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LE FONTI, LE SITUAZIONI GIURIDICHE E LA LORO TUTELA


LE FONTI
LE FUNZIONI DEL DIRITTO PRIVATO
Diritto privato → complesso di norme che risolvono le controversie tra privati (no
pubblica amministrazione) e Stato diritto pubblico.
Chiunque può creare regole per prevenire o per decidere una controversia.
Fonti-atto → sono atti normativi posti in essere da organi o enti nell’esercizio dei poteri
ad essi attribuiti.
Fonti-fatto → sono fonti non scritte determinati da fatti sociali (es. il pugno che X tira a
Y) oppure naturali (es. la nascita).
Fonti del diritto → fonti di cognizione.
Fonti di produzione → procedimento attraverso il quale si produce una norma.
Fonti di cognizione:
• generalità → la norma non si riferisce a persone specifiche ma a tutte;
• astrattezza → la norma non si riferisce a una situazione concreta, ma astratta.

LE REGOLE, GLI ENUNCIATI E LE NORME


Regole → si distinguono guardando a colui che le crea (il giudice, il giurista o il
legislatore) e per la loro portata (generale ed astratta ovvero particolare e concreta).
Il sistema giuridico italiano disegnato nelle preleggi raccoglie nell’insieme delle fonti
una serie di regole manifestate per iscritto, sotto forma di leggi statali (ossia atti
approvati con il prescritto procedimento dalle due camere e promulgati dal presidente
della Repubblica) e di regolamenti (cioè atti a contenuto normativo provenienti dal
governo o da altre autorità appartenenti alla pubblica amministrazione come, ad
esempio, i regolamenti comunali in materia edilizia e urbanistica).
Enunciati → sono le espressioni grammaticalmente compiute ricavabili dai testi scritti o
“disposizioni” con cui gli atti legislativi e regolamentari si manifestano.
Ogni atto legislativo o regolamentare contiene una pluralità di regole, pari ai significati
che l’enunciato può assumere nella mente dell’interprete.
Norma giuridica → è un insieme di regole che concorrono a disciplinare la vita
organizzata (precetto e testo).

LE CONSUETUDINI
Consuetudini o usi → sono norme che non hanno bisogno di essere tramandate per
iscritto.
Pur se le norme consuetudinarie non possano desumersi da enunciati scritti si avverte
l’esigenza di facilitare l’interprete registrando per iscritto certi comportamenti ripetuti e
diffusi per renderli più facilmente conoscibili.

L’INTERPRETAZIONE E LE SITUAZIONI GIURIDICHE


L’ART. 12 DELLE DISPOSIZIONI SULLA LEGGE IN GENERALE, L’ANALOGIA E LA
GIURISPRUDENZA
Il compito dei giuristi è di interpretare le norme.
Art. 12 disposizioni 1° comma → criteri che l’interprete deve seguire.
Interpretazione → dare un significato alla norma.
Criteri di interpretazione:
• criterio storico → bisogna cercare di capire l’intenzione del legislatore;
• criterio analogia legis → si applica solo nel diritto civile, non nel diritto penale;
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• analizzo la situazione X ma mi accorgo che non è regolamentata ma mi accorgo


che Y è molto simile a quella X; quella Y è regolamentata se non si può
applicare si fa analogia juris (si ricavano le regole dai principi).
Ordine gerarchico:
➢ Costituzione
➢ Leggi ordinarie (atti aventi forza di legge – decreto-legge e decreto legislativo)
➢ Leggi regionali
➢ Regolamenti – atti emanati dal potere esecutivo
➢ Usi e consuetudini – regola caratterizzata da due elementi:
- diu turnitas → prassi, è un comportamento ripetuto nel tempo;
- opinio juris ac necessitatis → le persone che hanno cominciato a comportarsi
sempre nello stesso modo lo hanno fatto talmente tante volte nel tempo che
sono convinti che quel modo lì sia la regola.
L’Italia fa parte dell’UE e della CEDU.

I FATTI, GLI ATTI E I NEGOZI GIURIDICI. I CD DIRITTI POTESTATIVI E L’ONERE. LE


SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE
Fatti giuridici → ogni accadimento al cui verificarsi l’ordinamento collega effetti
giuridici:
- fatti naturali;
- fatti umani.
Possono essere efficaci, cioè produrre effetti giuridici nuovi.
Atti giuridici → sono atti che producono effetti giuridici.
Situazioni giuridiche soggettive → sono situazioni che fanno capo ad un soggetto
(interessi) che l’ordinamento giuridico considera rilevanti:
- attive:
o diritto soggettivo → il titolare del diritto ha la possibilità di agire per il
soddisfacimento dello stesso:
▪ diritti assoluti -→ sono quelle situazioni giuridiche soggettive di vantaggio
tutelate erga omnes ovvero nei confronti di tutti gli altri consociati, senza la loro
necessaria cooperazione e dunque, ai fini della loro integrazione, non è
necessaria l’esistenza di un rapporto giuridico come invece avviene nel caso
dei diritti relativi. L'esempio principe della categoria in esame è il diritto di
proprietà, la cui tutela corrisponde alle actiones in rem di diritto romano;
▪ diritti relativi → il titolare può far valere ab origine la propria pretesa, che è
costituita da un obbligo di fare o non fare, soltanto nei confronti di uno o più
soggetti determinato o determinabile (i.e. in personam).
Non c’è bisogno della pubblica amministrazione.
o interesse legittimo → è una situazione giuridica soggettiva che può essere
soddisfatta solo se la pubblica amministrazione interviene a tuo favore;
o potestà → il diritto, giuridicamente riconosciuto, all'esercizio di un potere;
o diritto potestativo → è il potere attribuito ad un soggetto di modificare, con
un proprio atto, la sfera giuridica di un altro soggetto, che versa in
situazione di soggezione. Ciò accade, ad esempio, se il contraente
recede dal contratto nel quale sia stata stabilita una caparra penitenziale.
- passive:
o dovere → è il comportamento imposto da una norma;
o obbligo → designa la situazione giuridica soggettiva del soggetto di diritto
che deve tenere un certo comportamento imposto dalla norma
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nell'interesse di un altro soggetto, che lo può pretendere da uno o più


soggetti determinati, non da chiunque;
o soggezione → la situazione giuridica soggettiva del soggetto che, pur non
essendo gravato dal dovere di tenere un certo comportamento, deve
tuttavia subire gli effetti giuridici dell'esercizio del potere altrui;
o onere → è il comportamento che il soggetto deve rispettare se vuole
realizzare un determinato risultato.

LA TITOLARITA’ DELLE SITUAZIONI SOGGETTIVE E LE VICENDE TRASLATIVE (O


SUCCESSIONI)
La titolarità esprime il collegamento tra un soggetto e una determinata situazione
giuridica soggettiva minima: quando il legame sia attuale si parla di “appartenenza”,
quando sia soltanto virtuale “di spettanza”.
Per il principio di eguaglianza, può trovarsi obbligata ogni persona vivente, la quale ha
l’attitudine ad assumere ogni altra situazione giuridica soggettiva (“capacità
giuridica”).
Situazioni adespoti → situazione giuridica priva di titolare.
Si parla di “vicende traslative” o successioni per indicare quel particolare effetto
modificativo, consistente nel subentrare di una persona a un’altra in una situazione
giuridica, che quindi si trasferisce da un titolare a un altro, ferma restando l’identità
della situazione stessa.
Colui che ne perde la titolarità si dice “autore” o “dante causa”, mentre chi la riceve si
dice rispettivamente “successore” o “avente causa” (vendo il mio alloggio a Tizio:
questi è mio successore o avente causa, io sono suo autore o dante causa).

LA TUTELA DEI DIRITTI E LE PROVE


LE SITUAZIONI GIURIDICHE E L’AZIONE
Si chiama “azione” lo strumento con il quale si domanda la protezione giurisdizionale
della situazione stessa.
Situazione soggettiva ed azione non devono essere confusi, poiché può domandare
protezione anche chi non sia titolare della situazione soggettiva, anche se in tal caso
la protezione stessa gli dovrà essere negata.
Il titolare del diritto soggettivo può del resto esercitarlo senza bisogno di ricorrere al
giudice, quando l’obbligato tenga spontaneamente il comportamento dovuto: di
fronte a due situazioni collegate nel rapporto giuridico, il titolare di quella che risulta
prevalente sull’altra non può tuttavia costringere l’altro a tenere quel comportamento
ma deve confidare sulla “ragione” e sulla “libera volontà” di lui, che gli dovrebbero
consigliare di cooperare e tenere il comportamento dovuto.
L’art. 2907 c.c. stabilisce che <<alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l’autorità
giudiziaria>>.
La tutela assicurata dallo Stato alle situazioni soggettive consiste in ogni caso
nell’accertamento del rapporto giuridico.

IL DIVIETO DI NON LIQUET E LA DECISIONE SUL FATTO INCERTO


L’esercizio dell’azione presuppone, in capo a chi la esperisce cioè all’”attore”,
l’affermazione che in capo a lui si è originata una certa situazione giuridica favorevole
per la quale domanda protezione giurisdizionale, cioè:
- che uno o più fatti giuridici si siano verificati nella realtà fenomenica;
- che una norma ne abbia valutata la rilevanza e l’efficacia.
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La ricerca e l’applicazione della norma compete al giudice per la regola iura novit
curia, mentre dipende dalla parte stessa convincere il giudice stesso quanto alla
circostanza sub, ossia che i fatti o atti o negozi allegati si sono concretamente verificati.
La controparte, cioè <<il convenuto>>, potrà, nel difendersi, tentare di indirizzare la
ricerca e l’applicazione della norma in senso differente da quanto viene prospettato
dall’attore e contestare che i fatti o gli atti o i negozi si siano verificati nella realtà
fenomenica.
Potrà lo stesso convenuto affermare poi, attraverso un’”eccezione sostanziale o di
merito”, che i fatti allegati dall’attore si sono sì verificati ma risultano attualmente
inefficaci, a causa di un altro fatto contestuale a quello allegato (fatto impeditivo)
oppure di un fatto sopravvenuto a quello allegato dall’attore che lo ha modificato
(fatto modificativo) o estinto (fatto estintivo).
Esempio → Tizio afferma <<ho concluso un contratto con Caio, che si è obbligato a
pagarmi il 1° gennaio 2010 € 10.000 (Caio ha l’obbligo di pagarmi € 10.000 o se si vuole
ho il diritto soggettivo di ricevere € 10.000) quale prezzo per un’autovettura che gli ho
venduto>>. Il fatto costitutivo è appunto il contratto, che appartiene all’insieme dei fatti
negoziali. Caio potrà sostenere che quel contratto non è mai stato concluso (quindi
contestare il fatto costitutivo) oppure potrà allegare diversi fatti nuovi <<abbiamo
pattuito che il pagamento fosse dovuto il 1° gennaio 2020>> (il fatto <<impedisce>> a
Tizio di far valere attualmente la sua pretesa); <<ho già pagato € 10.000 (il fatto ha
<<estinto>> l’obbligo di Caio) oppure <<con un contratto successivo abbiamo
modificato il termine di pagamento prorogandolo al 1° gennaio 2020>> (il fatto
allegato in via d’eccezione ha <<modificato>> le modalità di esecuzione dell’obbligo
di Caio).
La valutazione giuridica dei singoli fatti, che compete al giudice, sarà la seguente: il
contratto ha forza di legge tra le parti, obbliga le parti a quanto è in esso espresso ed
è fonte di obbligazioni: chi l’ha concluso ha quindi l’obbligo di darvi esecuzione (il
contratto è “fatto costitutivo” dell’”obbligo” di Caio e quindi della situazione giuridica
correlata “diritto soggettivo”). L’adempimento esatto della prestazione libera il
debitore quindi, se Caio ha pagato, Tizio non può esigere più niente da lui (fatto
“estintivo”); oppure, se è stato pattuito un termine, <<il creditore non può esigere la
prestazione prima della scadenza>>. Da ciò viene che Tizio dovrà attendere il 2020 per
ottenere la somma richiesta (fatto “impeditivo”).
A differenza di quanto accadeva nel diritto romano di epoca classica, in tali casi al
giudice è vietata la decisione di non liquet: egli non può cioè rifiutarsi di decidere
ammettendo di non avere raggiunto un pieno convincimento quanto all’effettivo
verificarsi dei fatti allegati dalle parti.
Egli è invece obbligato ad assumere una decisione valendosi della regola che
implicitamente si trova codificata all’art. 2697 c.c.: un fatto non provato deve
considerarsi un fatto non accaduto. A Caio che afferma, senza riuscire a convincere il
giudice, di aver pagato la somma pretesa da Tizio si risponderà quindi che in realtà la
sua affermazione è falsa, condannandolo a pagare nuovamente.
L’art. 2697 c.c. si limita ad enunziare la distinzione tra i fatti giuridici allegati dalle parti,
lasciando all’interprete di stabilire quando essi siano costitutivi oppure all’inverso
impeditivi, modificativi o estintivi e quindi se il rischio del fatto incerto vada a danno
dell’attore o del convenuto.

LA PROVA DEI FATTI GIURIDICI


Il convincimento del giudice deve formarsi sulle prove proposte dalle parti, sempre che i
fatti non risultino incontroversi tra le parti stesse che non li hanno contestati (nel nostro
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esempio Caio potrebbe non aver contestato la stipulazione della compravendita,


secondo quanto affermato da Tizio).
Fanno eccezione soltanto i fatti notori, che il giudice può porre a fondamento della
decisione senza bisogno di prova: fatti noti alla generalità delle persone di media
cultura nel luogo e nel momento in cui si svolge il processo, come per esempio il fatto
che la presenza di un secondo passeggero su un ciclomotore lo renda più instabile
rendendo meno sicura la frenata, o la svalutazione monetaria o il fatto che gli
indumenti, dopo qualche tempo, debbano essere lavati.
Il mezzo di prova è ciò che fornisce al giudice l’esperienza di un fatto.
Si distinguono i mezzi di prova “precostituiti”, che consistono in cose preesistenti al
processo le quali, sottoposte al giudice, gli forniscono la rappresentazione o la
raffigurazione del fatto controverso (i documenti), dai mezzi di prova “semplici” o
“costituendi”, perché si formano durante il processo attraverso un’apposita attività.

LE PROVE DOCUMENTALI E L’ATTO PUBBLICO


Prova documentale → è una rappresentazione di un fatto incorporata su una base
materiale in modalità digitale o analogica.
Documento:
- fatto rappresentato;
- rappresentazione;
- incorporamento;
- base materiale.
Scrittura privata → l’insieme delle dichiarazioni contenute in un documento è attribuito
a chi ha apposto la firma.
Atto pubblico → documento redatto da notaio o pubblico ufficiale autorizzato ad
attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l’atto è formato. È un mezzo di prova legale.

LA TESTIMONIANZA E LA CONFESSIONE
Testimonianza → dichiarazione che una persona fa di fronte al giudice, dopo aver
prestato giuramento, sulla verità di un fatto di cui ha avuto conoscenza diretta oppure
perché è stata informata da altri.
Confessione → dichiarazione di scienza che una parte fa in giudizio (confessione
giudiziale), oppure fuori dal processo (confessione extra giudiziale).

IL GIURAMENTO E LE PRESUNZIONI
Giuramento → confessione pronunciata in giudizio: è fatta da una delle parti su invito
dell’altra parte o del giudice. La parte può prestare giuramento e vincere la causa.
Presunzioni → sono prove indirette che consistono nei ragionamenti prodotti a partire
da fatti noti e provati per prevenire al convincimento della realtà di un fatto ignoto.
Presunzioni legali → è la legge stessa che stabilisce che dalla prova di un certo fatto
consegue quella di un altro fatto.

LE PRESCRIZIONI E LE DECADENZE
LA PRESCRIZIONE ESTINTIVA E IL NON USO
La prescrizione è un mezzo con cui l’ordinamento giuridico opera l’estinzione dei diritti
quando il titolare non li esercita entro il termine previsto dalla legge (art. 2934 c.c.).
L’ordinamento non consente che i terzi rimangano in una situazione permanente di
incertezza sulla volontà del titolare di esercitare o meno il proprio diritto; e pertanto,
trascorso un certo termine senza che il titolare abbia esercitato il proprio diritto, ricollega
a questo comportamento la perdita del diritto per una presunzione assoluta di rinuncia
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al diritto stesso. Gli elementi della prescrizione sono: la disponibilità del diritto, il termine
di decorrenza, il tempo. Non sono soggetti a prescrizione i diritti indisponibili quali i diritti
della personalità. Del pari è imprescrittibile il diritto di proprietà, che non si perde per
inattività del titolare, ma solo per acquisto del diritto da parte del terzo, a seguito
dell’attività corrispondente al diritto stesso (Usucapione). Estinto il diritto e, con esso,
l’azione che lo tutela, rimane tuttavia il dovere morale e sociale da adempiere. Questo
dovere è tutelato indirettamente in via giuridica attraverso:
a) la rinuncia alla prescrizione dopo il suo verificarsi, consentita al beneficiario che
possa disporre del diritto acquisito (art. 2937 c.c.);
b) la non rilevabilità d’ufficio della prescrizione, stante sempre la facoltà
dell’interessato di rinunciare ad avvalersene;
c) la non ripetibilità di ciò che è stato spontaneamente pagato in adempimento
del debito prescritto (art. 2940 c.c.).
La prescrizione decorre dal giorno in cui si può far valere il diritto (art. 2935 c.c.). Il
termine ordinario di prescrizione è di dieci anni. Per talune fattispecie sono tuttavia
previste delle prescrizioni brevi. Il termine di prescrizione può essere soggetto a
sospensione o a interruzione. Si ha sospensione del termine per cause che non
consentono temporaneamente l’esercizio del diritto, quali l’età minore o la interdizione
per infermità di mente per chi sia privo di rappresentante legale e per i sei mesi
successivi alla fine della causa di incapacità o alla nomina del rappresentante; ovvero
per il periodo in cui il diritto debba esercitarsi nei confronti di persone con le quali
intercorrano particolari rapporti, che ne rendano difficile o non conveniente l’esercizio.
Si ha interruzione della prescrizione a seguito della domanda giudiziale e di qualunque
atto valido per la costituzione in mora, nonché per il riconoscimento del diritto da parte
del debitore. Per effetto dell’interruzione si inizia un nuovo periodo di prescrizione.
Quando intervenga sentenza di condanna passata in giudicato incomincia a
decorrere un termine decennale di prescrizione, anche se per i diritti per i quali si è agito
giudizialmente la legge dispone un termine inferiore ai dieci anni. Le prescrizioni sono
presuntive quando la legge presume iuris tantum che dopo il decorso del termine il
debito sia stato pagato, e pertanto attribuisce al creditore l’onere di provare che il
debito non sia stato pagato, anche deferendo il giuramento (art. 2960 c.c.). La
prescrizione presuntiva però non può essere fatta valere quando colui che la
eccepisce ha comunque ammesso in giudizio che l’obbligazione non è stata estinta.
In tal caso, infatti, viene meno il fondamento stesso della prescrizione, che, come già
detto, si basa sulla presunzione che il debito sia stato pagato.
Prescrizione estintiva → produce l’estinzione del diritto soggettivo in esito alla condotta
inerte del titolare di esso che non ne pratica l’esercizio per il tempo determinato dalla
legge.
Il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.
Non uso → è un modo che estingue il diritto, ad esempio l’enfiteusi o come tutti i diritti
reali (quindi i diritti sulle cose, tranne la proprietà) si estinguono per non uso ventennale,
cioè se non li usi per vent’anni.

LA SOSPENSIONE E L’INTERRUZIONE DELLA PRESCRIZIONE. LE PRESCRIZIONI BREVI


Sospensione → è la causa che arresta il decorso del termine di prescrizione.
L’interruzione di prescrizione ha per effetto quello di annullare il periodo prescrizionale
già iniziato.
Prescrizioni brevi → termini abbreviati per:
▪ crediti originati da fatti illeciti (5 anni);
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▪ al reato si applica il periodo di prescrizione stabilito dalla legge penale se non si


è avuto sentenza irrevocabile perché in tal caso il termine è quello previsto dal
c.c. (5 anni);
▪ crediti originati da alcuni contratti nominati.

LA PRESCRIZIONE PRESUNTIVA
Prescrizione presuntiva → è un istituto del diritto civile italiano per il quale, trascorso un
certo periodo di tempo, un diritto si presume estinto.

LA DECADENZA SU DIRITTI DISPONIBILI E INDISPONIBILI


Decadenza → è l’estinzione di un diritto per mancato esercizio entro un dato periodo
di tempo.
Diritti disponibili → decadenza cd. “di ordine privato”.
Diritti indisponibili → decadenza cd. “di ordine pubblico”.

LA PUBBLICITA’
LA PUBBLICITA’ DEI FATTI GIURIDICI IN GENERALE
Pubblicità → serve a rendere conoscibile un determinato fatto o atto giuridici da
chiunque ne abbia interesse attraverso un procedimento regolato dalla legge:
- notizia → si limita a dare notizia di determinati fatti, senza che la sua omissione
impedisca ai medesimi di produrre i loro effetti giuridici o ne determini l'invalidità.
Essa, dunque, non costituisce un dovere ma, semmai, un onere, con l'eventuale
applicazione di una sanzione in caso d'inosservanza dell'obbligo.
Sono esempi di pubblicità-notizia nell'ordinamento italiano:
o l'iscrizione degli imprenditori nella sezione speciale del registro delle imprese;
o la pubblicazione di matrimonio;
o l'annotazione a margine dell'atto di nascita della sentenza di interdizione;
o la trascrizione dell'atto di vendita di autoveicoli presso il Pubblico Registro
Automobilistico;
o la trascrizione nei registri immobiliari delle accettazioni di eredità e degli
acquisti di legato;
- dichiarativa → è volta a rendere opponibili a determinati soggetti i fatti per cui è
prevista (ad esempio, a rendere opponibile un negozio giuridico ai terzi): la sua
omissione, pur non determinando l'invalidità, impedisce che il fatto produca effetti
giuridici nei confronti di tali soggetti. L'ordinamento può configurare la pubblicità
come condizione sufficiente ma non necessaria per l'opponibilità, allorché consenta
di provare, in alternativa, che il soggetto era comunque a conoscenza del fatto,
nonostante la mancata pubblicità; oppure può configurarla come condizione
necessaria, oltre che sufficiente, sicché la mancata pubblicità preclude in ogni caso
l'opponibilità, quand'anche il soggetto fosse venuto altrimenti a conoscenza del
fatto. Nell'uno come nell'altro caso, la pubblicità dichiarativa costituisce, dunque,
un onere affinché il fatto possa produrre i suoi effetti giuridici nei confronti di
chiunque ed essere, quindi, pienamente efficace.
Sono esempi di pubblicità dichiarativa nell'ordinamento italiano:
o l'iscrizione degli imprenditori, diversi dalle società di capitali e dalle società
cooperative, nella sezione ordinaria del registro delle imprese;
o la trascrizione nei registri immobiliari dei contratti che trasferiscono la
proprietà di beni immobili;
- costitutiva → è requisito necessario affinché la fattispecie si perfezioni, sicché in sua
mancanza l'atto è privo di validità e non produce effetti nei confronti di chiunque
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(quindi né tra le parti del negozio giuridico, né verso i terzi). Essa è, dunque, un onere
al fine dell'efficacia e della validità dell'atto.
Sono esempi di pubblicità costitutiva nell'ordinamento italiano:
o l'iscrizione delle società di capitali nella sezione ordinaria del registro delle
imprese;
o l'iscrizione delle ipoteche nei registri immobiliari;
o l'iscrizione delle ipoteche nei Pubblici Registri Automobilistici;
o l'iscrizione dell'atto costitutivo, nonché delle operazioni di trasformazione,
scissione e fusione di società per azioni e a responsabilità limitata;
o la pubblicazione dei bandi di gara, da parte delle stazioni appaltanti
relativamente a lavori pubblici, fornitura di beni, fornitura di servizi,
concessioni;
o la pubblicazione di concorsi pubblici per l'assunzione di personale nella
pubblica amministrazione;
- sanante → ha la funzione di eliminare, dopo un certo periodo, alcuni vizi dell’atto.
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LE COSE, IL POSSESSO E I DIRITTI REALI


LE COSE
LE COSE
Cose (art. 810 c.c.) → sono tutto ciò che non è persona e serve all’uso dell’uomo. Se
appartengono ad una persona sono rilevanti per il diritto. Si possono dividere:
❖ corporali → sono i beni che possono essere toccati;
❖ incorporali → si possono percepire con il pensiero, non possono essere toccati (i
diritti soggettivi);
❖ fungibili → possono essere scambiati con altri dello stesso tipo (denaro);
❖ infungibili → non possono essere sostituiti con altri (quadri d’autore);
❖ divisibili → sono tutte le cose che possono essere scomposte;
❖ indivisibili → le altre;
❖ consumabili → non possono essere usati senza consumarsi in senso fisico (le
bevande);
❖ inconsumabili → possono essere riutilizzati pur potendosi deteriorare (possono
essere oggetto di usufrutto).

I BENI IMMOBILI, I BENI MOBILI E I MOBILI ISCRITTI IN PUBBLICI REGISTRI


Beni immobili (art. 812 c.c.) → sono tutto ciò che è incorporato al suolo (le sorgenti, gli
alberi).
Beni mobili (art. 812 c.c.) → sono tutti gli altri beni che non risultano essere immobili.
Mobili iscritti in pubblici registri (art. 815 c.c.) → sono una particolare categoria di beni
mobili come navi, aeromobili e autoveicoli che sono registrati in appositi registri.

UNIVERSALITA’, PERTINENZE E FRUTTI


Universalità di mobili (art. 816 c.c.) → sono una pluralità di diritti su cose che hanno un
unico titolare, un’unica destinazione, ma mantengono la loro autonomia.
Pertinenze (art. 817 c.c.) → sono le cose destinate, in modo durevole, a servizio od
ordinamento di un’altra (cd. principale) in base alla destinazione imposta dal
proprietario della cosa principale o dal titolare di altro diritto reale sulla stessa (sono
pertinenze dell’aeromobile “il paracadute, gli attrezzi e gli strumenti”).
Frutti (art. 820 c.c.) → sono redditi prodotti da una cosa:
o naturali → redditi prodotti direttamente con o senza l’opera dell’uomo (frutta);
o civili → redditi prodotti dando la cosa ad altri e ricavandone un corrispettivo.

I BENI PUBBLICI PATRIMONIALI E I BENI DEMANIALI


Beni pubblici patrimoniali indisponibili (art. 826 c.c.) → sono cose mobili di cui
dispongono enti pubblici territoriali (foreste, cave, beni archeologici, caserme,
università).
Beni pubblici patrimoniali disponibili (art. 826 c.c.) → sono cose non destinate ad un
servizio pubblico.
Beni demaniali (art. 822 c.c.) → sono utilizzati per soddisfare i bisogni della collettività;
possono essere:
❖ necessari → beni demaniali che appartengono a tutti i cittadini e sono posti sotto
la gestione legale dello stato (spiagge, porti, fiumi);
❖ accidentali → possono appartenere sia alla collettività ma anche al singolo
(strade, ferrovie, immobili storici, musei).
Il demanio, inoltre, si distingue in due categorie:
- naturale → i beni creati della natura;
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- artificiale → i beni creati dall’uomo.


Inoltre, i beni demaniali sono inalienabili, tuttavia possono essere concessi a titolo
oneroso e a tempo determinato, in gestione a privati.

IL POSSESSO
IL POSSESSO E LA DETENZIONE
Possesso (art. 1140 c.c.) → non è un diritto reale. È il potere che una persona può avere
su una cosa mobile o immobile.
Le caratteristiche del possesso sono:
• corpus possessionis → il potere sulla cosa conforme al diritto di proprietà o di un
altro diritto reale;
• animus possidendi → è la volontà del possessore di comportarsi come se fosse il
proprietario del bene.
Il possesso può essere esercitato direttamente oppure tramite un’altra persona (detta
detentore).
Detentore → ha di fatto la disponibilità della cosa; ha il corpus. Riconosce che il possesso
della cosa è di un altro soggetto.
Gli elementi della detenzione sono:
1. animus detinendi → volontà di tenere la cosa come propria o come titolare di
un altro diritto reale;
2. disposizione materiale della cosa → cioè svolgere quella attività corrispondete
al possesso;
3. laudatio possessionis → il riconoscimento del possesso altrui sulla cosa.
Detenzione:
• qualificata → quando il detentore ha un suo interesse a tenere un suo bene nella
sua disponibilità;
• non qualificata → il detentore non ha un reale interesse ad utilizzare quel bene
ma nell’interesse del vero possessore.

L’INIZIO E LA CESSAZIONE DEL POSSESSO: GLI ATTI DI TOLLERANZA


Il possesso si acquista tramite:
- impossessamento → consiste in un atto unilaterale con il quale un soggetto
dimostra il proprio potere su una cosa mobile o immobile:
o se l’impossessamento ha comportato la cessazione del possesso in capo a un
altro soggetto, si dovrà parlare di <<spoglio>> (es. mi introduco in casa di Tizio
senza il suo consenso oppure rubo la sua macchina);
o può darsi invece che la cosa non fosse posseduta da nessuno, perché era res
nullius (i pesci pescati nel mare o nel lago) o res derelicta (cioè abbandonata,
come le cose gettate nell’immondizia o il quotidiano lasciato alla sera sul
treno): in questo caso si parla di <<occupazione>>;
- consegna → consiste nell’attribuzione del potere sulla cosa in capo a un soggetto
con il consenso di chi lo aveva in precedenza.
Il possesso termina quando:
- comincia in capo al terzo;
- per il perimento o l’abbandono della cosa;
- per fatti naturali che impediscano di esercitare il potere.
L’inizio del possesso è impedito dal fatto che i comportamenti in cui si concreta
dipendano dalla “tolleranza del possessore”.
Come si perde il possesso → si perde quando il possessore perde la disponibilità
materiale della cosa oppure quando manca l’animus possidendi.
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L’ACCESSIONE E LA SUCCESSIONE NEL POSSESSO


Accessione del possesso (art. 1146 c.c.) → il successore a titolo particolare (sia tra vivi,
che a causa di morte) può unire al proprio possesso quello del suo autore (o dante
causa) per goderne gli effetti.
L’accessione si verifica quando:
- sussista un atto idoneo a provocare una vicenda traslativa;
- la cosa sulla quale il dante causa aveva il potere di fatto sia identica a quella sulla
quale è iniziato il potere dell’avente causa.
Successione nel possesso (art. 1146 c.c.) → la morte del possessore non interrompe il
potere di fatto sulla cosa, che continua in capo al suo erede, anche contro la sua
volontà, con gli stessi caratteri.

LE AZIONI A DIFESA DEL POSSESSO. L’AZIONE DI REINTEGRAZIONE E L’AZIONE DI


SPOGLIO SEMPLICE
Azioni possessorie → rimedi giudiziari aventi come fine immediato la tutela del possesso.
Ci sono diverse azioni a difesa del possesso:
➢ azione di reintegrazione o di spoglio (1168-1169 c.c.) → il possessore è stato
privato del suo bene (è stato spogliato) in modo violento o in modo occulto (di
nascosto). Il possessore può andare dal giudice:
o legittimato attivo → può essere esperita dal detentore qualificato – chi può
agire in giudizio;
o legittimati passivi → persone contro le quali si può agire in giudizio. Il ladro
o contro la persona che ha acquistato il bene che è stato rubato.
Lo spoglio può essere:
o spoglio violento → contro la volontà del possessore;
o spoglio clandestino → quando il possessore non è a conoscenza.
Azione di spoglio semplice o manutenzione recuperatoria → può essere esperita da chi
abbia subito uno spoglio in maniera non violenta né clandestina.

L’AZIONE DI MANUTENZIONE E LE AZIONI DI NUNCIAZIONE


Azione di manutenzione (art. 1170 c.c.) → si può esercitare quando il possessore è stato
molestato nell’esercizio del suo possesso (molestie o turbative). Possesso di un immobile
o universalità di mobili. Il possesso deve durare da oltre un anno e non deve essere mai
interrotto. Il soggetto che agisce in giudizio non deve essere il ladro.
Denuncia di nuova opera (art. 1171 c.c.) → consente al possessore di ottenere dal
giudice il divieto di continuare un’opera o di permetterla.
Denuncia di danno temuto (art. 1172 c.c.) → consente al possessore di ricorrere al
giudice per ottenere i provvedimenti più opportuni secondo le circostanze.

I DIRITTI REALI
I DIRITTI REALI IN GENERE
Diritti reali → diritto soggettivo assoluto – viene chiamato reale perché è un diritto sulla
cosa.
Si caratterizzano per tre elementi fondamentali:
➢ assolutezza → il titolare di un diritto reale ha la possibilità di far valere il suo diritto
erga omnes nei confronti di tutti (diritto di proprietà);
➢ efficacia → il titolare può farli valere contro qualsiasi terzo che abbia violato
l’obbligo di non ingerirsi riguardo alla cosa oggetto del diritto stesso;
➢ tipicità → il loro numero e il loro contenuto è determinato dalla legge;
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➢ diritto di sequela → l’osservanza della condotta può essere pretesa da chiunque


si trovi a possedere o detenere la cosa;
➢ immediatezza → il titolare del diritto reale (per esempio il proprietario) può
esercitare il suo diritto senza richiedere la collaborazione di altri;
➢ per inerenza della cosa → il diritto segue il bene.
Principio del numero chiuso → i diritti reali costituiscono un numero chiuso. Solo il
legislatore può prevedere quando c’è un diritto reale. I privati non possono decidere
di dar vita ad un diritto reale che non è stato previsto dalla legge.
Obbligazioni propter rem → obbligazione (compravendita) – il debitore coincide con il
titolare di un certo diritto reale. Viene definita individuazione per relationem.
Onere reale → non è un’obbligazione ma è un peso che grava sul diritto reale. Consiste
nell’eseguire periodicamente una certa prestazione nei confronti di un creditore.

I FATTI COSTITUTIVI DI DIRITTI REALI


L’USUCAPIONE
Tutti i diritti reali si acquistano per usucapione, cioè attraverso il possesso continuato per
un determinato periodo di tempo.
a) Il <<possesso acquistato in modo violento o clandestino impedisce l’acquisto del
diritto, sino a quando la violenza o la clandestinità non siano cessate;
b) Chi abbia un potere che si realizza in comportamenti corrispondenti a diritti reali
minori (usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi e superficie), se intende acquistare la
proprietà, deve effettuare l’<<interversione del possesso>> tramite opposizione
oppure tramite acquisto della proprietà da un terzo>>.
Per quanto riguarda l’interruzione del periodo stabilito ad usucapionem si devono
ritenere efficaci a tal fine solamente gli atti con i quali il titolare esperisca un’azione in
giudizio.

LA DURATA DEL POSSESSO AD USUCAPIONEM


L'elemento fondamentale dell’usucapione è quindi il possesso.
Il possesso deve perdurare per 20 anni, quando si voglia acquistare la proprietà o un
diritto reale avente a oggetto un immobile, un’universalità di mobili o un mobile.
Se si tratta della <<proprietà a fondi rustici>>, con annessi fabbricati situati in comuni
classificati montani, la durata del possesso ad usucapionem è ridotta a 15 anni.
Se si tratta della proprietà o di un diritto reale minore avente a oggetto <<beni mobile
iscritti in pubblici registri>>, il possesso deve perdurare soltanto per dieci anni. La
deroga si giustifica per il rapido deperimento di questi beni.
Trattandosi di <<ogni altro bene mobile>>, il termine è abbreviato a dieci anni se il
possessore è in buona fede, cioè se <<ignori di ledere l’altrui diritto>>, ovvero se ignori
l’esistenza del diritto di un terzo sulla cosa posseduta, o ritenga per errore che il possesso
medesimo non leda il diritto di lui (ad esempio perché si pensa che il terzo abbia
prestato il suo consenso al possessore).

GLI ACQUISTI A NON DOMINO. I BENI MOBILI


Quando si intenda realizzare una successione o vicenda traslativa di un diritto reale per
atto tra vivi, si può verificare che il disponente sia privo della necessaria legittimazione
a disporne: ad esempio, Tizio ha acquistato da Caio un libro che quest’ultimo possiede,
anche se è di proprietà di Sempronio.
Acquisto a non domino → chi riceve questo bene non è considerato proprietario. Il suo
possesso è in buona fede.
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Per trasferire un diritto reale a titolo particolare occorre un atto giuridico. Questo atto
deve essere valido ed efficace.
Il disponente non deve essere titolare del diritto reale: l’ipotesi non può essere quindi
applicata al caso in cui ne fosse titolare ma l’atto di disposizione fosse stato realizzato
da chi affermava falsamente di essere suo rappresentante.
L’acquirente del nuovo diritto deve avere ricevuto il possesso tramite la consegna
effettiva della cosa.

LE UNIVERSALITA’ DI MOBILI, I MOBILI ISCRITTI IN PUBBLICI REGISTRI E GLI IMMOBILI


Diritti reali aventi a oggetto mobili → 20 anni.
Diritti reali aventi a oggetto mobili iscritti in pubblici registri:
➢ il titolo deve essere debitamente trascritto;
➢ devono trascorrere tre anni dalla data della trascrizione;
➢ deve sussistere la buona fede al momento di acquisto del possesso, se questo è
avvenuto dopo la trascrizione, o diversamente al momento in cui questa si è
perfezionata.
Diritti reali aventi a oggetto beni immobili:
➢ il titolo deve essere stato trascritto;
➢ devono essere trascorsi 10 anni dalla data in cui il titolo è stato trascritto;
➢ deve sussistere la buona fede quando si acquista il possesso, se ciò accade
successivamente, o al momento in cui si trascrive il titolo.

I FATTI E GLI ATTI MODIFICATIVI ED ESTINTIVI


GLI ACQUISTI A TITOLO DERIVATIVO, LA RINUNZIA, LA CONFUSIONE E IL NON USO
L’usucapione e gli acquisti a non domino costituiscono acquisti detti <<a titolo
originario>>, poiché appunto <<danno origine>> a nuovi diritti sulle cose.
La proprietà e gli altri diritti possono invece essere modificati attraverso atti negoziali
con efficacia traslativa, trasferendoli in tutto o in parte a un altro soggetto: si parla in
tali casi di <<acquisti a titolo derivativo>>, ad evidenziare appunto la traslazione del
diritto da un soggetto all’altro.
Ove poi il diritto dell’acquirente venga ritrasferito al disponente (Tizio riacquista la
proprietà del diritto di usufrutto trasferito a Caio o la quota del bene che vi aveva
alienato) oppure quello mantenuto dal disponente venga ulteriormente trasferito
all’acquirente di quello minore si verifica l’estinzione del diritto minore per
<<consolidazione>>.
Tutti i diritti reali minori si estinguono per <<non uso ventennale>> e per <<rinunzia del
titolare>>, cioè per dichiarazione unilaterale di lui, la quale, se si tratta di atto inter vivos
avente a oggetto beni immobili, richiede la forma scritta a pena di nullità ed è soggetta
a trascrizione.
La proprietà si trova compressa quando ne siano ricavati diritti reali minori attribuiti ad
altri. Quando questi si estinguono, la proprietà si rieaspande e riassume la sua pienezza:
si parla di <<elasticità del dominio>>.
Confusione → è un modo di estinzione dell’obbligazione diverso dall’adempimento che
si ha, allorché le posizioni passive e attive del rapporto obbligatorio vengono a
coincidere e riunirsi nella stessa persona.

LA PROPRIETA’
IL FONDAMENTO COSTITUZIONALE DEL DIRITTO
Diritto di proprietà (artt. 832 e ss. c.c.) → rappresenta il principale di tutti i diritti reali.
Attribuisce al suo titolare (proprietario) il diritto di godere e di disporre delle cose in
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modo pieno ed esclusivo entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti
dall’ordinamento giuridico.
Il proprietario di una cosa può godere della stessa.
Potere di godimento → ho il potere di godere della cosa: non ha limiti.
Potere di disposizione → ho il potere di fare della cosa ciò che voglio, posso anche
cedere la cosa ad altri.
Le caratteristiche della proprietà sono:
- pienezza → è un diritto che consente al suo titolare ogni utilizzazione lecita del
bene che si esplica principalmente nel potere di godimento e di disposizione ("ha
diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo" art. 832); questa
caratteristica distingue, tra le altre, il diritto di proprietà dagli altri diritti reali di
godimento. Questi ultimi, infatti, non danno al titolare del diritto reale di godimento
tutte le facoltà del proprietario, perché tali diritti sono limitati proprio dall'esistenza
del diritto di proprietà; anche nell'usufrutto, ad esempio, dove la compressione
delle facoltà del proprietario è massima, l'usufruttuario non potrà vendere il bene,
né cambiarne la destinazione;
- esclusività → il rapporto che si instaura tra proprietario e bene è esclusivo, nel senso
che non sono ammesse interferenze di altri soggetti nel rapporto con il bene;
- elasticità → le facoltà del proprietario possono essere limitate dall’esistenza di altri
diritti, come l'usufrutto, sullo stesso bene. In questi casi, però, il diritto rimane
comunque integro riacquistando automaticamente tutta la sua pienezza alla
cessazione del diritto che lo comprime;
- autonomia e indipendenza → a differenza degli altri diritti reali, il diritto di proprietà
può esistere da solo, senza dipendere da altri diritti di maggiore ampiezza;
- perpetuità → si ritiene che non possano essere imposti limiti temporali alla proprietà,
non è ammessa una proprietà " a tempo", ma un'eccezione a questo principio può
essere costituita dall'art. 953 c.c. in relazione alla scadenza del termine del diritto
di superficie;
- imprescrittibilità → il diritto di proprietà non è soggetto a prescrizione.
Quando il diritto di proprietà non è limitato si estende in senso verticale e in senso
orizzontale:
- in senso verticale → la proprietà si estende fino al sottosuolo e fino allo spazio aereo
sovrastante;
- in senso orizzontale → la proprietà si estende fino ai suoi confini.
La legge può decidere di limitare il diritto di proprietà.
La proprietà deve anche soddisfare il resto dei consociati, deve essere utile alla società.

L’ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA’


Espropriazione per pubblica utilità → è un istituto giuridico italiano in virtù del quale la
pubblica amministrazione può, con un provvedimento, acquisire per sé o far acquisire
ad un altro soggetto, per esigenze di interesse pubblico, la proprietà o altro diritto reale
su di un bene, indipendentemente dalla volontà del suo proprietario, previo
pagamento di un indennizzo.

I FATTI E GLI ATTI COSTITUTIVI DEL DIRITTO REALE. L’OCCUPAZIONE E L’INVENZIONE


La proprietà si origina attraverso l’usucapione e gli acquisti a non domino e si trasferisce
per contratto e successione a causa di morte; esistono tuttavia altri atti o fatti che le
danno vita, enunciati dall’art. 922 c.c.
Occupazione → consiste nell’atto giuridico non negoziale, con il quale ci si impossessa
di cose mobili. Si può innanzitutto acquistare la proprietà di quelle che non hanno mai
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costituito oggetto di diritti di alcuno (res nullius) o che un precedente titolare ha


abbandonato (res derelicatae).
Ci sono poi alcune ipotesi nelle quali l’occupazione consente di acquistare cose mobili
che si trovano in proprietà di altri. Un caso riguarda i tartufi e i funghi epigei (cioè i funghi
comuni che crescono nei prati e nei boschi), raccolti su terreni non recintati di proprietà
altrui. La legge ne consente espressamente la raccolta, in tal modo ammettendo
implicitamente che il raccoglitore ne acquisti la proprietà.
Un altro caso riguarda l’acquisto della selvaggina attraverso la pratica venatoria, al
quale si riferisce l’art. 923 c.c. La fauna selvatica abbattuta durante l’esercizio venatorio
nel rispetto delle disposizioni della presente legge appartiene a colui che l’ha cacciata.
Invenzione → riguarda cose che sono state smarrite dal legittimo proprietario (deve
restituirlo al legittimo proprietario oppure in comune e la dà al sindaco; il sindaco deve
pubblicare un avviso nell’albo pretorio, trascorso un anno dalla pubblicazione
dell’avviso se nessuno si fa vivo la cosa spetta a chi l’ha trovata. Ritrovamento del tesoro
→ se io trovo il tesoro nel mio fondo è completamente mio, ma se ho trovato il tesoro
su fondo altrui diveniamo proprietari entrambi;

L’ACCESSIONE, E L’ACCESSIONE <<INVERTITA>>


Accessione → dà origine ad un nuovo diritto di proprietà su un’opera che si trova
congiunta al suolo in maniera stabile per fatto naturale o dell’uomo.
Nell'accessione di cosa mobile a cosa immobile (la cosiddetta accessione verticale) si
manifesta la preminenza della proprietà immobiliare: ogni bene mobile che venga
materialmente unito a un bene immobile accede a questo, ossia diventa proprietà del
proprietario del bene immobile (art. 934). L'acquisto della proprietà si attua
automaticamente e l'eventuale pronuncia del giudice al riguardo ha valore solo
dichiarativo. Da ciò l'ulteriore conseguenza che, se si vende un terreno e si tace circa
le costruzioni su essa esistenti, il compratore acquista a titolo derivativo il terreno, ma a
titolo originario (per accessione) le costruzioni.
Il principio di accessione è adattato dal codice a particolari situazioni:
❖ opere fatte da un terzo con materiali propri (art. 936 c.c.) → il proprietario del
suolo ha diritto di tenersi la costruzione o piantagione, pagando a sua scelta una
somma pari al costo dell'opera o al maggior valore conseguita dal suolo; se il
terzo ha costruito in mala fede oppure se il proprietario del suolo era
inconsapevole dell'attività costruttiva e non vi si era potuto opporre, egli può
obbligare l'altro a demolire la costruzione; in ogni caso la rimozione non può
essere domandata se sono trascorsi sei mesi da quando il proprietario del suolo
ha avuto notizia dell'incorporazione;
❖ accessione invertita (art. 938 c.c.) → nel costruire sul proprio fondo, il proprietario
sconfina in buona fede, occupando con la costruzione parte di un fondo vicino.
Se il proprietario di questo non fa opposizione entro tre mesi dall'inizio della
costruzione, il giudice può, su richiesta del costruttore, attribuirgli la proprietà
della parte del fondo altrui occupata, obbligandolo però a pagare il doppio del
suo valore. Qui l'accessione non opera automaticamente: deve essere
pronunciata dal giudice e la sentenza ha in questo caso natura costitutiva;
l'eccezionalità della norma ha indotto la giurisprudenza a darne
un’interpretazione restrittiva; qui la buona fede non è presunta, ma deve essere
provata - l'accessione vale solo se si è costruita sul suolo altrui una porzione di
edificio, non l'intero edificio, né opere diverse da costruzioni;
❖ opere fatte dal proprietario del suolo con materiali altrui (art. 935 c.c.) → il
proprietario dei materiali può, a sua scelta, chiederne la separazione o
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pretendere che gli sia corrisposto il valore dei materiali; ma non può optare per
la separazione se questa arrechi grave pregiudizio all'opera o faccia perire la
piantagione;
❖ opere eseguite dal terzo con materiali altrui (art. 937 c.c.) → il proprietario dei
materiali può rivendicarli, ma se ciò reca grave pregiudizio alle opere o al fondo,
il proprietario di questo e il terzo sono tenuti in solido a corrispondere il valore dei
materiali.

L’UNIONE, LA COMMISTIONE, LA SPECIFICAZIONE E LE <<ACCESSIONI LATERALI>>


L’<<unione e la commistione>> sono congiunzioni di due o più cose mobili che
appartengono a proprietari differenti. L’unione presuppone lo stato solido delle cose,
che mantengono la loro individualità (es. la pietra preziosa e l’anello), mentre la
commistione può riguardare anche cose allo stato liquido o gassoso, e produce una
trasformazione che le rende indistinguibili (es. il caffè e il whisky).
La specificazione è la realizzazione di una cosa mobile nuova attraverso il lavoro
dell’uomo, realizzata con la cosa mobile altrui (scolpisco una statua nel blocco di
marmo appartenente a Tizio). Chi la realizza ne acquista la proprietà, purché il valore
della cosa sia notevolmente superiore a quello della materia. Diversamente la cosa
spetta al proprietario della materia che deve pagare il prezzo della mano d’opera (art.
940 c.c.).
Infine, sono previste una serie di ipotesi in cui l’incremento del terreno, provocato da
fenomeni naturali, si acquista a favore del proprietario del terreno stesso: in questo caso
si parla di <<accessioni laterali>>.
L’<<alluvione>> consiste in un’unione di terra o in un incremento lieve dei fondi posti
lungo le rive di fiumi o torrenti: essi appartengono al proprietario di questi (art. 941 c.c.).
L’<<avulsione>> si verifica invece quando la turbolenza del fiume o del torrente
distacchi per forza istantanea una parte considerevole e riconoscibile di un fondo
contiguo al loro alveo, trasportandola verso la riva opposta o verso un fondo collocato
più a valle; il proprietario di questi acquista allora B ma deve pagare all’altro proprietario
un’indennità nei limiti del maggior valore recato al fondo dall’avulsione.
Si parla di <<alluvione impropria>> per indicare l’ipotesi nella quale, a causa del lento
e progressivo ritiro delle acque correnti di fiumi, torrenti, laghi, mare o stagni demaniali,
restino scoperte delle parti di terreno attigue; dal 1994 esse appartengono in ogni caso
al demanio pubblico (art. 942 c.c.).

L’ESTENSIONE DELLA PROPRIETA’ FONDIARIA


Il fondo, sia esso rustico che urbano, è delimitato nello spazio, tanto in senso orizzontale,
quanto in senso verticale. La sua delimitazione orizzontale è di carattere geometrico: il
fondo confini che segnano il limite del diritto del proprietario. La proprietà del suolo si
estende sì al sottosuolo e a tutto ciò che questo contiene; si estende sì allo spazio
sovrastante; il proprietario può eseguire sì scavi nel sottosuolo ed effettuarvi opere,
come può utilizzare lo spazio sovrastante per innalzare costruzioni, piantare alberi o
altro. Ma il suo diritto non è illimitato: il proprietario del suolo, dispone l'art. 840 c.c. non
può opporsi ad attività altrui che si svolgano a tale profondità nel sottosuolo o a tale
altezza nello spazio sovrastante che egli non abbia interesse ad escludere. Il criterio che
consente di identificare il limite della proprietà in senso verticale è di natura economica:
la proprietà si estende fin dove il proprietario del suolo può dimostrare di avere un
interesse ad esercitare il suo diritto esclusivo. Oltre questo limite, il sottosuolo e lo spazio
aereo sono da considerarsi cose comuni di tutti.
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LE IMMISSIONI
Per immissioni si intendono le propagazioni di fumo, calore, esalazioni, rumori,
scuotimenti e simili, provenienti da un fondo, che raggiungono il fondo vicino (art. 844
c.c.). Il proprietario di quest’ultimo non può impedirle fino a quando non superino il
limite della normale tollerabilità, che deve essere determinata avendo riguardo alla
condizione dei luoghi, alle esigenze della produzione ed all’eventuale priorità di un
determinato uso. Qualora il limite della normale tollerabilità appaia superato, l’autorità
giudiziaria può disporre, a seconda dei casi, la cessazione delle immissioni od anche la
loro ammissibilità, a fronte del pagamento di un equo indennizzo, in relazione alle
esigenze della produzione.

LE DISTANZE TRA LE COSTRUZIONI


Le costruzioni realizzate sul fondo devono mantenere la distanza minima di tre metri da
quelle preesistenti su fondi di terzi.
Le costruzioni realizzate in confine con le piazze e le vie pubbliche non sono soggette
alle norme sulle distanze ma devono osservare apposite leggi e regolamenti (cd. fasce
di rispetto).
Se non insistano costruzioni su fondi vicini, ciascuno dei proprietari può costruirvi dove
meglio crede: chi edifica per primo gode del “diritto di prevenzione”.
a) Se colloca l’edificio sul confine, costringe il proprietario del fondo vicino a
osservare la distanza minima indicata dall’art. 873 c.c., ma questi può
alternativamente costruire in aderenza oppure in appoggio. Se costruisce in
appoggio, deve però rendere comune in tutto o in parte il muro eretto sul
confine, comunque per tutta l’estensione del suo fondo. Il proprietario del muro
è cioè obbligato con lui a concludere un contratto diretto a trasferirgliene una
quota. Se non adempie, l’altro può chiedere al giudice una sentenza costitutiva
degli effetti del contratto non concluso ma deve pagare la metà del valore del
muro, o della parte di muro resa comune, e la metà del valore del suolo su cui il
muro è costruito (cd. <<indennità di medianza>>). Deve poi eseguire le opere
che occorrono per non danneggiare il vicino (come, ad esempio, il
consolidamento del muro stesso).
b) Se colloca l’edificio distaccandosi dal confine per almeno la metà della distanza
minima stabilita tra le costruzioni, il proprietario che costruisce dopo non può che
osservare la distanza stabilita.
c) Se colloca l’edificio distaccandosi dal confine in misura inferiore alla metà della
distanza minima stabilita tra le costruzioni, il secondo proprietario può costruire
innanzitutto osservando la distanza dalla prima costruzione prescritta dalla legge
o dai regolamenti.

IL MURO DI CINTA, IL MURO ISOLATO E IL MURO DIVISORIO


Muro di cinta → non si considera per quanto riguarda il computo delle distanze tra
fabbricati.
Muro isolato → è un muro costruito all’interno della proprietà che non si calcola ai fini
della distanza prevista.
Muro che serve di divisione tra edifici → è un muro che si presume comune sino al punto
in cui uno dei due cominci ad essere più alto dell’altro.
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LE FINESTRE E LE ALTRE APERTURE SUL FONDO DEL VICINO. LE OPERE FASTIDIOSE O


NOCIVE, I FOSSI E LE PIANTE
Le finestre e le altre aperture sul fondo del vicino sono di due specie, a seconda che
permettono di affacciarsi (prospectio) e guardare (inspectio) sul fondo del vicino o non
lo permettano (in questo caso si parla di luci).
Nel primo caso sono dette <<vedute e prospetti>> e sono <<dirette>> se consentono di
affacciarsi, <<oblique e laterali>>, quando consentono di guardare il fondo del vicino
solamente girando il capo o gli occhi. Esistono pure le vedute <<a piombo>> che
consentono di affacciarsi e guardare gli edifici o i piani di un edificio sottostanti.
Le vedute dirette si possono aprire verso un fondo vicino, anche non chiuso, purché
sussista una distanza superiore a un metro e mezzo.
Le vedute oblique e laterali devono osservare la distanza di 75 cm, misurata dal lato
più vicino della finestra.
Se le vedute sono regolari o dirette, chi costruisce sul fondo vicino deve osservare la
distanza la distanza di tre metri dall’apertura o dalla finestra. Le vedute obliquo non
sono considerate, per la loro ubicazione, non potrebbero essere ostruite dalla nuova
fabbrica.
A loro volta, le <<luci>> possono essere <<regolari>>, se non consentono di guardare
sul fondo del vicino, o <<irregolari>>, nel caso opposto: il vicino ha in ogni tempo diritto
di esigere che la luce sia resa conforme alle prescrizioni stabilite dall’art. 901 c.c.
L’apertura delle luci regolari, che si trovano sul muro e si affacciano sul fondo del vicino,
è sempre consentita; se il muro è comune, si richiede l’accordo tra i comproprietari.
Per la potenziale nocività o il fastidio che possano arrecare, speciali distanze dal
confine sono pure prescritte per <<aprire pozzi, cisterne, fossi di latrina o di concime>>;
per posare tubi d’acqua pura o lurida, gas o simili o per collocare gli apiari.
Ai regolamenti locali si deve pure fare riferimento per quanto riguarda lo <<scavo di
fossi o canali presso il confine>>, se non dispongono in modo diverso i regolamenti
locali e, in mancanza, si deve osservare una distanza eguale alla profondità del fosso
o canale.
Ci sono anche delle distanze per <<piantare alberi>>. Chi vuol piantare alberi presso il
confine deve osservare le distanze stabilite dai regolamenti e, in mancanza, dagli usi
locali. Se gli uni e gli altri non dispongono, devono essere osservate le seguenti distanze
dal confine:
1) tre metri per gli alberi di alto fusto. Rispetto alle distanze, si considerano alberi di
alto fusto quelli il cui fusto, semplice o diviso in rami, sorge ad altezza notevole,
come sono i noci, i castagni, le querce, i pini, i cipressi, i pioppi;
2) un metro e mezzo per gli alberi di non alto fusto. Sono reputati tali quelli il cui
fusto, sorto ad altezza non superiore a tre metri, si diffonde in rami;
3) mezzo metro per le viti, gli arbusti, le siepi vive, le piante da frutto di altezza non
maggiore di due metri e mezzo.

L’USO DELLE ACQUE ESISTENTI SUL FONDO E I CONSORZI IDRICI


Tutte le acque superficiali e sotterranee appartengono al demanio dello Stato, anche
se gli usi diversi dal consumo sono sempre ammessi, sebbene <<nei limiti nei quali le
risorse idriche siano sufficienti e a condizione che non ne pregiudichino la qualità>>. Il
proprietario del fondo, che sia servito dall’acqua, non la può riversare sui fondi vicini.
Consorzi → sono forme di comunicazione sulle strutture immobiliari che consentono di
sfruttare la risorsa idrica e possono trarne origine:
- da un contratto → consorzi volontari;
- da un provvedimento amministrativo → consorzi amministrativi.
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L’USO EDIFICATORIO DEI SUOLI


Piano regolatore generale → riguarda la totalità del territorio comunale. Indica la rete
delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e navigabili e dei relativi
impianti, stabilendo una suddivisione del territorio comunale in zone.
Regolamento edilizio → contiene invece la disciplina delle modalità costruttive, con
particolare riguardo al rispetto delle normative tecnico-estetiche, di sicurezza e vivibilità
degli immobili e delle pertinenze degli stessi.
Gli interventi di nuova costruzione, di ristrutturazione urbanistica ed edilizia sono
subordinati al rilascio del permesso di costruire, da parte della competente autorità
comunale.
Il rilascio del permesso di costruire comporta il pagamento di un contributo in favore
dell’amministrazione.

LE AZIONI A DIFESA DELLA PROPRIETA’. LA RIVENDICAZIONE


Azione di rivendicazione → può essere messa in atto dal proprietario per ottenere la
condanna del convenuto a restituire la cosa mobile di cui ha il possesso o la
detenzione.
L’azione è imprescrittibile ed è soggetta a trascrizione, se abbia a oggetto immobili o
mobili iscritti in pubblici registri: la sentenza pronunziata contro il convenuto indicato
nella trascrizione della domanda ha effetto anche contro coloro che hanno acquistato
diritti dal medesimo in base a un atto trascritto dopo la trascrizione della domanda.
Chi agisce deve provare l’atto o il fatto giuridico che originato il diritto vantato (i c.d.
acquisti a titolo originario). Tra questi non sono ricompresi quegli atti (come il contratto)
che non originano la proprietà ma si limitano semplicemente a modificarla attraverso
una successione tra vivi.
Il possessore in buona fede, quando sia condannato a restituire la cosa, fa suoi i frutti
naturali separati sino al giorno della domanda e quelli civili maturati sino a quello stesso
giorno (ad esempio, i canoni di locazione dovuti dal conduttore al quale l’aveva
concessa in detenzione). Fino a quando non l’ha effettivamente restituita, risponde
verso il rivendicante dei frutti percepiti dopo la domanda giudiziale e di quelli che
avrebbe potuto percepire dopo tale data con l’ordinaria diligenza.
Il possessore in mala fede non fa ovviamente propri i frutti e risponde verso il
rivendicante per tutti i frutti che avrebbe potuto percepire con la normale diligenza.
Il possessore (come il detentore) in mala fede, quando sia tenuto a restituire i frutti
indebitamente percepiti, ha diritto comunque al rimborso delle spese fatte per produrli
e raccoglierli e a quelle sostenute per le riparazioni ordinarie, limitatamente al tempo
per il quale la restituzione è dovuta.

LA NEGATORIA, IL REGOLAMENTO DI CONFINI E L’APPOSIZIONE DI TERMINI


Azione negatoria → ha come scopo quello di far accertare da parte del giudice
l’inesistenza di diritti reali vantati da 1/3 sulla cosa che potrebbero far temere al
proprietario di poterne essere pregiudicato.
Azione di regolamento di confini → mira ad ottenere un accertamento giudiziale
sull’estensione della proprietà immobiliare.
Azione di apposizione di termini → presuppone la certezza di confine tra due fondi e
mira ad ottenere che il vicino contribuisca alle spese comuni per apporre i segni dei
confini.
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I DIRITTI REALI DI GODIMENTO


Diritti reali di godimento → diritti su una cosa altrui che limitano le facoltà di godimento
che spettano al proprietario del bene.

LA SUPERFICIE
Superficie → è il diritto di edificare e di mantenere sul suolo o sottosuolo altrui una
propria costruzione. Il proprietario del suolo, tramite contratto o testamento, può
consentire al superficiario di entrare nel suo terreno e di costruirci una sua costruzione.
Il diritto di superficie si può costituire:
- per contratto con forma scritta;
- per testamento;
- per usucapione, ma in questo caso si discute se sia possibile usucapire il diritto ad
edificare, mentre è pacifico che possa essere usucapita la proprietà superficiaria.
L’oggetto del diritto di superficie:
- costruzioni al di sopra o al di sotto del suolo (art. 955 c.c.);
- non possono essere concesso il diritto di superficie per le piantagioni (art. 956 c.c.).
L’estinzione del diritto di superficie (art. 954 c.c.):
- scadenza del termine;
- prescrizione; in questo caso bisogna distinguere tra il diritto ad edificare e quello
relativo alla proprietà superficiaria.
o Diritto ad edificare si estingue per prescrizione ventennale per non uso
o Proprietà superficiaria è imprescrittibile

L’ENFITEUSI
Enfiteusi → è il diritto reale di godimento su cosa altrui che permette ad un’altra persona
(enfiteuta) di godere degli stessi diritti di cui dispone il proprietario sulla cosa.
Divieto di subenfiteusi → l’enfiteuta può inoltre trasferire il proprio diritto a terzi tramite
testamento o contratto e può costituire sul fondo servitù e altri diritti reali di godimento,
tranne l’enfiteusi.
L’enfiteusi si può costituire per:
- contratto;
- testamento;
- usucapione sia del diritto del concedente che di quello dell'enfiteuta.
L'enfiteuta può disporre del suo diritto sia per atto tra vivi che per testamento (artt. 965
e 967 c.c.).
La forma scritta è richiesta a pena di nullità. Può affrancare il fondo in qualsiasi
momento pagando al proprietario una somma pari a 15 volte il canone annuo. L'atto
di affrancazione costituisce un diritto potestativo contro il quale il proprietario non può
opporsi. Non è ammessa la subenfiteusi (art. 968 c.c.). Ha l'obbligo di migliorare il fondo.
Ha l'obbligo di pagare un canone periodico che può consistere anche in una quantità
fissa di prodotti naturali (art. 960 c.c.).
Il proprietario può chiedere la liberazione del fondo enfiteutico se l'enfiteuta deteriora
il fondo o non adempie all'obbligo di migliorarlo o, infine, è in mora nel pagamento di
due annualità di canone. Quando cessa l'enfiteusi deve rimborsare l'enfiteuta dei
miglioramenti e delle addizioni effettuate. Può chiedere la ricognizione del proprio
diritto un anno prima del compimento del ventennio a chi si trova nel possesso del
fondo.
La ricognizione è un atto di accertamento del diritto delle parti (art. 969 c.c.).
Il diritto non può avere durata inferiore a vent’anni, salvo il diritto di affrancazione. Si
può costituire in maniera perpetua. Si prescrive per non uso ventennale.
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L’enfiteusi si estingue:
- decorso del termine eventualmente stabilito;
- prescrizione ventennale;
- affrancazione;
- devoluzione;
- perimento totale del fondo (art. 963 c.c.).

L’USUFRUTTO
Usufrutto → diritto reale di godimento in virtù del quale si attribuisce ad un soggetto
(usufruttuario) il diritto di godere di una cosa di un altro traendone tutte le utilità che
possano derivare dalla cosa nel rispetto della sua destinazione economica. Il
proprietario vero della cosa viene definito nudo proprietario. Deve essere
necessariamente temporaneo, deve avere una durata limitata nel tempo. Se
l’usufrutto è costituito a favore di una persona fisica dura fino alla morte dell’usufruttario
e non può andare oltre la sua morte. Se invece l’usufrutto è costituito a favore di una
persona giuridica (ente) non può andare oltre 30 anni. Non è ammesso l’usufrutto
successivo, solo per successione. È ammesso l’usufrutto congiuntivo, cioè viene
costituito in favore di più persone.
Oggetto dell’usufrutto:
- cose fruttifere → producono frutti;
- inconsumabili → l’oggetto dell’usufrutto non può estinguersi con l’oggetto dello
stesso;
- consumabile → si parla di quasi usufrutto: l’usufruttario al termine dell’usufrutto non
dovrà restituire la cosa, ma ne dovrà restituire altre di uguale qualità e quantità.
Modi di acquisto dell’usufrutto:
➢ legale → stabilito dalla legge;
➢ volontario → si costituisce per volontà delle parti: per contratto, per testamento.
Azioni possessorie → l’usufruttario può agire quando viene spogliato nel possesso del
bene oppure nell’esercizio di godimento del diritto.
Azione di rivendica → un’altra persona si è preso il bene dell’usufruttario perché
riteneva che l’usufruttario non fosse titolare di quel diritto. Se il giudice gli dà ragione
l’usufruttario avrà diritto alla restituzione del bene.
Azione negatoria → viene esercitata quando abbiamo nelle terze persone che
rivendicano sulla cosa dei diritti reali che in realtà poi non hanno e quest’azione va
accertata in giudizio.
Azione di accertamento → accerta il diritto di usufrutto.

L’USO E L’ABITAZIONE
Uso → è il diritto reale di godimento che attribuisce alla persona fisica di usare una cosa,
mantenendone la destinazione economica, appropriandosi dei frutti solo per ciò che
occorre ai suoi bisogni e a quelli della sua famiglia.
Abitazione → è una sottospecie di uso che attribuisce al titolare del diritto (habitator) di
abitare una casa, con le sue pertinenze e limitatamente ai suoi bisogni e della sua
famiglia.

LA SERVITU’
Servitù (servitù prediali nel caso di terreni) → sono i più importanti diritti reali di
godimento. Abbiamo due fondi: un fondo è di proprietario di Tizio (fondo dominante) e
l’altro fondo è di proprietà di Caio (fondo servente); Tizio esercita un’attività tramite il
fondo servente. Il fondo servente è gravato su un peso che è volto a garantire un’utilità
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al fondo dominante. La caratteristica principale della servitù è la predialità → il


vantaggio riguarda il fondo dominante, non il proprietario del fondo dominante.
Servitù irregolare → ci sono tra i proprietari dei rapporti obbligatori.
Elementi costitutivi di una servitù:
- il fondo dominante e il fondo servente devono appartenere a due proprietari
diversi e non alla stessa persona;
- la vicinanza tra fondi → il fondo servente deve creare un’utilità per il fondo
dominante anche se non sono attaccati;
- l’utilità;
- ambulatorietà → la servitù segue il fondo presso tutti i successivi proprietari e non si
può cedere la proprietà senza la servitù e viceversa;
- la servitù grava sull’intero fondo servente e va a vantaggio dell’intero fondo
dominante;
- unilateralità → la servitù è unilaterale; è a posto carico di un fondo ed è vantaggio
di un altro;
- servitù reciproche → io sono proprietaria di un fondo dominante e godo di una
servitù ai tuoi confronti e viceversa;
- perpetuità -→ sono vincoli che valgono per sempre.
Prestazioni accessorie → sono le opere che deve svolgere il titolare del fondo servente
per poter rendere possibile il normale esercizio della servitù, tuttavia esse rimangono del
tutto estranee al contenuto della stessa servitù.
Adminicula servitus → sono opere e attività funzionali all’esercizio del diritto di servitù
che devono consistere in un non facere o in un pati del titolare del fondo servente.

LE SERVITU’ VOLONTARIE
Servitù volontarie → sono le servitù concesse dal titolare del fondo servente al titolare
del fondo dominante con il testamento o con il contratto che dovrà essere tuttavia
stipulato in forma scritta e sarà soggetto a trascrizione.
Nel caso in cui le servitù vengano costituite a favore del fondo gravato da diritti reali di
godimento, l’enfiteuta, il superficiario e l’usufruttario possono, con contratto o con
testamento, costituire una nuova servitù a favore del fondo oggetto del loro diritto,
anche senza il consenso del concedente.
Invece, nel caso in cui le servitù vengano imposte sul fondo gravato da diritti reali di
godimento, l’enfiteuta e il superficiario possono aggravare il fondo oggetto del loro
diritto di una nuova servitù: questa cessa, tuttavia, quando il loro diritto si estingua per
decorso del termine, per prescrizione e, limitatamente, all’enfiteusi, per devoluzione.

LE SERVITU’ COATTIVE
Servitù coattiva (art. 1032 c.c.) → la stessa legge prevede in capo al soggetto il diritto
potestativo di creare una servitù su di un fondo servente. Nei casi previsti dalla legge la
servitù coattiva si costituisce tramite un provvedimento della pubblica amministrazione:
- servitù di acquedotto coattivo → consente al fondo dominante di far passare sul
fondo servente le acque necessarie ai bisogni della vita, per usi agricoli o industriali;
- servitù di scarico coattivo → consente al titolare del fondo dominante di scaricare
acque sovrabbondanti sul fondo servente vicino;
- somministrazione coattiva di acqua ad un edificio → quando una casa ha bisogno
dell’acqua necessaria per l’alimentazione degli uomini o degli animali o per altri
usi domestici e non riesce a procurarsela se non attraverso procedimento
dispendioso, allora il titolare del fondo vicino deve consentire che gli abitanti di
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essa possano prendere dal suo fondo l’acqua di sopravanzo per soddisfare i loro
bisogni;
- somministrazione coattiva di acqua ad un fondo → necessità di irrigare i campi
prelevando acqua dal fondo vicino;
- servitù di passaggio coattivo → può essere costituita su fondo altrui ma non su case,
giardini, cortili…, ma soltanto se un fondo sia intercluso in maniera assoluta, oppure
possa ricavarsi a via d’uscita ma solo attraverso un grande spreco o ancora
laddove un’uscita ci sia già ma sia insufficiente per il transito dei veicoli
appartenenti al titolare del fondo vicino;
- servitù di elettrodotto e passaggio coattivo di linee telefoniche → impongono al
proprietario dei fondi di consentire il passaggio di condutture elettriche o di linee
telefoniche.

LE SERVITU’ ACQUISTATE PER USUCAPIONE E DESTINAZIONE DEL PADRE DI FAMIGLIA


Una servitù è apparente quando sul fondo servente ci sono delle opere visibili che
vengono usate per l’esercizio della servitù e quando sussistano opere:
- permanenti;
- situate sul fondo servente o su quello dominante;
- visibili;
- destinate all’esercizio della servitù.
Le servitù apparenti possono essere acquistate:
- per usucapione → il proprietario del fondo dominante esercita la servitù per 20
anni. In caso se la esercita in buona fede gli anni richiesti non sono 20 ma sono 10;
- per <<destinazione del padre di famiglia>> (art. 1062 c.c.) → abbiamo due fondi
che erano di proprietà della stessa persona. Un fondo doveva servire all’altro.
Quando non c’è più lo stesso proprietario si ritiene che la servitù si venga a costituire
di diritto.
Il proprietario di un unico fondo può infatti porre o lasciare destinare alcune opere
realizzate su una parte del fondo per recare servizio o anche soltanto ornamento a
un’altra.
La parte del fondo sul quale insistono le opere destinate a servizio o ornamento
dell’altra viene alienata oppure viene alienata la parte che ne sia beneficiata.
Servitù non apparenti → non ci sono queste opere sul fondo.

ALTRI TIPI DI SERVITU’


Ci sono altri tipi di servitù:
- servitù continue → per l’esercizio della servitù non è necessaria l’attività dell’uomo;
- servitù discontinue → per l’esercizio della servitù è necessaria l’attività dell’uomo;
- servitù positive → si realizza tramite un’attività del proprietario del fondo
dominante;
- servitù negative → la servitù si realizza per un non facere, se il proprietario del fondo
servente non compie alcuna attività;
- servitù pubbliche → sono le servitù che la pubblica amministrazione crea su quelle
dei privati.

AZIONI A DIFESA DELLA SERVITÙ


Azione confessoria servitutis → qualcuno ha messo in discussione l’esistenza della
servitù; la servitù viene riconosciuta ma il proprietario del fondo dominante non riesce
a esercitare la servitù perché qualcuno lo disturba (comportamenti turbativi).
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LA COMUNIONE, IL CONDOMINIO E LA MULTIPROPRIETA’


LA COMUNIONE
LA COMUNIONE DI DIRITTI REALI IN GENERE
Comunione → appartenenza di uno stesso diritto reale (per lo più di proprietà) a più
persone, comunanza. A seconda del diritto reale in comunione si parla pure di
comproprietà, di co-superficie, di co-enfiteusi, di co-usufrutto, di co-uso o di co-
abitazione.
Comproprietà → diritto di proprietà definito dal fatto di spettare a più di un soggetto,
proprietà in comune con altri.
La comunione non deve essere confusa con la <<società>>, alla quale si riconosce
invece soggettività giuridica propria, e che l’art. 2247 c.c. definisce come il contratto
con il quale due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di
un’attività economica, allo scopo di dividerne gli utili.

L’USO DELLA COSA COMUNE E LA DISPOSIZIONE DELLA QUOTA


Nel sistema della comunione del diritto di proprietà per quote ideali, ciascun
partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e
non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto (art.
1102 c.c.).
Quota → è la capacità di ognuno di essi di comprimere gli altri, in base alle quote si
ripartiscono in una comunione i vantaggi e i pesi.
Ci sono diversi tipi di comunione:
➢ volontaria → dipende da un contratto concluso tra i contraenti;
➢ incidentale → si realizza come effetto legale di una successione a causa di
morte;
➢ forzosa o coattiva → la divisibilità della cosa comune è limitata, poiché se la cosa
comune venisse divisa cesserebbe di servire all’uso a cui è destinata.

GLI OBBLIGHI DEI PARTECIPANTI E L’AMMINISTRAZIONE DELLA COSA COMUNE


I partecipanti sono obbligati, in base alle rispettive quote, a concorrere alle spese
necessarie per conservare la cosa e per migliorare il godimento di essa.
L’amministrazione della cosa comune non compete al singolo partecipante ma alla
maggioranza dei partecipanti, da calcolare tuttavia non per teste ma in proporzione
alla quota di ognuno. La deliberazione assunta vincola anche i dissenzienti.
È sufficiente la maggioranza semplice:
a) per le deliberazioni che riguardano gli atti di ordinaria amministrazione (cioè
quelli destinati al godimento e alla conservazione della cosa, come tinteggiare
l’alloggio comune o sostituirvi lo scarico del bagno);
b) per deliberare il regolamento per l’ordinaria amministrazione e il miglior
godimento della cosa comune;
c) per delegare l’amministrazione a uno o più partecipanti o a un terzo estraneo,
stabilendone i poteri e gli obblighi.
Si richiede invece la maggioranza dei 2/3 del valore complessivo della cosa comune
per compiere gli atti di <<straordinaria amministrazione>> o le <<innovazioni>> sulla
cosa diretta a migliorarla o a renderne più comodo o più redditizio il godimento.
Le <<innovazioni>> sono quelle operazioni che modificano in maniera profonda e
manifesta la cosa comune: ad esempio, si trasforma la soffitta dell’alloggio in un locale
abitabile oppure si trasforma il cortile in un giardino.
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Le deliberazioni dei partecipanti non devono essere assunte contestualmente in


un’assemblea formalmente convocata, né tanto meno essere contenute in un verbale
scritto.
Ciascuno dei componenti la minoranza dissenziente può impugnare la delibera
davanti all’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento:
a) se i partecipanti non siano stati preventivamente informati sull’oggetto della
deliberazione;
b) quando, trattandosi di ordinaria amministrazione, la delibera sia gravemente
pregiudizievole per la cosa comune;
c) se, trattandosi di straordinaria amministrazione o di innovazioni, la delibera possa
pregiudicare il godimento di alcuno dei partecipanti o importare una spesa
eccessivamente onerosa.

LO SCIOGLIMENTO DELLA COMUNIONE


Se si tratta di cose divisibili, ogni partecipante può chiedere lo scioglimento della
comunione (cd. divisione).
Se i partecipanti prestano il loro consenso allo scioglimento della comunione la divisione
si dice convenzionale, diversamente se i compartecipi non acconsentono allo
scioglimento si ricorre ad un apposito procedimento, dinanzi all’autorità giudiziaria,
diretto ad ottenere la divisione cd. giudiziale.
Se il bene è indivisibile la comunione non può essere sciolta, tale previsione va tuttavia
interpretata in modo restrittivo: non rileva, infatti, la divisibilità oggettiva del bene.

IL CONDOMINIO DI EDIFICI
LE PARTI COMUNI DELL’EDIFICIO E LO SCIOGLIMENTO
Il condominio si caratterizza per la coesistenza, accanto a due o più proprietà esclusive
di alloggi costruiti su diversi piani o diverse porzioni dello stesso piano, della
comproprietà di alcune parti dell’edificio. La contitolarità del diritto di proprietà sulle
cose nasce quando il proprietario esclusivo dell’intero edificio trasferisce ad altri la
proprietà di un alloggio. Se tutti i condomini sono d’accordo le parti comuni possono
essere divise contrattualmente, anche se in tal modo si rende incomodo l’uso di alcuni
condomini. Diversamente, non può invece essere accolta la domanda giudiziale di
divisione, proposta da uno o più condomini se, in seguito allo scioglimento della
comunione, l’uso della cosa a ciascun comproprietario verrebbe reso più incomodo.

L’USO INDIVIDUALE DELLE PARTI CONDOMINIALI E I LIMITI ALLA PROPRIETA’ ESCLUSIVA


DEI SINGOLI APPARTENENTI
Alla comproprietà delle cose comuni si applicano le norme sulla comunione, salvo che
non sia diversamente disposto. A differenza della comunione la quota di
partecipazione alla comproprietà è proporzionata al valore del piano o proporzione di
piano che gli appartiene, salvo diversamente disposto dal titolo. Inoltre, ogni
condomino non può disporre della quota sulle parti condominiali separatamente dalla
proprietà del suo appartamento, salvo il consenso degli altri.

GLI OBBLIGHI DEI SINGOLI CONDOMINI


I condomini sono obbligati a partecipare alle spese necessarie per la conservazione e
per il godimento delle parti comuni dell’edificio e per la prestazione dei servizi
nell’interesse comune, ma non è ammesso l’abbandono liberatorio della quota di
proprietà delle cose condominiali per liberarsi dal debito riguardante le spese per la
loro conservazione.
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Ciascun condomino partecipa alle “spese”.


Quando un edificio abbia infine più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati
a servire una parte dell’intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono
a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità.
Regole particolari valgono per:
a) per la <<manutenzione e la ricostruzione delle scale e degli ascensori>>;
b) per la <<manutenzione e ricostruzione dei soffitti>>;
c) per le <<riparazioni o ricostruzioni di lastrici solari>>.

LA GESTIONE DELLA COSA COMUNE E LE DELIBERAZIONI DELL’ASSEMBLEA


La gestione delle cose condominiali è attribuita in maniera concorrente
all’<<assemblea dei condomini>> e all’<<amministratore>>. Può essere pure nominato
un <<consiglio di condominio>> composto di almeno 3 condomini, quando nell’edificio
sussistano almeno 12 unità immobiliari: esso svolge solo funzioni consultive e di controllo.
In mancanza di nomina dell’amministratore da parte dell’assemblea, coloro che ne
svolgono le relative funzioni, devono rendere note agli altri condomini e ai terzi le loro
generalità e i loro recapiti, tramite affissione in un luogo di accesso al condominio (ad
esempio presso la bacheca del portiere) o di maggior uso comune (come il cortile
destinato al parcheggio).
Nel condominio di edifici si richiede l’osservanza di un apposito procedimento (metodo
assembleare), al quale le parti non possono rinunziare o che non possono derogare
attraverso il contratto, a causa della tipicità dei diritti reali.
Occorre quindi che tutti i condomini siano invitati a prendere parte a un’apposita
riunione, tramite avviso comunicato loro almeno 5 giorni prima della data fissata per
l’adunanza, tramite lettera raccomandata, PEC, fax o consegna a mano, nella quale
le deliberazioni devono essere documentate per iscritto, tramite processo verbale da
trascriversi in un registro apposito tenuto dall’amministratore, e, quando costituiscano,
modifichino o estinguano un diritto reale, da trascrivere nei registri immobiliari.
In prima convocazione, l’assemblea è costituita con le maggioranze stabilite all’art.
1136 c.c. e la deliberazione è valida e vincola gli assenti e i dissenzienti se è adottata
con le maggioranze stabilite all’art. 1136. Quando la prima convocazione sia priva di
persone, l’assemblea è regolarmente costituita con l’intervento di tanti condomini che
rappresentino almeno 1/3 del valore dell’intero edificio e 1/3 dei partecipanti al
condominio. La deliberazione è valida se approvata dalla maggioranza degli
intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno 1/3 del valore dell’edificio. Si
richiede tuttavia la maggioranza per teste e per valore dell’edificio:
a) per la nomina e la revoca dell’amministratore,
b) per le liti attive a passive relative alle materie che esorbitano dalle attribuzioni
dell’amministratore;
c) per la ricostruzione dell’edificio;
d) per le riparazioni straordinarie di notevole entità;
e) per far cessare le attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle
destinazioni d’uso delle parti comuni;
f) per consentire le innovazioni che hanno come oggetto opere e interventi volti a
migliorare la sicurezza degli edifici e degli impianti;
g) per installare impianti di videosorveglianza nelle parti comuni;
h) per autorizzare l’amministratore a partecipare e collaborare ai progetti;
i) per deliberare l’attivazione del sito internet del condominio.
Si richiede invece il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti per le
deliberazioni che hanno per oggetto le <<innovazioni>> dirette al miglioramento o
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all’uso più comodo o al maggior rendimento e quelle destinate ad autorizzarne le


modifiche che si sono rese necessarie per installare sul lastrico solare impianti di
produzione di energia da fonti rinnovabili, destinate a servire singole unità immobiliari.
Infine, l’assemblea delibera validamente con un numero di voti che rappresenti almeno
i 4/5 dei partecipanti al condominio e i 4/5 del valore dell’edificio, quando si intenda
modificare la destinazione d’uso delle parti comuni; in tale caso la convocazione e la
stessa delibera si trovano sottoposte al rigore formale previsto dall’art. 1117 c.c.
Una speciale disciplina riguarda anche il <<dissenso di ciascun condomino rispetto alle
liti>> promosse dall’assemblea o promosse dal terzo (o da un singolo condomino contro
il condominio), alle quali l’assemblea abbia deliberato di resistere: entro 30 giorni da
quando ha avuto notizia della deliberazione stessa, il condomino può notificare
all’amministratore un atto con il quale manifesta il proprio dissenso.
Gli atti di disposizione della cosa comune richiedono infine l’unanime consenso dei
condomini.
Ciascun condomino assente, dissenziente o astenuto può impugnare la delibera stessa
davanti all’autorità giudiziaria, chiedendone l’annullamento, quando essa contrasti
con la legge o con il regolamento condominiale.

L’AMMINISTRATORE E IL REGOLAMENTO
Amministratore → è quella persona fisica o giuridica, nominata per un anno
dall’assemblea con la maggioranza per teste e per valore dell’edificio, stabilita dall’art.
1136 c.c., al quale compete:
a) l’esecuzione delle deliberazioni dell’assemblea stessa;
b) la cura dell’ordinaria amministrazione delle parti comuni;
c) la riscossione e l’erogazione dei contributi occorrenti per l’amministrazione stessa;
d) il compimento degli atti conservativi relativi alle parti comuni e all’esecuzione
degli adempimenti fiscali;
e) la tenuta del registro di anagrafe condominiale, dei verbali delle assemblee,
della nomina e revoca dell’amministratore e di quello di contabilità;
f) la conservazione della documentazione relativa alla gestione;
g) l’attestazione a ciascun condomino che glielo richieda dell’attestazione dello
stato dei pagamenti e delle eventuali liti in corso;
h) la redazione del rendiconto annuale della gestione e la convocazione
dell’assemblea per la relativa approvazione;
i) l’attivazione e la cura del sito internet.
Può convocare l’assemblea quando lo ritenga necessario e deve convocarla
annualmente per la nomina di un nuovo amministratore e rendere il conto della
gestione oppure quando lo richiedano almeno due condomini che rappresentino 1/6
del valore dell’edificio.
A differenza della comunione, nel condominio l’adozione del regolamento è
facoltativa se i condomini sono meno di dieci.

IL SUPERCONDOMINIO E LA MULTIPROPRIETA’
LA NOZIONE
Super condominio → quando i proprietari di alloggi, situati in condomini differenti,
hanno in comune la proprietà di beni immobili.
Multiproprietà → più soggetti sono pieni proprietari di uno stesso immobile.
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LA TRASCRIZIONE
La trascrizione è lo strumento di pubblicità predisposto dall’ordinamento per rendere
certi i fatti che riguardano i beni immobili e i beni mobili registrati.
Si attua attraverso degli appositi registri dove sono riportate le notizie essenziali del bene
che interessa; per le automobili, ad esempio, è stato costituito il P.R.A. (pubblico registro
automobilistico), mentre per gli immobili presso i registri tenuti dalle conservatorie
immobiliari.
La trascrizione dell'atto di acquisto di un bene immobile non ne condiziona la validità
ma solo l'opponibilità ai terzi nel senso già chiarito in precedenza; di conseguenza si
conferma che nel nostro ordinamento vige il principio consensualistico, anche se la
gravità delle conseguenze relative alla mancata o ritardata trascrizione può far
dubitare della semplice efficacia dichiarativa della stessa; le trascrizioni per avere
effetto devono essere "continue", cioè trovarsi di seguito e collegate con i precedenti
atti di acquisto.
L'art. 2643 c.c. stabilisce quali sono gli atti che devono essere trascritti; i contratti che
trasferiscono la proprietà di beni immobili, o diritti reali di godimento sulla proprietà, o,
ancora la comunione costituita per tali diritti, i contratti di locazione di beni immobili
che hanno durata superiore a nove anni.
Secondo l'art. 2645 c.c. devono poi essere trascritti tutti gli atti che producono gli effetti
dei contratti previsti dall'art. 2643 c.c. come, ad esempio, la sentenza che costituisce
una servitù coattiva ex art. 1032 c.c.
L'art. 2644 c.c. sancisce l'opponibilità dell'atto nei confronti di altri che l'hanno trascritto
successivamente.
Non sono solo gli atti dell'art. 2643 a dover essere trascritti, ma il codice civile ne elenca
numerosi altri.
Nella trascrizione di contratti preliminari ex art. 2645 bis è previsto che la trascrizione del
contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione dei contratti
preliminari oppure della sentenza che accoglie la domanda diretta ad ottenere
l'esecuzione in forma specifica dei contratti preliminari suddetti, prevale su analoghi atti
effettuati successivamente da altri.
Ancora devono essere trascritte le divisioni; la trascrizione dell'eredità e del legato se
ha ad oggetto beni immobili; le sentenze e le domande giudiziali e la trascrizione di atti
di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con
disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche.
È essenziale, per l'opponibilità ai terzi, che ci sia la continuità della trascrizione.
Secondo l'art. 2650 c.c. se un atto di acquisto è soggetto a trascrizione, le successive
trascrizioni o iscrizioni a carico dell'acquirente non producono effetto, se non è stato
trascritto l'atto anteriore di acquisto.
Sulla procedura per la trascrizione è necessario, secondo l'art. 2657 c.c. possedere una
sentenza o una scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata
giudizialmente, oppure un atto pubblico.
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LE OBBLIGAZIONI E LA RESPONSABILITA’
L’OBBLIGAZIONE IN GENERALE
LA NOZIONE
Obbligazione (artt. 1173 e ss. – libro quarto) → è una relazione giuridica intersoggettiva
in funzione della quale un soggetto (debitore) è tenuto ad una o più prestazioni
suscettibili di valutazione economica al fine di soddisfare un interesse anche non
economico di un altro soggetto (creditore).
Se la figura del creditore e del debitore coincide, cioè sono la stessa persona,
l’obbligazione si estingue (obbligazione per confusione).

LA PRESTAZIONE
La prestazione indica il <<contenuto>> del rapporto obbligatorio: essa consiste nel
comportamento al quale il debitore è tenuto, indirizzato alla realizzazione di un risultato
vantaggioso per il creditore.
Ci sono diversi tipi di obbligazione:
➢ obbligazioni di mezzi (avvocato) → aveva soltanto la prestazione del debitore;
➢ obbligazioni di risultato (appaltatore) → si fa unicamente riferimento alla
realizzazione di un fine.
I rapporti obbligati sono classificati in base ai tipi di prestazione:
➢ obbligazioni di consegna o rilascio → riguardano quelle in cui l’attività del
debitore consiste nell’attribuire al creditore il possesso o la detenzione di una
cosa mobile (consegna) o immobile (rilascio);
➢ obbligazioni di fare;
➢ obbligazioni di non fare → es. non fare concorrenza;
➢ obbligazioni di concludere un contratto → es. preliminare di vendita.
Ci sono poi altri tipi di obbligazioni:
- positiva/negativa → non coincidono con quelle di fare e non fare, poiché quella
negativa comprende anche il non consegnare, non concludere un contratto;
- istantanea/di durata → in quella di durata la realizzazione dell’interesse del
creditore richiede che il debitore mantenga la propria prestazione per un certo
periodo di tempo, che può essere continuato (prestazione continuata), oppure ad
intervalli (prestazione periodica).
Requisiti:
➢ prestazione patrimoniale → la prestazione del creditore ha un valore espresso in
denaro;
➢ possibilità → la prestazione deve essere possibile (si deve poter realizzare), sia da
un punto di vista materiale, sia dal punto di vista giuridico;
➢ liceità → la prestazione non deve essere contraria a norme imperative (leggi
scritte) di ordine pubblico e di buon costume (morale);
➢ determinatezza → la prestazione deve essere determinata oppure
determinabile.

I MODI DI ESTINZIONE DELL’OBBLIGAZIONE


Modi di estinzione dell’obbligazione → sono situazioni che portano sempre all’estinzione
dell’obbligazione, però questa estinzione avviene senza che il debitore compia la
prestazione.
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Sono:
- novazione → è l'estinzione di un rapporto di obbligazione tra due parti (creditrice
e debitrice) con conseguente nascita di uno nuovo, rispetto al precedente mutato
nel titolo o nell'oggetto;
- remissione del debito → è l'atto giuridico con il quale il creditore rinuncia
volontariamente al proprio credito. La remissione comporta l'estinzione
dell'obbligazione ed in quanto atto abdicativo, solo come effetto riflesso, la
liberazione del debitore e tutti coloro che avevano garantito l'adempimento
(fideiussori);
- compensazione → è un modo di estinzione delle obbligazioni diverso
dall'adempimento, disciplinato dal codice civile italiano agli articoli 1241-1252.;
- confusione → è un modo di estinzione dell'obbligazione diverso dall'adempimento
che si ha allorché le posizioni passive e attive del rapporto obbligatorio vengono a
coincidere e riunirsi nella medesima persona;
- impossibilità sopravvenuta della prestazione (art. 1256 c.c. e 1218 c.c.) → la
prestazione diventa impossibile successivamente al suo sorgere; il debitore non è
considerato responsabile di questa impossibilità e quindi non deve risarcire il
danno. L’impossibilità sopravvenuta da un lato estingue l’obbligazione, dall’altro
lato libera il debitore dalla responsabilità per inadempimento:
o assolutezza → a prescindere dallo sforzo del debitore l’impedimento non
può essere superato;
o oggettività → l’impossibilità deve essere un’impossibilità oggettiva, ciò
significa che nessun debitore riuscirebbe ad adempiere alla prestazione.
Può essere:
- definitiva → l’impedimento è tale per cui quella prestazione non potrà essere
eseguita e l’obbligazione si estingue automaticamente;
- temporanea → l’impedimento ha una durata limitata nel tempo; in questo caso
l’obbligazione si estingue solo se l’impedimento dura fino a quando il creditore non
ha più interesse alla prestazione stessa oppure quando il debitore non è più
obbligato ad eseguire la prestazione.
Inoltre, può essere:
- totale → l’intera prestazione è divenuta inesigibile, quindi non può essere eseguita;
- parziale → la prestazione può essere eseguita in parte, il creditore è obbligato ad
accettare il cosiddetto adempimento parziale.

LA RESPONSABILITA’ PATRIMONIALE
LA NOZIONE
Responsabilità patrimoniale → il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni
con tutti i suoi beni presenti e futuri. Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse
se non nei casi stabiliti dalla legge.

L’ESECUZIONE IN FORMA SPECIFICA


Può capitare che l’obbligazione che è rimasta inadempiuta non abbia ad oggetto una
somma di denaro ma l’esecuzione di una prestazione specifica ovvero la consegna o
il rilascio di una cosa determinata in favore del creditore.

L’ESECUZIONE MEDIANTE ESPROPRIAZIONE FORZATA


Dell’espropriazione forzata esistono diverse forme.
Innanzitutto, c’è né una per i beni mobili, una per i beni immobili e una per i crediti.
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C’è poi l’espropriazione di beni indivisi, esperibile quando l’esecuzione ha ad oggetto


la contitolarità di un diritto su un bene, e l’espropriazione contro il terzo proprietario,
esperibile quando di un debito altrui risponde, con beni propri, un terzo.

LA PAR CONDITIO CREDITORIUM


Par conditio creditorium (art. 2741 c.c.) → ciascun creditore ha egual diritto ad essere
soddisfatto tramite i beni del debitore, poiché tale diritto presuppone che quei beni
possono essere rinvenibili nel patrimonio del debitore in misura sufficiente a soddisfare
tutti i suoi creditori. In alcuni casi poi è la stessa legge che stabilisce che alcuni creditori
devono essere soddisfatti prima di altri.

I PRIVILEGI, IL PEGNO E LE IPOTECHE


I PRIVILEGI
Privilegi → sono crediti che la legge prevede che siano soddisfatti prima di altri.
Tale preferenza dipende dalla causa del credito. I privilegi possono essere generali e
speciali.
I privilegi si possono distinguere in:
- privilegio generale → il creditore a cui è riconosciuto tale privilegio è preferito agli
altri creditori, se il credito non è sorto in data successiva al pignoramento.
Dispongono di tale privilegio: i crediti dello Stato per le imposte sui redditi, i crediti
per le retribuzioni di professionisti e prestatori d’opera, ecc…. Il privilegio non può
essere esercitato arrecando pregiudizio al diritto acquistato da un terzo, anche
successivamente al pignoramento, sempre che tale acquisto sia efficace nei
confronti del creditore pignorante. Il creditore con privilegio ha una posizione
differente dal semplice chirografario, solo quando si tratta di distribuire il ricavato
dal patrimonio del debitore tra i diversi creditori;
- privilegio speciale → il creditore con tale privilegio su mobile o immobile, è preferito
agli altri creditori nella distribuzione del ricavato, quando l’esecuzione riguarda un
determinato bene. È invece da considerarsi come un semplice chirografario, se si
tratta della distribuzione del ricavato della vendita di ogni altro bene del
patrimonio del debitore.
Diritto di ritenzione → è il diritto del creditore, in alcune situazioni, di trattenere la cosa
soggetta a privilegio, sino a quando non sia stato soddisfatto.

IL PEGNO DI COSE MOBILI


Attraverso il pegno di cosa mobile, uno o più creditori del debitore si trovano preferiti
ad altri (cd. chirografari) nella distribuzione di ciò che si ricava dalla vendita di una
determinata cosa mobile di cui il debitore era titolare.
La costituzione del pegno avviene:
- con contratto, atto unilaterale o testamento;
- con l’acquisto del possesso in capo al creditore garantito.
Oggetto del pegno:
- beni mobili;
- universalità di mobili;
- crediti;
- altri diritti aventi ad oggetto beni mobili.
Sono tre le caratteristiche del pegno:
• accessorietà → il diritto che esso garantisce al creditore deve esistere;
• indivisibilità → il pegno rimane integro nonostante la parziale estinzione o il
frazionamento del credito;
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• realità → il pegno deve essere considerato un diritto reale.

IL PEGNO DI CREDITI
Il pegno può avere ad oggetto anche diritti di credito. Viene in tal caso riconosciuto al
creditore lo ius exigendi, cioè alla scadenza gli viene garantito di riscuotere il credito
ricevuto in pegno. Grazie allo ius, il creditore in mancanza di adempimento da parte
del debitore può procedere all’esecuzione forzata. Dopo la riscossione, se il diritto di
credito non è scaduto, e il creditore ha ottenuto dal debitore una cosa infungibile,
questa è costituita in pegno. Se invece il creditore ottiene dal debitore denaro o altri
fungibili, il pegno di credito si trasforma in pegno irregolare, ma il debitore può
richiedere che il ricavato sia depositato in un luogo concordato fino alla scadenza del
diritto di credito. Se invece il diritto di credito è scaduto quando avviene la riscossione,
se ha ad oggetto cose fungibili, il creditore deve ottenerne la vendita o l’assegnazione,
se invece ha ad oggetto denaro o altri fungibili, il creditore può tenersi quanto
necessario e restituire il resto al debitore.

L’IPOTECA
Ipoteca → è un diritto reale di garanzia che riguarda, principalmente, beni immobili
registrati. Esso, tuttavia, non comporta la perdita del possesso da parte del debitore del
bene stesso che è oggetto della garanzia.
L’ipoteca, rispetto al pegno presenta numerosi vantaggi per il debitore, tra i quali il fatto
che non gli venga materialmente sottratta la cosa e che quindi può ancora goderne
e sfruttarla economicamente. Ci sono anche vantaggi per il creditore, come per
esempio il fatto di non dover custodire e mantenere la cosa; tuttavia, il creditore
ipotecario perde contro quello con privilegio speciale immobiliare. Al contrario del
privilegio e del pegno, nel caso dell’ipoteca, la prelazione di un creditore è l’effetto di
uno speciale procedimento pubblicitario, detto iscrizione consente a chiunque di
avere conoscenza legale dell’atto giuridico che ha originato l’ipoteca.
Caratteristiche dell’ipoteca:
• specialità doppia → può avere ad oggetto sia beni che sono quindi determinati,
ma anche un credito garantito;
• accessorietà → l’ipoteca presuppone l’esistenza di un credito o di un bene;
• indivisibilità → il creditore non è costretto a provocare l’espropriazione delle
singole parti in cui la cosa è stata frazionata.

TIPI DI IPOTECA
Si possono avere tre tipi di ipoteca:
➢ volontaria → viene concessa, con la forma dell’atto pubblico o della scrittura
privata, dal debitore o dal terzo datore, con un contratto o un atto unilaterale tra
vivi. Può avere ad oggetto anche beni altrui o futuri o beni indivisi;
➢ giudiziale → si costituisce grazie ad una sentenza di condanna al pagamento di una
somma o all’adempimento di un’altra obbligazione o ad altri provvedimenti;
➢ legale → vincolo ipotecario su beni alienati o assegnati ai condividenti, come
garanzia per il pagamento dei compensi dovuti ai coeredi, soci, ecc.

LA RIDUZIONE, L’ESTINZIONE E LA CANCELLAZIONE


❖ Riduzione dell’ipoteca → il creditore limita la sua prelazione. Si esegue tramite
annotazione, presentando al conservatore un contratto tra debitore e creditore, o
un atto unilaterale del creditore, oppure una sentenza a favore del debitore.
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❖ Estinzione → dipende principalmente dall’estinzione dell’obbligazione che lega


debitore e creditore, dall’acquisto del diritto sul bene espropriato da parte
dell’acquirente alla vendita forzata o dalla rinunzia all’ipoteca da parte del
creditore che deve essere manifestata espressamente almeno attraverso scrittura
privata.
❖ Cancellazione → produce l’estinzione dell’ipoteca. Essa è un procedimento uguale
e contrario all’iscrizione: il creditore difatti può benissimo iscrivere una nuova ipoteca
che avrà effetti e grado dalla data della nuova iscrizione.

GLI EFFETTI DELL’IPOTECA NEI CONFRONTI DEL TERZO ACQUIRENTE


L’ipoteca consente al creditore di esercitare con prelazione il ius vendendi anche nei
confronti di chi abbia acquistato la cosa con atto trascritto successivamente
all’iscrizione dell’ipoteca stessa. Se la condanna del debitore è successiva alla
trascrizione del suo acquisto, il terzo che non abbia partecipato al giudizio può tuttavia
proporre al creditore espropriante tutte le eccezioni non opposte dal debitore e
confidare in tal modo di veder respingere le pretese vantate dal creditore.
❖ Rilascio → consente al terzo acquirente di sottrarsi alle spese di custodia del bene
durante l’espropriazione: attraverso una dichiarazione scritta consegnata presso la
cancelleria del tribunale, il terzo può dichiarare di voler far continuare
l’espropriazione presso un amministratore, che verrà nominato dal tribunale. Il terzo
potrà mantenere la proprietà del bene sino a quando esso non verrà aggiudicato
oppure nel frattempo recuperarlo pagando i vari creditori iscritti.
Possiamo distinguere due ipotesi di estinzione dell’ipoteca per <<purgazione>>:
❖ purgazione coattiva → si verifica quando il terzo ha un debito con il suo dante causa
di una somma sufficiente a soddisfare i vari creditori iscritti. Una volta pagati tutti i
debiti con i vari creditori, il terzo ottiene la cancellazione di tutte le ipoteche sul bene
che ha acquistato;
❖ purgazione volontaria → permette al terzo di non dover tirare fuori l’intera somma
pretesa dai creditori: purché non siano trascorsi 30 giorni dal pignoramento, il terzo
può offrire ai creditori di pagare il prezzo stabilito nell’atto di acquisto del bene o il
valore del bene dichiarato da lui nell’atto gratuito. Nei successivi 40 giorni ogni
creditore può chiedere l’espropriazione, offrendo di pagare la somma dichiarata
dal terzo acquirente aumentata di un decimo del valore totale. In mancanza
questo pagamento maggiorato, l’ipoteca si estingue con il deposito del prezzo da
parte del terzo acquirente.

LA “SURROGAZIONE” DELL’INDENNITA’ ALLA COSA, LA DIMINUZIONE DELLA


GARANZIA E IL DIVIETO DEL PATTO COMMISSORIO
Patto commissorio → è il patto con il quale si stabilisce che, se il debitore non paga il
credito entro un eventuale termine stabilito, il bene ipotecato o pignorato si trasferisce
al creditore, è nullo.
Ci sono diverse motivazioni che sono state date a tale divieto:
• si evitano eventuali abusi a cui potrebbe essere soggetto il debitore a causa del
suo stato di bisogno;
• patto marciano → è il patto che stabilisce che se il debitore non paga il debito
entro il termine stabilito, il creditore ottiene la proprietà della cosa ipotecata o
pignorata, ma deve restituire al debitore una somma di denaro che corrisponde
alla differenza tra la somma del debito e il valore della cosa;
• altri affermano che il divieto è strettamente legato alla par condicio creditorum,
poiché se fosse valido il patto commissorio il creditore garantito da pegno o
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ipoteca, acquistando la proprietà del bene ipotecato o pignorato, non solo


verrebbe preferito a tutti i chirografari nella distribuzione del ricavato della
vendita, ma priverebbe tutti gli altri creditori chirografari della loro possibilità di
soddisfarsi su quel bene.

I MEZZI DI CONSERVAZIONE DELLA GARANZIA PATRIMONIALE


LA LEGITTIMAZIONE SURROGATORIA E L’AZIONE REVOCATORIA (O PAULIANA)
Mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale → sono rimedi offerti al creditore
per ricostruire il patrimonio del debitore sul quale poter poi soddisfare i propri interessi
attraverso l’espropriazione forzata:
Legittimazione surrogatoria → permette al creditore di sostituirsi al debitore nell’esercizio
dei suoi diritti soggettivi e potestativi, nel caso in cui il debitore ne trascuri l’esercizio e a
patto che l’esercizio non sia attuabile esclusivamente dal titolare di essi.
Azione revocatoria (o pauliana) → grazie ad essa il creditore ottiene una sentenza
costitutiva che rende inefficaci tutti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il
debitore gli reca pregiudizio.

IL SEQUESTRO CONSERVATIVO E L’OPPOSIZIONE AL PAGAMENTO


Sequestro conservativo → permette al creditore di anticipare gli effetti del
pignoramento, facendo in modo che durante il procedimento per munirsi del titolo, il
debitore non svolga attività che possano diminuire il suo patrimonio. È il giudice che
dispone il sequestro dei beni appartenenti al patrimonio del debitore, sino
all’ammontare del credito.
Opposizione al pagamento → il creditore, per conservare la garanzia patrimoniale
verso il debitore, può dire al debitore del debitore di non pagare il suo debito.

L’ADEMPIMENTO
L’ADEMPIMENTO IN GENERALE
Adempimento (artt. 1176 c.c. e ss.) → è il mezzo tipico con cui si estingue il rapporto
obbligatorio (obbligazione). Consiste nell’esatta esecuzione della prestazione. Le
obbligazioni si estinguono con l’adempimento.
Requisiti:
- soggettivi (debitore e creditore):
o debitore → legittimazione ad adempiere → anche se il debitore è un
soggetto incapace la prestazione è valida. Anche il suo rappresentante
può adempiere. Oppure un semplice sostituto che è stato nominato dal
debitore;
o creditore → è legittimato a ricevere la prestazione, può essere ricevuto da
un rappresentante oppure dalle persone autorizzate dal giudice. Se il
creditore è incapace non può ricevere la prestazione;
- oggettivi:
o esattezza → ci deve essere una perfetta corrispondenza tra la prestazione
con cui ci si era accordati e la prestazione che è stata effettivamente
eseguita;
o integrale → l’adempimento deve essere integrale, a meno che non sia il
creditore ad accettare l’adempimento parziale;
o il debitore deve adempiere con cose cui può disporre.
Con le obbligazioni normali il semplice adempimento comporta una sanzione per il
debitore (eccezione 2236 c.c.), solo colpa grave e non nei casi di colpa lieve.
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IL LUOGO DELL’ADEMPIMENTO
L'obbligazione di consegnare una cosa certa e determinata deve essere adempiuta
nel luogo in cui si trovava la cosa quando l'obbligazione è sorta.

IL TEMPO DELL’ADEMPIMENTO
Secondo l'art. 1183 c.c. se è stabilito un termine l'adempimento deve essere eseguito
entro il termine convenuto. In mancanza di termine la prestazione può esigersi
immediatamente.

IL PAGAMENTO AL TERZO
Il pagamento al terzo fa estinguere l’obbligazione solo in determinate circostanze:
a) il terzo è autorizzato dalla legge a ricevere il pagamento;
b) il creditore autorizza, con atto unilaterale, il terzo a ricevere la prestazione;
c) il terzo deve ricevere e può esigere la prestazione, poiché il debitore non si
libererebbe dell’obbligo se la effettuasse presso il creditore a causa della sua
incapacità;
d) da una dichiarazione espressa o dall’arricchimento del creditore si può trarre
che il pagamento presso il terzo è liberatorio poiché l’interesse del creditore è
comunque soddisfatto;
e) il pagamento può essere liberatorio poiché il debitore ha per sbaglio confuso il
creditore con il terzo; il debitore deve dimostrare però la buona fede;
f) il pagamento può essere liberatorio poiché il debitore ha per sbaglio ritenuto
che il terzo fosse legittimato a riceverlo; deve però dimostrare la sua buona fede;
g) in tutti questi casi, infine, il terzo che ha ricevuto il pagamento deve restituirlo al
creditore.

LA CAPACITA’ DELLE PARTI, LA QUIETANZA, L’IMPUTAZIONE DEL PAGAMENTO E LE


SPESE
Il pagamento effettuato al creditore non è liberatorio, se questi era incapace di agire
oppure incapace di intendere o di volere, sempre che non si accerti che il suo interesse
risulta in ogni modo soddisfatto.
Al momento in cui ricevono il pagamento, il creditore o i terzi legittimati devono, se il
debitore lo chieda, rilasciarne <<quietanza>, cioè una dichiarazione scritta, rilasciata
dal creditore, con la quale si attesta che il pagamento è avvenuto.
Imputazione volontaria del pagamento → è una dichiarazione con cui il debitore
decide quale debito pagare. Ha struttura unilaterale, recettizia, non negoziale, e non
richiede alcuna forma particolare.

IL PAGAMENTO DELL’INDEBITO E L’ARRICCHIMENTO SENZA CAUSA


IL PAGAMENTO DELL’INDEBITO
Indebito oggettivo → il debitore effettua il pagamento, ma non sussiste nessun obbligo
che esso deve estinguere, oppure se tale obbligo esiste è venuto successivamente
meno:
a) inefficacia originaria della fonte generante l’obbligo;
b) la fonte generante l’obbligo è divenuta inefficace prima del pagamento;
c) l’obbligo è divenuto inefficace retroattivamente dopo il pagamento.
Indebito soggettivo ex latere creditoris → si ha l’obbligo, ma il debitore per sbaglio ha
pagato il credito al terzo. In tal caso però, il pagamento al terzo potrebbe aver estinto
il debito.
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Indebito soggettivo ex latere debitoris → pagamento effettuato da un terzo al creditore


vero. In tali casi l’adempimento estingue l’obbligo, ma bisogna quindi tutelare il terzo
che ha pagato un debito altrui e evitare l’arricchimento ingiustificato del debitore. Ci
sono due rimedi:
a) art. 2036 → il debitore si può rivolgere a chi ha ricevuto la prestazione, chiedendogli
di restituire quanto gli è stato dato, ma occorre che:
• il terzo provi di aver pagato il debito;
• che il debito fosse dovuto dal debitore vero;
• che il terzo provi di essersi ritenuto per sbaglio debitore;
• che tali sbagli siano scusabili;
b) pagamento con surrogazione → se non si ha obbligo di restituire il pagamento al
terzo, costui prende il posto del creditore nei confronti del debitore vero e può
pretendere da esso quanto già doveva al creditore.

IL CONTENUTO DELL’OBBLIGO RESTITUTORIO


Il contenuto dell’obbligo di restituzione dipende dalla natura della prestazione e dal
fatto che il creditore conoscesse o no, il carattere indebito della prestazione ricevuta:
il denaro deve essere restituito con gli interessi, le cose con i frutti.

LE PRESTAZIONI IRRIPETIBILI (SOLUTI RETENTIO)


Prestazioni irripetibili → sono situazioni in cui chi ha ricevuto un pagamento non è tenuto
a ridarlo indietro: prestazioni effettuate per dovere morale o in esecuzione di un
testamento o per il pagamento di un debito di gioco. In tutte queste ipotesi però il
pagamento torna ripetibile, se si prova che al momento in cui è avvenuto, il solvens era
incapace di intendere e di volere, o che era stato indotto a pagare con inganno o con
violenza.

L’ARRICCHIMENTO SENZA CAUSA


Arricchimento senza causa → chi ha subito una diminuzione patrimoniale a causa di
un fatto determinato, deve ottenere da chi se n’è avvantaggiato, un indennizzo, pari
allo spostamento patrimoniale avvenuto.

LA MORA DEL CREDITORE


LA MORA DEL CREDITORE
Si ha mora del creditore nell'ipotesi in cui il creditore, senza motivo legittimo, non vuole
accettare la prestazione originariamente prevista nel rapporto obbligatorio o non
compie quanto è necessario affinché il debitore possa adempiere l'obbligazione.
Quindi il creditore è in mora in due casi:
1) quando rifiuta la prestazione;
2) oppure quando omette di compiere le attività necessarie perché il debitore
possa adempiere; entrambe le ipotesi possono essere riassunte con
un'espressione sola: quando il creditore omette di cooperare col debitore.
La posizione del debitore è un vero e proprio vincolo giuridico, mentre la posizione
creditoria può definirsi come una posizione di potere, o una pretesa. Tuttavia, anche la
posizione del creditore è soggetta a degli obblighi che consistono principalmente nel
mettere il debitore nella posizione di poter adempiere senza problemi. Ovviamente
l’ipotesi in cui il creditore non voglia ricevere la prestazione deve essere considerata
anomala, tuttavia il caso è tutt'altro che infrequente: può accadere che costui voglia
continuare a lucrare gli interessi sulla prestazione dovuta, oppure che non abbia più
interesse a ricevere la prestazione.
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Agli articoli 1206 e seguenti la legge ha dettato una serie di norme volte a disciplinare
le conseguenze che si verificano quando il creditore rifiuta di cooperare col debitore.
Questo gruppo di norme può essere diviso in due sezioni, le quali disciplinano due istituti
diversi, ma correlati:
a) col primo gruppo di norme si disciplinano gli effetti della mora vera e propria, che
consistono in alcune conseguenze sfavorevoli per il creditore (articoli 1206, 1207,
1208);
b) nell'altro gruppo di norme si disciplinano i modi in cui, a seguito della mora, il
debitore può giungere a liberarsi dal vincolo (articolo 1209 e ss.).
Esempio → immaginiamo che io sia debitore verso Tizio di una partita di merce:
a) in una prima fase io mi presento a consegnare la merce in modo informale, il
giorno e il luogo stabiliti; il creditore non si presenta. In questo momento anche
se Tizio non coopera al ricevimento della prestazione, ancora non è in mora. In
questa fase, tuttavia, il rifiuto del creditore di ricevere la merce non è privo di
conseguenze di rilievo, in quanto impedisce che io (che sono il debitore) venga
considerato inadempiente e venga messo in mora;
b) a questo punto, se voglio mettere in mora il creditore, devo effettuare un'offerta
formale, e tale offerta deve essere o accettata dal creditore, oppure
convalidata dal giudice. Se il creditore non accetta la prestazione nonostante
l'offerta formale, da questo momento è in mora (articolo 1208 e ss.) e si
producono a suo sfavore alcune conseguenze, descritte all'articolo 1207;
c) giunti fin qui, però, potrei non essere ancora soddisfatto; il creditore è in mora,
ma io non ho nessuna intenzione di continuare a tenermi la merce e me ne voglio
liberare; posso procedere al deposito delle cose nei modi stabiliti dagli articoli
1210 e ss. e così mi libero della mia obbligazione.

GLI EFFETTI DELLA MORA


A carico del creditore sono posti tre ordini di effetti:
• passaggio del rischio → è a carico del creditore l'impossibilità sopravvenuta della
prestazione per causa non imputabile al debitore (art. 1207 c.c.);
• estinzione dell'obbligazione del creditore di versare gli interessi;
• risarcimento dei danni che il debitore abbia subito a causa del prolungamento
del vincolo.

I MODI DI ESTINZIONE DIVERSI DALL’ADEMPIMENTO


L’IMPOSSIBILITA’ SOPRAVVENUTA NON IMPUTABILE
L’impossibilità sopravvenuta sorge un ostacolo che non permette più di eseguire
l’obbligo. Tale ostacolo può essere un fatto naturale, il comportamento di un terzo, il
comportamento dello stesso creditore o ancora un atto dell’autorità (factum principis).
Commodum repraesentationis → permette al creditore di esigere il credito vantato dal
debitore verso un terzo che ha causato l’impossibilità. È un mezzo che serve ad
impedire un arricchimento ingiustificato del debitore e un impoverimento del creditore.
Remissione → il creditore dichiara che il debitore è liberato dall’obbligo. Può avere due
strutture:
1) struttura contrattuale → il debitore accetta l’offerta del creditore;
2) struttura unilaterale → il debitore, ricevuta la dichiarazione del creditore, rimane
inerte per un certo periodo di tempo in base alla correttezza, e non dichiara al
creditore di voler approfittare della liberazione dal debito.
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IL PACTUM DE NON PETENDO, LA RINUNZIA AL CREDITO E LA CONFUSIONE


Pactum de non petendo → è un atto giuridico con cui il creditore si impegna a non
esigere più la prestazione. Produce effetti analoghi alla remissione.
Rinunzia al credito → il creditore cessa di essere titolare del proprio credito, senza
dichiararlo al debitore. Il debitore potrà eseguire in qualunque momento la prestazione,
anche se fosse trascorso il periodo di prescrizione.
Confusione → è quando l’obbligazione si estingue e quando la figura del debitore e
del creditore coincidono nello stesso soggetto, a causa di una successione a titolo
universale o particolare, a causa di morte o per atto tra vivi, nel debito o nel credito.

LA NOVAZIONE OGGETTIVA
Novazione oggettiva → le parti si impegnano con un contratto a sostituire
l’obbligazione con un’altra nuova, differente dalla prima per la causa che la giustifica
(novazione causale), oppure per la prestazione (novazione reale). L’intenzione di
sostituire l’obbligazione deve essere condivisa dalle parti.

LA COMPENSAZIONE
Compensazione → se due persone sono obbligate reciprocamente, i loro debiti si
estinguono per le quantità corrispondenti.
La compensazione legale non opera se una delle parti ha rinunciato preventivamente
ad avvalersene e inoltre i debiti soggetti a compensazione devono avere:
• oggetto una somma di denaro, o beni fungibili dello stesso genere;
• devono essere liquidi;
• devono essere esigibili, cioè non si ha termine di adempimento oppure esso è
scaduto;
• devono derivare da titolo certo non sottoposto a condizione sospensiva.
I debiti si estinguono dal giorno in cui si trovano a coesistere e purché non sia stato
manifestato da nessuna delle parti non volersi avvalere della compensazione.
Compensazione giudiziaria → si ha quando i debiti opposti in compensazione hanno le
caratteristiche 1,3,4, di quella legale, ma sono in più illiquidi. L’estinzione dei due debiti
deriva da una sentenza che liquida il debito.
Compensazione volontaria → è un contratto con cui le parti estinguono due debiti
reciproci attuali oppure stabiliscono l’estinzione di loro debiti futuri reciproci.

LA SUCCESSIONE NEL DEBITO E LA NOVAZIONE SOGGETTIVA


LA NOZIONE
L’obbligo non si estingue per morte del debitore, ma si trasferisce ai suoi eredi.
Cessione del debito → il debito viene trasferito per atto tra vivi, oppure un terzo succede
inter vivos al debitore, assumendo il ruolo di nuovo debitore. Il cessionario assume verso
il creditore il debito originario e sarà soggetto alla medesima disciplina.
Novazione soggettiva passive → in capo al terzo nasce un nuovo obbligo, che potrà
avere contenuto identico a quello che aveva il debitore, ma sarà originato da una
nuova fonte. Tale nuovo debito è soggetto a prescrizione decennale, non è
privilegiato, e il giudicato pronunciato tra creditore e debitore originario non è
opponibile al terzo. La novazione viene in genere realizzata attraverso una delegazione
di debito liberatoria.
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LA DELEGAZIONE, L’ESPROMISSIONE E L’ACCOLLO


LA DELEGAZIONE DI PAGAMENTO E LA DELEGAZIONE DI DEBITO
Delegazione → è l’incarico che un soggetto (delegante) dà ad un altro (delegato),
perché paghi o si obblighi a pagare un terzo creditore (delegatario).
Può essere di due tipi:
1) di pagamento o solvendi → l’incarico consiste nel pagare il terzo;
2) di debito o promittenti → l’incarico consiste nell’assumersi l’obbligo di pagare il terzo.
Il procedimento è composto da due fasi:
1) rapporto di provvista → rapporto tra delegante al delegato;
2) pagamento o assunzione del debito → atti di esecuzione dell’incarico da parte
del delegato.
La delegazione può essere di diversi tipi:
• titolata → quando il delegato si è impegnato a pagare il delegatario entro i limiti
di validità ed efficacia del rapporto di provvista o di valuta;
• astratta o pura → in tutti gli altri casi in cui non sia titolata;
• cumulativa → l’obbligo assunto dal delegato va ad aggiungersi a quello del
delegante;
• liberatoria → il delegatario può liberare il delegante e si può avere novazione
soggettiva se l’obbligazione assunta dal delegato è nuovo, oppure cessione del
debito, se il delegato assume semplicemente l’obbligazione del delegante.

L’ESPROMISSIONE
Espromissione → si ha quando un terzo con un contratto, senza essere stato incaricato
dal debitore, si impegna a pagare il creditore di un debito che esso ha con il debitore.
Se non c’è un accordo diverso, il terzo non può opporre al creditore le eccezioni
relative ai suoi rapporti con il debitore. Può però opporre al creditore tutte le eccezioni
che il debitore gli avrebbe potuto opporre, ma con tre limitazioni:
• le eccezioni si devono riferire a fatti successivi all’espromissione;
• si deve trattare di eccezioni personali;
• l’eccezione di espromissione è inopponibile, anche se i crediti fossero coesistiti
prima dell’espromissione.

L’ACCOLLO
Accollo → si ha quando un terzo, con un contratto con il debitore, si assume il debito
che esso ha con il creditore. Il creditore risulta beneficiarsi di ciò, perché dispone ora di
un nuovo debitore oltre a quello originario. L’accollo è un contratto a favore di terzo
che non comporta la liberazione del debitore originario.
Accollo semplice o interno → ipotesi in cui il creditore non ha aderito all’accollo oppure
quelle in cui l’accollato e l’accollante non hanno conferito nessun effetto giuridico al
creditore. Il creditore in tali casi continua ad avere un solo debitore, il terzo, che ha
diritto a ricevere quanto necessario per far fronte all’adempimento dell’obbligazione.

LA CESSIONE DEL CREDITO E IL PAGAMENTO CON SURROGAZIONE


LA CESSIONE DEI CREDITI
Cessione del credito → il credito può essere trasferito dal creditore al terzo, sia a causa
di morte che per atto tra vivi.
Tuttavia, la cessione non è consentita nei casi in cui:
• il credito ha carattere strettamente personale;
• c’è un divieto di cessione stabilito dalla legge;
• c’è un divieto convenzionale di cessione.
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Il credito acquistato comprende tutti i privilegi e accessori, garanzie personali e reali


connesse già ad esso in precedenza.
A ciò fanno eccezione due casi particolari:
• pegno → il cedente non può trasferire al cessionario il possesso della cosa
oggetto di pegno, senza il consenso del debitore ceduto. Se quest’ultimo non dà
il proprio consenso, allora il cedente si diviene custode della cosa;
• ipoteca → in tal caso occorre l’annotazione della cessione a margine
dell’iscrizione dell’atto che ha costituito l’ipoteca.

IL PAGAMENTO CON SURROGAZIONE


Pagamento con surrogazione → tale pagamento fa sì che il credito si trasferisce in capo
al terzo, poiché esso ha pagato il creditore al posto del debitore. Il terzo assume la
posizione di cessionario del credito, mentre il creditore quella di cedente. Il pagamento
con surrogazione permette al terzo di potersi avvalere di tutti i privilegi, garanzie, azioni,
di cui godeva il creditore che ha ricevuto il pagamento da lui.
Ci son due tipi di surrogazione:
1) per volontà del creditore → la cessione si verifica in capo al terzo che ha
pagamento un debito altrui, se il creditore che ha ricevuto il pagamento, lo
dichiara espressamente e contestualmente al pagamento;
2) per volontà del debitore → la cessione si verifica perché il terzo ha dato denaro al
debitore per pagare il suo debito. Questa volta la cessione non richiede il consenso
del creditore, però occorre che:
a) contratto di mutuo deve avere data anteriore al pagamento;
b) in esso deve essere indicata la destinazione della somma mutuata;
c) nella quietanza data dal creditore al debitore, deve essere indicata la
provenienza della somma mutuata;
d) la quietanza ha data certa anteriore al contratto di mutuo;
e) godono di tale procedimento ad esempio: il creditore che paga un altro
creditore, l’erede con beneficio d’inventario che ha pagato con denaro
proprio debiti ereditati.

ALCUNE SPECIE DI OBBLIGAZIONI


LE OBBLIGAZIONI SOGGETTIVAMENTE COMPLESSE
LA NOZIONE
Obbligazioni soggettivamente complesse:
• sono dovute a molti creditori oppure devono essere eseguite da molti debitori;
• la prestazione è unica per tutti i debitori o creditori;
• sono generate da un unico fatto.
Bisogna poi distinguere due casi:
• son dovute da molti debitori → allora l’obbligazione potrà essere ad:
1) attuazione solidale → il creditore può esigere l’adempimento per intero a
ciascuno dei debitori e tale adempimento estingue l’obbligazione;
2) attuazione parziaria → il creditore può esigere da ciascun debitore solo una
parte del debito. Tali parti sono stabilite all’interno del contratto che genera
l’obbligazione.
• sono dovuti a molti creditori → allora l’obbligazione potrà essere:
1) attuazione solidale → il debitore può scegliere a quale creditore pagare, a patto
che un altro creditore non abbia già proposto contro il debitore la domanda
giudiziale di condanna all’adempimento;
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2) attuazione parziaria → il debitore deve pagare a ciascun creditore solo la parte


di debito che corrisponde alla loro quota.

LE OBBLIGAZIONI CON PRESTAZIONI DIVISIBILI E INDIVISIBILI


LA NOZIONE
Obbligazioni con prestazioni divisibili → quando la prestazione può essere ridotta in
parti.
Obbligazioni con prestazioni indivisibili → quando il suo oggetto non può essere ridotto
in parti.

LE OBBLIGAZIONI OGGETTIVAMENTE COMPLESSE


LA NOZIONE
Obbligazioni oggettivamente complesse → sono le obbligazioni in cui sono dovute più
prestazioni. Si dividono in:
• cumulative → il debitore deve adempiere tutte le prestazioni dovute;
• alternative → il debitore si libera, eseguendo una delle varie prestazioni dovute
possibili.
La concentrazione è la scelta del debitore, attraverso cui la prestazione dovuta diviene
determinata. La scelta è un atto unilaterale non negoziale, che compete al debitore,
salvo che la legge o un titolo non la attribuisca al creditore o ad un terzo. La scelta è
revocabile fino a quando non è stata eseguita la prestazione, oppure non la si è
comunicata all’altra parte.

LE OBBLIGAZIONI PECUNIARIE
LA NOZIONE
Obbligazioni pecuniare → sono le obbligazioni aventi ad oggetto una somma di
denaro che il debitore deve pagare al creditore. Il denaro è però una cosa mobile
particolare poiché il suo valore dipende esclusivamente dall’ordinamento valutario, il
quale riconosce a certe cose mobili l’attitudine ad essere utilizzate come strumento di
scambio con cose e servizi.
Il valore della moneta può inoltre essere calcolato in base all’attitudine a poter
acquistare non altre monete, ma altre merci: questo è il cosiddetto potere di acquisto.
Le oscillazioni del potere di acquisto sono irrilevanti nel nostro sistema, tuttavia non è
infrequente che le parti che stipulano un contratto, si cautelino contro tali oscillazioni.
Le obbligazioni pecuniarie si dividono in due categorie:
• debiti di valuta → sottoposti al principio nominalistico;
• debiti di valore → sottoposti al principio valoristico; sono illiquidi e in essi vanno
distinti due momenti precisi: quello in cui si valuta il debito e quello in cui lo si
liquida.

GLI INTERESSI CORRISPETTIVI


Obbligazione sugli interessi → è un’obbligazione pecuniaria accessoria e periodica,
poiché si aggiunge a quella principale e matura giorno per giorno. Il debito in questione
consiste in una somma determinata in misura proporzionale al capitale. Tale misura è
detta saggio e può essere modificata con un decreto del ministro dell’Economia,
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale non oltre il 15 dicembre di ogni anno. Tale misura
può essere individuata anche convenzionalmente, però:
• gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto;
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• tali interessi superiori non devono oltrepassare la soglia di usura. Tale soglia si
individua prendendo in considerazione il tasso medio annuale, aumentandolo di
¼ e aggiungendoci ancora un 4%.

L’INADEMPIMENTO
L’INADEMPIMENTO (LA RESPONSABILITA’ CONTRATTUALE)
Il creditore può sempre ottenere il risarcimento del danno come conseguenza
dell’inadempimento del debitore.
Inadempimento → il debitore o non ha adempiuto alla prestazione oppure ha
adempiuto in maniera inesatta. L’inadempimento fa scattare una responsabilità
contrattuale (bisogna risarcire il danno – art. 1218 c.c.)
Responsabilità contrattuale → è la soggezione a cui è sottoposto il debitore; sorge
quando si adempie a un’obbligazione in generale, non esclusivamente al contratto.
Determina un’obbligazione risarcitoria.
I rimedi contro l’inadempimento sono:
- azione di esatto adempimento → consiste nel fatto che la prestazione è vero che
non è stata eseguita ma può essere eseguita perché non sono scaduti i termini. La
prestazione è eseguibile e esigibile;
- azione di risoluzione del contratto.
Tuttavia, se l’inadempimento è derivato da un evento non imputabile al debitore, esso
non è obbligato a risarcire il danno provocato. L’esecuzione tardiva della prestazione
da parte del debitore, inoltre non può essere considerata come inadempimento, e
quindi non consente al creditore di ottenere il risarcimento del danno.
Mora del debitore → strumento che può essere utilizzato dal creditore, che si trovi di
fronte un debitore che non vuole adempiere; il creditore può in tal caso, tramite una
dichiarazione scritta, intimare o chiedere al debitore di adempiere. L’intimazione scritta
non occorre però quando:
• il debito deriva da fatto illecito;
• il debitore ha dichiarato per iscritto di non voler adempiere;
• quando sia scaduto il termine per adempiere.

IL RISARCIMENTO DEL DANNO


Il danno è la perdita che il creditore subisce a causa dell’inadempimento del debitore.
Risarcimento del danno → consiste nel reintegrare il patrimonio del creditore
riportandolo nello stesso stato in cui si sarebbe trovato se non si fosse verificato
l’inadempimento.
Nel danno vanno distinte due componenti:
• patrimoniale → è uguale alla differenza tra il valore effettivo del patrimonio del
debitore dopo l’inadempimento, e il valore presunto che avrebbe dovuto avere se
la prestazione fosse stata eseguita. Dal punto di vista della componente
patrimoniale, il danno può essere distinto in:
1) danno emergente (perdita subita) → diminuzione economica del patrimonio del
creditore, provocato dall’inadempimento del debitore;
2) lucro cessante (mancato guadagno) → consiste in quel mancato incremento
del patrimonio del creditore di cui il creditore avrebbe potuto godere se la
prestazione fosse stata eseguita.
Il danno emergente e il lucro cessante devono essere conseguenza immediata e
diretta dell’inadempimento. Un danno per essere risarcito deve essere casualmente
conducibile alla condotta del debitore. È necessario accertare che sussista un nesso di
causalità tra l’inadempimento e il danno del creditore.
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Nesso di causalità:
- causalità materiale → esiste un nesso di causalità tra il comportamento del
debitore e l’inadempimento;
- causalità giuridica → nesso di causalità tra l’inadempimento e il danno.
Danni indiretti dell’inadempimento (causalità adeguata) → conseguenze che anche se
non sono direttamente collegate all’inadempimento, sono situazioni dannose che si
verificano nella maggior parte dei casi quando vi è quel tipo di inadempimento li.
• non patrimoniale → esprime il pregiudizio recato ai bisogni del creditore, che le cose
non possono soddisfare.
Onere della prova → viene ripartito tra creditore e debitore. Il creditore deve provare il
titolo del credito e deve provare di aver subito un danno e si limita ad affermare che
questo danno è stato provocato dal debitore. Il creditore non deve provare la colpa
del debitore, non deve lui provare l’inadempimento. Il debitore si deve discolparsi, non
è il creditore che deve provare la sua colpa. Come fa il debitore a discolparsi? O lo fa
provando che ha adempiuto l’obbligazione (che l’obbligazione è stata eseguita)
oppure che l’obbligazione si è estinta per una causa diversa dall’adempimento, per
esempio per impossibilità sopravvenuta. Se il debitore non riesce a provare niente dovrà
risarcire il danno.

IL DANNO NELLE OBBLIGAZIONI PECUNIARIE


Nelle obbligazioni <<di valuta>> dal giorno della mora il debitore deve al creditore gli
interessi moratori calcolati al saggio legale.
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IL FATTO ILLECITO
IL DANNO
LA NOZIONE
Secondo una regola antichissima, l’obbligazione di risarcire il danno nasce in capo alla
persona che lo ha provocato: ancora oggi si parla a tal proposito di responsabilità
aquiliana, legge romana di data incerta ma sicuramente posteriore alle XII tavole.
Il danno si può dividere in:
- danno patrimoniale → indica la misura del pregiudizio arrecato all’insieme di
posizioni giuridiche attive valutabili economicamente, nella quale si
raggruppano, oltre ai diritti soggettivi, gli interessi legittimi e il possesso; il
risarcimento consiste nel ripristinare ciò che è stato sottratto dal patrimonio della
vittima;
- danno non patrimoniale → il pregiudizio recato a bisogni della persona che le
cose (o beni) non possono soddisfare, come la vita, la libertà, la salute, la serenità
e gli affetti; il pagamento in denaro serve ad assicurare alla vittima ciò che a
causa dell’illecito le è venuto a mancare.
Quando la vittima stessa lo richieda, e sia possibile, il giudice può condannare il
danneggiante alla <<reintegrazione in forma specifica>>, cioè al ripristino della
situazione esistente prima dell’illecito.

IL DANNO ALLA PERSONA


Danno alla persona → può pregiudicare anche utilità che non sono cose che
appartengono alla persona stessa. Se la lesione ha carattere permanente, e la vittima
non ha reddito (minore), il giudice dovrà allora valutare quale sarebbe stata la
prospettiva di vita della persona, e dedurne i costi che avrebbe incontrato per
intraprenderla. Tale somma andrà poi capitalizzata.

LA LESIONE DI DIRITTI COSTITUZIONALMENTE INVIOLABILI


Il danno patrimoniale risarcibile comprende invece: quello alla capacità lavorativa,
alla vita di relazione, e anche quello estetico. Anche il danno alla salute è risarcibile: è
il danno accertabile tramite consulenza medica, che consiste nella perdita della
capacità reddituale della vittima. La liquidazione di tale danno è lasciata alla
valutazione equitativa del giudice. La Giurisprudenza dottrinale e forense, poi, ha
ritenuto che il danno a diritti costituzionalmente inviolabili della persona, è risarcibile in
qualsiasi caso, anche se la vittima deve sempre darne prova.

L’INGIUSTIZIA
Art. 2043 c.c. (danni ingiusti) → la clausola di ingiustizia del danno costituisce lo
strumento per frenare le richieste risarcitorie che si dirigono verso lesioni subite, che
ripugnerebbero al comune sentimento di giustizia di veder accolte, poiché dipendono
da un comportamento del tutto lecito.
Non sono ingiusti quindi, i danni arrecati per legittima difesa, o per quello provocato
per salvare sé stesso o altri da un pericolo attuale non provocato volontariamente da
lui e che non può essere evitato. In tali casi però la legge riconosce al danneggiato di
ottenere un’indennità, che deve essere però stabilita dal giudice.
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DANNI DA COSE, ANIMALI E ATTIVITA’ PERICOLOSI


DANNI DA COSA
Danni da cosa → il danno provocato da una cosa ad una persona deve essere risarcito
dal custode della cosa, cioè da colui che esercita un potere effettivo sulla cosa.
Tuttavia, il custode della cosa, può evitare il risarcimento, provando che un evento
imprevedibile gli ha impedito di esercitare la custodia sulla cosa.

DANNI DA ANIMALI
Danni da animali → ne risponde il proprietario o chi se ne serve, sia che li abbia in
custodia, sia che fossero smarriti o fuggiti. Non vengono distinti animali domestici e
randagi, purché vi sia qualcuno che se ne serve. Anche il proprietario o chi si serve degli
animali può evitare il risarcimento, dimostrando il caso fortuito.

DANNI DA ATTIVITA’ PERICOLOSE


Danni da attività pericolose → chi esercita un’attività pericolosa, moltiplica le occasioni
in cui può arrecare danno a terzi, tuttavia molte di queste attività, pur essendo rischiose,
non possono essere vietate, poiché ci sono casi in cui recano beneficio alla collettività.

LA RESPONSABILITA’ PER COMPORTAMENTO DOLOSO O COLPOSO


LA NOZIONE
La condotta attiva o omissiva di chi abbia provocato un danno ingiusto lo rende
debitore del risarcimento, quando si provi che egli era capace di intendere e di volere
e che la sua condotta era illuminata dal dolo o dalla colpa.
È capace d’intendere e di volere chi sia in grado di scegliere (capacità di volere) se
tenere o non tenere una certa condotta e possa comunque comprendere le
conseguenze delle proprie azioni (capacità di intendere).
Se c’è la capacità di intendere e di volere l’agente risponde se la sua azione o la sua
omissione è stata <<dolosa o colposa>>.

LA RESPONSABILITA’ PER FATTO ALTRUI


I SORVEGLIANTI, I GENITORI, I TUTORI E GLI INSEGNANTI
Si parla di responsabilità per fatto altrui per indicare le ipotesi nelle quali il debito
risarcitorio insorge in capo a un soggetto diverso da quello che ha posto in essere la
condotta.
Quando l’evento dannoso sia provocato da un incapace risponde in sua vece chi
fosse <<tenuto a sorvegliarlo>> (come i genitori o gli insegnanti del fanciullo oppure il
personale addetto a una casa di cura psichiatrica).

I PADRONI E COMMITTENTI E IL PROPRIETARIO DEI VEICOLI


L’art. 2049 c.c. rende i <<padroni e i committenti>> coobbligati in solido con i loro
<<domestici e commessi>> per i danni che questi arrechino a terzi nell’esercizio delle
incombenze a cui sono adibiti.
Con il conducente di un veicolo senza guida di rotaie, sono coobbligati in solido a
risarcire il danno arrecato a terzi il proprietario del veicolo o, in sua vece, chi l’abbia in
usufrutto o l’acquirente con patto di riserva della proprietà o colui al quale sia stato
concesso in leasing.
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IL CONTRATTO
CLASSIFICAZIONI
IL CONTRATTO
Contratto → è l’accordo tra due o più parti per regolare, modificare o estinguere un
rapporto giuridico patrimoniale. Ciascuna parte è tenuta ad eseguire una prestazione
nell’interesse dell’altra parte.

LE CATEGORIE
Il contratto può essere di vari tipi:
• sinallagmatico → ciascuna parte ha diritto ad esigere qualcosa dall’altra, e tale
esigenza legittima gli spostamenti patrimoniali tra le parti;
• unilaterale → contratto che obbliga una sola parte a compiere la prestazione;
• di donazione liberale → contratto basato sull’interesse di una parte di arricchire
l’altra senza ricevere nulla in cambio; è giustificato da una causa liberale. Siccome
nessuno è obbligato a ottenere un arricchimento senza volerlo, l’offerta per questo
si consolida solo quando venga accettata dal beneficiario;
• aleatorio → contratto in cui c’è l’incertezza se la prestazione di una parte verrà
ricambiata con la controprestazione dell’altra (es: assicurazione, gioco,
scommessa).

CONSENSO E REALITA’
I contratti si perfezionano tramite il semplice accordo.
Se il contratto ha ad oggetto cose non determinate, ma determinabili, l’effetto
traslativo si svilupperà solo quando esse diverranno determinate. Per far ciò si ricorre
all’individuazione, che è un contratto accessorio, che completa la vicenda traslativa
incompiuta.
Contratti reali → sono contratti che si perfezionano tramite la consegna della cosa
(mutuo, comodato). Sono tutti casi previsti esplicitamente dalla legge e in essi il dare la
cosa non è un mero atto tramite il quale si esegue la prestazione, ma è il vero e proprio
momento in cui si perfeziona il contratto, poiché esso non verrà perfezionato come al
solito grazie al consenso.
Possiamo distinguere:
- contratti dotati di effetti reali → sono contratti in cui l’accordo determina un
trasferimento di proprietà, costituzione o trasferimento di altro diritto reale minore;
- contratti ad effetti obbligatori → generano meri effetti obbligatori, come ad
esempio, il preliminare di vendita, che vincola le parti a perfezionare un ulteriore
contratto.

ULTERIORI SUDDIVISIONI
Inoltre, i contratti possono essere:
• a forma libera o vincolata → di solito la volontà può essere espressa nel contratto
senza utilizzare particolari forme, tuttavia in alcuni casi è la legge stessa che richiede
forme particolari vincolanti come la forma scritta sotto pena di nullità per contratti
aventi ad oggetto trasferimenti di proprietà oppure per fini probatori;
• istantanei → si esauriscono nel momento in cui vengono in essere gli elementi
contrattuali;
• di durata → comportano il sorgere di obbligazioni che si proiettano nel tempo.
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Si dividono in:
a) contratti ad esecuzione continuative → la prestazione di una parte è
permanente;
b) contratti ad esecuzione periodica → l’adempimento di una parte deve essere
effettuato ad intervalli di tempo stabiliti all’interno del contratto stesso.

LA PATRIMONIALITA’ DELLA PRESTAZIONE: PREMESSA


La prestazione a cui sono soggette le parti deve avere carattere patrimoniale, cioè
deve essere suscettibile di valutazione economica. Infatti, l’impegno preso da una
parte, ma non suscettibile di valutazione economica, può essere ricompreso all’interno
di un rapporto di cortesia, che se trasgredito, non legittima il beneficiario ad esperire le
azioni contro l’inadempimento.

IL RAPPORTO DI CORTESIA
L’eventuale trasgressione dell’impegno assunto in forza di un rapporto di mera di
cortesia non legittima il beneficiato ad esperire i rimedi per la mancata attuazione
dell'obbligazione.
Esempio → se Tizio si scorda di aver invitato Caia a cena, trattandosi di impegno
puramente rilevante sul piano dell'etica, egli non potrà essere condannato al
risarcimento dei danni lamentati da Caia a causa del mancato rispetto della promessa,
essendo essa priva di forza giuridicamente vincolante.

I GENTLEMEN’S AGREEMENTS
Gentlemen’s agreements → (dall'inglese, con il significato letterale di "accordo fra
gentiluomini") è un patto informale tra due parti, generalmente orale o meno
frequentemente scritto. Si basa essenzialmente sul presupposto che entrambe le parti
rispetteranno la parola data sul proprio onore in quanto, a differenza di un contratto
formale, esso non può essere difeso giudizialmente.
Non avendo natura coercitiva, è opinione comune che l'incentivo a non venire meno
a un gentlemen's agreement risieda nella reciproca convenienza a rispettarlo (per
esempio, guadagno per entrambe le parti, oppure limitazione di un danno o di un
rischio che senza l'accordo potrebbe essere peggiore per entrambi).
Esempio → era un gentlemen's agreement il patto tra Italia e Regno Unito del 2 gennaio
1937 che precedette gli Accordi di Pasqua.

LA PROMESSA DELL’OBBLIGAZIONE O DEL FATTO DEL TERZO


Attraverso la fattispecie regolata nell’art. 1381 il promittente si obbliga ad indennizzare
l’altra parte allorché il terzo non compia la prestazione promessa, sia essa attiva o
negativa, materiale o negoziale.
Se la mancata realizzazione del fatto promesso sia imputabile alla negligente condotta
del debitore il quale non si è impegnato affinché il terzo attuasse il risultato
programmato, il promissario potrà domandare il ristoro integrale del danno ai sensi
dell’art. 1223 c.c.

L’AUTODETERMINAZIONE TRA REGOLE, PRINCIPI E VALORI


AUTONOMIA CONTRATTUALE E LEGISLAZIONE ANTIMONOPOLISTICA
Autonomia contrattuale → le parti possono liberamente determinare il contenuto del
contratto nei limiti imposti dalla legge.
Legislazione antimonopolistica → sino al 1990 in Italia non esisteva una normativa che
controllasse quei comportamenti delle imprese volti a limitare la concorrenza. Tale
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lacuna è stata colmata dalla legge 10 ottobre 1990 n. 287 promulgata proprio allo
scopo di opporsi agli accordi tra le imprese contrari alla concorrenza e lesivi del libero
mercato.

LE CLAUSOLE VESSATORIE
Clausole vessatorie → sono le clausole presenti nei contratti che producono uno
squilibrio dei diritti a danno del consumatore.

CLAUSOLE ABUSIVE E TUTELA PRO CONSUMATORE


Una maggior tutela a favore del contraente debole è stata raggiunta con la ricezione
da parte dello Stato italiano della direttiva comunitaria sulle clausole abusive del 1993.

- La disciplina in questione, contenuta nel codice del consumo, è applicabile soltanto


ai rapporti negoziali tra professionista (ossia la persona fisica o giuridica che agisce
nell'esercizio di un'attività d'impresa o intellettuale) e consumatore (la persona fisica
che non agisce per fini d'impresa o professionali).
- In particolare, l’art. 33, 1° comma, c. cons., definisce vessatorie le clausole che,
malgrado la buona fede (oggettiva), determinano a carico del consumatore un
significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi contrattuali.
- Le clausole giudicate abusive (o vessatorie) sono nulle (art. 36 c. cons.). La nullità
può essere rilevata dal contraente protetto (il consumatore) e dal giudice d’ufficio.

LA TUTELA DELL'IMPRENDITORE DEBOLE


La situazione di disparità contrattuale, oltre a ravvisarsi nei rapporti tra imprenditore e
consumatore, è del pari ravvisabile nei rapporti tra imprenditori.
Esempio → rapporti tra l’artigiano e la grande impresa fornitrice. In genere il primo non
ha alcun potere di negoziato nei riguardi della grande impresa.

LA RESPONSABILITA’ CONTRATTUALE
IL RECESSO INGIUSTIFICATO DELLE TRATTATIVE
L’art. 1337 c.c. dice che durante le trattative precontrattuali le parti debbono
comportarsi secondo correttezza e lealtà in maniera da non tradire l’affidamento
mutuamente riposto circa la serietà del proposito di trovare l’accordo.
Chi per malizia o indifferenza imbastisce un negoziato di cui sin dall’inizio sa o dovrebbe
sapere che è destinato al sicuro fallimento è tenuto a risarcire i pregiudizi economici
patiti dall’interlocutore. Sotto il profilo soggettivo conviene segnalare la superfluità
dell’animus nocendi: l’illecito precontrattuale è riconoscibile anche quando la parte,
anziché impegnare deliberatamente l’altra in una trattativa inutile, abbia
semplicemente trascurato di valutare con la necessaria diligenza, magari perché si è
lasciata condurre dall’impeto o dalla volubilità, le proprie possibilità di stipulare il
contratto.

LA SOPRAVVENUTA OFFERTA PIÙ VANTAGGIOSA


Nel corso delle trattative la parte potrebbe ricevere un'offerta dal terzo più
conveniente.
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IL DIRITTO DI RIPENSAMENTO
Diritto di ripensamento → è riconosciuto dal nostro ordinamento in casi di vendite fuori
dei locali commerciali, nelle quali può insinuarsi il rischio dell’effetto a sorpresa. Tale
diritto è indisponibile proprio per evitare che all’aderente venga imposta la rinuncia ad
esso. Tuttavia, in base al diritto di recesso riconosciuto alla parte economicamente
debole, che gli permette di analizzare più attentamente l’opportunità dell’affare,
l’esercizio di tale diritto non può mai, in tali situazioni, integrare gli estremi dell’illecito
precontrattuale.

LE TRATTATIVE AFFIDANTI
La rottura ingiustificata delle trattative costituisce violazione del principio di buona fede
quando le trattative hanno generato nella controparte un adeguato grado di
affidabilità. Inoltre, l'illecito precontrattuale è ravvisabile anche di fronte ad un
repentino mutamento di rotta, che si traduca non nell'abbandono della trattativa,
bensì nell'imposizione di un termine entro cui l'altra parte è tenuta ad accettare la
proposta sino a quel momento progressivamente elaborata.

LA CONOSCENZA DELLE CAUSE D'INVALIDITÀ E D'INEFFICACIA DEL CONTRATTO


La parte risponde a titolo di responsabilità precontrattuale anche nell’ipotesi in cui
taccia alla controparte le causa d'invalidità (o d'inefficacia) del contratto di cui è a
conoscenza.
1° tesi → la giurisprudenza interpreta in modo restrittivo l'art. 1338 c.c., sostenendo che
non risponde a titolo di culpa in contrahendo colui il quale non abbia fatto rilevare alla
controparte l'esistenza di una causa d'invalidità scaturente da una disposizione
cogente siccome ignorantia legis non excusat.
2° tesi → l'illecito è integrato dalla reticenza in sé e per sé, senza che a questo riguardo
possa giocare un ruolo determinante il broccardo ignorantia legis non excusat.

L’ACCORDO
PREMESSA
Art. 1325 c.c. → gli elementi essenziali del contratto sono: l’accordo, la causa, l’oggetto
e la forma quando è richiesta dalla legge sotto pena di nullità.
L’accordo si basa sull’unione tra la proposta e l’accettazione. Essi sono atti unilaterali
recettizi, che acquistano efficacia quando giungono a conoscenza del destinatario.
Nel caso delle dichiarazioni recettizie, vige una presunzione semplice: esse si ritengono
conosciute quando giungono all’indirizzo del destinatario, a patto che quest’ultimo non
provi di essere stato impossibilitato di averne notizia.

LA TRATTATIVA FRAZIONATA
Il contratto è concluso quando le parti hanno raggiunto l’accordo sia sugli elementi
essenziali che su quelli accessori. Le parti inoltre possono vincolarsi a rispettare subito gli
elementi essenziali, continuando però a discutere su quelli accessori. Ciò consente di
far sì che se non si raggiunge un accordo sugli elementi accessori, ciò non pregiudichi
la validità della parte di accordo già perfezionata.

LA FORMAZIONE DELL’ACCORDO FRA PERSONE DIALOGANTI E ASSENTI


L’accordo può essere perfezionato tramite una discussione che dura per un certo
periodo di tempo, fra dei soggetti che possono essere presenti realmente, oppure in
contatto per esempio telefonico o telematico. L’accordo può essere raggiunto anche
tra soggetti assenti, grazie allo scambio di proposta e accettazione.
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PROPOSTA: IL REQUISITO DELLA COMPLETEZZA


La proposta deve essere completa, deve cioè contenere tutti gli elementi del
contratto, in modo che il contratto possa considerarsi perfezionato grazie alla semplice
accettazione da parte del destinatario.

ERRORE OSTATIVO E TRASMISSIONE DELLA PROPOSTA DAL NUNZIO


Errore ostativo (errore nella dichiarazione di una delle parti o della trasmissione di
proposta o accettazione) → è causa di annullamento del contratto quando sia
essenziale e riconoscibile. Quando la proposta viene consegnata, mediante un
soggetto terzo detto nunzio, il destinatario deve accertare che la proposta provenga
veramente dal dichiarante e che esso sia realmente intenzionato ad impegnarsi
contrattualmente. Se il mezzo di trasmissione della dichiarazione è impersonale, la
vicenda è sottoposta alla regola dell’errore ostativo; se invece è personale, chi riceve
la dichiarazione non può sempre ritenere che essa sia affidabile, ma deve valutarlo
attentamente e non fidarsi ciecamente.

LA DOCUMENTAZIONE DELLA TRATTATIVA


1. Puntazione incompleta:
a. è un atto scritto con cui le parti documentano lo stato di avanzamento del
negoziato, formalizzando le clausole su cui si è raggiunta un’intesa;
b. non è giuridicamente vincolante, salva l'eventuale responsabilità
(precontrattuale) correlata all'ingiustificata interruzione della trattativa.
2. Puntuazione completa (o minuta):
a. contiene il testo, esaustivo ma provvisorio, del regolamento contrattuale;
b. la stesura della minuta fa presumere l'accordo, a meno che emerga la prova
contraria.

LA LETTERA D’INTENTI
Lettera d’intenti → è un documento con cui il soggetto capace di agire può
manifestare l’interesse al raggiungimento di una determinata intesa, specificando gli
elementi essenziali della proposta.

LA RISPONDENZA DELL’ACCETTAZIONE ALLA PROPOSTA


L’accettazione deve esprimere la volontà di vincolarsi allo stesso programma
contrattuale contenuto nella proposta. Per questo l'art. 1326 c.c. stabilisce che
l'accettazione difforme dalla proposta vale quale nuova proposta (c.d.
controproposta), la quale richiede a sua volta l’accettazione della controparte.

IL RIFIUTO DELLA PROPOSTA


La proposta può essere anche rifiutata di netto: ciò comporta la perdita di efficacia di
essa. Per quanto riguarda la forma di proposta ed accettazione, esse devono rispettare
l’eventuale forma in cui deve essere redatto l’intero contratto.

CONCLUSIONE DEL CONTRATTO E FORMALISMO


Quando il contratto è ex lege sottoposto ad una forma particolare, tanto la proposta
quanto l'accettazione debbono rispettare tale onere di forma.
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LA VOLONTÀ IMPLICITA
La volontà di concludere il contratto può essere desunta. L'oblato può, infatti,
rispondere:
a) dichiarando di far propria la proposta;
b) oppure, può dichiarare di adempiere gli obblighi in essa previsti.

ACCETTAZIONE A FORMA VOLONTARIAMENTE VINCOLATA


Ai sensi dell'art. 1326, 4° comma, il proponente può esigere una forma particolare per
l'accettazione. In tale situazione l'accettazione non ha effetto ove sia data in altra
forma, salva la possibilità del proponente di rinunciare alla forma richiesta, a patto che
ne dia immediato avviso all’oblato.

IL SILENZIO CIRCOSTANZIATO
Dal silenzio dell’oblato non può trarsi alcun significato giuridico (o negoziale). Tuttavia,
quando le parti siano stabilmente in relazione d'affari, la prassi o il particolare peso
assunto dalla buona fede in executivis, portano ad assegnare un valore legale al
silenzio circostanziato.

IL TERMINE PER L'ACCETTAZIONE


Dall'interpretazione coordinata dei commi 2° e 3° dell'art. 1326 si ricava la regola
secondo cui l'accettazione deve essere tempestiva. La ritardata manifestazione di
volontà dell'oblato non vincola il proponente, salvo che questi dichiari di voler dar corso
all'intesa. È tuttavia possibile apporre alla proposta un termine finale di efficacia.
Esempio → «ti offro in vendita il mio violino al prezzo di 60.000 euro. Questa offerta è
vincolante per sette giorni dalla ricezione».
Si discute, invece, se sia possibile fissare un termine iniziale di efficacia della proposta.

L’ESECUZIONE CONCLUDENTE
Termine di accettazione → di regola l’accettazione deve essere tempestiva; per questo
il ritardo della dichiarazione dell’oblato non vincola il proponente, salvo che
quest’ultima non dichiari invece il contrario.

LA REVOCABILITA’ DELLA PROPOSTA E DELL’ACCETTAZIONE


Proposta e accettazione in genere sono considerati atti unilaterali recettizi liberamente
revocabili.
L’art. 1335 c.c. stabilisce che la revoca della proposta o dell’accettazione determina
l'effetto estintivo ove giunga nella sfera di conoscibilità del destinatario (art. 1335 c.c.).
Tuttavia, la giurisprudenza storica e parte della dottrina negano la natura recettizia
della revoca riguardante la proposta. Quest’ultima sarebbe quindi efficacemente
revocata grazie alla semplice manifestazione della volontà contraria da parte del
proponente.

L’OFFERTA AL PUBBLICO
Offerta al pubblico → il suo elemento caratterizzante è costituito dall’incertezza del
destinatario, essendo rivolta alla generalità dei consociati. In tal caso, il contratto è
concluso quando il proponente ha avuto notizia dell’accettazione. L’offerta perde
efficacia quando è revocata, osservando le stesse forme tramite cui fu resa pubblica.
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LA FORMA
TASSATIVITA’
La forma può essere richiesta dalla legge ai fini della validità dell’atto o per scopi
probatori. Se è per scopi probatori, il contratto risulta essere valido anche se non rispetta
la forma richiesta: esso però non può essere provato in giudizio tramite presunzioni o
testimoni, ma solo tramite confessione o giuramento.

LIBERTA’ DELLE FORME E NEOFORMALISMO


Principio della libertà delle forme → il dichiarante è libero di scegliere il mezzo di
espressione della volontà, la quale può essere mostrata con parole, scritti, condotte.
Dagli inizi degli anni ’90 si è assistito ad un rinascere di un indirizzo neoformalista:
secondo tale indirizzo la forma scritta favorisce la comprensione dei diritti e degli
obblighi che sorgono quando si stringe un vincolo tra persone. La forma scritta diviene
uno strumento attraverso il quale si ha una conoscenza più sicura e comoda del
regolamento privato di interesse del contratto. Bisogna ora analizzare il caso particolare
della donazione: essa deve essere redatta a pena di nullità tramite atto pubblico, alla
presenza di due testimoni. Alcuni pensano che tale regola derivi dal formalismo di
antichi negozi dello ius civile, nei quali per produrre determinati effetti bisognava per
forza rispettare determinate formule.
La forma scritta può essere espressa in due modi:
• atto pubblico → fino a querela di falso, fa piena prova per quanto riguarda la sua
provenienza e l’ufficiale giudiziario che l’ha redatto;
• scrittura privata → fino a querela di falso, fa piena prova delle dichiarazioni di chi
l’ha sottoscritta, a patto che colui contro cui è stata prodotta, non la disconosce o
riconosce tacitamente. Se si ha disconoscimento, la parte che intende avvalersi del
riconoscimento, deve proporre istanza di verificazione.

IL BIANCOSEGNO
Biancosegno → tramite di esso le parti sottoscrivono un documento senza inserire il
testo del regolamento, che dovrà essere prodotto da un terzo, oppure conferiscono
direttamente al terzo il compito di riempire il documento seguendo le loro istruzioni:
se tali istruzioni non vengono rispettate, la parte pregiudicata può impugnare il
contratto per errore ostativo. Invece se il terzo riempie il documento senza che gli
venga assegnato nessun compito dal dichiarante, quest’ultimo può avanzare
querela di falso. Si ha quindi distinzione tra riempimento contra pacta e sine pacta:
nel sine pacta, si sviluppa l’ipotesi di un falso materiale, neutralizzabile tramite
querela di falso, mentre nel caso del contra pacta si svilupperebbe un’antinomia
tra il dichiarato e il voluto, rimediabile tramite azione di annullamento.

IL CONTRATTO RISOLUTORIO
Contratto risolutorio → è il contratto che risolve un precedente accordo sottoposto alla
forma scritta a pena di nullità, deve anch’esso essere redatto in un atto scritto (principio
di specularità degli oneri formali). La soluzione si individua spostando il punto di vista dal
ius in re allo ius ad rem.

IL CONTRATTO MODIFICATIVO
Il patto modificativo del contratto deve essere redatto nella stessa forma del contratto,
salvo che le modifiche non riguardino elementi non essenziali del contratto.
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LA RIPRODUZIONE DEL CONTRATTO


Riproduzione del contratto → le parti possono riprodurre il contenuto del contratto
perfezionato in un documento separato.

LA FORMA DELL’ATTO ABDICATIVO


L’atto abdicativo deve rispettare la stessa forma imposta dalla legge per la validità
della fattispecie acquisitiva, quando esso ha come obbiettivo quello di realizzare un
effetto opposto a tale fattispecie.

IL DOCUMENTO INFORMATICO
Documento informatico:
• documento con firma elettronica → ha natura di atto scritto liberamente valutabile
sul piano probatorio;
• documento con firma digitale → ha efficacia prevista dall’art. 2702.

I VINCOLI PREPARATORI ALLA FORMAZIONE DEL CONTRATTO


LA PROPOSTA IRREVOCABILE
LA RILEVANZA DEL TERMINE
Art. 1329 c.c. → il proponente può rendere irrevocabile la proposta per un certo periodo
di tempo.
La proposta irrevocabile ha efficacia solo obbligatoria, non essendo oggetto di
trascrizione e di opponibilità erga omnes.
Art. 1337 c.c. → se durante il periodo della proposta irrevocabile, il proponente ha
alienato al terzo, l’oblato può ottenere il risarcimento del danno per colpa in
contraendo.
La proposta irrevocabile deve contenere tutti gli elementi essenziali del negozio
proposto, in modo che se l’oblato accetta si ha in automatico perfezionamento della
situazione soggettiva.
Ci sono diverse interpretazioni:
• opinione più radicale → il termine sarebbe elemento essenziale della proposta
irrevocabile, di conseguenza la sua mancanza determinerebbe la nullità della
proposta;
• applicazione analogica dell’art 1326 c.c. → la proposta rimane ferma per il tempo
necessario secondo la natura dell’affare e degli usi;
• applicazione art. 1183 c.c. → procedimento di fissazione giudiziale del termine;
• opinione degli autori → muovono dal presupposto secondo cui, la proposta
irrevocabile non è altro che un’opzione gratuita; essa si distingue dall’opzione tipica
solo sotto il profilo della controprestazione; quindi, in assenza di un termine, spetta al
giudice fissarlo.

L’OPZIONE
LA FUNZIONE DELL’ISTITUTO
Art. 1331 c.c. → al contrario della proposta, dove l’irrevocabilità deriva
dall’autodeterminazione dell’offerente, nel caso invece dell’opzione, essa deriva
direttamente dal contratto, grazie al quale all’opzionario è consentito accettare la
proposta a cui è vincolata l’altra parte per un certo periodo di tempo. In tal caso si ha
un collegamento genetico tra opzione e contratto vero e proprio: eventuali cause
invalidanti l’opzione si rimandano anche sul contratto. L’opzione deve inoltre essere
prodotta nella stessa forma a cui è sottoposto eventualmente il contratto. La funzione
pratica del contratto di opzione a quella di attribuire alla parte favorita un diritto
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potestativo. Il contratto di opzione ha solo efficacia obbligatoria, quindi non è


trascrivibile quando ha ad oggetto diritti reali immobiliari.

IL TERMINE
Per quanto riguarda invece il termine di durata del vincolo, se le parti non lo hanno
stabilito, si può sempre ricorrere al giudice per integrarlo. In caso di mancanza di
termine, e non è trascorso il termine della prescrizione decennale, l’autorità non può
considerare già emanato un periodo sufficientemente esteso secondo i parametri della
normale tollerabilità e quindi dichiarare l’oblato decaduto dall’esercizio del diritto.

IL CONTRATTO NORMATIVO
FUNZIONE E NATURA DELL’ISTITUTO
Contratto normativo → è uno schema contrattuale concordato dalle parti per regolare
i loro futuri rapporti.
A differenza del contratto preliminare non obbliga a concludere i successivi contratti,
ma soltanto ad uniformarli alla disciplina prestabilita ove vengano stipulati.
Esempio → i contratti collettivi di lavoro conclusi tra associazioni dei datori di lavoro e
dei lavoratori, volti ad individuare le condizioni da rispettare nella stipula dei contratti
individuali di lavoro (ossia tra singolo lavoratore e datore di lavoro).
La forma è quella richiesta per il successivo contratto programmato.

LE PRELAZIONI
LA PRELAZIONE VOLONTARIA
Prelazione volontaria → il promittente (prelazionante), si obbliga a preferire, a parità di
condizioni, il promissario (prelazionario), per la stipulazione di un contratto. Il
prelazionante prima di stipulare il contratto con un terzo, deve comunicare al
prelazionario le condizioni dell’intesa programmata con il terzo, in modo tale che il
prelazionario possa esercitare il suo diritto potestativo.

LA PRELAZIONE IMPROPRIA
Prelazione impropria → il promittente prima di vendere l’immobile al terzo, è impegnato
ad offrirlo al prezzo già determinato. Lo stipulante preferito potrà decidere di
perfezionare l’intesa disinteressandosi del corrispettivo offerto (o accettato) dal terzo.

LA PRELAZIONE LEGALE
Prelazione legale → sono casi in cui è la legge stessa che riconosce ad un determinato
soggetto il diritto di prelazione, e costui può opporlo ai terzi. Le prelazioni legali hanno
efficacia reale, in modo che il prelazionario, attraverso il diritto di riscatto di cui dispone,
può ottenere il trasferimento della cosa a suo favore.

LA PRELAZIONE EREDITARIA
Prelazione ereditaria → il coerede, che intende alienare la sua quota ad un terzo, deve
comunicarlo agli altri coeredi, indicandone il prezzo, in modo che essi possano
esercitare il loro diritto di prelazione. Tale diritto deve essere esercitato entro due mesi
dall’ultima notificazione.

LA PRELAZIONE AGRARIA
Prelazione agraria → nel caso di trasferimento a titolo oneroso o di concessione in
enfiteusi di fondi già precedentemente dati in affitto ad un coltivatore diretto,
l’affittuario coltivatore, a parità di condizione, ha diritto di prelazione. Il proprietario
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deve comunicare all’affittuario la proposta di alienazione del fondo, mostrandogli il


preliminare di vendita in cui sono contenuti il nome dell’acquirente, e il prezzo di
vendita. A questo punto se ne ha interesse, il coltivatore affittuario deve esercitare il suo
potere entro i successivi 30 giorni. Nei casi invece in cui il proprietario omette la
notificazione, oppure la vendita si sviluppa ad un prezzo differente da quello previsto
nel preliminare, il coltivatore affittuario, è legittimato entro un anno dalla trascrizione
della compravendita, a riscattare il fondo dal terzo acquirente e da ogni altro suo
successivo avente causa.

LA PRELAZIONE URBANA
Prelazione urbana → nei casi in cui il proprietario di un immobile destinato ad uso
commerciale o artigianale, intende venderlo, deve comunicarlo al conduttore di esso,
che ha diritto di prelazione, attraverso un ufficiale giudiziario. Nella comunicazione
devono essere indicati il prezzo di vendita, gli altri elementi della compravendita e
l’invito ad esercitare il diritto di prelazione.

IL CONTRATTO PRELIMINARE
FUNZIONE
Il contratto preliminare obbliga le parti a perfezionare l’intesa definitiva, entro un
determinato periodo di tempo: l’obbligazione di prestare il consenso può riguardare
entrambe le parti (preliminare bilaterale), oppure solo una di esse (preliminare
unilaterale).

IL TERMINE DI ADEMPIMENTO
Il termine è elemento essenziale del preliminare, per questo motivo non può essere
richiesta da nessuna delle parti l’esecuzione immediata della prestazione dovuta.
Trattandosi però di un termine di adempimento, la sua mancata previsione, non è fonte
di nullità del contratto, poiché tale elemento risulta essere integrabile attraverso il
procedimento giudiziale.

IL RAPPORTO FRA PRELIMINARE E DEFINITIVO


Rapporto tra preliminare e definitivo → nel caso di un’eventuale discrasia, le corti
affermano che bisogna applicare il principio di assorbimento: l’unica fonte del rapporto
obbligatorio è il contratto definitivo.

PRELIMINARE COMPLESSO
Preliminare complesso → i contraenti sono liberi di anticipare l’esecuzione di alcune
prestazioni contenute nel contratto definitivo.

L’OGGETTO
LA POSSIBILITA’ GIURIDICA
L’oggetto del contratto è la prestazione che ciascuna parte deve eseguire. L’oggetto
deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile.

LA POSSIBILITA’ MATERIALE
La prestazione che all’inizio era possibile, ma poi è divenuta successivamente
impossibile, non incide sulla validità del contratto, ma assume i tratti
dell’inadempimento se l’impossibilità è imputabile al debitore, oppure apre le porte alla
risoluzione del rapporto nei casi in cui l’impossibilità dipenda da fattori estranei al
rapporto contrattuale. L’impossibilità può anche dipendere da una norma proibitiva
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che vieta la prestazione: in tal caso l’oggetto è materialmente possibile, ma la sua


esecuzione non è ammessa; oppure può dipendere dal fatto che l’oggetto
dell’accordo è il trasferimento di una situazione soggettiva che non può essere
scambiata (esempio: il possesso, che è un potere di fatto non trasferibile per atto tra
vivi, tranne nel caso dell’erede).
L’impossibilità della prestazione è materiale quando dipende da circostanze naturali.
In tal caso vale il principio di auto responsabilità: la parte che si impegna ad eseguire
una prestazione che richiede un impegno straordinario, deve provvedere essa stessa
alle eventuali perdite economiche che deve sopportare per rispettare la parola data.

LA LICEITA’
La prestazione illecita rende nullo il contratto.
Art. 1343 c.c. → l’oggetto è illecito quando è contrario a norme imperative, all’ordine
pubblico o al buon costume. L’illiceità deriva dal contrasto tra l’oggetto del rapporto
e una norma dell’ordinamento che tutela un interesse collettivo o indisponibile. La
giurisprudenza di legittimità nega l’illiceità quando il contratto è di opera intellettuale,
escludendo la sanzione di nullità, quando è conferito ad un professionista un incarico
che prevede la preparazione di un progetto edilizio in contrasto con le previsioni
urbanistiche. Nel caso invece di un contratto di locazione ad uso abitativo di un
alloggio abusivo invece, non si ha nullità del contratto, poiché il rapporto di locazione
è del tutto lecito, non collidendo affatto con gli interessi tutelati dalla disciplina
urbanistica. È inoltre nullo il contratto che limita la libertà di iniziativa economica del
soggetto, mentre è lecito il contratto che evade i diritti dei legittimatari, poiché le
regole a tutela della quota di legittimità non sono considerate norme di ordine
pubblico.

LA DETERMINAZIONE DELLA PRESTAZIONE: L’ARBITRAGGIO


La prestazione deve essere determinata o determinabile.
In base alla tipologia del potere affidato al terzo, la legge fa discendere due
conseguenze:
• stabilisce un particolare regime di impugnazione dell’atto di integrazione;
• autorizza l’intervento del giudice, quando il terzo non vuole o non può eseguire
l’incarico, solo però nei casi in cui l’arbitraggio è fondato sull’equo apprezzamento,
poiché nell’altra ipotesi il contratto sarebbe nullo in quanto il giudice non può agire
tramite mero arbitrio.

LA C.D. PERIZIA CONTRATTUALE


La perizia contrattuale va distinta dall’atto giuridico di arbitraggio. La perizia
contrattuale si ha quando le parti nominano uno o più esperti, a cui spetta il compito
di formulare una valutazione tecnica. In tal caso le parti riacquistano la loro facoltà di
agire dinanzi al giudice esaurita la procedura di valutazione.

L’INTEGRAZIONE DELLA PARTE (“AUTOARBITRAGGIO”)


Autoarbitraggio → le parti sono libere di attribuire ad una di esse il potere di determinare
il contenuto del contratto. In questa circostanza, l’atto di completamento non viene
eseguito da un terzo, ma direttamente da una delle parti.
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CAUSA E MOTIVI
L’ASTRAZIONE DELLA CAUSA
Il nostro ordinamento si fonda sul principio causale: ogni spostamento patrimoniale
deve quindi essere sorretto da una ragione giustificativa a pena di nullità.
Il consenso sorretto da una giusta causa costituisce il titolo dell’attribuzione
patrimoniale, salvo che la legge richieda un atto esecutivo ai fini del completamento
della fattispecie. Dall’altra parte, l’enunciazione (expressio causae) di una causa
inesistente non basta a giustificare lo spostamento patrimoniale; il riconoscimento di ciò
che è inesistente non serve a scansare la nullità dell’atto.
La causa manca ad esempio quando l’acquirente comperi un bene già suo, oppure
allorché il preliminare di vendita abbia ad oggetto la stipula di un preliminare di
secondo grado: non ci si può obbligare a obbligarsi così come non si può vivere una
doppia vita.
Nel nostro ordinamento non mancano aperture al principio di astrazione, ciò emerge:
- sul piano sostanziale, è il caso della delegazione e del contratto autonomo di
garanzia;
- nonché sul piano processuale ai fini dell’inversione dell’onere della prova.

L'INTERPRETAZIONE IDEOLOGICAMENTE ORIENTATA DALLA CAUSA (CAUSA


ECONOMICO-SOCIALE E CAUSA CONCRETA O ECONOMICOINDIVIDUALE) – IL
DIRITTO VIVENTE
a) Teorie della causa astratta
Per molti anni la causa è stata definita come funzione economico sociale tipica del
contratto: il contratto persegue fini meritevoli di protezione quando sia funzionale al
benessere della nazione.
Critiche:
1- atteggiamento dirigistico e lesivo dell’autonomia privata;
2- appiattimento della causa sul tipo.
b) Teoria della causa concreta
Si è ormai progressivamente consolidata, in dottrina e giurisprudenza, l'opposta idea
della causa quale funzione economico-individuale del contratto: la causa non
corrisponde alla sintesi degli elementi essenziali del tipo negoziale, ma individua
l'interesse concreto che spinge ciascun contraente a stipulare il contratto.

I MOTIVI
La teoria della causa concreta permette di superare il diffuso retaggio dell'irrilevanza
dei motivi ove non siano illeciti e comuni.

Più esattamente, il motivo diventa giuridicamente rilevante quando rappresenta


aspettative e previsioni considerate nella loro oggettività e (quantunque per fatti
concludenti) dedotte nell'atto.

IL COLLEGAMENTO NEGOZIALE
Due o più contratti si dicono collegati quando l’uno dipende dall’altro.
Il collegamento può essere:
a) necessario → quando è predeterminato dalla legge. Esempio: il rapporto tra
contratto-base e subcontratto;
b) volontario → quando il collegamento dipende dalla volontà delle parti.
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A sua volta il collegamento volontario può essere:


• implicito;
• oppure espresso ove dichiarato esplicitamente dalle parti.

IL NEGOZIO INDIRETTO
Negozio indiretto → In esso il contratto può essere utilizzato per raggiungere obiettivi
diversi rispetto a quelli tipici, in modo da tenere nascosto ai terzi il fine realmente
perseguito.

IL NEGOZIO MISTO
Negozio misto → Presuppone che le parti hanno prodotto un regolamento di interessi
in cui ci sono più schemi causali appartenenti a diverse fattispecie negoziali. Il contratto
misto è lo strumento prodotto per attuare un fine indiretto.

IL NEGOZIO IN FRODE ALLA LEGGE


Negozio in frode alla legge → Casi in cui il contratto è concluso per ottenere un risultato
indiretto che va contro una norma inderogabile che presiede interessi generali. In tali
casi questi contratti hanno una causa concreta illegale preordinata per frodare la
legge, di conseguenza il contratto è nullo.

IL NEGOZIO FIDUCIARIO
La tradizione distingue due ipotesi di fiducia:
a) cum debitore → il debitore trasferisce un bene a garanzia del debito; questo fine
viene raggiunto tramite la vendita evasiva del divieto di patto commissorio;
b) cum amico → si trasferisce al fiduciario la posizione dominicale sul bene affinché lo
alieni al terzo oppure lo utilizzi seguendo le istruzioni date dal fiduciante.

LA CONDIZIONE
TIPOLOGIA
Le parti possono decidere di inserire nel contratto una condizione per subordinare
l’efficacia o la risoluzione del contratto o di un singolo patto ad un avvenimento futuro
e incerto:
➔ condizione sospensiva → evento futuro incerto il cui verificarsi determina l’efficacia
del contratto;
➔ condizione risolutiva → evento futuro incerto il cui verificarsi estingue gli effetti del
contratto;
➔ condizione causale → l’evento condizionante non dipende dal dominio delle parti;
➔ condizione potestativa → l’evento condizionante dipende dal dominio delle parti;
➔ condizione meramente potestativa → in essa il verificarsi dell’evento condizionante
dipende da un capriccio o da un semplice arbitrio incompatibile con il carattere
vincolante del rapporto obbligatorio;
➔ condizione mista → è caratterizzata dall’unione di elementi delle due precedenti
varianti;
➔ condizione positiva → ha ad oggetto il verificarsi di un fatto giuridico o materiale;
➔ condizione negativa → ha ad oggetto il verificarsi di un fatto non giuridico o non
materiale;
➔ condizione unilaterale →la condizione può essere pattuita nell’interesse di
entrambe le parti, ma l’evento condizionante può rispondere all’interesse di una
sola parte.
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In tutte le tipologie di condizione, l’evento condizionante deve essere incerto, e a


riguardo lo è maggiormente quello futuro.

LA CONDIZIONE ILLECITA E IMPOSSIBILE


Condizione illecita/impossibile → il contratto è nullo quando la condizione ha ad
oggetto un avvenimento illecito contrario a norme imperative, ordine pubblico o buon
costume. È anche nullo il contratto sottoposto ad una condizione sospensiva
impossibile, mentre la condizione risolutiva impossibile si considera come non apposta.
La possibilità che l’evento condizionante possa avverarsi deve essere considerata fin
dalla data dell’accordo.

CONDIZIONE SOSPENSIVA E TERMINE DI ADEMPIMENTO


Bisogna stabilire la differenza tra termine e condizione: la distinzione sta tutta
sull’incertezza dell’accadimento futuro. Per quanto riguarda il termine, l’evento è sicuro
che si svilupperà, ma non si sa di preciso quando (dies certus an); mentre per la
condizione è incerto sia se l’evento si svilupperà e sia il quando ciò accadrà (dies
incertus an).

IL TERMINE DI AVVERAMENTO DELL’EVENTO CONDIZIONANTE


Le parti, inoltre, possono porre un termine finale di avveramento dell’evento, per evitare
che la situazione di incertezza derivante dalla clausola condizionale si trascini all’infinito.
Quindi decorso tale termine, senza che l’evento si sia verificato, il contratto acquista
definitivamente efficacia, oppure si risolve nel caso di condizione risolutiva.

RETROATTIVITA’
Retroattività della condizione → gli effetti del verificarsi della condizione retroagiscono
fino al momento in cui si è concluso il contratto, salvo che tali effetti non siano da
riportare ad un altro momento. Il verificarsi della condizione ha efficacia reale ed è
quindi opponibile a chiunque quando è soddisfatta la formalità stabilita dall’art. 2659
c.c. Quando la condizione è stata apposta ad un contratto ad esecuzione periodica,
il verificarsi di essa non ha effetto nei confronti delle prestazioni già eseguite.

LA CONDIZIONE UNILATERALE
La condizione può essere pattuita nell’interesse di entrambe le parti. Ma l’evento
condizionante può rispondere all’interesse di una sola parte, come accade là dove
l’alienazione di un fondo venga condizionata al rilascio del permesso di edificare.
In questa situazione il venditore non ha alcun interesse in ordine al verificarsi dell’evento,
posto che l’emanazione del menzionato provvedimento amministrativo protegge
esclusivamente l’interesse del compratore ai fini dell’esercizio del ius aedificandi. Si
ritiene pertanto che la condizione unilaterale rientri nella piena disponibilità dello
stipulante a vantaggio del quale è stata prevista, di modo che egli possa rinunciare
alla facoltà di avvalersene trasformando il contratto da condizionato a semplice.
Tuttavia, la stessa condizione sarebbe bilaterale in caso di permuta di terreno dietro
trasferimento di una porzione d’edificio da costruire sopra il terreno stesso.

LA FINZIONE DI AVVERAMENTO
Finzione giuridica di avveramento → la condizione si considera avverata quando sia
divenuta impossibile per causa imputabile alla parte che avesse interesse contrario alla
sua realizzazione. La parte lesa può ricorrere ai rimedi della risoluzione del contratto e
del risarcimento del danno. La finzione che scatta, quando l’impedimento sia
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imputabile anche a titolo di colpa semplice e a patto che la condizione non sia
potestativa, è posta a tutela della parte lesa.

LA FINZIONE DI NON AVVERAMENTO


Finzione di non avveramento → ad essa si può applicare, cioè che viene affermato
nell’art. 1359 c.c. quando l’evento si sia verificato per un fatto imputabile alla parte
interessata.

L’INTEGRAZIONE DEL CONTRATTO


LE TECNICHE DI INTEGRAZIONE
Art. 1374 c.c. → il contratto obbliga le parti a rispettarne il suo contenuto e anche tutte
le conseguenze che ne derivano secondo la legge, gli usi e l’equità.
Quando poi il regolamento contrattuale non contiene tutte le regole che costituiscono
lo statuto del contratto, le parti possono integrarlo attraverso la cosiddetta integrazione
suppletiva.

GLI USI
Usi normativi o consuetudinari → sono una delle fonti di integrazione del contratto. Essi
hanno una struttura formata da due elementi: uno di carattere oggettivo che consiste
nella reiterazione uniforme e costante di un determinato comportamento; l’altro di
carattere soggettivo consistente nel convincersi che tale comportamento sia
obbligatorio. Gli usi sono una fonte sussidiaria utilizzabile nelle materie non regolate
dalla legge, mentre in quelle già regolate dalla legge essi possono essere presenti solo
se vengono richiamati da una fonte superiore.
Usi negoziali → sono pratiche seguite da una determinata cerchia di contraenti oppure
diffuse in un determinato settore merceologico, senza che per essi siano richiesti i
procedimenti di consolidazione degli usi normativi. Secondo il diritto giudiziale, gli usi
negoziali integrano il regolamento contrattuale quando essi sono ignorati dalle parti. In
caso di antinomia, gli usi negoziali prevalgono sulle disposizioni suppletive di legge, al
contrario invece di quelli normativi: questo accade poiché l’efficacia dell’uso
negoziale è simile a quella delle clausole contrattuali, che deroga la norma suppletiva.
L’unico limite all’integrazione tramite usi negoziali è dato dall’onere formale: gli usi
negoziali non possono integrare i contratti sottoposti alla forma scritta a pena di nullità.
Pacta sunt servanda → se le parti dicono di non voler inserire clausole d’uso nel
contratto dopo che esse sono già state inserite, tale affermazione contraria non ha
alcun effetto.

LE CLAUSOLE DI STILE
Clausole di stile → non esprimono una volontà concreta delle parti, poiché sono state
fissate per una specie di atto di fede a prassi consolidate: ne sono un esempio, la
proposizione con cui si stabilisce che ogni violazione del contratto comporta la sua
risoluzione automatica.

L’EQUITA’
Equità → è un criterio d’integrazione suppletiva, di fonte giudiziale.
L'equità consente:
a) di correggere le storture applicative della legislazione;
b) d'integrare le lacune del regolamento contrattuale.
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LA BUONA FEDE
La clausola generale di buona fede riveste un duplice ruolo:
1. innanzitutto legittima il giudice ad accertare la nullità delle singole pattuizioni i cui
contenuti entrino in contrasto con i principi costituzionali;
2. inoltre, la buona fede permette al giudice, tenuto conto dell'assetto d'interessi
originariamente conformato dalle parti in vista dell'attuazione della causa concreta
dello scambio, d'individuare gli obblighi inespressi ma imminenti che appaiono
strumentali al raggiungimento del programma.

Questi rilievi non devono tuttavia essere fraintesi: l'integrazione del contratto secondo
buona fede si deve assolutamente armonizzare con i postulati della libertà negoziale.

LA SIMULAZIONE
LA STRUTTURA DEL MECCANISMO SIMULATORIO
Tramite l'accordo simulatorio le parti confezionano un contratto (c.d. contratto
simulato) ma in realtà non ne vogliono gli effetti oppure vogliono la produzione di effetti
diversi.
La discrasia fra il voluto e il dichiarato deve essere accettata da tutti i partecipanti al
rapporto obbligatorio oggetto di simulazione.
La simulazione può essere:
a) assoluta → quando le parti attraverso l'intesa dissimulata non intendano
perfezionare alcun rapporto giuridico, né modificare lo stato delle cose e la
consistenza delle rispettive sfere giuridico-patrimoniali;
b) relativa → nel caso in cui gli stipulanti vogliono modificare la situazione giuridica
avvalendosi di un contratto dal contenuto diverso da quello apparente.

CONTRATTO IN FRODE AI TERZI E ABUSO DEL DIRITTO


Il nostro ordinamento giuridico non considera di per sé la simulazione come una pratica
eticamente inaccettabile da sanzionare: è vero che in alcuni casi essa viene utilizzata
come strumento per evitare la responsabilità patrimoniale ex art. 2740, oppure per
aggirare divieti legali; ma è anche vero che gli interessati possono reagire contro la
simulazione attraverso l’azione di accertamento della simulazione, oppure attraverso
l’azione di accertare della nullità del contratto in frode alla legge. C’è anche l’azione
revocatoria ordinaria, che può essere utilizzata nei casi in cui i terzi non sono a
conoscenza dell’intesa occulta.
Art. 1344 c.c. → il nostro ordinamento sancisce la nullità solo del contratto in frode alla
legge e non di quello in frode ai terzi.

LA SIMULAZIONE DEGLI ATTI UNILATERALI


Atti unilaterali → possono anche loro essere oggetto di simulazione. La loro simulazione,
per non essere segregata negli intrecci della riserva mentale, richiede un’intesa fra
dichiarante e destinatario.
Art. 1414 c.c. → l’accordo simulatorio è il presupposto indispensabile per la creazione
di una fattispecie negoziale apparente, di natura unilaterale, i cui effetti sono paralizzati
da tale convenzione tra dichiarante e destinatario.

L’INTERPOSIZIONE FITTIZIA
Interposizione fittizia → il contratto, pur essendo voluto, produce i suoi effetti a favore
del soggetto diverso da quello che appare essere il titolare apparente.
lOMoAR cPSD| 8271496

Esempio → Tizio è disposto a vendere il fondo Capenate a Caio, che è a sua volta
interessato all’acquisto, ma manca l’interesse a manifestare il trasferimento: per far ciò
le parti possono ricorrere ad un prestanome, il quale assume le apparenti vesti di
compratore. La causa simulatoria in questione ha bisogno della partecipazione
all’intesa segreta di tutti i soggetti (veri e apparenti), coinvolti nella vicenda che diviene
un contratto plurilaterale: venditore, interposto, e interponente.
Infine, se l’interposizione fittizia ha ad oggetto cose immobili, l’accordo simulatorio deve
essere redatto in forma scritta a pena di nullità.

LA FORMA DEL CONTRATTO DISSIMULATO


La prova dell’accordo simulatorio nei rapporti interni può essere raggiunta allegando
la controdichiarazione. La stessa prova può essere formata dal riconoscimento della
simulazione proveniente dal titolare apparente. Dato che si tratta di atto confessorio,
incorporante l’ammissione della simulazione anziché dell’intesa dissimulata, non
dovrebbe sussistere alcun ostacolo a sostenere che la controdichiarazione possa essere
documentata ex post, sempre che il contratto simulato non sia soggetto a particolari
oneri formali.
Art. 1414 c.c. → il contratto dissimulato è efficace fra le parti solo quando vengono
rispettati i requisiti di forma e sostanza.

L’AZIONE DI SIMULAZIONE
Azione di simulazione → azione diretta a far valere la simulazione. Essa ha natura di
mero accertamento e quindi è assoluta e imprescrittibile, fermi restando gli effetti del
possesso rilevante ai fini dell’acquisto a titolo originario.

LA PROVA DELLA SIMULAZIONE


L’onere di provare il rapporto occultato dal contratto apparente spetta a chi deduca
tale situazione.
Art. 1417 c.c. → le parti possono avvalersi della prova per testimoni solo nel caso in cui
essa sia diretta a dimostrare l’illiceità del contratto dissimulato (compravendita
dissimula un mutuo garantito da patto commissorio). La regola è un’applicazione del
principio in tema di patti aggiunti e contraria al contenuto del documento.

LE NULLITA’
LE SPECIE DI NULLITA’: NULLITA’ TESTUALI E VIRTUALI
Art. 1418 c.c. → ci sono due classi di nullità:
• testuali → di più immediata percezione, è la stessa norma che sancisce sanzione
l’atto immeritevole di protezione;
• virtuali → si hanno quando l’atto va contro norme imperative.
La nullità deve poi essere distinta dall’inesistenza, che si ha quando manca la volontà
oppure c’è solo un aspetto di volontà non affidante.

NULLITA’ FORMALI E SOSTANZIALI


La legislazione urbanistica ha poi distinto le nullità in altre due categorie:
• sostanziali (insanabili);
• formali (sanabili).

LA NULLITA’ PARZIALE
La nullità parziale del contratto non contraddice l’intero contratto a meno che il
frammento invalido non sia stato essenziale per la formazione del consenso delle parti.
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È onere della parte interessata dimostrata di fronte al giudice che il frammento in


questione abbia avuto un carattere essenziale, senza il quale il contratto non si sarebbe
perfezionato.

NULLITA’ DEL CONTRATTO PLURILATERALE


Contratto plurilaterale → la nullità che colpisce il vincolo di una sola parte non
comporta la nullità di tutto il contratto, salvo che la partecipazione di tale parte non sia
stata essenziale.

OPPONIBILITA’
Opponibilità → la nullità ha effetto retroattivo e coinvolge anche i diritti dei terzi sub-
acquirenti in buona fede; tuttavia, se il terzo in buona fede ha trascritto il suo titolo, il
suo acquisto è salvo quando la domanda di nullità è stata trascritta dopo cinque anni
dalla trascrizione dell’atto nullo. Quindi la nullità è in opponibile ai terzi quando ricorrono
i presupposti temporale (decorso del quinquennio), e soggettivo (stato di buona fede
del terzo).

CONVALIDA E RINNOVAZIONE
Art. 1423 c.c. → il contratto nullo non può essere convalidato. Le parti possono sempre
rinnovare efficacemente la volontà ma eliminando dal contratto l’elemento
contraddicente. In più se non vengono coinvolti interessi di terzi, i poteri di autonomia
privata possono attribuire al contratto rinnovato efficacia retroattiva, fino al momento
in cui era stato perfezionato il contratto invalido, in modo tale da salvaguardare le
attività svolte dalle parti nel frattempo.

LA CONVERSIONE
Conversione → l’interesse alla conservazione del rapporto obbligatorio è alla base della
conversione. È esclusa la conversione quando viene dimostrato che le parti erano
consapevoli della nullità, siccome viene a mancare il presupposto della volontà
ipotetica orientata verso gli effetti del contratto diverso. È esclusa la conversione del
contratto in un atto unilaterale, poiché tale articolo circoscrive l’applicazione
dell’istituto degli atti omogenei.

IMPRESCRITTIBILITA’, DEDUCIBILITA’ E RILEVABILITA’


Art. 1422 c.c. → l’azione di accertamento della nullità è imprescrittibile, salvi gli effetti
dell’usucapione e della prescrizione decennale dell’azione d’indebito oggettivo.
Art. 1421 c.c. → se non è stabilito diversamente dalla legge, la nullità, può essere fatta
valere da chiunque ne abbia interesse e può essere rilevata d’ufficio dal giudice.

LA NULLITA’ RELATIVA (O DI PROTEZIONE)


Nullità relativa → talvolta la legge stabilisca che la nullità può essere fatta valere solo
dalla parte a favore della quale è stata posta la norma violata. Se tale parte è assente,
spetta al giudice rilevare d’ufficio la nullità. Il fondamento della nullità deve essere
ricercato nel divieto di condotte contraddittorie: è infatti irrazionale che la nullità possa
essere invocata dalla parte che, violando la norma imperativa, ha leso l’interesse
dell’altra parte.
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L’INCAPACITA’ NATURALE
ATTI UNILATERALI
Art. 428 c.c. → colui il quale, pur disponendo della piena capacità legale, ha posto in
essere un atto giuridico in stato di incapacità naturale di intendere e di volere, può
esercitare l’azione di annullamento per vizio del consenso, quando è dimostrato il grave
pregiudizio dell’autore.

CONTRATTI
Quando l’atto è contrattuale, l’art. 428 c.c. condiziona l’annullamento alla sussistenza
della mala fede dell’altro contraente. Il fondamento di questo requisito soggettivo
deve essere ricercato nell’esigenza di tutelare le ragioni di sicurezza del traffico
giuridico, le quali sono destinate a cedere soltanto quando non affiori l’esigenza di
proteggere l’affidamento suscitato dalla forza vincolante della parola data.

L’ERRORE
PREMESSA
Errore → provocato da una falsa rappresentazione della realtà materiale o giuridica,
dichiara falsa la volontà perché non permette al dichiarante di maturare una
determinazione corretta.
Art. 1428 c.c. → l’errore è causa di annullamento del contratto quando è essenziale ed
è riconoscibile dalla controparte.

L’ERRORE SULLA NATURA O SULL’OGGETTO


Errore sulla natura del contratto → il contraente ha rappresentato in modo errato gli
effetti giuridici essenziali del contratto stipulato.
Errore sull’oggetto → riguarda il rapporto intercedente tra le prestazioni dedotte nel
rapporto obbligatorio.

L’ERRORE SULL’IDENTITA’ DELL’OGGETTO


Errore sull’identità dell’oggetto della prestazione → è essenziale soltanto quando ha
impedito effettivamente di individuare la cosa negoziata. Negli altri casi vale il principio
falsa demonstratio non nocet (l’errata descrizione non invalida l’atto).

L’ERRORE SULLA QUALITA’


Errore sulla qualità → riguarda le caratteristiche materiali della cosa e si ha quando il
venditore offre al compratore un bene di marca che, in realtà, è contraffatto. Tale
errore può riguardare non solo le qualità materiali della cosa, ma anche quelle
giuridiche.

L’ERRORE SULLA CONTROPARTE


Errore sulla controparte → l’errore può riguardare anche l’identità dell’altro contraente
o le sue qualità personali. Tale errore assume rilevanza quando l’identità o le qualità
siano determinanti del consenso di colui che compie l’errore.

L’ERRORE DI DIRITTO
Errore di diritto → esso si esprime nell’ignoranza o nella cattiva interpretazione di una
norma giuridica ad astrarre dalla sua natura imperativa o suppletiva.
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L’ERRORE DI CALCOLO
Errore di calcolo → l’errore che si compie nelle operazioni aritmetiche può essere risolto
grazie ad una semplice rettifica, salvo che non sia un errore sui fattori del calcolo,
poiché in tal caso, se viene dimostrato che tale errore è essenziale e riconoscibile, allora
esso può portare all’annullamento.

LA RICONOSCIBILITA’
Riconoscibilità dell’errore → il giudizio di riconoscibilità prende come modello di
riferimento la persona di media diligenza.

ERRORE COMUNE
Errore comune → si ha quando le volontà di entrambe le parti sono viziate dallo stesso
sbaglio; in tale situazione non si ha esigenza di protezione dell’affidamento del
destinatario della dichiarazione errata poiché ciascuna delle parti esprime la propria
determinazione non a causa dell’errore altrui, ma per effetto del proprio errore.

ERRORE OSTATIVO
Errore ostativo → si ha quando la volontà, che si è formata correttamente, è stata poi
dichiarata o trasmessa in maniera inesatta da una persona o dall’ufficio che era stato
incaricato della sua trasmissione.

DISSENSO OCCULTO
Dissenso occulto → si ha quando l’oblato attribuisce alla volontà dell’offerente un
significato diverso rispetto a quello che in realtà ha, e per effetto di questo malinteso,
l’oblato presta il suo consenso.

IL DOLO
DOLO DETERMINANTE E INCIDENTE
Dolo determinante → il dolo causato da una delle parti è causa di annullamento del
contratto quando ha modificato la volontà dell’altra parte per indurla a concludere un
contratto che senza il dolo non avrebbe stipulato.
Dolo incidente → se gli inganni non hanno inciso sul consenso, il contratto è valido,
anche se senza di essi sarebbe stato concluso a condizioni diverse; in tal caso però la
parte in mala fede deve rispondere dei danni che ha causato.

DOLO COMMISSIVO
Dolo commissivo → l’inganno viene realizzato attivamente, ingannando la controparte
mediante fatti, notizie o parole false.

NESSO CAUSALE E INTENTO D’INGANNARE (ANIMUS DECIPIENDI)


Animus decipiendi → a parere dell’orientamento dominante, per integrare gli estremi,
del dolo, occorre che il raggiro divenga una causa di alterazione del corretto processo
di formazione della volontà. Quindi si deve avere una relazione causale tra attività
ingannatrice e vizio del volere. Da tale prospettiva si capisce che il dolo, non invalida il
contratto, quando colui che ad esempio ha ricevuto un’informazione falsa, pur avendo
capito che era falsa, se ne è disinteressato, oppure ha deliberatamente chiuso un
occhio. In tal caso manca il nesso causale, poiché il soggetto passivo ha con piena
coscienza affrontato l’azzardo del raggiro. Coloro che seguono tale ordinamento,
ritengono che sia necessario accertare la sussistenza dell’animus decipiendi, cioè della
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reale volontà di distorcere il vero o simulare il falso per trarre in errore o arrecare danno
alla vittima.

LA MENZOGNA
Menzogna → secondo la dottrina tradizionale non è sufficiente affermare il falso per
compiere un dolo-vizio. Anche la giurisprudenza forense segue tale indirizzo. Invece
l’altra parte della letteratura giuridica tende a distinguere tra:
• menzogne irrilevanti → incidono sulla sfera propria o di terzi;
• menzogne rilevanti → si riflettono sulla controparte.

MOLTEPLICITA’ DI TUTELE E VARIETA’ DEI BENI DELLA VITA PROTETTI


Art. 1491 c.c. → la garanzia è dovuta anche per i vizi apparenti quando il venditore ha
dichiarato che la cosa non li aveva. Risalta qui il dovere del venditore di avvertire il
compratore che vi è una discrasia tra voluto e dato per evitare che il compratore si
faccia aspettative illusorie.

IL C.D. BUONO (O TOLLERATO): L’ORIENTAMENTO DOMINANTE


Dolo buono/tollerato → è individuabile quando la simulazione del vero sia talmente
evidente, che non può arrecare danno alle persone normalmente avvedute. Visto che
il dolo buono è irrilevante, lo stipulante indotto in errore non può confidare
nell’accoglimento della domanda di annullamento, perché la propria soglia di
attenzione, essendo al di sotto della soglia di normalità, non è tutelabile.

LA RETICENZA
Reticenza → Cicerone dixit: “l’uomo onesto non avrebbe potuto mantenere il silenzio
su fatti, di cui avesse esclusiva conoscenza, atti a condizionare i suoi interlocutori”. A
partire da tale affermazione, si può affermare che nel diritto privato, si ha un raggiro
anche quando una parte intenzionalmente mantiene o rafforza l’inesatta
rappresentazione della realtà in cui si trova l’errante. Tuttavia, non esistono gli estremi
della frode civile quando la parte in mala fede si limita ad approfittare di un
preesistente errore, non facendo il minimo indispensabile per correggere il vizio della
volontà dell’altra parte. Ampi settori della dottrina italiana affermano infatti che il dolo,
deve essere causa dell’errore per acquistare rilevanza giuridica. Commette invece
dolo colui il quale ha agevolazioni per acquistare informazioni utili alla corretta
formazione del consenso dell’altra parte, ma non mette a disposizione
dell’interlocutore queste conoscenze. Il dolo omissivo in questione è quindi causa di
annullamento del contratto o di risarcimento del danno, anche nel caso di mera colpa.

L’AZIONE DI ANNULLAMENTO
TASSATIVITA’
Annullamento → è un rimedio invocabile solo in determinate ipotesi stabilite dalla
legge.
Le differenze tra annullamento e nullità sono:
• il contratto nullo non produce iure effetti se non di fatto, mentre quello annullabile è
efficace finché non viene invalidato;
• la sentenza di annullamento ha effetto costitutivo, mentre il verdetto di nullità ha
solo una pura valenza dichiarativa;
• la nullità opera di diritto ed è invocabile da qualsiasi interessato, mentre
l’annullabilità è di massima relativa e può essere fatta valere solo dalla parte nel cui
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interesse la sanzione invalidante è posta. Solo nel caso di contratto stipulato da


interdetto legale si parla di annullabilità assoluta;
• la nullità è imprescrittibile, mentre l’annullabilità si prescrive in 5 anni decorrenti dal
giorno in cui è cessata la violenza, scoperto l’errore o il dolo, cessata l’interdizione o
l’inabilitazione oppure il minore ha raggiunto la massima età;
• l’accertamento della nullità ha effetto retroattivo ed è opponibile erga omnes,
mentre la sentenza di annullamento agisce anch’essa ex tunc ma è in opponibile,
quando non dipende da incapacità legale, ai terzi acquirenti a titolo oneroso in
buona fede, salvo gli effetti della trascrizione della relativa domanda.

CONVALIDA
Art. 1444 c.c. → il contratto annullabile può essere convalidato dalla parte a cui spetta
l’azione di annullamento, attraverso un atto che contiene la menzione del contratto e
il motivo di annullabilità e l’intenzione che si intende convalidare tale annullamento. La
convalida è invece tacita quando il contraente a cui spettava l’azione di
annullamento vi ha dato volontariamente esecuzione conoscendo il motivo
dell’annullabilità.

LA VIOLENZA E LA RESCISSIONE
LA VIOLENZA PSICHICA E FISICA
Art. 1434 c.c. → è annullabile il contratto stipulato a seguito di una violenza, anche se
fatta da terzi.
Art. 1436 c.c. → nel caso in cui il male minacciato è rivolto contro terzi, tale articolo,
legittima l’azione di annullamento quando tale male riguarda la persona o i beni del
coniuge del contraente o di un suo discendente o ascendente. Quando invece
riguarda altre persone, l’annullamento del contratto è rimesso all’apprezzamento del
giudice.

METUS AB INTRINSECO
Metus ab intrinseco → è il perturbamento emotivo determinato dalla paura che trae
origine da una vicenda in grado di scatenarla. Esso non è rilevante, a patto che non
sia diretto ad estorcere il consenso di colui che lo subisce. Per l’annullamento occorre
da una parte che il timore abbia una radice esterna, e dall’altra parte che la minaccia
del male ingiusto o notevole sia tale da incidere sul processo di formazione della
volontà di colui che potrebbe subire il male.
Art. 1437 c.c. → il timore reverenziale non è causa di invalidità del contratto.

LA MINACCIA DI FAR VALERE UN DIRITTO


Art. 1438 c.c. → la minaccia di esercitare un diritto è una violenza psichica se manca
qualsiasi rapporto tra diritto preteso e diritto minacciato.

LA RESCISSIONE DEL CONTRATTO CONCLUSO A CONDIZIONI INIQUE


Rescissione → forma di invalidità riconducibile all’annullabilità. Però a differenza
dell’annullamento, il provvedimento che accoglie la domanda di rescissione non
pregiudica i diritti di terzi anche se di mala fede, salvo gli effetti di trascrizione della
domanda giudiziale.
Art. 1451 c.c. → il contratto rescindibile non può essere convalidato.
Art. 1447 c.c. → può essere rescisso il contratto concluso a condizioni inique, per la
necessità, nota alla controparte, di salvare sé stesso o altri da un pericolo attuale. Il
pericolo può derivare dall’azione umana o da fatti naturali: quando è però imputabile
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ad un terzo o a eventi naturali, è richiesta la cognizione della controparte; il giudice


nello stabilire la rescissione, può assegnare un equo compenso all’altra parte per
l’opera da lei prestata. Infine, si ha bisogno di un rapporto di causalità tra il pericolo e
l’aver stipulato il contratto a condizioni inique.

L’AZIONE GENERALE DI RESCISSIONE PER LESIONE


Azione di rescissione per lesioni → gli elementi costitutivi della domanda sono:
l’approfittamento dello stato di bisogno e la lesione oltre la metà tra dato e ricevuto. I
contratti aleatori non possono essere rescissi per lesioni. L’approfittamento non consiste
per forza in una condotta attiva dell’agente, ma è sufficiente la conoscenza dello stato
di bisogno in cui versa l’altra parte. La lesione deve perdurare sino al momento in cui
viene proposta la domanda. La rescissione può essere evitata quando la parte contro
la quale è stata richiesta, modifica il contratto per ricondurlo ad una situazione di
equilibrio.

LA RISOLUZIONE PER INADEMPIMENTO


GLI ELEMENTI CARATTERISTICI
La risoluzione costituisce il rimedio generante l'estinzione del contratto a prestazioni
corrispettive in conseguenza della patologia alterante il sinallagma funzionale (ossia
l'equilibrio soggettivo tra dare e avere sottostante al rapporto).
L'inadempimento è rilevante soltanto ove non sia di scarsa importanza riguardo
all'interesse del creditore stesso.
Sia che sia domandata la risoluzione del contratto, sia che si chieda l’esatto
adempimento, il contraente non inadempiente potrà comunque domandare il
risarcimento dei danni.

LA SENTENZA DI RISOLUZIONE
La risoluzione trae fondamento dalla sentenza costitutiva (si parla in tal caso di
risoluzione giudiziale). Tuttavia, per ottenere la risoluzione non sempre occorre il ricorso
al giudice: alle parti è infatti riconosciuta la facoltà di pattuire clausole contrattuali
generanti l'immediata risoluzione del contratto (risoluzione di diritto o ipso iure). Un
effetto analogo può scaturire dalla diffida a adempiere.

EFFICACIA E OPPONIBILITA’
Fra le parti la risoluzione opera con efficacia retroattiva:
• esse sono liberate ex tunc dai propri obblighi,
• e le eventuali prestazioni già eseguite devono essere reciprocamente restituite,
salvo per i contratti di durata.
Verso i terzi la risoluzione produce effetti inter partes: la risoluzione è loro inopponibile a
prescindere dallo stato di buona fede o dalla natura dell'acquisto, fatti però salvi gli
effetti della trascrizione relativa alla domanda di risoluzione.
Chi agisce per la risoluzione non è tenuto a provare la colpa dell’obbligato.

LA CLAUSOLA SOLVE ET REPETE


Clausola solve et repete → è la clausola con cui si stabilisce che una delle parti non
può opporre eccezioni per evitare o ritardare la prestazione dovuta. Essa non ha effetto
riguardo alle eccezioni di nullità, annullabilità e di rescissione del contratto. Nei casi in
cui invece essa è efficace, il giudice, se riconosce che ci sono gravi motivi, può
sospendere la condanna, imponendo, se è caso, una cauzione.
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LE SOPRAVVENIENZE
L’ECCESSIVA ONEROSITA’ SOPRAVVENUTA: PREMESSA
Nei rapporti contrattuali di durata o istantanei ma ad esecuzione differita può
succedere che lo stato di fatto iniziale, subisca delle modifiche per eventi, estranei alle
parti, tali da modificare l’equilibrio patrimoniale alla base del rapporto obbligatorio. In
tali situazioni le parti o la legge possono prevedere dei meccanismi giuridici utili a
riequilibrare lo scambio. Quando ciò non accade, entra in scena la fattispecie della
eccessiva onerosità sopravvenuta, che consente alla parte pregiudicata di chiedere
la risoluzione del contratto.

L’EVENTO SOPRAVVENUTO
Art. 1467 c.c. → la sopravvenienza è rilevante quando fuoriesce dal rischio tipico del
contratto e quando è estranea alla situazione socioeconomica che caratterizza il
mercato al momento dell’accordo.

IL DOVERE DI RINEGOZIARE LE CLAUSOLE CONTRATTUALI


Art. 1375 c.c. → le parti sono obbligate, secondo buona fede, a rinegoziare il contratto
di durata per riportarlo ad una situazione equa? Sotto il profilo giudiziale, il rimedio a ciò
è contenuto nell’art. 1467: la parte danneggiata dalla sopravvenienza, può chiedere
lo scioglimento del rapporto, ma la controparte ha comunque la facoltà di paralizzare
tale domanda offrendo di modificare il contratto secondo equità. Quindi si può dire
che la risposta a tale domanda è positiva.

IL RECESSO E LE PENE CONTRATTUALI


IL RECESSO: FONDAMENTO
L'art. 1372 c.c. equipara allusivamente il contratto alla legge.
Significati:
a) arginare l'intrusione del giudice nell'atto di autonomia privata;
b) le parti sono tenute a rispettare la parola data essendo di massima esclusa la
modificabilità unilaterale del regolamento privato d'interessi.
Tuttavia, le parti stesse possono sciogliere il vincolo contrattuale, oltre che per mutuo
dissenso (contratto risolutorio), dalla risoluzione di diritto o giudiziale e dall'esercizio del
diritto potestativo di recesso.
La fonte del recesso può essere legale o volontaria.

DISCIPLINA
Il recesso è un negozio unilaterale recettizio, deve avere la stessa forma richiesta per il
contratto.
Art. 1373 c.c. → nei contratti istantanei il recesso può essere esercitato dalla parte che
è legittimata finché non è stato eseguito il rapporto. Tale regola è però derogabile. La
ratio di ciò sta nel fatto che chi accetta la prestazione, dimostra un interesse opposto
allo scioglimento unilaterale del rapporto. Tuttavia, in mancanza di un accordo di
deroga, il recesso è paralizzato soltanto dall’esecuzione della prestazione per opera o
del titolare del diritto di recesso oppure della controparte. Quando invece il contratto
è di durata, il recesso può essere esercitato durante la pendenza del vincolo, però
l’esercizio del recesso non pregiudica le prestazioni già eseguite o in corso di
esecuzione.
Per evitare che il recesso possa sorprendere l’altra parte, è possibile condizionarne
l’efficacia ad un preavviso (principio di buona fede).
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CAPARRA E MULTA PENITENZIALI


Art. 1386 c.c. → i contraenti sono liberi di stabilire un corrispettivo per il recesso, che può
essere una caparra penitenziale in denaro, consegnata dal titolare dello ius poenitendi
all’altra parte al momento dell’accordo; se la facoltà di recedere è riconosciuta ad
entrambe le parti, se una sola ha versato la caparra, l’esercizio del recesso da parte di
colui che ha ricevuto la caparra presuppone la restituzione del doppio del valore della
caparra ricevuta. Infine, al diritto di recesso unilaterale può affiancarsi la multa
penitenziale: somma di denaro che deve essere pagata dal titolare del ius poenitendi
per far produrre al recesso il proprio effetto estintivo.

LA CAPARRA CONFIRMATORIA
Caparra confirmatoria → è un contratto reale, tra persone già legate ad un rapporto a
prestazioni corrispettive, con oggetto il pagamento di una somma di denaro o una
quantità di altre cose fungibili. Ha il ruolo di confermare l’accordo principale e in
sostanza è un inizio di esecuzione del contratto. Ha inoltre una funzione di liquidazione
convenzionale del danno: nel caso in cui la parte che ha pagato la caparra non
adempia, al creditore è riconosciuta la potestà di recedere ritenendo la caparra; se
invece, la violazione del contratto è stata fatta da chi ha ricevuto la caparra, l’altra
parte può recedere chiedendo il doppio della somma della caparra oppure il soggetto
legittimato è libero di agire per l’adempimento o la risoluzione, oltre ai danni e alla
restituzione della caparra.

LA CLAUSOLA PENALE
Clausola penale → stabilisce che, in caso di inadempimento o di ritardo, uno dei
contraenti è tenuto a una determinata prestazione; essa ha l’effetto di limitare il
risarcimento alla prestazione promessa, se non è stata convenuta la risarcibilità del
danno ulteriore. La penale è dovuta indipendentemente dalla prova del pregiudizio.
Il creditore non può domandare insieme la prestazione principale e la penale, se questa
non è stata stipulata per il semplice ritardo. Da ciò si comprende che la clausola penale
ha la finalità di anticipata liquidazione del danno contrattuale.
Art. 1384 c.c. → quando l’ammontare della penale risulta eccessivo, il giudice può
ridurlo ad equità.
La penale può inoltre servire ad una opposta finalità, che si ha quando essa ha natura
meramente simbolica: in tale situazione essa funge infatti da incentivo
all’inadempimento perché assicura un risparmio di spese, poiché il debitore infedele
deve pagare una sanzione che è inferiore alla prestazione promessa.

LA RAPPRESENTANZA VOLONTARIA
LA PROCURA
Il potere di rappresentanza può derivare dalla legge (rappresentanza legale), o
dall'interessato (rappresentanza volontaria). Si ha invece rappresentanza organica
quando il potere ad essa sotteso sia correlato all'ufficio ricoperto da una determinata
persona.

L'atto con cui l'interessato attribuisce ad un soggetto il potere di rappresentanza


(volontaria) si chiama procura.
La procura è un negozio unilaterale recettizio che si perfeziona ad astrarre
dall'accettazione del destinatario.
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Il contratto concluso dal rappresentante in nome e nell'interesse del rappresentato, nei


limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente effetto nei confronti del
rappresentato.
L'effetto rappresentativo presuppone che il dichiarante si qualifichi come procuratore
del dominus negotii.
Il rappresentante va tenuto distinto dal nunzio (o portavoce), che è colui il quale non
forma la volontà i cui effetti ricadono sul dominus negotii (rappresentato), ma si limita
a trasmetterne la determinazione volitiva.
La procura deve avere la stessa forma del negozio oggetto del potere rappresentativo.
Quanto all'oggetto la procura può essere generale o speciale: nel primo caso il
procuratore può compiere tutti gli atti di ordinaria amministrazione, nell'altro egli è
legittimato a perfezionare unicamente l'atto o gli atti in essa indicate.
Per la validità del contratto concluso dal rappresentante basta la capacità d'agire del
rappresentato, mentre è sufficiente che il rappresentante abbia la capacità naturale di
intendere e volere. In ogni caso, per la validità del contratto concluso dal
rappresentante è necessario che il contratto non sia vietato al rappresentato.
Il contratto è annullabile se è viziata la volontà del rappresentante. Ma se il vizio
riguarda specifici elementi predeterminati dal rappresentato, il contratto è annullabile
solo quando sia viziata la volontà di questi.

IL FALSUS PROCURATOR
Falsus procurator → è colui che ha negoziato come rappresentante senza però averne
i poteri o eccedendo i limiti delle facoltà conferitogli. Egli è responsabile del danno che
il terzo contraente ha patito per aver confidato senza colpa nella validità del contratto.
In tale situazione il contratto non è nullo, ma inefficace: tale contratto può essere
ratificato dall’interessato, rispettando le forme prescritte per la sua conclusione.
Art. 1399 c.c. → la ratifica è un negozio unilaterale recettizio con effetto retroattivo, ma
sono salvi i diritti dei terzi. Non è ammessa la ratifica parziale perché ciò comporterebbe
la modifica da parte di un solo contraente del contratto oggetto di ratifica. La ratifica
deve essere redatta nella stessa forma richiesta per la validità della procura.
In ogni caso il terzo e il falsus procurator, possono sciogliere il contratto prima della
ratifica: il terzo può invitare l’interessato ad esprimere il suo giudizio sulla ratifica entro
un determinato termine. Se l’interessato non risponde entro tale limite, la ratifica si
considera negata. In più la facoltà di ratificare si trasmette agli eredi.

LA RAPPRESENTANZA APPARENTE
Rappresentanza apparente → è la situazione in cui, il soggetto falsamente
rappresentato, mediante il suo comportamento di tolleranza verso l’attività del falso
procuratore, ha generato nel terzo la convinzione dell’esistenza di una vera e propria
procura. In tal caso trova applicazione il principio dell’apparenza giuridica, con
l’effetto che l’apparente rappresentato deve farsi carico degli obblighi assunti in suo
nome. Il contratto è quindi efficace e vincolante, poiché l’ordinamento ritiene
prevalente l’interesse alla protezione dell’affidamento anche imputabile all’interessato.
Art. 1396 c.c. → per evitare il sorgere di situazioni di apparenza, il rappresentato ha
l’onere di far conoscere erga omnes le eventuali modifiche o revoche della procura.
In mancanza tali vicende sono in opponibili se non si prova che coloro i quali hanno
negoziato con il rappresentante le conoscevano al momento dell’accordo.
Art. 1397 c.c. → il rappresentante è tenuto a restituire il documento fonte del potere,
quando i suoi poteri sono venuti meno.
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FATTISPECIE CONTRATTUALI SOGGETTIVAMENTE VARIABILI


IL CONTRATTO PER PERSONA DA NOMINARE
Contratto per persona da nominare → è il contratto in cui una parte si riserva il potere
di nominare, dopo la stipulazione del contratto, la persona che prenderà il suo posto in
qualità di parte. Tali contratti vengono utilizzati molto nell’ambito dei contratti
preliminari con oggetto beni immobili.

LA CESSIONE DEL CONTRATTO


Cessione del contratto → è il negozio attraverso il quale, nei contratti a prestazioni
corrispettive, che non sono ancora state eseguite, ogni contraente può sostituire a sé
un terzo, a patto che l’altra parte dia il suo consenso. Tale negozio è trilaterale: per il
suo perfezionamento occorrono i consensi del cedente, cessionario e ceduto. Il
contratto di cessione deve essere redatto nella stessa forma del contratto ceduto. La
parte può consentire preventivamente che l’altra ceda la sua posizione contrattuale,
però in tal caso la cessione è efficace da quando è notificata al ceduto o da quando
è stata accettata. Il cedente è liberato dalle sue obbligazioni verso il ceduto, tuttavia
il contraente ceduto, se ha dichiarato di non liberare il cedente, può agire contro di lui
se il cessionario non adempie. In tale situazione il ceduto deve avvertire il cessionario
entro 15 giorni dal momento in cui si è verificato l’inadempimento; in mancanza deve
risarcire i danni. Il ceduto può opporre al cessionario, e viceversa, le eccezioni
riguardanti il contratto ma non quelle sui rapporti personali con il cedente. Infine, il
cedente deve garantire la validità del contratto.
La cessione tra vivi del contratto può inoltre discendere anche dalla legge.

IL CONTRATTO A FAVORE DEL TERZO


Contratto a favore del terzo → è ammessa la stipulazione di un contratto a favore di un
terzo se lo stipulante ne ha interesse. Esso può essere anche extrapatrimoniale.

L’INTERPRETAZIONE
LA COMUNE INTENZIONE
Nell’interpretare un contratto bisogna prendere in seria considerazione qual è stata la
vera e comune intenzione delle parti e non limitarsi a capire il senso letterale delle
parole. Per stabilire l’intenzione comune delle parti bisogna osservare anche il loro
comportamento dopo la conclusione del contratto.
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I SINGOLI CONTRATTI
PARTE PRIMA: I CONTRATTI DI SCAMBIO DI BENI E SERVIZI
LA COMPRAVENDITA
NOZIONE
La vendita è il contratto che trasferisce la proprietà di una cosa o di un diritto dietro il
pagamento di un prezzo. L’effetto traslativo di essa è sottoposto al principio
consensualistico: per tali motivi la compravendita è considerata un contratto ad
esecuzione istantanea (art. 1470 c.c.).
Da tale contratto nascono obbligazioni corrispettive:
• il venditore deve consegnare la cosa al compratore, e garantirgli la pienezza del
dominio e l’assenza di vizi o difetti occulti;
• il compratore deve pagare il prezzo stabilito entro il termine e nel luogo
prestabiliti; se questi due elementi non sono stati determinati, il pagamento si
esegue al momento della consegna della cosa.
Il sistema inoltre pone dei limiti alla libera negoziabilità delle cose tramite
compravendita:
• oggettivi → incommerciabilità di determinati oggetti per ragioni di ordine
pubblico;
• soggettivi → divieti speciali di comprare per determinate persone che, a causa
del loro ufficio, potrebbero essere portatori di interessi conflittuali.

LA RISERVA DI PROPRIETA’ E IL PATTO DI RISCATTO


Riserva di proprietà → attraverso la vendita con riserva della proprietà (artt. 1523 ss.) il
compratore diventa proprietario soltanto a seguito del pagamento dell'ultima rata di
prezzo, sebbene assuma i rischi sin dal momento della consegna della cosa mobile o
immobile.
Vendita con patto di riscatto → grazie ad esso il dante causa si riserva la facoltà di
riottenere la proprietà già trasferita «mediante la restituzione del prezzo e i rimborsi»
stabiliti nell'art. 1502 c.c.

LA VENDITA DI COSA GENERICA


Quando l'effetto traslativo non scaturisca immediatamente dallo scambio delle
volontà a causa della mancanza di un elemento essenziale ai fini del completamento
della fattispecie, nasce a carico del venditore l'obbligazione di dare, che si esprime
nella prestazione volta a far acquistare all'avente causa il diritto sulla cosa. Tale
obbligazione viene alla luce primariamente nel caso in cui l’oggetto del contratto sia
una cosa determinata soltanto nel genere. L'art. 1378 c.c. dispone che il trasferimento
di proprietà è realizzato nell'istante in cui le parti hanno «d'accordo» individuato la cosa
sì da rendere possibile la separazione dell'oggetto reale dalla massa.

LA VENDITA DI COSA FUTURA


Le parti sono libere di vendere un bene attualmente inesistente, ma suscettibile di venire
in essere. L’art. 1472 c.c. precisa che ove le parti non abbiano voluto concludere un
contratto aleatorio, la vendita è nulla, se la cosa non viene ad esistenza. Il trasferimento
del diritto sul bene si consegue nell'istante in cui la cosa diventa reale.
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LA VENDITA DI COSA ALTRUI


La vendita può avere ad oggetto il bene di proprietà altrui. La fattispecie è valida e
vincolante, sebbene l'effetto traslativo sia subordinato al sopravvenuto acquisto di
titolarità da parte del venditore. L'inadempimento dell’obbligo di procurare l’acquisto
della cosa negoziata fa scattare la responsabilità per inadempimento del venditore, a
prescindere dalla circostanza che l'avente causa fosse consapevole all'epoca
dell'accordo che il bene apparteneva al terzo.

LA VENDITA CON CAUSA COMMISSORIA


La vendita può essere caratterizzata da una causa economico-concreta di
finanziamento per il compratore e di garanzia per il venditore.

IL PATTO MARCIANO
Patto marciano → è il patto attraverso il quale si evita il pericolo dell’abuso a pregiudizio
del venditore, poiché grazie a tale patto, la stima della cosa, compiuta dal terzo, è
spostata al momento dell’inadempimento.

CONSEGNA DELLA COSA


Consegna della cosa → la consegna della cosa rileva, in generale, solo sotto il profilo
dell’esecuzione di una compravendita già perfetta. La consegna della cosa in senso
materiale può mancare nel caso in cui è prevista una traditio brevi manu
(trasformazione della precedente detenzione in possesso).

IL PREZZO
Prezzo → le parti possono affidare ad un terzo il compito di determinare il prezzo. Se il
terzo non vuole o non può accettare l’incarico, o le parti non giungono ad una nomina
comune, allora su richiesta di una parte, la nomina viene effettuata dal presidente del
tribunale del luogo in cui è stato concluso il contratto (art. 1473 c.c.). Se si tratta di cose
che hanno un prezzo di borsa, il prezzo si desume dai listini o dalle mercuriali del luogo
della consegna. Le spese del contratto di vendita e le spese accessorie ad esso sono
a capo del compratore; il compratore inoltre deve pagare il prezzo nel luogo e nel
termine stabiliti. Se invece il prezzo non si deve pagare al momento della consegna,
allora lo si fa al domicilio del venditore.

LA VENDITA DI COSE MOBILI


Vendita di cose mobili → il codice detta uno statuto particolare in tema di vendita di
cose mobili (artt. 1510 ss. c.c.). Naturalmente questa disciplina deve essere integrata
con lo statuto speciale sulle vendite tra professionista e consumatore. Più in particolare,
in mancanza di patto o di uso contrario, la consegna della cosa deve avvenire nel
luogo dove questa si trovava al tempo della vendita, se le parti ne erano a conoscenza,
oppure nel luogo dove il venditore aveva il suo domicilio o la sede dell'impresa (art.
1510 c.c.). Tuttavia, se la cosa venduta deve essere trasportata da un luogo all'altro, il
venditore, salvo diverso accordo, si libera dall'obbligo della consegna rimettendo la
cosa al vettore o allo spedizioniere. In tal caso il termine per la denunzia dei vizi e difetti
di qualità decorre dal ricevimento (art. 1511 c.c.). Qualora l'acquirente non adempia
l'obbligazione di pagare il prezzo, l'altra parte, in via di autotutela, ha la facoltà di far
vendere all'incanto la cosa per conto e a spese di lui (art. 1515 c.c.). All'inverso, se la
vendita ha per oggetto cose fungibili aventi un prezzo corrente e il venditore non onora
la sua obbligazione di consegna, il compratore può fare acquistare senza ritardo le
cose, a spese del venditore (art. 1516 c.c.).
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In fatto di danno l'art. 1518 c.c. introduce una regola speciale rispetto alla disciplina di
diritto comune ex art. 1223:
a) se la vendita ha per oggetto una cosa che ha un prezzo corrente a norma
dell’art. 1515 c.c. e il contratto si risolve per l’inadempimento di una delle parti, il
risarcimento è costituito dalla differenza tra il prezzo pattuito e quello corrente
nel luogo e nel giorno in cui si doveva fare la consegna, salva la prova di un
maggior danno;
b) nella vendita a esecuzione periodica la liquidazione del danno si determina
tenuto conto dei prezzi correnti nel luogo e nel giorno fissati per le singole
consegne.

LA GARANZIA DI BUON FUNZIONAMENTO


Garanzia di buon funzionamento → nel caso in cui il venditore ha garantito per un certo
periodo di tempo che la cosa venduta avrebbe funzionato, il compratore, salvo patto
contrario, deve denunciare al venditore l’eventuale difetto di funzionamento entro 30
giorni dalla sua scoperta a pena di decadenza. Tale azione si prescrive in 6 mesi dalla
scoperta. Il giudice può assegnare poi al venditore un termine per sostituire o riparare
la cosa, e anche un eventuale risarcimento del danno. Il beneficiario della garanzia è
legittimato ad esperire, soltanto in seconda battuta, l’azione redibitoria o quella quanti
minoris, se la riparazione non ha prodotto il risultato sperato oppure nel caso in cui il
venditore rifiuta di eseguire l’esatto adempimento.

LA VENDITA CON RISERVA DI GRADIMENTO


Vendita con riserva di gradimento → tale vendita non si perfeziona finché il compratore
non comunica il suo gradimento all’altra parte. Tale vendita può avvenire:
- a prova → la vendita si presume perfezionata sotto la condizione sospensiva che
la cosa abbia le qualità pattuire o sia idonea all’uso a cui è destinata. La prova
si deve eseguire nel termine e secondo le modalità stabilite dal contratto o dagli
usi;
- su campione → il campione in tal caso serve come paragone esclusivo della
qualità della merce, e in tal caso, qualsiasi forma di difformità, attribuisce al
compratore il diritto alla risoluzione del contratto.

LA VENDITA SU DOCUMENTI
Vendita su documenti → essa si è radicata nel traffico mercantile per semplificare la
circolazione di cose mobili detenute dal terzo nell’interesse del proprietario alienante.
Ad esempio, se il proprietario vuole negoziare una cosa in viaggio, grazie a tale vendita,
egli si libera dell’obbligo di dover consegnare la cosa, rimettendo all’acquirente il titolo
rappresentativo. Bisogna però considerare che la vendita in questione ha ad oggetto
la merce e non il titolo, che serve da mero documento rappresentativo: tale titolo è
solo uno strumento di investitura del diritto trasferito. I titoli che permettono tale
circolazione documentale della ricchezza patrimoniale mobiliare sono:
- trasporto di terra → duplicato della lettera di vettura o ricevuta di carico;
- trasporto di mare → polizza di carico, ordine di consegna;
- trasporto di aria → lettera di trasporto.

LA VENDITA DI COSE IMMOBILI


Vendita di cose immobili → in tema di vendita di cose immobili il codice detta una
disciplina particolare per quanto attiene all'esattezza della prestazione traslativa, il cui
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accertamento varia in base alla circostanza che sia stata pattuita una vendita a
misura, oppure a corpo:
a) la vendita si dice a misura quando il prezzo è calcolato per unità di misura (ad
es. un tot per metro quadrato);
b) riguardo alla vendita a corpo il prezzo non è calcolato per unità di misura (ad
esempio: un tot per metro quadro), ma viene determinato tenuto conto
dell'oggetto considerato nella sua totalità e non della misura, sebbene indicata.
In questa situazione non si fa luogo a diminuzione o supplemento del prezzo,
salvo che la misura reale sia inferiore o superiore di un ventesimo rispetto a quella
indicata nel contratto.
I diritti al supplemento o alla diminuzione del prezzo o al recesso si prescrivono in un
anno dalla consegna dell'immobile.

LA VENDITA DI EREDITA’
Vendita di eredità → ha per oggetto il trasferimento a titolo oneroso dei diritti della
delazione. Tale vendita presuppone che sia stata aperta la successione
dell’ereditando. L’erede universale o pro quota può vendere i suoi diritti successori nella
loro totalità, oppure può limitarsi a trasferire specifici beni che rientrano nella
successione a titolo universale.

LA RESPONSABILITA’ PER VIZI E DIFETTI MATERIALI: IL FONDAMENTO OGGETTIVO


Vizi e difetti riguardo alla vendita → il venditore è tenuto a garantire al compratore
l’inesistenza di vizi occulti, cioè l’assenza di “vizi materiali” della cosa non dichiarati e
non noti al compratore.

LE VENDITE AL CONSUMO
Vendite al consumo → la vendita di beni mobili tra professionista e consumatore è
disciplinata negli artt. 128 ss. c. cons. L'art. 130 c. cons. addossa al venditore la
responsabilità di qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna
nelle mani del consumatore.
Rimedi spettanti al consumatore:
- al vertice si colloca la pretesa all'esatto adempimento;
- subordinatamente, il consumatore può esercitare le tradizionali azioni edilizie.
Il consumatore è tenuto a denunciare il vizio entro il termine di decadenza di due mesi
dalla scoperta e ad esercitare l’azione entro ventisei mesi dalla consegna del bene.
Fermo restando che la responsabilità del venditore si estingue se il difetto non si sia reso
percettibile entro due anni dalla consegna.

I VIZI GIURIDICI
Vizi giuridici → la cosa compravenduta può essere colpita da vizi giuridici, che
ostacolano l’acquisto della proprietà in capo al compratore. In tal caso, il compratore
è legittimato ad avvalersi della tutela riconosciutagli dagli artt. 1481-1489 c.c.
(responsabilità per evizione).
In particolare, l’evizione può essere:
1. totale → è tale quando il compratore perde totalmente la proprietà del bene
acquistato per effetto dei diritti che un terzo fa valere sulla cosa. In questa ipotesi
il venditore è tenuto al risarcimento danni ex art. 1479 c.c.
In proposito è irrilevante, ai fini della garanzia, lo stato soggettivo del compratore
all’epoca della stipulazione.
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La condanna alla restituzione del bene, a carico del compratore e in favore del
terzo, può, tuttavia, essere eccezionalmente surrogata dal legittimo
riconoscimento del diritto del terzo da parte dell'acquirente;
2. parziale → quando il compratore, a seguito dell’evizione, perde soltanto
parzialmente la proprietà del bene acquistato. Trova applicazione l’art. 1480 c.c.
in materia di vendita di cosa parzialmente altrui.

L’APPALTO
LA DISTINZIONE TRA APPALTO E LOCATIO OPERIS
L'art. 1655 c.c. definisce l'appalto come il contratto «col quale una parte assume, con
organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di
un'opera o di un servizio verso un corrispettivo». L'oggetto del contratto è dunque
rappresentato dall'esecuzione di un'attività materiale che si concreta nella
realizzazione a titolo oneroso di un'opera o nell'esecuzione di un servizio. Il contratto di
appalto ha in comune con la locatio operis l'oggetto della prestazione principale
consistente in un facere. Il punto di discrimine è rappresentato dall'organizzazione dei
fattori produttivi: qualora l'attività produttiva si emancipi dal lavoro dell'imprenditore,
facendo così ricoprire ai fattori della produzione un ruolo non più strumentale bensì
primario, i rapporti negoziali con la clientela saranno regolati dallo statuto sull'appalto
anziché da quello in tema di locatio operis. La distinzione assume un particolare rilievo
dati i differenti termini di decadenza e prescrizione.
L'appaltatore, che solitamente è un imprenditore, è tenuto a organizzare i mezzi e a
svolgere ogni attività necessaria alla realizzazione dell'opera dedotta in contratto,
secondo le modalità pattuite e la regola dell'arte. Quella dell'appaltatore è quindi
un'obbligazione di risultato, in quanto il pieno adempimento coincide solo con la
completa realizzazione dell'opera.
Un contratto di appalto può essere stipulato da un soggetto pubblico con un soggetto
privato, o con un altro soggetto pubblico, in seguito ad una procedura di affidamento
prevista dalla legge (gara ad evidenza pubblica, affidamento diretto, affidamento in-
house) e in tal caso si parla di appalto pubblico, oppure può essere stipulato tra
soggetti privati.
La commessa è il procedimento tecnico-contabile (o progetto) di esecuzione dello
specifico contratto (sostanzializzato attraverso un ordine di appalto o una lettera di
incarico) per una determinata opera o servizio.

LA DISTINZIONE TRA VENDITA E APPALTO


Se l'appaltatore s'impegna ad eseguire l'opera fornendo direttamente la materia prima
viene a sovrapporsi alla prestazione di fare un'obbligazione di dare che trova nel
contratto di appalto la propria causa giustificatrice.
La giurisprudenza stabilisce quale disciplina applicare in base all’interesse prevalente:
1) ove risulti dominante la prestazione di fare assunta dall'appaltatore, il rapporto
sarà governato dagli artt. 1655 ss. in materia di appalto;
2) invece, se tale attività appaia meramente strumentale in relazione al
trasferimento di proprietà entrerà in scena la disciplina riguardante la vendita.
Tale distinzione assume un particolare rilievo alla luce dei termini più favorevoli spettanti
all’appaltante, in caso di difetti d’opera.
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LE OBBLIGAZIONI DELL'APPALTATORE
La garanzia per vizi e difformità
Un aspetto peculiare dell'obbligazione dell'appaltatore è costituito dalla garanzia per i
vizi e le difformità dell'opera (art. 1667 c.c.).
Qualora l'opera realizzata presenti vizi, ovvero difformità rispetto al progetto, il
committente può richiedere, a sua scelta:
- l'eliminazione dei vizi a cura e spese dell'appaltatore;
- la riduzione del prezzo pattuito.
In ogni caso, l'appaltante può chiedere anche il risarcimento del danno, qualora
l'emersione dei vizi o delle difformità sia conseguenza di una condotta colposa
dell'appaltatore.
Il committente può infine richiedere la risoluzione del contratto se la res oggetto del
contratto risulta del tutto inadatta all'uso a causa dei vizi.
Se, al momento della consegna, l'opera è stata accettata dalla committenza, la
garanzia è limitata ai soli vizi “occulti” (cioè non immediatamente riconoscibili) o
dolosamente taciuti dall'appaltatore.
La garanzia opera, infine, solo se il vizio o la difformità sono denunciati all'appaltatore
entro il termine di 60 giorni dalla loro scoperta. Si prescinde da tale termine solo se i vizi
sono stati occultati dall'appaltatore, ovvero se sono stati da lui riconosciuti.
L'azione contro l'appaltatore si prescrive in due anni dalla consegna. Se il committente
è convenuto in giudizio per il pagamento del prezzo, egli può comunque far valere la
garanzia, purché abbia denunciato i vizi entro 60 giorni dalla scoperta e entro un
biennio dalla consegna dell'opera.

Garanzia per vizi di cose immobili destinate a lunga durata


Parzialmente diversa è la disciplina in caso di vizi che interessano un edificio o altro
immobile destinato a lunga durata.
La rovina del bene o altri gravi difetti che ne compromettano il normale utilizzo, possono
farsi valere entro dieci anni dall'esecuzione dell'opera, purché il vizio sia stato
denunziato entro un anno dalla scoperta.

Fornitura della materia prima


Salvo diverso accordo tra le parti, l'appaltatore fornisce, oltre ai mezzi, anche la materia
prima necessaria alla realizzazione dell'opera.
Nei casi in cui la materia prima venga fornita dal committente, l'appaltatore è tenuto
a denunciare prontamente eventuali difetti di essa che dovessero emergere in corso
d'opera.

LE OBBLIGAZIONI DEL COMMITTENTE


L'obbligazione principale del committente è il pagamento del prezzo.
Il corrispettivo per l'opera può essere stabilito globalmente ("a forfait" oppure detto "a
corpo") o a misura (ad esempio per euro al metro).
Se è stabilito a forfait, si ritiene comprensivo anche di eventuali variazioni (autorizzate)
al progetto originario.
Se le parti non lo hanno pattuito, si calcola riferendosi alle eventuali tariffe esistenti e
agli usi. In mancanza di usi o tariffe, deve essere determinato dal giudice.
In ogni caso, il prezzo si intende stabilito "rebus sic stantibus": è quindi permesso a
entrambe le parti di richiedere la revisione del prezzo qualora, per effetto di circostanze
imprevedibili, dopo la conclusione del contratto si siano verificate variazioni sensibili
(superiori a 1⁄10) nel prezzo di materiali o mano d'opera (art. 1664 c.c.).
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Clausole di revisione del prezzo sono spesso previste anche contrattualmente.

VARIAZIONI DEL PROGETTO


Le variazioni al progetto originario si distinguono in tre categorie:
a) variazioni concordate tra le parti → se c'è accordo tra le parti, il progetto si può
modificare liberamente. Se il prezzo è determinato a forfait, il committente non
è tenuto a pagare le variazioni e le aggiunte, salvo diverso accordo. Ai fini della
prova, l'accordo (o l'autorizzazione del committente) deve avere forma scritta;
b) variazioni necessarie → se le variazioni sono necessarie per eseguire il lavoro a
regola d'arte, ma le parti non si accordano, spetta al giudice determinare le
variazioni opportune e il relativo corrispettivo.
In alcuni casi, tali variazioni autorizzano le parti a recedere dal contratto:
o l'appaltatore può recedere se l'importo delle variazioni supera il sesto del
prezzo a forfait convenuto. Il committente è in ogni caso tenuto a
corrispondergli un'equa indennità per il lavoro prestato;
o il committente può recedere se le variazioni sono "di notevole entità",
corrispondendo comunque all'appaltatore un equo indennizzo;
c) variazioni richieste dal committente → il committente può apportare
unilateralmente variazioni al progetto, purché il costo complessivo delle
aggiunte non superi di un quinto il prezzo contrattualmente stabilito.
Le opere in aggiunta devono comunque essere pagate anche se il prezzo era
determinato a forfait. Il committente non può tuttavia apportare variazioni che
comportino notevoli modificazioni della natura dell'opera.

VARIAZIONI DEL CORRISPETTIVO A PROGETTO INVARIATO


Le variazioni al corrispettivo dovute a onerosità o difficoltà impreviste nell'esecuzione
dell'appalto sono disciplinate all'articolo 1664 c.c. secondo due ipotesi:
1) per fluttuazioni di costo della materia prima o della manodopera → l'appaltatore
è tenuto ad accollarsi i maggiori costi fino al limite di 1/10 di variazione rispetto
al prezzo originario. Oltre tale soglia entrambe le parti possono chiedere una
revisione limitatamente alla differenza di prezzo eccedente tale limite
percentuale;
2) per cause geologiche, idriche e simili insorgenti in corso d'opera, non previste
dalle parti → se le cause sono tali da rendere notevolmente più onerosa la
prestazione dell'appaltatore, questi ha diritto a un compenso adeguato.

COLLAUDO E VERIFICHE
Il committente ha diritto, prima di ricevere l'opera in consegna, di sottoporre la stessa a
opportune verifiche per constatare se è stata bene eseguita (articoli 1665 e 1666 c.c.).
Se la verifica ha esito positivo, l'opera si considera accettata e l'appaltatore ha diritto
a ricevere il corrispettivo.
Il committente può inoltre verificare lo stato dei lavori anche in corso d'opera. Se dalla
verifica emergono inadempienze, il committente può fissare un adeguato termine
entro cui l'appaltatore deve conformarsi alle indicazioni del progetto, trascorso
inutilmente il quale il contratto si considera risolto.

RECESSO DAL CONTRATTO


Il committente può sempre recedere dal contratto, anche se l'esecuzione abbia avuto
inizio, con il solo obbligo di tenere illeso l'appaltatore delle spese sostenute, dei lavori
eseguiti e del mancato guadagno.
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Non è necessario motivare la decisione per il mero recesso, e fra i motivi rientra la
lesione del rapporto fiduciario per inadempimenti dell'appaltatore. La motivazione
diviene condizione necessaria, e valutabile da un giudice se una delle parti chiede il
risarcimento del danno: diversamente da altre norme che regolano i contratti fra
persone fisiche (come il licenziamento nel rapporto di lavoro), non è obbligatoria la
forma scritta della motivazione.
Se il contratto si risolve per impossibilità sopravvenuta, il committente deve pagare la
parte di opera realizzata, se è per lui di qualche utilità.
Il committente può inoltre recedere dal contratto in caso di morte dell'appaltatore, se
la persona del contraente era stata ragione determinante del contratto o se gli eredi
non danno affidamento sulla buona esecuzione dell'opera.

SUBAPPALTO
Quando il vincitore dell'appalto a sua volta appalta il lavoro a un altro soggetto si parla
di subappalto. Il subappalto non è consentito, salvo autorizzazione, per iscritto, del
committente (art.1656 c.c.).
L'appalto è infatti un contratto fondato sull'intuitus personae (ovvero, sulla scelta
esplicita della controparte contrattuale), per cui non è consentita una sostituzione non
autorizzata del soggetto obbligato.
L'appaltatore è responsabile verso il committente del lavoro effettuato dai
subappaltatori. A norma dell'art. 1670 c.c., all'appaltatore è riconosciuto il diritto di
agire in regresso nei confronti dei subappaltatori, salvo che comunichi la denunzia per
vizi e difformità dell'opera da parte del committente entro sessanta giorni dal suo
ricevimento. Tale termine è di decadenza.
Il subappalto nei lavori pubblici è disciplinato dall'art. 105 del Decreto legislativo 18
aprile 2016, n. 50 "Codice dei contratti pubblici". Con l'introduzione del comma 3 lettera
c-bis) le prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari in forza di contratti continuativi
di cooperazione, servizio e/o fornitura sottoscritti in epoca anteriore alla indizione della
procedura finalizzata all’aggiudicazione dell'appalto non vengono considerate
subappalto e quindi sfuggono completamente a qualunque controllo da parte del
Responsabile Unico del Procedimento e della Stazione Appaltante. È infatti prevista la
sola verifica che i relativi contratti siano depositati alla stazione appaltante prima o
contestualmente alla sottoscrizione del contratto di appalto, ma non è necessario che
tali documenti abbiano data certa.

LA SOMMINISTRAZIONE
PROFILI TIPOLOGICI
L'art. 1559 c.c. definisce la somministrazione come il contratto «con il quale una parte
si obbliga, verso corrispettivo di un prezzo, a eseguire, a favore dell'altra, prestazioni
periodiche o continuative di cose».

L'OGGETTO DEL CONTRATTO


Se è vero che il trasferimento della proprietà non rappresenta l'elemento essenziale del
contratto di somministrazione, è altresì vero che tale effetto rientra nell'id quod
plerumque accidit.

L'ENTITÀ DELLA PRESTAZIONE


L'art. 1560 c.c. descrive il criterio di misura (o indicatore) della prestazione dovuta dal
somministrante.
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IL PREZZO
Il somministrato è obbligato a pagare il corrispettivo delle prestazioni di cose fornite
dall'altra parte. Sotto questo profilo i poteri di autonomia privata trovano ampio spazio,
dato che le parti sono libere di fissare i criteri volti a regolare l'obbligazione in parola.
Tuttavia, non si può escludere che le parti nulla abbiano pattuito sul punto.

LA CONCESSIONE DI VENDITA, IL FRANCHISING E IL FACTORING


LA CONCESSIONE DI VENDITA
Concessione di vendita → il concessionario assume l'obbligo di promuovere la rivendita
dei prodotti fornitigli dal concedente.

IL FRANCHISING
Franchising → contratto mediante il quale un'azienda concede il diritto di
commercializzare i suoi prodotti o servizi usando il suo nome o marchio ad un'altra
azienda, dietro pagamento di un canone.

IL FACTORING
Factoring → è il contratto con il quale l'imprenditore cede al factor i crediti derivanti
dall'attività produttiva affinché questi provveda, dietro corrispettivo, a curarne l'incasso
e, eventualmente, a svolgere servizi accessori di consulenza commerciale e
amministrativa.
Il factoring si distingue in due sottospecie:
1) nel trasferimento pro soluto il factor non può pretendere la restituzione delle
somme anticipate al cedente nell'evenienza in cui, scaduto il termine di
pagamento, il debitore ceduto lasci inadempiuta la propria obbligazione
pecuniaria;
2) nella cessione pro solvendo l'operazione di trasferimento del credito avviene
“salvo buon fine”, di modo che l'importo anticipato dovrà essere restituito dal
cedente là dove, scaduto il termine di pagamento, si verifichi l'inadempimento
del debitore.

IL CONTRATTO DI TRASPORTO TERRESTRE


LA RESPONSABILITÀ DEL VETTORE DI PERSONE
In caso di trasporto di persone il vettore risponde dei danni alla persona o alle cose che
egli porta con sé, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il
danno. Sono nulle le clausole che limitano la responsabilità del vettore per i sinistri che
colpiscono il viaggiatore.

IL TRASPORTO DI COSE
L'art. 1693 c.c. stabilisce che il vettore è responsabile della perdita e dell'avaria delle
cose consegnategli ai fini del trasporto, dall'istante in cui le riceve e sino al momento
della riconsegna al destinatario, fatta salva la prova che la perdita o l'avaria è derivata
da caso fortuito, dalla natura o dai vizi delle cose stesse o del loro imballaggio, o dal
fatto del mittente o da quello del destinatario. Il comma 2° chiarisce che nel caso in cui
il vettore accetti le cose da trasportare senza riserve «si presume che le cose stesse non
presentino vizi apparenti d'imballaggio».
Con il ricevimento senza riserve della merce e il pagamento del porto il destinatario
riconosce l'esatto adempimento del vettore. Verificatesi tali condizioni si estinguono le
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pretese nascenti dal contratto, a meno che il vettore abbia agito con dolo o colpa
grave.
La tradizionale rigidità della responsabilità ex art. 1693 è stata in parte mitigata dal
legislatore del 1942 ricorrendo a presunzioni semplici di fortuito, che sollevano il vettore
dall'obbligazione risarcitoria.

IL CONTRATTO DI SPEDIZIONE
Contratto di spedizione → è un contratto in cui lo spedizioniere si assume l'impegno di
stipulare il contratto di trasporto in nome proprio e per conto del mandante ed a
compiere le operazioni accessorie. Il vettore, invece, è colui il quale si obbliga ad
eseguire il trasporto. È tuttavia ammessa l'entrata dello spedizioniere nel contratto.

IL CONTRATTO D’OPERA INTELLETTUALE


LA DEFINIZIONE DELLA FATTISPECIE E I REQUISITI PER L'ESERCIZIO DELLA LIBERA
PROFESSIONE
Il contratto avente ad oggetto la prestazione di un'opera intellettuale dipende dalla
disciplina dettata dagli artt. 2230 ss. e, in quanto compatibile, a quella prevista in tema
di contratto d'opera manuale. Oggetto della prestazione è dunque l'attività
intellettuale. Ciò dimostra che il rapporto tra professionista e cliente è personale.
L'ordinamento giuridico determina le professioni intellettuali «protette», l'esercizio delle
quali è interdetto a chi non abbia superato l'esame di abilitazione.

IL COMPENSO
Ai sensi dell'art. 2233 c.c., 1° comma, il compenso, se non è convenuto dalle parti e non
può essere determinato sulla base delle tariffe professionali o degli usi, è stabilito dal
giudice, sentito il parere dell'associazione professionale competente. In ogni caso la
misura del compenso non è strettamente correlata all'utilità della prestazione dovendo
essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione.

OBBLIGAZIONI DI MEZZI E DI RISULTATO


La mancata soddisfazione dell'interesse del creditore esporrà l'obbligato alle sanzioni
dipendenti dall'addebito di responsabilità contrattuale quando nell'attuazione del
rapporto si sia verificato un evento imprevisto, il quale rese disagevole l'attività solutoria,
ma che, ciò nonostante, doveva essere affrontato e superato secondo i criteri di
diligenza e di buona fede.
Tuttavia, il debitore potrà liberarsi dimostrando:
1) l'inesigibilità della condotta pur naturalisticamente possibile;
2) o l’impossibilità di conseguire il risultato programmato a causa degli eventi
integranti gli estremi dell'impedimento liberatorio ex art. 1256.
Le considerazioni ora abbozzate richiamano il tema della partizione tra obbligazioni di
mezzi assunte dall'esercente l'arte liberale (es. prestazione medica) e obbligazioni di
risultato.

LA RESPONSABILITÀ DA CONTATTO SOCIALE


L'esercente la professione sanitaria è obbligato a osservare i doveri di protezione (ossia
di tutela del benessere psicofisico) verso il paziente anche se il contratto d'opera
professionale è concluso tra il paziente stesso e la struttura sanitaria (pubblica o privata)
e non direttamente con il medico.
Tale obbligazione trae fondamento dalla relazione qualificata (o da «contatto sociale»)
che lega il paziente al medico (dipendente della struttura sanitaria).
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Pertanto, la relazione sociale deve essere ricondotta nell'alveo del contratto anziché
del torto extracontrattuale (art. 2043 c.c.).

IL CONTRATTO ATIPICO DI SPEDALITÀ


La responsabilità «diretta» della struttura sanitaria (pubblica o privata) trae la propria
base di legittimazione dal contratto siccome l'«accettazione» del paziente all'interno
del luogo di cura, in vista del ricovero o di una visita ambulatoriale, implica il
perfezionamento dell'accordo.

L'ente che fornisce e organizza il servizio sanitario allaccia con il paziente un contratto
atipico d'assistenza (o di spedalità).

L'ONERE DELLA PROVA NELLA RESPONSABILITÀ MEDICA


Il creditore (paziente) è tenuto ad allegare l'evento astrattamente capace di produrre
il danno lamentato. Spetterà al convenuto dimostrare l'inevitabilità dell'evento,
l'assenza dell'imperfetto adempimento oppure la mancanza del nesso causale.

IL CONSENSO AL TRATTAMENTO MEDICO


«Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per
disposizione di legge» (art. 32, 2° comma, cost.). Da questa disposizione si ricava la
necessità del c.d. consenso informato del paziente all'intervento o al trattamento
suggerito o imposto dalle circostanze.

IL DIRITTO AL RIFIUTO DELLE TERAPIE


La persona capace d'intendere e di volere è libera di scegliere le terapie poste a
disposizione dalla scienza medica. La scelta può essere anche ostativa alle cure. Ad
esempio: il malato grave non intende sottoporsi al c.d. accanimento terapeutico.
Alcune confessioni religiose limitano il ricorso alle terapie mediche sulla base
dell’interpretazione delle sacre scritture (si pensi ad es. ai Testimoni di Geova, che
rifiutano l'emotrasfusione).

Se il paziente è in grado di autodeterminarsi in modo pieno e consapevole, vale il


primato della scelta individuale non censurabile dal medico.
Altrimenti prevale il principio secondo cui il medico stesso non può sentirsi vincolato da
un consenso meramente presunto.

PARTE SECONDA: I CONTRATTI STRUMENTALI ALLA CIRCOLAZIONE


GIURIDICA
IL MANDATO
CONTENUTO E CAUSA DEL CONTRATTO
Mandato → è il contratto con il quale il mandatario si obbliga a compiere uno o più atti
giuridici per conto del mandante.
Causa del contratto → funzione gestoria (il mandante si impegna a svolgere l’attività
oggetto dell’incarico di gestione o di cura dell’interesse altrui).
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MANDATO GENERALE E SPECIALE


Il mandato può essere:
1) generale → esso legittima il mandatario a compiere tutti gli atti che non
eccedano l'ordinaria amministrazione qualora non siano stati indicati
espressamente;
2) speciale → ha invece ad oggetto singoli atti (negoziali o materiali) individuati dal
mandante. Tuttavia, il mandatario è legittimato a porre in essere tutti gli atti che,
sebbene non contemplati nel mandato, si rivelino comunque necessari in vista
dell'esecuzione di quelli nominati.

IL CORRISPETTIVO
L'onerosità non è un elemento qualificante la fattispecie contrattuale qui discussa.
Tuttavia, se non è diversamente stabilito, esso si presume oneroso.

LE AZIONI CONTRATTUALI
Nel mandato senza rappresentanza tra mandante e terzi non viene a imbastirsi alcun
rapporto contrattuale. Tuttavia, l'art. 1705 legittima il mandante ad agire, in nome
proprio, contro i terzi in vista della tutela dei diritti di credito derivanti dall’esecuzione
dell'obbligazione gestoria.

LA DILIGENZA DEL MANDATARIO


Il mandatario nell’esecuzione dell'incarico è tenuto ad osservare la diligenza del buon
padre di famiglia. Il dovere di curare l'interesse del mandante implica che il mandatario,
per realizzare detto risultato, non possa oltrepassare i limiti dell'incarico gestorio fissati
nel contratto di mandato. → Ne discende che il gestore non potrà traslare sul
mandante gli effetti (attivi e passivi) dell'atto esorbitante i poteri da questi attribuitigli, a
meno che il mandante stesso decida di ratificarlo espressamente o tramite una
condotta capace di riflettere la sua inequivocabile volontà di approvare l'operato
dell'interposto.

L'ESTINZIONE DEL MANDATO


Il mandato si estingue:
1) per la scadenza del termine;
2) per il compimento dell'affare;
3) per la revoca da parte del mandante (la revoca è l'atto unilaterale recettizio
con il quale il mandante fa venir meno la legittimazione del mandatario ad agire
nel suo interesse);
4) per la rinunzia del mandatario;
5) per la morte, l'interdizione o l'inabilitazione di una delle parti.

MEDIAZIONE, AGENZIA E COMMISSIONE


L'ATTIVITÀ DEL MEDIATORE
Mediazione → consiste nella messa in relazione di due o più parti per la conclusione di
un affare. L'art. 1755 c.c. riconosce al mediatore il diritto alla provvigione da ciascuna
delle parti a condizione che l'affare sia stato concluso per effetto del suo intervento.
Inoltre, salvo patto contrario, ha in ogni caso diritto al rimborso delle spese nei confronti
del soggetto per incarico del quale sono state affrontate benché l'affare non sia stato
concluso.
L'art. 1754 c.c. chiarisce che l'attributo qualificante l'attività del mediatore consiste nella
sua posizione d'indipendenza e terzietà rispetto ai soggetti intermediati.
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L'ATIPICITÀ
Le parti possono stipulare contratti di mediazione atipici, discostandosi dalla disciplina
positivamente sancita. Esempio: contratto di mandato in cui l'incaricante si obbliga a
pagare (in tutto o in parte) la provvigione solo se l'affare andrà a buon fine.

IL DIRITTO ALLA PROVVIGIONE


La mediazione è soggetta alla segnalazione certificata d'inizio attività da proporre alla
camera di commercio per il tramite dello sportello unico del comune territorialmente
competente.

Soltanto i mediatori che abbiano ottenuto le iscrizioni nel registro delle imprese, se sono
mediatori occasionali, o nel repertorio delle notizie economiche, se sono mediatori
occasionali.

IL CONTRATTO DI AGENZIA
Tramite il contratto di agenzia l'interposto assume stabilmente l'incarico di promuovere,
nell'interesse del preponente, la conclusione di contratti in una zona determinata e
dietro il pagamento della provvigione.

L'agente si obbliga non già a concludere contratti in nome proprio, ma a promuoverne


la conclusione.
Se al contratto di agenzia si affianca il negozio di procura il contratto legittima l'agente
non solo a promuovere contratti ma a stipularli in nome del dominus negotii,
eventualmente sotto la condizione imposta da questi «salvo approvazione della casa».
Caratteri del rapporto di agenzia: stabilità e autonomia organizzativa dell’agente.

L'ACCESSO ALL'ATTIVITÀ DI AGENTE


L'art. 74 c.c. stabilisce che l'attività di agente è soggetta alla segnalazione certificata
di inizio attività da presentare alla camera di commercio (per il tramite dello sportello
unico del comune competente).

DIRITTI E OBBLIGHI DERIVANTI DAL CONTRATTO


Dal contratto di agenzia nasce il diritto reciproco di esclusiva (art. 1743 c.c.).
Nell'esecuzione dell'incarico l'agente deve compiere tutte le attività utili alla tutela
dell'interesse del preponente. In caso d'impedimento all'esecuzione dell'incarico
l'agente è tenuto ad avvisare immediatamente il preponente. In mancanza risponde
dei danni patiti da quest'ultimo. L'agente ha diritto alla provvigione per tutti gli affari
conclusi grazie al suo intervento.

LA DURATA DEL CONTRATTO


Il contratto di agenzia può essere a tempo determinato o indeterminato.

Nella prima ipotesi ciascuna delle parti può recedere dando preavviso. Il preavviso non
è dovuto quando il recesso sia fondato su giusta causa.
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IL CONTRATTO DI COMMISSIONE
Contratto di commissione → è un mandato che ha per oggetto l'acquisto o la vendita
di beni per conto del committente e in nome del commissionario. Il commissionario
assume la qualifica d'imprenditore piccolo o medio-grande secondo le dimensioni
dell'impresa gestita.
Il committente può revocare l'incarico fino a che il commissionario non abbia concluso
l'affare. In tal caso spetta al commissionario stesso una parte del corrispettivo pattuito,
che si determina tenendo conto delle spese sostenute e dell'opera prestata.
Il corrispettivo riconosciuto al commissionario è fissato sulla base di percentuali sul
prezzo delle cose comprate o vendute. La misura della provvigione, quando non è
stabilita nel contratto, si trae dagli usi o, in difetto, è decretata dal giudice secondo
equità.

PARTE TERZA: I CONTRATTI DI GODIMENTO DI COSA ALTRUI


LA LOCAZIONE
VALORI DI SCAMBIO E D'USO
Locazione (art. 1571 c.c.) è il contratto con il quale una parte (di regola il proprietario,
ma anche il superficiario, l'usufruttuario o il comodatario) concede in godimento
all'altra una cosa mobile o immobile per un determinato periodo, ottenendo in cambio
un corrispettivo.

OGGETTO
La locazione può avere a oggetto beni mobili o immobili. L’obbligazione vincolante il
locatario di restituire il bene concesso in godimento presuppone che il bene stesso non
sia consumabile: lo sfruttamento potrà generare il naturale degrado ma non già
l’estinzione dell’oggetto.

LA DISCIPLINA DI DIRITTO COMUNE: LA DURATA


Il contratto di locazione non può eccedere la durata di trent'anni. Se è stipulato per un
periodo eccedente, il termine legale sostituisce quello convenzionale. Tuttavia, la
locazione di una casa per abitazione può essere convenuta per tutta la durata della
vita dell'inquilino e per due anni successivi alla sua morte.

OBBLIGHI DEL LOCATORE


Sul locatore gravano le obbligazioni di:
a) consegnare al conduttore la cosa in buono stato;
b) di manutenzione del buono stato;
c) di garantire il pacifico godimento della cosa durante la locazione.

OBBLIGAZIONI DEL CONDUTTORE


Il conduttore è tenuto:
1) a restituire la cosa alla scadenza del rapporto, nello stato in cui ha ricevuto il
bene salvo il deterioramento e/o il consumo derivante dall’uso conforme alla
destinazione;
2) deve prenderla in consegna e goderla osservando la diligenza del buon padre
di famiglia senza mutarne la destinazione concordata o desumibile dalle
circostanze;
3) deve pagare il corrispettivo convenuto.
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Se non è diversamente stabilito il conduttore ha facoltà di sublocare la cosa, ma non


può cedere il contratto in difetto del consenso del dante causa. Tra contratto di
locazione e contratto di sublocazione s'instaura un collegamento di ordine gerarchico
poiché l'estinzione del primo si riflette sul secondo.

LE LOCAZIONI DI IMMOBILI AD USO ABITATIVO


La l. n. 431 del 1998 (affiancata dalla l. n. 392 del 1978) regola la disciplina delle
locazioni di immobili ad uso abitativo. Più precisamente: prevede due sottospecie di
contratti locativi:
1) la prima si caratterizza:
1. per la facoltà concessa alle parti di determinare liberamente il canone;
2. da una maggior durata del contratto, pari a quattro anni.
2) la seconda si caratterizza:
1. per l'eterodeterminazione del canone, stabilito sulla base degli accordi locali
perfezionati dalle associazioni dei proprietari e degli inquilini;
2. per una minor durata del rapporto negoziale, pari a tre anni.
Per la stipula del contratto è richiesta la forma per iscritto a pena di nullità.

LA LOCAZIONE DI IMMOBILI AD USO DIVERSO DA QUELLO DI ABITAZIONE


Sul versante delle locazioni di immobili destinati ad uso diverso da abitazione il
legislatore si è limitato a sottrarre all'autonomia dei privati il potere discrezionale di
fissare la durata minima del contratto a meno che l'attività esercitata nell'immobile
abbia carattere transitorio. Tale durata è di sei anni, che salgono a nove se l'immobile
è adibito a attività alberghiere (e assimilate) e teatrali. Il contratto si rinnova ex lege se
il locatore non comunica la disdetta nei termini previsti dall'art. 28, 1° comma. Tuttavia,
alla prima scadenza il locatore può esercitare la facoltà di rifiuto della rinnovazione
soltanto qualora sussistano i motivi indicati nell'art. 29.

IL LEASING
NOZIONE
Contratto atipico di leasing → ha per oggetto la concessione in godimento di una cosa
mobile o immobile non consumabile dietro il pagamento di un canone, con l'opzione
— esercitabile dal conduttore dopo il pagamento dell'ultima rata — di acquistare la
proprietà della cosa stessa pagando la somma prefissata.
La prassi conosce due sottospecie di leasing:
1) leasing operativo → il produttore concede direttamente in locazione il bene;
2) leasing finanziario → il bene è acquistato dalla società locatrice allo scopo di
concederlo in godimento al conduttore.

IL SALE AND LEASE BACK


Le esigenze di finanziamento dell’imprenditore hanno spinto i protagonisti del traffico
mercantile a creare una variante di leasing venata dall’incrocio dei rapporti di scambio
tra le parti. Da un lato l’imprenditore è indotto a vendere il bene (di norma si tratta
dell’immobile aziendale o di macchinari) alla società di leasing la quale lo concede in
locazione all’alienante riconoscendo a suo favore il patto di opzione. In questo modo
il proprietario realizza l’intento di <<monetizzare>> il valore di scambio delle res senza
tuttavia privarsi del diritto di continuare ad usarle nell’esercizio della propria attività
produttiva. Dall’altro lato, grazie all’opzione il venditore si riserva il potere di riottenere
la proprietà dei beni alienati nella prospettiva di superare la transitoria situazione di
difficoltà economica.
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Sale and lease back → è una transazione finanziaria in cui si vende un bene e lo si affitta
a lungo termine; pertanto, si continua a essere in grado di utilizzare il bene ma non lo
possiede più. La transazione viene generalmente effettuata per beni immobili, in
particolare immobili, nonché per beni durevoli e capitali come aeroplani e treni.

PARTE QUARTA: I CONTRATTI REALI


IL DEPOSITO
LA FUNZIONE DEL CONTRATTO DI DEPOSITO
Il deposito è il contratto con cui il depositario, ricevuta la cosa mobile dal depositante,
è obbligato a custodirla e a restituirla in natura.
La centralità dell'obbligazione di custodia sta alla base del divieto imposto al
depositario di servirsi della cosa ove non sia stato autorizzato. Tuttavia, in caso di eventi
sopravvenuti non previsti dalle parti, il depositario deve prendere tutte le iniziative utili a
preservare la cosa, anche in difformità a quanto pattuito, dandone avviso all'altra
parte appena è possibile.
Alla funzione di custodia possono affiancarsi quella di garanzia e la finalità fiduciaria.
Benché l'art. 1766 circoscriva l’ambito oggettivo di applicazione della fattispecie alle
cose mobili, nulla impedisce di concludere un contratto avente ad oggetto la custodia
di un immobile, al quale si applicheranno, in quanto compatibili, le regole del tipo
contrattuale. Non occorre essere proprietari della cosa al fine di concludere un valido
contratto di deposito. Anche il possessore e il detentore a qualunque titolo possono non
solo depositare la cosa ma anche richiederne la restituzione.

IL DEPOSITO IRREGOLARE
Il deposito irregolare è il contratto di deposito avente ad oggetto denaro o altre cose
fungibili con facoltà per il depositario di servirsene. L'elemento di specialità rispetto alla
disciplina ordinaria consiste nel fatto che il depositario acquista la proprietà delle cose
depositate e si assume l'obbligo di restituire. Manca, pertanto, la causa di custodia
qualificante il deposito ordinario.

IL DEPOSITO IN ALBERGO
Di solito chi fruisce dell'alloggio messo a disposizione dall'albergatore lascia al suo
interno svariati oggetti (si pensi agli effetti personali) confidando sull’implicita
prestazione di custodia dell'albergatore. Si sostanzia in tal modo un contratto di
deposito, soggetto a una disciplina particolare, che ha natura accessoria rispetto al
connesso contratto atipico di albergo, con il quale ultimo una parte si obbliga verso
l'altra a fornire dietro corrispettivo l'alloggio e gli usuali servizi (la qualità e complessità
dei quali varia secondo la classificazione dell'albergo) in locali attrezzati a questo
scopo. Il codice civile individua due distinti criteri di responsabilità dell'albergatore:
1. se le cose sono semplicemente portate in albergo le responsabilità del depositario
è limitata: non deve, infatti, oltrepassare cento volte il prezzo di locazione
dell’alloggio per giornata;
2. se le cose sono consegnate all’albergatore stesso la responsabilità del depositario
è illimitata.
In ogni caso l'albergatore non risponde qualora dimostri che la perdita o il
danneggiamento sia imputabile al cliente, a forza maggiore o alla natura della cosa.
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IL MUTUO
LA REALITÀ DEL CONTRATTO
Mutuo → è un contratto con cui una parte (mutuante) consegna all’altra (mutuatario)
una determinata quantità di denaro o di altre cose fungibili e questa si obbliga a
restituirle cose della stessa specie.

IL MUTUO DI SCOPO
Tramite il mutuo di scopo il mutuatario si obbliga a destinare la somma concessa dal
mutuante per il conseguimento dell'obiettivo liberamente pattuito o imposto dalla
legge.
In caso di mancato rispetto del vincolo (obbligatorio) di destinazione:
1. se l’elusione dello scopo è l'effetto di un accordo tra istituto di credito e mutuatario:
il contratto è ritenuto nullo;
2. se il mutamento di destinazione è frutto della violazione dell’obbligazione assunta
dal mutuatario: si applica il rimedio della risoluzione per inadempimento.
Il vincolo convenzionale di destinazione può essere rappresentato dall'acquisto di un
bene di consumo: in tale ipotesi la somma è spesso corrisposta dal mutuante
direttamente nelle mani del terzo venditore, il quale beneficia alla fine del
finanziamento ottenuto dal compratore.

MUTUO E DEBITO DI GIOCO


L'art. 1933 c.c. stabilisce che il credito derivante dal gioco o dalla scommessa non dà
azione. Ci si chiede se questa regola sia estensibile al mutuo concluso affinché il
mutuatario destini la somma percepita a pagamento di un debito di gioco. Le corti
riconducono nella categoria del debito connesso al gioco sia quello derivante dal
gioco stesso, sia il debito procurato al fine di ottenere le somme da impiegare
nell'acquisto dei gettoni necessari per giocare a patto che sia dimostrato l'interesse
«diretto» del mutuante alla partecipazione al gioco del mutuatario.

IL MUTUO ONEROSO
Il contratto di mutuo è naturalmente oneroso, nel senso che sono dovuti di norma gli
interessi al saggio legale. Tuttavia, il corrispettivo può essere anche espresso in natura
(si pensi, ad esempio, alla prestazione di fare). Il contratto con interessi usurari (pur
integrando il delitto di usura) non è nullo, ma diventa semplicemente gratuito.

IL TERMINE FINALE
Il contratto di mutuo consiste in una prestazione di durata avente ad oggetto la
disponibilità per un determinato periodo della somma di denaro o di altre cose fungibili
da parte del mutuatario. L'art. 1817 c.c. stabilisce che se non è stato concordato il
termine finale per la restituzione, esso è determinato dal giudice avuto riguardo alle
circostanze.

IL COMODATO
TIPOLOGIA
Contratto di comodato → si perfeziona per mezzo della consegna del bene. Il
comodatario, cui spetta il diritto di godere della cosa mobile o immobile oggetto del
contratto reale, è obbligato a restituire la cosa stessa ricevuta dal comodante.
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GRATUITÀ
Il contratto è essenzialmente gratuito, dato che la pattuizione di una controprestazione
a carico del comodatario trasformerebbe il rapporto in locazione.

IL TERMINE
Il comodatario è dunque obbligato a riconsegnare all'altra parte la cosa soltanto alla
scadenza del termine finale o, in mancanza di termine, quando sia esaurita la
programmata funzione di godimento. In caso di morte del comodatario, il comodante
può esigere l'immediata restituzione della cosa in considerazione della natura
strettamente personale del rapporto, nel quale assumono una rilevanza essenziale le
qualità individuali del titolare del diritto personale di godimento; viceversa, la morte del
comodante non è causa di estinzione del vincolo. La natura gratuita del contratto
legittima, in via d'eccezione, la pretesa del comodante alla restituzione ante tempus
qualora sopravvenga un suo «urgente e imprevisto bisogno».

IL PRECARIO
Là dove la durata del contratto non sia stata determinata, né espressamente né
indirettamente o per relationem, il comodatario è allora tenuto a restituire la cosa «non
appena il comodante la richiede».

LA RESPONSABILITÀ DEL COMODATARIO


Il comodatario è responsabile del perimento fortuito della cosa qualora abbia avuto la
possibilità di evitare l'evento sostituendola con la cosa propria, o se potendo salvare
una delle due cose, abbia preferito la propria. Il comodatario è anche responsabile del
perimento fortuito quando impieghi la cosa per un uso diverso o per un tempo più lungo
di quello a lui consentito, a meno che riesca a dimostrare che la cosa sarebbe perita
comunque. L'art. 1806 c.c. introduce un criterio di responsabilità senza colpa: «se la
cosa è stata stimata al tempo del contratto, il suo perimento è a carico del
comodatario, anche se avvenuto per causa a lui non imputabile». Tuttavia, se la cosa
si deteriora per solo effetto dell'uso conforme al contratto, il comodatario non risponde
dell'alterazione.

IL CONTRATTO ESTIMATORIO
LA FINALITÀ GIURIDICO-ECONOMICA
Contratto estimatorio → soddisfa un duplice bisogno: da un lato permette al rivenditore
(grossista o dettagliante), specie nei settori di mercato connotati dalla mobilità elevata
della domanda, d'affrancarsi dal rischio economico dell'invenduto riservandosi la
facoltà di pagare il prezzo delle cose mobili (non deperibili) ricevute una volta
smerciate, oppure di restituirle alla scadenza pattuita nel caso opposto; dall'altro
permette al consegnante di utilizzare distributori autonomi in modo da ridurre le spese
altrimenti necessarie per organizzare una rete commerciale sottoposta al proprio
controllo diretto.

PARTE QUINTA: I CONTRATTI DI ASSICURAZIONE E RENDITA


IL CONTRATTO DI ASSICURAZIONE
LA DISCIPLINA GENERALE DEL TIPO CONTRATTUALE
IL PERFEZIONAMENTO DEL CONTRATTO
Assicurazione → è il contratto con cui l’assicuratore, verso pagamento di un premio, si
obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti stabiliti, del danno prodotto a esso da un
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sinistro, oppure a pagare un capitale o una rendita quando si verifica un evento


attinente alla vita umana.

L’ASSICURAZIONE IN NOME ALTRUI


Assicurazione in nome altrui → colui che stipula un contratto in nome altrui senza averne
il potere, anziché essere responsabile dei danni pattuiti dal terzo contraente per aver
confidato senza colpa nella validità del vincolo negoziale, è obbligato personalmente
a pagare il premio e a osservare gli altri impegni assunti in nome di altri, finché
l’assicuratore non abbia avuto notizia della ratifica dell’interessato o del suo rifiuto. Se il
soggetto rappresentato falsamente non si avvale della facoltà di approvare, accade
che il finto procuratore è tenuto a pagare i premi del periodo in corso nel momento in
cui l’assicuratore ha avuto notizia del rifiuto.

L’ASSICURAZIONE PER CONTO ALTRUI O PER CONTO DI CHI SPETTA


Assicurazione per conto altrui → il contratto di assicurazione può essere stipulato per
conto altrui o per conto di chi spetta. Mentre nella prima ipotesi non sussiste lo stato
d’incertezza iniziale circa il soggetto che va incontro al rischio assicurato, nella seconda
non si sa a priori chi sarà il titolare dell’interesse all’indennizzo esigibile qualora si verifichi
l’evento dannoso.

L’ASSICURAZIONE CONTRO I DANNI


IL PRINCIPIO INDENNITARIO
Assicurazione sui danni → l’intera disciplina su tale assicurazione si basa sul principio
indennitario. Tale principio serve a preservare l’interesse del soggetto, esposto al
pericolo di danno, di conservare il bene garantito in modo da paralizzare il
radicamento del suo interesse al sinistro. Elemento essenziale quindi di tale fattispecie è
la sussistenza dell’interesse all’assicurazione. Ne discende che il contratto è nullo se nel
momento in cui produce i suoi effetti, manca l’interesse dell’assicurato al risarcimento
del danno. Il bene protetto dall’assicurazione può essere determinato, oppure può
riguardare il patrimonio nel suo complesso.
Salvo patto contrario, l’assicuratore non risponde dei danni cagionati da vizio intrinseco
della cosa assicurata che non gli sia stato comunicato; inoltre, sempre salvo patto
contrario, se il vizio ha aggravato il danno, l’assicuratore risponde del danno nella
misura in cui sarebbe stato a suo carico se il vizio non fosse esistito.
L’assicuratore non risponde per i danni provocati da terremoti, guerre, insurrezioni,
rivolte, salvo patto contrario.
L’assicurato deve avvisare l’assicuratore del sinistro, entro 3 giorni da quando è
accaduto; non è necessario rispettare tale obbligo se l’assicuratore interviene entro
tale termine alla operazione di salvataggio o di costatazione del danno.
L’assicurato deve fare il possibile per evitare o ridurre il danno.
L’assicurato che dolosamente non adempie l’obbligo di avviso o salvataggio, perde il
diritto all’indennità, ma se l’omissione è colposa, l’assicuratore ha diritto di ridurre
l’indennità in base al pregiudizio sofferto.

L’ASSICURAZIONE DELLA RESPONSABILITA’ CIVILE


Assicurazione della responsabilità civile → tale assicurazione si caratterizza per il fatto
che l’assicuratore si obbliga a tenere indenne l’assicurato dalle pretese risarcitorie
invocate dai terzi a titolo di responsabilità contrattuale o aquiliana. L’assicuratore
risponde ex lege anche quando il danno sia stato compiuto dall’assicurato con colpa
grave.
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L’ASSICURAZIONE SULLA VITA


PROFILI GENERALI
Assicurazione sulla vita → non è basata sul principio indennitario. Questo è confermato
dal fatto che le parti sono libere di stabilire l’entità della prestazione assicurativa. Le
assicurazioni per caso di morte si distinguono per il fatto che il decesso dell’assicurato o
del terzo condiziona la prestazione dell’assicuratore. Invece nelle assicurazioni per caso
di vita o di sopravvivenza dell’assicurato o del terzo, l’assicuratore si obbliga a pagare
il capitale se nel giorno stabilito l’assicurato o il terzo è ancora in vita. Nelle assicurazioni
sulla vita il terzo beneficiario è quello a favore del quale è dovuta la prestazione
dell’assicuratore. Lo stipulante può essere una persona diversa dal contraente, ove sia
stata stipulata un’assicurazione sulla vita del terzo. Infine, ragioni di ordine pubblico
stanno alla base della regola secondo cui, l’assicurazione stipulata per il caso di morte
di un terzo non è valida se costui o il suo legale non dà il consenso alla conclusione del
contratto: tale consenso deve essere provato per iscritto.

LA RENDITA PERPETUA E LA RENDITA VITALIZIA


LA RENDITA PERPETUA
LA PERPETUITA’ DEL VINCOLO E IL DIRITTO DI SCATTO
Con il contratto di rendita perpetua l’obbligato conferisce al beneficiario, il diritto di
esigere per sempre la prestazione periodica di una somma di denaro o di una certa
quantità di altre cose fungibili, come corrispettivo per l’alienazione di un immobile o
della cessione di un capitale.
La rendita perpetua è l’unico caso in cui il vincolo permane perpetuamente. Tale
perennità implica il fatto che la prestazione periodica si trasmette all’infinito agli eredi
sia del beneficiario, sia del debitore. Tuttavia, per porre fine a tale vincolo illimitato, il
legislatore ha riconosciuto all’obbligato il diritto potestativo di riscatto, non suscettibile
di rinuncia convenzionale. Il riscatto si esegue pagando la somma che risulta dalla
capitalizzazione della rendita annua sulla base dell’interesse legale. Il diritto di riscatto
spetta inoltre al beneficiario quando si verificano episodi che mettono a repentaglio la
fiducia che lui serba nella solvibilità e affidabilità della controparte. La rendita perpetua
può nascere sia dal contratto di scambio, sia dalla donazione modale di un fondo o di
un capitale. In più il vincolo può derivare dalla promessa unilaterale nella forma della
promessa al pubblico, dalla disposizione testamentaria a titolo particolare oppure
dall’onere opponibile all’erede e al legato. Il contratto di rendita deve essere redatto
per iscritto a pena di nullità.

LA RENDITA VITALIZIA
L’ALEATORIETA’ DEL RAPPORTO
La rendita vitalizia, a differenza di quella perpetua, è fonte di un vincolo obbligatorio
che si estingue alla scadenza di un termine che però è incerto quando sarà, siccome
è unito alla morte di una determinata persona.

LE FONTI
La rendita vitalizia si può costituire a titolo oneroso, tramite alienazione di un bene,
oppure attraverso il pagamento di una somma di denaro o la cessione di un diritto di
credito. Può inoltre essere costituita tramite donazione diretta, o in forza di legato
testamentario.
Sia nella rendita vitalizia che in quella perpetua, la struttura del contratto si fonda
sull’incrocio di due prestazioni: una istantanea (es: trasferimento del diritto su un bene),
l’altra destinata a durare nel tempo.
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PARTE SESTA: LE GARANZIE PERSONALI


LA FIDEIUSSIONE E LE FATTISPECIE AFFINI
LA FIDEIUSSIONE: IL PERFEZIONAMENTO DEL RAPPORTO
Con la fideiussione nasce un’obbligazione di garanzia personale a favore del creditore.
Questo significa che la fideiussione, a differenza di pegno o ipoteca, non ha per
oggetto un solo bene, ma l’intero patrimonio del fideiussore. Se la fideiussione nasce
dall’accordo tra le due parti, la fattispecie negoziale si qualifica giuridicamente in
maniera diversa, a seconda del soggetto con cui il garante ha concluso il contratto:
quando i protagonisti del rapporto sono il fideiussore e l’obbligato, si rientra nella
categoria del contratto a favore del terzo; se invece la fideiussione è perfezionata tra
fideiussore e creditore stesso, l’obbligato principale non è parte del contratto di
garanzia. Dall’art. 1937 c.c. si capisce che, la volontà di prestare fideiussione deve
essere espressa, ciò vuol dire che la fideiussione non si può costituire per fatti
concludenti. Nello stesso tempo la fideiussione non è sottoposta ad alcun onere
formale particolare, anche nel caso in cui l’obbligazione principale deriva da un
contratto a forma vincolata. Il fideiussore può inoltre impegnarsi a garantire non l’esatta
esecuzione dell’obbligazione, ma la prestazione di risarcimento dei danni a titolo di
inadempimento contrattuale.

LA FIDEIUSSIONE DI SECONDO GRADO, LA PLURALITA’ DI FIDEIUSSIONI E LA


CONFIDEIUSSIONE
Fideiussione di 2° grado → è ammissibile la stipulazione di una fideiussione di secondo
grado: le parti sono il fideiussore del fideiussore e il creditore. Il fideiussore di secondo
grado deve pagare al creditore la somma garantita nel caso in cui né il debitore
principale, né il primo fideiussore hanno adempiuto. Oggetto di tale fideiussione è
l’obbligazione fideiussoria del primo fideiussore.
Pluralità di fideiussioni → possono essere costituite pluralità di fideiussioni, tra loro non
collegate, come garanzie dell’adempimento della stessa prestazione. In tali situazioni i
singoli fideiussori rispondono l’uno distaccato dall’altro. Se tra i creditori e fideiussore è
stato stabilito il beneficio di divisione, ogni fideiussore che sia convenuto per il
pagamento dell’intero debito può esigere che il creditore riduca l’azione alla parte da
lui dovuta.

IL CONTRATTO AUTONOMO DI GARANZIA


Contratto autonomo di garanzia → è una fattispecie fideiussoria mirata a rendere
l’obbligazione di garanzia il più possibile autonoma da quella principale, a vantaggio
del creditore, che può il tal modo confidare di ottenere la prestazione, emancipandola
dalle vicende del rapporto con il debitore originario. Tale contratto si caratterizza per il
fatto che, il garante deve pagare a prima richiesta, rinunciando ad opporre al
garantito le eccezioni che derivano dal contratto principale.

IL MANDATO DI CREDITO
Mandato di credito → svolge una funzione preparatoria al perfezionamento di un
contratto di finanziamento. L’art. 1958 c.c. stabilisce che il soggetto che ha conferito
ad un altro l’incarico di fare credito al terzo, in nome proprio o per conto proprio,
risponde ex lege verso l’incaricato come fideiussore di un debito futuro. L’incaricato
non può rinunciare all’impegno preso, ma l’incaricante può sempre revocare l’ordine:
in tal caso il revocante deve pagare i danni subiti dall’altra parte. Inoltre, l’incaricante
può chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento. Il terzo non acquista
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alcun diritto dal mandato di credito, ma semmai un’aspettativa che l’obbligato


esegua l’incarico concedendogli il credito.

LA LETTERA DI PATRONAGE
Lettera di patronage → è una dichiarazione rilasciata ad una banca da un soggetto (di
solito una società capogruppo o una società controllante) in sostituzione di una
fideiussione vera e propria al fine di ottenere, rinnovare o mantenere un finanziamento
ad una sua partecipata o controllata. Tramite di essa la società controllante, trasmette
ad una banca dichiarazioni variamente modulate, il cui contenuto minimo è
rappresentato dalla specificazione delle relazioni che intercorrono con la controllata al
fine di agevolare la concessione di finanziamenti. In tal modo la controllata riesce a
superare l’obbligo di registrare a bilancio l’obbligazione accessoria.

L’ANTICRESI
Anticresi → è un contratto di garanzia particolarmente adatto ad una struttura
preindustriale, nella quale il dominio economico della proprietà terriera giustificava il
ricorso a figure negoziali che si piegavano ad un duplice bisogno, sia di realizzare
l’adempimento dell’obbligazione sottostante, sia di rafforzare il credito.

PARTE SETTIMA: I CONTRATTI ALTERNATIVI ALL’ACCERTAMENTO


GIUDIZIALE
LA TRANSAZIONE
FINALITA’ ED ELEMENTI DISTINTIVI DEL TIPO CONTRATTUALE
La transazione è il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni,
pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra
loro.
Scopo della transazione è quello di evitare l’intervento del giudice per dirimere il
diverbio insorto tra le parti.
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LA PERSONA FISICA
LA SOGGETTIVITA’ E LO STATO CIVILE
LA SOGGETTIVITA’ E LA CAPACITA’ GIURIDICA
Ogni persona vivente è soggetto di diritto: la «soggettività» è un valore intangibile e
immutabile, preesistente a ogni altra regola giuridica, poiché ogni regola giuridica
trova la sua funzione ultima ed esclusiva nella persona.
La nascita è il fatto giuridico del distacco del feto del grembo materno con l’inizio della
respirazione polmonare.
L’aborto è consentito <<entro i primi 90 giorni>> della gravidanza, quando il parto o la
maternità comportino <<un serio pericolo>> per la salute fisica o psichica della donna,
<<in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o
familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento o a previsioni di anomalie
o malformazioni del concepito>> oppure <<oltre i 90 giorni>>, se la gravidanza o il parto
comportino un grave pericolo per la vita della donna o siano accertati <<rilevanti
anomalie o malformazioni del nascituro>>, che possano arrecare grave pericolo alla
salute fisica o psichica della donna stessa.
La morte consiste invece nella cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo.
L’ordinamento riconosce alcuni diritti a favore del:
1) concepito → può quindi succedere a causa di morte e può ricevere per
donazione. L’effetto traslativo si perfezionerà con la nascita;
2) nascituro non concepito → può ricevere per testamento o per donazione,
purché sia figlio di persona vivente al momento della morte del de cuius nel
primo caso o al momento della donazione nel secondo.

LO STATO CIVILE DELLA PERSONA


Lo status indica la posizione della persona in una collettività di individui: in particolare
nell’intero consorzio umano (status personae) - che è funzione della nascita e della
morte - nella famiglia (status familiae) – che è funzione della procreazione e del
matrimonio – e nella comunità politica (status civitatis).
Si è posta l’esigenza di dare adeguata pubblicità ai fatti o agli atti che determinano
l’inizio e la fine di un certo status, sia nell’interesse della collettività, sia per i singoli che
siano chiamati a darne la prova in giudizio.
La <<rettificazione degli atti di stato civile>> ha la funzione di correggere i fatti che per
errore materiale vi siano stati attestati, di ricostruire gli atti in tutto o in parte smarriti o
distrutti o di formare quelli che siano stati omessi: a ciò provvede in genere il tribunale
su domanda di chiunque vi abbia interesse o del procuratore della Repubblica. La
correzione degli errori materiali di scrittura, occorsi durante la redazione dell’atto, viene
viceversa eseguita direttamente dall’ufficiale di stato civile, d’ufficio o su istanza di
chiunque ne abbia interesse, tramite annotazione e contestuale avviso al prefetto e al
procuratore della Repubblica del luogo dove è stato registrato l’atto, nonché agli
interessati.
Il <<possesso di stato>> indica una serie di fatti determinati che nel loro complesso
valgono a sanare i difetti di forma dell’atto di matrimonio o concorrono a provarne la
celebrazione nei casi indicati all’art. 132 oppure a dimostrare le relazioni di filiazione e
di parentela fra una persona e la famiglia a cui essa afferma di appartenere.
In sostanza, il possesso di stato consiste nel fatto che il figlio o la moglie portino il nome
rispettivamente del padre o del coniuge (nomen), da questi siano trattati come figlio o
come consorte (tractatus) e come tali siano stati considerati nei rapporti sociali (fama).
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LA PARENTELA E L'AFFINITÀ
La «parentela» è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite. L'«affinità»
indica invece il vincolo tra un coniuge e i parenti dell'altro (ad esempio il vincolo tra la
moglie e i suoceri o i cognati). La parentela e l'affinità si distinguono per la linea:
a) «diretta» → quando un soggetto discende direttamente dall'altro (come accade
tra il padre e il figlio o tra il nonno e il nipote) oppure, trattandosi di affinità,
quando la relazione riguarda il genitore e colui (o colei) che ne ha sposato il figlio
(o la figlia) (suocero e nuora, suocera e genero);
b) «collaterale» → quando cioè il vincolo riguarda due soggetti che abbiano in
comune soltanto uno stipite (ad esempio il fratello e la sorella, che hanno in
comune i genitori, o i cugini, che hanno in comune il nonno), ovvero, trattandosi di
affinità, il legame che unisce i cognati.
Il grado misura l'intensità del vincolo parentale o d'affinità e si determina:
a) sommando le singole generazioni quando la parentela o l'affinità siano dirette;
b) risalendo allo stipite comune e contando le generazioni in senso ascendente
prima e discendente poi (senza contare lo stipite stesso), ove siano collaterali.

LA DIMORA, LA RESIDENZA E IL DOMICILIO


La «dimora» è il luogo ove la persona si trova a soggiornare in un certo momento purché
non si tratti di una sosta fuggevole o brevissima (come quando durante un viaggio sono
costretto a fermarmi in albergo a causa dello sciopero degli aerei).
Quando la dimora assume il carattere dell’abitualità si parla di «residenza». Essa invece
risulta dall'anagrafe della popolazione residente. Le assenze prolungate per motivi di
lavoro, di studio o, ad esempio, per la detenzione in carcere non fanno venir meno la
residenza in un determinato luogo.
Il «domicilio» indica la località dove la persona ha effettivamente la sede principale dei
suoi interessi personali, familiari, sociali o patrimoniali. Potrebbe anche darsi che in un
certo momento una stessa persona abbia interessi diffusi in differenti comuni (frequento
l’Università a Milano ma i miei amici sono a Torino e lavoro in un ristornante ad Asti).
Il minore ha il domicilio laddove la sua famiglia o il suo tutore hanno la residenza. Se i
genitori non hanno la stessa residenza egli ha il domicilio del genitore con il quale
convive.
L'interdetto ha il domicilio dove risiede il tutore. In questi casi si parla di «domicilio
legale», poiché esso non si determina in relazione al luogo dove i soggetti hanno i loro
interessi ma trovasi fissato una volta per tutte dalla legge.
Il «domicilio speciale o elettivo» è quello che una persona ha designato in forma scritta
per determinati atti o affari con un atto negoziale unilaterale.

LA SCOMPARSA E L'ASSENZA
Quando una persona non sia più comparsa nel suo ultimo domicilio o nella sua ultima
residenza, e non se ne abbiano più notizie, chiunque vi abbia interesse, il pubblico
ministero o i presunti successori legittimi possono chiedere al tribunale:
a) di nominare un «curatore speciale» che rappresenti lo scomparso;
b) di dare i provvedimenti opportuni per conservarne il patrimonio.
Se siano passati almeno due anni dal giorno in cui risale l'ultima notizia, i presunti
successori legittimi e chiunque creda ragionevolmente di avere sui beni dello
scomparso diritti dipendenti dalla morte di lui, possono domandare al tribunale di
dichiararne l'«assenza».
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Nel momento in cui la sentenza diventa eseguibile:


a) coloro che sarebbero eredi testamentari o legittimi, se l'assente fosse morto nel
giorno a cui risale l'ultima notizia di lui, possono domandare di essere
temporaneamente immessi nel possesso dei beni;
b) i legatari, donatari e tutti coloro ai quali spetterebbero diritti dipendenti dalla
morte di lui possono chiedere di poterli esercitare, sempre temporaneamente;
c) quanti sarebbero liberati da obbligazioni per effetto della morte dell'assente
possono ottenere di essere provvisoriamente esonerati dall'adempierle, salvo
che si tratti di obbligazioni alimentari.
Se lo scomparso ritorna o comunque se ne prova l'esistenza in vita, gli effetti dell'assenza
cessano automaticamente e i possessori temporanei devono restituire i beni.
Se durante il possesso temporaneo si prova invece la morte dell'assente, la successione
si apre a vantaggio di coloro che al momento della morte erano suoi eredi o legatari: i
possessori temporanei devono quindi consegnare i beni a costoro.

LA MORTE PRESUNTA E LA COMMORIENZA


Il pubblico ministero e coloro che si trovano indicati all'art. 50 possono chiedere al
tribunale di dichiarare la «morte presunta» della persona scomparsa della quale non si
abbiano notizie da almeno dieci anni o quando siano trascorsi i periodi di tempo stabiliti
all'art. 60 (non è necessario che si sia proceduto a dichiarare l'assenza dello
scomparso).
Nel momento in cui la sentenza diventa eseguibile si apre la successione a causa di
morte.
Quando se ne provi l'esistenza in vita o quando faccia ritorno nella sua residenza o nel
suo domicilio, lo scomparso dichiarato presuntivamente morto:
a) recupera i beni nello stato in cui si trovano;
b) gli spetta il prezzo dei beni che siano stati alienati;
c) può esigere l'adempimento delle obbligazioni considerate estinte, se non si siano
prescritte.
Inoltre, il matrimonio contratto dal coniuge dello scomparso è ovviamente nullo ma ne
sono salvi gli effetti civili. Quando un effetto giuridico dipenda dalla sopravvivenza di
una persona all’altra — e non sia possibile dimostrare chi tra esse sia deceduta prima
(in quanto, ad esempio, siano vittime di un sinistro che le ha colpite contestualmente)
— esse si considerano morte contemporaneamente e si parla perciò di «commorienza».
Si tratta di una presunzione legale relativa di non sopravvivenza di una persona all’altra,
in modo che chi vuole contestarla deve provare che una persona è sopravvissuta
all’altra sia pure per un breve periodo di tempo.

LA CAPACITA’ DI AGIRE E LA POTESTA’ GENITORIALE


LA MINORE ETA’ E L’INTERDIZIONE PER INFERMITA’ DI MENTE
LA MINORE ETA’
Capacità di agire → è l’attitudine della persona a compiere atti giuridici validi. Essa
viene riconosciuta in maniera automatica a tutti coloro che abbiano compiuto il
diciottesimo anno di età. Casi in cui viene riconosciuta la capacità di agire prima della
maggiore età:
- al compimento del quindicesimo anno di età per quanto riguarda la conclusione
del contratto di lavoro, purché siano adeguatamente tutelate la salute e
l'istruzione del minore;
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- a sedici anni il minore autore può compiere gli atti relativi alle opere dell'ingegno
da lui create ed esercitare le relative azioni.
Gli atti giuridici negoziali compiuti dal minore sono annullabili a meno che non abbia
occultato con raggiri la sua vera età (come in caso di falsificazione della carta
d'identità). Tuttavia, la semplice dichiarazione di avere compiuto i diciotto anni non
preclude l'impugnazione del negozio.

L’INTERDIZIONE PER INFERMITÀ MENTALE


Sottostanno ad un regime analogo a quello previsto per il minore gli atti negoziali e gli
illeciti compiuti dal maggiorenne che sia stato interdetto, perdendo così la capacità di
agire.
L'«interdizione» è pronunciata con sentenza del tribunale su istanza dei soggetti indicati
nell’ art. 417.
Il giudice accoglie la domanda di interdizione quando accerti, con opportuni mezzi di
prova:
a) che si trova in condizioni di abituale infermità di mente;
b) che ciò la rende incapace di provvedere ai suoi interessi;
c) che l'interdizione è necessaria per assicurarle adeguata protezione.
Dopo l’esame dell’interdicendo il giudice nomina, con decreto, un tutore provvisorio
che lo rappresenti sino alla nomina del tutore definito, con la sentenza di interdizione.
La sentenza d'interdizione deve essere comunicata all'ufficiale dello stato civile per
l'annotazione a margine dell'atto di nascita, in modo da poter essere conosciuta da
chiunque vi abbia interesse.
All’interdetto viene nominato un «tutore» quale legale rappresentante dello stesso.
Il tutore sostituisce l’interdetto nel compimento di ogni atto negoziale e risponde, in
solido, per gli illeciti da lui compiuti sempre che l'interdetto medesimo fosse al momento
del fatto capace d'intendere e di volere.
La sentenza di interdizione può prevedere che taluni atti di ordinaria amministrazione
possano essere compiuti dall’interdetto senza l’intervento oppure con la semplice
assistenza del tutore. L'interdizione è «revocata» dal tribunale quando ne siano venuti
meno i presupposti.

L’EMANCIPAZIONE E L’INABILITAZIONE
Emancipazione → è emancipato il minore che, dopo aver compiuto sedici anni, è
autorizzato dal tribunale a potersi sposare. Per l’emancipato viene nominato un
curatore (uno dei genitori, se il coniuge dell’emancipato non è maggiorenne) che
autorizza l’emancipato a compiere atti validi. L’emancipato gode di una capacità di
agire parziale, che gli permette di compiere atti validi solo di ordinaria amministrazione.
Invece per atti di riscossione del capitale, per stare in giudizio, e per gli atti di
straordinaria amministrazione, l’emancipato ha bisogno dell’autorizzazione del
curatore e per gli atti di straordinaria amministrazione, anche del giudice tutelare.
Inabilitazione → può essere inabilitato, per proteggerlo, il maggiorenne, che
alternativamente:
• è infermo di mente ma non a tal punto da essere interdetto;
• espone sé stesso o la sua famiglia a gravi pregiudizi economici (gioco d’azzardo);
• espone sé stesso o la sua famiglia a gravi pregiudizi economici (alcolismo);
• è sordo, cieco dalla nascita e non ha ricevuto un’educazione sufficiente.

L’INTERDIZIONE LEGALE
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Interdizione legale → vi sono sottoposti coloro che sono condannati all’ergastolo o alla
reclusione non inferiore a 5 anni per una condanna di un delitto non colposo.
Annullabilità assoluta → tutti gli atti unilaterali e i contratti, compiuti dall’interdetto
legale, sono annullabili da chiunque ne ha interesse.
Soltanto per quanto riguarda gli atti a contenuto patrimoniale, egli è rappresentato da
un tutore a cui si applicano le norme sulla tutela degli interdetti giudiziali.

LA POTESTA’ DEI GENITORI


Potestà genitoriale → per provvedere all’obbligo costituzionale di mantenere, educare
e istruire i figli, i genitori hanno una potestà, composta da 2 profili:
• profilo interno della potestà → possono prendere decisioni sulla cura, vigilanza e
gestione del patrimonio dei loro figli;
• profilo esterno della potestà → come rappresentati legali del minore, possono
compiere atti giuridici necessari a produrre effetti in capo al minore.
La potestà viene riconosciuta ai genitori sino al raggiungimento della maggiore età del
figlio. Se minore, il figlio è tenuto a convivere con i genitori o con il genitore che esercita
su di lui la potestà; se si allontana senza permesso, i genitori possono richiamarlo
ricorrendo se necessario al giudice tutelare. Il figlio stesso, anche se maggiorenne, deve
rispettare i genitori e contribuire, in relazione alle sue sostanze e al suo reddito, al
mantenimento della famiglia, finché convive con essa ma, oltre ad aver diritto ad
essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori deve essere
cresciuto in famiglia e mantenere rapporti significativi con i parenti. Inoltre, se ha
compiuto i 12 anni, o se ha comunque sufficiente capacità di giudizio, ha diritto di
essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure – aventi o non contenuto
patrimoniale – che lo riguardano.
Il genitore che viola o trascura i doveri che riguardano la potestà o abusa dei relativi
poteri, con grave pregiudizio per il figlio, può essere dichiarato decaduto dalla potestà
con decisione del tribunale per minorenni, che può ordinare pure l’allontanamento del
figlio dalla residenza familiare o l’allontanamento del genitore o convivente che
maltratta o abusa del minore. Il figlio, anche adottivo, non è in tal caso tenuto
all’obbligo alimentare e può escludere il genitore decaduto dalla successione a causa
di morte. Questi può essere reintegrato nella potestà quando siano cessate le ragioni
per le quali era stata pronunziata la decadenza.
Quando la condotta del genitore non sia talmente grave da far luogo alla decadenza,
occorre distinguere a seconda che si tratti di violazioni relative alla cura della persona
del minore (ad esempio violazione dell’obbligo scolastico) oppure del patrimonio di lui.
Nel primo caso – ad esempio quando i genitori rifiutino di sottoporre il minore a un
intervento chirurgico urgente – il tribunale per i minorenni può adottare i provvedimenti
più convenienti secondo le circostanze, eventualmente disponendo l’allontanamento
del figlio o del genitore o convivente dalla residenza familiare. Nel secondo può stabilire
le condizioni alle quali i genitori devono attenersi nell’amministrazione – che comunque
continua a competere ai genitori – oppure rimuoverli se occorre dall’amministrazione
stessa, che viene affidata a un curatore, o privarli in tutto o in parte dell’usufrutto legale.
Il genitore rimosso può comunque essere riammesso all’amministrazione del patrimonio
del minore quando siano cessati i motivi sui quali il provvedimento si fondava.
Le decisioni che riguardano il minore devono essere concordate da entrambi i genitori;
in caso di contrasto, se si tratta di questioni di particolare importanza (ad esempio per
stabilire il nome da dare al neonato), ciascuno di essi può ricorrere al tribunale
indicando i provvedimenti che ritiene più opportuni.
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Il giudice, sentiti i genitori e il figlio che abbia compiuto i 14 anni, suggerisce le


determinazioni che ritiene più utili nell’interesse di questo e dell’unità familiare. Se il
contrasto permane attribuisce il potere di decisione al genitore che, nel singolo caso,
ritiene il più idoneo a curare l’interesse del figlio.

LA TUTELA DEI MINORI E DEGLI INTERDETTI


L’art. 30 Cost. prevede che, in caso d’incapacità dei genitori, la legge provveda a che
siano assolti i loro compiti; per questo l’art. 343 vuole che, in caso di morte dei genitori
o di impossibilità ad esercitare la potestà (ad esempio perché siano stati dichiarati
decaduti o siano assenti), si debba aprire la tutela dei figli minori presso il tribunale dove
essi abbiano il domicilio.
Il genitore, che ha esercitato per ultimo la potestà, può al bisogno indicare – con
testamento, con atto pubblico o con scrittura privata autenticata – la persona che
dovrà assumere il compito di tutore e di protutore. Se manca la designazione ovvero
se gravi motivi si oppongono alla nomina della persona designata, la scelta del tutore
(o del protutore) avviene preferibilmente tra gli ascendenti o tra gli altri prossimi parenti
o affini del minore, i quali, in quanto sia opportuno o se abbiano compiuto 16 anni,
devono essere sentiti.
Il tutore, dopo aver prestato giuramento avanti il giudice tutelare, assume quindi –
come il genitore – la cura del minore o dell’interdetto, ne amministra i beni e lo
rappresenta legalmente in tutti gli atti civili; il protutore rappresenta invece il minore (o
l’interdetto) quando il tutore si trovi con loro in conflitto di interessi.
Entro dieci giorni da quando ha avuto notizia della nomina, il tutore medesimo deve
procedere all’inventario del patrimonio dell’incapace, dichiarando se ha debiti, crediti
o altre ragioni verso di lui a pena di decadenza. L’inventario deve essere depositato
presso il tribunale entro 30 giorni, salvo proroga: il tutore e il protutore devono
dichiararne con giuramento la sincerità.
Compiuto l’inventario, il giudice tutelare, su proposta del tutore e sentito il protutore,
delibera sul luogo dove il minore deve essere allevato e sul suo avviamento agli studi o
all’esercizio di un’arte, mestiere o professione, sentito lo stesso minore se ha compiuto i
10 anni e determina la spesa annua occorrente per il mantenimento e l’istruzione del
minore e per l’amministrazione del patrimonio di lui, fissando i modi d’impiego del
reddito eccedente. Se ci sono aziende commerciali appartenenti al patrimonio del
minore, il giudice stesso provvede autorizzandone la continuazione o ponendole in
liquidazione.
Il tutore, previa autorizzazione del giudice tutelare, deve poi investire i capitali del
minore in affari sicuri (acquistando ad esempio immobili ubicati in Italia o titoli di Stato
o garantiti dallo Stato) e non può, senza autorizzazione dello stesso giudice:
a) acquistare beni per l’economia domestica e per l’amministrazione del
patrimonio;
b) riscuotere capitali, consentire alla cancellazione di ipoteche o allo svincolo di
pegni, assumere obbligazioni, salvo che queste riguardino le spese necessarie
per il mantenimento del minore e per l’ordinaria amministrazione del suo
patrimonio;
c) accettare o rinunciare all’eredità o accettare donazioni o legati soggetti a pesi
o a condizioni;
d) stipulare contratti di locazione d’immobili oltre il novennio o che in ogni caso si
prolunghino oltre un anno dopo il raggiungimento della maggiore età;
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e) promuovere giudizi, salvo che si tratti di denunzie di nuova opera o di danno


temuto, di azioni possessorie o di sfratto e di azioni per riscuotere frutti o per
ottenere provvedimenti conservativi.

L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
IL DECRETO DI NOMINA DELL’AMMINISTRATORE
L’amministrazione di sostegno è stata introdotta per la protezione di persone che, per
infermità o menomazione fisica, non possono provvedere da sole a soddisfare i propri
interessi.
L’amministratore di sostegno viene nominato con decreto del giudice tutelare. Il
decreto di nomina contiene al suo interno:
- generalità della persona beneficiaria e dell’amministratore;
- durata dell’amministrazione di sostegno;
- oggetto dell’incarico;
- atti che l’amministratore può compiere in nome e per conto del beneficiario;
- atti che il beneficiario può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore di
sostegno;
- i limiti delle spese che l’amministratore può sostenere in base alle disponibilità del
soggetto;
- la periodicità con cui l’amministratore deve riferire al giudice l’attività svolta e le
condizioni di vita personale e sociale del beneficiario.
L’amministratore di sostegno può essere nominato anche dallo stesso beneficiario, in
previsione di una sua futura incapacità, tramite atto pubblico, scrittura privata
autenticata. Nella scelta il giudice deve preferire sempre tutti quei soggetti già indicati
per la tutela.

GLI EFFETTI E LA CESSAZIONE


Il beneficiario può comunque compiere atti necessari a soddisfare le esigenze della sua
vita quotidiana e mantiene la capacità di agire per gli atti che non richiedono la
rappresentanza esclusiva o l’assistenza dell’amministratore.
L’amministratore una volta nominato, deve prestare giuramento davanti al giudice, se
è il caso anche versare la cauzione, e poi può cominciare a svolgere il suo incarico
gratuitamente.
L’amministratore non può dare il suo consenso al posto di quello del beneficiario per
trattamenti di carattere sanitari, poiché tali trattamenti necessitano del consenso del
diretto interessato.
Inoltre, senza l’autorizzazione del giudice non può fare tutte quelle attività che non
erano già consentite, senza autorizzazione al tutore.
Anche per l’amministratore vige il divieto di non poter acquistare beni o diritti del
beneficiario, anche tramite interposta persona.
Possono essere annullati:
- gli atti compiuti dall’amministratore violando la legge oppure quelli che
eccedono l’oggetto dell’incarico, o i poteri conferitogli dal giudice, su istanza
dell’amministratore stesso, del pubblico ministero, del beneficiario, dei suoi eredi
o aventi causa;
- gli atti compiuti dal beneficiario violando la legge o il decreto di nomina, su
istanza dell’amministratore, del beneficiario, o dei suoi eredi o aventi causa.
Le azioni relative si prescrivono in 5 anni, che decorrono dal momento in cui è cessato
lo stato di sottoposizione all’amministrazione di sostegno.
La cessazione si ha:
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- nomina a tempo determinato → automaticamente con la morte del beneficiario


o dell’amministratore, o con la scadenza del termine;
- altri casi → decreto motivato di revoca del giudice tutelare, su istanza
dell’amministratore e del beneficiario stesso, del pubblico ministero, o di altri
soggetti indicati dall’art. 406.

LA TUTELA CIVILE DELLA PERSONA


LA TUTELA CIVILE DELLA PERSONA E I C.D. DIRITTI DELLA PERSONALITA’
Diritti soggettivi della personalità → sono quelle caratteristiche che rendono unica e
irripetibile ogni persona e per questo devono essere tutelati. Essi sono assoluti, immediati
e imprescrittibili.
A riguardo ci sono 2 concezioni:
• concezione monistica → si ha un unico diritto della personalità, che si manifesta
in maniera diversa a seconda delle prerogative differenti prese in
considerazione;
• concezione atomistica → ogni prerogativa corrisponde ad un diritto diverso.
La titolarità di tali diritti non può essere trasmessa né per atto tra vivi, né a causa di
morte, e non può essere dismessa tramite rinunzia o abbandono.

LA VITA E LA SALUTE
Vita → deve essere tutelata in maniera assoluta contro qualunque aggressione dei terzi.
Non è valido alcun contratto tramite il quale si rinunzia ad essa.
Salute → è tutelata dall’art. 32 Cost. Il codice civile invece (art. 5) vieta qualsiasi atto di
disposizione del proprio corpo che può provocare una diminuzione permanente
dell’integrità fisica, oppure quando esso sia contrario alla legge, all’ordine pubblico o
al buon costume. È lecito cambiare il proprio sesso, poiché ciò corrisponde ad
assecondare la struttura corporea e mentale della persona, adeguandola al suo sentire
intimo. È invece vietata la sterilizzazione di comodo, nei casi in cui ha carattere
irreversibile. Sono leciti invece i trapianti da vivente a vivente per quanto riguarda il
rene, la cornea, il fegato. Sono anche leciti le emotrasfusioni, e i trapianti da cadavere
a vivente di organi o tessuti. Cosa importante è che nel campo della salute, un
trattamento non può essere effettuato fino a che il soggetto, che deve essere
sottoposto, non abbia dato il suo consenso.

L’INTEGRITA’ MORALE (L’ONORE, LA REPUTAZIONE E IL DECORO)


Onore → considerazione che ogni persona ha di sé stessa.
Reputazione → considerazione della persona nella società.
Decoro → manifestazione esteriore della dignità nell’aspetto e nei comportamenti.
Art. 10 → vieta l’esposizione e la pubblicazione di immagini di una persona, quando
esse recano pregiudizio all’integrità morale della persona.
Nel caso di informazioni giornalistiche invece, la persona può richiedere la rettifica delle
informazioni inesatte, tuttavia in base alla libertà di espressione, il giornalista può
diffondere quelle informazioni quando siano:
• socialmente utili;
• oggettivamente vere;
• esposte con chiarezza leale.
La critica invece può spingersi oltre la continenza quando riguarda settori della vita
sociale in cui si usano toni aspri e provocatori. Infine, le espressioni artistiche non
incontrano altro limite oltre quello della dignità della persona.
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L’IDENTITA’ PERSONALE: IL NOME


Il nome distingue la persona all’interno della società: è composto da un prenome e da
un cognome. Il prenome viene dato al neonato da chi compie la dichiarazione di
nascita, mentre nei casi in cui manchino i genitori, vi provvede l’ufficiale di stato civile.
Per esigenze di identificazione, il bambino non può avere lo stesso prenome del padre
vivente, di un fratello vivente, di una sorella vivente, un cognome come nome, oppure
che non corrisponde al sesso. Per proteggerne il decoro invece, il bambino non può
avere prenomi ridicoli o vergognosi.
Il figlio legittimo porta il cognome del padre, mentre quello naturale, porta quello del
genitore che l’ha riconosciuto: se viene riconosciuto da entrambi i genitori, allora porta
il cognome del padre. Se è nato da genitori ignoti, è l’ufficiale civile a deciderne il
cognome.
Con il matrimonio la moglie aggiunge al suo il cognome del marito, conservandolo fino
a che non passi ad eventuali nuove nozze. In caso di divorzio può essere autorizzata
dal giudice a mantenere il cognome del marito, se vi sono interessi suoi o dei figli
meritevoli di tutela.
Il cambiamento del cognome è concesso dal Ministro dell’interno, mentre il
cambiamento di un cognome ridicolo o del prenome può essere concesso dal prefetto
tramite un suo decreto.
Azione inibitoria → azione a tutela del proprio nome che fa cessare i seguenti
comportamenti dei terzi:
- contestazione del nome → impedisce alla persona di utilizzare il proprio nome;
- usurpazione → appropriazione di nomi altrui;
- utilizzazione abusiva → uso il nome di qualcuno per identificare un prodotto o
una persona di un romanzo; tuttavia, ciò deve far temere alla persona un
pregiudizio economico o morale. In tal caso l’utilizzazione è lecita, nel caso dei
contratti di merchandising.
Le azioni a difesa del nome possono essere esperite anche da colui che, pur non
portando tale nome, ha interesse, fondato su ragioni familiari che meritano tutela.
Art. 9 → ammette la tutela dello pseudonimo, cioè del nome di fantasia utilizzato nello
svolgimento di una certa attività per non manifestare la propria identità ai terzi oppure
perché questo si presenta più gradevole o facile da ricordare per il pubblico (es.
Jovanotti).

L’IMMAGINE
L’immagine di una persona può essere riprodotta, pubblicata o messa in commercio,
senza il consenso dell’interessato, solo in determinati casi previsti dalla legge, a patto
che ciò non comporti un pregiudizio all’onore o al decoro di essa. Si ritiene che la tutela
dell’immagine comprenda in sé anche quella della voce. La protezione della persona
in più si estende anche alle sue idee, cioè alla sua immagine spirituale.

LA RISERVATEZZA E LA PROTEZIONE DEI DATI


Protezione dei dati → la persona può reagire contro le aggressioni dei terzi contro la sua
sfera privata e familiare. Inoltre, quando si tratta di:
- dati personali → il loro trattamento è consentito solo con il consenso espresso
liberamente e per iscritto dell’interessato;
- dati sensibili → oltre al consenso si richiede anche l’autorizzazione del Garante
per la protezione dei dati personali, se il trattamento è effettuato da privati o enti
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pubblici economici. Occorre solo l’autorizzazione del Garante, quando, il


trattamento sia effettuato da partiti o movimenti politici o sia necessario per la
salvaguardia della vita di un terzo.
Ogni persona può richiedere, al titolare del trattamento, la conferma dell’esistenza di
dati personali che la riguardano. Inoltre, può chiedere anche la cancellazione, la
trasformazione. Può anche ricorrere al Garante per ottenere, da parte del titolare del
trattamento, la cessazione del comportamento illecito.
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LE PERSONE GIURIDICHE
LA NOZIONE
Persone giuridiche → sono entità che esistono solo sul piano metafisica, in capo alle
quali, per ragioni di comodità, si producono effetti giuridici (associazioni, fondazioni). Il
Savigny vedeva nelle persone giuridiche delle finzioni, e affermava che la capacità
giuridica può essere estesa a tali enti. Altri invece ritengono che le persone giuridiche
siano enti reali, viventi, poiché hanno una loro vita e una loro volontà.

LA STRUTTURA, LO SCOPO E LA RAPPRESENTANZA ORGANICA


Sul piano strutturale esse si distinguono in:
• corporative → il loro substrato è composto da una pluralità di persone;
• istituzionali → il loro substrato è composto da un patrimonio destinato ad uno
scopo.
Perpetuità → la persona giuridica, per essere tale, deve perdurare nel tempo di più di
coloro che l’hanno istituita. Esse si originano per effetto di un contratto, di un atto
unilaterale tra vivi oppure di un testamento. Le persone giuridiche devono avere uno
scopo determinato. Lo scopo coincide con la causa dell’atto che ha originato la
persona giuridica.
La persona giuridica opera nel traffico giuridico tramite i suoi organi, cioè tramite le
persone fisiche che la rappresentano: si parla al riguardo di rappresentanza organica.

L’ASSOCIAZIONE E IL COMITATO
LA LIBERTA’ CONTRATTUALE DI ASSOCIARSI
L'art. 18 cost. espressamente vieta i contratti associativi che mirano a realizzare «fini
vietati ai singoli dalla legge penale» (le associazioni per delinquere), quelle «segrete» e
quelle che «perseguono, anche indirettamente, scopi politici tramite organizzazioni di
carattere militare».
Pertanto, fuori da queste indicazioni espresse, deve quindi ritenersi sempre consentita
la libertà di concludere contratti associativi. Speciali indicazioni, aventi finalità di
ulteriore promozione del fenomeno associativo, riguardano le organizzazioni sindacali,
le cooperative a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata e i partiti
politici.

IL CONTRATTO COSTITUTIVO
Le associazioni si costituiscono tramite un contratto plurilaterale con comunione di
scopo.

a) si tratta di un contratto con effetti continuati nel tempo, «aperto» poiché il


numero degli associati è destinato a mutare durante il periodo di efficacia; e di
«organizzazione», nel senso che si dà origine alla persona giuridica
disciplinandone la futura attività sia per ciò che riguarda i rapporti interni sia per
quanto riguarda le relazioni con i terzi;
b) il contratto non è sottoposto a vincoli di forma e può quindi perfezionarsi anche
per fatti concludenti.

L'ORGANIZZAZIONE INTERNA, L'AMMISSIONE, IL RECESSO E L'ESCLUSIONE DEGLI


ASSOCIATI
L'ordinamento interno dell'ente è lasciato alla libera determinazione dei contraenti.
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Se non sia stabilito diversamente dal contratto, l'ente stesso sta in giudizio attraverso la
persona alla quale risulta conferita la presidenza o la direzione. Il contratto associativo
è un contratto aperto, nel senso che le parti di esso possono accrescere, attraverso
l'adesione di nuovi associati, oppure ridursi tramite il loro recesso o la loro esclusione.
L’<<adesione>> di altre parti al contratto avviene secondo l'art. 1332, cioè con la
formulazione anche verbale di una proposta, formulata con le forme stabilite
eventualmente nel contratto associativo, all’organo dell’associazione che la può
accettare oppure può rimetterne l’accettazione a un altro organo (ad esempio
all’assemblea) o a un terzo.
Il <<recesso>> è viceversa regolato dall'art. 1373, 2° comma, oltre che dalle eventuali
previsioni stabilite dal contratto associativo, le quali non possono in ogni caso
costringere il singolo a rimanere vincolato dal contratto per un periodo di tempo tale
da potersi considerare limitativo della sua libertà associativa.
L'esclusione è invece l'atto, assimilabile al recesso, col quale è la persona giuridica a
sciogliere unilateralmente il vincolo rispetto a un singolo associato.

L'ESTINZIONE DELL'ENTE, IL FONDO COMUNE E LA RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE


L'estinzione dell'ente occorrerà quando:
1) lo scopo sia stato perseguito o sia impossibile perseguirlo;
2) quando venga meno la pluralità degli associati o questi unanimemente
deliberino lo scioglimento dell'ente;
3) o ancora quando lo preveda il contratto sociale.
La cessazione degli effetti del contratto associativo dovrà essere preceduta da una
fase di liquidazione del patrimonio destinata a definire tutti i rapporti attivi e passivi che
l'ente intrattenga con terzi. Il patrimonio comune viene devoluto nei modi stabiliti
nell'atto costitutivo o nella delibera di scioglimento.
A differenza delle società, l'associazione non necessariamente fruisce di una «dotazione
patrimoniale» (c.d. fondo comune).
Quando vi sia un fondo comune, con previsione inderogabile, non può essere diviso né
assegnato in tutto o in parte agli associati receduti: una contraria previsione statutaria
o deliberazione assembleare deve quindi ritenersi nulla per violazione di norma
imperativa.
Delle obbligazioni sociali assunte rispondono solidalmente e personalmente oltre
appunto alla persona giuridica anche le persone che abbiano agito in nome e per
conto dell'associazione, cioè i suoi organi.

IL COMITATO
Si tratta di persone giuridiche delle quali singoli o altre persone giuridiche si avvalgono
per raccogliere fondi da destinare a scopi determinati. In proposito l’art. 39 ne indica
alcuni. Per quanto riguarda la responsabilità per i debiti dell'ente: tutti i suoi componenti
del comitato rispondono infatti in solido con l'ente per le obbligazioni assunte.
Ogni deliberazione dei componenti, diretta a modificare la finalità stabilita nel
programma, è inefficace. Pertanto, l’eventuale trasformazione o incorporazione
dell'ente sarà consentita soltanto se lo scopo originario sia mantenuto.
I terzi beneficiari dell'attività del comitato non possono pretendere direttamente
alcunché da questo o da coloro che lo compongono, a meno che non siano
espressamente indicati nell'atto costitutivo e sia esclusa qualsiasi discrezionalità degli
organizzatori nel designarli.
Il comitato si estingue, oltre che nelle ipotesi viste per le associazioni, anche quando i
fondi siano insufficienti a raggiungere lo scopo prefissato. In tale caso, come quando
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lo scopo sia stata raggiunto e residuino fondi inutilizzati, la devoluzione di questi è


stabilita dall'autorità governativa, se non sia stato previsto diversamente nel contratto
costitutivo.

L'ISCRIZIONE NEL REGISTRO DELLE PERSONE GIURIDICHE (RICONOSCIMENTO)


Gli organi di un'associazione o un comitato possono chiederne il «riconoscimento», cioè
l'iscrizione nel registro delle persone giuridiche (una forma di pubblicità costitutiva),
facendone richiesta alla prefettura nella cui provincia si trova la sede dell'ente.
La domanda di iscrizione deve essere accompagnata dalla presentazione a
quell’organo di una copia autentica dell’atto costitutivo e dello statuto che devono
rivestire la forma dell’atto pubblico a pena di rigetto della domanda.
L'iscrizione nel registro dipende da una valutazione discrezionale dell'autorità
amministrativa competente, la quale non si limiterà a considerare la validità del
contratto sociale (la legge parla di «possibilità e liceità» dello scopo sociale) ma dovrà
considerare l'adeguatezza del patrimonio necessario per realizzare lo scopo dell'ente.
Solamente su quel patrimonio potranno infatti far valere le loro pretese espropriative i
creditori della persona giuridica, una volta ch'essa abbia ottenuto l'iscrizione nel
registro.

LA FONDAZIONE
LA NOZIONE
È l’unica persona giuridica a struttura istituzionale, che può essere costituita tramite atto
unilaterale tra vivi, in forma di atto pubblico, da una o più persone fisiche o giuridiche,
oppure tramite testamento. L’atto di costituzione è diviso in due:
- atto di fondazione → si dà origine alla persona giuridica;
- atto di dotazione → si attribuisce ad essa un patrimonio per realizzare uno scopo di
pubblica utilità, stabilendo anche i criteri e le modalità di erogazione delle rendite
conseguite dal patrimonio.
Art. 15 → se non si tratta di testamento il negozio di fondazione può essere revocato
fino a quando non sia intervenuto il riconoscimento o fino a quando il fondato non
abbia iniziato l’attività, manifestando così di rinunciare al potere di revoca.
La fondazione si origina solo dopo essere stata iscritta nel registro delle persone
giuridiche su domanda del fondatore o anche d’ufficio, nel caso di origine tramite
testamento.
L’organizzazione interna è scelta dal fondatore, che stabilisce l’amministrazione, la
rappresentanza, e la designazione degli organi.
L’autorità governativa può però:
- controllare l’amministrazione dell’ente;
- provvedere alla nomina e alla sostituzione degli amministratori e dei rappresentanti,
se le disposizioni dell’atto fondativo non si possono attuare;
- annulla, con provvedimento definitivo, le deliberazioni contrarie a norme
imperative;
- può revocare l’organo amministrativo;
- nominare un commissario straordinario, se gli amministratori non agiscono in
conformità allo statuto o allo scopo della fondazione;
- se non si tratta di fondazioni a vantaggio di una o più famiglie, può disporre il
coordinamento dell’attività di più fondazioni, o l’unificazione della loro
amministrazione, se lo scopo è divenuto impossibile o il patrimonio sia divenuto
insufficiente;
- può dichiararne l’estinzione, e devolvere ad altri enti il patrimonio che rimane.
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LA FAMIGLIA
L’OBBLIGAZIONE ALIMENTARE
I PRESUPPOSTI OGGETTIVI
I fatti costitutivi dell’obbligazione alimentare consistono:
- nella sussistenza di una relazione di coniugio, di parentela o di affinità tra due
soggetti;
- nello stato di bisogno di uno di questi;
- nel fatto che uno dei due soggetti non sia in grado di provvedere al suo mante-
nimento.
Lo stato di bisogno non corrisponde alla totale indigenza, quanto piuttosto alla man-
canza di mezzi per provvedere alle esigenze esistenziali primarie, spirituali e materiali –
determinate in base all’età, alla salute e alla condizione sociale – e che consistono nel
vitto, nel vestiario, nei medicinali, nelle cure, eventualmente nell’istruzione e nelle esi-
genze minime di spostamento (per esempio, alla necessità di assistere alle funzioni reli-
giose) e di relazione sociale con i terzi.

I SOGGETTI OBBLIGATI
Primo tra i debitori dell’obbligo alimentare è il donatario, anche se non sia legato da
quei vincoli di coniugio, parentela, affinità o adozione: ciò non vale tuttavia se si tratti
di donazione in riguardo di matrimonio o remuneratoria. Il rifiuto indebito degli alimenti
consente al donante di ottenere la revoca della liberalità per ingratitudine. Il donante
potrà pretendere gli alimenti da ciascuno di coloro che abbia beneficiato con una
liberalità, dovendosi tutti ritenere proporzionalmente tenuti alla prestazione.
Il coniuge può pretendere gli alimenti anche se lo sposo sia stato dichiarato assente o
quando gli sia stata addebitata la separazione e se il matrimonio sia stato dichiarato
nullo essendo in buona fede: in quest’ultimo caso, tuttavia, l’altro coniuge è tenuto agli
alimenti soltanto se non vi siano altri obbligati.
Dopo di lui, vengono collocati i figli, anche adottivi, e, se essi manchino, i loro discen-
denti prossimi: l’obbligo dei primi, come di questi ultimi, non sussiste tuttavia nei confronti
dei genitori dichiarati decaduti dalla potestà.
L’obbligo degli affini (suocere, nuore, cognati) cessa quando l’alimentando passi a
nuove nozze. L’obbligo alimentare cessa pure quando il coniuge da cui derivi l’affinità,
e i figli nati dalla sua unione e con l’altro coniuge e i loro discendenti, siano morti.
I fratelli e le sorelle, con precedenza dei germani (cioè di coloro che siano figli della
stessa madre e dello stesso padre) sugli uterini (ossia di quelli che siano figli della stessa
madre ma concepiti da padri differenti) e sui consanguinei (cioè di quelli che abbiano
in comune soltanto il padre che li ha concepiti), sono infine tenuti agli alimenti pur se
solamente nella misura dello stretto necessario.
Tutti i soggetti obbligati nello stesso grado alla prestazione degli alimenti sono tenuti a
concorrervi in proporzione delle proprie condizioni economiche: si tratta allora di rap-
porto obbligatorio soggettivamente complesso ad attuazione parziaria. Soltanto in
caso di urgente necessità, l’attuazione dell’obbligo può essere posta temporanea-
mente per intero in capo a uno degli obbligati, il quale potrà tuttavia agire in regresso
verso gli altri.
È possibile che il concorso si verifichi anche tra soggetti obbligati in grado differente: in
questo caso, la parte di prestazione che non riescano a sopportare le persone chia-
mate in grado anteriore che si è trovata attribuita a quelle chiamate in grado poste-
riore. Ove non si raggiunga un accordo sulla misura, sulla distribuzione e sul modo di
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somministrazione, provvede il giudice a domanda dell’alimentando o di ciascuna delle


persone obbligate.
Quando un medesimo obbligato non possa far fronte ai bisogni alimentari di una plu-
ralità di persone si impone nuovamente l’intervento del giudice, che provvede tenendo
conto della prossimità della parentela e dei rispettivi bisogni, e anche della possibilità,
che taluno degli aventi diritto abbia, di conseguire gli alimenti da obbligati di grado
ulteriore.

DECORRENZA DELL’OBBLIGAZIONE, MODIFICAZIONE ED ESTINZIONE


L’obbligo alimentare decorre dal giorno della domanda giudiziale o da quello in cui
l’obbligato sia stato costituito in mora, quando a questa sia seguita la domanda giudi-
ziale entro i 6 mesi successivi: se ne deve dedurre che l’obbligo alimentare non nasce
con l’insorgenza del bisogno, quanto piuttosto con la dichiarazione dell’alimentando
di voler beneficiare dell’obbligo legale. La dichiarazione stessa è da considerare atto
d’esercizio di un diritto potestativo conferito al bisognoso per ottenere i necessari mezzi
di sussistenza.
Il credito stesso può essere modificato nel quantum o può addirittura estinguersi,
quando mutino le condizioni economiche di chi è tenuto a adempierlo.
Quando un obbligato di grado anteriore si trovi in condizione di poterlo adempiere al
posto di un altro di grado posteriore, in capo al quale sia stato stabilito l’obbligo alimen-
tare, si richiede che la liberazione dell’obbligato di grado posteriore sia preceduta
dall’imposizione dell’obbligo in capo alla persona di grado anteriore: ciò al fine di scon-
giurare il pericolo che l’alimentando si trovi per un periodo di tempo sprovvisto dei mezzi
di sussistenza. La morte di uno dei titolari del rapporto alimentare, alimentando o debi-
tore, estingue le prestazioni maturate sino alla morte dell’avente diritto.

IL MATRIMONIO
LA PROMESSA DI MATRIMONIO
LA NOZIONE E LA DISCIPLINA
Il matrimonio è preceduto dal fidanzamento. Il codice del 1865 chiarì che la promessa
di futuro matrimonio non produce alcuna obbligazione legale. Il codice odierno poi,
assicura a colui che è rimasto deluso, il risarcimento del danno per le spese fatte a
causa della promessa, a patto che la parte danneggiante abbia rinunciato a sposarsi
senza un motivo valido. Per ottenere il risarcimento dei danni occorre che la promessa
di matrimonio risulti da atto pubblico, o dalla richiesta di pubblicazione, o da una scrit-
tura privata. La domanda di risarcimento deve essere proposta entro 1 anno dal rifiuto.
Viene inoltre riconosciuto al fidanzato deluso, il diritto di farsi restituire i doni fatti a causa
della promessa: non sono considerati doni: le lettere amorose, le fotografie, i doni scam-
biati in occasione di festività, anniversari, compleanni.

LE INCAPACITA’ E GLI IMPEDIMENTI ALLA CELEBRAZIONE


LE INCAPACITA’ (L’ETA’, L’INTERDIZIONE, LO STATO LIBERO E IL C.D. LUTTO VEDOVILE)
Incapacità → l’età di matrimonio per donna e uomo è di 16 anni. Il tribunale per i mino-
renni, su ricorso dell’interessato, può autorizzarlo con un decreto a sposarsi, dopo che
ha compiuto 16 anni, a patto che sussistano 3 elementi:
• maturità psico-fisica → avere la capacità di capire la serietà dell’impegno ma-
trimoniale e a sopportarne i carichi;
• fondatezza delle ragioni → esse devono essere allegate da ricorrente e verifica-
bili dal tribunale;
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• gravi motivi → potrebbero essere tali, ad esempio, la convivenza dei nubendi


protrattasi per un periodo di tempo considerevole, oppure l’esistenza provata di
un legame affettivo profondo.
Non può sposarsi l’interdetto per infermità di mente: tale incapacità è una grandissima
forma di emarginazione per il malato psichiatrico, che viene privato della possibilità di
vivere la sessualità e l’affetto della vita coniugale. Non può neanche sposarsi colui che
non ha lo stato civile libero, poiché è legato già ad un precedente matrimonio che
produce ancora effetti civili. Infine, è anche incapace la donna, quando non siano
trascorsi 300 giorni dallo scioglimento, annullamento, cessazione del matrimonio prece-
dente: la ratio di tali regole risale al diritto romano ed è quella di evitare la turbatio
sanguinis, cioè il conflitto tra differenti presunzioni di paternità. Tale forma di incapacità
per la donna non si ha quando:
• il matrimonio precedente è nullo per impotenza anche di uno solo dei coniugi;
• si è avuto scioglimento del matrimonio precedente per inconsumazione;
• lo scioglimento è stato dichiarato in seguito a separazione giudiziale consen-
suale.
L’incapacità cessa dal giorno in cui è terminata la gravidanza, mentre il tribunale può,
su domanda dell’interessata, autorizzare il matrimonio, se lo stato di gravidanza è
escluso inequivocabilmente, o nel caso in cui il marito non avesse convissuto con lei nei
300 giorni precedenti allo scioglimento.

GLI IMPEDIMENTI (PARENTELE, AFFINITA’, ADOZIONE E DELITTO)


Impedimenti → l’impedimento blocca il matrimonio tra due persone determinate e non
in assoluto come l’incapacità.
Sono impedite le nozze tra:
• consanguinei in linea collaterale di terzo grado (zio e nipote);
• affini in linea collaterale di secondo grado (cognati);
• affini in linea retta (suocero e nuora);
Soltanto nei primi due casi il tribunale può dare la sua autorizzazione a celebrare le
nozze. Questi 3 casi sono impossibili anche se il matrimonio da cui discende l’affinità è
stato dichiarato nullo. L’autorizzazione del tribunale viene data solo nei casi in cui il ma-
trimonio non provoca scandalo o turbative, per esempio a causa dell’età dei nubiendi.
Per quanto riguarda l’adozione di minori, essa equipara l’adottato a un figlio legittimo
della coppia, quindi per l’adottato valgono gli stessi impedimenti del figlio legittimo. Nel
caso invece di adozione di maggiorenne, il matrimonio è impedito tra:
• adottante, adottato e i suoi discendenti;
• i figli adottivi della stessa persona;
• adottato e figli dell’adottante;
• adottato e coniuge dell’adottante;
• adottante e coniuge dell’adottato.
Infine, si ha impedimento a contrarre nozze tra le persone di cui una è stata condan-
nata per omicidio consumato o tentato del coniuge dell’altra. L’impedimento presup-
pone la condanna con sentenza divenuta definitiva prima del matrimonio.

LA PUBBLICAZIONE E LE OPPOSIZIONI ALLE NOZZE


Pubblicazione → imitando il diritto canonico tridentino, il codè Napoleon e tutti i codici
che si sono ispirati ad esso, impongono che il matrimonio sia preceduto dalla pubblica-
zione eseguita dall’ufficiale di stato civile, per rendere nota l’intenzione dei fidanzati di
sposarsi. Una volta ricevute le generalità dei fidanzati, l’ufficiale dello stato civile del
luogo di residenza di uno degli sposi, deve verificarne l’esattezza, e verificare anche
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l’esistenza di eventuali impedimenti. Dopo ciò, provvede ad attaccare l’atto di pubbli-


cazione, in un apposito spazio presente sulla porta del comune. Dopo 3 giorni dalla
pubblicazione, l’ufficiale di stato civile può celebrare il matrimonio. Se però il matrimo-
nio non è celebrato nei 180 giorni successivi alla pubblicazione, essa diviene inefficace.
Il tribunale del luogo di residenza di uno dei coniugi però, sentiti gli interessati e il pub-
blico ministero, può ridurre tali tempi oppure omettere del tutto la pubblicazione per
cause gravissime (es: pericolo di vita dei coniugi).
Art. 98 → l’ufficiale di stato civile che non può invece effettuare la pubblicazione, deve
rilasciare una certificazione in cui sono contenute le motivazioni del rifiuto: contro di
esso, gli interessati possono ricorrere al tribunale.
Art. 102 → legittimati ad opporsi alle nozze sono i genitori, e in mancanza, gli altri ascen-
denti e collaterali entro il terzo grado, il tutore o il curatore, il coniuge della persona che
intende contrarre un altro matrimonio e il pubblico ministero.
Art. 104 → se l’opposizione viene respinta, chi l’ha proposta può essere condannato a
risarcire i danni, a patto che non sia un ascendente o il pubblico ministero.

LA CELEBRAZIONE E IL MODO DI DARNE LA PROVA


Nel giorno prescelto dai nubendi, compreso tra il 4° e il 180esimo dalla pubblicazione,
l’ufficiale dello stato civile deve procedere alla cerebrazione pubblica nella casa co-
munale, a meno che uno o entrambi gli sposi, per infermità o altro impedimento, non si
trovino impossibilitati a recarvisi. Elemento costitutivo del matrimonio è la volontà degli
sposi, non la pronunzia dell’ufficiale dello stato civile. Sùbito dopo aver ricevuto il con-
senso, l’ufficiale stesso deve quindi ridurre il tutto per iscritto, nell’atto di matrimonio:
unico mezzo con il quale può essere provato lo status di coniuge: esso viene poi iscritto
nei registri di matrimonio. Quando i registri siano stati distrutti o smarriti, la prova
può essere data con ogni mezzo, mentre se risulta che l’atto non vi sia stato inserito per
dolo o colpa dell’ufficiale dello stato civile, ovvero per cause di forza maggiore, la
prova del matrimonio è ammessa soltanto se risulta in modo non dubbio un possesso di
stato con-forme.

LA NULLITA’ E IL MATRIMONIO PUTATIVO


L’INESISTENZA, LA NULLITA’ E L’IRREGOLARITA’
La sentenza del giudice che ne accerti l’invalidità del matrimonio assolve essenzial-
mente la funzione di provocare la rettifica dello status (di coniuge) erroneamente risul-
tante dagli atti dello stato civile.
Inesistenza → ciò potrebbe accadere quando fosse mancata la celebrazione avanti
l‘ufficiale dello stato civile o quando i nubendi non avessero espresso il loro consenso:
all’inesistenza non può viceversa ricondursi l’ipotesi del matrimonio tra persone dello
stesso sesso che è invece da considerarsi nullo.
La distinzione tra inesistenza e nullità si rivela di qualche interesse pratico più che altro
perché nel primo caso non è possibile invocare gli effetti del matrimonio putativo.

L’INCAPACITA’ NATURALE, IL DOLO E L’ERRORE


Oltre che per la sussistenza di una delle incapacità o degli impedimenti dirimenti, il ma-
trimonio è nullo anzitutto a causa dell’incapacità di uno degli sposi a percepire nel suo
elementare significato sociale la portata del vincolo matrimoniale al momento della
celebrazione. Non rileva che I’incapacità sia riconoscibile all’esterno, essendo estranea
alla disciplina matrimoniale ogni questione di tutela dell’affidamento in chi subisce la
domanda di nullità.
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L’incapacità può dipendere da ragioni transitone (ad esempio l’uso di sostanze stupe-
facenti, o alterazioni fisiche come I’epilessia o un trauma cranico) ovvero da ragioni
degenerative permanenti (morbo di Alzheimer).
Nulla prevede la legge per quanto riguarda l’invalidità del matrimonio viziato da vio-
lenza fisica (vis absoluta) né per ciò che riguarda il dolo, cioè l’errore provocato nell’al-
tro coniuge o da un terzo in ordine alle circostanze nelle quali il matrimonio viene con-
tratto: se la prima ipotesi non merita considerazione qui, essendo del tutto inverosimile
a verificarsi in pratica una costrizione materiale alla celebrazione occorsa avanti I’uffi-
ciale dello stato civile, il dolo invece non viene preso espressamente in considerazione
dal legislatore, perché non rileva «come» il coniuge sia caduto in errore (cioè sponta-
neamente oppure perché I’altro coniuge o un terzo. Lo abbia con inganno portato a
formarsi un errato convincimento).

LA VIOLENZA, IL TIMORE E LA SIMULAZIONE


Il timore (metus) e la violenza (vis animo illata) devono essere considerati quasi come
un continuum, a presidio dell’unico bene della libertà matrimoniale e distinti solamente
perché il secondo, a differenza del primo, consiste in una minaccia (proveniente dal
nubendo o da un terzo) diretta ad estorcere il consenso, mentre il primo dipende della
situazione oggettiva nella quale lo sposo si trova a dover acconsentire alle nozze. È
quindi timore, non violenza, il pericolo di una persecuzione razziale, o la paura che una
persona cara (come la fidanzata o il fidanzato) si suicidi o compia atti autolesionistici o
possa soffrire eccessivamente a causa di un rifiuto. È invece violenza la rappresenta-
zione di eventi dannosi quando siano provocati contro una persona cara o contro il
promesso.
Il consenso alle nozze è finalmente <<simulato>>, quando gli sposi abbiano convenuto
di non adempiere gli obblighi e di non esercitare i diritti discendenti dal matrimonio.
Il diritto canonico prevede l’invalidità dell’atto sia quando le parti escludono lo stesso
matrimonio (cd. simulazione totale), ossia quando rifiutano complessivamente lo stato
coniugale, sia quando rifiutano un suo elemento essenziale o una sua proprietà essen-
ziale (cd. simulazione parziale), cioè quando esse vogliano un vincolo nuziale ma lo
intendano plasmato secondo un proprio schema non compatibile con quello previsto
dall’ordinamento.

IL MATRIMONIO PUTATIVO
Matrimonio putativo → è un matrimonio che produce gli effetti del matrimonio valido
fino alla pronunzia della sentenza di nullità. Tale istituto nasce come eccezione alla re-
troattività della sentenza di nullità del matrimonio, prendendo coscienza del fatto che
tale retroattività non può investire tutti gli effetti del matrimonio (ad esempio la prole).

GLI EFFETTI CIVILI DEL MATRIMONIO CATTOLICO


IL MATRIMONIO RELIGIOSO E IL MATRIMONIO CIVILE: CONSIDERAZIONI GENERALI
Il diffondersi, nel corso della storia, del cristianesimo, portò a far prevalere il diritto cano-
nico nella disciplina matrimoniale, sia per la formazione dell’atto, e sia per ciò che ri-
guardava la disciplina dello stato coniugale, lasciando la disciplina degli aspetti patri-
moniali alle autorità civili. Nell’età moderna però, il potere statuale crebbe, e si inserì
prima laddove il diritto canonico non aveva dato una disciplina, poi dando vita ad una
vera e propria disciplina matrimoniale nuova. In Italia il codice civile del 1865 diede
riconoscimento in via esclusiva al matrimonio civile. Nel 1929 però, con la stipulazione
dei Patti Lateranensi, si sviluppò una diarchia, riconoscendo al matrimonio, disciplinato
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dal diritto canonico, gli effetti civili. Visto che il matrimonio era disciplina dal diritto ca-
nonico, allora i tribunali e dipartimenti ecclesiastici ebbero la competenza esclusiva
sulle cause di nullità, e sulla dispensa del matrimonio rato e non consumato. Con i Patti
Lateranensi venne introdotta la regola secondo cui, i matrimoni efficaci per la Chiesa
lo erano anche per lo Stato, ma quelli che avevano perso vigore per la Chiesa, cessa-
vano di produrre anche effetti civili.
Tuttavia, negli anni 70 la situazione cambiò ancora: si stabilì la legittimità del divorzio,
sacrificando il principio di indissolubilità del matrimonio; le decisioni di nullità dei tribu-
nali ecclesiastici vennero dichiarate illegittime per violazione del principio di garanzia
del diritto alla tutela giurisdizionale. Una conciliazione tra le parti si ebbe infine con l’Ac-
cordo di Villa Madama del 1984: si adeguò il sistema concordatario, sia a ciò che era
stato stabilito nel ‘70 ma anche ai profondi stravolgimenti della società italiana di quel
tempo e alle decisioni prese dalla Chiesa nel Concilio Vaticano II.

IL RICONOSCIMENTO DI EFFETTI CIVILI AL MATRIMONIO CANONICO: LA PUBBLICA-


ZIONE, LE OPPOSIZIONI E LA CELEBRAZIONE
L’art. 8 dell’Accordo di Villa Madama del 1984 stabilisce che ai matrimoni cattolici sono
riconosciuti gli effetti civili, a patto che l’atto venga trascritto. La richiesta di pubblica-
zione deve essere presentata a colui che celebra le nozze: entro i 3 giorni successivi
dalla pubblicazione, l’ufficiale di stato civile, dopo aver compiuto verifiche e senza che
gli siano state presentate opposizioni, dichiara l’inesistenza di causa di impedimento o
incapacità del matrimonio. Di tutto ciò deve dare notizia al parroco. Il parroco durante
la celebrazione deve leggere agli sposi gli articoli del codice civile che riguardano i
diritti e i doveri dei coniugi. L’omessa lettura contraddice però la validità dell’atto.
L’atto di matrimonio deve essere redatto in due copie originali sottoscritte dagli sposi e
dai testimoni: di queste due copie, una va inserita nei registri parrocchiali e l’altra viene
invece inviata all’ufficiale di stato civile. Non cambia niente se è celebrato dal vescovo,
dal parroco, dal diacono, ecc…

LA TRASCRIZIONE
Trascrizione → deve essere richiesta all’ufficiale di stato civile, con domanda scritta del
parroco, non oltre i 5 giorni successivi alle nozze. Se l’invio viene rifiutato, i coniugi pos-
sono rivolgersi al tribunale per ottenere che il parroco gli risarcisca i danni, e possono
ottenere anche una sentenza del giudice che viene trascritta dall’ufficiale al posto
dell’atto canonico di matrimonio. Se invece l’ufficiale riceve la richiesta di trascrizione,
nelle 24 ore successive deve trascrivere nei registri l’atto, dandone notizia al parroco.
L’ufficiale non può rifiutare la trascrizione neanche se è venuto a conoscenza di impe-
dimenti o incapacità successive al rilascio del nulla osta. La trascrizione è nulla nelle
stesse ipotesi in cui è nullo il matrimonio civile. È impedita invece quando ci sono quelle
incapacità e quegli impedimenti che la legge civile considera inderogabili e quello
relativo all’età. La trascrizione può avvenire anche se il parroco non l’ha richiesta entro
i 5 giorni successivi: tuttavia in tal caso può essere effettuata solo su istanza dei due
coniugi, presentando all’ufficiale l’atto originale di matrimonio. Tutto ciò però a patto
che la richiesta di trascrizione tardiva sia avvenuta entro 180 giorni dalla pubblicazione
del matrimonio canonico. Anche in tal caso, l’ufficiale non può procedere alla trascri-
zione se riscontra causa di incapacità o impedimenti. La richiesta di trascrizione tardiva
è impossibile se uno degli sposi è morto prima di averla presentata all’ufficiale: la legge
vuole che la richiesta sia presentata da entrambi gli sposi, oppure da uno solo di essi,
ma con il consenso dell’altro.
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GLI EFFETTI CIVILI DEL MATRIMONIO RELIGIOSO NON CATTOLICO


LA LEGGE DEL 1929 E LE INTESE TRA LO STATO E LE CONFESSIONI RELIGIOSE NON CAT-
TOLICHE
Molto differente, e molto più semplice, è il meccanismo che la legge 24 giugno 1929,
n. 1159, integrata dal regolamento di attuazione approvato con r.d. 28 febbraio 1930,
n.289, ha predisposto per dare riconoscimento al matrimonio celebrato da quanti pro-
fessano un culto, che con scarsissima sensibilità per la libertà di religione, la legge stessa
indica come <<ammesso>>.
Si introduce una disciplina semplicemente derogatoria rispetto ad alcuni profili già con-
siderati sulla celebrazione del matrimonio civile: dopo aver ricevuto la dichiarazione dei
nubendi di voler celebrare il matrimonio avanti il ministro del culto che professano, l’uf-
ficiale dello stato civile, al bisogno richiesto, provvede alla pubblicazione. Successiva-
mente, se nulla vi osta, rilascia autorizzazione scritta a celebrare il matrimonio, indi-
cando il ministro del culto che vi deve provvedere, il quale deve aver previamente
ricevuto l’approvazione della nomina con decreto ministeriale.
Il ministro del culto procede quindi seguendo il rito eventualmente prescritto dalla litur-
gia, ma deve in ogni caso ricevere la dichiarazione espressa di entrambi gli sposi di
volersi prendere in marito e in moglie, alla presenza dei testimoni: al termine della cele-
brazione è tenuto a compilare l’atto di matrimonio, sottoscrivendolo e facendolo sot-
toscrivere dagli sposi e dai testimoni, e inviarlo, entro i successivi 5 giorni, all’ufficiale
dello stato civile, che entro le successive 24 ore, provvede alla trascrizione.

GLI EFFETTI PERSONALI


L’OBBLIGO DI FEDELTA’
Obbligo di fedeltà → esso non si riduce al divieto per i coniugi di avere relazioni sessuali
con estranei, ma ha un contenuto più articolato, che si esprime nella abnegazione an-
che spirituale tra coniugi, e nei vicendevoli legami di fiducia e lealtà nell’attuazione
della convivenza. Secondo questa definizione quindi, in caso di adulterio, bisogna ca-
pire se esso sia stato la causa che ha scatenato la rottura dell’affectio. Per quanto ri-
guarda invece la comunione di vita spirituale, essa non può essere concepita in ma-
niera così forte da impedire al coniuge di avere relazioni sociali con i terzi, poiché il
matrimonio non genera un diritto domenicale che ha per oggetto il coniuge.
L’infedeltà di uno dei coniugi, anche se allo stato di mero tentativo, può integrare la
violazione dei doveri che nascono dal matrimonio: ognuno dei coniugi deve astenersi
da intraprendere condotte che hanno solo il fine di far nascere relazioni che intaccato
l’esclusività del vincolo matrimoniale.
In caso di rottura dell’affectio coniugalis, per non rispetto del diritto dovere di fedeltà, il
coniuge è sanzionato tramite l’addebito. Il terzo amante invece non va incontro a nes-
suna responsabilità perché nei suoi confronti l’obbligo di fedeltà dei coniugi è in oppo-
nibile.

GLI EFFETTI PATRIMONIALI


IL REGIME PATRIMONIALE TRA CONIUGI
I coniugi hanno la facoltà di adottare, tramite convenzione matrimoniale, sistemi patri-
moniali alternativi. Possono quindi scegliere la separazione dei beni, oppure pattuire
uno statuto destinato a modificare parzialmente il regime legale qual è la comunione
convenzionale.
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I DIRITTI DI CREDITO
Secondo un diffuso orientamento poi, sono esclusi dalla comunione legale i diritti rela-
tivi, poiché l’art. 177, circoscrive l’applicazione del regime patrimoniale ai soli acquisti,
cioè agli atti che implicano un passaggio di diritti su cose materiali e non su diritti di
credito. Tuttavia tale orientamento si scontra con la lettera e con la ratio della legge:
con la lettera poiché il sostantivo acquisti si riferisce al diritto oggetto del negozio giuri-
dico, e quindi non importa per niente se la cosa su cui si esercita il diritto è corporale o
no; con la ratio poiché il legislatore ha voluto conferire una portata onnicomprensiva
alla categoria degli acquisti che ricadono nella comunione legale, in modo che en-
trambi i coniugi possono beneficiare di incrementi patrimoniali che si verificano durante
il matrimonio.

I BENI PERSONALI
Per quanto riguarda invece i beni personali, sono sottratti al regime di comunione le-
gale, i beni acquistati con il prezzo ricavato dall’alienazione di beni personali o tramite
permuta. Nel caso di beni immobili o mobili registrati, inoltre, si deve avere anche la
partecipazione all’atto dell’altro coniuge che deve dichiarare la propria non opposi-
zione all’esclusione dell’acquisto dalla comunione.

L’AMMINISTRAZIONE
Art. 180 → i coniugi possono stipulare da soli atti di ordinaria amministrazione che hanno
ad oggetto il patrimonio comune, mentre per quelli di straordinaria amministrazione
occorre la partecipazione di entrambi. Gli atti di straordinaria amministrazione, che
hanno ad oggetti immobili o mobili registrati, compiuti da un solo coniuge, possono
essere annullati, su iniziativa dell’altro coniuge entro un anno dalla conoscenza e dalla
trascrizione. Se si tratta di mobili non registrati, l’atto straordinario è valido, ma il coniuge
che l’ha stipulato deve provvedere alla reintegrazione in forma specifica o per equiva-
lente. Se uno dei due coniugi però rifiuta di dare il suo consenso per il compimento di
un atto di straordinaria amministrazione, allora l’altro coniuge può ricorrere al giudice
per ottenere l’autorizzazione.

LA RESPONSABILITA’ PATRIMONIALE
Responsabilità patrimoniale (art. 186) → nel caso in cui un atto negoziale, fonte di de-
bito, è stato stipulato da entrambi i coniugi, i creditori possono aggredire sia il patrimo-
nio comune, che quello personale di ognuno dei coobbligati. In tal caso non si può
invocare il beneficio della limitazione della responsabilità previsto dall’art 190: tale arti-
colo deve essere riferito alle obbligazioni stipulate separatamente dai coniugi.
Art. 189 → per gli atti di straordinaria amministrazione compiuti da un coniuge senza il
consenso dell’altro, e l’altro coniuge non si è avvalso del suo diritto di esercitare l’azione
di annullamento, allora risponde in via sussidiaria il patrimonio comune fino alla quota
della metà.

L’IMPRESA FAMILIARE
Il regime primario della famiglia riconosce al singolo coniuge il potere di dare esecu-
zione all’indirizzo concordato della vita familiare. Il coniuge che non è direttamente
parte dell’atto destinato a soddisfare gli interessi primari della famiglia risponde in solido
con l’altro coniuge giacché condebitore legale della prestazione, essendo privo di si-
gnificato il fatto che il consorte estraneo non abbia partecipato al rapporto giuridico
poiché egli prende su di sé il debito non come stipulante ma come coobbligato ex
lege. Quindi la responsabilità illimitata e solidale dei coniugi riguardo alle obbligazioni
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che sono state perfezionate disgiuntamente nell’interesse della famiglia, deriva non dal
regime ordinario di comunione legale, ma da quello primario. I principali caratteri a
contenuto patrimoniale del regime primario della famiglia sono l’obbligo di contribu-
zione e il diritto-dovere di concretare anche in maniera divisa l’indirizzo della vita fami-
liare. Di un’obbligazione assunta disgiuntamente da un coniuge risponde senz’altro in
solido e illimitatamente anche l’altro, nella misura in cui essa è funzionale ad ottenere
un bene della vita destinato a fronteggiare un’esigenza irrinunciabile. Fuori da tale area
descritta, il creditore, per aggredire il patrimonio del coniuge estraneo al rapporto ob-
bligatorio, deve dimostrare che la spesa rientra in quelle effettivamente destinate a
concretare lo stile di vita prescelto dalla coppia.

LA CRISI DEL RAPPORTO MATRIMONIALE


LA SEPARAZIONE GIUDIZIALE: I PRESUPPOSTI
Separazione giudiziale → la separazione giudiziale può essere pronunciata quando vi
siano fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o recare grave
pregiudizio all’educazione dei figli.
Ogni coniuge dispone di un vero e proprio diritto potestativo di chiedere la separa-
zione: tale diritto è intrasmissibile e imperscrittibile. L’istanza di separazione si propone al
tribunale del luogo dell’ultima residenza comune o in mancanza, del luogo in cui il co-
niuge convenuto ha la sua residenza: il ricorso deve contenere l’esposizione dei fatti su
cui la domanda è stata fondata. Il presidente del tribunale tenta di riappacificare i
coniugi, ma se non ci riesce, dopo aver sentito i coniugi e i loro legali, dà con un’ordi-
nanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni per l’interesse dei
figli e dei coniugi, poi nomina il giudice istruttore e fissa l’udienza di comparazione e
trattazione davanti a tale giudice. Se viene richiesto, il tribunale dichiara a che a quale
coniuge è addebitabile la separazione: in tal caso il coniuge addebitato non ha diritto
al mantenimento e perde i diritti successori, tranne quello al legato alimentare.
Il diritto alla separazione è uno strumento a tutela della libertà individuale: quando tale
diritto è esercitato da chi ha infranto gli obblighi matrimoniali, l’ordinamento sanziona
tale illecito tramite l’addebito della separazione.

GLI EFFETTI
Effetti → la separazione rende quiescenti gli obblighi reciproci di convivenza e fedeltà.
Il tribunale riconosce a favore del coniuge l’assegno di mantenimento quando costui
non dispone di redditi adeguati propri, necessari a garantirgli il tenore di vita che
avrebbe avuto se si fosse protratta la convivenza. Il godimento della casa familiare è
attribuito valutando l’interesse dei figli: il diritto di godimento della casa familiare viene
meno nel caso in cui colui a cui è stata assegnata non abita o smetta di abitare stabil-
mente nella casa familiare o si sposi di nuovo. Il provvedimento di assegnazione e quello
di revoca sono trascrivibili e opponibili ai terzi.
Il diritto vivente esclude che il diritto alla casa familiare possa essere riconosciuto al co-
niuge a cui non sono stati affidati i figli. In più il tribunale può vietare alla moglie l’uso
del cognome del marito, se tale uso sia un grave pregiudizio per lui.
Per quanto riguarda i figli, se è possibile, il tribunale stabilisce l’affidamento condiviso,
altrimenti sceglie a quale coniuge spetti l’affidamento esclusivo. In ogni caso, il tribu-
nale stabilisce la misura e il modo con cui ciascun genitore deve contribuire al mante-
nimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. L’autorità giudiziale, inoltre,
verso i figli maggiorenni non indipendenti economicamente, può disporre che gli
venga pagato un assegno periodico.
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Art. 157 → i coniugi possono, di comune accordo, far cessare gli effetti della separa-
zione, senza l’intervento del giudice, ma basta semplicemente, una dichiarazione o un
comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione.

LA SEPARAZIONE CONSENSUALE
Separazione consensuale → la separazione può essere decisa dai coniugi, tramite atto
di autonomia privata. In tal caso il tribunale provvede all’omologazione dell’accordo
tramite un decreto emanato in camera di consiglio. In tale accordo si hanno due con-
tenuti:
• necessario → determinazioni di vivere separati e disposizioni sul mantenimento
del coniuge e dei figli;
• eventuale → disposizioni atipiche semplicemente occasionate dalla separa-
zione.
Se la coppia non ha figli, l’autorità giudiziale, svolge un controllo di pura legittimità, non
potendo contrastare le determinazioni dei coniugi.

IL DIVORZIO
Divorzio → il giudice pronuncia lo scioglimento del matrimonio quando ha accertato
che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere portata avanti o
ricostruita. Quindi l’autorità giudiziale può rigettare la domanda di divorzio se anche
solo riesce ad intravedere uno spiraglio utile alla ricostruzione della convivenza. Non è
ammesso il divorzio consensuale, però è previsto il divorzio congiunto. In caso di divorzio
è l’accordo e non la sentenza del tribunale che costituisce la fonte immediata dei diritti
e obblighi in esso previsti riguardo al singolo coniuge nei confronti dell’altro. Il tribunale
attribuisce un assegno periodico al coniuge che non ha redditi proprio adeguati, ne-
cessari a mantenere un livello di vita uguale a quello che aveva durante il matrimonio.
Il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessa-
zione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non si è sposato di nuovo, ad una
percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge al momento
della cessazione del rapporto di lavoro. Inoltre, in caso di morte dell’ex coniuge e in
assenza di un coniuge superstite che ha i requisiti per la pensione di reversibilità, il co-
niuge verso cui è stata pronunciata la sentenza di scioglimento ha diritto, se non si è
sposato di nuovo e se è titolare dell’assegno divorzile, alla pensione di reversibilità, a
patto che il rapporto da cui ha origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla
sentenza. L’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli rimane anche se uno dei
coniugi si è sposato di nuovo. Il tribunale che dichiara lo scioglimento del matrimonio,
decide anche a quale genitore sono affidati i figli: a riguardo può essere disposto an-
che l’affidamento congiunto o alternato. Il genitore a cui sono affidati i figli ha l’eserci-
zio esclusivo della potestà su di essi, tuttavia egli deve attenersi alle condizioni stabilite
dal tribunale. Per quanto riguarda il genitore a cui non sono stati affidati i figli, egli ha
diritto e dovere di sorvegliare sulla loro istruzione e educazione e può ricorrere al tribu-
nale quando ritiene che siano state prese decisioni pregiudizievoli per il loro interesse. Il
tribunale in una tale situazione può dichiarare il cambio di affidamento. L’abitazione
nella casa familiare spetta al genitore a cui sono stati affidati i figli. L’assegnazione, in
quanto trascritta, è opponibile ai terzi acquirenti.
Convenzioni di crisi del rapporto → nel tempo che trascorre tra separazione e divorzio,
i coniugi possono stabilire, fin dalla fase preliminare della separazione, l’assetto dei rap-
porti patrimoniali futuri, in modo da risolvere ogni questione al riguardo una volta per
tutte. Però secondo un orientamento dominante nel diritto giudiziale, sono nulli per illi-
ceità i patti che servono a regolare preventivamente il regime economico del divorzio:
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la nullità avrebbe il suo fondamento nel fatto che tali patti sarebbero destinati a con-
dizionare il comportamento processuale delle parti relativamente ad un processo su
diritti indisponibili come sono gli stati personali. Contro tale indirizzo però è stato osser-
vato che gli accordi in discussione non hanno nulla a che vedere con il giudizio sugli
stati poiché il loro oggetto è circoscritto ai soli rapporti patrimoniali in vista del divorzio.
Tali accordi non sono meritevoli di tutela quando generano un profondo squilibrio tra
le condizioni economiche dei singoli coniugi. Sono invece ammessi i patti che modifi-
cano l’accordo di separazione già omologato, per quanto riguarda i rapporti patrimo-
niali tra i coniugi e le relazioni con i figli.

LA FAMIGLIA SENZA MATRIMONIO


GLI ACCORDI DI CONVIVENZA ESPRESSI
La famiglia si fonda sul matrimonio, cioè su un atto non negoziale rigidamente regolato,
sì che gli effetti che ne conseguono sono predeterminati dalla legge (cd. <<famiglia
etero determinata>>).
La famiglia si basa solo sull’autonomia negoziale, così lasciando alla libera scelta delle
parti, tanto la disciplina dell’atto, quanto quella degli effetti (patrimoniali) che ne deri-
vano: si può parlare in questo senso allora di famiglia <<autodeterminata>> o famiglia
senza matrimonio.

LA FILIAZIONE
LA FILIAZIONE NEL MATRIMONIO
L’ATTRIBUZIONE LEGALE DELLA PATERNITA’
Art. 231 → nel nostro ordinamento, la paternità è attribuita dalla legge tramite un auto-
matismo legale che la determina e che è a stretto contatto con il vincolo nuziale: il
marito è padre del figlio concepito durante il matrimonio per presunzione legale. Tale
meccanismo scatta quando il figlio nasce dopo la celebrazione del matrimonio, e
cessa di operare quando vengono meno gli effetti del vincolo matrimoniale e cioè:
• dalla data della morte naturale del marito;
• dalla data in cui è passata in giudicato la sentenza di nullità del matrimonio;
• dalla data di scioglimento del matrimonio tramite divorzio;
• dalla data della sentenza di separazione giudiziale o di omologazione di quella
consensuale;
• dalla data in cui i coniugi sono comparsi di fronte al giudice per chiedere la se-
parazione, durante la pendenza di un procedimento di nullità, o di divorzio o di
separazione.

IL SISTEMA PROBATORIO
L’automatismo che porta alla condivisione tra la moglie e il marito della responsabilità
genitoriale, richiede alcune circostanze:
• nascita del neonato;
• giorno del parto;
• identità della donna;
• che la donna sia sposata al momento del parto;
• celebrazione del matrimonio della donna in data precedente al parto.
Atto di nascita → documento formato dall’ufficiale di stato civile dopo la dichiarazione
di nascita del neonato, e all’accertamento della nascita attraverso la presentazione di
un’attestazione rilasciata dalla struttura sanitaria in cui è avvenuto il parto. Da tale atto
si possono desumere: la nascita del figlio, il luogo, la data, l’ora, le generalità della
donna.
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Non indica lo status di figlio nato nel matrimonio l’impossibilità di trovare l’atto di matri-
monio quando gli sposi sono entrambi morti: in tal caso è sufficiente provare la convi-
venza pubblica dei genitori come marito e moglie e un possesso di stato, in capo al
loro figlio, che sia conforme all’atto di nascita. Se infine non sussista né l’atto di nascita,
né il possesso di stato, e il figlio è nato con falso nome da genitori ignoti, la prova della
filiazione si può dare con ogni mezzo compatibile con la natura della controversia di
stato, a patto che vi sia il fumus veritatis.

L’AZIONE DI DISCONOSCIMENTO DELLA PATERNITA’


Azione di disconoscimento della paternità → è l’azione tramite la quale viene meno
l’automatismo di attribuzione della paternità. Il rifiuto opposto dal marito a sottoporsi
alle prove genetiche o ematologiche non può essere superato coattivamente, ma
consente al giudice di trarre argomenti di prova, nel caso in cui tale rifiuto non sia giu-
stificato.

I TERMINI PER ESPERIRE L’AZIONE


La madre deve esperire l’azione non oltre 6 mesi dalla nascita del figlio, sempre che
l’azione non si basi sull’impotenza di generare del marito, perché in tal caso, il semestre
decorre dal momento in cui abbia avuto conoscenza dell’impotenza.
Il figlio invece può esperire tale azione entro 1 anno dal compimento della maggiore
età, ma oggi giorno, più di frequente, dal giorno in cui è venuto a conoscenza della
relazione sessuale della madre con un terzo. Il marito invece può disconoscere il figlio
entro un anno dalla nascita, a patto che si trovasse al tempo della nascita nel luogo in
cui questa è avvenuta. Se invece si trovava lontano, il termine decorre dal giorno in cui
ha fatto ritorno nel comune di nascita del neonato. Il termine invece decorre dal giorno
in cui ha avuto notizia della nascita, se prova di averla ignorata, oppure da quando ha
avuto conoscenza della sua impotenza. Infine, l’azione può essere anche esperita da
un curatore speciale (nominato dal tribunale), su istanza del figlio che ha compiuto 16
anni. I termini per proporre l’azione sono sospesi quando il legittimato si trova in stato di
interdizione per infermità mentale.
Quando uno dei soggetti, legittimati ad esperire tali azioni, è morto prima di aver ese-
guito il disconoscimento, e sempre che non si fosse verificata nei suoi confronti la de-
cadenza prevista, in sua vece possono agire:
• in caso di morte del padre o della madre, i loro discendenti e ascendenti;
• in caso di morte del figlio, il coniuge, i discendenti legittimi o naturali; il nuovo
termine decorre dalla morte del figlio o dal raggiungimento della maggiore età
di ciascuno dei discendenti.
Se invece il legittimato aveva proposta l’azione già prima della morte, il processo può
essere proseguito dai soggetti appena indicati.
La sentenza che accoglie la domanda, comporta la perdita del cognome paterno da
parte del figlio, dei suoi discendenti, del coniuge, se questi non intendano far valere il
diritto a mantenerlo. Diversamente il figlio prenderà il cognome della madre, di cui è
figlio naturale riconosciuto.

LA FILIAZIONE FUORI DEL MATRIMONIO


LA QUALITA’ DI GENITORE STABILITA MEDIANTE DICHIARAZIONE UNILATERALE (RICO-
NOSCIMENTO DEL FIGLIO)
La relazione tra il figlio e i genitori tenuti a mantenerlo, istruirlo ed educarlo, quando non
sia costituita attraverso l’automatismo, dipende da una dichiarazione efficace sola-
mente con riguardo a quello tra i due genitori che l’abbia resa: manca quindi in tal
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caso, la condivisione della responsabilità genitoriale tra la madre e il padre, e non si ha


alcuna relazione giuridica tra essi (art. 258).
La dichiarazione può essere resa anzitutto nell’atto di nascita, anche attraverso un
terzo, al quale sia stata rilasciata procura con atto pubblico.
La dichiarazione può essere resa validamente da chi abbia compiuto il 16esimo anno
di età purché non sia stato interdetto per infermità di mente.
La dichiarazione è nulla per mancanza di causa, quando il rapporto di filiazione sia già
stato riconosciuto o dichiarato giudizialmente oppure quando la paternità sia stata at-
tribuita legalmente al marito della madre.
Il riconoscimento del figlio che ha compiuto i 16 anni è inefficace, sino a quando egli
non presti il suo assenso: il suo rifiuto è insindacabile, mentre il suo assenso può seguire
al riconoscimento in qualunque momento.

GLI EFFETTI DELLA DICHIARAZIONE DI RICONOSCIMENTO


La dichiarazione produce di norma effetti dalla nascita del figlio.
Art. 261 c.c. → la dichiarazione di riconoscimento comporta per il genitore di assumersi
tutti i diritti e doveri che egli ha verso i figli legittimi.
La convivenza del figlio naturale con il genitore sposato richiede:
❖ l’autorizzazione del giudice;
❖ il consenso dei figli legittimi conviventi maggiori di 16 anni;
❖ consenso dell’altro genitore naturale che ha riconosciuto il figlio.
Quando il figlio è stato riconosciuto dal genitore prima delle nozze di costui, non oc-
corre il consenso dello sposo, quando il figlio è già convivente o l’altro coniuge conosce
l’esistenza del figlio naturale.

L’IMPUGNAZIONE DEL RICONOSCIMENTO


Con un’azione apposita, il riconoscimento può essere dichiarato inefficace se chi l’ha
effettuato non è la madre o il padre biologico. Se sussistono motivi fondati sulla falsità
della dichiarazione, il tribunale minorile, anche d’ufficio, nomina un curatore speciale,
che procede ad impugnare la dichiarazione di riconoscimento di fronte al tribunale
ordinario.
Oltre al figlio è legittimato ad esperire tale azione chiunque ne ha interesse. La do-
manda non è soggetta a decadenza e a prescrizione e si propone nei confronti del
figlio e del genitore che ha effettuato la dichiarazione. L’incapacità di tendere o di
volere, quando non ha condotto ad un riconoscimento falso, non ne invalida la vali-
dità. La sentenza che accoglie o rigetta l’impugnazione del riconoscimento è comuni-
cata, a cura del procuratore della Repubblica, o è notificata, a cura degli interessati,
all’ufficiale di stato civile che l’annota nell’atto di nascita.

LA QUALITA’ DI GENITORE STABILITA CON SENTENZA (DICHIARAZIONE GIUDIZIALE DI


MATERNITA’ E PATERNITA’)
Art. 277 c.c. → effetti analoghi alla dichiarazione di riconoscimento li ha l’accertamento
della filiazione naturale, tramite la quale si riconosce un figlio con efficacia retroattiva,
fino al momento della nascita, e inoltre da tale data decorre anche l’obbligo di rim-
borsare l’altro genitore che ha provveduto integralmente a mantenere il figlio. Legitti-
mato attivamente a proporre la domanda è il figlio, i suoi discendenti, entro due anni
dalla morte di lui: l’azione può essere anche proposta dal genitore che esercita la po-
testà, o dal tutore, con l’autorizzazione del giudice, ma in tal caso, il figlio che ha com-
piuto 16 anni deve dare il suo consenso. Legittimato passivamente è invece colui che
dichiara di essere genitore biologico, o se tale persona è morta, i suoi eredi: la prova
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della paternità o maternità può essere data con qualsiasi mezzo, compatibile con la
natura indisponibile degli interessi in gioco.

L’AZIONE PER IL MANTENIMENTO E L’EDUCAZIONE DEI FIGLI NON RICONOSCIBILI


L’art. 30 Cost. non consente ai genitori biologici di sottrarsi al dovere di mantenerlo,
istruirlo ed educarlo. A tal fine, essi possono essere convenuti in giudizio dal figlio stesso,
se maggiorenne.
Il figlio può inoltre ottenere un assegno vitalizio, pari all’ammontare della rendita della
quota di eredità alla quale avrebbe avuto diritto, se fosse stato riconosciuto o se la
filiazione fosse stata accertata con la sentenza di cui all’art. 269, e, secondo l’art. 594,
può pretendere dagli eredi, dai legatari e dai donatori, in proporzione a quanto essi
hanno ricevuto, la corresponsione del vitalizio stesso, quando il genitore non abbia di-
sposto per donazione o testamento in suo favore.
Le ipotesi nelle quali vi si potrà ricorrere sono:
a) quelle in cui il figlio sia decaduto dall’azione di disconoscimento di paternità;
b) quelle in cui, per qualsiasi motivo, non voglia o non possa agire con l’azione per
la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità;
c) quella in cui non intenda assentire al proprio riconoscimento, avendo compiuto
i 16 anni;
d) quella in cui il suo riconoscimento non sia stato consentito dall’altro genitore, o il
tribunale abbia rigettata l’istanza per superarne l’opposizione;
e) quella in cui sia stato dichiarato in istato di adottabilità, o sia stato disposto nei
suoi confronti l’affidamento preadottivo.

LA PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA


I PRESUPPOSTI PER ACCEDERE ALLE TECNICHE RIPRODUTTIVE
Nonostante non si sia mai dubitato quanto al fatto che la procreazione basata
sull’unione sessuale della donna con l’uomo sia assolutamente libera, il legislatore ha
ritenuto di introdurre tutta una serie di divieti e di limitazioni, quando la procreazione
stessa dipenda dal ricorso a pratiche fecondative medicalmente assistite.
Sono vietate, e punite con una sanzione amministrativa, anzitutto quelle effettuate con
materiale genetico di soggetti estranei alla coppia (fecondazione eterologa).
L’accesso alle tecniche fecondative omologhe è ammesso inoltre solamente per le
coppie di viventi maggiorenni di sesso differente, anche non unite in matrimonio purché
conviventi, in età potenzialmente fertile <<quando sia accertata l’impossibilità di rimuo-
vere altrimenti le cause impeditive della procreazione>>.

LO STATUS DEL FIGLIO E LA MATERNITA’ SURROGATA


Il padre, se ha consentito all’intervento fecondativo di tipo eterologo anche solamente
per fatti concludenti, non può chiedere di accertare che la paternità del figlio com-
pete a un terzo, attraverso il disconoscimento, se la coppia sia sposata, o l’impugna-
zione per difetto di veridicità, se la coppia sia solamente convivente.
Finalmente l’art. 12 punisce, come delitto, la surrogazione di maternità, cioè quelle pra-
tiche procreative nelle quali si verifichi una dissociazione tra colei che porta la gravi-
danza a compimento, colei che fornisce il materiale biologico necessario (donazione
di ovocita) ed eventualmente colei che si prende poi cura della crescita del nato.
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L’ADOZIONE DI MAGGIORENNI
I PRESUPPOSTI
L’adozione di maggiorenni è uno strumento che mira essenzialmente, a differenza
dell’adozione di minori di età, a tutelare primariamente l’interesse dell’adottante senza
figli che desideri trasmettere a qualcuno il proprio patrimonio ed il nome della famiglia.
In altri casi può essere un mezzo per fornire un’assistenza duratura ad un soggetto biso-
gnoso, come ad esempio ad una persona handicappata. La persona maggiorenne
con l’adozione acquista la qualifica di figlio adottivo.
I presupposti dell’adozione di maggiorenni sono:
• l’adottante deve avere compiuto 35 anni e deve superare di almeno 18 anni
l’età di colui che intenda adottare;
• l’adottante può essere una persona singola o coniugata (se coniugata, l’altro
coniuge non ha l’obbligo di adottare a sua volta);
• è necessario il consenso dell’adottante e dell’adottando, dato da loro personal-
mente;
• è necessario l’assenso dei genitori dell’adottando, del coniuge dell’adottante e
dell’adottando non legalmente separati, ed altresì dei figli (nati nel matrimonio
e fuori del matrimonio) maggiorenni dell’adottante, dato anche non personal-
mente, ma tramite una persona munita di procura speciale, e cioè ufficialmente
autorizzata.
Deroghe relative ai presupposti dell’adozione di maggiorenni:
• età → quando eccezionali circostanze lo consigliano, il tribunale può autorizzare
l’adozione se l’adottante ha raggiunto almeno l’età di 30 anni, ferma restando
la differenza di età dei 18 anni;
• assenso → il tribunale può pronunciare l’adozione anche se considera ingiustifi-
cato o contrario all’interesse dell’adottando il rifiuto dell’assenso da parte dei
suoi genitori, dei discendenti dell’adottante, del coniuge dell’adottante o
dell’adottato se separati di fatto.

IL PROCEDIMENTO
Procedimento:
➢ la domanda di adozione si propone al presidente del tribunale del luogo dove
l’adottante ha la residenza;
➢ devono essere prestati i consensi dell’adottante e dell’adottando e gli assensi
dei soggetti interessati richiesti dalla legge;
➢ il tribunale, assunte le opportune informazioni, verifica:
o se tutte le condizioni della legge sono state adempiute;
o se l’adozione conviene all’adottando;
➢ il tribunale, sentito il pubblico ministero, emette una sentenza con cui decide di
far luogo o non far luogo all’adozione (la sentenza può essere impugnata da-
vanti alla Corte di appello dall’adottante, dal pubblico ministero e dall’adot-
tando entro 30 giorni dalla comunicazione);
➢ il provvedimento di adozione viene trascritto a margine dell’atto di nascita
dell’adottato.

GLI EFFETTI E LA REVOCA DELLA SENTENZA


L’adottato:
• assume il cognome dell’adottante e lo antepone al proprio;
• conserva tutti i diritti e doveri verso la sua famiglia di origine;
• non acquista alcun rapporto civile con i parenti dell’adottante;
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• acquista i diritti successori nei confronti dell’adottante.


L’adottante:
• non acquista alcun rapporto civile con la famiglia dell’adottato;
• non acquista diritti successori nei confronti dell’adottato.
Gli effetti si producono dalla data del provvedimento che pronuncia dell’adozione.
L’adozione si può revocare solo in casi specifici previsti dalla legge, e cioè:
• per indegnità dell’adottato, e cioè quando questi abbia tentato alla vita
dell’adottante o del suo coniuge, dei suoi discendenti o ascendenti, ovvero se si
sia reso colpevole verso di loro di delitto punibile con una condanna non inferiore
a tre anni.
In tale caso la revoca dell’adozione può essere pronunciata dal tribunale su domanda
dell’adottante;
• per indegnità dell’adottante, e cioè quando questi abbia tentato alla vita
dell’adottato, oppure contro il coniuge o i discendenti o gli ascendenti di lui.
In tale caso la revoca dell’adozione può essere pronunciata dal tribunale su domanda
dell’adottato.

L’AFFIDAMENTO TEMPORANEO DI MINORI


I PRESUPPOSTI E LA FUNZIONE DELL’ISTITUTO
Nel caso in cui la famiglia di origine di un minore versi temporaneamente in una situa-
zione di disagio economico o psichico che sia tale da non poter garantire al figlio un
ambiente familiare idoneo ad una crescita sana ed equilibrata, il minore può essere
dato in affidamento per tutto il tempo in cui dura la causa di impedimento, con i limiti
previsti dalla legge.
L’affidamento è uno strumento introdotto a tutela di quel minore che solo temporanea-
mente risulti privo di un ambiente familiare idoneo alla propria crescita, nonostante che
la famiglia riceva interventi di sostegno e di aiuto da parte dello Stato, della Regione o
degli Enti locali (ad esempio, buoni alimentari, assegni familiari, sostegno nel paga-
mento di bollette). Si parla, infatti, in tali casi di affidamento temporaneo. L’affidamento
del minore a soggetti terzi, individuati in base alle indicazioni della legge, dura per il
periodo in cui sussiste l’impedimento nella famiglia di origine. Tale situazione di disagio
deve essere circoscritta nel tempo: è previsto un termine massimo, che può essere pro-
rogato nell’interesse del minore. Allorché la causa che abbia impedito alla famiglia di
origine di prendersi cura del minore venga meno, il minore potrà fare ritorno al suo nu-
cleo familiare.
Può essere dato in affidamento solo un minore di età, anche straniero se si trova in Italia.
La legge prevede che l’affidamento non possa avere una durata superiore ai 24 mesi;
tuttavia, questo termine può essere prorogato dal tribunale per i minorenni nell’esclu-
sivo interesse del minore, vale a dire qualora la sospensione dell’affidamento possa
recare a lui pregiudizio.
La legge, nell’indicare i soggetti ai quali il minore può essere affidato, stabilisce un or-
dine di preferenza:
• una famiglia, possibilmente anch’essa con figli minori;
• una persona singola (il cd. single);
• una comunità di tipo familiare, caratterizzata da un’organizzazione e da rapporti
interpersonali analoghi a quelli di una famiglia;
• un istituto di assistenza pubblica o privata che abbia sede preferibilmente nel
luogo più vicino a quello in cui risiede stabilmente il nucleo familiare di prove-
nienza.
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Per i minori di 6 anni non è possibile l’affidamento presso un istituto, ma soltanto presso
una comunità familiare.
L’affidamento temporaneo viene disposto:
• dal servizio sociale locale, quando c’è il consenso dei genitori o del genitore
esercente la responsabilità genitoriale o del tutore e previo loro consenso, sentito
il minore che ha compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore che
sia dotato di sufficiente capacità di buonsenso. Il giudice tutelare (è un magi-
strato che ha il compito di sovrintendere alle tutele) del luogo ove si trova il mi-
nore rende esecutivo con decreto il provvedimento che dispone l’affidamento
temporaneo emesso dal servizio sociale;
• dal tribunale per i minorenni, quando non vi sia il consenso dei genitori esercenti
la responsabilità genitoriale o del tutore.

LA FORMA DI PROVVEDIMENTO E LA REVOCA


Nel provvedimento di affidamento devono essere indicate:
• le motivazioni dell’affidamento;
• i tempi e i modi di esercizio dei poteri riconosciuti all’affidatario;
• le modalità attraverso le quali i genitori e gli altri componenti il nucleo familiare
possono mantenere i rapporti con il minore;
• il servizio sociale locale cui è attribuita la responsabilità del programma di assi-
stenza e la vigilanza durante l’affidamento, che ha il compito di relazionare su di
essa al giudice tutelare o al tribunale per i minorenni tramite la presentazione di
una relazione semestrale sull’andamento del programma di assistenza, la sua
presumibile ulteriore durata e l’evoluzione delle condizioni di difficoltà del nucleo
familiare d’origine;
• il periodo di presumibile durata dell’affidamento.
L’affidamento temporaneo cessa con provvedimento della stessa autorità che lo ha
disposto nei seguenti casi:
• quando sia venuta meno la situazione di difficoltà temporanea della famiglia di
origine (la durata dell’affidamento in questa ipotesi può essere stata superiore
anche ai 24 mesi, se prorogata nel caso in cui la difficoltà temporanea della
famiglia non sia venuta meno prima della scadenza del termine previsto);
• quando la prosecuzione dell’affidamento rechi pregiudizio al minore, ovvero
l’affidamento non sia stato positivo (in tal caso, normalmente si procede alla
scelta di altro affidatario);
• quando, durante un prolungato periodo di affidamento, il minore sia dichiarato
adottabile e, sussistendo i requisiti per l'adozione, la famiglia affidataria chieda di
poterlo adottare;
• quando, trascorso il periodo di durata previsto, o intervenute una delle prece-
denti condizioni, il giudice tutelare, sentiti il servizio sociale locale interessato ed il
minore che ha compiuto gli anni 12 o anche il minore di età inferiore, richieda al
tribunale per i minorenni l’emissione di ulteriori provvedimenti nell’interesse del
minore (ad esempio l’adozione, in tal caso l’affidamento temporaneo viene tra-
sformato in affidamento preadottivo, e ciò perché, ad esempio, la causa che
aveva originato l’affidamento temporaneo divenga successivamente irreversi-
bile).
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GLI EFFETTI
L’affidatario ha il dovere di:
• accogliere il minore, mantenerlo, istruirlo, educarlo, tenendo conto delle indica-
zioni dei genitori che non siano decaduti dalla responsabilità genitoriale o del
tutore e delle prescrizioni dell’autorità affidante;
• esercitare i poteri connessi alla responsabilità genitoriale in relazione agli ordinari
rapporti con la scuola, con le autorità sanitarie;
• essere sentito, a pena di nullità, nei procedimenti civili in materia di potestà, di
affidamento e di adottabilità relativi al minore affidato, con facoltà di presentare
memorie scritte nell’interesse del minore;
• rappresentare il minore nel compimento di tutti gli atti civili (l’amministrazione del
patrimonio spetta invece ai genitori che non siano decaduti dalla responsabilità
genitoriale o a un tutore).
L’affidatario ha il diritto:
• alle facilitazioni sul lavoro riconosciute per legge ai genitori;
• alle misure di sostegno e di aiuto economico di cui lo Stato, le Regioni e gli Enti
locali, nei limiti delle loro disponibilità finanziarie, dispongono a favore della fami-
glia di origine.

LE ADOZIONI DI MINORI
L’ADOZIONE DI MINORI NEL CASO DELL’ART. 44 L. DIR. MIN. FAM.
L’ADOZIONE DI MINORI
Al fine di proteggere il minore di età che si trovi in stato di abbandono, ovvero cui man-
chi il sostegno materiale e morale familiare, la legge prevede che il minore possa rico-
stituire un vero e proprio rapporto di filiazione (diventa a tutti gli effetti come figlio nato
nel matrimonio) in una nuova famiglia attraverso l'adozione.
L’adozione di minorenni è lo strumento volto a dare una nuova famiglia al minore cui
manchi in via definitiva il sostegno da parte della famiglia di origine. Si distingue in:
• adozione legittimante → fa venire meno ogni legame tra la famiglia di origine ed
il minore. Il minore diventa a tutti gli effetti come figlio nato nel matrimonio di
genitori adottivi;
o adozione particolare → è prevista solo in determinati casi indicati dalla
legge, nei quali non si può ricorrere all’adozione legittimamente. Non
viene meno il legame tra il minore e la famiglia di origine. Il minore acquista
la posizione di figlio adottivo dell’adottante;
• adozione internazionale → è l’adozione legittimante di minore straniero da parte
di genitori italiani o stranieri residenti in Italia o di minore italiano da parte di italiani
residenti all’estero.

PRESUPPOSTI
I presupposti dell’adozione legittimante sono:
• lo stato di abbandono del minore, ovvero la condizione che il minore sia privo di
assistenza morale e materiale da parte dei genitori o da parte dei parenti entro
il quarto grado;
• la dichiarazione di adottabilità, ovvero, la dichiarazione emessa dal Tribunale per
i minorenni che attesti che il minore si trovi in stato di adottabilità, stante la sussi-
stenza dello stato di abbandono;
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• la presenza dei requisiti richiesti dalla legge per gli adottanti, ovvero, in partico-
lare:
o i coniugi devono essere uniti in matrimonio da almeno tre anni e tra loro
non deve sussistere e non deve aver avuto luogo negli ultimi tre anni se-
parazione personale neppure di fatto (tale requisito di stabilità è ricono-
sciuto tale dalla legge anche quando i coniugi siano sposati da meno di
tre anni ma abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del
matrimonio per un periodo di tre anni);
o l’età degli adottanti deve superare di almeno 18 e di non più di 45 anni
l’età dell’adottando (in taluni casi è consentita una deroga);
o i coniugi devono risultare affettivamente idonei e capaci di educare,
istruire e mantenere i minori che intendano adottare.

DEROGHE
Le deroghe alla differenza di età sono ammesse:
• se il tribunale accerti che dalla mancata adozione derivi un danno grave e non
altrimenti evitabile per il minore;
• se il limite dei 45 anni sia superato da uno solo dei coniugi nella misura non supe-
riore a 10 anni;
• se gli adottanti siano genitori di figli nati fuori dal matrimonio o adottivi dei quali
almeno uno sia minorenne;
• se l’adozione riguardi un fratello o una sorella del minore già dagli stessi coniugi
adottato.

LO STATO DI ABBANDONO DEL MINORE


Il minore cui manchi l’assistenza morale e materiale da parte dei genitori o da parte dei
parenti entro il quarto grado, purché la mancanza non sia dovuta a causa di forza
maggiore di carattere transitorio (in tali casi non si ricorre all’adozione, ma all'affida-
mento cd. temporaneo), è dichiarato in stato di abbandono, anche se si trovi presso
istituti di assistenza pubblici o privati o comunità di tipo familiare ovvero sia in affida-
mento familiare cd. temporaneo.
Chiunque ha la facoltà di segnalare all’autorità pubblica situazioni di abbandono di un
minore di età. I pubblici ufficiali, gli incaricati di un pubblico servizio, gli esercenti un
servizio di pubblica necessità (es. gli assistenti sociali, gli istituti di assistenza pubblica)
devono riferire al più presto al Procuratore della Repubblica (è il soggetto istituzionale
preposto alla cura degli interessi del minore) presso il tribunale per i minorenni del luogo
in cui il minore si trova sulle condizioni di ogni minore in situazione di abbandono di cui
vengano a conoscenza in ragione del proprio ufficio.
Chi, non essendo parente entro il quarto grado, accoglie stabilmente nella propria abi-
tazione un minore, qualora l’accoglienza si protragga per oltre 6 mesi, deve, trascorso
tale termine, darne segnalazione al Procuratore della Repubblica presso il tribunale per
i minorenni.
Nello stesso termine, i genitori che affidano per più di 6 mesi il figlio minore a soggetto
diverso da un parente entro il quarto grado devono darne segnalazione al tribunale
per i minorenni. L’omissione può comportare la decadenza dalla responsabilità geni-
toriale e l’apertura della procedura di adottabilità.
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ADOZIONE ORDINARIA
IL PROCEDIMENTO DI DICHIARAZIONE DI ADOTTABILITÀ
Il Procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, assunte le necessarie
informazioni, chiede al tribunale, con ricorso, di dichiarare l’adottabilità di quelli tra i
minori segnalati o collocati presso le comunità di tipo familiare o gli istituti di assistenza
pubblici o privati o presso una famiglia affidataria che risultano in situazione di abban-
dono, specificandone i motivi.
Il Presidente del tribunale per i minorenni o un giudice da lui delegato, appena ricevuto
il ricorso, apre un procedimento relativo allo stato di abbandono del minore e dispone,
se necessario, ulteriori accertamenti tramite i servizi sociali o gli organi di pubblica sicu-
rezza, ed avverte i genitori o, in mancanza, i parenti entro il quarto grado che abbiano
rapporti significativi con il minore.
Se dagli accertamenti risultano deceduti i genitori del minore e non risultano esistenti
parenti entro il quarto grado che abbiano rapporti significativi con il minore, il tribunale
per i minorenni procede immediatamente a dichiarare lo stato di adottabilità, salvo che
non vi sia richiesta di sospensione della procedura da parte di chi, affermando di essere
uno dei genitori, chieda termine per provvedere al riconoscimento (il genitore ricono-
sce come suo figlio il minore). Il procedimento non potrà essere sospeso per più di due
mesi, salvo che il presunto genitore debba ancora compiere i 16 anni, in tal caso la
sospensione potrà essere rinviata fino a due mesi dopo il raggiungimento di tale età.
Il genitore autorizzato al riconoscimento prima del compimento del sedicesimo anno,
può chiedere ulteriore sospensione per altri due mesi dopo l’autorizzazione.
Se nei termini viene effettuato il riconoscimento e non sussiste abbandono morale e
materiale, viene dichiarata chiusa la procedura di adottabilità, altrimenti viene pronun-
ciato lo stato di adottabilità.
Fuori dal caso precedente, a conclusione delle indagini e di tutti gli accertamenti pre-
visti dalla legge, lo stato di adottabilità del minore è dichiarato con sentenza da parte
del tribunale per i minorenni, previa audizione dei seguenti soggetti:
• il Pubblico ministero;
• il rappresentante dell’istituto di assistenza pubblica o privata o della comunità di
tipo familiare presso cui il minore è collocato o la persona da cui egli è affidato;
• il tutore, ove esista;
• il minore che ha compiuto 12 anni e anche il minore di età, in considerazione
della sua capacità di discernimento.
Lo stato di adottabilità viene dichiarato quando:
a. i genitori ed i parenti convocati non si sono presentati senza giustificato motivo;
b. l’audizione dei genitori o dei parenti ha dimostrato il persistere della mancanza
di assistenza morale e materiale e la loro non disponibilità a modificare la situa-
zione;
c. durante il procedimento non siano adempiute le prescrizioni impartite per re-
sponsabilità dei genitori ovvero è provata l’irrecuperabilità delle capacità geni-
toriali dei genitori in un tempo ragionevole.
Lo stato di adottabilità non viene dichiarato quando il tribunale ritenga che non sussi-
stano i presupposti e, pertanto, dichiara che non vi è luogo a provvedere.
La sentenza che dichiara lo stato di adottabilità va notificata al Pubblico ministero, ai
genitori, ai parenti entro il quarto grado, al tutore e al curatore speciale e può essere
impugnata (ossia richiesta una sorta di rivisitazione della prima pronuncia) davanti alla
Corte di Appello (il secondo grado di giudizio), sezione per i minorenni, da queste stesse
parti entro 30 giorni dalla notificazione.
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GLI EFFETTI
Con la pronuncia dello stato di adottabilità:
• viene sospesa la responsabilità genitoriale dei genitori;
• il giudice nomina un tutore al minore, stante l’intercorsa sospensione della re-
sponsabilità genitoriale dei genitori.

LA REVOCA
Lo stato di adottabilità cessa:
• per adozione;
• per il raggiungimento della maggiore età dell’adottando;
• se viene meno lo stato di abbandono e non si è già provveduto all’affidamento
preadottivo.

AFFIDAMENTO PREADOTTIVO
Affidamento preadottivo → è quel periodo di prova che viene disposto dal tribunale
durante il procedimento di adozione, una volta che sia stata prescelta una coppia di
affidatari e prima che sia emanata la sentenza definitiva di adozione, al fine di valutare
la compatibilità tra la coppia prescelta dal tribunale ed il minore. L’affidamento prea-
dottivo ha la durata di un anno ed è prorogabile di un ulteriore anno nell’interesse del
minore.

COSA DEVE FARE UNA COPPIA DI CONIUGI CHE INTENDA ADOTTARE UN MINORE
Deve presentare domanda presso il tribunale per i minorenni, formulata su moduli nor-
malmente forniti dalla cancelleria adozioni dei tribunali stessi.
La domanda di adozione si sostanzia in una dichiarazione di disponibilità ad adottare
un bambino abbandonato dai propri genitori e dichiarato adottabile dal tribunale, spe-
cificando anche se vi è la disponibilità ad adottare più fratelli o minori handicappati.
Va presentata in carta semplice, accompagnata da alcuni documenti tra i quali, ad
esempio:
• certificato di nascita dei richiedenti;
• stato di famiglia;
• dichiarazione di assenso all’adozione da parte dei genitori dei coniugi o in caso
di decesso, il certificato di morte;
• certificato del medico di base che attesti la buona salute di entrambi i coniugi;
• modello 101 (certificazione dei redditi di lavoro che rilascia il datore di lavoro al
lavoratore) o dichiarazione dei redditi o busta paga;
• certificato del Casellario giudiziale dei richiedenti;
• dichiarazione che attesti lo stato di non separazione dei coniugi;
• alcuni esami clinici (per attestare la buona salute complessiva dei futuri genitori);
• certificazione di sana costituzione psicofisica accertata da struttura pubblica, da
cui risulti l’esclusione di affezioni TBC, veneree, cardiovascolari ed HIV.
A seconda del tribunale presso il quale si presenta la domanda i documenti che la
corredano possono variare, sarà dunque opportuno che si acquisiscano informazioni
prima di inoltrarla. Una coppia può presentare più domande anche successive a più
tribunali per i minorenni, purché ne dia comunicazione a tutti i tribunali. La domanda
decade dopo tre anni dalla presentazione e può essere rinnovata.
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PROCEDIMENTO ADOZIONE
Il tribunale per i minorenni, una volta ricevuta la domanda della coppia:
1. dà avvio alle indagini da concludersi entro 120 giorni (prorogabili sino ad altri 120
giorni) con l’aiuto dei servizi socioassistenziali per verificare:
o la sussistenza dei requisiti di età;
o la sussistenza dei requisiti di stabilità del rapporto tra i coniugi;
o la possibilità di dare precedenza all’adozione di minori di età superiore ai
5 anni o con handicap;
o la capacità di educare il minore, la situazione personale ed economica,
la salute, l’ambiente familiare dei richiedenti, i loro motivi;
2. sceglie, in base alle indagini effettuate, tra le coppie che hanno presentato do-
manda, la coppia maggiormente in grado di corrispondere alle esigenze del mi-
nore;
3. dispone l’audizione del pubblico ministero, degli ascendenti (i genitori) dei richie-
denti, del minore che ha compiuto i 12 anni e anche del minore di età, in consi-
derazione della sua capacità di discernimento;
4. dispone l’affidamento preadottivo alla coppia prescelta, determinando le mo-
dalità dell’affidamento con ordinanza, acquisendo il consenso del minore di 14
anni per la coppia prescelta;
5. comunica l’ordinanza al pubblico ministero, ai richiedenti ed al tutore;
6. vigila sul buon andamento dell’affidamento preadottivo, avvalendosi del giudice
tutelare e dei servizi locali sociali e consultoriali, e adottando i provvedimenti che
si rendano necessari in caso di difficoltà nel rapporto di convivenza tra gli affida-
tari ed il minore;
7. decorso un anno dall’affidamento, sentiti i coniugi adottanti, il minore che ha
compiuto i 12 anni e anche il minore di età, in considerazione della sua capacità
di discernimento, il pubblico ministero, il tutore, coloro che abbiano svolto attività
di vigilanza e sostegno (assistenti sociali e psicologi) e i figli dei coniugi adottanti,
se maggiori di 12 anni, provvede con sentenza decidendo di fare luogo o non
fare luogo all’adozione. In caso di adozione, il minore che abbia compiuto gli
anni 14 deve dare il suo espresso consenso nei confronti della coppia prescelta;
e tutto ciò anche nel caso in cui, durante un prolungato periodo di affidamento,
il minore sia dichiarato adottabile e sussistano i requisiti previsti per l’adozione e
la famiglia affidataria chieda di poterlo adottare;
8. la sentenza viene notificata al pubblico ministero, agli adottanti, e al tutore del
minorenne, i quali possono proporre impugnazione dinanzi alla sezione per i mi-
norenni della Corte di Appello (secondo grado di giudizio) entro 30 giorni dalla
notifica. La Corte di Appello, sentite le parti ed esperito ogni accertamento, pro-
nuncia sentenza che viene notificata alle parti le quali possono proporre ricorso
entro 30 giorni alla Corte di Cassazione (terzo ed ultimo grado di giudizio), solo in
un caso specifico previsto dalla legge, ovvero in caso di violazione o falsa appli-
cazione di norme di diritto.

DA QUANDO SI PRODUCONO E QUALI SONO GLI EFFETTI DELL’ADOZIONE


Gli effetti dell’adozione si producono dal momento in cui sono trascorsi i termini per
impugnare la sentenza senza che vi sia provveduto e, dunque, quando la sentenza sia
divenuta definitiva (non più impugnabile).
Con l’adozione:
• l’adottato acquista lo stato di figlio nato nel matrimonio degli adottanti;
• assume e trasmette il cognome del padre adottivo;
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• assume il cognome della famiglia della madre adottiva se l’adozione viene di-
sposta a favore della moglie separata;
• cessano i rapporti dell’adottato con la famiglia d’origine, salvi i divieti matrimo-
niali;
• qualunque attestazione di stato civile (es. certificato di nascita, certificato di ma-
trimonio) riferita all’adottato deve essere rilasciata con la sola indicazione del
nuovo cognome e con l’esclusione a qualsiasi riferimento di paternità o mater-
nità del minore;
• l’ufficiale di stato civile, l’ufficiale di anagrafe e qualsiasi altro ente pubblico o
privato, autorità o pubblico ufficiale, debbono rifiutarsi di fornire notizie, informa-
zioni, certificati, estratti e copie dai quali possa risultare il rapporto di adozione,
salvo autorizzazione espressa dell’autorità giudiziaria;
• le informazioni riguardanti l’identità dei genitori biologici (coloro che hanno
messo al mondo il figlio) possono essere fornite ai genitori adottivi, quali esercenti
la responsabilità genitoriale dei genitori, su autorizzazione del tribunale per i mi-
norenni, solo se sussistano gravi e comprovati motivi;
• l’adottato può, raggiunta l’età di 25 anni, accedere ad informazioni che riguar-
dano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici;
• l’adottato può, raggiunta la maggiore età, accedere ad informazioni che riguar-
dano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici, solo se sussistono gravi
e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica, previa istanza presen-
tata al tribunale per i minorenni.

L’USUFRUTTO LEGALE
LA NOZIONE E LA DISCIPLINA
Art. 324 c.c. → i genitori, che esercitano la potestà, hanno in comune l’usufrutto sui beni
del figlio.
Art. 327 c.c. → il genitore, che esercita da solo la potestà, è il solo titolare dell’usufrutto.
L’attribuzione per legge dell’usufrutto ai genitori risponde all’esigenza di assicurare che i
beni del minore vengano usati per soddisfare, non i bisogni egoistici del minore, ma le
esigenze della famiglia. Per questo motivo, la posizione del genitore è diversa da quella
dell’usufruttuario, anche se essi si trovano sottoposti agli stessi obblighi (inventario, cu-
stodia, manutenzione, e amministrazione delle cose). I frutti percepiti devono essere
utilizzati per il mantenimento della famiglia e per l’istruzione e l’educazione dei figli, e
non possono essere espropriati dai creditori dei genitori per soddisfare coattivamente il
debito che il creditore conosceva essere stato contratto per scopi estranei ai bisogni
familiari.
Art. 326 c.c. → l’usufrutto non costituisce un vero e proprio diritto reale di godimento,
per questo motivo non è alienabile, non può essere oggetto di pegno, ipoteca, espro-
priazione.
Sono esclusi dall’usufrutto:
- beni acquistati dal figlio con il guadagno del suo lavoro;
- beni donati al figlio o lasciati in eredità per intraprendere una carriera, arte,
ecc…;
- beni donati al figlio o lasciati in eredità a patto che i genitori non ne avessero
l’usufrutto;
- beni donati al figlio o lasciati in eredità che sono stati accettati nell’interesse del
figlio, contro la volontà dei genitori che esercitano la potestà.
Art. 329 c.c. → cessata la potestà, cessa anche l’usufrutto legale e i genitori che conti-
nuano a godere dei beni devono restituire soltanto i frutti esistenti nel momento in cui
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gli venga richiesto di riconsegnarli. Questo non vale nel caso in cui il figlio abbia confe-
rito ai genitori, un mandato di amministrazione o il figlio abbia fatto opposizione.

GLI ORDINI DI PROTEZIONE CONTRO GLI ABUSI FAMILIARI


LA NOZIONE E LA DISCIPLINA
Per interrompere situazioni di convivenza familiare turbata o impedire il protrarsi di con-
dotte violente, il tribunale può ordinare al coniuge, convivente o a qualunque altro
componente del nucleo familiare di cessare quella condotta e disporne l’allontana-
mento della casa familiare.
La durata del provvedimento non può essere superiore a un anno.
Il provvedimento può essere adottato soltanto se la condotta stessa risulti di grave pre-
giudizio all’integrità fisica o morale o alla libertà del coniuge, del convivente o di qua-
lunque altro componente del nucleo familiare.
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LE DONAZIONI
CONTENUTO E FORMA
Donazione → è il contratto con il quale una parte (donante) per spirito di liberalità ar-
ricchisce l'altra (donatario), disponendo a favore di questa di un suo diritto o assu-
mendo verso la stessa un'obbligazione (art. 769).

➢ lo spirito di liberalità implica che l'attribuzione patrimoniale del donante al


donatario (determinante l'arricchimento di questi e l'impoverimento del
dante causa) sia stata effettuata fuori di qualsiasi vincolo giuridico o naturale
(art. 2034);
➢ l'arricchimento può essere realizzato tramite:
o il trasferimento della proprietà o di altro diritto reale;
o attraverso la costituzione di un diritto reale di godimento;
o attraverso la cessione di un diritto di credito;
o infine, attraverso l'assunzione di un’obbligazione verso il beneficiato.

Il contratto di donazione deve essere redatto a pena di nullità tramite atto pubblico
(art. 782) con la presenza di due testimoni (art. 48 l. not.).
In via eccezionale la donazione di modico valore che ha ad oggetto mobili si perfe-
ziona per effetto della semplice consegna. La modicità deve essere valutata anche in
rapporto alle condizioni economiche del donante (art. 783).

CAPACITÀ
Si distingue:
❖ capacità di donare → per le persone fisiche si richiede la piena capacità di di-
sporre dei propri beni (art. 774).
La natura strettamente personale della donazione non consente il ricorso all'isti-
tuto della rappresentanza legale (art. 777, 1° comma) o volontaria. Sono tuttavia
consentite:
a) con le forme abilitative richieste, le liberalità in occasione di nozze a fa-
vore dei discendenti dell’interdetto o dell’inabilitato;
b) la donazione a favore di un individuo che il terzo sceglierà tra più per-
sone designate dal donante o appartenenti a determinate categorie,
oppure a favore di una persona giuridica tra quelle indicate dal donante
stesso;
c) la donazione avente per oggetto una cosa che il terzo determinerà tra
più res indicate dal donante o entro i limiti di valore dal donante stesso
stabiliti (art. 778).
Le persone giuridiche (lucrative e non lucrative) possono stipulare contratti di do-
nazione nei limiti ammessi dagli atti costitutivi.
❖ capacità a ricevere → non ci sono limiti particolari (la donazione può, peraltro,
essere fatta anche a favore di chi è soltanto concepito, oppure a vantaggio dei
figli di una determinata persona vivente al tempo della donazione, benché non
ancora concepiti).
La donazione a favore di più donatari s'intende fatta per parti uguali, salvo che dall'atto
risulti una diversa volontà.
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OGGETTO
La donazione può avere ad oggetto il trasferimento di un diritto o l'assunzione di un
obbligo anche di fare.
È vietata la donazione di beni futuri, salvo che si tratti di frutti non ancora separati. La
norma tace riguardo alla donazione di cosa altrui.
Il donante può riservarsi l'usufrutto della cosa donata. In tal caso la donazione ha uni-
camente ad oggetto la nuda proprietà.
Il donante può riservarsi la facoltà di disporre di qualche oggetto compreso nella dona-
zione o di una determinata somma sui beni donati.
Non costituisce donazione la liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi o
secondo gli usi. Ad esempio, la somma — di modesta entità (c.d. mancia) — data al
cameriere di un ristorante è sottratta alla disciplina in esame.

ELEMENTI C.D. ACCIDENTALI


La donazione può essere sospensivamente o risolutivamente condizionata.
È ammesso il patto di riversibilità, per effetto del quale i beni donati tornano al donante
in caso di premorienza del donatario o di questi e dei suoi discendenti (art. 791). Siamo
di fronte ad una liberalità sottoposta a condizione risolutiva. Il patto in esame ha effetto
reale: la sopravvenuta retrocessione risolve tutte le alienazioni dei beni donati, i quali
ritornano quindi al donante liberi da ogni peso o ipoteca (art. 792).
Il donante può inoltre imporre al donatario un comando (modus). Il donatario risponde
dell'adempimento per colpa entro i limiti del valore della cosa donata (intra vires).

LE DONAZIONI RIMUNERATORIE
Rientrano nello schema della donazione anche la c.d. donazione remuneratoria.
L’art. 770, 1° comma, indica tre specie di donazione remuneratorie:
a) la donazione fatta per riconoscenza, ossia per gratitudine verso il beneficiato a
causa di un'azione da questi compiuta prima della donazione stessa, o per la
promessa di un comportamento futuro;
b) la donazione fatta per meriti del donatario (ad esempio, dono a Caio la somma
di dieci mila euro per i suoi successi sportivi, scientifici, etc.);
c) la donazione fatta spontaneamente (nullo iure cogente) a titolo di rimunerazione
di un servizio ricevuto o promesso.

LA DONAZIONE OBNUZIALE
Donazione obnuziale → è fatta con riguardo a un determinato futuro matrimonio, sia
dagli sposi tra loro, sia da altri a favore di uno o di entrambi gli sposi o dei figli nascituri
da questi. La particolarità di tale liberalità consiste in ciò, che si è perfezionata senza
bisogno di accettazione, sebbene non produca effetto (affiorano i tratti della condi-
zione sospensiva) finché non segua il matrimonio (art. 785, 1° comma).

INADEMPIMENTO E GARANZIE
Il donante, in caso d'inadempimento o di ritardo nell'eseguire la donazione, è respon-
sabile esclusivamente per dolo o per colpa grave (art. 789).
Il donante è inoltre tenuto a garantire il donatario dall'evizione nei casi stabiliti nell'art.
797:
a) se ha espressamente promesso la garanzia;
b) se l'evizione dipende dal dolo oppure dal fatto personale di lui;
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c) se si tratta di donazione che impone oneri al donatario, o di donazione rimune-


ratoria, la garanzia è dovuta fino alla concorrenza dell'ammontare degli oneri o
dell'entità delle prestazioni ricevute dal donante.
Quanto ai vizi materiali della cosa, salvo patto speciale, la «garanzia» del donante è
dovuta quando abbia agito con dolo (o grave imprudenza) (art. 798).

LA SANATORIA DELLA DONAZIONE NULLA


La nullità della donazione, da qualunque causa dipenda, non può essere fatta valere
dagli eredi o aventi causa dal donante che, conoscendo la causa della nullità, hanno,
dopo la morte di lui, confermato la donazione o vi hanno dato volontaria esecuzione.

LA REVOCAZIONE
La donazione può essere revocata (artt. 800 ss.):
A. per ingratitudine;
B. le cause d'ingratitudine sono enumerate nell'art. 801. Il termine e la legittimazione
ad agire sono disciplinati nell'art. 802;
C. per sopravvivenza di figli (anche se già concepiti al momento della donazione)
o di discendenti del donante.

Revocata la donazione per ingratitudine o sopravvenienza di figli, il donatario deve re-


stituire i beni in natura, se essi esistono ancóra, e i frutti relativi, a partire dal giorno della
domanda.

LE DONAZIONI INDIRETTE
Lo scopo liberale di arricchire un’altra parte si può raggiungere in via diretta, con il con-
tratto di donazione, oppure, in via indiretta, cioè avvalendosi di contratti che hanno
una causa propria diversa da quella liberale.
Un caso particolare è il negotium mixtum cum donationem, che si realizza in caso di
vendita di un bene a un prezzo decisamente inferiore al valore della cosa. La giurispru-
denza prevalente qualifica tale fattispecie come un negozio indiretto.
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SUCCESSIONI A CAUSA DI MORTE


I FONDAMENTI
IL CONCETTO DI SUCCESSIONE
La successione mortis causa consiste in una vicenda attributivo-traslativa per effetto
della quale il patrimonio del de cuius (defunto) viene offerto (se si tratta di successione
a titolo universale) o ipso iure assegnato (in caso di successione a titolo particolare) alle
persone chiamate a subentrare nella sua titolarità (istituiti).
Restano eccezionalmente fuori della vicenda successoria i diritti indissociabili dal loro
titolare. Si tratta di posizioni soggettive talmente inerenti al dominus che non possono
sopravvivergli.

LA RILEVANZA DEL TEMPO IN CUI SI APRE LA SUCCESSIONE


La successione si apre al momento della morte, nel luogo di ultimo domicilio del
defunto (art. 456)

- morte → cessazione di ogni funzione celebrale dell’encefalo.


- per la nozione di domicilio si rimanda all’art. 43 c.c.
- la legge collega una pluralità di effetti al momento in cui viene aperta la
successione mortis causa.
Sul fronte dei termini il diritto di accettare l’eredità si prescrive in dieci anni a partire
dell’apertura della successione, salvo che la delazione sia sottoposta ad una
condizione sospensiva.
Il chiamato che è nel possesso dei beni ereditari deve redigere l’inventario entro tre
mesi dalla morte del de cuius, pena l’estinzione – in assenza di proroga – del diritto di
accettare con il beneficio d’inventario.
La data della morte serve inoltre a stabilire la porzione disponibile.
Il testamento pubblico è eseguibile sin dalla morte del disponente, laddove
l’esecuzione dei testamenti segreto e olografo presuppone l’avvenuta pubblicazione;
in ogni caso, la volontaria esecuzione di questi ultimi negozi non è causa d’invalidità
degli atti attuativi della volontà del de cuius in tal modo posti in essere.

LEGGE APPLICABILE
In particolare, l'istante d'apertura della successione è decisivo al fine di stabilire la
legge applicabile: la successione stessa è disciplinata dalla legge vigente in detto
momento.

LA RILEVANZA DEL DOMICILIO


La successione si apre nel luogo ove il defunto ha fissato il suo ultimo domicilio.

LA MORTE QUALE FATTO COSTITUTIVO DELLE PRETESE SUCCESSORIE


Colui il quale intenda far valere diritti derivanti da una vicenda successoria deve
provare (ex art. 2697) il fatto costitutivo rappresentato dalla morte dell'ereditando. La
prova è raggiunta tramite l'esibizione dell'atto di morte.

CAPACITÀ DI SUCCEDERE E INDEGNITÀ


Sono capaci di succedere:
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a) tutti coloro che sono nati o concepiti al tempo dell'apertura della successione
(art. 462, 1° comma). Si presume (iuris tantum) concepito al tempo dell'apertura
della successione chi è nato entro trecento giorni dalla morte del de cuius (art.
462, 2° comma).
b) il nascituro non concepito figlio di una determinata persona vivente al tempo
della morte del testatore (art. 463, 3° comma).
L'art. 463 contiene un elenco tassativo di casi la cui concretazione implica l'esclusione
dalla successione per indegnità.

L'indegno rientra nella categoria di soggetti che non possono accettare l'eredità.
Il diritto di accettare spetta ai suoi discendenti, salvo che, in ipotesi di vocazione
testamentaria, sia stata prevista la sostituzione ordinaria (art. 688).

DELAZIONE DELL’EREDITA’
LIBERTÀ TESTAMENTARIA
La persona capace d'agire (art. 591) è libera, tramite testamento, di prestabilire
l'assetto del proprio patrimonio per il tempo in cui avrà cessato di vivere.

La libertà è:
- espressione dell'autonomia negoziale in materia di negozi mortis causa (art. 587);
- assoluta, perché si esprime non solo nella pars costruens, ma anche in funzione
destruens essendo sempre legittimato il testatore a ritornare sui suoi passi
modificando o revocando le disposizioni antecedenti sino al momento della
morte (art. 679).

LA DISEREDAZIONE
Tesi 1
A parere del diritto giudiziale e di parte della letteratura giuridica, il diseredato deve
essere equiparato all'erede il quale non possa accettare, con la consequenziale
entrata in scena della rappresentazione (artt. 467 ss.).

Tesi 2
In senso opposto è stato osservato che la diseredazione non può tollerare la
rappresentazione ex artt. 467 ss. in quanto manca un'antecedente chiamata con
effetti attributivi.

LA RILEVANZA COSTITUZIONALE DELLA SUCCESSIONE MORTIS CAUSA


L'art. 42, ult. comma, cost., così recita: «la legge stabilisce le norme ed i limiti della
successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità».

IL CONCORSO DI TITOLI SUCCESSORI


Nessuno è obbligato a testare. Se manca (in tutto o in parte) il testamento subentra lo
statuto sulla successione legittima ex art. 457, 2° comma.

UNICITÀ DELLA DELAZIONE


Sussistendo il concorso tra vocazione ereditaria e vocazione legittima la delazione è
pur sempre unica.
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LA SUCCESSIONE LEGITTIMA
Il nostro sistema conferisce priorità alla successione testamentaria. Se manca in tutto o
in parte un testamento valido entra in scena la disciplina sulla successione legale (o
legittima).
Quest'ultima successione non ha luogo tra i parenti oltre il sesto grado (art. 572, 2°
comma).
Il codice prevede una disciplina dettagliata per quanto riguarda l'ordine gerarchico.
In proposito le categorie di successibili (c.d. legittimati) sono:
1) da non confondere con i c.d. legittimari a cui spetta la quota di riserva garantita
dalla legge
2) ad essi sono equiparati i figli adottivi;
3) la quota che in caso di successione testamentaria o ex lege deve sempre essere
garantita ai c.d. legittimari (coloro che per legge hanno tale diritto);
4) la quota disponibile è quella di cui il testatore può disporre liberamente. La quota
di riserva è quella garantita dalle norme in tema di successione necessaria ai
legittimari.
- Coniuge → può succedere:
a) da solo (art. 583);
b) in concorso con i figli (art. 581);
d) oppure in concorso con ascendenti fratelli o sorelle del de cuis (art. 582);
- figli a condizione che siano vivi o concepiti al momento della successione (art. 567);
- ascendenti legittimi nelle ipotesi previste dagli artt. 568 e 569;
- fratelli o sorelle germani o unilaterali del de cuius → Possono succedere:
a) da soli o in concorso tra loro (art. 570);
b) in concorso con genitori o ascendenti del de cuius (art. 571);
c) in concorso con il coniuge superstite del de cuius (art. 582);
- altri parenti in linea collaterale più remoti (art. 572);
- lo Stato (art. 568).

SUCCESSIONE NECESSARIA E AZIONE DI RIDUZIONE


La libertà del testatore non è illimitata: la disciplina in tema di successione necessaria
(artt. 536 ss.) rappresenta difatti il limite più invasivo ai poteri di piena
autodeterminazione del disponente siccome egli non può per un verso escludere dalla
successione i legittimari, per l'altro comprimere le quote a costoro riservate dalla legge.

Si tratta di un limite previsto sia per la successione testamentaria, sia per la successione
legittima.
La c.d. quota di riserva (o legittima) è complementare alla quota disponibile e varia in
base alla tutela offerta dalla legge alle categorie di legittimari (art. 536). I legittimari
sono:
a) coniuge;
b) figli;
c) ascendenti;
d) discendenti dei figli che succedono per rappresentazione ex art. 467.
Il legittimario leso o pretermesso può impugnare il negozio di ultima volontà tramite
l'azione di riduzione per ottenere quanto gli spetta a titolo di legittima.
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L'accertamento della quota riservata ai legittimari va determinato riunendo


fittiziamente al relictum (risultante dal patrimonio dell'eredità al netto delle passività) il
donatum (art. 556).
Accertata la quota riservata a ciascun legittimario si procede alla riduzione delle
disposizioni lesive secondo l’ordine previsto dalla legge.
Termine prescrizione azione riduzione → 10 anni decorrenti, secondo il diritto giudiziale,
dalla data di accettazione dell’eredità.
Sono legittimati attivamente ad esercitare l’azione di riduzione:
1) i legittimari;
2) i loro eredi;
3) gli aventi causa dei legittimari.
Per poter agire in riduzione devono sussistere due presupposti (art. 564):
1) il legittimario che chiede la riduzione di donazioni e legati deve aver accettato
con beneficio di inventario;
2) il legittimario che agisce in riduzione deve imputare alla sua porzione legittima le
donazioni e i legati a lui fatti, salvo espressa dispensa (c.d. imputazione ex se).
L'azione di riduzione ha efficacia reale, nel senso che è opponibile ai terzi, salvo che la
domanda sia stata trascritta dopo dieci anni dall'apertura della successione.

LA SUPERTUTELA DEL CONIUGE


La legge di revisione del diritto di famiglia ha assegnato al coniuge superstite una
posizione di primazia in fatto di tutela connessa alla vicenda successoria del partner:
tale coniuge è in effetti titolare di una riserva «qualitativa» composta:
1) dalla quota di legittima spettante al coniuge di diritto;
2) nonché dai diritti d'abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e d'uso sui
mobili che la corredano, purché tali beni siano di proprietà del defunto o comuni
(art. 540, 2° comma).

GLI OSTACOLI ALLA CIRCOLAZIONE DEI BENI DONATIVI


L’attribuzione di efficacia erga omnes all'azione di riduzione (art. 563) urta contro il
bisogno d'assicurare certezza alla circolazione della ricchezza:

Ciò si spiega alla luce della regola racchiusa nell'art. 561: gli immobili restituiti per effetto
della riduzione sono liberi da ogni peso o ipoteca di cui il legatario o il donatario possa
averli gravati, salvo il disposto dell'art. 2652, n. 8.
Se così, il creditore del donatario è disincentivato ad accettare una garanzia reale su
una cosa donata stante il rischio di «purgazione» discendente dall'accoglimento della
domanda di riduzione.
Lo stato delle cose che è stato descritto, è stato rimodulato dalla variazione apportata
agli artt. 561 e 563.
A seguito dell’intervento legislativo del 2005 le norme citate prevedono che:
a) i pesi e le ipoteche conservano la propria efficacia qualora la riduzione sia stata
proposta dopo vent'anni dalla trascrizione della donazione, salvo in questo caso
l'obbligo del donatario di compensare tramite denaro i legittimari a causa del
minor valore dei beni, purché la suddetta domanda sia stata trascritta entro dieci
anni dall'apertura della successione (art. 561, 1° comma);
b) la sentenza che accoglie la domanda del legittimario non è opponibile ai terzi
che abbiano comprato l'immobile dal donatario ove siano trascorsi vent'anni
dalla trascrizione della liberalità lesiva dei diritti del legittimario medesimo.
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IL PATTO DI FAMIGLIA
Il patto di famiglia consente che l'attività d'impresa individuale o societaria sia
esercitata da quello dei discendenti che ne abbia effettivo interesse contro il rischio di
frazionamenti che possono derivare dallo scioglimento della comunione ereditaria
conseguente al passaggio generazionale di tale attività (artt. 768-bis ss.).
Il contratto richiede la forma pubblica a pena di nullità e alla sua stipula devono
partecipare non soltanto gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni sociali ma
anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse
la successione nel patrimonio dell'imprenditore (art. 768-quater, 1° comma).
Gli assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni societarie devono liquidare gli altri
partecipanti al contratto, ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte, con il pagamento
di una somma corrispondente al valore delle quote previste dagli artt. 536 ss. o in natura
ove convenuto dai contraenti.

UNITÀ DEL PATRIMONIO EREDITARIO


L'erede non continua la personalità del de cuius, ma subentra (in tutto o in modo
frazionato) nel patrimonio globalmente inteso, vale a dire comprensivo delle attività e
passività indipendentemente dal loro rapporto o proporzione.

Qualora l’asse ereditario sia costituito di passività l'istituito può premunirsi non
accettando oppure accettando con beneficio d'inventario (sì da circoscrivere la
responsabilità per i debiti nei limiti dell’eredità).

LA SUCCESSIONE A TITOLO PARTICOLARE


Ben diversa è la posizione del legatario, il quale subentra esclusivamente nella titolarità
della cosa o diritto specificatamente assegnatogli dal testatore.

Ciò spiega la ragione per cui l'erede risponde dei debiti giacché ha acquistato (per
volontà espressa o tacita) il patrimonio oggetto di vocazione in toto o pro quota.
All'inverso, il legatario non risponde dei debiti ereditari.

LE VOCAZIONI ANOMALE
Le vocazioni anomale (o speciali) sono così definite perché si allontanano dalle regole
di diritto comune sull’attribuzione del patrimonio ereditario in base:
a) al vincolo di parentela (successione suppletiva);
b) all'eventuale atto di autonomia privata di ultima volontà (testamento);
c) oppure alla disciplina in tema di diritti dei legittimari.

IL DIVIETO DEI PATTI SUCCESSORI ISTITUTIVI


L'art. 458 sancisce il divieto dei patti successori istitutivi: è nullo l’accordo tra
l’ereditando e il chiamato con cui il primo si obbliga a chiamare l’altro in quanto
contrastante con la libertà testamentaria (art. 587).

I PATTI SUCCESSORI DISPOSITIVI E RINUNZIATIVI


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Sono altresì nulli ai sensi dell'art. 458 i patti dispositivi e rinunciativi aventi ad oggetto i
diritti relativi a una successione futura ed altrui.
Con i primi si fa riferimento ai negozi inter vivos con cui il disponente trasferisce o si
obbliga a trasferire l’eredità a un terzo.
I secondi hanno ad oggetto la rinunzia a diritti derivanti da una successione non ancora
aperta.

LA FIDUCIA TESTAMENTARIA
Quando il testatore abbia disposto (tramite atto di ultima volontà) di una cosa
determinata a vantaggio della persona beneficiata, prende forma l'istituto della
fiducia testamentaria (art. 627) nel caso in cui tale persona si sia impegnata in virtù di
accordo tra vivi a ritrasferire l'attribuzione patrimoniale mortis causa al terzo favorito
(impropriamente definito come «erede segreto»).
Questi è tuttavia sfornito del diritto a esigere l'esecuzione della promessa fiduciaria, la
quale integra gli estremi dell'obbligazione naturale perché soltanto la spontanea
attuazione dell'incarico per opera dell'«interposto» (erede o legatario) non incapace
assicura il definitivo acquisto del bene al destinatario finale.

L'ACQUISTO DELL'EREDITA’
RATIO LEGIS
L'attribuzione patrimoniale mortis causa a titolo universale presuppone, di massima,
l'adesione del chiamato, che si esprime nell'atto di accettazione (art. 459).
Diversamente, il legato si acquista senza bisogno di accettazione, fatta tuttavia salva
la facoltà di rinunziare.
Al fine di impedire che il patrimonio rimanga per un certo periodo senza titolare,
l'accettazione produce effetti ex tunc, a decorrere dall'apertura della successione.

POTERI DEL CHIAMATO PRIMA DELL'ACCETTAZIONE


Il chiamato all'eredità può:
1) esercitare le azioni possessorie a tutela dei beni ereditari, senza bisogno di
materiale apprensione;
2) può compiere atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea;
3) può farsi autorizzare dall'autorità giudiziaria a vendere i beni che non si possono
conservare o la cui conservazione importa grave dispendio.
Il chiamato non può compiere i suddetti atti quando si sia provveduto alla nomina di
un curatore dell’eredità a norma dell’articolo 528.
Se il chiamato non ha accettato l'eredità e non è nel possesso dei beni ereditari, il
tribunale su domanda delle persone interessate o d'ufficio nomina un curatore
dell'eredità giacente, che amministra provvisoriamente il patrimonio ereditario finché
l'eredità non sia stata accettata (artt. 528 ss.).

LE VICENDE DELLA DELAZIONE


LA TRASMISSIONE DEL DIRITTO DI ACCETTARE
Il codice civile sottopone il diritto di accettare l'eredità a una disciplina articolata, la
quale fa leva su due criteri:
• criterio cronologico;
• criterio gerarchico.
Il primo (sub a) ruota attorno all’ipotesi che il chiamato sia morto dopo l’apertura della
successione senza accettare l’eredità: in questa ipotesi gli eredi del chiamato
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subentrano nel diritto di accettare l'eredità (o nel diritto di rinunziare al legato


acquistato ipso iure) (art. 479).
A differenza della rappresentazione non è necessario che il trasmissario sia capace o
degno nei riguardi dell’originario de cuius. L'istituzione testamentaria del sostituito può
essere stabilita anche per il caso che l'erede ab intestato non voglia o possa accettare
la vocazione legittima.

LA SOSTITUZIONE ORDINARIA. LA RAPPRESENTAZIONE. L’ACCRESCIMENTO


Ove il chiamato sia premorto all'ereditando, oppure per altre cause non possa o non
voglia succedergli, entra in gioco il criterio gerarchico (sub b) che si concreta in una
sequenza gerarchicamente ordinata di norme:
a) all'apice della immaginata piramide si staglia la sostituzione ordinaria;
b) al secondo gradino c'è la disciplina sulla rappresentazione;
c) al terzo troviamo la clausola d'accrescimento;
d) ove nessuno dei predetti istituti possa trovare pratica applicazione la delazione
vacante sarà regolata dalle norme relative alla successione legittima, mentre la
porzione del legatario mancante andrà a profitto dell'onerato.
a) La sostituzione ordinaria
Ai sensi dell'art. 688 il testatore può designare un sostituito allorché il primo istituito non
possa o non voglia succedergli.
Il sostituito di primo grado (o di grado ulteriore) succede direttamente al testatore e
non già all'istituito anteriore.
Se non diversamente stabilito la vocazione ha effetto anche se il sostituito sia indegno
verso il sostituto.
b) La rappresentazione
Quando il testatore non abbia validamente designato un sostituito al primo chiamato
e quest’ultimo non abbia voluto (in quanto ha rinunziato all’eredità o ha rifiutato il
legato) o potuto (se rappresentato è premorto al de cuius) si dovrà far ricorso alla
rappresentazione. Il rappresentato è il chiamato-delato. Il rappresentante è chi
subentra per rappresentazione. La rappresentazione fa subentrare i discendenti
legittimi o naturali nel luogo e nel grado del loro ascendente, in tutti i casi in cui questi
non può o non vuole accettare l'eredità o il legato.
La rappresentazione ha luogo, nella linea retta, a favore dei discendenti dei figli
legittimi, legittimati e adottivi, nonché dei discendenti dei figli naturali del defunto, e,
nella linea collaterale, a favore dei discendenti dei fratelli e delle sorelle del defunto».
La vicenda successoria s'instaura direttamente tra de cuius e subentrante: non si ha qui
trapasso della delazione già confluita nella sfera del primo chiamato, ma trasmissione
dell'eredità.
Per questo il rappresentante deve essere capace di succedere verso il suo dante causa
(ereditando), mentre può essere incapace o indegno a succedere nei riguardi del
rappresentato.
È chiamata nella successione della quota vacante la stirpe unitariamente intesa e non
già i suoi singoli componenti.
c) L'accrescimento
Nel caso in cui la quota vacante del mancato successore non possa essere assegnata
tramite rappresentazione, entra in scena il criterio attributivo dell'accrescimento la cui
nozione è fissata nell'art. 674, 1° comma:

Quando più eredi sono stati istituiti con uno stesso testamento (c.d. congiunzione
verbale) nell'universalità dei beni, senza determinazione di parti o in parti uguali, anche
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se determinate (c.d. congiunzione reale), e uno di essi non possa o non voglia
accettare la sua parte si accresce agli altri. Inoltre, se più eredi sono stati istituiti in una
stessa quota, l'accrescimento ha luogo a favore degli altri istituiti nella quota
medesima. In tema di successione a titolo particolare basta la congiunzione reale (art.
675). L'intera disciplina sull'accrescimento di cui agli artt. 674 ss. si fonda sul presupposto
della vocazione testamentaria, tuttavia trova applicazione anche in caso di vocazione
intestata.
d) Se non interviene l'accrescimento, la porzione dell'erede mancante si devolve agli
eredi legittimi, e la porzione del legatario mancante va a profitto dell'onerato.

IL DIVIETO DI FEDECOMMESSO
Fuori dell'ipotesi di fedecommesso assistenziale, la sostituzione fedecommissaria è nulla.
Con la sostituzione fedecommissaria succedono l’uno dopo la morte dell’altro due
chiamati in ordine successivo: il primo ha l’obbligo di conservare i beni ricevuti dal
testatore e di consegnarli alla sua morte al sostituito che assume la qualità
dell’usufruttuario. La norma sanziona la sostituzione ma non l'attribuzione al primo
istituito, la quale è implicitamente considerata valida.

IL DIVIETO DI ALIENAZIONE
Il testo originario dell'art. 692, ult. comma, dettava una regola ferrea, a mente della
quale era nulla «ogni disposizione con la quale il testatore proibisce all'erede di disporre
per atto tra vivi o per atto di ultima volontà dei beni ereditari».
Questa disposizione è stata abrogata dalla legge di riforma del diritto di famiglia. Ne
consegue che, anche in materia successoria, vale la regola di diritto patrimoniale
comune.

L'ACCETTAZIONE DELL'EREDITÀ
L'ACCETTAZIONE PURA E SEMPLICE
ACCETTAZIONE PURA E SEMPLICE E CON BENEFICIO
L'eredità può essere accettata:
a) puramente e semplicemente → quando l’accettante subentra in tutti i rapporti
attivi e passivi del de cuius. Ne consegue che egli risponde illimitatamente dei
debiti ereditari, anche con il proprio patrimonio personale.
b) con il beneficio d'inventario (art. 470).
In questa ipotesi l'erede da un lato risponde entro i limiti dell'attivo ereditario, dall'altro
conserva verso l'eredità tutti i diritti e gli obblighi che aveva verso il defunto, tranne quelli
che si sono estinti per effetto della morte (art. 490).
L'accettazione è un negozio giuridico tra vivi, unilaterale e non recettizio. Esso è
irrevocabile. L'accettazione non è un atto personale, potendo essere altresì
perfezionata tramite il rappresentante legale o volontario.
L'accettazione dell'eredità si può impugnare quando sia effetto di violenza o di dolo
(art. 482), ma non già per errore (art. 483). Ciò perché tramite il beneficio d'inventario il
chiamato può cautelarsi di fronte al rischio d'errore sulla consistenza patrimoniale.

ACCETTAZIONE ESPRESSA E TACITA


L'accettazione può essere:
❖ espressa → quando il chiamato manifesta la volizione di subentrare nella
titolarità del patrimonio oggetto di delazione in conformità alle forme;
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❖ tacita → quando si sostanzia in un comportamento concludente illustrativo di


una volizione inespressa (si ha accettazione tacita nelle ipotesi previste dagli
artt. 477 e 478).

PRESCRIZIONE
Il diritto di accettare l'eredità si prescrive in dieci anni.
Il termine decorre dal giorno dell'apertura della successione e, in caso d'istituzione
condizionale, dal giorno in cui si verifica l'evento futuro e incerto. Il termine non corre
per i chiamati ulteriori, se vi è stata accettazione da parte di precedenti chiamati e
successivamente il loro acquisto ereditario sia venuto meno.
Allo scopo di evitare lo stato di incertezza in merito alle sorti della delazione la
disposizione adesso esaminata consente a chiunque abbia interesse di chiedere la
fissazione tramite l'actio interrogatoria di un termine per l'esercizio del diritto a pena di
decadenza (art. 481).

L'ACCETTAZIONE CON BENEFICIO D'INVENTARIO E LA SEPARAZIONE DEI BENI DEL


DEFUNTO
LA FORMA DELL'ATTO E GLI ADEMPIMENTI PUBBLICITARI
L’accettazione con beneficio di inventario deve essere manifestata in forma espressa
e solenne, dovendo essere ricevuta a pena di nullità dal notaio o dal cancelliere del
tribunale in cui si è aperta la successione.
Inoltre, si richiede pure, non a pena di invalidità, l'inserimento in copia dell'atto di
accettazione beneficiata nel registro delle successioni e la trascrizione a cura del
cancelliere presso la Conservatoria dei registri immobiliari dell'ultimo domicilio del
defunto, ancorché nell'asse non siano ricompresi beni immobili, o se ce ne siano si
trovino ubicati in una circoscrizione differente.
La data della trascrizione è tuttavia rilevante poiché da quel momento l'art. 495 fa
decorrere il termine di decadenza entro il quale i creditori e i legatari possono, tramite
opposizione, impedire all'erede di pagarli man mano che si presentano, così
provocando la liquidazione concorsuale dell'asse ereditario, ispirata al principio della
par condicio creditorum.
In base a tale principio i creditori hanno tutti pari diritto di essere soddisfatti sui beni del
debitore salve le cause legittime di prelazione.
L’accettazione con beneficio di inventario fatta da un chiamato giova agli altri anche
se l’inventario è compiuto da un chiamato diverso da quello che ha emesso la
dichiarazione (art. 510).

L'INVENTARIO
La dichiarazione di accettazione deve essere preceduta o seguita dall'inventario, cioè
dalla predisposizione del verbale di cui all'art. 775 c.p.c., per mano del notaio o del
cancelliere.
Se la dichiarazione di accettazione beneficiata è già stata inserita nel registro delle
successioni: la data di ultimazione dell'inventario deve, entro il mese successivo, essere
annotata nello stesso.
Se l'inventario sia stato compiuto precedentemente alla dichiarazione beneficiata: la
data dovrà essere menzionata nella stessa.
Il codice prevede discipline diverse a seconda che il chiamato si trovi o meno nel
possesso dei beni ereditari.

GLI EFFETTI
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L'accettazione con beneficio d'inventario produce anzitutto una serie di effetti in capo
all'erede. In particolare, egli:
1) conserva verso l'eredità tutti i diritti e tutti gli obblighi che aveva verso il defunto,
tranne quelli che si sono estinti per effetto della morte;
2) non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni
a lui pervenuti;
3) quando paga i debiti ereditari con denaro proprio è legalmente surrogato nei
diritti del creditore soddisfatto;
4) la prescrizione dei rapporti giuridici obbligatori che intercorrano tra lui e l'eredità
beneficiata è sospesa;
5) può esperire l'azione di riduzione anche contro coloro che non abbiano la
qualità di coeredi.

L'AMMINISTRAZIONE DEI BENI EREDITARI


L'erede è tenuto a custodire e a conservare i beni ereditari: in mancanza, quando le
sue condotte o le sue omissioni siano illuminate da dolo o da colpa grave, dovrà
risarcire il danno patito dai creditori e legatari.

LA LIQUIDAZIONE INDIVIDUALE
L'erede può inoltre procedere al pagamento dei creditori e dei legatari di somma a
man mano che essi si presentino. Pertanto, chi si presenta per primo può
eventualmente esaurire il patrimonio, lasciando gli altri creditori o legatari insoddisfatti.
Tuttavia, l’erede deve accordare ai creditori e ai legatari stessi un periodo di un mese,
decorrente dalla trascrizione della dichiarazione di accettazione, ovvero dalla
registrazione della data di compimento dell'inventario, a seconda che l'accettazione
sia stata ad esso precedente o successiva, entro il quale è consentito loro di provocare
coattivamente la liquidazione concorsuale del patrimonio (sempre che l'erede non
abbia deciso di ricorrervi spontaneamente), tramite la notifica di un atto unilaterale
recettizio, denominato «opposizione», da compiersi in qualunque forma quindi anche
verbalmente.

LA LIQUIDAZIONE CONCORSUALE
Sia in caso di opposizione dei creditori e legatari ex art. 495, sia nell’ipotesi in cui la
procedura concorsuale sia attivata spontaneamente dall’erede (art. 503), quest’ultimo
deve, a mezzo di un notaio del luogo di apertura della successione, invitare i creditori
e i legatari a presentare, entro un termine stabilito dal notaio stesso, e non inferiore a
trenta giorni, le dichiarazioni di credito.
Da questo momento, i creditori e i legatari non possono promuovere azioni esecutive,
poiché ciò si rivelerebbe non compatibile con una procedura liquidatoria concorsuale
destinata ad assicurare il rispetto del pari trattamento dei creditori, anche se si consente
di procedere in quelle già avviate.
Scaduto il termine per la presentazione delle dichiarazioni di credito l'erede, assistito dal
notaio, può procedere alla liquidazione delle attività ereditarie, facendosi autorizzare
dal tribunale: i creditori saranno collocati in modo che sul ricavato si soddisfino anzitutto
quelli assistiti da cause legittime di prelazione, poi quelli chirografari.
Lo stato di graduazione, così formulato, costituisce titolo esecutivo azionabile sia sui
beni dell'eredità sia su quelli personali dell'erede.
I creditori e i legatari che non hanno presentato tempestivamente la dichiarazione di
credito possono ottenere il soddisfacimento delle loro pretese soltanto concorrendo tra
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loro su ciò che residua una volta soddisfatti i creditori e i legatari collocati nello stato di
graduazione.
L'azione è soggetta a prescrizione triennale che decorre dal momento in cui lo stato di
graduazione è divenuto definitivo ovvero da quando sia divenuta definitiva la sentenza
che pronunzia sui reclami.
L'erede che ometta di compiere alcune delle operazioni del procedimento di
liquidazione concorsuale dell'eredità incorre nella decadenza dal beneficio
d'inventario.
L’eventuale causa di decadenza intervenuta dopo la scadenza del termine ex art. 495
per presentare le dichiarazioni di credito consente a ciascuno dei creditori o dei
legatari di ottenere dal tribunale del luogo di apertura della successione la nomina di
un curatore che provveda a liquidare il patrimonio ereditario al posto dell'erede.

IL RILASCIO DEI BENI AI CREDITORI ED AI LEGATARI


Il rilascio dei beni ai creditori e legatari produce effetti analoghi all’estromissione ma se
ne differenzia essenzialmente perché non dipende dall'iniziativa dei creditori, quanto
piuttosto da quella dell'erede stesso.
L’erede, se non ha compiuto alcun atto di liquidazione e inoltre (quando abbia già
optato per la liquidazione concorsuale) non sia scaduto il termine per la presentazione
delle dichiarazioni di credito, può rendere la dichiarazione prevista all'art. 507.
Trattasi di un atto unilaterale recettizio contenente, oltre alla volontà di rilasciare il
patrimonio, l'invito a presentare le dichiarazioni di credito ai creditori e ai legatari.
La dichiarazione deve assumere la forma di atto pubblico o della scrittura privata
autenticata, giacché deve essere trascritta ex art. 507, 2° comma.
Dal momento della trascrizione della dichiarazione stessa, sono inefficaci nei confronti
dei creditori ereditari e dei legatari gli atti di disposizione dei beni compresi nell'asse
compiuti dall'erede. Su istanza dell'erede, dei creditori o dei legatari, o anche d'ufficio,
il tribunale nomina poi un curatore.

LA SEPARAZIONE DEI BENI DEL DEFUNTO


I creditori del defunto e i legatari per evitare il concorso con i creditori dell’erede
possono avvalersi della separazione dei beni del defunto (artt. 512 ss.).
La separazione può comunque trovarsi a convivere con l'accettazione beneficiata
dell'eredità.

L'OGGETTO DELLA SEPARAZIONE E IL PROCEDIMENTO


Oggetto della separazione non è il patrimonio del defunto complessivamente
considerato quanto piuttosto i singoli diritti che a lui facevano capo.
Il procedimento varia a seconda che la separazione abbia ad oggetto beni mobili (art.
516) o beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri (art. 517).
Il termine di decadenza per l’esercizio della separazione è di tre mesi dall’apertura della
successione (art. 516).

RAPPORTI TRA CREDITORI SEPARATISTI E NON SEPARATISTI. RAPPORTI TRA LEGATARI


SEPARATISTI (E NON SEPARATISTI) E CREDITORI
Qualora ci siano più creditori ereditari e/o legatari, e non tutti chiedano la separazione,
il conflitto tra separatisti e non separatisti è escluso soltanto se patrimonio ereditario sia
sufficiente al soddisfacimento di tutti.
Se il patrimonio è invece insufficiente, i creditori separatisti prevarranno sui non
separatisti.
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Analogamente i legatari separatisti prevarranno sui legatari e creditori non separatisti


nella misura in cui i beni non separati sarebbero stati sufficienti a soddisfare i creditori
non separatisti.

CESSAZIONE DELLA SEPARAZIONE


Per estinguere il vincolo derivante dalla separazione, l'erede deve pagare i separatisti,
se il loro credito è liquido ed esigibile.
Quando il credito non sia liquido o sia inesigibile, per estinguere il vincolo l'erede dovrà
prestare garanzia reale o personale idonea ad assicurare il soddisfacimento integrale
delle pretese vantate (art. 515).

LA PETIZIONE DI EREDITÀ
LA PETIZIONE D'EREDITÀ
Il chiamato, dopo aver accettato l'eredità, può domandare il riconoscimento della
propria qualifica di erede contro chiunque possieda in tutto o in parte beni ereditari a
titolo di erede o senza titolo, al fine di ottenerne la restituzione (art. 533 ss.).
Legittimati attivi:
❖ erede;
❖ chiamato-delato (che diviene erede dopo aver proposto l’azione);
❖ acquirente l’eredità;
❖ in via surrogatoria gli aventi causa dell’erede.
Legittimati passivi → possessori o detentori di beni ereditari senza titolo o a titolo di
erede.
È un’azione universale e assoluta (diversamente dalla rivendicazione) perché si rivolge
contro chiunque possiede beni ereditari; è personale.
È imprescrittibile salvi gli effetti della usucapione (art. 533, 2° comma).

IL TESTAMENTO
L'UNIPERSONALITÀ
Il testamento è il negozio giuridico unilaterale di ultima volontà, sempre revocabile, con
il quale il testatore dispone in tutto o in parte del proprio patrimonio con effetto dalla
sua morte.
Le disposizioni testamentarie possono essere patrimoniali o a contenuto
extrapatrimoniale (come, ad esempio, il riconoscimento del figlio naturale ex art. 254,
1° comma).
È un atto strettamente personale e riservato.
Ha natura non recettizia in quanto si perfeziona senza la partecipazione del
beneficiario.

LA CAPACITÀ DI DISPORRE E RICEVERE


Può disporre per testamento colui che è capace d'agire e capace di intendere e volere
al momento dell’atto.
Sono incapaci ai sensi dell'art. 591:
a) i minorenni;
b) gli interdetti per infermità di mente;
c) l'incapace naturale.
Il testamento redatto dall'incapace è annullabile su domanda di qualunque
interessato.
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L'azione si prescrive in cinque anni dal giorno in cui sia stata data esecuzione alle
disposizioni testamentarie.
Gli artt. 596 ss. prevedono cause particolari d'incapacità a ricevere per testamento
imputabili alla particolare posizione in cui si trova il beneficiario, la quale rischia di non
rendere pienamente libera la determinazione del disponente.

LA FORMA DEI TESTAMENTI


Il testamento è un negozio formale in quanto può essere redatto nelle forme
tassativamente indicate dalla legge.
In questa materia la prima distinzione è tra testamenti ordinari (artt. 601 ss.) e testamenti
speciali (609 ss.).
I primi si suddividono in testamento olografo e per atto di notaio. Quest'ultimo può essere
pubblico o segreto.
1. Testamento olografo → è integralmente redatto, sottoscritto e datato dal
dichiarante (art. 602).
2. Testamento pubblico → è redatto interamente dal notaio cui il testatore abbia
dichiarato le sue ultime volontà. Esso diviene pubblico tramite la lettura in
presenza di due testimoni e del testatore. Deve essere sottoscritto dal notaio, i
due testimoni e dal testatore.
3. Testamento segreto → può essere scritto dal testatore o dal terzo, anche con
mezzi meccanici. In ogni caso deve portare la sottoscrizione del testatore (art.
604). Il plico contenete il testamento e sigillato per assicurarne l’integrità deve
essere consegnato personalmente al notaio, in presenza di due testimoni. Il
notaio dovrà redigere il verbale di ricevimento.
Il testamento è nullo allorché manchi l'autografia o la sottoscrizione nel caso di
testamento olografo, oppure difetti la redazione per iscritto, da parte del notaio, delle
dichiarazioni del testatore o la sottoscrizione dell'uno o dell'altro, nel caso di testamento
per atto di notaio.
Per ogni altro difetto di forma il testamento può essere annullato su domanda di
qualsiasi interessato.
L'azione di annullamento si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata
data esecuzione alle disposizioni testamentarie (art. 606).
La nullità della disposizione testamentaria, da qualunque causa dipenda, non può
essere fatta valere da chi, conoscendo la causa della nullità, ha confermato, dopo la
morte del testatore, la disposizione o dato ad essa volontaria esecuzione (art. 590).

LA PUBBLICAZIONE
Chiunque sia in possesso di un testamento deve presentarlo a un notaio per la
pubblicazione, appena ha notizia della morte del testatore.
Il codice disciplina la pubblicazione del testamento segreto e olografo negli artt. 620
ss.
La pubblicazione del testamento pubblico è invece regolata dalla lg. notarile
1326/2014.
La pubblicazione non è richiesta ai fini della validità del testamento. Sennonché, la
mancata pubblicazione non permette di domandare al giudice la condanna alla sua
esecuzione.

I VIZI DELLA VOLIZIONE


La disposizione testamentaria può essere impugnata da chiunque vi abbia interesse
quando è l'effetto di errore, di violenza o di dolo (art. 624, 1° comma).
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L'azione si prescrive in cinque anni dal giorno in cui si è avuta notizia della violenza, del
dolo o dell'errore.
È rilevante anche il motivo:
1. l'errore sul motivo è causa di annullamento della disposizione testamentaria
quando il motivo stesso risulta dal testamento ed è il solo che ha determinato
l'interessato a disporre (art. 624 2°comma);
2. il motivo illecito rende nulla la disposizione testamentaria quando risulta dal
testamento ed è il solo che ha determinato il testatore a disporre (art. 626).

INTEGRAZIONE E INTERPRETAZIONE DELLA VOLIZIONE


IL TESTAMENTO PER RELATIONEM
In base al principio di completezza della volizione testamentaria la scheda
testamentaria deve incorporare la totalità delle determinazioni imputabili all'autore,
destinate a produrre effetto dopo la sua morte.
Sennonché, l'additato requisito di esaustività non vieta al dichiarante di far rinvio a
elementi esterni cui spetta la funzione d'integrare la volizione.
Se appare indeterminata la persona (ma, nonostante il silenzio del testo normativo, la
regola stessa deve essere estesa all'eventualità d'indeterminatezza dell'oggetto), la
disposizione è nulla (art. 628). Ne consegue che, ai fini della validità delle disposizioni
testamentarie, sia il beneficiario dell'attribuzione testamentaria (a titolo universale o
particolare) quanto l'oggetto della medesima debbono essere se non determinati
quantomeno determinabili. In proposito:
- se il dichiarante abbia illustrato nella scheda le direttive di completamento
utilizzabili dall'interprete per dare esecuzione al testamento, la disposizione
testamentaria è da ritenersi determinabile;
- in caso contrario l'attribuzione è nulla siccome la sua pratica attuazione
costringerebbe l'interprete ad arricchire la volontà del disponente per mezzo
della propria determinazione.
La fonte esterna, da cui si ricava l’oggetto della relatio, può consistere:
- in una situazione passato o futura;
- in un documento privo di funzione successoria o con funzione successoria purché
rispettoso dei relativi requisiti di validità.

L'ERRORE NELLA DESCRIZIONE O DICHIARAZIONE


L'art. 625 stabilisce che se la persona dell'erede o del legatario sia stata erroneamente
indicata, la disposizione ha effetto quando dal contesto del testamento o altrimenti
risulti in modo non equivoco quale persona il testatore voleva nominare.
Lo stesso vale allorché la cosa o il rapporto formante oggetto della disposizione sia stata
erroneamente indicata o descritta, ma è certo a quale cosa il testatore intendeva
riferirsi.

L'INTERPRETAZIONE DEL TESTAMENTO


Il principio di personalità del testamento impone all'interprete di privilegiare ogni criterio
ermeneutico extra testuale utile a ricercare l'effettivo intento del dichiarante, purché il
punto di riferimento esterno tragga dal documento la propria radice logica.

LE DISPOSIZIONI PRO ANIMA


L'inclinazione religiosa del testatore può stimolarlo a istituire oneri a carico dell'erede o
del legatario consistenti nella celebrazione di messe o altre attività liturgiche.
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Il beneficiario della disposizione in discorso è un'entità (l'anima) che, non avendo una
propria individualità, appare quindi priva di capacità giuridica. Tuttavia, l'art. 629
supera tale ostacolo riconoscendo la validità della clausola in esame purché siano
determinati i beni o possa essere determinata la somma da utilizzare a siffatto scopo.
È applicabile la regola espressa nell'art. 648: di conseguenza, per l'adempimento
dell'onere è legittimato ad agire qualsiasi interessato (l'interesse può essere pietistico,
morale o religioso), compreso il ministro di culto cui spetta la celebrazione della funzione
pro-anima.

LE DISPOSIZIONI A FAVORE DEI POVERI


In fatto di disposizioni a favore dei poveri il legislatore ha previsto specifici criteri di
determinazione allo scopo di aggirare la nullità del beneficio (a titolo universale o
particolare) per il carattere indefinito dell'onorato.

Non affiorano dubbi in merito alla specificazione quando il testatore:


1. abbia indicato l'istituto pubblico a vantaggio del quale la disposizione è stata
fatta,
2. oppure là dove il beneficiario sia determinabile in modo indiretto o per fatti
concludenti.
Diversamente, nel caso in cui il testatore si sia limitato a descrivere attraverso
proposizioni generiche che l'attribuzione a titolo di erede o legato è indirizzata ai poveri
interviene l'art. 630, 1° comma, a salvare tale disposizione dalla sanzione di nullità.

IL TESTAMENTO RIMESSO ALL'ARBITRIO DEL TERZO


Recita l'art. 631, 1° comma, che è «nulla ogni disposizione testamentaria con la quale si
fa dipendere dall'arbitrio di un terzo l'indicazione dell'erede o del legatario, ovvero la
determinazione della quota di eredità».
La regola che precede è derogata dal capoverso dell'art. 631, il quale riconosce in via
d'eccezione la validità del legato a beneficio di persona da scegliersi dall'onerato o da
un terzo più individui determinati dal testatore o appartenenti a famiglie o categorie di
persone da egli prefissate, ed è pure valida la disposizione a titolo particolare a favore
di uno tra più enti ugualmente selezionati dal testatore.
A completamento della regola espressa nell'art. 631, 1° comma, l'art. 632 stabilisce che
l'onerato o il terzo possa determinare l'oggetto o la quantità del legato rimuneratorio
(cioè del legato volto a ricompensare colui che ha prestato servizi al testatore).

TERMINE, CONDIZIONE E MODO


L'ISTITUZIONE A TERMINE
L'istituzione di erede non tollera la fissazione di un termine iniziale o finale: ove esso sia
stato previsto dal testatore si considera come non apposto (art. 637).
Viceversa, nulla impedisce d'istituire un legato con termine iniziale o finale.

L'ISTITUZIONE CONDIZIONALE. LA REGOLA SABINIANA


La condizione sospensiva o risolutiva può essere apposta alle disposizioni mortis causa
a titolo sia universale sia particolare (art. 634).
Le condizioni illecite o impossibili si considerano come non apposte (art. 634), salvo il
caso in cui la condizione illecita o impossibile costituisca il motivo determinante della
volontà. In tal caso la nullità della condizione si rifletterà sulla disposizione (art. 626).
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L'EFFICACIA RETROATTIVA DELLA CONDIZIONE


L'avveramento della condizione ha effetto retroattivo (art. 646): in caso di condizione
risolutiva il primo istituito è considerato come se non fosse mai stato chiamato, di modo
che l'eredità si devolverà ai chiamati in subordine i quali, una volta accettata la
delazione, si reputeranno come unici eredi senza soluzione di continuità. In caso di
condizione sospensiva: o la delazione acquista definitivo effetto di modo che il
chiamato potrà accettare, oppure diventa definitivamente inefficace.
Se il successore è stato istituito sotto condizione risolutiva, l'avveramento della stessa
importa che gli atti dispositivi compiuti saranno travolti ex tunc. Resta tuttavia salva, in
ogni caso, l’applicabilità dell’art. 1361.
Il legislatore ha temperato l'effetto retroattivo appena accennato stabilendo che
l'erede o legatario, in ipotesi di condizione risolutiva, non è tenuto a restituire i frutti se
non dal giorno in cui la condizione si è verificata (art. 646).

LA CONDIZIONE DI RECIPROCITÀ. IL DIVIETO DI NUOVE NOZZE


Il codice decreta espressamente l'illiceità di talune fattispecie condizionali, tra cui
spicca la condizione di reciprocità (art. 635) e quella vietante le nozze (art. 636):
a) l’art. 635 considera illecita l'istituzione di erede o legato a condizione d'essere
avvantaggiati dal testamento del beneficiato;
b) è illecita la condizione preordinata a impedire le prime nozze o le nozze ulteriori
(art. 636, 1° comma).
La natura personalissima del matrimonio non può tollerare influenze destinate a
determinare o manipolare il comportamento altrui.

LA CONDIZIONE DI CONSEGUIRE LA LAUREA O DI SVOLGERE UNA DETERMINATA


PROFESSIONE
È o no lecita l'istituzione di erede sospensivamente condizionata al conseguimento del
diploma di laurea in una determinata disciplina o all'esercizio di una determinata
professione?
Il quesito impone una risposta negativa perché nella specie la condizione limita la
libertà fondamentale dell'individuo.

IL LEGATO PRO VIDUITÀ


Il legatario di usufrutto o di uso, di abitazione o di pensione, o di altra prestazione
periodica per il caso o per il tempo del celibato o della vedovanza, non può goderne
che durante il celibato o la vedovanza (art. 636, 2° comma).

LA FUNZIONE SANZIONATORIA DEL TESTAMENTO. LA CONDIZIONE DI DECADENZA; LA


CLAUSOLA DI RIDUZIONE DELL'ATTRIBUZIONE E LA PENA TESTAMENTARIA1.
Può il testatore subordinare risolutivamente l'istituzione a titolo particolare o universale
alla condizione che il destinatario della vocazione non impugni il testamento?
La condizione è lecita a patto che non si violino né i diritti indisponibili del chiamato, né
altri valori protetti dall'ordine pubblico costituzionale.
Il divieto di contestare il testamento rileva come onere.

CONDIZIONI DI NON FARE O DI NON DARE


Se il testatore ha disposto sotto la condizione che l'erede o il legatario non faccia o non
dia qualche cosa per un tempo indeterminato, la disposizione si considera fatta sotto
condizione risolutiva, salvo che dal testamento risulti una contraria volontà del testatore
(art. 638).
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IL TERMINE DI AVVERAMENTO DELLA CONDIZIONE


Se la condizione potestativa apposta all'istituzione di erede o al legato è sospensiva e
non è indicato il termine per l'adempimento gli interessati possono adire l'autorità
giudiziaria perché fissi questo termine (art. 645).
Il testatore è tuttavia libero di stabilire il termine entro il quale la condizione deve
avverarsi.

IL MODO
L'onere (o modus) testamentario (art. 647) è un comando imposto dal disponente a
carico dell'erede (anche legittimo) o del legatario (il quale ultimo, tuttavia, ne
risponderà entro il valore di quanto ricevuto) che si sostanzia in una prestazione di fare,
dare o non fare generante una limitazione del beneficio patrimoniale correlato all'atto
di ultima volontà.
L'onere impossibile o illecito si considera come non apposto; rende tuttavia nulla la
disposizione se ne ha costituito il solo motivo determinante.
Per l'adempimento dell'onere può agire chi ha interesse (art. 648, 1° comma), entro
l'ordinario termine di prescrizione.
L'autorità giudiziaria può pronunciare la risoluzione della disposizione testamentaria se
ciò è stato previsto dal testatore o se l'adempimento dell'onere ha costituito il solo
motivo determinante della disposizione stessa (art. 648, 2° comma). L’onerato
inadempiente è inoltre tenuto al risarcimento del danno.
Per quanto riguarda il termine di adempimento, ove il testatore nulla abbia sul punto
disposto, le corti propendono per l'inapplicabilità del principio quod sine die debetur
statim debetur3.
“Ciò che è dovuto senza data, è dovuto immediatamente”.

I LEGATI
NOZIONE DI LEGATO
Quando oggetto della disposizione testamentaria sia una cosa specifica l'acquisto che
ne consegue è a titolo particolare e non già universale, fermo restando che
l'assegnazione di oggetti specificamente individuati integra gli estremi della vocazione
universale ove la partizione in natura sia illustrativa dell'intento di realizzare il riparto per
quote.
L'obbligo di prestare il legato ricade sugli eredi. Il testatore può tuttavia porre la
prestazione del legato a carico soltanto di alcuni eredi o di uno o più legatari (in tale
ultimo caso si parla di sublegato). Gli onerati rispondono in proporzione della rispettiva
quota, salvo che il testatore abbia disposto altrimenti (art. 662, 1º comma).

L'ACQUISTO IPSO IURE


L'attribuzione patrimoniale mortis causa a titolo universale presuppone l'accettazione
del chiamato.
Il legato invece si acquista senza bisogno di accettazione, fatta tuttavia salva la facoltà
di rinunziare.
Ratio → il legatario risponde dei debiti ereditari entro i limiti del valore del legato.
Il legato si acquista ipso iure al momento di apertura della successione.
L'accettazione, seppur non richiesta, non è del tutto utile perché stabilizza l’avvenuto
acquisto precludendo al legatario la possibilità di rinunciarvi. Essa non richiede forme
particolari.
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La rinunzia, invece, è una dichiarazione di volontà non recettizia tramite la quale il


legatario elimina con efficacia retroattiva l'acquisto del diritto attribuitogli mortis causa
dal testatore.
La rinunzia deve essere redatta per iscritto a pena di nullità quando importi la
retrocessione del diritto reale immobiliare ipso iure acquisito dal legatario-rinunziante.
Essa va infine annotata ove sia stato precedentemente trascritto l'acquisto sulla base
dell'estratto del testamento.

LA RICHIESTA DEL POSSESSO


L'art. 649, 3° comma, impone al legatario, il quale intenda avvalersi del beneficio, di
chiedere all'onerato il possesso della cosa ancorché ne sia stato dispensato dal
testatore.
Anche nell'ipotesi in cui il legatario abbia conseguito automaticamente la proprietà
sulla cosa, il possesso permane (provvisoriamente) nelle mani dell'erede-onerato.
Questi è medio tempore tenuto ad amministrare la cosa nell'interesse del legatario.
Non è inadempiente se, in assenza di una richiesta dell'onorato, non provveda di sua
iniziativa a consegnare la cosa.

LEGATO DI CREDITO O DI LIBERAZIONE DA DEBITO. LEGATO A FAVORE DEL CREDITORE


Meritano un cenno le disposizioni di cui agli artt. 658 e 659:
1. Art. 658 → il legato di credito ha ad oggetto l'attribuzione del diritto di credito
vantato dal testatore verso il terzo. Con il legato il credito ed i suoi accessori sono
ceduti ipso iure al legatario. Il legato di liberazione di debito consiste in una sorte
di rimessione del debito del legatario verso il testatore;
2. Art. 659 → l legato a favore di credito introduce una presunzione di liberalità, nel
senso che il legato a favore del creditore ha di norma causa liberale, non
essendo innervato da funzioni solutorie, salvo che il testatore abbia menzionato
il sottostante debito. Sussistendo tale menzione sfuma il programma liberale.

LEGATO E DIRITTI DEI LEGITTIMARI


1. Cautela socciniana → quando il testatore abbia legato a favore di una determinata
persona un usufrutto o una rendita vitalizia il cui reddito ecceda quello della porzione
disponibile, al legittimario assegnatario della nuda proprietà della disponibile o di parte
di essa viene rimessa la scelta (c.d. cautela sociniana) di:
a) dare esecuzione a suddetta disposizione con il rischio di subire la lesione della
legittima,
b) oppure di abbandonare la nuda proprietà della disponibile e conseguire
integralmente la legittima senza bisogno di agire in riduzione. In quest'ultima
eventualità il legatario acquista non più il diritto reale di godimento ma la piena
proprietà della disponibile (art. 550).
2.Il legato in sostituzione di legittima → l'art. 551 si occupa del legato in sostituzione di
legittima: il legittimario-legatario ha la scelta di rinunziare al legato e chiedere le
legittima tramite l'azione di riduzione, oppure di conseguire il legato perdendo però il
diritto a pretendere il supplemento ove il valore del legato stesso sia inferiore a quello
della legittima. Si ha invece legato in conto di legittima quando il legittimario sia
destinatario di un legato da imputarsi alla quota di riserva (posto che il testatore non
ha previsto la dispensa dall'imputazione), fermo restato il diritto di agire per la tutela di
quest'ultima tramite riduzione.

LA REVOCAZIONE DELLE DISPOSIZIONI TESTAMENTARIE


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REVOCAZIONE E LIBERTÀ TESTAMENTARIA


Il testamento è sempre revocabile e modificabile dal de cuius. È invalida la clausola
preordinata ad abdicare alla facoltà di revocare o modificare le disposizioni di ultima
volontà (art. 679).

LA NATURA GIURIDICA DELL'ATTO REVOCATIVO


L'atto di revocazione si sostanzia:
➢ in una manifestazione espressa o tacita di volontà;
➢ preordinata a privare di efficacia o a rettificare la precedente scheda
testamentaria;
➢ con effetti estintivi o modificativi immediati.

LA REVOCAZIONE ESPRESSA E TACITA


La revoca può essere:
1. espressa → può farsi esclusivamente con un nuovo testamento, o con un atto
ricevuto da un notaio alla presenza di due testimoni (art. 680):
2. tacita → il codice civile regola espressamente una serie di ipotesi in cui si ha
revoca tacita del testamento:
a. la volontà revocativa può essere desunta dall'impossibilità obiettiva di far
coesistere due determinazioni volitive espresse in atti cronologicamente
diversi;
b. la distruzione del testamento olografo. Art. 684 → il testamento olografo
distrutto, lacerato o cancellato, in tutto o in parte, si considera in tutto o in
parte revocato, a meno che si provi che fu distrutto, lacerato o cancellato
da persona diversa dal testatore, ovvero si provi che il testatore non ebbe
l'intenzione di revocarlo;
c. il ritiro del testamento segreto. L'art. 685 dispone che ritiro del testamento
segreto, per opera del testatore, dalle mani del notaio o dell'archivista
presso cui si trova depositato non importa revocazione del testamento
quando la scheda testamentaria possa valere come testamento olografo.
d. alienazione e trasformazione della cosa legata. Art. 686, 1° comma,
stabilisce che «l'alienazione che il testatore faccia della cosa legata o di
parte di essa, anche mediante vendita con patto di riscatto, revoca il legato
riguardo a ciò che è stato alienato, anche quando l'alienazione è
annullabile per cause diverse dai vizi del consenso, ovvero la cosa ritorna in
proprietà del testatore». Lo stesso vale quando il testatore abbia trasformato
la cosa legata in un'altra «in guisa che quella abbia perduto la precedente
forma e la primitiva denominazione» (2° comma). Il 3° comma sancisce
infine che in entrambe le ipotesi è ammessa la prova contraria, che si fonda
su una diversa volontà del testatore.

LA REVOCAZIONE DELLA REVOCA


Recita l'art. 681 che la revocazione totale o parziale di un testamento può essere a sua
volta revocata sempre nei modi stabiliti dall'art. 680. In tal caso rivivranno le disposizioni
revocate.

LA REVOCAZIONE PER SOPRAVVENIENZA DI FIGLI


Le disposizioni a titolo universale o particolare, realizzate da chi al tempo del
testamento non aveva o ignorava di aver figli o discendenti, sono revocate di diritto per
l'esistenza o la sopravvenienza di un figlio o discendente del testatore, benché
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postumo, legittimato o adottivo, ovvero per il riconoscimento di un figlio nato fuori dal
matrimonio (art. 687, 1° comma).
Detta revocazione ha luogo quantunque il figlio sia stato concepito al tempo del
testamento (2° comma).
La revocazione non ha invece luogo qualora il testatore abbia provveduto al caso che
esistessero o sopravvenissero figli o discendenti da essi (3° comma).
Se i figli o discendenti non vengono alla successione per premorienza del discendente,
rinunzia o indegnità, e non si fa luogo a rappresentazione, la disposizione ha il suo
effetto (4° comma).
La norma trae la propria ragion d'essere da una regola empirica, che dà credito alla
presunzione secondo cui la conoscenza del fatto attualmente sconosciuto o non
programmato — tenuto conto della sua incidenza sui valori costitutivi della persona —
rappresenta un fattore normalmente capace di modificare la volizione del dichiarante.

L'ESECUTORE TESTAMENTARIO
FUNZIONI
Il testatore per assicurare che le sue volontà siano esattamente eseguite può nominare
un esecutore (art. 703).
L'esecutore, ove abbia accettato l'incarico, amministra il patrimonio ereditario
nell'interesse dei chiamati. In particolare:
a. ha il potere di compiere tutti gli atti di gestione necessari alla tutela del
predetto interesse;
b. gli atti di straordinaria amministrazione devono essere autorizzati dal
tribunale, sentiti gli eredi (art. 703, 4° comma);
c. l'esecutore, salva diversa volontà del testatore, deve prendere il possesso
dei beni relitti (art. 703, 2° comma) ed ha la rappresentanza processuale,
durante la gestione, del patrimonio ereditario (art. 704).

DESIGNAZIONE
L'esecutore è nominato tramite atto di ultima volontà. L'art. 701 ammette che l'ufficio di
esecutore possa essere ricoperto dall'erede o legatario. L'accettazione della nomina a
esecutore o la rinunzia deve risultare da dichiarazione fatta nella cancelleria del
tribunale nella cui giurisdizione si è aperta la successione.

LA COMUNIONE EREDITARIA E LA DIVISIONE


LA COMUNIONE EREDITARIA, I DEBITI E I CREDITI DEL DE CUIUS
Quando il de cuius abbia omesso di provvedere alla divisione nel testamento la
comunione ereditaria si forma quale effetto legale della successione nell'eredità del
defunto di una pluralità di soggetti che abbiano accettato l'eredità loro devoluta per
testamento o per legge, anche se essi succedano per rappresentazione.
Essa comprende l'asse ereditario e i beni conferiti in collazione restandone esclusi
invece quelli che costituiscono oggetto di legato o di prelegato, ossia di legato in
favore di uno o più tra i coeredi.

IL DIRITTO POTESTATIVO DI CONSEGUIRE LA DIVISIONE


Possono domandare la divisione:
a) tutti i partecipanti alla comunione ereditaria;
b) ed i successori a titolo universale di ciascun coerede.
Non compete invece:
a) al chiamato all'eredità sino a quando non l'abbia accettata;
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b) né al legittimario pretermesso sino a quando non abbia vittoriosamente esperito


la domanda di reintegrazione della quota di riserva.
Il potere di domandare la divisione è un diritto potestativo ad esercizio giudiziale.
Il diritto di conseguire la divisione non è soggetto a prescrizione ma ciascuno dei
compartecipi può, prima della divisione, acquistare i singoli beni compresi nell'asse
ereditario attraverso l'usucapione.
Il diritto di conseguire la divisione è escluso quando:
a) i coeredi si sono obbligati a non domandarla secondo l'art. 1111, 2° comma;
b) nelle ipotesi previste dagli artt. 713, 1°-2° comma e 715.
Gli impedimenti sub b) sono però superabili con l’intervento del Tribunale del luogo in
cui si è aperta la successione (v. artt. 713, 3° comma e 715, 2° comma).
Il giudice può inoltre sospendere la divisione per un periodo non superiore a cinque
anni, quando possa derivare notevole pregiudizio al patrimonio ereditario (art. 717).

LA DIVISIONE CONTRATTUALE O AMICHEVOLE


La divisione, oltre ad essere giudiziale, può essere contrattuale quando avviene
secondo le modalità stabilite dai coeredi, sulla base dell’unanimità dei consensi.
La divisione contrattuale:
a) può riguardare tutto o parte del compendio ereditario;
b) può coinvolgere tutti i coeredi oppure un gruppo di coeredi.
In entrambi i casi (sub a e sub b), tutti i coeredi devono prendere parte al contratto,
che diversamente è inefficace sino a quando tutti i soggetti coinvolti vi abbiano
aderito.
Si tende a ritenere che la divisione possa considerarsi un contratto tipico, a carattere
oneroso, anche se non a prestazioni corrispettive (o sinallagmatico).
Quanto agli effetti, l'acquisto del diritto in capo all'erede dipende esclusivamente dalla
successione mortis causa, nonostante il successivo sopravvenire del contratto di
divisione, dovendosi pertanto escludere ogni vicenda traslativa tra i coeredi o tra questi
e la comunione.
Il contratto di divisione della comunione ereditaria, se comprende beni immobili,
richiede la forma scritta a pena di nullità, secondo il disposto dell'art. 1350, comma 1°.
Esso è soggetto a trascrizione.

ANNULLAMENTO E RESCISSIONE
A. Annullamento → la divisione può essere annullata quando sia effetto di dolo o
violenza salva l’eccezione prevista dall’ art. 768 (art. 761).
B. Rescissione → ciascuno dei condividenti può impugnare la divisione quando provi
di essere stato leso oltre il quarto (art. 763).
Il coerede contro il quale è proposta domanda di rescissione può impedirne
l'accoglimento offrendo il supplemento della porzione ereditaria, in danaro o in
natura, ancorché in questo secondo caso i beni offerti debbano provenire dal
compendio ereditario (art. 767).
La rescindibilità della divisione può essere esclusa pattiziamente e può essere sanata
tramite convalida.
Il vittorioso esperimento dell'azione determina il ripristino della comunione ereditaria, sì
che sarà possibile procedere a una nuova divisione con una nuova stima dei beni.

L'EVIZIONE
I coeredi sono vicendevolmente responsabili per l'evizione derivante da causa
anteriore al perfezionamento della divisione e per le molestie conseguenti alle pretese
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giuridiche avanzate sui beni loro assegnati da terzi, che ne impediscono il pacifico
godimento (art. 758).
Il coerede evitto può così ottenere da ciascuno degli altri condividenti il versamento di
una somma di denaro (non di beni ereditari) sufficiente a reintegrare la perdita patita,
stimata all'epoca dell'evizione.
La garanzia può essere esclusa dalle parti nella divisione oppure con atto successivo,
e non c'è ragione di pretendere che la clausola sia espressa. L'insolvenza di uno dei
condividenti tenuto all'esborso si ripartisce tra tutti gli altri (art. 759, 2° comma).
La disciplina generale sulla cessione del credito prevede espressamente che il cedente
debba garantire al cessionario l'esistenza del credito non l'esecuzione della prestazione
da parte del debitore ceduto, se non esista una contraria pattuizione (art. 1267).
Quando viceversa il credito sia assegnato in sede divisoria a uno dei condividenti, la
garanzia si estende oltre la semplice esistenza del credito, facendo invece gravare sulla
massa dei coeredi anche il rischio per l'inadempimento del ceduto, sempre che
l'insolvenza di questo non sia sopravvenuta al perfezionamento della divisione (art. 760,
1° comma).

GLI ATTI EQUIPARATI ALLA DIVISIONE


L'art. 764, 1° comma, prevede la rescindibilità per lesione oltre il quarto di «ogni altro
atto che abbia per effetto di far cessare tra i coeredi la comunione dei beni ereditari».
Non è tuttavia immaginabile che ogni atto con cui si faccia cessare la comunione sia
rescindibile: anzitutto ne devono essere esclusi quelli a titolo gratuito oppure quelli che
neppure possono definirsi atti giuridici, come la successione ereditaria tra contitolari, o
l'usucapione di uno in danno degli altri.
Il rimedio rescissorio è espressamente precluso contro la transazione con la quale si sia
posta fine alle questioni insorte a causa della divisione o dell'atto fatto in luogo della
medesima, ancorché non fosse al riguardo incominciata alcuna lite (art. 764, 2°
comma).
Non è rescindibile neppure la vendita del diritto ereditario fatta al coerede a suo rischio
e pericolo, a meno che non sia stata fatta in frode, ossia approfittando dello stato di
ignoranza di una delle parti a vantaggio dell'altra, quanto alle circostanze che incidono
sul valore effettivo della quota alienata (art. 765).

LE NORME DETTATE DAL TESTATORE PER LA DIVISIONE


Il testamento può prevedere norme particolari per la formazione delle porzioni, le quali
vincolano gli eredi, salvo che l'effettivo valore dei beni non corrisponda alle quote
stabilite (art. 733): si parla in tali casi di assegno divisorio semplice o obbligatorio.
Ove alle quote stabilite dal testatore non corrisponda il valore dei beni (stimati al valore
attuale) sarà riconosciuto il diritto a un conguaglio in denaro, così come dispone in
generale l'art. 728.
Il testatore che intenda prevenire un simile esito può tuttavia disporre che la divisione
sia effettuata da un terzo, purché non sia né erede né legatario, secondo quanto
prevede l'art. 733, 2° comma.

LA DIVISIONE TESTAMENTARIA
Efficacia analoga a quella di cui si è appena discorso deve riconoscersi alla divisione
fatta dal testatore, ai sensi dell'art. 734.
Quando la divisione operata dal testatore non comprenda tutti i beni compresi nell'asse
(circostanza che potrà verificarsi molto frequentemente in pratica, specie quando il
testamento risalga a un periodo assai remoto rispetto alla morte) si procede
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all'assegnazione dei beni restanti attraverso le regole della successione ab intestato, a


meno che non sia possibile desumere dal testamento l'intento del de cuius di assegnare
tutti i beni in proporzione al riparto divisionale espressamente attuato.
La divisione testamentaria è tuttavia nulla se non vi sia compreso uno dei legittimari o
degli eredi istituiti. Il coerede che è stato leso nella quota di riserva può esercitare
l’azione di riduzione contro gli altri coeredi (art. 735).
L'invalidità della clausola divisionale non inficia la parte del testamento ove sono
contenute le disposizioni istitutive, dovendosi perciò procedere a una successiva
divisione contrattuale (o giudiziale).
L'art. 734 c.c. precisa che il testatore può ricomprendere nella divisione anche la parte
non disponibile: la materiale composizione della quota di riserva può essere quindi
determinata dal de cuius a suo piacimento. Egli non è perciò tenuto a osservare né il
diritto dell'erede alla parte in natura di beni (art. 718) né quello a vedersi attribuita una
porzione che comprenda una quantità di mobili, immobili e crediti di natura e qualità
uguale a quella attribuita ai coeredi (art. 727).
La divisione fatta dal testatore è rescindibile quando il valore dei beni assegnati ad
alcuno dei coeredi è inferiore di oltre un quarto all'entità della quota spettante.

LA COLLAZIONE
IL FONDAMENTO E I SOGGETTI CHE VI SONO TENUTI
In base all’art. 737 il coniuge, i figli legittimi, legittimati, naturali e adottivi, e i loro
discendenti legittimi e naturali, quando concorrano alla successione, «devono»
conferire ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione
direttamente o indirettamente, ancorché soltanto obbligatoria, salvo che ne siano stati
dispensati dal defunto (art. 737).

LA DISPENSA E LA REVOCA DELLA DISPENSA


La collazione è impedita:
a) dalla rinunzia dell'istituito;
b) e dalla dispensa da parte del donante (nello stesso atto di donazione, nel
testamento o con altro contratto o atto unilaterale inter vivos).

L'OGGETTO
Sono interessate dal fenomeno collatizio tutte le attribuzioni gratuite realizzate per
spirito di liberalità (art. 809), ancorché non inquadrabili nella nozione di donazione
delineata nell'art. 769 c.c., e pure se si tratti di donazioni di modico valore o manuali, o
di donazioni fatte in considerazione dei meriti del donatario o per speciale
remunerazione.
Non rientrano invece nella collazione i legati e le liberalità che si è soliti fare in
occasione di servizi resi o comunque in conformità agli usi: esse, tra l’altro, non
costituiscono donazione per espressa previsione dell'art. 770.
Molto controverso è stabilire se nell'ipotesi di acquisto di un immobile con denaro
proprio del disponente, ed intestazione ad altro soggetto, vada conferito il bene
acquistato o il denaro utilizzato per l'acquisto.
L'art. 741 assoggetta a collazione ciò che il defunto ha speso a favore dei suoi
discendenti per assegnazioni fatte a causa di matrimonio:
➢ per avviarli all'esercizio di un'attività produttiva o professionale;
➢ per soddisfare premi relativi a contratti di assicurazione sulla vita a loro favore;
➢ per pagare i loro debiti.
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Per quanto riguarda il coniuge occorre però rammentare che le assegnazioni liberali
sono escluse dal conferimento qualora risultino di modico valore, secondo l'art. 738.
Non è dovuta collazione di ciò che si è conseguito per effetto di società contratta senza
frode tra il defunto e alcuno dei suoi eredi, se le condizioni sono state regolate con atto
di data certa (art. 743).
L'art. 768-quater esclude tuttavia da collazione quanto ricevuto dai contraenti nel caso
in cui si sia concluso un «patto di famiglia».
Resta escluso da collazione anche il bene mobile o immobile perito per causa non
imputabile al donatario (art. 744).

L'ATTUAZIONE E LA PUBBLICITÀ
La collazione può realizzarsi:
1. in natura → rendendo materialmente alla massa ereditaria il bene ricevuto in
donazione;
2. per imputazione → addebitando alla propria quota ereditaria il valore del bene
ricevuto.
La collazione di beni immobili si fa o in natura o per imputazione, a scelta di chi
conferisce.
In caso di mancata scelta tra il conferimento in natura e quello per imputazione, i
coeredi possono chiedere al giudice la fissazione di un termine entro il quale il donatario
deve deliberare.
Se l’immobile è stato ipotecato o alienato, la collazione si fa soltanto per imputazione.
La collazione per imputazione di un bene immobile si fa avuto riguardo al valore
dell’immobile al tempo della successione (art. 747).
La collazione di mobili si fa soltanto per imputazione, sulla base del valore che essi
avevano al tempo di apertura della successione.
Il coerede, se deve conferire danaro, dovrà prelevarne una minore quantità dall'asse:
se la donazione supera il valore del denaro tuttora rinvenibile, potrà versarne altro ai
coeredi, o versare l'equivalente in titoli di Stato alla quotazione del giorno di apertura
della successione; diversamente si vedrà costretto a subire il prelevamento, a opera
dei coeredi, di mobili e immobili ereditari in proporzione alle rispettive quote.
Pertanto, a differenza di ciò che accade per il conferimento dei mobili, la collazione
del denaro donato può avvenire anche in natura, tramite versamento di denaro o titoli
di Stato nella massa ereditaria: ciò, tuttavia, soltanto nell'ipotesi in cui il denaro
rinvenibile nell'asse risulti non sufficiente.

LA TRASCRIZIONE
IL COMPIMENTO DELLA FORMALITÀ E I SUOI EFFETTI
Ci sono ipotesi nelle quali la trascrizione non produce l'effetto tipico di risolvere il conflitto
tra più aventi causa da uno stesso autore (art. 2644), ma è richiesta ad altri fini: tra
queste c’è la trascrizione dell'accettazione di eredità e del testamento ai sensi dell'art.
2648.
La trascrizione disposta dall'art. 2648, 1° comma, chiede anzitutto all'erede o al
legatario di curare la trascrizione degli atti (a causa di morte) che comportino l'acquisto
della proprietà, la costituzione, il trasferimento o la modifica di diritti reali limitati su beni
immobili (o mobili registrati) e non serve agli effetti dell'art. 2644 (inidonea pertanto a
risolvere i conflitti tra erede e legatario ovvero tra erede o legatario ed aventi causa
dal de cuius, mirando soltanto a preservare la continuità delle trascrizioni).
Procedimento di trascrizione:
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L'art. 2648 distingue tra:


1) acquisto ereditario:
a) se l’accettazione è espressa, chi domanda la trascrizione deve presentare al
conservatore, oltre alla nota in doppio originale, anche l'atto contenente la
dichiarazione del chiamato di accettare il compendio, in forma pubblica o
con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente (art. 2648, 2º
comma, e l'art. 2657);
b) se l’accettazione è tacita o presunta, chi domanda la trascrizione deve
presentare quell'atto che presuppone necessariamente la volontà del
chiamato di accettare l'eredità e che egli non avrebbe il diritto di fare se non
nella qualità d'erede. L'atto stesso dovrà risultare da sentenza passata in
giudicato oppure essere manifestato per atto pubblico o per scrittura privata
con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente (art. 2657);
2) acquisto di legato: in questa seconda ipotesi si dovrà trascrivere semplicemente
l'estratto autentico del testamento (art. 2648, 4° comma).
- Il procedimento pubblicitario avviene presso l'ufficio dei registri immobiliari nella
circoscrizione ove il bene è situato (art. 2663).
In caso di pluralità di immobili situati in differenti circoscrizioni occorreranno tante
copie dell'atto e sarà necessario eseguire tante distinte trascrizioni quanti sono
gli uffici competenti.
- Chi richieda la trascrizione deve ancora presentare al conservatore il certificato
di morte e, in caso di vocazione testamentaria, una copia o un estratto autentico
del testamento (art. 2660, 1° comma).
- Nel caso ci siano più persone chiamate alla stessa successione e una di loro
abbia già trascritto il suo acquisto con le modalità richieste dall'art. 2660, gli altri
chiamati saranno dispensati dal produrre il certificato di morte e saranno esentati
inoltre dal fornire la copia o un estratto autentico del testamento.

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