamma di interessi, ma non può spingersi fino alla realizzazione di tutti
quegli ulteriori interessi che invece necessitano di un organizzazione di gruppo. In altre parole gli

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individui avvertono la necessità di ricorrere alla forma dell'ente quando i propri interessi perseguiti
non possano trovare adeguato soddisfacimento mediante l'esplicazione di una mera attività
individuale.

Elementi costitutivi.
Gli elementi costitutivi della persona giuridica sono distinti in una componente materiale (persone,
patrimonio, scopo) e una componente formale (riconoscimento). La persona giuridica deve esser
dotata di un’adeguata massa di beni che le permetta di sostenere il peso dell’attività istituzionale
dell’ente: questo è il patrimonio. L’aggregazione di persone e beni avviene in vista della realizzazione
di determinate finalità: questo è lo scopo. A tutti questi elementi viene dato rilevo mediante il
riconoscimento da parte dell'ordinamento giuridico. Il riconoscimento, negli ultimi tempi, ha subito
una progressiva svalutazione da parte dell’ordinamento. La formale attribuzione della personalità
giuridica non risulta più momento essenziale ai fini della considerazione dell’ente quale soggetto di
diritto. Al concetto di personalità giuridica va sostituendosi quello di soggettività giuridica. L’ente
non riconosciuto, al pari di quello riconosciuto, è un autonomo soggetto di diritto.

Tipologia di enti.
• Oggi continuano a proporsi alcune classificazioni degli enti in considerazione dello scopo
dell'ente e della sussistenza o meno del riconoscimento. Una prima distinzione di fondo che si
riscontra nel codice risulta quella tra enti pubblici (persone giuridiche pubbliche), ed enti privati
(persone giuridiche private). Persone giuridiche pubbliche dovrebbero reputarsi quelle che
perseguono istituzionalmente fini di rilevanza generale di carattere pubblico, diverse sono le
persone giuridiche private che per loro natura perseguono scopi di carattere appunto privato e non
di rilevanza generale. Tuttavia tale distinzione così formulata risulta essere insoddisfacente in
quanto non aderente alla realtà che vede in misura sempre maggiore perseguire interessi di
indubbio rilievo generale anche da parte di enti dal carattere privato. Il carattere generale e
pubblico non può considerarsi come indice sicuro per distinguere persona giuridica pubblica dalla
persona giuridica privata. Gli enti pubblici a loro volta si distinguono in enti pubblici territoriali
(stato, regioni, città metropolitane, province e comuni, art. 114 cost.) ed enti pubblici non
territoriali. È da sottolineare come in relazione alla seconda categoria di enti pubblici sia in atto un
processo di soppressione o trasformazione in enti privati.
• Altra distinzione è quella tra enti lucrativi ed enti non lucrativi. Enti non lucrativi sono le
associazioni, le fondazioni, e i comitati. Enti lucrativi sono le società il cui scopo è quello di dividere
gli utili prodotti dall'esercizio in comune di un attività economica.
• La distinzione tra enti riconosciuti ed enti non riconosciuti come persona giuridica ha oggi
perso importanza. L'unica sostanziale differenza di disciplina degli enti riconosciuti rispetto quelli
non riconosciuti, come si vedrà, attiene al diverso regime di responsabilità per le obbligazioni
assunte in nome e per conto dell'ente stesso. Gli enti riconosciuti come persone giuridiche sono le
associazioni riconosciute, le fondazioni, i comitati riconosciuti, società di capitali e società
cooperative. Enti privi di riconoscimento sono le società di persone.

Riconoscimento.
In passato la distinzione tra enti lucrativi ed enti non lucrativi era indice di un sistema di attribuzione
di personalità giuridica. Al sistema di riconoscimento cosiddetto normativo in base al quale queste
ultime acquistano la personalità giuridica con l'iscrizione nel registro delle imprese, si
contrapponeva il sistema di riconoscimento cosiddetto concessorio per cui associazioni, fondazioni
e comitati acquistavano la personalità giuridica mediante riconoscimento concesso con decreto del
Presidente della Repubblica. L'attribuzione della personalità giuridica secondo sistema concessorio
era rimessa alla valutazione ampiamente discrezionale da parte della pubblica amministrazione. Al
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riconoscimento poi seguiva la registrazione, ovvero l'iscrizione dell'ente nell'apposito registro.


L'ente pertanto acquistava personalità giuridica per effetto del riconoscimento e dalla registrazione
derivava poi la cosiddetta autonomia patrimoniale perfetta. Con il D.P.R 361/2000 si è introdotta
una disciplina profondamente innovativa sostituendo il precedente sistema con uno nuovo. Ai sensi
del relativo art. 1, le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato acquistano
capacità giuridica mediante il riconoscimento determinato dall’iscrizione nel registro delle persone
giuridiche istituito presso le prefetture. Al prefetto residua un certo margine di discrezionalità nella
valutazione della possibilità e liceità dello scopo, nonché della adeguatezza del patrimonio alla
realizzazione del medesimo scopo.

Capacità.
Dal punto di vista patrimoniale, l'ente ha una capacità giudica del tutto analoga a quella delle
persone fisiche. Nella sua sfera di titolarità possono rientrare tutte le situazioni giuridiche soggettive
attive e passive che potrebbero far capo ad un soggetto persona fisica. Alla persona giuridica risulta
riferibile pure la titolarità di situazioni giuridiche soggettive di contenuto non patrimoniale. L'ente a
differenza della persona fisica non ha l'idoneitá ad essere titolare delle situazioni giuridiche
soggettive che presuppongono la fisicità del soggetto. In campo patrimoniale sono scomparsi gli
ostacoli che i passato limitavano fortemente la capacità dell'ente. In particolare, l'art.17 oggi
abrogato, subordinava l'acquisto dei beni mobili, l'accettazione di donazioni o eredità da parte di
associazioni riconosciute e fondazioni, alla preventiva autorizzazione governativa. Venuta meno
questa rilevante restrizione, associazioni e fondazioni hanno oggi piena capacità di compiere
acquisti immobiliari e di beneficiare di attribuzioni a titolo gratuito senza che la consistenza
patrimoniale debba di volta in volta essere sottoposta ad un controllo di carattere pubblicistico. In
conclusione gli enti del I libro, riconosciuti o meno possono liberamente acquistare beni immobili e
di eseguire attribuzioni a titolo gratuito senza la necessità dell'autorizzazione governativa.

Attivitá.
L'ente in quanto per sua natura non dotato dell'attributo della fisicità ha la necessità di servirsi di
altri soggetti (persone fisiche) non solo per organizzare la propria vita interna ma sopratutto anche
per determinare la propria volontà e manifestarla all'esterno. L'esercizio della capacità di agire di cui
l'ente risulta fornito è reso possibile dai suoi organi. Sono gli organi a permettere all'ente di formare
la propria volontà e di proiettarla all'esterno. La volontà dell'ente, derivante dalla confluenza delle
volontà dei singoli, viene riferita immediatamente all'ente medesimo. Allo stesso modo tutti i
comportamenti giuridicamente rilevanti posti in essere dagli organi dell'ente sono allo stesso
direttamente imputati. Con riguardo all'attività negoziale dell'ente, il compito di proiettare
all'esterno la sua volontà, perché si incontri con quella di altri soggetti nella conclusione di negozi
giuridici è demandato all'organo amministrativo. Sono amministratori gli organi dell'ente che
consentono all'ente medesimo di intrattenere rapporti negoziali. La determinazione della volontà
dell'ente può invece spettare all'assemblea organo peculiare degli enti di tipo associativo o agli
stessi amministratori. Il fenomeno in base al quale l'attività negoziale posta in essere da un organo
dell'ente viene imputata all'ente stesso prende il nome di rappresentanza organica.

Responsabilitá per illecito.


Ai sensi dell’art 2043 vi è una responsabilità diretta dell’ente per gli illeciti commessi dai suoi organi.
Quanto agli illeciti penali afferma la responsabilità dell’ente per i reati commessi nel suoi interesse o
a suo vantaggio dalle persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o
direzione dell’ente stesso, nonché da persone che esercito la gestione e il controllo del medesimo.
Sanzioni di tipo pecuniario o interdittivo.

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Figure

Associazione riconosciuta.
Si tratta di un organizzazione collettiva per perseguire scopi duraturi di carattere non economico.
Gruppo stabilmente organizzato. Vi è un interesse del gruppo all’apertura all’adesione di altri
soggetti, l’adesione sarà valutata dall’organizzazione dell’ente per verificare se sussistono i requisiti
richiesti dall’ente. Si differenzia dall'associazione non riconosciuta nella disciplina della
responsabilità per le obbligazioni che fanno capo all'ente. A rispondere delle medesime obbligazioni
soltanto con il proprio patrimonio è esclusivamente l'associazione riconosciuta. Di conseguenza, con
riguardo all'associazione riconosciuta, i creditori dell'associazione stessa non possono vantare
alcuna pretesa nei confronti degli associati ma neppure verso coloro che hanno agito per conto o in
nome dell'associazione.
L'associazione riconosciuta nasce mediante un contratto, il contratto associativo, che ai sensi
dell’art. 14 deve rivestire la forma dell’atto pubblico (in vista di un suo riconoscimento). E’ un
contratto plurilaterale caratterizzato da una struttura aperta nel senso che ad esso possono prestare
adesione, in un momento successivo, altri contraenti.
Si distingue l’atto costitutivo, che racchiude la volontà dei contraenti di dare vita all’ente ed
individua gli elementi principali e caratterizzanti dell’ente medesimo (denominazione, scopo,
patrimonio, sede) e lo statuto che contiene le norme destinate a regolare la vita e il funzionamento
dell’ente.
Lo scopo rappresenta l’elemento che giustifica l’aggregazione del gruppo di persone che danno vita
all’ente, assicurandone la necessaria coesione. Lo scopo deve essere non lucrativo caratteristica
questa che distingue l'associazione con le società. L’associazione può comunque svolgere un’attività
economica, in vista del perseguimento dello scopo ideale che la caratterizza. Gli utili e i proventi
percepiti da tale attività devono essere destinati agli scopi dell’ente e non distribuiti tra gli associati.
In caso contrario, l'associazione assumendo carattere imprenditoriale sarà assoggettata a tutte le
norme che disciplinano l'impresa commerciale e in particolare anche l'esposizione al fallimento. Ai
fini del riconoscimento, lo scopo, ai sensi dell’art. 1 D.P.R. 361/200 deve essere possibile e lecito.

Elementi costitutivi sono quello patrimoniale e personale. Perché l’associazione ottenga il


riconoscimento, la relativa dotazione patrimoniale deve essere adeguata alla realizzazione dello
scopo. In altre parole, gli associati, all'atto di costituzione dell'ente, devono contribuire alla
formazione del patrimonio, che assicurerà loro i mezzi per lo svolgimento della propria attività. Ciò
non esclude che alla formazione del patrimonio dell'ente possano contribuire anche soggetti che
non rivestano la qualità di associati, mediante sovvenzioni ed altre forme di finanziamento.
Importante è l’elemento personale in quanto l’associazione nasce e si determina attraverso la
volontà degli associati. Essi si riuniscono in assemblea per deliberare decisioni. All’assemblea
partecipano tutti gli associati, essa adotta le decisioni di maggior rilievo relative all'associazione fino
addirittura al mutamento dello scopo dell'ente o eventualmente allo scioglimento. Proprio in
considerazione dell'essenzialità dell'organo assembleale, nella struttura associativa si ritiene che in
nessun caso lo statuto possa comprimere le fondamentali competenze dell'assemblea attribuendole
ad altro organo o a soggetti terzi. L'assemblea deve essere convocata dagli amministratori almeno
una volta all'anno per l'approvazione del bilancio oppure quando ve ne si ravvisi la necessità o
quando sia fatta richiesta motivata da almeno 1/10 degli associati. La determinazione volitiva
adottata dall'assemblea viene definita deliberazione. La deliberazione è l'atto collegiale e ha natura
negoziale. La deliberazione viene addotta dall'assemblea secondo il principio maggioritario. Le
maggioranze richieste per l'approvazione della delibera variano a seconda dell'importanza della

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delibera medesima. La regola generale è che le deliberazioni dell'assemblea sono prese a


maggioranza di voti e con la presenza di almeno la metà degli associati, qualora non si raggiunga il
quorum richiesto l'assemblea viene nuovamente convocata e la deliberazione è valida qualunque
sia il numero degli intervenuti. Per le modifiche dell'atto costitutivo e dello statuto occorre la
presenza di almeno 3/4 degli associati ed il voto favorevole della maggioranza dei presenti.
Deliberazioni dell'assemblea comportanti la modificazione dell'atto costitutivo e dello statuto
devono essere iscritte nel registro delle persone giuridiche, qualora non iscritte devono reputarsi,
secondo i principi generali, inopponibili ai terzi in buona fede.
Per deliberare lo scioglimento anticipato e la devoluzione del patrimonio dell'associazione è
necessario il voto favorevole di almeno 3/4 degli associati. All'assemblea poi competono le
deliberazioni relative alla responsabilità degli amministratori per fatti da loro compiuti e
all'esclusione dell'associato. Può accadere che le deliberazioni dell'assemblea siano contrarie alla
legge, l'atto costitutivo o allo statuto. In tal caso queste sono annullabili su istanza degli organi
dell'ente, da qualunque associato o da parte del P.M. L'art. 23 comma 2 dispone che l'annullamento
della deliberazione non pregiudica i diritti acquistati da terzi di buona fede.

L’altro organo dell’associazione è quello amministrativo che può essere monocratico o collegiale. Ha
il compito di gestire le risorse dell’associazione, di rappresentare l’ente nei confronti dei terzi, e di
porre in essere tutti gli atti necessari allo svolgimento dello vita dell’ente e alla realizzazione del suo
scopo. Quanto all’attività rappresentativa si è già avuto modo di esaminare il carattere peculiare
della cd. rappresentanza organica. Gli associati i quali abbiano esercitato il diritto di recesso o siano
stati esclusi, non possono ripetere i contributi versati, né vantare diritti sul patrimonio
dell’associazione. La qualità di associato è intrasmissibile (art. 24). L’associato può sempre recedere
dall’associazione. L’esclusione dell’associato può essere deliberata dall’assemblea solo per gravi
motivi. Il fondo dell’associazione non è aggregabile dai creditori dei personali associati. Il creditore
dell’associato non può rivalersi sul patrimonio dell’ente e il creditore dell’ente non può rivalersi sul
patrimonio dell’associato.

Associazione non riconosciuta.


La distanza tra associazioni riconosciute ed associazioni non riconosciute si è drasticamente ridotta.
L'unica differenza sostanziale che vale a distinguere in termini di disciplina applicabile l'associazione
non riconosciuta dall'associazione riconosciuta è da individuarsi nel diverso grado di autonomia
patrimoniale. Anch’essa nasce per contratto associativo, hanno una maggiore autonomia nella
normazione interna. Per quanto riguarda la forma, la costituzione dell’associazione non riconosciuta
non è soggetta a nessuna forma particolare. Così ad esempio se uno degli associati intendesse
aderire all'associazione, contestualmente apportando all'ente un bene immobile, sarà necessaria la
forma scritta, richiesta per gli atti aventi ad oggetti il trasferimento di beni immobili o la costituzione
di diritti reali immobiliari. In considerazione dell’identità strutturale con l’associazione riconosciuta,
si ritiene che all’associazione non riconosciuta siano applicabili le norme dettate in tema di
associazioni riconosciute atte a qualificare il modello associativo in quanto tale. L’elemento
patrimoniale è rappresentato dal fondo comune, costitutivo dai contributi degli associati e dai beni
acquistati con i contributi. Il fondo comune non appartiene in comunione agli associati, ma all’ente
non riconosciuto. Il fondo comune si presenta come pienamente assimilabile al patrimonio
dell'associazione riconosciuta. Finché l’associazione dura, i singoli associati non posso chiedere la
divisione del fondo comune, né pretendere la quota in caso di recesso (art. 37). Quanto alle
responsabilità per le obbligazioni assunte in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta, si
tratta del profilo che sancisce la diversità con l’associazione riconosciuta. Chi agisce sono gli

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amministratori. Per le obbligazioni assunte in rappresentanza dell’associazione non riconosciuta i


terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune; delle medesime obbligazioni rispondono
anche personalmente e solidalmente “le persone che hanno agito in nome e per conto
dell’associazione” (art.38), autonomia patrimoniale imperfetta. Il creditore così è tutelato. Molto
spesso infatti gli amministratori delle associazioni non riconosciute sono nullatenenti.

Fondazione.
La fondazione si caratterizza per essere un complesso di beni destinato a un determinato scopo,
prefissato dal fondatore. L’attenzione è rivolta ai beni, caratterizzati da un vincolo di destinazione.
Quello tenuto presente dal nostro legislatore è il modello della cosiddetta fondazione erogatrice
appunto con il fine di erogare le rendite secondo le direttive del fondatore. La fondazione può
sussistere solo se riconosciuta secondo le modalità contemplate nel D.P.R 361/2000. In quanto
necessariamente riconosciuta essa risulterà sempre caratterizzata dall'autonomia patrimoniale
perfetta, nel senso che delle obbligazioni assunte in nome e per conto dell’ente risponde soltanto
questo col suo patrimonio. La fondazione è costituita con un negozio unilaterale (negozio
unilaterale) posto in essere da un soggetto (fondatore), il quale crea l’ente in vista della realizzazione
di uno scopo, all’uopo destinando una quantità di beni che andranno a costituire il patrimonio della
fondazione medesima. Pare opportuno evidenziare come la fondazione a differenza
dell'associazione venga ad esistere solo per effetto del riconoscimento. Il negozio di fondazione,
quale atto costitutivo dell'ente, se compiuto in vita dal fondatore, deve rivestire la forma di atto
pubblico tuttavia la fondazione può essere disposta anche con testamento. Le regole disciplinanti la
futura attività della fondazione sono contenute nello statuto, in cui devono essere indicate i criteri e
le modalità di erogazione delle rendite. L'art.15 poi disciplina l'ipotesi di revoca dell'atto costitutivo
della fondazione. Il negozio di fondazione può essere revocato dal fondatore fino a quando non sia
intervenuto il riconoscimento ovvero quando il fondatore non abbia fatto ancora iniziare l'attività da
lui disposta. (art. 15). La facoltà di revoca non si trasmette agli eredi (15, c.2). Lo scopo deve essere
possibile e lecito, il patrimonio deve essere adeguato allo scopo perseguito. Non può intraprendere
nessuna attività di tipo economico. Nella fondazione non è presente l'assemblea, manca cioè
l'organo nel cui ambito, nell'associazione si forma la volontà dell'ente. Tale rilevante differenza si
giustifica in considerazione del carattere peculiare del negozio di fondazione mediante il quale il è il
fondatore a determinare i caratteri dell'attività che sarà svolta dall'ente. Nella fondazione anche
l'organo amministrativo appare diverso da quello dell'associazione. In primo luogo gli
amministratori della fondazione sono meri organi serventi. L'art. 25 attribuisce all'autorità
amministrativa il controllo e la vigilanza sull'amministrazione delle fondazioni. Compito che
ricomprende la nomina e la sostituzione degli amministratori, l'annullamento delle deliberazioni
adottare dall'organo amministrativo, lo scioglimento dell'amministrazione e la nomina di un
commissario straordinario qualora gli amministratori non agiscano in conformità dello statuto e
dello scopo della fondazione o della legge.

Estinzione della persona giuridica. Liquidazione e devoluzione dei beni.


L'atto costitutivo e lo statuto dell'associazione e della fondazione possono contenere norme atte ad
individuare possibili cause di estinzione dell'ente nonché a disciplinare la devoluzione del relativo
patrimonio. In linea generale la persona giuridica si estingue quando si raggiunge lo scopo o diventa
impossibile, l'associazione si estingue anche quando tutti gli associati siano venuti a mancare, o
quando lo scioglimento anticipato dell'ente sia deliberato dall'assemblea. (art. 27). Verificatasi
l'estinzione della persona giuridica si ha la liquidazione del patrimonio dell’ente, diretta a definire i
rapporto giuridici che vincolano l'ente nei confronti di terzi (debiti). È il presidente del tribunale a
nominare i liquidatori i quali esercitano la loro funzione sotto sua diretta sorveglianza. Per effetto
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della estinzione dell'ente viene meno il potere degli amministratori di compire nuove operazioni.
Chiusa la procedura di liquidazione il presidente del tribunale dispone che ne sia data
comunicazione ai competenti uffici per la cancellazione dell'ente dal registro delle persone
giuridiche. L'art.31 indica che i beni della persona giuridica che residuano dopo la liquidazione sono
devoluti in conformità all'atto costitutivo o dello statuto. Parimenti si esclude che lo statuto
dell'associazione o l'eventuale deliberazione di scioglimento anticipato possano prevedere la
distribuzione di beni residui ai singoli associati.

Diversa risulta l'ipotesi di trasformazione della fondazione disciplinata dall'art.28. Quando lo scopo è
esaurito o è divenuto impossibile o di scarsa utilità o il patrimonio è divenuto insufficiente, l'autorità
anziché dichiarare estinta la fondazione, può provvedere appunto alla sua trasformazione. È
evidente che si dovrà tenere conto dello scopo originario dell'ente, l'autorità così non potrà dar vita,
in particolare, ad un ente che persegue uno scopo nettamente distante rispetto ad esso. La nuova
disciplina del diritto societario ha reso possibile la trasformazione di associazioni riconosciute e
fondazioni in società di capitali. L'associazione delibera la trasformazione in società di capitali con la
stessa maggioranza richiesta dalla legge o dall'atto costitutivo per lo scioglimento anticipato. La
trasformazione di fondazione in società di capitali è disposta da autorità amministrativa su proposta
dell'organo competente. Non risulta espressamente prevista una ipotesi di trasformazione di
associazione in fondazione. L'art. 32 infine prevede che nel caso di trasformazione o di scioglimento
di un ente al quale siano stati donati o lasciati beni con destinazione particolare, l'autorità
amministrativa devolva tali beni, con lo stesso onere, ad altre persone giuridiche aventi fini
analoghi.

Comitato.
L'ultimo tipo di ente è il comitato su cui la dottrina non ha mai manifestato concordia di opinioni.
Talvolta accostato all'associazione, altre volte alla fondazione ancora altre volte ad entrambe.
Sembra che il comitato ricomprenda un ente sui generis che presenta affinità con le differenti
tipologie di enti non lucrativi ma che in sostanza appare dotato di propria specificità. Esso consiste
in un organizzione di persone (promotori) che perseguono un determinato fine altruistico
raccogliendo fondi, per il raggiungimento di uno scopo comune, presso il pubblico. Tra gli scopi
possibili (art. 39) vi sono il soccorso, la beneficenza, la promozione di opere pubbliche, monumenti,
esposizioni, mostre, festeggiamenti e simili. Vi è una differenza tra comitato riconosciuto come
persona giudica e comitato non riconosciuto come persona giudica. L'attribuzione della personalità
giuridica al comitato incide sulla responsabilità. Così se il comitato è riconosciuto, delle obbligazioni
assunte in nome e per conto dell'ente, risponderà solo quest'ultimo col suo patrimonio. Con
esclusione quindi della responsabilità personale dei componenti. Qualora al comitato non siano
riconosciuti tutti i suoi componenti risponderanno personalmente e solidalmente delle obbligazioni.
I sottoscrittori (oblatori) vale a dire coloro che procedono alle sovvenzioni a favore del comitato,
sono obbligati soltanto ad eseguire la prestazione promesse con esclusione di forme di
responsabilità per le obbligazioni verso il comitato. L’art. 42 prevede, quali ipotesi di estinzione del
comitato, l’insufficienza di fondi rispetto lo scopo dell'ente. In tal l'autorità amministrativa stabilisce
la devoluzione dei beni.

Gli enti non profit nella legislazione speciale.


La locuzione non profit in un primo momento veniva impiegata per indicare l'attività svolta in settori
di più specifica ed accentuata rilevanza e utilità sociale. Successivamente poi si è affermata la
tendenza ad intendere gli enti non profit come una vasta gamma di enti che non perseguono fini di
lucro. Il favor per l'associazionismo si riscontra in primo luogo nella legge 266/1991 la quale
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promuove lo sviluppo del volontariato in vista del conseguimento di finalità di carattere sociale,
civile e culturale. Per organizzazione di volontariato si intende ogni organismo liberamente
costitutivo con il fine di svolgere l'attività di volontariato, che si avvalga in modo determinante delle
prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti. Il decreto legge 469/1997 contiene
poi la disciplina della onlus (organizzazioni non lucrative di utilità sociale). Sono considerate onlus le
associazioni, le fondazioni, i comitati, le società cooperative e gli altri enti di carattere privato con o
senza personalità giuridica, i cui statuti o atti costitutivi, redatti sotto la fora di atto pubblico o
scrittura privata autenticata, contengano una serie di previsioni relative in particolare all'attività
istituzionale dell'ente ed alla destinazione degli utili. Non si tratta di un nuovo tipo di ente bensì una
qualifica volta ad individuare quegli enti che possono aspirare ad usufruire di particolari benefici
sociali. La legge 460/1997 vieta a soggetti diversi dalle onlus l'uso di tale denominazione e in
qualsivoglia segno distintivo o comunicazione rivolta al pubblico. In tale panoramica sul settore non
profit è necessario ricordare l'associazione di promozione sociale. La legge 380/2000 introduce un
regime speciale per tutte le organizzazioni che rientrano nella definizione di associazione di
promozione sociale, ovvero tutte le associazioni riconosciute e non riconosciute, i movimenti e i
gruppi, costituiti al fine di svolgere attività di utilità sociale a favore di associati o terzi senza finalità
di lucro e nel pieno rispetto della libertà e dignità degli associati. Infine abbiamo l'impresa sociale
che indica organizzazioni private che esercitano un’attività economica organizzata al dine della
produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale diretta a realizzare finalità di interesse
generale.

PARTE V
FAMIGLIA
Famiglia e ordinamento giuridico

La famiglia nella società.


La famiglia costituisce un fenomeno sociale che l'ordinamento giuridico non crea ma col quale è
chiamato a confrontarsi. La famiglia si inserisce tra le formazioni sociali ove si svolge la personalità
dell'uomo cui allude l'art.2 Cost. Nel contesto di tali formazioni sociali, essa occupa una posizione
sicuramente primaria. L'idea della famiglia come realtà sociale emerge con chiarezza dall'art. 29
cost. che allude alla famiglia come società naturale. Lo stato non può intervenire dettando il
modello di organizzazione della vita familiare, non può piegare la famiglia ai fini pubblici, ma deve
prestare il rispetto e lasciare libera organizzazione alle singole famiglie. Se tale formazione sociale
devia dalla sua funzione e non realizza lo sviluppo della persona interviene lo stato a tutela dei
singoli componenti. C’è un limite all’intervento dello stato, ma anche un limite all’autorganizzazione.

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Nozione giuridica di famiglia.


Il modello di famiglia a cui fa riferimento l'ordinamento giuridico è quello di famiglia nucleare cioè
composta dai coniugi e dai loro eventuali figli. È proprio tale modello che trova garanzia all'interno
dell'articolo. 29 cost. Tale gruppo trae origine dal matrimonio eventualmente arricchito dai figli
generati, con l'esclusione di altri parenti. La famiglia che la Costituzione all’art. 29, assume come
modello è quella “fondata sul matrimonio”, ossia la famiglia legittima. Un'altra modello è quello
della famiglia di fatto con cui si indica un gruppo costituito, senza matrimonio, dalla coppia e dai figli
eventualmente procreati. Nucleo anch'esso assunto nella prospettiva dell'art. 2 cost. quale
formazione sociale e luogo di sviluppo della personalità dei suoi membri.

La disciplina della famiglia.


La disciplina dei rapporti familiari a partire dal code civil francese ha trovato la sua collocazione nel
codice civile. È comunque da sottolineare che la disciplina del code civil e quella del codice civile del
1865 rispecchiassero il modello di famiglia borghese. Il modello familiare che emerge dal codice
civile del 1942 è qualcosa ancora fondato su una struttura gerarchica tendente a far convergere nel
marito poteri autoritari nei confronti della moglie e nei confronti dei figli, nonché una chiara
ripartizione dei ruoli tra i coniugi che riconosce alla moglie una funzione meramente domestica,
emarginata oltre che dal governo della famiglia anche nelle relazioni economiche del gruppo
familiare. Restava poi un atteggiamento di marcato sfavore per la filiazione fuori dal matrimonio,
derivandone quindi l'irriconoscibilità dei figli adulterini e drastici limiti alla possibilità di
accertamento giudiziale della paternitá. Per quanto concerne il sistema matrimoniale nel codice
civile risulta disciplinato il matrimonio civile rinviandosi al concordato con la santa sede ed alla
relativa legislazione applicativa per la disciplina del cosiddetto matrimonio concordatario. Una vera
rottura con il vecchio sistema di disciplina dei rapporti familiari è da ricollegare all'avvento della
costituzione entrata in vigore l'1.1.1948. L'adeguamento dei principi familiari ai principi
fondamentali della costituzione è stato un processo lento. Circa i principi costituzionali, l'art.29
nell'affermare che la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul
matrimonio, valorizza innanzitutto contro ogni possibile eccessiva invadenza dell'ordinamento,
l'autonomia della famiglia nell'organizzazione della propria vita. Il secondo comma dello stesso art.
29 stabilisce il profilo di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi. L'art. 30, sotto il dovere dei
genitori di educare ed istruire i figli, stabilisce che tale dovere si estenda anche ai figli nati al di fuori
del matrimonio. Inoltre a tali soggetti venga garantita ogni tutela giuridica e sociale. Completa il
quadro costituzionale di riferimento alla materia familiare, il sostegno da parte dello stato per
quelle famiglie numerose. Come già indicato l'attuazione dei principi costituzionali ha richiesto
tempi non brevi. La tappa fondamentale è rappresentata senza dubbio dalla riforma del diritto di
famiglia con la quale l'intero impianto codistico della disciplina dei rapporti familiari è stato
ridisegnato.

Il diritto di famiglia vigente trova sua fonte principale nel codice civile, sopratutto in materia di
filiazione. In primo luogo è da ricordare la legislazione in tema di affidamento e di adozione dei
minori 149/200. Importanza fondamentale assume poi la legislazione sul divorzio.

La famiglia di fatto.
La coppia di fatto o meglio la convivenza more uxorio non è espressamente disciplinata dalla legge;
nonostante tale lacuna normativa, non si pone in contrasto con norme imperative, né con l’ordine
pubblico, né con il buon costume.
Con l’espressione “convivenza more uxorio” si indica l’unione stabile e la comunione di vita
spirituale e materiale tra due persone, non fondata sul matrimonio (c.d. famiglia di fatto).
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Nonostante, nell’attuale realtà sociale, il fenomeno stia avendo sempre maggiore diffusione, il
nostro ordinamento giuridico riconosce e tutela solo ed esclusivamente la famiglia legittima, id est
quella fondata sul matrimonio.
Perchè possa dirsi configurata una convivenza more uxorio sono richiesti i seguenti requisiti:

- comunione di vita spirituale e materiale;


- stabilità temporale del rapporto;
- assenza di vincolo matrimoniale.

Va osservato che il rapporto non fondato sul matrimonio e, quindi, la convivenza more uxorio come
nasce così può cessare; diverso è, invece, per la famiglia fondata sul matrimonio ove norme ad hoc e
leggi speciali regolano sia l’istituto della separazione, sia quello del divorzio.
Il convivente more uxorio ha diritti successori? E’ bene precisare che, non sussistendo lo status
giuridico di coniuge, il convivente more uxorio potrà ottenere una quota di eredità solo mediante un
lascito effettuato dal defunto mediante testamento. Lascito, si badi bene, che non dovrà,
comunque, ledere la porzione che, per legge, spetta a determinati soggetti: ad esempio ai figli.
I conviventi c.d. more uxorio non hanno, dunque, diritti successori nei confronti l’uno dell’altro
perchè, per la legge, non essendo legati da vincoli di parentela o di coniugio sono considerati
estranei fra di loro. Tuttavia, ciascuno dei due può, nel proprio testamento, nominare erede l’altro;
naturalmente dovranno essere rispettati i diritti dei successori c.d. legittimari, se vi sono cioè
l’eventuale coniuge e/o i figli del convivente che redige testamento. In questa ipotesi l’altro
convivente potrà ereditare la quota c.d. disponibile. Sono, invece, assolutamente vietati – sia tra i
conviventi sia, in generale, tra chiunque – i contratti con cui ciascuno si impegna a nominare come
proprio erede l’altro: la legge vieta, infatti, i c.d. patti successori. Questi ultimi sono considerati nulli.
In caso di morte di uno dei conviventi, a causa di fatto illecito del terzo (es. sinistro stradale), il
convivente superstite ha diritto ad ottenere il risarcimento del danno morale e patrimoniale?
Con sentenza n. 23725 del 16.09.2008, i Giudici di Piazza Cavour hanno statuito che il diritto al
risarcimento del danno da fatto illecito, concretatosi in un evento mortale, va riconosciuto anche al
convivente more uxorio, e ciò sia con riferimento al danno morale, sia con riferimento al danno
patrimoniale. Quest’ultimo richiede, però, la prova di uno stabile contributo economico apportato
in vita dal de cuius al convivente superstite – danneggiato e di una relazione caratterizzata da
stabilità e da reciproca assistenza morale e materiale.
E, ancora, il convivente more uxorio gode del diritto di abitazione sulla casa adibita a convivenza, in
caso di morte di uno dei due?
Occorre sottolineare che un accordo tra i conviventi, avente ad oggetto l’attribuzione del diritto di
abitazione sulla casa adibita a convivenza, per il periodo successivo alla morte di uno dei due,
sarebbe nullo; ciò perchè un simile accordo integrerebbe un patto successorio di tipo istitutivo
vietato ai sensi dell’art. 458 c.c..
In tema di successione tra conviventi e diritto di abitazione, per completezza, si ritiene che in caso di
morte di uno dei due, il convivente può continuare ad usufruire del rapporto di locazione: cioè
abitare nell’immobile che, fino al momento del decesso, veniva utilizzato come casa familiare.
Ciò è confermato dalla Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 6,
comma 1 della Legge 392/1978 (c.d. legge sull’equo canone), nella parte in cui non prevede fra i
successibili nella titolarità del contratto di locazione, in caso di morte del conduttore, il convivente
more uxorio ( vedasi, pure, la recente pronuncia: Cassazione Civile, Sez. III, 23 Febbraio 2013, n.
3548).

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Alla luce di quanto sopra, il convivente more uxorio, seppur entro certi limiti, gode di diritti
successori.

Caratteri degli atti e diritti familiari.


Gli atti concernenti i rapporti familiari devono ritenersi contrassegnati da caratteri peculiari.
L’intimità e l’essenzialità dei vincoli esistenziali che legano i membri del gruppo familiare impongono
che tali valori siano equilibrati con quelli di responsabilità e solidarietà. Di qui la marcata specificità
che contraddistingue i rapporti familiari. I diritti familiari hanno gli stessi caratteri dei diritti
fondamentali oltre che essere personalissimi e solenni.

Parentela e affinità.
Il matrimonio e la generazione costituiscono la fonte dei rapporti che legano i membri della famiglia.
Dal matrimonio scaturisce il rapporto di coniugio, derivando anche quello di affinità, che lega
ciascun coniuge ai parenti dell’altro. La parentela è il “vincolo tra persone che discendono dallo
stesso stipite” (art. 74 c.c.). Ai sensi dello stesso articolo sono parenti in linea retta coloro che
discendono l’uno dall’altro immediatamente (genitori-figlio), o per generazioni successive; sono
parenti in linea collaterale colo che, pur avendo un ascendete comune, non discendono l’uno
dall’altro (fratelli e sorelle, zii e nipoti, cugini). Il rapporto di parentela è giuridicamente rilevante, il
linea di massima, fino al sesto grado (art. 77). La modifica alla legge 219/2012 si è precisato che il
vincolo di parentela sussiste sia nel caso la filiazione sia avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel
caso sia avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Meno rilevante è il
rapporto di affinità (78), quale “vincolo tra un coniuge e i parenti dell’altro”. Il rapporto di affinità
cessa in caso di dichiarazione di nullità del matrimonio.

Alimenti.
L'obbligo di prestare gli alimenti trova il proprio fondamento nella solidarietà familiare. Esso grava
pure sul donatario. L'obbligazione alimentare tra i componenti della famiglia è disciplinata dall'art.
433 che stabilisce un ordine tra di essi ponendo al primo posto il coniuge, quindi i soggetti legati da
un rapporto di discendenza (figli, discendenti prossimi, genitori) poi gli affini in linea retta (generi,
nuore, suoceri) e infine fratelli e sorelle. Nella famiglia nucleare si ha l'obbligo alimentare per i
coniugi, contribuzione cui è tenuto anche il figlio finché dura la convivenza. In favore dei figli e del
coniuge nell'ipotesi di separazione è dovuto il mantenimento. L'obbligazione al mantenimento
presenta un contenuto più ampio di quello alimentare in quanto riferito al parametro ed al tenore di
vita familiare. Il presupposto del diritto a ricevere gli alimenti (art. 438) è costitutivo dallo stato di
bisogno di chi non sia in grado di soddisfare le proprie necessità di vita. Circa le modalità di
somministrazione, esse sono a scelta dell’obbligato. Dopo l’assegnazione le condizioni economiche
del ricevente possono mutare, pertanto vedrà se cessare, diminuire o aumentare il mantenimento
(art. 448). L'obbligazione ha natura personale e quindi cessa con la morte dell’obbligato (art. 448). E’
un diritto non patrimoniale, incedibile, irrinunciabile, impignorabile, insequestrabile.

Protezione contro gli abusi familiari.


Nel corpo del codice civile con la legge 154/2001 sono stati inseriti gli artt. 342 bis e ter in ordine
alla protezione contro gli abusi familiari. Misure quali l'eventuale allontanamento dalla casa
familiare, con provvedimento del giudice penale nei confronti dell'imputato e la previsione di un
peculiare procedimento per l'emanazione di provvedimenti in questione. Le misure introdotte con
la legge 154/2001 fanno riferimento alla posizione familiare del minore, diretto a consentire,
attraverso la modifica degli articoli 330 e 333, l'ordine di allontanamento dalla residenza familiare
del genitore o del convivente che maltratti o abusi del minore. Gli effetti delle sentenze possono

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essere l'allontanamento del responsabile dalla casa familiare, oltre alla inibizione di avvicinarsi in
luoghi in cui svolge la vita della vittima.

2
Matrimonio.

Matrimonio e famiglia.
Per l’art. 29, il matrimonio costituisce il fondamento della famiglia. E’ l’atto col quale gli sposi si
assumono l’impegno di realizzare una comunione di vita stabile e socialmente garantita,
caratterizzata dalla esclusività della relazione personale, dalla reciprocità dell’assistenza e della
contribuzione al soddisfacimento delle esigenze comuni. Il matrimonio, come atto, è un negozio
bilaterale, concorrendo alla sua formazione la volontà dei due nubendi. Gli effetti sono regolati
unicamente dall’ordinamento civile. L’elemento costitutivo del matrimonio è rappresentato dalla
volontà manifestata personalmente ed incondizionatamente dagli sposi e nelle forme previste dalla
legge: l’atto è personalissimo e puro.

Le forme matrimoniali.
L'unico matrimonio riconosciuto come produttivo di effetti per l'ordinamento dello stato restò
quello contratto secondo le condizioni e le formalità previste dal codice civile. Il cittadino interessato
a vedere pure consacratosi religiosamente il propri vincolo matrimoniale doveva ricorrere ad una
doppia celebrazione. (Restando comunque quella civile rilevante per il conseguimento degli effetti
civili). Il sistema fu profondamente mutato dal concordato fra stato e chiesa cui diede attuazione
alla legge matrimoniale 847/1929. Il nostro ordinamento è risultato caratterizzato così da una
pluralità di forme matrimoniali, in realtà quella da prendere in considerazione sono solo 2 quella
civile e quella concordataria. Quello concordatario, richiamato dal codice civile nell'articolo. 82
rappresenterebbe il modello di atto matrimoniale, essendo l'ordinamento statale impegnato a
riconoscere effetti civili al matrimonio disciplinato con rito canonico. Il matrimonio celebrato
secondo riti religiosi diversi da quello cattolico altro non sarebbe che un matrimonio civile.

Libertà matrimoniale e promessa di matrimonio.


Il diritto alla formazione di una famiglia rappresenta un vero e proprio diritto fondamentale della
persona garantito dall'ordinamento come espressione della sua libertà. La libertà matrimoniale è
garantita contro ogni tentativo di influenzarla (art. 636). In tal modo la promessa di matrimonio non
solo non obbliga a contrarre matrimonio, ma neppure ad adempire prestazioni cui ci si sia
eventualmente impegnati per il caso di ripensamento (art. 79). Essa obbliga esclusivamente a
risarcire il danno cagionato dall'altra parte per le spese fatte e per le obbligazioni assunte in vista del
matrimonio. Devono essere in ogni caso restituiti i doni fatti dai due fidanzati a causa della
promessa di matrimonio. Si ritiene inoltre che vi sia un obbligo di restituzione delle fotografie e
della corrispondenza non tanto in quanto doni ma in osservanza di una consuetudine.

Requisiti per il matrimonio civile.


Per contrarre matrimonio l'ordinamento richiede che i nubendi abbiano dei requisiti. In taluni casi,
la mancanza dei requisiti può essere superata con un autorizzazione. Non risulta esplicitamente
annoverata tra i requisiti del matrimonio la diversità di sesso. L’art. 84, in via generale, ammette al
matrimonio il maggiorenne. Può essere ammesso al matrimonio, su istanza dell'interessato, il
sedicenne ma solo a seguito di un autorizzazione del tribunale per i minorenni ove ricorrano gravi
motivi, previo accertamento della sua maturità psicofisica e della fondatezza delle ragioni addotte.
Preclude la possibilità di contrarre matrimonio all’interdetto per infermità di mente (art. 85).
Possono invece contrarre matrimonio l'interdetto a seguito di una condanna penale e l'inabilitato.
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Un altro requisito è la libertà di stato, per cui non può contrarre matrimonio chi sia già vincolato
matrimonialmente essendo il nostro matrimonio fondato sul principio della monogamia. Uno dei
pilastri della nostra civiltà è anche la esogamia, divieto di contrarre matrimonio in vista di uno
stretto rapporto di parentela e affinità (art. 87).
L’art. 88 preclude il matrimonio tra le persone delle quali l’uno sia stata condannata per omicidio
consumato o tentato nei confronti del coniuge dell’altro. Divieto temporaneo di nuove nozze (300
gg) per la donna.

Formalitá e celebrazione.
Le formalità che precedono la celebrazione del matrimonio rispondono alla funzione di rendere
nota la relativa intenzione dei nubendi, consentendo a chi ne sia a conoscenza di proporre
opposizione.
Le formalità sono la pubblicazione (affissione per 8 gg dell’avviso delle nozze, a cura dell'ufficiale
dello stato civile presso la porta della casa comunale) e l’opposizione. L'art. 102 indica le persona
che possono fare opposizione (in genere genitori e parenti prossimi e il P.M). Sull'opposizione, da
proporre con ricorso al presidente del tribunale del luogo dove è stata eseguita la pubblicazione,
decide il tribunale con decreto motivato. Dopo 3 giorni dalla pubblicazione senza opposizione,
l’ufficiale dello stato civile può procedere alla celebrazione del matrimonio. Questa avviene, in linea
di massima, nella casa comunale, alla presenza di due testimoni con le relative dichiarazioni, fatte
personalmente, da ciascuno degli sposi, previa lettura degli artt. 143, 144, 147 cui segue la
dichiarazione dell’ufficiale dello stato civile che essi sono uniti in matrimonio (art. 107). Il
matrimonio è atto puro, che non ammette condizioni. L’ufficio dello stato civile redige l’atto di
matrimonio, che viene poi iscritto nell’archivio informatico del comune. L’atto assume rilevanza in
quanto rappresenta l’essenziale strumento prova del matrimonio (art. 130).

Invalidità del matrimonio.


Taluni difetti del procedimento di celebrazione del matrimonio danno luogo a mera irregolarità, con
conseguenti sanzioni pecuniarie a carico dell'ufficiale civile e eventualmente dagli sposi. (Omissione
della pubblicazione, mancata presenza dei testimoni, incompetenza dell'ufficiale civile ecc.) la
violazione delle prescrizioni in materia di requisiti richiesti per contrarre matrimonio e la difettosità
del consenso determinano l'inettitudine dell'atto matrimoniale a produrre i suoi effetti, con la
possibilità accordata ad una sfera più o meno ampia di soggetti di contestarne la validità. Si parla
talvolta anche di inesistenza del matrimonio, per alludere alla situazione in cui risultino, nel
procedimento, carenze tali da impedire la stessa identificabilità come atto matrimoniale. L’invalidità
del matrimonio si ricollega ai difetti genetici dell’atto matrimoniale, mentre un difettoso
svolgimento del rapporto matrimoniale consente la richiesta di separazione personale e del
divorzio. La distinzione tra nullità ed annullabilità può essere utilizzata per contrapporre le ipotesi di
invalidità insanabile (delitto, mancanza di libertà), a quelle in cui il vizio dell’atto matrimoniale sia
rimediabile (sanabile). Il matrimonio è impugnabile ove sia stato contratto in assenza di uno dei suoi
requisiti, per l'art. 84 relativo all'età, 86 relativo alla libertà di stato (non può contrarre matrimonio
chi è vincolato da un matrimonio precedente), 87 inerente ai gradi di parentela, 88 che fa
riferimento all'impossibilità di contrarre matrimonio per le persone delle quali l'una è stata
condannata per omicidio consumato o tentato suo coniuge dell'altra. Esso può essere impugnato
pure nell'ipotesi di interdizione per infermità di mente. Il matrimonio risulta impugnabile per
capacità di intendere o di volere. Quale vizi del consenso, l’art. 122 contempla la violenza (minaccia
finalizzata all’estorsione del consenso), il timore (quando sia di eccezionale gravità e derivi da cause
esterne allo sposo), l’errore (falsa rappresentazione della realtà che induce a prestare il consenso).

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E’ possibile impugnare il matrimonio per simulazione quando “gli sposi abbiano convenuto di non
adempiere agli obblighi e non esercitare i diritti”.

Conseguenze di invalidità.
Per effetto dell’annullamento o della dichiarazione di nullità del matrimonio, i coniugi riacquistano il
loro stato libero con effetto retroattivo, come se il matrimonio non fosse stato celebrato. Tuttavia, gli
effetti del matrimonio valido o putativo (cioè del matrimonio che taluno dei coniugi o entrambi
reputavano valido) si producono fino al momento della pronuncia giudiziale nei seguenti casi (art.
128 cod. civ.):

Riguardo ai coniugi – Qualora entrambi lo abbiano celebrato in buona fede (cioè ignorando
l’esistenza di una causa di nullità), oppure quando il loro consenso sia stato estorto con violenza o
determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne agli sposi, il matrimonio si
considera valido fino al momento della pronuncia di annullamento. In tal caso il tribunale può
disporre a carico di uno di essi e per un periodo di tempo non superiore a tre anni l’obbligo di
corrispondere all’altro un assegno periodico per alimenti, se questi non abbia redditi adeguati e non
sia passato a nuove nozze.

Qualora, invece, uno solo dei coniugi abbia celebrato il matrimonio in buona fede, gli effetti del
matrimonio putativo si producono solo in suo favore e riguardo ai suoi figli. In tal caso questi ha
diritto ad ottenere: a) una congrua indennità (che non può superare il mantenimento per tre anni)
dal coniuge cui sia imputabile la nullità del matrimonio o dal terzo eventualmente responsabile; b)
gli alimenti, in assenza di altri coobbligati.

Qualora entrambi i coniugi avessero celebrato il matrimonio in mala fede, gli effetti del matrimonio
putativo si producono solo rispetto ai figli, salvo che la nullità sia dovuta da incesto.

Riguardo ai figli – Il matrimonio putativo produce gli stessi effetti del matrimonio valido nei
confronti di costoro, tanto nel caso in cui siano nati durante il matrimonio, quanto nel caso in cui
siano nati prima del matrimonio e riconosciuti prima della sentenza che ne abbia dichiarato
l’invalidità.
Qualora, invece, i coniugi abbiano celebrato il matrimonio in mala fede (cioè consapevoli della sua
nullità), esso ha comunque nei confronti dei figli lo stesso effetto del matrimonio valido, a meno che
l’invalidità dipenda da bigamia o incesto. In tale ipotesi costoro assumono lo stato di figli naturali
riconosciuti, nei casi in cui il riconoscimento è consentito.

Matrimonio concordatario.
È il matrimonio celebrato secondo i riti della regione cattolica che in base agli accordi tra la chiesa
cattolica ed il governo italiano ha effetti anche di natura civile. Sappiamo che gli stati moderni sono
laici e, quindi, indifferenti alle vicende religiose delle chiese che operano al loro interno.
Non si può ignorare, tuttavia, che in Italia la regione cattolica ha profonde radici e fa parte
integrante della nostra storia e cultura. Uno degli aspetti dove maggiormente si riscontra questo
legame con la cultura cattolica è sicuramente quello della famiglia, dove, tradizionalmente, la chiesa
cattolica interviene in diversi momenti della vicenda familiare.
Per questi motivi lo Stato italiano non è rimasto indifferente al sacramento del matrimonio,
riconoscendo effetti civili al rito matrimoniale celebrato innanzi ad un ministro della chiesa cattolica.
Nel nostro ordinamento esiste il matrimonio civile, di cui ci siamo già occupati, e il matrimonio
concordatario regolato dal concordato del 1929 (l. 27\05\1929 n. 847) e dall'accordo di revisione del
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concordato siglato insieme ad un protocollo addizionale il 18 febbraio 1984.


Osserviamo subito che il concordato del 1929 non è stato abrogato nel suo complesso, ma sono
state abrogate le singole disposizioni incompatibili con i nuovi accordi. Vediamo, quindi, gli aspetti
essenziali del matrimonio concordatario.

Le questioni relative alla costituzione e validità del vincolo sono regolate dal diritto canonico e
rientrano nella giurisdizione dei tribunali ecclesiastici, mentre tutto ciò che attiene al rapporto e il
procedimento giurisdizionale relativo alla esecutorietà delle sentenze ecclesiastiche di nullità rientra
nella competenza dello Stato

La celebrazione del matrimonio canonico deve essere preceduta dalle pubblicazioni eseguite a cura
del parroco con affissione di avviso innanzi alla porta della chiesa contenente tutte le notizie
necessarie per individuare gli sposi. Le pubblicazioni devono, inoltre, essere eseguite anche alla
porta della casa comunale. Trascorsi i termini di legge, l'ufficiale di stato civile, ove rilevi che non gli
sia stata notificata alcuna opposizione, rilascia un certificato dove si dichiara che non esistono cause
che si oppongono alla celebrazione del matrimonio valido ai di effetti civili.

La celebrazione avviene con rito religioso, con prevista lettura degli artt. circa i diritti e i doveri dei
coniugi. La celebrazione è seguita dalla redazione dell’atto di matrimonio (sep. beni, riconoscimento
figli naturali), in doppio originale, per consentire la trasmissione di uno di essi all’ufficiale dello stato
civile.

L'atto di matrimonio, formato dal celebrante e sottoscritto dagli sposi e dai testimoni, deve essere
trasmesso entro cinque giorni all'ufficiale di stato civile per la trascrizione nei registri di stato civile.
Il matrimonio, intervenuta la trascrizione ordinaria o tempestiva, produce gli effetti al momento
stesso della celebrazione. È ammessa anche la trascrizione tardiva, ove l'atto di matrimonio non
venga trasmesso entro cinque giorni dalla celebrazione. In questo caso occorre la richiesta dei due
sposi, o anche uno di essi, e che entrambi abbiano conservato ininterrottamente lo stato libero dal
momento della celebrazione a quello della richiesta. Con la revisione del concordato si considera
venuta meno la riserva di giurisdizione precedentemente sussistente in materia. Anche i tribunali
civili possono dunque sindacare la validità del matrimonio concordatario.

Effetti

Rapporti personali tra i coniugi.


La riforma del ’75 ha dato piena attuazione, nei rapporti tra i coniugi, al principio costituzionale per
cui “il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi (art. 29).
La disciplina contenuta nel c.c. istituzionalizza un modello di famiglia paritario e partecipativo
fondato sui valori di rispetto reciproco e solidarietà. Gli eventuali interventi dell’ordinamento sono
finalizzati affinché tale formazione sociale sia realmente luogo di promozione e sviluppo della
personalità di ciascuno. Art. 143 “con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e
assumono i medesimi doveri”. “Al loro accordo viene demandata la concreta articolazione degli
assetti organizzativi della vita familiare (art. 144).
Gli obblighi reciproci che derivano dal matrimonio sono quelli di fedeltà, assistenza morale e
materiale, collaborazione nell’interesse della famiglia, coabitazione e contribuzione ai bisogni della
famiglia (art. 143). La fedeltà rappresenta imprescrittibile espressione della esclusività del rapporto
personale, che si è visto essere connaturale all’idea di matrimonio. Il dovere di assistenza morale e
materiale si presenta quale espressione particolarmente significativa di quel legame di solidarietà
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che è alla base del matrimonio è che impone un vicendevolo aiuto sopratutto nei momenti difficili.
Non a caso il diritto di assistenza morale e materiale è sospeso nei confronti del coniuge che si
allontani in modo ingiustificato dalla residenza familiare. Il dovere di collaborazione vale a precisare
il precedente dovere nel senso della promozione di un'attività secondo le proprie capacità.
Importante è anche il dovere di coabitazione e della conseguente localizzazione della vita familiare
attestata dal legislatore è definito nella residenza familiare con i possibili risvolti penali del suo
abbandono. Alle ipotesi che si collegano alla convivenza fa riferimento la disciplina degli ordini di
protezione contro gli abusi familiari che comportano anche l'imposizione dell'allontanamento dalla
casa familiare.

Problema discusso è quello della sanzione per l’inosservanza dei doveri familiari, una volta ritenuta
pacifica la loro incoercibilità. L’avere il comportamento tenuto dal coniuge in violazione di tali doveri
causato la crisi coniugale rende a lui eventualmente addebitabile la separazione personale
rientrando la valutazione delle ragioni e della decisione anche tra gli elementi da considerare per la
determinazione dell’assegno di divorzio.
In conseguenza del matrimonio, la moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito (143 bis).
Secondo quella che viene definita come regola dell’accordo nel governo della famiglia, i coniugi
concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia, alla luce delle
esigenze di entrambi e quelle collettive (art. 144). A ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuale
l’indirizzo concordato (art. 144). Indubbiamente, il governo della famiglia fondato sulla regola
dell'accordo, pone il problema della conseguente mancanza dell'accordo. La soluzione per la
salvaguardia dell'unità familiare, è stata trovata nel prevedere un intervento del giudice in caso di
disaccordo. Per evitare che un simile intervento determini una lesione dell'autonomia dei coniugi si
è previsto che esso abbia carattere essenzialmente conciliativo in quanto mirato al raggiungimento
di una soluzione concordata. Ove vi siano contrasti sul accordo tra i due coniugi vi sarà un giudice
che adotterà la soluzione più opportuna.

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Regime patrimoniale della famiglia.

Prima della riforma del diritto di famiglia, del 1975, spettava al marito somministrare alla moglie
tutto ciò che era necessario ai bisogni della vita, in proporzione alle sue sostanze. La moglie doveva
a sua volta contribuire al mantenimento del marito, solo se quest'ultimo non possedeva mezzi
sufficienti. L'introduzione dell'eguaglianza giuridica tra i coniugi ha imposto l'obbligo per entrambi di
contribuire ai bisogni della famiglia in proporzione delle rispettive sostanze e capacità di lavoro
professionale o casalingo. I coniugi regolano i propri rapporti patrimoniali scegliendo un regime
patrimoniale. La riforma ha innovato profondamente anche questo settore. Infatti, prima del 1975, il
regime consisteva nella separazione dei beni ed era ammissibile la comunione solo mediante la
stipulazione di convenzioni matrimoniali: attualmente, invece, la legge disciplina i seguenti regimi
patrimoniali: a) comunione dei beni

b) separazione dei beni

c) fondo patrimoniale

d) comunione convenzionale

Bisogna comunque indicare che il regime di comunione legale è "automatico" nel senso che viene
adottato in mancanza di una diversa dichiarazione di volontà (art. 159 c.c.). Convenzioni
matrimoniali.
Le convenzioni matrimoniali sono gli accordi coi quali gli sposi, eccezionalmente con l’intervento di
un terzo, adottano un regime patrimoniale della famiglia diverso da quello legale di comunione.
Sono dei regimi atipici non previsti dalla legge o previsti dalla legge come la separazione dei beni.
I coniugi, oltre alla scelta del regime di separazione dei beni, possono accordarsi per la costituzione
del fondo patrimoniale o per dar vita ad una comunione convenzionale o a un’impresa familiare. Le
convenzioni matrimoniali possono essere stipulate in ogni tempo, anche dopo la celebrazione del
matrimonio e possono essere sempre liberamente modificate con il consenso di tutti coloro che le
hanno formate.
Originariamente era prevista l’autorizzazione del giudice al loro mutamento mentre ora, con una
legge del 1981, questa necessità è stata soppressa.
Per la stipulazione delle convenzioni è prevista, pena nullità, la forma dell’atto pubblico.
Attraverso le convenzioni matrimoniali i coniugi possono apportare delle modifiche al regime di
comunione dei beni:
1) possono restringerlo ad alcune della categorie di beni indicati dalla legge;
2) possono allargarlo ad altre categorie: per esempio facendo cadere in comunione anche i proventi
dell’attività di ciascun coniuge;
3) possono costituire causa di scioglimento della comunione legale.

Circa la capacità di agire, anche il minore ammesso a contrarre matrimonio è reputato capace di
stipulare le relative convenzioni con l'assistenza del tutore o dei genitori. L'inabilitato deve essere
assistito dal curatore. Le convenzioni o la scelta del regime di separazione dei beni devono essere
annotate a margine dell’atto di matrimonio comprese la data del contratto, le generalità del notaio
rogante e dei contraenti per essere opponibili ai terzi che vogliano acquisire un diritto sui beni
oggetto delle stesse.
Nel caso in cui tali convenzioni abbiano ad oggetto beni immobili o mobili registrati è richiesta la

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trascrizione come forma di pubblicità dal momento che è necessaria l’annotazione a margine
dell’atto di matrimonio anche in questo caso per l’opponibilità ai terzi.

Comunione legale.
Il regime è stato ritenuto indicato per rispondere all’esigenza di rispecchiare un modello familiare
che valorizzi la comunità di vita tra i coniugi. Con tale regime si è assicurato ad entrambi i coniugi
una partecipazione in piena eguaglianza per l'accumulo e la gestione delle ricchezze familiari. La
comunione legale ha carattere non universale, in quanto non si estende ai beni di cui i coniugi erano
titolari anteriormente al matrimonio, sia perché lascia a ciascuno dei coniugi la titolarità dei beni
essenziali per garantirgli una sfera di libertà in campo personale e professionale.

Vediamo ora quali beni rientrano a far parte della comunione legale di beni e quali ne sono esclusi.
Cominciamo con i primi indicati dall'articolo 177 c.c.

Costituiscono oggetto della comunione:

Gli acquisti compiuti dai due coniugi, insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione
dei beni personali, le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio, i frutti
dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della
comunione, i proventi dell'attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della
comunione, non siano stati consumati. Vediamo che non tutti i beni oggetto della comunione hanno
lo stesso regime giuridico.
I primi due, infatti, vi rientrano sempre e comunque, mentre gli ultimi, due fanno parte della
comunione solo al momento del suo scioglimento.
Si tratta della c.d. comunione di residuo, cioè di beni che normalmente non rientrano nella
comunione legale, ma ne fanno parte solo al momento suo scioglimento se esistenti.
Facciamo l'ipotesi che uno dei coniugi abbia ricevuto il canone di locazione del mese di aprile di un
suo immobile e che tale somma di denaro non sia stata ancora spesa.
Nel caso di scioglimento della comunione proprio ad aprile, il coniuge proprietario dovrà dividere
con l'altro tale somma di denaro, ma non le successive che percepirà come canone di locazione per i
mesi successivi.

La comunione legale ha ad oggetto quasi tutti i beni acquistati durante il matrimonio, ma ne sono in
ogni caso esclusi i "beni personali" indicati nell'articolo 179 del codice civile.

Beni personali:

a) i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali era titolare di un
diritto reale di godimento
b) i beni acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione, quando
nell'atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione
c) i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori (cioè di beni che non si
prestano ad un uso comune, come vestiti, ma anche gioielli, pellicce, etc.)
d) i beni che servono all'esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla
conduzione di un'azienda facente parte della comunione
e) i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione attinente alla perdita
parziale o totale della capacità lavorativa

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f) i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro scambio,
purché ciò sia espressamente dichiarato all'atto dell'acquisto

Sono, quindi, beni personali quelli acquistati prima del matrimonio, mentre per gli acquisti avvenuti
successivamente l'art. 179 distingue due categorie e cioè:

1. beni che appartengono in ogni caso ad uno dei coniugi;


2. beni che possono essere convenzionalmente esclusi dalla comunione.

Nel secondo gruppo rientrano i beni acquistati con il prezzo ricevuto dalla vendita di beni personali
o con il loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato nell'atto di acquisto.
Se, ad esempio, il marito vende un appartamento di sua proprietà esclusiva e con il ricavato acquista
un nuovo immobile durante il matrimonio, tale acquisto non rientrerà nella comunione solo se il
marito dichiari, all'atto dell'acquisto, che l'immobile è acquistato con il prezzo della vendita del suo
appartamento.

L’amministrazione dei beni della comunione spetta di regola, ai coniugi disgiuntamente;


congiuntamente invece per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione. Il rifiuto del consenso
dell'altro coniuge interessato può essere superato con un'autorizzazione giudiziaria richiesta dal
coniuge interessato, nel caso di atto necessario nell'interesse della famiglia o dell'azienda comune.
In alcune circostanze, il compimento degli atti di amministrazione richiedenti il consenso di
entrambi i coniugi può essere affidato ad uno solo di essi, in altri casi (minore di età, interdizione,
impedimento durevole, cattiva amministrazione) il giudice può escludere uno dei coniugi
dall'amministrazione. Gli atti compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell’altro (184)
ove concernano beni immobili o mobili registrati, sono annullabili, su richiesta del coniuge il cui
consenso era necessario, entro un anno; se l’atto ha ad oggetto beni mobili, esso resta valido, ma il
coniuge che lo ha compiuto deve ripristinare la comunione nello stato un cui si trovava
precedentemente.

Ai fini della responsabilità per i debiti, rileva la distinzione tra i creditori personali di ciascun coniuge
e quelli per obblighi gravanti sui beni della comunione (creditori della comunione). I primi possono
rivalersi sui beni personali del coniuge debitore e solo sussidiariamente, fino al valore
corrispondente alla sua quota (metà) sui beni comuni. I secondi hanno a disposizione il patrimonio
comune e solo sussidiariamente possono agire sui beni personali di ciascun coniuge.

Lo scioglimento della comunione è determinato da eventi che comportano il venir meno della
comunità di vita (morte, dichiarazione di assenza o di morte presunta, annullamento del
matrimonio, divorzio, separazione personale), oltre che dal mutamento convenzionale del regime
patrimoniale e dal fallimento di uno dei coniugi. Esso è determinato, su richiesta dei coniugi, anche
dalla separazione giudiziale dei beni. Con lo scioglimento si tende a ritenere che subentri un regime
di comunione ordinaria sui beni già oggetto di comunione legale. La divisione dei beni avviene
ripartendo in parti eguali l’attivo e il passivo, dopo gli opportuni rimborsi e restituzioni (192). Il
giudice può costituire, in relazione alla necessità della prole, a favore di uno dei coniugi l'usufrutto
su una parte dei beni spettanti all'altro.

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Regimi non convenzionali.


Ai sensi dell’art. 210, le parti, con una convenzione matrimoniale, possono modificare il regime della
comunione legale. Alle parti è consentito ampliare l’oggetto della comunione, allargandola ai beni
che non vi rientrerebbero, ma anche restringere la relativa portata, eccetto legge. Diffusa è l’opzione
degli sposi per la separazione dei beni che attribuisce una maggiore autonomia individuale ai
coniugi, restando ciascuno titolare esclusivo dei beni acquistati durante il matrimonio e potendo
goderli e amministrarli liberamente. Di notevole rilevanza è il principio per cui ove manchi la prova
della proprietà esclusiva di un bene esso si presume in comunione per quote uguali. Diffuso è il
fondo patrimoniale, ove determinati beni sono destinati a far fronte ai bisogni della famiglia.
L’amministrazione spetta ad entrambi i coniugi.

Impresa familiare.
L'impresa familiare è caratterizzata dal fatto che in essa collaborano familiari dell'imprenditore. La
finalità perseguita è quella di garantire una tutela adeguata a costoro senza che sia giuridicamente
configurabile un rapporto di diversa natura. Pur non avendo la veste di imprenditori, i familiari
partecipanti hanno da una parte il diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della
famiglia, dall'altra di partecipare agli utili ed agli incrementi dell'azienda, in proporzione alla qualità
e quantità del lavoro prestato. Inoltre le decisioni di maggiore rilevanza per la vita dell'impresa
devono essere adottate a maggioranza dei familiari partecipanti. Oltre ad avere un diritto, ove venga
a cessare o sia alienata l'azienda, alla liquidazione in danaro del proprio diritto di partecipazione, il
familiare ha pure un diritto di prelazione sull'azienda in caso di divisione ereditaria o di relativo
trasferimento.

3
Crisi coniugale.
La disciplina della crisi del rapporto coniugale rappresenta l’aspetto più delicato della
regolamentazione complessiva del fenomeno familiare. Il legislatore è chiamato ad assicurare il
rispetto della piena eguaglianza dei coniugi, garantendo l’interesse dei figli ad idonee condizioni di
sviluppo della personalità. Il principio da quale non può prescindere qualsiasi intervento legislativo è
quello rappresentato dalla protezione costituzionale del matrimonio e della famiglia, nella relativa
interdipendenza. I podromi della crisi del rapporto coniugale tendono a farsi avvertire attraverso
l'insorgere di una conflittualità in relazione alle decisioni concernenti la gestione della comunità
familiare. Le procedure di separazione personale e di divorzio sono indirizzate espressamente alla
riconciliazione dei coniugi attraverso l'apertura di spazi di riflessione e di ripensamento contro
iniziative avventate e dettate dal prevalere di fattori emozionali.

Separazione personale dei coniugi.


Il venir meno della comunione di vita coniugale e le sue conseguenze erano disciplinati
esclusivamente attraverso la separazione personale, comportante una modificazione dei rapporti tra
i coniugi destinati a restare comunque tali. Con l'introduzione del divorzio la separazione personale
ha assunto i connotati di situazione funzionalmente provvisoria dato che essa vale a determinare
una pausa di riflessione nei rapporti tra i coniugi destinata a sfociare nel superamento della
conflittualità, con la riconciliazione, oppure, nel divorzio. La riforma del 1975 ha abbandonato il
previdente modello di separazione basato sulla necessità di dimostrazione da parte del coniuge di
una responsabilità dell'altro. Si è virati principalmente sul constatazione di una situazione di
intollerabilità della convivenza. L'ordinamento ricollega alla separazione legale il momento di
formalizzazione della crisi coniugale, vediamo però che taluni effetti derivano pure dalla mera
separazione di fatto che ha come conseguenza la decisione di interrompere la convivenza, presa
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d'accordo o unilateralmente. L’allontanamento dalla residenza familiare determina sospensione del


diritto all’assistenza morale e materiale nei confronti del coniuge che rifiuti di tornarci.
La separazione legale può essere:

A) Consensuale, si fonda su un accordo dei coniugi, esteso sia alla decisione di separarsi, sia alla
regolamentazione dei propri futuri rapporti reciproci e di quelli con i figli. L’accordo è sottoposto al
controllo dell’autorità giudiziaria che svolge il proprio lavoro e vede se le condizioni sono conformi
all’ordinamento (158). Attraverso la separazione il rapporto rimane in piedi, ma si allenta, viene
meno l’obbligo di coabitazione.

B) Giudiziale, un procedimento attraverso il quale uno solo dei coniugi o ciascuno di essi con proprio
ricorso autonomo chiedono al Tribunale competente di pronunciare una sentenza di separazione
che regoli i loro rapporti, e quelli dei figli, essendo cessata la convivenza tra loro

Per riconciliazione si intende l’accordo con cui i coniugi fanno cessare gli effetti della separazione;
può avvenire anche tramite dichiarazione tacita.

Effetti separazione personale.


La separazione determina, con la cessazione della convivenza, una modificazione del rapporto
coniugale, soprattutto con riguardo ai beni personali. Permane tra i coniugi un rapporto
solidaristico, destinato a cessare col divorzio. La separazione non priva la moglie del diritto all’uso
del cognome del marito salvo divieto giudiziale.
Al coniuge cui non sia addebitabile la separazione spetta, un assegno di mantenimento, qualora non
abbia adeguati redditi propri, dovendosi determinare l’entità della somministrazione in rapporto
alle risorse economiche dell’altro coniuge. Per la valutazione della disparità economica tra i due
coniugi corre tener presente la situazione patrimoniale complessiva di ciascuno, da ritenere
comprensiva non solo di redditi ma anche di cespiti e di ogni altra utilità a disposizione. L’obiettivo è
quello di consentire al coniuge economicamente più debole la conservazione di un tenore di vita
analogo a quello precedente. All'assegno di mantenimento viene applicato poi la disposizione
dettata per l'assegno di divorzio relativa all'adeguamento monetario in dipendenza della
svalutazione.
Il coniuge cui sia stata addebitata la separazione non gode del diritto all’assegno di mantenimento,
potendo vedersi attribuire solo un più esiguo assegno alimentare se versi in condizioni di bisogno. Il
coniuge cui non è addebitata la separazione continua a godere in pieno dei diritti successori che gli
derivano dalla qualità di coniuge, quello al quale la separazione sia stata addebitata ha solo diritto
ad un assegno vitalizio.

Divorzio.
Fino all'emanazione della "Legge sul Divorzio" (legge n. 898/1970, detta anche "Legge Fortuna-
Baslini"), non erano previste cause di scioglimento del matrimonio diverse dalla morte di uno dei
coniugi: prima dell'avvento della Legge sul Divorzio, il matrimonio era quindi considerato
legalmente indissolubile. La Legge sul Divorzio prevede i casi in cui è consentito il divorzio; il caso di
gran lunga prevalente è dato dalla separazione legale dei coniugi che dura senza interruzioni da
almeno 12 mesi se la separazione è giudiziale o da almeno 6 mesi se la separazione è consensuale
(tali termini sono stati previsti dalla c.d. Legge sul Divorzio breve, in vigore dal 26 maggio 2015, e
sostituiscono il precedente termine di 3 anni). Il procedimento di divorzio può essere contenzioso o
a domanda congiunta e, una volta pronunciato, ha effetti sul piano civile, patrimoniale, successorio
e sull'affidamento degli eventuali figli. Anziché rivolgersi al Tribunale gli ex-coniugi possono ora
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divorziare mediante un accordo raggiunto al termine della procedura di negoziazione assistita da un


avvocato, prevista dal DL 132/2014 così come convertito, oppure - a certe condizioni - mediante un
accordo raggiunto davanti al Sindaco quale Ufficiale di Stato Civile.

Nel caso di matrimonio civile (ossia di matrimonio contratto in Comune davanti all’Ufficiale dello
Stato Civile), il divorzio è lo scioglimento definitivo del vincolo matrimoniale, pronunciato con
sentenza da parte del Tribunale competente; lo scioglimento del vincolo può essere ora l’effetto
anche di un accordo raggiunto al termine di un’apposita procedura di negoziazione assistita da un
avvocato, introdotta dal DL 132/2014, oppure di un accordo innanzi al Sindaco quale Ufficiale di
Stato Civile (ma solo se ricorrono determinate condizioni).
In caso di matrimonio concordatario (ossia quando il matrimonio è stato celebrato in Chiesa e poi
regolarmente trascritto nei registri dello Stato Civile del Comune), si parla più propriamente di
“cessazione degli effetti civili” del matrimonio stesso: permangono infatti gli effetti sul piano del
sacramento religioso (a meno che non si ottenga una pronuncia di annullamento o di nullità da
parte del Tribunale Ecclesiastico Regionale o della Sacra Rota).

Prima di pronunciare la sentenza di divorzio, il Tribunale deve sempre tentare la riconciliazione e


accertare che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non possa più essere mantenuta o
ricostituita (art. 1 della Legge sul Divorzio): in altre parole, prima di pronunciare il divorzio il Giudice
deve sincerarsi che la frattura nei rapporti fra marito e moglie non possa essere in alcun modo
ricomposta.
Oltre a ciò, il Giudice deve controllare la sussistenza di almeno uno dei presupposti tassativamente
previsti dalla legge. In estrema sintesi, i casi di divorzio sono i seguenti:

1)i coniugi sono separati legalmente e, al tempo della presentazione della domanda di divorzio, lo
stato di separazione dura ininterrottamente da almeno 12 mesi se la separazione è giudiziale o da
almeno 6 mesi se la separazione è consensuale (tale termine decorre in ogni caso dal giorno della
comparizione delle parti davanti al Presidente del Tribunale nel procedimento di separazione);

2)uno dei coniugi ha commesso un reato di particolare gravità (ad esempio è stato condannato con
sentenza definitiva all’ergastolo o a una pena superiore a 15 anni di reclusione) oppure – a
prescindere dalla durata della pena - è stato condannato per incesto, delitti contro la libertà
sessuale, prostituzione, omicidio volontario o tentato di un figlio, tentato omicidio del coniuge,
lesioni aggravate, maltrattamenti, ecc.;

3)uno dei coniugi è cittadino straniero e ha ottenuto all’estero l’annullamento o lo scioglimento del
vincolo matrimoniale o ha contratto all’estero un nuovo matrimonio;

4)il matrimonio non è stato consumato;

5)è stato dichiarato giudizialmente il cambio di sesso di uno dei coniugi.

Procedimento in contenzioso.
Lo scioglimento del vincolo matrimoniale può essere richiesto da uno dei coniugi, anche se l’altro
coniuge non è d’accordo.
Il procedimento cd. in contenzioso (per la mancanza di accordo dei coniugi) si svolge innanzi al
Presidente del Tribunale del luogo in cui il secondo coniuge ha la propria residenza o il proprio
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domicilio; nel caso in cui il secondo coniuge sia residente all’estero o risulti irreperibile, la domanda
di divorzio si presenta al Tribunale del luogo di residenza o di domicilio del coniuge richiedente.
Nel ricorso si deve aver cura di indicare l’esistenza di figli di entrambi i coniugi.
Se il coniuge richiedente è residente all’estero, è competente qualunque Tribunale.
Ciascun coniuge deve essere assistito da proprio difensore.
Come previsto dalla Legge sul Divorzio, alla prima udienza il Presidente del Tribunale tenta la
conciliazione e accerta che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non possa essere
mantenuta o ricostituita. Il Presidente emana quindi un’ordinanza con i provvedimenti temporanei e
urgenti necessari per regolamentare gli aspetti patrimoniali e che interessano i figli nella pendenza
del procedimento. Il Presidente nomina un Giudice Istruttore e fissa la data della relativa udienza
innanzi a quest’ultimo. Il procedimento prosegue poi come un processo ordinario, con la fissazione
di altre udienze. Se il procedimento comporta una lunga fase istruttoria, vale a dire un lungo
periodo di acquisizione delle prove (testimoni, perizie, ecc.), il Tribunale emana una sentenza
provvisoria, che intanto consenta ai coniugi di riottenere lo stato libero.

Procedimento a domanda congiunta.


Lo scioglimento del vincolo matrimoniale può essere richiesto da entrambi i coniugi. Come nel
divorzio in contenzioso, anche in questo caso le parti devono stare in giudizio assistiti da un
difensore, che può essere unico per entrambi.
Il procedimento si svolge innanzi al Tribunale in camera di consiglio, ossia con una procedura molto
più snella del divorzio in contenzioso.
In questo caso tutto si esaurisce in una sola udienza innanzi al Tribunale in camera di consiglio:
l’udienza è fissata dal Presidente del Tribunale dopo aver letto il ricorso. All’udienza il Tribunale
tenta la conciliazione e accerta che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può più
essere mantenuta o ricostituita. Quindi il Tribunale verifica la sussistenza dei presupposti richiesti
dalla Legge sul Divorzio ed emette la sentenza di scioglimento del vincolo matrimoniale (o di
cessazione degli effetti civili, in caso di matrimonio concordatario).
L’iter del divorzio a domanda congiunta è quindi più veloce e più semplice dell’iter del divorzio
giudiziale.

Sia che venga emessa al termine di un procedimento in contenzioso, sia che venga emessa alla fine
di un procedimento “a domanda congiunta”, la sentenza di divorzio viene trasmessa all’Ufficiale di
Stato Civile per l’annotazione nel Registro dello Stato Civile del luogo in cui fu trascritto il
matrimonio.

Effetti del divorzio.


La sentenza di divorzio produce i seguenti effetti:

1)in caso di matrimonio civile, si ha lo scioglimento del vincolo matrimoniale; in caso di matrimonio
religioso, si verifica la cessazione degli effetti civili (permane, invece, il vincolo indissolubile sul piano
del sacramento religioso);

2)la moglie perde il cognome del marito che aveva aggiunto al proprio dopo il matrimonio (ma può
mantenerlo se ne fa espressa richiesta e il Giudice riconosce la sussistenza di un interesse della
donna o dei figli meritevole di tutela);

3)fintantoché il coniuge economicamente meno abbiente non passi a nuove nozze, il Giudice può

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disporre che l’altro coniuge sia tenuto a corrispondere un assegno periodico (detto “assegno
divorzile”): l’importo è quantificato in base alle condizioni e ai redditi di entrambi i coniugi, anche in
rapporto alla durata del matrimonio (vedi scheda sulla modificazione delle condizioni di divorzio);

4)viene decisa la destinazione della casa coniugale e degli altri beni di proprietà;

5)i figli minorenni vengono affidati a uno dei coniugi, con obbligo per l’altro di versare un assegno di
mantenimento della prole, o a entrambi congiuntamente (cd. “affidamento condiviso”), nel rispetto
di quanto previsto anche dagli artt. da 337-bis a 337-octies cod. civ. (così come introdotti dal D.Lgs.
154/2013 in materia di filiazione);

6)ciascuno dei coniugi perde i diritti successori nei confronti dell’altro;

7)se la sentenza di divorzio aveva a suo tempo riconosciuto a un coniuge il diritto all’assegno di
mantenimento, tale coniuge ha diritto anche alla pensione di reversibilità dell’ex coniuge defunto (o
a una sua quota), a condizione che nel frattempo il coniuge superstite non si sia risposato.

In ogni caso, se uno dei coniugi matura il diritto al trattamento di fine rapporto (TFR) prima che sia
pronunciata la sentenza di divorzio, l’altro coniuge ha diritto a una parte di tale importo.

4
Filiazione.
La disciplina della filiazione è forse quella che ha più inciso sulla legislazione in materia familiare. Si
tratta di una progressiva e globale revisione che muovendo dall'art.30 della costituzione trova il suo
fulcro nella riforma del 1975 è un suo completamento nella legge 219/2012. Principio fondamentale
che ne deriva dall'art.30 comma 1 della costituzione è che è un dovere e diritto dei genitori
provvedere al mantenimento, istruzione ed educazione dei figli, anche quelli nati fuori dal
matrimonio. Di particolare importanza risulta l'esigenza di garantire al minore il più completo
sviluppo della persona umana. Tuttavia l'ordinamento prevede che nel caso il genitore o i genitori
risultino incapaci questi sono sollevati da tali obblighi verso i figli. La disciplina che viene fuori dalla
riforma prende le nette distanze dal precedente modello caratterizzato dalla discriminazione legata
ai figli nati al di fuori del matrimonio. Tale categoria oggi trova una sua tutela nel comma 3 dell'art.
30 della costituzione secondo cui, per i figli nati al di fuori del matrimonio l'ordinamento prevede
una forma di tutela giuridica e sociale.

I risultati conseguiti dalla riforma del 1975 sono stati oggetto di un unanime apprezzamento
raggiungendo così l'equiparazione sostanziale tra i figli nati nel matrimonio e i figli nati al di fuori del
matrimonio. Tuttavia sul piano quotidiano permaneva ancora qualche contrasto tra filiazione
legittima e filiazione naturale e i figli nati al di fuori del matrimonio. L'obbiettivo finale perseguito
dal legislatore con la legge 219/2012 fu quello di unificare i due termini, ossia filiazione nel
matrimonio e filiazione fuori il matrimonio, sotto lo status di figlio. Tale unitarietà è stata completata
poi sul piano lessicale provvedendo ad una sostituzione nel codice civile della terminologia di figli
legittimi e figli naturali con quella di figli. Per l'instaurazione di un rapporto di filiazione, in mancanza
di procreazione, risulta essere di particolare importanza l'istituto dell'adozione atto alla tutela
dell'interesse del nato che si trovi irrimediabilmente senza assistenza.

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Atto di nascita.
L'atto di nascita assume una fondamentale importanza in quanto presenta la funzione di strumento
di accertamento del rapporto di filiazione. L'atto di nascita è formato sulla base della dichiarazione
di nascita, correlato dall'attestazione di avvenuta nascita, resa all'ufficiale dello stato civile dai due
genitori, dal procuratore o da parte di chi ha assistito al parto. Viene sottolineato come la madre
possa esprimere la volontà di non essere nominata in tale atto. Nell'atto di nascita sono menzionate
le generalità, cittadinanza e residenza dei genitori legittimi oppure di chi intende proporre una
dichiarazione di riconoscimento di filiazione naturale.

Accertamento di filiazione.
È considerato padre il marito della madre se il concepimento è avvenuto durante il matrimonio.
Risulta anche importante fissare il tempo di procreazione, e in tal modo viene prevista la
presunzione di concepimento durante il matrimonio. Si presume concepito durante il matrimonio il
nato non oltre il 300esimo giorno dall'annullamento del matrimonio, dal relativo scioglimento (per
morte o divorzio), per separazione personale. Del nato dopo i 300 giorni, i genitori, i loro eredi
possono provarne comunque concepimento durante il matrimonio. Anche il figlio può proporre
azione per provare il concepimento durante il matrimonio.
La prova di filiazione avviene attraverso l'atto di nascita e in sua mancanza dimostrando il continuo
possesso dello stato di figlio.
Tale dimostrazione avviene provando 3 elementi:

• Aver portato sempre il cognome del padre


• Essere sempre stato trattato e ritenuto dal padre come un figlio
• Essere sempre stato considerato nei rapporti sociali e della famiglia come figlio.
L'atto di nascita preclude la pretesa all'attribuzione di uno stato diverso. Per l'accertamento di stato
diverso da figlio è necessaria una delle azioni previste dalla legge.

• L'azione di disconoscimento di paternità, che può essere esercitata da entrambi i


genitori. I termini per l'esercizio di tale azione sono diversi a seconda del soggetto
legittimato. Nel caso del padre questo può agire entro un anno dalla nascita, mentre la
madre entro 6 mesi dalla nascita. Non è possibile disconosce il figlio oltre 5 anni dalla
nascita.
• L'azione di reclamo dello stato di figlio. Essa può essere proposta quando vi siano
state supposizioni di parto o quando vi siano stati scambi di neonato. Con riguardo alla
filiazione nel matrimonio, tale azione di reclamo può essere esercitata da chi sia nato nel
matrimonio ma sia stato iscritto nel registro come figlio di ignoti. L'azione spetta al figlio ed è
imprescrittibile.
• L'azione di contestazione dello stato di figlio. imprescrittibile (art. 248); spetta a chi,
dall’atto di nascita, risulti suo genitore e a chiunque vi abbia interesse. Sul piano della prova
della filiazione, in mancanza dell’atto di nascita e del possesso di stato, vi è la possibilità di
fornirlo in giudizio con ogni mezzo.

Accertamento della filiazione fuori dal matrimonio.


L'attribuzione dello stato di figlio nato al di fuori del matrimonio avviene con un atto di
accertamento volontario (riconoscimento) o con un atto di accertamento giudiziario (dichiarazione
giudiziale della paternità o della maternità). La dichiarazione giudiziale della filiazione fuori dal
matrimonio produce gli stessi effetti del riconoscimento e quindi l'attribuzione dello stato di figlio
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nella sua unitarietà anche con riguardo all'instaurazione di vincoli di parentela. Per quanto riguarda
l'accertamento volontario si tratta di un atto unilaterale, pur se può avvenire congiuntamente dai
genitori, sempre personalissimo e puro. Con la riforma del 1975 era venuto meno il divieto di
riconoscimento per i figli nati al di fuori dal matrimoni da parte chi fosse già coniugato. Era rimasto
invece quale ipotesi di irriconoscibilitá quella legata ai figli incestuosi ovvero quelli generati
attraverso il rapporto tra due soggetti legati dagli stessi vincoli di parentela, in linea retta o in linea
collaterale. Oggi la nuova disposizione prevede il riconoscimento anche di questa categoria di figli.
Per effettuare il riconoscimento il genitore deve aver compiuto 16 anni e qualora presenti un età
inferiore il tribunale può predisporre il riconoscimento attraverso un'autorizzazione. Il
riconoscimento del figlio che abbia compiuto 14 anni resta inefficace senza il suo assenso (250).
Inoltre il riconoscimento del figlio infraquattordicenne non può avvenire senza che l'altro coniuge lo
abbia riconosciuto. In caso di rifiuto del consenso, il genitore che intende effettuare il
riconoscimento, può rivolgersi al tribunale, il quale valutate le condizioni autorizzerà il
riconoscimento se lo ritiene corrispondente agli interessi del figlio. Il riconoscimento può avvenire
prima della nascita o prima della morte per garantire gli interessi dei suoi discendenti. Il
riconoscimento è un atto formale e può avvenire nell'atto di nascita, con dichiarazione al momento
del matrimonio, con dichiarazione resa all'ufficiale dello stato civile o ad un notaio o per
testamento. Il riconoscimento è inammissibile, e quindi inefficace, se in contrasto con il già esistente
stato di figlio. L'azione di riconoscimento non può essere proposta oltre i cinque anni
dall'annotazione del riconoscimento.

Nel codice civile del 1865 la dichiarazione giudiziale di paternità era ammessa solo in caso di ratto o
di stupro. Nel 1942 si provvide ad allargare i casi. Nel 1975 è stato sancito poi il principio per cui la
dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità è consentita in tutti i casi in cui è ammesso
il riconoscimento potendo la prova essere fornita con ogni mezzo. La maternità è dimostrata
provando l'identità di chi si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna che si
intende madre. La sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di suoi rapporti col preteso
padre all'epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità, in considerazione
dell'eventualità di una pluralità di partners. In ciò il giudice gode di un ampia discrezionalità nella
ricerca delle prove sopratutto legata all'evoluzione scientifica attraverso prove ematologiche e
genetiche. Il rifiuto ingiustificato di sottoporsi ad esse è valutabile come elemento di prova. Tale
azione è considerata imprescrittibile per il figlio e può essere proseguita, dopo la sua morte, dai suoi
discendenti. L'azione può essere proposta, nell'interesse del minore, dal genitore che esercita la
responsabilità genitoriale o dal tutore. Per promuovere o proseguire l'azione è necessario che il
figlio abbia raggiunto i 14 anni e del suo consenso. Nel caso del minore infraquattordicenne spetta
al tribunale valutare il proseguimento dell'azione se vi è un interesse del figlio.

Procreazione assistita.
La possibilità offerta dal progresso scientifico di intervenire nel processo riproduttivo ha
determinato l'insorgere di determinati problemi in ordine allo stato di figlio così generato. Con la
procreazione assistiamo allo scontro tra principi e regole affermati in materia di filiazione, in
particolare tra derivazione biologica e responsabilità nei confronti del generato. Con la legge
40/2004 il nostro legislatore ha dettato una regolamentazione della procreazione medicalmente
assistita. E’ opportuno sottolineare come pur essendo vietato il ricorso a tecniche di tipo eterologo
(comportanti l'utilizzazione di gameti estranei alla coppia che accede al trattamento), non si sia
mancato di disciplinarne le conseguenze. Coloro che si sono prestati all'applicazione delle tecniche
in esame, risulta precluso l'azione di disconoscimento della paternità. Il donatore di gameti, resta

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estraneo a qualsiasi rapporto con il nato. Il nostro ordinamento consente solo fecondazioni omologa
(utilizzo di gameti della coppia che accede al trattamento). Se si tratta di coppia coniugata è precluso
l’esercizio dell’azione di disconoscimento della paternità. Al figlio si attribuisce “lo stato di figlio nato
nel matrimonio o di figlio riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere a
tecniche” (art.8). E’ vietata alla madre la facoltà di non essere nominata, restando anonima.

Tutela del minore privo di assistenza. Affidamento.


L'ordinamento riconosce ai genitori, nelle situazioni di incapacità, di assolvere al loro ruolo nei
confronti dei figli. In tal modo il legislatore disciplina l'istituto dell'adozione e dell'affidamento.
Posto il principio per cui “il minore ha diritto di crescere ed esser educato nella propria famiglia”, ad
assicurare il rispetto dell’autonomia di questa devono essere finalizzati gli opportuni “interventi di
sostegno e aiuto”. Solo nel caso in cui nonostante gli interventi di supporto la famiglia non è in
grado di provvedere alla crescita e all'educazione del minore, sono chiamati ad operare gli interventi
con una funzione sostitutiva. In un tale prospettiva, il minore, temporaneamente privo di un
ambiente familiare idoneo, può essere affidato ad una famiglia o ad una persona singola, ovvero
inserito in una comunità di tipo familiare. L’affidamento (carattere temporaneo) è finalizzato ad
assicurare un’adeguata tutela dell’interesse del minore, nel tempo strettamente necessario a
consentire, attraverso opportuni interventi, il recupero della famiglia di origine, gli sforzi dei servizi
sociali dovendo indirizzari nel senso di agevolare i rapporti con la famiglia di provenienza ed il
rientro nella stessa del minore. Non a caso viene favorito l’affidamento previo consenso dei genitori,
solo in mancanza del quale provvede il tribunale per i minorenni. Nel provvedimento di affidamento
comunque devono essere sempre disciplinati il mantenimento dei rapporti del minore con i genitori
e gli altri componenti della sua famiglia. Lo stesso affidatario, che ha il dovere di educazione, ed
istruzione del minore, deve tener conto delle indicazioni dei genitori, salvo che costoro non
presentino a loro carico provvedimenti relativi alla responsabilità genitoriale. Non bisogna
confondersi con l’affidamento pre-adottivo data la finalizzazione di quest’ultimo all’inserimento
definitivo, a seguito dell’adozione in un’altra famiglia.

Adozione.
La finalità che l’adozione dei minori risulta chiamata ad assolvere attualmente nel nostro
ordinamento è l’inserimento del fanciullo in una nuova famiglia, con l’acquisto dello stato di figlio
legittimo nella pienezza del relativo rapporto con gli adottanti.

a)L'adozione dei minori prevista a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità (art. 7) a
seguito di “una situazione di abbandono, perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei
genitori o dei parenti tenuti a provvedervi. L’adozione resta consentita ai coniugi sposati da almeno
3 anni, pur essendo sufficiente una convivenza stabile e duratura che si sia protratta per 3 anni
prima del matrimonio. Ai singoli invece è consentita l'adozione solo in casi particolari. I coniugi
devono essere “affettivamente idonei e capaci di educare, istruire i minori che intendano adottare”
e possono adottare più volte. La differenza di età tra adottante ed adottato viene fissata in 18 anni.
Il minore che abbia compiuto 14 anni deve presentare personalmente il proprio consenso
all’adozione e deve essere personalmente sentito il minore dodicenne o comunque capace di
discernimento. Non è accordata facoltà di scelta agli aspiranti adottanti. La sentenza che dichiara lo
stato di adottabilità del minore viene pronunciata ad esito di una rigorosa verifica delle condizioni
previste: può esser impugnata dal p.m o dalle altri parti davanti la Corte d’Appello. Divenuta
definitiva è trascritta a cura del cancelliere su apposito registro. A seguito dell’adozione, l’adottato
acquista, a tutti gli effetti, lo stato di figlio nato nel matrimonio degli adottanti, dei quali assume il

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cognome, mentre cessa ogni rapporto con la sua famiglia d’origine. Egli ha diritto ha conoscere i
suoi genitori dopo i 25 anni.

b) Adozioni in casi particolari.


Il minore può essere adottato ove ricorrano particolari circostanze:
1) da parenti fino al sesto grado
2) dal coniuge del genitore
3) se i minori sono portatori di handicap
4) quando è constatata l’impossibilità di affidamento preadottivo.

La disciplina dell'adozione si allarga anche alle persone maggiori di età consentendo la


continuazione della famiglia dell'adottante esclusiva solo alle persone prive di discendenti. Lo scopo
dell’adozione delle persone maggiori di età resta quello di assicurare la continuazione della famiglia
dell’adottante. L’adozione richiede una differenza di età di 18 anni. Occorrono entrambi i consensi e
l’assenso dei genitori dell’adottando e del coniuge dell’adottante e dell’adottando. La sentenza di
adozione viene pronunciata dal tribunale verificatane la corrispondenza con gli interessi
dell'adottando. Quando agli effetti l’adottato antepone quindi al proprio cognome quello
dell’adottante e acquista gli stessi diritti spettanti ai figli legittimi in ordine alla successione
dell’adottante. Conserva però tutti i diritti e doveri verso la propria famiglia d’origine. L'adozione
non va ad instaurare rapporti di parentela tra l'adottato e i parenti dell'adottante.

La legge 184/1983 ha regolato anche il fenomeno dell'adozione internazionale la cui diffusione è


legata sopratutto alla difficoltà del ricorso all'adozione di minori italiani. La normativa originaria è
stata ampiamente modificata per accrescere le garanzie nei confronti dei minori, evitando abusi e
assicurando in ogni caso la tutela dell'interesse del minore straniero. Per la ricerca del minore è
stato fissato un iter procedurale rigoroso. Gli aspiranti all'adozione di un minore straniero, aventi i
requisiti previsti per l'adozione di minori, devono ottenere un decreto attestante l'idoneità ad
adottare. Successivamente devono conferire l'incarico, a curare la procedura di adozione, ad uno
degli enti a ciò autorizzati dalla commissione per le adozioni internazionali. L'ente svolge tutte le
pratiche necessarie all'estero e le varie attività per consentire l'incontro tra gli aspiranti all'adozione
ed il minore, trasmettendo alla commissione la documentazione richiesta. La commissione, valutate
le conclusioni dell'ente, dichiara che l'adozione risponde all'interesse del minore e ne autorizza
l'ingresso è la residenza in Italia a condizione che il minore si trovi in una situazione di abbandono.
L'adozione pronunciata all'estero produce gli stessi effetti dell'adozione dei minori una volta che il
tribunale abbia accertato che sussistono i requisiti previsti dalla convenzione è che i provvedimenti
siano conformi ai principi fondamentali del nostro diritto di famiglia e dei minori ordinandone la
trascrizione nel registro dello stato civile. Ne consegue l'acquisto, da parte dell'adottato, della
cittadinanza italiana.

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Rapporto di filiazione.
Secondo l'art. 315 “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”. L’art. 315 bis riconosce al figlio “il
diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente da genitori nel rispetto delle
sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni”. Il mantenimento deve essere
conforme al tenore di vita della famiglia. Il diritto di mantenimento perdura oltre il raggiungimento
della maggiore età. L’obbligazione di mantenimento ha carattere solidale ed è ripartita tra i genitori
in proporzione delle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o
casalingo. Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti sono gli ascendenti a dover fornire ad essi i
mezzi necessari all'adempimento dei loro doveri nei confronti dei figli. Ove vi sia un inadempimento
da parte di un genitore, può essere obbligato che una quota di redditi dell'obbligato venga versata
all'altro coniuge o a chi sopporta le spese. Quanto al cognome, nel caso di filiazione nel matrimonio,
cui rientra l'ipotesi di adozione, il figlio assume quello del padre. Nel caso di filiazione fuori dal
matrimonio il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo riconosce e quello del padre se
il riconoscimento è effettuato da entrambi i genitori. Il figlio può decidere, ove vi sia stato
riconoscimento della madre e quindi l'assunzione del suo cognome, di assumere il cognome del
padre che lo riconosce successivamente, aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello
della madre. Se il figlio è minore, sarà il giudice a decidere circa l'assunzione del cognome del padre.
Il figlio ha il dovere (non sanzionabile) di rispettare i propri genitori e, finché convive in famiglia,
deve contribuire al relativo mantenimento, in ragione delle sue sostanze e del suo reddito. Tali
obblighi non cessano con il raggiungimento della maggiore età. Alla responsabilità genitoriale, la cui
titolarità compete ad entrambi i genitori, il figlio è soggetto sino alla maggiore età o
all’emancipazione. Essa è esercitata di comune accordo dai genitori. Ciò ha indotto ad introdurre un
meccanismo atto a superare le eventuali situazioni di disaccordo. Quando il contrasto tra i genitori
verte su questioni di particolare importanza si ricorre al giudice. Il giudice, ascoltato pure il figlio,
svolge una funzione persuasiva è solo se il contrasto per mano attribuisce il potere di decisione al
genitore che ritiene più idoneo a curare l'interesse del figlio. L'esercizio della responsabilità
genitoriale si concentra nelle mani di un solo genitore in caso di lontananza o altro impedimento
dell'altro. La responsabilità genitoriale non cessa con il venir meno della convivenza. Al
riconoscimento della filiazione al di fuori del matrimoni consegue la titolarità, per il genitore che per
primo lo riconosce, della responsabilità genitoriale. Ove il figlio nato al di fuori del matrimonio
venga riconosciuto da entrambi i genitori la responsabilità spetta ad entrambi. Con riguardo al caso
di riconoscimento di un figlio nato fuori dal matrimonio da parte di persona coniugata, è rimessa al
giudice la decisione circa il suo affidamento o l'adozione di ogni provvedimento a tutela del suo
interesse morale e materiale. Un tale ipotesi può essere autorizzato, nell'interesse del figlio, il suo
inserimento nella famiglia del genitore, una volta accertato il consenso del coniuge convivente, dei
figli ultrasedicenni conviventi.

Crisi familiare e tutela dell'interesse dei figli.


Preso atto dell'inevitabilità del verificarsi di crisi familiari, i figli non devono essere vittime
incolpevoli. Bisogna assicurare loro, al di là della rottura della compagine familiare, l'effettivo
rapporto personale oltre che economico di entrambi i genitori. Data per scontata la continuità dei
doveri dei genitori connessi alla responsabilità genitoriale nei confronti dei figli, il principio basilare
è quello per cui tutti i provvedimenti relativi alla prole devono essere adottati “con esclusivo
riferimento all’interesse morale e materiale di essa” (art. 337 ter). Prevale il modello di affidamento
congiunto in caso di separazione matrimoniale. Ai fini dell’affidamento non incide chi abbia inciso
maggiormente nella separazione, decisivo deve restare solo il riscontro alla idoneità a svolgere i
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compiti connessi alla qualità di affidatario. L’esercizio della potestà compete ad entrambi i genitori. Il
tribunale dispone di ampi poteri pur dovendo andare contro gli accordi dei genitori in caso di
accordi che vadano contro l’interesse del figlio. In dipendenza di quanto disposto dalle convenzioni
internazionali è sembrata importante la necessità di conferire attenzione alle opinioni e ai desideri
dei figli. Risulta previsto quindi che il giudice sia tenuto a disporre dell'ascolto del figlio
ultradodicenne e anche di età inferiore capace di discernimento. Sotto il profilo economico i genitori
restano tenuti a provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale alle loro possibilità
corrispondendo un assegno periodico a carico di uno dei genitori. Tutti i provvedimenti concernenti
i figli sono assoggettabili a revisione.

Assegnazione della casa familiare.


L’ordinamento conferisce rilevanza alla destinazione dell’immobile a casa familiare e le relative
vicende tendono ad essere correttamente ricondotte al piano del regime primario. L’assegnazione
presuppone che i coniugi fossero, in precedenza, legittimati a goderne insieme: ne avessero cioè la
disponibilità. Ciò sulla base di un titolo che può essere rappresentato dal diritto di priorità, diritto
reale (usufrutto, abitazione), diritto di locazione o di comodato. L’interesse è sempre salvaguardare i
figli. Alla luce di ciò l'affidamento dei figli o la convivenza con figli maggiorenni ancora non
economicamente autosufficienti erano considerati presupposto necessario per l'assegnazione. Tale
disciplina sembra restare ferma proprio per prevedere che il godimento della casa familiare è
attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. L’assegnazione può essere limitata
a solo una parte dell’immobile.
L'assegnazione della casa coniugale (o familiare: il termine è da considerare sinonimo) è il
provvedimento adottato dal giudice in caso di separazione o di divorzio dei coniugi volto ad
assicurare al residuo nucleo familiare (coniuge affidatario e eventuali figli) la conservazione dello
stesso ambiente di vita domestica goduto in costanza di matrimonio.

PARTE VI
PROPRIETÀ E DIRITTI REALI
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CONTENUTO

Il diritto di proprietà, che costituisce il prototipo delle situazioni giuridiche soggettive, vede il suo
contenuto definito da:
 ART. 42 COST: la costituzione conferisce al legislatore il potere di porre regole e limiti allo
scopo di assicurare la funzione sociale della proprietà e di renderla accessibile a tutti.
 ART. 832 COD. CIVILE: afferma che il proprietario “ha diritto di godere e disporre delle cose in
modo pieno ed esclusivo”. Quindi al proprietario vengono i riconosciuti:
1. Diritto di godere, ossia decidere come e quando utilizzare la cosa.
2. Potere di disporre, ossia produrre atti giuridici determinando la relativa
condizione giuridica.

CARATTERI

 PIENEZZA, ovvero che il proprietario ha diritto di godere disporre solo nei limiti e modalità
previste dalla legge.
 ELASTICITÀ, portate il proprietario possono essere limitate dall’esistenza di altri diritti, come
l’usufrutto. Ma il diritto rimane comunque integro riacquistando la sua pienezza la
cessazione del diritto che lo comprime.
 ESCLUSIVITÀ, ci si riferisce alla possibilità riconosciuta al proprietario di escludere chiunque
altro. È ammissibile esclusivamente la Contitolarità del diritto.
 IMPRESCRITTIBILITÀ, emerge Dall’articolo 948, laddove si prevede uno strumento posto a
disposizione del proprietario: l’azione di rivendicazione, per far valere le sue ragioni e.
Contemporaneamente si prevede che nel conflitto tra un proprietario inerte e un utilizzatore
sia da preferire quest’ultimo, come nel caso dell’usucapione,
 PERPETUITÀ, non possono essere imposti limiti temporali alla proprietà.

LIMITI LEGALI AL DIRITTO DI PROPRIETÀ


Al diritto di proprietà, sono stati imposti una serie di limiti quali sono tutelabili per mezzo dell’azione
negatoria. I limiti posti dalla legge al diritto di proprietà sono:
 LIMITI POSTI NELL’INTERESSE PUBBLICO:
istituti fondamentali sono l’espropriazione per pubblica utilità, l’occupazione, la requisizione
e cioè quei provvedimenti ablatori caratterizzati dal fatto di privare il proprietario della cosa
oggetto del diritto di proprietà, di conseguenza il proprietario espropriato spetta una giusta
indennità che deve rappresentare un serio ristoro per il proprietario espropriato del suo per
diritto. Art 834.
 LIMITI POSTI NELL’INTERESSE DEL PRIVATO:
concernono la proprietà immobiliare e regolano i RAPPORTI DI VICINATO:
- Infatti l’articolo 833 sancisce il divieto degli atti emulativi, che vietano al proprietario di
fare atti che non abbiano altro scopo che nuocere o recare molestia ad altri. Considerati
atti illeciti, dunque l’ordinamento provvede alla loro eliminazione e può essere richiesto
anche il risarcimento del danno.
- L’articolo 844 dispone il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni
derivanti dal fondo del vicino, se non superino la normale tollerabilità, avuto anche
riguardo alla condizione dei luoghi. Ma dispone anche che il giudice debba contemperare
le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà potendo tenere conto della
priorità di un determinato uso. Sulla base di tale disposizione si ritiene che il giudice
possa consentire anche la prosecuzione dimissioni, tale da superare la soglia della
normale tollerabilità, Imponendo un indennizzo a carico di chi provoca le immissioni. Le
immissioni lesive alla salute sono senz’altro vietate.
Chi invoca la violazione di un limite di un buon vicinato può trattenere oltre al
risarcimento del danno anche la riduzione in pristino, nonché dell’azione di
manutenzione.
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PROPRIETÀ FONDIARIA --> ART 840-845


Una disciplina concernente i beni immobili (urbani agricoli). I beni immobili risultano il punto di
riferimento di una molteplicità di interessi sia individuali (Interessati alla loro utilizzazione) e super
individuali (cioè interessati allo sviluppo economico sociale). La norma regola l’estensione verticale
della proprietà, secondo cui la proprietà del suolo si estende al sottosuolo, con tutto ciò che esso
contiene, potendo il proprietario svolgere qualsiasi attività di utilizzazione che non rechi danno ai
vicini. Infatti il proprietario del suolo non può impedire attività altrui che si svolgono a tale
profondità nel sottosuolo o a tale altezza nello spazio sovrastante che egli non abbia interesse ad
escludere. Quindi il soggetto è tutelato solo se non viene invasa la sfera di utilizzabilità del
sottosuolo dello spazio sovrastante. Inoltre il proprietario può chiudere in qualunque tempo il fondo
ma ciò deve avvenire comunque, nel rispetto di eventuali diritti di terzi sul bene, come nel caso
dell’esistenza di una servitù di passaggio. Per esempio non può impedire l’accesso adesso per
l’esercizio della caccia o pesca, oppure per riparare un muro.

PROPRIETÀ AGRARIA
Alla proprietà agraria è stato dato particolare rilievo della costituzione soprattutto per la relativa
funzione sociale. L’articolo 44 pone, in materia, il duplice obiettivo del razionale sfruttamento del
solo e del perseguimento di equi rapporti sociali. A tal fine è demandata al legislatore la previsione
di obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, la fissazione di limiti alla sua estensione, la tua
azione della bonifica, la trasformazione del latifondo, la ricostruzione delle unità produttive, anche
nella prospettiva dell’aiuto alla piccola e media proprietà. L’articolo 47 e poi prescrive di favorire
l’accesso del risparmio popolare alla proprietà diretta coltivatrice.
Inoltre la protezione della posizione di chi dedica la propria attività lavorativa all’agricoltura e alla
base di numerosi interventi che hanno condizionato i contratti agrari, assicurando la stabilità nel
godimento dei terreni sui quali si opera. Nel risultata una considerevole limitazione dei poteri del
proprietario di fondi agricoli, fino alla stessa per il diritto come nel caso della legislazione tendente
ad agevolare l’enfiteusi. Basti pensare ai limiti posti alla mezzadria, con la promozione della relativa
trasformazione in affitto, nonché la tendenza ad assicurare l’acquisizione della proprietà a beneficio
dei coltivatori diretti.

PROPRIETÀ EDILIZIA --> ART 869-872


La proprietà edilizia e quasi interamente assoggettata alla legge urbanistica. Interessi che ruotano
intorno all’edificazione dei soli è la proprietà dei edifici sono numerosi, per questo la materia e
oggetto di una consistente legislazione speciale a cui inviare il codice.
La facoltà di edificare, originariamente rientrava nel contenuto del diritto di proprietà, infatti
bastava richiedere un provvedimento autorizzatorio al Comune, la licenza edilizia, al fine di
assicurare la conformità dei criteri stabiliti dagli strumenti urbanistici. Ma nel 1977 ci fu una riforma
radicale della materia. Con essa si sostituì alla licenza edilizia, la concessione edilizia, dove la facoltà
di edificare costituisce oggetto di un’attribuzione concessa da parte del Comune, quale unico
titolare del diritto allo sfruttamento edilizio del suo territorio.

2 ACQUISITO E TUTELA DELLA PROPRIETÀ.

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Modi di acquisto.
L'art. 922 c.c., traccia i modi di acquisto della priorità. La proprietà si acquista per occupazione, per
invenzione, per accessione, per specificazione, per unione o commistione, per usucapione, per
effetto di contratti, per successione a causa di morte e negli altri modi stabiliti dalla legge.
L'art. 922 riportato in tabella elenca i diversi modi di acquisto della proprietà, senza, però, indicarli
in modo tassativo (infatti la proprietà si acquista anche"negli altri modi stabiliti dalla legge").
Possiamo distinguere i modi di acquisto della proprietà in due categorie:

• modi di acquisto a titolo originario (occupazione, invenzione, accessione, specificazione,


unione, commistione e usucapione)
• modi di acquisto a titolo derivativo (contratto e successione)
Nei modi di acquisto a titolo derivativo si verifica una successione nel diritto che è trasmesso da un
soggetto ad un altro, mentre in quelli a titolo originario si diviene (o è come se si divenisse)
proprietario per la prima volta.
Di conseguenza l'acquisito a titolo originario è più certo, rispetto a quello derivativo, per la semplice
ragione che in quest'ultimo caso la situazione giuridica trasmessa potrebbe non essere quella che
appare; potrebbe accadere, infatti, che si acquisisca il diritto da chi non è proprietario, e poiché non
si può trasmettere quello che non si ha, il nuovo presunto proprietario non avrà in realtà acquisito
alcun diritto.
A ciò consegue la difficoltà della prova del diritto di proprietà quando il soggetto non possa
dimostrare di aver compiuto un acquisto a titolo originario. In caso di acquisto a titolo derivativo,
infatti, non è sufficiente la dimostrazione dell'idoneità del titolo del proprio acquisto, ma occorre a
che la dimostrazione del titolo di acquisto del soggetto dante causa e via via ininterrottamente fino
ad un acquisto a titolo originario. Si parla della cosiddetta probatio diabolica.

Vediamo, quindi, uno per uno i modi di acquisto della proprietà a titolo originario indicati
dall’art.922, mentre di quelli a titolo derivativo (contratti e successioni) ce ne occuperemo in
seguito.

Occupazione:
L'occupazione costituisce forse il modo di appropriazione primigenio.
Secondo l'art. 923 c.c. primo comma “le cose mobili che non sono proprietà di alcuno si acquistano
con l’occupazione”. (res nullius).
Il secondo comma dell'art. 923 ci specifica, poi, quali sono questi beni mobili che non sono di
proprietà di alcuno, dividendole in:

• 1 cose abbandonate
• 2 gli animali che formano oggetto di caccia e di pesca
Per i beni immobili abbandonati non è possibile l'occupazione, sia perché l'art. 923 non li nomina,
sia perché l'art. 827 c.c. espressamente dispone che “ i beni immobili che non sono in proprietà di
alcuno spettano al patrimonio dello Stato”.
Sono anche oggetto di occupazione le cose abbandonate con l’intenzione di dismetterne la
proprietà.
Si reputano necessari, ai fini dell’acquisto della proprietà sulla cosa:

- ADPREHENSIO, ovvero l’atto materiale di impossessamento della cosa.

- ANIMUS OCCUPANDI, ovvero l’intenzione di appropriarsi della cosa stessa.

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Invenzione.

Disciplina dell’invenzione concerne le cose smarrite, sottratte, o dimenticate dal proprietario,


ancora oggetto quindi di proprietà. Anche tale modo di acquisto della proprietà interessa solo le
cose mobili. Chi trova la cosa non ne acquista la proprietà, ma all’obbligo di restituirla al
proprietario, e se non lo conosce, di consegnarle immediatamente al sindaco del luogo in cui la
ritrovata, indicando le circostanze del ritrovamento (art 827). Il sindaco procede a pubblicizzare il
ritrovamento e nei modi indicati dall’articolo 928 e trascorso un anno a tale formalità, il ritrovatore
acquista la proprietà della cosa trovata (articolo 929).! Il ritrovatore, in caso di restituzione della
cosa il proprietario, ha diritto a chiedere un premio pari al decimo del valore della cosa.

Un particolare regime previsto per il ritrovamento del tesoro. Tale considerata qualunque cosa
mobile di pregio, nascosta o sotterrata, di cui nessuno possa provarne di essere proprietario. Il
tesoro appartiene al proprietario del fondo in cui si trova. Il ritrovatore ha diritto alla metà del
tesoro.

Accessione.
L'accessione può essere intesa come l'acquisto della proprietà in conseguenza dell'unione di altre
cose alla propria, ovvero come espansione della proprietà. Si dispone in base all'art. 934 c.c. che
qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al
proprietario di questo, salvo quanto è disposto dagli articoli 935, 936, 937 e 938 e salvo che risulti
diversamente dal titolo o dalla legge in generale, e salve le ipotesi previste dallo stesso articolo 934,
il suolo attrae tutto ciò che vi è sopra incorporato.
In altre parole il proprietario del suolo è proprietario anche dei beni che lì si trovano, siano essi
mobili o immobili, il termine accessione, infatti, deriva dal latino "accessio" e tradotto significa
accrescimento, aggiunta, elemento accessorio. Con l'accessione, quindi si verifica un accrescimento
di una cosa a scapito di un'altra, e in genere ciò accade a favore del suolo per tutto quello che vi
trova. In realtà non tutto quello che si trova sul suolo diviene del proprietario del fondo, ma solo
quello che vi è incorporato (stabile) , come, appunto, le piantagioni, le costruzioni e le altre opere
che si trovino sopra (ma anche sotto) il suolo. L’acquisto è definitivo.
Le eccezioni al principio dell'accessione sono elencate nello stesso articolo 934 e si riferiscono ai
casi dell'art. 935 (opere fatte dal proprietario del suolo con materiali non suoi), 936 (opere eseguite
dal terzo con materiali propri), 937 (opere eseguite dal terzo con materiali altrui) e 938 che si
riferisce al fenomeno della cosiddetta accessione invertita. Riportiamo il testo dell'art. 938: “Se nella
costruzione di un edificio si occupa in buona fede una porzione del fondo adiacente, e il proprietario
di questo non fa opposizione entro tre mesi dal giorno in cui ebbe inizio la costruzione, l'autorità
giudiziaria, tenuto conto delle circostanze, può attribuire al costruttore la proprietà dell'edificio e del
suolo occupato. Il costruttore è tenuto a pagare al proprietario del suolo il doppio del valore della
superficie occupata, oltre il risarcimento dei danni”. Come si vede in questo caso, di natura
eccezionale, è il costruttore dell'edificio che diviene (o almeno può divenire) proprietario del suolo e
dello stesso edificio, mentre secondo i normali principi dell'accessione dovrebbe essere il
proprietario del suolo a divenire proprietario della costruzione fatta sul suo terreno.

Unione e commistione
Nella prospettiva più ampia dell’accessione, l’art. 939 disciplina, alludendo all’unione e
commistione, il fenomeno dell’accessione di mobile a mobile. Se due cose mobili appartenenti a
proprietari diversi sono state unite o mescolate in modo da formare un tutto unitario e non sono
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separabili senza un notevole deterioramento, la proprietà ne diventa comune in proporzione del


valore delle cose spettanti a ciascuno, ma se una cosa può essere considerata principale rispetto
all'altra o è molto superiore per valore, il proprietario della cosa principale o di maggior valore
acquista la proprietà del tutto, pagando però, all'altro proprietario il valore della cosa che vi è unita
o mescolata. Il codice civile ha poi disciplinato anche il caso di trasformazione della cosa ad opera
dell'uomo, in tal modo si parla di specificazione. Infatti nel caso in cui ci si adoperi della materia
altrui per formare una nuova cosa, chi ha compiuto l'opera diviene proprietario della cosa dovendo
solo pagare al proprietario della materia il suo valore. Se però, il valore della materia sorpassi
notevolmente quello della mano d'opera la cosa spetta al proprietario della materia, il quale deve
pagare il prezzo della mano d'opera(art. 940 c.c.).

SPECIFICAZIONE

Il codice è disciplinato anche l’ipotesi della trasformazione della cosa adopera dell’uomo. L’articolo
940 parla, di specificazione. Se taluno adoperato una materia altrui per dar vita ad una cosa nuova,
ne acquista la proprietà pagandone il prezzo al proprietario, salvo che il valore della materia
sorpassi il valore della manodopera. Solo in tal caso la proprietà della cosa spetta al proprietario di
quest’ultima, il quale deve pagare il prezzo della manodopera.

Accessioni fluviali

Tale materia è stata disciplinata dal codice, secondo una tradizione che affonda le sue radici nel
diritto romano e che attesta la rilevanza che hanno, da sempre, avuto da noi i fenomeni
idrogeologici, con riferimento alle cosiddette accessioni fluviali. Tali accessioni hanno ancora riflessi
sulla proprietà privata, determinandone l’acquisto.

• L'alluvione: unioni di terra e incrementi, che si formano successivamente e


impercettibilmente nei fondi posti lungo le rive dei fiumi o torrenti. Appartengono al
proprietario del fondo;
• Avulsione: un fiume o torrente stacca una parte considerevole e riconoscibile di un fondo
situato nelle immediate vicinanze e la trasporta verso un fondo inferiore o verso l'opposta
riva. Il proprietario del fondo al quale si è unita la parte staccata ne acquista la proprietà.
Deve però pagare all'altro proprietario un'indennità nei limiti del maggior valore recato al
fondo dall’avulsione;
• Alveo abbandonato: se un fiume o un torrente forma un nuovo letto, abbandonando
l'antico, il terreno abbandonato rimane assoggettato al regime proprio del demanio
pubblico;
• Isola formata nel fiume: le isole e unioni di terra che si formano nel letto dei fiumi o torrenti
appartengono al demanio pubblico.

Azioni a difesa della proprietà.


Il codice disciplina quattro azioni: l’azione di rivendicazione, l’azione negatoria, l’azione di
regolamento dei confini, l’azione per apposizione di termini. Tali azioni sono definite petitorie, in
quanto caratterizzate dalla esperibilità nei confronti di chiunque vi interferisca con l’esercizio del
diritto reale sulla cosa. Sono le azioni a difesa della proprietà, lunghe e complesse, assicurano un

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accertamento definitivo della posizione del proprietario


Vi sono poi altre due azioni riconosciute al proprietario, al titolare di altro diritto reale di godimento
su cosa altrui e al possessore: la denunzia di nuova opera e la denunzia di danno temuto (azioni di
nunciazione).

Azione di rivendicazione (rei vindicatio).


Fondamentale è l'azione di rivendicazione disciplinata dall'art. 948 essa può essere esercitata dal
proprietario nei confronti di chiunque possieda o detenga la cosa, al fine di ottenerne la
restituzione. Come tale essa rappresenta il prototipo dell’azione reale. Questa azione è quindi
possibile solo per chi, affermandosi proprietario (legittimato attivo), non solo vuole che si accerti
questa sua qualità, ma vuole anche che la cosa sia recuperata da chi la detiene o possiede. Si tratta,
quindi, di un proprietario che ha perso o non è riuscito mai a conseguire il possesso del bene.
L’azione di rivendicazione è imprescrittibile, ma il proprietario potrebbe comunque non riuscire a
raggiungere il suo scopo per effetto dell'usucapione che ha fatto acquistare il diritto ad altri.
L'art.948 precisa anche che se il convenuto, dopo la domanda, e quindi nel corso del giudizio, abbia
cessato di possedere o detenere la cosa, cercando di sottrarsi all'obbligo di restituzione o cedendola
ad altri, l'azione può essere perseguita nei suoi confronti e costui resta obbligato a recuperare la
cosa o in mancanza a corrispondere al proprietario il valore oltre che a risarcirgli il danno. Se
peraltro il proprietario riesce a conseguire ugualmente la restituzione della cosa direttamente dal
nuovo proprietario è tenuto a restituire al precedente possessore o detentore, la somma ricevuta in
luogo di essa. La prova richiesta all’attore per la dimostrazione della proprietà si presenta difficile,
almeno ove costui non possa dimostrare di avere acquistato a titolo originario e, per far questo, sarà
necessario provare che il vecchio proprietario aveva ricevuto il diritto da chi era effettivamente
proprietario e così di seguito, in una catena di prove che dovrebbe giungere al primo ed
incontestabile proprietario da cui è sorto a titolo originario il diritto di proprietà in contestazione nel
processo. (Probatio Diabolica).
Per evitare la probativo diabolica se si tratta di bene mobile gli basterà provare il possesso in buona
fede ex art. 1153 c.c.;se si tratta di bene immobile dovrà provare di aver acquistato a titolo
originario anche mediante usucapione (ventennale o decennale).

Azione negatoria.
È il rimedio concesso al proprietario che intende far accertare l'inesistenza dei diritti affermati da
altri sulla cosa. Se sussistano anche turbative o molestie ne può chiedere la cessazione oltre che
l'eventuale risarcimento. L’azione è imprescrittibile. A differenza dell'azione di rivendicazione il
proprietario non dovrà ricorrere alla probatio diabolica per dimostrare l'esistenza del suo diritto
bastando che dimostri di averlo ottenuto in base ad un valido titolo d'acquisto.

Azione di regolamento di confini.


Art. 950 regolamento di confini “quando il confine di due fondi è incerto, ciascuno dei proprietari
può chiedere che sia stabilito giudizialmente”. E’ammessa ogni prova. In mancanza di elementi il
giudice ripiega sulle mappe catastali.

Azione di apposizione di termini.


Mentre con l'azione precedente si tende ad eliminare una situazione di incertezza in ordine ai
confini del fondo con l'azione di apposizione di termini ciascuno dei proprietari, se i termini tra fondi
contigui mancano o sono divenuti irriconoscibili, ha diritto di chiedere che siano apposti o ristabiliti
a spese comuni. Tale azione presuppone la certezza dei confini ma mancanza di segni che li attestino

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con chiarezza. (pali). È un'azione duplice in quanto può essere intestata indifferentemente da una
qualunque dei proprietari dei fondi contigui e l'interesse che tende a soddisfare è comune.

Azioni di nunciazione.
Tali azioni competono al proprietario (pur non in possesso del bene), al titolare di altro diritto reale
di godimento su cosa altrui e al possessore. Tali azioni sono due: denuncia di nuova opera e
denunzia di danno temuto. Sono azioni cautelari, indirizzate a prevenire il pericolo di danni derivanti
da opere intraprese o da cose esistenti su altri fondi.
Con la denunzia di nuova opera chi abbia ragione di temere che da una nuova opera, intrapresa sul
fondo proprio o altrui, sia per derivare danno a una sua cosa può denunziare all’autorità giudiziaria
la nuova opera, purché non sia terminata e non sia trascorso un anno dal suo inizio (art. 1171). Non
occorre che si verifichi un danno ma basta un timore ragionevole che esso si verifichi. A seguito di
una sommaria cognizione l'autorità giudiziaria può vietare la continuazione dell'opera. Il legislatore
allude alla prestazione di una cauzione pecuniaria da parte di chi abbia avuto provvisoriamente
ragione.
Con la denunzia di danno temuto chi abbia ragione di temere che da qualsiasi edificio, albero o
altra cosa derivi il pericolo di un danno grave e prossimo ad una sua cosa può denunziare il fatto
all’autorità giudiziaria e ottenere che si provveda per ovviare al pericolo (art. 1172). Tale azione non
presume come la precedente un'attività di trasformazione della situazione dei luoghi, bensì una
situazione dei luoghi dalla quale si ha ragione di temere danno ove non si intervenga su di essa. Il
giudice dispone di ampi potere di scelta per far cessare la situazione di pericolo (es. abbattimenti,
demolizioni,ecc.). Non è posto alcun termine per l'esperibilità dell'azione in questione la quale può
essere esercitata finché perduri il pericolo che ne costituisce il presupposto.

3 DIRITTI REALI DI GODIMENTO SU COSA ALTRUI.

La tutela.
I diritti reali fanno parte della categoria dei diritti assoluti (come il diritto al nome), ma si
differenziano dagli altri diritti assoluti perché hanno ad oggetto cose. I diritti reali di godimento
conferiscono al titolare la possibilità di esercitare sulla cosa di proprietà di altri facoltà di godimento
che tipicamente rientrano nel contenuto del diritto di proprietà, determinando una compressione.
Per questo vengono anche definiti come diritti reali limitati o parziari.
Caratteristiche:

• assolutezza: possono essere fatti valere nei confronti di tutti i consociati sui quali incombe
solo un generico dovere di astensione
• immediatezza: il titolare realizza il diritto direttamente senza che sia necessaria la
collaborazione di altri soggetti, come accade nei diritti di credito
• tipicità: i diritti reali sono solo quelli previsti dalla legge. Costituiscono, quindi, una categoria
di diritti composta da un numero chiuso
• I diritti reali di godimento su cosa altrui comprimono il diritto di proprietà con una intensità
diversa secondo il tipo di diritto. La compressione del diritto di proprietà può essere
massima in alcuni casi, come nell'ipotesi dell'usufrutto. I diritti reali di godimento sono:
superficie, enfiteusi, usufrutto, uso e abitazione e servitù.

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La tutela del titolare dei diritti reali limitati é affidata all’azione confessoria, la quale tende a far
riconoscere l’esistenza del diritto stesso, tanto nei confronti del proprietario, quanto nei confronti di
chiunque ne contesti l’esercizio. Tale azione risulta espressamente prevista solo in materia di servitù
prediali, ma la sua portata viene estesa, alla tutela di tutti i diritti reali su cosa altrui. I diritti reali
limitati, inoltre, sono suscettibili di tutela possessoria, attraverso l’esercizio delle relative azioni.

Superficie.

Il proprietario di un suolo può concedere ad un altro soggetto il diritto di costruire un edificio sopra
al suo suolo attribuendogli la proprietà separata dell'edificio. Il proprietario può, inoltre, alienare la
costruzione già esistente mantenendo la proprietà del suolo.
Sappiamo che per il fenomeno giuridico della accessione il proprietario del suolo è anche
proprietario di quello che vi è posto al di sopra.
È possibile, tuttavia, separare la proprietà del suolo da quella della soprastante costruzione
attraverso il diritto di superficie, che è un vero e proprio diritto reale.
Questo può assumere la forma di una concessione ( di diritto privato) del proprietario del suolo, che
attribuisce ad un altro soggetto il potere di costruire sul suo suolo, e di mantenere la proprietà della
costruzione effettuata.
Vi saranno, quindi, due proprietà diverse, quella del proprietario, e quella del titolare del diritto di
superficie, che ha avuto il diritto di costruire sul suolo del proprietario.
Un'altra ipotesi di diritto di superficie è quella prevista dal secondo comma dell'art. 952, secondo
cui il proprietario può alienare la proprietà della costruzione già esistente, separatamente dalla
proprietà del suolo. In questo caso il proprietario del suolo aliena la proprietà superficiaria.
È chiara la differenza tra i due tipi di diritto di superficie, perché il primo riguarda una costruzione
non ancora eseguita, mentre il secondo riguarda una costruzione già edificata.
Secondo l'art. 953 c.c. è anche possibile costituire il diritto a tempo determinato, con la
conseguenza che alla scadenza del termine il diritto di superficie si estingue e il proprietario del
suolo diventa proprietario della costruzione. Potrebbe quindi essere questa una ipotesi di proprietà
temporanea, cioè di proprietà (della costruzione) che si estingue alla scadenza del termine del
diritto di superficie.

Il diritto di superficie si costituisce per contratto avente forma scritta ad substantiam, per
testamento, per usucapione anche se insistono dubbi sulla effettiva possibilità di poter usucapire il
diritto di edificare.

Il diritto di superficie si estingue per:

• a) scadenza del termine


• b) prescrizione; in questo caso bisogna distinguere tra il diritto ad edificare e quello relativo
alla proprietà superficiaria.

1 diritto ad edificare: si estingue per prescrizione ventennale per non uso


2 proprietà superficiaria: è imprescrittibile

Enfiteusi.
L'istituto della enfiteusi, di origine romana, molto diffuso per lo sfruttamento del latifondo, fu
radicalmente escluso dal code civil il quale vi vedeva il residuo di una organizzazione economico-
produttiva da superare. Fu disciplinato invece, seppur con un certo sfavore dal codice civile del
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1865. Il c.c. non definisce l’enfiteusi, pur regolando minuziosamente i vari aspetti di tale rapporto.
Non è finalizzata esclusivamente all’assetto produttivo di fondi rustici, ma può avere ad oggetto
anche fondi urbani per assicurarne lo sfruttamento edilizio.
Il proprietario (concedente) cede il godimento di un immobile ad un altro soggetto (enfiteuta), che
acquista su di esso facoltà e poteri corrispondenti a quelli spettanti al proprietario, con l’obbligo di
migliorare il fondo e di pagare un canone.
L’art. 959 riconosce all’enfiteuta “gli stessi diritti che avrebbe il proprietario” su frutti, tesoro e
sottosuolo. Non c'è da meravigliarsi che ci sia da sempre materia di discussione sul fatto che il
proprietario possa essere identificato nel concedente o nell'enfiteuta, ambedue definiti come veri
titolari di un dominio sulla cosa.
La durata può essere perpetua o temporanea. La minima è fissata a 20 anni. L'enfiteuta ha
innanzitutto l'obbligo di migliorare il fondo, obbligo considerato strettamente connesso con la
funzione economica dell'istituto. L’enfiteuta può pagare il canone o con una somma di denaro o in
una quantità fissa di prodotti naturali senza modificazioni. Tale canone è considerato come ipotesi di
onere reale.
L’enfiteusi può essere costituita per contratto o testamento. Nel caso di contratto l'enfiteusi richiede
la forma scritta, pena la nullità, ed è soggetta a trascrizione.
L’enfiteuta può disporre del proprio diritto sia per atto tra vivi che per testamento (965). Nell'atto
costitutivo può essere pattuito il divieto di cessione per atto tra vivi per un tempo non maggiore di
venti anni.
Nell’ipotesi di alienazione del proprio diritto da parte dell’enfiteuta, il nuovo enfiteuta resta
obbligato in solido col precedente per il pagamento dei canoni non soddisfatti (967). Non è
ammessa la subenfiteusi (968). Il concedente ha diritto di richiedere la ricognizione del proprio
diritto a chi si trova nel possesso del fondo enfiteutico un anno prima del compimento del
ventennio (969), per evitare l’usucapione.

Cause di estinzione:

• decorso del termine eventualmente stabilito,


• perimento totale del fondo nonché la prescrizione per uso non protratto per 20 anni.
Alla cessazione dell’enfiteusi, all’enfiteuta sono dovuti rimborsi per i miglioramenti apportati al
fondo e per le addizioni fatte (975).

Nello schema dell’enfiteusi, assumono un ruolo centrale, quali modi di cessazione del rapporto
l’affrancazione e la devoluzione.

• Il diritto di affrancazione (o riscatto) è il potere dell’enfiteuta di conseguire la proprietà del


fondo, mediante la corresponsione al concedente di una somma di danaro. Se esercitata
consensualmente richiede la forma scritta. Ai sensi dell’art. 972, l’affrancazione prevale
attualmente in ogni caso sulla devoluzione. Esso può essere fatto valere indipendentemente
da qualsiasi considerazione della pregressa durata del rapporto o dall’effettuazione dei
miglioramenti. L’enfiteuta paga una somma pari a 15 volte il canone annuo (art. 1 comma 4 l.
n 607\66) (art. 971 c.c.). L'atto di affrancazione costituisce un diritto potestativo contro il
quale il proprietario non può opporsi.
• Diritto di devoluzione: art. 972, potere di far cessare il rapporto di enfiteusi sul fondo.
Esercitato in via giudiziale, è un diritto potestativo giudiziale. Può essere chiesta quando
l’enfiteuta deteriora il fondo o non lo migliora e se l’enfiteuta è in mora nel pagamento di
due annualità del canone.
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Usufrutto.

Per quanto riguarda il contenuto, secondo l’articolo 981, l’usufrutto è il diritto reale che permette
all'usufruttuario di godere della cosa e di trarne ogni utilità rispettando, però, la destinazione
economica del bene: non può, cioè, mutare la organizzazione produttiva e di sfruttamento della
cosa rispetto quello operato dal proprietario.
L'usufrutto è un altro diritto reale che limita in maniera quasi completa le facoltà del proprietario sul
bene.
La temporaneità è caratteristica fondamentale dell’usufrutto. La sua durata non può eccedere la vita
dell’usufruttuario. Usufrutto, quindi, non è mai ereditariamente trasmissibile da parte
dell’usufruttuario e, se ceduto, si estingue con la morte del soggetto.

Con riguardo alla costituzione, l’articolo 978 stabilisce che l’usufrutto si costituisce per legge o
volontariamente (per atto tra vivi, a titolo oneroso o gratuito) e può acquistarsi anche per
usucapione. Ipotesi di usufrutto legale è l’uso frutto dei genitori sui beni dei figli minori. Se relative
ad immobili, il contratto costitutivo di usufrutto richiede la forma scritta e deve essere trascritto.

Lo so frutto può avere ad oggetto qualsiasi bene, mobile o immobile. In caso di miglioramenti,
l’usufruttuario ha diritto a un’indennità, ove essi sussistono al momento della restituzione della
cosa. Se l’usufrutto comprende cose deteriorabili, l’usufruttuario può servirsene normalmente,
dovendole, alla fine dell’usufrutto, restituire nello stato in cui si trovavano.

A tutela del suo diritto, l’usufruttuario può esercitare l’azione confessorie, competenti, anche, in
quanto possessore, l’esercizio delle azioni possessorie.

L’estinzione del suo frutto si verifica: per scadenza del termine eventualmente a posto adesso, per
prescrizione per non uso ventennale, per riunione dell’usufrutto e della proprietà nella stessa
persona, per perimento totale della cosa.

Uso e abitazione.
Per quanto riguarda l'uso si tratta di un diritto reale dal contenuto più limitato dell'usufrutto perché
attribuisce al suo titolare il potere di servirsi del bene e, nel caso sia fruttifero, di raccoglierne i frutti,
ma solo per quanto occorre per i bisogni suoi e della sua famiglia. I poteri dell'usuario sono ben più
limitati di quelli dell'usufruttuario. Anche l'usuario, infatti, può, al pari dell'usufruttuario, servirsi
della cosa, usarla, ma, a differenza di questo, può percepire i frutti solo per quanto occorre per i
bisogni suoi e della sua famiglia. Aggiungiamo, poi, che non può appropriarsi dei frutti civili, cedere
il diritto o dare in locazione il bene. Possono essere costituiti per contratto, attraverso la forma
scritta e la trascrizione per quanto concerne l'abitazione e l'uso dei beni immobili, e testamento
essendo ammessa anche l'usucapione.
Per l'abitazione i poteri del titolare del diritto sono ancora più limitati.
Chi ha il diritto di abitazione di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e della sua
famiglia. Anche per l'abitazione vige il divieto di cessione e di locazione, ma in entrambi i casi vi è
l'obbligo delle riparazioni ordinarie, alle spese di coltura (per l'usuario), al pagamento dei tributi
come l'usufruttuario.

Servitù prediali.
Le servitù hanno mantenuto, nel codice civile vigente, la loro storica qualificazione come prediali, in
quanto la relativa titolarità si ricollega alla proprietà su un fondo (praedium).
Art. 1027 “la servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo, detto fondo servente, per

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l’utilità di un altro fondo, detto fondo dominante, appartenente a diverso proprietario”. Notiamo
che il codice civile non parla di proprietari, ma di fondi( fondo servente, gravato dal peso e
dominante, destinato a godere dell’utilità), volendo porre l'accento sul fatto che il diritto riguarda
dei fondi, e le utilità che se ne traggono sono oggettive dei fondi considerati e non dei singoli
proprietari. Ad una compressione delle facoltà del proprietario del fondo servente, corrisponde,
quindi, una utilità del fondo dominante. Si tratta di un vero e proprio diritto reale di godimento su
cosa altrui, in quanto al titolare è riconosciuto sul fondo di proprietà altrui l’esercizio di facoltà di
godimento, per trarne una determinata utilità. L'utilità può consistere "anche "nella maggiore
comodità o amenità del fondo dominante. Può del pari essere inerente alla destinazione industriale
del fondo. L’utilità deve essere oggettiva e durevole. L’art. 1029 consente che la servitù sia costituita
per assicurare al fondo un vantaggio futuro (potenziale). I fondi devono essere necessariamente
vicini. Quale qualità del fondo, la servitù non può essere trasmessa separatamente. Art. 1071, se il
fondo è diviso, la servitù spetta ad ogni porzione per l’intero. Cosa deve fare il proprietario del
fondo servente? Nulla, potremmo rispondere (art. 1030 c.c.). Il proprietario del fondo servente deve
solo sopportare il peso sul suo fondo. È vero però che al proprietario del fondo servente spetterà un
corrispettivo per la servitù, e che potrebbe anche impegnarsi (o essere obbligato per legge) a
prestazioni accessorie. In questo caso non può liberarsi delle spese necessarie per l'uso o per la
conservazione della servitù, se non cedendolo al proprietario del fondo dominante (art. 1070 c.c.).
Ma vi può essere servitù a vantaggio di un soggetto piuttosto che di un fondo?
No, perché la servitù riguarda solo fondi e se per, esempio, mi accordo con una persona affinché
passi sul mio fondo per andare a pescare, questo non darà luogo a servitù, ma vi saranno solo effetti
obbligatori. Si parla, in questi casi, di "servitù irregolari" proprio perché manca la caratteristica della
predialità (praediàlis, dal latino medievale: che riguarda un fondo).

Servitù apparenti.
Nella disciplina delle servitù risulta possibile operare talune distinzioni di fondo tra le servitù.
• La prima distinzione è tra servitù apparenti non apparenti fondata sul l'esistenza o meno di
opere visibili e permanenti destinate all'esercizio della servitù. Per quanto riguarda la servitù
apparente l'opera deve consistere in segni materiali che ne denotano l'esistenza della
servitù. Esempio strada, ponte, balcone ecc. Le servitù non apparenti sono servitú come
quelle di pascolo, di passaggio, di non edificare o di non sopraelevare. Le opere visibili
devono essere tali dal fondo servente, ma non trovarsi necessariamente su di esso.
• Distinguiamo ancora servitù continue e discontinue. Per le prime non è necessario il fatto
dell'uomo in quanto vi sono delle opere permanenti per il loro esercizio. Servitù discontinue,
quelle per cui è necessaria un attività umana. Ai fini della prescrizione, infatti, se una servitù
è discontinua la prescrizione inizia a correre dall'ultima attività eseguita dall'uomo,
dall'ultima passeggiata; nell'altra ipotesi sino a quando l'acquedotto è in attività, non vi sarà
mai inizio della prescrizione (art. 1073 c.c.).
• Servitù positive e negative. Nelle prime il proprietario del fondo servente deve sopportare
l'attività del fondo dominante. Il comportamento del proprietario del fondo servente si
sostanzia in un "pati" , in una sopportazione. Servitù negative, quelle in cui il
comportamento del proprietario del fondo servente si sostanzia in un non fare, come la
servitù di non soprelevare.

Servitù coattive.
Sono denominate servitù coattive o legali quelle che possono essere imposte al proprietario di un
fondo, a prescindere dal suo consenso. Secondo l’art. 1032, quando, in forza di legge, il proprietario
di un fondo ha diritto di ottenere la costituzione di una servitù a carico di un altro fondo, ove il
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proprietario di questo non vi consenta, la servitù è costituita con una sentenza. La sentenza
determina l’indennità dovuta al proprietario del fondo servente, quale compenso per la perdita di
valore che il fondo stesso subisce. In presenza delle condizioni previste dalla legge sorge il diritto
potestativo di chiedere la costituzione della servitù, che verrà ad esistenza solo in conseguenza di un
contratto tra i proprietari dei fondi, ovvero una sentenza pronunciata su domanda dell’interessato.
Estinzione. Se il diritto alla loro costituzione si ricollega ad una necessità, quando essa venga meno
la legge ne consente la soppressione su istanza della parte interessata. Essa avviene, in mancanza di
accordo, con sentenza.
Servitù di passaggio coattivo: quando un fondo è circondato da un fondo altrui e non abbia accesso
alla via pubblica. Il passaggio è stabilito nella parte in cui la distanza sia minore. Sono esenti dal
passaggio le case, i cortili, le aie e i giardini ad esse adiacenti. Anche per transito di veicoli.

Servitù volontarie.
La loro costituzione può avvenire a titolo derivativo, per contratto (forma scritta e trascrizione) o per
testamento, me se il bene appartiene a più comproprietari c'è bisogno del consenso di tutti (art.
1059 c.c.). L’acquisto può avvenire, limitatamente alle servitù apparenti, per usucapione e
destinazione del padre di famiglia. L'usucapione è espressamente prevista quale modo di acquisto, a
titolo originario, delle servitú apparenti è opera secondo le regole generali dell'istituto.
Destinazione del padre di famiglia: In questo caso un proprietario costituisce delle opere sul suo
fondo, una strada asfaltata, per esempio, tali da essere utili per una porzione del fondo rispetto ad
un'altra. Ebbene se queste opere sono permanenti e visibili e se il fondo viene diviso e venduto a
due (o più) soggetti diversi, basterà dimostrare che il proprietario ha lasciato le cose in maniera
corrispondete all'esistenza di una servitù che questa, in assenza di una diversa volontà del vecchio
proprietario, è costituita. La servitù si costituisce, quindi, se si verifica la situazione prevista dalla
legge, senza che vi sia una specifica manifestazione di volontà e senza che nemmeno vi sia una
sentenza. La servitù non può essere unilateralmente modificata. Estinzione avviene per confusione
(art. 1072), prescrizione per non uso ventennale (1073), impossibilità di uso e mancanza di utilità
(1074).

Usi civici.
Ai diritti reali su cosa altrui possono essere accostati gli usi civici. Essi consistono in diritti spettanti
su proprietà altrui agli appartenenti a determinate collettività di persone. La facoltà di godimento su
proprietà private o pubbliche sono riconosciute al singolo soggetto in quanto membro di una
comunità legata ad un territorio. Si tratta di facoltà di godimento che si ricollegano a una
organizzazione della società e della economia in larga misura non più attuale. Si pensi al diritti degli
appartenenti a una frazione comunale di raccogliere legna corta in boschi o di pascolare greggi in
appezzamenti determinati. Tali diritti rappresentano una persistente limitazione gravante su taluni
fondi, soprattutto in alcune zone del paese. Sono inalienabili e imprescrittibili, ma si tende ad
eliminarli, consentendo la liberazione dei fondi da essi gravati mediante il pagamento di somme di
denaro da destinare a beneficio delle comunità che ne risultano ancora titolari. Il riordino e la
conseguente liquidazione degli usi civilistici risultano perseguiti attraverso l'istituzione di appositi
organi cui siano stati attribuiti ampi poteri in materia.

Onere reale.
L'onore reale consiste in un vincolo gravante su un bene immobile, in virtù del quale chi si trova nel
relativo godimento è tenuto ad eseguire una prestazione periodica a favore di un altro soggetto.
Caratteristica dell’onere reale è l’immediatezza quale potere del titolare di soddisfarsi sulla cosa
indipendentemente dalle vicende relative ai diritti che la concernono con il conseguente possibile

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esercizio di un'azione reale. Il carattere reale del vincolo viene ricollegato anche al peculiare modi di
presentarsi della responsabilità di chi si trovi a godere del bene che ne è gravato. Costui risponde
pure delle prestazioni maturare precedentemente all'instaurazione del suo rapporto col bene
stesso.

4 COMUNIONE E CONDOMINIO.

Comunione.
La comunione è la situazione che si determina quando la proprietà o altro diritto reale spetta in
comune a più persone (art. 1100). Se come accennato si ritiene inammissibile la coesistenza di più
diritti di proprietà sullo stesso bene, è consentita invece la contitolarità dello stesso diritto sul bene
da parte di una pluralità di soggetti. Il fenomeno che ne risulta si presenta molto diffuso. La difficoltà
è quella di conciliare la concorrenza, in relazione al bene, di una pluralità di interessi individuali della
stessa natura, assicurando nello stesso tempo che l'esercizio delle facoltà di godimento e dei poteri
di disposizione inerenti la proprietà non ne risulti pregiudicato. L'origine della situazione di
comunione può essere diverso.
• Si usa parlare al riguardo di comunione volontaria quando sorge per volontà delle parti,
come nel caso di un acquisto insieme di una cosa
• Comunione incidentale quando sorge indipendentemente dalla volontà delle parti per
effetto di previsione legislativa, come nel caso della comunione ereditaria.
• Comunione forzosa quando è imposta dalla legge non ne è ammesso lo scioglimento.
Per regolamentare la partecipazione di ciascuno alla contitolarità del diritto, l’ordinamento ricorre al
concetto di quota. Il diritto di ogni partecipante ha ad oggetto la cosa nel suo insieme e non una sua
parte specifica, ma esso viene limitato dal concorso del diritto spettante a ciascuno degli altri
contitolari. Il concorso dei partecipanti, ai quali insieme spetta la proprietà, tanto nei vantaggi
quanto ai svantaggi, è determinato in proporzione delle rispettive quote (1101). Tale situazione
viene correttamente definita come diritto a una quota ideale della cosa. La quota indica la misura
della partecipazione di ciascun contitolare al medesimo diritto sul bene. Ciascun partecipante può
disporre del suo diritto e cedere ad altri il godimento della cosa nonché costituite un ipoteca sulla
propria quota. Quanto alla utilizzazione della cosa comune, ogni partecipante può utilizzarla
individualmente rispettando l’analogo diritto di godimento che compete agli altri partecipanti. Non
può, però, alterare la destinazione economica della cosa. In tali limiti può anche apportare, a
proprie spese, le modificazioni necessarie per migliorare il godimento della cosa. L'art.1102 fa
riferimento all'eventuale estensione del diritto del partecipante sulla cosa comune in danno degli
altri partecipanti. A tal fine è richiesto il compimento di atti idonei a mutare il titolo del suo
possesso. Occorre, per trasformare ai fini dell'usucapione, il compossesso in possesso esclusivo, un
comportamento che denoti inequivocamente l'intenzione esclusiva di possedere il bene.

Ciascun titolare è tenuto a partecipare alle spese necessarie per la conservazione e il godimento
della cosa in comune in proporzione della sua quota. Ci si può liberare da tale obbligo solo
rinunciando al diritto. In tal modo la quota degli altri partecipanti si accresce, in vantaggio o in
svantaggio.

L’amministrazione della cosa comune spetta collettivamente a tutti i partecipanti, secondo il


principio maggioritario. Per gli atti di ordinaria amministrazione è sufficiente che le deliberazioni
provengano dalla maggioranza dei partecipanti. All'autoritá giudiziaria si potrà rivolgere ciascun
partecipante nel caso in cui non vengano presi o eseguiti i provvedimenti necessari per
l'amministrazione della cosa comune. A maggioranza potrà essere adottato un regolamento per
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l'ordinaria amministrazione e per migliorare il godimento della cosa comune nonché nominato un
amministratore. Tale regolamento può essere impugnato davanti al l'autorità giudiziaria dai
partecipanti dissenzienti. Solo con una maggioranza qualificata si possono disporre innovazioni
dirette a migliorare la cosa in comune purché non comportino una spesa troppo gravosa. Contro le
deliberazioni, ciascun componente della minoranza può proporre impugnazione davanti all'autorità
giudiziaria. Il partecipante ha diritto di chiedere in ogni momento lo scioglimento della comunione e
la conseguente divisione. La divisione ha luogo preferibilmente in natura, ove la cosa sia
comodamente divisibile in parti corrispondenti alle quote dei partecipanti (art. 1114). Nella
divisione delle cose comuni si applicano le norme sulla divisione ereditaria.

Condominio negli edifici.


Il c.c. ha dettato una disciplina dettagliata per il condominio negli edifici. Sono oggetto di proprietà
comune tutto ciò che forma il condominio. Ciascuno ha la proprietà individuale di un piano o
porzione di piano ed è allo stesso tempo contitolare della proprietà delle parti comuni dell'edificio.
Sono oggetto di proprietà comune, il suolo, le fondamenta, i muri maestri, i pilastri e le travi, i
porticati, i cortili, il tetto, le aree destinate al parcheggio, ecc. Proprio per questo carattere
funzionale si tratta di una comunione forzosa. Ciascun condomino, può servirsi di tali parti comuni,
ma non può chiedere la divisione. Il diritto di ciascun condomino su tali cose è proporzionato al
valore del piano o al valore della porzione di piano che gli appartiene. Egli non può rinunciare al suo
diritto sulle parti comuni e sottrarsi al contributo per le spese della relativa conservazione. E’
prevista la presenza di un amministratore qualora i condomini siano più di 8. All’amministratore
compete la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i
terzi. Se i condomini sono più di 10 c’è l’obbligatorietà della formazione di un regolamento
condominiale che contempli le norme per l'uso della cosa comune e per la ripartizione delle spese.
Al regolamento condominiale è rimandata la determinazione del valore rispettivo delle proprietà
individuali ai fini del concorso nell'amministrazione e nella sopportazione delle varie spese
condominiali. Le norme del regolamento condominiale non possono menomare i diritti di ciascun
condominio, quali risultanti dagli atti di acquisto e dalle convenzioni. L’organo collegiale del
condominio, cui sono riconosciuti ampi poteri, è rappresentato dall’assemblea dei condomini. Per la
sua costituzione e per le sue deliberazioni il codice civile detta una disciplina articolata fondata sulla
concorrente rilevanza di due criteri:
• Il valore complessivo dell'edificio
• Il numero dei partecipanti al condominio
Tutti i condomini devono essere invitati alla riunione ed è richiesto un quorum, le maggioranze per
le deliberazioni sono diverse a seconda della decisione da discutere. Le deliberazioni in assemblea
sono obbligatorie per tutti i condomini ma ne è prevista l'impugnazione con ricorso all'autorità
giudiziaria da parte dei condomini dissenzienti o assenti entro 30 giorni. Sono impugnabili le
deliberazioni che incidono sui diritti individuali dei condomini. Le spese sono ripartite tra i
condomini in proporzione al valore della proprietà di ciascuno, con un diverso criterio nel caso di
cose destinate a servire condomini in misura differente e per le spese destinate a servire solo ad un
gruppo di condomini. Regole specifiche sono previste per la ripartizione delle spese relative alle
scale, ai soffitti, volte e solai. Il diritto di sopraelevare l'edificio è riservato al proprietario dell'ultimo
piano o a chi risulti proprietario esclusivo del lastrico solare previo indennizzo agli altri condomini.

Multiproprietá.
L’espressione “multiproprietà” si è affermata nella pratica degli affari immobiliari senza un preciso
significato tecnico-giuridico. Con essa si è inteso semplicemente individuare la sostanza del
fenomeno consistente nell’attribuzione ad un soggetto del godimento ciclico, per un certo periodo
ogni anno, di locali idonea ad una utilizzazione turistica.

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Il modello cui meglio si qualifica la multiproprietà è tradizionalmente quello della cosiddetta


multiproprietà immobiliare o reale, la cui natura giuridica è stata molto discussa. Le diverse tesi
hanno fatto riferimento alla comunione, tra i componenti dell'unità abitativa, alla costituzione di un
diritto reale atipico, alla delineazione di un nuovo tipo di proprietà. La ricostruzione più diffusa è
quella accostata al fenomeno della comunione specificamente caratterizzata dalla indivisibilità e
dalla preventiva predeterminazione della modalità temporale di godimento di ciascuno dei
comproprietari. Tale ricostruzione deve fare i conti oltre che con i carattere meramente obbligatorio
della determinazione delle modalità temporali di godimento, con quello di naturale temporaneità
della comunione. La tesi della proprietà-spazio temporale si propone di consentire l'opponibilità
della regolamentazione temporale del diritto, data la peculiarità della situazione rende scarsamente
utile lo stesso riferimento all'idea di proprietà esclusiva del bene considerato.

Fonte di problemi ricostruttivi è anche la multiproprietà azionaria caratterizzata dall'essere il


godimento ternario del multi proprietario collegato alla titolarità di azioni di una società, cui
compete la proprietà dell'immobile. Alle difficoltà derivanti dalla compatibilità di tale modello con la
disciplina societaria si è cercato di porre rimedio considerando il duplice rapporto che lega il
soggetto in quanti titolare della posizione di socio alla società, la quale conserva la proprietà
dell'immobile è quello derivante da,la convenzione tra società ed azionista da cui deriva a
quest'ultimo il diritto personale al godimento dell'unità immobiliare per il periodo stabilito.

Si parla anche di multiproprietà alberghiera con riferimento all'ipotesi in cui il godimento periodico
del bene. Sia assicurati ad una struttura di tipo alberghiero. Si tratta in sostanza di una variante dei
due precedenti modelli. Non va confusa con essa l'acquisto di un diritto personale di godimento
relativamente ad un'alloggio e con diritto alla fruizione dei servizi alberghieri da una società
turistico-alberghiera. Di fornite ad un quadro tanti incerto, il legislatore ha inteso garantire la
posizione dell'acquirente nei confronti del venditore, disciplinando i i contratti con cui si realizzano
le finalità tipiche della figura. Sono state così puntualmente le informazioni da offrire in sede di
pubblicità, il contenuto del formulario informativo che deve essere consegnato all'aspirante
acquirente, la forma del contratto ed il suo contenuto, il diritto di recesso da esercitare entri 14
giorni dalla conclusione del contratto con modalità ed effetti rigorosamente predefiniti, l'obbligo del
vendite di prestare idonea garanzia. Sono state previste sanzioni rilevanti a carico dei venditori che
non si adeguino alla disposta regolamentazione.

5 POSSESSO.

Nozione.
L'art. 1140 c.c. afferma che“ il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività
corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale”
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Da tale enunciato si deduce che l’ordinamento offre la sua tutela al soggetto non solo in quanto
titolare di una situazione soggettiva qualificabile come diritto, ma anche per i semplice fatto di
esercitare un potere sulla cosa, tenendo un comportamento corrispondente a quello che gli sarebbe
consentito dalla titolarità della proprietà (o altro diritto reale). Una certa tutela è accordata al
soggetto in quanto eserciti il potere di fatto sulla cosa, indipendentemente dalla incostanza che egli
sia o meno titolare di un diritto che legittimerebbe l’esercizio del potere: potrà esserlo o meno, ciò
non rileva ai fini del riconoscimento della tutela possessorio. E’ riconosciuto valore giuridico a quella
situazione di fatto che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di
altro diritto reale, in una parola, tutelando e attribuendo valore giuridico al possesso. Significa che
dal solo possesso scaturiscono conseguenze giuridiche che possono portare anche all'acquisto del
diritto, come accade nella usucapione. Per indicare questa complessa situazione di fatto e tutto
quello che ne consegue, si parla di "ius possessionis", un diritto, certo, ma un diritto a una tutela
provvisoria, destinato a cedere di fronte alla dimostrazione del vero diritto. Per questo motivo non
bisogna confondere lo ius possessionis con lo "ius possidendi" che è il diritto del proprietario a
possedere, diritto che esiste anche quando il proprietario non possiede, perché è stato spogliato del
possesso, o anche perché non lo ha mai conseguito, mentre non è concepibile che scaturiscano
effetti dal possesso quando questo non vi sia mai stato.
Il titolare del diritto in quanto abitualmente anche nel possesso della cosa, trova nella tutela
possessoria mezzi più efficienti per una più pronta tutela dei suoi interessi, senza dover sottostare
alle lungaggini della probatio diabolica per dimostrare il diritto di proprietà.
Ai fini della ora accennata distinzione delle possibili situazioni possessorie rispetto alla cosa, risulta
decisivo l’elemento intenzionale (animus). il quale si ritiene rappresentare, in via generale, uno dei
due elementi costitutivi del possesso (l’altro è individuato nel corpus, potere di fatto sulla cosa, cioè
nella relazione materiale con essa, che ne consente al soggetto la concreta disponibilità).

Possesso e detenzione.
La distinzione tra possesso e detenzione è fondata sull’elemento intenzionale (animus). art. 1140 “
si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa”.
L’ordinamento ammette che il possessore resti tale anche se altri siano nella immediata disponibilità
di fatto della cosa (possesso indiretto) quasi che il soggetto che ha tale disponibilità materiale
(detentore) operi quale strumento del possessore. Alla base della detenzione, vi è un rapporto col
possessore, il quale trasmette ad altri la detenzione come espressione del suo potere sulla cosa, con
conseguente riconoscimento, da parte del detentore, della preminenza dell’altrui posizione rispetto
alla cosa stessa, e, quindi, del carattere dipendente della propria posizione.
Il possesso risulta caratterizzato dall’intenzione di tenere la cosa per se (animus possidendi), senza
riconoscere la preminenza di altri su di essa.
La detenzione (possesso minore) è caratterizzata dall’intenzione di tenere la cosa per gli altri,
rispettandone la posizione preminente (animus detinendi).
In generale l'art. 1141 c.c. presume che, chi esercita il potere di fatto su una cosa sia possessore e
non detentore, ma lo stesso articolo ammette che la detenzione possa mutarsi in possesso
(interversione del possesso). Una volta che la situazione sia iniziata come detenzione, il possesso
potrà essere acquistato solo ove il relativo titolo venga mutato per causa proveniente da un terzo o
in forza di opposizione contro il possessore. Sotto il primo profilo è da considerare l'atto col quale
l'attuale possessore conferisca il possesso al detentore. La distinzione tra possesso e detenzione è
basilare poiché diversi sono gli effetti. Così il solo possesso è preso in considerazione ai fini
dell'acquisto della proprietà per usucapione. Inoltre l'esercizio delle azioni possessorie compete al
possessore, mentre al detentore spetta solo quella di reintegrazione. Tale è la detenzione quando il

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soggetto, pur riconoscendo la dipendenza della propria posizione da quella altrui, detiene
nell'interesse proprio.

Oggetto e vicende.
Sono suscettibili di possesso tutte le cose aventi una realtà oggettivamente percepibile. Sono
considerate possibili oggetto di possesso, le sorgenti, le energie naturali, le onde elettromagnetiche.
Sono suscettibili di possesso le universalità di beni mobili ma si dubita fortemente che possano
esserlo i beni immateriali. E’ considerato senza effetto il possesso delle cose di cui non può
acquistarsi la proprietà.
L’acquisto del possesso può avvenire originariamente, con l’impossessamento, il quale si realizza
mediante l’apprensione materiale della cosa. L'apprensione della cosa per determinare gli effetti
che ne sono propri, richiede un profilo di consapevolezza e intenzionalità. E’ un atto giuridico in
senso stretto che richiede capacità giuridica. L’acquisto del possesso è escluso se la disponibilità di
fatto della cosa consegue atti di tolleranza altrui (art. 1144). L’acquisto del possesso, il più delle
volte, avviene in modo derivativo, attraverso la relativa trasmissione con la consegna (traditio), in
cui si ravvisa un atto giuridico in senso stretto. La consegna costituisce correntemente adempimento
della relativa obbligazione nascente da un contratto. Per avere acquisto del possesso, occorre che la
cosa sia posta nella effettiva disponibilità di fatto del soggetto. Ciò potrà avvenire materialmente,
con una consegna reale, o tramite consegna meramente simbolica (chiavi).

La consegna può avere anche carattere consensuale quando il possessore trasferisce ad un altro
soggetto il possesso conservando la detenzione della cosa. La perdita del possesso può avvenire,
oltre che per il perimento della cosa, perché il possessore ne viene privato da altri (spoglio), per
l’abbandono (derelictio) della cosa stessa o per la sua restituzione. Dato che l'effetto forse più
rilevante del possesso è legato alla sua persistenza nel tempo, risultano fondamentali le regole
previste con riferimento alla relativa dinamica temporale. Innanzitutto il possessore attuale che
abbia posseduto in tempo più remoto si presume avere posseduto anche nel tempo intermedio.
L'attuale possessore per vedersi riconosciuta la continuità del possesso non dovrà fornire prova di
avere posseduto in ogni momento potendo limitare a provare il possesso in un momento anteriore.
È previsto poi che il possesso attuale non faccia presumere il possesso anteriore. Per essere
considerato tale anche in precedenza, l'attuale possessore dovrà allora provare il possesso
anteriore. L’art. 1146 prevede che il possesso continua nell’erede con effetto della apertura della
successione. In caso di successione mortis causa viene automaticamente a crearsi una continuità tra
il possesso del defunto è quello dell'erede quasi che il secondo ne continui la persona. Il possesso in
tal modo continua nell'erede con i medesimi caratteri che contraddistinguevano il possesso del
defunto. Esso sarà considerato di buona o mala fede a seconda che tale fosse in capo a
quest'ultimo, indipendentemente dallo stato psicologico del successore. In caso di successione a
titolo particolare, il successore, per creare continuità del suo possesso con quello del dante causa
può unire al proprio possesso il possesso del suo autore per goderne degli effetti. Trattandosi di
unire al suo possesso quello del precedente possessore il soggetto dovrà avere conseguito
effettivamente il possesso stesso ottenendo la consegna della cosa dal dante causa o dall'erede. Se
il nuovo possessore è in buona fede al momento dell'acquisto del possesso, tale sarà considerato,
anche se il possesso del suo dante causa fosse stato in mala fede. Se il nuovo possessore acquista il
possesso in mala fede, egli non potrà invocarne la eventuale qualificazione di buona fede del
possesso del suo dante causa.

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Possesso di buona fede.


In ordine agli effetti che l’ordinamento ricollega alla situazione possessoria, assume una rilevanza
essenziale la relativa qualificazione sotto il profilo della buona fede o mala fede.
E’ considerato possessore di buona fede chi possiede ignorando di ledere altrui diritto (art. 1147). Il
possessore non può invocare la propria buona fede ove l’ignoranza della lesione dell’altrui diritto
dipenda da colpa grave (1147). La colpa si ritiene grave quando l’errore non è scusabile. Al soggetto,
per essere giustificato, è richiesto un comportamento improntato a quel minimo di diligenza che lo
renda socialmente accettabile. È da tenere presente che il dubbio, almeno se ragionevolmente
serio, è incompatibile con la buona fede. L'art.1147 pone una presunzione di buona fede fino a
prova contraria da parte di chi ciò contesta. Inoltre si ritiene che la buona fede sussista al momento
dell’acquisto.

Effetti del possesso.


Gli effetti del possesso sono raggruppati in tre nuclei problematici:
• Diritti e obblighi del possessore nella restituzione della cosa
• Possesso di buona fede dei beni mobili
• Usucapione
L'art. 1148, indica che il possessore di buona fede fa suoi i frutti prodotti dal bene fino al giorno
della domanda giudiziale di restituzione. Da tale momento fino alla restituzione della cosa fruttifera
risponde nei confronti del soggetto che abbia esercitato l'azione di rivendicazione nei suoi riguardi
non solo dei frutti effettivamente percepiti ma anche di quelli che avrebbe dovuto percepire usando
l'ordinaria diligenza. Il possessore di mala fede quindi non è ritenuto meritevole di tutela e deve
restituire i frutti percepiti.
Il possessore (buona o mala fede) che è tenuto a restituire i frutti indebitamente percepiti ha diritto
al rimborso delle spese fatte per le riparazioni straordinarie e ordinarie (1150). Il possessore ha
sempre diritto di essere indennizzato per i miglioramenti purché sussistenti al momento della
restituzione. Per le addizioni infine è previsto che per le opere fatte da un terzo con i suoi materiali,
ove prevedono un miglioramento, il possessore di buona fede ha diritto ad una indennità pari
all'aumento di valore della cosa. La posizione del possessore in buona fede è vista con maggior
favore anche da un diverso punto di vista. Egli infatti può ritenere la cosa finché non gli sia
corrisposta l'indennità dovuta, purché richieste nel corso del giudizio di rivendicazione e sia stata
fornita una prova della sussistenza delle riparazioni e dei miglioramenti. Con il diritto di ritenzione
riconosciuto al possessore, il proprietario avente diritto alla restituzione è gravato da obblighi di
rimborso nei confronti del possessore. Si tratta di una forma di autotutela eccezionalmente
consentita dall'ordinamento a garanzia del creditore.

Possesso di buona fede di beni mobili.


Tra gli effetti del possesso, si colloca in primo piano, il principio enunciato dall'art. 1153 secondo cui
colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non è proprietario, ne acquista la proprietà
mediante il possesso, purché sia in buona fede al momento della consegna e sussista un titolo
idoneo al trasferimento della proprietà. La disciplina in esame regola anche il conflitto tra i
successivi aventi causa dallo stesso dante causa. Se taluno con successivi contratti aliena a più
persone lo stesso bene mobile, è preferito colui che abbia in buona fede conseguito il possesso
anche se il suo acquisto sia posteriore. Il possessore dunque è chiamato a svolgere, in materia di
circolazione di beni mobili, una essenziale funzione di pubblicità risolvendo a favore di chi possa
vantare il possesso della cosa il problema delle conseguenze della doppia alienazione. Chi acquista il

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possesso in buona fede può essere certo di non potersi vedere mai opposto il precedente acquisto
di altri. Non essendo l'alienante, in quanto non proprietario, legittimato a trasferire la proprietà,
l'acquisto del diritto non può essere considerato dipendente dalla precedente titolarità del diritto
stesso da parte di altri. Si tratta allora di acquisto a titolo originario. Col carattere originario
dell'acquisto risulta coerente la regola per cui la proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla
cosa. Di conseguenza il proprietario non potrà rivendicare il bene, e nemmeno gli altri titolari di
diritti sul bene potranno farli valere, a meno che questi diritti non risultavano dal titolo
(astrattamente idoneo) di acquisto del possessore.

Centro di gravità della fattispecie acquisitiva è il conseguimento del possesso della cosa. Il
conseguimento della cosa avviene mediante trasmissione della concreta disponibilità della cosa
stessa dall'alienante all'acquirente. L'acquisto presuppone che il conseguimento sia avvenuto in
buona fede, quindi nell'ignoranza circa la mancanza della proprietà della cosa. La buona fede si
presume ma non può essere invocata in caso di colpa grave. Il soggetto che abbia acquistato la cosa,
conoscendo l'originaria illegittima provenienza (ad esempio rubata), non porta a credere che il suo
precedente possessore sia effettivamente proprietario. La consapevolezza dell'originaria illegittimità
del bene esclude la buona fede. Deve sussistere un titolo idoneo al trasferimento della proprietà. Si
usa precisare che il titolo deve essere astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà. Il titolo
astrattamente idoneo ma che non presenti i requisiti richiesti è considerato invalido e l'acquisto del
possesso in buona fede non vale a sanare i vizi dell'atto che lo rendano invalido. Titolo
astrattamente idoneo può essere qualsiasi atto di alienazione, a titolo oneroso, ma anche a titolo
gratuito come donazione, vendita, ecc.
Sempre secondo l'art. 1153 come si può acquistare la proprietà sui beni mobili, allo stesso modo si
possono acquistare sui beni mobili i diritti di usufrutto, di uso e di pegno.
Ricordiamo, infine, che la regola esposta nell'art. 1153 non si applica alle universalità di mobili e ai
beni mobili registrati (art. 1156 c.c.).

Usucapione.

L’acquisto della proprietà per usucapione, si fonda, sulle stesse ragioni che giustificano l’operare
della prescrizione quale generale modo di estinzione dei diritti. Nel caso della prescrizione, il diritto
viene perso in conseguenza del suo durevole mancato esercizio. Nel caso dell’usucapione,
all’inverso, il diritto viene acquistato in conseguenza del suo persistente concreto esercizio.

Come la prescrizione determinante risulta l’inerzia del titolare del diritto, così nell’usucapione
decisiva è reputata l’attività del soggetto.

Perché si possa avere usucapione, il possesso deve avere taluni requisiti:


• deve essere pacifico e pubblico, ovvero deve essere stato conseguito senza violenza o
clandestinità (art. 1163 c.c.);
• L’esercizio del potere di fatto non può essere mai abbandonato dal possessore. Il possesso
deve essere continua per tutto il periodo prescritto
• il possesso deve risultare non interrotto. L’interruzione del possesso può essere naturale o
civile. La interruzione naturale si verifica o del possessore, per una intromissione altrui,
venga posto nella impossibilità di esercitare il potere di fatto sulla cosa. In tal caso, il suo
campione si reputa interrotta solo se la privazione il possesso si protrae per almeno un anno.
Trascorso un anno dall’avvenuto spoglio, infatti, il soggetto non può più esercitare l’azione di
reintegrazione. Quanto alla interruzione civile, gli atti di diffida e messa in mora, non valgono

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di interrompere l’usucapione, di conseguenza occorre una domanda giudiziale, in particolare


di rivendicazione.
L’usucapione produce l’acquisto con modalità temporali molto diverse, a seconda del tipo di bene:
• usucapione su beni immobili e universalità di mobili: il possesso deve protrarsi per venti anni
(artt. 1158 e 1160 c.c.)
• beni mobili posseduti senza titolo astrattamente idoneo all'acquisto del diritto: il possesso
deve protrarsi per dieci anni, se acquistato in buona fede, venti anni, se acquistato in mala
fede (1161 c.c.) .
• beni mobili posseduti con titolo astrattamente idoneo all'acquisto del diritto e in buona fede:
l'acquisto è immediato ex articolo 1153 c.c.
• beni mobili registrati: se l'acquisto è avvenuto in buona fede e in base a un titolo
astrattamente idoneo, l'usucapione si verifica dopo tre anni dalla trascrizione del titolo, dieci
anni, mancando questi elementi (art. 1162 c.c.)

Azioni a tutela del possesso.


Le azioni a tutela del possesso sono azioni processuali che hanno come scopo la difesa del possesso
indipendentemente dall'accertamento del diritto che ne dovrebbe essere alla base. Forniscono una
tutela provvisoria destinata a cessare di fronte alle azioni che accertano il diritto.
Le azioni a tutela del possesso sono due:
• Azione di reintegrazione (o spoglio) art. 1168: ha come scopo la reintegrazione nel possesso
di chi ne sia stato spogliato in maniera violenta o clandestina. L’azione deve essere esercitata
entro un anno dallo spoglio (1168). Se lo spoglio è clandestino il termine decorre dal giorno
della scoperta dello spoglio. Lo spoglio consiste in qualsiasi comportamento che valga ad
impedire durevolmente l’esercizio del potere di fatto sulla cosa. Il carattere violento dello
spoglio è inteso in senso lato dalla giurisprudenza. Tradizionalmente si reputa necessario che
lo spossamento avvenga con una corrispondente intenzione. La giurisprudenza fa
riferimento a questa intenzione come privare il godimento della cosa al possessore contro la
sua volontà. Essendo considerato lo spoglio un atto illecito si tende a ritenere che l'attore
debba provarne il carattere colposo o doloso. Se lo spoglio non è stato violento o clandestino
il possessore potrà comunque chiedere di essere reintegrato nel possesso. La reintegrazione
è ordinata dal giudice sulla base della semplice notorietà del fatto, senza dilazione.
Caratteristica del giudizio è quella di svolgersi in due fasi. Fase di urgenza (si conclude con
l’ordine di reintegrazione, di carattere provvisorio e cautelare) e di merito ( si conclude con
sentenza definitiva).
• Con l'azione di manutenzione chi è stato molestato nel possesso di un immobile o su una
universalità di beni mobili, può entro un anno da tali turbative, chiedere la cessazione delle
stesse. Qualora il possesso sia stato acquistato violentemente o clandestinamente l'azione
può essere esercitata entro un anno dal giorno in cui la violenza o la clandestinità sono
cessate. La molestia si distingue dallo spoglio in quanto, nella prima ipotesi, la cosa permane
nella disponibilità del possessore. Le molestie possono essere di fatto (attività materiale che
incide sullo stato di fatto esistente) o di diritto (compimento di atti giuridici volti ad impedire
o ad ostacolare l'esercizio del possesso altrui). Se ricorrono le condizioni per la proposizione
dell'azione di manutenzione, anche colui che abbia subito uno spoglio non violento o
clandestino può chiedere di essere rimesso nel possesso. Per far cessare le molestie il
giudice può adottare i provvedimenti che ritiene più opportuni anche per impedire molestie
future. Può così essere ordinata la demolizione di opere o il ripristino di quelle manomesse
per turbare l'altrui possesso.

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PARTE VII
OBBLIGAZIONI

Emersione storica dell'obbligazione.


L’obbligazione consiste in un vincolo giuridico tra due soggetti, in virtù del quale un soggetto
(debitore) è tenuto ad un determinato comportamento, suscettibile di valutazione economica
(prestazione), verso un altro soggetto (creditore), per soddisfare un interesse anche non
patrimoniale di quest’ultimo.
I due soggetti sono titolari di situazioni giuridiche soggettive correlate, rispettivamente, di debito
(passiva) e di credito (attiva). Nel diritto romano, l'obbligazione indicava la posizione di un soggetto
materialmente legato e vincolato ad un'altro soggetto. Il vincolo giuridico che legava i due soggetti
era concepito come un vincolo materiale (nexum), per sciogliersi dal quale era necessario che lo
stesso obbligato o altro soggetto per lui recidesse tale vincolo con la cosiddetta solutio, la quale
pertanto operava con la eliminazione del vincolo. (Nexi liberatio).
Il codice civile non definisce le obbligazioni, che sono, invece, definite nelle istituzioni di Giustiniano
cui ci siamo inspirati.

Fonti.
Per l’art. 1173 le obbligazioni derivano “da contratto, da fatto illecito, o da ogni altro atto o fatto
idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”. Per “fonti dell’obbligazione” si
intendono i fatti giuridici da cui le obbligazioni derivano e cioè i fatti giuridici determinativi della
nascita delle obbligazioni. I criteri di identificazione dell’obbligazione si appuntano essenzialmente
sulla causa (titolo) e sul contenuto (prestazione) dell’obbligazione.
Il sistema delle fonti delle obbligazioni è organizzato intorno a tre classi. Le prime due classi sono il
contratto e il fatto illecito. Essi rappresentano le fonti generali e di più comune ricorrenza.
• Contratti: sono le tipiche fonti delle obbligazioni. Con questo strumento le parti si
impegnano volontariamente ad eseguire delle prestazioni. Es. se si commissiona un quadro il
pittore s'impegnerà ad eseguirlo ed una volta finito si sarà obbligati a versare il corrispettivo
per l'opera svolta.
• Fatto illecito: in questo caso si prescinde da ogni e qualsiasi accordo tra i soggetti
dell'obbligazione, anzi c'è almeno un soggetto (il danneggiato) che non vuole il fatto da cui
scaturisce l’obbligazione. Art. 2043, risarcimento del danno.
La terza classe è riferita a ogni altro atto o fatto a produrle secondo l'ordinamento. È una classe
residuale rispetto le prime due avendo riguardo tutte le altre fonti non riconducibili al contratto e al
fatto lecito.

Possiamo fare una distinzione tra fonti volontarie e fonti legali a seconda che le obbligazioni
traggano origine dalla volontà degli interessati o siano ricollegati direttamente alla legge. Le fonti
volontarie si riducono all'esplicazione dell'autonomia negoziale, attraverso negozi unilaterali e
mediante contratti. Nelle fonti legali invece l'obbligazione è riconducibile alla legge.

Struttura del rapporto obbligatorio.


Il codice civile non contiene una espressa nozione di obbligazione, infatti ancora oggi si è solito fare
riferimento alle definizioni che provengono dal diritto romano. Gli art. 1174 e 1175, pur regolando
solo alcuni profili dell’obbligazione, consentono di delinearne la fisionomia come di un vincolo
giuridico di due posizioni giuridiche (creditoria e debitoria) correlate al fine di soddisfare un
interesse attraverso la cooperazione di altro soggetto. L'idea di fondo è che si faccia ricorso al
rapporto obbligatorio quando si ha necessità di realizzare un interesse che non si è in grado di
soddisfare personalmente e direttamente sicchè c'è l'esigenza di avvalersi dell'attività di un'altro

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soggetto. La struttura del rapporto di obbligazione è quindi caratterizzata dalla posizione del
creditore e del debitore. Creditore che diritto a conseguire una utilità tramite il comportamento del
debitore e il debitore obbligato a procurare tale utilità al creditore con il suo comportamento.

Diversamente dai diritti reali che sono caratterizzati da immediatezza e assolutezza, nel senso che
sono realizzabili sulla cosa autonomamente dal titolare e posso essere fatti valere verso tutti, i diritti
di credito sono caratterizzati da mediatezza e relatività, in quanto il credito è realizzabile solo
tramite la cooperazione di altro soggetto e può essere fatto valere solo nei confronti del debitore.

I tratti fisionomici del rapporto obbligatorio sono:


- Soggetti, I quali sono i titolari della situazione soggettive, rispettivamente, di credito e
debito.
- Contenuto, indica i poteri e doveri in capo al creditore e al debitore, che si articolano
rispettivamente nella pretesa del creditore nell’obbligo di prestazione del debitore.
- Oggetto, designa il bene cioè l’utilità che il creditore persegue il debitore deve procurare.
Altro tratto fisionomico è che la prestazione deve essere economicamente valutabile e
corrispondere ad un interesse anche non patrimoniale del creditore.

Nella determinazione delle situazioni soggettive assume un ruolo fondamentale il titolo


dell'obbligazione, cioè la causa ovvero il fondamento della stessa che va a fissare la fonte ma anche
il contenuto del rapporto.

Soggetti.
Per soggetti si intendono i titolari delle situazioni soggettive di credito e di debito.
Titolare della situazione attiva è il creditore, della situazione passiva è il debitore.
I soggetti esprimono due centri di interessi. Più spesso la titolarità della situazione attiva o passiva, è
formata da una sola persona ma sono frequenti le ipotesi di una titolarità di situazione composta da
più persone, le quali assumono la veste di contitolari della medesima posizione debitoria o
creditoria. Quando la qualità di debitore e creditore si riuniscono nella stessa persona,
l’obbligazione si estingue per confusione. I soggetti devono essere determinati o determinabili. Se i
soggetti non sono precisamente indicati devono almeno risultare nel titolo i criteri di
determinazione degli stessi. Si pensi alla promessa al pubblico in virtù della quale un soggetto
(debitore) promette una prestazione a favore di chi si trovi in una determinata situazione o compia
una determinata azione. Il debitore è vincolato dalla promessa appena questa è resa pubblica anche
se il creditore sarà noto successivamente. Può avvenire che la persona del creditore o del debitore
muti nel tempo in quanto l'obbligazione è connessa ad altra situazione soggettiva, per cui il
mutamento della titolarità di quest'ultima comporta mutamento anche della connessa posizione di
credito o di debito. È il fenomeno delle cosiddette obbligazioni reali per le quali l'acquisto del diritto
reale comporta l'assunzione di obbligazioni accessorie. La rinuncia al diritto reale comporta la
liberazione dalla obbligazione. L’obbligazione reale è un rapporto personale ed obbligatorio. Di
conseguenza il debitore risponde con l'intero suo patrimonio per l'inadempimento delle
obbligazioni maturate con la titolarità del diritto reale.

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Contenuto:

- pretesa.

Contenuto della posizione attiva è la pretesa alla prestazione di un bene, cui si riconnette il
corrispondente obbligo del debitore di attuazione. L'art. 1174 richiede che la prestazione deve
essere “suscettibile di valutazione economica” e corrispondere a un interesse anche non
patrimoniale del creditore. È dunque fondamentale che la pretesa deve essere sorretta da un
interesse del creditore, anche di carattere non economico. L'interesse del creditore e dunque la
pretesa sono soddisfatti attraverso l'attuazione del contenuto dell'obbligo da parte del debitore. Ma
non mancano i casi in cui l'interesse del creditore è soddisfatto in modi diversi (adempimento del
terzo). Si vedrà peraltro in seguito come in molte ipotesi, a fonte del comportamento del creditore
che non si riceve la prestazione possa sussistere un interesse del debitore ad eseguire la prestazione
e non solo essere liberato dal vincolo obbligatorio.

- prestazione.

Contenuto della posizione passiva è l'obbligo di prestazione di un bene al creditore (per posizione
debitoria). La prestazione è dunque il comportamento dovuto dal debitore per procurare al
creditore una determinata utilità: la sua esatta esecuzione comporta adempimento
dell’obbligazione in quanto realizza l’interesse del creditore, facendogli conseguire il bene
perseguito.

a) Requisiti generali.
L’art. 1174 fissa specificatamente due requisiti della prestazione: la patrimonialità e la
corrispondenza ad un interesse del creditore.
• 1) La prestazione deve essere “suscettibile di valutazione economica” (patrimoniale). La
patrimonialità della prestazione presenta sia un carattere oggettivo, che fa riferimento
all'essenza della prestazione in se considerata, sia un carattere soggettivo che è riferita ai
soggetti coinvolti.
• 2) La prestazione deve corrispondere a un interesse anche non patrimoniale del creditore,
cioè la prestazione del creditore deve essere sorretta da un interesse che può avere anche
un carattere non economico.
• 3) Temporaneità del vincolo obbligatorio, quindi della prestazione (art. 1865)
• 4) La prestazione deve essere possibile, lecita, determinata o determinabile, secondo i
requisiti propri dell’oggetto del contratto (art. 1346).
Fissati i requisiti generali di ogni prestazione, è possibile delineare la tipologia delle prestazioni in
ragione di due criteri fondamentali: il contenuto della prestazione dovuta e l’esecuzione della
stessa.

b) Contenuto.
Con riferimento al contenuto della prestazione dovuta, vengono in rilievo tipicamente tre tipi di
prestazioni: dare, fare e consegnare, cui si aggiunge quella di prestare garanzia.
La prestazione può essere semplice o complessa a seconda che si svolga con un unico
comportamento del debitore oppure con più comportamenti.
• La prestazione di dare consiste nel trasferimento di un diritto. Esempio l'attività del
mandatario che ha acquistato un immobile per conto del compratore ed è obbligato a
ritrasferirlo al mandante.
• La prestazione di consegnare consiste nel procurare al creditore la disponibilità materiale
della cosa (possesso o detenzione). Esempio, l'obbligazione del venditore di consegnare al
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compratore il bene venduto. Strumentale alla obbligazione di consegnare una derivata cosa
è quella di custodirla fino alla consegna.
• La prestazione di fare consiste nel realizzare un fatto quale risultato dell’attività materiale o
giuridica. La prestazione è fungibile se è indifferente la identità del debitore (pagamento di
una somma di denaro); infungibile se rileva la identità del debitore (prestazione artistica o
professionale). Nel concetto di “facere” rientra anche il “non facere” (obbligazione negativa)
• Obbligazione di prestare garanzia con la quale il debitore assume la obbligazione di
procurare una sicurezza nella realizzazione del credito. Tendenzialmente è un’obbligazione
accessoria.
c) Esecuzione.

Con riguardo all'esecuzione della prestazione rilevano due fondamentali tipi di obbligazione.
Obbligazione istantanea e obbligazione di durata.
• L'obbligazione istantanea si caratterizza per l’unitarietà del comportamento (programmato)
e dovuto, in funzione della realizzazione di un interesse unitario del creditore (anche quando
la prestazione è frazionata nel tempo, i singoli atti concorrono all'attuazione di un interesse
programmato e da realizzare come unico ed unitario.)
• L'obbligazione di durata mira a soddisfare un interesse duraturo del creditore. Si svolge e
realizza nel tempo. A sua volta tale tipo di obbligazione può essere continuata o periodica, a
seconda che perduri continuativamente nel tempo (ad esempio l'obbligazione del locatore di
far godere il bene del locato), o sia eseguita ad intervalli di tempo (ad esempio il canone di
locazione da pagare mensilmente dal locatario).
La distinzione tra l'obbligazione istantanea e di durata rileva per la verifica nell'adempimento che è
correlata all'attuazione dell'interesse del creditore e per la decorrenza del termine di prescrizione
del diritto di credito che nell'obbligazione istantanea decorre dalla data di scadenza
dell'obbligazione, nella obbligazione di durata dalla data di cessazione della prestazione o di
scadenza delle singole prestazioni dovute. In ogni caso l'attribuzione che un soggetto compie nei
confronti dell'altro può essere immediata o differita a seconda che avvenga immediatamente o sia
differita nel tempo (nel primo caso si pensi alla vendita, nel secondo caso si pensi all'appalto).

Oggetto.

Il codice civile qualifica come oggetto dell'obbligazione la prestazione.


L'interesse del creditore è verso il debitore per conseguire un determinato bene e cioè una specifica
utilità. Solo il bene quale utilità procurata, realizza l'interesse del creditore, la pretesa alla
prestazione è in funzione del conseguimento di una determinata utilità. Ne consegue che oggetto
dell'obbligazione è il bene quale fonte di utilità. Operano così i vari tipi di obbligazione in ragione di
specifici criteri di osservazione del bene dovuto.
• Destinazione del bene: distinzione tra beni di consumo e beni non di consumo, a seconda
che il bene dovuto dal debitore sia o meno destinato a soddisfare consumi personali o
familiari del creditore, o viceversa sia connesso all’esplicazione della sua attività economica.
• Determinatezza del bene: distinzione tra obbligazioni specie: rivolte a procurare una cosa
determinata nella sua individualità (esempio lo specifico immobile, il particolare quadro),
obbligazioni di genere: rivolta a procurare una cosa determinata solo per la sua
appartenenza a un genere (computer, televisione, ecc), in tal caso il debitore deve prestare
cose di qualità non inferiore alla media.

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• Rilevanza del comportamento: differenza tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato.


Per le obbligazioni di mezzi, il debitore si obbligherebbe a prestare la propria attività per
consentire il raggiungimento del risultato desiderato dal creditore; nelle obbligazioni di
risultato il debitore sarà tenuto a procurare proprio il risultato promesso. La dicotomia, nel
risultato richiamato, risulta priva di fornimento in quanto ogni obbligazione ha un oggetto in
quanto destinata a procurare un risultato utile al creditore. Il risultato utile non si concretizza
necessariamente nel trasferimento di un diritto o nella venuta ad esistenza di un bene nuovo
o nel procurare la detenzione o possesso, ma risiede in ogni utilità procurata al creditore
anche realizzando un fatto quale oggetto dell'obbligazione.

Dovere di correttezza.
Art. 1175: il debitore e il creditore “devono comportarsi secondo le regole della correttezza”. Si è
discusso se il dovere di correttezza sia riconducibile al generale dovere di buona fede oggettiva che
attraversa l'intera dinamica contrattuale e in generale tutta l'attività privata. In realtà i più recenti
sviluppi dottrinali e giurisprudenziali sono pervenuti ad una riconduzione dei principi di correttezza
e buona fede al generale dovere di solidarietà quale clausola di presidio dell’intera attività privata. Si
è così chiarito, sia a carico del debitore che a carico del creditore, il dovere giuridico di preservare
l'interesse dell'altro, nei limiti in cui ciò non comporti un apprezzabile sacrificio dell'interesse
proprio secondo un criterio di reciprocità. Vi é dovere di informazione; e l'osservanza, per il debitore
di obblighi accessori o strumentali alla esecuzione della prestazione dovuta. Il creditore deve
favorire la posizione debitoria e non aggravarla consentendo l'esecuzione della prestazione. Si
sviluppa poi un'ulteriore fondamentale principio ossia quello di inesigibilità nei rapporti obbligatori,
in base al quale è ammesso che l'inadempimento del debitore risulti giuridicamente giustificato se
l'interesse che lo sottende risulti tutelato dall'ordinamento o addirittura dalla costituzione come
valore preminente o superiore a quello perseguito dal creditore.

Obbligazioni naturali.
L’articolo 2034 prevede una generale categoria degli “doveri morali e sociali” che non sono
suscettibili di essere oggetto di obbligazione ma che assumono rilevanza giuridica al momento
dell’eventuale adempimento. Infatti il primo comma sancisce che non è ammessa la ripetizione di
quanto sia stato pagato spontaneamente equazioni di doveri morali e sociali. Dunque elementi
dell’obbligazione naturale sono: l’esistenza di un dovere morale sociale è un adempimento di
contenuto patrimoniale. Requisito dell’adempimento sono la capacità e la spontaneità di chi
adempie.
Le obbligazioni naturali non sono munite di azione per costringere il debitore al pagamento, se per
un pagamento è stato fatto non si può ottenere la restituzione di ciò che si è spontaneamente
prestato salvo che la prestazione non sia stata eseguita da un incapace.
Casi, espressamente previsti, di obbligazioni naturali sono:
- L’esecuzione spontanea di una disposizione fiduciaria (articolo 627))
- Il pagamento del debito prescritto (articolo 2940)
- Il pagamento di un debito di gioco di una scommessa (articolo 1933).

I caratteri delle obbligazioni naturali sono:


- L’incoercibilità, il senso che nessuno può essere costretto giudizialmente ad eseguire
L’obbligo.
- L’ irripetibilità, ossia l’impossibilità di farsi restituire ciò che si è spontaneamente
prestato.

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Alcune specie di obbligazioni.

Generalità.
Sotto il titolo di” obbligazioni in generale”, l'ultimo capo è dedicato alla disciplina di alcune specie di
obbligazioni. La normativa è riferita ad alcuni tipi di rapporti obbligatori che presentano alcune
specificità rispetto alla disciplina generale delle obbligazioni. Il modello di base del rapporto
obbligatorio, cui ha riguardo la disciplina generale delle obbligazioni, incarna la cosiddetta
obbligazione semplice, caratterizzata dalla presenza di due soli soggetti (creditore e debitore) con
unicità di prestazione.
Una disciplina particolare è dedicata ad ipotesi di obbligazione complessa, caratterizzata da una
molteplicità di soggetti e/o di prestazioni. L’obbligazione complessa si specifica a sua volta in
obbligazione plurisoggettiva se la molteplicità riguarda i soggetti di uno o di entrambe le posizioni
soggettive e in obbligazione cumulativa quando sono dedotte in obbligazione più prestazioni, che a
sua volta può essere congiuntiva (sono dovute tutte le prestazioni) o alternativa (quando ne è
dovuta una sola).

Obbligazioni plurisoggettive e obbligazioni parziarie.


E’ frequente il fenomeno di obbligazioni caratterizzate dalla presenza di più soggetti, o dal lato
passivo o dal lato attivo o da entrambi i lati. Sono obbligazioni soggettivamente complesse, c'è
pertanto da stabilire l'incidenza della pruralità di soggetti relativamente all'oggetto
dell'obbligazione. Rilevano così le figure della obbligazione parziaria e l'obbligazione solidale.

L'obbligazione parziaria presuppone che l’obbligazione sia divisibile e ricorre quando ciascun
debitore è tenuto all’adempimento di una sola parte dell’obbligazione, ovvero quando ciascun
creditore può pretendere solo la parte dell’oggetto della obbligazione di sua spettanza. La
parziarietà indica la rilevanza della divisibilità dell'obbligazione in presenza di più soggetti (debitori o
creditori). Alla obbligazione parziaria non è dedicata un'apposita normativa. La sua rilevanza è
dedotta dalla norma riguardante l'obbligazione divisibile.
Per l'art. 1314: se più sono i debitori o i creditori di una prestazione divisibile e l’obbligazione non è
solidale, ciascuno dei creditori può domandare il soddisfacimento del credito solo per la sua parte e
ciascuno dei debitori è tenuto a pagare il debito per la sua parte.
Nell'ipotesi di pluralità di debitori, il creditore è tenuto ad esercitare il suo diritto verso tutti i
debitori potendo pretendere da ognuno di essi solo la sua parte. Nell'ipotesi che qualcuno non
adempia, il creditore non può rivalersi sugli altri debitori per la parte non riscossa. Nell'ipotesi di
una pruralità di creditori, il debitore è tenuto all'adempimento parziario a ciascuno dei creditori.

Le obbligazioni solidali.
La obbligazione solidale è una obbligazione complessa plurisoggettiva più spesso dal lato passivo
che dal lato attivo del rapporto.
La solidarietà passiva: in caso di pluralità di debitori in un'unica obbligazione se vi è solidarietà ( per
accordo o per legge) il creditore potrà chiedere l'intera prestazione ad uno qualsiasi dei debitori e
non essere costretto a chiedere parte della prestazione ad ognuno dei debitori. Il pagamento
eseguito dal debitore in solido libera gli altri.

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Nella solidarietà passiva, quindi, vi è un rafforzamento della posizione del creditore poiché questi
potrà chiedere l'intera prestazione ad uno qualsiasi dei debitori che sono obbligati ad eseguirla.
Pensiamo al caso in cui tre debitori si sono impegnati in solido a pagare 300 ad un unico creditore.
Questi potrà chiedere, quindi, tutta la somma ad uno qualsiasi dei debitori (magari a quello più
solvibile) senza essere costretto a chiedere 100 ad ognuno di loro.
Abbiamo parlato della solidarietà passiva, ma l'articolo 1292 c.c. ne prevede un'altro tipo che
guarda alla pluralità di creditori. Vediamone la nozione

La solidarietà attiva: in caso di pluralità di creditori se è prevista solidarietà ognuno di loro potrà
chiedere l'intera prestazione al debitore il cui adempimento a favore di uno dei creditori lo libererà
nei confronti di tutti gli altri creditori rimasti.

Quando si parla di solidarietà, però, si fa di solito riferimento alla solidarietà passiva perché, a
differenza di quella attiva, è presunta dalla legge ( art. 1294 c.c.).
Di conseguenza più debitori obbligati per una medesima prestazione saranno debitori in solido, se
non si è previsto diversamente. All'opposto, se vi sono più creditori di una medesima prestazione
nei confronti di un debitore, non vi sarà solidarietà attiva se non per espressa previsione
contrattuale o legislativa. Come esempio di solidarietà attiva prevista dalla legge ricordiamo l'art.
1854 c.c che la prevede insieme, per altro, a quella passiva fra i cointestatari di un conto corrente.

Ma in che tipo di obbligazione può esservi solidarietà?

Bisogna escluderla quando le prestazioni sono diverse per ogni debitore o quando non c'è pluralità
di soggetti;
riassumendo e precisando quanto sino ad ora esposto, per aversi obbligazione solidale sono
necessari i seguenti presupposti.

Presupposti:
• pluralità di soggetti dal lato attivo o passivo
• medesima prestazione da eseguire
• medesima fonte da cui scaturisce la prestazione
Si ritiene che la prestazione possa scaturire anche da più fonti.
In questo caso che l'elemento della solidarietà non solo vi sarebbe quando la fonte è unitaria ( ad
es. un unico contratto), ma anche quando le fonti siano diverse ( ad es. diversi contratti) ma
collegate in modo tale da farle ritenere un complesso unitario.
Non è vero, invece, che vi sia un unico rapporto per tutti i soggetti come, invece, unica è la
prestazione.
Esistono, infatti, tanti rapporti per quanti soggetti vi sono nella obbligazione rapporti, seppure
scaturenti da unica fonte ed aventi ad oggetto una sola prestazione, tutti identici tra di loro.

Nella solidarietà vi sono quindi tanti rapporti per quanti sono i soggetti coinvolti, rapporti identici,
abbiamo detto, ma comunque distinti. Questo vuol dire che vi possono essere delle differenze tra
debitore e debitore in merito alle eccezioni che i questi possono opporre al creditore.
Abbiamo, quindi, due tipi fondamentali di eccezioni che possono essere opposte al creditore.
• eccezioni comuni: possono essere opposte da uno qualsiasi dei debitore nei confronti del
creditore (nella solidarietà passiva) o da uno qualsiasi dei creditori nei confronti del debitore
(nella solidarietà attiva); ne sono esempi , la nullità totale dell'atto da cui è nata
l'obbligazione e la prescrizione
• eccezioni personali: nella solidarietà passiva possono essere proposte solo da uno dei
debitori al creditore, mentre nella solidarietà attiva il debitore non può opporre al creditore
le eccezioni personali con gli altri creditori; sono esempi di eccezioni personali la
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sospensione della prescrizione, lo stato di incapacità, le eccezioni di annullabilità per vizi del
volere
Si occupa delle eccezioni personali l'art. 1297 c.c. , ma chiariamo con un esempio l'ipotesi più
frequente relativa alla solidarietà passiva; poniamo che uno solo dei debitori in solido era caduto in
errore nella stipula del contratto da cui è scaturita l'obbligazione. Nel caso che proprio a lui venga
chiesto l'adempimento, potrà sempre eccepire l'annullabilità del contratto, cosa che non potranno
fare gli altri non caduti in errore;

Rapporti esterni ed interni tra i debitori e creditori solidali e azione di regresso.


Sino ad ora ci siamo occupati della solidarietà dal punto di vista dei rapporti esterni; in altre parole
abbiamo considerato i gruppi di debitori e creditori come un tutt'uno che si ponevano l'uno di
fronte all'altro.
Ma è anche vero che solidarietà non vuol dire sacrificio, non vuol dire che una volta eseguita la
prestazione dal debitore in solido gli altri potranno considerarsi liberi da ogni ulteriore obbligo
oppure, nella solidarietà attiva, che l'unico creditore che ha ricevuto la prestazione possa non
render conto di nulla agli altri.
Ed infatti bisogna considerare anche i rapporti intercorrenti tra il gruppo dei debitori o il gruppo dei
creditori, rapporti interni regolati dall'art. 1298 c.c.:

rapporti interni: l'obbligazione in solido si divide in parti che si presumono uguali tra i debitori o i
creditori solidali

Ciò significa che se all'esterno ognuno dei debitori (ad es. 5) dovrà dare 50 o ognuno dei creditori
( ad es. 5) dovrà ricevere 50, nei loro rapporti interni s'intenderà che ognuno dovrà dare o ricevere
10, salvo, ovviamente, patto contrario. Tale situazione risulta più evidente nel caso dell'azione di
regresso ex art. 1299 c.c. che, seppure prevista per la sola solidarietà passiva, può essere estesa
anche a quella attiva.

azione di regresso: il debitore che ha pagato l'intero debito può ripetere dagli altri debitore la parte
che spettava a ciascuno di loro

Se quindi, nel caso di cui poc'anzi, il debitore ha pagato 50, potrà chiedere ad ognuno degli altri
quattro 10 che, sommati con la sua parte, saranno equivalenti all'intero debito pagato che era
appunto di 50.

Obbligazioni divisibili e indivisibili.


La peculiarità delle obbligazioni in esame inerisce all’oggetto dell'obbligazione. Il carattere della
divisibilità o indivisibilità della prestazione comporta alcune regole particolari.

a) Art. 1316 si ha obbligazione indivisibile quando “la prestazione ha ad oggetto una cosa o un fatto
che non è suscettibile di divisione” per sua natura (oggettiva) o per il modo in cui è stata concepita
dalle parti (soggettiva). Si parla, quindi, di indivisibilità assoluta o relativa.
L'indivisibilità assoluta, si verifica quando la prestazione ha per oggetto una cosa indivisibile per
natura o un fatto che non ammette esecuzione parziale.
L'indivisibilità relativa, invece, si ha quando la prestazione ha per oggetto una cosa o un fatto
naturalmente divisibile, ma che le parti hanno deciso di considerarlo indivisibile.
Ma come si adempie una obbligazione indivisibile?

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Ci risponde l'art. 1317 c.c. secondo cui le obbligazioni indivisibili sono regolate dalle norme sulle
obbligazioni solidali, in quanto applicabili.
In altre parole il creditore potrà chiedere a uno qualsiasi dei debitori la prestazione (il famoso
cavallo vivo).
L'art. 1317 contiene una salvezza poiché si riferisce alle norme sulla solidarietà "in quanto
applicabili" .
Questo perché solidarietà e indivisibilità non sono la stessa cosa;
la prima è mezzo per rafforzare il diritto del creditore nella sua attuazione, mentre la seconda è un
modo di essere della obbligazione. Ed infatti, il successivo articolo 1318 dispone che l'indivisibilità
opera anche nei confronti degli eredi del debitore o del creditore, ed, in effetti, se il debitore in
solido ex art. 1295 c.c., poi defunto, doveva una somma di denaro lasciando due eredi ognuno
dovrà pagare la sua parte, ma se doveva consegnare un cavallo vivo, gli eredi non potranno certo
consegnare mezzo cavallo per uno invocando l'art. 1295.

b) L'obbligazione è divisibile in ipotesi di più debitori e/o creditori e in assenza di solidarietà. La


legge la considera e disciplina come obbligazione parziaria, per cui ciascuno dei creditori può
domandare il soddisfacimento del credito solo per la sua parte (1314). Anche se l’obbligazione è
divisibile, il creditore può sempre rifiutare un adempimento parziale, salvo che la legge o gli usi non
dispongano diversamente (1181).

Obbligazioni alternative e facoltative.


La rilevanza della dicotomia inerisce alla prestazione dovuta, in funzione del risultato da procurare
al creditore. Quando sono dedotte in obbligazione due o più prestazioni è importante stabilire se il
debitore sia obbligato ad eseguire tutte le prestazioni o una sola di esse.
• Obbligazioni alternative: in tali obbligazioni due o più prestazioni sono dedotte in
obbligazione in modo disgiuntivo e cioè alternativo. Quando le prestazioni sono due, il
debitore si libera eseguendo una delle due prestazioni dedotte ma non può costringere il
creditore a ricevere parte dell’una e parte dell’altra (1285). Connotato fondamentale di tale
tipo di obbligazione è la scelta della prestazione dovuta, che determina la cd. concentrazione
dell’obbligazione: a seguito della scelta, l'obbligazione diventa semplice. Di regola il potere di
scelta spetta al debitore se non è attribuito al creditore o a un terzo. La scelta può essere
tacita o espressa e diviene irrevocabile con l’esecuzione di una delle prestazioni ovvero con
la comunicazione della scelta all’altra parte, o a entrambe le parti se la scelta è fatta da un
terzo (art. 1286). Se il debitore non ne esegue alcuna delle due prestazioni, nel termine
assegnatogli dal giudice, la scelta è rimessa al creditore (1287). Analogamente se la scelta è
rimessa ad un terzo e questi non la fa nel termine assegnatogli essa è fatta dal giudice. Se la
scelta spetta al creditore e questo non la fa nel termine stabilito o in quello fissatogli dal
debitore, la scelta passa a quest'ultimo. Un regime articolato è quello della impossibilità
della prestazione il quale afferma che se una delle prestazioni non poteva formare oggetto di
obbligazione o è divenuta impossibile per causa non imputabile ad alcuna delle parti,
l’obbligazione si considera semplice dall’inizio; se è diventata successivamente impossibile
per causa non imputabile al debitore, l’obbligazione si estingue.

• Obbligazione facoltativa: anche detta con facoltà alternativa non ha una disciplina specifica
nel codice. Una sola prestazione è dedotta in obbligazione: è dunque un’obbligazione
semplice, essendo la prestazione unica e determinata fin dall’origine. E’ accordata al
debitore la facoltà di liberarsi eseguendo una prestazione diversa, di regola,
preventivamente pattuita; più raramente è accordata al creditore la facoltà di scegliere una
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diversa prestazione. In ogni caso, se perisce o diviene impossibile l’unica prestazione dovuta,
per causa non imputabile al debitore, l’obbligazione si estingue. Una fattispecie di
obbligazione facoltativa si trova in materia di obbligazioni pecuniarie, se la somma dovuta
dal debitore è determinata da moneta non avente corso legale nello stato, il debitore ha
facoltà di pagare in moneta legale al corso del cambio nel giorno della cadenza e nel luogo
stabilito per il pagamento.

Obbligazioni pecuniarie.
Sono pecuniarie le obbligazioni che hanno per oggetto una somma di denaro. L’articolo 1277
dispone che i debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al momento
del pagamento e al suo valore nominale. Si tratta del cosiddetto principio nominalistico in virtù del
quale l’obbligazione si esegue in conformità del suo importo nominale non del valore effettivo.
Pertanto il debitore deve dare la quantità di moneta stabilita, anche se il suo valore di scambio o il
suo potere di acquisto si sia frattanto modificato.

Pertanto, se ad esempio tizio ha assunto nel 2002 un debito di un euro, con l’obbligo di adempiere
nel 2005, egli dovrà, alla scadenza del termine, pagare sempre un euro, anche se tale somma per
effetto della svalutazione, avrà assunto un valore minore.

Di conseguenza essenziale stabilire il valore economico della moneta, in quanto si suole distinguere
tra due modelli di riferimento, debiti di valuta e debiti di valore:
- il debito di valuta (Per i quali trova applicazione il principio nominalistico), sono quelle
prestazioni che sono pecuniarie sin dalla nascita (si pensi a un prestito non restituito),
- il debito di valore ( non di applica il principio nominalistico) sono obbligazioni solo in
senso lato peculiare in quanto la prestazione, pur consistendo in una somma di denaro,
assume una funzione sostitutiva di un diverso bene dovuto.
Ex: si pensi alle conseguenze di un incidente stradale, ai fini del risarcimento del danno,
questo dev’essere convertito in denaro attraverso la cosiddetta liquidazione.

Nel debito di valore si tiene conto della svalutazione monetaria intervenuta fra il momento in cui è
sorta l’obbligazione e quello in cui avviene la liquidazione del danno, con applicazione degli interessi
legali alla somma rivalutata, per il periodo intercorrente fra la liquidazione e il pagamento.

Nel debito di valuta, invece, si applicano i soli interessi legali, calcolati sull’importo originario, a
meno che il creditore non provi di aver subìto un maggior danno.

REGIME DEGLI INTERESSI


L’ordinamento connette alla obbligazione pecuniaria, l’obbligazione accessoria di pagamento degli
interessi per il fatto in sé di utilizzare denaro altrui o di essere ritardo nel pagamento.

DISTINZIONE DEGLI INTERESSI IN BASE ALLA LORO FUNZIONE:

1) la funzione remuneratoria attiene alla utilizzazione di denaro altrui o destinato ad altri. Si


dividono due categorie di interessi:
- interessi corrispettivi, sono impiegati per indicare gli interessi dovuti ad un soggetto in
via corrispettiva il godimento del denaro da altri prestatori. Di conseguenza la
prestazione assume il carattere di compenso per l’uso illegittimo del denaro.
- Interessi compensativi, costituiscono il compenso per il godimento di una cosa
fruttifera. Tali interessi operano quando i crediti non sono liquidi ed esigibili, e quindi non
può operare il criterio corrispettivo generale dell’articolo 1282.

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2) La funzione sanzionatoria attiene al ritardo colpevole nell’adempimento dell’obbligazione.


Vengono in rilievo interessi moratori, cioè interessi dovuti a titolo di risarcimento del danno
per ritardo ingiustificato del pagamento dovuto, anche senza fornire la prova di avere
sofferto un danno (art. 1224). Se il creditore dimostra di aver sofferto un danno maggiore di
quello risarcito dagli interessi, gli spetta un ulteriore risarcimento.

DISTINZIONE DEGLI INTERESSI IN BASE ALLA FONTE E TASSO.

Quanto alla fonte, gli interessi possono derivare dalla legge oppure essere previsti dagli usi o fissati
dalle parti:
- interessi legali sono regolati dalla legge, che stabilisce la maturazione di diritto e cioè
automatica degli interessi.
- Interessi convenzionali sono pattuiti tra creditore debitore all’atto della costituzione del
rapporto obbligatorio o successivamente, I quali possono fissare una misura diversa da
quella legale, purché non usuraia. Tuttavia, un eventuale tassa differente dall’interesse
legale deve essere stabilito dalle parti per iscritto: in mancanza interessi, anche se
convenzionali, sono dovuti nella misura legale.

Interessi anatocistici.
In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della
domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti
di interesse dovuto almeno per sei mesi (art. 1283). E’ il fenomeno dell’anatocismo: il termine indica
la maturazione di interessi su interessi (interessi composti). Gli interessi scaduti, cioè maturati, e non
pagati diventano capitale sicchè sono suscettibili di produrre al loro volta interessi. Il codice civile
ammette l'anatocismo ma lo sottopone a penetranti limiti. L'anatocismo può operare solo con
riguardo agli interessi scaduti e dovuti almeno per sei mesi. Quanto alla fonte gli interessi
anatocistici vanno pattuiti con convenzione posteriore alla scadenza degli interessi semplici ovvero
vanno richiesti con domanda giudiziale.

2 MODIFICAZIONI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO.

Generalità.
Durante la vita del rapporto obbligatorio possono determinarsi delle modificazioni che vanno a
configurare nuovi soggetti, sia nel lato attivo sia nel lato passivo del rapporto obbligatorio. Un
esempio di mutamento di soggetti si può osservare nella successione per causa di morte dove gli
eredi subentrano nelle universalità o in una quota del defunto e i legatari nei singoli rapporti.
Più rare invece si presentano invece le modificazioni dell'oggetto dell'obbligazione.

Modificazioni nel lato attivo.


La modificazione nel lato attivo si verifica con la successione di un terzo nella posizione creditoria.
Per il debitore la configurazione di un nuovo creditore non risulta essere poi così importante in
quanto vincolato in ogni caso all'adempimento della sua obbligazione. Il terzo che subentra nella
posizione di creditore acquista dei diritti nei confronti del debitore. Si tratta di un acquisto a titolo
derivativo in quanto vi è trasmissione di un diritto da un soggetto dante causa ad un soggetto
avente causa. Le modificazioni nel lato attivo del rapporto sono 3:
• Cessione del credito

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• Pagamento con surrogazione


• Delegazione attiva

Cessione del credito.


Per l’art. 1260 il creditore può trasferire il proprio credito, anche senza il consenso del debitore, ad
un terzo. Tale trasferimento si perfeziona con il consenso tra il creditore (cedente) e il terzo
(cessionario) senza accettazione da parte del debitore. Il trasferimento del credito può essere a
titolo oneroso o a titolo gratuito.
L'art. 1376 nel regolare i contratti ad efficacia reale assimila al trasferimento di proprietà di una
cosa, il trasferimento di un'altra diritto che può essere proprio un diritto di credito. L'art. 1470 nel
definire il contratto di vendita, ha per oggetto il trasferimento di proprietà di una cosa è il
conseguente trasferimento di un'altra diritto che può essere un diritto di credito. Un diritto di
credito può essere trasferito anche in luogo dell'adempimento di una diversa obbligazione (c.d.
solutoria) così integrandosi una ipotesi di d'azione in pagamento espressamente prevista dall'art.
1198. Il credito inoltre può essere anche oggetto di confisca da parte dell'ordinamento giuridico.

In definitiva la cessione del credito si atteggia come un normale contratto consensuale ad efficacia
reale. Il diritto di credito si acquista e si cede per effetto del consenso delle parti.
Quanto all'oggetto, sono oggetto di obbligazione non solo il credito inteso in una qualsiasi forma di
danaro, ma anche le prestazioni di dare, fare o consegnare, nonché anche il credito al risarcimento
del danno patrimoniale e non patrimoniale. La cessione del credito inoltre può riguardare un bene
presente e futuro.
Il cedente, nell'azione di trasferimento del credito al cessionario, deve prestare una prova
dell'esistenza del credito verso il debitore in questione.

Dall'art.1260 derivano poi ipotesi di incedibilità del credito. Il credito risulta incedibile se:
• Ha carattere strettamente personale (diritto agli alimenti)
• Vi è un divieto legale
• Vi è un divieto convenzionale. Ossia il creditore stipula un patto con il debitore con il quale si
obbliga a non cedere ad altri il suo credito.

L'efficacia.
L'efficacia può essere di tre tipi:
• Efficacia tra le parti. Si è visto che il contratto di cessione ha efficacia tra le parti anche senza
il consenso del debitore. La garanzia che il cedente deve prestare al cessionario muta in
ragione del titolo. Se la cessione è a titolo oneroso, il cedente deve garantire l'esistenza del
credito al tempo della cessione. Tale garanzia può essere esclusa per patto tra le parti. Se la
cessione è a titolo gratuito il creditore cedente risponderà al cessionario solo per evizione. Al
profilo della garanzia si lega poi anche il rischio di insolvenza del debitore. Rischio che
comunque viene preso in ogni caso dal cessionario. Il cessionario non può rivalersi sul
patrimonio del cedente se il debitore non ha adempito al credito che gli spettava. Tuttavia
vediamo che il creditore può, attraverso un patto, assumere la garanzia della solvenza del
debitore al credito che si intende trasferire. Per effetto della cessione del credito, il
cessionario entra nella posizione di creditore e quindi il debitore può apporre al lui le
apposite eccezioni.

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• Efficacia verso il debitore. Il debitore deve essere informato dell'avvenuta cessione del
credito affinché possa adempire verso il cessionario. Se il debitore in buona fede non viene
informato e consegue la sua obbligazione al precedente creditore questo si considera
comunque libero dalla obbligazione. Il debitore deve essere correttamente informato
mediante accettazione o notificazione. Anche in assenza di notifica o di accettazione il
cessionario può provare che il debitore ceduto sia stata informato dell'avventura cessione
del credito. Realizzatasi la conoscenza della cessione, legale o effettiva, il debitore non può
invocare la mancata conoscenza del fatto e quindi conseguire la sua obbligazione verso il
cessionario.
• Efficacia verso i terzi. Può accadere che il creditore ceda il proprio credito a più persone. Tra
le varie cessioni prevale quella che è stata notificata per prima al debitore o che è stata
accettata per prima dal debitore con atto avente data certa.

Il factoring.
Il factoring è una figura negoziale di matrice anglosassone. Con questo termine si intende indicare
un particolare tipo di contratto con il quale un imprenditore (cedente) si impegna a cedere i propri
crediti, presenti e futuri scaturiti dalla propria attività imprenditoriale, ad un'altro soggetto
professionale denominato factor il quale, dietro corrispettivo consistente in una commissione,
assume l'obbligo a sua volta di fornire una serie di servizi che vanno dalla contabilizzazione,
gestione, riscossione dei crediti, al finanziamento dell'imprenditore mediante prestiti o mediante il
pagamento anticipato dei crediti ceduti. Nella maggior parte dei casi, dietro il contratto di factoring,
si nasconde una operazione di finanziamento della impresa al cliente. La cessione può avvenire in
due modi diversi.
• Pro soluto: il factor si assume il rischio dell'insolvenza dei crediti ceduti e in caso di
inadempimento non può chiedere al cliente la restituzione degli anticipi.
• Pro solvendo, quella più frequente: il factor non si assume il rischio di insolvenza dei crediti
che vengono lasciati al cliente, con la conseguenza che il cedente dovrà restituire al factor le
anticipazioni ricevute.
La legge 1991 n.52 ha introdotto una nuova normativa speciale per la cessione dei crediti di
impresa. I requisiti affinché si applichino tali regole sono:
• Il cedente deve essere un imprenditore
• I crediti ceduti sorgono da contratti stipulati dal cedente nell'esercizio dell'impresa
• Il cessionario è una banca o un intermediario finanziario che ha come oggetto l'acquisto dei
crediti di impresa
• I crediti presenti e futuri possono essere ceduti anche in massa ed anche prima che siano
stipulati i contratti dai quali derivano, purché se ceduti in massa, i relativi contratti siano stati
stipulati in ventiquattro mesi.

La cartolarizzazione dei crediti.


Si tratta di un meccanismo di smobilitazione dei crediti al fine di conseguire un flusso finanziario che
assicuri liquidità. È una particolare tecnica finanziaria anglosassone che ha trovato ampio sviluppo
anche da noi per consentire agli enti di procurarsi danaro liquido.

La cartolarizzazione è realizzata mediante cessione a titolo oneroso di crediti pecuniari presenti o


futuri, in favore di una società specializzata la quale provvede ad emettere titoli e collocarli presso i
risparmiatori. Il ricavato della collocazione serve a pagare i crediti acquistati dalla società cedente.

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Pagamento con surrogazione.

Un fenomeno di successione nel credito si determina seguito dell’avvenuto pagamento da parte di


un terzo, con la surrogazione dello stesso nella posizione giuridica del creditore.

Mentre la cessione del credito determina il mutamento del soggetto attivo, senza attuazione
rapporto obbligatorio: il creditore originario non consegue il bene oggetto dell’obbligazione.
Viceversa la surrogazione comporta mutamento del soggetto attivo in conseguenza del
soddisfacimento del creditore, ma ad opera di un terzo e non del debitore. La peculiarità è che
l’obbligazione originaria rimane in vita pur essendo intervenuto l’adempimento.

L’anomalia si giustifica per il fatto che l’adempimento non proviene dal debitore, di conseguenza il
soggetto che ha adempiuto è surrogato nella posizione del creditore verso il debitore originario,
consentendosi così al terzo adempiente di recuperare quanto prestato per l’adempimento.

È necessario che il terzo adempie autonomamente e non in rappresentanza del debitore.


La surrogazione può aversi per tre ragioni
• Surroga per volontà del creditore. Il creditore, ricevendo il pagamento da un terzo, può
surrogarlo nei propri diritti. La surrogazione deve essere fatta in modo espresso e
contemporaneamente al pagamento. Cosa accade in questo caso? Accade che il terzo si reca
dal debitore per adempiere, e il creditore non si limita a ricevere il pagamento, ma lo surroga
nei suoi diritti di creditore, insomma il terzo diviene nuovo creditore. Osserviamo che per
giungere a ciò sarà sicuramente accaduto che il terzo avrà avanzato tale richiesta al
creditore, e che il creditore potrebbe anche non surrogarlo (può surrogarlo dispone l'art.
1201); se però decide di surrogare il terzo, il creditore dovrà seguire certe forme: 1. vi sarà
un atto di surrogazione dove il creditore dichiara espressamente di surrogare il terzo nei
propri diritti; 2. la surroga deve essere contemporanea al pagamento e questo avverrà di
solito nel momento in cui il creditore rilascia al terzo la quietanza (ex art. 1199 c.c.). Se non
sono rispettate queste 2 condizioni con il pagamento il terzo estingue l’obbligazione senza
sostituirsi al creditore.
• Surroga per volontà del debitore. Il debitore, che prende a mutuo una somma di danaro o
altra cosa fungibile al fine di pagare il debito, può surrogare il mutuante nei diritti del
creditore, anche senza il consenso di questo. La surrogazione ha effetto quando concorrono
le seguenti condizioni: 1) che il mutuo e la quietanza risultino da atto avente data certa; 2)
che nell’atto di mutuo sia indicata espressamente la specifica destinazione della somma
mutuata; 3) che nella quietanza si menzioni la dichiarazione del debitore circa la provenienza
della somma impiegata nel pagamento. Sulla richiesta del debitore, il creditore non può
rifiutarsi di inserire nella quietanza tale dichiarazione. Qui cosa accade? Accade che è il
debitore originario che paga, ma con soldi non suoi, ma presi a mutuo; insomma il debitore
si è fatto prestare i soldi per pagare il suo debito, ma chiede, secondo le tre condizioni
riportate in tabella, di surrogare il mutuante (cioè colui che gli ha prestato i soldi), nei diritti
del creditore. Se tutte le condizioni sono state rispettate, il mutuante diverrà nuovo
creditore, diversamente si avrà solo l'effetto dell'art. 1180.
• 1203. Surrogazione legale. — quando la surrogazione opera di diritto, e cioè
automaticamente nel senso che è la stessa legge che surroga il terzo adempiente nei diritti
del creditore verso il debitore. Le ipotesi sono indicate dalla legge (1203). Un esempio può
essere che la surrogazione legale opera a vantaggio di chi, essendo creditore, ancorché
chirografario, paga un altro creditore che ha diritto di essergli preferito in ragione dei suoi
privilegi, del suo pegno o delle sue ipoteche.

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Negli altri due casi di surrogazione, il semplice pagamento non bastava a produrre la surrogazione,
ma era necessaria la volontà del creditore o del debitore, qui invece il pagamento non produce
l'estinzione dell'obbligazione ex art. 1180 c.c. ma la surrogazione automatica, ope legis, di chi a
pagato nella posizione di creditore; si tratta di ipotesi eccezionali, proprio perché derogano alla
regola dell'art. 1180.
Analizziamo l'esempio fatto;
poniamo che c'è un creditore ipotecario, e un altro creditore (anche chirografario) dello stesso
debitore;
il creditore ipotecario è preferito sia rispetto ai creditori chirografari, sia rispetto agli altri creditori
ipotecari sullo stesso bene, ma di grado successivo al suo;
poniamo allora che un creditore chirografario, sapendo che difficilmente sarà pagato perché c'è un
creditore ipotecario prima di lui, vada da questo e gli dica:
" Salve Sempronio! Io sono Mevio, il creditore di Tizio, come lo sei tu, che però sei garantito da
ipoteca; Tizio ti deve 1.000, ecco i 1.000!"
Ciò fatto, Mevio assumerà la stessa posizione di Sempronio per effetto di legge; ovviamente
abbiamo semplificato l'ipotesi, perché il tutto deve coordinarsi con la specifica disciplina
dell'ipoteca, ma il principio è quello indicato nell'esempio.

Delegazione attiva.
La legge prevede la sola delegazione attiva che incide sul lato passivo del rapporto, ma ciò non toglie
che possa svilupparsi anche dal lato attivo del rapporto. In tal caso l'iniziativa della delega è presa
dal creditore (delegante) che conferisce l'incarico al debitore (delegato) di conferire il credito ad un
terzo (delegatario). Il debitore conseguendo il credito verso il delegatario è sciolto dal vincolo
obbligatorio con il creditore. Il creditore non cede il diritto ad un terzo, ma conferisce l'incarico al
debitore di conseguirlo al terzo stesso. Il terzo non si qualifica come cessionario in quanto non
acquista il credito ma ne consegue ugualmente l'oggetto della obbligazione. La delegazione attiva è
molto frequente nei casi in cui il creditore sia a sua volta debitore di un terzo.

Modificazioni nel lato passivo del rapporto.


Si è visto come la modificazione nel lato attivo del rapporto sia di regola indifferente per il debitore
che è tenuto in ogni caso ad adempiere alla sua obbligazione. Per quanto riguarda la modificazione
del lato passivo del rapporto si verificano comunque conseguenze abbastanza rilevanti con cui si ha
la sostituzione del debitore originario con un terzo. Tuttavia tale sostituzione potrebbe portare alla
insolvenza del terzo nei confronti del creditore rispetto al debitore originario. In conseguenza della
morte del debitore il creditore è costretto a subire la modificazione del soggetto passivo. Trattandosi
di successione entrano a far parte del rapporto con il creditore i rispettivi eredi. Quando invece il
debitore intende sostituire se stesso nella posizione debitoria o quando intende aggiungere un'altra
soggetto accanto alla sua posizione debitoria si parla di assunzione del debito altrui. Tale assunzione
del debito da parte del terzo nei confronti del creditore può portare alla liberazione del creditore
originario (assunzione liberatoria) o affiancare il terzo nella posizione di debitore insieme al debitore
originario nei confronti del creditore (assunzione comulativa). I modi di assunzione del debito
previsti dalla legge in ogni caso sono:
• Delegazione passiva
• Espromissione
• Accollo
Le prime due si realizzano attraverso un accordo tra terzo e creditore mentre l'ultima si realizza con
un accordo tra terzo e debitore originario con adesione del creditore. La liberazione del creditore
originario non può avvenire in ogni caso senza espressa volontà del creditore.

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Delegazione passiva.
Si è visto come nella delegazione attiva l'iniziativa della delega è presa dal creditore. Nella
delegazione passiva l'iniziativa è presa dal debitore. In particolare il debitore (delegante) conferisce
l'incarico ad un terzo (delegato) di adempire o di promettere di adempire all'obbligazione nei
confronti del creditore (delegatario). Se l'obbligazione è di adempire allora si tratta di delegazione di
pagamento con cui il terzo, attraverso una sua prestazione economica e nei confronti del creditore,
libera il debitore originario. Se l'incarico è di promettere di adempire il terzo si aggiunge nella
posizione debitoria accanto al debitore originario o in sostituzione dello stesso.

a) Quanto alla funzione la delegazione passiva realizza scopi diversi. Spesso è rivolta alla
concentrazione delle prestazioni. Esempio se Tizio è debitore verso Caio ma creditore verso
Sempronio, è sufficiente che Sempronio adempia nei confronti di Caio per estinguere entrambi i
rapporti. Talvolta la delegazione è accompagnata da una concessione di un mutuo del terzo al
debitore. Esempio non essendo il debitore in grado di adempiere, può incaricare un terzo di pagare
il creditore anticipando i fondi necessari. Può avvenire che il terzo esegua l'ordine di pagamenti a
titolo gratuito.

E possibile delineare due rapporti sottostanti al meccanismo della delegazione:


- Rapporto di valuta, corrente tra debitore creditore, in base al quale il debitore deve
adempiere un obbligo.
- Rapporto di provvista, corrente tra debitore e terzo, in base al quale il terzo assume o
paga il debito.

b) Per quanto riguarda la struttura della delegazione passiva bisogna analizzare le modalità di
coinvolgimento del terzo. Alla base della delegazione vi è un mandato delegatorio del debitore al
terzo con il quale il delegante conferisce l'incarico al delegato di assumere il debito o il pagamento
nei confronti del creditore.
A seconda dell'oggetto del mandato distinguiamo due tipi di delegazione: di pagamento e di debito.
• La delegazione di pagamento è il modello più semplice con cui il debitore conferisce
l'incarico ad un terzo di assumere il pagamento dell'obbligazione nei confronti del creditore
estinguendo l'obbligazione verso il debitore originario. Non si ha successione nel debito. Si
pensi all'assegno bancario con cui un cliente ordina alla banca di pagare una determinata
somma ad un beneficiario. Sebbene il debitore abbia delegato il terzo al pagamento
dell'obbligazione in sostituzione sua, il debitore originario può a sua volta obbligarsi verso il
terzo se questo ne fa espressa dichiarazione. Il terzo non è tenuto ad accettare l'incarico di
pagamento al creditore anche se è debitore del delegante. Non obbligandosi verso il terzo il
creditore non ha alcun titolo per agire nei suoi confronti.
• La delegazione di debito ha invece un meccanismo più complesso. Innanzitutto vi è un
incarico da parte del debitore originario verso il terzo di promettere di adempire al
pagamento verso il creditore. Sono necessari due negozi. Un negozio di assunzione del
debito da parte del terzo nei confronti del creditore e un negozio di assegnazione del nuovo
debitore. L'esito della delegazione di debito è l'assunzione del debito da parte del terzo
verso il creditore. Il debitore originario non è liberato dalla obbligazione se il creditore non lo
dichiara espressamente. Con la liberazione del debitore originario si realizza l'assunzione
liberatoria che va a sostituire il debitore originario con il terzo nel medesimo rapporto. Il
creditore che ha liberato il debitore originario non ha più azione contro lui se il terzo diviene
insolvente. Tuttavia se il terzo era insolvente al momento in cui assunse il debito nei
confronti del debitore originario, il debitore originario non è liberato dalla obbligazione. Se il

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debitore originario non dichiara al creditore di assegnargli un terzo che assolva al debito per
suo conto, e il terzo non rivela al creditore di agire per conto del debitore originario si ricorre
alla figura dell'espromissione.
Quanto alla estinzione della delegazione, sia in caso di delegazione di pagamento sia nel caso di
delegazione di debito, il debitore originario può revocare la delegazione, fino a quando il terzo non
abbia adempiuto o assunto l'obbligazione nei confronti del creditore. Il terzo può adempire o
assumere il debito verso il creditore anche dopo la morte del debitore originario o in caso di
incapacità del debitore originario.

Espromissione.
L'espromissione è un contratto tra terzo e creditore. Il terzo assume nei confronti del creditore il
debito dell'debitore originario senza ordine del debitore oppure laddove esista la delega del
debitore originario, il creditore non ne venga a conoscenza. Il terzo che assume il debito nei
confronti del creditore in nome del debitore originario è obbligato in solido col debitore originario
se il creditore non dichiara espressamente di liberarlo. Un esempio di espromissione può essere
l'azione compiuta dal genitore per conseguire il pagamento dell'obbligazione assunta dal figlio nei
confronti del creditore.
Anche l'espromissione fa in modo che il terzo si affianchi al debitore originario nella posizione
obbligatoria dando luogo all'assunzione comulativa, ma a sua volta l'espromissione puo essere
anche liberatoria con la conseguente liberazione del debitore originario nei confronti del creditore.
Per quanto riguarda le eccezioni, in mancanza di una delegazione da parte del debitore originario, si
esclude che possano essere opposte al creditore.

Accollo.
L'accollo è un contratto tra debitore e terzo con il quale il terzo assume nei confronti del creditore il
debito del debitore originario. In tale rapporto il creditore si trova in una posizione esterna. L'accollo
può derivare da varie giustificazioni, ad esempio il terzo può decidere di assumere il debito altrui
per estinguere il suo debito verso il debitore, o per compiere in suo favore un'operazione di
finanziamento o anche solo per spirito di liberalità. L'accollo può essere interno ed esterno.
• L'accollo interno non è regolato dal codice civile ma presenta una sua elaborazione dalla
giurisprudenza e dalla dottrina. Si svolge tra il terzo e il debitore rimanendo estraneo dal
rapporto di accollo il creditore. Il terzo assume nei confronti del debitore l'obbligo di tenerlo
indenne dal peso del debito. Terzo e debitore possono modificare in ogni momento
convenzione di accollo senza l'intervento del creditore. Nel caso di mancata osservanza
dell'obbligo il terzo risponde dell'inadempimento verso il debitore originario e non verso il
creditore.
• L'accollo esterno è l'unico previsto dalla legge e rappresenta la figura più complessa di
questa fattispecie. Quando il creditore aderisce alla convenzione. Rendendo il revocabile e
immodificabili la stipulazione a suo favore. In questo modo, a differenza dell’accollo interno,
risponde dell’inadempimento anche l’accollante e non solo l’accollato.
La convenzione di accollo oltre che interessare debitore e terzo, interessa anche al creditore che
può aderire alla convenzione stipulata. Come ogni altra assunzione del debito altrui l'accollo può
essere cumulativo o liberatorio. Nel caso di accollo liberatorio si prevede nella convenzione la
liberazione dall'obbligazione del debitore originario da parte del creditore. In ogni caso il creditore,
in assenza della dichiarazione di liberazione, può liberare il debitore originario per dichiarazione
espressa. Il creditore che ha aderito all’accollo liberatorio non ha azione contro il debitore originario
in caso di insolvenza del terzo. Se però l'accollante era già insolvente al tempo in cui assunse il
debito, il debitore originario non sarà liberato dall'obbligazione. Quanto alle eccezioni si è visto che
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il creditore aderisce al contratto di accollo e perciò si adegua a tutte le eccezioni che vi inseriscono
debitore e terzo. Perciò il terzo può opporre al creditore tutte le eccezioni previste nella
convenzione di accollo ed anche in assenza di una espressa previsione di eccezioni, il terzo può far
valere nei confronti del debitore le eccezioni relative al rapporto tra debitore originario e creditore.

C) Modificazioni oggettive.
La modificazione oggettiva ha riguardo ad una modificazione del contenuto o dell’oggetto della
medesima obbligazione. Le modificazioni dell’oggetto dell’obbligazione non importano estinzione
della stessa.

Surrogazione reale.
Un fenomeno di surrogazione reale si ha in conseguenza della impossibilità sopravvenuta della
prestazione dovuta. Il creditore divenuta impossibile, subentra nei diritti spettanti al debitore in
dipendenza del fatto che ha causato l'impossibilità, e può esigere dal debitore la prestazione di
quanto questi abbia conseguito a titolo di risarcimento danni.

Ristrutturazione del debito.


É una procedura che prevede un accordo con il quale le condizioni originarie di un prestito (tassi,
scadenze, divisa, periodo di garanzia) vengono modificate per alleggerire l’onere del debitore.

CAPITOLO 3
ESTINZIONI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO.

Tipologia dei modi di estinzione.


Come si è visto il rapporto obbligatorio è finalizzato al soddisfacimento dell'interesse del creditore
mediante la cooperazione con il debitore. Il rapporto obbligatorio è destinato ad estinguersi quando
il soddisfacimento dell'interesse si è realizzato, quando il soddisfacimento dell'interesse sia divenuto
irrealizzabile oppure quando è realizzato un interesse diverso da quello perseguito dal creditore ma
che la legge stessa o il creditore reputi idoneo al fine di determinare l'estinzione dell'obbligazione.

Per quanto riguarda le cause estintive dell'obbligazione bisogna distinguere cause generali da cause
specifiche. Nelle cause generali rientra la prescrizione e la morte del titolare di situazioni
indisponibili. Per quanto riguarda la prescrizione, ogni diritto disponibile si estingue per prescrizione
se il titolare non lo esercita nei tempi previsti dalla legge. Per quanto riguarda la seconda ipotesi,
con la morte del soggetto si estinguono le obbligazioni soggettivamente infungibili o ritenute tali
dalle parti. Per quanto riguarda le cause specifiche bisogna proporre una divisione tra modi di
estinzione satisfattivi e modi di estinzione non satisfattivi.
• Sono modi di estinzione satisfattivi quelli che determinano la estinzione dell'obbligazione
con la realizzazione dell'interesse del creditore.
• Sono modi di estinzione non satisfattivi le cause di estinzione dell'obbligazione senza
soddisfacimento dell'interesse del creditore. Rilevano in tal modo: la novazione, la
remissione in debito e l'impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non
imputabile al debitore.

Adempimento.
L'adempimento è atto dovuto dal debitore. Rappresenta il normale modo di attuazione del rapporto
obbligatorio in quanto realizza il diritto del creditore mediante l'esecuzione della prestazione da
parte del debitore facendo conseguire al creditore il bene oggetto dell'obbligazione. In tal modo
l'adempimento rappresenta una vicenda satisfattiva. Il debitore che ha eseguito la prestazione non
può impugnare l'adempimento per incapacità proprio perché è tenuto comunque a procurare il
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bene al debitore. L'adempimento può essere compiuto personalmente dal debitore o mediante un
mandatario o altro soggetto legittimato all'adempimento. Principio generale è che il debitore
risponde dei mandatari circa le cause di adempimento dell'obbligazione. Esistono poi soggetti
legittimati dalla legge all'adempimento esempio è il rappresentante legale del soggetto incapace
oppure l'organo giudiziario. Le spese dell'adempimento sono a carico del debitore. Il debitore che
ha adempiuto ha diritto alla quietanza ossia un documento formale che attesta l'avvenuto
pagamento del bene oggetto dell'obbligazione.

Esattezza dell'adempimento, diligenza e correttezza.


La legge richiede che la prestazione sia eseguita in modo esatto. Il debitore che non esegue
esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che
l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da
causa a lui non imputabile.

Requisito generale è il dovere di diligenza nell'adempimento che si sostanzia come lo sforzo,


personale, tecnico o economico, del debitore per soddisfare l'interesse del creditore. L'art. 1176
fissa poi due parametri di diligenza.
• Una diligenza generale ossia la diligenza del buon padre di famiglia, uomo comune, accorto
ed equilibrato nella cura dei suoi interessi.
• Una diligenza tecnica che opera con riferimento al mondo delle impresa e delle professioni
che implica conoscenza e perizia tecnica nell'espletamento dell'attività economica
professionale.
Altro requisito fondamentale è la correttezza che a differenza della diligenza nell'adempimento che
interessa solo il debitore, interessa sia il creditore che il debitore che sono obbligati a comportarsi
secondo le regole della correttezza.

Requisiti della prestazione.


Il debitore è obbligato ad eseguire la prestazione con le modalità convenute ovvero secondo gli usi e
in mancanza con le modalità previste dalla legge.
• Per quanto riguarda il luogo dell'adempimento, se il luogo della prestazione non è presente
nella convenzione o negli usi o non è definito nel contratto valgono le seguenti regole
disposte dalla legge. L'obbligazione di consegnare una determinata cosa va adempiuta nel
luogo in cui si trovava la cosa al momento in cui è sorta l'obbligazione. L'obbligazione di
consegnare una data somma di denaro deve essere adempiuta presso il domicilio del
creditore al tempo della scadenza. Se però il domicilio del creditore è diverso da quello
esistente al momento della nascita della obbligazione il debitore ha obbligo di eseguire la
prestazione presso il suo domicilio. In ogni altro caso l'obbligazione va adempiuta nel
domicilio del debitore al tempo della scadenza.
• Riguardo al tempo dell'adempimento, l'obbligazione va eseguita nel termine di scadenza del
debito corrispondente alla sua esigibilità. Quando il termine di esecuzione non è
determinato il creditore può esigere la prestazione immediatamente. Poiché l'adempimento
procrastina nel tempo è importante stabilire se l'esecuzione sia a vantaggio del debitore, del
creditore o di entrambi. Regola fondamentale è che in mancanza di accordo, il termine è
presunto a favore del debitore, nel senso che il debitore può eseguire la prestazione anche
prima della scadenza. Il creditore non può chiedere l'adempimento anticipatamente. Se il
termine è stabilito a favore del creditore questo può chiedere la prestazione prima della
scadenza, ma il debitore non può adempire anticipatamente contro la volontà del creditore.
Se è stabilito in favore di entrambi il debitore deve eseguire e il creditore può esigere la

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prestazione solo nel termine stabilito. In ogni caso il debitore decade dal termine in suo
favore e il creditore può conseguire immediatamente l'oggetto della obbligazione se il
debitore è divenuto insolvente, ha diminuito le garanzie o non le ha di fatto più prestate.
• Per quanto riguarda il bene dovuto innanzitutto la prestazione deve essere integrale nel
senso che il debitore è tenuto a procurare per intero il bene dovuto. Il creditore può anche
rifiutare l'adempimento parziale salvo che la legge disponga diversamente. Se però la
prestazione è divenuta parzialmente impossibile, il debitore si libera dalla obbligazione
eseguendo la parte che è rimasta possibile. Se l'adempimento ha ad oggetto cose
determinate solo nel genere, il debitore non può prestare cose inferiore alla media.
L'obbligazione di consegnare include anche poi l'obbligo di custodirla. Così in tema di
vendita il venditore che vende un oggetto al momento della consegna, la cosa deve trovarsi
nello stesso stato in cui si trovava al momento della vendita.
• Imputazione del pagamento. Quando un soggetto ha più debiti nei confronti della stessa
persona è importante stabilire a quale prestazione ha oggetto l'adempimento
dell'obbligazione per eliminare le relative incertezze. Il debitore può dichiarare in tal modo
quando paga, quale debito intende soddisfare al fine di liberarsi dalle specifiche obbligazioni.
In assenza di imputazione del debitore, opera la imputazione del creditore, se compiuta nella
quietanza e questa è accettata dal debitore. Mentre in assenza di imputazioni sia del debitore del
creditore, opera la imputazione legale (articolo 1193), secondo la quale il pagamento deve essere
imputato prima e debiti scaduti, tre debiti scaduti quello meno garantito, tra i debiti ugualmente
garantiti, il più oneroso, e tra I più onerosi, il più antico.
• Destinatario dell'adempimento. L'adempimento deve essere fatto al creditore o al suo
rappresentate ovvero la persona da lui incaricata alla riscossione del debito. Tale soggetto
non è titolare del diritto e quindi non può esercitarlo ma è solo legittimato a riceverlo. Circa
le persone incaricate dal creditore per riscuotere l'obbligazione bisogna comunque parlare di
una conseguente comunicazione del creditore al debitore per renderlo a conoscenza del
soggetto a cui conseguire l'obbligazione. Per quanto riguarda i soggetti autorizzati dalla legge
rilevano il rappresentate legale dell'incapace, l'ufficiale giudiziario, il curatore fallimentare
ecc. L'adempimento del soggetto non legittimato non libera dalla obbligazione il debitore di
fatto costretto ad eseguire nuovamente la prestazione dovuta. L'adempimento compiuto nei
confronti del creditore incapace non libera il debitore se questo non prova che il creditore ne
abbia tratto un vantaggio. Diverso risulta l'adempimento al creditore apparente. L'apparenza
è causa di liberazione del debitore per aver suscitato nello stesso un ragionevole
affidamento che il ricevente fosse il vero creditore ovvero legittimato a riceverlo. Il debitore
quindi che esegue il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo è liberato se prova di
essere stato in buona fede.

Adempimento del terzo.


Con riguardo all'adempimento del terzo l'esecuzione della prestazione proviene da un soggetto
diverso dal debitore, non può trattarsi dunque di un rappresentante del debitore perché
l'adempimento sarebbe sempre ricollegabile al debitore. Con l'adempimento del terzo vi è la
realizzazione del credito del creditore senza attuazione dell'obbligo, in quanto il creditore viene
soddisfatto dal terzo e non dal debitore. In ogni caso il terzo non è obbligato ad adempiere verso il
creditore. L'adempimento del terzo in favore del creditore produce l'estinzione dell'obbligazione.
Talvolta però pur intervenendo il soddisfacimento del creditore il debito non si estingue. Questo è il
caso del pagamento con surrogazione. Di regola l'interesse del creditore è rivolto al conseguimento
del credito dedotto dall'obbligazione restando indifferente il soggetto che glielo procura. Dall'altra
parte anche il debitore si trova orientato alla liberazione della obbligazione anche se l'effetto è

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prodotto da un terzo. La legge tuttavia prevede un potere di rifiuto dal creditore ammesso in due
ipotesi. Quanto il creditore ha interesse che il debitore consegui all'adempimento dell'obbligazione
personalmente oppure quando il debitore si opponga all'adempimento del terzo, il creditore deve
rifiutare che il terzo adempia.

Dazione in pagamento.
Di particolare importanza risulta la dazione in pagamento secondo cui il debitore non può liberarsi
dalla obbligazione eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta anche se di valore uguale o
maggiore senza che il creditore lo consenta. Con la dazione in pagamento si realizza l'interesse del
creditore ma con la sostituzione del bene originario oggetto della precedente obbligazione. In tal
modo la dazione in pagamento si distingue dalla novazione. Ai fini della realizzazione dell'interesse
del creditore rileva la volontà dello stesso di conseguire un bene diverso da quello originario. In tal
modo l'obbligazione si estingue quando la diversa prestazione è eseguita. Se la dazione consiste nel
trasferimento della proprietà o di altro diritto reale il debitore è tenuto alla garanzia per evizione e
per vizi secondo le norme della vendita salvo che il creditore preferisca esigere la prestazione
originaria e il risarcimento del danno. Se la dazione consiste nella cessione del diritto di credito
l'obbligazione si estingue con la riscossione del credito ceduto. Il cedente deve garantire la solvenza
del debitore. Quando la dazione in pagamento non ha prodotto l'effetto sperato è possibile far
valere il diritto di credito originario con le garanzie prestate dal debitore.

Mora del creditore.


Il creditore è in mora quando senza alcun motivo legittimo si rifiuta di ricevere il pagamento offerto
dal debitore nei modi indicati dalla legge oppure non compie quanto è necessario affinché debitore
possa adempiere all'obbligazione.

L'articolo 1206 del codice civile indica le condizioni alle quali può aversi mora del creditore; si tratta
di una situazione atipica in cui creditore, invece di ottenere quanto gli è dovuto, rifiuta o ostacola
l'adempimento del debitore.

Questa situazione, per quanto paradossale possa sembrare, spesso si verifica nella realtà, in quanto
il creditore, per i motivi più vari, cerca di mantenere una posizione di supremazia nei confronti della
persona del debitore, supremazia che appunto gli deriva dall'esistenza del vincolo obbligatorio.
Il codice civile parla di " mora del creditore " accostandola, almeno dal punto di vista terminologico,
alla ben più frequente mora del debitore.
In realtà si tratta di situazioni completamente differenti, perché il creditore non è obbligato ma solo
onerato a ricevere la prestazione, mentre il debitore è obbligato ad adempiere; tuttavia il
comportamento del creditore può causare difficoltà e danni al debitore che per questo motivo deve
avere il modo di liberarsi dall'obbligazione anche quando il creditore non voglia.

Vediamo schematicamente le varie fasi che portano alla liberazione del debitore;
• 1. il debitore offre di eseguire la sua prestazione nei termini stabiliti, ma il creditore la rifiuta
senza alcun motivo legittimo (offerta non formale art. 1220 c.c.)
• 2. di fronte al rifiuto del creditore a ricevere la prestazione, il debitore ricorre ad un'offerta
fatta secondo le modalità dell'articolo 1208 c.c. detta " offerta solenne ". L'offerta solenne ha
caratteristiche diverse secondo il tipo di prestazione: a) è reale se l'obbligazione ha per
oggetto: denaro, titoli di credito, oppure cose mobili da consegnare al domicilio creditore; b)
se si tratta di cose mobili da consegnare in luogo diverso dal domicilio del creditore l'offerta
consiste dell'intimazione a riceverle (offerta per intimazione); c) se deve essere consegnato
un immobile l'offerta consiste dell'intimazione al creditore di prenderne possesso (art. 1216
c.c.); d) se la prestazione consiste in un fare il creditore è costituito in mora mediante
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intimazione di ricevere la prestazione o di compiere gli atti necessari affinché questa possa
svolgersi (art. 1217 c.c.)
• 3. eseguita correttamente offerta solenne e rifiutata dal creditore, quest'ultimo è
considerato a tutti gli effetti in mora con le conseguenze stabilite dall'articolo 1207 c.c.
• 4. per liberarsi definitivamente dall'obbligazione il debitore, di fronte al perdurare del rifiuto
del creditore a ricevere la prestazione, dovrà depositare le cose dovute (art. 1210 c.c.)
secondo le modalità indicate dall'articolo 1212 c.c. ; solo quando il creditore accetta il
deposito, oppure, in caso di rifiuto, quando passa in giudicato la sentenza con la quale viene
ritenuto valido il deposito, il debitore sarà completamente liberato dall'obbligazione
Il debitore che vuole evitare le conseguenze che derivano dall'inadempimento è quindi costretto ad
offrire la sua prestazione con un'offerta solenne.
Eseguita l'offerta solenne si produrranno gli effetti della mora del creditore, effetti che sono
schematizzati qui sotto:
• il creditore subisce il rischio derivante dall'impossibilità sopravvenuta dalla prestazione per
causa non imputabile al debitore;
• il debitore non deve più corrispondere gli interessi o i frutti della cosa;
• il creditore è tenuto a risarcire il debitore degli eventuali danni derivanti dalla mora e a
rimborsarlo delle spese per la custodia e la conservazione della cosa dovuta.

Modi di estinzione indirettamente satisfattivi.


Si fa riferimento alle ipotesi in cui è soddisfatto un interesse del creditore, non solo diversamente da
quello originariamente perseguito ma anche attuato senza adempimento. Figure tipiche di questa
fattispecie sono la compensazione e la confusione.

Compensazione.
La compensazione si verifica quando due persone sono obbligate una verso l'altra per debiti e
crediti reciproci; in questo caso i reciproci debiti e crediti si estinguono per le quantità
corrispondenti.

La compensazione per operare ha bisogno di alcuni presupposti; non basta, infatti, che vi siano dei
semplici reciproci rapporti di debito e credito tra le parti, ma è anche necessario che tali rapporti
rappresentino crediti omogenei, liquidi ed esigibili.
A queste condizioni la compensazione opera automaticamente, senza che le parti debbano fare
altro e, per questo motivo, è detta compensazione legale.

Il nostro codice, però, conosce altri due tipi di compensazione, la compensazione giudiziale e la
volontaria.

Vediamo nella sottostante tabella i tre tipi di compensazione e le condizioni alle quali possono
operare.
• compensazione legale (art. 1243 c.c.) opera automaticamente fin dal momento della
coesistenza di reciproci rapporti di debito e credito quando questi siano:
omogenei: devono avere lo stesso oggetto, come due crediti di denaro o di cose fungibili;
liquidi: quando sono esattamente determinati del loro ammontare;
esigibili: quando non sono sottoposti né a termine ne è condizione;
• compensazione giudiziale (art. 1243 c.c. comma 2) si verifica quando il debito opposto in
compensazione non è liquido, cioè non è esattamente determinato, ma è di facile è pronta

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soluzione. In questo caso il giudice può dichiarare la compensazione per la parte del debito
che riconosce esistente.
• compensazione volontaria (art. 1252 c.c.) anche quando i debiti i crediti reciproci non
presentino le caratteristiche di omogeneità, liquidità e esigibilità, possono essere comunque
compensati in base all'accordo delle parti.
L'articolo 1246 del codice civile indica i casi in cui la compensazione non si verifica, nonostante
l'esistenza delle altre condizioni previste dalla legge. In particolare si vieta la compensazione per i
crediti per cui il proprietario sia stato ingiustamente spogliato, per la restituzione di cose depositate
o date in comodato, per crediti dichiarati impignorabili, per rinunzia alla compensazione e negli altri
casi in cui il divieto è stabilito dalla legge come nell'ipotesi in cui il credito abbia natura alimentare.

Confusione.
La confusione ha luogo quando la qualità di creditore e debitore si riuniscono nella stessa persona.
Ad esempio un soggetto che è creditore verso un altro soggetto ma poi successivamente diventa
suo erede oppure un imprenditore che è creditore verso altro imprenditore, acquista la sua azienda.
In entrambe le ipotesi lo stesso soggetto assume la qualifica di debitore e di creditore. La riunione
nella stessa persona del creditore ed del debitore porta all'estinzione dell'obbligazione per
confusione.

Modi di estinzione non satisfattivi.


In tale ipotesi il creditore non sarà soddisfatto ne direttamente in quanto non c'è adempimento ne
indirettamente in quanto il creditore non trae nemmeno il vantaggio dalla estinzione della posizione
del debitore. I modi di estinzione non satisfattivi sono: la novazione, remissione in debito,
impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al debitore.

Novazione.
Con la novazione il rapporto obbligatorio originario viene sostituito con un nuovo rapporto. La
novazione può inerire all'oggetto o al titolo oppure ai soggetti.
La novazione oggettiva è l'unico tipo di novazione regolato dalla legge. Con la novazione oggettiva si
ha la sostituzione dell'obbligazione originaria con una nuova obbligazione che può avere oggetto o
titolo diverso. La novazione si atteggia come contratto consensuale poiché il consenso del creditore
risulta fondamentale ai fini della costituzione della novazione. La novazione si distingue in tal modo
dalla dazione in pagamento proprio perché nel caso della dazione il creditore, nonostante muti
l'oggetto della obbligazione viene soddisfatto del suo credito, nella novazione non vi è comunque
soddisfacimento per il creditore.

Affinché la novazione possa esistere sono necessari tre presupposti:


• L'obbligazione da novare. Se la obbligazione originaria non esisteva la novazione è senza
effetto poiché non si può sostituire una cosa che non esiste.
• L'intento novativo o animus novandi. Ossia la volontà di estinguere l'obbligazione originaria
deve risultare in modo non equivoco. La volontà può essere manifestata anche tacitamente
purché rivolta alla novazione.
• Terzo presupposto è il mutamento che può essere o dell'oggetto o del titolo.
Con la novazione, come abbiamo già visto, si produce l'estinzione dell'obbligazione originaria; di
conseguenza si estingueranno anche tutte le garanzie collegate all'obbligazione novata. Accanto alla
novazione trattata dall'articolo 1230, detta novazione oggettiva, dobbiamo anche considerare un
altro importante tipo di novazione di cui abbiamo avuto occasione di accennare nell'analisi dei
contratti di delegazione, espromissione e accollo.

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Ci riferiamo alla novazione soggettiva passiva che si ha quando, restando immutati gli altri elementi
del rapporto, ne mutano i soggetti. Avremo, quindi, novazione soggettiva attiva se vi sarà
mutamento della persona del creditore, mentre avremo novazione soggettiva passiva quando vi
sarà mutamento della persona del debitore
Anche la novazione soggettiva, al pari di quella oggettiva, produce l'estinzione del vecchio rapporto
obbligatorio con la conseguenza che il vecchio debitore sarà completamente liberato dalla sua
obbligazione mentre unico soggetto obbligato sarà il nuovo debitore.

Remissione del debito.


Con la remissione del debito il creditore rinunzia in tutto in parte al suo credito nei confronti del
debitore. La comunicazione al debitore della remissione fa estinguere l'obbligazione salvo che il
debitore dichiari in un congruo termine di non volerne profittare.

Come si vede dalla nozione, con la remissione del debito si provoca l'estinzione dell'obbligazione in
base alla dichiarazione unilaterale espressa dal creditore. Per questo motivo la dottrina prevalente
ritiene la remissione del debito negozio unilaterale recettizio, e non contratto; tuttavia il debitore
può far venir meno di effetti della remissione con efficacia retroattiva, comunicando in un congruo
termine di non volerne profittare.

Tradizionalmente si distinguono due tipi di remissione del debito:


• remissione espressa: si verifica nel caso ordinario in cui il creditore comunica al debitore la
remissione del debito.
• remissione tacita: è il caso previsto dall'articolo 1237 del codice civile secondo cui la
restituzione volontaria del titolo originale del credito fatta dal creditore al debitore
costituisce prova della liberazione.
Quanto alle garanzie, la rinunzia alle stesse non fa presumere la remissione del debito (1238).
Viceversa la remissione accordata dal debitore principale libera i fideiussori (1239).
Diversamente dalla remissione si atteggia il Pactum de non petendo con il quale il creditore si
obbliga a non chiedere al debitore l’adempimento prima di un dato tempo.

Impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore.


L'obbligazione si estingue quando per causa non imputabile al debitore la prestazione diviene
impossibile.

Come si vede dalla nozione, l'estinzione dell'obbligazione si verifica solo quando l'impossibilità non
può essere causalmente ricollegata al debitore; se, invece, impossibilità della prestazione fosse da
attribuire al debitore, non vi sarebbe estinzione dell'obbligazione e il creditore potrebbe far valere il
suo diritto come risarcimento del danno.

Per ottenere, quindi, estinzione dell'obbligazione con conseguente esonero della responsabilità,
l'impossibilità di esecuzione della prestazione deve avere caratteristiche ben precise indicate negli
articoli 1256 e seguenti.

L'impossibilità deve essere:


• sopravvenuta: deve intervenire dopo la nascita dell'obbligazione
• oggettiva e assoluta: la prestazione deve essere oggettivamente impossibile e non divenuta
impossibile solo per il debitore che, ad esempio, non può invocare l'impossibilità adducendo
di non avere i mezzi economici per adempiere

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• non imputabile al debitore: il debitore non deve aver causato con il suo comportamento
impossibilità della prestazione, ad esempio provocando la distruzione del bene a
consegnare. L'impossibilità quindi, deve derivare da caso fortuito o da forza maggiore
• definitiva: l'impossibilità deve essere di natura tale da non consentire in alcun modo
l'adempimento.

Altre ipotesi relative all'impossibilità fanno riferimento alla:


• impossibilità temporanea consiste in una situazione oggettiva che impedisce
temporaneamente al debitore di eseguire una prestazione
• impossibilità parziale la prestazione è divenuta solo parzialmente impossibile. In tale caso,
secondo l'articolo 1258 c.c., l'impossibilità parziale della prestazione non provoca
l'estinzione dell'obbligazione se è possibile eseguirla per la parte rimanente. In questo caso il
debitore si libera dell'obbligazione eseguendola prestazione per la parte che rimasta
possibile.
Tradizionalmente si ritiene che il debitore per liberarsi da responsabilità, debba provare il caso
fortuito o la forza maggiore, fatti che possono derivare da un'impossibilità fisica, ad esempio
l'incendio che distrugge il bene da consegnare, o da impossibilità giuridica, come una legge che vieti
il commercio dei beni. La prova dell'impossibilità è a carico del debitore ex. art. 1218 c.c. che deve
provare la oggettività e assolutezza dell'impossibilità. Ciò vuol dire, in altre parole, che il debitore
deve provare che l'impossibilità non era superabile, non solo da lui, ma da ogni soggetto che si fosse
trovato nella stessa situazione.

Si distinguono quindi:
• impossibilità oggettiva, che fa riferimento alla prestazione in sé tale che nessun debitore
potrebbe eseguirla;
• impossibilità soggettiva, che attiene alla persona del debitore che non è in grado,
fisicamente o economicamente, di eseguirla mentre potrebbe essere eseguita da altri.
Di conseguenza se il debitore, nonostante l'uso della adeguata diligenza, non avrà adempiuto
l'obbligazione, non sarà responsabile per l'inadempimento, e non potendo il creditore richiedere
l'esecuzione della prestazione, si avrà comunque estinzione dell'obbligazione.
4
Inadempimento dell'obbligazione

Inadempimento e impossibilità sopravvenuta.


L'art. 1218 afferma che il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al
risarcimento del danno se non prova che l'inadempimento è dovuto da cause non imputabili a lui
stesso.
Tale previsione si collega poi con l'art. 1256 secondo cui l'obbligazione si estingue quando, per causa
non imputabile al debitore, la prestazione è divenuta impossibile. Per delineare la figura
dell'inadempimento è corretto capire se l'inadempimento sia collegabile ad una diretta
responsabilità del debitore o dovuto all'impossibilità della prestazione per una causa a lui non
imputabile. In astratto la prestazione potrebbe essere eseguita al fine di procurare una utilità al
creditore. Tuttavia il problema è a quale costo è a quale prezzo. Rileva in tal modo lo sforzo che il
creditore debba eseguire per soddisfare l'interesse del creditore. Un esempio può essere fatto
attraverso due soggetti, un venditore e un compratore. Il venditore trasporta le merci fino al
compratore per mezzo di un ponte. Nel caso in cui il ponte crolli, la prestazione del venditore nei
confronti del compratore diviene si possibile, poiché potrebbe essere utilizzato un elicottero, ma
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comunque non vantaggiosa perché il costo di trasporto risulta essere maggiore rispetto al prezzo
della marce. Quindi si potrebbe ritenere il venditore libero dalla prestazione nei confronti del
compratore.

Responsabilità per inadempimento.


Esistono due modelli di illecito civile. Illecito contrattuale e illecito extracontrattuale a seconda che
tra l'autore del danno e il soggetto danneggiato sussista o meno un rapporto giuridico di cui l'atto
illecito costituisce lesione.
• L'illecito contrattuale consiste in una lesione del rapporto giuridico corrente tra l'autore
dell'illecito e il soggetto danneggiato. Appunto l’inadempimento del rapporto obbligatorio
integra un fatto illecito per tenere il debitore un comportamento contra legem lesivo del
diritto del creditore: in attuazione dell’obbligazione assunta comporta la responsabilità del
debitore di risarcire il danno arrecato al creditore.
• L'illecito extracontrattuale si verifica quando manca un precedente vincolo tra l'autore
dell'illecito e il soggetto danneggiato. Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri
un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno. In conseguenza
dell'atto lesivo sorge a carico del soggetto responsabile l'obbligazione del risarcimento del
danno.
Entrambi gli illeciti consegue dunque la responsabilità civile per i danni prodotti, con l’obbligo di
risarcimento del danno per il soggetto responsabile, come tipica sanzione civilistica.

Seguito e trattato il regime della responsabilità da inadempimento


a) Comportamento del debitore: Il debitore rimane responsabile dell’inadempimento se non
riesce a provare la cd. impossibilità liberatoria. Ma se, quindi, il debitore ha usato la diligenza
del buon padre di famiglia e, nonostante questo, l'obbligazione sia rimasta inadempiuta, è
certo che al creditore non dovrà corrispondergli quanto promesso, ma è altrettanto vero che
quest'ultimo non potrà pretendere dal debitore il risarcimento dei danni causatigli
dall'inadempimento. Se la obbligazione è inerente all'attività professionale del soggetto
nell'esecuzione della prestazione oggetto del vincolo dovrà utilizzare una diligenza
professionale.
In altre parole per esserci responsabilità è necessaria la colpa del debitore che consiste nel
non aver usato la diligenza richiesta.

b) È possibile delineare più modelli di responsabilità:


• Più spesso la responsabilità è collegata alla colpevolezza nell'inadempimento della
prestazione. Non c'è responsabilità senza colpevolezza.
La colpevolezza si atteggia in due forme, del dolo e della colpa.
Si ha dolo quando l'inadempimento è cosciente e volontario, in tal caso la responsabilità è più grave,
in questo caso il debitore risponde sia dei danni prevedibili che dei danni imprevedibili.
Si ha colpa quando l'inadempimento deriva da negligenza, imperizia, imprudenza, in questo caso il
debitore risponde solo dei danni prevedibili. In generale il debitore risponde solo dei danni
prevedibili a meno che non vi sia il dolo come causa nell'adempimenro della prestazione. Ciò infatti
distingue la situazione della responsabilità contrattuale da quella extracontrattuale in cui il soggetto
che ha causato il danno risponde anche del danno imprevedibile.
• Abbiamo ancora la responsabilità aggravata, quando si prescinde dalla colpevolezza ed il
debitore è liberato dalla obbligazione solo per impossibilità della prestazione dovuta a una
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caso fortuito (distruzione o perimento) o forza maggiore cui non è possibile sottrarsi (divieto
della pubblica autorità di commercio di un determinato bene)
• Esistono ancora altre ipotesi di responsabilità oggettiva dove il debitore risponde della
mancata o inesatta esecuzione della prestazione dovuta indipendentemente dalla diligenza,
causa fortuita, o causa di forza maggiore. Si collega alla figura di responsabilità oggettiva la
responsabilità per fatto degli ausiliari. Il debitore che nell'adempimento dell'obbligazione si
avvale di terzi risponde nei loro confronti anche dei danni colposi o dolosi.
• Ulteriore figura di responsabilità è quella per danno derivante da prodotto difettoso. Il
produttore è responsabile del danno cagionato dal difetto suo prodotto. Tale responsabilità
si estende anche al fornitore che abbia distribuito il prodotto se abbia omesso di comunicare
al danneggiato nei tre mesi dalla richiesta l'identità e il domicilio del produttore.
c) Sono nulle le clausole di esonero o limitazione della responsabilità del debitore per dolo o
colpa grave, le clausole di esonero da responsabilità sono valide invece per colpa ordinaria,
sono invece sempre nulle le clausole di esonero di responsabilità per fatti del debitore o dei
suoi ausiliari che fanno riferimento alla violazione di obblighi derivanti da norme di ordine
pubblico.
d) Altro delicato problema è quello dell'onere della prova tra debitore e creditore. Per l'art.
1218 il debitore è responsabile se non prova che l'inadempimento o l'inesatto adempimento
è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non
imputabile. Opera perciò il principio dell'inversione dell'onere della prova per cui non è il
creditore a dover provare l'inadempimento ma è il debitore a dover provare l'assenza di
responsabilità. Il creditore invece ha solo l'onore di provare la fonte del suo diritto di credito
ed il relativo termine di scadenza. Diverso è il regime della prova nella responsabilità
extracontrattuale dove è il soggetto danneggiato a dover provare la responsabilità
dell'autore del danno.
e) Riguardo il termine di prescrizione dell'azione di responsabilità è fissato in 10 anni
decorrenti dal giorno dell'esigibilità del credito. Il termine di prescrizione del diritto al
risarcimento del danno è fissato in 5 anni dal giorno in cui si è verificato l'illecito salvo
termini ancora più brevi.

Responsabilità da contatto sociale.


Sempre in maniera più diffusa si presenta rilevante la disciplina del contatto sociale con
l'attribuzione della responsabilità contrattuale in capo all'autore che ha causato il danno anche in
assenza di un vincolo di obbligazione verso il soggetto danneggiato. Il fenomeno è particolarmente
emerso nel campo delle professioni con riguardo al grado di perizia che si richiede al professionista.
Tale responsabilità ha avuto un suo particolare sviluppo sul terreno sanitario dove si tende ad
indicare la responsabilità contrattuale delle strutture sanitarie, private o pubbliche, per una non
diligente esecuzione della prestazione. Ugualmente si fa valere la responsabilità contrattuale anche
verso gli operatori sanitari come medici e infermieri se prestino verso il paziente una inesatta
esecuzione della prestazione. Un altro campo in cui si sviluppa la responsabilità da contatto sociale
è nel settore scolastico laddove infatti il minore subisca un danno causato da se stesso, risponde di
responsabilità contrattuale sia l'istituto scolastico sia l'insegnante.

L'adempimento coattivo.
Il creditore può soddisfare coattivamente l’interesse perseguito col rapporto obbligatorio,
permettendo di conseguire attraverso gli apparati giudiziari il bene dedotto in obbligazione non
procurato dal debitore: cd. adempimento coattivo che consente al creditore la realizzazione coattiva

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del credito. Per realizzare tale risultato opera lo strumento della esecuzione forzata nelle due specie
della esecuzione in forma specifica e della esecuzione per espropriazione.
• Esecuzione in forma specifica: il creditore consegue il medesimo bene oggetto
dell’obbligazione; il c.c. prevede più procedure in tale direzione, con le quali il creditore,
attraverso il processo, consegue coattivamente il bene dovuto dal debitore.
• Esecuzione forzata per espropriazione: impiegata per il conseguimento di somme di danaro,
il creditore, attraverso l’aggressione del patrimonio del debitore, consegue il bene dovuto
dal debitore: la normale fungibilità del danaro consente la realizzazione coattiva del credito
attraverso la vendita forzata e quindi la conversione in danaro dei beni assoggettati ad
esecuzione presenti nel patrimonio del debitore.
In ogni caso il fatto che il debitore si sia reso inadempiente, costringendo il creditore ad un’azione
giudiziaria per il soddisfacimento del suo interesse, consegua o meno il medesimo bene dedotto in
obbligazione, integra un illecito civile da inadempimento che obbliga il debitore al risarcimento del
danno.

Il risarcimento del danno.

Il risarcimento del danno si verifica quando il debitore non esegue, esegue in maniera inesatta,
esegue con ritardo la prestazione oggetto della obbligazione. L'inadempimento provoca quindi una
responsabilità del debitore per i danni subiti al creditore e per questo si dà luogo al risarcimento del
danno. Vediamo ora quando il creditore può chiedere il risarcimento del danno e in che misura.
a) Nesso di causalità: anzitutto deve sussistere un nesso di causalità tra il fatto
dell’inadempimento o del ritardo e la conseguenza dannosa, nel senso sono valutabili solo
quei danni che immediatamente sono riconducibile al comportamento imputabile del
debitore.
Il diritto al risarcimento del danno e dunque legato, non solo esistenza di un danno, ma
anche alla prova della derivazione del danno del mento del debitore. Tale ricerca implica di
valutare la catena causale degli eventi che si susseguono attraverso una ricostruzione del
nesso Ezio logico degli stessi a partire dal danno, per verificare gradualmente fino a quale
causa e dunque fino a quale evento e a quale soggetto è possibile condurre la
determinazione del danno.

b) Riparazione integrale del danno. L’entità del danno e differente a seconda che si
accompagni con la realizzazione coattiva del credito o meno: nella prima ipotesi, il
risarcimento è aggiuntivo all’adempimento coattivo. Nella seconda ipotesi, il risarcimento
sostitutivo della gentilmente e quindi deve reintegrare il creditore del mancato
conseguimento del bene avuto, e poi ristorarlo dei ulteriori danni subiti.
È risarcito l’interesse positivo del creditore all’adempimento. Il risarcimento deve coprire
integrare il ristoro del danno sofferto dal creditore per l’inadempimento, per l’articolo 1223
risarcimento del danno per il inadempimento o per il ritardo deve comprendere: la perdita
subita dal creditore (cd danno emergente) e il mancato guadagno (lucro cessante). Se il
danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con una
valutazione equitativa.

Mora del debitore.


La mora è dunque il ritardo ingiustificato nell’adempimento dell’obbligazione, la cui rilevanza
peraltro subordinata al ricorrere di specifici presupposti previsti all’articolo 1219. Per la caduta in
mora, oltre il ritardo imputabile, e di regola necessaria la cosiddetta costituzione in mora, che
avviene mediante intimazione o richiesta di adempimento fatta dal creditore per iscritto (mora ex
persona)

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L’atto di costituzione in mora è atto giuridico in senso stretto, in quanto gli effetti sono previsti
dall’ordinamento, ed è atto recettizio.
Per l’articolo 1219 la costituzione in mora e necessaria, e perciò la caduta in mora e automatica,
nelle seguenti tre ipotesi:
1. il debito deriva da fatto illecito; in questo caso il debitore è in mora dal momento in cui si è
verificato il fatto illecito
2. il debitore abbia dichiarato per iscritto di non voler adempiere
3. quando è scaduto il termine e la prestazione doveva essere eseguita presso il domicilio del
creditore

Effetti della mora.


Effetto generale e l’obbligo del debitore di risarcimento del danno conseguente ritardo, salvo che
non provi del ritardo stesso derivato da impossibilità temporanea della prestazione derivante da
causa non imputabile.
Una scena particolare opera per le obbligazioni pecuniarie, nell’ipotesi di ritardo ingiustificato e il
pagamento, è prevista la corresponsione di interessi legali con funzione sanzionatorio risarcitoria,
quale ristoro in capo al creditore della mancata disponibilità della somma non ricevuto.
È ammessa la cosiddetta purgazione della mora, cioè il venir meno dello stato di mora con i
conseguenti effetti, i presenti terminati preSupposti:
- Quando rettore stesso alle mura stato in mora con la rinuncia espressa da valersi della
stessa.
- Oppure al debitore consentito un adempimento tardivo.

La liquidazione del danno.


La liquidazione del danno consiste nella determinazione del risarcimento e perciò nella
quantificazione dell’ammontare dell’importo dovuto dal debitore al creditore per ristorarlo del
pregiudizio subito. Tale importo è l’oggetto dell’obbligazione risarcitoria, la cui misura varia in
ragione dell’accompagnarsi o meno ad un adempimento coattivo. Il creditore ha l’onere di provare
l’esistenza e l’ammontare del danno sofferto in conseguenza dell’inadempimento. Sugli interessi
moratori possono anche maturare ulteriori interessi dando vita all’anatocismo.

Concorso del fato colposo del creditore.


Nella configurazione della responsabilità per inadempimento, nella determinazione del danno da
risarcire rileva il comportamento tenuto del creditore tenuto ad un dovere di cooperazione con il
debitore. Tale raffigurazione fa riferimento al dovere di correttezza tra i due soggetti. Il fatto colposo
del creditore assume rilevanza giuridica in duplice modo:
• come partecipazione causale nel cagionare l’evento dannoso in questo caso il risarcimento è
diminuito a seconda della gravità della colpa del creditore.
• come inerzia nell’evitare il danno che integra un concorso di colpa del creditore per non aver
evitato i danni che potevano essere evitati con l'ordinaria diligenza. In tale caso il
risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando
l'ordinaria diligenza. Il creditore anche se non ha contribuito a causare l'evento dannoso
avrebbe potuto evitare un aggravamento del danno. Sono regole che trovano applicazione
anche in tema di illecito extracontrattuale, rispetto al fatto illecito danno conseguenti, in
virtù del richiamo all’art. 2056.
5
Responsabilità patrimoniale del debitore.

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Garanzia del credito e responsabilità del debitore.


Parlando dei tratti generali che costituiscono l'obbligazione abbiamo visto che in un tale rapporto la
prestazione del debitore, suscettibile di valutazione economica, al creditore può corrispondere ad
un interesse patrimoniale e non patrimoniale. Quando il debitore si rende inadempiente,
impedendo così al creditore di soddisfare un proprio interesse, quest'ultimo per conseguire il bene
oggetto dell'obbligazione può ricorre a forme coattive legittimate dall'ordinamento per soddisfare il
proprio interesse. In tal mondo esso può rivalersi sul patrimonio del debitore. L'art. 2740 afferma
che il debitore risponde dell'inadempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.
Si parla in definitiva di una responsabilità patrimoniale del debitore. Il patrimonio del debitore
difatti costituisce una garanzia per il creditore di riscuotere il credito. Quando il patrimonio del
debitore è esiguo rispetto al valore del credito e quindi viene impedita l'esecuzione coattiva, questo
può ricorre all'intervento di terzi che garantiscono per il debitore.

La responsabilità patrimoniale del debitore è regolata dal codice civile da due principi fondamentali
con le apposte eccezioni. A tali due principi se ne è aggiunto poi un terzo. Si parla in tal modo della
responsabilità patrimoniale illimitata con le relative eccezioni previste dalla legge, alla parità di
trattamento dei creditore esclusivi quelli che presentano cause legittime di prelazione e infine si
parla del divieto del patto commissorio.
• Per quanto riguarda la responsabilità patrimoniale illimitata del debitore, salve le eccezioni
previste dalla legge abbiamo già visto che l'art. 2740 afferma che il debitore risponde
dell'adempimento delle obbligazioni da lui assunte con tutti i suoi beni presenti e futuri.
L'interesse dei beni presenti e futuri rappresentano una importante garanzia del creditore.
Nel corso del rapporto il creditore ha diritto all'integrazione di garanzie laddove queste
vengano diminuite o non più prestate dal debitore. Il comma 2 dell'art. 2740 ammette poi
che le limitazioni di responsabilità nei soli casi previsti dalla legge. Limitazioni di
responsabilità sono dunque eccezionali e tassative. Sarà l'ordinamento stesso a valutare
l'opportunità di introdurre figure limitative della responsabilità in base alla valutazione della
natura del credito, qualità dei beneficiari, natura e destinazione dei beni esclusi dalla
esecuzione. Le limitazioni di responsabilità comportano un vincolo di indisponibilità che
esclude i beni dalla espropriazione. Ne sono esempi i vari patrimoni separati e destinati.
Esempi sono il fondo patrimoniale, l'usufrutto legale, fondi speciali per l'assistenza e la
previdenza, i patrimoni destinati dalle s.p.a ad uno specifico affare. Un'ampia categoria è poi
rivolta ai cosiddetti atti di disposizione in cui rientra anche il trust. Vediamo che solo il
patrimonio destinato risponde dei debiti assunti in funzione alla realizzazione della
destinazione e su tale patrimonio possono rivalersi i creditori.
• Parità di trattamento dei creditori salvo cause legittime di prelazione. In tal caso i creditori
hanno eguale diritto ad essere soddisfatti sui beni del debitore, salve cause legittime di
prelazione. È la regola della cosiddetta par condito creditorum per il quale dallo stesso
patrimonio devono essere soddisfatti tutti i creditori in maniera paritaria, per intero se il
patrimonio è sufficientemente capiente, in modo proporzionale se non lo è. Una porzione di
vantaggio invece assumono i creditori soggetti a cause legittime di prelazione. Rientrano in
tale categoria, pegni, ipoteche e privilegi. Le cause legittime di prelazione rappresentano una
garanzia specifica rendendo a tali creditori una posizione di vantaggio nella riscossione del
credito rispetto ai creditori chirografi. Si distinguono in tal modo due garanzie. Una generica
che ha come oggetto la totalità del patrimonio e garanzie specifiche che ha come oggetto
specifici beni. Tutti i creditori sono dotati di garanzie generiche solo alcuni di garanzie
specifiche.
• Divieto del patto commissorio. È un istituto che solo di recente si è evoluto a principio
generale di responsabilità patrimoniale. È nullo ogni patto con il quale si conviene che in
mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o
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data in pegno passi al creditore. Il patto è nullo sia che la costituzione del pegno o
dell'ipoteca sia stata fatta anteriormente o posteriormente. Tale previsione non permette al
creditore di ottenere il possesso del bene se non successivamente ad una sentenza di
espropriazione del bene oggetto di pegno o ipoteca. Viene assicurato che il bene del
debitore venga valutato in maniera corretta cosicché con la rimanenza della liquidazione del
bene possano essere soddisfatti anche i creditore chirografari. È poi possibile anche che le
parti convengano ad accordarsi ad un diverso oggetto rispetto l'obbligazione originaria ma
comunque di interesse del creditore aprendosi così la dazione in pagamento.
Un'applicazione del divieto del patto commissorio è operata dalla legge in tema di anticresi.
Ma sono varie le ipotesi in cui si spinge ad aggirare tale previsione con la costituzione di
negozi o contratti che la giurisprudenza ha dichiarato nulli per illiceità della causa concreta.
Risulta invece essere valido il cosiddetto patto marciano in virtù del quale il bene oggetto di
pegno o ipoteca dato in garanzia, può essere acquistato dal creditore che è tenuto al
pagamento della somma del bene valutato da un terzo.

L'azione esecutiva del creditore.


Se il debitore non esegue esattamente la prestazione da adempire il creditore ha diritto alla
realizzazione coattiva del debito. Si produce così il soddisfacimento del creditore senza l'attuazione
del contenuto dell'obbligo. Il creditore consegue il bene oggetto della obbligazione in maniera
coattiva ossia attraverso l'uso della forza da parte dell'ordinamento nei confronti dell'debitore
inadempiente. Il creditore ha diritto a conseguire coattivamente anche il risarcimento del danno
relativo conseguente alla sanzione per l'inadempimento.

A seguito dell'accertamento di responsabilità per l'inadempimento e la conseguente liquidazione


del danno in virtù di una sentenza di condanna che costituisce il titolo esecutivo si dà luogo ad una
attività giudiziaria con funzione esecutiva. In tal modo la responsabilità patrimoniale del debitore si
risolve con l'aggressione dei beni sottoposti ad esecuzione da parte del creditore. La procedura
esecutiva può essere di due tipi: in forma specifica o per espropriazione.
• Con l'esecuzione forzata in forma specifica il creditore consegue l'oggetto originario della
obbligazione realizzando coattivamente il suo diritto. I singoli modi sono poi regolati dal
codice di procedura civile a seconda del contenuto della obbligazione (dare, fare,
consegnare)
• Con l'esecuzione forzata per espropriazione si fa riferimento ad ottenere il bene oggetto
della obbligazione in una somma di denaro se tale bene non risulta essere più possibile da
ottenere o se comunque non rappresenti più interesse nel creditore ad ottenerlo. Vediamo
che in tutte le ipotesi il creditore ha comunque intenzione a conseguire una somma di
danaro poiché quest'ultimo rappresenta il normale parametro di valutazione e realizzazione
degli interessi di natura economica. L'espropriazione forzata quindi mira ad ottenere una
determinata somma di danaro dal patrimonio del debitore o dai singoli beni.

Espropriazione forzata.
Di regola con una sola sentenza viene accertato l'inadempimento del debitore ed emessa così la
condanna del debitore al pagamento di una somma di danaro al creditore in sostituzione
dell'obbligazione originaria inadempiuta con l'aggiunta dei relativi danni. La sentenza diviene quindi
il titolo esecutivo che consente al creditore di promuovere l'azione esecutiva di espropriazione
forzata dei beni del debitore. Il procedimento è regolato dall'art. 483 del codice di procedura civile.
Tale procedimento prende forma inizialmente con il pignoramento del bene. Tale pignoramento
interessa frutti del bene, pertinenze ed accessori. Tuttavia non tutti i beni sono soggetti a
pignoramento. Ne sono esclusi quelli destinati al culto, alla sfera esistenziale del soggetto e gli
strumenti professionali. Quando il valore dei beni pignorati è superiore al valore del credito il
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giudice può disporre una riduzione del pignoramento. Se l'esecuzione non perviene ad esaurimento
perché il debitore ad esempio ha pagato il suo debito, gli atti di alienazione dei beni pignorati
rimangono efficaci nei confronti dei terzi. In ogni caso sono salvi gli effetti del possesso di buona
fede da parte del terzo per i beni mobili non registrati mentre per i beni immobili e mobili registrati
è decisiva la trascrizione del pignoramento. L'atto di pignoramento va trascritto nei registri
immobiliari. La trascrizione ha effetto per 20 anni, l'effetto cessa ipso jure se la trascrizione non
viene rinnovata prima della scadenza del termine. Successiva al pignoramento è la vendita forzata
del bene per conseguire una successiva liquidità che andrà a soddisfare per legge prima i creditori
che vantano una causa legittima di prelazione e successivamente i creditori chirografari secondo la
regola della par conditio.

Fallimento ed altre procedure.


Forme particolari di soddisfacimento dei crediti operano nei confronti delle imprese commerciali. In
tale categoria non rientrano gli enti pubblici e i piccoli imprenditori. La disciplina del fallimento è
molto articolata. L'imprenditore che si trova in uno stato di insolvenza è dichiarato fallito dal
creditore, dai creditori o dal pubblico ministero. Il suo stato di insolvenza legato all'inadempimento
non permette al debitore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Il fallimento è
dichiarato dal tribunale ove l'imprenditore ha la sede principale dell'impresa. La sentenza
dichiarativa di fallimento, che tra l'altro nomina il giudice delegato alla procedura e il curatore,
ordina al fallito di depositare i registi contabili e dei bilanci nonché di tutti i creditori. La sentenza
priva il fallito della amministrazione e disponibilità dei suoi beni con esclusione dei beni
strettamente personali. Gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti effettuati dopo la dichiarazione di
fallimento sono inefficaci nei riguardi dei creditori. La sentenza produce i suoi effetti dalla data di
pubblicazione.

Funzione essenziale è la ricostruzione e la liquidazione. Fondamentale poi risulta l'azione


revocatoria di fallimento, infatti laddove il debitore insolvente abbia posto in essere, prima di essere
dichiarato fallito, atti di disposizione che hanno inciso sul suo patrimonio depauperandolo, tali atti
possono essere privati di effetto attraverso l'azione revocatoria fallimentare. L'azione revocatoria è
dunque lo strumento posto a vantaggio del curatore fallimentare allo scopo di restituire il
patrimonio del fallito destinato alla soddisfazione dei suoi creditori facendo rientrare quanto era
uscito nel periodo antecedente al fallimento. La distribuzione delle somme ricavate dalla
liquidazione andranno ad estinguere prima i crediti dei soggetti che vantano cause legittime di
prelazione e successivamente i creditori chirografari. Con la chiusura del fallimento gli effetti del
fallimento sul patrimonio del fallito decadono così come anche gli organi preposti al fallimento. I
creditori possono ancora far valere i crediti rimasti nei confronti del debitore a meno che non ricorra
alla esdebitazione con la quale il creditore viene liberato dai crediti residui.
La procedura può chiudersi anche con concordato fallimentare. Tale proposta può essere presentata
da uno o più creditori o dal terzo. Si ha l'estinzione dell'obbligazione del debitore fallito ma il credito
rimane comunque pienamente vivo nei confronti dei coobbligatori, fideiussori del fallito e gli
obbligati in via di regresso.

La riforma del 2006 ha avuto come scopo primario quello di salvataggio dell’impresa in crisi e di
riabilitazione del fallito per la ricchezza che è ancora suscettibile di produrre in favore dei creditori e
dell’economia in genere e per i posti di lavoro che è ancora in grado di assicurare.
b) una particolare forma di procedura collettiva è la liquidazione coatta amministrativa, per
particolari tipi di impresa. In ragione della natura degli interessi coinvolti la procedura, diversa dal

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fallimento, opera, non solo in ipotesi di crisi economica, ma anche per irregolarità di gestione.
c) L’imprenditore che si trova in stato di insolvenza, fino alla data di dichiarazione di fallimento,
ricorrendo determinati presupposti, può proporre ai creditori un concordato preventivo. Se il
tribunale riconosce ammissibile la proposta, delega un giudice alla procedura e nomina il
commissario giudiziale che vigila sull’amministrazione dei beni da parte del debitore durante la
procedura.

Mezzi di conservazione delle garanzie patrimoniali.


Si è visto come la garanzia generica faccia riferimento alla totalità del patrimonio del debitore.
Affinché il creditore consegua, anche coattivamente, l'oggetto della obbligazione è necessario che il
debitore mantenghi integro il patrimonio laddove non esistono delle garanzie specifiche. Le azioni
che non consentono al debitore di diminuire appositamente il patrimonio sono l'azione
surrogatoria, l'azione revocatoria e il sequestro conservativo.

Azione surrogatoria.
Tale azione si rivolge verso il debitore inerte nella cura del patrimonio. Il debitore carico di debiti
potrebbe non trovare più interessi nel riscuotere i crediti di terzi poiché è consapevole che eventuali
accrescimenti del patrimonio, ma anche la stessa conservazione, sarebbero solo di vantaggio al
creditore. In tal modo il creditore per evitare che il patrimonio vada a deperirsi e per assicurare le
eventuali garanzie sul patrimonio del debitore, si sostituisce ad esso per conseguire i debiti verso i
terzi. Affinché si realizzi la procedura dell'azione surrogatoria è necessario:
• L'inerzia del debitore nel conseguire i crediti verso i terzi costituendo un pregiudizio verso il
creditore
• Il creditore che si sostituisce al debitore può esercitare nei confronti di terzi solo azioni e
diritti di contenuto patrimoniale e non azioni e diritti che per loro natura debbano essere
esercitati esclusivamente dal debitore.
• Deve sussistere un pregiudizio che susciti nel creditore pericolo per il deperimento del
patrimonio del debitore.
Il risultato dell'azione surrogatoria avvantaggia tutti i creditori e non solo quello che abbia agito.

Azione revocatoria.
Tale azione si rivolge verso il debitore malizioso che depaupera il patrimonio. È una pratica molto
diffusa che il debitore tenda a sottrarre intenzionalmente beni al suo patrimonio per evitare
l'aggressione dei creditori simulando una alienazione o compiendo effettivamente una alienazione
di singoli beni a terzi pur di ricavarne qualcosa. L'azione revocatoria quindi a differenza dell'azione
surrogatoria interessa un soggetto attivo che appunto intenzionalmente vuole ridurre il suo
patrimonio. L'azione revocatoria è un atto che impedisce tale pratica. Non è necessario che il credito
sia attuale e liquido ma è sufficiente che esista. Per realizzarsi l'azione revocatoria deve avere due
presupposti ossia un presupposto oggettivo e soggettivo.
• Presupposto oggettivo deve esistere innanzitutto un atto di disposizione del debitore che
rechi pregiudizio alla garanzia patrimoniale del creditore. Tale atto può essere un negozio
traslativo come per esempio vendita, donazione, ecc. La costituzione di un diritto reale di
godimento a favore di terzi ossia la costituzione di un diritto di usufrutto, la costituzione di
garanzie come pegno o ipoteca. È considerato pregiudizievole anche qualsiasi atto che miri
alla riduzione del valore economico del patrimonio come per esempio locazione di un
immobile, fideiussione, costituzione di servitù, ecc. Il debitore deve mantenere l'originario
stato di fruttuosità del patrimonio.

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• Presupposto soggettivo. Rileva sia lo stato soggettivo del debitore sia lo stato soggettivo del
terzo. Quanto al debitore il tratto minimo è la consapevolezza del pregiudizio che l'atto
dispositivo arreca alle ragioni del creditore diminuendo la garanzia patrimoniale. Tale atto è
sufficiente se successivo alla nascita del debito. Se invece l'atto dispositivo è precedente al
sorgere del credito è richiesta la dolosa preordinazione dell'atto dispositivo al fine di
pregiudicare il soddisfacimento del creditore. Quanto al terzo risulta determinante la natura
dell'atto dispositivo. Per gli atti a titolo oneroso è sufficiente che il terzo conoscesse il
pregiudizio che l'atto dispositivo arrecava alle ragioni del creditore, avesse cioè
consapevolezza del danno causabile al creditore. Se però l'atto dispositivo è anteriore al
sorgere del credito il terzo deve essere partecipe della dolosa preordinazione. Per gli atti a
titolo gratuito è irrilevante lo stato soggettivo del terzo. Ma non sempre riesce la nitida
distinzione tra onerosità e gratuità.

L'azione revocatoria si prescrive in 5 anni dalla data dell'atto dispositivo. Il profilo più delicato è il
regime della prova dei presupposti soggettivi. Principio generale è che la buona fede è presunta al
momento dell'acquisto. Quindi al creditore che agisce in revocatoria incombe l'onere di provare non
solo i presupposti oggettivi ma anche lo stato soggettivo del terzo e del debitore.

Effetti dell'azione revocatoria.


Proprio in quanto l'atto dispositivo revocato è valido consegue che anche dopo la revoca il bene
alienato rimane nel patrimonio del terzo e non del debitore. L'azione revocatoria determina
l'inefficacia dell'atto dispositivo nei confronti del creditore che agisce in revocatoria al fine di
consentirgli di esercitare sull'oggetto che costituisce l'obbligazione la tutela coattiva. Ottenuta la
revoca il creditore può agire nei confronti del debitore o di ulteriori subaquirenti con azioni
esecutive e conservative dei beni oggetti dell'atto impugnato. Eseguita la espropriazione con la
conversione in danaro dei beni alienati, dopo la soddisfazione del creditore sul ricavato, tutto
quanto residua dalla liquidazione fa parte del patrimonio del terzo che ha acquistato beni oggetto di
revocatoria. Il terzo che ha ragioni di credito nei confronti del debitore non può concorrere sul
ricavato dei beni oggetto di revoca se non dopo che viene soddisfatto prima il creditore. Il terzo può
comunque avanzare una azione di risarcimento dei danni nei confronti del debitore alienante se non
è riuscito a soddisfarsi sul residuo dell'espropriazione rimasta in suo favore. Il creditore presenta
anche una tutela verso i subacquirenti. Infatti la revoca dell'atto dispositivo non pregiudica i diritti
acquistati da terzi in buona fede salvi gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione. La
sentenza della domanda di revoca è sempre opponibile al terzo che ha acquistato il bene a titolo
gratuito e al terzo che ha acquistato il bene a titolo oneroso solo se risulti essere a conoscenza del
pregiudizio arrecato dall'atto dispositivo verso il creditore. Con riguardo agli atti dispositivi dei beni
immobili, strumento essenziale di risoluzione dei conflitti tra terzo e creditore è la pubblicità. La
sentenza che accoglie la domanda di revoca non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso da
terzi in buona fede.

Sequestro conservativo.
Tale istituto viene applicato quando sussista un pericolo oggettivo di depauperamento del
patrimonio del debitore. Il dato oggettivo è il pericolo da parte del creditore di perdere
completamente la garanzia patrimoniale. Il creditore così può far richiesta di sequestro conservativo
del patrimonio del debitore. Esso può rivolgere tale richiesta anche al terzo per evitare una ulteriore
alienazione del bene.

Il giudice su istanza del creditore che ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito,

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può autorizzare il sequestro di un immobile, mobile o somme di denaro del debitore nei limiti in cui
la legge permette il pignoramento. Affinché si realizzi il sequestro conservativo devono concorrere
due presupposti.
• Innanzitutto deve esistere una ragionevole fondatezza del diritto vantato dal creditore per
evitare abusi sia sul debitore sia sul patrimonio di quest'ultimo.
• Deve sussistere un timore fondato di perdere la garanzia patrimoniale del debitore ricavabile
dal comportamento di quest'ultimo volto al deperimento totale del patrimonio.

Come abbiamo visto possono formare oggetto di sequestro beni mobili, immobili, somme di denaro,
partecipazioni sociali ecc. Il sequestro sugli immobili si esegue con la trascrizione del provvedimento
nei registri immobiliari del luogo in cui sono situati. Analogamente per i beni mobili registrati si
prevede la trascrizione del provvedimento su appositi registi. Con il sequestro si realizza un vincolo
di indisponibilità del bene per il debitore. Il debitore è privato della disponibilità materia della cosa
che è affidata ad un curatore, potrebbe essere lo stesso debitore. Il provvedimento di sequestro
conservativo di beni immobili va trascritto sui registri immobiliari ed ha effetto per 20 anni. L'effetto
cessa ipso jure se la trascrizione non è rinnovata prima che scada il suddetto termine.

Meccanismi indiretti di presidio della garanzia.


L'esecuzione coattiva del diritto di credito sul patrimonio del debitore è di lunga durata oltre che
essere dispendiosa. Esistono così alcuni metodi tali da garantire la garanzia patrimoniale con minori
spese. Si tratta della cessione dei beni al creditore, anticresi, e rimedi di autotutela.

Cessione dei beni ai creditori.


La cessione dei beni ai creditori è un contratto con cui il debitore cede parte dei suoi beni o tutti i
beni a un creditore o a più creditori con l'intento di far liquidare tali beni dagli stessi creditori per far
conseguire loro il credito vantato è così estinguere l'obbligazione. Nonostante si parli di cessione di
beni non si ha il trasferimento di diritti ai cessionari in quanto la proprietà e la titolarità rimangono
in capo al debitore. Il contratto richiede forma scritta pena di nullità ed è soggetto a trascrizione se
interessa beni immobili. Con la cessione dei beni il debitore è legato ad un vincolo di indisponibilità
verso questi ultimi che si traduce anche in un divieto di alienazione a terzi. I creditori cessionari
sono autorizzati a liquidare i beni ceduti convertendoli in danaro per soddisfare i propri interessi.
Essi assumono sui beni ceduti del debitore l'amministrazione, la tutela giudiziaria, il potere di
alienazione e il riparto del ricavato delle alienazioni. In sostanza i cessionari dispongono è
amministrano i beni nell'interesse del debitore. I creditori sono soddisfatti in proporzione dei loro
crediti salve cause legittime di prelazione. Non avendo il debitore perduto la titolarità dei propri
diritti ciò che residua dalla liquidazione spetta al debitore. Salvo patto contrario il debitore è libero
dall'obbligazione quando tutti i suoi creditori sono stati soddisfatti.

Il debitore ha diritto di controllare la gestione dei bei ceduti da parte dei creditori e di ottenere un
rendiconto alla fine della liquidazione o alla fine di ogni anno se la gestione dura più di un anno.
Inoltre può recedere sempre il contratto offrendo il pagamento del capitale e degli interessi e
rimborsando ai creditori le spese di gestione. I creditori a loro volta hanno diritto a chiedere
l'annullamento del contratto se il debitore, dichiarando di cedere tutti i suoi beni, ha occultato una
parte consistente degli stessi.

Anticresi.
L'anticresi è il contratto con cui il debitore o un terzo si obbliga verso un creditore a consegnare un
immobile al creditore a garanzia del credito, affinché il creditore ne percepisca i frutti imputandoli
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agli interessi, se dovuti e quindi al capitale. È un contratto legato essenzialmente ad una economia
agricola attraverso cui il creditore viene soddisfatto del proprio interesse attraverso i frutti procurati
dall'immobile. Perciò oggi è di rara applicazione. Il creditore anticretico ha l'obbligo di conservare,
coltivare e amministrare il fondo da buon padre di famiglia. L'anticresi dura finché il creditore sia
stato completamente soddisfatto del suo credito, in ogni caso non può perdurare più di 10 anni. Se il
bene costituito in anticresi è espropriato da altri creditori, il creditore anticretico non è preferito agli
altri ma concorre con gli essi secondo la par conditio. Il contratto deve essere stipulato in forma
scritta, pena annullamento ed essere soggetto a trascrizione. Il contratto di anticresi si presta molto
spesso ad aggirare il divieto del patto commissorio laddove si consegna l'immobile, al termine della
scadenza dei pagamenti se il debitore non ha adempiuto alla obbligazione, al creditore che ne
ottiene il possesso. L'ordinamento come abbiamo già visto vieta il patto commissorio dichiarandone
la nullità di qualunque patto anche posteriore al contratto che comporta l'acquisto dell'immobile da
parte del creditore nei casi in cui il debitore non adempi all'obbligazione. Con l'anticresi si estingue
l'obbligazione con il pagamento prima degli interessi e poi dell'intero capitale.

Rimedi di autotutela.
Al fine di agevolare la realizzazione del credito, la legge appresta specifici rimedi di autotutela
spettanti al creditore, salva la successiva verifica giudiziaria del corretto esercizio degli stessi. Sono
rimedi che permettono indirettamente la garanzia del credito, attraverso un’iniziativa del creditore
che evita o riduce il danno conseguente all’inadempimento.
Generali rimedi di autotutela del creditore:
• a) diritto di ritenzione: è accordato al creditore di non consegnare la cosa dovuta al
proprietario o altro avente diritto finché questi non esegua la prestazione dovuta.
• b) decadenza del debitore dal termine: art. 1186, il creditore può esigere immediatamente la
prestazione se il debitore è divenuto insolvente o ha diminuito, per fatto proprio, le garanzia
che aveva dato o non ha dato le garanzia che aveva promesso.
• c) Sospensione dell’adempimento per mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore.
Art. 1461, ciascun contraente può sospendere l’esecuzione della prestazione da lui dovuta,
se le condizioni patrimoniali dell’altro sono divenute tali da porre in evidente pericolo il
conseguimento della controprestazione, salvo che sia prestata idonea garanzia.
• d) Opposizione al pagamento del debitore a un terzo per alcune ipotesi. Il pagamento
eseguito dal debitore non ha effetto se rechi pregiudizio al creditore opponente.

6
Cause legittime di prelazione.
Si è visto che nei casi in cui concorrono più creditori sul medesimo patrimonio del creditore, tutti i
creditori devono essere soddisfatti in maniera paritaria secondo il principio della par conditio
creditorum. Quando il patrimonio risulta insufficiente per soddisfare tutti i creditori questi devono
essere soddisfatti in maniera proporzionale. È molto diffusa l'ipotesi in cui sul medesimo patrimonio
oltre che rivalersi i normali creditori vi siano alcuni che presentino su determinati beni cause
legittime di prelazione. Si tratta quindi di garanzie specifiche che portano a soddisfare prima i
creditori che presentano tali caratteristiche e poi i creditori con garanzie generiche detti anche
creditori chirografari. Quando i beni su cui vertono cause legittime di prelazione non risultino essere
sufficienti a soddisfare interamente il creditore, questo può rivalersi sul patrimonio del debitore per
soddisfare il credito residuo insieme ai creditori chirografari in modo proporzionale.

Alcune regole si applicano a tutte le cause legittime di prelazione:

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• regola della tipicità delle cause di prelazione. Per l’art. 2741 sono cause legittime di
prelazione i privilegi, il pegno e le ipoteche. Pegno e ipoteca sono garanzie reali per inerire
ad uno specifico bene; diversamente operano i privilegi.
• surrogazione dell’indennità della cosa: se la cosa soggetta a garanzia perisce o si deteriora e
la stessa risulta assicurata, il creditore può soddisfarsi sulla corrispondente indennità pagata
dall’assicuratore. Art. 2742. La surrogazione reale realizza una vicenda modificativa oggettiva
dell’obbligazione
• decadenza del debitore dal termine: anche se il termine è fissato a favore del debitore, il
creditore può esigere immediatamente la prestazione e il debitore è divenuto insolvente o
ha diminuito, per fatto proprio, le garanzie che aveva dato o non ha dato le garanzie che
aveva promesso.

Privilegi.
Il privilegio è una causa di prelazione accordata dalla legge al creditore in considerazione della
particolare natura del credito. Abbiamo già visto che tutti i creditori devono essere soddisfatti in
eguale misura dal patrimonio del debitore inadempiente. In certi casi, però, vi sono dei crediti di
rilevanza maggiore rispetto ad altri, rilevanza non economica, ma sociale o giuridica. Quando accade
ciò il legislatore ha deciso che questi creditori debbano essere favoriti rispetto gli altri in caso di
esecuzione sul patrimonio del debitore.
Da questa speciale considerazione nascono, appunto, i privilegi che sono caratteristiche particolari
del credito accordate esclusivamente dalla legge in relazione alla particolare causa dello stesso. Si
tratta di situazioni eccezionali che trovano fondamento nella legge e che, di solito, sorgono in
maniera automatica senza che vi sia una specifica convenzione fra le parti. In certi casi, però, le parti
possono far nascere convenzionalmente un privilegio; ciò non vuol dire che possano esistere
privilegi di natura convenzionale, ma significa semplicemente che un privilegio previsto dalla legge
può essere subordinato alla convenzione delle parti. Normalmente il privilegio non prevede
particolari forme di pubblicità come invece accade per l'ipoteca, in certi casi, tuttavia, la legge
prevede particolari forme di pubblicità per render nota l'esistenza del privilegio.

I privilegi si distinguono in privilegi generali e privilegi speciali.


• Il privilegio generale si estende su tutti i beni mobili del debitore e non è opponibile a terzi,
se cioè il debitore aliena i beni mobili il creditore non potrà agire per riaverli.
• Il privilegio speciale si estende solo su particolari beni mobili o immobili. Quest'ultimo è
riconosciuto a causa di un determinato rapporto che esiste tra il credito e il bene oggetto del
privilegio; pensiamo all'ipotesi prevista dall'articolo 2756 del codice civile: se sono stati
erogati dei crediti per spese o miglioramento di alcuni beni mobili, questi crediti sono
garantiti da privilegio mobiliare speciale sui beni che sono stati oggetto delle spese o del
miglioramento. Se la legge non dispone diversamente, i privilegi speciali hanno diritto di
seguito; ciò vuol dire che anche in caso di alienazione dei beni oggetto del privilegio il
creditore potrà esercitare il privilegio anche nei confronti dei terzi acquirenti;

Parlando delle cause legittime di prelazione abbiamo sottolineato il fatto che il creditore che ne
gode è preferito rispetto gli altri creditori in caso di esecuzione sul patrimonio del debitore;
specifichiamo adesso che questa preferenza è accordata soprattutto sui creditori chirografari che
sono quelli non garantiti; rispetto a questi creditori è quindi facile stabilire chi dovrà essere
preferito.
Ma che cosa accade se vi sono più creditori privilegiati oppure se vi sono più creditori che vantano
diverse cause di prelazione sui beni del debitore?
credito con privilegio speciale immobiliare ----> prevale sul credito garantito da ipoteca

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credito con privilegio speciale mobiliare <---- non prevale sul credito garantito da pegno
I casi riportati in tabella sono quelli previsti dall'articolo 2748 del codice civile e sono validi in via
generale, nel senso che possono essere derogati da speciali disposizioni di legge che dispongano
diversamente.
Se poi concorrono più creditori tutti egualmente privilegiati, l'articolo 2782 del codice civile
stabilisce che questi saranno soddisfatti in proporzione dell'importo del loro credito.

Pegno e ipoteca, garanzie reali.


In genere, la garanzia del creditore è rappresentata dal patrimonio del debitore, ma questo è solo
una garanzia generica del credito: al creditore non è data la certezza di potersi soddisfare, in caso di
inadempimento, su un dato bene del debitore.
Una garanzia specifica (che dia al creditore la certezza di potersi soddisfare su un dato bene) è
invece rappresentata dalla costituzione del pegno o dell’ipoteca.

Pegno e ipoteca sono garanzie reali parziarie. Tradizionalmente li si definisce come diritti reali di
garanzia su cosa altrui: il bene resta di proprietà di chi, debitore o terzo, lo ha dato in pegno o in
ipoteca, e può essere dal proprietario liberamente alienato. Ma il creditore acquista sul bene un
duplice diritto:
• il diritto di procedere ad esecuzione forzata sul bene anche nei confronti del terzo
acquirente (“diritto di sequela” del pegno o dell’ipoteca);
• il diritto di soddisfarsi sul prezzo ricavato dalla vendita forzata del bene con preferenza
rispetto agli altri creditori del medesimo debitore (“diritto di prelazione”).
Sul creditore pignoratizio o ipotecario incombe un onere: non può sottoporre ad esecuzione forzata
altri beni del debitore se non sottopone prima ad esecuzione i beni gravati da pegno o da ipoteca
(art. 2911).

Pegno.
Il pegno è un diritto reale di garanzia su beni mobili costituito dal debitore o dal terzo a garanzia
dell'obbligazione.
Oggetto del pegno sono beni mobili, universalità di beni mobili, crediti e altri diritti aventi ad
oggetto beni mobili. Il pegno è indivisibile e garantisce il credito finché questo non sia stato
completamente soddisfatto anche se il debito o la cosa data in pegno sia divisibile.
Il pegno viene costituito mediante spossamento, colui che costituisce il pegno deve consegnare la
cosa o il documento che costituisce l'esclusiva disponibilità della cosa o del diritto al creditore. Si
tratta di un contratto reale che si perfeziona con la consegna della cosa o del documento. La cosa o
il documento possono essere consegnati anche al terzo destinato dalle parti a riceverla in custodia
in modo che sia negata a colui che ha costituito il pegno la disponibilità senza cooperazione del
creditore. I terzi che acquistano dal debitore diritti su un bene mobile non registrato non in suo
possesso non possono invocarne la tutela. In modo analogo gli altri creditori non possono fare
affidamento alla espropriazione su un bene che non è nel possesso.
Nel pegno di crediti la prelazione ha luogo solo quando il pegno risulta da atto scritto che sia stato
notificato al debitore e accettata la notificazione con scrittura avente data certa. Per pegni di diritti
diversi da crediti si ha il trasferimento di singoli diritti.

Il pegno costituisce un vincolo di destinazione sul bene finalizzato alla garanzia del credito. Sul bene
pignorato quindi si avrà un diritto reale di garanzia che attribuisce un diritto di prelazione assistito
da un diritto di seguito. Il creditore ha diritto di farsi pagare in prelazione sulla cosa ricevuta in
pegno. La prelazione non si può far valere se la cosa non è rimasta in possesso del creditore o
presso il terzo designato. Il creditore non acquista la proprietà del bene ricevuto in pegno che
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rimane dunque al debitore. Egli nei confronti del bene pignorato ha un dovere di gestione e
conservazione del bene in vista della restituzione del bene in seguito all'adempimento del debitore.
Il creditore senza il consenso del costituente non può usare la cosa data in pegno con un fine
diverso dalla conservazione. In tal modo non può darla ad altri in pegno ne concederne il godimento
ad altri. Se il debitore rimane inadempiente, il creditore può far vendere la cosa data in pegno.
Prima della vendita deve però intimare il debitore al pagamento del debito e gli accessori, in
mancanza si procederà alla vendita. Quando il credito garantito eccede la somma di euro 2,58 la
prelazione non può essere esercitata se il pegno non ha forma scritta.

Il creditore è tenuto a restituire il pegno solo dopo che siano stati interamente pagati il capitale, gli
interessi e il rimborso per le spese relative al debito e al pegno. Se però il debitore ha nei confronti
del creditore un debito ulteriore sorto dopo la costituzione del pegno e ormai scaduto, il creditore
ha diritto alla ritenzione a garanzia del nuovo credito.

Pegni atipici.
Nella esperienza generale sono diffuse pratiche in deroga ai principi generali delle garanzie reali.
• Il pegno omnibus è una figura utilizzata nella prassi bancaria. Si tratta di una clausola con cui
la banca estende la garanzia su tutti i beni di pertinenza del cliente a garanzia di un suo
credito presente o futuro.
• Con il pegno rotativo le parti provvedono a sostituire i beni originarimante costituiti in
garanzia con altri beni.
• Con il pegno irregolare il debitore consegna al creditore cose fungibili (danaro, o titoli) che il
creditore acquista in proprietà e che il creditore è tenuto a restituire nello stesso genere e
nella stessa quantità successivamente alla estinzione del rapporto obbligatorio. Il pegno
irregolare, comportando il trasferimento della proprietà al creditore pignoratizio,
rappresenta una eccezione rispetto alla tipica funzione di garanzia del pegno, perciò, per la
giurisprudenza, il trasferimento della proprietà deve essere previsto dalla legge.
Diversamente deve essere qualificato come pegno regolare.

Ipoteca.
L'ipoteca è una garanzia reale costituita dal debitore o dal terzo su beni mobili o immobili a garanzia
dell'obbligazione mediante la iscrizione nei registri di pubblicità. Ha la funzione di prelazione sul
ricavato della vendita del bene espropriato.
Sono oggetto di ipoteca pertinenze, usufrutti, superfici, diritto dell'enfiteuta, rendite dello stato,
beni mobili registrati. Il diritto di servitú è escluso dai beni oggetto di ipoteca in quanto non
suscettibile di atto di disposizione e dunque di espropriazione. Sono esclusi da ipoteca anche i diritti
di uso e di abitazione per specifici bisogni del titolare e della sua famiglia. In presenza di pericolo di
danno a causa di atti compiuti da terzo o debitore, per perimento o deterioramento, sui beni su cui
insiste ipoteca, il creditore può domandare all'autorità giudiziaria la cessazione degli atti.

L'ipoteca viene costituita mediante l'iscrizione nei registri immobiliari se si tratta di beni immobili, se
si tratta di beni mobili invece con l'iscrizione in appositi registri. L'ipoteca deve essere iscritta per
beni specialmente indicati e per una somma determinata in danaro. C'è dunque necessità di esatta
identificazione dell'immobile o dei singoli immobili ipotecati e dell'esatta determinazione
dell'ammontare del credito. Omissioni o inesattezze nel titolo che inducano incertezza sulla persona
del creditore o del debitore sull'ammontare del credito comportano l'invalidità della iscrizione.

L'ipoteca come anche il pegno rappresenta un diritto reale di garanzia finalizzato al l'attuazione del
diritto di prelazione. In particolare l'ipoteca consente al creditore il diritto di espropriare i beni

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vincolati da ipoteca e di essere soddisfatto con preferenza sul prezzo ricavato dalla espropriazione. Il
bene ipotecato rimane comunque nella proprietà e nel possesso del debitore e può dunque
alienarlo a terzi sebbene il vincolo ipotecario non lo rende appetibile sul mercato. All'ipoteca poi si
accompagna il diritto di seguito per cui il creditore può far valere la espropriazione anche nei
confronti del terzo acquirente.

È possibile che su un medesimo bene siano costituite più ipoteche. Per stabilire quindi quale
creditore debba essere preferito rispetto ad un altro bisognerà verificare il grado della sua ipoteca.
Sarà preferito in tal modo il creditore che avrà per primo iscritto la sua ipoteca rispetto al creditore
che abbia iscritto la sua ipoteca in un momento secondario. Questa preferenza si esprime nel fatto
che il primo creditore avrà diritto ad essere soddisfatto per l'intero suo credito sul bene ipotecato,
ma se vi sarà un residuo della somma ricavata in seguito all'espropriazione, questa spetterà al
secondo creditore e se, dopo la soddisfazione di quest'ultimo creditore, vi sarà ancora una somma
di danaro disponibile questa spetterà al terzo e così via.

Regole fondamentali sono dettate a favore del terzo acquirente. Al terzo acquirente del bene
ipotecato, che ha trascritto il suo titolo di acquisto, sono accordati tre fondamentali diritti.
• Innanzitutto ha diritto ad evitare la espropriazione dei beni ipotecati pagando integralmente
i creditori ipotecari; rilasciare i beni ipotecati ai creditori ipotecari; liberare l'immobile da
ipoteca (purgazione dell'ipoteca)
• Ha inoltre diritto di far separare dal prezzo della vendita la parte corrispondente ai
miglioramenti eseguiti dopo la trascrizione dell'acquisto.
• Infine, se ha pagato i creditori iscritti o ha rilasciato l'immobile ipotecato ai creditori o ha
sofferto l'espropriazione, ha ragione di indennità verso il debitore, anche se si tratta di
acquisto a titolo gratuito. In dipendenza di ciò ha pure diritto di subingresso nelle ipoteche
dei creditori soddisfatti sugli altri beni del debitore. Nei confronti del terzo acquirente
l'ipoteca si estingue per prescrizione con il decorso di venti anni dalla data di trascrizione
dell'acquisto del terzo, salvo cause di sospensione o interruzione.

Titolo dell'ipoteca.
Il titolo costituisce la fonte dell’ipoteca e ne consente la costituzione. Possiamo distinguere 3 tipi di
ipoteca: legale, giudiziaria e volontaria.
• Per quanto riguarda l'ipoteca legale il titolo dell'ipoteca è nella legge che prevede a favore di
alcuni soggetti il diritto alla iscrizione ipotecaria. Hanno diritto all'iscrizione della ipoteca
legale: 1. l'alienante sopra gli immobili alienati per l'adempimento degli obblighi che
derivano dall'atto di alienazione; 2. i coeredi, soci e altri condividenti per il pagamento dei
conguagli di beni immobili assegnati ad altri condividenti; 3. lo Stato sopra i beni
dell'imputato o del civilmente responsabile per il pagamento delle spese processuali.
L'ipoteca dell'alienante e quella condividente sono disciplinate dal codice civile, l'ipoteca
dello stato è regolata dal codice penale e di procedura penale. Tale ipoteca è costituita con
l'iscrizione nei registri di pubblicità.
• L'ipoteca giudiziale deriva dalla sentenza di condanna al pagamento di una somma di denaro
o per l'adempimento di altra obbligazione ovvero al risarcimento del danno da liquidarsi
successivamente. È sufficiente anche una sentenza di condanna generica al risarcimento. Il
provvedimento giudiziale contiene la condanna al pagamento. In virtù di tale titolo il
creditore ha diritto ad ottenere la costituzione dell'ipoteca sugli immobili appartenenti al
debitore e su quelli successivi alla condanna. Si può iscrivere una ipoteca in base a sentenze
pronunciate da autorità giudiziarie straniere dopo che ne sia stata dichiarata l'efficacia
dall'autorità guidiziari italiana.

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• Ipoteca volontaria. trova la sua fonte nella volontà di una o entrambe le parti; normalmente
è costituita per contratto redatto per atto pubblico, ma è possibile che sorga, sempre nella
stessa forma, per atto unilaterale, ma non per testamento.
La concessione deve farsi per atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata o
accertata giudizialmente. L'atto di concessione deve contenere le informazione dell'immobile
ipotecato.

Vicende dell'ipoteca.
L'ipoteca si basa su un sistema di pubblicità in grado di procurare ai terzi la conoscenza legale della
garanzia reale. Assumono rilevanza quindi:
• La costituzione dell’ipoteca (ad opera del debitore o di un terzo) avviene mediante iscrizione
nei registri di pubblicità: trattasi di una pubblicità costitutiva. Relativamente ai beni immobili,
l’ipoteca si “costituisce mediante iscrizione nei registri immobiliari” (2808); relativamente ai
beni mobili registrati, mediante pubblicità nei registri specifici che li riguardano. Si è già
detto che caratteristiche comuni delle garanzie reali sono la specialità, la determinatezza e la
indivisibilità. L’ipoteca deve essere iscritta su beni specialmente indicati e per una soma
determinata in danaro (2809): c’è dunque necessità di identificazione dell’immobile o dei
singoli immobili ipotecati e di esatta determinazione dell’ammontare del credito, indicato in
una somma di danaro. L’ipoteca è indivisibile nel senso che sussiste per intero sopra tutti i
beni vincolati, sopra ciascuno di essi e sopra ogni loro parte (2809). Nell’eventualità di più
iscrizioni ipotecarie (in favore di più creditori), come si è visto, la preferenza tra i creditori è
data dalla priorità temporale tra le varie iscrizioni, che si esprimono attraverso un ordine
cronologico delle iscrizioni medesime, che segna il cd. grado dell’ipoteca. L’iscrizione
conserva il suo effetto per venti anni dalla sua data: l’effetto cessa se l’iscrizione non è
rinnovata prima che scada detto termine (2847).
• Surrogazione: c'è surrogazione nei diritti del creditore a vantaggio di chi, essendo creditore
ancorché chirografario, paga un'altro creditore che ha diritto di essergli preferito in ragione
dei suoi privilegi, del suo pegno o delle sue ipoteche.
• Disposizione di grado: due creditori di grado immediatamente successivo possono compiere
atti dispositivi del grado, scambiandosi il grado. Lo scambio non nuoce il creditore di grado
ulteriore che comunque ha davanti a se entrambi i creditori.
• Rinnovazione: Si è visto come l’iscrizione conserva il suo effetto per venti anni dalla sua data
(2847). E’ però consentito evitare la cessazione dell’effetto dell’iscrizione con la rinnovazione
dell’iscrizione prima dello scadere dei venti anni. La rinnovazione consente di prolungare
l'effetto dell'iscrizione fino all'estinzione del diritto di ipoteca. Se il creditore non rinnova la
iscrizione al termine dei 20 anni, l'effetto originario di iscrizione cessa venendo così meno gli
effetti favorevoli della pubblicità. Il creditore potrà prendere una nuova iscrizione ma
perdendo il suo grado precedente e quindi con varie conseguenze negative per il creditore,
poiché nel ventennio un altro creditore potrebbe aver preso iscrizione e avendo un grado
superiore potrà essere soddisfatto del credito con preferenza.
• Riduzione: quando la somma per la quale è stata presa l’iscrizione o la consistenza dei beni
gravati è eccessiva rispetto all’importo del credito, è consentito ottenere una riduzione
dell’ipoteca onde non ostacolare ingiustificatamente l'utilizzazione dei beni.
• Estinzione: le cause dell’estinzione dell’ipoteca sono tassative e sono così indicate dall’art.
2878 1) la cancellazione dell’iscrizione; 2) la mancata rinnovazione dell’iscrizione nel termine
di venti anni dalla trascrizione; 3) l’estinzione della obbligazione; 4)il perimento del bene
ipotecato; 5) la rinunzia del creditore all’ipoteca; 6) lo spirare del termine di durata

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dell’ipoteca o l’accertamento della condizione risolutiva; 7) la pronunzia di provvedimento


che trasferisce all’acquirente il diritto espropriato e ordina la cancellazione dell’ipoteca. Se il
bene ipotecato è alienato l’ipoteca si estingue per prescrizione ventennale dalla data di
trascrizione del titolo di acquisto fatte salve cause sospensive o di interruzione.
• Cancellazione: la cancellazione può avvenire per volontà del creditore, manifestata mediante
atto pubblico o per scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata
giudizialmente. Se il creditore iscritto non consente alla cancellazione quando è cessata
l'efficacia del titolo è tenuto al risarcimento del danno verso il proprietario del bene
ipotecato per gli ostacoli conseguenti alla circolazione del bene.

Contratti di garanzia finanziaria.


Si intendono i contratti di garanzia reale avente ad oggetto attività finanziarie volte a garantire
l’adempimento di obbligazioni finanziarie. E’ richiesta la forma scritta sia ai fini della prova che per
l’opponibilità a terzi. La normativa introdotta mira a facilitare la realizzazione del credito, con la
previsione di validità dei contratti che attribuiscono al creditore pignoratizio poteri di escussione
della garanzia in via di autotutela.
7
Estenzione della responsabilità patrimoniale.

Garanzie legali e volontarie.


Si è visto che la garanzia del credito è rappresentata dal patrimonio del debitore. Sono frequenti le
ipotesi in cui si rafforza la garanzia del credito affiancando alla garanzia del debitore ulteriori
garanzie offerta da soggetti diversi accrescendo così il patrimonio sul quale il creditore può
soddisfarsi. Talvolta è la legge a prevedere che alcuni soggetti rispondano per le obbligazioni assunte
da soggetti giuridici diversi, si parla a riguardo di garanzia personale. Altre volte la garanzia trova
fonte nella volontà privata. In presenza di un patrimonio modesto, rispetto all'entità del credito, il
creditore è solito chiedere che il debitore procuri garanzie da parte di altri soggetti in grado di
soddisfare il il credito.

A) Garanzie personali.

Generalitá.
È possibile che un soggetto assuma la garanzia personale per l'adempimento delle obbligazioni
altrui. Il terzo in tal modo è tenuto a rispondere illimitatamente per l'adempimento delle
obbligazioni altrui con tutti i suoi beni presenti e futuri. Si parla in tal modo della fideiussione, il
mandato di credito, il contratto autonomo di garanzia e l'avallo.

Fideiussione.

È la garanzia personale più frequente. Per l’articolo 1936, “e fideiussore colui che, obbligandosi
personalmente verso il creditore, garantisce l’adempimento di un’obbligazione altrui”. È dunque un
contratto tipico, che si configura come contratto unilaterale, il senso e dallo stesso derivano
obbligazioni a carico di una sola parte e cioè del solo fideiussore. Funzione della fideiussione è
quella di rafforzare la pretesa creditoria, traverso la costruzione di una obbligazione aggiuntiva alla
obbligazione principale, sì da duplicare i patrimoni sui quali il creditore possa far valere il diritto di
credito. Per i tempi di maggiore consistenza, si ricorre talvolta coinvolgere più soggetti nella garanzia
del credito, costituendo un accordo fideiussione o una Sessione plurima. La fideiussione efficace
anche se il debitore garantito non ne ha conoscenza.

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Quanto all’oggetto, la fideiussione è di regola prestata per garantire rapporti obbligatori attuale, può
essere prestata anche per garantire una obbligazione condizionale o un’obbligazione futura, con la
previsione, in quest’ultimo caso, importo massimo garantito.

L’obbligazione fideiussoria è accessoria rispetto a quella principale garantita. Inoltre non può
eccedere quanto è dovuto dal debitore, né può essere prestata condizioni più onerose. Infine, il
fideiussore può opporre al creditore le eccezioni che spettano al debitore principale, salva quella
derivante dall’incapacità.

La fideiussione si estingue, con l’estinzione dell’obbligazione principale. Però il fideiussore rimane


obbligato anche dopo la scadenza dell'obbligazione principale, quando il creditore entro sei mesi
dalla scadenza abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate.

Inoltre l’obbligazione si estingue nei seguenti due casi

- quando, per fatto del creditore, non può avere effetto la surrogazione del fideiussore nei
diritti e delle garanzie del creditore.
- Quando, in ipotesi di fideiussione per un'obbligazione futura, il creditore, senza
autorizzazione del fideiussore, ha fatto credito al terzo, pur conoscendo che le contiene
patrimoniale di questo erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il
soddisfacimento del credito

Analizziamo quindi rapporti tra i soggetti coinvolti:

a) Rapporti tra fideiussore creditore. Il fideiussore è obbligato in solido col debitore principale
al pagamento del debito, sicché il creditore può chiedere l’adempimento per l’intero sia il
debitore principale che al fideiussore. Le parti possono pattuire il cosiddetto beneficio di
escussione, per cui il fideiussore non è tenuto a pagare prima dell’escussione del debitore
principale, tal caso il fideiussore deve indicare i beni del debitore principale sul quale il
creditore può soddisfarsi.

b) Rapporti tra fideiussore e debitore. Il fideiussore ha più rimedi a tutela delle sue ragioni
verso il debitore. Anzitutto, al cosiddetto diritto di rilievo verso il debitore, perché questi, i
casi previsti all’articolo 1153, mi procuri la liberazione o, in mancanza, presti le garanzie
necessarie per assicurare il soddisfacimento delle eventuali ragioni di regresso. Inoltre, il
fideiussore che ha pagato il debito è assistito da surrogazione legale nei diritti che creditore
aveva contro il debitore: il fideiussore può avvalersi anche delle garanzie che il creditore
aveva verso il debitore.
Infine, il fideiussore che ha pagato a azione di regresso verso il debitore principale. Il
regresso comprende il capitale, interessi e le spese che il fideiussore ha fatto dopo che ha
denunziato al debitore principale le stanze proposte contro di lui, se però il debitore
incapace, il regresso è ammesso nei limiti di ciò che si è stato rivolto a suo vantaggio.

Contratto autonomo di garanzia.


Il contratto autonomo di garanzia è il contratto in base al quale una parte si obbliga, a titolo di garanzia, ad
eseguire immediatamente la prestazione del debitore, indipendentemente dalla validità, efficacia, esistenza
del rapporto di base è senza sollevare eccezioni, salvo la sola exceptio doli e cioè l'eccezione portata nei
confronti di chi abbia agito con dolo al fine di indurre il garante alla conclusione del negozio. Il garante deve
quindi provvedere immediatamente al pagamento nei confronti del creditore senza la possibilità di portare

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contestazioni. Tale contratto di garanzia può affiancare vari tipi di contratto, appalto, vendita,
somministrazione, mutuo, apertura di credito, ecc., con la funzione di procurare sicurezza circa il
soddisfacimento del credito. Tratto fondamentale del contratto di garanzia è l'assenza dell'elemento di
accessorietà rispetto l'obbligazione garantita per cui il garante non può opporre al beneficiario creditore le
eccezioni inerenti alla obbligazione principale. La giurisprudenza ha ritenuto che l'inserimento nel contratto
di fideiussione di una clausola che preveda il pagamento a prima richiesta e l'impossibilità per il garante di
apporre eccezioni, sia sufficiente per qualificare il rapporto quale contratto autonomo di garanzia.

Mandato di credito.
È un contratto con il quale un soggetto, su incarico di un altro soggetto si obbliga a fare credito a un terzo in
nome e per conto proprio. Il soggetto che ha dato l'incarico risponde come fideiussore di un debito futuro.
Chi ha accettato l'incarico non può rinunciarvi, mentre chi lo ha conferito può revocarlo salvo l'obbligo di
risarcire il danno alla controparte. Se però dopo l'accettazione dell'incarico, le condizioni patrimoniali di chi
ha conferito l'incarico o del terzo diventano tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del
credito chi ha accettato l'incarico non può essere costretto ad eseguirlo.

Avallo.
L'avallo è apposto sull'assegno bancario o sulla cambiale. Da luogo ad una tipica obbligazione cartolare
caratterizzata dai requisiti dell'autonomia, dell'astrattezza e della letteralità. Sia il pagamento della cambiale
che dell'assegno bancario possono essere garantiti con avallo per tutta o parte della somma. Chi rilascia
l'avallo è obbligato nella stessa maniera di colui per il quale l'avallo è stato dato. Contrariamente alla
fideiussione, che rappresenta una garanzia accessoria, l'avallo è una obbligazione autonoma. Ciò significa che
l'avallante è tenuto a pagare anche nel caso in cui la cambiale sia invalida con eccezione del caso in cui
presenti vizi di forma. Colui che rilascia l'avallo e paga la cambiale o l'assegno, acquista i diritti ad essa
inerenti contro il soggetto garantito e contro coloro che sono obbligati verso quest'ultimo.

Lettera di patronge.
È diffusa la prassi di rilasciare, da parte di una società capogruppo o controllante, lettere di patronage o dette
anche di gradimento, ad una banca, affinché questa conceda, mantenga o rinnovi un credito a favore di una
società controllata. Il dato comune alle lettere di patronage è l'esistenza di un rapporto tra due società, con la
partecipazione di una società controllante nella società controllata e il correlato impegno della società
controllante verso la banca erogatrice del credito di comunicare ogni variazione del rapporto corrente tra le
due società. L'impegno può esaurirsi in una mera informatica di controllo oppure nella gestione della società
controllante, assunzione dell'impegno di solvibilità della società controllata o addirittura il rischio di
inadempimento.

B) Garanzie reali. L’altra forma di estensione della responsabilità patrimoniale è quella della concessione, da
parte di terzi, di garanzie reali (pegno e ipoteca). Si è visto come il pegno e l’ipoteca possano essere costituiti
a garanzia dell’obbligazione, non solo dal debitore, ma anche dal terzo, il quale così assume la veste di terzo
datore di pegno o terzo datore di ipoteca.
PARTE VIII
CONTRATTO
Autonomia negoziale e autonomia contrattuale
L’autonomia negoziale esprime la generale categoria di autoregolazione dei propri interessi,
patrimoniali e non patrimoniali.
L’autonomia contrattuale: l’art.1321 qualifica l’autonomia contrattuale come il potere di
determinare liberamente il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge.
Di conseguenza è garantita la libertà di contrarre, libertà di scelta del contraente e la libertà di
contrattare

Elementi essenziali del contratto


1) accordo delle parti: esprime la comune volontà negoziale, determinando la conclusione del
contratto.
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2) Causa: indica la funzione pratica e concreta, ovvero economico e sociale del contratto.
3) Oggetto: indica l’assetto di interessi realizzato, ovvero lo scopo.
4) Forma vincolata: designa la forma di manifestazione della volontà negoziale, quando è
prescritta sotto pena di nullità.

Oltre agli elementi essenziali del contratto possono essere inseriti anche:
- elementi accidentali detti tali in quanto possono essere o meno presenti nel contratto:
sono aggiunti dalle parti con la funzione di arricchire il contenuto del contratto.
- elementi naturali, che possono essere prestati direttamente alla legge ma che le parti
possono eliminare.

CONCLUSIONE
A) Accordo e conclusione del contratto
L’accordo realizza la concordanza degli interessi e determina la conclusione del contratto, ma
l’accordo non sempre sufficiente alla conclusione del contratto, soprattutto per quanto riguarda i
contratti plurilaterali. In quanto il fine perseguito da una parte può non coincidere con quello
dell’altra, parte per questo È fondamentale regolare l’assetto di interessi delle varie parti. In
relazione al divario tra accordo e conclusione si suole distinguere tra contratti consensuali e
contratti reali.

La volontà negoziale deve essere manifestata al mondo esterno attraverso la dichiarazione di


volontà, la cui assenza comporta assenza di volontà negoziale. La volontà quindi espressa attraverso:
- Il linguaggio, che è una manifestazione espressa.
- Il contegno, che è una manifestazione tacita, quindi dal comportamento è dedotta la
volontà di conseguire uno scopo pratico.
- Il silenzio, che come tale neutro.

TUTELA DELL’AFFIDAMENTO
Può accadere che una manifestazione di volontà, non sia consapevolmente voluta, ovvero che sia
voluta nella sua materialità come contegno, ma non si è avvertita o voluta come manifestazione di
volontà negoziale.
Per questi rapporto tra volontà e dichiarazione risolto in generale dal codice civile con la tutela
dell’affidamento, che significa comportarsi rispettando la legittima aspettativa che si è indotta nella
controparte con la propria dichiarazione o comportamento.

ASSENZA DI VOLONTÀ NEGOZIALE


Si ha assenza di volontà negoziale quando non si realizza un libero e consapevole intento comune,
nonostante l’impiego degli schemi formali di manifestazione della volontà. Di regola l’assenza di
volontà negoziale comporta nullità del negozio. Esistono ipotesi in cui è assente la volontà della
materialità della dichiarazione:
- Violenza fisica, la violenza fisica si coarta materialmente un soggetto a dichiarare una
volontà negoziale inesistente. La violenza fisica è atto così grave che produce la nullità
del contratto.
- Non serietà della dichiarazione, Per essere la stessa espressa per scherzo o formulata
fine didattico.
Spesso, invece, vi è una divergenza tra volontà e dichiarazione come nel caso:
- Riserva mentale, quando un soggetto dichiara intenzionalmente cosa diversa da quello
che vuole realmente, senza accordarsi col destinatario e senza che questo se sia a
conoscenza.
La dichiarazione è intenzionalmente non conforme alla volontá negoziale, ma nel
contesto sociale dove la dichiarazione opera il divario non è avvertito: perciò il contratto
è valido.
- Errore ostativo, cioè l’errore nella dichiarazione o nella sua trasmissione.
Può portare all’annullabilità o nullitá del negozio.
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B) VIZI DEL CONSENSO

Può avvenire che una dichiarazione sia voluta, non solo nella sua materialitá, ma anche come
espressione di intento negoziale, e che però fattori vari alterino il processo di formazione della
volontà. In tali casi la stessa volontà negoziale risultare viziata, di conseguenza danno luogo alla
annullabilità del negozio.
Esempio: se Tizio in mala fede mi ha indotto a comprare un quadro di Picasso, io effettivamente ho
voluto l’acquisto, ma tale volontà è stata viziata e, in quanto il quadro è falso. Di conseguenza posso
chiedere l’annullamento del negozio.

Errore
L’errore può insorgere sia nella formazione della volontà negoziale e stia nella dichiarazione della
stessa: nella prima ipotesi Opera quale errore vizio della volontà negoziale, ed è perciò ho detto
errore vizio. Nella seconda potessi opera quale anomalia della dichiarazione, ed è perciò indicata
quale “errore ostativo”.
- Errore vizio: L errore vero e proprio, quale vizio della volontà consistente è una falsa
rappresentazione della realtà. La falsa conoscenza della realtà è imputabile allo stesso
autore della dichiarazione. L’errore di conoscenza influenza ed orienta la libertà di scelta,
traducendosi in un vizio della volontà, perciò il consenso è dato per errore.

L’errore vizio può essere di fatto o di diritto.


L’errore di fatto cade su una circostanza di fatto la cui falsa rappresentazione incide nella
determinazione dell’assetto di interessi. Esempio: un soggetto acquista un bene ad un terminato
prezzo credendo loro invece scopre in seguito che solo ricoperto di oro.
L’errore di diritto invece consiste nella ignoranza o falsa conoscenza circa l’esistenza o il significato
di una norma giuridica. Ed è causa di annullamento quando abbia costituito la ragione principale del
consenso
L’errore (sia di fatto che di diritto) è il rilevante come causa di annullamento del contratto quando è
essenziale e riconoscibile.
- Essenziale, quando cade su specifiche circostanze indicate dalla legge. L’articolo 1429
prevede un’elencazione di circostanze di errore giuridicamente rilevanti, le norme però
sono suscettibili di applicazione estensiva ed analogica.
Queste circostanze sono:
1) Quando cade sulla natura o sull’oggetto del contratto. (Natura uguale causa).
2) Quando cade sulla identità dell’oggetto della prestazione, Ed è determinante del
consenso.
3) Quando cade sull’identità o sulle qualità della persona Dell’altro contraente, sempre
che l’una o le altre siano stai terminanti del consenso.
4) Quando, trattandosi di errore di diritto, questo sia stato la ragione unica o principale
del contratto. Però la transazione non può essere annullata per il diritto. Non dar
luogo ad annullamento ma solo a rettifica, l’errore di calcolo, tranne che questo,
concretandosi in errore sulla quantità, sia stato il determinante del consenso, e di
conseguenza si rileva come errore essenziale e come causa di annullamento del
contratto.
- Riconoscibile dall’altro contraente. Per l’articolo 1431 e l’errore si considera riconoscibile
quando, in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto, una persona di normale
diligenza avrebbe potuto rilevarlo. È in tale previsione è una significativa applicazione del
principio dell’affidamento, dove viene valorizzato il destinatario della dichiarazione. Solo
se l’errore risulta riconoscibile il contratto può essere annullato, altrimenti pure in
presenza dell’errore, il contratto rimane valido.

In applicazione di un generale principio di conservazione del negozio e consentito al


destinatario della dichiarazione evitare l’annullamento del contratto, anche quando
l’errore è riconoscibile, con il mantenimento del contratto rettificato, ovvero se la parte
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in errore offre di seguirlo in modo conforme al contenuto e alle modalità del contratto
che quella intendeva concludere.

- Errore ostativo. L’errore incide sulla manifestazione della volontà negoziale in quanto la
stessa, in conseguenza dell’errore, contiene un riferimento errato. L’errore può cadere
senz’altro sulla dichiarazione oppure sulla sua trasmissione. In ragione di ciò una
generale esigenza di tutela dell’affidamento accomuna le due porte e siccome cause di
annullabilità. Perciò anche l’errore ostativo è rilevante come causa di annullamento solo
sì è essenziale e riconoscibile, secondo le indicazioni di articoli 1429 e 1431.Inoltre anche
con riguardo all’errore ostativo opera il principio del mantenimento del contratto
rettificato.

Dolo
Come l’errore, anche il dolo influenza la conoscenza della realtà e dunque la libertà di scelta,
viziando la volontà negoziale. Il dato peculiare e che il dolo induce in errore tramite l’inganno cioè
con l’impiego di raggiri ed artifici che una parte perpetra a danno dell’altra per indurlo a concludere
il contratto:
il consenso è carpito con dolo.
Il dolo può essere commissivo, cioè compiuto con atti fraudolenti, oppure omissivo, cioè compiuto
con il silenzio: in ogni caso deve ingenerare nella controparte una rappresentazione alterata della
realtà, tale da essere determinante del consenso.
Per l’articolo 1439 il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati dal contraente
sono stati tali che, senza di essi, l’altro contraente non avrebbe contrattato. E questo il dolo vera e
propria, detto dolo determinante, cioè determinante del consenso.
Inoltre necessario che artifici e reagii provengono dalla con trovante che trae profitto dalla
conclusione del contratto: quando artifici raggiri sono stati usati da un terzo, il contratto è
annullabile solo se gli stessi erano noti al contraente che ne ha tratto vantaggio.
Perciò, l’annullamento del contratto, si somma l’obbligo di risarcimento dei danni a carico
dell’autore del dolo. Il dolo può avere anche rilevanza penale, integrando il reato di truffa.

Diverso è il dolo incidente. Il dolo non è determinante della conclusione del contratto, ma incide sul
suo contenuto, che si sarebbe pattuito diversamente. Per l’articolo 1440, se i raggiri non sono stati
tali da terminare il consenso, il contratto è valido, ma il contraente in malafede risponde dei danni.

In ipotesi di dolo incidente, non c’è reazione dell’ordinamento e sull’atto ma solo reazione contro il
soggetto che ha agito con dolo, il contratto rimane valido, ma l’autore del dolo risponde per
comportamento illecito lesivo della libertà negoziale della controparte, con comminatoria
dell’obbligo di risarcimento del danno.

Violenza morale
La violenza morale consiste nella minaccia di un male ingiusto e notevole tale da indurre il soggetto
violentato a concludere un contratto. Più specificamente, segue della minaccia al soggetto e
violentato si prospettano due possibilità
- Subire il male minacciato e non concludere il contratto
- Evitare il male minacciato e concludere il contratto.
In questa ultima ipotesi il consenso e estorto con violenza. La minaccia può essere esercitato in
modo esplicito o anche il modo implicito, e può provenire sia dalla controparte che da un terzo.
La violenza deve assumere efficienza causale concreta nella determinazione del consenso. Per
l’articolo 1435 la violenza deve essere di tale natura da fare impressione sopra una persona sensata,
sì da far temere di esporre sè o i suoi beni a un male ingiusto.
I caratteri della violenza giuridicamente rilevante sono: la minaccia deve essere determinante, deve
essere ingiusta e notevole.

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La violenza è causa di annullamento del contratto anche quando il male minacciato riguarda la
persona poi beni del coniuge del contraente o di un discendente. Inoltre l’autore della violenza
all’obbligo di risarcimento del danno subito dal soggetto minacciato. Al pari del dolo anche la
violenza morale può avere rilevanza penale: può integrare il reato di estorsione.

C) MODI DI CONCLUSIONE DEL CONTRATTO

Scambio di proposta e accettazione


Tecnica generale di conclusione del contratto è la formazione dell’accordo con lo scambio di
dichiarazioni di proposta e accettazione. Le stesse non sono autonomi negozi ma dichiarazioni
unilaterali, il cui intreccio determina la formazione dell’accordo.
Per il codice civile, se l’accordo corre tra soggetti presenti, la verifica della conclusione del contratto
e di più agevole soluzione in quanto il consenso è contestuale contemporaneo. Il modo più diffuso
di conclusione del contratto è proprio quello della sottoscrizione di dichiarazione congiunta delle
parti.
Più problematica è la verifica della conclusione del contratto tra soggetti lontani.
In tale ipotesi assumono rilevanza fondamentale le caratteristiche delle dichiarazioni che le parti si
scambiano:
1) La Proposta esprima la iniziativa del contratto: è la offerta di una parte all’altra parte di
concludere un contratto relativamente ad un determinato assetto di interessi, sul quale si
richiede l’accettazione. La proposta deve essere completa e impegnativa. La proposta deve
cioè contenere i tratti essenziali del contratto proposto, inoltre deve esprimere un intento
impegnativo, nel senso di manifestare una decisione di concludere il contratto.
Se la proposta è incompleta in quanto manca un tratto essenziale o comunque una rivolta ad
un impegno vincolante, la dichiarazione si atteggia quale invito ad offrire.
La proposta è revocabile fino a quando il contratto non è concluso, tuttavia se l’accettante
intrapreso in buona fede l’esecuzione il contratto prima di avere avuto notizia della revoca, il
proponente è tenuto ad indennizzare delle spese e delle perdite subite per iniziata
esecuzione del contratto (articolo 1328).
Una specifica funzione assume la cosiddetta proposta irrevocabile: se il proponente si
obbliga a mantenere ferma la proposta per un certo tempo, la revoca è senza effetto. Anche
la morte o la sopravvenuta incapacità del proponente non toglie efficacia alla proposta
irrevocabile, pertanto si rivela essenziale la Rita e la determinazione del termine di
irrevocabilità della proposta, alla cui scadenza viene meno il rafforzamento della proposta.

2) L’accettazione è la dichiarazione di consenso alla proposta e dunque l’assetto di interessi


divisato. L’accettazione deve essere conforme alla proposta e tempestiva. Inoltre
l’accettazione deve giungere al proponente nel termine indicato in quello ordinariamente
necessario secondo la natura dell’affare o secondo gli usi. Anche L’accettazione è revocabile,
se la revoca giunge a conoscenza del proponente prima dell’accettazione.
3) Tratti comuni. Di regola, se non è prevista una forma vincolata, proposte accettazione
possono essere dichiarate in qualsiasi forma. Se però il proponente richiede per
l’accettazione una forma è terminata, citazione effetto si è data in forma diversa. La morte è
l’incapacità successiva di una delle parti impedisce la conclusione del contratto.
4) La conclusione Del contratto avviene nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha
conoscenza dell’accettazione dell’altra parte (art.1326).
La norma è da collegare l’articolo 1334, secondo cui gli atti unilaterali producono effetto
quando vengono a conoscenza del destinatario, è il cosiddetto principio cognitivo o della
conoscenza.
Tale principio opera però con il fondamentale temperamento della cosiddetta presunzione di
conoscenza, per cui ogni dichiarazione diretta ad una determinata persona si reputano
conosciute nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario, salvo che questi non
provi che, senza sua colpa, era nell’impossibilità di prenderne conoscenza.
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Offerta al pubblico
E una proposta indirizzata ad una generalità d persone (in incertam personam).
Per non essere indirizzata ad un soggetto determinato, l'offerta al pubblico non integra un atto
recettizio: non deve essere portata a conoscenza dei terzi per avere efficacia, essendo sufficiente
che sia resa conoscibile. Caratteristica di tali fenomeni non è l'assenza dell'accordo ma la peculiare
modalità di formazione dello stesso, mediante uno specifico contegno. Per le circostanze nelle quali
tali contegni sono tenuti gli stessi assumono il significato sociale di orientarsi verso lo scambio di un
bene o un servizio o di una prestazione lavorativa verso il corrispettivo di un prezzo.
La revoca dell’offerta non può indirizzarsi individualmente: è sufficiente che sia resa conoscibile,
indipendentemente dalla conoscenza effettiva. Offerta al pubblico si differenzia dalla promessa al
pubblico, essendo questa un’equazione laterali di per sé fonte di obbligazione.

Il contratto aperto.

Si è anticipato e ancora si parlerà in seguito dei contratti con comunione di scopo, con i quali si
tende a realizzare un interesse comune a tutte le parti del contratto (VILL, 3.18)
Tali contratti possono aprirsi all'esterno mediante la previsione di una c.d. clausola di apertura. È il
fenomeno tipico delle organizzazioni collettive (associazioni, società specie cooperative, ecc.), al fine
di incrementare la compagine sociale.
Il carattere "aperto" tipicamente connota i contratti plurilaterali. Con la clausola di apertura i
contraenti originari offrono la possibilità ad altri soggetti di aderire al contratto originario,
accettandone i fini e l'organizzazione interna (espressi dallo statuto).
L'apertura può riguardare la generalità dei soggetti o specifiche categorie di soggetti con
determinate caratteristiche (professionali, culturali, ecc.), operando caso come offerta al pubblico.

Più raramente l'apertura fa riferimento a soggetti predeterminati: in tal caso opera come una
normale offerta contrattuale.
Le adesioni sono assoggettate a verifica da parte statuto o, in mancanza, dalla totalità degli
associati. L'atto di accoglimento di regola si limita a verificare il ricorso dei presupposti per
l'ammissione: è un controllo di conformità dell'adesione all'offerta (proposta) contenuta nella
clausola di apertura Qualora l'adesione non sia conforme all'offerta, per non ricorrere i requisiti di
adesione predeterminati, la richiesta di adesione vale (a sua volta) come proposta (ex 1326'), che,
per essere accolta, richiede l'accettazione da parte del gruppo.

Conclusione senza apposita accettazione.


Sono sempre più numerose le lamento di interessi tra due parti senza il ricorso alle tecniche della
formale proposta e della formale accettazione, ma solo attraverso il contegno delle parti.
- Esecuzione prima dell’accettazione.
Qualora, su richiesta del proponente o per la natura dell'affare o secondo gli usi, la
prestazione debba eseguirsi senza una preventiva risposta, il contratto è concluso nel
tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l'esecuzione (art. 13271).

Di regola l'esecuzione segue la conclusione del contratto: il proponente es. essere a


conoscenza prima dell'esecuzione per predisporsi a ricevere la prestazione della
controparte.
L'art. 1327 prevede un meccanismo di conclusione del contratto in deroga alla regola
dello scambio delle dichiarazioni, consentendo da un lato, che l'esecuzione del contratto
possa intervenire prima dell'accettazione, e dall'altro che l'inizio dell'esecuzione

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determini la conclusione del contratto. Perciò la sua operatività è circoscritta dalla legge
alle sole tre previste (richiesta del proponente, natura dell'affare, presenza di usi).
In realtà il fenomeno è frequente nei rapporti commerciali, per la natura di tali affari di
comportare una spedita realizzazione.

Ad es nelle vendite tra piazze diverse è prassi che il venditore, ricevuta la proposta di
acquisto dal compratore e conveniente, invii senz'altro la merce prima della risposta.
L'accettante deve dare prontamente avviso alla controparte della iniziata esecuzione, in
mancanza è tenuto al risarcimento danni (1327 Il proponente, non avvertito
dell’accettazione, potrebbe non essere pronto a ricevere la prestazione (nell'esempio
fatto il compratore non ha gli spazi disponibili per ricevere la merce). In tal caso
l’accettante è tenuto a risarcire i danni sofferti dal proponente per riceversi la
prestazione.

- Mancato rifiuto di proposta con obbligazioni del solo proponente.


La proposta diretta concludere un contratto da cui derivano obbligazioni solo per il
proponente è irrevocabile appena giunge a conoscenza del destinatario. Il destinatario
può rifiutare la proposta nel termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi, in
mancanza di tale rifiuto il contratto è concluso. Il meccanismo opera di frequente per le
fideiussioni.

La giurisprudenza tende a conformarsi alla lettera della legge, qualificando il mancato


rifiuto come accettazione tacita. Derivando al contratto obbligazioni a carico del solo
proponente, il silenzio il destinatario è considerato come comportamento concludente
favorevole alla formazione del contratto.
E dunque una proposta rafforzata della irrevocabilità, il diritto accordato all’oblato di
rifiutare la proposta garantisce allo stesso il diritto di non subire un effetto non voluto.
Predisposizione di condizioni generali di contratto
La previsione di condizioni generali di contratto è una tecnica propria dei contratti per adesione,
perché una parte aderisce ad un contratto predisposto dall’altra parte.

Per il codice civile le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci
nei confronti dell’altro se, momento della conclusione del contratto, “questi le ha conosciute o
avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza”. L’aderente rimane vincolato anche per
condizione generale che non è effettivamente conosciuto e dunque accettato, la conoscibilità è stata
peraltro intesa come notorietà dell’esistenza delle condizioni generali e intelligibilità del relativo
contenuto.
Sono apprestati tre meccanismi tutela del contraente aderente:
1) Introdotto un requisito di forma per clausole vessatorie, cioè quelle clausole considerate
particolarmente onerose del contraente aderente e dalla stessa legge individuate. Per l’articolo
1341 hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto dico le condizioni che
stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di
recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, direzionare libertà contrattuale rapporti
con i terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto.
È perciò emersa un’interpretazione orientata ad una migliore tutela del contraente aderente,
richiedendosi una autonoma e specifica approvazione per iscritto delle singole clausole, non
considerandosi sufficiente il richiamo alle stesse. È maturata inoltre la convinzione che l’assenza
di specifica approvazione scritta delle clausole vessatorie comporti un vizio di forma ad
substantiam che termina la nullità delle stesse.
2) È stabilita la prevalenza delle clausole aggiunte a moduli o formulari. Per l’articolo 1342 le
clausole aggiunte al modulo formulario prevalgono su quelle del modulo del formulario quando
siano incompatibili con esse. Anche ai contratti conclusi mediante moduli o formulari
applicabile requisito di forma per la validità delle clausole vessatorie.

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3) E fissata la regola della interpretazione contro l’autore della clausola. Con l’articolo 1370 le
clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari predisposti da uno
dei contraenti si interpretano, nel dubbio, a favore dell’aderente.

Contratti conclusi fuori dei locali commerciali e a distanza


Analoga tutela opera per i contratti a distanza.
In tali contratti consumatore colto di sorpresa senza necessaria consapevolezza dell’operazione
economica compiuta. Se vuole quindi garantire nel consumatore la maturazione della scelta e
dunque un consapevole esercizio dell’autonomia negoziale: e perciò attribuiti al consumatore il
diritto di recesso dal contratto senza alcuna penalità e senza specificare il motivo entro il termine di
14 giorni. Trattasi di un recesso di pentimento. Esercitabile al consumatore ad nutum, cioè maniera
assoluta e insindacabile. Inoltre, nei contratti che implicano una spedizione rischio di perdita o
danneggiamento è a carico del professionista fino alla consegna. Sempre maggiormente tale diritto
del consumatore per alto presidiato da un obbligo di informazione sul diritto di recesso posta a
carico dell’imprenditore. È fatto obbligo all’operatore commerciale di informare per iscritto il diritto
di recesso spettante al consumatore: in assenza e tali informazioni il periodo di recesso è di 12
mesi.

Rapporti contrattuali per contatto sociale.


Ordinamento attribuisce rilevanza giuridica anche al mero contatto sociale, estrinsecato, vuoi in
comportamenti attuativi di negozi giuridici in baldi, vuoi bere relazioni sociali alle quali la legge
connettere osservanza e comportamenti. Nella prima direzione, si tende attribuire effetti giuridici
ad atti e comportamenti compiuti sul presupposto di negozi giuridici riversati si imballi. Si pensi alla
materia del lavoro, dov’era nullità la nulla mento il contratto di lavoro non produce effetto rispetto
alle prestazioni eseguite: L’esigenza intera dei lavoratori subordinati, che in fatto hanno eseguito
prestazioni delle quali il datore di lavoro sia vantaggiati, farsi che l’ordinamento connette all’attività
lavorativa la estrazione di rapporto di lavoro. È la seconda direzione fenomeno rileva in ragione
della responsabilità contrattuale che con essa la specifica comportamenti, pur in assenza di un
vincolo contrattuale tra gli stessi.
Anche sul terreno familiare stanno emergendo fenomeni tra direzione. Si pensi alla rilevanza della
legge, ormai molte occasioni, attribuisce alla famiglia di fatto, dove vengono tutelati i componenti
della formazione sociale pure in assenza di un atto formale di matrimoni.

Vincoli legali alla libertà di contrarre


La legge impone spesso limiti legali alla autonomia privata, vincolando in vario modo la libertà e
stipulare un contratto e di scelta del contraente.
I vincoli legali sono
- La prelazione legale è la figura più diffusa di vincolo legale.
È un vincolo legale in forza del quale un soggetto (promettente) si obbliga a dare ad un
altro soggetto (promissario o prelazionario) la preferenza rispetto ad altri, parità di
condizioni, nel caso in cui decida di stipulare un determinato contratto. Dalla relazione
legale nasce, a carico del promettente, un obbligo, di carattere positivo, di comunicare al
promissario intenzione di concludere il contratto le condizioni dello stesso (c.d.
Denuntiatio), ed un obbligo negativo di astenersi dalla stipula con terzi prima di avere un
formato il promissario o di aver ricevuto la sua risposta.

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- L’opzione legale ha una minore diffusione, ma una maggiore incisività della prelazione
legale. In ragione di un particolare assetto giuridico, è accordato dalla legge ad un
soggetto il diritto di conseguire un bene, con correlato obbligo del titolare di formulare
offerta di acquisto, che l’opzionario è libero di accettare o meno. La figura a uno specifico
campo di applicazione in tema di società per azioni.

- L’obbligo legale a contrarre indica le ipotesi in cui la stipula di un contratto non è per un
soggetto espressione di libertà negoziale, come di regola accade, ma costituisce un
comportamento dovuto. Fonte dell’obbligo a contrarre può essere sia l’autonomia
privata (ad es., chi stipula un contratto preliminare assume l’obbligo di concludere
successivamente il contratto definitivo), sia la legge (ad es., l’art. 2597 c.c. dispone che
chi esercita un’impresa in condizioni di monopolio legale ha l’obbligo di contrattare con
chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto dell’attività d’impresa, osservando
la parità di trattamento).

- Il divieto legale di alienazione: Per divieti negoziali di alienazione si intendono in


generale le restrizioni poste dall’autonomia privata al potere di disposizione, ovvero alla
possibilità di un soggetto di trasferire un suo diritto. Possono essere disposti per
contratto (art. 1379 c.c.): in questo caso sono validi solo se contenuti entro convenienti
limiti di tempo e se rispondono a un apprezzabile interesse di una delle parti; comunque
hanno effetto solo tra le parti, per cui non escludono la possibilità di un trasferimento,
salva la responsabilità dell’alienante nei confronti del soggetto con cui il divieto è stato
pattuito.

Vincoli negoziali alla libertà di contrarre.


Tali vincoli negoziali possono essere assunti da una sola delle parti o da entrambe le parti. Le
figure più significative sono:
- Prelazione convenzionale. La prelazione convenzionale un vincolo negoziale alla scelta
del contraente. Con il patto di prelazione il promettente si obbliga a preferire il
beneficiario nella ipotesi di alienazione di un bene.
Nella stipula del patto, va determinato l’oggetto del contratto per il quale si concede la
preferenza. Non te le esservi stata la durata dell’obbligo di preferenza, che non può
superare i cinque anni. Decidendo di allenare, la Nina ente deve comunicare al
prelazione Mario le condizioni proposte io da terzi o comunque a quali condizioni
intende alienare, e il prelazione Mario deve dichiarare se intende valersi del diritto di
preferenza. La comunicazione non può limitarsi alla mera enunciazione di addivenire A
quell’affare, ma deve indicare gli elementi del contratto, si deve tradursi in un avere
propria proposta contrattuale. È comune opinione che il patto abbia efficacia
obbligatoria tra le parti e non si opponibile ai terzi, quand’anche trascritto.

- Proposta irrevocabile.
La proposta irrevocabile è una proposta a termine, non consentendosi nell’ordinamento
un impegno perpetuo. Il termine indicato il destinatario della proposta irrevocabile ha il
diritto di concludere il contratto con l’accettazione, senza che il proponente possa
revocare la proposta, fino allo scadere del termine di irrevocabilità, la morte o la
sopravvenuta incapacità del proponente non toglie efficacia alla proposta, salvo che la
natura dell’affare o altre circostanze escludano tale efficacia.
Il termine di irrevocabilità non deve necessariamente coincidere con il termine di
efficacia della proposta

- Patto di opzione.

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È il patto con il quale le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla propria
dichiarazione e l’altra abbia facoltà di accettarla o meno, la proposta è la parte si vincola
è considerata come proposta irrevocabile per gli effetti dell’articolo 1329.

Se ad esempio un soggetto interessato ad un acquisto, ma non E sicuro dello stesso non


ha ancora il denaro necessario, può concordare con il venditore che lo stesso rimane
obbligato alla vendita per un determinato periodo mentre il compratore al diritto di
accettare o meno.
La concessione dell’opzione e di regola titolo oneroso, un soggetto si obbliga a
mantenere ferma la proposta verso un corrispettivo, che rappresenta il prezzo
dell’opzione.
Accettazione il contratto è concluso. Il patto di opzione di avere la forma del contratto e
si intende concludere, quando per questo è richiesta la forma vincolata appena di nullità.
Si è propensi a ritenere che il fatto abbia efficacia obbligatoria tra le parti e non si
opponibile ai terzi, quand’anche trascritto.

Esiste una profonda differenza con la prelazione: il beneficiario dell’opzione al diritto,


con l’accettazione, di concludere il contratto. Invece il beneficiario della prelazione sul
diritto di essere preferito nella eventuale stipula di un successivo contratto.
Profondo e anche la differenza con il contratto preliminare: con l’opzione, il beneficiario il
diritto di accettare, E di concludere il contratto. Viceversa, con il contratto preliminare, il
beneficiario, se intendi avvalersene, devi stipulare un successivo contratto, e se la parte
obbligata si rifiuta di ottenere una sentenza costitutiva che produca gli effetti del
contratto non concluso.

- Prenotazione.
Di facente la figura trovato particolare sviluppo nel settore dei viaggi organizzati delle
prestazioni alberghiere di trasporto. Per l’articolo 86 del codice del consumo il contratto
di vendita di pacchetti turistici, da redigersi in forma scritta in termini chiari e precisi,
deve contenere, tra l’altro, la indicazione dell’importo, comunque non superiore al 25%
del prezzo, da versarsi all’atto della prenotazione, nonché il termine per il pagamento del
saggio, il suddetto importo e è versato a titolo di caparra. Deve dedursi che la
prenotazione di un pacchetto turistico, accompagnata e versamenti una somma di
denaro, sia di regola presidiata da una caparra confirmatoria, con gli effetti previsti
dall’articolo 1385. Con la conclusione del contratto, della mancata esecuzione è lo stesso,
opererà la normale disciplina dell’inadempimento

- Divieto negoziale di alienazione.


Cap. VIII 6.14

D) FORMAZIONE PROGRESSIVA DEL CONTRATTO

È una prassi diffusa in cui la stipulazione del contratto è preceduta da trattative, con un
progressivo affinamento dell’accordo attraverso successive puntualizzazioni, che prendono il
nome di minuta, puntuazione, lettera di intenti.
La formazione progressiva del contratto ha una funzione meramente preparatori di un futuro
negozio. Tale in tese non sono come tali vincolanti, ma rilevano comunque giuridicamente
per la verifica della responsabilità precontrattuale. Spesso poi, le parti pervengono alla
compreso il contratto in modo progressivo attraverso la stipula di atti preliminari in vario
modo impegnativo.

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Contratto preliminare
È una prassi diffusa nella stipula del contratto definitivo sia anticipata da una contrattazione
preliminare tra le parti, che determina la formazione progressiva del contratto. Perciò le
parti assumono l’obbligazione di concludere un contratto definitivo.

a. Fattispecie ed effetti. Con il contratto preliminare le parti, verificata la convenzione di un


affare, intendono firmarlo stabilendo i termini essenziali dello stesso, rinviando ad un
momento successivo la stipula del contratto definitivo. L’obbligo può essere assunto da
entrambe le parti, oppure da una sola parte.
b. Forma e trascrizione. Per l’art. 1351 il contratto preliminare è nullo se non è fatto nella
stessa forma che la legge prescrive per il contratto definitivo. La norma si giustifica per la
possibilità accordata alle fasi di ottenere in via giudiziaria effetti del contratto non
concluso a, perciò senza l’intervento della controparte. Inoltre la forma dell’atto assunto
rilevanza anche fini della trascrizione del preliminare.. Infatti secondo l’articolo 2645 bis
punto 3, questi termini indicati, effetti della trascrizione del contratto preliminare
cessano e si considerano come mai prodotti.
c. Inadempimento e tutela. Quando la parte obbligata a concludere il contratto definitivo
si rende inadempiente, non volendo stipulare il contratto definitivo, la parte non
inadempiente può ricorrere a due tipi di tutela:
- può chiedere l’adempimento coattivo con l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a
contrarre. Per l’art.2932 se colui che è obbligato a concludere un contratto non adempie
l’obbligazione, l’altra parte, qualora sia possibile e non si escluso dal titolo ottenere una
sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso.
La sentenza è soggetta trascrizione a quale titolo di effetti traslativi. Se il contratto
preliminare finalizzate a trasferimento della proprietà di una cosa determinata o di altro
diritto, presupposto della domanda di esecuzione in forma specifica è la esecuzione della
prestazione dovuta o lo offerta di esecuzione della stessa nella forma di legge.
- Oppure può chiedere la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento
dell’obbligo a contrarre.
Ciò avviene ad esempio quando, prima della stipula del contratto definitivo, il
promettente venditore alieni il bene oggetto di preliminare a un terzo o non compie gli
atti necessari alla linea azione o non adempia un’obbligazione da seguirsi prima del
definitivo.
In tutte tali ipotesi è possibile chiedere la risoluzione il contratto preliminare per
inadempimento.

Sia che si accede all’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre, sia che si
scelga la risoluzione il contratto, la parte non inadempiente ha diritto al risarcimento dei
danni.

d. preliminare a effetti anticipati.


Vengono anticipati al momento del preliminare alcuni degli effetti propri del contratto
definitivo. E così frequente che una parte del prezzo della vendita sia pagata già all’atto
della stipulazione del preliminare e/o la consegna del bene sia anticipata rispetto alla
stipula del definitivo.

Trattasi comunque di una detenzione qualificata in quanto finalizzata all’acquisizione del


bene, si deve riconoscere al promissario acquirente, oltre l’azione possessoria di
reintegrazione ai sensi dell’articolo 1168, ulteriore tutela funzionale al conseguimento
della proprietà: vero la tutela contrattuale per inesatta esecuzione della prestazione
dovuta e specificamente per vizi oltre che per la presenza di pesi di carattere reale.
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Anche Protraendosi la disponibilità materiale del bene per oltre vent’anni, senza
stipulare il contratto definitivo, avendo il promissario acquirente cominciato ad avere la
detenzione non può mutare il titolo in possesso, tranne che non provi la cosiddetta
interversio possesionis ( mutamento del titolo per causa proveniente da un terzo in forza
di opposizione da lui fatta contro il possessore).

E) RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE

Ordinamento valuta il comportamento tenuto dalle parti durante le trattative nella


formazione del contratto, prescrivendo che si svolga secondo buona fede articolo 1337. La
violazione di tale dovere comporta responsabilità precontrattuale. L’Interesse protetto è
quello della libertà negoziale, cioè l’interesse a non essere coinvolto in trattative inutili e a
non stipulare contratti invalidi o in efficaci. La legge non specifica il contenuto della buona
fede, anche se si tratta della cosiddetta buona fede oggettiva cioè del dovere di lealtà e
correttezza e deve caratterizzare il comportamento delle parti, nella formazione con me
nell’esecuzione del contratto.

1) Ingiustificata rottura delle trattative.


Per piccolo 1337 le parti di lana svolgimento delle trattative nella formazione del
contratto, devono comportarsi secondo buona fede. La ingiustificata rottura delle
trattative sia quando le trattative si spingono fino ad un punto di sviluppo da ingenerare
nella controparte il ragionevole affidamento nella conclusione del contratto. Va però
ribadito che, fino alla conquista del contratto, se la proposta che l’accettazione sono
revocabili. L’arbitraria interruzione delle trattative, dopo aver ingenerato l’affidamento
nella conclusione contratto, è solo causa di responsabilità. Di integrare la responsabilità è
sufficiente l’assenza di giusta causa. A carico del danneggiato grava l’onere di provare
l’affidamento suscitato dalla trattativa, a carico del danneggiante incombe l’onere di
provare la giusta causa dell’interruzione della trattativa.

2) Mancata comunicazione delle case di invalidità.


Per l’articolo 1338 la parte che conoscendo dovendo conoscere l’esistenza di una causa
di invalidità, non ne dà notizia all’altra parte è tenuto a risarcire il danno da questa
sofferto per aver confidato senza colpa nella validità del contratto.

Il ricorso di casa di invalidità determina la nullità o l’annullabilità del contratto, però la


parte che, conoscendo o dovendo conoscere una causa di invalidità, non l’ha comunicata
la controparte e compie un atto illecito per la lesione della libertà negoziale della
controparte. Pertanto, la reazione dell’ordinamento sull’atto con la invalidità del
contratto, si aggiunge la reazione a carico del soggetto per l’illecito compiuto.
Quindi c’è invalidità dell’atto ma non c’è responsabilità per nessuna delle parti.

La clausola generale del trattare lealmente


Il precetto dell’articolo 1337 è connesso al principio di buona fede oggettiva e dunque operante
come clausola generale che impone alle parti trattare con le alta, con conseguente responsabilità
precontrattuale per violazione di tale principio.

I danni risarcibili
In ragione di una responsabilità precontrattuale, si tende a limitare il risarcimento ristoro del solo
cosiddetto interesse negativo c’è dell’interesse a non iniziare trattative inutili che hanno comportato
la sopportazione di spesa e la perdita di altre occasioni. In quanto a carico del soggetto responsabile
dell’obbligo di risarcimento del danno del soggetto danneggiato. Il risarcimento qui a diritto il
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soggetto danneggiato comprende dunque rimborso delle spese tenuta delle perdite sofferte per
non aver concluso altri contratti.
Ho detto danneggiato grava l’onere di provare l’illiceità il comportamento della controparte danni
subiti.

La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione


Anche pubblica amministrazione tenuta rispetto, durante le trattative, di generale dovere di
correttezza e buona fede, come profilo della fiducia riposta dal cittadino svolgimento dell’attività
amministrativa. Per me è principio consolidato trattasi di responsabilità da comportamento e non
da provvedimento, l’articolo 1337 pone in capo alla pubblica amministrazione obblighi analoghi a
quelli che gravano sul comune soggetto nel corso delle trattative precontrattuale. E non
responsabilità anche detta pura.
Diversa è la cosiddetta responsabilità precontrattuale spuria, conseguente all’illegittimità dell’atto
amministrativo, al fine di designare i danni cagionati da provvedimenti legittimo il corso della
procedura di evidenza pubblica.

3 Contenuto.

Determinazione del contenuto contrattuale.


Il contenuto esprime l’assetto di interessi realizzato dalle parti, fissando il risultato programmato
dalle stesse: è dunque il punto di riferimento dell’accordo. Il contenuto del contratto si connette
specificamente a due elementi essenziali del contratto: oggetto e causa. La mancanza o anomalia di
uno di tali elementi determina la nullità del contratto.

(A) Oggetto.

Nozione.
L’art. 1325, n.3, indica l’oggetto tra i requisiti del contratto: l’oggetto è dunque elemento essenziale
(costitutivo) del contratto, la cui mancanza comporta la nullità del contratto (1418).

Da tempo è dibattuta la qualificazione giuridica dell’oggetto del contratto: da alcuni è riferita al bene
materiale esterno all’atto; da altri è ricondotta all’interno dell’atto per indicare vuoi la materia o gli
interessi cui ha riguardo il contratto, vuoi la rappresentazione del risultato perseguito.

Requisiti dell’oggetto

L’oggetto del contratto deve essere a norma dell’art. 1346, sotto pena di nullità, ovvero deve essere:

a) Possibile: indica la idoneità dell’atto a realizzare lo scopo programmato. La possibilità deve essere
sia materiale che giuridica: quindi l’attribuzione deve essere, non solo fisicamente eseguibile, ma
anche giuridicamente realizzabile nel senso che non deve essere vietata dall’ordinamento. In
sostanza il contratto deve avere ad oggetto attribuzioni realizzabili, riferite a cose presenti o future.
Se la prestazione diventa impossibile successivamente alla conclusione del contratto, si
determinano anomalie del rapporto contrattuale e non più dell’atto.

b) Lecito: l’oggetto è illecito quando è contrario a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon
costume.

c) Determinato e determinabile: indica il carattere necessariamente definito delle attribuzioni


dovute, non potendo sussistere un accordo impegnativo se non è specificato l’oggetto dello stesso.

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Beni futuri.
I contratti spesso riguardano beni esistenti; non mancano però casi in cui i contratti facciano
riferimento a beni non ancora esistenti.
Una generale applicazione di tali tipi di contratti risulta essere in materia di vendita, relativamente
alla vendita di cose future. L'acquisto della proprietà si verifica quando la cosa viene ad esistenza.
Qualora le parti non abbiano concluso un contratto aleatorio, la vendita è nulla se la cosa non viene
ad esistenza. È dunque importante distinguere i contratti aleatori dai contratti commutativi.

Il contratto è aleatorio quando c’è assunzione del rischio della venuta ad esistenza della cosa: la
prestazione corrispettiva all’alienazione della cosa futura è comunque dovuta quantunque la cosa
futura non venga ad esistenza.
Esempio, il compratore del futuro raccolto di un fondo agricolo è tenuto al pagamento del prezzo
pattuito quantunque il raccolto non verrà ad esistenza o sarà distrutto.

Il contratto è commutativo quando non c’è assunzione del rischio della venuta ad esistenza della
cosa: la prestazione corrispettiva all’alienazione della cosa non sará dovuta se la cosa non verrà ad
esistenza. In assenza di previsione il contratto si presume commutativo. Riprendendo l'esempio
precedente, il prezzo non sarà dovuto se il raccolto non verrà ad esistenza o sarà distrutto.

(B) Causa

Evoluzione del concetto di causa.


La causa esprime lo scopo pratico perseguito dal contratto. In particolare, dapprima si affaccia una
ricostruzione della causa quale scopo motivo ultimo corso alle parti (teoria soggettiva),
successivamente si afferma una qualificazione della causa come funzione del negozio (teoria
oggettiva). La causa quindi esprime la funzione economica e sociale affinché il fine del contratto sia
socialmente apprezzabile e come tale meritevole di tutela.

Il tipo contrattuale.
Il codice civile parla sia di “tipo” che di “causa” del contratto.
- Per l’art. 1322 le parti posso concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una
disciplina particolare purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela
secondo l’ordinamento giuridico;
- e per l’art. 1323, “tutti i contratti, ancorché non appartengano ai tipi aventi una disciplina
particolare, sono opposti alle norme generali.
Il tipo indica lo schema diffuso di una operazione economica, talvolta nella struttura, talaltra nel
contenuto, talaltra ancora per entrambi i profili.
Tipo sociale: si ha mero tipo sociale quando uno schema di operazione, ancorché operante nella
realtà sociale e meritevole di tutela, non è ancora disciplinato dall’ordinamento;
Tipo legale: indica uno schema di operazione economica diffusa nella realtà sociale e proprio perciò
assunto dall’ordinamento giuridico come struttura generale astratta dell’operazione e come tale
regolata: esprima la causa astratta del negozio. Per esempio contratto di compra-vendita, di affitto
ecc.
Talvolta la tipicità inerisce ad una categoria di atti in ragione di specifiche e comuni esigenze
suscitate, al fine di apprestare una disciplina uniforme tutela. es. forniture di beni di consumo. È
possibile cogliere la distinzione tra contratti tipici e atipici.
• Contratti tipici: hanno una struttura fissata per legge, con conseguente previsione legale
della relativa disciplina.
• Contratti atipici: utilizzano uno schema non riconducibile ad alcun tipo legale o perché è del
tutto nuovo o in quanto il tipo legale è variamente modificato.
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Quando è utilizzato un tipo legale, l’impiego dello stesso implica di per sé conformità
all’ordinamento dello schema impiegato: va solo verificata, la liceità e la meritevolezza dell’assetto
di interessi attuato.
Quando non è utilizzato un tipo legale, bisogna preliminarmente verificare la compatibilità con
l’ordinamento dello schema di operazione impiegato e poi compiere la consueta verifica di liceità e
meritevolezza dell’assetto di interessi attuato.

Assenza di causa e astrazione di causa.


Per l’art. 1323 tutti i contratti sebbene non appartengono ai tipi che hanno una disciplina particolare
sono sottoposti alle norme generali sul contratto: perciò devono avere una causa. L’adozione di un
tipo legale facilita la rilevazione della causa per essere lo schema utilizzato previsto
dall’ordinamento; mentre l’impiego di un contratto atipico implica la preliminare verifica di
conformità all’ordinamento dell’operazione realizzata.
In ogni caso una causa concreta deve esistere in tutti i contratti. Per consentire la verifica di legalità
del contenuto del contratto la causa deve, non solo esistere, ma anche risultare dal contratto: solo
attraverso l’individuazione della causa è possibile verificare la conformità all’ordinamento dello
specifico assetto di interessi. Sono nulli i contratti dai quali non risulta la causa in quanto non è
possibile verificare l’operazione economica realizzata.
Di conseguenza il nostro ordinamento vuole che dai contratti e dai negozi risulti sempre lo scopo, la
causa.

C’è peraltro da dire che, per molte ragioni, vuoi di carattere fiscale vuoi di fronte a terzi e creditori,
spesso si pongono in essere atti apparentemente validi che producono un’attribuzione traslativa
senza far emergere la causa dell’attribuzione patrimoniale. Negozi simulati, senz’altro nulli perché
stipulati in violazione del principio di causalità dei contratti.

1) Si ha astrazione sostanziale quando le evidenziazione della causa è irrilevante rispetto alla


validità del contratto. Sono tassative le ipotesi in cui all’autonomia privata è consentito
assumere obbligazioni senza che ne risulti la giustificazione.
2) Diversa è l’astrazione processuale, che in relazione alla promessa di pagamento o di
accertamento del debito, non c'è astrazione della causa, ma quando il creditore citerà in
tribunale il debitore inadempiente non sarà lui a dover provare il suo diritto e la causa, ma
sarà se mai il debitore a provare che la promessa o l'accertamento è stata fatta senza una
valida causa. Appare evidente che qui non si ignora la causa, visto che potrà essere invocata
in tribunale, ma vi sarà una semplice inversione dell'onore della prova.

Causa illecita.
Una causa può esistere e risultare dal contratto ma essere illecita o non meritevole di tutela. Tutti i
contratti sono soggetti al controllo di legalità sebbene con intensità diversa a seconda che sia
impiegato o meno un tipo legale.
Quando un contratto è nullo per illiceità, non assume rilevanza giuridica l’eventuale adempimento
dello stesso. La illiceità della causa comporta la nullità del contratto (art. 1418).
Quanto al controllo di liceità, per l’art. 1343 la causa è illecita quando è contraria a norme
imperative, all’ordine pubblico o al buon costume.

Il contratto in frode alla legge.


Per l’art. 1344 si reputa illecita la causa quando il contratto costituisce “il mezzo per eludere
l’applicazione di una norma imperativa”. C’è un abuso del mezzo utilizzato: si realizza cioè una
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elusione della norma giuridica, infrangendo e deformando lo strumento legale impiegato. Il tipico
esempio è la vendita con patto di riscatto stipulata per una causa di garanzia al fine di aggirare il
divieto del patto commissorio. Più spesso la frode alla legge avviene attraverso una sequenza di atti.
Accertata la frode alla legge consegue illiceità e dunque la nullità del contratto. Un campo di
applicazione incisiva della categoria dei contratti in frode alla legge è quello tributario dove affianco
alla evasione fiscale opera la elusione fiscale quale mezzo di aggiramento della norma tributaria.

La presupposizione.
Accanto agli elementi costitutivi del contratto rilevano spesso i cd. presupposti del contratto, che
possono essere di fatto e di diritto. La presupposizione designa un presupposto di fatto o di diritto
assunto dalle parti a fondamento del contratto, perciò rilevante per la efficacia dello stesso, pur
senza essere oggetto di espressa pattuizione. Si è soliti anche di parlare di condizione inespressa. La
presupposizione perciò non è oggetto di una statuizione contrattuale, ma emerge dalle circostanze,
che i contraenti hanno tenuto presente nel contratto come presupposto dello stesso. “es. locazione
di un balcone per assistere a un evento”.

Secondo l’impostazione volontaristica la presupposizione esprime il motivo di ciascun contraente e


dunque è come tale irrilevante; secondo una diversa visione, rileva quando è comune alle parti o
quando, ancorché assunta da una sola parte, sia nota alla controparte. In entrambe le prospettive
la figura finisce con l’essere ancorata ad una dimensione soggettivistica: nella prima, collegata il
motivo individuale, nella seconda, ricondotta alla comune volontà presunta implicita delle parti.

Nella impostazione funzionalista la presupposizione è ricondotta, secondo una dimensione


oggettivistico, alla causa concreta del contratto.
Nei termini indicati la presupposizione assume rilevanza sia quando la situazione presupposta
esistente non esiste al momento della conclusione del contratto, sia quando quella contemplata
come futura non si realizza: nella prima ipotesi, il contratto è inefficace sin dalla nascita in quanto
nulla; nella seconda, lo diventa successivamente attraverso la risoluzione.

Combinazione di fasci di prestazioni. Contratto complesso (specie misto) e collegamento


negoziale.
a) Si ha contratto complesso quando singoli fasci di prestazioni sono dalle parti combinati in un
contratto unico e unitario strutturalmente e funzionalmente. Sono coinvolte prestazioni eterogenee,
che possono attingere anche a più schemi astratti, ma che sono in fatto programmate e organizzate
in un negozio finalizzato al perseguimento di un risultato unitario. Non bisogna confondere tra
negozio e documento che lo contiene: in uno stesso documento possono essere stipulati più negozi,
mentre attraverso più documenti può ricostruirsi un negozio unitario.
Il fenomeno è bene evidente in presenza di cd. obbligazioni aggiuntive alla obbligazione principale
assunta, con carattere strumentale o accessorio. Le obbligazioni strumentali mirano a consentire o
agevolare l’attuazione del contenuto tipico del contratto, al di fuori del quale non conserverebbero
un’autonomia giuridica: si pensi, relativamente al contratto di trasporto, alle operazioni di imbarco e
sbarco dei passeggeri. Le obbligazioni accessorie sono suscettibili di formare oggetto di autonomi
contratti, ma sono nelle specie connesse al concreto contenuto del contratto utilizzato: nell’esempio
fatto del trasporto, si pensi all’assicurazione della merce o alla prestazione di vitto e alloggio per i
passeggeri.
In effetti, nella realtà economica, le cd. obbligazioni aggiuntive sono quasi sempre principali in
quanto o sono strumentali al conseguimento dello scopo programmato o concorrono alla
determinazione dell’assetto di interessi perseguito dalle parti, indipendentemente dal fatto che le

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stesse siano adempiute dal debitore direttamente o avvalendosi di ausiliari.


Quando tali fasci di prestazioni rispecchiano pi tipi leali si dà propriamente luogo al cd. contratto
misto, che è la figura più diffusa di contratto complesso. Gli elementi tipici di più schemi tipici
concorrono alla elaborazione di un unitario intento negoziale in funzione del conseguimento di uno
scopo unitario, con le varianti e i collegamenti dettati dalle necessità del caso concreto. Il contratto
misto si configura dunque come un contratto atipico, per non essere riconducibile ad un compito
schema legale, ma per risultare dalla combinazione di più frammenti di schemi tipici finalizzati ad un
unico rapporto e ad un unitario assetto di interessi; es. negotium mixtum cum donatione o
contratto di residence (locazione di un appartamento con erogazione di servizi) o parcheggio
(custodia + locazione).

b) Si ha collegamento negoziale quando singoli fasci di prestazioni integrano più contratti


strutturalmente autonomi, ma connessi e funzionalmente orientati al conseguimento di uno scopo
pratico unitario. Le parti perseguono il risultato programmato mediante una pluralità coordinata di
più contratti che conservano la propria causa autonoma, ma teologicamente convergenti verso un
risultato economico unitario e complesso attraverso una interdipendenza funzionale dei diversi atti.
Ognuno dei differenti contratti mantiene la sua individualità, e come tale va verificato e deve essere
eseguito: ma i cari contratti sono connessi a un vincolo che li indirizza al perseguimento di un
risultato complesso e unitario che sopravanza le funzioni tipiche dei singoli contratti, sicché le
vicende che investono un contratto sono destinate a ripercuotersi sugli altri. Rispetto alla struttura
del singolo contratti si ha un fenomeno di negozio con causa esterna, in quanto è la causa della
complessiva operazione economica che giustifica la struttura dei singoli negozi.
La connessione tra i negozi può integrare un vincolo unilaterale tra i contratti nel senso di
subordinazione di un contratto all’altro, come può dispiegarsi in un vincolo plurilaterale nel senso di
concorrente implicazione tra i singoli contratti. Uno dei terreni significativi di emersione di contratti
collegati è quello dei viaggi organizzati.

Simulazione. L'accordo simulatorio.


Nella simulazione la parti di un contratto fingono di stipularlo ma, in realtà, o non ne stipulano
nessuno (simulazione assoluta) oppure ne pongono in essere un tipo diverso rispetto a quello che
appare (simulazione relativa).

Come si vede dalla nozione, le parti d'accordo e consapevolmente fingono di stipulare un contratto
perché vogliono che all'esterno (e quindi nei confronti dei terzi) appaia una certa situazione
giuridica da poter invocare quando occorra, mentre all'interno è rilevante ciò che hanno stabilito tra
loro circa il contratto simulato.
Elemento fondamentale della simulazione è, quindi, "l'accordo simulatorio" cioè quello che le parti
hanno stabilito in merito al negozio simulato, cioè sul fatto che il contratto è simulato e non ha
effetto tra le parti.
La simulazione è prevista dall'articolo 1414 c.c. Vi sono due tipi:
• Simulazione assoluta: quando le parti creano per l’apparenza un contratto mentre non
vogliono alcun mutamento della realtà giuridica. Ad esempio si stipula la vendita simulata di
un bene per fare apparire l’uscita del bene dal patrimonio.
• Simulazione relativa: quando le parti creano un contratto per l’apparenza, mentre realtà
vogliono un diverso mutamento della realtà giuridica, o nell’oggetto o con riguardo ai
soggetti. In tal caso, a fronte il negozio creato per l’apparenza(negozio simulato), si dà vita a
un diverso e sottostante negozio destinato ad avere effetto tra le parti(negozio dissimulato),
che spesso contiene anche la contro dichiarazione da cui emerge il fenomeno simulatorio. La
simulazione relativa può essere oggettiva o soggettiva:
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• Simulazione relativa oggettiva: quando la finzione inerisce al contenuto dell'atto. Ad


esempio si stipula una vendita simulata che cela una sottostante donazione per evitare
l'azione di riduzione degli eredi legittimari.
• Simulazione relativa soggettiva: quando la finzione inerisce alle parti. Ad esempio un
imprenditore acquista un immobile intestandolo fittiziamente ad un altro soggetto per
evitare la esecuzione forzata dei propri creditori
Nella simulazione soggettiva una delle parti è un semplice "prestanome"; quest'ultimo, in realtà, è
parte negoziale solo in apparenza mentre vera ed unica parte negoziale è quella che non appare,
titolare dell'interesse negoziale, che usa il prestanome come uno schermo.
L'esperienza giudiziaria ci mostra generalmente 4 bersagli a danno dei quali l'inganno è più spesso
perpetrato: verso i creditori quando il debitore mira a vanificare l'esecuzione dei creditori sul
proprio patrimonio; verso gli eredi legittimari quando il testatore vuole preferire uno degli eredi;
verso il fisco quando si dichiara un prezzo inferiore al reale aggirando l'imposizione tributaria; verso
il coniuge quando uno dei coniugi vuole evitare che il bene acquistato cada in comunione con l'altro
coniuge.

Effetti della simulazione.


Bisogna valutare distintamente gli effetti della simulazione tra le parti e rispetto ai terzi.

Effetti tra le parti: regola generale è che “il contratto simulato non produce effetto tra le parti”
(1414). Indirizzo consolidato dalla giurisprudenza è che il contratto simulato è nullo. Dunque, nella
simulazione assoluta, non si realizza alcun effetto.
Il secondo comma dello stesso articolo regola la simulazione relativa “ se le parti hanno voluto
concluder un contratto diverso da quello apparente, ha effetto tra esse il contratto dissimulato,
purché ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma”. Dunque, ferma la nullità del contratto
simulato, produce effetto tra le parti il contratto sottostante (dissimulato) quale contratto realmente
voluto. E’ però necessario che il contratto sottostante sia lecito e che abbia la forma prescritta ad
substantiam. (Ad esempio una donazione dissimulata deve essere stipulata per atto pubblico con la
presenza di due testimoni.)

Effetto rispetto ai terzi: il regime degli effetti verso i terzi involge il problema della opponibilità della
simulazione ai terzi. Lo stesso è pertanto governato dal generale principio della tutela della buona
fede dei terzi e cioè dell’affidamento. Regola base è dunque che le parti del contratto simulato non
possono opporre la simulazione ai terzi che, in buona fede, hanno acquistato diritti dal titolare
apparente, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di simulazione. In sostanza, con la
creazione di un negozio fittizio, le parti corrono il rischio di suscitare l’affidamento dei terzi: essendo
le parti stesse non incolpevoli, anzi addirittura artefici della finzione, soccombono rispetto ai terzi
che hanno fatto affidamento sulla titolarità apparente, bensì originata dalla simulazione ma
comunque immessa nella realtà giuridica.
Viceversa i terzi possono far valere la simulazione nei confronti delle parti quando la stessa arrechi
pregiudizio ai loro diritti (1415) così da fare emergere la realtà sottostante contro l’apparenza.

Effetto verso i creditori: nei rapporti con i creditori i beni rilevano in funzione di garanzia patrimoni.
I creditori del titolare apparente che, in buona fede, hanno compiuto atti di esecuzione sui beni da
costui acquistati simulata mente, di regola, non subiscono effetti della situazione: agli stessi non è di
regola, opponibile la simulazione.
Sussiste però l’opposto interesse dei creditori dell’apparente acquirente mirano alla efficacia
dell’atto simulato, i creditori del simulato alienante e tendono all’inefficacia dell’atto. Trattandosi di
crediti tutti chirografari, legge accorda tutela preferenziale ai creditori del simulato alienante e con il
loro credito è anteriore all’atto simulato.
Azione di simulazione e prova della simulazione.
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a) L’azione di simulazione è un’azione di mero accertamento tendente a far valere la realtà


contro l’apparenza, cioè l’inefficacia del negozio simulato.
b) La prova della simulazione si distingue a seconda che l'azione di simulazione sia proposta
dalle parti, dai creditori o dai terzi.
- Quanto alle parti, una essenziale scriminante è costituita dalla presenza o meno di una
contro dichiarazione scritta.
In presenza della contro dichiarazione scritta, la prova della simulazione e più agevole,
essendo sufficiente alle parti ricorso ad una prova precostituita, quale è la prova
documentale, con l’allegazione della contro dichiarazione dove è indicato il carattere
simulato del contratto apparentemente è concluso.

In assenza della contro dichiarazione scritta, non potendo le parti avvalersi della prova
documentale, devono ricorre a prove costituente, con il limite che le caratterizzano: e se
nota la scarsa fruttuosità della confessione del giuramento.
Inoltre per essere le parti autori del contratto simulato, opera il da mentale limite
dell’articolo 2722, per cui la prova per testimoni non è ammessa se è per oggetto patti
aggiunti o contrari al contenuto di un documento.
Peraltro l’articolo 2724 prevede tre accezioni al divieto della prova testimoniale per i
contratti:
1) Quando vi è un principio di prova per iscritto.
2) Quando il contraente stato nell’impossibilità morale o materiale di procurarsi una
prova scritta.
3) Quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento di forniva la prova.

La prova per testimoni è ammessa senza limiti solo se la domanda proposta dalle parti e
diretta a far valere l’illecita del contratto emulato.

- Quanto ai terzi , non essendo questi partecipi dell’atto simulato, la simulazione rilevarsi
stessi come mero fatto giuridico: perciò i terzi creditori possono avvalersi tutti mezzi di
prova sono sempre ammessi a provare la illiceità il contratto simulato. Per l’articolo 1417
la prova della simulazione può essere data anche per testimoni senza limiti.

Trattandosi di crediti tutti chirografari, legge accorda tutela preferenziale ai creditori del simulato
alienante e con il loro credito è anteriore all’atto simulato.

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Negozi indiretti e fiduciari.

Differenze tra istituti La simulazione deve essere distinta dal negozio indiretto, dal negozio fiduciario
e dal trust

A) Il negozio indiretto

Tale figura negoziale ricorre quando i soggetti, per raggiungere l'effetto perseguibile attraverso un
determinato negozio, seguono una via indiretta, servendosi di un negozio tipico che viene adattato
ad uno scopo diverso da quello che ne costituisce la causa. Ad esempio anziché vendere un
immobile ad un soggetto, gli si rilascia un mandato irrevocabile ad amministrare l'immobile, senza
obbligo di rendiconto, e ad alienarlo: il mandatario avrà poteri equivalenti a quelli del proprietario.
Tale negozio è valido, purché non sia in frode alla legge e non tenda a realizzare motivi illeciti
comuni ad entrambe le parti Il negozio indiretto si distingue da quello simulato in quanto le parti
vogliono realmente gli effetti giuridici del negozio, che sono strumentali rispetto al fine ulteriore
perseguito.

B) Il negozio fiduciario

Ricorre quando un soggetto conferisce un ampio potere ad un'altra parte, che assume personale di
servirsi della posizione acquisita entro i limiti di quel fine al quale trasferisce, come Ad esempio
vendita a scopo di garanzia (Tizio ottiene un prestito da Caio garanzia, la proprietà di un immobile,
nella fiducia che l'immobile gli sarà restituito al pagamento del debito) il diritto solo in apparenza,
mentre Va distinto dal negozio simulato, in quanto questo trasferisce temporaneamente e il negozio
fiduciario trasferisce realmente il diritto al fiduciario, anche se solo conseguito attraverso un mezzo
giuridico più ampio rispetto a quello sufficiente per lo scopo conseguito.

C) Il trust

I trust Il trust è un istituto tipicamente anglosassone, riconosciuto in Italia con la Convenzione de


L'Aja dell' 1-7-1985, ratificata con L. 16-10-1989, n. 364. Si può costituire con un atto inter vivos o
con un atto mortis causa. Attraverso il trust un soggetto pone dei beni sotto il controllo di un altro
soggetto (denominato trustee) che ne diventa amministratore fiduciario. Caratteristica principale
del trust è che i beni che ne fanno parte non entrano nel patrimonio del trustee ma costituiscono
una massa distinta, un patrimonio separato autonomo. La Convenzione citata aveva come fine
quello del riconoscimento dei trusts costituiti nei paesi anglosassoni (che potevano avere ad oggetto
anche beni situati in altri paesi) e, tuttavia, ha introdotto una delicata questione, quella della
possibilità di costituire trusts interni, cioè da parte di cittadini italiani e relativi a beni situati in Italia.
Al riguardo sembra prevalere (tra gli altri TORRENTE SCHLESINGER) la tesi favorevole, che si basa
anche sull'introduzione (art. 2645ter cod. civ. introdotto con L. 51/2006) della possibilità di
trascrivere determinati atti di destinazione di beni, tra i quali rientrerebbe il conferimento di beni in
trust.

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Dicotomie fondamentali.
Relativamente alla causa è possibile identificare tre fondamentali dicotomie in grado di raggruppare
significative classi di contratti:

a) Contratti a titolo oneroso e a titolo gratuito:


L’onerosità si caratterizza per la correlazione tra sacrificio e vantaggio: il sacrificio di una parte nel
procurare alla controparte un vantaggio è connesso al sacrificio dell’altra parte per procurare un
vantaggio corrispettivo. Un soggetto è cioè disposto ad un depauperamento in vista della
realizzazione di un interesse. Sono contratti a titolo oneroso, la vendita, locazione, l'appalto, ma
anche quelli per i quali un soggetto è disposto a un sacrifico economico per l’appagamento di un
interesse non patrimoniale, esempio l'acquisto di un biglietto per assistere ad un evento sportivo.

Tra i contratti a titolo oneroso assume un significato rilievo la distinzione tra contratti commutatitivi
e contratti aleatori.
Nei contratti commutativi l’entità delle reciproche attribuzioni (e dunque la correlazione tra
vantaggio e sacrificio) è certa fin dalla stipula del contratto. Es. vendita che ha appunto per oggetto
il trasferimento di un diritto verso il corrispettivo prezzo.
Nei contratti aleatori, benché presente la previsione di sacrifici e vantaggi reciproci, la relativa entità
non è predeterminatile: all’atto della conclusione del contratto è ignoto quale delle due parti subirà
il maggior sacrificio e chi il maggior vantaggio. Es. contratto di assicurazione. La causa concreta dl
contratto è quindi caratterizzata da un’alea e dunque da un rischio a carico delle parti circa il
risultato economico che ciascuna, alla fine conseguirà.
La gratuità nella sua essenza elementare, indica l’attribuzione di un vantaggio senza un corrispettivo.
Ma ciò non implica necessariamente uno spirito di liberalità. Questo sussiste solo quando l’atto
gratuito è compiuto con il precipito intento di arricchire il destinatario senza conseguire alcun tipo di
vantaggio. Esempio tipico è la donazione che va stipulata con forma solenne.

b) Contratti a prestazioni corrispettive e di una sola parte.


I contratti con prestazioni corrispettive realizzano un nesso di reciprocità tra le singole attribuzioni:
esprimono perciò una specifica prospettiva di valutazione dei contratti a titolo oneroso. Il criterio
della corrispettività intende attribuire rilevanza al dato ella reciprocità delle attribuzioni
patrimoniali, per cui l’attribuzione di ciascuna parte è in funzione dell’attribuzione dell’atra (ad es.
nella vendita, il trasferimento della proprietà è in funzione del pagamento del prezzo e viceversa).
Tra le attribuzioni si instaura un nesso di interdipendenza, denominato sinallagma che accompagna
l’intera vita del rapporto, così nella nascita (sinallagma genetico) che durante lo svolgimento dello
stesso (sinallagma funzionale): si parla perciò di contratti sinallagmatici.
Nei contratti con prestazioni d una sola parte c’è sacrificio economico a carico di una sola parte.
Esempio è la fideiussione (1936).

c) Contratti di scambio e comunione di scopo.


Nei contratti di scambio gli interessi sono divergenti e in conflitto, mirando ciascuna delle parti a
perseguire un interesse autonomo e diverso. La direzione delle attribuzioni è incrociata: ognuno dei
contraenti mira al conseguimento di una specifica utilità tramite il comportamento della
controparte. Ad es. nella vendita il venditore mira a conseguire un prezzo, mentre il compratore
tende a procurarsi la proprietà o altro diritto sul bene.
Nei contratti con comunione di scopo, tutte le parti, anche se con motivazioni personali
eventualmente diverse, tendono a realizzare un interesse comune a tutte. La direzione delle
prestazioni è convergente nel senso che ciascuna attribuzione mira a realizzare uno scopo comune a
tutte le parti e perciò soddisfa l’interesse di tutti i contraenti. Ad es., per l’art. 2247, con il contratto
di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività
economica allo scopo di dividerne gli utili.
(C) Elementi accidentali.

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L'ampliamento del contenuto contrattuale.


Si è visto come solo i cd. elementi essenziali (costitutivi) sono requisiti di validità del contratto, nel
senso che la mancanza o anomalia di uno di essi determina la nullità del contratto (1325 e 1418);
viceversa i cd. elementi accidentali possono essere o meno presenti, senza influire sulla validità del
contratto ed ampliandone il contenuto.

La condizione.
La condizione è un avvenimento futuro ed incerto dal cui verificarsi le parti fanno dipendere l'inizio
o la cessazione degli effetti di un negozio giuridico (articolo 1353 c.c.).
• La condizione produce i suoi effetti sulla efficacia e non sulla validità del negozio
• L'efficacia del negozio è subordinata al verificarsi di un evento che si identifica con la
condizione stessa.
• L'evento per essere definito come condizione deve essere futuro ed incerto.
Se l’avvenimento è futuro ma certo, rileva come termine, non come condizione. Può essere anche
indicato il termine entro cui l’avvenimento deve verificarsi.
a. In relazione all’incidenza dell’evento sull’efficacia, si distinguono due fondamentali tipi di
condizioni:
1) Si ha condizione sospensiva quando le parti subordinano la produzione degli effetti al
verificarsi di un evento futuro o incerto. Es”un impiegato acquista un determinato
appartamento sotto condizione che venga trasferito in quella città”
2) Si ha condizione risolutiva quando il contratto è immediatamente efficace ma soggetto alla
privazione di effetti se interverrà un avvenimento futuro e incerto. Es. “un impiegato
acquista senz’altro un appartamento in una determinata città, ma se entro un determinato
periodo non è trasferito presso tale città o è trasferito altrove il contratto cessa di produrre
effetti.
b. In relazione alla derivazione dell'evento, si distingue tra condizione casuale, potestativa e
mista.
1. Si ha condizione casuale quando l’avveramento dell’evento dipende dal caso o da terzi.
2. Si ha condizione potestativa quando l’avveramento dipende dalla volontà di una delle parti.
3. Si ha condizione mista quando l’avvenimento dipende sia dalla volontà di una delle parti sia
del caso.

c. In relazione al carattere dell’evento, è necessario che lo stesso si riveli possibile lecito, così
riflettendosi sull’atteggiarsi della condizione.
1) La condizione illecita è quella contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon
costume, secondo la nozione di illiceità della causa. La condizione illecita, sospensiva o
risolutiva, rende nullo il contratto (1354). Questo tipo di condizioni rendono nullo il contratto
cui sono apposte, come ad esempio nel caso in cui io mi impegni a vendere un
appartamento a condizione che l'acquirente mi permetta la spaccio di droga in una stanza
dello stesso. Nel caso di negozi mortis causa la condizione non rende nullo il negozio ma si
considera non apposta. Esempio la nomina di tizio come erede di sempronio se uccide Caio.
In questo caso però la condizione può rendere nullo il negozio quando sia stata l'unico
motivo che ha determinato il testatore a disporre.
2) La condizione impossibile è quella che non ha nessuna possibilità di realizzazione. Esempio
tipico " ti darò 100 se toccherai il cielo con un dito ". Anche in questo caso bisogna
distinguere tra negozi inter vivos e mortis causa; nei primi la condizione renderà nullo
l'intero negozio, mentre nei negozi mortis causa si avrà per non apposta a meno che non sia
stato l'unico motivo che ha spinto il testatore a disporre.
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Una particolare fisionomia la cosiddetta condizione legale. Trattasi della previsione di una
condizione che fa dipendere l’efficacia del contratto da un presupposto previsto l’ordinamento. Più
spesso tali condizioni si atteggiano come requisiti legali di efficace il contratto di regola la condizione
legale comporta la non retroattività il contratto per l’essenzialità del requisito imposto dalla legge.

Pendenza della condizione ed esito dell’avveramento.


A seguito della stipulazione del contratto e fino all’esito dell’avvenimento dedotto in condizione, c’è
un periodo di pendenza in cui esiste il vincolo contrattuale ma è incerta la sorte degli effetti.
Tale periodo, in favore della parte trarrebbe giovamento dall’avveramento della condizione, nasce
una posizione giuridica di aspettativa, che riceve specifica e autonoma tutela.

a) L’esercizio delle posizioni soggettive durante la pendenza della condizione regolato dalla
legge. Principio generale che, in pendenza della condizione, il titolare del diritto può
disporne, ma gli effetti di ogni atto di disposizione sono subordinati alla stessa condizione.
Mentre il titolare dell’aspettativa aspettano solo poteri di controllo e conservazione oltre che
la disponibilità della posizione di aspettativa.
L’incertezza della pendenza può sciogliersi in un duplice modo: con l’avveramento
dell’avvenimento o con la mancanza dello stesso.

b) L’avveramento dell’evento può essere effettivo o legale.


Sia avveramento effettivo quando l’avvenimento di tutto nella condizione si realizza
materialmente (ad esempio il finanziamento è erogato).
Sì avveramento legale quando l’avvenimento di tutti in condizioni non si realizza, e della Lidia
considerarlo giuridicamente avverato anche se materialmente non è avvenuto. Per l’articolo
1359 la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte
che aveva interesse contrario all’avveramento. (L’acquirente dell’albergo non richiede
finanziamento).
Con l’avveramento dell’avvenimento si producono gli effetti del contratto sotto condizione
sospensiva, vengono meno gli effetti del contratto sotto condizione risolutiva. La efficace
efficace è di regola retroattiva.

c) Il mancato avveramento dell’avvenimento consolida la situazione pendente:


non verificandosi la condizione sospensiva, non si producono gli effetti del contratto.
Non verificandosi la condizione risolutiva, diventano definitivi effetti prodotti dal contratto.

Termine.
a) Il termine di efficacia è un elemento accidentale del contratto Per incidere sul tempo degli
effetti del contratto, segnando il momento iniziale e il momento finale della produzione degli
effetti stessi. Sì a necessità di ricorrere ad un termine di efficacia del contratto quando c’è
necessità di differire inizio dell’efficacia del contratto rispetto alla data di stipula può fissare
la fine dell’efficacia quando la esecuzione si protrae nel tempo
b) Il termine di adempimento dell’obbligazione designa una modalità cronologica
dell’attuazione del rapporto obbligatorio. In particolare il termine indica una modalità
dell’adempimento dell’obbligazione. (Ad esempio il canone di locazione sarà pagato entro il
cinque di ogni mese).

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Onere.
L'onere o modus, afferisce ai soli negozi a titolo gratuito (donazione e testamento), introducendo un
obbligo a carico del beneficiario dell'atto.
Se il beneficiario non adempie l'onere, chiunque ha interesse può agire per il suo adempimento. In
ogni caso, però, inadempimento dell'onere non comporta la risoluzione del negozio, a meno che
questa non sia stata prevista come conseguenza dell'inadempimento.
4 FORMA.
La forma indica appunto i modi di manifestazione della volontà negoziale.
L’ordinamento spesso limita l’autonomia privata, imponendo una forma vincolata della volontà
negoziale (c.d. atti solenni = forma ab sustantiam) in ragione della natura degli interessi coinvolti e
delle circostanze in cui la volontà stessa è esperita e dunque il contratto è concluso.
Se non è prescritta una forma vincolata è lasciata ai privati la scelta della forma con la quale
manifestare la propria volontà negoziale e dunque autoregolare i propri interessi.

La forma per la validità.


L’art. 1325, n.4, prevede la forma come elemento essenziale o costitutivo del contratto quando è
prescritta dalla legge a pena di nullità (cd. forma ad substantiam).
Spesso è richiesto un requisito formale di carattere generico lasciando ai privati la individuazione
della specifica forma. Ad esempio gli atti di alienazione di immobili devono farsi per iscritto,
rimettendo all'autonomia delle parti la scelta tra atto pubblico o scrittura privata. Talvolta invece è
prescritta una forma specifica da adottare, ad esempio la donazione deve essere fatta per atto
pubblico sotto pena nullità.

La forma ad substantiam può essere prescritta dall’ordinamento (cd. forma legale) e essere adottata
dai privati (cd, forma convenzionale).

a) Forma legale: Il requisito di forma più diffusamente prescritto è la forma scritta, nei due tipi
dell’atto pubblico e della scrittura privata, entrambi collocati dal codice civile sotto il capo dedicato
alle prove documentali. La forma scritta è tradizionalmente prescritta per gli atti relativi ai beni
immobili. Per l’art. 1350 devono farsi per iscritto gli atti che trasferiscono la proprietà o che
costituiscono, modificano o trasferiscono diritti reali o con i quali si rinunzia ai detti diritti; i contratti
di locazione di beni immobili per una durata superiore a nove anni. Il contratto preliminare è nullo
se non è fatto nella stessa forma prescritta per il contratto definitivo (1350).

b) Forma convenzionale: Per l’art. 1352, se le parti hanno convenuto per iscritto di adottare una
determinata forma per la futura conclusione di un contratto, si presume che la forma sia stata
voluta per la validità di questo. Il fenomeno è particolarmente diffuso con riguardo ai contratti
preordinati alla stipula di un contratto successivo. In tale ipotesi c’è un’autolimitazione
dell’autonomia privata; ma proprio perché il vincolo non deriva dalla legge, è sempre in potere delle
parti, d’accordo, cancellare il vincolo di forma adottato. La giurisprudenza indica che in seguito al
mancato rispetto di una delle due parti della forma convenzionale vi è la nullità del contratto.

La forma della prova.

Talvolta è imposto un vincolo di forma, non già per la validità del contratto, ma solo ai fini probatori
(cd. forma ad probationem). La forma ad probationem è richiesta solo per provare l'esistenza del
negozio, come nel caso di trasferimento di azienda.
È necessario sottolineare che il negozio mancante della forma ad probationem è perfettamente
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valido ed efficace, ma, in caso di processo, l'unico modo per provare l'esistenza di quel particolare
negozio sarà la forma che la legge richiedeva, salva la possibilità di ricorrere al giuramento e alla
confessione. Quando un contratto deve essere provato per iscritto, non è ammessa la prova per
testimoni, salvo che il contraente abbia senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la
prova (2725).

La forma per l’opponibilità.


Sono di sovente prescritte formalità ai soli fini della opponibilità dell’atto ai terzi: il contratto è
dunque valido e produce effetti tra le parti, ma non può farsi valere per i terzi. I mezzi
comunemente impiegati della legge per consentire l’opponibilità dell’atto ai terzi sono la data certa
dell’atto e la pubblicità dello stesso. Emerge un problema della data certa dell’atto quando questo
non è formato per atto pubblico o con scrittura privata con sottoscrizione autentica. Venendo alla
pubblicità, l’esecuzione della stessa implica una forma specifica dell’atto da rendere pubblico.

La forma nelle tecniche di comunicazione a distanza.


Per tecnica di comunicazione a distanza si intende qualunque mezzo che, senza la presenza fisica e
simultanea del fornitore e del consumatore, possa impiegarsi per la conclusione del contratto tra le
parti. Prima della conclusione di qualsiasi contratto a distanza, il consumatore deve ricevere dal
fornitore, in modo chiaro e comprensibile, le informazioni necessarie, come le modalità di
esecuzione di restituzione del bene, l’operazione economica, il diritto di recesso, il costo di utilizzo
della tecnica di comunicazione, la durata della validità dell'offerta. In caso di comunicazione
telefonica, l'identità del fornitore, lo scopo commerciale della telefonata ecc.

Il consumatore deve ricevere per iscritto conferma o a sua scelta ulteriori informazioni prima della
esecuzione del contratto. Il consumatore non è tenuto a nessuna prestazione aggiuntiva in caso di
fornitura non richiesta, in ogni caso l'assenza di risposta non implica il consenso del consumatore.
L'impiego da parte di un professionista del telefono, della posta elettronica, sistemi automatici di
chiamata o di fax richiede il consenso preventivo del consumatore fatta comunque salva la disciplina
in materia di protezione dei dati personali.

Per i contratti e le proposte contrattuali a distanza oppure negoziati fuori dai locali commerciali, il
consumatore ha il diritto di recesso senza alcuna penalità e senza specificarne il motivo entro il
termine di 10 giorni lavorativi il diritto di recesso si esercita con l'invio entro i termini previsti di una
comunicazione scritta alla sede del professionista mediante lettera raccomandata con avviso di
ricevimento, telegramma, telex, posta elettronica e fax a condizione che sia confermata mediante
lettera raccomandata con avviso di ricevimento entro le 48 ore successive.
La raccomandata si intende spedita nel tempo utile se consegnata all'ufficio postale accettante
entro i termini previsti dal codice o dal contratto. L'avviso di ricevimento non è comunque
condizione essenziale per provare l'esercizio del diritto di recesso.

Il documento informatico. Firma elettronica e digitale.


Le tecniche di comunicazione a distanza comportano l’ulteriore e connesso problema del rispetto
dei requisiti di forma per la validità dei contratti stipulati. Il problema riguarda i contratti telematici,
cioè conclusi per mezzo del computer.

Il documento informatico è la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente


rilevanti. Si realizza così la smaterializzazione del documento. Quando è apposto una mera firma
elettronica, il documento è liberamente valutabile in giudizio. Quando è sottoscritto con firma
elettronica qualificata e principalmente la firma digitale, ha l’efficacia della scrittura privata.
L'utilizzo del dispositivo di firma si presume riconducibile al titolare salvo prova contraria. Viene
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riconosciuta ai sensi dell'articolo. 2703, la forma digitale, o altro tipo di firma elettronica qualificata
autenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato. Il documento informatico,
sottoscritto con firma elettronica qualificata o con firma digitale soddisfa il requisito legale della
forma scritta se formato nel rispetto delle regole tecniche stabilite dall'arte. 71.

5 REGOLAMENTO CONTRATTUALE.

Atto di autonomia e valutazione ordinamentale.


Si è visto come ogni fatto (naturale o umano)rileva giuridicamente in ragione della valutazione che
dello stesso fa l’ordinamento: anche con riguardo al contratto, si rivela essenziale è la valutazione
che dell’atto compiuto ordinamento. Rileva quindi non solo il testo del contratto, ma anche il
contesto di conclusione del contratto per le circostanze in cui si è formato.
Vanno compiute all’uopo tre operazioni fondamentali: bisogna anzitutto definire il contenuto del
contratto, ricostruendo il comune intento delle parti: ciò implica un’attività di interpretazione del
contratto; poi occorre verificare la configurazione che del contratto compie l’ordinamento giuridico:
ciò comporta la qualificazione giuridica dell’atto di autonomia privata. Infine va determinato il
trattamento dell’atto da parte dell’ordinamento giuridico: ciò porta spesso ad imporre effetti diversi
e/o ulteriori rispetto a quelli divisati dalle parti, mediante la integrazione del contratto. Se l’atto va
in contrasto con l’ordinamento e non è salvabile, si da luogo alla invalidità o rescissione e quindi alla
privazione di effetti.

(A) Interpretazione.
Le norme sul l'interpretazione.
Poiché il contratto (Come la norma giuridica) mira alla regolazione di una relazione sociale , c’è
la necessità di apprestare dei criteri affinché chiunque lo interpreti possa attribuire più
significato uniforme. C’è perciò l’esigenza di fissare criteri vincolanti all’attività interpretativa
perché l’interpretazione possa accedere ad un significato tendenzialmente univoco.
Le regole sull’interpretazione del contratto sono norme giuridiche, vincolanti per l’interprete.
I criteri di interpretazione sono tradizionalmente ricondotte a due classi di regole, a seconda
che tendano a ricostruire la volontà comune delle parti (cosiddetta interpretazione soggettiva) o
ad attribuire all’atto un significato ragionevole o equo (interpretazione oggettiva).
Le due classi di norme sono organizzate gerarchicamente, nel senso che, solo ove criteri
soggettivi non conducono alla ricostruzione di un significato univoco, si può fare ricorso ai criteri
oggettivi di determinazione del significato.

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Procedimento ermeneutico legale

Le regole sulla interpretazione secondo l’organizzazione gerarchica disposto dal codice sono:

1) Interpretazione soggettiva. È L’interpretazione in senso stretto, in quanto mira a ricostruire


l’intento comune delle parti (articoli 1362 a 1365).
Fondamentale è la regola dell’articolo 1362 secondo cui nell’interpretare il contratto, si deve
indagare “La comune Intenzione delle parti” e “non limitarsi al senso letterale delle parole”.
Anzitutto bisogna esaminare il testo il contratto e quindi il linguaggio utilizzato le parti
secondo precisi parametri. Va verificato il “senso letterale delle parole”(criterio letterale), per
cui le clausole del contratto vanno interpretati “le une per mezzo delle altre, attribuendo a
ciascuna il senso che risulta il complesso dell’altro”(criterio sistematico).
Inoltre bisogna avere riguardo alla ratio del regolamento contrattuale e perciò al senso, nel
suo insieme, del contratto quale espressione del comune intento. In tale direzione un ruolo
essenziale svolge il comportamento complessivo delle parti, anche postino è la conclusione
del contratto. È consentito perciò indagare sul comportamento comune tenuto dalle parti,
sia durante le trattative nell’esecuzione il contratto.

Per l’interpretazione il contratto vige il principio del cosiddetto gradualismo applicato dalla
giurisprudenza, secondo cui le regole di ermeneutica contrattuale sono considerate elencate
secondo un ordine gerarchico. I realtà il criterio della gradualità e da intendere nel limitato
senso che non può proceder sì ad interpretazioni aggettivo se l’interprete è soggettiva
condotta la definizione la comune volontà delle parti. E questo un principio di limite
all’intervento del giudice in contrasto autonomia privata,. I vari criteri soggettivi sono però
complementari: concorrono ed operano con eguale rilevanza nella ricerca della comune
intenzione delle parti. Essendo interpretazione soggettiva rivolta alla ricostruzione del senso
di un autoregolamento, il comportamento le parti la presente essenziale criterio di
determinazione del significato che le parti stesse hanno inteso attribuire ad un proprio atto.

2) Interpretazione oggettiva. È un’interpretazione in senso lato, che opera quando, nonostante


l’impiego dei criteri dell’interpretazione soggettiva, non si pervenga definire la comune
intenzione delle parti circa l’intero contratto o una sua clausola. Interne richiamato a definire
il contenuto del contratto attraverso il ricorso a criteri legali: è assegnato al contratto un
senso oltre l’intento delle parti, attribuendovi un significato considerato dal la legge
ragionevole o equo. I criteri indicati sono tutti sussidiari rispetto quelli soggettivi.
Un primo criterio è rappresentato dal favore per la conservazione del contratto, per cui, nel
dubbio, il contratto le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere
qualche effetto. Si tende cioè a far prevalere l’efficacia del contratto contro la inefficacia: in
tal senso la norma è l’esplicazione di un generale principio di conservazione dell’attività
negoziale.
Se alcune espressioni possono avere più sensi, devono essere inteso nel senso di maggior
convenienza la natura allo getto il contratto.
Criterio risiede nel ricorso ai c.d. Usi interpretativi, Per cui le clausole ambigue si
interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui il contratto è stato
concluso (c.d locus contractus).

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Criterio fondamentale di interpretazione dei contratti per adesione quello della


interpretazione contro il predisponente (c.d. Interpretatio contra stipulatorem): per l’art.
1370, le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari
predisposti da uno dei contraenti si interpretano, nel dubbio a favore dell’altro. Il principio,
mentre proteggere aderente, sanziona il comportamento dell’autore delle clausole che ha
determinato e più spesso avuto l’ambiguità per trarne successivo profitto.

Il procedimento ermeneutico si conclude con due regole finali (articolo 1371). Quando i
criteri di interpretazione soggettiva e quelli di interpretazione oggettiva non consentono di
assegnare un senso al contenuto contrattuale, che permane scure, questo deve essere
inteso nel modo meno gravoso per l’obbligato se è a titolo gratuito nel senso che realizzi
l’equo con temperamento degli interessi delle parti se è a titolo oneroso.

B) Qualificazione.
Interpretato e quindi definito il contenuto contrattuale, c’è da determinare gli effetti che
l’ordinamento vi attribuisce. In tale direzione si rivela l’essenzialità della qualificazione dell’atto di
autonomia.

Con la qualificazione giuridica si compie la riconduzione del concreto contenuto contrattuale alla
realtà normativa, con l’attribuzione del nomen iuris, in funzione degli effetti da ricollegarvi. L’esito di
tale operazione può essere la riconduzione della fattispecie concreta ad uno tipi legali previsti dalla
legge: in tal caso il contratto è qualificato come tipico, assumendo il nomen iuris del singolo schema
contrattuale cui è ridotto (es. un contratto di trasferimento della proprietà verso il pagamento del
prezzo, risulta essere riconducibile alla vendita.)

Viceversa, l’operazione di qualificazione può non è rinvenire nell’ordinamento la presenza di uno


schema legale cui ricondurre il concreto assetto di interessi: in tal caso il contratto è qualificato
come atipico ed è, innanzitutto, soggetto alle norme sui contratti in generale, il completamento
della disciplina degli effetti avviene mediante l’analogia. E poi il singolo contratto utilizza elementi
più schemi tipici, sarà soggetto anche le specifiche normative dei singoli tipi utilizzati. Entrambe le
ipotesi la qualificazione risente della valutazione che l’ordinamento compie del concreto assetto di
interessi.

(C) Integrazione.
A seguito della qualificazione, quando il contratto nel suo insieme supera la verifica ordinamentale,
conseguono gli effetti giuridici. Tali effetti sono conformati secondo lo scopo pratico perseguito dai
privati con il contratto, per essere in generale riconosciuto il diritto dei privati di autoregolare i
propri interessi. Regola fondamentale, art. 1374 “il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel
medesimo espresso ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in
mancanza, secondo gli usi e l’equità”. Egualmente rilevante è l’articolo successivo, che impone la
esecuzione del contratto secondo buona fede. Lo stesso articolo introduce un principio generale di
gerarchia tra le fonti di integrazione del contratto, ponendo al primo posto la legge e in assenza di
questa gli usi e l’equità. Oggi alla sommità della scala gerarchica c’è la Costituzione e l’ordinamento
dell’UE.

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La legge e gli altri atti normativi.


L'art. 1374 pone al primo posto la legge tra le fonti di integrazione è però diffuso attribuire al
termine il significato di norma giuridica così da considerare fonte di integrazione del contratto
qualsiasi atto normativo (legislativo o regolarmentare) secondo l'ordine gerarchico delle fonti.

Venendo ai modelli di integrazione, c’è da riprendere la distinzione tra norme dispositive


(derogabili) e norme imperative (inderogabili). Proprio in relazione a tale distinzione si è soliti
distinguere tra una integrazione suppletiva e una integrazione cogente a seconda che la norma da
applicare è di ausilio all’autonomia privata ( e dunque derogabile) o sia antagonista alla stessa
(imponendosi imperativamente).
• Integrazione suppletiva: l’autonomia privata non si è esplicata in modo compiuto.
L’integrazione suppletiva è di ausilio all’autonomia privata: mira a riempire le lacune
dell’autonomia privata, consentendo al contratto di operare nella realtà economica. La
lacuna non deve riguardar profili essenziali del contratto: la integrazione opera quando il
contenuto adottato dalle parti, benché ricostruito nello scopo perseguito e valutato
meritevole di tutela, risulti incompleto. Ne sono chiari esempi le ipotesi in cui, per
negligenza o per altra ragione, non sia indicato il luogo dell’adempimento dell’obbligazione o
il tempo dell’adempimento: in via di supplenza vi provvedono, 1182 e 1183.
• Integrazione cogente: l’autonomia privata si è esplicata in modo esaustivo ed è in grado di
compiutamente operare. L’integrazione cogente è di contrasto all’automa privata: mira a
imporsi coattivamente all’autonomia privata sovrapponendosi al contenuto contrattuale. Ciò
avviene con riguardo all’applicazione dei valori fondamentali dell’ordinamento (es.
protezione persona umana); ma si verifica anche con riferimento alla salvaguardia di
esigenze essenziali del sistema socio- economico (es. garanzia di trasparenza del mercato).
Problema delicato se la determinazione normativa cogente sopravvenga dopo la conclusione
del contratto.
L’integrazione assume tre modelli diversi
a) Soppressivo: con l’intervento soppressivo la legge si limita a dichiarare la nullità della singola
clausola contrattuale, con la sua conseguente caducazione ( ad es. la previsione di clausole
limitative della responsabilità del debitore per dolo o colpa grave ai sensi dell’art. 1229). Fenomeno
della cd. nullità parziale, che, di regola, opera nei limiti fissati dal 1419.
b) Additivo: con tale intervento la legge aggiunge imperativamente specifiche determinazioni al
regolamento contrattuale: ad es. le imprese che esercitano pubblici servizi di linea per il trasporto di
persone o di cose devono eseguire i trasporti secondo la prescrizione dell’art. 1679
c) Sostitutivo: con questo intervento si realizza l’integrazione più penetrante. La legge prescrive la
sostituzione di una determinazione pattizia con altra autoritariamente imposta. L’eteronomia ribalta
l’autonomia: la volontà della legge si sostituisce alla volontà delle parti. Anche ora il contratto
continua a vivere, ma nei modi conformi all’ordinamento. Art. 1419 “la nullità di singole clausole
non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme
imperative”
La sostituzione di diritto è automatica per cui avviene anche se la norma imperativa violata non
preveda la espressa sostituzione e senza possibilità di valutazione di una volontà anche solo
ipotetica delle parti.

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Gli usi, equità e buona fede.


Gli usi.: in mancanza della legge, operano come fonti di integrazione del contratto gli usi e l’equità.
In riferimento agli usi, abbiamo due disposizione che citano questa funzione integrativa: art. 1374
riferendosi agli usi normativi e l’art. 1340 riferendosi agli usi negoziali, cioè le pratiche
comportamentali diffuse nella prassi commerciale, nella consapevolezza di non osservare una regola
giuridica.
Equità. Sempre l’art. 1374 ammette l’equità come subordinata alla legge e agli usi quale fonte di
integrazione del contratto. Perciò l'equità non può mai operare contra legem. Art. 113 c.p.c.,
fissando i poteri del giudice stabilisce che “il giudice deve seguire le norme del diritto”, salvo che la
legge gli attribuisca il potere di decidere secondo equità”. Talvolta è la legge stessa a prevedere
espressamente l'intervento del giudice in via di equità: con riguardo alla valutazione del danno,
quando non può essere provato nel suo preciso ammontare; con riguardo alla riduzione della
penale per inadempimento contrattuale quando la stessa risulta eccessiva;ecc. Il contratto deve
essere inteso nel senso meno gravoso per l'obbligato se a titolo gratuito, e nel senso che realizzi
l'equo contemperamento degli interessi se a titolo oneroso.
Buona fede. Di nuovo l’art. 1374 non annovera formalmente la buona fede tra le fonti di
integrazione del contratto, ma esso rappresenta una clausola generale dell’ordinamento, che
permea l’intero dispiegarsi dell’autonomia privata ed il cui contenuto concreto è determinato volta
a volta in relazione al contesto di interessi in cui deve operare.

6 EFFICACIA.

Efficacia e inefficacia.
Si è visto come, in generale, gli effetti giuridici esprimano la risposta dell’ordinamento all’agire dei
soggetti, secondo l’ordine di valori storicamente operante.
L’efficacia indica una modificazione della realtà giuridica: in particolare gli effetti derivanti dal
contratto sono in funzione di realizzazione dell’intento delle parti alla stregua e con l’integrazione
dei valori espressi dall’ordinamento.

E’ possibile delineare una duplice dimensione degli effetti del contratto:

 effetto generale, connaturato alla formazione dell’accordo, inerisce ad ogni contratto e


consiste nel vincolo contrattuale assunto;
 gli effetti particolari, peculiari ai singoli contratti, esprimono i concreti assetti di interessi
realizzati.

In contrapposizione alla efficacia, la inefficacia designa la mancata o anomala produzione di effetti


giuridici (inefficacia in senso ampio). Talvolta l’inefficacia è conseguenza di un vizio strutturale o
funzionale del contratto (inesistenza, invalidità ecc). L’inefficacia legale è l’inefficacia imposta
dall’ordinamento per contrarietà del contratto all’ordinamento stesso.
Talaltra la inefficacia è voluta dalle parti (inefficacia volontaria). La inefficacia del contratto è legata
all’autonomia privata e rappresenta il risultato contrattuale perseguito dalle parti (inefficacia in
senso stretto). Inoltre l’inefficacia può essere assoluto e cioè valere verso tutti, tra le parti nei
confronti dei terzi, oppure relativa cioè operare solo relativamente alcuni soggetti così comportando
la inopponibilità dell’atto

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(A) Effetto generale (il vincolo contrattuale)

Il vincolo contrattuale e i modi di scioglimento.


Per l’art. 1372 “il contratto ha forza di legge tra le parti”. Il legislatore con questa espressione ha
voluto sottolineare l'importanza del vincolo contrattuale ma poi successivamente aggiunge che il
contratto con forza di legge può sciogliersi per:
• Mutuo consenso
• Cause ammesse dalla legge
Il vincolo contrattuale può dunque essere sciolto anzitutto per accordo delle parti in senso
contrario (mutuo dissenso): trattasi di risoluzione consensuale con la quale le parti, sciogliendosi dal
vincolo, dissolvono il rapporto contrattuale prodotto. Perciò la risoluzione consensuale efficacia
retroattiva, anche con riferimento al trasferimento di diritti reali, che automaticamente sono
ritrasferiti tra le parti con effetto ripristinatorio. Nei negozi unilaterali la liberazione dal vincolo è
realizzata attraverso la cosiddetta revoca, che e è un atto unilaterale di caducazione degli effetti
della dichiarazione unilaterale.
Il vincolo contrattuale con oltre essere sciolto “per cause ammesse dalla legge”: queste sono il
recesso unilaterale e la risoluzione legale.

Recesso.
Il recesso è un negozio unilaterale con il quale una parte dichiara di sciogliersi unilateralmente dal
contratto prima della scadenza. E’ espressivo di un diritto potestativo, a fronte del cui esercizio, la
controparte deve soggiacere. L’art. 1373 contiene lo statuto generale del recesso:

1) L’art. 1373 “se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà
può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione”.
Il recesso di fonte legale ha specifici presupposti e va esercitato con le modalità previste
dalla legge.
Il codice civile, in relazione ad alcuni tipi di contratto consente un diritto di recesso
esercitabile anche dopo la esecuzione del contratto, esempi sono: diritto del committente di
recedere dal contratto di appalto o dal contratto d'opera tendendo indenne la controparte
dalle spese sostenute, del lavoro eseguito e del mancato guadagno.

2) Nei contratti di durata il recesso può essere esercitato anche dopo l’inizio dell’esecuzione,
ma non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione (1373, c.2).

3) Le parti possono pattuire un corrispettivo per l’esercito del recesso, che si configura come
prezzo del recesso. Se il corrispettivo è versato all’atto della stipulazione del contratto, si ha
caparra penitenziale: il recedente perde la caparra data o deve restituire il doppio di quella
che ha ricevuto (1386). Se il corrispettivo andrà versato al momento del recesso, si ha multa
penitenziale: il recesso ha effetto quando la prestazione del corrispettivo è eseguita (1373,
c.3)

E’ possibile analizzare il diritto di recesso in relazione alla fonte e alla funzione:

a) Quanto alla fonte; il diritto di recesso può avere fonte convenzionale o legale:
- Se è di fonte convenzionale sono le stesse parti ad attribuire a entrambe o a uno di esse il
potere di sciogliersi unilateralmente dal contratto: il recesso è dunque a base volontaria.
- Se è di fonte legale è la legge che attribuisce il potere di sciogliessi unilateralmente dal
contratto. Ad es. quando sopravvengono eventi considerati dalla legge in grado di
compromettere l’interesse della parte alla realizzazione del regolamento contrattuale
programmato.

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b) Quanto alla funzione: esistono due fondamentali modelli di recesso, di pentimento e per
giusta causa, a seconda che il relativo esercizio sia rimesso alla sola volontà del recedente o
debba rispondere a legittimi motivi:

- Il recesso di ripensamento è il diritto di pentirsi, e cioè di sciogliersi volontariamente dal


vincolo contrattuale senza bisogno di giustificazione: l’esercizio del recesso inerisce alla
conclusione del contratto ed è rimesso alla libertà del soggetto beneficiario (recesso ad
nutum). Di recente la giurisprudenza tende a sottoporre anche l’esercizio del recesso di
ripensamento all’osservanza del dovere di buona fede. Es. diritto di recesso del consumatore
quando sia stato “colto di sorpresa” nella stipulazione del contratto, volendo così garantire
una consapevole formazione della volontà negoziale. Perciò al beneficiario è accordato un
diritto di ripensamento senza necessità di specificare il motivo del recesso.

- Con il recesso per giusta causa ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto [1373]
prima della scadenza del termine. In generale è accordato per il sopravvenire di eventi che
incrinano il rapporto di fiducia tra le parti (es.2237) O modifichino l’assetto di interessi
programmato (Es. Art. 1375) o giustificati da specifiche finalità più parentesi esempio
articolo 1613). Talvolta ricorso della giusta causa è richiesta solo al fine del conseguimento di
determinati effetti: ad esempio, il prestatore d’opera, solo se recede per giusta causa, ha
diritto a rimborso delle spese fatte al compenso per l’opera svolta (articolo 2237).
Frequenti ragioni giuste a casa sono ravvisate in anomalia del rapporto contrattuale, nella
sua rappresentazione Al momento del contratto o nella sua successiva attuazione. E’ in tal
caso accordato il recesso in autotutela, che è un rimedio di pronta tutela del contraente.
(B) Effetti particolari.

La tendenziale relatività della efficacia del contratto.


Per l’art. 1372 il contratto ha “forza di legge tra le parti”; “non produce effetti rispetto ai terzi che
nei casi previsti dalla legge”. Il contratto quindi di regola ha efficacia solo tra le parti e i loro eredi. Si
parla quindi di principio della relatività degli effetti del contratto.
Il contratto non può giovare o danneggiare il terzo estraneo. Per questo si parla di principio di
indipendenza della sfera giuridica individuale, secondo il quale la sfera giuridica di un soggetto non
può essere modificata dal negozio altrui.

Deroga al principio di relatività degli effetti del contratto è il contratto in favore di terzi (art. 1411) in
cui è valida la stipulazione di un contratto a favore di un terzo qualora lo stipulante vi abbia un
interesse. Salvo patto contrario il terzo acquista il diritto contro il promittente per effetto della
stipulazione. Questa può essere modificata o revocata dallo stipulante finché il terzo non abbia
dichiarato di volerne profittare. In caso di revoca della stipulazione o di rifiuto del terzo di volerne
profittare, la prestazione rimane a beneficio dello stipulante salvo che diversamente risulti dalla
volontà delle parti o dalla natura del contratto.

Tipologia di effetti.
La tipologia degli effetti particolari derivanti dal contratto è connaturata alla varietà degli interessi
realizzati. Secondo l’art. 1321 è possibile designare gli effetti prodotti dal contratto come
determinativi di vicende costitutive, modificative o estintive di rapporti giuridici a contenuto
patrimoniale. La norma ha riguardo anche alla regolazione di rapporti giuridici. È consentito
realizzare anche un effetto di mero accertamento di situazioni giuridiche esistenti.
Le delineate vicende, prodotte dal contratto, integrano i cd. effetti particolari del contratto
espressivi del regolamento contrattuale quale voluto dalle parti e integrato dall'ordinamento: sono
connaturati al risultato programmato dalle parti come effetti contrattuali. Ad esempio effetti
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particolari del contratto di vendita sono il trasferimento del diritto e la costituzione di obbligazione
per il pagamento del prezzo. Gli effetti possono essere anche interni, nel senso di prodursi tra le sole
parti del contratto, si vedrà poi come sussistono ipotesi in cui è consentito all'autonomia privata di
produrre effetti contrattuali anche verso i terzi. Differenti sono i cd. effetti riflessi, che si realizzano
nei confronti dei terzi: tali effetti esprimono le ripercussioni in capo ai terzi della efficacia diretta del
contratto. Non sono effetti contrattuali, ma mere conseguenze degli stessi. Poi ci sono i c.d. effetti
naturali = elementi naturali.

Effetti obbligatori e effetti reali.


Una rilevante distinzione degli effetti particolari è quella tra effetti obbligatori e effetti reali. Prima di
fissare le relative configurazioni giuridiche è bene cogliere il fondamento materiale della dicotomia.
Un esempio chiarisce il senso della distinzione. Ad esempio avendo un soggetto una esigenza
abitativa, può realizzare la stessa in un duplice modo, prendendo un immobile in locazione cosicché
il locatore è obbligato a far godere l'immobile al locatario per un dato tempo e il locatario è
obbligato a corrispondere un canone al locatore. Oppure l'immobile può essere acquistato
trasferendo la proprietà al compratore il quale è tenuto a corrispondere il prezzo della vendita.
Nella prima ipotesi l'esigenza abitativa è realizzata immediatamente tramite la cooperazione del
locatore che si obbliga a far godere la cosa per un certo tempo, costituendo così un effetto
obbligatorio. Nell'ipotesi di vendita viene realizzato il trasferimento della proprietà realizzandosi
quindi un effetto reale. Distinguiamo quindi contratti con effetti obbligatori dai contratti con effetti
reali.
• a) Gli effetti obbligatori producono la vicenda costitutiva di rapporti obbligatori: mirano
perciò a procurare una utilità ad una parte come risultato del comportamento dell'altra
parte. Es. contratto di locazione, trasporto, appalto, ecc. I contratti con efficacia obbligatoria
producono soltanto effetti obbligatori
• b) Gli effetti reali (e dunque i contratti con efficacia reale) producono il trasferimento della
proprietà o di altro diritto ovvero la costituzione di un diritto reale per effetto del solo
consenso. Lo scopo programmato con il contratto è attuato in virtù del consenso
legittimamente manifestato, con il mutamento nella titolarità del diritto trasferito o la
costituzione del diritto reale (principio del cd. consenso traslativo). Si comprende come la
nozione di contratti a effetti reali, avendo riguarda all’efficacia del contratto, si distingue dalla
nozione di contratti reali, che è riferita alla conclusione del contratto. Alcuni di questi
contratti sono rivolti al trasferimento di una situazione giuridica, producendo la successione
nella titolarità del diritto, che si perde dall’originario titolare e si acquista dal nuovo (contratti
derivativi-traslativi), come la vendita. Altri di tali contratti sono diretti alla costituzione di
diritti reali (cd. derivativo-costitutivi) producendo l’attribuzione di una situazione reale di
godimento su un bene che rimane di proprietà altrui. Per entrambi i modelli la vicenda
giuridica si realizza per l’effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato. C’è da
rilevare che spesso agli effetti reali si accompagnano e intrecciano anche effetti obbligatori:
ad es. la vendita produce l’effetto tipico del trasferimento del diritto dal venditore al
compratore, ma comporta anche l’assunzione dell’obbligazione di pagare il prezzo.

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Il consenso traslativo e il regime del rischio. La consegna.

Delineata la natura degli effetti reali, bisogna esaminare la dinamica degli stessi.

Il nostro ordinamento adotta il principio del cd. consenso traslativo, per cui l’atto dispositivo è, ad
un tempo, causale (in quanto regolato dell’assetto di interessi tra le parti) e traslativo (in quanto,
come tale, determinativo dell’effetto reale tra le stesse). L’effetto traslativo di realizza dunque in
virtù e per effetti del consenso legittimamente espresso.

Per i contratti che hanno ad oggetto il trasferimento della proprietà di cose determinate, la
costituzione o il trasferimento di un diritto reale o del trasferimento di un altro diritto, l’effetto
traslativo è contestuale alla formazione del consenso. L’articolo 1376, sotto la rubrica di “contratto
d’effetti reali”, prevede solamente che “la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per
effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato. Il risultato traslativo è dunque prodotto
per effetto del consenso e al momento dello stesso.

Discorso diverso vale per i contratti che hanno ad oggetto il trasferimento di cose determinate solo
nel genere. Per l’indeterminatezza della cosa oggetto di trasferimento, non può prodursi l’effetto
reale del trasferimento del diritto prima che intervenga la specificazione della cosa oggetto di
trasferimento (cd. Individuazione), di conseguenza il trasferimento è reso possibile solo tramite
l’impegno assunto dall’alienante di specificare la cosa oggetto del diritto trasferito (art 1378).

Il risultato traslativo il prodotto per effetto del consenso, ma non al momento dello stesso: è
differito ad un momento successivo in conseguenza della individuazione seguita nel modo concordo
tra le parti ma anche mediante la consegna al vettore o allo spedizioniere.

Il regime del rischio è modellato sulle cadenza della vicenda traslativa, nel senso di fare sopportare
al titolare del diritto il rischio che la perdita è il deterioramento della cosa alienata: a seguito del
trasferimento del diritto in capo all’acquirente, il perimento della cosa per una causa non imputabile
all’alienante non libera l’acquirente dall’obbligo di eseguire la controprestazione, ancorché la cosa
non gli sia stata consegnata. Su tale ordine di idee sono anche attestate le scelte della legge
fallimentare, secondo cui, se un contratto è ancora ineseguito O non compiutamente seguito da
entrambe le parti quando, nei confronti di una di esse, è dichiarato il fallimento, l’esecuzione del
contratto, di regola, rimane sospesi fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei
creditori, dichiara di subentrare nel contratto luogo del fallito, assumendo tutti relativi obblighi di
sciogliersi dal medesimo, salvo che, nei contratti effetti reali, sei già venuto il trasferimento in diritto.
In particolare il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la
rendono inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscono in modo apprezzabile il valore: in virtù
del cosiddetto consenso traslativo, il venditore non risponde per il sopravvenire di vizi inerenti una
cosa che non è più in sua proprietà, anorchè non ancora consegnata.

La presenza di vizi comporta una menomazione del valore economico dell’attribuzione traslativa
rispetto all’ammontare del prezzo, così determinando un aggettivo squilibrio del rapporto di
corrispettività danno del compratore.

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Contratti bilaterali e contratti unilaterali.


La distinzione tra le due classi di contratti era contenuta nel Codice del 1865, art. 1099 “il contratto
è bilaterale quando i contraenti si obbligano reciprocamente gli un verso gli altri, mentre è
unilaterale quando una parte si obbliga verso l’altra senza che quest’ultima incontri alcuna
obbligazione. La dicotomia è tuttora impiegata determinando non pochi equivoci. Con riguardo alla
conclusione del contratto, ogni contratto è bilaterale, per rappresentare l’accordo un requisito
essenziale del contratto. Dai contratti bilaterali derivano obbligazioni a carico di entrambe le parti,
esempio vendita, locazione, dai contratti unilaterali derivano obbligazioni a carico di una sola parte,
esempio fideiussione. Fattispecie da distinguere da i contratti unilaterali è il contratto
sinallagmatico. Si tratta di un contratto a prestazioni corrispettive in cui le parti si impegnano, l'una
nei confronti dell'altra. L'inadempimento di una delle parti comporta la possibilità per l'altra parte di
chiedere la risoluzione del contratto. Un classico caso di contratto sinallagmatico è il contratto di
compravendita nel quale una parte si obbliga a corrispondere una quantità di denaro solo quando
l'altra parte gli trasferisce la proprietà di un bene o di un diritto.

Effetti verso i terzi.


Per l’art. 1372 c.c. comma 2, il contratto produce effetto rispetto ai terzi nei casi previsti dalla legge.
Dobbiamo chiederci verso quali soggetti sono rivolti effetti del contratto; come prima risposta
possiamo pensare sicuramente alle parti che hanno stipulato l'atto, ma è anche vero che gli effetti
del contratto si riversano anche su coloro che subentrano nella posizione delle parti e cioè:
• gli eredi;
• gli aventi causa.
Gli eredi, come sappiamo, sono i continuatori della personalità del defunto e subentrano in tutta la
sua posizione patrimoniale;

Gli aventi causa sono coloro che derivano il loro diritto dal diritto di una delle parti, i successori a
titolo particolare. Il diritto dell'avente causa derivando da quello della parte, ne segue le vicende.

Al di fuori di questi soggetti abbiamo coloro che non sono toccati dalle vicende contrattuali: i terzi.
• terzo è colui che non è né parte, né erede o avete causa delle parti
Queste persone non sono quindi toccate dagli effetti del contratto, anche se si è soliti distinguere, in
merito agli effetti contrattuali, tra efficacia diretta e efficacia riflessa; la prima, che è tipica
contrattuale, tocca solo le parti, mentre l'efficacia riflessa si propaga come conseguenza indiretta
della prima, sui terzi.

Abbiamo quindi stabilito che il contratto ha efficacia solo tra le parti e che queste non possono
disporre della sfera giuridica di altri soggetti, i terzi, appunto.
• Questa ovvia affermazione sembra, però essere contraddetta dallo stesso secondo comma
dell'art. 1372 c.c. che permette in certi "casi previsti dalle legge" l'effetto diretto del
contratto anche sui terzi.
Dobbiamo chiederci, allora, quando è possibile che i terzi siano coinvolti in contratti altrui e perché;
Rispondendo alla seconda parte della domanda, osserviamo che quando il contratto ha effetti
favorevoli per il terzo, si permette che possa avere efficacia su di lui, a meno che il terzo non intenda
rifiutare il beneficio. Caso tipico è l'ipotesi prevista dall'art. 1411 del codice civile, il contratto a
favore del terzo, con tutte le sue derivazioni, come ad esempio l'accollo.

Al di fuori del beneficio del terzo, rientrano i casi in cui una parte s'impegna a coinvolgere nel
rapporto contrattuale un terzo; in tal caso abbiamo le ipotesi del contratto per persona da nominare
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(art. 1401 c.c.) e della promessa del fatto di un terzo. Osserviamo, però, che questi due ultimi
contratti non rientrano nella previsione del secondo comma dell'art. 1372, perché qui non c'è alcun
effetto diretto sui terzi, né favorevole né sfavorevole; ce ne occupiamo, quindi, solo per comodità
espositiva.

Il contratto a favore di terzi.


Nozione (art. 1411 c.c.) è il contratto in cui due (o più parti) si accordano affinché una di loro esegua
una prestazione ad un terzo.
Nel contratto a favore del terzo abbiamo, quindi, tre soggetti fondamentali:
• lo stipulante, che è colui che designa il terzo come destinatario della prestazione; deve avere
un interesse, anche morale o affettivo, alla stipula del contratto;
• il promittente, è l'altra parte contrattuale che deve eseguire la prestazione al terzo;
• il terzo, beneficiario della prestazione, non è parte del contratto né lo diviene in seguito.
Come abbiamo già detto, questo contratto è una applicazione del principio contenuto nel secondo
comma dell'art. 1372 c.c.
La disciplina contenuta negli art. 1411 e seguenti, cerca di contemperare l'esigenza dello stipulante
ad attribuire il beneficio al terzo è quella del terzo a rifiutarla, se vuole.

Quanto alla disciplina, le regole sono:

Posizione del terzo:


• Deve dichiarare di voler profittare della stipulazione fatta a suo favore, ma questa non è
accettazione del contratto di cui non è parte
• acquista il diritto alla prestazione da parte del promittente per effetto della stipulazione; in
altre parole il suo diritto non nasce dalla sua dichiarazione di voler profittare
• il terzo può anche rifiutare il beneficio, dichiarando di non voler profittare della stipulazione
in suo favore
Passiamo, ora, alla posizione dello stipulante.
Posizione dello stipulante
• per la validità del contratto deve avere interesse alla stipulazione
• può revocare o modificare la stipulazione sino a quando il terzo abbia dichiarato di volerne
profittare
• può divenire beneficiario della prestazione in caso di rifiuto del terzo o di revoca, ma il
contratto può escludere questa eventualità
Veniamo, infine, al promittente.
Posizione del promittente
• deve eseguire la prestazione a favore del terzo o dello stipulante in caso di rifiuto del terzo o
di revoca della stipulazione
• può opporre al terzo solo le eccezioni fondate sul contratto che avrebbe potuto opporre allo
stipulante, ma non quelle basate su altri rapporti con lo stipulante.
Il contratto a favore del terzo è una sorta di contratto base per una serie indefinita di contratti,
pensiamo ad esempio all'accollo e al contratto di assicurazione per conto altrui o di chi spetta ex art.
1891 c.c. che si ritiene rientrino nella figura del contratto a favore del terzo.

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(C) Efficacia riflessa.

I c.d. effetti riflessi o indiretti.


In conseguenza della stipulazione di un contratto e della relativa efficacia possono determinarsi
delle conseguenze indirette nei confronti dei terzi (c.d. effetti riflessi) che non fanno parte
dell’intento negoziale e dunque dallo scopo pratico perseguito dalle parti. Sono le conseguenze che
si determinano di rimbalzo ovvero in modo derivativo ogni volta che si verifica un fatto giuridico. Gli
effetti (favorevoli o dannosi) per il terzo non sono il risultato perseguito dagli autori del contratto,
ma rappresentano le ripercussioni del mutamento giuridico operato dal contratto.
Sono ipotizzabili due categorie di effetti riflessi: effetti riflessi di fatto ed effetti riflessi di diritto.

Esempio dell'effetto riflesso di fatto può essere: Tizio vende a Caio un appartamento. Sempronio,
unico figlio di Tizio non potrà più acquistarlo alla morte del padre jure successionis. L'effetto riflesso
di fatto è una semplice conseguenza del mutamento dell'assetto giuridico introdotto nella realtà è
determinato dal perfezionamento di qualsiasi atto modificativo del mondo giuridico.

Più articolata risulta invece essere l'efficacia riflessa di diritto. È riconducibile alla efficacia riflessa di
diritto la rilevanza esterna che attiene ai diritti, ai doveri, alle obbligazioni dei terzi. Ad esempio: se
Tizio vende un bene a Caio questo entra a far parte del patrimonio di costui è dunque oggetto della
garanzia patrimoniale generica. I creditori di Caio, terzi rispetto al contratto, potranno far valere i
propri diritti di credito anche sul nuovo acquisto.
Risulta essere quindi palese il vasto ambito di rilevanza degli effetti riflessi del contratto. Effetti che
non si esauriscono esclusivamente con la titolarità di diritti reali e nell'ambito contrattuale, ma
anche alle modalità di estinzione dell'obbligazione. Un esempio potrebbe essere fatto proprio in
merito alla remissione del debito. Essa quando effettuata produce un effetto liberatorio anche nei
confronti degli altri condebitori, a meno che il creditore, al momento della remissione, non abbia
riservato tale diritto di liberazione nei loro confronti.

Cessione del contratto e del subcontratto.

Cessione del contratto.


A) Nozione
Cessione del contratto si riferisce al rapporto contrattuale, infatti per l’articolo 1406, ciascuna
parte può sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni
corrispettive, se queste non sono state ancora eseguite, purché l’altra parte vi consenta.
La cessione quindi si configura come cessione di posizione contrattuale, con sostituzione di un
nuovo soggetto ad uno dei contraenti originari.
In questo senso la successione in parola si differenzia dall’ipotesi del subcontratto con cui non si
determina una successione a titolo particolare nei rapporti attivi e passivi, quanto la
costituzione in capo ad un terzo di una situazione che deriva da quella di uno dei contraenti.
La cessione può avvenire soltanto in materia di contratti con prestazioni corrispettive, fino a
quando le relative prestazioni non siano stanco eseguite. Il negozio cessione non ha una causa
propria, ma si caratterizza per il soggetto, assumendo di volta in volta la causa giustifica
l’operazione. La cessione potrà avvenire a titolo oneroso o a titolo gratuito.
B) Il consenso del contraente ceduto
L'art. 1406 ammette la cessione del contratto con prestazioni corrispettive, se queste non sono state
ancora eseguite, e purche l'altra parte (contraente ceduto) vi consenta. Perche la cessione del
contratto si perfezioni, è perciò necessario il consenso del contraente ceduto. Ciò è ovvio in quanto
il cessionario (che subentra nel contrat- to) diventa non solo creditore di una delle prestazioni
derivanti dal contratto, ma altresì debitore della controprestazione dovuta al contraente ceduto,
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sicché la sua situazione patrimoniale e le sue qualità personali non sono di certo indifferenti per
quest'ultimo.

C) Forma
ll consenso del ceduto può essere dato anche in via preventiva (art. 1407); tal caso, però, il ceduto
deve essere posto a conoscenza della cessione (la sostituzione deve essere notificata o accettata
D) Effetti della cessione del contratto
Il contraente cedente è liberato dalle sue obbligazioni verso il contraente ceduto, a meno che
questo non dichiari di non volerlo liberare. In questo caso il cedente diviene responsabile eventuale
ove sia inadempiente il cessionario (art. 1408).
Il cessionario è sostituito nella posizione del cedente, perciò il contraente ceduto può opporre al
cessionario tutte le eccezioni derivanti dal contratto, non però quelle fondate sui rapporti personali
col cedente e non dipendenti dal contratto (art. 1409). come nella cessione dei crediti, anche in
questo caso il cedente è tenuto garantire il nomen verum ossia l'esistenza di un contratto valido. Se
ha assunto anche la garanzia dell'adempimento del contratto (nomen bonum), egli risponde come
un fideiussore per le obbligazioni del contraente ceduto (art. 1410).

Subcontratto.
Diversamente si atteggia il subcontratto o contratto derivativo, di cui manca una generale disciplina.
Il subcontratto consente ad una parte contraente di riutilizzare la propria posizione contrattuale per
attivare in forza di questa una nuova operazione economica con altro soggetto in virtù di un
contratto che dipende dal contratto originario. Il subcontratto talvolta deve essere autorizzato
dall'altro contraente, esempio subappalto, altre volte non richiede autorizzazione, salvo patto
contrario esempio sublocazione.
A differenza della cessione del contratto, nel subcontratto il rapporto tra i contraenti che hanno
concluso il contratto rimane in vita e continua ad operare. Su questo si innesta un nuovo rapporto
tra uno dei contraenti originari e il terzo anche a condizioni diverse rispetto al contratto originario.
Ma tale nuovo rapporto è derivativo dal rapporto base, che rimane in piedi, dunque è subordinato
allo stesso. Perciò il subcontratto è destinato a subire le sorti del contratto base. Non può avere una
durata maggiore del contratto base e viene meno se invalido, o comunque diviene inefficace il
contratto base.

Promessa di comportamento del terzo e disposizione di beni altrui.


Esistono ipotesi in cui il contratto riguarda il terzo, non in via immediata come effetto diretto,
esempio il contratto a favore di un terzo, e neppure di rimbalzo, (esempio la vendita dell'immobile
locato fa subentrare l'acquirente nel contratto di locazione del terzo locatario), ma solo in modo
potenziale in ragione di atti che indirettamente lo riguardano o perché è promesso un suo
comportamento o perché si è disposto del suo patrimonio: in entrambe le ipotesi è richiesto
l’assenso del terzo.
• Promessa dell'obbligazione o del fatto del terzo. Per l'art. 1381 chi ha promesso
l'obbligazione o il fatto di un terzo è tenuto ad indennizzare l'altro contraente se il terzo non
si obbliga o non compie il fatto promesso. Con tale contratto è promesso un obbligo di
comportamento del terzo, la cui assunzione evidentemente non può avvenire senza il
consenso del terzo che vi sarebbe tenuto. (Si pensi alla vendita dell'immobile locato con la
promessa di liberazione dell'immobile da parte del locatario entro una determinata data). Il
contratto ha solo effetto tra le parti vincolando il promittente al promissario. La
giurisprudenza ha ricostruito l'impegno del promittente come obbligazione di facere
consistente nell'adoperarsi affinché il terzo tenga il comportamento promesso per soddisfare
il promissario. Il mancato comportamento del terzo comporta l'obbligo del promittente di

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indennizzare il promissario. Se però il promittente è inadempiente alla promessa, poiché


nulla fa perché si realizzi il fatto del terzo o addirittura concorra perché non si verifichi
consegue il comune obbligo di risarcimento del danno da inadempimento. Bisogna
comunque verificare se il comportamento del terzo fosse dedotto in condizione del
contratto. La promessa può essere assunta per negozio unilaterale o per contratto. Il fatto
può consistere nell'assunzione di una obbligazione o nel compimento di un atto giuridico. Se
consiste in una obbligazione, intervenuta l'assunzione della stessa da parte del terzo, il
promittente non è garante dell'esecuzione della prestazione dovuta dal terzo. Affinché la
promessa di obbligazione del terzo sia valida è necessario che la prestazione abbia i requisiti
di determinatezza, possibilità e liceità. Diverso è il caso in cui il terzo sia già obbligato verso il
promissario, in tal modo l'obbligazione del promittente si atteggia come garanzia fideiussoria
o come assunzione del debito altrui.
• Negozi sul patrimonio altrui. Principio logico dovrebbe essere che nessuno può disporre di
beni di proprietà altrui. Per il cod. Civ. del 1865, orientato alla difesa della proprietà, la
vendita di cosa altrui era nulla. Ma esigenze legate al funzionamento del mercato hanno
spinto il cod. Civ. del 1942 a considerare la vendita di cosa altrui un contratto valido. Per l'art.
1478 dalla vendita di cosa altrui deriva l'obbligazione del venditore di procurare l'acquisto
della cosa al compratore, il quale diventa automaticamente proprietario nel momento in cui
il venditore acquista la proprietà dal terzo. Il trasferimento di diritto al compratore si
produce senza necessità di un nuovo atto dispositivo in suo favore. È invece dibattito se la
donazione di cosa altrui sia nulla o solo inefficace.

L'opponibilità.
Uno specifico angolo di osservazione degli effetti del contratto nei rapporti con i terzi, è quello del
conflitto tra diritti incompatibili. Si pensi all'ipotesi che un soggetto alieni un suo bene prima ad un
acquirente e successivamente ad un diverso acquirente. Il secondo acquisto è incompatibile con il
primo. In entrambi i casi gli acquirenti vantano un titolo di acquisto a proprio favore. C'è dunque
incompatibilità di diritti derivante da incompatibilità di titoli acquisitivi. Un generale criterio logico
dovrebbe condurre a preferire il soggetto che prima ha acquistato il diritto e che dunque ha per
primo concluso il contratto. Il titolare di un diritto, alienato lo stesso, non potrebbe di nuovo
alienare il medesimo diritto a un diverso soggetto, per non esserne più titolare. Ma sono molte le
deroghe legali a tale principio in ragione di più esigenze legate al funzionamento del mercato e allo
sviluppo economico. In ragione di ciò può avvenire che un contratto, pur validamente concluso ed
efficace tra le parti, sia considerato inefficace nei confronti di determinati terzi. Il fenomeno è
indicato con il termine inopponibilità del contratto ai terzi. Il conflitto è risolto rendendo uno dei
contratti inefficace nei riguardi di un determinato avente causa o verso determinati terzi che vantino
una situazione giuridica incompatibile con gli effetti del contratto.

Analizziamo ora vari casi.


A) Tra più aventi causa di diritti reali su immobili, o mobili registrati, da un medesimo autore, il
conflitto è risolto mediante la pubblicità e in modo particolare attraverso le regole della trascrizione
nei registri immobiliari, per cui gli atti dispositivi di immobili e mobili registrati non hanno effetto
riguardo ai terzi che hanno acquistato diritti su tali beni in base ad un atto trascritto o iscritto
anteriormente alla trascrizione degli atti medesimi.

B) Tra più aventi causa di diritti reali su beni mobili non registrati, quello tra essi che ne ha
acquistato in buona fede il possesso è preferito agli altri anche se il suo titolo è di data posteriore.

C) Tra più aventi causa di diritti personali di godimento relativi alla stessa cosa, il godimento spetta al
contraente che per primo lo ha eseguito. Se nessuno dei contraenti ha eseguito il godimento è
preferito quello che ha il titolo di data certa anteriore.

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D) tra più aventi causa del diritto di credito, prevale la cessione notificata per prima al debitore o
quella che è stata accettata per prima dal debitore con atto di data certa.

L'autore di più atti dispositivi, cioè chi aliena uno stesso diritto prima ad un soggetto e poi ad un
terzo, risponde verso il primo avente causa per inadempimento del contratto ed è dunque tenuto al
risarcimento del danno. Anche il secondo avente causa è tenuto al risarcimento del danno se in
mala fede.

7 ESECUZIONE.

L’attuazione del risultato programmato e il principio di buona fede.


Talvolta, con la conclusione del contratto, è anche attuato lo scopo (essenziale) perseguito dalle
parti: ad es., nella vendita di cosa determinata, il risultato traslativo è conseguito per effetto del solo
contratto, in virtù del principio del “consenso traslativo” (per cui la proprietà o altro diritto si
trasmettono e di acquistano per effetto del consenso legittimamente manifestato: art. 1376).

In questa ipotesi, l’effetto traslativo non esaurisce l’assetto di interessi, sussistendo altre
determinazioni che devono essere eseguite attraverso il comportamento delle parti. (es. il contratto
non si limita a disporre il trasferimento del diritto, che si realizza con il consenso, ma prevede anche
l'obbligazione di consegnare la cosa venduta e la obbligazione del compratore di pagare il prezzo.

Esiste un vasto campo di rapporti economici in cui il complessivo risultato programmato è


realizzabile solo attraverso il comportamento delle parti. Es. con un contratto di appalto, una parte,
ossia l'appaltatore assume l'obbligazione di compiere un opera o un servizio a fronte
dell'obbligazione dell'altra parte di un corrispettivo in danaro. Con il contratto di trasporto, il vettore
assume l'obbligo di trasferire persone o cose da un luogo all'altro verso l'obbligazione del
corrispettivo dell'altra parte. (passeggero o mittente).
In generale tutta l’area dei contratti con efficacia obbligatoria richiede l’esecuzione del contratto per
il soddisfacimento delle parti, realizzandosi l’utilità programmata tramite l’adempimento delle
obbligazioni. Emerge così la rilevanza giuridica della esecuzione del contratto, che ha la funzione di
attuazione del risultato programmato, quando questo non è realizzato per effetto del contratto.

La regola specifica e fondamentale sull’esecuzione del contratto è nell’art. 1375 secondo il quale “il
contratto deve essere eseguito secondo buona fede (oggettiva)”.

L’esatta esecuzione del contratto comporta l’esatta attuazione di tutti gli obblighi inerenti alla singola
fattispecie contrattuale.
In tal senso svolge un ruolo fondamentale la buona fede oggettiva. Le parti nella esecuzione del
contratto devono avere un comportamento ispirato ai canoni di lealtà e correttezza come
esplicazione del dovere di solidarietà sociale, dovendo salvaguardare la posizione contrattuale
altrui. La violazione della buona fede oggettiva comporta inadempimento del contratto e determina
dunque la responsabilità contrattuale del trasgressore.

Modalità dell’esecuzione.
Per cogliere la dinamica della esecuzione del contratto bisogna avere riguardo alle modalità di
esecuzione delle singole attribuzioni delle parti, espressamente programmate o dovute per legge:

a) Con riguardo al comportamento attuativo della esecuzione, si distingue tra contratti ad


esecuzione istantanea (o unica) e contratti a esecuzione di durata, a seconda che il comportamento

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dovuto, satisfattivo della controparte, si esaurisca in un solo atto o si svolga attraverso un contegno
che si protrae nel tempo:

- Si ha esecuzione istantanea unica quando l'esecuzione si esaurisce in un solo momento.


(es. vendita)

- Si ha esecuzione di durata quando una parte è obbligata a compiere un determinato


comportamento che dura nel tempo con soddisfacimento duraturo dell'interesse della
contro parte. (Esempi sono contratti di locazione, e somministrazione).
A sua volta l'esecuzione di durata può atteggiarsi in un duplice modo quale esecuzione
continuata se prosegue ininterrottamente nel tempo (esempio è l'obbligazione del
locatore di mantenere la cosa locata nello stato da servire all'uso convenuto), oppure
come esecuzione periodica se si svolge in periodo ciclici (esempio. Erogazione di servizi
da ripetersi in determinati periodi dell'anno). Con riguardo ai contratti di durata,
svolgendo prestazioni nel tempo, con correlato soddisfacimento del destinatario,
operano alcune significative regole che mirano a non far risentire gli effetti dello
scioglimento del contratto rispetto alle prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione.
La inefficacia del contratto a seguito di recesso, di risoluzione, di avveramento della
condizione non travolge le prestazioni già eseguite.

b) Con riguardo al tempo di attuazione della esecuzione, è possibile distinguere tra


contratti ad esecuzione immediata ( l’esecuzione è contestuale alla conclusione del
contratto, anzi sinergica) e contratti ad esecuzione differita (l’esecuzione è successiva alla
conclusione del contratto, implicando un comportamento posteriore che attua il risultato
programmato). L’esecuzione differita indica il termine di esigibilità della prestazione.
Ad esempio in un contratto di vendita di una cosa determinata, si stabilisce che la
consegna e il pagamento del prezzo avverranno a 90 giorni dalla conclusione del
contratto.

Clausola penale e caparra.


Operano come misure rafforzative della esecuzione del contratto la clausola penale e la caparra
confirmatoria.
• Clausola penale: è principio generale che il creditore il quale chiedere il risarcimento del
danno per inadempimento o per inesatto adempimento della controparte debba fornire la
prova del danno subito. Tale prova però è laboriosa, non agevole, e affidata alle lente
procedure della magistratura. Per dissuadere dall’inadempimento e quindi rafforzare
l’esecuzione del contratto è consentito alle parti introdurre la cd. clausola penale. Con essa si
conviene che, in caso d’inadempimento o di ritardo dell’adempimento, il soggetto
inadempiente è tenuto a una “determinata prestazione” non necessariamente fissata in una
somma di danaro come emerge dalla generale previsione normativa. Tale “minaccia”
stimolerà la parte cui è riferita la clausola penale ad esattamente eseguire il contratto. La
clausola penale ha dunque la funzione di liquidazione anticipata del danno, esonerando il
soggetto danneggiato dalla prova del danno subito (1382). Inoltre la clausola penale ha
l’effetto di limitare il risarcimento dovuto alla prestazione promessa; ma è possibile
convenire la risarcibilità del danno ulteriore (1382). E’ però sancito il divieto di cumulo: il
creditore non può domandare insieme la prestazione principale la penale, se questa non è
stata stipulata per il semplice ritardo (1383). La penale può essere ridotta dal giudice quando
risulti eccessiva la misura originaria della stessa e quando la stessa di riveli esorbitante a
seguito dell’adempimento parziale del contratto. Il diritto di riduzione della penale conferito

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al giudice può essere esercitato d’ufficio. Ulteriore problema è quello di utilizzare la clausola
penale come negozio in frode alla legge al fine di aggirare l'art. 1129 pattuendo una
prestazione irrisoria rispetto al danno conseguente. In tal modo la clausola penale viene
considerata nulla per illiceità della causa.
• Caparra confirmatoria: dopo la conclusione del contratto può emergere nei contraenti
l’interesse a non adempiere il contratto perché si intende alienare o acquistare ad un prezzo
più conveniente o con modalità di esecuzione più convenienti o perché la controparte si è
resa inadempiente. La caparra tende a rafforzare la serietà dell’impegno con il versamento
anticipato che una parte fa all’altra di una somma di danaro o di una quantità di altre cose
fungibili al momento della conclusione del contratto in quanto, in caso di inadempimento di
una delle parti, funge da mezzo di risarcimento per la mancata esecuzione del contratto. In
caso di adempimento, la caparra non svolge alcuna funzione. Se la parte che ha dato la
caparra è inadempiente, l’altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra a titolo di
risarcimento danni; se inadempiente è la parte che l’ha ricevuta, l’altra può recedere dal
contratto ed esigere il doppio della caparra versata, sempre a titolo di risarcimento danni
(1385). In entrambe le ipotesi è sufficiente alla parte che invoca l'inadempimento della
controparte allegare l'altrui inadempimento, l'altra parte deve fornire la prova di aver
esattamente eseguito il contratto. La legge accorda al soggetto non inadempiente due
distinte tutele: quella specifica del recesso, con la ritenzione della caparra; quella generale
della risoluzione o esecuzione del contratto, con il risarcimento del danno. Il recesso in
esame è un recesso in autotutela, rimedio rapido senza ricorso all’apparato giudiziario.
Diversa è la caparra penitenziale la quale ha funzione di corrispettivo del recesso di
pentimento senza alcun riguardo al verificarsi di un inadempimento del contratto, la parte
che lo recede perde la caparra o deve restituire il doppio di quella che ha ricevuto. Diverso
ancora è il cd. deposito cauzionale, che ha la funzione di garantire un eventuale obbligo del
cauzionante verso la controparte in relazione all’esecuzione.

Sopravvenienze e adeguamento del contratto. La rinegoziazione.


La rinegoziazione indica l’attività mediante le quali le parti procedono a ridefinire l’assetto di
interessi inizialmente stabilito, in dipendenza di sopravvenienze giuridicamente rilevanti.
Si prospettano all’uopo tre possibilità a seconda che sia la stessa legge a regolare il fenomeno,
oppure che siano le parti a prevederlo, o ancora che non ricorra alcuna delle due ipotesi

a) L’ipotesi più agevole è quella della sopravvenienza regolata dalla legge, rispetto alle quale la legge
stessa appresta i relativi rimedi; con riguardo ai contratti a prestazioni corrispettive, il codice
disciplina due principali figure di sopravvenienze non imputabili alle parti ovvero la sopravvenuta
impossibilità della prestazione e la sopravvenuta eccessiva onerosità della prestazione di una delle
parti. Per ciascuna delle due figure è apprestato un rimedio distruttivo del contratto, comportante la
inefficacia del rapporto contrattuale, in alcune ipotesi evitabile con la ricostruzione dell’equilibrio
originario.
In modo più specifico la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta
non può chiedere la controprestazione e deve restituire quella che già abbia ricevuto.
Quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l'altra parte ha diritto
a una corrispondente riduzione della prestazione dovuta e può anche recedere dal contratto
quando non abbia un interesse apprezzabile all'adempimento parziale. Relativamente ai contratti di
durata o a esecuzione differita il sopravvenire di avvenimenti straordinari e imprevedibili che
rendono la prestazione di una delle parti eccessivamente onerosa consente alla parte tenuta a tale
prestazione di domandare la risoluzione del contratto, la controparte può evitarla offrendo di
modificare equamente le condizioni del contratto.

b) Può anche avvenire che singole sopravvenienze siano tenute presenti dalle parti al momento del
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contratto e convenzionalmente regolate nel contratto con diversificati atteggiamenti, si da


realizzare una gestione concordata delle sopravvenienze. Innanzitutto le parti possono rimettere a
terzi o al sopravvenire di singole circostanze la determinazione di alcuni profili del contratto ancora
ignoti al momento della stipula.
Le parti possono introdurre criteri di adeguamento automatico dell'ammontare di una prestazione
col variare di alcuni indici o parametri. Con particolare riguardo alle obbligazioni pecuniarie è
consentito alle parti introdurre clausole che derogano al principio legale, prevedendo che il
pagamento debba essere eseguito con moneta avente valore intrinseco. Talvolta le parti consentono
a ciascuna di esse di variare il contenuto o l'oggetto della prestazione con il sopraggiungere di
determinati fenomeni.

c) Più complessa è la gestione delle sopravvenienze in assenza di previsione: quando cioè, per un
verso, non operano criteri convenzionali preventivi di gestione e regolazione delle sopravvenienze;
per altro verso, non operano rimedi legali ovvero sussistano solo rimedi demolitori del contratto e la
parte interessata non intende avvalersi degli stessi in quanto non ha interesse allo scioglimento del
contratto ma alla sua conservazione ed esecuzione.
Si rinvia sempre al principio di buona fede oggettiva. Si tende a privilegiare i rimedi manutentori del
contratto su quelli demolitori. In sostanza, in presenza di sopravvenienze che rendano l’assetto di
interessi non più ragguagliabile a quello precedente, è consentito a ciascuna parte invocare la
revisione del contratto e specificatamente chiedere la rinegoziazione per l’adeguamento dello stesso
all’originario programma contrattuale.
Deve trattarsi di avvenimenti sopravvenuti, imprevisti e imprevedibili. In ipotesi di diniego di
rinegoziare il contratto pure in presenza di sopravvenienze impreviste si può ammette. In generale
non può ammettersi che il giudice possa riscrivere il contratto in sostituzione delle parti poiché in tal
modo si violerebbe il principio dell'autonomia dei privati.
Si può però ammettere, in applicazione del principio di buona fede, un intervento giudiziario
sostitutivo della rinegoziazione quando l’adeguamento del contratto è reso possibile attraverso
l’ancoraggio a parametri oggettivi. Il giudice verificato l'insorgere delle sopravvenienze può solo
valutare se il comportamento della parte ostativo alla rinegoziazione sia o meno conforme alla
buona fede, sanzionando con il risarcimento del danno la condotta della parte contraria alla buona
fede. A fronte di un diniego di rinegoziazione in contrasto con il principio di buona fede, può
consentirsi alla controparte il recesso dal contratto in via di autotutela.

8 SOSTITUZIONE NELL'ATTIVITÀ GIURIDICA.

Rapporto gestorio e potere rappresentativo.


Non è sempre possibile curare direttamente tutti i propri interessi, talvolta è sufficiente avvalersi di
mere collaborazioni tecniche, talaltra si rende indispensabile farsi sostituire da altri soggetti. Esiste
così il fenomeno della sostituzione nell'attività giuridica, il soggetto che agisce giuridicamente
(sostituto o gestore) realizza un interesse, non proprio, ma di altro soggetto (cd. sostituto o gerito).
Non per tutti gli atti è consentita la sostituzione (es. personalissimi).

Tratto comune della sostituzione nell’attività giuridica altrui è la gestione dell’interesse altrui, che ne
incarna il profilo sostanziale (cd. rapporto gestorio). Tale attività può essere svolta quale funzione, in
ottemperanza di un obbligo di legge (es. potestà genitoriale) o in attuazione di un incarico o per
iniziativa del gestore stesso. Al dato di carattere sostanziale di cura dell'interesse altrui, se ne
accompagna un altro, di carattere formale, costituito da un potere del gestore di incidere senz’altro
la sfera giuridica del soggetto interessato, riversando nella sfera altrui gli effetti degli atti compiuti: è
questo il fenomeno della rappresentanza in senso tecnico, con il quale ad un soggetto è conferito il
potere rappresentativo di altro soggetto.

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Quanto alla fonte del potere di rappresentanza lo stesso può essere conferito dalla legge
(rappresentanza legale) oppure dall’interessato (rappresentanza volontaria, procura), (1387).

(A) Rappresentanza

Rappresentanza e gestione
La gestione (specificamente il mandato) è il regolamento di interessi tra sostituito e sostituto,
mentre la rappresentanza (fondata sulla procura) è la legittimazione a spendere il nome altrui.

a) La Rappresentanza (diretta) è caratterizzata dalla spendita del nome altrui (cd. contemplatio
domini). Si realizza una gestione qualificata dell’interesse altrui per agire il gestore, non solo
nell’interesse di un soggetto diverso, ma anche in suo nome. In tal guisa, alla qualifica di gestore
dell’interesse altrui si aggiunge quella di rappresentante del soggetto interessato; correlativamente,
alla qualifica di soggetto gerito si connette quella di rappresentato.
Il negozio è concluso dal rappresentante in nome e nell’interesse del rappresentato e perciò
produce direttamente effetto nei confronti del rappresentato (1388), sicché questi assume
immediatamente la titolarità dei rapporti derivanti dal contratto stesso. Il rappresentante è solo
parte formale del negozio rappresentativo; la parte sostanziale è il soggetto interessato. Ad esempio
l'acquisto di un bene in nome e per conto altrui comporta che gli effetti del contratto di vendita si
producano direttamente tra venditore e soggetto rappresentato (compratore), per cui in capo allo
stesso rappresentato si realizza il trasferimento della proprietà acquistata e nasce l'obbligazione del
pagamento del prezzo. Con riguardo a tale negozio è il rappresentante che elabora la volontà
negoziale e la dichiara, su istruzioni del soggetto rappresentato nel cui interesse è esercitato il
potere rappresentativo. Ad esempio è conferito al rappresentante il potere di acquistare un
appartamento con alcune caratteristiche in una specifica città ad un prezzo non superiore ad una
determinata somma; oppure di vendere un appartamento ad un prezzo non inferiore ad una
determinata somma. Sta al rappresentante ricercare e individuare il soggetto in grado di compiere il
contratto secondo le generali indicazioni ricevute dal rappresentato.

b) La gestione (rappresentanza indiretta) realizza una interposizione reale o gestoria di persona, per
cui un soggetto agisce nell’interesse altrui ma non in nome proprio. Il contratto così concluso dal
gestore produce effetti nella sfera giuridica del gestore stesso: in virtù del rapporto gestorio che lega
il gestore al soggetto interessato, il gestore è obbligato a riversare poi gli effetti del contratto dalla
sua sfera giuridica in quella del soggetto interessato (gerito). Il contratto regolatore del rapporto
gestorio più diffuso è il mandato che si distingue in mandato con rappresentanza, si applica la
disciplina sulla rappresentanza (1704) e mandato senza rappresentanza, i terzi non hanno rapporto
col mandante (1705). Solo quando i beni acquistati dal mandatario sono immobili o mobili registrati,
il mandatario ne acquista la proprietà ed è dunque obbligato a ritrasferirla al mandante. In caso di
inadempimento si osservano le norme relative all'esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un
contratto. Il mandante può ottenere una sentenza costitutiva che produca gli effetti del contratto
non concluso. Inoltre la trascrizione della domanda di esecuzione in forma specifica vale a rendere il
diritto del mandante prevalente rispetto a trascrizioni o iscrizioni eseguite contro il mandatario
dopo la trascrizione della domanda.
Quando la gestione dell’interesse altrui non involge beni soggetti a pubblicità, al mandante sono
accordati rimedi di tutela diretta del suo interesse, al fine di fare propri i rapporti derivanti dal
contratto. E così il mandante può rivendicare le cose mobili acquistate per suo conto dal mandatario

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che ha agito in nome proprio, salvi i diritti acquistati dai terzi per effetto del possesso di buona fede
(1706). Il mandante, sostituendosi al mandatario può esercitare i diritti di credito derivanti
dall'esecuzione del mandato, salvo che ciò possa pregiudicare i diritti attribuiti al mandatario. In
definitiva sussistono varie aree di tutela diretta del mandante anche in presenza di mandato senza
rappresentanza.

c) Diversa è la interposizione fittizia di persona, è una simulazione soggettiva in quanto si realizza


un accordo simulatorio tra tre soggetti, fingendosi che parte del contratto sia un determinato
soggetto (cd. prestanome) mentre gli effetti sono in realtà imputati a un soggetto diverso (soggetto
effettivo).

d) su un piano diverso si pone la figura del nuncius (portavoce): lo stesso si limita materialmente a
trasmettere una dichiarazione di volontà altrui, senza contribuire all’elaborazione della volontà
negoziale.

La procura.
La procura è la fonte del potere di rappresentanza. E’ in particolare il negozio unilaterale con il quale
è conferito il potere di rappresentanza (1387), autorizzandosi un soggetto (procuratore) ad agire in
sostituzione dell’interessato e dunque a rappresentarlo, compiendo atti giuridici in suo nome.

Quanto ai soggetti, la procura può provenire da un solo soggetto verso un solo rappresentante
(procura semplice) o può involgere una pluralità di soggetti rappresentati e/o rappresentanti: può
essere rilasciata da più soggetti o conferita a più soggetti (c.d. procura collettiva). In quest’ultimo
caso la procura può essere disgiuntiva o congiuntiva a seconda che i vari procuratori siano obbligati
ad agire insieme o siano autorizzati ad agire anche separatamente. In assenza di una specifica
disciplina possibile applicare la disciplina de mandato con pluralità di mandati.

Quanto alla forma, la procura, come del resto ogni dichiarazione di volontà, può essere espressa o
tacita. Peraltro, essendo la procura un negozio orientato alla stipula di un contratto successivo, la
forma della stessa è vincolata al contratto da concludere. La procura non ha effetto se non è
conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere.
Quanto all’oggetto, la procura può essere speciale o generale. E’ speciale se ha riguardo ad un
singolo atto o ad un singolo affare. E’ generale se ha riguardo a tutti gli affari del rappresentato o,
almeno, a tutti gli atti relativi ad una sfera di rapporti del rappresentato. In assenza di una disciplina
specifica in tema di rappresentanza ci si può rifare all'applicazione delle regole in tema di mandato.

La procura è revocabile e modificabile ad alcune condizioni. Principio generale è che la permanenza


della efficacia della procura è legata alla permanenza della volontà del rappresentato. Il
rappresentato può modificare il contenuto della procura come può disporre la revoca della procura
con conseguente estinzione della stessa. Le modificazioni e la revoca della procura devono essere
portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei, in mancanza esse non sono opponibili ai terzi se
non si prova che questi le conoscevano al momento della conclusione del contratto.

Il negozio concluso dal rappresentante.


Come ogni negozio, anche quello concluso dal rappresentante deve avere i requisiti previsti dalla
legge per la validità dei contratti, sia con riguardo alla formazione del negozio e quindi alla
conclusione del contratto, sia con riferimento al contenuto del negozio stesso (1325 ss). Per la

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verifica di validità del contratto bisogna verificare come la legge imputa ai due soggetti i requisiti
soggettivi di validità del negozio concluso e la rilevanza che attribuisce agli apporti dei due soggetti.

a) Relativamente alla capacità, è sufficiente che il rappresentante abbia la capacità di intendere e di


volere, avuto riguardo alla natura e al contenuto del contratto concluso. Non si richiede, nel
rappresentante, la capacità legale di agire, ma solo la capacità naturale. Il rappresentato deve invece
avere necessariamente la capacità legale di agire per valutare l'affare da concludere e l'operato del
rappresentante. Per la validità del contratto è necessario inoltre che il negozio concluso non sia
vietato al rappresentato. Il rappresentante deve cioè avere la capacità giuridica relativa ai singoli
rapporti.

b) Con riguardo ai vizi della volontà, si è anticipato che la legge riferisce al rappresentante la
elaborazione della volontà negoziale: per l’art. 1390 il contratto è annullabile se è viziata la volontà
del rappresentante. Quando il vizio riguarda elementi predeterminati dal rappresentato, il contratto
è annullabile se era viziata la volontà di questo (1390).

c) Circa gli stati soggettivi rilevanti, si ripropone la medesima imputazione dei vizi della volontà. Per
l’art. 1392, quando rileva lo stato di buona o di mala fede, di scienza o d’ignoranza di determinate
circostanze, si deve avere riguardo alla persona del rappresentante.
In nessun caso il rappresentato che è in mala fede può giovarsi dello stato d’ignoranza o di buona
fede del rappresentato (1391).

L'abuso di potere (conflitto di interessi).


Con riguardo alla gestione dell’interesse altrui, affiora la figura dell’abuso di potere.
Può avvenire che il rappresentante non persegua (come dovuto) gli interessi del rappresentato ma
quelli propri o di terzi, versando in conflitto di interessi con il rappresentato. Il rappresentante, cioè,
abusa del potere rappresentativo conferitogli, realizzando un risultano non utile o addirittura
dannoso al rappresentato. E’ sufficiente la potenzialità del conflitto di interessi anche se non è
ancora attuale il sacrificio dell’interesse del rappresentato: ciò che rileva è che il rappresentate
persegua interessi incompatibili con quelli del rappresentato.
Per l’art. 1394 il contratto concluso dal rappresentante in conflitto di interessi col rappresentato è
annullabile su domanda del rappresentato, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo
contraente. La legge sacrifica l’interesse del rappresentato alla inefficacia del contratto rispetto
all’opposto interesse del terzo contraente in buona fede alla efficacia del contratto.
Il contratto quindi è annullabile se e solo se il conflitto è conosciuto o conoscibile dal terzo:
applicazione del principio generale di tutela dell’affidamento.
La legge tipizza un’ipotesi di conflitto di interessi nel c.d. contratto con se stesso, quando cioè il
rappresentate riunisce nella sua persona le posizione di entrambe le parti del contratto che deve
concludere, così sintetizzando la duplicità dei centri di interessi. Es. il rappresentante del venditore
si rende acquirente del bene da vendere. Il fatto in se di riunire entrambe le posizioni contrattuali fa
presumere l'esistenza di un conflitto di interessi. È perciò di regola annullabile il contratto che il
rappresentante conclude con se stesso, o come rappresentante di un'altra parte. La medesima
norma però contiene deroghe alla generale previsione dell'annullabilità riconoscendo la eccezionale
validità del contratto con se stesso quando ricorra una delle due seguenti ipotesi:
• Il rappresentato abbia autorizzato specificamente il rappresentante di tale contratto.
• Il contenuto del contratto sia predeterminato da rappresentato in modo da escludere la
possibilità del conflitto di interessi. Esempio è il commesso che in un negozio che vende a
prezzi fissi, acquista un bene secondo le condizioni di vendita fissate dal venditore.

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Difetto di potere (rappresentanza senza potere).


Con riguardo al versante (formale) della spendita del nome altrui (contemplatio domini), affiora la
situazione del difetto di potere rappresentativo. Può avvenire cioè che un soggetto spenda il nome
altrui, mancando del tutto di potere rappresentativo (assenza di potere) o esorbitando dal potere
conferitogli (eccesso di poteri). In entrambe le ipotesi si ha rappresentanza senza potere in quanto
chi si presenta al terzo come rappresentante è in difetto di potere e dunque è un falso
rappresentate (falsus procurator). Emergono tre dimensioni di osservazione: la sorte del contratto
concluso dal falso rappresentante; la posizione del terzo che ha agito con il falso rappresentante; la
posizione del rappresentato per illegittima spendita del suo nome.

a) Quanto alla sorte del contratto, per regola generale, il contratto concluso dal rappresentante in
nome e nell’interesse del rappresentato produce effetti nei confronti del rappresentato nei limiti
delle facoltà conferitegli (1388).; pertanto chi agisce privo di poteri rappresentativi pone in essere
un contratto non efficace per il rappresentato (1398); il contratto stipulato dal falso rappresentante
è sempre inefficace, non potendosi riferire né al rappresentato né al rappresentante.

b) La posizione delle parti va articolata rispetto a ciascuna di esse:

- Quanto al falso rappresentante, per l’art.1398, chi ha contrattato come rappresentante


senza averne i poteri o eccedendo i limiti delle facoltà conferitegli è responsabili del
danno che il terzo contraente ha sofferto per avere confidato senza sua colpa nella
validità del contratto. Il risarcimento dovuto dal falso rappresentante al terzo comprende
solo l’interesse negativo, ossia il rimborso delle spese sostenute e il ristoro per le
eventuali occasione perdute e per l’attività svolta per la trattative. (non comprende
dunque il cd. interesse positivo, cioè il risultato ricavabile dall’adempimento).
- Il terzo è tutelato con il risarcimento dei danni, per aver conferito senza colpa nella
efficacia del contratto.

c) Per quanto riguarda la posizione del rappresentato, questo non può essere obbligato
ad osservare il contratto concluso dal falso rappresentante, ma potrebbe comunque
essere interessato a questo nel caso in cui il contratto sia conveniente.
In tal modo è consentito al rappresentato di far proprio il contratto concluso dal falso
rappresentate attraverso la ratifica. La ratifica è un negozio unilaterale con il quale il
rappresentato fa propri gli effetti del contratto stipulati dal falso rappresentate. Con la
ratifica è come se il falso rappresentate avesse avuto sin da subito la procura. La ratifica
può essere espressa o tacita e deve avere la forma del negozio da ratificare, se per
questo è prevista una forma solenne.

La rappresentanza apparente.

È la situazione in cui un soggetto si comporta come rappresentante di un’altra persona, senza però
averne il potere, ma il modo con cui esercita quest’attività e la colpa del falsamente rappresentato,
ingenerano nei terzi ignari della realtà, il ragionevole affidamento circa l’esistenza della
rappresentanza, vincolando così il rappresentato apparente all’attività compiuta in suo nome dal
rappresentante apparente.

Il rappresentato apparente, quindi, agisce colposamente, e la colpa può risiedere nell’aver dato
causa alla situazione di apparenza o anche solo di aver tollerato l’esistenza di una situazione
conosciuta di apparenza senza rimuoverla. Mi entrambi i casi l’apparenza prevale sulla realtà: A

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tutela del terzo il contratto è considerato efficace anche in assenza di procura, il comportamento
colposo del soggetto (falsamente) rappresentato è sanzionato con l’efficacia dell’atto compiuto dal
falso rappresentante.

(B) Altre figure.

Il contratto per persona da nominare.


È un contratto in cui una parte può riservarsi la facoltà di nominare, entro 3 giorni dalla stipula o in
diverso termine accordato, la persona che acquisterà i diritti e gli obblighi nascenti dal contratto. La
dichiarazione di nomina non ha effetto se non accompagnata dall'accettazione della persona
nominata o se non esiste una procura anteriore al contratto. Se la dichiarazione di nomina è valida
la persona nominata diviene parte sin dal momento della stipula del contratto. Se la nomina non è
fatta validamente nei termini indicati, il contratto non è nullo e nemmeno inefficace, ma produce i
suoi effetti tra i contraenti originari. La persona nominata assume la qualifica di parte contraente.
Gli effetti si producono tra controparte e persona nominata la quale acquista diritti e assume
obblighi derivanti dal contratto con effetto dal momento della stipula del contratto. Il contratto per
persona da nominare realizza una sostituzione nella posizione giuridica del contraente che si riserva
la nomina del terzo. Si discosta però dalla rappresentanza diretta in quanto non è speso il nome
altrui, che è anzi tenuto segreto. Si discosta anche dalla rappresentanza indiretta in quanto il
contraente che designa il terzo non è obbligato a concludere un nuovo contratto per ritrasferire gli
effetti, producendosi gli effetti senz’altro in capo alla persona nominata. Si distingue anche dal
contratto a favore del terzo; nel primo, la nomina del terzo è solo eventuale, con la conseguenza che
in caso di mancata nomina il contratto produce effetti tra i contraenti originari; nel secondo la figura
del terzo deve essere necessariamente prevista nel contratto, e il terzo deve essere determinato o
determinabile.

Il contratto per conto di chi spetta.


L’ipotesi ricorre quando c’è l’esigenza di regolare uno specifico interesse, ma non è ancora
determinato il titolare dell’interesse stesso. Ad esempio in tema di vendita di cose mobili in caso di
divergenza sulla qualità o condizione della cosa, il venditore o il compratore possono chiederne la
verifica giudiziale. Il giudice quindi su istanza della parte interessata può ordinarne il deposito, il
sequestro o la vendita per conto di chi spetta determinandone le condizioni. Analogamente in tema
di trasporto se sorge controversia tra più destinatari circa il diritto alla riconsegna o circa
l'esecuzione di questa, o se il destinatario ritarda a ricevere le cose trasportate, il vettore può
depositarle in un locale di pubblico deposito. Il contratto per conto di chi spetta è caratterizzato
dalla incertezza circa il destinatario degli effetti del contratto: c’è l’esigenza di stipulare il contratto
nell’attesa di definire, sulla base di circostanze oggettive, la ricerca del destinatario degli effetti e
cioè del risultato programmato con il contratto.
Anche il contratto per conto di chi spetta realizza una sostituzione, anche se non può parlarsi di
rappresentanza per due motivi: non c'è spendita di nome altrui, essendo anzi incerto il destinatario
degli effetti del contratto; non c'è gestione di un interesse determinato perché la individuazione del
destinatario è legata ad un evento oggettivamente incerto e successivo.

9 ANOMALIE GENETICHE. DIFETTI NELLA FORMAZIONE.

L'atto e il rapporto contrattuale.


Le anomalie che si presentano nella fase di conclusione del contratto sono genetiche, per riguardare
la formazione del contratto, come titolo e fondamento di vicende giuridiche. Le anomalie che

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insorgono successivamente alla stipulazione del contratto sono sopravvenute, per riguardare
l’attuazione del contratto, in funzione dello svolgimento dell’assetto di interessi programmato.
Analizziamo le anomalie genetiche.

Irregolarità e inefficacia del contratto.


Nei capitoli precedenti abbiano analizzato le varie anomalie dell’atto, rispetto ai singoli elementi
costitutivi richiesti dall’ordinamento (1325 ss). Esaminiamo ora le conseguenze giuridiche previste
dalla legge per quella che può essere indicata in generale come contrarietà dell’atto all’ordinamento
(cioè la sua illegalità). Tal disciplina generale non esaurisce l’area delle anomalie del contratto.
E’ da ribadire che l’atto di autonomia privata è soggetto alla valutazione dell’ordinamento, che vi
connette gli effetti giuridici: in presenza di una valutazione positiva, conseguono effetti
tendenzialmente conformi allo scopo perseguito dai privati, con le eventuali integrazioni dianzi
accennate; a fronte di una valutazione negativa, le reazioni dell’ordinamento sono orientate in due
fondamentali direzioni: contro i soggetti e/o contro l’atto o anche in entrambe le direzioni.

a) La reazione contro i soggetti comporta la comminatoria di multe e pene contro gli autori dell’atto.
Se la reazione si esaurisce in tale direzione senza incidere sulla sorte dell’atto c’è mera irregolarità
del negozio, che produce normalmente i suoi effetti, Es. evasione di imposte di bollo

b) La reazione contro l’atto incide sulla efficacia dell’atto, privando l’atto senz’altro degli effetti o
connettendovi effetti precari in quanto destinati alla caducazione. Tale tipo di reazione comporta la
inefficacia del negozio (privazione di effetti).

Sono varie le ipotesi di contrarietà dell’atto all’ordinamento dalle quali deriva la inefficacia del
contratto. Tali anomalie possono ricondursi a due generali categorie giuridiche, a seconda che
l’anomalia inerisca alla conclusione o all’esecuzione del contratto: nella prima direzione operano la
invalidità, nelle due specie della nullità e annullabilità e la rescissione; nella seconda direzione
operano la risoluzione e l’autotutela.
Su un diverso piano si colloca la manovra volontaria degli effetti del contratto che dà luogo alla
inefficacia in senso stretto. Comune conseguenza a tutte le ipotesi di inefficacia del contratto è la
ripetibilità delle attribuzioni eseguite (indebito oggettivo, 2033), in quanto, con la inefficacia
dell’atto, le attribuzioni sono prive di causa giustificativa e vanno dunque restituite.

Inesistenza e invalidità

Sono categorie di elaborazione dottrinale, ed entrambe si connettono a difetti originari del


contratto inteso come atto.

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A) L’Inesistenza. Ove si intenda a mettere tale categoria, non è in discussione l’assenza di uno
degli elementi che l’ordinamento richiede per il perfezionamento dell’atto, ma la stessa
identificabilità della fattispecie realizzata come atto di autonomia privata. E cioè postina
essere un atto che, già nella valutazione sociale, non si presenta idoneo a realizzare un
regolamento di interessi, in quanto anche giuridicamente il negozio risulta inesistente (Il
classico esempio della tradizione era il matrimonio tra persone dello stesso sesso).

B) L'invalidità Opera con riferimento a contratti esistenti e cioè socialmente identificati come
atti di autonomia privata, ma difformi all’ordinamento giuridico. L’atto, benché in grado di
operare nella realtà sociale, è valutato negativamente dall’ordinamento per contrarietà ai
“valori” fondanti o anche solo a specifiche regole organizzative.
Le cause di invalidità attengono, da un lato, a vizi di forma dell’atto e cioè con riferimento
all’attività rappresentativa e al documento; dall’altro, a vizi di sostanza dell’atto e cioè con
riguardo al contenuto dell’atto e al contesto in cui è maturato oltre he alla persona degli
autori. La invalidità si articola in due specie: la nullità e l’annullabilità.
La nullità determina l’inefficacia originaria e automatica del negozio; l’annullabilità
comporta la precarietà degli effetti dell’atto, che possono essere caducati dall’autorità
giudiziaria. La comminatoria dell’una o dell’altra specie di invalidità è in ragione di due
fondamentali criteri: il tipo di illegalità, e perciò la natura degli interessi coinvolti e lesi;
l’impatto sociale dell’atto, e dunque l’affidamento che lo stesso è in grado di suscitare e in
realtà determina.

(A) Nullità
Configurazione di nullità.
La nullità è la specie più grave di invalidità. L’atto di autonomia privata è considerato
inidoneo A realizzare interessi perseguiti in quanto attua un disvalore rispetto
all’ordinamento. L’atto nasce nullo e dunque privo di effetti.
a. Il fondamento della nullità sta nella rilevanza degli interessi coinvolti il leasing: l’atto è in
contrasto con valori fondamentali dell’ordinamento.
b. L’azione di nullità, salvo diverse disposizioni di legge, può essere esercitata, e quindi la
nullità fatta valere, da chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata d’ufficio dal giudice.
Di conseguenza la nullità ha una legittimazione assoluta, ma è necessario avervi interesse,
pertanto chi invoca la nullità deve allegare il proprio interesse alla dichiarazione di nullità.
c. Gli effetti della sentenza consistono nell’accertamento della nullità del negozio e dunque
della inefficacia originaria dello stesso: trattasi di una sentenza dichiarativa. Per la regola
generale dell’articolo 1338, la parte che, conoscendo dovendo conoscere la causa di nullità,
non ne ha dato notizia all’altra è tenuto a risarcire il danno da questa risentito per aver
confidato senza sua colpa nella validità del negozio. Di regola la dichiarazione di nullità opera
retroattivamente, così tra le parti come verso i terzi, travolgendo di regola tutti gli atti sono
stati successivamente compiuti in conseguenza il contratto nullo.
d. Inoltre per l’articolo 1422 l’azione per far dichiarare la nullità e imprescrittibile.

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Le cause di nullità.

È possibile raggruppare le cause di nullità in tre classi fondamentali:

- Cause generali di nullità per assenza di un elemento essenziale e illiceità (nullità


strutturali)
- Cause particolari di nullità per specifiche previsioni normative (nullità testuali)
- Cause implicite di nullità, per contrarietà a norme imperative (Nullità virtuale).
a) Nullità strutturali. Per l’art. 1418 producono nullità del contratto la mancanza di uno degli
elementi essenziali indicati dall’articolo 1325, nonché la mancanza nell’oggetto dei requisiti
stabiliti dall’articolo 1346. Per la medesima norma produce inoltre nullità l’illecita del
contratto, per illiceità della causa e dei motivi nel caso indicato dall’articolo 1345.
b) Nullità testuali. L’art 1418 prevede che il contratto è altresì nullo nei casi stabiliti dalla legge.
Adesso tempio nullità dei patti successori (articolo 458).
c) Nullità virtuali. L’art. 1418 prevede che il contratto è nullo quando è contrario a norme
imperative, salvo che la legge disponga diversamente. In sostanza quando la nullità si
desume dal complesso delle norme.

Le nullità di protezione.
La nullità è impiegata sempre più di frequente a tutela di qualificate posizioni giuridiche soggettive
socialmente deboli o comunque deboli nei rapporti di mercato sì da subire l’abuso di posizioni
dominanti, in grado di imporre i propri schemi contrattuali. Tale tutela si svolge in una duplice
direzione.
• Innanzi tutto incidendo sulla fattispecie e sanzionando con la nullità le clausole considerate
vessatorie o comunque espressive di abuso di posizione dominante, con l'eliminazione di
singole clausole contrattuali e la sostituzione di altre.
• Mediante gli obblighi di informazione precontrattuale a carico di soggetti forti del mercato.
(banche, assicurazioni, ecc.).

Si è arrivati ad utilizzare la nullità per sanzionare così l'inosservanza di molti obblighi imposti
durante la formazione del contratto.
Molto spesso così le due tecniche sanzionatorie si sovrappongono operando insieme e
contemporaneamente. Entrambe tendono ad attribuire alla nullità la funzione di protezione di
interessi qualificati. Perciò tali nullità si qualificano come relativa per poter essere rilevate dal solo
soggetto appartenente alla categoria nel cui interesse sono previste, oltre che dal giudice. Ad
esempio in tema di contratti dei consumatori, la nullità delle clausole vessatorie opera solo a
vantaggio dei consumatori e può essere rilevata d'ufficio dal giudice. Tali nullità sono di regola
insanabili e parziali.

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Conversione del contratto nullo.

Il principio generale di conservazione dell’attività giuridica, per cui, nel dubbio, il contratto o le
singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, trova
applicazione anche con riguardo ai negozi nulli, al fine di non disperdere l’attività negoziale.

a. Conversione del contratto nullo. (Art 1424) È un istituto che permette di salvare il negozio
nullo trasformandolo in un contratto diverso.
Nella conversione sostanziale devono correre due fondamentali presupposti:
- Il contratto nullo deve avere requisiti di sostanza e di forma di un contratto diverso
valido.
- Dal contratto nullo deve emergere una volontà ipotetica.

Mentre si ha conversione formale quando si ha conversione da una forma ad un’altra ( es:


da atto pubblico a privato).

b. Nullità parziale. La nullità può essere totale o parziale asseconda che neri scale intero
contratto singole clausole. Per l’articolo 1419 la nullità parziale importa la nullità dell’intero
contratto solo se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso, senza quella parte del
suo contenuto che è colpita dalla nullità. In realtà bisogna verificare se il contratto, depurato
dalla clausola nulla, attui un assetto di interessi congruente con la causa concreta.
In ragione del principio di conservazione del contratto è la parte che invoca la nullità totale a
dover fornire la prova dell’estensione della nullità parziale all’intero contratto.
Di conseguenza la nullità di singole clausole importa la nullità del contratto quando le
clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative.

c. Contratto plurilaterale: Per l’art. 1420, nei contratti con più di due parti, in cui le prestazioni
di ciascuna sono dirette al conseguimento di uno scopo comune, la nullità che colpisce il
vincolo di una sola delle parti non importa nullità del contratto, salvo che la partecipazione
di essa debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale. È questa una regola
fondamentale dei contratti con comunione di scopo;(società, consorzi, ecc.). Bisogna
verificare se la liberazione di una singola parte consenta al contratto di attuare egualmente
lo scopo comune programmato.
d. sanatoria: il negozio nullo non può essere sanato attraverso un negozio di convalida tranne
che la legge non disponga diversamente.

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(B) Annullabilità.
Configurazione dell’annullabilità.
L’annullabilità È la specie è meno grave di invalidità. L’atto di autonomia privata è considerato
idoneo a realizzare interessi perseguiti. L’atto dunque produce effetti, ma gli stessi non sono stabili.

a. Il fondamento della figura è nella tutela di interessi considerati dall’ordinamento, si degni di


tutela, ma non tale da comportare una inderogabilità della relativa tutela: la contrarietà del
negozio all’ordinamento non involge cioè i valori fondamentali. L’annullabilità può essere
fatta valere in via di azione e di eccezione.
b. Azione di annullamento può essere proposta solo dalla parte nel cui interesse è stabilita
dalla legge: sia una legittimazione relativa (e non assoluta come per la nullità). L’esercizio
dell’azione è hai messo Alice attiva del soggetto protetto dalla legge: per questo
l’annullabilità non è rilevabile d’ufficio dal giudice. Eccezionale la cosiddetta annullabilità
assoluta, che sia quando l’annullamento del contratto può essere domandata chiunque vi
abbia interesse. L’incapacità del condannato, che può essere fatta valere da chiunque vi
abbia interesse. Tione di annullamento (a differenza di quella di nullità) si prescrive, di
regola, in cinque anni.
c. Gli effetti della sentenza consistono nell’annullamento del negozio e dunque la privazione di
efficacia dello stesso. L’annullamento è richiesto con domanda giudiziale della parte
legittimata interviene in virtù di sentenza costitutiva che annulla l’atto e dunque l’e-mail a gli
effetti nel frattempo prodottisi. L’annullabilità non è rilevabile di ufficio dal giudice, ed
efficacia retroattiva. Se però il contratto è annullato per incapacità di uno dei contraenti,
questi non è tenuto a restituire all’altro la prestazione ricevuta se non nei limiti in cui è stata
rivolta a suo vantaggio. Come per la nullità, trova applicazione la regola generale dell’articolo
1338, per cui la parte che conoscendo dovendo conoscere le cause di annullabilità non mi ha
dato notizia l’altra parte è tenuta risarcimento del danno.

Le cause di annullabilità.
Le cause di annullabilità sono tassativamente previste dalla legge, a differenza della nullità.

a) Incapacità di agire: si è visto come la capacita di agire sia l’attitudine a compiere atti giuridici, che
di regola di acquista con la maggiore età.
Per l’art. 1425 il contratto è annullabile se una delle parti era legalmente incapace di contrattare. Il
riferimento alla incapacità legale rende manifesto che sono annullabili gli atti compiuti da minori
(322) e da interdetti nei limiti fissati dall’art. 427; sono annullabili gli atti di straordinaria
amministrazione compiuti dal minore emancipato e dall’inabilitato senza l’assistenza del curatore
(396-427).

b) Vizi del consenso: per l’art. 1427 il contraente cui il consenso fu dato per errore, estorto con
violenza o carpito con dolo, può chiedere l’annullamento del contratto.

c) Altre ipotesi: sono cause particolari di annullabilità, per riferirsi a specifiche fattispecie
espressamente sanzionate dalla legge con l’annullabilità. Si pensi ad es. al contratto stipulato dal
rappresentante in conflitto d’interessi con il rappresentato: il contratto può essere annullato su
domanda del rappresentato, se il conflitto era riconosciuto o riconoscibile dal terzo (1394, 1395).

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Conservazione del negozio annullabile. Come Per il contratto nullo, anche per il contratto
annullabile, operano strumenti di conservazione dell’attività negoziale. A differenza però della
nullità, la conservazione riguarda, non una parte o un contenuto minore dell’attività negoziale, ma
lo stesso negozio annullabile nella sua interezza.

a. Convalida. La convalida è un istituto attraverso il quale viene “sanato” un vizio la fattispecie


negoziale invalida. Ha efficacia retroattiva, e inoltre la convalida deve provenire dal
contraente legittimato all’azione di annullamento ed in grado includere validamente il
contratto, di conseguenza è necessario che il contraente che intende convalidare abbia la
consapevolezza del vizio. La convalida può essere espressa o tacita. La convalida espressa
consiste in un atto che contiene la menzione del contratto e del motivo di annullabilità, e la
dichiarazione che si intende convalidarlo. La convalida è tacita se il contraente al quale
spettava l’azione di annullamento ha dato volontariamente esecuzione al contratto,
conoscendo il motivo di annullabilità.
b. Mantenimento del contratto rettificato. Quando il consenso è stato dato per errore è
consentito alla controparte di impedire annullamento mediante l’offerta di mantenimento
del contratto rettificato. Per l’articolo 1432 la parte caduta in errore non può domandare
l’annullamento del contratto se, prima che ad essa possa derivarne pregiudizio, l’altra offre di
seguirlo in modo conforme al contenuto e alle modalità del contratto che quella intendeva
concludere.

C)Rescissione

Configurazione della rescissione.


a. Fondamento della rescissione risiede in uno squilibrio genetico del rapporto sinallagmatico
cui, una parte, in presenza determinate circostanze, è indotta a stipulare un contratto a
condizioni inique. L’anomalia è quelle gatta al contesto in cui il contratto è maturato, che ne
influenza la conclusione. Si dà luogo a difetto genetico della causa dello squilibrio dei assetti
di interessi realizzato. Non essendo coinvolti i valori inderogabili dell’ordinamento, la tutela è
dispositivo e pertanto è rimessa all’iniziativa dei contraenti.
b. Azione di rescissione si descrive, di regola, in un anno dalla conclusione del contratto, se
però il fatto costituisce reato, è stabilita una prescrizione più lunga. Anche la rescissione va
richiesta con domanda giudiziale dalla parte a ciò legittimata ed interviene in virtù di
sentenza che elimina gli effetti prodotti allatto. Anche la rescissione non è rilevabile d’ufficio
dal giudice, se però lo squilibrio economico assume carattere dell’usura, il negozio è nullo e
come tale soggetto alla disciplina della nullità.
c. Gli effetti della intensa consistono nella rescissione del contratto e dunque nella privazione
di efficacia dello stesso. La sentenza che accoglie la domanda di rescissione dunque una
sentenza costitutiva.
d. Anche con riguardo alla rescissione opera il principio di conservazione dell’attività negoziale.
Il contraente contro il quale è domandata la rescissione può evitarla offrendo la
modificazione del contratto sufficiente per ricondurre ad equità. In applicazione del principio
di buona fede la ricognizione di equità deve essere riferita alla congruenza dell’operazione
economica.
Le specie di rescissione
Le circostanze generali rilevanti per la rescissione del contratto sono due: lo stato di pericolo e lo
stato di bisogno.
a. Rescissione per stato di pericolo. Per l’articolo 1447 il contratto con cui una parte ha
assunto obbligazioni a condizioni inique, Per la necessità, nota alla controparte, di salvare sé
o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, può essere rescisso sulla domanda
della parte che si obbligata. Devono dunque concorrere più presupposti.
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1) Innanzitutto lo stato di pericolo: deve ricorrere alla necessità, deve essere attuale, e
notevole cioè da farti avere un danno grave alla persona.
2) Inoltre le condizioni inique del contratto devono emergere dal testo e dal contesto del
contratto.
3) Infine la conoscenza della controparte dello stato di pericolo di cui intende approfittare

b. Rescissione in stato di bisogno. Per la sua rilevanza devono ricorrere, simultaneamente, tre
presupposti
1) innanzi tutto lo stato di bisogno di una parte che li induce un accettare le condizioni
inique.
2) Inoltre la sproporzione tra le due prestazioni oltre la metà del valore che la prestazione
seguito o promessa dalla parte danneggiata aveva al tempo del contratto.
3) Infine la profittare della controparte dello stato di bisogno di cui era consapevole, per
trarne vantaggio.

10 ANOMALIE SOPRAVVENUTE.
Poiché la realizzazione dello scopo perseguito dalle parti passa attraverso l'adempimento delle
obbligazioni, può avvenire che il rapporto contrattuale non sia attuato o sia inesattamente attuato a
causa del mancato adempimento delle obbligazioni assunte con il contratto o per il sopravvenire di
fatti comportanti una impossibilità o difficoltà nell'adempimento o inesatto adempimento delle
obbligazioni. Una particolare disciplina è prevista per i contratti a prestazioni corrispettive. Essi sono
caratterizzati dalla presenza di due prestazioni, vincolate da un nesso di reciprocità, per cui la
prestazione di una parte viene posta in essere in conseguenza della prestazione della controparte
(Es. nella vendita, la consegna di un bene si ha con il pagamento del prezzo). Pertanto se il rapporto
di corrispettività viene meno, l'ordinamento prevede due strumenti per i soggetti:
• L'autotutela, con il quale un soggetto può difendere autonomamente il proprio diritto;
• L'eterotutela, con la quale un soggetto può difendere un proprio diritto ricorrendo
all'apparato giudiziario;
Per quanto riguarda la funzione, facciamo una distinzione tra tecniche manutentive con le quali si
mira a conservare il contratto con le opportune modificazioni, e tecniche demolitive con le quali si
mira alla risoluzione del contratto.

(A) Autotutela.
Si è già accennato all’autotutela privata, quale rimedio accordato dall’ordinamento ai privati per la
soluzione di una controversia senza il ricorso all’autorità giudiziaria e dunque al processo. Anche
nella materia contrattuale esiste una vasta area cui è consentito alle parti autotutela per propri
interessi senza il ricorso all’apparato giudiziario

a. Con riguardo al contratto in primis è ammessa un'autotutela consensuale. Le parti hanno la


possibilità di modificare il contratto, giungendo allo scioglimento per mutuo consenso nel
caso in cui il contratto non soddisfi più gli interessi originari delle parti. Si può parlare in
questo caso di autotutela in senso ampio, che si caratterizza per l’unico aspetto di provenire
dagli stessi privati, senza l’intervento di un terzo (giudici o arbitri) che dirimi
autoritariamente la controversia con una decisione.

b. L’autotutela assume invece, significato e funzioni pregnanti quando consente alla singola
parte di autotutelare i propri interessi, non solo senza il ricorso a un apparato terzo, ma
anche in assenza del consenso della controparte ed anzi contro la sua volontà. E’ questa
l’autotutela in senso stretto, che si configura come autotutela unilaterale, esercitata da una

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parte nei confronti dell’altra, anche contro la sua volontà. Il diritto di autotutela si configura
come diritto potestativo, per il potere accordato al singolo contraente di determinare
unilateralmente il mutamento di una situazione giuridica, cui corrisponde una posizione di
soggezione del titolare della posizione passiva. E’ di questo che parleremo. Poiché non è
consentito farsi giustizia da se con ingiusta lesione degli interessi altrui, la tutela unilaterale è
uno strumento disciplinato dall’ordinamento: è l’ordinamento stesso che attribuisce ai
privati il diritto di autotutela, quale potere unilaterale di tutela immediata e diretta dei
propri interessi. Come per l'esercizio di ogni diritto anche per l'esplicazione dell'autotutela si
annida il pericolo di abuso della stessa. Quando nasce contestazione tra le parti circa il
corretto utilizzo di tale strumento unilaterale, spetterà all’autorità giudiziaria accertare se i
poteri di autotutela accordati sono stati esercitati in conformità con l’ordinamento (c.d.
sentenza di accertamento).
Venendo alla tipologia dell’autotutela, distinguiamo tra preservazione della corrispettività e
definizione della controversia.

Preservazione della corrispettività.


E’ la tecnica di autotutela di più antica derivazione. E’ lo strumento dell’attesa: tende solo a
preservare il rapporto di corrispettività (sinallagma funzionale). Il contratto rimane in vita, ma la
parte non inadempiente è temporaneamente esentata dall’obbligo di eseguire la prestazione
dovuta: è perciò una tutela provvisoria, destinata ad evolvere o nella esecuzione del contratto o
nello scioglimento dello stesso. Inoltre perpetuandosi lo stato di attesa potrebbe realizzarsi di fatto
la liberazione delle parti dal vincolo contrattuale per la prescrizione dei corrispettivi diritti di credito.

Figure più significative:


• a) Eccezione di inadempimento: è il rimedio più diffuso di antica tradizione: è un rimedio
manutentivo del contratto, al fine di consentire la simultaneità degli adempimenti
corrispettivi. Per l’art. 1460, nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei
contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie, adempie
non esattamente o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che
termini diversi per l’adempimento siano stati stabili dalle parti o risultino dalla natura del
contratto; tuttavia non può rifiutarsi l’esecuzione se il rifiuto è contrario alla buona fede.
Devono ricorrere due presupposti per sollevare l’eccezione di inadempimento:
1) la esigibilità della prestazione richiesta. La mancata scadenza del termine di adempimento
legittima il debitore a paralizzare la pretesa altrui con un eccezione di inesigibilità della
prestazione.
2) Devono inoltre trattarsi di prestazioni interdipendenti e non subordinate nel senso che
l’una prestazione si subordinata all’adempimento dell’altra, perché in tal caso si ridetermina
un meccanismo di sfalsamento dei termini di adempimento.
Il rifiuto dell’adempimento trova fondamento nell’inadempimento altrui: è perciò fondamentale
che l’invocato inadempimento sia imputabile al debitore (1218) e non sia di scarsa importanza avuto
riguardo all’interesse proprio (1455). Quando entrambe le parti inadempienti deducono l’eccezioni
di inadempimento, bisognerà valutare quale inadempimento abbia rivestito efficienza causale nella
lesione del sinallagma contrattuale. E’ sufficiente allegare l’inadempimento altrui. Possono ancora
operare figure nominate di eccezione di inadempimento con riguardo ai singoli contratti. Così
relativamente alla vendita, contro il pericolo di evizione, è accordato al compratore un rimedio di
autotutela al fine di preservare il rapporto di corrispettività. Il compratore può sospendere il
pagamento del prezzo quando ha ragione di temere che la cosa o una parte di essa possa essere
rivendicata da terzi salvo che il venditore presti idonea garanzia. Analogamente il compratore può
sospendere il pagamento del prezzo se sulla cosa acquistata gravi un pignoramento o un sequestro
non dichiarato dal venditore e ignorati dal compratore. Può inoltre far fissare dal giudice un termine
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per la liberazione della cosa, alla scadenza della quale, se la cosa non è libera il contratto è risoluto
con obbligo del venditore di risarcire il danno.
• b) Mutamento nelle condizioni patrimoniali: tale rimedio risponde ad una logica diversa: c’è
il pericolo che una prestazione non possa essere eseguita per incapacità patrimoniale. Per
l’art. 1461 ciascun contraente può sospendere l’esecuzione della prestazione da lui dovuta,
se le condizioni patrimoniali dell’altro contraente sono diventate tali da porre in evidente
pericolo il conseguimento della controprestazione, salvo che sia stata prestata idonea
garanzia. Non devono ricorrere i presupposti dell’inadempimento: determinante è che sia
compromessa la garanzia patrimoniale (2740)
• c) Diritto di ritenzione: si è visto come l’ordinamento, in molte ipotesi accordi al creditore il
diritto a non consegnare la cosa dovuta al proprietario o altro avente diritto finché non è
soddisfatto del suo credito. Con tale rimedio una parte che detiene una cosa induce la
controparte ad adempiere la sua prestazione al fine di conseguire la disponibilità della cosa
trattenuta. Es. nel contratto di trasporto, il vettore può rifiutarsi di consegnare la cosa al
destinatario se questi non paga i crediti derivanti dal trasporto.
• d) Altri rimedi previsti in sede di attuazione del rapporto obbligatorio, come la decadenza
del debitore dal termine e l’opposizione di pagamento, pure si rivelano suscettibili di
applicazione nei contratti a prestazioni corrispettive, per riflettersi le vicende di una
obbligazione sulla obbligazione corrispettiva.

Definizione della controversia. L'esecuzione in danno.


La seconda dimensione dell’autotutela è quella della definizione della controversia, offrendo
soluzione al contatto insorto tra le parti attraverso gli strumenti dell’esecuzione in danno o dello
scioglimento del contratto.

Con l’esecuzione in danno si consente al soggetto interessato, di conseguire coattivamente il


risultato perseguito con un’iniziativa universale dello stesso. E’ un meccanismo che trova specifica
applicazione nel c.c. con riguardo alla vendita di cose mobili. I mezzi di tutela accordati
dall’ordinamento tendono all’attuazione del contenuto del contratto, senza il ricorso all’autorità
giudiziaria.
Se il compratore non adempie l’obbligazione di pagare il prezzo, l’art. 1515 accorda al venditore il
potere di conseguire la “esecuzione coattiva per inadempimento del debitore” attraverso la vendita
in danno della cosa per conto e a spese del compratore. La vendita è fatta all'incanto a mezzo di una
persona autorizzata o a mezzo di un ufficiale giudiziario. Il venditore deve dare tempestiva notizia al
compratore del giorno, del luogo e dell'ora in cui la vendita sarà eseguita. Se la cosa ha un prezzo
corrente, ovvero stabilito da listini o da mercuriali, la vendita può essere fatta senza incanto a mezzo
di una persona autorizzata o di un commissario nominato dal tribunale. Il venditore ha diritto alla
differenza tra il prezzo convenuto e il ricavato netto della vendita, oltre il risarcimento del danno.

Scioglimento del contratto.


Lo scioglimento del contratto si realizza mediante il recesso o mediante risoluzione di diritto del
contratto.

a) Recesso: del recesso già si è detto quale strumento accordo ai contraenti di realizzare lo
scioglimento del contratto. La rescissione può chiedersi per anomalie verificatesi al momento della
conclusione del contratto perché concluso in stato di pericolo o per lesione. Il recesso può
presentarsi nelle due forme di recesso in autotutela e di pentimento.
In questa sede rileva in particolare il recesso in autotutela, quale strumento di tutela unilaterale
accordato ai contraenti in relazione all’attuazione del contratto, vuoi per anomalie insorte circa
l’attuazione (es. inadempimento controparte), vuoi per consentire di sciogliersi dal contratto nei
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contratti di durata a tempo indeterminato.


In sede di contratto si pensi alla caparra confirmatoria, se la parte che ha dato la caparra è
inadempiente, l'altra può recedere dal contratto ritenendo la caparra, se inadempiente è invece la
controparte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra. Si
pensi alla sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione di una parte: la controparte ha
diritto ad una corrispondente riduzione della prestazione dovuta e può anche recedere dal contratto
qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale (1464). Con riguardo ai
singoli contratti, si pensi alla vendita a corpo di immobile, nel caso in cui il compratore dovrebbe
pagare un supplemento di prezzo ha diritto di recesso dal contratto e il venditore è tenuto a
restituire il prezzo è a rimborsare le spese del contratto. Si pensi al contratto di appalto quando si
rendono necessarie variazioni del progetto in mancanza di accordo, se l'importo delle variazioni
supera il sesto del prezzo complessivo convenuto, l'appaltatore può recedere dal contratto e può
ottenere un'equa indennità, se le variazioni sono di notevole entità anche il committente può
recedere dal contratto ad è tenuto a corrispondere un equo indennizzo. Relativamente ai contratti
di durata si pensi alla somministrazione. Se la durata della somministrazione non è stabilita,
ciascuna delle parti può recedere dal contratto dandone preavviso alla controparte. Si pensi alla
locazione, il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi può recedere in qualsiasi momento dal
contratto dandone preavviso al locatore.

b) Risoluzione : altro strumento di definizione dell’operazione per scioglimento del contratto è la


risoluzione di diritto del contratto. Essa si verifica per motivi che sopravvengono al momento della
conclusione del contratto. Tali ipotesi possono essere:
• La risoluzione di diritto. Ovvero nei casi previsti dalla legge.
• La risoluzione per inadempimento di una delle due parti.
• La risoluzione per impossibilità sopravvenuta.
• La risoluzione per eccessiva onerosità.
La figura più rilevante e di maggiore diffusione è la diffida ad adempiere: la parte non inadempiente
può intimare alla parte inadempiente di adempiere in congruo termine con l’avvertimento che, in
mancanza, il contratto si intenderà senz’altro risoluto di diritto (1454)
Altra figura rilevante è in tema di vendita di cose mobili ove opera l’eccezionale rimedio della
risoluzione di diritto dei contratti ai sensi degli artt. 1517 e 1518. (vedi). È prevista la risoluzione di
diritto del contratto a favore del contraente che prima della scadenza del termine stabilito, abbia
offerto all'altro nelle forme di uso la consegna della cosa o il pagamento del prezzo se l'altro non
adempie la propria obbligazione. Inoltre è consentito al solo venditore di conseguire la risoluzione
del contratto se alla scadenza dell'obbligazione di consegna il compratore non si presenta per
ricevere la cosa offerta oppure non l'accetta.
Rappresenta una figura di autotutela in senso lato la cosiddetta risoluzione convenzionale del
contratto. Per l’art. 1372 il contratto non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause
ammesse dalla legge; è dunque sempre consentito alle parti sciogliersi dal vincolo contrattuale con
mutuo consenso o c.d. mutuo dissenso, quale esplicazione dell’autonomia contrattuale. Quando il
contratto da risolvere è soggetto ad una forma ad substantiam, il contratto risolutivo deve avere la
medesima forma. Riferendosi la risoluzione ad un contratto sinallagmatico, le prestazioni
corrispettive, di regola, si estinguono.

(B) Eterotutela.

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Generalità.
Si è già anticipato come, per i contratti a prestazioni corrispettive, caratterizzati cioè dalla esistenza
di un nesso di reciprocità tra le prestazioni (sinallagma genetico) è necessario che tale nesso persista
anche durante o lo svolgimento del rapporto contrattuale (cd. sinallagma funzionale). Verificandosi
anomalie nella correlazione tra le prestazioni durante l’esecuzione del contratto, la legge appresta
specifici rimedi di tutela a presidio del nesso di corrispettività.
Si è già detto sopra della c.d. risoluzione consensuale con la quale i contraenti con mutuo consenso
sciolgono il contratto concluso. (1372). In questa sede però si dibatte gli strumenti protettivi che non
vengono assunti con l’accordo delle parti, ma che anzi l’una parte fa valere contro l’altra; con
“eterotutela” ci si vuole riferire alle varie ipotesi, e sono le più diffuse, nelle quali il contraente non
ha a disposizione poteri di tutela immediata e diretta, sì da conseguire autonomamente il
soddisfacimento per la mancata esecuzione del contratto (autotutela). Il contraente, per mancata
attuazione del rapporto contrattuale, ricorre a un apparato terzo (autorità giudiziale statale o
giustizia arbitrale) che verifica le ragioni addotte dalle parti ed emette una decisione di tutela dei
diritti vantati.
Il c.c. fissa tre figure di anomalo svolgimento del rapporto contrattuale nell’attuazione del contratto:
l’inadempimento, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione e l’eccessiva onerosità. Tutte sono
racchiuse sotto l’unico capo XIV del Libro Quarto “Della risoluzione del contratto”. In realtà la
risoluzione del contratto rappresenta uno degli strumenti a cordati al contraente per la tutela dei
suoi diritti.

L'inadempimento.
Per delineare l’inadempimento del contratto si deve, dunque, analizzare il complessivo contenuto
dello stesso. Pertanto l'inadempimento può essere definito come inattuazione del regolamento
contrattuale, non procurando uno dei contraenti il risultato programmato nel contratto e/o imposto
dalla legge. L’espressione “inadempimento” è comprensiva sia dell’inadempimento che dell’inesatto
adempimento. Trattandosi di inadempimento di una obbligazione, è necessario che l’obbligazione
non adempiuta sia esigibile, cioè sia scaduto il termine di adempimento dell’obbligazione; l’inesatta
esecuzione delle prestazioni deve esser imputabile alla parte inadempiente (1218). Infine
l’adempimento del contratto deve essere importante e cioè grave, nel senso che non deve avere
scarsa importanza avuto riguardo all’interesse dell’altra parte (1455). Qualora ricorrano inesatte
esecuzioni delle prestazioni da entrambe le parti, bisogna verificare, nel concorso tra le stesse,
quale delle due si riveli prevalente e causalmente determinante della mancata attuazione del
contratto, sì da integrare inadempimento contrattuale. Il contraente che invoca la tutela giudiziaria
per l’inadempimento dell’altro contraente non ha necessità di fornire in giudizio la prova
dell’inadempimento, essendo sufficiente l’allegamento dell’inadempimento (o inesatto).

Gli strumenti di tutela. L'adempimento coattivo.


L’adempimento coattivo: per l’art. 1453 nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei
contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a su scelta chiedere l’adempimento o la
risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno. Se la parte non inadempiente
conserva l’interesse a conseguire l’adempimento benché tardivo, può chiedere l’adempimento
(adempimento coattivo) e quindi coltivare la realizzazione coattiva del contratto. Abbiamo già
parlato dei rimedi in autotutela. In questa sede si discorre del conseguimento coattivo
dell’adempimento attraverso l’apparato coercitivo giudiziario. In ogni caso la parte che si avvale
dello strumento dell’adempimento coattivo deve mantenersi pronta ad eseguire la prestazione
quando conseguirà la prestazione della controparte. Come si è visto in tema di obbligazioni, il
contraente può ricorrere alla esecuzione forzata in forma specifica nelle ipotesi previste dagli art..
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2930 ss., al fine di costruire l’utilità non procurata dall’altro contraente.


In definitiva, l’adempimento coattivo si configura quale lo strumento accordato alla parte non
inadempiente di conseguire l’attuazione dell’assetto di interessi divisato con il contratto: non solo
dunque la realizzazione coattiva dei diritti di credito, ma in generale l’attuazione coattiva del
regolamento contrattuale. La domanda di adempimento tende a far conseguire, per via giudiziaria,
quel risultato che il contraente non ha ottenuto attraverso l’adempimento spontaneo dell’altro
contraente.

La risoluzione del contratto. La risoluzione giudiziale.


Se la parte non inadempiente perde interesse all’adempimento, anche solo perché non ha più
fiducia in un esatto adempimento della controparte, può chiedere la risoluzione del contratto e
dunque perseguire lo scioglimento del contratto. In ogni caso la risoluzione è rimedio che tutela
interessi la cui cura è rimessa all’iniziativa dei privati e perciò non può essere rilevata d’ufficio dal
giudice.
La normativa più nutrita in materia di risoluzione del contratto è dedicata alla risoluzione per
inadempimento, per essere l’inadempimento la causa più diffusa di inattuazione del contratto

a) Presupposto essenziale della risoluzione è l’importanza dell’inadempimento: per l’art. 1455 il


contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza
avuto riguardo all’interesse dell’altra. Se le parti denunciano inadempimenti reciproci
bisogna verificare quale dei due abbia maggiore rilevanza ed efficienza causale
nell’alterazione del sinallagma. Veniamo alle generali conseguenze della risoluzione del
contratto.
b) La risoluzione determina lo scioglimento del vincolo e dunque del rapporto contrattuale: è
un rimedio “distruttivo” del contratto. Ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di
contratti ad esecuzione continuata o periodica riguardo ai quali l’effetto della risoluzione non
si estende alle prestazioni già eseguite (1458). Ciò comporta che con la risoluzione le
prestazioni già eseguite vanno restituite, venendo meno la causa delle relative attribuzioni
(2033). In particolare per i contratti ad esecuzione istantanea le prestazioni eseguite
diventano prive di giustificazione e vanno dunque restituite, nei contratti traslativi si produce
l'automatico ritrasferimento del diritto alienato in capo al suo originario titolare. Come già
abbiamo detto nei contratti di durata (ad esempio di esecuzione continua o periodica)
l'effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite, si ha quindi una
inefficacia parziale del contratto che la giurisprudenza ha applicato anche con riguardo alla
alienazione di cose.
c) la risoluzione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti della trascrizione
della domanda di risoluzione (art. 1458). C'è dunque una tutela preferenziale dei terzi
rispetto all'interesse delle parti: a differenza dell'annullamento i terzi sono tutelati sempre
indipendentemente dal titolo di acquisto (Oneroso o gratuito) e dallo stato soggettivo (mala
fede o buona fede)
d) La risoluzione può essere giudiziale o di diritto, a seconda che intervenga per provvedimento
del giudice o operi automaticamente.

Risoluzione giudiziale.

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Può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l’adempimento, ma
non può più chiedersi l’adempimento quando è stata domandata la risoluzione (1453).
L’impossibilità di mutare la domanda di risoluzione in domanda di adempimento si giustifica per la
ragione che la domanda di risoluzione del contratto denota in chi la propone di non avere più
interesse alla esecuzione del contratto: ciò comporta che la parte inadempiente consideri ormai
inutile apprestare l’adempimento. Correlativamente l’inadempiente, dalla data della domanda di
risoluzione, non può più adempiere la propria obbligazione (1453) in quanto la parte che ha chiesto
la risoluzione potrebbe avere già reperito sul mercato la prestazione non eseguita dalla controparte.
La domanda di risoluzione è soggetta a prescrizione ordinaria decennale con decorrenza dalla data
di inadempimento.
Il giudice che pronunzia la risoluzione deve verificare i presupposti dell’inadempimento. La sentenza
di risoluzione ha efficacia costituiva in quanto determina l’estinzione del rapporto contrattuale, con
lo scioglimento del vincolo che teneva unite le parti. In assenza di una norma sulla prescrizione, la
domanda di risoluzione è soggetta alla prescrizione ordinaria decennale, con decorrenza dalla data
dell’inadempimento.

Risoluzione di diritto.
In determinate ipotesi la risoluzione opera di diritto (ipso iure) e cioè automaticamente, al ricorrere
di determinati presupposti. Tratto comune è il riconoscimento ai privati del potere di realizzare la
risoluzione del contratto senza l’intervento del giudice. Il ricorso all’autorità giudiziaria ha solo
funzione di accertamento dei presupposti della risoluzione: l’azione di risoluzione del contratto
tende dunque ad una sentenza dichiarativa dell’avvenuta risoluzione per inadempimento.
Le ipotesi generali di risoluzione di diritto sono la diffida ad adempiere, la clausola risolutiva
espressa e il termine essenziale.

a) Diffida ad adempiere: in realtà tale figura integra un rimedio di autotutela in senso stretto, in
quanto è attribuito a uno dei contraenti il potere di realizzare unilateralmente la risoluzione del
contratto. Rimanendo una parte inadempiente del contratto, è accordata alla controparte il diritto
potestativo di realizzare la risoluzione del contratto senza l’intervento del giudice. In particolare è un
atto unilaterale negoziale che la parte non inadempiente indirizza alla controparte con lo scopo di
determinare la risoluzione “ipso iure” del contratto. Deve essere formulato per iscritto e contenere
la intimazione ad adempiere in un congruo termine che non può essere inferiore a 15 giorni salvo
diversa pattuizione o salvo che il contratto preveda diversamente e l’avvertimento che decorso il
termine, il contratto si intenderà risoluto. Decorso il termine senza che il contratto sia adempiuto,
questo è risoluto di diritto (1454). La diffida ad adempiere ha una duplice funzione: da un lato pone
le basi per la successiva risoluzione del contratto allo scadere del termine assegnato, dall'altro vale a
costituire in mora il debitore. Una mera intimazione di adempire in un congruo termine non
accompagnata da un'espressa dichiarazione che il decorso del tempo comporterà la risoluzione del
contratto non vale come diffida ad adempire ma solo come costituzione in mora, con gli effetti
propri di questa. Anche la diffida ad adempiere è esercitabile in presenza di un inadempimento
della controparte di non scarsa importanza (1455).

b) Clausola risolutiva espressa: è un meccanismo di risoluzione che deve essere espressamente


previsto dalle parti: è in facoltà delle stesse convenire che il contratto si risolva nel caso in cui una
determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite (1456). Risponde
all’esigenza di rafforzare l’adempimento di specifiche obbligazioni ovvero l’osservanza di particolari
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modalità di adempimento, verso cui una parte nutre uno specifico interesse. In quanto sono le parti
stesse a valutare il ricorso dell’inadempimento, è presunta l’importanza dell’inadempimento ai sensi
dell’art. 1455.
E’ necessario che la mancata esecuzione della prestazione dovuta sia imputabile al debitore e che
perciò ricorra tecnicamente un “inadempimento”. Se non è imputabile al debitore si è in presenza di
condizione risolutiva negativa (1353). L’inadempimento di per se non determina l’automatica
risoluzione del contratto. E’ la parte beneficiaria a valutare la convenienza o meno della risoluzione
e dunque decidersi se avvalersi o meno di tale clausola: la parte beneficiaria potrebbe anche essere
interessata a ricevere un adempimento tardivo e dunque a non avvalersi della clausola. Perciò la
operatività della clausola risolutiva è rimessa alla iniziativa della parte nel cui favore la clausola
stessa è destinata ad operare. La risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara
all’altra che intende valersi della clausola risolutiva (1456)

c) Termine essenziale: Ricorre tale figura quando il termine di adempimento dell’obbligazione di


una delle parti deve considerarsi essenziale nell’interesse dell’altra (1457) sicché un adempimento
tardivo non procura le utilità perseguite. Ciò può essere esplicitamente pattuito tra le parti o dedursi
implicitamente nel contenuto e dalle circostanze del contratto. Diversamente dalla clausola
risolutiva espressa, la risoluzione opera di diritto e perciò automaticamente con la scadenza del
termine (1457). Se però la parte beneficiaria, nonostante la scadenza del termine essenziale, vuole
egualmente esigere la prestazione, salvo patto o uso contrario, deve darne notizia all’altra parte
entro tre giorni (1457).
Unico presupposto è che l’inadempimento sia imputabile alla parte inadempiente: la legge poi
presume l’importanza dell’inadempimento ai fini della risoluzione del contratto (1455).

Il risarcimento del danno.


L’art. 1453, nell’accordare alla parte non inadempiente i due strumenti di tutela dell’adempimento e
della risoluzione, fa “salvo in ogni caso il risarcimento del danno”.
E’ dunque un rimedio ulteriore accordato, aggiuntivo dei due specifici riconosciuti.
L’entità è diversa a seconda che il risarcimento accompagni l’adempimento coattivo, limitandosi a
reintegrare gli eventuali danni aggiuntivi, o sostituisca l’adempimento procurando l’intero risultato
perseguito con il contratto oltre i danni aggiuntivi. Con riguardo alla risoluzione del contratto,
quando il risarcimento del danno, operando in sostituzione della prestazione originaria, deve
coprire il c.d. interesse positivo, cioè comprensivo sia della “perdita subita” dal contraente che del
“mancato guadagno” in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta. Il ricorso a tale rimedio
deve avvenire nel rispetto del principio di buona fede. Si tende a ritenere che la domanda di
risarcimento del danno possa essere autonomamente proposta ed accolta.

Impossibilità sopravvenuta.
Si è già visto come la impossibilità originaria di una prestazione, comportando un oggetto
impossibile del contratto, è causa di nullità dello stesso (1346)
Se l’impossibilità sopravvenuta della prestazione si verifica per causa imputabile al debitore, la
situazione è assimilata all’inadempimento, sicché la controparte ha diritto a chiedere la risoluzione
del contratto per inadempimento, oltre il risarcimento dei danni (1453).
Se la impossibilità sopravvenuta si verifica per causa non imputabile al debitore, la stessa determina
la estinzione dell’obbligazione (1256). La impossibilità deve essere oggettiva e definitiva e può anche
riferirsi alla impossibilità di utilizzazione della prestazione della controparte, secondo la causa
concreta del contratto; può essere invocata da entrambe le parti.
L’impossibilità può essere di vario modo (parziale, temporanea, ecc).
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Nei contratti con prestazioni corrispettive, il modello di impossibilità sopravvenuta dell’una


prestazione si riverbera sulla vita dell’altra, influenzando il nesso di causalità che tiene unite
entrambe le prestazioni.

a) In presenza di sopravvenuta impossibilità totale della prestazione, si determina la estinzione


dell’obbligazione (1256); e il soggetto che non ha eseguito la prestazione dovuta non è tenuto
neppure all’obbligo di risarcimento del danno. La estinzione di una prestazione comporta anche
l’estinzione dell’altra corrispettiva, perciò la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della
prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione e deve restituire quella che abbia già
ricevuto (1463). Trattasi di una risoluzione di diritto del contratto, perciò senza l’intervento
dell’autorità giudiziaria (eccetto funzione di accertamento).
In presenza di un contratto plurilaterale con comunione di scopo, l’impossibilità della prestazione di
una parte non importa scioglimento del contratto rispetto alle altre, salvo che la prestazione
mancante debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale.

b) Ricorrendo una sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione, di regola il debitore si


libera dall’obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile (1258):
disposizione applicabile anche in caso di deterioramento o parziale perimento di cosa determinata
(1258,2). L’altra parte ha sia diritto a una riduzione della prestazione o ha anche diritto di recesso
dal contratto quando non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale

c) Nell’ipotesi di impossibilità temporanea della prestazione dovuta, l’obbligazione si estingue se


l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura
dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il
creditore non ha più interesse a conseguirla (1256), in tale caso si deve riconoscere alla controparte
un potere di recesso dal contratto.

d) Grave problema è quello della impossibilità parziale della prestazione per causa imputabile al
creditore, per non essere la figura regolata dalla legge. Assodato che l'impossibilità della
prestazione comporta dunque la risoluzione del contratto per la inattuabilità del rapporto
contrattuale programmato, c'è da stabilire le conseguenze della imputabilità della impossibilità del
creditore. Si può configurare una risoluzione del contratto per inadempimento contrattuale
imputabile al creditore, con obbligo di risarcimento del danno a suo carico, per essere venuto meno
al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto (1453 ss.)

Sopportazione del rischio.


Trattandosi di contratti a prestazioni corrispettive, c’è l’esigenza di individuare il soggetto che, in
definitiva, risente delle conseguenze della impossibilità della prestazione: c’è cioè da stabilire su
quale patrimonio concretamente gravi la perdita economica della impossibilità sopravvenuta della
prestazione.
a) Principio generale per i contratti obbligatori è che il rischio cade sul debitore la cui prestazione è
divenuta impossibile. Per l’art. 1463, nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per
la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può richiedere la controprestazione e
deve restituire quella che abbia già ricevuto, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito.
In tal guisa la perdita economica per la impossibilità della prestazione si colloca nel patrimonio della
parte debitrice della prestazione divenuta impossibile, in quanto perde il bene dovuto senza avere
diritto alla controprestazione (deve anzi restituire la prestazione eventualmente ricevuta). La

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controparte, è vero che non riceve la prestazione divenuta impossibile, ma nulla perde per tale
evento in quanto è liberata dall’obbligo della controprestazione. In sostanza la peculiarità della
sopportazione del rischio nei contratti obbligatori sta nel fatto che l’impossibilità dell’una
prestazione, determinando la estinzione dell’obbligazione, comporta la liberazione della controparte
dall’obbligo di eseguire la controprestazione. Si pensi al classico esempio dell'incendio dell'immobile
dato in locazione: il locatore a seguito dell'incendio è liberato si dalla obbligazione di far godere
l'immobile, ma perde il bene e non ha diritto ai canoni locativi. Viceversa il locatario è vero che non
consegue il godimento dell'immobile, ma non paga i canoni e quindi non perde nulla. Anche qui
però troviamo i principi relativi alla mora. Se il debitore è in mora, non è liberato dall’obbligazione
ed è tenuto al risarcimento per equivalente della prestazione non eseguita: il debitore può liberarsi
solo provando che l’oggetto della prestazione sarebbe egualmente perito presso il creditore, salvo
che si tratti di cosa illecitamente sottratta (1221). Se ad essere in mora è il creditore, è a suo carico
la impossibilità della prestazione sopravvenuta per causa non imputabile al debitore (1207).

b) Il discorso è più complesso con riferimento ai contatti con effetti reali, per operare il principio del
c.d. consenso traslativo, per cui gli effetti reali si producono in virtù del consenso legittimamente
manifestato. La sopportazione del rischio è organizzata sulla dinamica del trasferimento del diritto:
gli eventi fortuiti che colpiscono il bene dopo il trasferimento del diritto gravano sull’acquirente in
quanto già proprietario. Nei contratti in cui si ha il trasferimento di una cosa determinata oppure
costituiscono o trasferiscono diritti reali, il perimento della cosa per una causa non imputabile
all'alienante non libera l'acquirente dall'obbligo di eseguire la controprestazione ancorché la cosa
non gli sia stata consegnata. Si considera cioè che, con il trasferimento del diritto è realizzato il
risultato traslativo che è il risultato fondamentale del contratto e dunque l'acquirente è tenuto alla
prestazione corrispettiva.

Eccessiva onerosità.
Si è visto come nei contratti ad esecuzione differita e nei contratti di durata la esecuzione è
procrastinata o si svolge nel tempo. Può quindi accadere che, nel correre del tempo, l’equilibrio
economico programmato nel contratto si incrini o addirittura venga meno, mutando l’originario
rapporto di corrispettività: il sinallagma funzionale è distorto e compromesso.
La legge attribuisce al soggetto obbligato ad eseguire una prestazione divenuta eccessivamente
onerosa, il diritto a chiedere la risoluzione del contratto; ma circonda il rimedio di specifici limiti, al
fine di evitare che lo stesso possa costituire un docile strumento di scioglimento del contratto
quando è venuto meno l’interesse originario. Per l’art. 1467 devono ricorrere più presupposti:

a) deve trattarsi di contratti a esecuzione differita ovvero di durata (continuata o periodica) e cioè di
contratti la cui esecuzione è differita o si protrae nel tempo: il divario di valore deve intervenire
quando una prestazione è ancora dovuta. La sproporzione deve dunque intervenire dopo la
conclusione del contratto, ma prima della esecuzione non è ammessa la ripetizione di una eventuale
prestazione onerosa già eseguita.

b) la prestazione di una delle parti deve essere divenuta eccessivamente onerosa rispetto all’altra.
Ossia la prestazione deve essere eccessiva e cioè notevole.

c) la eccessiva onerosità deve connettersi al verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili.

Ricorrendo tali presupposti la parte che deve la prestazione divenuta eccessivamente onerosa può
domandare la risoluzione del contratto (1467). Ciò significa che la risoluzione è giudiziale e la
relativa sentenza ha efficacia costitutiva. La prescrizione (decennale) dell’azione decorre da quando
si è determinata la sperequazione tra le prestazioni.

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La risoluzione ha effetto retroattivo tra le parti, con salvezza delle prestazioni già eseguite ne
contratti di durata. La risoluzione però non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti della
trascrizione e della domanda di risoluzione. In applicazione del principio di conservazione dei
contratti, la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla mediante l’offerta di equa
modifica della condizione del contratto: il contratto è rettificato con riconduzione ad equità dello
stesso (1467).
Il rimedio non è applicabile ai contratti aleatori, rientrando nella stessa causa del contratto la
incertezza dell’esito.

PARTE X
FATTI ILLECITI E RESPONSABILITÀ CIVILE.
Struttura del fatto illecito.

Nozione e funzione.
È giusto iniziare a discutere di tale problematica partendo dalla nozione degli art. 2043 del c.c.
ovvero, qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che
ha commesso il fatto a risarcire il danno, e dell'art. 1218, ovvero il debitore che non esegue
esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che
l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da una
causa a lui non imputabile.

Prima di analizzare, però, l'atto illecito è necessario riportare alcune distinzioni utili a farci
comprendere l'esatta collocazione di tali atti.

In primo luogo riportiamo la distinzione tra gli atti umani vietati e leciti.
• Atti vietati sono posti in essere in violazione di un obbligo di legge arrecando un danno ad un
altro soggetto giuridico. La violazione dell'obbligo fa nascere nel soggetto danneggiato il diritto al
risarcimento del danno.
• Atti leciti sono posti in essere in maniera conforme al diritto.
Ci dobbiamo chiedere ora, che cos'è l'illecito civile, cioè come identificare la generale figura
dell'illecito civile? Possiamo quindi affermare che:
® è illecito civile qualunque fatto che provochi come conseguenza voluta dalla legge il
risarcimento del danno.
Il risarcimento del danno, però, può nascere da fatti o atti diversi, può nascere dalla violazione
dell'art. 2043 c.c. o dell'art. 1218 c.c.
Nel primo caso avremo illecito civile di natura extracontrattuale, mentre nel secondo vi sarà illecito
di natura contrattuale, ma pur sempre di illeciti civili si parla.
Sarà quindi illecito civile extracontrattuale la responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. ,
mentre sarà illecito civile di natura contrattuale l'inadempimento di una obbligazione.

Nell'ambito degli atti vietati distinguiamo ancora due categorie che fanno sorgere i due diversi tipi di
responsabilità.
• atti che danno vita a responsabilità contrattuale: sono quegli atti che violano obblighi
che intercorrono tra soggetti determinati, come gli inadempimenti contrattuali
• atti che danno vita a responsabilità extracontrattuale: sono gli altri atti illeciti (civili);
la responsabilità nasce dalla violazione del generico obbligo di non ledere l'altrui sfera
giuridica.
Nel nostro ordinamento non sono previsti, però, solo gli illeciti civili; ricordiamo, infatti, che alcuni
illeciti civili sono anche rilevanti per altri rami del diritto essendo anche illeciti penali e

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amministrativi.

Occupiamoci della distinzione tra l'illecito penale e quello civile di natura extracontrattuale.
• illecito penale nasce da un comportamento che contrastando con i i fini dello Stato esige
come sanzione una pena criminale. Il comportamento vietato è detto reato ed è espressamente
previsto dalla legge.
• illecito civile nasce dalla violazione del generico obbligo di non ledere l'altrui sfera giuridica.
Conseguenza della violazione sarà l'obbligazione di risarcimento del danno.
Su questa distinzione sono opportune alcune osservazioni;
In primo luogo i fatti che danno luogo ad illecito civile e penale possono anche coincidere;
pensiamo, ad esempio, al caso in cui un sinistro provochi delle lesioni; qui avremo insieme un
illecito penale, e cioè un reato (art. 590 c.p. lesioni colpose), e un illecito civile (art. 2043 c.c.);
Accade, però, che i due illeciti operino su piani diversi, perché con la previsione dell'illecito civile si
vuole ristorare la vittima del danno attraverso il risarcimento, mentre con la previsione di un fatto
come reato, lo Stato vuole tutelarsi contro comportamenti da lui ritenuti contrastanti con i suoi fini.
Il risarcimento è quindi secondario rispetto al fine primario (autotutela dello Stato) che si vuole
ottenere attraverso la minaccia di una pena criminale.

Ancora dobbiamo considerare che mentre un fatto è reato solo se viene espressamente previsto
come tale dalla legge (art. 1 c.p. art. 25 Cost.), l'illecito civile, invece, può essere previsto anche in
modo generico ("qualunque fatto", recita l'art. 2043); di conseguenza ci saranno dei fatti che
possono essere rilevanti solo come illecito civile (es. responsabilità precontrattuale), ma non come
reato, mentre, all'opposto, vi sono dei reati che possono non essere illeciti civili (es. spionaggio).

Fatto e nesso di causalità.


Riportando la definizione dell'articolo 2043, ovvero: qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona
ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno; possiamo
individuare la struttura stessa dell'atto illecito che possiamo individuare in:
• fatto
• colpevolezza
• nesso di casualità
• danno antigiuridico
Cominciamo con il fatto.
Secondo l'art. 2043 "qualunque fatto" che provochi un danno ingiusto è fonte di responsabilità.
Il "fatto" che c'interessa è un comportamento umano; questo può concretarsi in una azione o in una
omissione, la seconda rilevante solo quando esiste uno specifico obbligo giuridico a compiere una
azione poi "omessa", non compiuta.

Passiamo al secondo elemento dell'atto illecito, la colpevolezza.


Ai fini della responsabilità non interessa qualsiasi fatto umano, ma solo quello determinato da dolo
o colpa, un atto. Di conseguenza per esserci responsabilità è necessario che il fatto sia doloso o
colposo e per essere tale deve essere provocato da un comportamento doloso dell'agente (voluto) o
provocato da colpa (per negligenza, imprudenza o imperizia).

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Il fatto doloso o colposo è un atto umano proprio perché rileva l'elemento psicologico, il dolo o la
colpa. Questo elemento psicologico è tradizionalmente denominato "colpevolezza".
Accade, però, che per aversi responsabilità non basta che vi sia la colpevolezza, ma è anche
necessario che il soggetto sia capace di intendere e di volere.
Mancando la capacità di intendere e di volere può anche esservi dolo o colpa (anche un minore di
10 anni può volere o meno un fatto), ma non ci sarà responsabilità dell'agente; questo non vuol dire
che non sarà mai nessun soggetto che risponda dei danni (v. art. 2047 c.c.)

Consideriamo ora il nesso di causalità:


Tra atto e danno deve esserci un legame di causa ed effetto, un nesso di causalità giuridicamente
rilevante.
È noto, infatti, che un atto può causare una serie indefinita di eventi.
Nel caso di un sinistro stradale, il comportamento colposo dell'automobilista può provocare il
danneggiamento di un altro veicolo, ma anche, in seguito a questo, un ingorgo stradale, e , magari, a
causa di questo ingorgo, una autoambulanza che trasportava un malato grave giunge troppo tardi
all'ospedale.
Dal punto di vista del rapporto causa-effetto la morte dell'ammalato è stata provocata dal sinistro
stradale e l'automobilista è responsabile anche di questo decesso.
Tuttavia, non si può estendere la responsabilità a tutti gli eventi possibili.
Ci viene in soccorso l'art. 2056 c.c. che nella valutazione dei danni richiama l'art. 1223 c.c. secondo
cui sono risarcibili i danni che siano conseguenze "immediate e dirette" dell'atto.
Si escludono, quindi, quegli eventi sopravvenuti che possono considerarsi eccezionali. (Così ad
esempio chi ha investito un pedone non risponderà per la sua morte avvenuta in conseguenza del
crollo dell'ala dell'ospedale in cui era stato ricoverato a seguito dell'investimento).

Danno ingiusto.
Il danno, secondo, l'art. 2043 deve essere "ingiusto" .
Per ingiustizia del danno s'intende la sua "antigiuridicità" cioè la sua capacità di provocare la lesione
di un diritto.
Proprio su questo punto, però, si è incentrato il dibattito dottrinario;
da una iniziale posizione che riteneva ingiusto solo il danno che provocava una lesione di diritti
soggettivi assoluti, si è passati, grazie ad una lenta evoluzione dottrinale, ad ammettere l'ingiustizia
del danno anche nel caso di diritti relativi, come i diritti di credito, sino ad arrivare alla posizione che
giunge a ritenere antigiuridico qualsiasi danno provocato ad un interesse giuridicamente tutelato,
dai diritti soggettivi agli interessi legittimi, alla libertà negoziale, all'ambiente, alla tutela
extracontrattuale del credito per i danni provocati da terzi.

Ampliamento della sfera del danno ingiusto.


La sfera del danno ingiusto si presenta attualmente ampliata in diverse direzioni.

a) una prima apertura è avvenuta superando la rigidità della contrapposizione tra diritti assoluti e
diritti relativi. Vi è un interesse del creditore a non vedere turbata da terzi la possibilità del
soddisfacimento della sua pretesa nei confronti del debitore. Ove il terzo renda impossibile
l’adempimento, potrà essere chiamato a rispondere in base all’art. 2043.
E’ stato considerato obbligato a risarcire il danno risentito dal creditore pure chi dolosamente inficia
il debitore a non adempiere (induzione all’inadempimento).

b) E’ ritenuta risarcibile la lesione di aspettative di carattere patrimoniale in campo familiare. Pure in


assenza di diritto all'ottenimento di una sovvenzione economica, si è ritenuta tutelabile, come
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legittima aspettativa, quella alla partecipazione ai risparmi che il congiunto avrebbe accumulato. Il
risarcimento del danno patrimoniale è stato particolarmente riconosciuto anche al convincente
more uxorio, benché costui non abbia un diritto all'assistenza economica da parte del compagno.

c) E’ stato ritenuto risarcibile il danno derivante dalla perdita di chance, quale concreta ed effettiva
occasione favorevole di conseguire un determinato risultato economicamente vantaggioso. Essa
non è considerata mera aspettativa di fatto, ma un’entità patrimoniale rilevante di per se stessa, per
cui la perdita configura un danno concreto e attuale.

d) Abbiamo ancora il diritto all'integrità del patrimonio con cui si è ritenuto che un pittore, risponde
del danno subito da uno dei successivi acquirenti di un quadro per aver autenticato egli sul retro
dello stesso quadro, uno suo quadro risultato falso.

Cause di esclusione dell'antigiuridicità.


Il c.c. disciplina, immediatamente dopo la norma fondamentale dell’art. 2043, la legittima difesa e lo
stato di necessità. Si tratta delle c.d. cause di esclusione dell’antigiuridicità, in quanto, in presenza di
esse, viene meno la possibilità di considerare ingiustificato il danno: non ne viene, quindi, fatto
carico al soggetto che pure, con suo comportamento, abbia determinato la lesione dell’interesse
altrui. Incidono quindi sul requisito formale del reato e impediscono il sorgere del reato stesso
togliendo a questo il carattere antigiuridico e sono: consenso dell’avere diritto (50 c.p.), esercizi di
un diritto o adempimento di un dovere (51 c.p.), legittima difesa (52 c.p.), uso legittimo delle armi
(53 c.p.), stato di necessità (54 c.p.), accesso colposo (55 c.p.)

a) in relazione alla legittima difesa, l’art. 2044 dispone che non è responsabile chi cagioni il danno
per legittima difesa di sé o di altri. L’offesa deve essere ingiusta; il pericolo al diritto proprio o altrui
deve essere attuale; la difesa deve essere proporzionata all’offesa. Il diritto posto in pericolo
dall'altrui ingiustificata aggressione può essere anche di natura patrimoniale.

b) non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o
altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona e il pericolo non risulti causato
volontariamente, né altrimenti evitabile. Ove ricorrano simili condizioni, al danneggiato è dovuta
un’indennità, la cui misura è rimessa all’equo apprezzamento del giudice (2045). Il pericolo deve
essere: attuale, involontario, inevitabile. Il danno dal quale ci si cerca di sottrarre deve presentarsi
come grave e concernere esclusivamente la persona dell’agente o quella di altri. Non si potrà,
insomma, invocare lo stato di necessità per salvaguardare interessi patrimoniali, ma solo interessi
personali, peraltro pure diversi dall’incolumità fisica. L’art. 2045 prevede la corresponsione al
danneggiato di una indennità da parte di chi abbia agito in stato di necessità. Ove si consideri
esclusa l’antigiuridicità del fatto è da di ritenere che qui l’ordinamento ricolleghi il sorgere di
un’obbligazione indennitaria ad un fatto dannoso lecito.

c) L’art. 50 c.p. relativo al consenso dell’avente diritto, dispone la non punibilità di chi abbia leso o
posto in pericolo un diritto col consenso della persona che ne è titolare, purché si tratti di un diritto
disponibile.

d) Non è prevista nel c.c. neppure la causa di giustificazione di cui all’art. 51 c.p., per cui la punibilità
è esclusa ove si sia agito nell’esercizio di un diritto o nell’adempimento di un dovere (imposto da
una norma o dalla pubblica autorità). L’esercizio del diritto acquista sicuramente rilievo anche ai fini
dell’esclusione del sorgere dell’obbligazione risarcitoria, ove pure ciò comporti ad altri un danno
apprezzabile. Si pensi, ad es., all’edificazione di una costruzione che, pur avvenendo del tutto
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legittimamente è attua a causare un pregiudizio ai proprietari di altri immobili (vista), tale


pregiudizio non può, però, essere considerato danno ingiusto.

Imputabilità e colpevolezza.
Ulteriore fattispecie da analizzare è quella relativa alla responsabilità oggettiva. Essa si configura
come una situazione in cui il soggetto può essere responsabile di un illecito, anche se questo non
deriva direttamente da un suo comportamento e non è riconducibile a dolo o colpa del soggetto
stesso.
Tale situazione costituisce una deroga al principio generale della responsabilità secondo cui è
necessaria l'esistenza di un preciso nesso di causalità tra il fatto illecito ed il comportamento
dell'individuo, affinché a questi possano essergliene attribuite le conseguenze giuridiche.
Un'importante e distintiva caratteristica della responsabilità oggettiva si ha in tema di onere della
prova: la responsabilità extracontrattuale (normale) viene meno se l'autore del fatto illecito fornisce
la prova dell'assenza di sua colpa. La responsabilità extracontrattuale oggettiva viene meno solo se
si prova che il danno è dovuto ad un evento fortuito imprevedibile ed inevitabile.

a) Per l’art. 2046, non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità di
intendere o di volere al momento in cui cui lo ha commesso, salvo che lo stato di incapacità derivi
da sua colpa (capacità naturale). Sono così considerati responsabili il minore e lo stesso interdetto
giudiziale, pur legalmente incapaci, ove ritenuti in grado di comprendere la portata dannosa del
proprio comportamento; l’accertamento della incapacità di intendere o di volere dovrà essere
effettuata in concreto dal giudice, il quale si avvarrà di criteri di giudizio tratti dalla comune
esperienza o dalla scienza.
Nel caso che il danno sia stato cagionato da chi sia incapace di intendere o di volere, l’art. 2047
addossa l’obbligo del risarcimento al soggetto tenuto alla sorveglianza dell’incapace, salvo che provi
di non aver potuto impedire il fatto. La responsabilità si presenta come basata su una presunzione di
difetto di sorveglianza. Presunzione superabile solo attraverso la dimostrazione di non aver potuto
impedire il fatto. È una prova non facile dato che si reputa correntemente necessario dimostrare di
avere adeguato la sorveglianza alle concrete condizioni dell'incapace.

Anche se il danno risulta cagionato da un incapace, l’art. 2047, c.c, dispone che, ove il danneggiato
non abbia potuto ottenere il risarcimento da chi è tenuto alla sorveglianza, perché insolvente o
perché è riuscito a fornire la prova liberatoria, il giudice, in considerazione delle condizioni
economiche delle parti, può condannare l’autore del danno ad una equa indennità. Il legislatore
ricorre al concetto di indennità e non risarcimento, come piena reintegrazione dell’interesse leso.
Ove il minore, o l’interdetto in un momento di lucido di intervallo, sia capace di intendere e di
volere, l’art. 2048 prevede una responsabilità dei genitori o del tutore o degli insegnanti,
concorrente con quella di chi abbia cagionato il danno.

b) Per avere risarcimento l’art. 2043 prevede che tale comportamento sia qualificabile come doloso
o colposo.
Dolo: intenzionalità del comportamento, l’evento dannoso è “preveduto e voluto come
conseguenza della propria azione od omissione” (43 c.p.).
Colpa: l’evento dannoso non è voluto e si verifica “ a causa di negligenza o imprudenza e imperizia,
ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (43 c.p.)
Ciascuno, nei propri comportamenti, è tenuto a prestare un’attenzione e uno sforzo sempre
adeguato alla salvaguardia dell’interesse altrui. Ove non lo faccia, l’ordinamento lo considera

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responsabile del danno prodotto. La colpevolezza, la cui ricorrenza deve essere provata, è esclusa
quando si presenta l’ipotesi del caso fortuito o della forza maggiore (intervento di una causa
esterna).

Criteri di propagazione della responsabilità.


All'idea di responsabilità indiretta non si è mancato di ricondurre pure l'ipotesi della responsabilità
per il danno cagionato all'incapace.

a) la prima ipotesi è quella in cui a cagionare il danno sia stato il fatto illecito - di cui, quindi, devono
ricorrere tutti i requisiti, pure soggettivi - di un minore non emancipato (2048). In tal caso
risponderanno anche i genitori o il tutore. Gli insegnati rispondono, poi, del danno cagionato dal
fatto illecito dei loro allievi nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza (2048). Ai fini del sorgere
della responsabilità, occorre che sussista il requisito della convivenza con i genitori (o meglio ancora
dell’esercizio della responsabilità genitoriale). Ai genitori è quindi addossata una corrente
responsabilità sulla base di un rischio da considerare tipicamente connesso, sul piano sociale, alla
loro posizione. Per gli insegnanti di scuole statali “l’amministrazione si surroga al personale
medesimo nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi”, risultando, in
pratica, la responsabilità addossata all’amministrazione scolastica, quale rischio inerente alla sua
organizzazione. E’ consentito liberarsi della propria responsabilità esclusivamente provando di non
avere potuto impedire il fatto (2048). Non solo si richiede di aver preventivamente adottato le
misure idonee ad evitare il fatto, ma la responsabilità si ritiene poter essere affermata sulla base del
mero difetto di educazione, dovendo a tal fine i genitori, dimostrare positivamente di aver impartito
al minore una educazione atta a dimostrare una corretta vita di relazione, correggendo i difetti che il
minore via via riveli. Per evitare ancora la responsabilità per fatto degli allievi occorre non solo che si
tratti di un evento imprevedibile ma che sia anche dimostrata l'assenza di carenze organizzative.
La responsabilità dei genitori concorre con quella del figlio responsabile, secondo la regola della
responsabilità solidale prevista dall’art. 2055. Essa è ritenuta poter concorrere anche con la
responsabilità dell’insegnate, dato che, pure in caso di giustificato affidamento del minore
all’insegnante resta comunque sussistente il relativo fondamento.

b) Carattere oggettivo ha la responsabilità che l’art. 2049 pone a carico dei padroni e committenti,
per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi, nell’esercizio delle incombenze a
cui sono adibiti. Non vi è colpa nella scelta del dipendente. Se il danno provocato è da un
dipendente, nell’esercizio delle incombenze a cui è adibito, è considerato responsabile, assieme al
dipendente stesso, anche il padrone o committente, 2049 cc. La responsabilità di quest’ultimo è
giustificata dall’esigenza di tutelare il danneggiato, consentendogli di ottener risarcimento dal
soggetto che fruisce dei risultati dell’attività lavorativa. E’ necessario che tra preponente e preposto
vi sia un vincolo di subordinazione. Occorre, infine, che vi sia una connessione tra le incombenze e il
danno (nesso di occasionalità necessaria). Il preponente risponderà del danno se l’esercizio delle
incombenze espone il terzo all’ingerenza dannosa del fatto preposto. Così accade, ad es. nel caso in
cui l’impiegato della banca si appropri delle somme versate dal cliente per una sua operazione. Pure
qui, la responsabilità del preponente e del preposto sono concorrenti, secondo la regola della
responsabilità solidale, 2055 c.c.

Regimi peculiari di responsabilità.


Il c.c. oltre a recepire tre ipotesi di risalente tradizione (responsabilità per danno cagionato da cosa
in custodia, per danno cagionato da animali e per rovina di edificio) ne introduce due miranti ad
adeguare il sistema di responsabilità civile a nuove esigenze di tutela più strettamente legale alla più
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recente evoluzione dei rapporti economico-sociali (responsabilità per l’esercizio di attività pericolose
e per la circolazione di veicoli).

a) Responsabilità per danno cagionato da cosa in custodia: l’art. 2051 stabilisce che ciascuno è
responsabile del danno cagionato dalle cose o animali che ha in custodia, salvo che non provi il caso
fortuito. Nella portata della disposizione rientra qualsiasi cosa, mobile o immobile,
indipendentemente dalla sua interseca pericolosità. Il danno deve derivare dalla cosa: se essa
costituisce strumento di un’attività pericolosa, il principio operante è quello del 2050. La casistica è
sconfinata, si pensi alla caduta dei rami, alle strade insidiose, ai pavimenti sconnessi, alle
impalcature che permettono l'intrusione dei ladri, all'incendio sviluppato su un terreno che produca
danni ai fondi vicini, ecc. Condizione del sorgere della responsabilità è che il soggetto ne abbia la
custodia. Questa viene intesa come effettivo potere materiale sulla cosa. Potrà trattarsi quindi non
solo del proprietario, ma anche del possessore o detentore, pure nel caso di potere di fatti
esercitato abusivamente. La prova liberatoria consiste nella dimostrazione del solo caso fortuito,
che viene, in effetti, inteso in senso ampio, ma estremamente rigoroso.

b) Affine è la responsabilità, che grava sul proprietario di un animale o su chi se ne serve per il
tempo in cui lo ha in uso, per i danni cagionati dall’animale, anche se smarrito o fuggito salvo che
venga provato il caso fortuito (2052) vi è prova liberatoria, deve trattarsi di un fattore che presenti
rigorosi caratteri di imprevedibilità, inevitabilità e assoluta eccezionalità.

c) L’art. 2053 disciplina la responsabilità per rovina di edificio o di altra costruzione, addossandola al
proprietario, salvo che costui provi che la rovina stessa non è dovuta a difetti di manutenzione o
vizio di costruzione. La norma si ritinte applicabile anche a chi sia titolare di un diritto di godimento,
che comporta l’obbligo di manutenzione (usufrutto). Il proprietario resta esclusivo responsabile nel
caso che l’immobile sia locato. Per rovina si intende anche la disgregazione di piccole parti
dell’edificio, come sostegni per vasi da fiori, tegole, cornicioni, ecc. La responsabilità per i danni
derivanti da difetto di manutenzione è ricollegabile ad un comportamento colposo, la responsabilità
per i danni derivanti da vizi di costruzione è ricollegabile al carattere oggettivo.

d) Significativa novità introdotte dal c.c. è quella per cui grava su chi svolge un’attività pericolosa.
art. 2050, chi causa ad altri danni nello svolgimento dell’attività pericolosa per sua natura, o per la
natura dei mezzi impiegati, è tenuto al risarcimento, indipendentemente dalla sua colpa, salvo che
non provi di aver adottato, nello svolgere l’attività, tutte le misure consentite dalla tecnica idonee a
evitare ogni pregiudizio a terzi, salvo quelli inevitabili, cd. prova liberatoria. Gli esempi sono
innumerevoli, caccia, organizzazione di gare motociclistiche su circuito aperto al pubblico, attività
edilizia, esecuzione di lavori su strada pubblica, produzione e distribuzione di bombole di gas, ecc.

e) In ordine la circolazione dei veicoli, il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a
risarcire il danno prodotto a persona o a cose dalla relativa circolazione, se non provi di avere fatto
tutto il possibile per evitare il danno (2054). Nel caso di scontro tra veicoli, si presume, fino a prova
contraria, che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a provocare il danno subito dai
singoli veicoli (2054). E’ responsabile in solido con il conducente, se non prova che la circolazione
del veicolo sia avvenuto contro la sua volontà, il proprietario del veicolo o, in sua vece,
l’usufruttuario o l’acquirente con patto di riservato dominio. Le persone in precedenza indicate sono
responsabili dei danni derivanti da vizi di costruzione o difetto di manutenzione (2054). Per veicolo
si intende qualsiasi mezzo circolante, a trazione meccanica o animale, o determinata all’azione
diretta dell’uomo, purché senza guida di rotaie. La circolazione cui si riferisce la norma è quella
aperta al transito pubblico, non quindi la manovra di un veicolo in un area privata.
Quanto ai soggetti danneggiati, ad esito di una lunga discussione sul punto, si è convenuto da parte
della giurisprudenza che il particolare regime di responsabilità previste dal 2054 operi anche nei
confronti delle persone a qualunque titolo trasportate nel veicolo. Il principio della uguale
responsabilità dei conducenti in caso di scontro di veicoli ha carattere solo sussidiario in quanto
destinato ad operare solo esclusivamente quando non sia possibile accertare in concreto in quale
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misura il conducente abbia concorso a cagionare l'evento. La presunzione prevista in caso di scontro
opera anche nel caso in cui uno solo dei veicoli abbia riportato danni. Articolato è il regime della
responsabilità che emerge dalla norma in esame. Carattere oggettivo si ritiene avere la
responsabilità per i vizi di costruzione o per difetto di manutenzione. Nel primo caso con la
responsabilità del conducente e del proprietario concorre la responsabilità del costruttore. L'unica
prova per esentarsi dalla responsabilità può essere la negazione della sussistenza del nesso di
causalità tra vizi di costruzione o difetto di manutenzione e danno. Circa la responsabilità del
conducente si tratterebbe di una responsabilità pur sempre fondata sulla colpa, anche se lievissima.
Per quanto riguardo la prova liberatoria, il conducente deve provare di aver fatto tutto il possibile
per evitare il danno. Quanto alla responsabilità del proprietario in solido con il conducente è diffusa
l'idea che si tratti di una responsabilità oggettiva. La prova liberatoria è fondata sulla opposizione
alla circolazione e quindi sull'adozione di mezzi idonei a impedire l'entrata in circolazione del
veicolo. Il proprietario viene così considerato responsabile ove affidi le chiavi ad un parcheggiante, e
addirittura anche in caso di furto se non siano prese le idonee misure di prevenzione (come la
chiusura a chiave e l'applicazione di congegni di antifurto).
La gravità dei pericoli che la diffusione della circolazione stradale comporta ha introdotto il
legislatore, per garantire un sicuro e pronto ristoro al danneggiato, ad introdurre un regime di
assicurazione obbligatoria della responsabilità civile automobilistica, con l’istituzione anche di un
“Fondo di garanzia per le vittime della strada”.

f) D. Lgs. 206/2005 (cod cons.) Il principio di fondo è quello secondo cui il produttore è responsabile
del danno cagionato da difetti del suo prodotto. Ove il produttore non sia individuato, è
assoggettato alla stessa responsabilità il fornitore. Il prodotto è considerato difettoso quando non
offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere, tenuto conto di tutte le circostanze. Il
danneggiato deve provare il danno, il difetto e la connessione causale tra difetto e danno (120)
mentre il produttore può escludere la propria responsabilità nei casi tassativamente previsti: se egli
non aveva messo in circolazione il prodotto o se il difetto non esisteva nel momento in cui è stato
messo in circolazione, se egli non ha fabbricato il prodotto per la vendita o per ogni altra
distribuzione a titolo oneroso, ecc. Il danno risarcibile è quello cagionato dalla morte, da lesioni
personali, nonché quello relativo alla istruzione o al deterioramento di cose diverse dal prodotto
difettoso, normalmente destinato all’uso o consumo privato e così principalmente utilizzate (123). Il
diritto al risarcimento del danno si prescrive in 3 anni dalla conoscenza del danno del difetto, e
dell'identità del responsabile. Vi è responsabilità in solido in caso di pluralità di responsabili. Il
risarcimento del danno non è dovuto in caso di consapevole esposizione ai rischi derivanti dal
difetto del prodotto.

g) Responsabilità gravante sugli esercenti di impianti nucleari. L’art. 15 L. 1860/1962 prevede che
l’esercente di un impianto nucleare risponda di ogni danno causato da un incidente avvenuto
nell’impianto o ad esso connesso, con la sola eccezione dei danni derivanti da conflitti armati legati
ad eventi bellici e insurrezionali o derivanti da cataclismi naturali di carattere eccezionale. La
responsabilità, trova una limitazione nel suo importo massimo, essendo previsto, poi, in
considerazione dell’eventuale carattere catastrofico dei danni verificatisi, l’intervento dello Stato e di
un fondo internazionale a ciò destinato.

PARTE XI
ALTRE FONTI DI OBBLIGAZIONE.
Atti e fatti diversi da contratto è fatto illecito.

Fonte negoziale ex lege.


Si è anticipato che, per l’art. 1173, le obbligazioni derivano da “contratto, da fatto illecito o da ogni
altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”. Si è fissata una
clausola generale di ammissione di fonti di obbligazioni diverse da contratto o fatto illecito con

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l’unico limite della conformità all’ordinamento giuridico. Dei fatti illeciti e dei contratti c'è ne siamo
già occupati ma ora è necessario concentrare la nostra attenzione sui quegli altri "atti o fatti idoneo
a produrle" .

Il riferimento va principalmente (e quindi non esclusivamente) alle ipotesi disciplinate nel titolo IV
del codice civile (artt. 1987-2042) di cui ci occuperemo in questo capitolo, e che possono essere
divise tra obbligazioni nascenti da atto unilaterale, che trovano, in ogni caso, la loro giustificazione
nella volontà di un soggetto, obbligazioni nascenti dalla legge come la gestione di affari altrui, la
ripetizione dell'indebito e l'ingiustificato arricchimento.

Promesse unilaterali.
Sono negozi giuridici unilaterali con i quali un soggetto assume delle obbligazioni a suo esclusivo
carico.
Il negozio si perfeziona indipendentemente dalla accettazione del promissario. Secondo l'art. 1987,
la promessa unilaterale non produce effetti al di fuori dei casi ammessi dalla legge.
Ma cosa sono le promesse unilaterali?
Non sono dei contratti, perché provengono da una parte sola, non sono degli atti illeciti ma sono
negozi giuridici perfettamente validi solo nei casi previsti dalla legge, come prevede l'art. 1987. Gli
art. 1988 regolano due schemi di promesse unilaterali ovvero la promessa al pubblico e la promessa
di pagamento e la ricognizione del debito.

Promessa al pubblico
1) Promessa al pubblico: È un negozio giuridico unilaterale con il quale un soggetto promette di
eseguire una prestazione a favore di chi si trovi in una determinata situazione o compia una
determinata azione.
Il contenuto della promessa al pubblico può essere il più vario; tipico è il caso di chi promette una
somma di denaro a chi riporterà il cane smarrito.

La promessa la pubblico si distingue dall'offerta al pubblico perché quest'ultima è una proposta


contrattuale, e dall'ipotesi dell'art. 1333 c.c. (contratto con obbligazioni a carico del solo
proponente) perché, secondo la tesi più accreditata, la promessa al pubblico non è un contratto.
Caratteristica della promessa al pubblico è proprio il fatto di essere rivolta "al pubblico" cioè a un
destinatario indeterminato.
Questa caratteristica ha fatto nascere la discussione se possa essere considerata come promessa al
pubblico una dichiarazione rivolta ad un gruppo determinato, come i soci di un circolo. La risposta
può essere positiva solo nel caso in cui si consideri "il pubblico" come un insieme di persone
individuate collettivamente e non nella loro soggettività.
Poiché la promessa non può essere efficace per un tempo indefinito, il secondo comma dell'art.
1989 ne prevede la durata massima di un anno, se il termine non è stato apposto o non risulta dalla
sua natura o scopo.

Prima della scadenza del termine, la promessa può essere revocata solo per giusta causa, ma solo se
la revoca sia anch'essa resa pubblica nella stessa forma della promessa o in una equivalente.
Ovviamente la revoca non avrà effetto se si è già verificata la situazione promessa o si è compiuta
l'azione oggetto della promessa.
Se l'azione richiesta è stata compiuta da più persone separatamente o in comune, la prestazione
promessa, se è unica, spetta a colui che per primo ne ha dato notizia al promittente (art. 1991 c.c.).

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Promessa di pagamento e ricognizione del debito.


• Promessa di pagamento: la promessa di pagamento è un atto unilaterale recettizio
con il quale un soggetto promette di effettuare un pagamento ad un altro soggetto.
• La ricognizione di debito è un atto unilaterale recettizio con il quale un soggetto
riconosce di essere debitore di un altro soggetto.
Per l’art. 1988 la promessa di pagamento o la ricognizione di un debito dispensa colui a favore del
quale è fatta di provare il rapporto fondamentale.
La causa della promessa di pagamento o della ricognizione di debito è solo quella di rafforzare un
vincolo obbligatorio già esistente, dispensando il creditore dalla prova del diritto di credito.
Entrambe le figure si atteggiano come negozi unilaterali recettizi, di regola non titolati, senza cioè
riferimento al titolo causale della obbligazione che si promette di adempiere o di riconoscere (cd.
rapporto fondamentale): l’effetto che la legge connette ai due atti è di dispensare il destinatario
della promessa dall’onere di provare il rapporto fondamentale.
In sostanza l’effetto tipico che consegue a tali due negozi è l’inversione dell’onere della prova: non è
il creditore a dovere provare i fatti posti a fondamento del suo diritto, ma è il debitore promittente a
dovere prova l’esistenza del diritto di credito. Entrambe le figure, valendo come riconoscimento del
diritto del creditore comportano la interruzione della prescrizione.

Obbligazioni ex lege.
Per le obbligazioni che derivano dalla legge la tipicità è in re ipsa e cioè nel fatto in sé di derivare
dalla legge. Nel nostro c.c. si pensi all’obbligazioni di prestare gli alimenti (433) e alle specifiche
obbligazioni di mantenimento che caratterizzano i rapporti familiari (147-148) o all’obbligo del
partecipante alla comunione di contribuire nelle spese necessarie per la conservazione e il
godimento della cosa comune (1104), Altre sono contenute in normative diverse dal c.c., ovvero
ricostruire dalla giurisprudenza: si pensi alla obbligazioni di equa riparazione per mancato rispetto
del termine ragionevole del processo (L. 89/2001).

Gestione di affari.
Si ha gestione di affari altrui quando un soggetto senza esservi obbligato
assume consapevolmente la gestione di uno o più affari di un altro soggetto che non è in grado di
provvedervi.

L'ipotesi dell'art. 2031 riguarda una situazione che può verificarsi nella realtà con un frequenza
maggiore di quanto non si pensi.
Può succedere, infatti, che una persona non possa occuparsi dei suoi affari rischiando di subire un
danno.
Ma può anche accadere che un'altra persona, essendo a conoscenza di questa situazione, decida di
intervenire per impedire il danno. Se la gestione avverrà alle condizioni previste dalla legge, il
dominus dovrà non solo adempiere alle obbligazioni assunte dal gestore, ma dovrà anche
indennizzarlo (e non compensarlo) delle spese che questi ha sostenuto.
Come si vede la gestione di affari altrui è fonte di obbligazioni che non derivano né da contratto né
da atto illecito, ma direttamente dalla legge.

Analizziamo la posizione del dominus:


• l'interessato non deve essere in grado di provvedere ai propri affari
• se l'interessato ha vietato che altri si occupassero della gestione dei propri affari non sarà
tenuto ad adempiere alle obbligazioni che sono nate dalla gestione (art. 2031 comma 2)

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• deve adempiere agli obblighi che scaturiscono dalla gestione e indennizzare il gestore delle
spese non solo quando la gestione gli sia stata utile ma anche quando non gli abbia portato vantaggi
ma sia stata "utilmente iniziata" dal gestore.
Come si vede il dominus deve effettivamente trovarsi in una particolare situazione che gli impedisca
di occuparsi dei propri affari. Questa può verificarsi quando il dominus sia scomparso e non siano
stati ancora presi i provvedimenti previsti dalla legge, o quando sia incapace senza che vi sia chi lo
rappresenti. In merito al divieto, questo è efficace solo se non sia contrario alla legge, all'ordine
pubblico o la buon costume, ma si ritiene che sia anche inefficace quando riguardi una situazione
imprevista.

Analizziamo la posizione del gestore:


• deve essere a conoscenza di gestire un affare altrui. Se credeva di agire per un affare
proprio potrà comunque beneficiare degli effetti della gestione se vi sarà la ratifica del
dominus (art. 2032 c.c.)
• una volta iniziata la gestione è tenuto a portarla a termine sino a quando il dominus
non sia in grado di provvedervi da sé stesso.
• In caso di morte del dominus prima della fine della gestione questa dovrà comunque
essere eseguita sino a quando l'erede non possa provvedere direttamente
• deve avere la capacità di contrattare in merito all'affare di cui si occupa (art. 2029
c.c.)
• è tenuto al risarcimento del danno se ha agito con colpa
• è soggetto alle stesse obbligazioni che deriverebbero dal mandato (art. 2030 c.c.)
Il gestore è quindi equiparato a un mandatario e a lui si applicherà la disciplina prevista dagli articoli
1705- 1707 c.c. È anche possibile, però, che il gestore dichiari di agire per il dominus ponendo in
essere una gestione rappresentativa
che si distingue da quella dove non c'è tale dichiarazione detta gestione non rappresentativa. La
differenza non è senza importanza, perché nel caso di gestione rappresentativa si applicheranno
anche le norme relative alla rappresentanza ex art. 1704 c.c. con la conseguenza che gli effetti del
negozio concluso dal gestore ricadranno immediatamente nelle sfera giuridica del dominus.

Pagamento dell'indebito.
È l'azione diretta alla restituzione di quanto adempiuto da un soggetto ad un altro quando questo
adempimento non era dovuto.

È necessario distinguere due situazioni in cui si sia eseguita questa prestazione non dovuta,
vediamole:
• indebito oggettivo (art. 2033 c.c.) è il caso di chi esegua un pagamento di un debito che non
esiste né per lui né per altri
• indebito soggettivo (art. 2036 c.c.) è il caso un soggetto paghi un debito altrui ritenendosi
debitore in base a un errore scusabile.
Come si vede nell'indebito oggettivo vi è una vera e propria inesistenza del debito, mentre
nell'indebito soggettivo si pone più l'accento sull'errore in cui è caduto chi ha eseguito il pagamento.

In merito all'indebito oggettivo si ritiene, però, che possa rientrare nell'ipotesi dell'art. 2033 anche il
caso di chi paghi il proprio debito a chi non ha diritto al pagamento. Qui il debitore paga un suo
debito esistente a un'altra persona, mentre nel tipico indebito soggettivo il solvens paga un debito
altrui ritenendosi essere lui il debitore in base a un errore scusabile. In definitiva anche nell'indebito
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soggettivo il debito era inesistente, ma solo per il solvens, mentre esisteva per un altro debitore.
Osserviamo che chi ha ricevuto il pagamento sarà tenuto a restituire quanto ha avuto, ma in modo
diverso nei due tipi di indebito.

1) Per l'indebito oggettivo chi ha pagato ha diritto alla restituzione di quanto corrisposto, ma se chi
ha ricevuto il pagamento era in mala fede dovrà anche corrispondere i frutti e gli interessi dal giorno
del pagamento, mentre se era in buona fede gli interessi e i frutti saranno dovuti solo dal giorno
della domanda giudiziale.

2) Per l'indebito soggettivo la ripetizione è dovuta solo se l'errore in cui è caduto il solvens sia
scusabile. Se l'errore è scusabile anche qui vi sarà obbligo di restituzione con i frutti e gli interessi
nelle stesse modalità dell'indebito oggettivo, ma solo se il creditore non si sia privato in buona fede
del titolo e delle garanzie del credito.

Cosa accadrebbe allora quando una ripetizione non è ammessa?

Bisogna considerare che vi è una terza persona che ha tratto vantaggio da questa situazione, e cioè
il vero debitore che non ha eseguito alcun pagamento e si troverebbe con il debito estinto. Non
essendo giuridicamente accettabile tale situazione, opportunamente l'art. 2036 c.c. comma 3
dispone che quando la ripetizione non è ammessa, colui che ha pagato subentra nei diritti del
creditore. Se il solvens ha adempiuto non versando una somma di denaro, ma un altro bene, potrà
comunque ripetere quanto ha dato, ma secondo l'art. 2040 c.c. anche lui sarà obbligato nei
confronti del presunto creditore a rimborsargli le spese e i miglioramenti eventualmente effettuati
secondo le regole del possesso (artt. 1149- 1152 c.c.). In entrambe le ipotesi di indebito il diritto di
credito alla ripetizione è soggetto alla prescrizione ordinaria (decennale).

Arricchimento senza causa.


Si ha ingiustificato arricchimento quando una persona vede aumentare il valore del suo patrimonio
a danno del patrimonio di un altro soggetto senza che vi sia una giusta causa. Nella nozione
abbiamo individuato il concetto di ingiustificato arricchimento come conseguenza di un fatto che
provoca l'impoverimento di una persona e il relativo arricchimento di un'altra. Questa situazione, si
potrà osservare se ho subito un danno e ricevo il relativo risarcimento è chiaro che il mio
patrimonio aumenterà a danno del patrimonio del debitore, ma in questa e in altre ipotesi simili c'è
un motivo che ha provocato lo spostamento patrimoniale, una causa, una giusta causa, nel senso
che è prevista dall'ordinamento giuridico come ragione dello spostamento patrimoniale, derivi esso
da fatto lecito o illecito. Il problema sorge quando vi sia questo arricchimento senza che vi sia una
valida giustificazione giuridica che lo sorregga.

I casi possono essere i più svariati, pensiamo, ad esempio all'ipotesi in cui per errore si esegua la
semina su un terreno agricolo altrui credendolo proprio, ma le ipotesi possono essere le più
svariate, perché il legislatore ha voluto con questa norma proprio considerare tutti i casi in cui vi sia
stato un arricchimento senza causa.

Mancando la giustificazione dello spostamento patrimoniale sorge (come nel pagamento


dell'indebito) il diritto ad agire per la restituzione, ma a quali condizioni?
• arricchimento di un soggetto e la diminuzione patrimoniale a carico di un altro
soggetto
• un unico fatto costitutivo deve aver provocato lo spostamento patrimoniale

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• mancanza di una causa giustificatrice nell'arricchimento dell'uno e nella perdita


patrimoniale subita dall'altro
• inesistenza di altra azione per ottenere l'indennizzo del pregiudizio subito (art. 2042)
L'azione di arricchimento ha quindi carattere sussidiario proprio perché si può esperire solo quando
non sia possibile nessuna altra azione.
Ciò stabilito, chiediamoci a che cosa avrà diritto chi riesce a portare a termine con successo
l'azione .
Secondo l'art. 2041 c.c. a lui spetterà un'indennità per la perdita subita. Questa è calcolata tenendo
conto dei valori di mercato dell'arricchimento e dell'impoverimento e procedendo alla liquidazione
della minore somma tra queste due entità.
Se, invece, l'arricchimento ha per oggetto una cosa determinata sorgerà, invece, l'obbligo della
restituzione, sempre che sia ancora esistente al tempo della domanda.
Chiudiamo l'argomento osservando che questa azione è esperibile sempre in seguito ad attività
lecita, è ciò lo capiamo anche dal fatto che si prevede una indennità e non un risarcimento;
osserviamo, ancora, che nonostante si parli di "danno" nella sua liquidazione indennitaria non deve
essere calcolato il lucro cessante.

PARTE XII
SUCCESSIONI PER CAUSA DI MORTE.

Concetto di successione.
Per successione si è soliti intendere quel fenomeno giuridico consistente nell’avvicendamento di un
soggetto ad un altro in una situazione giuridica soggettiva o passiva. Nella successione per causa di
morte (mortis causa), in particolare, il fenomeno successorio trova giustificazione nella morte di un
soggetto e consiste nel trasferimento dei diritti del defunto (de cuius) ad altri soggetti, individuati
dal de cuius stesso o, in mancanza, dal legislatore.
Ma che cosa viene trasferito agli eredi? È possibile per il de cuius lasciare sue sostanze a persone
diverse dai suoi familiari? Ed ancora, è possibile trasferire solo alcuni diritti e non tutto il
patrimonio?
Rispondendo all'ultima domanda è prevista una successione a titolo universale e a titolo particolare.
• successione a titolo universale: si verifica quando l'erede acquista tutti diritti ed
obblighi del defunto o subentra in una quota degli stessi.
• successione a titolo particolare: quando il successore (legatario) succede in singoli
specifici rapporti giuridici. Vi sarà quindi un legatario istituito in un testamento.
Per quanto riguarda i soggetti, nell'ambito della successione a titolo universale distinguiamo:
• La successione legittima. Si applica quando manca un testamento o quando questo abbia
disposto solo parzialmente del patrimonio del de cuius.
• La successione testamentaria in questo caso il de cuius ha già stabilito a chi saranno trasferiti
i suoi rapporti giuridici redigendo un apposito atto, il testamento.
Abbiamo poi la successione dei legittimari.
Si verifica in maniera del tutto particolare in presenza di un testamento.
Con il testamento il de cuius non può escludere dalla successione alcuni dei suoi parenti più vicini,
ma, d'altro canto, nemmeno gli si può togliere il diritto di disporre del suo patrimonio dopo la sua
morte. Per questo motivo al testatore è lasciato comunque il diritto di disporre del suo patrimonio,
ma tale diritto non può spingersi fino a ledere completamente le posizioni dei suoi parenti più
stretti; vi sono allora alcuni soggetti, i legittimari, ai quali spetta in ogni caso una quota dell' eredità,
o una parte dei beni ereditari, anche se il de cuius con un testamento abbia diversamente stabilito.

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Veniamo ora altro problema relativa all'oggetto della successione: che cosa viene trasferito agli
eredi?

È intuitivo che certi diritti non possono essere trasferiti agli eredi; non sono, infatti, trasferiti i diritti "
personalissimi " che sono strettamente legati all'individualità della persona.

Si estinguono, quindi, con la morte il diritti personali, mentre si trasmettono, invece, i diritti di
natura patrimoniale proprio perché possono essere attribuiti anche ad altre persone. Anche in
quest'ultimo caso, tuttavia, vi sono alcuni diritti patrimoniali che si estinguono con la morte, o
perché, per loro natura, non possono essere trasmessi ad altre persone o perché il rapporto è
intuitu personae. Non si trasmettono, quindi, i diritti e gli obblighi scaturenti da un contratto di
mandato, contratto intuitu personae; non si trasmettono i diritti di uso, abitazione e usufrutto.

Patti successori: (art. 458 c.c.)


Sono le convenzioni stipulate tra due o più soggetti con cui si dispone della propria successione, o i
patti con cui un futuro erede o legatario dispone dei diritti che gli possono spettare su una
successione non ancora aperta, o i patti rinunzia alla successione. Come si vede dalla nozione per
patti successori possiamo indicare genericamente tutte quelle convenzioni in base alle quali si
dispone di diritti derivanti da future successioni; avendo chiarito questo concetto, ci chiediamo se
sia possibile disporre in qualche modo dei diritti relativi ad una futura successione, se, in altre
parole, sono ammissibili i patti successori.

Potremmo pensare, infatti, che se prima della morte il futuro chiamato all'eredità non ha alcun
diritto sul patrimonio del defunto, nulla gli vieterebbe di stipulare un accordo con lui quando era
ancora in vita.

A guardare bene, però, una tale situazione creerebbe non pochi problemi, sia perché si tratterebbe
di accordi che diverrebbero efficaci dopo la morte di uno dei contraenti, sia perché il de cuius
perderebbe quella libertà di testare che la legge riconosce ad ognuno sino al momento della morte.

per questi motivi l'articolo 458 del codice civile stabilisce la nullità dei patti successori

I patti successori possono essere di tre categorie:


• Patti istitutivi quando per contratto ci si impegna a disporre del proprio patrimonio
dopo la morte a favore di una determinata persona (esempio: mi accordo con Tizio a
lasciargli la mia eredità)
• Patti dispositivi quando si dispone di diritti che possono pervenire al soggetto da una
futura successione (esempio: mi accordo con Tizio a vendergli l'eredità che mi perverrà
quando sarà morta mia nonna)
• Patti rinunciativi quando si rinuncia a successioni non ancora aperte (esempio: mi
accordo con Tizio a rinunciare alla eredità di mia nonna prima ancora che essa sia morta).
Deroga al divieto dei patti successori si mostra il patto di famiglia con cui l'imprenditore trasferisce,
in tutto o in parte, l'azienda, oppure il titolare di partecipazioni societarie, trasferisce del tutto o in
parte, le proprie quote ad uno o più discendenti. A pena di nullità il contratto deve essere concluso
per atto pubblico. Le parti contrattuali devono essere: l'imprenditore o il titolare di quote sociali,
uno o più discendenti dell'imprenditore e il coniuge dell'imprenditore e tutti coloro che sarebbero
legittimari al momento in cui è stato stipulato il patto.

Si tratta quindi di un contratto plurilaterale, volto a provocare un consenso completo con tutti i
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futuri eredi dell'imprenditore ( o del titolare di quote sociali).


Dobbiamo, però, considerare, che non sarebbe giusto un patto di famiglia, che desse tutto ad alcuni
figli dell'imprenditore, e praticamente niente agli altri potenziali eredi e legittimari, ed è per questo
motivo, che l'imprenditore nello stipulare un tal patto, deve salvaguardare anche le posizioni di
questi ultimi;
il coniuge e i futuri legittimari, infatti, se non vi hanno rinunziato, devono ricevere dagli assegnatari
(cioè i figli che hanno ricevuto l'azienda), una somma di denaro (o dei beni in natura) che
corrisponda alle quote che a loro spetterebbero ex art. 536 e ss. c.c., cioè le quote che gli
spetterebbero in quanto legittimari.
Questi beni sono loro assegnati come quota di legittima, cioè come quella quota che a loro
spetterebbe come legittimari, e ciò per tacitare da subito possibili future contestazioni, tanto che
una volta stipulato il contratto, le assegnazioni ricevute non possono essere oggetto di collazione o
riduzione.

Andiamo ora a verificare dal punto di vista della validità, cosa accade se non si seguono le
prescrizioni cui ci siamo riferiti

Sappiamo della nullità dell'atto se non è stipulato per atto pubblico, ma potrebbe accadere che
all'atto stesso non partecipino tutti coloro che ne hanno diritto ex art. 768 quater; vediamo le
conseguenze. In caso di mancata partecipazione alla stipula del contratto del coniuge e\o dei
legittimari, se gli assegnatari non liquidano loro le somme che gli spettano il patto è annullabile
entro un anno dall'apertura della successione. In caso di vizi del consenso è possibile chiedere
l'annullamento del patto entro un anno dalla sua stipula. Ricordiamo, infine, che il patto può essere
sciolto o modificato dagli stessi che l'hanno stipulato, o mediante un nuovo contratto, o con un
recesso, solo, però, se previsto nel patto e certificato da un notaio (art. 768 septies c.c.). Le
eventuali controversie che scaturiscono dal patto, non possono essere decise dal tribunale, ma da
organismi di conciliazione (art. 768 octies c.c.). Questo perché le cause ereditarie durano così tanto
tempo che spesso gli stessi eredi che le avevano instaurare muoiono prima della sentenza.
Affidando il procedimento agli organi di conciliazione si tenta a rendere più rapida la tutela.

A) Apertura della successione

Vocazione e delazione.
Secondo l'articolo 456 del codice civile " la successione si apre al momento della morte, nel luogo
dell'ultimo domicilio del defunto ".
Come si vede un evento giuridico scaturisce, o meglio è contemporaneo, ad un evento naturale: la
morte. L’esatta determinazione del luogo di apertura della successione vale ad identificare anche
l’autorità giudiziaria competente ad emanare i più rilevanti provvedimenti relativi alla vicenda
successoria. “Apertura” si riferisce alla possibilità che nuovi soggetti si sostituiscano al defunto
subentrando nei suoi rapporti giuridici. Aperta la successione, la principale esigenza è quella
concernente la identificazione di quali siano i successibili del de cuius. La successione si apre in base
ad un titolo che può consistere nel testamento oppure nella legge. Abbiamo, quindi, il concetto
giuridico di " vocazione " che indica proprio il titolo in base al quale deve avvenire la successione, il
testamento o la legge.
Si suole distinguere la c.d. vocazione, che consiste nella individuazione in astratta, in base ai criteri
del 457, di colui che dovrà succedere, dalla c.d. delazione che costituisce la messa a disposizione del
patrimonio del defunto ai chiamati all'eredita.

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Capacità.
L'art. 462 dichiara capaci di succedere tutti coloro che sono nati o concepiti al tempo dell’apertura
della successione. L’art. 462, c.3. specifica che possono ricevere per testamento anche i figli di una
determinata persona vivente al tempo della morte del testatore, benché ancora non concepiti. La
capacità di succedere consiste nell’idoneità del soggetto ad acquistare le situazioni soggettive che in
precedenza rientravano nella sfera giuridica del de cuius. In quanto tale, essa deve su istanza dei
soggetti interessati ricondursi al più ampio concetto di capacità giuridica e non a quello di capacità
di agire.
L’accettazione dell’eredità è un negozio giuridico e presuppone la capacità di agire dell’autore.
Pertanto, se una eredità viene lasciata ad un soggetto legalmente incapace di agire, questi sarà
capace di succedere, ma incapace di accettare l’eredità, se non a mezzo del suo legale
rappresentante e nelle forme richieste.

Indegnità.
È la situazione di chi avendo compiuto gravi atti contro il de cuius quando questi era in vita è escluso
dalla successione. L'indegnità non è una forma di incapacità in quando l'indegno può acquistare
l'eredità, ma il suo acquisto può essere dichiarato inefficace a seguito di un provvedimento disposto
dall'autorità giudiziaria su istanza dei soggetti interessati. Cause di indegnità possono essere:
omicidio o tentato omicidio commesso contro il potenziale de cuius, calunnie, attentato alla volontà
di testare, soppressione-alterazione-falsificazione del testamento.
L’art. 464 impone all'indegno l’obbligo di restituire i frutti che siano pervenuti dopo l’apertura della
successione.
L’art. 466 legittima il de cuius a riabilitare l’indegno espressamente con atto pubblico o con
testamento. La riabilitazione espressa è un vero e proprio negozio giuridico, che ha la funzione di
rimuovere le conseguenze giuridiche derivanti dalla indegnità. E’ un atto personale, irrevocabile e
formale. L’art. 466, c.2, prevede che è ammesso a succedere se è stato contemplato nel testamento
quando il testatore conosceva la causa dell’indegnità, ma nei limiti della disposizione testamentaria.
Si parla in questo vaso di riabilitazione parziale e tacita.

Posizione del chiamato all’eredità.


Nel periodo che intercorre tra il momento dell’apertura della successione e quello dell’accettazione
dell’eredità, il soggetto in favore del quale l’eredità è devoluta assume la qualifica di chiamato
all’eredità. Lo stato di chiamato all'eredità è transitorio ed è destinato ad esaurirsi o con
l’accettazione o la rinunzia da parte del medesimo, oppure con la prescrizione del diritto di accettare
l’eredità. Per il semplice fatto di essere chiamato all'eredita il soggetto può esercitare le azioni
possessorie a tutela dei beni ereditati. Più in generale il chiamato all'eredita può compiere atti
conservativi, di vigilanza, e di amministrazione temporanea e può farsi autorizzare dall'autorita
giudiziaria a vendere i beni che non si possono conservare o cui la conservazione comporta un grave
dispendio.

B) Acquisto dell’eredità.

Accettazione dell’eredità.
L’art. 459 opera una precisa scelta in ordine alla modalità di acquisto della eredità: l’eredità si
acquista con l’accettazione. Con l’apertura della successione, quindi, il successibile non è ancora
erede, ma è soltanto chiamato all’eredità e, in quanto tale, ha il diritto di accettarla. L’effetto
dell’accettazione viene però fatto retroagire al momento dell’apertura della successione, proprio per
evitare quella soluzione di continuità nella titolarità del patrimonio del de cuius, che rischierebbe di
pregiudicare gravemente l’esigenza di certezza dei rapporti giuridici. L’accettazione può essere:
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• Espressa: negozio giuridico unilaterale non recettizio e assolutamente irrevocabile


(semel heres semper heres.). Si ha quando, in un atto pubblico o in una scrittura privata, il
chiamato all'eredità ha dichiarato di accettarla, oppure ha assunto il titolo di erede. Per la
sua validità è quindi necessaria la forma scritta; di conseguenza sarà nulla una accettazione
verbale.
• Tacita: quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone
necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella
qualità di erede.
Il diritto di accettare l’eredità si prescrive in 10 anni dal giorno all'apertura della successione. Se vi
sono altri chiamati il termine di prescrizione corre anche per loro a meno che non vi sia stato
acquisto dell'eredità poi venuto meno da parte dei primi chiamati.
Può essere impugnata quando è effetto di violenza o di dolo e l’azione si prescrive in 5 anni da
quando è cessata la violenza o è stato scoperto il dolo (482). Essa non può essere impugnata per
errore.
Sotto il profilo pubblicitario, l’art. 2648 prevede la trascrizione degli atti di accettazione di eredità
comportanti acquisto di diritti reali immobiliari o liberazione dei medesimi. Se l'accettazione è
espressa la trascrizione opera in base alla dichiarazione del chiamato, purché contenuta in un atto
pubblico o una scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente. Se
l'accettazione è tacita la trascrizione può essere richiesta sulla base dell'atto che ha comportato
l'accettazione qualora esso risulti da sentenza, da atto pubblico, o da scrittura privata con
sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente.

Accettazione dell'eredità con beneficio di inventario.


È una dichiarazione resa con atto pubblico attraverso cui l'erede dichiara di accettare con beneficio
di inventario evitando, in tal modo, la confusione del suo patrimonio con quello del defunto.

Con l'accettazione pura e semplice l'erede confonde il suo patrimonio con quello del defunto che
divengono, in tal modo, un unico patrimonio; questa conseguenza può non sempre essere
conveniente per l'erede, perché se nel patrimonio del de cuius i debiti superano i crediti, l'erede
sarà tenuto comunque ad onorarli. Per questo motivo potrebbe convenire accettare l'eredità, non
puramente e semplicemente, ma con beneficio di inventario in modo da non dover rispondere con il
proprio patrimonio per i debiti che erano del defunto.

A volte l'accettazione beneficiata non è facoltativa, ma obbligatoria; in particolare devono accettare


con beneficio d'inventario:
• i minori o gli interdetti (art. 471 c.c.);
• i minori emancipati o gli inabilitati (art. 472 c.c.)
• le persone giuridiche, le associazioni, fondazioni e gli enti non riconosciuti, escluse, però, le
società commerciali (art. 473 c.c.).
Con l'accettazione beneficiata l'erede:
• conserva verso l'eredità tutti i diritti e tutti gli obblighi che aveva verso il defunto, tranne
quelli che si sono estinti per effetto della morte; in tal modo l'erede potrà soddisfare i
crediti che aveva nei confronti del defunto
• non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni a lui
pervenuti;in tal modo l'erede eviterà una damnosa ereditas, estinguendo tutti i pesi che
gravano sull'eredità solo con l'attivo dell'asse ereditario senza intaccare il suo patrimonio

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• i creditori dell'eredità e i legatari potranno soddisfarsi sul patrimonio ereditario a


preferenza (e quindi prima) dei creditori dell'erede
Vediamo, ora, la forma richiesta dalla legge per l'accettazione con beneficio d'inventario (art. 484
c.c.).

È necessario l'atto pubblico a pena di nullità; la dichiarazione deve essere ricevuta da un notaio o
dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, e inserita nel registro
delle successioni conservato nello stesso tribunale. La dichiarazione deve essere trascritta, a cura
del cancelliere, presso l'ufficio dei registri immobiliari del luogo in cui si è aperta la successione. La
dichiarazione di accettazione deve essere preceduta o seguita dall'inventario.
L'inventario deve essere fatto entro tre mesi dal giorno dell'apertura della successione o della
notizia della devoluta eredità. Se l'inventario non viene fatto entro i tre mesi, si considera che abbia
accettato puramente e semplicemente.

Con l'accettazione con beneficio d'inventario i poteri sul patrimonio del defunto del chiamato
all'eredità non saranno certamente quelli pieni che gli sarebbero derivati dalla accettazione pura e
semplice; Con l'accettazione beneficiata, infatti, l'erede diviene l'amministratore del patrimonio del
de cuius, patrimonio che amministra nel suo interesse e in quello dei creditori e dei legatari; proprio
perché l'erede amministra pur sempre delle cose sue, l'art. 491 c.c. prevede la sua responsabilità
per l'amministrazione solo per colpa grave. L’erede decade dal beneficio d’inventario se aliena o
sottopone a pegno o ipoteca beni ereditari o omette parte degli stessi nell'inventario e in caso di
inosservanza delle procedure previste dalla legge.

Rinunzia all'eredità.
Il chiamato è libero di rinunziare all’eredità, ovvero di manifestare la volontà di non voler accettare
l’eredità stessa. La rinunzia è un negozio unilaterale non recettizio e può essere compiuto fino a che
il diritto di accettare l’eredità non sia prescritto. E’ un negozio puro, che non tollera, sotto pena di
nullità, l’apposizione di termini o di condizioni, né può essere parziale (520). La rinunzia ha effetto
retroattivo, nel senso che il rinunziante si considera come se non fosse mai stato chiamato (521). La
rinunzia deve essere espressa, non è ammessa rinunzia tacita all’eredità. A differenza
dell’accettazione, la rinunzia può essere revocata (525): tale revoca della rinunzia si realizza
mediante l’accettazione dell’eredità, la quale può intervenire fino a che il diritto di accettare non sia
prescritto e se l’eredità non sia già stata acquistata da altro dei chiamati.
La rinunzia è impugnabile dai creditore, ove gli stessi ricevano danno dalla rinunzia. La rinunzia può
essere impugnata pure dal rinunziante se è effetto di dolo o violenza: l’azione si prescrive in 5 anni
dal giorno in cui è stato scoperto il dolo o è cessata la violenza (526).

Rappresentazione e trasmissione del diritto di accettazione.


La rappresentazione è quell'istituto che fa subentrare i discendenti nel luogo e nel grado del loro
ascendente, in tutti i casi in cui questi non può o non vuole accettare l'eredità o il legato.

L’art. 467 ci dice, in primo luogo, cos’è la rappresentazione. È un istituto abbastanza semplice,
perché si riferisce al caso in cui soggetto, chiamato all’eredità, si trovi nella condizione di non potere
o non volere accettare l’eredità (o il legato). Non vuole perché rinuncia, non può perché, magari, è
indegno o anche è morto prima di aver accettato l’eredità.
Cosa accade, o meglio, cosa dovrebbe accadere in questi casi?
In teoria dovrebbero applicarsi una serie di regole specifiche, come gli articoli 522 e 523, o anche

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l’art. 479, ma invece si applica la regola prevista dall’art. 467: al posto del chiamato che non può o
non vuole accettare l’eredità, subentrano i suoi discendenti, ma non vi subentrano semplicemente,
ma nel luogo e nel grado del loro ascendente, insomma si sostituiscono in tutto e per tutto al loro
ascendente, ne prendono il posto.
Bene, ma allora, ci si potrebbe chiedere, ogni volta che qualcuno non può o non vuole accettare
l’eredità ci sarà sempre e comunque rappresentazione?
No. Bisogna vedere che rapporto di parentela c’era tra la persona che non ha voluto o potuto
accettare l’eredità, e il de cuius.

Per l’art. 468 la rappresentazione opera rispetto al de cuius in due modi, in linea retta e in linea
collaterale.

In altre parole bisognerà vedere se la persona che non ha voluto o potuto accettare l’eredità era un
discendente, anche figlio adottivo, del de cuius (e quindi c’era un rapporto di parentela in linea
retta) o era fratello o sorella del de cuius (quindi parentela in linea collaterale). Solo in questi casi i
discendenti di questi parenti succederanno per rappresentazione, mentre se il rapporto di parentela
con il de cuius era di altro tipo, per es. un ascendente del de cuius che non ha potuto o voluto
accettare l’eredità, non si avrà rappresentazione e si applicheranno le normali regole previste per la
successione. Abbiamo visto che la rappresentazione opera in maniera automatica e ciò è tanto vero
soprattutto della successione legittima. Ma cosa accade nella successione testamentaria?

Secondo l'articolo 467 comma 2 la rappresentazione si applica negli stessi modi della successione
legittima anche nella successione testamentaria.
Il testatore, tuttavia, può aver previsto il caso in cui l'istituito non voglia o non possa accettare
l'eredità o il legato designando la persona da sostituire.
Può accadere, ad esempio, che nel testamento il testatore scriva: " istituisco mio erede Tizio, ma nel
caso in cui rinunzi all'eredità, istituisco mio erede Sempronio ". In queste ipotesi non si avrà
rappresentazione e i figli di Tizio non subentreranno nella posizione del loro genitore.

Separazione dei beni del defunto da quelli dell'erede.


• Nell’analizzare gli effetti dell’accettazione con beneficio d’inventario si è sottolineato come
la stessa produca il risultato di evitare la confusione del patrimonio dell’erede con quello
del defunto: tale circostanza costituisce un indubbio vantaggio non solo per l’erede, che
vede la propria responsabilità limitata intra vires, ma anche per i creditori del de cuius ed i
legatari, cui viene attribuita preferenza sul patrimonio ereditario. Si è evidenziata la
precarietà di tale effetto, che potrebbe venire meno ogniqualvolta l’erede incorra in una
delle cause di decadenza del beneficio d’inventario: ecco perché i creditori del de cuius ed
i legatari, per evitare tale rischio, devono chiedere la separazione dei beni del defunto da
quelli dell’erede.
Tale istituto assicura il soddisfacimento, con i beni del defunto, dei creditori di lui e dei
legatari che l’hanno esercitata, a preferenza dei creditori dell’erede (512). Anche la
separazione, al pari dell’accettazione beneficiata, evita che si produca confusione. Il diritto
alla separazione, che dee essere esercitato entro tre mesi dall’apertura della successione
(516), spetta pure a creditori e legatari che abbiano altre garanzie sui beni del defunto e
non impedisce ai creditori e legatari che l’hanno esercitata di soddisfarsi anche sui beni
propri dell’erede (512).

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Eredità giacente.
Nel diritto romano l’eredità veniva definita giacente nel periodo che intercorreva tra l’apertura della
successione e l’accettazione da parte del chiamato.
La disciplina della eredità giacente si ricollega all’esigenza di assicurare un adeguato grado di tutela
ai beni componenti l’asse ereditario, nella ipotesi in cui non vi sia altro soggetto reputato idoneo alla
loro conservazione. Ai sensi dell’art. 528, quando il chiamato non ha accettato l’eredità e non è nel
possesso dei beni ereditari, il tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, su istanza
delle persona interessata o anche d’ufficio, nomina un curatore dell’eredità. La giacenza dell’eredità
cessa in conseguenza dell’avvenuta accettazione da parte di uno dei chiamati. Il curatore è tenuto a
procedere all’inventario dell’eredità, a esercitarne e promuoverne le ragioni, a rispondere alle
istanze proposte contro la medesima e, più in generale, ad amministrarla (529). Diversa dall’eredità
giacente è la c.d. eredità vacante, situazione che si verifica quando non sussistano più chiamati che
possano accettare l’eredita. In tal caso, l’eredità viene acquistata dallo Stato.

La petizione di eredità e l’erede apparente.

L’azione di petizione di eredità (hereditatis petitio) consente all’erede di chiedere il riconoscimento


della sua qualità ereditaria contro chiunque possiede tutti o parte dei beni ereditari, a titolo di
erede (possessor pro herede) o senza titolo alcuno (possessor pro possessore) allo scopo di
ottenere la restituzione dei beni medesimi (533). Caratteristiche di tale azione sono l’assolutezza e
l’imprescrittibilità. Ciò che distingue l'azione di petizione di eredità, dall'azione di rivendicazione è il
carattere della universalità. L'azione di petizione infatti non è rivolta alla restituzione di un bene
specifico, bensì al riconoscimento della complessiva qualità di erede con lo scopo di conseguire la
restituzione dei beni rientranti nell'asse ereditario.
L'azione può svolgersi nei confronti di qualsiasi avente causa che abbia ricevuto i beni ereditari
dall'erede apparente (l’erede apparente è colui che, pur non essendo erede, si comporta come
erede) o da chi non vantava alcun titolo, ma l'erede può non raggiungere il suo scopo quando
ricorrano queste due condizioni:

1. l'acquisto del terzo dall'erede apparente è avvenuto a titolo oneroso;


2. l'acquisto è avvenuto in buona fede, buone fede che però non è presunta, dovendo essere
provata dal terzo. Diversamente il terzo non sarà in buona fede e non vedrà fatto salvo il suo
acquisto ( art. 534 comma 2).

L'azione è imprescrittibile salvo gli effetti della usucapione.


Sono però fatte salve le regole sulla trascrizione dei beni immobili e beni mobili registrati ( art. 534
comma 3).

Se confrontiamo l'art. 533 e l'art. 534 notiamo che in entrambi i casi si può agire contro un erede
apparente ma le figure di eredi apparenti non sono uguali. Il caso dell'art. 533 fa riferimento
all'erede apparente ovvero al soggetto che pur non essendo erede possiede i beni ereditari
affermandosi erede. Nel caso dell'art. 534 si agisce contro il terzo che ha acquistato l'eredità
dall'erede apparente. Si può vedere come le due norme sono diverse. Nel caso disposto dall'art. 533
il bene è ancora nel possesso dell'erede apparente. Nel secondo caso, ovvero quello disposto
dall'arte. 534 il vero erede non agisce contro l'erede apparente ma contro i suoi aventi causa.

Analizziamo, infine, le differenze tra questa azione e quella prevista dall'art. 533. L'azione è rivolta
contro terzi e non direttamente contro l'erede apparente;
non è possibile, con questa azione, agire semplicemente contro chiunque possegga i beni ereditari,
come nel caso dell'art. 533, ma solo contro chi sia stato avente causa dall'erede apparente o dal
possessore senza titolo alcuno;
in tema di buona fede notiamo che quando l'erede apparente aliena il bene al terzo, la sua

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situazione di buona fede è irrilevante, contando, semmai, la buona fede del terzo. Nel caso dell'art.
533, invece, la buona fede dell'erede apparente deve essere accertata poiché sarà rilevante in
merito alle restituzioni ( art. 535 c.c.) .

Criteri di vocazione.
A) Successione legittima.

Presupposti e fondamento.
È la successione che avviene per volontà di legge quando non vi sia testamento. Se il de cuius è
morto senza lasciare testamento, la successione è interamente regolata da norme di legge ( art. 457
c.c.), norme che tendono a privilegiare le persone che hanno avuto un rapporto di parentela più
stretto con il defunto, rispetto a coloro che hanno un grado di parentela più lontano. Se, poi,
esisteva un rapporto di coniugio anche il coniuge del defunto concorrerà con i parenti nella
successione ereditaria. Abbiamo detto che presupposto della successione legittima è la mancanza di
testamento. Specifichiamo che questo tipo di successione ha luogo anche quando un testamento è
nullo o è stato annullato, quando è privo di disposizioni patrimoniali o quando il testamento
prevede solo legati oppure, infine, quando il testamento dispone solo per alcuni beni.
Insomma la mancanza di una valida o completa volontà del testatore in merito alla individuazione
degli eredi che subentreranno nel suo patrimonio, apre la strada alla successione legittima.
Ciò detto, cominciamo a vedere, chi sono le categorie di successibili, chi sono, cioè, coloro che
hanno titolo alla vocazione legittima.
Hanno diritto a succedere, per vocazione legittima, il coniuge, i discendenti, gli ascendenti, i
collaterali e gli altri parenti (fino al sesto grado), infine lo Stato. Quest'ultimo, però, succede solo
quando non sia possibile la successione degli altri chiamati.

Successione dei parenti.


Secondo l’ordine stabilito dal legislatore, categorie privilegiate nella successione legittima sono
quelle del coniuge e dei figli, i quali ultimi, tra i parenti del de cuius, sono gli unici a non concorrere
con nessun altro parente.
Al padre e alla madre succedono i figli in parti uguali (566).
I figli concorrono solo con il coniuge superstite, se il figlio è uno metà spetta a questi e metà al
coniuge; se i figli sono più di uno 1/3 al coniuge e i 2/3 ai figli (581).
Con riguardo ai figli nati fuori dal matrimonio, unico presupposto per l’applicazione del regime
successorio che li riguarda è che la filiazione sia stata riconosciuta o dichiarata giudizialmente (573).
In mancanza di discendenti, l’eredità si devolve ai genitori o ascendenti del de cuius, i quali
concorrono con il coniuge, nonché con i fratelli e le sorelle (568).
I fratelli concorrono, oltre che con il coniuge, anche con i genitori o con gli ascendenti del de cuius
(570, 571, 582). Se sono gli unici eredi, i fratelli e le sorelle succedono in parti uguali: i fratelli e le
sorelle unilaterali (fratellastri), però, conseguono solo metà della quota che conseguono i germani
(fratelli veri e propri) (570). Quanto alla successione degli altri parenti, in mancanza di discendenti,
coniuge, genitore, ascendenti e fratelli o sorelle, l’eredità si devolve al parente o ai parenti prossimi,
senza distinzione di linea: il più vicino come grado di parentela escludendo i successivi, fino al sesto
grado (572). Dopo succede lo Stato.

Successione del coniuge.


Il coniuge ha sempre diritto di succedere, insieme ai discendenti del de cuius. In mancanza di altri
successibili (discendenti, ascendenti, fratelli o sorelle) al coniuge si devolve la intera eredità (583).
Quanto al concorso del coniuge con gli ascendenti ed i fratelli e sorelle del de cuius, l’art. 582 gli
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riserva 2/3 dell’eredità nel concorso con gli ascendenti, con fratelli e sorelle o con entrambe le
categorie di successibili.
In caso di separazione o divorzio si rimanda al diritto di famiglia.
Nell’ipotesi di dichiarazione di nullità del matrimonio dopo la morte del de cuius, al coniuge
superstite di buona fede spettano gli ordinari diritti successori: egli è escluso però se il de cuius era
legato da valido matrimonio al momento della morte (584).
Al coniuge superstite spettano il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e il
diritto di uso sui mobili che la corredano.

Successione dello Stato.


In mancanza di altri successibili, per l’art. 586, l’eredità è devoluta allo Stato. Presupposto è che
l’eredità sia vacante, ossia che non esistano successori testamentari o successori legittimi o che
nessuno di essi possa accettare l'eredità ad esempio per prescrizione del diritto di accettare. Tale
ipotesi si differenzia dalla eredità giacente in cui l'eredità è priva di un attuale titolare ma è ancora
possibile l'accettazione da parte di uno dei chiamati. Lo stato non può rinunziare all’eredità. Lo Stato
non risponde dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni acquistati.

B) Successione testamentaria.

Il testamento.
Il testamento, quale prototipo dell’atto mortis causa, ha da sempre assunto un ruolo di assoluta
centralità nel quadro delle vicende successorie. Il suo carattere di negozio mortis causa sta ad
indicare che il testamento è destinato a definire l’assetto dei rapporti patrimoniali del de cuius per il
tempo in cui questi avrà cessato di vivere. Il testamento è l’unico strumento negoziale riconosciuto
ai privati per disporre del proprio patrimonio per il periodo successivo alla cessazione della
esistenza. Il nostro ordinamento non tollera alcun tipo di disposizione mortis causa di natura
contrattuale. Il testamento si presenta quale atto di carattere personale volto ad incidere su
situazioni di contenuto patrimoniale. In tema di interpretazione non vi è una disciplina analitica,
l’applicazione dell’articolo 1362 imporrà all’interprete, nel determinare il contenuto del testamento,
di non limitarsi al senso letterale delle parole adoperate dal testatore, cercando di ricostruirne
l’effettiva volontà. È evidente però che a differenza della materia contrattuale il criterio di fondo non
consisterà nella individuazione della comune intenzione delle parti, bensì la ricerca della concreta
volontà del testatore.

Il testamento è definito dall’art. 587 come “atto revocabile con il quale taluno dispone, per il tempo
in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse”.
Si distingue il testamento, quale atto di ultima volontà, dalle disposizioni testamentarie, che
rappresentano ciascuna una manifestazione volitiva del testatore. È vero, infatti, che di solito con il
testamento si dispone del proprio patrimonio dopo la morte, ma è anche vero che nello stesso atto
possono esserci anche altre disposizioni di carattere non patrimoniale, di indole puramente morale (
come, ad es. l'obbligo imposto all'erede di far celebrare una messa in memoria del defunto) oppure
che integrano diversi negozi, sempre di carattere non patrimoniale.
Quanto più sarà articolata la volontà del defunto, più saranno le disposizioni (patrimoniali e non)
contenute nel testamento.
É quindi necessario distinguere il testamento come atto dalle disposizioni in esso contenute, non
perché ci troviamo di fronte ad un atto complesso, perché unica è la dichiarazione di volontà, ma
perché le singole disposizioni sono autonome, e l'invalidità di alcune di esse non sempre travolge
l'intero atto.

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Questa particolarità del testamento dev'essere sempre tenuta presente, perché spesso ci
imbatteremo in articoli del codice che si riferiscono a singole disposizioni e ad altre che si riferiscono
all'intero atto.

E’ negozio personale in quanto tale non risulta suscettibile di essere compiuto mediante
rappresentante, ma anche unipersonale (bisogna rispettare solo la volontà del testatore). E’ nullo il
testamento congiuntivo mediante il quale due o più persone fanno testamento a vantaggio di un
terzo. È nulla anche la disposizione testamentaria fatta sotto condizione di essere a sua volta
avvantaggiato dall'erede o dal legatario. (589). Il testamento è revocabile, può essere revocato in
qualsiasi momento dal testatore. Un simile potere di revoca giustifica il principio di tutela della
libertà testamentaria (587).
Il testamento è negozio formale, è quindi necessario che sia redatto nelle forme previste dal c.c.
Particolare rilievo assume l'art. 587, c.2. secondo cui le disposizioni di carattere non patrimoniale
che la legge consente siano contenute in un testamento, hanno efficacia, se contenute in un atto
che ha la forma del testamento, anche se manchino disposizioni di carattere patrimoniale. Un
ipotesi di disposizione dal carattere non patrimoniale è il riconoscimento del figlio nato fuori dal
matrimonio.

Istituzione di erede e legato.


La institutio ex re certa: Si è già accennato alla distinzione tra successione a titolo universale e
successione a titolo particolare. Prevede l’art. 588, che le disposizioni testamentarie, qualunque sia
l’espressione utilizzata dal testatore, sono a titolo universale e attribuiscono la qualifica di erede, se
comprendo l’universalità o una quota dei beni del testatore; le altre disposizioni sono a titolo
particolare e attribuiscono la qualità di legatario. La differenziazione dei concetti di eredità e legato
è fondamentale.
Innanzitutto mentre l'eredità si acquista con l'accettazione, il legato si acquista senza bisogno di
accettazione, salvo la facoltà di rinunziare. Inoltre mentre il possesso continua nell'erede fino al
momento dell'apertura alla successione, il legatario deve domandare all'onerato il possesso della
cosa legata. Ancora mentre l'erede risponde dei debiti ereditati, il legato non risponde dei debiti
ereditari ed è tenuto all'adempimento del legato e di ogni altro onere a lui imposto solo nei limiti di
valore di quanto ricevuto.
Si ha instituito ex re certa, ovvero istitutizione di erede per una data cosa, quando il testatore
attribuisce all'erede non una quota dell'intero patrimonio ereditario, ma una o più cose
determinate. In questo caso non si ha legato ma una vera istituzione di erede se il testatore ha
inteso i beni assegnati come rappresentativi di una quota o dell'intera eredità. (Es. lascio tutti i miei
beni mobili al mio primo figlio e tutti i miei beni immobili al mio secondo figlio).

Legati (tipologia e disciplina)


È una disposizione testamentaria a titolo particolare in base alla quale ad un soggetto succede in
uno o più rapporti determinati.

Il legato è istituto tipico della successione testamentaria e non trova riscontro nella successione
legittima; pur essendo nominato nel testamento, però, il legatario non diviene erede del defunto e
non risponde dei debiti che derivano dal legato ed è tenuto all'adempimento del legato e di ogni
altro onere nei limiti di valore di quanto ricevuto ( art. 671 c.c.); in altre parole il legatario è un
soggetto che è stato beneficiato dal testatore, una persona che dovrebbe ricevere vantaggio dalla
attribuzione ricevuta, cosa che non sempre accade per l'erede.
Proprio perché il legato di solito si risolve in un vantaggio, non è previsto che debba essere
accettato, come invece accade per l'eredità, ma è fatta salva, però, la facoltà di rinunciare (art. 649
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c.c.).
Il legato è quindi un atto di liberalità che il testatore ha voluto fate nei confronti del legatario, anche
se questa caratteristica può a volte non verificarsi, come nel caso in cui il testatore imponga un
onere al legatario pari al valore del legato.

Il testatore ha quindi deciso di favorire una o più persone ( fisiche o giuridiche) con il legato, ma chi
dovrà eseguire la prestazione oggetto del legato?

Ci risponde l'art. 662 c.c. che la pone a carico degli eredi, se il testatore non ha disposto nulla in
proposito; ma il testatore può aver indicato chiaramente tutti gli eredi o uno o più legatari
(sublegato) come obbligati, o anche un solo erede ( art. 663 c.c.). In quest'ultimo caso l'erede
indicato sarà il solo a dover adempiere, mentre negli altri casi l'obbligo grava in proporzione della
rispettiva quota di eredità o di legato, se il testatore non ha stabilito diversamente. I soggetti
incaricati di adempiere sono anche chiamati "onerati", mentre il legatario è detto "onorato".
L'acquisto del legato avviene ipso iure senza che sia necessaria accettazione. L'accettazione non è
quindi necessaria, ma è pur sempre possibile rinunciare, solo che per la rinuncia non è previsto
alcun termine; per questo motivo l'art. 650 c.c. permette di agire innanzi alla autorità giudiziaria
affinché questa fissi un termine al legatario per la rinuncia. La particolarità di questa specie di actio
interrogatoria sta nel fatto che se il legatario lascia trascorrere il termine senza che abbia espresso
alcuna dichiarazione, la conseguenza non sarà la rinunzia implicita, ma, al contrario, la perdita della
facoltà di rinunziare.
Il legatario, inoltre, non potrà più rinunziare quando abbia esercitato il diritto oggetto del legato.
La rinunzia, a differenza della rinunzia dell'eredità, è un negozio abdicativo unilaterale, proprio
perché si perde un diritto di cui si è già titolare.

Ma cosa può avere ad oggetto il legato?

Si ne distinguono in merito all'oggetto due fondamentali tipi:


• legato di specie: quando ha ad oggetto la proprietà o altro diritto reale su un bene o su una
quota di bene determinato appartenente al testatore; il diritto si trasmette al legatario al
momento della morte del testatore e il possesso del bene può essere domandato all'onerato
anche se ne sia stato dispensato dal testatore;
• legato di quantità: è valido il legato di una cosa individuata solo nel genere; in tal caso
l'onerato dovrà fornire al legatario cose di qualità non inferiore alla media; a lui, inoltre,
spetta di eseguire la specificazione, se il testatore non abbia incaricato lo stesso legatario o
un terzo (art. 664 c.c.).
In merito al legato di quantità sono necessarie alcune importanti osservazioni. Può accadere,
infatti, che il testatore abbia incaricato l'onerato di soddisfare il legato di una cosa generica,
senza specificare se questa si trovi o meno nel suo patrimonio. È valido il legato di cosa
determinata solo nel genere ( art. 653 c.c) anche se la cosa non si trovi nel patrimonio del
testatore. Quando il testatore ha lasciato la cosa generica o specifica da prendersi dal proprio
patrimonio, il legato non ha effetto se la cosa non si trova nel patrimonio del testatore al tempo
della sua morte ( art. 654 c.c.);
Ma cosa accade se il testatore ha indicato come oggetto del legato una cosa che appartiene a un
terzo o addirittura all'onerato?
Secondo l'art. 651 il legato è nullo, ma se risulta dal testamento o da altra dichiarazione scritta
che il testatore sapeva che la cosa era di altri, il legato è valido; in tal caso l'onerato sarà
obbligato ad acquistare la proprietà della cosa dal terzo e dovrà trasferirla al legatario. Se però la
cosa legata pur appartenendo ad altri al tempo stesso testamento, si trova nella proprietà del
testatore al momento della sua morte il legato è valido.

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Oltre alla fondamentale distinzione che abbiamo appena fatto, il codice civile elenca ancora
numerosi tipi di legato. Esaminiamoli sinteticamente.

Il prelegato, previsto dall'art. 661 c.c., è invece il legato di cui beneficiario sia uno degli eredi o
più coeredi. Questi cumula pertanto le due qualità di coerede onerato e di legatario, in ragione
di due distinte attribuzioni patrimoniali: istituzione di erede ed attribuzione di legato.
Il beneficiato non confonde mai, tuttavia, i due distinti titoli di acquisto; può dunque acquistare
il legato e rinunciare all'eredità.
Il prelegato è considerato legato per l'intero ammontare della successione: esso grava pertanto
su tutta l'eredità e quindi anche sulla quota spettante allo stesso legatario in qualità di erede.

Infine si ha il legato di credito: può avere ad oggetto un credito (e in tal caso il legatario diviene il
nuovo creditore) o la liberazione da un debito ( e di conseguenza il legatario è liberato dal debito
che aveva nei confronti del testatore).

Capacità di ricevere per testamento e capacità di disporre per testamento.


Circa la capacità di ricevere per testamento, nella parte dedicata alla capacità a succedere si è già
evidenziato come il legislatore preveda forme di incapacità relativa di ricevere per testamento (596,
597, 598). In tal ipotesi le disposizioni a favore dell’incapace sono considerate nulle.
Quanto alla capacità di disporre per testamento, tre sono i casi di incapacità di disporre per
testamento (591): la minore età, l’interdizione per infermità di mente e l’incapacità di intendere e di
volere nel momento della reazione del testamento. In tali ipotesi il testamento è annullabile, su
domanda di chiunque ne abbia interesse. L'azione si prescrive in 5 anni dal giorno in cui è stata data
esecuzione alla disposizione testamentaria.

Forma del testamento.


Il testamento è negozio formale (solenne). Nessuno può imporre al testatore una determinata
forma.
La distinzione di fondo è tra testamenti ordinati e testamenti speciali.
• Tra i testamenti ordinari si distingue (601) il testamento olografo, dai testamenti per atto di
notaio. Il testamento olografo è il testamento scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del
testatore (602). Le stesse caratteristiche del testamento olografo costituiscono requisiti di validità
del medesimo: autografia, sottoscrizione e data. Autografia vuol dire che il testamento deve essere
scritto interamente di suo pugno dal testatore. Non sarebbe valido un testamento olografo redatto a
macchina. Quando alla data anch'essa deve essere apposta di pugno dal testatore e deve contenere
l'indicazione del giorno, mese ed anno. Diverse sono le conseguenze in caso di mancanza di uno dei
3 requisiti: se manca l'autografia o la sottoscrizione il testamento è nullo, se manca la data o se la
data non è autografa il testamento è annullabile su istanza di chiunque ne abbia interesse. Tale
azione si prescrive in 5 anni. Il testamento olografo ha il duplice vantaggio della segretezza e della
economicità; esso però presenta una forma precaria, dato che potrebbe mancare chiarezza da parte
del testatore e sia difficile ricostruire la sua volontà e potrebbe essere esposto a rischio di
sottrazione o alterazione. Per ovviare a questo problema il testatore può sempre depositare presso
un notaio il testamento e può ritirarlo in ogni momento (608). I testamenti per atto di notaio
presentano costi, ma forniscono garanzia per il testatore. Il testamento pubblico (603) è ricevuto dal
notaio in presenza di due testimoni. In presenza dei testimoni, il testatore dichiara le sue ultime
volontà, che, a cura del notaio, sono ridotte in iscritto, il notaio dà lettura al testatore del
testamento e da menzione nello stesso testamento di tali formalità. Il notaio da chiarezza alle
disposizioni testamentarie; esso deve indicare la data e il luogo del ricevimento, l’ora della
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sottoscrizione: deve essere sottoscritto, oltre che dal testatore, anche dai testimoni e dal notaio. Il
testamento segreto (604) è scarsamente impiegato. La scheda testamentaria viene letta dal
testatore o da un terzo; se è scritta dal testatore deve essere sottoscritta dal medesimo alla fine
delle disposizioni; se è scritta da altro soggetto, o se scritta con mezzi meccanici, deve portare la
sottoscrizione del testatore anche in ciascun mezzo foglio, unito o separato. La scheda deve essere
sigillata e consegnata al notaio in presenza di due testimoni. L’atto viene sottoscritto dal testatore,
dai testimoni e dal notaio (605). Anche il testamento segreto può essere ritirato in ogni momento da
parte del testatore (608). I testamenti per atto di notaio sono nulli qualora manchi la reazione per
iscritto da parte del notaio, delle dichiarazioni del testatore o la sottoscrizione dell’uno o dell’altro
(606). Per ogni altro difetto di forma il testamento è annullabile.
• Testamenti speciali concernono i presupposti e l’efficacia. In relazione ai presupposti, è il
legislatore che in corrispondenza di particolari situazioni tassativamente prededeterminate
(epidemie, calamita, operazioni belliche) autorizza talune deroghe sotto il profilo formale nella
redazione del testamento. L’efficacia è limitata nel tempo. Così infatti il testamento, redatto in
costanza di epidemie o viaggio in nave perde efficacia tre mesi dopo la cessazione della causa che
ha impedito al testatore di avvalersi delle forme ordinarie (610). Il testamento dei militari perde la
sue efficacia dopo il ritorno del testatore in un luogo dove è possibile far testamento nelle forme
ordinarie.

Pubblicazione.
Il testamento olografo deve essere presentato ad un notaio per la pubblicazione da chiunque ne sia
in possesso, appena giunta la notizia della morte del testatore. Il notaio procede alla pubblicazione
del testamento in presenza di due testimoni, redigendo un apposito verbale nel quale descrive lo
stato del testamento e ne riproduce il contenuto. Se il testamento è stato depositato dal testatore
presso il notaio, la pubblicazione è eseguita dal notaio depositario. Una volta avvenuta la
pubblicazione il testamento ha esecuzione. La pubblicazione è operazione assolutamente necessaria
per portare a conoscenza dei terzi interessati alla successione del testatore le ultime volontà del
medesimo.
Analoga esigenza di pubblicazione del testamento non sussiste nell'ipotesi di testamento pubblico
che è di per se eseguibile: qualunque interessato ne potrà prendere conoscenza una volta che dal
notaio il testamento sia passato dal fascicolo e repertorio speciale degli atti di ultima volontà a
quello generale degli atti notarili.
Il testamento segreto deve essere aperto e pubblicato dal notaio appena gli perviene la notizia della
morte del testatore (621).

Invalidità. Fiducia testamentaria.


Nell'analizzare l'invaliditá è necessario richiamare la distinzione tra testamento e disposizione
testamentaria. In taluni casi il vizio può essere tale da comportare l’invalidità dell’intera scheda
testamentaria, come avviene in caso di difetto di forma, in tal modo il testamento è nullo. Altre
volte non è il testamento nel suo complesso a suscitare il giudizio negativo da parte
dell’ordinamento giuridico, bensì soltanto singole disposizioni testamentarie.
La disposizione testamentaria è annullabile se è effetto di errore, violenza o dolo. Si tratta di
annullabilità assoluta in quanto può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse. L'azione si
prescrive in 5 anni dal giorno in cui si è avuta notizia della violenza, dell'errore o del dolo di cui sia
stato vittima il testatore. È causa di nullità della disposizione testamentaria l’illiceità del motivo
quando risulta dal testamento ed è il solo che ha indotto il testatore a disporre (626); è nulla la
disposizione fatta a favore di persona indicata in modo da non essere determinata (628); è nulla la
disposizione che abbia oggetto non determinato o non determinabile.
La nullità della disposizione testamentaria, da qualunque causa dipenda, non può essere fatta
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valere, da chi conoscendo la causa della nullità dopo la morte del testatore, ha confermato la
disposizione e ne abbia dato esecuzione, art. 590.

Fiducia testamentaria: Nella disciplina del testamento il concetto di fiducia assume una rilevanza
propria per effetto del modo di disporre dell'art.627 c.c., in cui viene previsto il caso in cui il
testatore dispone a favore di un soggetto indicato nel testamento, ma con l'incarico fiduciario di
trasmettere i beni ereditati ad altri, secondo le indicazioni espressamente indicategli. I beni
diventano effettivamente di proprietà dell'erede nominato. La persona dichiarata nel testamento
non è obbligata, e neppure può essere costretta giudizialmente, a rispettare le prescrizione del
testatore. Tuttavia qualora tale soggetto abbia spontaneamente eseguito la disposizione fiduciaria,
trasferendo i beni alla persona voluta dal testatore, non può chiedere la ripetizione di quanto
prestato, salvo che sia un incapace.

Disposizioni condizionali e a termine.


In materia successoria, la disciplina della condizione e del termine subisce significative deviazioni
rispetto a quella contrattuale, dovute alla peculiarità dell’interesse perseguito dal testatore
mediante la formulazione della disposizione testamentaria. Il termine, iniziale o finale, può esser
apposto solo alle disposizioni a titolo particolare, e non a quelle a titolo universale: in omaggio al
principio per cui semel heres semper heres, il termine apposto all’istituzione di erede si considera
non apposto.
Sia le disposizioni a titolo universale che quelle a titolo particolare possono esser sottoposte a
condizione, tanto sospensiva che risolutiva. Il relativo avveramento, secondo quanto già illustrato,
ha effetto retroattivo. Le condizioni impossibile o illecite si considerano non apposte, a meno che
non sia l’unico motivo. Il legislatore detta una regola particolare per l’ipotesi di disposizione
sottoposta a condizione risolutiva: l’autorità giudiziaria può imporre all’erede o al legatario di
prestare idonea garanzia a favore di coloro ai quali l’eredità o il legato dovrebbe devolversi nel caso
che la condizione si avverasse (639). E’ questa la c.d. cautio muciana.

Onere.
L'onore o modus, consiste in un peso posto dal testatore o dal donante a carico del beneficiario
dell'attribuzione gratuita. In cui si ravvisa la differenza con la condizione in quanto l'onere obbliga
ma non sospende l'efficacia della disposizione. Il modus, da non confondere con l'onere, è
qualificato come elemento accidentale del negozio giuridico. L'onore può essere apposto tanto nei
confronti dell'erede quanto al legatario. Qualora l'onore sia illecito o impossibile si considera come
non apposto. Rende però nulla la disposizione se ha costituito il motivo determinante. Per
l'adempimento dell'onere può agire chiunque ne abbia interesse.

Sostituzione ordinarie e sostituzione fedecommissaria.


Con la sostituzione il testatore prevede che, nell’ipotesi in cui il primo chiamato (istituito) non venga
alla successione, la delazione operi nei confronti di altro soggetto predeterminato (c.d. sostituto).
Nel c.c. sono riportate due differenti ipotesi di sostituzione:

a) sostituzione ordinaria (volgare) allorché il testatore sostituisce all’erede istituito altra persona per
il caso in cui il primo non possa o non voglia accettare l’eredità (688). Una volta che l'istituito abbia
rinunziato ad esempio all'eredità, questa si devolverà al sostituto, il quale potrà accettarla al pari di
un vero e proprio chiamato all'eredità. È altresì possibile una sostituzione plurima nella quale sono
sostituite più persone con una sola. (Istituisco erede tizio, e per il caso in cui questo non voglia o

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non possa accettare, gli sostituisco Caio o Sempronio; oppure istituisco eredi Tizio e Taio e qualora
non possano o non vogliano accettare sostituisco loro con Sempronio).

b) sostituzione fedecommissaria: è un istituto con funzione assistenziale. Abbiamo tre protagonisti:


• un genitore, un ascendente o coniuge;
• un interdetto, figlio, discendente o coniuge delle persone di cui sopra;
• persone o enti che si prendono cura dell'interdetto.
Il genitore vorrebbe istituire erede suo figlio interdetto, ma si preoccupa anche che questi sia ben
trattato dall'ente o dalle persone ( da non confondersi con il tutore) che hanno cura di lui.
Per raggiungere efficacemente questo scopo, istituisce erede suo figlio che, con la rappresentanza
legale del tutore, diverrà erede. Stabilisce, però, che alla morte del figlio eredi del suo patrimonio
diverranno gli enti o le persone che hanno avuto cura di lui; in tal modo questi ultimi agiranno nei
confronti dell'interdetto nella maniera migliore possibile, ben sapendo che la violazione degli
obblighi di assistenza farà venir meno la sostituzione.
L'articolo 692 sottopone a rigidi vincoli la sostituzione fedecommissaria al di fuori dei quali questa è
nulla.
• l'istituito può essere solo un interdetto (o un minore che si trovi in condizioni di abituale
infermità mentale tale da far presumere al raggiungimento la maggiore età la sua interdizione) figlio
discendente o coniuge del testatore.
• i sostituiti possono essere solo le persone, la persona, o gli enti che sotto la vigilanza del
tutore hanno avuto cura dell'interdetto istituito
• la sostituzione è inefficace quando sia stata revocata o negata l'interdizione; è inefficace
rispetto le persone o agli enti che hanno violato gli obblighi di assistenza
Particolarmente interessante è la posizione dell'istituito che dovrà restituire i beni alla sua morte.

Secondo l'articolo 693 del codice civile l'istituito ha il godimento e l'amministrazione dei beni che
formano oggetto della sostituzione e può compiere tutte le innovazioni dirette ad una loro migliore
utilizzazione. A lui si applicano, in quanto applicabili, le norme relative all'usufruttuario.
Si è parlato, in conseguenza di ciò, di proprietà temporanea o risolubile, ma altra dottrina preferisce
individuare questo caso come ipotesi di usufrutto o, infine come proprietà gravata da un vincolo
reale di indisponibilità.
Il sostituito (cioè l'ente o la persona che si occupano dell'interdetto), invece, non ha un diritto ma
una semplice aspettativa di diritto che si realizzerà al momento della morte dell'istituito.
Alla morte dell'istituito l'eredità si devolve al sostituito, ma potrebbe accadere che questi muoia
prima dell'interdetto. In tal caso l'istituito acquista la piena disponibilità dei beni ereditari che
passeranno, alla sua morte, ai suoi successori legittimi.

La sostituzione di cui ci stiamo occupando è l'unica ammessa dal codice civile, ed è anche chiamata
"fedecommesso assistenziale" ; ribadiamo che ogni altro tipo di sostituzione che non abbia le
finalità assistenziali che abbiamo visto è nulla.

Diritto di accrescimento.
Qualora venga meno uno dei chiamati, l’istituto dell’accrescimento consente, a determinate
condizioni, l’espansione automatica della quota a lui spettante agli altri successori.
I presupposti sono indicati dall’art. 674: i coeredi devono essere chiamati nello stesso testamento,
nella universalità dei beni e senza determinazione di parti o in parti uguali; uno dei chiamati non
può o non vuole accettare l’eredità; sull’accrescimento prevalgono, nell’ordine, l’eventuale volontà

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contraria del testatore ed il diritto di rappresentazione.


L’accrescimento opera automaticamente, cioè di diritto in costanza di una chiamata congiuntiva e
solidale. La quota spettante al chiamato venuto meno si accresce automaticamente senza ulteriore
accettazione dei coeredi.(676). Si è evitato invece che nel diritto il rappresentazione il rappresentate
succeda al de cuius solo a seguito di un atto di accettazione dell'eredità a lui devoluta.
Nel legato (675) è sufficiente che la chiamata concerna lo stesso oggetto, mentre si tende ad
escludere il requisito dell’unicità del testamento.
Qualora non sussistano i presupposti per l’accrescimento la porzione di eredità dell’erede mancante
si devolve secondo i criteri della successione legittima, mentre la pozione del legatario mancante va
a profitto dell’onerato (677).

Revocazione delle disposizioni testamentarie.


Revocabilità: il testamento è in ogni momento revocabile dal suo autore, il quale non può “in alcun
modo” rinunziare alla suddetta facoltà di revocare o mutare le disposizioni testamentarie, non
avendo effetto qualsiasi clausola o condizione in senso contrario (679). Sono viste varie ipotesi di
revoche.
• Revocazione espressa: 680, si può fare con nuovo testamento o con un atto ricevuto da
notaio in presenza di due testimoni, nel quale il testatore personalmente dichiara di revocare in
tutto o in parte le disposizioni. E’ ammessa la revocazione della revocazione, c.d. reviviscenza.
• Revocazione tacita: ogni testamento posteriore vale ad annullare in questi le disposizioni che
siano con esso incompatibili
• Revocazione presunta: con riferimento al caso di distruzione, lacerazione o cancellazione, in
tutto o in parte, del testamento olografo.
• Revocazione per sopravvenienza di figli: le disposizioni a titolo universale o particolare, fatte
dal testatore in un momento in cui non aveva o ignorava di aver figli o discendenti, sono revocate di
diritto per l’esistenza o la sopravvenienza di un figlio o discendente, benchè postumo, o adottivo,
ovvero per il riconoscimento di un figlio nato fuori dal matrimonio (687).

Esecutore testamentario.
Il testatore può nominare uno o più esecutori testamentari (700), i quali, apertasi la successione e
accettato l’incarico, devono curare che siano esattamente eseguite le disposizioni di ultima volontà
del defunto (703). L'esecutore non è un rappresentante del de cuius. L’ufficio è gratuito, a meno che
il testatore abbia stabilito una retribuzione sull’eredità. Per essere nominato deve avere la capacità
di obbligarsi e può essere un erede o un legatario. La nomina di un esecutore testamentario
rappresenta una garanzia di corretta esecuzione della propria volontà. L'esecutore deve attenersi a
quanto previsto nel testamento. L'esecutore, salva diversa volontà del testatore, deve amministrare
la massa ereditaria prendendo possesso dei beni che ne fanno parte. Il possesso non può durare più
di un anno dall'accettazione. Tale termine può essere prorogato solo una volta dal l'autorità
giudiziaria. Nell'amministrazione l'esecutore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia.
L'alienazione dei beni ereditati deve essere sempre espressamente autorizzata dall'autorità
giudiziaria, sentiti gli eredi. Al termine della gestione l'esecutore è tenuto a rendere conto della sua
attività, e in caso di colpa è tenuto al risarcimento del danno verso gli eredi e i legatari.

Diritti legittimari.

Nozione di legittimario.
Con la disciplina della successione dei legittimari viene apprestata tutela a talune categorie di
soggetti, i cui diritti l’ordinamento intende garantire in sede successoria, in considerazione dello
stretto vincolo familiare che li lega al de cuius. Nel bilanciamento tra l’interesse del soggetto alla
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piena disponibilità dei propri beni e l’interesse dei componenti del nucleo familiare, il legislatore
accorda una spiccata preferenza al secondo, riservando a determinati successibili del defunto
(legittimari) una certa quantità di beni da calcolarsi sul patrimonio complessivo del medesimo.
La quota che spetta ai legittimari viene comunemente denominata legittima o riserva o
indisponibile: il de cuius, cioè non può disporre di tale quota né per testamento né a titolo di
liberalità (in vita). Si parla di successione necessaria e i legittimari sono anche chiamati eredi
necessari. La quota di riserva si contrappone alla cosiddetta quota disponibile, cioè la quota del
patrimonio di cui ciascun soggetto può liberamente disporre per testamento. La quota che spetta al
legittimario non può essergli sottratta e in ciò consiste il principio di intangibilità della legittima. Tale
principio va inteso in senso quantitativo e non qualitativo: al legittimario deve pervenire un certo
quantitativo di beni per un determinato ammontare e al testatore è consentito comporre la sua
quota come meglio crede. Tale principio trova piena applicazione nell’art. 549, che vieta al testatore
di imporre pesi e condizioni sulla quota spettante ai legittimari.
Sono legittimari: il coniuge, i figli, e, in assenza dei figli, gli ascendenti (536). E’ da evidenziare che i
fratelli non fanno parte dei legittimari.
Erede legittimo è colui cui spetta succedere in assenza, totale o parziale, di vocazione testamentaria;
erede legittimario è colui nella successione a favore del quale deve essere comunque ricompreso un
quantitativo di beni almeno pari a quello che l’ordinamento gli riserva con riferimento al patrimonio
complessivo del de cuius.
La tutela del legittimario contrasta con l’interesse del soggetto a disporre liberamente del proprio
patrimonio. Risultano frequenti le proposte di limitare la portata.

Categorie dei legittimari.


Categoria privilegiata è quella dei figli, i quali concorrono solo col coniuge superstite ed escludono
dalla successione nella legittima gli ascendenti. Se il genitore lascia un solo figlio, a questi spetterà
metà del patrimonio; se i figli sono più, loro riservata la quota di 2/3, da dividere in parti uguali tra
tutti i figli (537).
Qualora l'unico figlio concorra con il coniuge superstite, a ciascuno spetta un terzo del patrimonio.
Ove con il coniuge concorra più di un figlio, al coniuge spetta 1/4 del patrimonio ed ai figli la metà
da dividersi i parti uguali. Se mancano i figli il coniuge concorre con gli ascendenti del de cuius e gli
spetta comunque metà del patrimonio, mentre agli ascendenti solo 1/4 compete. In ogni caso, al
coniuge superstite spetta il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui
mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni.
Al coniuge separato, spettano gli stessi diritti successori del coniuge non separato, se la separazione
personale non gli sia stata addebitata (548). Ove la separazione gli sia stata addebitata, ha solo
diritto ad un assegno vitalizio, se al momento dell’apertura della successione godeva degli alimenti a
carico del coniuge defunto. Col divorzio, vengono meno i diritti successori.

Posizione del legittimario.


Apertasi la successione occorre verificare se al legittimario risulti garantito l’acquisto di una quantità
di beni almeno corrispondente alla quota che l’ordinamento gli riserva. Fondamentale è la c.d.
riunione fittizia, operazione aritmetica che permette di determinare l’ammontare della porzione di
patrimonio di cui il defunto poteva disporre, considerati qualità e numero dei legittimari. A tal fine
al relictum (beni appartenenti al defunto al momento dell’apertura della successione), detratti i
debiti, si aggiunge il donatum, ovvero l’insieme dei beni donati dal de cuius quando questi era
ancora in vita. Una volta ottenuto l’ammontare del patrimonio del de cuius si prende in
considerazione la quota effettivamente disponibile e l’eventuale lesione della legittima. La lesione
della legittima può consistere o in una totale esclusione del legittimario dalla successione, o in un
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minor calcolo della quota pervenuta al legittimario. A seconda che il legittimario sia pretermesso (è
il soggetto che è stato completamente escluso dalla successione con un testamento, successione
che è andata a totale vantaggio di altri soggetti) o leso. Il legittimario leso non è da considerare
chiamato all’eredità, ma acquista tale qualità solo per effetto dell’esito vittorioso dell’azione di
riduzione. Il legittimario leso, chiamato all’eredità, può accettare l’eredità a lui devoluta e acquista la
qualità di erede limitatamente a quanto acquistato: l’azione di riduzione, in questo caso, assolve alla
funzione di reintegrare il legittimario leso fino alla concorrenza del valore della legittima.

L'azione di riduzione.
È l'azione concessa al legittimario che ha visto ledere, in tutto o in parte, la sua quota di legittima a
causa delle disposizioni testamentarie o delle donazioni effettuate dal defunto. Con questa azione si
tende ad ottenere la riduzione delle disposizioni testamentarie o delle donazioni allo scopo di
reintegrare la quota di legittima.
Abbiamo visto come si calcola la quota riservata ai legittimari; se da questo calcolo risulta lesa, si
può agire con l'azione di riduzione;
riduzione di cosa?
Delle disposizioni testamentarie (legati compresi), delle donazioni effettuate che, appunto, si
riducono in modo da integrare la quota spettante al legittimario.
L'art. 557 c.c. ci indica chi sono i soggetti che possono proporre l'azione, ovvero i legittimati attivi: i
legittimari lesi in tutto o in parte nella loro quota di legittima, i loro eredi o aventi causa.

Come si vede il diritto alla legittima ( e alla relativa azione) può essere trasmesso per atto tra vivi o
mortis causa ( si parla, infatti, di "eredi o aventi causa").

Il diritto è "irrinunciabile" finché il donante è in vita, ma la rinuncia può avvenire dopo la morte del
donante.
Potrebbe accadere che il de cuius abbia posto in essere delle vendite simulate, per evitare l'azione
di riduzione; in questo caso al legittimario converrà prima dimostrare la simulazione e poi agire in
riduzione.
Vediamo, ora, chi sono i legittimati passivi: eredi, legatari o donatario, coloro, cioè, che sono stati
beneficiari della disposizione lesiva.

Ma come si riducono le disposizioni lesive?


La riduzione delle disposizioni testamentarie avviene proporzionalmente, senza distinguere tra eredi
e legatari.
Tuttavia se il testatore abbia dichiarato che una disposizione deve avere effetto a preferenza delle
altre, questa disposizione non si riduce, se non quando il valore delle altre non sia sufficiente a
integrare la quota riservata ai legittimari. Qualora la riduzione delle disposizioni testamentarie non
sia sufficiente a soddisfare le ragioni del legittimario leso, si riducono le donazioni, cominciando
dall'ultima e risalendo via via alle anteriori.
L'azione di riduzione è soggetta alla prescrizione ordinaria decennale.

Azione di restituzione.
I beneficiari possono restituire spontaneamente i beni al legittimario, ma nel caso in cui ciò non
avvenga, si potrà ancora agire con una nuova azione, l'azione di restituzione ( artt. 561 c.c. e ss.).
Scopo dell'azione di restituzione è quello di far conseguire il pieno possesso dei beni al legittimario,

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ed è esperibile sia contro i beneficiari sia contro gli aventi causa da questi.
Nel caso di restituzione della cosa donata, se la stessa è perita per causa imputabile al donatario o ai
suoi avanti causa, o in caso di insolvenza del donatario, sorgerà un diritto di credito nei confronti del
donatario, ma se questo risulterà insolvente saranno gli eredi e gli altri donatari anteriori a
sopportare le conseguenze di questa insolvenza.
Se i donatari contro i quali è stata pronunziata la riduzione hanno alienato a terzi gli immobili donati
e non sono trascorsi venti anni dalla trascrizione della donazione, il legittimario, premessa
l'escussione dei beni del donatario, può chiedere ai successivi acquirenti, nel modo e nell'ordine in
cui si potrebbe chiederla ai donatari medesimi, la restituzione degli immobili.

L'azione per ottenere la restituzione deve proporsi secondo l'ordine di data delle alienazioni,
cominciando dall'ultima. Contro i terzi acquirenti può anche essere richiesta la restituzione dei beni
mobili, oggetto della donazione, salvi gli effetti del possesso di buona fede.
Il terzo acquirente può liberarsi dall'obbligo di restituire in natura le cose donate pagando
l'equivalente in danaro.

Cautela sociniana. Legato in sostituzione di legittima.


La cautela sociniana è un istituto peculiare della successione testamentaria disciplinato dall'art. 550
cc. Quando il testatore lascia ai legittimari la nuda proprietà e dispone a favore di altri di un
usufrutto o di una rendita, il cui provento eccede quello della disponibile, o quando lascia ai
legittimari una rendita e dispone della nuda proprietà in favore di altri, i legittimari possono
scegliere: o accettano la disposizione del testatore e rinunziano al loro diritto sulla quota legittima;
oppure esercitano il diritto che loro spetta sulla legittima e abbandonano il resto agli altri chiamati.

Altra fattispecie è il legato in sostituzione della legittima. Se al legittimario è lasciato un legato in


sostituzione della legittima, egli può rinunciare al legato e chiedere la legittima. Se preferisce invece
conseguire il legato, perde il diritto di chiedere un supplemento nel caso che il valore del legato sia
inferiore a quello della legittima e non acquista la qualità di erede. Tale disposizione non si applica
laddove il testatore ha espressamente attribuito al legittimario la facoltà di chiedere il supplemento.

Patto di famiglia
L’istituto Del patto di famiglia consiste nel contratto con cui l’imprenditore trasferisce, in tutto o in
parte, l’azienda o le proprie quote, ad uno o più discendenti (articolo 768).
Col nuovo istituto si è inteso consentire una stabile trasmissione dell’azienda delle quote sociali dal
genitore ad uno o più discendenti. Ciò, evidentemente, per assicurare che l’attività economico e
imprenditoriale possa essere continuata dei soggetti dell’imprenditore considera maggiormente
idonei tra i successibili e senza rischi tipica mente derivanti dall’eventuale frammentazione della
titolarità Del compendio aziendale in conseguenza della sua morte. Il contratto è richiesta la forma
dell’atto pubblico sotto pena di nullità, devono partecipare il coniuge e tutti coloro che sarebbero
legittimari, ove in quel momento si aprisse la successione dell’imprenditore.
Chi si è visto assegnare l’azienda deve liquidare gli altri partecipanti al contratto col pagamento di
una somma corrispondente al valore delle quote loro spettanti.
Il contratto è considerato impugnabile per i vizi del consenso, è il termine di un anno dalla sua
conclusione. Inoltre può essere sciolto modificato dalle stesse persone che lo hanno concluso
mediante un diverso contratto con le medesime caratteristiche presupposti ovvero mediante
recesso.
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Comunione e divisione ereditaria.

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Comunione ereditaria.
Si ha comunione dell'eredità quando più persone, per effetto di una vocazione congiuntiva,
acquistano l'eredità. Abbiamo, quindi, la figura del coerede che è titolare "pro quota" dell'asse
ereditario insieme agli altri eredi, si tratta quindi, di titolarità di una quota ideale dei beni ereditari,
e non di una parte determinata di questi. Non partecipa alla comunione ereditaria il legatario.
I coeredi contribuiscono tra loro al pagamento dei debiti e pesi ereditari in proporzione delle
rispettive quote ereditarie, salvo diversa disposizione del testatore. Il legatario è esente dal
pagamento dei debiti ereditari, tuttavia se ha estinto il debito di cui era gravato il fondo legato,
subentra nelle ragioni del creditore contro gli eredi (756). Nel caso in cui un coerede adempia
all’obbligazione in una misura eccedente alla sua quota, egli avrà il diritto di rivalsa nei confronti
degli altri coeredi. Per quanto concerne i crediti del de cuius, questi potranno essere riscossi da un
solo coerede.

La quota ereditaria è un bene alienabile. L’art. 732 stabilisce che il coerede che intende alienare la
propria quota deve notificare la proposta agli altri coeredi, i quali hanno diritto di prelazione (ratio
nella concentrazione dell’eredità in pochi soggetti). Deve trattarsi di atto a titolo oneroso. Il diritto di
prelazione deve essere esercitato entro 2 mesi dalla notificazione, trascorsi i quali l'erede sarà libero
di alienare la sua quota anche ad estranei all'eredità. In caso in cui il coerede abbia alienato la quota
senza notificare l’intenzione di alienare agli altri coeredi, essi hanno diritto di riscattate la quota
dell’acquirente e da ogni altro successivo avente causa, finché dura lo stato di comunione ereditaria.
E’ questo il c.d. retratto successorio, negozio unilaterale recettizio, con efficacia reale, che produce
l’effetto di sostituire il coerede che l’abbia posto in essere nel diritto acquistato dall’estraneo, con
effetto dalla data di conclusione del contratto di alienazione a quest’ultimo. Nel caso in cui più
coeredi intendano acquistare la quota oggetto di prelazione, essa sarà assegnata, in parti uguali, ai
coeredi che intendono acquistare.

I coeredi godono in comunione i beni ereditari, ma questa può sempre essere sciolta per iniziativa
anche di uno solo di loro che non intenda più farne parte con la divisione dell'eredità.

Divisione fatta dal testatore e norme date dal testatore per la divisione.
La situazione di comunione ereditaria si determina automaticamente, per effetto dell’acquisto pro
quota dell’eredità da parte dei chiamati. Una simile forma peculiare di contitolarità dei beni
ereditari non si realizza nell’ipotesi in cui sia stato il testatore stesso ad attribuire direttamente i beni
ai coeredi. Il testatore, ai sensi dell’art. 734, può dividere i suoi beni tra gli eredi: in tal caso, per
effetto dell’accettazione, costoro acquisteranno i beni senza passare per lo stato di comunione
ereditaria. L’istituto, denominato divisione fatta dal testatore, sostituisce la divisio inter liberos.
La divisione fatta dal testatore può anche non comprendere tutti i beni lasciati al tempo della morte
se non risulta una diversa volontà del testatore.

Viene considerata nulla la divisione dalla quale sia escluso qualcuno dei legittimari o degli eredi
istituti (735): è questa la divisione soggettivamente parziale. La dottrina tende però a salvare dalla
nullità, la divisione fatta dal testatore, qualora nell'asse ereditario il testatore abbia lasciato un
quantitativo tale di beni da soddisfare gli esclusi.

Collazione.
È il rimedio previsto dalla legge per aumentare la massa ereditaria grazie al quale i figli, i loro
discendenti, e il coniuge che hanno accettato l’eredità devono restituire alla massa ereditaria tutti i
beni che sono stati loro donati in vita dal defunto, in maniera tale da dividerli con gli altri coeredi.
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Prima ancora di approfondire la dinamica dell'istituto è importante sottolineare una differenza con
una situazione simile che abbiamo già visto parlando della lesione della quota di legittima, ci
riferiamo, cioè alla riunione fittizia della massa ereditaria.
La differenza è sostanziale, anche se di non immediata percezione;
accade, infatti, che nella riunione fittizia è necessario far rientrare nella massa ereditaria i beni che
sono stati donati dal coniuge per determinare la quota disponibile ( art. 556 c.c.).
I beni donati rientrano nella massa ereditaria ma solo per l'ammontare del valore necessario per
reintegrare la quota del legittimario che sia stata lesa dalle donazioni.

Nella collazione, invece, non ci sono legittimari da tutelare, ma una eredità da dividere, ed è
necessario che questa eredità sia completamente divisa comprendendo per intero anche i beni che
vi sono usciti a causa di donazioni.
Mentre è possibile evitare la collazione, non è possibile evitare la riunione fittizia perché questa è
funzionale alla salvaguardia del diritto del legittimario.

Andiamo ora a vedere i tratti essenziali.


• Innanzitutto i soggetti tenuti alla collazione sono: il coniuge superstite e i figli.
• I beneficiari della collazione sono i coeredi.
• La colazione ha oggetto: tutte le donazioni ricevute dal defunto a favore del coniuge
superstite e i figli.
• Sono esclude dalla collazione le donazioni di modico valore a favore del coniuge, le spese di
mantenimento, per malattia ecc. Le spese sostenute dal defunto per il corredo nuziale o per
l'istruzione artistica o professionale quando non eccedono notevolmente la misura ordinaria, le
donazioni fatte dal l'erede ai suoi discendenti o al coniuge.
La collazione è possibile non solo nella successione testamentaria, ma si può avere anche nella
successione legittima, essendo solo necessario che i discendenti o il coniuge siano chiamati per
quota.

La collazione può avvenire in due modalità ovvero in natura o per imputazione.


• Si ha collazione in natura quando si restituisce alla massa lo stesso bene che si è
ricevuto per donazione.
• Si ha collazione per imputazione quando l'erede invece di fornire il bene in natura, si
limita ad imputarne il valore alla propria quota con la conseguenza pertanto, che nella
formazione della porzione a lui spettante, si terrà conto di quanto già abbia ricevuto da de
cuius a titolo di donazione.
Per i beni immobili si possono scegliere entrambe le modalità, mentre per i beni mobili, la collazione
può essere fatta solo per imputazione.

Divisione ereditaria: divisione giudiziale e divisione contrattuale.


Ciascuno dei coeredi ha il diritto di chiedere in ogni momento la divisione ereditaria con cui viene a
cessare lo stato di comunione ereditaria.
La prima operazione, necessaria per procedere alla divisione della massa ereditaria, è la formazione
delle porzioni da assegnare ai coeredi. Si è già rilevato come alla massa dei beni relitti all'apertura
della successione debbano essere aggiunti i beni donati ai discendenti e al coniuge ai quali appunto
è imposta la collazione. Ciascun erede deve imputare alla sua quota le somme di cui era debitore
verso il defunto e quelle di cui era debitore verso i coeredi in dipendenza dei rapporti di comunione.
Per effetto del imputazione dei debiti, la porzione spettante all'erede risulterà diminuita. Una volta
fatti i prelevamenti si provvede alla stima di ciò che residua nella massa ereditaria. Eseguita la stima
si procede alla formazione di tante porzioni quanti siano gli eredi in proporzione delle quote.
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L’assegnazione delle porzioni uguali è fatta tramite estrazione a sorte; per le porzioni diseguali si
procede mediante attribuzione (729). Può verificarsi che tra le quote ereditarie sussistano delle
ineguaglianze. In tale ipotesi chi riceva una porzione maggiore è obbligato a versare un equivalente
in danaro (conguaglio).

La divisione può avvenire in sede giudiziaria o per accordo dei coeredi.


• Quanto alla divisione giudiziale, il ricorso all’autorità giudiziaria per lo scioglimento della
comunione ereditaria dipende dalle circostanze che tra i coeredi non vi sia accordo sui termini della
divisione.
• La divisione contrattuale è il contratto finalizzato allo scioglimento della comunione
ereditaria, mediante l’assegnazione a ciascuno dei condividenti di una porzione di beni di valore pari
alla quota spettante per legge o per testamento. Ad essa devono partecipare tutti i coeredi. Se nella
divisione sono ricompresi beni immobili o diritti reali immobiliari, sarà necessaria la forma ad
substantiam.

Annullabilità e rescindibilitá della divisione ereditaria.


La divisione attuata per accordo è annullabile quando è l’effetto di violenza o di dolo: l’azione di
annullamento si prescrive in cinque anni dal giorno in cui è cessata la violenza o è stato scoperto il
dolo (761). L’errore non è previsto come causa di annullamento della divisione. L’omissione di uno o
più beni dell’eredità non da luogo a nullità della divisione, ma soltanto a un supplemento della
divisione stessa (762).
Il legislatore disciplina poi l'ipotesi della rescindibilitá per lesione della divisione: questa può essere
rescissa quando taluno dei coeredi provi di essere stato leso oltre il quarto (763). La sussistenza
dell’eventuale lesione viene verificata in base alla stima dei beni secondo il loro stato e valore al
tempo della divisione.

PARTE XIV – PUBBLICITA’

CAPITOLO 1 – PUBBLICITA’ IN GENERALE

1. La PUBBLICITA’ è lo strumento che l’ordinamento prevede per rendere CERTI (quindi noti), nei confronti dei
terzi, gli accadimenti giuridici, e consiste nella REGISTRAZIONE di atti e fatti giuridici in PUBBLICI REGISTRI,
allo scopo di procurarne la conoscenza. Dato che nella società si sono sviluppate due opposte tendenze, cioè
quella di riserbo nell’esplicazione della vita personale e l’esigenza di conoscenza dei fatti rilevanti allo
svolgimento delle relazioni sociali, il legislatore talvolta difende la sfera personale contro le intrusioni altrui

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attraverso la protezione della riservatezza, altre volte, invece, garantisce il diritto all’informazione attraverso
meccanismi in grado di assicurare la notorietà: in quest’ultima dimensione si colloca la PUBBLICITA’. Questo
perché, soprattutto nello sviluppo dei traffici giuridici, è tanto importante essere titolari di un diritto quando
fare in modo che la generalità dei consociati, estranea alla trasmissione, modificazione o nascita della
situazione giuridica, ne venga a conoscenza. Se, ad es., tizio acquista una casa, è necessario che i terzi
sappiano che sia diventato proprietario di quella casa, perché possano fare riferimento a lui, e non più al
vecchio proprietario, circa le vicende giuridiche dell’appartamento, altrimenti potrebbe accadere, per es, che
il vecchio proprietario sia chiamato a pagarne le tasse, oppure che venda la casa che non è più sua ecc… Cosa
importante è anche che deve essere interesse di ogni soggetto procurare la conoscenza di tali fatti e che i dati
inerenti siano resi trasparenti e dunque accessibili alla collettività. Quindi, deve operare un sistema di
CERTEZZA DELLE SITUAZIONI SOGGETTIVE E DEI RAPPORTI, perché è interesse generale della collettività che
alcuni fatti siano resi conoscibili.

Effetto fondamentale della pubblicità è la CONOSCENZA LEGALE, nel senso che i fatti resi pubblici sono
considerati conosciuti anche se i registri non sono ispezionati: in questo modo, la pubblicità neutralizza la
buona fede soggettiva (ignoranza di un fatto o una situazione giuridica).

2. La PUBBLICAZIONE dell’atto è un ONERE del soggetto che l’ha compiuto e che, quindi, ha interesse a
richiederla, per conseguire l’effetto della pubblicità, mentre è un OBBLIGO dei soggetti che sono tenuti per
legge alla pubblicazione in ragione della funzione che assolvono (es. i notai, che devono curare la trascrizione
degli atti ricevuti).

Vi sono più tipi di pubblicità in base alla specifica RILEVANZA GIURIDICA di ognuno:

- PUBBLICITA’ NOTIZIA: si ha quando la pubblicità ha il solo scopo di rendere noto il fatto pubblicato, per cui
l’eventuale assenza della notizia non realizza alcun effetto sul fatto reso pubblico (es. pubblicazioni
matrimoniali). Dunque, i fatti oggetto di questo tipo di pubblicità servono solo ad assicurare la loro
conoscibilità legale ma non per questo sono opponibili a terzi (come se per i terzi non fossero mai stati
conclusi).

- PUBBLICITA’ DICHIARATIVA: si ha quando l’inosservanza dell’onere di pubblicità comporta la inopponibilità a


terzi, a meno che non si provi che i terzi ne erano comunque a conoscenza. L’atto in ogni caso resta
comunque valido.

- PUBBLICITA’ COSTITUTIVA: si ha quando la pubblicità assume la veste di formalità essenziale alla perfezione
della fattispecie (es. costituzione di ipoteca o la iscrizione nel registro delle imprese delle società di capitali).
Senza pubblicità, la fattispecie non produce neanche effetti tra le parti, per cui vi sarà inefficacia assoluta
dell’atto.

- PUBBLICITA’ SANANTE: si ha quando la pubblicità svolge una funzione sostitutiva di un elemento mancante
o viziato. Prendiamo ad esempio la trascrizione del contratto nullo: dato che il contratto nullo nasce privo di
effetti, l’azione di nullità è imprescrittibile per cui, dichiarata la nullità del negozio, dovrebbero cadere anche
tutti gli atti da questo dipendenti (per esempio, dichiarata la nullità del titolo di acquisto dell’alienante,
dovrebbe cadere anche il titolo di acquisto dell’acquirente). La pubblicità sanante opera come deroga a
questo principio: se la trascrizione della domanda di nullità viene effettuata entro cinque anni dalla
trascrizione dell’atto impugnato, la sentenza dichiarativa di nullità è opponibile a terzi, anche se di buona
fede e anche se hanno trascritto il proprio titolo di acquisto prima della trascrizione della domanda di nullità
(quindi, nell’esempio riportato, la domanda di nullità prevale sulla trascrizione del titolo di acquisto
dell’acquirente); invece, se la trascrizione della domande di nullità avviene dopo i cinque anni dalla data del
negozio nullo, sarà inopponibile ai terzi, per cui i diritti da loro acquistati non rimarranno pregiudicati.

3. Dato che oggetto della pubblicità sono atti e fatti relativi a soggetti, beni, attività, imprese ecc., operano
più REGISTRI DI PUBBLICITA’:

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- Per quanto riguarda le PERSONE FISICHE, i REGISTRI DI STATO CIVILE sono quelli in cui vengono rese note le
vicende esistenziali della persona fisica, quindi tutti gli atti riguardanti la cittadinanza, la nascita, i matrimoni
e la morte. La pubblicità eseguita è tendenzialmente una pubblicità notizia. Altri registri specifici riguardano
la CAPACITA’ delle persone, come i REGISTRI DELLE TUTELE DEI MINORI E DEGLI INTERDETTI, quelli delle
AMMINISTRAZIONI DI SOSTEGNO e quelli delle CURATELE DEI MONORI EMANCIPATI E DEGLI INABILITATI.

- Per quanto riguarda le PERSONE GIURIDICHE PRIVATE (associazioni, fondazioni e altre istituzioni di carattere
privato), gli atti riguardanti il loro riconoscimento sono iscritti nel REGISTRO DELLE PERSONE GIURIDICHE.

- Gli atti riguardanti le IMPRESE COMMERCIALI e le SOCIETA’ sono iscritti nel REGISTRO DELLE IMPRESE,
istituiti presso le Camere di commercio.

- La pubblicità dei BENI IMMOBILI è stata affidata all’Agenzia del territorio.

- Per i BENI MOBILI REGISTRATI, infine, sono previsti registri di pubblicità relativamente alle NAVI, agli
AEROMOBILI e agli AUTOVEICOLI, e tenuti da diverse istituzioni in ragione del tipo di mobile registrato.

CAPITOLO 2 – PUBBLICITA’ DEGLI IMMOBILI E MOBILI REGISTRATI

1. La TRASCRIZIONE è uno strumento di pubblicità predisposto dall’ordinamento per rendere certi i fatti che
riguardano beni immobili e beni mobili registrati. Come già detto, l’esecuzione di questi strumenti di
pubblicità rappresenta un ONERE per la parte interessata (colui che compie l’atto), per avvantaggiarsi degli
effetti che alla pubblicità si riconnettono, ma anche un OBBLIGO per il notaio o pubblico ufficiale che riceva
l’atto, per assicurare la certezza della circolazione (cioè l’avvenuto trasferimento) degli immobili o mobili
registrati: infatti, il pubblico ufficiale ha l’obbligo di curare la trascrizione nel minor tempo possibile e, in caso
di ritardo, è tenuto al risarcimento dei danni.

2. I REGISTRI IMMOBILIARI sono impostati su BASE PERSONALE, nel senso che i registri sui quali si attuano le
formalità pubblicitarie sono organizzati secondo i NOMI dei SOGGETTI cui si riferisce la trascrizione: al
nominativo di ciascuna persona sono indicati gli atti che lo riguardano, trascritti a favore (per quanto riguarda
la trascrizione dell’acquisto o di altro diritto reale) o contro (per quanto riguarda la cessione) il soggetto. In
questo modo, con la pubblicità dei singoli atti dispositivi viene eseguita la trascrizione in capo ai soggetti
interessati per consentire la conoscenza della loro titolarità di diritti reali e della circolazione degli stessi.

Per eseguire la trascrizione, titoli utili sono la SENTENZA, l’ATTO PUBBLICO o la SCRITTURA PRIVATA CON
SOTTOSCRIZIONE AUTENTICATA O ACCERTATA GIUDIZIALMENTE. Insieme al titolo, va presentata anche una
NOTA DI TRASCRIZIONE, con le indicazioni circa le generalità delle parti, il regime patrimoniale delle stesse se
coniugate, la natura e la situazione dei beni… Comunque, l’omissione o l’inesattezza di una delle indicazioni
richieste in questa nota non influiscono sulla validità della trascrizione, a meno che non inducano a incertezze
sulla persona, sul bene o sul rapporto giuridico cui si riferisce l’atto, oppure sulla sentenza o la domanda di
trascrizione.

3. Nel nostro ordinamento vige il cd. CONSENSO TRASLATIVO, per cui la proprietà o altro diritto si
trasferiscono e si acquistano per effetto del CONSENSO DELLE PARTI legittimamente manifestato, quindi le
formalità pubblicitarie mirano solo alla conoscenza legale delle vicende circolatorie nei confronti dei terzi,
fungendo da pubblicità dichiarativa, opponibile alle parti. Tuttavia, talvolta questo principio trova
un’eccezione nel principio di trascrizione, in quanto può avvenire che il medesimo diritto può formare
oggetto di più diritti di alienazione (es. il proprietario di un bene vende la proprietà dello stesso prima a un
soggetto e poi ad un altro). Secondo un principio logico ed etico, chi ha acquistato per primo il bene
dovrebbe prevalere sul secondo, dato che, sul piano formale, se l’alienante ha già disposto un diritto, non è
più titolare dello stesso e quindi non può disporne di nuovo, e sul piano etico, perché l’alienante che rivende
un bene già venduto a terzi si rivela disonesto. Però, l’esigenza di circolazione dei beni richiede che venga
garantita la posizione di chi ha acquistato un bene contro il pericolo che il suo acquisto possa
successivamente venir meno. Per questo, il CONFLITTO tra i vari AVENTI CAUSA, sui beni immobili e mobili

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registrati, viene risolto con il RICORSO ALLA TRASCRIZIONE: in questo senso, la trascrizione non è necessaria
all’acquisto, che si realizza con il consenso, ma è necessaria per rendere inattaccabile l’acquisto di terzi del
medesimo bene già venduto dallo stesso autore, per cui, in caso di conflitto prevarrà, secondo principio
logico, il diritto di colui che ha effettuato per prima la trascrizione. La DEROGA al PRINCIPIO
CONSENSUALISTICO, dunque, consiste proprio nel fatto che la SICUREZZA DELL’ACQUISTO prevale sul
CONSENSO TRASLATIVO, anche nel caso in cui quest’ultimo sia effettuato prima.

La trascrizione, infine, può avere DUE EFFETTI: POSITIVO, in quanto il soggetto che trascrive per primo rende
l’atto opponibile ai terzi che l’hanno trascritto successivamente; NEGATIVO, in quanto la mancata trascrizione
rende l’atto inopponibile ai terzi che l’hanno trascritto anteriormente.

4. I registri immobiliari assicurano la conoscenza della circolazione dei beni attraverso il principio della
CONTINUITA’ DELLA TRASCRIZIONE: per avere effetto, le trascrizioni devono essere CONTINUE, cioè trovarsi
di seguito e collegate con i precedenti atti di acquisto, di modo che sotto i nomi dei proprietari di un
immobile che si sono succeduti, risulti una catena ininterrotta di titolari. In questo modo, si snoda una catena
nella quale ad ogni anello, che corrisponde a una trascrizione a favore (cioè l’acquisto), si lega ad un anello
precedente, che corrisponde ad una trascrizione contro (cessione del bene). Dunque, è interesse
dell’acquirente non solo curare la trascrizione del proprio atto di acquisto, ma anche DETERMINARE LA
TRASCRIZIONE DELL’ACQUISTO DEL SUO DANTE CAUSA, per saldare così la catena delle trascrizioni e rendere
l’acquisto, una volta determinata l’effettiva circolazione del bene, opponibile ai terzi, eventuali aventi causa
dall’originario titolare.

5. L’art. 2643 detta un elenco degli ATTI SOGGETTI A TRASCRIZIONE CON EFFICACIA TIPICA, cioè prevista dalla
legge. Sono soggetti a trascrizione i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili e i contratti che
costituiscono, trasferiscono o modificano diritti reali di godimento su immobili altrui; ancora i contratti che
costituiscono la comunione di uno dei diritti in precedenza citati, gli atti tra vivi di rinuncia, i provvedimenti di
trasferimento coattivo; circa i diritti personali di godimento, sono soggetti a trascrizione i contratti di
locazione ultranovennale e altri; inoltre, anche i contratti di società e di associazione che si riferiscono al
godimento di beni immobili o di diritti reali immobiliari, quando la durata della società o dell’associazione
superi i nove anni.

6. Vi è un’altra categoria di atti verso i quali la trascrizione produce EFFETTI PARTICOLARI propri
DIVERSIFICATI, fissati di volta in volta dall’ordinamento. Sono così soggetti a trascrizione gli atti che
riguardano la divisione della cosa comune, in quanto la trascrizione in questo caso mira solo a tutelare i
singoli aventi causa dagli altri partecipanti e loro creditori contro il pericolo di divisioni occulte, per cui la
pubblicità ha efficacia dichiarativa; ancora deve essere trascritta la cessione dei beni ai creditori, perché
questi procedano alla liquidazione dei beni e alla ripartizione del ricavato; ancora vanno trascritte le sentenze
da cui risulta l’estinzione per prescrizione o l’acquisto a titolo originario, avendo la generale efficacia di
pubblicità notizia, ma comunque esclude la buona fede dei terzi, nei casi in cui la stessa buona fede rilevi
giuridicamente; sono, infine, soggetti a trascrizione la costituzione del fondo patrimoniale, le convenzioni
matrimoniali che escludono i beni dalla comunione tra i coniugi, gli atti e i provvedimenti di scioglimento
della comunione e gli atti di acquisto di beni personali.

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