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IL DIRITTO
Ha una funzione di risoluzione e prevenzione dei conflitti tra interessi contrapposti e di allocazione
efficiente delle risorse e può essere:
• Oggettivo: è un insieme, o un sistema di norme giuridiche;
• Soggettivo: è una pretesa che un soggetto ha nei confronti di un altro e corrisponde a un potere
di azione.
Gli interpreti:
• Interpretazione autentica è quella fatta da un’altra norma di grado pari o superiore a quello
della norma interpretata.
• Interpretazione giudiziale fatta dal giudice e l’insieme delle interpretazioni date dai giudici
prende il nome di giurisprudenza.
• Interpretazione amministrativa data dagli organi amministrativi.
• Interpretazione dottrinale data dagli studiosi di diritto (professori universitari, un giudice, un
avvocato).
Solo l’interpretazione autentica vincola gli altri interpreti.
La giurisprudenza:
• Sistemi di common law, sono quelli anglosassoni. Vige il principio del precedente vincolante. Le
decisioni e le interpretazioni dei giudici di grado superiore vincolano i giudici di grado inferiore
che devono osservarle anche nelle loro decisioni.
• Sistemi civil law. Non vale il principio del precedente vincolante. Il giudice è soggetto solo alla
legge, non ad un precedente. La sentenza di un giudice deve rispettare in primo luogo la legge.
Le sentenze dell’organo giurisdizionale superiore, la Corte di Cassazione, sono molto importanti
per i giudici inferiori.
La Corte di Cassazione ha una funzione nomofilattica, cioè di protezione delle norme. La
Cassazione assicura l’uniformità nell’interpretazione delle regole.
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Il diritto pubblico, quindi, è l’insieme delle norme che attribuiscono alla Pubblica autorità il potere di
incidere sulle posizioni delle persone, anche contro la loro volontà.
Una differenza sostanziale tra il diritto privato e il diritto pubblico è la presenza della Pubblica
Amministrazione, obbligatoria nell’ambito pubblico e facoltativa in ambito privato. Quando la
Pubblica Amministrazione sceglie di avvalersi del diritto privato, si pone sullo stesso piano del suo
interlocutore, andando a cercare un accordo sotto forma di contratto; quando, invece, si avvale del
diritto pubblico, può esercitare il proprio potere d’imperio, e di imporre, pertanto, la propria volontà
al soggetto privato.
Principio di sussidiarietà: art. 118. Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni
favoriscono l’autonomia dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse
generale, sulla base del principio di sussidiarietà.
Le decisioni e le attività che le attuano devono essere preferibilmente compiute da coloro che si
trovano vicino agli interessi coinvolti.
Art. 3 cost.
Uguaglianza formale: tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge
senza distinzioni. Le differenziazioni devono essere ragionevoli.
Uguaglianza sostanziale: la Repubblica deve eliminare gli ostacoli o attenuare le differenze che
impediscano il pieno sviluppo della persona umana. I cittadini si trovano in situazioni diverse alla
nascita.
Esempio: lo Stato finanzia un’università pubblica a cui è possibile accedere a condizioni economiche
ragionevoli.
Abrogare: privare di efficacia una norma che prima era vigente, non si può più applicare dopo
l’abrogazione.
Realizzare azioni positive, hanno la funzione di garantire una uguaglianza sostanziale.
Bisogna verificare se le differenze sono ragionevoli.
Abrogazione espressa: una seconda norma prevede che venga abrogata la precedente.
Abrogazione implicita: una seconda norma prevede norme che sono incompatibili con la legge
precedente.
La scelta del tipo di diritto da utilizzare in questi casi spetta alla P.A., che può quindi decidere se
lasciare autonomia al privato (diritto privato) o se esercitare la propria autorità (diritto pubblico).
1. La Costituzione, ovvero la legge fondamentale (e non “un insieme di leggi”) della Repubblica
Italiana. La Costituzione è entrata in vigore il 1/1/48. è rigida: può essere modificata solo con una
legge di revisione costituzionale, se una legge ordinaria prova a modificarla viene dichiarata
incostituzionale dalla Corte costituzionale. È formata da: principi fondamentali, parte prima (diritti
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e doveri dei cittadini), parte seconda (ordinamento della Repubblica) e 18 disposizioni transitorie
e finali.
2. Leggi Ordinarie, atti normativi emanati dai 2 rami del Parlamento. Sono subordinate alla
Costituzione e la Corte costituzionale ha il potere di giudicarne la legittimità, anche con effetto
retroattivo.
Decreti-legge, atti normativi emanati dal Governo in casi straordinari di necessità e di urgenza.
Vanno poi convertiti in Leggi Ordinarie dal Parlamento entro 60 giorni altrimenti decadono.
Decreti Legislativi, atti normativi emanati dal Governo sulla base di una delega del
Parlamento, che lo autorizza a legiferare su una determinata tematica (Legge di Delegazione o
Legge Delega). La Legge di Delegazione del Parlamento contiene le indicazioni provenienti dal
Parlamento che il Governo deve rispettare.
3. Regolamenti, atti normativi emanati dal Governo che hanno carattere generale e che devono
rispettare sia la Costituzione che le varie Leggi elencate al punto 2.
4. Consuetudini, comportamenti costanti ed uniformi, tenuti dai consociati con la convinzione che
tali comportamenti siano doverosi o da considerarsi moralmente obbligatori. (fonti non scritte). La
consuetudine è fonte di norme prodotte direttamente dal corpo sociale. Si fonda su due elementi:
un elemento oggettivo, dato dalla ripetizione costante e uniforme di un dato comportamento ad
opera della gran parte dei consociati; un elemento soggettivo, dato dalla convinzione dei
consociati di essere giuridicamente obbligati a tenere quel comportamento. La consuetudine è
subordinata a tutte le fonti scritte, quindi non sono ammesse consuetudini contra legem, cioè
contrarie alle leggi o ai regolamenti.
Nel corso degli anni, i Codici vengono riformati (1882, sostituzione del Codice di Commercio),
mantenendo sempre la struttura a 2 codici separati. Negli anni ’40, per, il regime fascista decide di
unificare i 2 testi nel Codice civile, in modo che quest’ultimo andasse a regolamentare anche lo
svolgimento delle attività economiche. Si tratta di una riforma che contiene anche una forte impronta
ideologica: i due codici separati erano tipici delle società liberali e entravano quindi in conflitto con
l’idea fascista di società unita e compatta. L’eliminazione del Codice di Commercio causa, pertanto,
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la Commercializzazione del Diritto Privato: diverse norme del vecchio Codice di Commercio
vengono mantenute e, nel Codice civile, il godimento delle ricchezze lascia il posto al dinamismo
delle attività economiche.
Esempio: nell’art. 1153 del Codice Civile (“Colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non
ne è proprietario, ne acquista la proprietà mediante il possesso, purché sia in buona fede al
momento della consegna e sussista un titolo idoneo al trasferimento della proprietà.”), la posizione
del proprietario è sacrificata a favore di quella dell’acquirente, per favorire la tranquillità di chi svolge
scambi commerciali, evitando controlli eccessivi che finirebbero per paralizzare l’economia.
Il Codice civile del 1942 è ancora in vigore in Italia. Dopo la promulgazione della Costituzione nel
1948, alcune norme (ad esempio quelle sul diritto di famiglia) vengono ritenute illegittime; tuttavia, la
gran parte del Codice si salva, dal momento che tratta delle risorse da un punto di vista strettamente
tecnico, che risulta pertanto impermeabile a stimoli di natura politica.
A partire dagli anni ’70, il Codice inizia a perdere la sua centralità a causa di una serie di leggi
esterne ad esso, dette Leggi Speciali o Collegate: è il fenomeno della Decodificazione del Diritto
Privato. Questo avviene perché alcuni gruppi ristretti di persone iniziano a chiedere regole
specifiche che valgano soltanto per loro: dal momento che nel Codice civile è d’obbligo l’unificazione
soggettiva, norme del genere non possono trovare posto all’interno di esso. Alcuni esempi di gruppi
che rivendicano maggiori tutele sono i lavoratori subordinati (che ottengono lo Statuto dei
Lavoratori), gli individui che prendono abitazioni in locazione (Legge sull’Equo Canone) o i lavoratori
agrari che prendono terreni in locazione.
Dopo l’ingresso dell’Italia nell’Unione Europea, negli anni ’80 e ’90, il Codice civile deve essere
modificato in alcune parti, per fare sì che le imprese italiane possano competere con le imprese di
tutto il continente, creando un Mercato Comune Europeo: diventa necessaria un’Armonizzazione
del Diritto Privato, in modo che le varie legislazioni europee risultino compatibili tra di loro.
L’Unione Europea, a sua volta, emana dei Regolamenti, norme che sono immediatamente
applicabili, e delle Direttive, norme che fissano degli obiettivi specifici per gli Stati membri lasciando
tuttavia al singolo Stato la scelta sui metodi da attuare per raggiungerli. Le Direttive europee sono
molto dettagliate e devono essere seguite dai vari Stati per evitare sanzioni: esse riguardano
soprattutto la tutela dei consumatori e la tutela degli imprenditori economicamente più deboli.
L’obiettivo di queste norme è la razionalizzazione del mercato europeo dei consumi, oltre
all’armonizzazione delle leggi del Mercato Comune. Queste leggi non rientrano nel Codice civile
(mancano di unificazione soggettiva), ma costituiscono un Codice del Consumo; il Codice del
Consumo è un esempio di Testo Unico, un testo che raccoglie e contiene le leggi speciali che
vertono su un determinato argomento.
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• Il quinto libro: del lavoro. Contiene la disciplina delle attività economiche organizzate, oggetto del
diritto commerciale, industriale e del lavoro.
• Il sesto libro: della tutela dei diritti. Contiene argomenti diversi e racchiude una serie di
disposizioni volte alla tutela dei diritti nei diversi settori della società già toccati dagli argomenti
degli altri libri.
I primi 5 libri prevedono dei diritti, il sesto parla di come i diritti vengono esercitati o violati. In
appendice al codice ci sono le disposizioni di attuazione e transitorie.
Esempio: l’art. 2043 (già citato) si trova nel libro 4 e attribuisce al danneggiato il diritto ad avere il
risarcimento del danno subito. In una disposizione contenuta nel VI libro, invece, si legge che tale
diritto va esercitato entro un termine di prescrizione di 5 anni: spiega quali sono e modalità di
esercizio del diritto contenuto in un altro libro.
Trovano spazio anche gli usi secundum legem, raccolti a cura delle camere di commercio, che
compilano settore per settore le raccolte degli usi. Le prassi e i principi abitualmente osservati nei
rapporti commerciali fra operatori di paesi diversi formano un corpo di regole non scritte da nessuna
formale autorità, ma che per l’adesione degli interessati acquistato il valore di disciplina applicabile
ai loro rapporti. Si parla di lex mercatoria: è un insieme regole che riflettono le prassi degli operatori
economici impegnati nel commercio internazionale (contratto).
LA CAPACITA’ GIURIDICA
Essere soggetti del diritto significa avere capacità giuridica. La capacità giuridica è attribuita ai
soggetti dalle norme. Una volta deciso a chi riconoscere la capacità giuridica le norme possono
decidere in quale misura riconoscerla. Capacità giuridica pieno: possono essere titolari di ogni
genere di situazione giuridica. Capacità giuridica limitata: solo alcune situazioni.
La capacità giuridica ha una garanzia costituzionale: l’art. 22 della Costituzione prevede che
nessuno possa essere privato per motivi politici della capacità giuridica, della cittadinanza o del
nome. Si tratta di una disposizione dettata dall’esperienza del regime fascista e delle leggi razziali,
che avevano compresso in modo rilevante la capacità giuridica dei cittadini di razza ebraica, che
vuole evitare la ripetizione di una circostanza simile. Le limitazioni della capacità giuridica devono
quindi essere giustificate da motivi inappuntabili, come ad esempio l’impossibilità di contrarre
matrimonio da parte di un cittadino con infermità mentali.
LA CAPACITA’ DI AGIRE
È un concetto diverso e più dinamico, invece, la Capacità di Agire, ovvero la capacità di compiere
atti giuridici, esercitando i propri diritti e disponendo liberamente di un proprio patrimonio. Questa
capacità si acquista al compimento della maggiore età. Un minorenne può esercitare i propri diritti
soltanto attraverso il meccanismo della Rappresentanza, per il quale un soggetto (rappresentante)
compie un atto giuridico i cui effetti si producono nella sfera di un altro soggetto (rappresentato).
Solitamente, i rappresentanti sono i genitori del minorenne, altrimenti la rappresentanza viene svolta
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da un Tutore; genitori e/o tutore sono i Rappresentanti Legali del minorenne. I rappresentanti
legali operano sotto il controllo del giudice tutelare, specializzato nella protezione dei soggetti più
deboli; nei casi più importanti, devono chiedere un’autorizzazione dal Tribunale.
Nonostante la capacità di agire entri in vigore solo dai 18 anni, ci sono alcune leggi speciali che, in
alcuni casi, abbassano l’età al di sopra della quale un soggetto ha capacità di agire: ad esempio, un
soggetto minorenne può stipulare contratti di lavoro. Inoltre, è possibile che un soggetto minorenne
acquisisca la capacità di agire tramite l’Emancipazione: se il soggetto ha almeno 16 anni, viene
autorizzato dal Tribunale a contrarre matrimonio e contrae effettivamente matrimonio, si emancipa e
ottiene la capacità di agire, ovvero la possibilità di compiere atti di ordinaria amministrazione (come
un’opera di ristrutturazione o un acquisto di entità moderata). Per atti di straordinaria
amministrazione (ad esempio atti di grande rilevanza economica, come la vendita di un immobile o
la costituzione di un’ipoteca) serve un Curatore, che assista l’emancipato (ma senza sostituirlo
come un tutore).
L’emancipato può chiedere al Tribunale anche l’autorizzazione per intraprendere un’attività
economica: in questo modo, ottiene una piena emancipazione, ovvero una piena capacità di agire.
INTERDIZIONE GIUDIZIALE
L’Interdizione è riservata ai soggetti con abituale e costante infermità mentale (come gli
schizofrenici) e consiste in un processo che termina con una Sentenza di Interdizione, annotata dei
registri dello Stato Civile, a margine dell’atto di nascita del soggetto. Viene quindi nominato un
Tutore che rappresenti l’interdetto in tutti i suoi rapporti giuridici, operando sotto il controllo del
giudice tutelare. Come un minorenne, un interdetto è totalmente privo di capacità di agire.
INABILITAZIONE
L’Inabilitazione viene usata per soggetti che hanno dipendenze da alcol, oppure che sia affetto da
eccessiva prodigalità. Anche la sentenza di inabilitazione viene annotata nei registri civili e porta alla
nomina di un curatore. L’inabilitato si trova in una situazione simile a quella dell’emancipato: può
compiere personalmente gli atti di ordinaria amministrazione ma necessita del Curatore che lo
affianchi per gli atti di straordinaria amministrazione. L’inabilitato perde soltanto parzialmente la
capacità di agire, a differenza dell’interdetto. Tuttavia, mentre l’emancipato può chiedere la piena
emancipazione e ottenere l’autorizzazione a iniziare un’attività commerciale, l’inabilitato può soltanto
chiedere di continuare un’attività già avviata in precedenza, prima della sentenza di inabilitazione; in
ogni caso, l’inabilitato non otterrà una piena capacità di agire.
Queste due misure sono tuttora vigenti e presenti nel Codice civile fin dalla sua promulgazione.
Dagli anni ’90, si è sviluppato tra i giuristi e gli psichiatri un dibattito sull’efficacia di queste misure:
formalmente, infatti, queste norme vogliono proteggere i soggetti deboli, ma in realtà li puniscono
senza aiutarli a guarire; inoltre, non tengono conto delle diversità tra i diversi soggetti con problemi
psichici, non riflettono le particolarità di ciascun individuo, ma prevedono soltanto due soluzioni fisse
a un problema molto vario. Per questo motivo, inizia lo sviluppo di un nuovo sistema di tutela,
ovvero la Legge n. 6 del 2004 (Legge Novella, è una legge successiva al Codice civile che
contraddice una norma del Codice): questa legge lascia in vigore interdizione e inabilitazione, ma
introduce una nuova figura, quella dell’Amministratore di Sostegno. Si tratta di una categoria
completamente separata rispetto all’interdetto e all’inabilitato: un soggetto a cui viene affidato un
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amministratore di sostegno è un nuovo tipo di soggetto debole. L’obiettivo finale è quello di eliminare
interdizione e inabilitazione, lasciando solo la figura dell’amministratore; tuttavia, questo obiettivo
non è ancora stato raggiunto.
AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
L’amministratore di sostegno viene affidato a chi è incapace di provvedere ai propri interessi a causa
di problemi fisici o psichici: viene introdotto l’elemento della menomazione fisica, che prima non
era considerato, e viene reso più flessibile il criterio di affidamento, dal momento che
l’amministratore può essere affiancato anche a chi ha problemi di carattere temporaneo. Il giudice
tutelare, in presenza di queste condizioni, può quindi affidare un amministratore al beneficiario (o
amministrato) tramite un decreto; c’è anche qui una differenza: l’interdizione e l’inabilitazione erano
stabilite da una sentenza del Tribunale. Anche tale decreto viene annotato a margine dell’atto di
nascita.
A differenza del tutore e del curatore, l’amministratore di sostegno non può sostituirsi
all’amministrato nelle decisioni di natura personale, ma solo nell’aspetto patrimoniale.
Il beneficiario dell’amministrazione gode di una maggiore flessibilità: il giudice può individuare
alcuni atti che richiedono l’assistenza dell’amministratore, mentre, per tutti gli altri atti, il beneficiario
conserva la capacità di agire. Il giudice, quindi, può valutare le caratteristiche e i bisogni specifici di
ciascun singolo beneficiario, emanando un decreto su misura a ciascun caso: il sistema, ora, può
tenere conto delle particolarità del singolo individuo, senza utilizzare solamente categorie rigide e
non modificabili. In ogni caso, per, il beneficiario potrà compiere gli atti della vita quotidiana, senza
eccessive restrizioni.
L’amministratore, inoltre, è tenuto a informare il beneficiario e tenere conto delle sue opinioni; se tra i
due nasce un conflitto, sarà il giudice tutelare a decidere qual è la scelta che risponde
maggiormente agli interessi del beneficiario.
Tutti gli atti posti in essere da un soggetto incapace di agire sono annullabili, indipendentemente
dalla buona fede della controparte. Quindi, anche i contratti possono essere annullati in un caso del
genere; tuttavia, la controparte può sapere in anticipo quale sia la condizione di capacità di agire del
soggetto, verificando nei registri dello Stato civile.
INCAPACITA’ NATURALE
Una diversa questione è quella dell’Incapacità Naturale, ovvero la situazione in cui un soggetto
legalmente capace di agire (maggiore di età, non interdetto, non inabilitato e non amministrato né
condannato a più di 5 anni di reclusione) compie un atto giuridico in condizioni di incapacità di
intendere e di volere. Conta, quindi, la condizione in cui si trova il soggetto nel momento in cui viene
compiuto l’atto: l’uso di alcol e di droghe (incapacità transitoria), ad esempio, può portare a una
condizione del genere, così come il presentarsi di problemi psichici improvvisi, non
precedentemente identificati. La differenza rispetto all’incapacità legale sta nel fatto che la
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controparte non può conoscere la condizione del soggetto; per questo motivo, va tutelato tanto il
soggetto quanto l’interesse della controparte:
• Gli atti personali (donazione, testamento e matrimonio) sono sempre annullabili;
• Gli atti patrimoniali unilaterali vengono annullati se recano un grave pregiudizio all’incapace.
• Se si tratta di un contratto, occorre che esso rechi un grave pregiudizio all’incapace e che la
controparte sia in malafede, ovvero che la controparte conosca o possa conoscere la condizione
dell’incapace, scegliendo di stipulare comunque il contratto (art. 428). La legge prevede questa
regola perché la controparte non ha modo di conoscere i problemi del soggetto: la legge tutela
l’affidamento della controparte, ovvero la sua fiducia nel soggetto durante la stipulazione del
contratto. Se così non fosse, la controparte dovrebbe accertarsi delle condizioni psichiche del
soggetto, complicando eccessivamente le condizioni di firma di un contratto, tutelandone la
sicurezza e la rapidità.
RESIDENZA
La residenza corrisponde al luogo in cui una persona ha la dimora abituale.
DOMICILIO
Il domicilio è il luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi.
DIMORA
La dimora è il luogo in cui la persona si trova in un dato periodo anche per una permanenza non
lunga, ma non brevissima.
LE ORGANIZZAZIONI
Oltre alle persone fisiche, anche le organizzazioni fanno parte dei soggetti di diritto.
Un’organizzazione, infatti, può detenere la proprietà di un bene, come una persona fisica: è il caso,
ad esempio, dei telefoni o delle vetture aziendali. Come gli esseri umani, anche le organizzazioni
hanno capacità giuridica.
Tuttavia, non hanno capacità di agire le organizzazioni, non hanno una propria volontà; quindi, gli
atti giuridici che le riguardano devono essere svolte da persone fisiche che operano per nome e per
conto delle organizzazioni e sono dette Organi. Gli amministratori delegati di un’azienda, ad
esempio, sono organi delle aziende per cui lavorano e compiono atti giuridici che hanno effetto sulle
organizzazioni: è lo stesso meccanismo della rappresentanza che riguarda i soggetti incapaci
(Rappresentanza Organica). Gli Organi possono essere individuali o collegiali (consiglio di
amministrazione, assemblea di una società).
Anche le organizzazioni hanno una denominazione, come gli esseri umani; inoltre, le
organizzazioni hanno una sede, mentre per le persone fisiche si parlava di residenza, di domicilio
o di dimora. La Sede di un’organizzazione è il luogo in cui essa è stata costituita e dove opera.
Le organizzazioni hanno un Atto Costitutivo e uno Statuto: il primo è l’atto che dà vita
all’organizzazione, un accordo tra i membri che vanno a costituire l’organizzazione; lo Statuto,
invece, è un documento che regola l’organizzazione e l’attività dell’ente.
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TIPI DI ORGANIZZAZIONI
Esistono vari tipi di organizzazioni a seconda delle loro caratteristiche:
1. si possono riconoscere organizzazioni pubbliche e organizzazioni private. Molte
organizzazioni pubbliche usufruiscono del diritto privato, ma alcune godono di legislazioni speciali
che ne favoriscono l’attività. Un’organizzazione pubblica avrà un interesse di carattere generale,
mentre le organizzazioni private hanno obiettivi di interessi particolari; inoltre, spesso le
organizzazioni pubbliche sono costituite con una legge. Alcune organizzazioni pubbliche, inoltre,
godono del potere di imperio, tipico della pubblica amministrazione e dell’ambito del diritto
pubblico. Le organizzazioni pubbliche, poi, sono maggiormente soggette al controllo pubblico
rispetto a quelle private e hanno una maggiore fruizione dei finanziamenti pubblici. Tutti gli enti
pubblici hanno capacità giuridica di diritto privato; tuttavia, soltanto le organizzazioni pubbliche con
potere di imperio hanno capacità giuridica di diritto pubblico: è il caso, ad esempio, di un Comune.
Un ente pubblico può decidere anche di costituire un’organizzazione privata e di operare anche
nell’ambito del diritto privato: un Comune, ad esempio, può decidere di costituire una società per
azioni che esercita attività di trasporto pubblico locale, della quale il Comune deterrà una
partecipazione.
2. Un’altra distinzione, autonoma rispetto alla precedente, è quella che si fa tra organizzazione
di tipo associativo (corporazioni) e di tipo non associativo (istituzioni). Le Corporazioni sono le
associazioni e le società, mentre sono Istituzioni, ad esempio, le fondazioni. Tradizionalmente, si
dice che nelle corporazioni prevale l’elemento personale, mentre nelle istituzioni prevale l’elemento
patrimoniale. In realtà, nelle corporazioni, le persone fisiche che compongono l’organizzazione
(associati o soci) hanno il potere di incidere significativamente sull’organizzazione e sull’attività
dell’ente, possono decidere chi amministra l’ente, quale deve essere il suo obiettivo; nelle istituzioni,
come può essere una fondazione, il patrimonio dell’ente assume una finalità decisa dal fondatore:
dopo l’istituzione dell’ente, nessun amministratore né il fondatore stesso possono decidere di
cambiare la finalità del patrimonio dell’ente, che costituisce un vincolo non modificabile.
3. Una terza distinzione è quella tra organizzazioni a scopo di profitto (enti lucrativi, for profit)
ed enti non a scopo di profitto (non lucrativi, non profit). Gli enti senza scopo di lucro
(Associazioni, Fondazioni, Comitati) vengono disciplinati nel Libro I del Codice civile con poche
norme, mentre gli enti a scopo di profitto (Società) sono disciplinate nel Libro V, quello dedicato al
Lavoro, con un grande numero di regole. Questi due tipi di organizzazioni si distinguono facilmente:
le società esercitano per definizione un’attività economica e, se da questa attività ricavano un utile,
esso può essere distribuito tra i soci che compongono l’ente (nell’immediato o in futuro, dopo aver
reinvestito i ricavi); gli enti non profit, invece, possono anche non svolgere attività imprenditoriali
(come, ad esempio, nel caso di un’associazione sportiva o di un ente di volontariato), ma, nel caso
in cui la esercitino (come il bar di un’associazione sportiva), gli utili non possono essere distribuiti tra
gli associati, ma possono solamente essere conservati o reinvestiti. Se un ente non profit
distribuisse i propri utili tra i propri associati, si trasformerebbe giuridicamente in una società: la
distribuzione degli utili tra gli associati è la condizione discriminante tra enti for profit e non profit.
Tradizionalmente, gli enti non profit non erano visti di buon occhio dai legislatori: già durante la
rivoluzione francese si decise di sciogliere le associazioni, per motivi politici (nell’ottica dello Stato
liberale, esiste un rapporto diretto tra Stato e cittadino; i corpi intermedi, come la Chiesa e le sue
diverse organizzazioni, vengono viste con sfavore) e anche per motivi economici (ne è un esempio
la mano morta della Chiesa, ovvero il fenomeno per cui molte ricchezze si accumulavano sotto il
controllo di enti ecclesiastici on profit che non le utilizzavano in modo economicamente produttivo).
Per questi motivi, vennero sviluppate norme contro gli enti non profit, che dovevano, ad esempio,
chiedere allo Stato l’autorizzazione per acquistare un edificio. Dagli anni ’90 in poi, cambia la
prospettiva, anche a causa di una situazione economica che penalizza pesantemente lo Stato
sociale: i servizi statali vengono ridotti, lo Stato ha sempre meno risorse disponibili; quindi, gli enti
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non profit vengono visti come un possibile aiuto per lo Stato nel fornire servizi alle fasce più deboli
della popolazione. Vengono quindi abrogate le norme che richiedevano delle autorizzazioni da parte
dello Stato e viene concessa la personalità giuridica alle organizzazioni non profit; inoltre, alcune
categorie di enti senza scopo di lucro vengono favoriti con benefici fiscali e con finanziamenti
pubblici. Le Onlus diventano una categoria di diritto tributario, in modo da poter concedere loro
benefici maggiori rispetto alle altre organizzazioni. Le organizzazioni non profit, inoltre, vanno a
comprendere anche le fondazioni bancarie (come la Cariplo): si tratta di banche che hanno
accumulato risparmi in secoli di attività e che decidono di dividersi in due enti separati, con una
fondazione che controlla la banca tramite partecipazioni maggioritarie. Un altro esempio è quello dei
teatri, che vengono gestiti da fondazioni musicali o da enti lirici.
LA PERSONALITA’ GIURIDICA
4. Un’ultima distinzione tra le organizzazioni è quella tra organizzazioni con personalità giuridica e
organizzazioni senza personalità giuridica. Tutte le organizzazioni hanno la capacità giuridica e
sono soggetti di diritto: hanno quindi un patrimonio più o meno autonomo rispetto a quello delle
persone fisiche che operano al loro interno. L’autonomia patrimoniale consente alla società di
disporre più o meno liberamente del proprio patrimonio, il quale può fare capo alla società e non ai
suoi componenti. Alcune organizzazioni hanno un’Autonomia Patrimoniale perfetta, ovvero
Personalità Giuridica; quindi, le vicende che interessano l’organizzazione incidono solo ed
esclusivamente sul patrimonio dell’organizzazione, mentre le vicende che interessano le persone
fisiche che compongono l’organizzazione non hanno riflessi sul patrimonio dell’ente.
Esempio: una società (s.r.l.) con personalità giuridica inizia a svolgere la sua attività, ma contrae
molti debiti. I creditori, per soddisfare i propri diritti, possono andare ad aggredire soltanto il
patrimonio della società, senza rifarsi sul patrimonio dei suoi componenti. Chi ha dato vita a
un’organizzazione con personalità giuridica, dunque, rischia solamente il patrimonio che ha
conferito all’ente, non il proprio patrimonio personale.
Inoltre, la Personalità Giuridica fa sì che il patrimonio dell’ente non risenta delle vicende che
colpiscono il patrimonio personale delle persone fisiche che compongono l’organizzazione.
Esempio: se un componente della società ha dei debiti personali, il creditore può rifarsi solo sul
patrimonio personale, ma non può aggredire la parte del patrimonio della società che il soggetto ha
immesso nella società stessa.
La personalità giuridica, quindi, è uno schermo che protegge la società dalle vicende delle persone
fisiche e che protegge le persone fisiche dalle vicende dell’organizzazione.
Se un ente non possiede personalità giuridica, avrà un grado limitato di autonomia patrimoniale e i
suoi creditori potranno aggredire anche il patrimonio delle persone fisiche che operano al suo
interno, così come i creditori personali delle persone fisiche potranno aggredire le partecipazioni
delle persone fisiche all’interno dell’organizzazione.
Esempio: viene costituita una società in nome collettivo, versando 50.000 euro ciascuno. La società
contrae dei debiti e un creditore richiede 500.000. Il creditore potrà aggredire il patrimonio della
società in nome collettivo e, se il patrimonio risultasse insufficiente, potrebbe aggredire il patrimonio
personale dei soci.
Le organizzazioni che hanno personalità giuridica e autonomia patrimoniale perfetta (sia non profit
che for profit) sono: le associazioni riconosciute e le fondazioni tra gli enti non a scopo di lucro e
le società per azioni e le società a responsabilità limitata tra gli enti for profit. Le associazioni
non riconosciute, i comitati (non profit), le società in nome collettivo e le società semplici (for
profit) non hanno personalità giuridica.
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Dal punto di vista economico, la personalità giuridica è un privilegio che ha la funzione di favorire
l’esercizio di attività economiche, riducendo il rischio che grava su chi è interessato ad esercitarle. Il
legislatore fornisce così un’attenuazione del rischio per chi conduce un’attività imprenditoriale. Se
una persona fisica avvia un’attività imprenditoriale senza costituire una società e contrae un debito,
l’art. 2740 stabilisce che il debitore debba rispondere dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i
suoi beni presenti e futuri, compresa la casa; se l’imprenditore, invece, costituisce una società a
responsabilità limitata in cui immette tutto il suo patrimonio, i creditori potranno aggredire solo quello
e non, ad esempio, la casa.
La personalità giuridica nasce quando partono le prime imprese coloniali (Olanda, Regno Unito) e
quando gli Stati europei iniziano a sfruttare i territori d’oltremare. La gestione delle colonie era
affidata a degli aristocratici, e non direttamente allo Stato, che tuttavia voleva ottenere vantaggi da
questo settore sotto forma di imposte e importazioni. Gli uomini d’affari interessati a questo
investimento, dunque, stringono un accordo con lo Stato: visti i rischi e gli investimenti molto pesanti
necessari per intraprendere un’impresa coloniale, lo Stato concede la limitazione della
responsabilità, sotto forma di responsabilità giuridica, e i debiti ingenti delle imprese coloniali
possono essere coperti soltanto dal patrimonio dell’organizzazione e non quello dei singoli soci.
La personalità giuridica, oggi, si acquisisce redigendo l’atto costitutivo e lo Statuto sotto forma di
atto pubblico e iscrivendo l’atto costitutivo e l’atto pubblico nel registro delle imprese (nel caso
delle società) oppure con la redazione dell’atto pubblico, con un provvedimento di
riconoscimento da parte dell’autorità amministrativa e l’iscrizione nel registro delle persone
giuridiche (per gli enti non profit).
• Associazioni Riconosciute, che godono di personalità giuridica. Sono formate da soggetti che
ricercano uno scopo comune diverso dal profitto, che può variare da un’associazione all’altra:
tale scopo può essere altruistico (volontariato) o egoistico (associazione sportiva). Hanno uno
Statuto e un atto costitutivo; inoltre, dal momento che hanno personalità giuridica, i due
documenti devono essere redatti con un atto pubblico da parte di un notaio. Sono composte da
organi quali l’Assemblea di tutti gli associati, che nomina e revoca gli amministratori, approva il
bilancio (una volta all’anno), modifica lo statuto e l’atto costitutivo, delibera sullo scioglimento
dell’associazione: la deliberazione è la forma giuridica delle decisioni prese dall’organo collegiale.
Anche gli Amministratori sono organi dell’associazione, di cui gestiscono il patrimonio e che
rappresentano, agendo in nome e per conto di essa, disponendo dei suoi diritti e doveri. Il
patrimonio dell’associazione riconosciuta gode di autonomia perfetta. Quando un associato esce
da un’associazione (sia per sua scelta che perché viene escluso da essa), non può richiedere il
rimborso dei contributi versati: si paga a fondo perduto. L’associato può impugnare le
deliberazioni dell’assemblea che sono contrarie all’atto costitutivo, allo statuto o alla legge,
chiedendo a un giudice di verificarne la legittimità; inoltre, può liberamente recedere
dall’associazione, sciogliendo il proprio rapporto con essa; infine, può essere escluso
dall’associazione con una deliberazione dell’assemblea giustificata da gravi motivi. Un associato
escluso da un’associazione può anche richiedere l’annullamento della deliberazione di
esclusione: il giudice, tuttavia, può solo determinare la legittimità della deliberazione, senza
valutare in merito alla deliberazione.
• Associazioni Non Riconosciute, che non godono di personalità giuridica: hanno autonomia
patrimoniale imperfetta. Non dovendo ottenere un riconoscimento, l’atto costitutivo e lo statuto
possono essere redatti in forma libera (anche oralmente o per forma privata), anche senza l’atto
pubblico e senza l’intervento di un notaio. La struttura interna delle associazioni non riconosciute
copia quella delle associazioni riconosciute: c’è un’Assemblea che approva i bilanci, nomina gli
amministratori e delibera, così come ci sono degli Amministratori. Queste organizzazioni non
sono assoggettate a controllo pubblico, cosa che concede un alto livello di libertà: per questo
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motivo, i partiti politici o i sindacati scelgono la forma delle associazioni non riconosciute, per non
avere un controllo da parte dello Stato. Inoltre, dal momento che queste organizzazioni non
hanno personalità giuridica, gli associati potrebbero essere chiamati a risarcire eventuali creditori:
devono rispondere ai creditori, infatti, gli associati che operano in nome e per conto
dell’organizzazione, ovvero gli amministratori o gli associati che si trovano ad operare in qualità
di amministratori.
• Fondazioni di diritto comune, diverse dalle fondazioni bancarie. Sono organizzazioni create da
uno o più soggetti che destinano un patrimonio e le sue rendite al perseguimento di uno scopo
socialmente rilevante: l’elemento patrimoniale prevale su quello personale, sul patrimonio è
impresso un vincolo di destinazione.
Lo scopo, in genere, è socialmente rilevante e altruistico (secondo la dottrina, ovvero le opinioni
degli studiosi del diritto; si differenzia dalla giurisprudenza, costituita dall’insieme delle decisioni
degli organi giurisdizionali). Una fondazione viene costituita con un atto pubblico, dal momento che
ha personalità giuridica; inoltre, si può costituire una fondazione anche tramite testamento: il
fondatore può decidere di costituire una fondazione all’atto della redazione testamentaria. Questo
può avvenire perché una fondazione è un soggetto giuridico autonomo rispetto al fondatore, tanto
che esso non può più disporre del patrimonio della fondazione. Gli Amministratori della fondazione
sono vincolati dall’atto di fondazione e non possono quindi cambiare lo scopo del patrimonio della
fondazione; non è presente un’Assemblea, ma un consiglio di amministrazione.
Quando lo scopo della fondazione viene perseguito o non è più socialmente rilevante, oppure
quando il patrimonio diventa insufficiente, interviene l’autorità pubblica, che può accorpare la
fondazione a un’altra fondazione con scopo simile. La pubblica amministrazione, quindi, ha potere di
interferenza nella fondazione. Le fondazioni devono essere iscritte nel registro delle persone
giuridiche.
• Comitati, sono organizzazioni create per raccogliere fondi da destinare a finalità socialmente
rilevanti, analoghe a quelle in relazione alle quali vengono costituite le fondazioni. Mentre la
fondazione riceve il proprio patrimonio da una o più persone fisiche, il comitato raccoglie il
patrimonio da una pluralità di soggetti che effettuano delle offerte, dette oblazioni. Sui fondi
raccolti grava un vincolo di destinazione, cioè quei fondi sono vincolati al perseguimento di una
determinata finalità, e gli organizzatori sono responsabili della sua osservanza, devono
osservare se rispettano il vincolo. Finché il comitato rimane tale è un’organizzazione senza
personalità giuridica. I componenti rispondono personalmente e solidalmente delle obbligazioni
assunte in nome del comitato. A ciascuno dei componenti può essere chiesto il pagamento di
tutti i debiti del comitato. Ottenuto il riconoscimento, il comitato si trasforma in fondazione:
sempre con l’atto pubblico di costituzione e l’iscrizione al registro delle persone giuridiche.
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LE ATTIVITÀ
Non sono enti del terzo settore le amministrazioni pubbliche (enti pubblici, es università), le
formazioni e le associazioni politiche (partiti politici), i sindacati, le associazioni professionali e di
rappresentanza di categorie economiche, le associazioni di datori di lavoro.
Gli enti del terzo settore esercitano in via esclusiva o principale una o più attività di interesse
generale (assistenza ai disabili, alle persone anziane, l’accoglienza dei migranti). Gli enti del terzo
settore possono esercitare attività diverse da quelle elencate dall’art 5 a condizione che lo
prevedano l’atto costitutivo o lo statuto e a condizione che siano secondarie e strumentali rispetto
alle attività di interesse generale.
IL REGISTRO E IL BILANCIO
Per essere ente del terzo settore occorre iscriversi nel registro unico nazionale del terzo settore e
indicare gli estremi dell’iscrizione negli atti, nella corrispondenza e nelle comunicazioni al pubblico e
il bilancio di questi enti deve essere depositato presso il registro del terzo settore.
La funzione di questo è che il bilancio di questi enti è pubblico e quindi qualunque creditore può
sapere qual è la situazione patrimoniale di quell’ente e quindi sulla base di questo dato (pubblico)
potrà regolarsi nell’avere rapporti con quest’ente.
Gli enti che esercitano la propria attività esclusivamente o principalmente nella forma di impresa
commerciale sono soggetti all’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese e devono depositarvi
il bilancio.
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CLASSIFICAZIONE DEI BENI
Per quanto riguarda i Beni, l’art. 810 (Libro III) stabilisce che esso sono le cose che possono
formare oggetto di diritto. Tuttavia, questa definizione è imprecisa: è un Bene qualcosa su cui si può
immaginare un conflitto tra interessi contrapposti, non quelli accessibili a qualsiasi soggetto giuridico.
Ad esempio, un terreno è un bene, ma non lo è l’energia solare: nell’articolo 814, si legge che le
energie naturali possono essere considerate Beni se hanno un valore economico, come l’energia
geotermica che alimenta una centrale elettrica, il petrolio e il metano, ma non l’energia solare o
quella eolica, perché sono liberalmente fruibili da tutti.
PERTINENZE
Le Pertinenze, invece, sono delle cose che hanno la funzione di servizio o di ornamento di un’altra
cosa (Cosa Principale): ad esempio, un giardino è una pertinenza di una casa, un’autoradio è una
pertinenza di una macchina. Se non è disposto diversamente, le vicende giuridiche della cosa
principale riguardano anche le pertinenze; se si vogliono escludere le pertinenze da una vicenda
giuridica, bisogna dichiararlo espressamente nel contratto.
FRUTTI
I Frutti sono beni prodotti da altri beni: esistono Frutti Naturali, che si traggono direttamente dalla
cosa (come i frutti da un albero), e Frutti Civili, che si traggono dalla cosa come corrispettivo del
godimento che qualcun altro ha tratto dalla cosa stessa (ad esempio, l’affitto di un appartamento
che viene riscosso dal proprietario che lo concede in locazione).
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LA CIRCOLAZIONE GIURIDICA Classificazione degli Acquisti di Diritti
Quando un soggetto acquista un diritto, diviene titolare di un diritto che prima non aveva. I diritti si
acquistano o si perdono secondo la circolazione giuridica.
Gli acquisti possono essere:
1. Acquisti Originari, che non avvengono per effetto della trasmissione da parte di un soggetto
che era titolare del bene in precedenza: ne è un esempio l’Occupazione, ovvero l’acquisto della
proprietà di un bene mobile che non era di proprietà di nessuno, come anche l’Usucapione, ovvero
l’acquisto della proprietà di un bene immobile acquisito dopo un determinato periodo di tempo in cui
si usa produttivamente quel bene. L’acquisto avviene indipendentemente dall’interazione tra
acquirente e venditore. Gli acquisti originari si affiancano agli Acquisti Derivativi, caratterizzati dal
fatto che l’acquisto del diritto deriva da un diritto in precedenza detenuto da un altro soggetto: è il
caso dei contratti. Chi trasferisce il diritto viene chiamato dante causa o alienante, mentre chi lo
acquista viene chiamato avente causa o acquirente; dal punto di vista dell’acquirente si ha un
acquisto, dal punto di vista dell’alienante si ha un’alienazione. Questi acquisti possono essere
Traslativi, quando i due soggetti si scambiano il medesimo diritto (esempio: diritto di proprietà), o
Costitutivi, quando il soggetto alienante costituisce a favore dell’acquirente un diritto logicamente
compreso in quello di cui è titolare, mantenendo quindi parte del suo diritto (esempio: diritto di
usufrutto su un bene, che non trasferisce la proprietà ma che ne permette l’utilizzo; il proprietario,
quindi, mantiene solamente la nuda proprietà del bene).
2. Si distinguono anche Acquisti a titolo oneroso, quando l’avente causa sostiene un sacrificio
a fronte dell’acquisto del diritto, e Acquisti a titolo gratuito (dono di un bene).
3. Gli Acquisti tra Vivi sono quelli che non presuppongono la morte dell’alienante (contratto),
mentre gli Acquisti per Causa di Morte (Mortis Causa) implicano necessariamente il decesso del
precedente titolare del diritto (successione).
4. successione a Titolo Particolare è quello che riguarda uno o più diritti determinati,
circoscritti a uno o alcuni beni, mentre un acquisto a successione a Titolo Universale si ha
quando l’avente causa succede in tutti i rapporti giuridici che facevano capo al dante causa, oppure
a una loro porzione: ad esempio, quando un figlio succede al padre in titolo universale a tutti i diritti
giuridici dopo il suo decesso. Un erede è un soggetto che succede al defunto a titolo universale.
TITOLO DELL’ACQUISTO
Il Titolo dell’Acquisto è la situazione di fatto (fattispecie) che produce l’effetto dell’acquisto di un
diritto in base alla legge: un contratto è un titolo di acquisto, come anche il possesso protratto di un
terreno nel caso dell’usucapione o il testamento nel caso di una successione.
Nell’acquisto a titolo derivativo, valgono due principi:
LA PUBBLICITA’
Nella circolazione dei beni immobili è molto rilevante la Pubblicità, ovvero le regole e gli apparati
che hanno la funzione di fare sì che determinati fatti siano conosciuti o comunque conoscibili dagli
interessati, che riguarda anche i beni mobili registrati: la Legge vuole che le vicende di questi beni
siano facilmente conoscibili da chi ne sia interessato. Per questo esistono i registri immobiliari
(provinciali, contenuti nelle Conservatorie dei registri immobiliari) e i registri degli autoveicoli, dei
velivoli e delle imbarcazioni.
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Esistono tre tipi di pubblicità:
• Pubblicità Notizia, ha la funzione di rendere noti certi fatti a chi ne sia interessato. Se non
vengono pubblicizzati non vi sono conseguenze in ordine alla loro validità e ai loro effetti (ad
esempio, le pubblicazioni matrimoniali, senza le quali, tuttavia, il matrimonio è ugualmente
valido).
• Pubblicità Costitutiva, necessaria perché un atto produca i suoi effetti giuridici: senza questo
tipo di pubblicità, l’atto non ha effetto (ad esempio, un’ipoteca, che deve essere iscritta nel
registro immobiliare, oppure l’iscrizione di un’organizzazione nel registro delle persone
giuridiche). In questo caso si parla di iscrizione ai registri.
• Pubblicità Dichiarativa, non è necessaria perché gli effetti di un atto si producano tra chi ha
partecipato alla formazione dell’atto (le parti), ma necessaria perché l’atto abbia effetto su
soggetti terzi (ad esempio, un atto di compravendita non trascritto nel registro immobiliare fa sì
che la proprietà di trasferisca comunque tra le parti, ma non viene riconosciuta da terzi). In
questo caso si parla di trascrizione. Tutti gli atti che riguardano diritti reali immobiliari
necessitano la trascrizione del registro immobiliare. Per poter essere trascritto nel registro
immobiliare, un atto deve essere redatto in forma di atto pubblico (da un notaio), oppure con la
scrittura privata autenticata (un atto sottoscritto dalle parti e l’autenticazione da parte di un
pubblico ufficiale).
I REGISTRI IMMOBILIARI
I Registri Immobiliari possono essere strutturati in due modi diversi: si può trovare una scheda per
ogni immobile, con allegati ad ogni scheda gli atti che riguardano l’immobile (organizzazione su
base reale); si può anche trovare una scheda relativa a una persona, con all’interno tutte le
trascrizioni relative ad atti compiuti dalla persona sia come alienante che, come acquirente,
(organizzazione su base personale). In Italia, i registri sono organizzati su base personale. Ogni
atto viene trascritto contro il dante causa e a favore dell’acquirente: si trova la trascrizione di una
vendita, ad esempio, “contro X e a favore di Y”, se X ha venduto un immobile a Y.
Chi acquista un immobile, dunque, può verificare se il soggetto da cui vuole acquistarlo ne è
effettivamente il proprietario: i registri sono consultabili pubblicamente. Bisogna quindi verificare se
esiste un atto di cessione dell’immobile a favore della persona da cui lo si vuole comprare e bisogna
anche verificare che esista un atto contro la persona da cui tale soggetto l’aveva acquistato. In
questo modo si potrebbe risalire fino al costruttore del bene immobile, verificando che ogni
passaggio di proprietà sia stato effettuato correttamente; se si scopre che uno dei precedenti
proprietari non ha effettuato correttamente il passaggio del diritto di proprietà, cade tutta la catena,
tanto da annullare tutti i passaggi di proprietà successivi, fino all’attuale proprietario dell’immobile.
Questa verifica si può continuare finché non maturano i presupposti dell’usucapione sommando i
tempi di possesso del bene dei precedenti proprietari (regolari): l’usucapione è una modalità di
acquisto del diritto a titolo originario, ovvero a prescindere del rapporto con il precedente proprietario.
In presenza di un’usucapione, tutte le eventuali irregolarità precedenti si annullano. Bisogna anche
verificare che non ci sia trascritto contro il dante causa un atto di alienazione, ovvero che non abbia
già venduto l’immobile, perdendo quindi il proprio diritto di proprietà. Nonostante questo sistema sia
efficace, può accadere che un’alienazione non sia stata tempestivamente trascritta: se un alienante
cede l’immobile a un soggetto, senza trascrivere l’atto, e decide di intraprendere una trattativa di
vendita il giorno dopo, con un diverso soggetto, l’immobile sarà di proprietà del primo dei due
acquirenti. Questo avviene perché si tratta di una pubblicità dichiarativa, che non pregiudica la
validità dell’acquisto, ma solo il suo rapporto con soggetti terzi.
Un’alienazione non trascritta, dunque, fa crollare l’attendibilità dei registri immobiliari. Per questo,
l’art. 2644 prevede una deroga al principio in base alla quale l’acquisto si perfeziona solamente se
l’alienante è effettivamente titolare del diritto: in questi casi, non prevale chi acquista per primo, ma
chi trascrive per primo l’acquisto nei registri immobiliari. Questa regola ha lo scopo di rendere
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attendibile e sicura la documentazione dei registri: un acquirente sa che, se compie l’acquisto e lo
trascrive immediatamente, sarà sicuramente lui il proprietario, anche se si tratta di un acquisto a non
domino (regola della priorità della trascrizione). In un caso del genere, chi ha acquistato per
primo ma ha trascritto per secondo avrà una tutela sotto forma di risarcimento: il dante causa sarà
identificato come responsabile per aver violato un contratto; inoltre, se il secondo acquirente
risulterà in malafede (ad esempio, se era d’accordo con il dante causa), sarà allo stesso modo
responsabile (responsabilità di doppia alienazione).
La regola della priorità della trascrizione ha una condizione: occorre continuità nella trascrizione dei
precedenti acquisti.
Perché prevalga il primo trascrittore dell’atto quando viene effettuato un acquisto, occorre che tutti i
precedenti acquisti dell’immobile siano regolarmente trascritti nel registro immobiliare; se non c’è
continuità, questa regola cade e prevale chi acquista per primo, e non il primo trascrivente. Dopo
l’acquisto, il soggetto che ha appena acquisito il bene potrà poi trascrivere nei registri i passaggi di
proprietà mancanti, permettendo così nuovamente l’applicazione della regola della priorità della
trascrizione.
1. Anche le Sentenze possono essere trascritte nei registri immobiliari e possono interferire con
la circolazione dei beni immobili. Ad esempio, un soggetto Y acquista un immobile da X; quando ha
pagato solamente il 15% del prezzo a X, aliena il bene a un altro soggetto Z. A questo punto, Y
chiede un mutuo per pagare il resto a X, ma non ci riesce: non riesce ad adempire al suo contratto
con X. Quindi, X può ottenere la cancellazione del contratto (risoluzione per inadempimento): gli
effetti del contratto vengono annullati, quindi l’immobile dovrebbe tornare a X. Tuttavia, l’immobile è
ora di proprietà di Z, che ha acquistato regolarmente l’immobile e vuole mantenerlo. Anche in
questo caso, vale il principio della priorità della trascrizione: X acquista la proprietà dell’immobile
soltanto se la sentenza di risoluzione del contratto tra lui e Y viene trascritta prima dell’atto di
acquisto dell’immobile da parte di Z.
2. Si tratta di un discorso molto teorico: una sentenza richiede molto tempo per essere
approvata e, in seguito, trascritta nel registro. In un contesto del genere, il soggetto Z avrà tempo
per rendere il proprio acquisto inattaccabile da parte di X. Proprio per questo motivo, la legge
prevede che possano essere trascritte nei registri anche le domande giudiziarie: se un soggetto ha
proposto una domanda giudiziaria e l’ha trascritta prima dell’acquisto da parte di Z, la domanda è
opponibile all’acquisto da parte di Z e può portare al suo annullamento. Dal punto di vista di Z,
vedere una domanda trascritta nel registro può chiaramente portare all’interruzione della trattativa,
visto che è un fattore di rischio per l’annullamento del contratto.
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un’opera d’arte, non ha strumenti per concludere con certezza che il suo eventuale alienante sia
effettivamente il legittimo proprietario del bene.
Bisognerebbe quindi effettuare una serie di indagini per verificare che il dante causa sia il
proprietario del bene: si tratta dei costi transattivi, ovvero i costi da sostenere per effettuare le
indagini sulla proprietà dei beni.
La legge si occupa di questa questione (art. 1153) con la regola del Possesso vale Titolo (o
acquisti a non domino), che prevede che l’acquirente di un bene mobile non registrato ne diventa
proprietario anche se colui che glielo ha trasferito non era il legittimo proprietario del bene. Questo
avviene a patto che:
• Il bene sia stato effettivamente consegnato (ci sia il possesso effettivo del bene da parte del
soggetto);
• L’acquirente sia in buona fede al momento della consegna;
• Ci sia un titolo idoneo al trasferimento della proprietà (come un contratto).
Viene quindi ribadita l’importanza del titolo d’acquisto, mentre viene ancora stabilito che non occorre
che l’alienante sia effettivamente il proprietario del bene. Questa regola consente a chiunque di
acquistare tranquillamente un bene mobile non registrato, riducendo i costi transativi. Pu subire un
danno, in questo caso, il vero proprietario del bene che viene rubato da un altro soggetto, il quale
poi lo rivenderà: il soggetto danneggiato potrà chiedere il risarcimento del danno al ladro, ma non
potrà avere pretese su chi ha regolarmente acquistato il bene.
• Se sul bene alienato esistono dei diritti altrui, di un soggetto diverso dall’alienante, l’acquirente
acquista la proprietà piena del bene, non gravata da questi diritti, purché questi diritti non
risultino dal titolo d’acquisto e l’acquirente sia in buona fede (ovvero non sappia nulla di questi
diritti) (art. 1153, comma 2).
Esempio: se si acquista un macchinario che un altro soggetto diverso dall’alienante ha in usufrutto,
l’acquirente otterrà la proprietà del macchinario, ma dovrà consentirne l’usufrutto da chi ne detiene il
diritto, a meno che non sia all’oscuro del diritto.
• Se un soggetto aliena lo stesso bene mobile non registrato a diversi acquirenti, tra di essi
prevale colui che ne riceve la consegna, purché sia in buona fede all’atto della consegna, anche
se il suo titolo d’acquisto è di data successiva alla consegna.
Non conta quando viene firmato un contratto, ma quando viene effettuata la consegna del bene. La
legge, tuttavia, prevede che in altre situazioni non occorra necessariamente il possesso di un diritto
perché sia valido il trasferimento del diritto stesso (art. 1376).
I DIRITTI PATRIMONIALI
I Diritti Patrimoniali sono quelli che attribuiscono al titolare un diritto economico; si dividono tra Diritti
Reali (vertono sulle cose, che riguardano il possesso dei beni) e i Diritti di Credito (che riguardano
le obbligazioni).
Le obbligazioni sono i titoli che obbligano ad eseguire una prestazione patrimoniale: il creditore di
un’obbligazione avrà un diritto di credito nel riscuotere il pagamento e sarà il soggetto attivo
dell’obbligazione stessa.
Esistono anche diritti di credito che hanno per oggetto dei beni materiali: ad esempio, il locatore che
concede un’abitazione in affitto è obbligato a concedere l’abitazione, mentre il conduttore che ha
l’abitazione in affitto ha un diritto di credito sull’abitazione. Si parla in questo caso di Diritti
Personali di Godimento.
La distinzione tra diritti reali e diritti di credito, dunque, non si fonda solo sui beni materiali; una
distinzione più precisa sta nelle caratteristiche di questi due tipi di diritti:
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• Immediatezza dei diritti reali, che si esercitano tramite un rapporto immediato e diretto con la
cosa (ad esempio, il diritto di proprietà); i diritti di credito, invece, richiedono la cooperazione del
debitore e non sono quindi immediati, ma richiedono la collaborazione di un altro soggetto.
• I Diritti Reali sono assoluti, i Diritti di Credito sono relativi: il diritto reale può essere fatto
valere nei confronti di chiunque, mentre il diritto di credito può essere fatto valere solamente nei
confronti del debitore.
È possibile, ad esempio, che su un bene gravi il diritto reale di un altro soggetto (ad esempio, X
possiede un bene ma Y ha un diritto reale sullo stesso bene, come può essere l’usufrutto; X è il
nudo proprietario del bene). Se X decide di vendere il bene a Z, il diritto di usufrutto di Y sul bene
verrà mantenuto anche dopo il passaggio di proprietà: si parla di Diritti Reali opponibili a Terzi,
ovvero i diritti reali sono come un marchio impresso sul bene (Diritto di Seguito). L’art. 1153,
comma 2, già citato prima, deroga a questo principio, stabilendo un’eccezione: secondo questo
articolo, infatti, sostiene che, se l’acquirente è in buona fede e non conosce i diritti reali di terzi
soggetti sul bene, acquisterà la piena proprietà del bene.
Si parla di un diritto di credito, invece, se il proprietario di un terreno si impegna a consegnare un
quarto del raccolto ricavato dal terreno ad un altro soggetto. In quanto diritto di credito, ovvero
Diritto Personale, il diritto a ricevere questa parte del raccolto sarà valido solamente tra questi due
soggetti: se il terreno verrà venduto, il titolare del diritto non potrà opporlo al nuovo proprietario del
terreno.
• I diritti reali sono protetti dalle Azioni Reali, ovvero azioni giuridiche che richiedono la prova
della proprietà del bene o della titolarità del diritto, cosa che risulta difficile in alcune situazioni.
Anche le azioni reali possono essere esercitate contro qualunque soggetto. Le Azioni Personali
proteggono invece i diritti di credito: si tratta di azioni che si possono esercitare solamente contro
il debitore, non contro un terzo soggetto che abbia pregiudicato il diritto.
Esempio: il conduttore di un appartamento in locazione incontra una persona che sostiene di avere
il diritto a stare nell’abitazione. Questa persona compie quindi delle molestie di diritto, sostenendo di
essere il titolare del diritto stesso. Il conduttore non potrà agire direttamente contro questa persona,
ma si dovrà rivolgere al suo locatore (ovvero il suo debitore), a cui dovrà chiedere di garantirlo
contro le molestie del terzo.
Anche il titolare di un diritto reale può intraprendere un’azione personale; in questo caso, non dovrà
dimostrare la titolarità del diritto, che in alcuni casi è difficilmente provabile. Tuttavia, non potrà
intraprenderla nei confronti di un terzo soggetto, come nel caso dei diritti di credito.
• I diritti reali sono Tipici, mentre quelli di credito sono Atipici. I diritti reali hanno quindi un
numero chiuso: non si possono costituire diritti reali diversi da quelli previsti dalla legge, né si
possono attribuire a questi diritti contenuti diversi da quelli stabiliti dalla legge. Nel caso dei diritti
di credito, i soggetti possono stabilire diritti diversi da quelli stabiliti dalla legge, anche
completamente nuovi, e attribuire a diritti già esistenti dei contenuti nuovi: se le parti danno vita a
un diritto non riconducibile a nessuno dei diritti reali stabiliti dalla legge, questo diritto sarà
sicuramente un diritto di credito.
La legge prevede un numero chiuso per i diritti reali a causa dei costi transativi: prima della
codificazione (1804), i diritti reali non avevano un numero chiuso e tali diritti potevano essere creati
da diversi soggetti (come i nobili o la Chiesa), andando a gravare su uno stesso bene. Questi diritti
continuavano a sussistere anche dopo le eventuali alienazioni del bene e questo faceva sì che
difficilmente un soggetto volesse acquistare un bene su cui gravavano moltissimi diritti di diversi
soggetti: la circolazione dei diritti e dei beni risultava compromessa. I legislatori, quindi, posero un
limite, stabilendo il principio del numero chiuso dei diritti reali.
Recentemente, la creatività degli operatori economici mette alla prova il principio del numero chiuso:
ne è un esempio la multiproprietà, un diritto di proprietà limitato nel tempo, che non è previsto dalla
legge e va quindi in tensione con il principio del numero chiuso. Quindi, questo principio che risulta
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troppo rigido viene aggirato, facendo accettare dalla legge i diritti che si scontrerebbero con i diritti
reali.
Le Obbligazioni Reali sono un punto di sintesi tra i due diritti: sono obbligazioni che gravano su un
soggetto perché ha il possesso di un bene. Ad esempio, sono obbligazioni reali le spese
condominiali, che ciascun condomino è tenuto a pagare perché è titolare del diritto di proprietà del
suo appartamento. Nel momento in cui l’appartamento verrà venduto, l’acquirente acquisterà il bene,
la comproprietà delle parti comuni dell’appartamento e anche l’obbligazione reale delle spese
condominiali. Queste obbligazioni seguono la titolarità del diritto reale corrispondente, anche a
seguito di eventuali alienazioni del bene.
LA PROPRIETA’
La Proprietà è descritta all’art. 832, nel libro III del Codice civile, il quale prevede che il proprietario
abbia diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, nei limiti posti dalla legge.
Si tratta di una norma-quadro, che ha valore per la sua struttura più che per il suo contenuto: il
proprietario ha poteri di godimento e di disposizione del bene (valore d’uso), può alienarlo e
sfruttare il suo valore di scambio. Inoltre, sono presenti delle limitazioni a questo diritto, legate
all’ordinamento giuridico.
Il diritto di proprietà era centrale nel sistema del Codice Napoleonico del 1804, rappresentativo dello
Stato liberale ottocentesco: il potere del proprietario era assoluto e tendenzialmente illimitato,
mentre la proprietà principale era quella fondiaria, relativa quindi ai beni immobili. Questo codice
riflette una situazione economica ancora legata all’agricoltura: il terreno è il bene economicamente
rilevante. L’assolutezza del potere del proprietario ha una valenza politica (il proprietario ha una
sfera di diritti intangibile da parte del potere pubblico e dei ceti meno abbienti) e una valenza
economica (l’affermazione del diritto di proprietà serve ad affermare che su un bene viene esercitato
il potere di un solo individuo e a far circolare meglio il bene). La centralità del diritto di proprietà si
attenua nel ‘900: nel Codice del 1942, la proprietà ha perso gran parte della sua centralità. Viene
attuata la mobilizzazione della ricchezza, ovvero la ricchezza si trova sempre più in beni mobili e
meno nei beni immobili (grazie allo sviluppo dei metodi di produzione industriale), così come la
smaterializzazione della ricchezza: si diffondono i beni immateriali, dotati comunque di grande utilità
e valore. Inoltre, si sviluppa una separazione tra la proprietà e il controllo della ricchezza: nelle
S.p.A., ad esempio, la proprietà del capitale spetta ai soci ma la gestione del patrimonio è affidata
ad amministratori diversi dai soci.
Aumentano, inoltre, le rivendicazioni dei ceti meno abbienti, in forma organizzata tramite partiti e
sindacati. Tutto questo promuove la transizione dallo Stato liberale allo Stato sociale, attualmente
in una fase di revisione e alleggerimento: lo Stato sociale non si limita a garantire l’esercizio dei
diritti e delle libertà, ma vuole colmare le differenze tra i cittadini, realizzando un’uguaglianza
sostanziale tra essi.
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limiti ai poteri del locatore). Infine, l’articolo 42 prevede anche l’espropriazione della proprietà,
tramite pagamento di un indennizzo, ma solamente per esigenze di interesse generale, come la
costruzione di opera pubbliche; inoltre, viene prevista una riserva di legge: l’espropriazione può
avere luogo solo nelle condizioni previste dalla legge. L’indennizzo ottenuto non si avvicina al valore
commerciale del bene espropriato, ma non deve essere irrisorio: sarà quindi corrispondente al
valore venale del bene, diminuito del 50%.
Il diritto di proprietà risulta quindi limitato dalla Costituzione se c’è la presenza di un interesse
generale. Secondo una tesi più dirigista (di sinistra) non esiste un nucleo minimo del diritto di
proprietà: se l’espropriazione è giustificata, può essere totale. Secondo un punto di vista più liberale,
invece, esiste un nucleo incomprimibile del diritto di proprietà: ad esempio, la legge non può togliere
a un proprietario il diritto di edificare su un terreno idoneo; se la legge comprime oltremodo i diritti
del proprietario, la legge realizza una vera e propria espropriazione, togliendogli il contenuto minimo
essenziale del diritto di proprietà. Questo punto di vista è stato accolto dalla Corte costituzionale,
che ha anche dichiarato illegittima una legge che impediva di edificare sui terreni di proprietà.
Si parla poi di atti di emulazione (art. 833) nel dire che un proprietario non può compiere atti che
causino danni a soggetti terzi nel proprio fondo. Ad esempio, costruire un muro in un terreno
precludendo a un vicino la vista di un lago, senza alcuna altra funzione pratica, il vicino potrà
chiedere l’inibizione di questo atto.
In relazione alle proprietà fondiarie, la legge limita l’esercizio della proprietà in relazione alle
distanze: la legge, ad esempio, prevede che non si possa costruire a meno di 3 metri dagli edifici
del fondo confinante. Si può tuttavia costruire in aderenza al fondo confinante, sconfinando nell’altro
fondo, in cambio del pagamento di un indennizzo al proprietario confinante. Oltre a queste distanze
minime, i regolamenti edilizi comunali prevedono anche distanze maggiori, derogando quindi alla
legge. La legge regolamenta anche le luci (che fanno passare la luce ma non fanno vedere nel
fondo del vicino) e le vedute (che consentono di affacciarsi sul fondo del vicino): per tutelare la
riservatezza, sono previste distanze minime tra le costruzioni.
La legge disciplina anche (art. 844) le immissioni di fumo, calore, rumore: si tratta di energie o di
materiali capaci di propagarsi da un fondo ad un altro. Le immissioni non possono essere impedite
se non superano una certa soglia: il proprietario che le subisce può impedire le immissioni solo se
superano la normale tollerabilità. Se questo avviene, può avviare un provvedimento di inibizione che
impedisca la prosecuzione dell’attività che provoca le immissioni. In relazione a questo fatto è stata
pensata la teoria dei costi di transazione: un proprietario che subisce le immissioni sarebbe
disposto a non avviare il procedimento di inibizione in cambio di un pagamento, che andrebbe a
carico del proprietario che causa le immissioni. La normale tollerabilità delle immissioni è stabilita
sempre nell’art. 844: bisogna considerare la condizione dei luoghi (se ci si trova in una zona
residenziale la soglia si abbassa, a differenza di quanto avviene in una zona industriale), la priorità
di un determinato uso (se si è insediata prima una fabbrica o coloro che vi abitano intorno),
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prendendo in considerazione sia le esigenze della produzione che le ragioni della proprietà, ovvero
del proprietario che subisce le immissioni (cosa succederebbe se si accogliessero le richieste del
proprietario che subisce le immissioni).
Se un’immissione non supera la soglia della normale tollerabilità, il giudice permetterà all’attività di
continuare, ma chi subisce le immissioni potrebbe avere diritto a un indennizzo. L’articolo 844,
quindi, non si presta ad essere un rimedio contro l’inquinamento: gli strumenti accordati al
proprietario tutelano il singolo individuo che viene pregiudicato dalle immissioni, mentre
l’inquinamento pregiudica gli interessi collettivi di un’intera comunità esposta alle immissioni.
Esistono quindi delle leggi speciali che cercano di limitare l’inquinamento atmosferico.
7. Anche l’usucapione è un tipo di acquisto della proprietà a titolo originario, con cui la proprietà
viene acquisita tramite il possesso. In questo contesto si inserisce anche la regola del possesso
vale titolo: se il bene viene consegnato, se c’è la buona fede e se esiste un titolo d’acquisto valido,
si verifica il legittimo trasferimento della proprietà. Sono invece acquisti a titolo derivativo il
Contratto e la Successione per causa di morte. Nella successione, i beni del defunto si trasferiscono
ai suoi successori, eredi o legatari: è un acquisto a titolo derivativo perché il passaggio di proprietà
si verifica solo se il defunto era effettivamente proprietario del bene.
In ambito economico, sono più rilevanti gli acquisti a titolo derivativo; tuttavia, tra gli acquisti a titolo
originario, l’usucapione e la regola possesso vale titolo hanno il compito di favorire la circolazione
dei beni e la tranquillità nell’effettuare passaggi di proprietà.
TUTELA DELLA PROPRIETA’
Le azioni che un proprietario compie a tutela del suo diritto di proprietà si dicono Azioni Petitorie.
Queste azioni richiedono la prova della proprietà del bene, che non è sempre facilmente
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dimostrabile: occorrerebbe risalire a tutti i precedenti proprietari del bene, fino a risalire a un
acquisto a titolo originario. Per superare questa difficoltà di prova, si tende a dimostrare che
esistono i presupposti per l’acquisto a titolo originario prima di un’azione petitoria: ad esempio, si
cerca di verificare che esistono i presupposti per l’usucapione, oppure per la regola possesso vale
titolo, così da rendere irrilevanti le eventuali irregolarità nella circolazione del bene. Le azioni
petitorie, come la proprietà, sono imprescrittibili: non si può perdere la titolarità del diritto, anche se
non viene esercitato per molto tempo, non esiste prescrizione.
È un’azione petitoria l’azione di rivendicazione, in base alla quale il proprietario può recuperare il
bene contro chi possiede o detiene il bene senza titolo: chi subisce un’azione di rivendicazione può
dimostrare che chi agisce non è proprietario oppure dimostrare di avere un titolo sulla base del
quale si detiene la proprietà. Se il bene fosse stato poi trasferito a un terzo, chi subisce la
rivendicazione è tenuto a recuperare il bene oppure a indennizzare l’attore della rivendicazione. Se
il proprietario riuscirà a recuperare il bene dal terzo, dovrà restituire l’indennizzo.
Nel caso delle molestie di diritto o di fatto, ovvero se qualcuno mette in dubbio il diritto di proprietà di
un proprietario, invece, si può intraprendere un’Azione negatoria: il giudice dovrà accertare che la
proprietà appartenga a chi subisce le molestie, che impediscono al proprietario di godere del bene,
procedendo con una sentenza inibitoria.
Anche l’azione di regolamento dei confini tra due fondi è un’azione petitoria, presuppone che il
confine fra due fondi sia incerto, perché non c’è divisione tra i due fondi. In tal caso, ciascuno dei
proprietari interessati può chiedere che si stabilito dal giudice. La prova dell’effettiva posizione del
confine può essere data con ogni mezzo dall’uno e dall’altro proprietario. Se nessuno dei due riesce
a dare la prova, il giudice decide in base alle risultanze delle mappe catastali.
È un’azione petitoria anche l’azione di apposizione di termini, presuppone che il confine sia certo,
i segni che lo marcano, staccionate, muri o altri mezzi, non esistono o sono diventati irriconoscibili;
quindi, ciascuno dei proprietari può richiedere che siano apposti a spese comuni.
LA COMPROPRIETA’
La proprietà, come anche altri diritti, può essere di soggetti diversi: si parla di comproprietà quando
più soggetti sono contemporaneamente titolari del diritto di proprietà su un bene. La comproprietà
può essere volontaria se nasce per iniziativa dei comproprietari e, in questo caso, potrà essere
sciolta; è invece incidentale quando nasce indipendentemente dalla volontà dei comproprietari, che
tuttavia possono sempre scioglierla (è il caso della comunione ereditaria); quando la comproprietà è
forzosa, nasce a prescindere dalla volontà degli interessati, che non possono scioglierla (è il caso
del condominio degli edifici: se si acquista la proprietà di un appartamento, si ottiene anche la
comproprietà degli spazi comuni e quindi l’obbligo a contribuire al loro mantenimento).
Ognuno dei comproprietari ha diritto su una quota dei beni, ovvero una frazione dei poteri di
godimento e di disposizione dei beni in comproprietà. Un comproprietario avrà poteri di godimento:
può servirsi del bene senza alterarne la destinazione e consentendo sempre l’uso agli altri
comproprietari. Per quanto riguarda i poteri di disposizione, riguardano solo la quota ideale che è di
proprietà di ciascun comproprietario. Alla comproprietà corrisponderà anche un’obbligazione reale,
che andrà a contribuire al mantenimento delle quote comuni. Se la comunione non è forzosa, inoltre,
un comproprietario può rinunciare alla propria quota, cedendola in proporzione agli altri
comproprietari.
L’amministrazione dei beni in comproprietà segue il principio maggioritario: le decisioni relative alla
gestione della cosa comune vengono prese dai comproprietari attraverso deliberazioni, assunte
dalla maggioranza e vincolanti per la minoranza dissenziente. Per valutare maggioranza e
minoranza, assumono rilevanza le entità delle quote e non le persone dei comproprietari: se un
soggetto ha il 60% delle quote, allora prevarrà sulla volontà degli altri proprietari.
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La comunione non forzosa si scioglie con l’atto di divisione, che sostituisce la comproprietà sui beni
con un diritto di proprietà esclusiva in capo ai singoli proprietari. Questo può avvenire tramite un
contratto (divisione convenzionale) tramite una sentenza (divisione giudiziaria). La comproprietà
rende più difficile l’amministrazione dei beni e la loro circolazione; quindi, non è ben vista dalla legge.
Ogni comproprietario, quindi, ha il diritto di chiedere la divisione per sciogliere la proprietà; la
divisione, inoltre, ha efficacia retroattiva: si considera il comproprietario come se fosse sempre stato
proprietario esclusivo della sua parte di bene. Questo è particolarmente rilevante nel pagamento
delle imposte.
Una forma particolare di comunione è il condominio degli edifici in cui le unità immobiliari sono di
proprietà esclusiva, mentre le parti comuni sono in comproprietà. È un tipo di comunione forzosa,
che un comproprietario non può sciogliere: il condomino non può rinunciare alla comproprietà degli
spazi comuni. Questa comproprietà è proporzionale al valore della proprietà esclusiva, calcolata
tramite una tabella millesimale in relazione alla superficie dell’appartamento. Il contributo alle spese
sarà quindi proporzionale alla quota del singolo condomino; nel caso dei servizi il cui uso è
disuguale, come quelle dell’ascensore, anche la contribuzione sarà diversificata (il condomino al
piano terra pagherà meno). Il condominio, pur non essendo un autonomo soggetto di diritto, è
strutturato al suo interno: ha un’Assemblea, un Amministratore e un regolamento che ha la funzione
di disciplinare l’uso delle parti comuni.
L’USUFRUTTO
Il Diritto di Usufrutto è il diritto di godere di una cosa e dei suoi frutti, senza cambiare la sua
destinazione economica. L’usufruttuario, quindi, può usare il bene su cui ha diritto e goderne i frutti,
sia naturali che civili: può raccogliere i prodotti agricoli di un terreno, può dare in locazione
un’abitazione che ha in usufrutto. Va per rispettata la destinazione economica del bene: non si può
usare un terreno agricolo per effettuare degli scavi nel sottosuolo, così come non si può trasformare
un appartamento ad uso residenziale in un negozio. Il proprietario di un bene su cui grava un diritto
di usufrutto da parte di altri ha la nuda proprietà del bene.
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Il diritto di usufrutto si può stabilire per contratto (acquisto a titolo derivativo di tipo costitutivo), per
testamento, per disposizione di legge (ad esempio, i genitori hanno l’usufrutto legale dei beni del
figlio) o per usucapione (come avviene anche per il diritto di proprietà).
Se è presente l’usufrutto, la proprietà ha una limitazione del proprio diritto; per questo, la legge pone
un limite di tempo per il diritto di usufrutto, pari alla vita dell’usufruttuario. Alla morte di questo, il
proprietario otterrà la piena proprietà del bene. Se l’usufruttuario vivrà più a lungo, la durata
massima dell’usufrutto sarà di 30 anni.
Il diritto di usufrutto, come la proprietà, può essere alienato. Tuttavia, il diritto che viene alienato avrà
comunque un limite pari alla vita del primo usufruttuario: se X ha un diritto di usufrutto e aliena
questo diritto a Y, il diritto di usufrutto avrà termine sempre alla morte di X. Se questo non avvenisse,
il diritto di usufrutto potrebbe essere potenzialmente infinito, causando danni al proprietario.
Quando sono necessarie delle spese per il bene, le spese di ordinaria amministrazione vanno a
carico dell’usufruttuario, mentre il proprietario del bene dovrà farsi carico delle spese di straordinaria
amministrazione.
Il diritto di usufrutto può estinguersi per scadenza del termine previsto dal contratto, per morte del
primo usufruttuario, per rinuncia dell’usufruttuario, per prescrizione (fenomeno per cui il mancato
esercizio del diritto per 20 anni comporta la perdita del diritto stesso), per effetto di consolidazione
(unione dell’usufruttuario e del nudo proprietario nella stessa persona: se un padre cede in usufrutto
un bene al figlio e il padre muore, il figlio acquista la nuda proprietà del bene che lui stesso ha in
usufrutto, quindi ne acquista la piena proprietà), per la distruzione del bene o per decadenza dovuta
ad abusi dell’usufruttuario. In ogni caso, il proprietario acquisterà la piena proprietà del bene.
USO E ABITAZIONE
Uso e Abitazione sono diritti simili all’usufrutto, ma hanno poteri di godimento più limitati.
L’usuario o il titolare del diritto di abitazione possono utilizzare il bene o abitarlo, ma limitatamente ai
bisogni propri e della propria famiglia. Sono diritti reali con una connotazione personale: il potere di
godimento e di trarre i frutti di un bene è limitato ai bisogni individuali.
Ne è un esempio il diritto che ha il coniuge superstite sulla casa famigliare: alla morte di uno dei
coniugi, il superstite ha per legge il diritto di abitazione sulla casa famigliare e di uso sui mobili. Una
situazione del genere spesso si risolve con una comproprietà con altri soggetti, ma il superstite avrà
comunque il diritto di uso e di abitazione.
Questi due diritti non sono alienabili, né tantomeno possono essere dati in locazione: sono diritti
incentrati sull’esigenza e sulla figura del loro titolare, legati ai suoi bisogni.
LE SERVITU’ PREDIALI
Si tratta del peso imposto su un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a un diverso
proprietario. Si hanno quindi un Fondo Servente e un Fondo Dominante: sul fondo servente grava
un peso legato all’utilità del secondo, ad esempio il diritto da parte del proprietario del fondo
dominante di passare sul fondo servente con degli autoveicoli.
È necessario che i proprietari dei due fondi siano diversi, altrimenti il diritto non avrebbe ragione di
esistere; inoltre, deve sussistere la predialità: il peso imposto sul fondo servente non deve dare
un’utilità a una persona, ma a un fondo, ovvero al fondo dominante. Il peso serve ad accrescere il
valore del fondo dominante, non ad accrescere i vantaggi del suo proprietario. La servitù, inoltre,
può consistere solamente in un comportamento passivo, ovvero a un “non-fare” o a un
“sopportare”: ad esempio, l’impegno a consegnare una parte del proprio raccolto non può essere
una servitù prediale, mentre lo sarà l’accordo a far passare dei veicoli sul proprio fondo (servitù di
passaggio), oppure l’impegno a non costruire, oltre a una certa altezza (servitù di non
sopraelevazione). Esistono anche altri tipi di servitù, come la servitù di acquedotto o di elettrodotto,
di pascolo.
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La classificazione più importante tra le servitù è quella tra servitù apparenti (in cui esistono opere
permanenti su cui vale il diritto di servitù) e non apparenti (in cui il diritto di servitù non prevede la
presenza di opere permanenti). Ad esempio, una strada o un acquedotto sono opere permanenti
destinate all’esercizio di una servitù apparente; la servitù di passaggio, invece, così come quella di
pascolo, è un esempio di servitù non apparente.
Solo le servitù apparenti possono essere acquisite per usucapione.
La servitù è legale o coattiva quando è espressamente prevista dalla legge nel caso di determinati
soggetti: ad esempio, il proprietario di un fondo intercluso, che non ha accesso alla strada pubblica,
avrà il diritto di servitù di passaggio sui fondi confinanti per raggiungere la strada. In questo caso,
chi ha diritto alla servitù può trovare un accordo con gli altri soggetti oppure può chiedere al giudice
una sentenza costitutiva con cui otterrà la servitù in cambio di un indennizzo da versare all’altro
soggetto. Si parla invece di servitù volontaria quando si costituisce con un contratto, con un
testamento, per usucapione (ma solo se si tratta di servitù apparente) o per destinazione del padre
di famiglia.
Una servitù si può estinguere per rinuncia del titolare (ad esempio, un titolare può rinunciare se si
rende conto che le spese che deve sostenere sono troppo onerose rispetto ai vantaggi che trae
dalla servitù), per effetto di consolidazione (se il proprietario del fondo dominante è anche
proprietario del fondo servente), per prescrizione.
L’esercizio del diritto di servitù viene pregiudicato se si verificano molestie sia da parte del
proprietario del fondo servente che da parte di quello del fondo dominante. In presenza di molestie,
si avvia un’azione confessoria, che presuppone la prova del diritto di servitù e che è valida sia in
presenza di molestie fisiche che di molestie di diritto.
DIRITTO DI SUPERFICIE
Un tipo di acquisto del diritto di proprietà a titolo originario è l’accessione: ogni opera costruita al di
sopra o al di sotto del suolo appartiene al proprietario del suolo stesso. Il Diritto di Superficie
consente di neutralizzare l’accessione, separando la proprietà del terreno da quella delle opere che
si trovano sopra o sotto di esso. La proprietà dell’opera prende il nome di proprietà superficiaria.
Questo è l’unico modo per scindere la proprietà del terreno da quella delle opere costruite su di
esso o sotto di esso.
Grazie a questo diritto, dunque, è possibile che il proprietario di un fondo costituisca a favore del
superficiario un diritto di superficie sul fondo e che il superficiario edifichi su questo terreno,
riservandosi la proprietà del suolo. Questa ipotesi vale anche prima che l’edificio sia costruito e
anche quando l’edificio è stato già costruito: se P ha un fondo su cui è costruito un edificio, potrà
trasferire a S la proprietà dell’edificio, costituendo anche a favore di S il diritto di superficie; se non lo
fa, il contratto sarà nullo.
Il diritto di superficie è limitato e a tempo determinato: al termine, il proprietario del fondo tornerà ad
avere la proprietà del suolo. Si può estinguere anche per prescrizione, per rinuncia del titolare, o
anche per consolidazione. In ogni caso, dopo l’estinzione del diritto tornerà a valere il principio di
accessione.
IL POSSESSO
Il possesso differisce dalla proprietà: la proprietà è un diritto, mentre il possesso, giuridicamente (art.
1140), è un potere di fatto che corrisponde all’esercizio della proprietà o di un altro diritto reale. Se
il possesso corrisponde all’esercizio della proprietà, si parla di Possesso Pieno; se il possesso
corrisponde all’esercizio di un altro diritto reale, si parla di Possesso Minore.
Il possesso è formato da due elementi, ovvero la materiale disponibilità della cosa da parte del
possessore, che ne dispone in maniera diretta o indiretta, e l’animus possidendi, ovvero la volontà
da parte del possessore di esercitare sul bene un potere corrispondente a quello del proprietario del
bene: ad esempio, un ladro è possessore del bene, perché utilizza il bene come se ne fosse
proprietario e ha la volontà di farlo. Questo elemento psicologico distingue il possesso dalla
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Detenzione, che avviene quando un soggetto ha la disponibilità materiale del bene ma non intende
esercitare su di esso un potere corrispondente a quello del proprietario. Un detentore acquisisce il
ruolo del possessore quando compie un atto di opposizione contro il proprietario, oppure quando
muta il titolo sulla base del quale ha la detenzione del bene.
Infine, il Possesso può essere Legittimo o Illegittimo: si tratta di una differenza rispetto alla
proprietà, dal momento che il possesso potrebbe anche non essere conforme al diritto, potrebbe
non coincidere con la situazione stabilita dal diritto. Si parla di Possesso Legittimo se il possessore
di un diritto è l’effettivo titolare del diritto stesso; il possesso sarà invece Illegittimo quando il potere
di fatto sul bene viene esercitato da un soggetto diverso dal titolare del diritto sul bene (ad esempio,
un ladro è un possessore illegittimo: può disporre del bene ma non è titolare del diritto sul bene).
Il Possesso Illegittimo, a sua volta, può essere di buona fede quando il possessore che esercita il
potere di fatto sul bene senza essere titolare del corrispondente diritto pensa di essere titolare del
diritto stesso; il possesso illegittimo è invece di mala fede quando il possessore sa di non essere
titolare del diritto.
La legge favorisce (art. 1147) la buona fede, che viene infatti presunta (presunzione di buona fede):
se un soggetto esercita un potere di fatto su un bene, si presume che sia titolare del diritto e che lo
sia in buona fede. La buona fede che ha luogo al momento dell’acquisto, inoltre, favorisce il
possessore, facilitandone ad esempio l’usucapione del bene. Tuttavia, la buona fede non giova al
possessore se dipende da colpa grave, ovvero da una pesante negligenza, da un difetto di
attenzione: se il possessore ritiene di essere titolare soltanto a causa di una grossolana negligenza,
allora non si tratta di possesso in buona fede.
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TUTELA DEL POSSESSO
Il Possesso, dunque, crea un problema: non è un diritto, ma è una situazione di fatto e può essere
sia legittimo che illegittimo e, talvolta, contrasta con la situazione del diritto.
Tuttavia, la legge favorisce il possesso con una serie di presunzioni perché connette al possesso
stesso delle conseguenze giuridiche particolari.
Il possesso, infatti, è tutelabile come tale, anche se alla situazione di fatto non corrisponde una
situazione di diritto. Il possessore, quindi, può agire contro chi l’ha privato del possesso, anche se
non è proprietario; può quindi esercitare azioni possessorie. Se un legittimo proprietario decide di
farsi giustizia da solo (violando il monopolio statale sui mezzi di coercizione: divieto di autotutela
privata), il possessore potrà agire contro di lui. L’azione possessoria consente molto spesso di
tutelare in maniera più veloce la proprietà: nella maggior parte dei casi, il possesso è legittimato
dalla proprietà, quindi le due cose coincidono; inoltre, l’azione possessoria è più veloce perché
richiede la prova del possesso, non la prova della proprietà (richiesta nella azione petitoria).
In un processo, vale un corollario in base al quale il giudizio possessorio si svolge prima del giudizio
petitorio; una sentenza della Corte costituzionale (n 25/1992) ha tuttavia attenuato questo principio,
che prima era assoluto.
LE AZIONI POSSESSORIE
Le Azioni possessorie sono:
• L’azione di reintegrazione, che si può attuare quando il bene è stato sottratto al possessore in
modo violento o nascosto. Va esercitata entro un termine di decadenza di 1 anno dal momento
in cui è avvenuta la sottrazione oppure dal momento in cui è stata scoperta. Questa azione
protegge sia il possessore che il detentore qualificato di un bene, ovvero colui che non detiene il
bene per questioni di cortesia o di ospitalità (ad esempio, il conduttore di un appartamento in
locazione).
• Azione di manutenzione, che reagisce a molestie che turbano il godimento del bene oppure a
uno spoglio non violento e manifesto del bene. Riguarda beni immobili oppure universalità di
mobili (una serie di beni mobili che hanno una stessa funzione, come un gregge, una
collezione…). Questa azione va esercitata entro un anno dalle molestie o dallo spoglio. Inoltre, è
necessario che il possesso di chi effettua l’azione duri da almeno un anno e che l’acquisto del
possesso non sia avvenuto in modo violento o clandestino. Il detentore, anche qualificato, non
può esercitare un’azione di manutenzione.
• Azione di nunciazione, che evita che si verifichino turbative del possesso, agendo in modo
preventivo. Si parla di denuncia di nuova opera¸ con cui si denuncia l’inizio di un’opera che può
pregiudicare il possesso di chi agisce in giudizio; tale denuncia va effettuata entro un anno
dall’inizio dell’opera e prima che l’opera sia terminata. Esiste anche la denuncia di danno temuto,
che si effettua quando si teme che ci possa essere un pregiudizio a un bene di cui si ha il
possesso.
L’usucapione è volta a favorire l’utilizzo produttivo delle risorse: un soggetto che utilizza un bene in
modo economicamente produttivo pur non essendone proprietario acquisterà la proprietà del bene
stesso, che risulterà quindi economicamente più efficiente.
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Inoltre, favorisce una maggiore certezza nei rapporti giuridici: tutti i soggetti terzi tendono ad
identificare il legittimo proprietario nel possessore del bene, ovvero da chi lo sfrutta in modo
economicamente produttivo.
Infine, l’usucapione consente di semplificare la prova della proprietà: dimostrando di aver usucapito
il bene, si dimostra automaticamente di esserne proprietario, rendendo ininfluenti eventuali
irregolarità nei passaggi di proprietà precedenti.
Per l’usucapione, occorre che non vi sia possesso vizioso, ovvero acquisito in modo violento o
clandestino. Se questo invece avviene, il tempo per l’usucapione parte da quando cessa il possesso
violento o clandestino.
Inoltre, il possesso del bene deve essere continuo nel tempo, cioè non deve aver subito interruzioni.
La disciplina dell’interruzione e della sospensione dell’usucapione è analoga a quella della
prescrizione.
L’usucapione ordinaria si produce anche se il possesso è di mala fede e ha un termine di 20 anni.
Si parla invece di usucapione abbreviata quando il possesso è di buona fede; il termine varia a
seconda del bene ma sarà minore di 20 anni. La regola possesso vale titolo (beni mobili non
registrati) (art. 1053) è un’altra conseguenza del possesso: il possessore acquista la proprietà di un
bene mobile non registrato in presenza di un titolo adeguato, della buona fede dell’acquirente e
della consegna del bene.
Anche la disciplina dei frutti e delle spese deriva dal possesso: quando il possesso è illegittimo e il
possessore è in mala fede, il possessore dovrà restituire il bene e dovrà anche restituire gli
eventuali frutti del bene.
Se invece il possessore è in buona fede, dovrà restituire solo i frutti maturati dopo la domanda
giudiziaria da parte del proprietario.
Chi restituisce i frutti, tuttavia, avrà diritto ad ottenere un rimborso delle spese sostenute per
ottenere i frutti.
Cosa succede se il possessore ha sostenuto delle spese che portano al miglioramento del bene?
• Se il possessore è in buona fede ha diritto al rimborso delle spese
• Se il possessore è in mala fede ha diritto al rimborso della minor somma tra l’aumento di valore e
le spese sostenute
LE OBBLIGAZIONI
Le obbligazioni sono regolamentate dal libro IV del Codice civile: il titolo I disciplina le obbligazioni
come tali, a prescindere dalla loro fonte, ovvero dal fatto o dall’atto che le ha generate; vengono poi
disciplinate le fonti delle obbligazioni, come i contratti o anche i fatti illeciti. Le regole che non
considerano il fatto che ha generato l’obbligazione risultano astratte, ma permettono una
regolamentazione in qualsiasi situazione.
Un’obbligazione è l’obbligo a compiere una prestazione di carattere patrimoniale e a un’obbligazione
corrisponde un diritto di credito. Si riconoscono quindi un debitore e un creditore, termini che, in
linguaggio giuridico, hanno una connotazione più ampia, non legata solamente ai pagamenti in
denaro, ma estesa a tutte le prestazioni di carattere patrimoniale (ad esempio il caso di un appalto,
che riguarda sia un pagamento che il diritto di costruire un edificio). L’art. 1174 del Codice civile
prevede appunto che la prestazione oggetto di un’obbligazione debba avere carattere patrimoniale e
debba rispondere a un interesse anche non patrimoniale del creditore: la prestazione, dunque, deve
essere economicamente valutabile, a tutela del creditore.
Un creditore può intraprendere un’azione di adempimento, con la quale può costringere il debitore
a eseguire la prestazione dopo la relativa sentenza di condanna. Inoltre, può chiedere il
risarcimento del danno se l’obbligazione non viene completamente eseguita: per questo motivo è
fondamentale la valutabilità economica dell’obbligazione stessa.
Si tratta di due strumenti che implicano una limitazione della libertà del debitore, che viene costretto
a eseguire la prestazione; pertanto, sono strumenti appropriati solamente in ambito patrimoniale,
non in ambito personale: c’è differenza rispetto agli obblighi (come l’obbligo di fedeltà in un
patrimonio), che non prevedono strumenti coercitivi. Le obbligazioni si differenziano anche dalle
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prestazioni di cortesia, eseguite non sulla base di un obbligo giuridico, ma effettuate per cortesia nei
confronti del creditore, eseguite sempre in modo gratuito.
Esistono anche prestazioni gratuite che costituiscono oggetto di un’obbligazione: ne è un esempio il
servizio navetta offerto da un albergo dall’aeroporto all’albergo stesso. In questo caso si tratta di
un’obbligazione perché la prestazione aumenta la qualità dei servizi dell’albergo, non è svolto per
cortesia.
Le Obbligazioni Civili o Perfette attribuiscono al creditore un’azione per ottenere l’esecuzione della
prestazione da parte del debitore. Inoltre, queste obbligazioni non prevedono la restituzione della
prestazione, dal momento che riconoscono lo svolgimento della prestazione: l’esistenza
dell’obbligazione riconosce la prestazione e impedisce la restituzione di quanto è stato pagato.
Nelle Obbligazioni Naturali, invece, il creditore non è legittimato ad agire contro il debitore. Resta
comunque uguale l’elemento della non restituzione della prestazione, a patto che la prestazione
venga effettuata spontaneamente dal debitore e in condizioni di intendere e di volere. Le
Obbligazioni Naturali sono particolari doveri morali o sociali, ma non giuridici: sono quindi ben
diverse dalle Obbligazioni.
Sono esempi di obbligazioni naturali i debiti di gioco, i debiti prescritti (ovvero la cui validità è
scaduta), i debiti verso i professionisti non iscritti all’albo, il mantenimento del convivente more
uxorio (ovvero il convivente non sposato).
Nel caso in cui ci siano più soggetti coinvolti nel rapporto obbligatorio, ad esempio se ci sono molti
debitori, si può attuare una Obbligazione Parziaria, ovvero chiedere il pagamento delle singole
quote di tutti i debitori. Questo sistema comporta una maggiore difficoltà nel farsi pagare, visto che
bisogna mettere in atto molte iniziative, e un aumento dei costi transattivi; inoltre, aumentano le
probabilità che uno dei debitori sia insolvente, ovvero che non possa pagare neanche tramite
un’azione coercitiva.
Un sistema alternativo è quello dell’Obbligazione Solidale: il creditore può esigere l’esecuzione
dell’intera prestazione da uno solo dei condebitori. Quando uno di questi avrà pagato interamente,
gli altri saranno liberati dall’obbligazione. Questo sistema favorisce il creditore, che avrà meno costi
transattivi e potrà ottenere più facilmente la prestazione che gli spetta; il rischio dell’insolvenza,
inoltre, non cade più sul creditore, ma sugli altri debitori.
L’obbligazione viene prevista dalla legge come solidale in presenza di una pluralità di debitori; sarà
invece parziaria solo quando il titolo dell’obbligazione (un contratto oppure la legge) prevede
diversamente: occorre quindi una precisa indicazione per deviare dalla normalità dell’obbligazione
solidale, come nel caso della successione per causa di morte. Il creditore viene quindi favorito dalla
legge, in modo da favorire lo sviluppo delle obbligazioni e il sorgere di nuovi crediti; anche dal punto
di vista economico, questo metodo è razionale per favorire l’associazione tra i condebitori, che
saranno invogliati a informarsi sugli individui con cui si assumono i rischi dell’obbligazione.
Dopo il pagamento di un’obbligazione solidale, il condebitore che ha pagato potrà esercitare
un’azione di regresso sugli altri condebitori, esigendo così da questi il pagamento delle loro quote.
Il condebitore che ha pagato, quindi, avrà ora il rischio dell’insolvenza dei suoi soci e rischierà di non
recuperare tutto il capitale dovuto.
La regola della solidarietà, dunque, trasferisce dal creditore al condebitore che ha pagato il rischio
dell’insolvenza degli altri condebitori: i condebitori, dunque, sono sicuramente invogliati a informarsi
sui propri soci prima di contrarre con loro un’obbligazione.
L’azione di regresso non può essere esercitata nei contratti di fideiussione (un soggetto si occupa di
pagare il debito di un altro soggetto), in base ai quali un garante garantisce nei confronti del
creditore l’adempimento dell’obbligazione da parte di un debitore principale: se quest’ultimo non
paga, sarà il garante a dovere al creditore l’adempimento della prestazione.
Nel caso ci siano dei condebitori in solido e ci siano delle vicende particolari che interessano il
creditore e uno solo dei debitori e che hanno un effetto positivo, questo effetto positivo si estenderà
anche agli altri condebitori; viceversa, se queste vicende private hanno effetti negativi, questi effetti
restano circoscritti all’unico debitore che ha avuto vicende con il creditore.
Ad esempio, la remissione (creditore rinuncia al suo credito) del debito si estende a tutti i
condebitori, ma la transazione del debito non si estende sempre: occorre che anche gli altri
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condebitori abbiano dato il consenso alla transazione. Rinuncia alla prescrizione per pagare il
proprio debito.
Il creditore, nel chiedere l’esecuzione della prestazione, potrà scegliere a quale dei condebitori
rivolgersi, a meno che uno di questi non abbia un beneficio di preventiva escussione: questo
debitore potrà essere interpellato solamente se gli altri non riusciranno a pagare.
Se ci sono molti debitori si parlerà di solidarietà passiva, mentre, se ci saranno molti soggetti
creditori, si ha il caso di una solidarietà attiva. In quest’ultimo caso, si presume che i creditori
abbiano diritto a parti uguali del pagamento, pertanto vige la regola della parziarietà.
L’obbligazione sarà invece solidale dal lato attivo quando la legge o il titolo lo prevedono, come nel
caso del servizio bancario delle cassette di sicurezza.
Oltre alle obbligazioni soggettivamente complesse (ovvero con molti debitori o molti creditori),
esistono obbligazioni oggettivamente complesse.
Le Obbligazioni Alternative hanno come oggetto due prestazioni che si trovano sullo stesso piano,
mentre quelle Facoltative, oggetto una sola prestazione e prevedono che il debitore possa liberarsi
svolgendo anche una prestazione diversa da quella prevista. Nelle obbligazioni alternative, può
accadere che una delle due prestazioni diventi impossibile da svolgere prima che il debitore scelga
quale svolgere: in questo caso, il debitore resterà obbligato a eseguire la prestazione rimasta
possibile. Se invece l’impossibilità si verifica quando la scelta è già stata effettuata, l’impossibilità
della prestazione libera il debitore.
Nel caso delle Obbligazioni Facoltative, invece, se la prestazione principale diventa impossibile, il
debitore è comunque liberato.
Le Fonti delle Obbligazioni sono il contratto, i fatti illeciti, cioè, fatti che cagionano un danno
ingiusto (che fanno nascere l’obbligazione al risarcimento del danno) e ogni altro atto o fatto idoneo
a produrre un’obbligazione.
In quest’ultima categoria ricadono il pagamento dell’indebito (ovvero, se si sbaglia a pagare una
prestazione, si dovrà ricevere indietro quanto eccede il giusto pagamento) o anche la gestione di
fatti altrui (art. 2028).
L’art. 1175 prevede che il debitore e il creditore debbano comportarsi secondo correttezza (buona
fede): è un’espressione che può essere elaborata da chi deve applicare la legge e che non ha una
definizione precisa. È una Clausola Generale che permette al giudice di elaborare la norma in base
ai valori che l’ordinamento protegge: in questo caso, la correttezza prevede che il debitore renda la
prestazione realmente utile per il creditore e che il creditore minimizzi il sacrificio per il debitore. Si
definiscono obblighi di protezione le prestazioni accessorie che il debitore mette in atto insieme
alla prestazione dell’obbligazione per massimizzare l’utilità per il creditore.
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La Quietanza (art. 1199) prevede che un debitore che ha eseguito esattamente la prestazione ha
diritto a ricevere una dichiarazione scritta con cui il creditore riconosce di aver ricevuto una
determinata prestazione e farne annotazione sul titolo se non è restituito al debitore.
Il rilascio di una quietanza per il capitale fa presumere il pagamento degli interessi.
Molto spesso, la quietanza ha la forma di una fattura quietanzale, ovvero una fattura con cui si dà
atto di aver ricevuto un corrispettivo per una prestazione. Una fattura di questo genere avrà sia
valore fiscale che valore a fini civilistici.
La quietanza è una dichiarazione di scienza che ha valore di confessione: ammette un fatto, come
un avvenuto pagamento, sfavorevole al creditore e favorevole al debitore.
Art. 1191. Un adempimento, se svolto da un debitore incapace, è sempre valido; il debitore non
potrà inoltre richiedere la restituzione della prestazione, neanche portando come scusa la propria
incapacità, non può impugnare il pagamento, perché la prestazione è dovuta. Incapacità esiste al
momento del pagamento, non al momento dell’assunzione dell’obbligazione.
Art. 1190. L’adempimento effettuato a favore di un creditore incapace è invece inefficace e non
libera il debitore; il debitore viene liberato solo se riesce tuttavia provare di aver effettuato la
prestazione a favore dell’incapace.
L’incapacità di agire, in entrambi i casi, dovrà presentarsi dopo la stipulazione del contratto ma prima
dell’adempimento.
Un terzo, che collabora con il debitore, può adempiere all’obbligazione: è il debitore ad adempiere.
Adempimento del terzo che non collabora con il debitore. Presuppone la capacità di agire del terzo
ed esegue l’obbligazione al di fuori dei due casi previsti dall’art. 1180.
Un’obbligazione può essere adempiuta da un’opera di terzi (art. 1228): il debitore sarà tuttavia
responsabile per le negligenze dei suoi collaboratori.
La legge prevede anche che il creditore può rifiutare un adempimento da parte di terzi solo se ha
interesse che la prestazione sia eseguita personalmente dal debitore oppure se sia il creditore che il
debitore si oppongono all’esecuzione della prestazione.
Nel caso in cui sia il debitore a volere il pagamento con surrogazione (per volontà del debitore),
chiederà a prestito (mutuo) una somma di denaro al soggetto terzo e userà questa somma per
pagare il creditore, surrogando allo stesso tempo il soggetto terzo nella posizione del suo vecchio
creditore.
L’effetto sarà sempre lo stesso: il soggetto terzo non ha pagato direttamente il creditore, ma va
comunque a sostituirsi ad esso. Anche in questo caso, le garanzie permangono anche a favore del
creditore surrogato (portabilità del mutuo: se un soggetto prende un prestito a una banca, potrà poi
trasferirlo a un’altra banca, con un meccanismo simile a quello del pagamento con surrogazione).
Esiste anche la situazione dell’adempimento al terzo, ovvero la situazione in cui il debitore deve
eseguire la prestazione nelle mani di un rappresentante del creditore o di un soggetto terzo indicato
dal creditore (rappresentante o la persona autorizzata dal giudice a riceverlo). Si può quindi trattare
del tutore del creditore, come anche di un suo collaboratore da lui indicato; se si esegue la
prestazione a favore di un altro soggetto, senza che ci sia indicazione da parte del creditore, il
debitore non è liberato, a meno che non provi che quanto eseguito sia effettivamente andato a
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vantaggio del creditore oppure a meno che il debitore non abbia eseguito il pagamento a un terzo
legittimato a ricevere tale pagamento in seguito a circostanze univoche e il debitore non sia in
buona fede.
Il debitore che abbia pagato al terzo è liberato quando:
• Il pagamento fatto a chi non era legittimato a riceverlo libera il debitore, se il creditore lo ratifica
(atto con cui un soggetto rende efficace nei propri confronti un atto che sarebbe inefficace) o se ne
ha approfittato
• Pagamento al creditore apparente. Presuppone: 1. Che il debitore abbia pagato a un terzo, ma
che questo soggetto apparisse come legittimato a riceverlo (sembrava avere le caratteristiche
necessarie per poter ricevere la prestazione) e se il debitore è in buona fede. 2. Chi ha ricevuto il
pagamento è tenuto alla restituzione al vero creditore, secondo le regole stabilite per la ripetizione
dell’indebito
Ad esempio, se un debitore deve pagare una somma di denaro a una società e, invece di
consegnarla al rappresentante legale, la consegna a una persona che sembra essere collegata alla
società. Si scopre in seguito che questa persona non è legata alla società, e che invece ha usato i
soldi per propri scopi; tuttavia, questa persona appariva legittimato a ricevere questa somma ed è
quindi un creditore apparente, mentre il debitore è in buona fede: in questa situazione, il debitore è
liberato anche se ha pagato a un soggetto diverso dal creditore o da un suo rappresentante. In
questo caso, sarà il creditore, ovvero la società, ad essere danneggiato, e potrà agire contro la
persona che si è impadronita del denaro: questa regola è volta a tutelare l’affidamento del debitore e
presuppone che chi riceve il pagamento sia legittimato a riceverlo.
ESATTEZZA QUANTITATIVA E QUALITATIVA
DELL’ADEMPIMENTO
Il debitore è tenuto ad adempire integralmente la prestazione e deve eseguire esattamente la
prestazione stessa. L’art. 1181 prevede che, se il debitore esegue la prestazione parzialmente, il
creditore potrà rifiutare l’adempimento parziale anche se la prestazione è divisibile.
Inoltre, se il debitore esegue una prestazione differente da quella che costituisce l’oggetto
dell’obbligazione, non sarà liberato, anche se questa prestazione ha un valore uguale o maggiore
rispetto all’oggetto dell’obbligazione. Nonostante questo, il debitore può liberarsi eseguendo una
prestazione diversa solo se c’è il consenso del creditore e quando avrà effettivamente eseguito
questa diversa prestazione: si tratta di datio in solutum, detto anche dazione di pagamento
(prestazione in luogo dell’adempimento).
L’obbligazione si estingue nel momento in cui il debitore esegue la prestazione.
Le obbligazioni solitamente hanno un termine di adempimento entro il quale la prestazione deve
essere adempiuta. Scaduto il termine, si dice che la prestazione è esigibile, mentre prima del
termine il creditore non può costringere il debitore ad adempiere.
Spesso, in virtù degli usi o per la natura della prestazione ovvero per il modo o il luogo
dell’esecuzione, il titolo che genera l’obbligazione prevede un termine di adempimento (creditore
non può esigere quando vuole la prestazione); se il titolo non lo prevede, il creditore potrà esigere
immediatamente l’adempimento della prestazione. Tuttavia, alcune prestazioni necessitano di tempo
per poter essere portate a termine: in questi casi, il creditore non potrà esigere immediatamente la
prestazione, ma potrà rivolgersi al giudice, che fisserà un termine di adempimento. Se è fissato un
termine, si presume a favore del debitore, qualora non risulti stabilito a favore del creditore o di
entrambi.
La questione del termine di adempimento è importante nei contratti commerciali, come anche nei
contratti tra imprenditori e pubblica amministrazione (transazione commerciale). Per transazione,
in ambito economico si intende un’operazione economica rilevante; nel Codice civile, invece, la
transazione è un contratto con cui le parti pongono fine a una controversia o la prevengono.
Nel 2002, il D.L. 231 (“Lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”) fu adottato
con la finalità di combattere i ritardi di pagamento, molto diffuso nel mercato europeo e associato
all’asimmetria di potere contrattuale: le grandi società tendono a ritardare i pagamenti a favore delle
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piccole imprese, che quindi si trovano facilmente in crisi di liquidità, che possono portare al
fallimento. Il legislatore, dunque, cerca di limitare questo fenomeno con una serie di regole
contenute nel D.L. 231: si prevede quindi un termine fisso di adempimento, 30 giorni dal ricevimento
della fattura o del bene/servizio, se il titolo non prevede altrimenti; se il contatto deroga al termine
dei 30 giorni, questo accordo in deroga dovrà essere provato per iscritto e il termine non dovrà
essere fissato in modo gravemente iniquo per il creditore.
Per quanto riguarda il luogo dell’adempimento, vengono designate obbligazioni quérables, che
devono essere adempiute presso il domicilio del debitore, e obbligazioni portables, che devono
essere adempiute presso il domicilio del creditore. Se sto ristrutturando appartamento, il luogo sarà
presso questo appartamento.
Generalmente, se non è previsto altrimenti, vale la prima di queste condizioni; in alternativa,
esistono delle deroghe secondo cui, ad esempio, l’obbligazione potrà essere adempiuta nel luogo in
cui si trovava il bene oggetto dell’obbligazione nel momento in cui l’obbligazione è stata contratta
(nel caso di un oggetto da restituire). Nel caso del pagamento di una somma di denaro in
un’obbligazione portable, bisognerà adempiere alla prestazione presso il domicilio del creditore. In
ogni caso, il contratto potrà prevedere tramite delle clausole anche il luogo di adempimento
dell’obbligazione.
LE OBBLIGAZIONI PECUNIARIE
Un’obbligazione pecuniaria (che obbliga al pagamento di una somma di denaro) può essere di due
tipi: se l’obbligazione nasce avendo come oggetto il pagamento di una somma di denaro, si dice
Debito di Valuta; se, invece, l’obbligazione ha per oggetto entità diverse dal denaro, il denaro
costituisce uno strumento di misura per quelle entità, si dice Debito di Valore (risarcimento danno).
Il fattore discriminante, quindi, è il motivo di nascita dell’obbligazione, ovvero se la somma di denaro
è l’oggetto o uno strumento per il pagamento dell’obbligazione.
Questa distinzione è legata a un problema specifico: dalla nascita all’adempimento dell’obbligazione,
il denaro può perdere potere d’acquisto a causa dell’inflazione. I debiti di valuta, quindi, seguono un
principio nominalistico, secondo il quale i debiti di denaro vanno pagati secondo il loro valore
nominale (e quindi senza tenere conto della variazione di potere d’acquisto). Questo principio si
basa su un’esigenza di certezza: se non fosse valido, occorrerebbe ricalcolare ogni volta l’importo
dovuto per adempire a un’obbligazione, cosa che renderebbe molto più lenti i pagamenti. Inoltre, la
rivalutazione del denaro, che si realizzerebbe senza questo principio, potrebbe essere un fattore di
incentivo all’inflazione.
Il principio nominalistico è tuttavia derogabile: se debitore e creditore si accordano, possono
derogarlo con la clausola oro, con la quale il debitore si impegna a pagare una somma di denaro
corrispondente a una certa quantità d’oro, oppure la clausola numeriindici, fondata sul calcolo del
tasso di inflazione.
Se il debito è un debito di valore, invece, non si applica il principio nominalistico: l’importo dovuto
si rivaluta dalla nascita all’adempimento dell’obbligazione, a seconda del tasso di inflazione e della
svalutazione del denaro.
Sulle somme di denaro originariamente dovute, i Capitali, pesano degli Interessi.
Il tasso di interesse può essere determinato da un accordo tra le parti (interessi convenzionali)
oppure dal tasso legale (Art. 1284). Un tempo tale tasso era fissato, mentre ora è fissato anno per
anno dal Ministro del Tesoro per l’anno successivo: il tasso legale per l’anno successivo deve
essere stabilito entro il 15 settembre. Attualmente, il tasso di interesse legale è dell’1%.
I criteri usati per fissati il tasso legale sono il tasso di inflazione e il rendimento annuo lordo dei titoli
di Stato di durata non superiore ai 12 mesi.
Nel caso degli interessi convenzionali, essi andranno necessariamente pattuiti per iscritto dalle parti
e non dovranno essere troppo elevati (tassi di interessi usurai): una Legge Speciale detta dei criteri
per identificare un tasso di interesse troppo alto (criteri basati sul rilevamento dei tassi di interesse
mediamente praticati dalle banche).
Se viene fissato un tasso di interesse usuraio, gli interessi non saranno dovuti al creditore: si tratta
di una regola di tipo sanzionatorio, che priva il creditore degli interessi.
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Gli interessi moratori (decorrono automaticamente) hanno la funzione di risarcire il pregiudizio
che il creditore ha subito a causa del ritardo nell’adempimento. Questo pregiudizio si verifica molto
spesso, quindi non è necessaria la prova da parte del creditore: la legge cerca quindi di determinare
il danno subito dal creditore tramite un meccanismo uguale per tutti e semplificato.
L’art. 1224 prevede quindi che, quando si verifica un ritardo in un pagamento, gli interessi sono
dovuti a partire dal giorno della mora, senza bisogno della prova del danno subito dal creditore (e
quindi anche se il creditore in realtà non ha subito alcun danno effettivo); potrebbe anche succedere
che il pregiudizio sia superiore agli interessi di mora: in questo caso, se il creditore riesce a provarlo,
può ottenere il risarcimento del maggior danno.
Tuttavia, questa prova è molto difficile da ottenere e spesso viene attenuata e alleggerita: come
primo metodo in questo senso, era stata elaborata una serie di categorie di creditori ed erano state
applicate a queste categorie delle presunzioni su come avrebbero impiegato il denaro se ne
avessero avuto la disponibilità. Nel 2008, per, la Cassazione ha stabilito che qualunque creditore
pagato in ritardo ottiene un risarcimento del danno ulteriore oltre agli interessi moratori, con un tasso
che si quantifica in misura più o meno uniforme in un valore che sta tra il tasso legale e il
rendimento dei titoli di Stato a durata annuale (ovvero la forma più comune di investimento di
denaro). Se il danno supera anche questa cifra, e se il creditore riesce a provarlo, potrà ottenere un
ulteriore risarcimento. Il tasso di interesse di mora sarà quello legale a meno che non sia stato
stabilito un diverso tasso di interesse da parte di creditore e debitore.
Interessi sui debiti commerciali, lotta contro i ritardi di pagamento delle transazioni
commerciali; interessi a seguito di domanda giudiziale:
Queste regole sugli interessi valgono universalmente, ma esistono regole particolari per le
transazioni commerciali. Dopo la direttiva UE contro i ritardi nei pagamenti, un decreto legislativo (n.
231/2002) ha previsto termini diversi di pagamento per le somme di denaro (30 giorni) e
l’annullamento di termini di pagamento iniqui. Inoltre, tale decreto ha stabilito un tasso di interesse
più pesante per il debitore moroso, pari al tasso REFI maggiorato di 8 punti percentuali; il tasso
REFI è il tasso applicato dalla Banca Centrale Europea alle altre banche per la concessione di
finanziamenti (attualmente circa 0,25%). Quindi, questa norma va a derogare al Codice civile in
materia di tasso di interesse legale.
In una situazione del genere, il creditore potrebbe anche richiedere il risarcimento del maggior
danno; tuttavia, il tasso risulta talmente elevato che, di norma, il danno viene totalmente risarcito.
Art. 1 lett. (e): interessi legali di mora: interessi semplici di mora su base giornaliera ad un tasso che
è pari al tasso di riferimento maggiorato di 8 punti percentuali; (f) tasso di riferimento: tasso di
interesse applicato dalla Banca Centrale Europea alle sue più recenti operazioni di finanziamento
principali.
Art. 4 (1). Gli interessi moratori decorrono, senza che sia necessaria la costituzione in mora, dal
giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento. 2. Salvo quanto previsto, il periodo di
pagamento non può superare i seguenti termini.
Gli interessi moratori sono determinati nella misura degli interessi legali di mora. Nelle transazioni
commerciali tra imprese è consentito alle parti di concordare un tasso di interesse diverso, nei limiti
previsti dall’articolo 7.
Art. 1284. Se le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta la
domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale
relativa ai ritardi di pagamento delle transazioni commerciali.
Transazione: in ambito economico è un’operazione economica tra due imprenditori o tra
imprenditore e Pubblica Amministrazione. In ambito del Codice civile è un contratto che vuole
tutelare le controversie tra le parti.
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ANATOCISMO
L’Anatocismo è un fenomeno per cui gli interessi generano a loro volta interessi (capitalizzazione
degli interessi): gli interessi vengono integrati nel capitale e, pertanto, vanno anch’essi a generare
interessi. (interessi composti)
Potenzialmente, è una situazione molto pesante per il debitore. L’art. 1283 prevede le condizioni
nelle quali si genera anatocismo: gli interessi devono essere scaduti, devono essere dovuti per
almeno 6 mesi e, a seguito della loro scadenza, il creditore ha presentato una domanda giudiziale
per richiedere il pagamento, oppure c’è un accordo tra le parti per integrare gli interessi nel capitale.
L’anatocismo si verifica “in mancanza di usi contrari”: si fa riferimento quindi agli usi e alle
consuetudini, che, in ambito bancario, permettono l’anatocismo in condizioni che derogano alle
regole previste all’art. 1283 (ad esempio, anche per interessi dovuti per meno di 6 mesi).
MEZZI DI PAGAMENTO
Un tempo solo il denaro era mezzo legale di pagamento; infatti, il creditore poteva rifiutare il
pagamento con mezzi diversi dal denaro. Oggi non è più attuale.
Se creditore si rifiuta illegittimamente di accettare un assegno circolare o bancario, il debitore può
reclamare la mora del creditore.
Con la Dazione in pagamento, il debitore può liberarsi eseguendo una prestazione diversa solo se il
creditore accetta e solo se la prestazione viene effettivamente eseguita. Non si ha per la nascita di
una nuova obbligazione, solo un’obbligazione diversa che estingue l’obbligazione precedente (per
solo dopo l’esecuzione della prestazione).
La Novazione soggettiva si ha quando il soggetto che assume la posizione di debitore viene
sostituito da un altro soggetto che assume la sua posizione.
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• La Remissione del debito è un atto con cui il creditore volontariamente estingue il debito che il
debitore ha nei suoi confronti. Pu esserci ad esempio una ragione di carattere fiscale (non
pagare più le tasse su un certo credito). Più spesso ci sono ragioni di carattere morale, affettivo
(es. amico che ha erogato il prestito non li richiede più, rimette il debito). La legge riserva al
debitore la facoltà di rifiutare la remissione. Questa regola sottende un principio del diritto privato,
ovvero il principio di sovranità formale: ogni soggetto ha sovranità sulla sua sfera giuridica e può
impedire che altri incidano sulla sua sfera giuridica, sul suo patrimonio, anche se avrebbe solo
da guadagnarci.
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Il titolo di credito è un documento che incorpora un diritto di credito. Il diritto di credito viene trasferito
non mediante la cessione, ma mediante la circolazione di quel documento che lo incorpora. Il
documento circola in base alle regole che disciplinano la circolazione dei beni mobili. Tra queste
regole è presente quella del “possesso vale titolo”.
Regola in base alla quale se un soggetto acquista un bene mobile non registrato da chi non è il
legittimo titolare del diritto ne diviene comunque titolare se prova che era in buona fede, se ha
ricevuto la consegna e se esiste un titolo idoneo al trasferimento della proprietà.
Questa regola si applica al trasferimento dei titoli di credito.
Se un soggetto acquista un titolo di credito in buona fede, anche se chi gli trasferisce il titolo non sia
il legittimo titolare, quel soggetto lo acquista validamente. L’acquirente di quel titolo di credito può
ottenere dal debitore l’esecuzione della prestazione, anche se chi gli ha trasferito il titolo non era il
legittimo titolare; può anche ottenere la prestazione dal debitore senza che il debitore possa opporgli
le eccezioni che poteva opporre al creditore originario.
Le uniche eccezioni che il debitore può opporre a chi possiede un titolo di credito sono quelle che si
fondano su quanto è scritto nel titolo di credito.
I titoli di credito più comuni sono: la cambiale e l’assegno, ma anche le azioni di società (sono
particolari).
Il titolo di credito nasce per superare una debolezza della cessione del credito, debolezza che
consiste nel fatto che il cessionario, quando esige l’esecuzione della prestazione, può vedersi
opporre delle eccezioni.
Per trasferire la proprietà del diritto di credito non occorre il consenso del debitore perché è
indifferente per il debitore ceduto pagare al cessionario piuttosto che al cedente. Il debitore ceduto
per è coinvolto perché deve essere informato in modo sicuro del fatto che è avvenuta la cessione;
se non venisse informato potrebbe pagare al creditore originario invece che al cessionario.
La legge, quindi, richiede al cessionario di notificare la cessione al debitore ceduto o di fargliela
accettare con atto di data certa. La notificazione/accettazione, non serve per il trasferimento del
diritto di credito, ma serve affinché il debitore ceduto sia tenuto a eseguire la prestazione a favore
del cessionario invece che del cedente.
Se il cessionario non effettua la notificazione o non fa accettare con atto di data certa, accade che il
debitore ceduto che ha pagato al debitore cedente è ugualmente liberato, a meno che non si riesca
a dimostrare che al momento del pagamento era in mala fede (pur sapendo che il diritto era stato
trasferito).
Altra conseguenza della cessione del credito: cedente che si comporta in modo scorretto, cioè, cede
lo stesso diritto di credito a due cessionari diversi.
Tra i due diversi cessionari prevale non colui che ha acquistato per primo, ma colui che per primo ha
effettuato la notificazione al debitore ceduto o ha fatto accettare la cessione dal debitore ceduto con
atto di data certa anteriore.
La delegazione di debito può essere cumulativa o liberatoria. È cumulativa se, nel momento in cui
il delegato assume l’obbligazione nei confronti del creditore delegatario, il creditore delegatario non
dice nulla; quindi, non libera il debitore originario (delegante).
È liberatoria se il creditore delegatario dichiara espressamente di liberare il delegante. Se la
delegazione è liberatoria si ha una novazione soggettiva, cioè un trasferimento della posizione di
debitore dal delegante al delegato.
Se la delegazione è cumulativa ci sono due debitori (delegante e delegato), entrambi sono obbligati
in solido, ma il delegante ha un beneficio di preventiva escussione, cioè se il creditore delegatario gli
chiede di pagare, il delegante può opporre questa eccezione per cui il creditore dovrà prima
aggredire il patrimonio del delegato e solo qualora non abbia ottenuto piena soddisfazione del diritto,
potrà rivolgersi al delegante.
La delegazione può assumere una fisionomia diversa a seconda della dichiarazione fatta dal
delegato quando contrae l’obbligazione. Pu succedere che, nel momento in cui il delegato afferma
di obbligarsi nei confronti del delegatario, il delegato abbia fatto riferimento al rapporto di provvista,
o al rapporto di valuta o a entrambi. In questo caso la delegazione è titolata o causale perché il
delegato fa espressamente riferimento alla causa che giustifica l’assunzione dell’obbligazione nei
confronti del creditore delegatario; la causa è data dall’esistenza di questi due rapporti sovrastanti.
D’altra parte, può succedere che non abbia fatto riferimento a nessuno dei due rapporti, si dice che
la delegazione è pura o astratta.
Da questa distinzione dipendono le eccezioni che il delegato può opporre al creditore delegatario.
Se la delegazione è titolata o causale, il delegato può opporre al delegatario tutte le eccezioni
fondate sui rapporti ai quali ha fatto riferimento (provvista, valuta o entrambi). Se la delegazione è
pura o astratta, il delegato non può opporre le eccezioni fondate sui due rapporti tranne che in una
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ipotesi estrema: entrambi siano nulli (nullità della doppia causa). Se i due rapporti non esistono
perché sono fondati su contratti nulli, allora il delegato può rifiutare l’adempimento dell’obbligazione.
ESPROMISSIONE
È presente un rapporto di valuta che intercorre tra il debitore espromesso e il creditore
espromissario. Entra in gioco un terzo soggetto, il terzo espromittente, che non ha un rapporto
obbligatorio con il debitore espromesso. Il terzo espromittente pur non essendo obbligato verso il
debitore espromesso si obbliga a pagare il creditore espromissario. C’è una analogia con
l’adempimento del terzo.
Esempio: ragazzo di 19 anni ha concluso un contratto grazie al quale ha acquistato uno scooter,
quindi deve pagare al concessionario 12.000 euro. I genitori lo scoprono e vanno a pagare il debito
(adempimento del terzo). Immaginiamo che i genitori non abbiano liquidi quei 12.000 euro; quindi,
cercano di sistemare la faccenda obbligandosi a pagare a rate la somma (espromissione).
Nell’adempimento del terzo si ha l’adempimento dell’obbligazione mentre nell’espromissione si ha
l’assunzione di un’obbligazione.
ACCOLLO
È presente un soggetto, debitore accollato, obbligato nei confronti di un creditore accollatario e
un contratto che intercorre tra il debitore accollato e il terzo accollante. L’accollo è un accordo sulla
base del quale un soggetto assume un debito di un altro verso un terzo.
Esempio:
Un soggetto ha acquistato un immobile, pagandolo grazie ad un mutuo. A un certo punto decide di
vendere l’immobile, ma è ancora obbligato a restituire alla banca la somma (es 200.000 euro su
1.500.000). Il debitore trova un acquirente, il quale gli paga mediante bonifico 1.300.000 euro e
quindi si accolla il debito che il debitore ha nei confronti della banca di 200.000 euro.
Esempio:
Se il contratto, sulla base del quale viene venduto l’immobile e sulla base del quale il compratore si
accolla il debito del debitore verso la banca, prevede espressamente che il venditore sia liberato dal
suo debito di 200.000 euro verso la banca e la banca aderisce a questo contratto, allora il venditore
è liberato.
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In quanto al regime delle eccezioni, il terzo accollante può opporre al creditore accollatario, le
eccezioni previste dal contratto di accollo, non le eccezioni fondate su altri rapporti che intercorrono
tra lui e il debitore accollato.
Esempio:
il venditore dell’immobile ha ingannato il compratore e gli ha detto che l’immobile ha una serie di
caratteristiche, mentre si scopre, una volta acquisita la consegna dell’immobile, che l’immobile non
ha quelle caratteristiche. In questo caso il contratto può essere risolto (cancellato).
In questo caso il compratore può rifiutare il pagamento del debito nei confronti della banca. Questa
eccezione è fondata sul rapporto con il debitore accollato con il quale si è comportato male.
Il terzo accollante non può evitare di pagare il debito nei confronti della banca sulla base di altri
rapporti che ha con il debitore accollato.
LA MORA DEL DEBITORE
La mora del debitore è il ritardo nell’adempimento dell’obbligazione. Richiede un atto di
costituzione in mora, cioè un atto con cui il creditore sollecita l’adempimento dell’obbligazione. La
legge richiede la costituzione in mora perché a fronte del ritardo, se il creditore non sollecitasse il
debitore ad eseguire la prestazione si potrebbe pensare che il creditore tolleri il ritardo, che è
indifferente quando ricevere il bene. Ci sono situazioni in cui la costituzione in mora non è
necessaria e si ha una mora automatica (mora ex re), cioè quando il debitore è costituito in mora
anche senza la sollecitazione del creditore:
• Quando il debito deriva da fatto illecito, cioè quando il debito ha ad oggetto un risarcimento del
danno che consegue un comportamento illegittimo del debitore (non si può pensare che il
creditore tolleri il ritardo). Quando il creditore danneggiato viene pagato tempo dopo al momento
in cui subisce il danno gli sono dovuti gli interessi compensativi (compensano il tempo)
• Quando il debitore ha dichiarato per iscritto di non voler eseguire l’obbligazione
• Quando è scaduto il termine se la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore
(prestazioni pecuniarie). Il creditore è in una situazione passiva.
Gli interessi decorrono automaticamente senza la costituzione in mora perché da una parte le
obbligazioni pecuniarie hanno un termine entro il quale la somma deve essere pagata, d’altra parte
le obbligazioni pecuniarie devono essere adempiute presso il domicilio del creditore.
Per escludere la mora il debitore può effettuare un’offerta non formale. Se ha tempestivamente fatto
offerta della prestazione dovuta, anche senza osservare le formalità, il debitore non è considerato in
mora.
RESPONSABILITÀ CONTRATTUALE
La responsabilità contrattuale è quella in cui incorre un qualunque debitore per l’inadempimento di
una qualsiasi obbligazione. È una materia dominata da una norma (art. 1218) che cerca di definire
la struttura della responsabilità contrattuale: quando un debitore non esegue la prestazione,
dall’inadempimento può derivare un danno.
L’inadempimento obbliga il debitore inadempiente a risarcire il danno in base all’art. 1218, se non
prova l’impossibilità dell’adempimento per cause a lui non imputabili. La norma è formulata in termini
neutri, come, appunto, “causa non imputabile”: l’art. 1218 è una norma quadro si limita a identificare
la struttura della responsabilità del debitore, ma non può definire il contenuto riguardante la
responsabilità, perché il contenuto delle regole che disciplinano la responsabilità del debitore varia a
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seconda del tipo di rapporto obbligatorio e anche sulla base delle caratteristiche che un debitore ha
e che lo contraddistinguono rispetto ad altri debitori.
La norma dell’art. 1218 viene integrata da una serie di norme che specificano la responsabilità in
relazione al tipo di debitore e alle caratteristiche del rapporto debitorio.
Il presupposto è un inadempimento, che può essere assoluto (non esegue la prestazione dovuta),
un ritardo (mora del debitore), ma anche un adempimento qualitativamente o quantitativamente
inesatto.
Nel determinare se una prestazione è stata adempiuta o meno, è d’aiuto l’art. 1176, che determina
lo standard di diligenza esigibile dal debitore: tale articolo prevede che, nell’adempimento, il debitore
deve osservare la diligenza del “buon padre di famiglia”, ovvero del cittadino medio; inoltre, prevede
che, se l’adempimento implica l’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve essere
appropriata all’esercizio di tale attività (“standard del professionista mediamente diligente”). Tale
standard viene fissato dal punto di vista normativo, ovvero tenendo conto di come un professionista
dovrebbe comportarsi, e non dal punto di vista sociologico (ovvero di come i professionisti lavorano
realmente).
Una volta verificato l’inadempimento, il debitore dovrà risarcire il danno, a meno che non dimostri
l’impossibilità della prestazione e che derivi da causa a lui non imputabile. Il debitore ha l’onere
della prova.
Il creditore non deve dimostrare che il debitore è inadempiente, ma può limitarsi a contestare
l’inadempimento al debitore. L’impossibilità della prestazione deve essere oggettiva e assoluta: il
debitore inadempiente deve dimostrare che nessun altro debitore potrebbe eseguire la prestazione,
se non vuole essere ritenuto responsabile dell’inadempimento. Tuttavia, bisogna tenere conto che
un debitore non può essere obbligato a utilizzare energie e risorse differenti da quelle che si era
obbligato a utilizzare: se ci avviene, c’è impossibilità.
Inoltre, un debitore non può essere costretto a mettere a rischio degli interessi e dei valori
preminenti rispetto allo stesso interesse del creditore: non potrà quindi mettere a rischio la vita, la
salute, la dignità umana, ecc. Anche in questo caso, il creditore in buona fede non potrà pretendere
l’esecuzione della prestazione, ma dovrà attenersi ai canoni di correttezza nei confronti del debitore.
(materialmente possibile ma non esigibile)
Esistono delle prestazioni che non comprendono l’eventualità dell’impossibilità, ovvero generano
sempre responsabilità in presenza di inadempimento: si tratta delle prestazioni di consegna di beni
fungibili, ovvero di beni che equivalgono ad altri beni dello stesso genere, dei beni generici.
In questa situazione, vale il principio del Genus Numquam Perit: il genere, ovvero le cose generiche,
non va mai distrutto. Il debitore, quindi, anche se dovesse perdere i beni prima della consegna, non
sarà liberato dall’obbligazione, ma dovrà comunque compiere la prestazione di consegna.
Questo avviene perché, in questo caso particolare, il debitore può scegliere come adempire alla
prestazione, persino ricavandone dei vantaggi economici (ad esempio sfruttando un eventuale
svalutazione del bene generico che si deve consegnare); a questo vantaggio corrisponderà quindi
un rischio, espresso dal Genus Numquam Perit.
Il debitore avrà quindi un obbligo di approvvigionamento ulteriore.
Il bene fungibile e generico per eccellenza è il denaro: se un debitore deve consegnare una somma
di denaro e subisce un furto prima della consegna, sarà comunque obbligato a effettuare la
consegna e non sarà liberato dall’obbligazione.
L’art. 1218 prevede la prova dell’impossibilità della prestazione dipendente da una causa non
imputabile al debitore. Questo concetto di causa non imputabile può essere inteso in due modi
diversi a seconda del loro rapporto: secondo il principio della responsabilità per colpa (principio
più morbido), il debitore risponde tutte le volte in cui l’inadempimento deriva da un suo
comportamento negligente, imprudente o in perizia (non ha avuto la cura e l’attenzione necessaria
per l’esatto adempimento dell’obbligazione); quindi il debitore non è tenuto a risarcire il danno se
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riesce a dimostrare che l’impossibilità della prestazione si è verificata nonostante egli abbia operato
in modo diligente, con attenzione e seguendo tutte le norme tecniche.
Il debitore è tenuto a risarcire il danno se il suo inadempimento è doloso, cioè inadempimento
cosciente e volontario. L’inadempimento è doloso quando il debitore realizza in modo cosciente e
volontario l’inadempimento dell’obbligazione.
Il principio della responsabilità oggettiva o senza colpa è invece più rigoroso, opera sia in ambito
contrattuale sia extracontrattuale: al debitore non basta dimostrare di aver operato diligentemente,
ma deve dimostrare anche che l’impossibilità della prestazione deriva da una circostanza estranea
alla sua sfera di organizzazione e controllo, ovvero estranea al rischio tipico dell’attività esercitata.
Il tipo di responsabilità da imputare a un debitore è stabilito dalle norme che disciplinano la
responsabilità del debitore nei singoli contratti: se si parla di colpa o di diligenza si avrà una
responsabilità per colpa, mentre, se si parla di caso fortuito, si indica una responsabilità oggettiva.
Tutti i professionisti intellettuali sono assoggettati a un regime di responsabilità per colpa, così come
i servizi di custodia e i venditori che consegnano beni viziati: se il venditore non poteva rendersi
conto del vizio, non è responsabile dei danni causati dal vizio.
Nell’ambito della responsabilità oggettiva si trovano le consegne di beni generici, i servizi di custodia
prestati sulla base di un’organizzazione imprenditoriale o professionale (come i trasportatori durante
una consegna, oppure una banca per il servizio delle cassette di sicurezza).
In generale, quando la prestazione viene eseguita da un soggetto organizzato in forma
imprenditoriale, la responsabilità sarà oggettiva. La ragione di ci è la fiducia nella diligenza e
nell’efficienza degli apparati del debitore, che viene riposta dal creditore quando viene stipulata
l’obbligazione.
L’art. 1218 dice chiaramente chi debba provare l’impossibilità della prestazione: il debitore. Questo è
ragionevole, perché è il debitore ad avere informazioni per dimostrare che la causa del suo
inadempimento non è imputabile a lui. L’onere della prova, dunque, grava sul debitore perché
dispone di informazioni di prima mano.
Per quanto riguarda la prova dell’inadempimento, l’art. 1218 non si esprime su chi debba dimostrarla.
In assenza di chiare indicazioni normative, la questione viene risolta dai giudici: una sentenza a
sezioni unite della Cassazione del 2001 ha stabilito che il creditore può limitarsi ad allegare
l’inadempimento, ovvero ad imputarlo al debitore; sarà poi onere del debitore la dimostrazione
dell’effettivo adempimento della prestazione.
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valutare a quale rischio si espone nel caso in cui non riuscirà ad adempiere, e potrà quindi valutare
quale compenso dovrà richiedere al creditore, tramite un calcolo razionale.
L’art. 1227 prevede il concorso di colpa del creditore: se il creditore è negligente e ha contribuito
a causare un danno, il risarcimento che il debitore dovrà fornire sarà diminuito in relazione alla
gravità della colpa del creditore e alle conseguenze che questa ha causato.
Al secondo comma, questo articolo stabilisce l’evitabilità delle conseguenze dannose: il
risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria
diligenza.
L’art. 1226 stabilisce che, se il danno non può essere determinato nel suo preciso ammontare, allora
il giudice potrà determinarlo tramite valutazione equitativa. Questa norma è utile perché spesso il
danno si ripercuote su un periodo futuro, non è immediatamente determinabile.
La valutazione equitativa è un’approssimazione delle conseguenze dannose dell’inadempimento.
La clausola penale è una clausola che può essere inserita in un contratto in presenza della quale,
al verificarsi di un inadempimento, il debitore è tenuto a eseguire una certa prestazione nei confronti
del creditore, solitamente consistente nel pagamento di una somma di denaro (art. 1382).
La penale ha una funzione di predeterminazione convenzionale del danno ed è favorevole al
creditore, che potrà ricevere la prestazione anche se non ha subito un danno: è una situazione
simile agli interessi nella mora del debitore. C’è quindi una funzione di semplificazione delle
conseguenze dell’inadempimento.
Per contro, la penale potrà anche essere favorevole al debitore, perché non potrà essere costretto a
risarcire una somma maggiore rispetto a quella stabilita dalla penale, a meno che la penale non
stabilisca altrimenti.
Il creditore, quindi, non potrà cumulare la penale alla prestazione dovuta, a meno che la penale non
riguardi un ritardo nell’adempimento (situazione frequente nei contratti d’appalto).
Nel caso in cui ci sia una penale manifestamente eccessiva rispetto al pregiudizio che
l’inadempimento ha causato, l’art. 1384 prevede che il giudice possa ridurre l’importo della penale,
nel caso in cui il debitore abbia eseguito almeno in parte la prestazione. Si tratta di una norma molto
valorizzata dalla giurisprudenza: il giudice, infatti, può ridurre la penale anche d’ufficio, anche se il
debitore non ha fatto valere il valore eccessivo della penale. Il giudice può quindi agire
autonomamente, senza un’istanza del debitore.
Questo fatto fa eccezione al principio secondo cui sono le parti a determinare l’equilibrio economico
del contratto: in questo caso, il giudice può interferire nelle decisioni economiche delle parti.
Pu esistere anche una clausola di limitazione o esonero della responsabilità del debitore: al
verificarsi dell’inadempimento, un debitore può non essere tenuto a risarcire il danno, oppure a
risarcirlo solamente entro una certa misura.
La legge guarda con diffidenza a queste clausole e le disciplina all’art. 1229: questa norma prevede
che le clausole di questo tipo siano nulle se escludono o limitano la responsabilità del debitore per
dolo (inadempimento volontario per causare un danno) o colpa grave (grave negligenza o imperizia,
scorretta applicazione di regole tecniche).
D’altra parte, se la clausola viola dei principi di ordine pubblico, è ugualmente nulla: ad esempio, se
viene causato un danno alla sfera personale di un individuo (salute, integrità fisica, dignità,
reputazione), questo dovrà essere risarcito integralmente.
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2. Il debitore può costituire un patrimonio separato, deducendo all’interno di quel patrimonio,
dei beni e dei diritti che possono essere aggrediti solo da quei creditori i cui diritti sono
connessi con quel patrimonio.
Esempio: fondo patrimoniale. Quando due persone sono sposate e hanno dei figli possono
costituire un fondo patrimoniale, cioè un patrimonio separato all’interno del quale i due
coniugi possono inserire beni immobili oppure beni mobili registrati oppure titoli di credito. I
beni che sono stati dedotti all’interno del fondo patrimoniale possono essere aggrediti solo
dai creditori le cui ragioni di credito sono legate ai bisogni della famiglia. Per esempio, potrà
aggredire l’immobile un imprenditore che ha effettuato una complessa attività di
ristrutturazione dell’appartamento di 350 mq dove risiede la famiglia. Se non gli sono stati
pagati, il creditore può aggredire quei beni.
AZIONE SURROGATORIA
È una domanda che può essere rivolta al giudice per ottenere tutela di un interesse ritenuto
meritevole di tutela. Grazie all’azione surrogatoria, il creditore reagisce ad un comportamento inerte
del debitore. Il debitore non fa quanto potrebbe fare per incrementare il proprio patrimonio, e a
causa di questa inerzia il creditore rischia di non ottenere soddisfazione del proprio diritto.
Esempio:
Debitore proprietario di un bene che per è detenuto o posseduto illegittimamente da un terzo. Il
debitore potrebbe intraprendere un’azione di rivendicazione, ma non lo fa perché sa che, se
rivendicasse il bene, quel bene verrebbe subito aggredito dal creditore.
Altro esempio:
Il debitore ha un credito verso un terzo ma non esige questo diritto di credito dal terzo per lo stesso
motivo.
Il creditore si sostituisce al debitore ed esercita al suo posto i diritti e le azioni che il debitore trascura
di esercitare.
Presupposti:
1. Il creditore può agire con l’azione surrogatoria per assicurare che siano soddisfatte o conservate
le sue ragioni. Il creditore può agire con l’azione surrogatoria quando l’inerzia del debitore rischia
di pregiudicare il suo diritto. Non può agire con l’azione surrogatoria quando l’inerzia del debitore
non pone in pericolo la soddisfazione del suo diritto di credito.
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2. Il debitore deve essere inerte, cioè, deve trascurare l’esercizio di diritti e azioni che gli spettano
verso terzi.
3. Si deve trattare di diritti e azioni che abbiano contenuto patrimoniale e non di diritti o di azioni
che, per loro natura o per disposizione di legge, non possono essere esercitati se non dal loro
titolare. Non può esercitare l'azione surrogatoria sui diritti e le azioni di natura personale, anche
se possono avere conseguenze patrimoniali vantaggiose; e neanche su quelli che, pur avendo
contenuto patrimoniale, presentano forti implicazioni personali.
Conseguenze:
Una volta che il creditore ha esercitato questi diritti e queste azioni, si ha un incremento del
patrimonio del debitore, e su questo patrimonio incrementato si possono soddisfare tutti i creditori di
quello stesso debitore.
AZIONE REVOCATORIA
Reagisce a un comportamento attivo, cioè al comportamento di un debitore che compie un atto di
disposizione di un suo diritto per sottrarlo all’azione esecutiva del creditore.
Il creditore può esercitare l’azione revocatoria grazie alla quale quell’atto di disposizione compiuto
dal debitore viene dichiarato inefficace nei suoi confronti (inefficacia relativa).
Il creditore può pignorare comunque il bene anche se il debitore aliena il bene a un terzo. Se il
creditore, pignorando il bene, ottenesse di più rispetto al suo credito, la differenza rimane al terzo
che l’aveva acquistato.
Presupposti:
È necessario che con l’atto di disposizione, il debitore, arrechi pregiudizio alle ragioni del creditore
oppure possa arrecare un pregiudizio.
1. Il debitore deve conoscere il pregiudizio che l’atto arrecava al creditore. Il creditore può
agire con un’azione revocatoria anche quando l’atto di disposizione è anteriore al sorgere del
credito, se l’atto è dolosamente preordinato al fine di pregiudicare il soddisfacimento del
diritto di credito.
2. Se si tratta di un atto a titolo oneroso, il terzo che ha concluso l’atto con il debitore deve
essere consapevole del pregiudizio. Quindi la legge protegge chi ha acquistato dal debitore
in buona fede a titolo oneroso.
3. Non è soggetto a revoca l’adempimento di un debito scaduto.
Conseguenze:
1. L’azione revocatoria rende inefficace l’atto di disposizione nei confronti del creditore, che
quindi può promuovere nei confronti del terzo acquirente le azioni esecutive o conservative
sui beni che formano oggetto dell’atto impugnato.
2. Il terzo contraente non può concorrere sul ricavato dei beni che sono stati oggetto dell’atto
dichiarato inefficace, se non dopo che il creditore è stato soddisfatto.
Differenza tra azione surrogatoria e dell’azione revocatoria:
L’azione revocatoria va a beneficio solo del creditore che l’ha esercitata, mentre con l’azione
surrogatoria si avvantaggiano tutti i creditori.
I PRIVILEGI
I privilegi sono cause legittime di prelazione che non derivano da una decisione delle parti, ma
derivano dalla legge. È la legge che considera privilegiati certi crediti.
L’art. 2745 prevede che il privilegio è accordato dalla legge in considerazione della causa del credito.
I privilegi possono essere generali o speciali: il privilegio generale si esercita su tutti i beni mobili del
debitore, il privilegio speciale su determinati beni mobili o immobili.
Hanno privilegio generale sui beni mobili i crediti che riguardano: le retribuzioni dovute ai prestatori
di lavoro subordinato; le retribuzioni dei professionisti e di ogni altro prestatore d’opera intellettuale;
le provvigioni (percentuale dei contratti che l’agente porta a concludere) derivanti dal rapporto di
agenzia e le indennità dovute per la cessazione del rapporto.
Hanno privilegio speciale il vettore, il mandatario, il depositario. I crediti che hanno ad oggetto il
pagamento di questi soggetti hanno un privilegio sulle cose che trasportano, ricevono o
custodiscono finché queste cose rimangono presso di lui.
Esempio:
Se il vettore non viene pagato, può soddisfare il suo credito aggredendo i beni che ha trasportato
facendoli vendere e soddisfacendosi sul ricavato prima di tutti gli altri creditori.
Privilegio generale e privilegio speciale si differenziano in base alla loro opponibilità ai terzi.
Il privilegio generale non può esercitarsi in pregiudizio dei diritti spettanti ai terzi, cioè il creditore può
aggredire tutti i beni mobili del debitore prima degli altri creditori, ma se il debitore aliena i beni ai
terzi, il creditore non può aggredire i beni che sono stati alienati al terzo, in quanto il privilegio
generale non è opponibile ai terzi.
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Il privilegio speciale può esercitarsi in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi posteriormente al
sorgere di esso. Pu essere fatto valere anche nei confronti dei terzi acquirenti, sempre che sussista
la particolare situazione alla quale è subordinato.
Esempio: il vettore ha trasportato dei beni mobili da un luogo all’altro. Arrivato a destinazione si
aspetta di essere pagato, ma il destinatario (debitore) non lo paga. Allora il vettore può vendere
questi beni e soddisfarsi sul ricavato con precedenza rispetto agli altri creditori anche se la proprietà
di questi beni è già stata venduta a un terzo, sempre che il bene rimanga presso il vettore.
PEGNO
Il pegno ha ad oggetto beni mobili non registrati (quadri, gioielli, pietre preziose), universalità di
mobili (insieme di beni mobili che hanno la stessa destinazione economica), crediti di proprietà del
debitore o di un terzo.
Perché si costituisca il pegno è necessario un accordo risultante da atto scritto e con data certa. Il
documento scritto non basta perché non rende evidente che esiste il diritto di pegno, è necessario
che il debitore o il terzo, si privino del possesso del bene tramite lo spossessamento, cioè la
consegna del bene al creditore o a un terzo. Questo è necessario perché lo spossessamento
segnala a eventuali soggetti interessati all’acquisto del bene, che su quel bene è stato costituito il
diritto di pegno. Il debitore o il terzo non hanno più un diritto pieno e quindi porta il terzo ad evitare
l’acquisto del bene.
Viene elaborata una figura che prende il nome di pegno mobiliare non possessorio, previsto da un
decreto-legge. Questo decreto prevede che, se il debitore è un imprenditore, il diritto di pegno possa
essere costituito senza spossessamento, e lo spossessamento viene sostituito dall’iscrizione del
diritto di pegno su un registro informatico tenuto dall’agenzia delle entrate.
Come si esercita il diritto di pegno?
Il creditore titolare del diritto di pegno, sebbene sia fruttifero, può percepire dei frutti a parziale
scomputo del credito:
• Se il debitore adempie, il bene deve essere restituito o deve essere restituita una uguale
quantità di cose dello stesso genere
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• Se il debitore non adempie, il creditore può aggredire il bene con precedenza rispetto agli
altri creditori (causa legittima di prelazione); la vendita del bene non avviene privatamente,
ma in base a una procedura regolata dalla legge
• In alternativa il creditore può chiedere che la cosa venga stimata ed attribuitagli in proprietà,
salvo conguagli (se il valore del bene è superiore al suo credito la banca deve pagare al
debitore la differenza).
Esiste la figura del pegno di crediti, cioè il debitore può dare in pegno anche un diritto di credito
che ha nei confronti di un terzo.
Esempio:
D debitore che ha un debito nei confronti di C creditore, ma a sua volta il debitore ha un diritto di
credito verso T terzo, allora il debitore può costituire a favore del creditore un diritto di pegno, non su
un bene materiale, ma su un diritto di credito che il debitore ha nei confronti del terzo.
Perché si costituisca questo diritto di pegno occorre un atto scritto e occorre che la costituzione del
diritto sia stata notificata al debitore del debitore (terzo) oppure che abbia accettato con atto di data
certa.
IPOTECA
L’ipoteca ha ad oggetto beni e diritti risultanti da pubblici registri: beni immobili o diritti reali su di essi;
beni mobili registrati o diritti reali su di essi; rendite dello stato.
Il titolo da cui nasce l’ipoteca:
• Ipoteca volontaria, nasce da un contratto o da un atto unilaterale che devono essere redatti
mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata
• Ipoteca giudiziale, nasce da una sentenza che condanna il debitore ad eseguire una
prestazione
• Ipoteca legale, nasce direttamente dalla legge (quando viene alienato un immobile,
l’alienante può iscrivere questa ipoteca sull’immobile venduto a garanzia del pagamento del
prezzo, che il condividente può iscrivere sugli immobili assegnati ad altri a garanzia del diritto
al conguaglio).
Esempio: io e mio fratello ci suddividiamo un immobile di 200.000€, mio fratello prende una
porzione di 120.000€, quindi mi deve un conguaglio di 80.000€. il contratto di divisione
costituisce un titolo per l’iscrizione dell’ipoteca.
Sulla base di questi titoli può essere iscritta l’ipoteca nei registri relativi a quel bene. L’iscrizione ha
una durata di 20 anni, scaduti i 20 anni l’iscrizione perde valore, ma si può effettuare una nuova
iscrizione. Le ipoteche hanno un grado, cioè sullo stesso bene possono essere costituite più
ipoteche e i creditori ipotecari hanno un grado che dipende dall’ordine cronologico di iscrizione. Il
creditore ipotecario di primo grado aggredisce il bene e si soddisfa sul ricavato per primo, poi quello
di secondo grado e così via e successivamente si soddisfano i creditori ordinari o chirografari. Nel
caso della nuova iscrizione, una volta trascorsi i 20 anni, acquisisce il grado che corrisponde al
momento in cui viene effettuata la nuova iscrizione; si può evitare questo effetto tramite una
rinnovazione, cioè prima che siano passati 20 anni il creditore ipotecario può rinnovare l’iscrizione
dell’ipoteca e conservare il grado originario.
Una volta che il debito è stato pagato si può provvedere alla cancellazione dell’ipoteca dai registri; in
assenza di cancellazione dai registri non è liberato dal vincolo e se il debito è stato spontaneamente
pagato oppure se risulta che il valore del debito è inferiore al valore del bene ipotecato, si può
procedere ad una riduzione dell’ipoteca.
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pegno passa al creditore. Il patto è nullo anche se posteriore alla costituzione del pegno o
dell’ipoteca.
2. Questo patto si configura anche quando il bene non è stato dato in pegno o ipotecato, ma il patto
prevede semplicemente che al verificarsi dell’inadempimento del debitore la proprietà di un bene
che fa parte del patrimonio del debitore passi in capo al creditore.
In entrambi i casi il patto commissorio è considerato nullo dalla legge, cioè privo di effetti.
Le ragioni che giustificano la nullità del patto commissorio sono:
• Grazie al patto commissorio il creditore consegue un arricchimento ingiustificato, perché il
valore del bene dato in pegno o ipotecato può essere superiore al credito garantito
• Salvaguardare la parità di trattamento dei creditori, perché il patto commissorio sottrae dei
beni dal patrimonio del debitore e li riconduce nel patrimonio del creditore, e quindi li sottrae
alle azioni esecutive degli altri creditori dello stesso debitore
È valido il patto marciano, cioè il patto in base al quale si prevede che il bene ipotecato o dato in
pegno passi nella proprietà del creditore, ma si prevede anche che quel bene venga stimato e che
l’eccedenza del valore del bene rispetto al credito venga attribuita al debitore. L’eccedenza può
essere aggredita dagli altri creditori.
GARANZIE PERSONALI
Le garanzie personali sono garanzie in cui un soggetto garantisce con il suo patrimonio
l’adempimento dell’obbligazione assunta da un altro soggetto. Un esempio è la fideiussione.
La fideiussione è un contratto che intercorre tra il fideiussore (garante) e il creditore. Il fideiussore
garantisce nei confronti del creditore, l’adempimento dell’obbligazione assunta dal debitore
principale.
Esempio:
Una società chiede un finanziamento ad una banca, e la banca pretende che il socio di maggioranza
della società, garantisca con il suo patrimonio, in qualità di fideiussore, la restituzione del
finanziamento.
INSOLVENZA E SOVRAINDEBITAMENTO
Sulla materia dell’esecuzione concorsuale, incide un atto normativo molto complesso (non ancora in
vigore) intitolato codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Questo codice segue un
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orientamento generale, che è quello di intervenire il più precocemente possibile sulle situazioni che
preannunciano l’insolvenza (situazione in cui il debitore non è in grado di adempiere regolarmente
alle proprie obbligazioni).
Per evitare che i creditori non ottengano soddisfazione dei loro diritti, bisogna intervenire
precocemente quando si preannuncia una situazione di crisi.
La crisi è lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e
che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte
regolarmente alle obbligazioni pianificate.
L’insolvenza, invece, è la situazione in cui si trova attualmente non in grado di soddisfare
regolarmente le proprie obbligazioni.
Tutti gli altri debitori, non imprenditori commerciali, che non sono soggetti alle procedure concorsuali,
sono sottoposti alle azioni esecutive individuali.
Esempio:
Un soggetto, che non esercita un’attività imprenditoriale, contrae diversi debiti ed è sottoposto ad
una serie di azioni esecutive individuali in momenti diversi. Questa situazione impedisce al debitore
di riprendere la propria attività e uscire dalla situazione di crisi.
Quindi vengono previsti anche a favore del debitore degli strumenti che hanno la funzione di
compattare la massa dei suoi creditori e di risolvere in modo definitivo e unitario i problemi derivanti
dal suo indebitamento. Questi strumenti sono previsti da una legge e sono due:
1. Accordo con i creditori per la ristrutturazione del debito, che deve essere approvato dai
creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti di quel soggetto e deve essere
omologato dal Tribunale. Prevede la formulazione di una proposta da parte del debitore,
l’approvazione della proposta da parte dei creditori e l’omologazione del Tribunale
2. L’alternativa è un procedimento di tipo concorsuale: il debitore sovra indebitato può chiedere
la liquidazione del suo patrimonio e il pagamento contestuale dei suoi creditori, e a questo
consegue l’esdebitazione (estinzione obbligazioni)
PRESCRIZIONE
Sono istituti che prevedono come questi diritti devono essere esercitati.
Hanno a che fare con l’estinzione del diritto conseguente al suo mancato esercizio.
La prescrizione è quel meccanismo per cui un diritto si estingue in conseguenza della sua
prolungata inerzia da parte del titolare, cioè quando il titolare di un diritto non esercita quel diritto per
un certo periodo di tempo previsto dalla legge e quando scade quel termine previsto dalla legge si
estingue.
Il tempo necessario affinché il diritto si estingua prende il nome di termine di prescrizione.
Le funzioni:
1. Favorire la certezza dei rapporti giuridici. Quando per un lungo periodo di tempo non viene
esercitato un diritto si consolida un affidamento nel mancato esercizio anche per il futuro, si
consolida nel tempo. Più passa il tempo e più è difficile provare attendibilmente il diritto
2. Favorire un uso produttivo delle risorse.
AMBITO DI APPLICAZIONE
Non si prescrivono il diritto di proprietà, i diritti indisponibili (diritto alla salute, reputazione) e
neanche le singole facoltà che integrano il contenuto di un diritto.
Il termine decorre dal momento in cui il diritto può essere fatto valere (dies a quo). Esistono delle
norme che fanno decorrere il termine da momenti diversi:
• Nella disciplina della vendita si prevede la garanzia per i vizi, cioè si prevede che, se il
compratore acquista un bene viziato, abbia certe tutele nei confronti del venditore, può
esercitare delle azioni nei confronti del venditore. Queste azioni consentiranno al compratore
di ricevere in tutto o in parte la restituzione del prezzo. Queste azioni possono essere
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esercitate dal compratore entro un anno dalla consegna del bene. Il termine della
prescrizione decorre dal momento della consegna.
• Un’altra deroga riguarda il risarcimento del danno. Il termine di prescrizione decorre dal
momento in cui si è verificato il fatto dannoso. Questa regola può porre dei problemi perché si
può verificare la situazione in cui il danneggiato non sia consapevole che si sia verificato il
danno. In questo caso la giurisprudenza propone un’interpretazione correttiva, cioè il termine
di prescrizione non decorre dal momento in cui si è verificato il danno, ma dal momento in cui
il danneggiato poteva rendersi conto del danno.
Termini di prescrizione:
• Termine ordinario di 10 anni che vale per i diritti di credito che non abbiano a oggetto un
risarcimento
• Termini speciali, più lunghi per esempio i diritti reali minori si prescrivono in 20 anni
(usufrutto)
• Termini più brevi, come per il risarcimento del danno extracontrattuale (5 anni), è più breve
perché, quando si verifica un danno al di fuori di un rapporto contrattuale, il fatto che ha
cagionato il danno deve essere dimostrato tramite testimoni e più passa il tempo più la
testimonianza risulta scarsamente affidabile e scarsamente attendibile. Se interviene una
sentenza che condanna il debitore a risarcire il danno, allora il diritto che è stato riconosciuto
dalla sentenza si prescrive con il decorso di 10 anni dal momento in cui la sentenza diventa
definitiva.
SOSPENSIONE ED INTERRUZIONE
La prescrizione può essere interessata da sospensione e da interruzione. Ci sono delle circostanze
in presenza delle quali il decorso del termine si arresta e quando le circostanze vengono meno il
termine riprende a decorrere, questa è la sospensione. Il tempo che decorre prima della
sospensione viene computato, una volta venuta meno la causa di sospensione si aggiunge ad esso
quello trascorso successivamente.
Cause della sospensione: deriva da situazioni che transitoriamente impediscono l’esercizio del
diritto.
• Rapporti esistenti tra le parti (coniugi, datore di lavoro-dipendente)
• Particolari condizioni soggettive, per esempio il termine resta sospeso quando il creditore è
un minore o un interdetto temporaneamente privi di rappresentante legale
Interruzione della prescrizione: il termine della prescrizione riprende a decorrere da 0, essendo
irrilevante il tempo trascorso anteriormente.
Cause di interruzione: sono dei comportamenti.
• Atti provenienti dal titolare che costituiscono l’esercizio del diritto (domanda giudiziale,
quando il creditore esercita il suo diritto di credito chiedendo la condanna del debitore ad
adempiere, il termine di prescrizione risulta interrotto; oppure un atto di costituzione in mora)
• Atti che provengono dalla controparte che costituiscono un riconoscimento del diritto
(richiesta di una dilazione di pagamento)
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PRIMA E DOPO IL DECORSO DEL TERMINE DI PRESCRIZIONE: le parti
e il giudice
Prima del decorso del termine le parti non possono modificare i termini di durata della prescrizione,
le norme sono inderogabili e il soggetto passivo del diritto non può rinunciare preventivamente alla
prescrizione.
Una volta decorso il termine e compiuta la prescrizione:
• È ammessa la rinuncia (successiva) alla prescrizione. La rinuncia alla prescrizione, nel caso
del rapporto obbligatorio, porta il debitore ad adempiere all’obbligazione
• Il debitore che, rinunciando implicitamente alla prescrizione, abbia pagato spontaneamente il
debito estinto per prescrizione non può ottenere la restituzione di quanto pagato
• La prescrizione non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, ma deve essere eccepita dalla
parte interessata. Nel contesto di un processo, il giudice non può, di propria iniziativa, rilevare
che è scaduto il termine di prescrizione, ma è la parte interessata a dover farlo valere.
Esempio: se A agisce nei confronti di B pretendendo il pagamento di una somma di denaro
quando sono passati più di 10 anni dal momento in cui A avrebbe potuto esercitare il diritto, il
giudice non può di sua iniziativa rigettare l’azione, ma deve essere B a dover opporre
un’eccezione di prescrizione, che blocca l’esercizio dell’azione.
PRESCRIZIONE PRESUNTIVA
A differenza della prescrizione estintiva, che comporta senz’altro l’estinzione del diritto, la
prescrizione presuntiva si limita a creare una presunzione di estinzione del diritto. Una volta
decorso il termine, il diritto esiste ancora ma si presume che si sia estinto grazie alla soddisfazione
del diritto. Nella pratica, i crediti che hanno ad oggetto il corrispettivo di certe prestazioni vengono
soddisfatte contestualmente all’esecuzione di quelle prestazioni o subito dopo (vendita di beni al
dettaglio, servizi turistici). Si presume che, decorso un breve periodo di tempo, dal momento in cui la
prestazione è stata eseguita, il debito sia stato pagato e che il corrispondente diritto di credito sia
stato soddisfatto.
Se il creditore della prestazione, per un certo periodo di tempo piuttosto breve, non esige il
pagamento del corrispettivo, si immagina che la prestazione sia stata eseguita. Decorso questo
termine, senza che il creditore abbia preteso il pagamento del corrispettivo, il creditore conserva la
titolarità del diritto, ma incontra delle difficoltà nel dimostrare l’esistenza del diritto; infatti, lo può
provare solo con la confessione del debitore e il deferimento del giuramento decisorio. Entrambi i
mezzi implicano una fiducia nel comportamento corretto della controparte.
La confessione è una dichiarazione di un fatto sfavorevole nei confronti dell’autore della
dichiarazione e favorevole nei confronti della controparte.
Esempio:
Se ho dormito per 4 giorni in un albergo a Roma e non ho pagato posso dichiarare che
effettivamente non ho pagato il prezzo perché in quel momento non avevo liquidità e mi sono
accordato con l’albergatore che gli avrei fatto un bonifico entro un mese.
L’altro mezzo è il deferimento del giuramento decisorio. Le norme del Codice civile e del Codice
di procedura civile prevedono che un soggetto possa chiedere alla sua controparte di affermare,
sotto giuramento, la verità di determinati fatti essenziali ai fini di risoluzione della controversia.
Se la parte a cui è deferito il giuramento giura il falso, si verifica un illecito penale (reato, può essere
penalmente perseguita).
LA DECADENZA
Il congegno è analogo a quello della prescrizione, in quanto il decorso del tempo e l’inerzia del
titolare determinano l’estinzione del diritto.
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La decadenza si differenzia dalla prescrizione, perché le ragioni che la giustificano sono più
semplici. Risponde solo ad un’esigenza di certezza dei rapporti giuridici, cioè l’esigenza che il diritto
venga esercitato entro un certo termine, perché non si può tollerare che una situazione resti
sospesa, deve essere definita in tempi brevi. Da questo deriva che per impedire la decadenza è
necessario che il diritto venga esercitato entro un termine. Il termine di decadenza non si può
sospendere e non si può interrompere.
Esempi:
• Impugnazione delle sentenze con un atto di appello entro un termine di decadenza.
• Oppure denuncia dei difetti del bene. La legge prevede che il compratore debba denunciare
al venditore l’esistenza del difetto entro 8 giorni dalla scoperta. Se il compratore non
denuncia il difetto entro 8 giorni dalla scoperta decade dall’esercizio dei diritti che la legge gli
attribuisce nei confronti del venditore.
• Oppure quando un soggetto muore, gli eredi possono accettare l’eredità con beneficio di
inventario, in base al quale non rispondono dei debiti del defunto oltre il valore dell’attivo.
Questo inventario deve essere fatto entro 3 mesi dall’apertura della successione. Se
l’inventario non viene effettuato l’erede non può accettare con beneficio di inventario.
Anche altri aspetti della disciplina sono differenti. Sul terreno della decadenza assume rilevanza la
distinzione tra diritti disponibili e diritti indisponibili (nella prescrizione solo quelli disponibili).
➢ Se riguarda diritti indisponibili, la disciplina è inderogabile, le parti quindi non possono
modificarla, né rinunciare alla decadenza e il giudice deve rilevare la decadenza d’ufficio.
➢ Se il termine di decadenza riguarda i diritti disponibili la decadenza può essere evitata dal
riconoscimento del diritto ad opera della parte passiva.
Esempio:
Il venditore del bene viziato riconosce l’esistenza del difetto, se il compratore non denuncia il difetto
entro 8 giorni, non comporta la decadenza dei diritti.
Le parti possono modificare la disciplina della decadenza o introdurre termini diversi o introdurre
termini non previsti dalla legge, a condizione che non rendano eccessivamente
difficile l’esercizio del diritto. Il giudice non può rilevare la decadenza d’ufficio. In genere, la legge,
chiarisce quando un termine è di prescrizione o di decadenza.
IL CONTRATTO
Un Contratto, dal punto di vista economico, è la veste giuridica di un’operazione economica. Anche
le operazioni economiche più semplici richiedono un accordo tra le parti tramite contratto, perché
vanno a incidere sulla sfera patrimoniale di chi le compie; nell’ambito del diritto privato, è
inconcepibile che un soggetto possa subire una modificazione della propria sfera giuridica e del
proprio patrimonio senza che vi sia la sua volontà. Questo principio vale anche in relazione a
contratti caratterizzati da un acquisto a titolo gratuito. La donazione è un contratto perché il
donatario (chi riceve) potrebbe non voler diventare titolare di quel diritto.
Esistono anche dei contratti che possono avere solo delle conseguenze giuridiche favorevoli per
una delle parti. Con il contratto di fideiussione il garante si limita ad assumere un’obbligazione nei
confronti del creditore, il quale acquisisce solo un diritto di credito. In questo caso la legge riconosce,
alla parte che può avere solo delle conseguenze favorevoli, comunque, il diritto di evitare di
concludere il contratto rifiutando la conclusione. Un altro esempio è la remissione. Se il creditore
dichiara di estinguere l’obbligazione (effettua una remissione), da questo atto di remissione al
debitore può derivare solo un vantaggio, ma la legge riconosce al debitore il diritto di rifiutare la
remissione.
Per la legge, il contratto deve rendere applicabili a tutti gli oggetti designati dalla definizione le
norme che disciplinano il contratto in generale; il legislatore vuole prescrivere un significato di
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contratto che serve per individuare le fattispecie in cui sono applicabili le norme generali sul
contratto.
Pertanto, il contratto è l’accordo tra due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un
rapporto giuridico patrimoniale (art. 1321).
L’accordo è un atto negoziale, cioè, deriva dall’incontro della volontà di due o più parti; la volontà
delle parti deve essere diretta a realizzare dei conformi effetti giuridici.
Anche nel Codice si trova il concetto di accordo, che potrà essere bilaterale o plurilaterale, a
seconda del numero dei soggetti; tale accordo si basa su un rapporto giuridico patrimoniale ovvero
un rapporto fondato su un vincolo giuridico (intento empirico) (e non su un semplice rapporto di
cortesia) che ha ripercussioni sul patrimonio delle parti.
Un contratto, quindi, potrà regolare un rapporto giuridico patrimoniale, ovvero interpretare le regole
stabilite in altri contratti in singoli casi particolari (ad esempio, è il caso dei contratti collettivi di
lavoro); potrà estinguere un rapporto, sciogliendo quindi un rapporto che era stato creato con un
contratto precedente (ad esempio, nel caso delle risoluzioni consensuali dei contratti di lavoro).
Il matrimonio non è un contratto, è un atto negoziale bilaterale; genera un rapporto giuridico, ma
siccome il rapporto giuridico non è patrimoniale il matrimonio non è un contratto.
La funzione della definizione è quella di individuare le situazioni (fattispecie) a cui si applicano le
regole del contratto in generale.
L’art. 1323 stabilisce che, se un contratto non è sottoposto a una disciplina particolare, sarà
soggetto alle norme generali: le norme generali sono contenute nel Titolo II del Libro IV, quelle
particolari sono nel Titolo III.
Il legislatore non si limita a stabilire quindi delle norme comuni a tutti i contratti per risolvere dei
problemi comuni, ma affianca anche norme specifiche per i contratti tipici, che necessitano una
disciplina particolare. Questi contratti particolari sono gli schemi tipici delle operazioni economiche
più diffuse nella prassi (vendita, fideiussione, trasporto, eccetera): si tratta dei Tipi Contrattuali o
Contratti Tipici.
Il legislatore fa questa scelta perché i contratti tipici sono molto differenziati al proprio interno sotto il
profilo economico e giuridico, quindi non possono essere disciplinati solamente da norme generali;
inoltre, con una disciplina dei tipi contrattuali che si integra con quella generale, il legislatore vuole
aiutare le parti, anticipando loro tutti i problemi e le situazioni particolari che incontreranno
nell’attuazione del contratto, fornendo nel contempo delle direttive specifiche per tali situazioni in
modo da colmare le lacune degli accordi contrattuali incompleti.
L’art. 1324 stabilisce che le norme sui contratti sono applicabili agli atti unilaterali tra vivi che
abbiano un contenuto patrimoniale. Tali norme, quindi, non si applicheranno sui testamenti
(accordo a causa di morte), al riconoscimento di un figlio naturale (non ha contenuto patrimoniale).
Inoltre, le norme sul contratto si applicano agli atti unilaterali tra vivi che hanno contenuto
patrimoniale, in quanto compatibili. Significa che certe norme sul contratto non potranno applicarsi,
in particolare quelle che riguardano la formazione del contratto, perché il contratto richiede la
partecipazione di almeno due soggetti (accordo), mentre l’atto unilaterale si compie per effetto della
decisione di un solo individuo (le norme sulla formazione non trovano applicazione negli atti
unilaterali).
Esempio di atto unilaterale è il recesso, con il quale viene sciolto un rapporto contrattuale.
Per poter produrre effetti giuridici, un contratto deve avere dei requisiti (art. 1325): serve l’accordo
delle parti, la causa, l’oggetto e la forma prevista dalla legge.
Il contratto è un accordo di autonomia, cioè, è l’atto con cui le parti elaborano delle regole che sono
destinate a governare l’operazione economica che devono realizzare. Autonomia significa capacità
di darsi da sé delle regole.
Art.1322. Autonomia contrattuale. Si esprime nella scelta se concludere un atto oppure no, perché
è frutto di una scelta delle parti. Solo in rarissimi casi è la legge a imporlo.
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1. È un atto di autonomia perché le parti possono determinare il contenuto del contratto, nei
limiti imposti dalla legge.
Le parti sono libere di scegliere la loro controparte contrattuale (con chi stipulare il contratto).
Le parti possono decidere che tipo di operazione economica realizzare, cioè quale tipo di
contratto concludere. Esempio: concludo un contratto di compravendita e divento proprietario
di un immobile. Oppure un contratto di locazione sulla base del quale acquisisco un diritto di
credito che mi permette, in qualità di detentore dell’immobile, di godere dell’immobile per un
certo periodo di tempo. Oggi si ammette anche la possibilità di concludere un contratto che
permette di godere dell’immobile pagando un canone che compensa anticipatamente il
trasferimento della proprietà dell’immobile che avverrà in futuro (contratto di rent to buy).
2. Le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una
disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo
l’ordinamento giuridico. Ci sono due letture per questa definizione:
• Una più dirigistica, cioè, tende a limitare di più l’autonomia privata. I contratti atipici
sono leciti ed ammissibili nella misura in cui perseguono un interesse socialmente
rilevante.
• È sufficiente che il contratto sia lecito, cioè che non violi una seconda categoria di
norme che si contrappongono alle norme suppletive dispositive, cioè le norme
imperative. Prevale questa seconda lettura. Sono gli stessi parametri che si applicano
ai contratti tipici. Oggi prevale un’interpretazione in base alla quale i contratti atipici
sono validi alle stesse condizioni che si applicano ai contratti tipici.
Per quali ragioni il legislatore accosta alla definizione di contratto generale, la definizione di contratti
tipici?
1) Ragioni di carattere storico, cioè nel diritto romano non veniva contemplata tanto la figura del
contratto in generale, ma la figura dei singoli contratti (vendita, locazione). In un momento
storico successivo inizia ad essere teorizzata l’opportunità di adottare regole generali che
valgono in relazione a tutti i contratti. È un prodotto di una teorizzazione di tipo illuministico o
preilluministico
2) Le regole sul contratto generale, per quanto siano flessibili, non possono esserlo oltre una
certa misura. Quindi, siccome le operazioni economiche sono molto diverse una dall’altra, il
legislatore ritiene opportuno accostare a regole generali regole che sono più vicine alla
sostanza dell’operazione economica. La funzione di queste regole, molto spesso, è quella di
colmare le inevitabili lacune dell’accordo contrattuale. I contratti sono per definizione, in
maggiore o minore misura, incompleti perché le parti non possono prevedere tutte le
evenienze che sono destinate a verificarsi ai fini della attuazione di una operazione
economica. Quindi sono inevitabilmente incompleti. La ragione per cui i contratti sono
incompleti è che redigere contratti molto dettagliati comporta i cosiddetti costi transattivi.
Siccome la procedura diventa molto costosa, le parti possono decidere di non prolungarla
oltre e quindi di lasciare il contratto relativamente incompleto. Per questo intervengono le
norme sui tipi contrattuali che hanno la funzione di colmare le lacune che derivano
dall’incompletezza dell’accordo contrattuale. È stata stabilita una regola all’interno del tipo
contrattuale che prevede che, se le parti non hanno stabilito il luogo di consegna il bene deve
essere consegnato nel luogo in cui si trovava al momento della conclusione del contratto.
Queste norme che colmano le lacune si chiamano norme suppletive dispositive.
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sua colpa, nell’impossibilità di conoscerla. Si tratta di una presunzione relativa, cioè si ammette la
prova contraria.
Art. 1326. L’accettazione deve essere tempestiva, deve giungere al proponente nel termine da lui
stabilito o in quello ordinariamente necessario in base alla natura dell’affare o secondo gli usi (2°
comma). Se il proponente riceve un’accettazione tardiva (in linea di principio sarebbe inefficace) può
ritenerla efficace dandone immediatamente avviso all’altra parte (3° comma). Pu darsi poi che il
proponente abbia richiesto una forma determinata per l’accettazione (esempio: il proponente invia
la proposta per lettera e richiede che l’accettazione avvenga sempre per iscritto mediante lettera),
non ha effetto l’accettazione se è data in forma diversa (4° comma). Se l’oblato ha accettato in una
forma diversa da quella richiesta dal proponente, egli può ritenere ugualmente efficace
l’accettazione e comunicare immediatamente la circostanza all’oblato.
Il quinto comma prevede la regola di conformità ed accettazione della proposta. L’accettazione
deve essere conforme alla proposta. Se non è conforme vale come nuova proposta, i ruoli delle
parti si invertono: l’oblato che rende un’accettazione non conforme assume il ruolo di proponente e il
contratto si conclude quando questa accettazione non conforme, al valore di nuova proposta, viene
accettata dall’originario proponente, e la sua accettazione perviene a conoscenza dell’originario
oblato.
REGOLE PARTICOLARI
1. Pu darsi che, o su richiesta del proponente o per la natura dell’affare o in base agli usi,
l’oblato debba eseguire la prestazione senza una preventiva risposta, cioè ci sono delle
situazioni in cui l’oblato non deve accettare espressamente la proposta contrattuale, ma può
senz’altro eseguire la prestazione che costituisce oggetto del contratto. Questo può avvenire
quando:
• Lo richiede il proponente (proponente dice all’oblato di eseguire direttamente la
prestazione)
• Per la natura dell’affare (quando la proposta è incorporata in un modulo contrattuale
che è stato predisposto dall’oblato)
• Vi possono essere degli usi, cioè delle consuetudini, che in determinati settori
prevedono che il destinatario della proposta possa limitarsi ad eseguirla. Il contratto si
concluse nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione.
Colui che accetta deve dare prontamente avviso all’altra parte dell’iniziata esecuzione e, in
mancanza, è tenuto al risarcimento del danno. Questo obbligo esiste nella misura in cui
l’esecuzione non arriva prima dello stesso avviso dell’oblato.
2. Riguarda una piccola esigua minoranza di contratti. Contratti che comportano obbligazioni
a carico del solo proponente (Esempio: contratto di fideiussione, deriva solo
un’obbligazione a carico del fideiussore, cioè di garantire l’adempimento dell’obbligazione del
debitore principale). Se questa parte è il proponente, perché il contratto si concluda non
occorre l’espressa accettazione dell’oblato, ma è sufficiente che egli non rifiuti la proposta nel
termine richiesto dalla natura dell'affare o dagli usi, cioè entro un termine ragionevole. In
mancanza del rifiuto dell’oblato il contratto è concluso. Quindi in sostanza, se viene inviata
una proposta, diretta a concludere un contratto da cui derivano obbligazioni solo a carico del
proponente, l’oblato, che è il destinatario di quella proposta, la può rifiutare. Se non la rifiuta
entro un termine ragionevole il contratto si conclude. Quando i contratti prevedono
obbligazioni solo a carico del proponente, la proposta è irrevocabile nel momento in cui
perviene a conoscenza dell’oblato. Questo meccanismo non potrebbe trovare applicazione
neanche nel caso in cui da questo contratto derivassero effetti reali da una parte verso l'altra.
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legale. Se il proponente muore oppure diventa incapace dopo aver fatto la proposta, ma prima che il
contratto si sia concluso perdono efficacia la proposta e l’accettazione e il contratto non si conclude.
C’è per una deroga (art. 1330), cioè se la proposta o l’accettazione sono fatte dall’imprenditore
nell’esercizio della sua impresa, allora non perdono efficacia, perché si presume che quella
proposta o quell’accettazione abbiano a che fare con una struttura organizzata. Il fatto che sia morto
l’imprenditore come persona fisica o che sia diventato incapace non impedisce all’impresa di poter
ottenere beneficio da quel contratto. C’è poi un’eccezione rispetto all’eccezione, se abbiamo a che
fare con un piccolo imprenditore, la morte o l’incapacità fanno cadere la proposta e l’accettazione. Il
piccolo imprenditore è chi esercita un’attività economica prevalentemente con il proprio lavoro e dei
componenti della propria famiglia.
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finanziarie necessarie. In questa situazione posso concludere un patto di opzione con il venditore
(concedente), cioè la controparte si impegna a mantenere ferma la proposta di vendita del bene per
un periodo di tempo (es 1 mese) e io pago un corrispettivo per compensare questo impegno.
Se il concedente revoca la proposta contrattuale che deriva dal patto di opzione la revoca è priva di
effetto, inefficace.
Una volta concluso il patto di opzione, il contratto si conclude quando l’opzionario accetta la
proposta contenuta nel patto di opzione e l’accettazione dell’opzionario perviene a conoscenza del
concedente.
Nell’opzione è sempre necessario un termine e, in genere, le parti lo prevedono. Se il termine non
stato previsto dalle parti potrà essere determinato dal giudice.
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Se viene raggiunto un accordo su alcuni di questi aspetti, ma non su tutti quando si può dire
concluso l'accordo contrattuale?
Il Codice civile non fornisce dei criteri in relazione a questa ipotesi, proprio perché parte da un
presupposto diverso, cioè, vede formarsi l’accordo contrattuale per effetto di atti contrattuali.
Allora i criteri sono elaborati dalla giurisprudenza:
1. La conclusione del contratto presuppone che sia stato raggiunto l’accordo sugli elementi
essenziali
2. Le parti devono aver raggiunto l’accordo su tutti gli aspetti, essenziali e non essenziali,
affrontati durante la trattativa
3. A meno che, non essendo stato raggiunto un accordo su un elemento non essenziale, le parti
abbiano espresso comunque la volontà di essere vincolate al contratto; in questo caso
l'accordo può ritenersi concluso
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Anche nelle organizzazioni la rappresentanza è un requisito necessario, perché senza il ricorso alla
rappresentanza l'organizzazione non potrebbe disporre dei propri beni. Tuttavia, le persone fisiche
che operano all'interno dell'organizzazione possono scegliere i rappresentanti. Quindi, per esempio,
i soci scelgono il presidente della società che la può rappresentare in tutti i suoi atti giuridici e
possono anche decidere di revocare il potere di rappresentanza se non sono soddisfatti dell'operato
del rappresentante o per altre ragioni.
Art.1391. Nella stessa logica ci si colloca quando assumono rilevanza degli stati soggettivi. Nei
casi in cui è rilevante lo stato di buona o di mala fede si ha riguardo alla persona del rappresentante,
perché è il rappresentante che conclude il contratto, è la parte del contratto intesa come atto; quindi,
ci che conta è che il rappresentante sia in buona o malafede, a meno che la buona o la mala fede
rilevino in relazione ad elementi che sono stati predeterminati dal rappresentato. In nessun caso il
rappresentato che è in mala fede può giovarsi dello stato di ignoranza o di buona fede del
rappresentante.
Esempio: possesso vale titolo, se io sono consapevole del fatto che una persona non è proprietaria
di una pietra preziosa che io voglio acquistare, perché è stata rubata, non posso acquistare la
proprietà della pietra preziosa perché sono in malafede; allora non posso validamente acquistare la
proprietà della pietra neanche avvalendomi di un rappresentante, perché abuserei del meccanismo
della rappresentanza.
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Se un soggetto lavora in un esercizio commerciale come commesso e gli è stata conferita procura
ad agire in nome e per conto del soggetto che esercita l’attività (società), ma il rapporto di gestione
sulla quale quella persona esercita il potere di rappresentanza è un contratto di lavoro. Il commesso
è obbligato ad agire in nome e per conto della società, dal sottostante rapporto di lavoro.
Altro esempio:
Il mandato senza rappresentanza. Obbliga il mandatario ad agire per conto, ma non in nome del
mandante.
Art.1392. La procura deve avere la forma prescritta dalla legge per il contratto che il
rappresentante deve concludere. Esiste un principio di libertà di forma per cui i contratti possono
essere conclusi nella forma liberamente scelta dalle parti, ma ci sono dei contratti che richiedono la
forma scritta.
La forma della procura è la medesima che la legge prescrive ai fini della validità del contratto.
La procura a vendere o ad acquistare un immobile deve avere la forma scritta.
Il potere che conferisce la procura può essere anche limitato.
Esempio:
Io sono proprietario di una serie di immobili in varie province della Lombardia (2 in provincia di
Milano, 3 in provincia di Pavia e 2 in provincia di Brescia). Io conferisco al mio rappresentante
procura di vendere solo gli immobili in provincia di pavia oppure conferisco procura di vendere un
determinato immobile a un determinato prezzo.
I limiti del potere di rappresentanza originariamente stabiliti dal rappresentato (limiti originari) non
sono opponibili se non risultano dalla procura o non sono contestuali ad essa (collocato nel
medesimo contesto della procura). Nel momento in cui viene conferita una procura e si limita il
potere, devono essere indicati i limiti nella procura. Se si limita il potere del rappresentante con un
atto separato rispetto alla procura o con un atto non contestuale, il limite non può essere opposto ai
terzi. La violazione di questo limite costituirà un inadempimento del rapporto di gestione da parte del
rappresentante, ma non determinerà l’inefficacia del contratto concluso dal rappresentante.
Esempio:
Ho conferito al mio rappresentante la procura di vendere il mio appartamento a Milano per un
prezzo non inferiore a 1.200.000€. Se inserisco questo limite nell’ambito della procura, o se si può
ricavare dal documento in cui la procura è inserita, allora questo limite è opponibile a un terzo. Se
vende l’immobile a 800.000€, inferiore al limite, quel contratto è inefficace nei confronti del
rappresentato (rimango proprietario e non posso esigere il pagamento degli 800.000€).
Se invece io dico che l’immobile vale almeno 1.300.000€, ma dico al mio rappresentante che non
può essere venduto a meno di 1.200.000€, questo limite non sarebbe inserito nella procura e né
sarebbe contestuale alla procura, quindi non è opponibile al terzo. Se il rappresentante vende
l’immobile a 800.000€, il contratto è efficace. La violazione di questa indicazione potrà giustificare
solo un risarcimento del danno che il rappresentante dovrà pagare al rappresentato.
Quanto ai limiti sopravvenuti (limite che viene posto in un momento successivo), si applica l’art.
1396 “modificazione ed estinzione della procura”, che prevede che, se la procura viene revocata
o se il potere di rappresentanza in un secondo momento viene limitato, il rappresentato deve portare
a conoscenza dei terzi, con mezzi idonei, questa circostanza. Se il rappresentato non fa queste
comunicazioni, le limitazioni sopravvenute o la revoca della procura non sono opponibili ai terzi, a
meno che non si provi che essi le conoscevano al momento della conclusione del contratto.
Esempio:
Se il rappresentato sa che il rappresentante ha rapporti con una cerchia di soggetti, il rappresentato
potrà indirizzare una comunicazione a questi soggetti e avvisarli del fatto che il rappresentante non
è più dotato del potere di rappresentanza, in quanto la procura è stata revocata oppure che il potere
di rappresentanza è stato limitato.
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Una regola analoga vale per le altre cause di estinzione del potere di rappresentanza conferito
all’interessato, che non sono opponibili ai terzi che le hanno senza colpa ignorate.
Esempio:
Se un soggetto conferisce una procura a vendere o acquistare un immobile e successivamente
muore, la morte del rappresentato è una causa di estinzione del potere di rappresentanza. Questo
fatto non è opponibile ai terzi che abbiano concluso il contratto con il rappresentante.
Magari la morte del rappresentato non era stata comunicata dagli eredi ai terzi e neppure i terzi
potevano conoscere tramite altre fonti il fatto che il rappresentato era morto. Allora in questo caso,
se i terzi non hanno avuto conoscenza della causa estinzione del potere di rappresentanza e questa
loro mancata conoscenza non era dovuta a loro colpa, l'estinzione della rappresentanza non è a
loro opponibile, quindi il contratto è efficace.
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LA RAPPRESENTANZA SENZA POTERE
Art. 1398. Rappresentanza senza potere. Nel caso del difetto del potere di rappresentanza, il
rappresentante opera senza che gli sia stata conferita procura (falsus procurator). Nel caso
dell’eccesso del potere di rappresentanza, il rappresentante viola i limiti che gli aveva imposto il
rappresentato. Colui che ha contrattato come rappresentante senza averne i poteri o eccedendo i
limiti delle facoltà conferitegli, è responsabile del danno che il terzo contraente ha sofferto per avere
confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto.
Il contratto concluso dal rappresentante in difetto o eccesso della rappresentanza è inefficace nei
confronti del rappresentato. Quindi se il rappresentante non ha il potere di rappresentanza o eccede
i limiti del potere, il rappresentato non è vincolato dal contratto perché è inefficace.
Art. 1399. Pu darsi che il contratto concluso dal rappresentante senza potere o in eccesso, sia
comunque vantaggioso nei confronti del rappresentato. Allora la legge gli consente di rendere
efficace il contratto nei suoi confronti, mediante un atto chiamato ratifica.
Esempio:
Io conferisco procura al rappresentante di vendere il mio immobile di Milano e il prezzo non può
essere inferiore a 1.200.000€. Il rappresentante trova un acquirente che è disposto a pagare
l’immobile 1.100.000€, in nome e per conto mio. Questo contratto in linea di principio è inefficace,
perché è stato violato un limite, ma può darsi che io riflettendoci bene mi renda conto che ha
concluso un buon affare, perché dal momento in cui ho conferito la procura fino al momento della
conclusione del contratto, si è verificata una forte riduzione del valore di mercato degli immobili in
generale e in particolare del mio immobile. Quindi posso ratificare il contratto.
1. Il contratto può essere ratificato con l’osservanza delle forme prescritte per la conclusione di
esso.
2. La ratifica ha effetto retroattivo, ma sono salvi i diritti dei terzi. Questo significa che, per
effetto della ratifica, è come se il contratto fosse stato concluso da un rappresentante dotato
del potere di rappresentanza; quindi, gli effetti del contratto retroagiscono al momento in cui il
rappresentante ha concluso il contratto anche senza avere il potere. Esempio: Se l’immobile
viene venduto dal falso rappresentato prima della ratifica a un altro soggetto, il diritto di
quest’ultimo non può essere pregiudicato.
3. Il terzo e colui che ha contrattato come rappresentante possono d'accordo sciogliere il
contratto prima della ratifica. Quindi quando un contratto è stato concluso da un
rappresentante senza potere, si apre una situazione di incertezza dovuta al fatto che non si
sa se il rappresentato ratificherà oppure no il contratto.
4. Il terzo contraente può invitare il falso rappresentato a pronunciarsi sulla ratifica (interpello)
assegnandogli un termine, scaduto il quale, nel silenzio, la ratifica si intende negata. Se il
falso rappresentato non ratifica il contratto, il terzo viene danneggiato e il contratto è
inefficace nei suoi confronti. Quindi la legge prevede che il falso rappresentante debba
risarcire il danno che il terzo contraente ha sofferto per aver confidato senza sua colpa nella
validità del contratto. Il terzo non ottiene il risarcimento se al momento della conclusione del
contratto sapeva del limite imposto, e ha scommesso sul fatto che il rappresentato avrebbe
ratificato il contratto, ma il rappresentato non lo ratifica. La responsabilità del falso
rappresentante è responsabilità precontrattuale, perché riflette un comportamento scorretto
nella fase che precede la conclusione del contratto, è una responsabilità da delusione
dell’affidamento.
5. La facoltà di ratifica si trasmette agli eredi.
RAPPRESENTANZA APPARENTE
Non è prevista dalla legge, ma è elaborata dalla giurisprudenza allo scopo di tutelare l’affidamento
incolpevole del terzo che conclude un contratto con il rappresentante senza potere.
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Si può verificare per effetto di regole elaborate dalla giurisprudenza, una situazione in cui, anche se
il rappresentante è privo del potere di rappresentanza, il contratto concluso dal rappresentante
vincola ugualmente il rappresentato. Perché questo effetto si verifichi devono sussistere 3 condizioni:
1. Il falso rappresentante appare essere dotato del potere di rappresentanza
2. Tale apparenza è imputabile al falso rappresentato
3. Il terzo che ha concluso il contratto con il falso rappresentante confida incolpevolmente
nell’esistenza del potere
In presenza di queste condizioni, opera la teoria della rappresentanza apparente, che ha come
effetto l’efficacia del contratto nei confronti del falso rappresentato.
Il rappresentato deve comunicare con mezzi idonei a tutti i terzi che quel rappresentante non ha più
il potere di rappresentanza.
Se non comunica con mezzi idonei, allora i limiti e la revoca non sono opponibili ai terzi a meno che
il rappresentato non riesca a dimostrare che i terzi ne erano a conoscenza.
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sempre dispari, composto da 3 giudici. La clausola con cui si prevede che nel caso insorgano
controversie tra le parti, esse si rivolgeranno agli arbitri, e quindi si svolgerà un arbitrato, si chiama
clausola compromissoria.
Esempio di arbitraggio:
Tizio e Caio hanno trovato un accordo sulla vendita di un quadro dipinto da un pittore famoso, ma la
sua produzione è estremamente varia; quindi, tizio e caio non riescono a trovare un prezzo a fronte
dell’acquisto di caio e quindi si rivolgono a un mercante d’arte esperto che quindi opera nel ruolo di
arbitratore e determina il prezzo.
In relazione a questa figura la legge prevede due itinerari diversi e in relazione a questi due itinerari
la legge regola le possibili criticità che si possono verificare:
1. Le parti hanno nominato l’arbitratore e lo hanno incaricato di procedere con equo
apprezzamento, significa che l’arbitratore deve determinare l’oggetto del contratto
applicando dei criteri razionali, di cui deve anche rendere conto. Se le parti hanno incaricato
l’arbitratore di procedere in questo modo, ma l’arbitratore non effettua la determinazione (non
adempie), la determinazione può essere fatta dal giudice. Se l’arbitratore effettua la
determinazione, essa può essere impugnata dalle parti in quanto manifestamente iniqua o
erronea, cioè se risulta un’evidente ingiustizia della determinazione, commessa
dall’arbitratore, può essere impugnata dalle parti e verrà effettuata dal giudice.
2. Siccome le parti hanno una fiducia notevole nell’operato dell’arbitratore lo hanno autorizzato
a procedere con mero arbitrio, cioè, hanno esonerato l’arbitratore dall’applicare criteri
razionali e dal documentare i criteri adottati ai fini della determinazione dell’oggetto del
contratto. In questo caso se l’arbitratore non effettua la determinazione, le parti o riescono a
sostituirlo oppure il contratto è nullo. La determinazione dell’oggetto del contratto non può
essere fatta dal giudice. In questo caso la determinazione effettuata dall’arbitratore può
essere impugnata solo dimostrando la malafede, cioè, ha intenzionalmente determinato in
modo erroneo l’oggetto del contratto.
LA CAUSA
Tutti gli spostamenti patrimoniali devono essere in linea di principio giustificati (trasferimento di un
diritto reale, pagamento di una somma di denaro). La causa è la ragione giustificativa
dell’operazione economica realizzata dal contratto. È la ragione che giustifica gli spostamenti
patrimoniali realizzati dal contratto. L’idea centrale alla base della causa è che l’accordo delle parti è
un elemento necessario, ma non sufficiente a realizzare l’efficacia del contratto; perché il contratto
sia valido occorre anche una ragione che giustifica gli effetti prodotti dall’accordo. Si distinguono
causa in astratto e causa in concreto. Esempio di contratto privo di causa: soggetto che acquista un
bene di sua proprietà.
La causa in astratto è la ragione che giustifica quel tipo di operazione economica. La causa in
astratto si avvicina molto all’idea di tipo contrattuale. La causa in astratto è la funzione tipica
assegnata dal legislatore ad un determinato tipo negoziale, che viene disciplinato nei suoi aspetti
essenziali, si parla di funzione economico-sociale del contratto. Esempio: la causa in astratto
della compravendita è lo scambio tra la proprietà di un bene e un corrispettivo in denaro.
La causa in concreto è costituita dagli specifici interessi che costituiscono la specifica ragione
giustificativa di quel determinato contratto. È l’assetto di interessi che i contraenti perseguono
attraverso la materiale stipulazione di un determinato contratto. La ragione pratica che induce le
parti a concludere quel contratto.
È alla causa in concreto che bisogna fare riferimento quando si tratta di considerare o valutare se il
contratto è valido o no e se il contratto ha la causa oppure no.
Le cause in astratto che un contratto può avere sono:
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• Causa di scambio, cioè si caratterizza per il fatto che le prestazioni contrattuali sono in
rapporto di corrispettività. Nella vendita si ha lo scambio tra il trasferimento della proprietà di
un bene o di un altro diritto e il pagamento di un corrispettivo.
• Causa solutoria, cioè contratti che hanno la funzione di adempiere un’obbligazione
preesistente. Datio in solutum ha una causa solutoria, perché l’accordo è finalizzato
all’adempimento di una preesistente obbligazione.
• Causa di liberalità, presuppone non solo che una delle parti effettui a favore dell’altra
un’operazione patrimoniale gratuita, quindi che venga eseguita una prestazione gratuita a
favore di un’altra parte, ma occorre anche che quella prestazione gratuita non risponda ad un
interesse patrimoniale dell'autore della prestazione. Ha causa di liberalità la donazione che è
caratterizzata dal fatto che il donante non ha un interesse patrimoniale che lo spinge ad
arricchire il donatario. La causa che giustifica quel trasferimento che si ha con la donazione è
disinteressata, la ragione sta nell’affetto che ha il donante verso il donatario.
• Causa di garanzia, quando il contratto è finalizzato a garantire l’adempimento
dell’obbligazione assunta da un altro soggetto. Fideiussione: lo zio conclude un contratto a
favore del nipote.
• Causa di transazione; transazione ha due significati: nella legislazione speciale è un
contratto intercorrente tra due imprenditori o tra un imprenditore e un ente pubblico; nel
Codice civile indica un contratto con cui le parti, facendosi reciproche concessioni, risolvono
una controversia che si è sviluppata tra esse o prevengono una controversia che potrebbe
svilupparsi. Le parti si attribuiscono dei diritti, ma non sono in rapporto di scambio. Lo scopo
è quello di concedere qualcosa alle pretese della controparte per evitare un effetto
sgradevole e pregiudizievole, cioè l’insorgere di una controversia.
Il concetto di causa si contrappone a quello di motivo. La causa ha una rilevanza oggettiva; il
motivo ha una connotazione soggettiva, cioè, è la finalità che induce le parti, l’una considerata
separatamente dall’altra, a concludere il contratto. Mentre la causa è rilevante per il contratto,
perché senza è nullo, i motivi sono irrilevanti. Non c’è ragione che giustifica l’acquisto di un bene di
cui un soggetto è già titolare. Un contratto sarebbe nullo, per mancanza di causa, anche quando la
causa non potesse in alcun modo essere ricavata dal contratto.
Art.1343. La causa è illecita quando contrasta con gli stessi parametri dell’oggetto illecito. Questi
parametri sono:
• Le norme imperative, norme inderogabili e rispondenti a interessi di carattere generale; si
contrappongono alle norme dispositive e suppletive, che sono derogabili e hanno come
scopo quello di colmare le eventuali lacune del contratto. Sono norme imperative molte
norme penali, per esempio: le norme che proibiscono l’omicidio, norme che proibiscono la
vendita di sostanze stupefacenti. Sono inderogabili perché perseguono interessi di carattere
generali.
• L’ordine pubblico è l’insieme dei principi su cui si fonda l’ordinamento giuridico in un certo
momento storico.
• Il buon costume, è l’insieme dei principi etici condivisi nella società in un determinato
momento storico. Principi legati al senso del pudore, morale e sessuale. Il buon costume
comprende anche certi principi di etica professionale, per esempio l’accordo che intercorre
tra un calciatore e una squadra con il quale il calciatore si impegna a non dare il meglio di sé
o addirittura a sbagliare un rigore in una certa partita, è un contratto illecito contrario a un
principio del buon costume.
Illiceità dell’oggetto e illiceità della causa si verificano nella maggior parte dei casi entrambi, ma si
può verificare il caso in cui un contratto ha un oggetto lecito (non contrasta con i parametri detti
sopra), ma ha una causa illecita. Pur essendo le prestazioni considerate lecite, la ragione che
giustifica le prestazioni è illecita.
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Esempio:
Ha causa e oggetto illeciti il contratto con cui il funzionario, in cambio di una somma di denaro
pagata da un imprenditore privato, si impegna ad alterare il risultato di una gara di appalto.
In base ad un accordo che intercorre tra il privato e il funzionario, il funzionario, a fronte del
pagamento di una somma di denaro da parte del privato, si impegni a seguire l’iter della pratica e a
far in modo che la pratica abbia un iter spedito, quindi che venga presa in considerazione dai
funzionari competenti a decidere sul merito di quella richiesta avanzata dal privato. Il funzionario in
questo caso non si impegna ad alterare il risultato della procedura, ma solo a fare in modo che la
procedura vada avanti in modo spedito. In questo caso il contratto ha un oggetto lecito perché il
funzionario si obbliga a fare quanto è già tenuto a fare in quanto funzionario statale; le prestazioni
contrattuali non sono illecite, ma è illecita la causa, cioè la ragione sulla base della quale il pubblico
funzionario svolge quell’attività. Ci che contrasta con le norme imperative e con l’ordine pubblico è
che il pubblico funzionario svolge quell’attività perché è pagato da un privato.
Art.1345. Il motivo di per sé è irrilevante ai fini della conclusione del contratto, ma c’è un’eccezione.
Motivo illecito. Il contratto è illecito quando le parti si sono determinate a concluderlo
esclusivamente per un motivo illecito comune ad entrambe. Si ha quando o entrambe le parti, grazie
al contratto, svolgono un’attività illecita (esempio: trasporto di sostanze stupefacenti, tizio incarica
caio che utilizza l’aereo di tizio) oppure una sola delle due parti svolge un’attività illecita e l’altra, non
solo è consapevole di questo, ma ricava un profitto da questa sua consapevolezza.
Esempio:
Tizio, proprietario di un appartamento, lo dà in locazione a caio; tizio sa che caio in
quell’appartamento svolge un’attività di vendita di stupefacenti e per questo tizio pretende un
canone di locazione particolarmente elevato.
Se tizio fosse solo consapevole dell’attività senza ricavare un profitto da questa sua consapevolezza
il contratto sarebbe valido perché non è comune.
LA FORMA
La forma del contratto è la manifestazione della volontà contrattuale. Le parti, in linea di principio,
sono libere di scegliere il modo con cui formano e manifestano la volontà contrattuale. Esiste infatti
un principio di forma. In base a questo principio le parti scelgono come manifestare la loro volontà
contrattuale. Quindi possono scegliere di manifestarla verbalmente, mediante una dichiarazione
verbale; possono scegliere di manifestarla in forma scritta; ma possono anche scegliere di
manifestare la volontà contrattuale attraverso un comportamento concludente, cioè attraverso un
comportamento che non prevede l'uso del linguaggio (inserire la moneta nel distributore delle
bevande, il contratto si conclude mediante inizio di esecuzione, cioè con l’erogazione del prodotto;
oppure salire sull’autobus).
Grazie al principio di libertà di forma si possono concludere dei contratti via internet. Garantisce
l’adeguamento del sistema giuridico alle innovazioni di tipo tecnologico.
Tuttavia, esistono dei contratti in relazioni ai quali questo principio subisce delle deroghe, cioè i
contratti per i quali la legge prevede la forma scritta ai fini della validità. Per forma scritta si intende:
• L’atto pubblico è un documento redatto con certe formalità, tra queste l’apposizione del
sigillo, da un notaio o da un altro pubblico ufficiale che attribuisce a quel documento la
pubblica fede. La pubblica fede è la capacità che l'atto pubblico ha di dimostrare, fino a
querela di falso, la provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha redatto,
nonché le dichiarazioni delle parti e gli altri fatti che il notaio, o l’altro pubblico ufficiale, attesta
essere avvenuto in sua presenza. Per mettere in discussione il fatto che le parti hanno reso
quelle dichiarazioni, il contenuto delle dichiarazioni e i fatti che il notaio attesta essere
avvenuti in sua presenza, bisogna promuovere un procedimento che mette in discussione
l’attendibilità del notaio e si chiama querela di falso. Questo procedimento è pesante perché
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comporta un addebito di responsabilità penale nei confronti del notaio responsabile di falso
ideologico. È responsabile di aver falsificato un documento da lui redatto.
• La scrittura privata è un documento scritto redatto e firmato dalle parti. Anch’essa fa piena
prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta, ma
solo se colui contro cui è prodotta la scrittura ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa
è considerata legalmente come riconosciuta.
Esempio: io faccio valere nei confronti di tizio una scrittura privata firmata da lui. A fronte di
questa domanda tizio può disconoscere la scrittura privata, cioè, dice che non l’ha firmata lui,
si apre così un procedimento che prende il nome di
“verificazione della scrittura privata”. Se tizio non disconosce la scrittura privata o se il
procedimento di verificazione porta ad affermare che effettivamente quella è la firma di tizio,
allora la scrittura privata dimostra la provenienza di quella dichiarazione da colui che l’ha
sottoscritta, tutto ci fino a querela di falso. La querela di falso è successiva alla verificazione.
Art. 2703. Sottoscrizione autenticata. È una firma che viene accertata da un notaio o da un
pubblico ufficiale. L’autenticazione è l’attestazione da parte del pubblico ufficiale che la
sottoscrizione è stata apposta in sua presenza preceduta dal preventivo accertamento
dell'identità di chi sottoscrive. È autenticata quando noi scriviamo il nostro contratto sul foglio
di carta poi ci rechiamo dal notaio; il notaio accerta la nostra identità e autentica le nostre
firme, cioè, attesta il fatto che noi abbiamo una certa identità e quindi siamo effettivamente
chi diciamo di essere e che abbiamo apposto la firma in sua presenza.
La scrittura privata autenticata o l’atto pubblico sono necessarie ai fini della trascrizione nei
registri immobiliari.
Ai fini legali, la forma della scrittura privata si ritiene soddisfatta anche in presenza di una
firma digitale o di una firma elettronica qualificata, ovvero di sottoscrizioni apposte con
strumenti informatici che hanno la funzione di identificare con assoluta certezza colui che
appone la firma, con diversi gradi di sofisticazione.
FORMA CONVENZIONALE
Ci sono delle situazioni in cui sono le parti stesse che prevedono una certa forma ai fini della
conclusione dei contratti che sono destinati ad intercorrere tra di loro, si tratta di forma
convenzionale o di patto sulla forma. È spesso presente nell’ambito di un contratto in relazione ai
contratti che potrebbero modificarlo.
Esempio:
Tizio e caio concludono un contratto di appalto che prevede che tizio presti dei servizi a Caio per un
periodo di tempo consistente e prevedono per anche che tutte le modifiche di quel contratto
dovranno essere pattuite per scritto. Le parti possono anche prevedere che tutte le modifiche del
contratto debbano essere pattuite per scritto e che risulti la sottoscrizione di entrambe le parti su
tutte le pagine del contratto.
Art.1352. Se il patto sulla forma è scritto si presume che la forma prevista dalle parti sia stata voluta
ai fini della validità del contratto. È onere della controparte dimostrare che la forma è stata prevista
solo ai fini della prova.
Se invece il patto sulla forma è concluso oralmente, non scatta nessuna presunzione e quindi c’è un
libero gioco di prova e controprova. La parte interessata all’invalidità dell’accordo che non è rivestito
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dalla forma prevista dalle parti, avrà interesse a sostenere che le parti hanno previsto quella forma
ai fini della validità; la parte invece interessata alla validità del contratto, sosterrà che la forma è
stata richiesta solo ai fini della prova e su questa base cercherà di dimostrare l’esistenza del
contratto deferendo per rapporto decisorio o sostenendo che la parte ha confessato la stipulazione
del contratto privo del requisito di forma.
Esempio:
Pur essendoci quell’accordo che prevede che le modifiche debbano essere fatte per iscritto,
committente e appaltatore pattuiscono oralmente una modifica. Quell’accordo verbale si presume
nullo perché siccome il patto sulla forma è rivestito della forma scritta si presume che le parti
abbiano prescritto la forma scritta ai fini della validità dell’accordo modificativo. La presunzione di
nullità può essere superata dalla parte che ha interesse a far valere la validità del patto modificativo
dimostrando che le parti in realtà hanno previsto quella forma solo ai fini della prova sostenendo che
ci sia stata una confessione o deferendo alla controparte il giuramento decisorio.
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• L’interpretazione soggettiva (art. 1362) prevede che nell’interpretare il contratto si debba
indagare su quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso
letterale delle parole. Per conoscere la comune intenzione delle parti al di fuori del testo
contrattuale, in primo luogo, occorre fare riferimento al comportamento complessivo delle
parti (considerare non solo ci che le parti hanno dichiarato ma anche ci che hanno fatto prima
e dopo la conclusione del contratto). L’altro elemento da considerare è il contesto, le
clausole si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo il senso che risulta dal
complesso dell’atto. Esempio: a una clausola contrattuale isolatamente considerata può
essere attribuito un significato A che risulta essere quello più aderente al testo della clausola.
Se confrontiamo la clausola con una serie di altre clausole che sono inserite nel contratto può
risultare conforme all’effettiva volontà delle parti il significato B, anche se quel significato B è
un significato che appare meno aderente al testo contrattuale rispetto al significato A, ma è
avvalorata dal contesto in cui è inserita la clausola. Se non può essere determinata la
comune intenzione delle parti, si applicano le regole di interpretazione oggettiva;
• L’interpretazione oggettiva. È data da una serie di regole che presuppongono non riuscito il
tentativo di individuare la reale volontà delle parti; quindi, indirizzano l’interpretazione verso
l’individuazione del significato che appare oggettivamente più indicato, più ragionevole o
oggettivamente appare al legislatore più meritevole di essere avvalorato. Le regole di
interpretazione oggettiva si applicano sussidiariamente, cioè solo se l’interpretazione
soggettiva non arriva a un risultato.
C’è un collegamento tra due i tipi di interpretazione: il contratto deve essere interpretato secondo
buona fede, cioè nel modo più coerente con l’operazione economica programmata dalle parti e in
modo tale da massimizzare il più possibile i vantaggi che le parti possono ricavare da
quell’operazione economica e minimizzare i sacrifici che devono sostenere per realizzarla. Bisogna
privilegiare l’interpretazione che massimizza i vantaggi e minimizza i sacrifici derivanti da
quell’operazione economica.
Una volta enunciato questo principio, il Codice civile poi prevede altre regole di interpretazione
oggettiva (art. 1365 in poi), tra cui la cosiddetta interpretatio contra stipulatorem, cioè una regola in
base alla quale quando il testo contrattuale è stato unilateralmente predisposto da una delle due
parti ed è stato accettato dall’altra, in questo caso prevale l’interpretazione più favorevole
all’aderente e sfavorevole a chi ha predisposto il contratto unilaterale. In parte questa regola non è
neppure una regola di interpretazione soggettiva perché, quando c’è un testo contrattuale
unilateralmente predisposto non si parla di volontà delle parti, è solo una delle parti che ha redatto il
testo contrattuale; quindi, è possibile che questa regola sia in realtà una regola applicabile, non a
seguito dell’interpretazione soggettiva, ma è possibile che si tratti di una regola che si applichi in
prima battuta a favore dell’aderente e contro il predisponente.
INTEGRAZIONE SUPPLETIVA
Integrazione suppletiva legale: Ha la funzione di aiutare l’autonomia privata, colmando le inevitabili
lacune dell’accordo contrattuale attraverso le norme dispositive e suppletive. Queste norme sono
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dette anche dispositive perché le parti possono disporre diversamente. Esempio: In mancanza di
patto o uso contrario, la consegna della cosa deve avvenire nel luogo in cui si trovava al momento
della vendita. È suppletiva perché evita un conflitto tra le parti sul luogo della consegna in mancanza
dell’accordo, ma è anche dispositiva perché le parti possono scegliere liberamente il luogo della
consegna.
Art. 1374. Ci sono poi gli usi normativi. Per usi normativi si intendono le consuetudini del contratto.
Nella gerarchia delle fonti sul fondo si trovano le consuetudini, cioè una costante ed uniforme
ripetizione di un certo comportamento con la convinzione che sia giuridicamente doveroso.
Il contratto può essere integrato anche dagli usi contrattuali, previsti dall’art. 1340. Le clausole
d'uso si intendono inserite nel contratto, se non risulta che non sono state volute dalle parti. Gli usi
contrattuali sono diversi da quelli normativi perché riflettono semplicemente una prassi che si
instaura in un determinato settore. Vi sono dei settori in cui vengono regolarmente adottate certe
clausole e che costituiscono una sorta di elemento costantemente ricorrente nei contratti conclusi
dagli operatori economici in un dato ambito; allora queste clausole che diventano clausole d'uso si
intendono inserite nel contratto a meno che non risulti che le parti non le abbiano volute.
Queste clausole non riflettono la convinzione che il loro inserimento sia giuridicamente necessario,
ma riflettono una prassi, un comportamento costante che si instaura in un certo periodo tra gli
operatori economici.
Integrazione suppletiva giudiziale. Pu darsi che la legge possa affidare al giudice la determinazione
di alcuni aspetti del regolamento contrattuale. Esempio: il giudice decide il corrispettivo di
prestazioni di fare; in materia di appalto si prevede che, se le parti non hanno determinato il prezzo
di un’opera o servizio, il prezzo può essere determinato dal giudice.
Art. 1657. Questa norma presuppone che non sia determinato l’oggetto. Di norma questo
comporterebbe la nullità del contratto, ma il legislatore vuole evitare questa conseguenza perché,
quando viene concluso un contratto di appalto spesso non viene determinato il prezzo, ma viene
determinato solo quando è stato eseguito il lavoro; quindi, il legislatore vuole evitare che questa
situazione determini la nullità del contratto perché comporterebbe delle conseguenze difficili da
gestire. Quindi affida al giudice il compito di determinare il prezzo.
Esistono due principi che offrono al giudice la possibilità di integrare gli effetti del contratto tramite
l’interpretazione di tipo suppletivo, che sono la buona fede e l’equità.
La buona fede è considerata sinonimo di correttezza e grazie a essa il giudice può integrare gli
effetti del contratto riconoscendo a carico delle parti delle obbligazioni accessorie, degli obblighi di
comportamento.
L’equità è la soluzione che risulta essere più equa e ragionevole alla luce delle circostanze del caso
concreto. Attraverso un’integrazione basata sull’equità, il giudice in presenza di una lacuna
dell’accordo contrattuale individua la soluzione che appare essere maggiormente ragionevole e
adeguata alla luce delle circostanze del caso concreto.
In entrambi i casi il giudice non può integrare gli effetti del contratto sulle base di sue personali
convinzioni, ma deve adottare una soluzione coerente con l’operazione economica realizzata dalle
parti.
INTEGRAZIONE COGENTE
È un’integrazione del contratto mediante fonti eteronome che si pone in antitesi all’autonomia privata.
A differenza dell’integrazione suppletiva, quella cogente limita l’autonomia privata.
Per effetto dell’integrazione cogente, il contratto non produce gli effetti previsti dall’accordo
contrattuale, ma produce effetti differenti previsti dalla legge.
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Questo accade evidentemente perché il legislatore ritiene che l'accordo contrattuale non possa
produrre certi effetti, d’altra parte per ritiene anche che debba produrre degli effetti diversi che la
stessa legge prevede.
La legge cioè, quando si realizza un’integrazione, non si limita a vietare un certo effetto (questo è ci
che avviene quando si ha una norma imperativa che vieta un certo effetto giuridico. Esempio: il
divieto del patto commissorio); in questo caso si ha una norma imperativa che prevede un effetto
giuridico che il contratto deve necessariamente produrre e se l'accordo delle parti regola
diversamente un determinato aspetto del rapporto contrattuale, quell’aspetto verrà sostituito in modo
cogente/coattivo dalla diversa norma prevista dalla legge.
Art.1339. Inserzione automatica di clausole. Prevede che le clausole, i prezzi di beni o di servizi
imposti dalla legge sono di diritto inseriti nel contratto, anche in sostituzione delle clausole difformi
apposte dalle parti.
Esempio:
Locazione commerciale, cioè locazione di beni immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione,
quindi adibiti a scopi imprenditoriali in particolare commerciali come la locazione di un magazzino.
La legge sull’equo canone ha delle disposizioni che riguardano la locazione commerciale. Alcune di
queste disposizioni tutelano e proteggono il conduttore di un immobile adibito ad uso commerciale e
cioè l’imprenditore che ha interesse ad una stabilità nel godimento di quel determinato immobile
perché lì esercita la propria attività commerciale, la clientela identifica l'esercizio commerciale anche
con il luogo dove viene esercitata l'attività; ancora perché probabilmente per iniziare quell’attività
commerciale il conduttore dell'immobile ha dovuto sostenere degli investimenti consistenti
(ristrutturazione). Quindi la legge prevede un termine minimo di durata della locazione commerciale
di 6 anni (9 se si tratta di un immobile adibito a uso alberghiero).
Cosa accade se il contratto di locazione intercorrente tra due soggetti prevede un termine di durata
inferiore ai 6 anni?
Il termine inferiore ai sei anni viene sostituito coattivamente dal diverso termine minimo di sei anni
previsto dalla legge.
Le norme che integrano coattivamente il contratto sostituendo gli effetti dell'accordo a quelli previsti
dalla legge, sono derogabili a vantaggio della parte protetta. È possibile che le parti pattuiscano che
il contratto di locazione commerciale abbia una durata di 8 anni, perché questa deroga, rispetto al
termine minimo previsto dalla legge, è una deroga che asseconda l'interesse dell'imprenditore che
prende in locazione il locale.
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Esempio:
La compravendita è un contratto ad effetti reali perché trasferisce dal venditore al compratore la
proprietà o un altro diritto. Non solo trasferisce un diritto reale, ma tizio è obbligato a consegnare il
bene a caio.
Quindi i contratti ad effetti reali producono anche alcuni effetti obbligatori.
I contratti ad effetti reali sono contratti che si caratterizzano per un aspetto che riguarda gli effetti
prodotti. Vanno quindi distinti dai contratti reali; i contratti reali sono contratti che si caratterizzano
per un elemento, una peculiarità che riguarda la loro formazione e si differenziano dai contratti
consensuali. I contratti reali sono quei contratti per cui non è sufficiente, ai fini della formazione,
l'accordo delle parti; è necessario che l'accordo sia accompagnato dalla consegna di un bene.
La maggior parte dei contratti sono consensuali, cioè, è sufficiente l’accordo delle parti per
concludere il contratto, ma non i contratti reali.
Il contratto reale più rilevante è il mutuo, cioè il contratto con cui un soggetto (mutuante) eroga un
finanziamento trasferendo al soggetto finanziario (mutuatario) la proprietà di una somma di denaro,
che il mutuatario sì obbliga a restituire al mutuante, pagando degli interessi corrispettivi. Il mutuo è
un contratto reale perché si conclude solo con la consegna del denaro dal mutuante al mutuatario.
Altro esempio di contratto reale è il contratto costitutivo del pegno. La costituzione del diritto di
pegno richiede oltre all’accordo scritto, anche lo spossessamento del bene.
Oppure anche la donazione manuale. Si può effettuare senza la forma dell’atto pubblico, solo
attraverso la consegna del bene, se il bene è un bene di modico valore.
O anche il comodato. Si perfeziona solo con la consegna del bene.
Principio consensualistico. Se il contratto ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una
cosa determinata allora l'effetto reale si produce grazie al semplice consenso delle parti
legittimamente manifestato. Non occorre la consegna del bene e non è necessario il pagamento del
prezzo per produrre gli effetti.
Grazie al principio consensualistico il diritto su un bene può passare più volte da un alienante a un
acquirente essendo il bene sempre fermo in uno stesso luogo.
Il principio consensualistico incontra dei limiti interni dovuti alle caratteristiche del bene. La proprietà
del bene non si può trasferire per effetto del semplice consenso in 3 situazioni:
• Quando si tratta di cose generiche, cioè con cose non determinate, ma identificate solo per la
categoria merceologica a cui appartengono.
• Quando si tratta di cose future, quindi cose che non esistono ancora al momento della
conclusione del contratto.
• Quando si tratta di cose altrui, cioè che non sono di proprietà di colui che aliena il bene.
Art.1378. Il contratto ha ad oggetto non il trasferimento della proprietà di un bene identificato, ma il
trasferimento della proprietà di beni fungibili (beni uguali ad altri beni, identificabili solo per categoria
merceologica es: 500kg di farina).
Siccome i beni non sono identificati, non si può immediatamente produrre effetti reali, il
trasferimento della proprietà si realizzerà solo con l’individuazione, cioè solo nel momento in cui le
parti d’accordo tra di loro o nei modi che hanno predeterminato, individueranno quelle cose che
passeranno dall’alienante all’acquirente.
Trattandosi di cose che devono essere trasportate da un luogo a un altro, l’individuazione avviene
anche mediante la consegna al vettore o allo spedizioniere. L’alienante può effettuare
l’individuazione consegnando i beni al vettore.
Quando si tratta di cose future il legislatore chiarisce che il contratto che ha per oggetto cose future
è valido, salvo divieti. Il divieto più rilevante riguarda i contratti di donazione o contratti con cui si
effettua una liberalità che ha per oggetto cose future (atto gratuito che non risponde ad alcun
interesse patrimoniale dell’alienante). Finché la cosa non viene ad esistenza non si può produrre
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l’effetto reale, cioè non si può determinare il trasferimento della proprietà dall’alienante all’acquirente.
Il contratto che ha ad oggetto cose future è valido e vincola le parti; tuttavia, non può produrre
immediatamente effetti reali, ma solo quando il bene verrà ad esistenza.
Stesso discorso vale per le cose altrui. È valido un contratto che ha per oggetto la vendita di cose
altrui; tuttavia, si determina il trasferimento della proprietà solo nel momento in cui l’alienante avrà
acquistato la proprietà del bene.
Esistono anche limiti esterni dovuti all’interferenza delle regole sulla circolazione dei diritti.
Esempio:
In relazione alla circolazione di beni immobili, se tizio conclude un contratto di compravendita
immobiliare per scrittura privata, con caio il contratto gli trasferisce la proprietà del bene, quindi
opera il principio consensualistico, ma se tizio comportandosi disonestamente aliena il bene a
sempronio per atto pubblico e lo trascrive prima di caio, sempronio prevale su caio. Allora le regole
sulla trascrizione costituiscono un limite esterno al principio consensualistico, cioè, vanificano
l’operatività del principio consensualistico.
Una regola analoga è quella in relazione alla circolazione dei beni mobili non registrati, la regola del
possesso vale titolo. Quindi se tizio trasferisce a Caio la proprietà di un bene ma non glielo
consegna, poi successivamente tizio vende lo stesso bene a sempronio e glielo consegna e nel
momento della consegna sempronio è in buona fede, allora prevale chi per primo ha ricevuto la
consegna.
CONTRATTI NORMATIVI
I contratti normativi sono contratti che definiscono il regolamento di altri rapporti contrattuali, che
sono destinati ad essere costituiti in futuro. I contratti collettivi di lavoro che intercorrono tra le
organizzazioni rappresentative dei lavoratori e dei datori di lavoro, sono contratti normativi in quanto
quando poi il singolo lavoratore e singolo datore di lavoro concluderanno un contratto individuale di
lavoro, questo rapporto contrattuale, che nasce dal contratto individuale di lavoro, sarà regolato dal
contratto collettivo, che quindi è un contratto normativo. Stessa cosa il contratto di intermediazione
finanziaria, che è un contratto che intercorre tra una banca o un intermediario finanziario ed un
investitore; questo contratto regola i rapporti che si costituiranno tra banca ed investitore quando
l’investitore effettuerà degli ordini di acquisto alla banca e cioè chiederà alla banca di acquistare per
suo conto dei titoli sul mercato finanziario.
Per quanto riguarda i rapporti tra gli effetti del contratto e il tempo si distinguono:
• Contratti ad effetti istantanei sono contratti che esauriscono i loro effetti in un momento
puntuale. Possono essere:
o Ad esecuzione immediata quando vengono eseguiti contestualmente alla conclusione del
contratto (beni di consumo)
o Ad esecuzione differita quando l’esecuzione della prestazione avviene alla scadenza di un
termine previsto
• Contratti a durata sono contratti la cui esecuzione impegna necessariamente un certo periodo
di tempo perché l’interesse di almeno una delle parti può essere soddisfatto solo mediante
un’esecuzione che si dilata nel tempo (locazione). Possono essere:
o Ad esecuzione continuata quando la prestazione avviene senza soluzione di continuità
(prestazione del locatore, che assicura e concede il godimento di un bene senza
soluzione di continuità per un certo periodo di tempo; o contratti che prevedono
obbligazioni che hanno ad oggetto prestazioni di non fare: prevedono un’obbligazione che
si verifica con un’astensione. Esempio non fare concorrenza)
o Ad esecuzione periodica quando si ha una prestazione eseguita a cadenze periodiche nel
tempo (canone di locazione)
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Spesso in un contratto di durata si trova una prestazione che è continuata, per esempio la
prestazione del locatore che concede il godimento di un bene per un certo periodo di tempo, e la
controprestazione che è una prestazione periodica, per esempio l’obbligazione del conduttore che
paga ogni mese il canone di locazione.
RECESSO UNILATERALE
Come le parti sono libere di concludere il contratto, di generare un rapporto giuridico patrimoniale,
così sono libere di scioglierlo quando quel contratto non risponde più ai loro interessi.
In linea di principio una sola delle parti non può rinnegare l'impegno assunto con la conclusione del
contratto a meno che non abbia il diritto di recedere unilateralmente.
Il recesso unilaterale è un atto unilaterale, cioè, compiuto da un solo soggetto, mediante il quale un
soggetto scioglie il rapporto che lo lega ad un altro soggetto.
È un atto unilaterale perché non richiede l’accordo delle parti, ma è sufficiente la volontà del
recedente affinché il contratto sia sciolto.
Il diritto di recesso può derivare da:
• Una clausola contrattuale e si parla di recesso convenzionale
• Da una disposizione di legge, cioè espressamente riconosce a una delle parti o entrambe il
diritto di recedere e si parla di recesso legale
RECESSO CONVENZIONALE
Il recesso convenzionale è previsto dall’art.1373, che nel regolarlo distingue a seconda che il
recesso sciolga un contratto ad esecuzione istantanea o sciolga invece un contratto di durata.
Se il recesso è relativo ad un contratto ad esecuzione istantanea, la facoltà di recedere può essere
esercitata solo finché il contratto ha avuto principio di esecuzione. Non può essere esercitato il
recesso dopo che è iniziata l’esecuzione del contratto.
Se il contratto è un contratto a durata (esecuzione continuata o periodica) è possibile recedere
anche dopo l’inizio dell’esecuzione. Tuttavia, il recesso non ha effetto per le prestazioni già eseguite
o in corso di esecuzione.
Il recesso non comporta l’obbligo di restituire le prestazioni che una parte ha ricevuto in attuazione
del rapporto contrattuale.
Esempio:
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Contratto di locazione. Il conduttore può recedere anche dopo che ha ricevuto il bene, dopo che ha
iniziato a godere del bene e può recedere anche dopo che ha iniziato a pagare il canone di
locazione.
Il conduttore che recede non può ottenere dal locatore la restituzione dei canoni che ha pagato e il
locatore non può ottenere la restituzione del valore di godimento del bene dato in locazione, perché
fino a che non è stato esercitato il diritto di recesso il rapporto di durata è stato attuato e ha
soddisfatto gli interessi di entrambe le parti.
È salvo in ogni caso il patto contrario, perché queste norme sono derogabili, cioè le parti possono
pattuire diversamente (per esempio si può pattuire che in un contratto di durata non si possa
recedere dopo l’inizio dell’esecuzione).
Pu darsi che il contratto abbia attribuito a una delle parti il diritto di recedere, ma abbia anche
previsto che la parte che recede debba pagare alla controparte una somma di denaro, perché il
recesso comporta comunque delle conseguenze dannose per la parte che lo subisce. Questa
somma di denaro prende il nome di multa penitenziale.
Il recesso è efficace solo dal momento in cui la multa penitenziale viene effettivamente pagata dal
recedente alla sua controparte.
Art. 1386. Prevede la caparra penitenziale, una somma di denaro che viene consegnata da una
parte all’altra al momento della conclusione del contratto.
Se nel contratto è prevista una clausola che consente ad una o entrambe le parti di recedere, il
recedente perde la caparra data o deve restituire il doppio di quella che ha ricevuto.
Serve per compensare i pregiudizi che possono derivare dall’esercizio del diritto di recesso.
A differenza della multa penitenziale, la caparra viene pagata subito, al momento della conclusione
del contratto.
RECESSO LEGALE
È un recesso che non si basa su una clausola contrattuale, ma si basa su una disposizione di legge.
Pu essere:
• Determinativo (di liberazione), si applica ai contratti di durata a tempo indeterminato
(gestore del servizio telefonico). Si chiama determinativo perché serve a determinare a un
certo punto a durata del contratto, di liberazione perché senza si prolungherebbe
indefinitamente nel tempo. Garantisce alle parti la libertà contrattuale. Le disposizioni di legge
che prevedono un recesso determinativo prevedono anche un termine di preavviso, cioè il
tempo che intercorre tra la comunicazione del recesso e lo scioglimento del rapporto
contrattuale.
• Di impugnazione (di autotutela), sono delle leggi che prevedono la facoltà di recedere in
presenza di determinate alterazioni del rapporto contrattuale. Ci possono essere delle
alterazioni che permettono alla parte danneggiata, a causa dell’alterazione, di sciogliere
unilateralmente il contratto mediante l’esercizio del diritto di recesso (esempio: licenziamento
del lavoratore subordinato in presenza di alcune condizioni). È il recesso che consegue
l’esercizio di uno ius variandi: è il diritto che o la legge o il contratto attribuiscono a una delle
parti di modificare il rapporto contrattuale (esempio: quello concesso alla banca nel rapporto
con i suoi clienti. La banca può modificare le condizioni contrattuali entro certi limiti).
L’antidoto contro lo ius variandi è il recesso di autotutela. La legge prevede che, quando la
banca comunica al cliente la variazione delle condizioni contrattuali, il cliente può recedere.
Un altro esempio è il recesso che viene esercitato dalla parte che subisce l’inadempimento
quando viene consegnata una caparra confirmatoria. Nella caparra confirmatoria abbiamo
la consegna di una somma di denaro da una parte all’altra senza che il contratto preveda, a
favore di una o entrambe le parti, il diritto di recedere. Allora il recesso può essere esercitato
solo in presenza dell’inadempimento di una delle parti. Quando si consegna una somma di
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denaro a titolo di caparra confirmatoria, la parte che recede (perché ha subito
l’inadempimento) può trattenere la caparra ricevuta; mentre se si verifica l’inadempimento di
chi ha ricevuto la caparra l’altra parte può recedere ed esigere il pagamento del doppio della
caparra.
• Discrezionale (di pentimento), la legge permette a una o entrambe le parti di sciogliere il
rapporto contrattuale in assenza di queste condizioni, anche se il contratto non è a tempo
indeterminato, anche se non c’è alcuna alterazione del rapporto contrattuale. Il recesso è
discrezionale perché esprime una diversa valutazione di opportunità compiuta da una delle
parti. Recesso discrezionale nel Codice civile: nel contratto di appalto il committente può
recedere dal contratto, per deve risarcire il danno subito dall’appaltatore. Il risarcimento verrà
determinato sulla base del prezzo che il committente aveva promesso all’appaltatore detratte
le spese che l’appaltatore ha risparmiato grazie allo scioglimento del rapporto. Recesso nelle
leggi speciali e in particolare nel codice del consumo: figure di recesso che hanno la funzione
di proteggere il consumatore. Chi conclude un contratto fuori dai locali commerciali o a
distanza è legittimato a recedere entro 14 giorni dalla conclusione del contratto (recesso
gratuito). Il consumatore che si pente dopo aver concluso un contratto a distanza può
recedere senza dover pagare nulla. La differenza tra il recesso previsto dal Codice civile e la
legislazione speciale dipende dal fatto che le norme del Codice civile regolano un rapporto
caratterizzato da una parità di potere
tra le parti, mentre le norme del codice di consumo regolano un rapporto asimmetrico (il
consumatore è in una posizione di debolezza rispetto all’altra).
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Il terzo può rifiutare l’attribuzione del diritto grazie al principio di sovranità formale.
Nel contratto a favore del terzo ci sono due parti chiamate promittente e stipulante. Il promittente è
colui che assume un’obbligazione nei confronti del terzo alla quale corrisponde il diritto di credito del
terzo. Lo stipulante è colui che conclude il contratto con il promittente in quanto ha interesse al fatto
che il terzo acquisisca la titolarità del diritto di credito.
L’interesse può consistere o nello spirito di liberalità (lo stipulante ha un rapporto affettivo nei
confronti del terzo) oppure può trattarsi di un’obbligazione preesistente tra stipulante e terzo.
Esempio di spirito di liberalità:
I genitori concludono un contratto con un centro sportivo per iscrivere il figlio a un corso di nuoto in
modo che impari a nuotare e sappia cavarsela da solo anche in acqua.
Esempio di obbligazione preesistente:
Compagnia aerea deve consegnare un bene ad un destinatario. La compagnia aerea effettua la
consegna depositando i beni trasportati presso dei magazzini che si trovano nell’aeroporto. La
compagnia aerea è obbligata a consegnare i beni al destinatario. Conclude un contratto di deposito
con il gestore del magazzino aeroportuale. La compagnia aerea è stipulante, il gestore del
magazzino è promittente che si impegna a consegnare i beni al destinatario.
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Se un soggetto stipula un contratto di assicurazione sulla vita ma non paga il premio, il promittente
può opporre un’eccezione di inadempimento al terzo.
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• Rapporto tra cedente e cessionario: la cessione del contratto di regola è pro-soluto, cioè il
cedente garantisce al cessionario solo l’esistenza dell’obbligazione che il contraente ceduto
ha nei suoi confronti, ma non garantisce l’adempimento. La cessione pro solvendo richiede
un’espressa pattuizione.
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Le norme relative alla condizione possono essere applicate anche agli altri atti unilaterali tra i vivi
aventi contenuto patrimoniale. Art.1324. Esistono degli atti che, tuttavia, non tollerano l’apposizione
di condizioni che prendono il nome di actus legitimi, per esempio l’accettazione dell’eredità non può
essere sottoposta a condizione. Esistono anche delle condizioni che non sono pattuite dalle parti,
ma che vengono espressamente previste dalla legge, si parla di condizione legale. Anche la legge
può prevedere, per esempio, che l’efficacia di un contratto sia subordinata al verificarsi di un evento
futuro e incerto. È quanto avviene per l’approvazione dei contratti conclusi dagli enti pubblici. Vi
sono delle articolazioni specializzate della pubblica amministrazione che effettuano un controllo sui
contratti conclusi dagli enti pubblici. Solo a seguito del positivo esperimento del controllo, il contratto
sarà efficace.
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Art. 1355. Condizione meramente potestativa. È nulla l’alienazione di un diritto o l’assunzione di
un obbligo subordinata a una condizione sospensiva che la faccia dipendere dalla mera volontà
dell’alienante o rispettivamente da quella del debitore.
Se la condizione è meramente potestativa risolutiva non rende nullo il contratto perché produce
immediatamente i suoi effetti. Gli effetti possono essere cancellati in qualunque momento dal
soggetto dal cui insindacabile giudizio dipende l’avveramento della condizione. Siccome il contratto
è immediatamente efficace, si ritiene per che la condizione meramente potestativa non comporti la
nullità nell’ipotesi in cui sia risolutiva.
La condizione illecita è la condizione sospensiva o risolutiva contraria alle norme imperative,
all’ordine pubblico o al buon costume. Ai fini del giudizio sulla liceità della condizione, quello che
conta non è la conformità alle norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume dell’evento
futuro e incerto dedotto ad oggetto della condizione, ma è il modo in cui la condizione può incidere
sulla condotta delle parti. Esempio: è illecita una condizione che subordina gli effetti del contratto
alla corruzione del pubblico funzionario.
Non sarebbe illecita una condizione risolutiva apposta ad un contratto di locazione commerciale
sulla base della quale l’imprenditore che ha preso in locazione un immobile può sciogliere il
contratto qualora nella zona dove si trova l’immobile, si siano verificate un certo numero di rapine o
di aggressioni rispetto agli esercenti. Anche se la rapina è un comportamento illecito quella
condizione risponde ad un interesse meritevole di tutela, cioè l’interesse del conduttore a esercitare
la sua attività in un’area sicura che non mette a rischio sé stesso e i suoi clienti.
Pu darsi anche che la condizione sia impossibile, cioè l’evento futuro e incerto oggetto della
condizione non può verificarsi, è impossibile. Allora la condizione impossibile rende nullo il contratto
se è sospensiva, perché non potendo verificarsi l’evento al verificarsi del quale il contratto sarà
efficace, il contratto è destinato a essere per sempre inefficace, quindi nullo.
Se invece l’evento impossibile è stato dedotto ad oggetto di condizione risolutiva, la condizione si ha
come non apposta, cioè, è come se non fosse stata inserita nel contratto. Il contratto produce i suoi
effetti e non verranno meno a causa del verificarsi di un evento impossibile.
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Chi acquista sotto condizione sospensiva o anche chi aliena sotto condizione risolutiva è titolare di
un’aspettativa, perché subito dopo la conclusione del contratto non è più titolare del diritto, ma può
riacquistarla quando si verificherà l’evento futuro e incerto.
Conseguenze:
• Il titolare del diritto condizionato essendo attualmente il titolare del diritto può compiere atti di
disposizione, di amministrazione e di godimento del bene. Quindi può alienare il diritto
condizionato, può amministrare il bene di cui è titolare in pendenza della condizione e può
godere del bene.
• Tuttavia, gli atti di disposizione del diritto condizionato sono subordinati all’avveramento della
condizione, cioè se il titolare del diritto condizionato aliena a terzi il diritto e dopo l’alienazione
si verifica l’evento futuro e incerto dedotto ad oggetto della condizione, l’acquisto compiuto
dal terzo cade e il diritto viene attribuito al titolare dell’aspettativa.
• Il titolare del diritto condizionato può godere e amministrare il bene, ma è sottoposto ad un
obbligo di buona fede. Deve comportarsi secondo buona fede per conservare integre le
ragioni dell'altra parte. Se per esempio, un immobile viene alienato sotto condizione
sospensiva, in pendenza della condizione il venditore è ancora titolare del diritto di proprietà
sull’immobile, (è titolare di un diritto condizionato), mentre chi ha acquistato sotto condizione
sospensiva è titolare di una aspettativa. Esempio del professore che partecipa al concorso
alla sapienza: il venditore è titolare del diritto condizionato e il compratore (professore) è
titolare di una aspettativa. Il venditore può compiere atti di amministrazione e di godimento
del bene, ma deve comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni
dell’altra parte. Il professore universitario aveva concluso il contratto allo scopo di risiedere
poi nell’immobile. Se il venditore intraprende una ristrutturazione dell’immobile destinata ad
adibire almeno una parte di quell’appartamento molto grande, a studio professionale o a
laboratorio artigianale. In questo caso viola il dovere di buona fede perché la ristrutturazione
può di fatto precludere l’utilizzazione residenziale di quell’immobile.
I rimedi che può far valere il titolare dell'aspettativa nei confronti del titolare del diritto condizionato
se quest'ultimo viola il canone della buona fede sono:
• Pu ottenere il risarcimento del danno perché la buona fede impone delle obbligazioni al
titolare del diritto condizionato quindi all’inadempimento di questa obbligazione consegue una
responsabilità
• Pu compiere degli atti conservativi, in quanto questi atti hanno la funzione di conservare
integra la sua aspettativa. È sostanzialmente un provvedimento che il titolare dell’aspettativa
ottiene dal giudice diretto a salvaguardare l’interesse che ha indotto il titolare dell’aspettativa
a concludere il contratto. Pu adottare una pronuncia di tipo inibitorio, cioè una pronuncia che
inibisce la prosecuzione di un comportamento che rischia di pregiudicare l’interesse
dell’aspettativa. Nel nostro caso se il professore universitario si rende conto che è in corso
una complessa ristrutturazione di quell'appartamento che invece gli piaceva così come lo ha
acquistato, può chiedere l'azione di atti conservativi che si identificano sostanzialmente con
un ordine rivolto dal giudice al titolare del diritto condizionato affinché interrompa quella
condotta lesiva dell’aspettativa.
• Finzione di avveramento della condizione. La condizione si considera avverata qualora sia
mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento di
essa.
Esempio: immaginiamo che titolare del diritto condizionato, nonché venditore, sia a sua volta
un professore universitario, il quale dopo aver concluso il contratto sottoposto a condizione
sospensiva evidentemente ha cambiato idea, non vuole più alienare quell’immobile e ha
deciso di adibire l’immobile in parte a studio professionale e non vuole quindi più perdere la
proprietà dell'immobile. Allora visto che è un professore universitario molto influente e visto
che conosce i componenti della commissione che giudicherà il compratore, li corrompe. Paga
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una somma di denaro affinché giudichino più meritevole un altro candidato. Comportamento
che viola la buona fede e che porta al mancamento della condizione, cioè, porta ad evitare
l'avveramento della condizione. Ci saranno delle conseguenze sotto il profilo penale, delle
conseguenze sotto il profilo amministrativo perché il professore universitario che è
interessato a vincere il concorso potrà impugnare gli atti del concorso davanti al giudice
amministrativo. Ci sono anche delle conseguenze sotto il profilo del diritto civile e cioè scatta
la finzione di avveramento della condizione. Il titolare dell'aspettativa viene protetto
sostanzialmente con la finzione e cioè agli effetti di quel contratto è come se la condizione si
fosse avverata.
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2. La condizione non opera retroattivamente in relazione ai contratti di durata (contratti ad
esecuzione continuata o periodica), cioè i contratti la cui esecuzione impegna
necessariamente un certo periodo di tempo perché l’interesse delle parti si distribuisce nel
tempo. Significa che le prestazioni che sono state eseguite dalle parti prima dell’avveramento
delle condizioni, restano presso coloro che le hanno ricevute. La ragione è che in un
contratto di durata il segmento del rapporto che è stato eseguito ha soddisfatto, nella
valutazione del legislatore, l’interesse delle parti e quindi non c’è ragione per cui le
prestazioni eseguite in attuazione di quella parte del rapporto che è stata attuata debbano
essere restituite.
Esempio:
Viene concluso un contratto di locazione, che è un contratto di durata perché implica
necessariamente un certo periodo di tempo, e questo in quanto l'interesse del conduttore è
l’interesse a godere dell'immobile per un certo periodo di tempo. A fronte di questo interesse
a godere continuativamente dell’immobile per un certo periodo di tempo, è previsto un
pagamento periodico del canone di locazione. Se ad un certo punto si verifica la condizione
risolutiva, essa non smentisce il fatto che per il periodo durante il quale il locatore ha
concesso il godimento dell’immobile e il conduttore ne ha goduto, il contratto ha soddisfatto
l’interesse di entrambe le parti. Quindi non c’è nessuna ragione per cui le prestazioni
eseguite debbano essere restituite. La condizione quindi non retroagisce.
3. Gli atti di amministrazione che siano stati compiuti dalle parti in pendenza della condizione
restano validi.
Esempio:
Il titolare del diritto condizionato ha concluso un contratto di manutenzione del bene,
successivamente si verifica la condizione sospensiva e la proprietà del bene si trasferisce in
capo al titolare dell’aspettativa. Questo atto amministrativo che consiste nella conclusione di
un contratto di manutenzione non viene pregiudicato dall’avveramento della condizione.
4. I frutti sono dovuti solo dal momento in cui si è verificata la condizione.
Esempio:
Il titolare del diritto condizionato, alienante sotto condizione sospensiva o acquirente sotto
condizione risolutiva, ha concluso un contratto di locazione e ricava da essa dei frutti; quei
frutti sono dovuti solo dal momento in cui si è verificata la condizione.
2.TERMINE
È una clausola che determina da quale momento iniziano a decorrere gli effetti contrattuali, si parla
di un termine iniziale, o in quale momento cesseranno gli effetti contrattuali, si parla di termine
finale.
Il termine può essere incerto quando giungerà il termine, ma non se si verificherà, altrimenti si avrà
una condizione.
Si parla di termine di efficacia del contratto, cioè il momento iniziale o finale, a partire dal quale
decorrono, o alla scadenza del quale cessano, gli effetti del contratto.
È diverso dal termine di adempimento delle obbligazioni, cioè il termine entro il quale la prestazione
che costituisce oggetto dell’obbligazione deve essere eseguita.
All’interno della sfera del termine di efficacia del contratto possono essere aggiunti dei termini di
adempimento delle obbligazioni.
Il termine presenta delle interferenze con l’integrazione. Il termine può essere inserito nel contratto
mediante integrazione suppletiva, cioè un’integrazione che supplisce alle eventuali lacune del
rapporto contrattuale. Se il contratto è di durata e le parti non prevedono un termine il contratto si
considera a tempo indeterminato (contratto telefonico).
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La conseguenza del contratto a tempo indeterminato è che si prevede un recesso legale, chiamato
recesso determinativo, con un preavviso. In alternativa, può darsi che la legge ritenga più opportuno
integrare la lacuna con una norma dispositiva che fissa un termine. È un’integrazione suppletiva la
norma relativa al mutuo, la quale prevede che, quando non è fissato un termine di durata del
contratto, il giudice possa fissarlo.
Ci sono anche termini inseriti nel contratto contro la diversa volontà delle parti, cioè termini che
prevedono un’integrazione cogente. La legge prevede che il contratto di locazione abbia una durata
non superiore a 30 anni. Il patto di non concorrenza in base alla legge non può avere una durata
superiore a 5 anni. Se il patto di non alienare prevede una durata troppo eccessiva, allora il giudice
può sostituire quel termine troppo lungo, che non rispetta il conveniente limite di tempo, con un
termine più breve.
Vi sono dei casi in cui la legge prevede un termine minimo, che integra coattivamente gli effetti del
contratto. È il caso della locazione commerciale che viene pattuita per un termine minimo di sei anni.
Questo termine ha la funzione di garantire all’imprenditore che prende in locazione un immobile
dove esercita un'attività commerciale, un minimo di stabilità e quindi se per ipotesi venisse concluso
un contratto di locazione di durata inferiore ai 6 anni verrebbe elevato a 6 anni per rispettare il
termine minimo previsto dalla legge.
CONTRATTO PRELIMINARE
Il contratto preliminare è un vero e proprio contratto. È un contratto quindi che ha forza di legge
tra le parti, che vincola le parti. Ha una caratteristica particolare, cioè un effetto peculiare, quello di
obbligare le parti a concludere un ulteriore contratto che prende il nome di contratto definitivo.
Nella prassi delle contrattazioni immobiliari, il contratto preliminare viene chiamato spesso
compromesso e il definitivo viene chiamato rogito. Il contratto preliminare non va confuso con gli
accordi precontrattuali, i quali vengono spesso chiamati minute o puntuazioni. Minuta e puntuazione
sono documenti che incorporano accordi precontrattuali, cioè accordi che non hanno forza di legge,
ma hanno la funzione di documentare la progressione della trattativa e eventualmente prevedere
certi impegni che le parti assumono per portare avanti la trattativa. Sono contratti che
presuppongono che il contratto non sia ancora stato concluso.
Con il contratto preliminare invece le parti hanno concluso un contratto e si sono vincolate alla
conclusione di un ulteriore contratto definitivo.
La funzione del contratto preliminare è, da un lato, quella di fermare l’affare e dall’altro quella di
consentire una verifica dei suoi presupposti economici e giuridici.
Esempio:
Se io sono un interessato ad acquistare un immobile che temo il proprietario possa vendere a terzi,
posso concludere con il proprietario, un contratto preliminare in base al quale io mi obbligo a
concludere il definitivo, così come il proprietario si obbliga a compiere il definitivo con me. In questo
modo io fisso l'affare, mi assicuro l’immobile, ma posso anche effettuare una verifica circa i
presupposti economici e giuridici di quel contratto; posso verificare che l’immobile non sia ipotecato,
o che non vi siano dei vincoli che renderebbero per me inutilizzabile l’immobile ecc.
Il contratto preliminare da un lato permette di assicurarsi l’affare e dall’altro di effettuare dei riscontri,
in ordine ai presupposti economici e giuridici dell’affare, e se danno un esito negativo allora la parte
può legittimamente rifiutare la conclusione del contratto definitivo.
I soggetti del contratto preliminare, in particolare della vendita di beni immobili, si chiamano
promittente alienante (colui che promette di vendere il bene, il proprietario) e il promissario
acquirente (colui che promette di acquistare l’immobile). La promessa incorporata nel preliminare
viene attuata mediante la conclusione del contratto definitivo.
Esistono diverse varianti del contratto preliminare:
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• Preliminare ad esecuzione anticipata (molto diffuso), in relazione al quale alcuni degli effetti
del contratto definitivo vengono anticipati al momento del preliminare. A volte già al momento
del preliminare il promissario acquirente paga già almeno in parte il prezzo o consegna una
somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria e molto spesso già all’atto della
conclusione del contratto preliminare il promittente alienante consegna al promissario
acquirente l’immobile o il bene. L’effetto reale non può mai essere prodotto al momento del
contratto preliminare, cioè il trasferimento della proprietà. Il contratto preliminare ha solo ed
esclusivamente effetti di carattere obbligatorio. Se producesse effetti reali non sarebbe più un
preliminare, ma dovrebbe essere riqualificato come contratto definitivo.
• Preliminare unilaterale, quando una sola delle parti assume l’obbligo di concludere il contratto
definitivo, mentre l’altra resta libera di concludere il contratto definitivo oppure no. Il
preliminare unilaterale si differenzia dal patto di opzione perché nel patto di opzione,
l’opzionario (soggetto al quale è diretta la proposta irrevocabile) conclude il contratto
semplicemente accettando, nel momento in cui l’accettazione perviene a conoscenza del
concedente, il contratto è concluso. Non occorre che il concedente manifesti ancora una
volta la sua volontà di concludere il contratto. Nel preliminare unilaterale, invece, abbiamo
l’obbligazione di concludere il contratto definitivo assunta da una sola delle parti; quindi,
quella parte dovrà nuovamente prestare il suo consenso ai fini della conclusione del contratto
definitivo.
• Preliminare di preliminare, contratto che obbliga le parti a concludere un contratto preliminare,
il quale obbliga poi le parti a concludere il contratto definitivo. Molto spesso quando si
acquista un immobile tramite un mediatore, succede che il mediatore fa firmare a chi è
interessato ad acquistare l’immobile, un modulo molto sintetico. La firma è accompagnata da
un assegno destinato al proprietario. Il mediatore fa firmare lo stesso modulo anche al
proprietario e così si conclude un primo contratto. Successivamente le parti si incontrano
presso lo studio del mediatore e firmano il cosiddetto compromesso, e poi si ritrovano ancora
una volta nello studio del notaio per la redazione del rogito, che verrà trascritto nei registri
immobiliari, redatto per atto pubblico. Allora la questione è stata per un po' di tempo la
seguente: è valido quel primo accordo che è incorporato in quel modulo firmato dall'aspirante
acquirente proprietario? Alcune sentenze affermavano di no. Sarebbe stato un contratto nullo
per mancanza di causa, perché non vi sarebbe stata una ragione alla base dell’impegno di
concludere un contratto che a sua volta obbliga le parti a concludere un ulteriore contratto. La
cassazione a sezioni unite, nel 2015, adotta una diversa prospettiva ed afferma
sostanzialmente la validità del contratto preliminare di preliminare.
Il contratto preliminare è nullo se non è fatto nella stessa forma che la legge prescrive per il contratto
definitivo. Se il preliminare è di vendita immobiliare dovrà avere la forma di atto pubblico o scrittura
privata.
Fino al 1997 il contratto preliminare non poteva essere trascritto. L'esigenza di prevedere la
trascrizione del contratto preliminare veniva sentita in modo forte nella pratica e per salvaguardare
in particolare il diritto acquisito dal promissario acquirente di concludere il contratto definitivo e così
acquisterà il diritto di proprietà dell’immobile.
In assenza della trascrizione, infatti, potrebbe accadere che il proprietario, dopo aver concluso il
contratto preliminare con il promissario acquirente, alieni l’immobile ad un terzo, il quale avendo
acquistato la proprietà dell’immobile, trascriva l’acquisto nei registri. In questo modo il diritto di
concludere il contratto definitivo e attestare la proprietà dell’immobile del promissario acquirente
risulterebbe vanificato.
Per questo nel 1997 viene introdotta una norma che prevede la trascrizione del contratto
preliminare che quindi è un contratto trascrivibile nei registri immobiliari, pur avendo solo effetti
obbligatori e non reali.
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L’effetto della trascrizione è un effetto prenotativo, se il definitivo o un altro atto di esecuzione del
contratto preliminare, vengono trascritti entro un anno dalla scadenza del termine per la stipulazione
del contratto definitivo e in ogni caso entro 3 anni dalla trascrizione del contratto preliminare, il
promissario acquirente prevale sul soggetto che abbia precedentemente acquistato il bene.
Se nel momento t1 viene trascritto un contratto di vendita immobiliare, nel momento t2 il proprietario
aliena il bene a un terzo, il qual per ipotesi trascrive l’acquisto nei registri immobiliari, ma nel
momento t3 viene concluso e trascritto il contratto definitivo oppure il promissario acquirente ottiene
un altro atto che dà esecuzione al definitivo, il promissario acquirente acquisisce la titolarità del
bene, in quanto la trascrizione del contratto preliminare ha un effetto prenotativo, retroagisce al
momento in cui è stato trascritto il contratto preliminare.
È necessario che il contratto definitivo o un altro atto di esecuzione del preliminare siano trascritti
entro un periodo abbastanza breve. Questo perché il bene non verrebbe sfruttato economicamente
nel tempo in modo corretto. La trascrizione del preliminare implica che l’immobile non possa più
circolare perché qualunque soggetto interessato ad acquistare l’immobile effettuando un’indagine
sui registri scopre che il contratto preliminare è stato trascritto contro il proprietario e quindi si
astiene dall’acquisto.
La trascrizione ha un altro effetto, un effetto che si comprende se si considera ci che può avvenire
quando il preliminare non viene eseguito dal promittente alienante. Il promissario acquirente spesso
ha pagato un acconto e a seguito dell’inadempimento può ottenere la risoluzione e quindi la
restituzione dell’acconto che ha pagato e eventualmente il risarcimento del danno.
Esempio:
Io concludo un contratto preliminare, quale promissario acquirente, e pago al proprietario un acconto
di 50.000€. Questo avviene in particolare quando il preliminare ha ad oggetto un bene in corso di
costruzione, come nel caso in cui il contratto preliminare abbia ad oggetto un bene che non è stato
ancora realizzato o non è stato ancora ultimato perché è destinato ad essere realizzato all’interno di
un fabbricato di un edificio che il costruttore sta realizzando.
Se il promittente alienante non attua il contratto preliminare (non conclude il contratto definitivo),
perché non riesce a ultimare la costruzione per mancanza di liquidità, allora il promissario
acquirente può ottenere la risoluzione del preliminare e la restituzione dell’acconto. È possibile che il
promittente alienante abbia come creditore non solo il promissario acquirente, ma anche altri
creditori.
Esempio:
Il promittente alienante è il costruttore di un edificio che ha concluso un contratto preliminare con cui
ha promesso in vendita un appartamento che sarà parte di un edificio in corso di costruzione.
Quell’edificio non viene per ultimato a causa del fatto che il costruttore si trova in crisi di liquidità e
quindi fallisce. Allora il promissario acquirente può ottenere la risoluzione del preliminare e la
restituzione dell'acconto pagato, ma quell’acconto sarà oggetto di azioni esecutive anche degli altri
creditori. Allora la legge protegge la posizione del promissario acquirente che ha trascritto il
preliminare riconoscendogli un privilegio speciale sul bene immobile oggetto del contratto
preliminare.
Se la controparte non restituisce l’acconto e non risarcisce il danno, il promissario acquirente può
aggredire l‘immobile oggetto del contratto preliminare (se l’immobile non è stato realizzato, sarà il
terreno), farlo vendere e soddisfarsi sul ricavato con precedenza rispetto agli altri creditori.
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ottenendo una somma di denaro, domandando la risoluzione del contratto e il risarcimento del
danno; oppure se è stata data una caparra confirmatoria:
• Se è inadempiente chi ha dato la caparra, la controparte può recedere e trattenere la caparra;
• Se è inadempiente chi ha ricevuto la caparra, la controparte può recedere ed esigere il
pagamento del doppio della caparra.
La legge accorda alla parte interessata all’attuazione del preliminare anche una tutela in forma
specifica. Si intende una tutela che tende a garantire alla parte protetta la soddisfazione proprio
dell’interesse che aveva inteso soddisfare mediante la conclusione del contratto.
La tutela in forma specifica viene prevista dall’art. 2932 esecuzione specifica dell’obbligo di
concludere un contratto.
In presenza dell’inadempimento di una delle due parti rispetto al contratto preliminare l’altra parte
può ottenere una sentenza costitutiva che produca gli effetti del contratto non concluso, qualora sia
possibile e non escluso dal titolo. La sentenza costitutiva non accerta un diritto già esistente, ma
genera un effetto giuridico che prima non esisteva.
Se si tratta di contratti che hanno ad oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata
o la costituzione o il trasferimento di un altro diritto, allora la parte che ha proposto la domanda deve
aver eseguito la sua prestazione o averla offerta nei modi di legge.
Esempio:
Se il contratto preliminare che noi abbiamo concluso prevede la conclusione di un definitivo che mi
avrebbe trasferito la proprietà della villa a Varzi a fronte del pagamento di 250.000€ di prezzo, allora
io posso ottenere dal tribunale di Pavia la pronuncia di quella sentenza costitutiva solo se ho pagato
i 250.000€ o quantomeno ho offerto seriamente il pagamento dei 250.000€.
La sentenza può essere ottenuta anche se il preliminare non è stato trascritto. Verrà sempre
trascritta nei registri immobiliari a favore del promissario acquirente e contro il promittente alienante,
come anche la sentenza come prima verrà trascritta la domanda di esecuzione in forma specifica.
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fiduciante ad agire in un certo modo (assume delle obbligazioni). Per esempio, assume
l’obbligazione di ritrasferire al fiduciante il bene e i frutti che ha prodotto. Se il fiduciario viola
l’obbligazione assunta nei confronti del fiduciante e aliena a terzi un bene, la fiducia
romanistica non è opponibile ai terzi, quindi i terzi acquistano validamente il diritto che è stato
a loro alienato dal fiduciario in violazione del patto;
• Fiducia germanistica, il patto fiduciario è opponibile ai terzi. Se il fiduciario viola l’impegno
assunto nei confronti del fiduciante, il fiduciante può riscattare il bene acquisito verso il terzo.
Una figura particolare è il trust, una figura elaborata nel contesto anglosassone, rilevante anche
nell’ordinamento italiano. Nel trust è presente un soggetto chiamato disponente (settlor) che
conferisce certi beni in trust. Il trust è un patrimonio separato, la cui amministrazione viene affidata
ad un soggetto chiamato trustee. Il trust è caratterizzato da un effetto di segregazione patrimoniale
dei beni costituiti in trust da altri beni che compongono il patrimonio del trustee.
Il trustee acquisisce la titolarità dei beni che amministra, ma quei beni sono separati da tutti gli altri
beni del suo patrimonio. La conseguenza è che i creditori del trustee non possono aggredire i beni
costituiti in trust.
Anche il trust configura un’ipotesi di fiducia opponibile ai terzi. Se il trustee viola l’impegno assunto
nei confronti del disponente, il disponente può riscattare il bene acquistato dal terzo per effetto della
violazione compiuta dal trustee.
In Italia vengono stipulati degli atti di trust anche quando disponente e trustee sono due soggetti
italiani, ammesso grazie alla ratifica di una convenzione internazionale (convenzione dell’Aja).
La funzione del trust più comunemente utilizzata è quella di collocare certi beni nella gestione di un
soggetto competente a gestirli e nello stesso tempo sottrarre i beni alle pretese dei creditori.
Quando un individuo costituisce un trust i suoi creditori possono esercitare nei confronti dell’atto di
trust, un’azione revocatoria.
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insieme il contratto dissimulato. Il contratto dissimulato è diverso da quello simulato per
esempio per il tipo contrattuale a cui è riconducibile.
Esempio: tizio vende simulatamente il bene a caio per evitare delle gelosie dagli altri figli, ma
in realtà glielo dona. Oppure: tizio conclude un contratto di locazione che prevede il
pagamento di un canone ridotto, in realtà le parti si scambiano delle controdichiarazioni da
cui risulta che il canone pagato dal conduttore è molto più elevato (per realizzare un
risparmio fiscale, elusione di carattere fiscale).
Esiste una simulazione relativa che riguarda la persona del contraente, allora ricorre una
figura che prende il nome di interposizione fittizia di persona (è una variante della
simulazione relativa). Nell’interposizione fittizia di persona un soggetto A conclude un
contratto simulato con un altro soggetto X, ma le controdichiarazioni che intercorrono tra le
parti dimostrano che A ha concluso in realtà un contratto effettivo con un soggetto diverso da
X. Perché si realizzi un’interposizione fittizia di persona occorre che alle controdichiarazioni
partecipino tutti i 3 soggetti coinvolti.
Il contratto simulato non produce effetti tra le parti, per il fatto che le parti non hanno voluto che si
producessero quegli effetti tra di loro. Nel caso di simulazione assoluta non produce alcun effetto.
Nel caso di simulazione relativa avrà effetto tra le parti il contratto dissimulato, purché ne sussistano
i requisiti di sostanza e di forma.
Art. 1414. La legge, quando fa riferimento ai requisiti di sostanza, intende che il contratto dissimulato
non deve essere invalido e in particolare nullo.
Quando fa riferimento ai requisiti di forma, la legge richiede che il contratto dissimulato, se è un
contratto a forma vincolata, abbia la forma prescritta dalla legge ai fini della validità.
Se il contratto dissimulato richiede la forma dell’atto pubblico, si ritiene sufficiente che questa forma
rivesta il contratto simulato, non occorre che rivesta anche il contratto dissimulato, perché la
simulazione si giustifica alla luce del fatto che le parti non vogliono far conoscere a terzi il contenuto
del contratto dissimulato. Se la legge prescrivesse effettivamente la forma dell’atto pubblico per il
contratto dissimulato, quel contratto sarebbe un contratto apparente, noto a terzi. Questo
equivarrebbe a vietare la simulazione. Per questo è sufficiente, ai fini della validità del contratto, che
la forma dell’atto pubblico rivesta il contratto simulato.
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LA SIMULAZIONE RISPETTO GLI AVENTI CAUSA
Per quanto riguarda gli aventi causa del simulato alienante, essi possono far prevalere la situazione
reale sulla situazione apparente.
Se un soggetto A vende simulatamente un bene a un soggetto B, ma poi vende realmente lo stesso
bene a un terzo X, il terzo, interessato a dimostrare che ha acquistato dal vero proprietario, può far
emergere che la vendita tra A e B era finta. In questo caso il terzo ha interesse che prevalga la
realtà.
Il discorso cambia quando i soggetti terzi hanno interesse che prevalga la situazione apparente su
quella reale, e sono gli aventi causa del simulato acquirente.
Se un soggetto A vende simulatamente un bene a un soggetto B, ma poi B vende lo stesso bene a
un terzo Y. In linea di principio l'acquisto di Y dovrebbe essere inefficace perché ha acquistato non
dal vero proprietario ma da un proprietario apparente. La legge per tutela l'affidamento di Y
derogando al rigore dei principi: se il terzo era in buona fede; quindi, pensava di acquistare dal vero
proprietario, l'apparenza prevale sulla realtà e l'acquisto del terzo è salvo, in quanto la simulazione
non può essere opposta ai terzi che in buona fede hanno acquistato diritti dal titolare apparente.
Riassunto:
Soggetto (simulato alienante) che con il contratto simulato aliena simulatamente un bene ad un altro
soggetto (simulato acquirente).
Essi si scambiano delle controdichiarazioni da cui risulta che il contratto è simulato e che si tratta di
una simulazione assoluta (non vogliono che si producano gli effetti di quel contratto).
Tra le parti il contratto simulato non ha effetto, perché le parti non hanno voluto. Ha effetto il
contratto dissimulato se esiste.
I terzi soggetti sono:
100
• Gli aventi causa del simulato alienante e i creditori del simulato alienante che sono interessati
a far prevalere la situazione reale su quella apparente, perché sono interessati che il bene
rimanga nel patrimonio del simulato alienante.
• Gli aventi causa e i creditori del simulato acquirente che hanno interesse a fare prevalere la
situazione apparente su quella reale. Gli aventi causa possono aver acquistato in buona fede
dal titolare apparente (simulato acquirente) senza sapere che l’acquisto era simulato. I
creditori hanno interesse ad aggredire il bene simulatamente alienato.
Gli aventi causa del simulato alienante possono fare valere la simulazione nei confronti delle parti.
Gli aventi causa possono far prevalere la situazione reale che prevale su quella apparente.
Se il simulato acquirente afferma di essere il titolare del diritto che ha acquistato dal simulato
alienante, può opporre che il contratto è un contratto simulato.
Gli aventi causa in buona fede del simulato acquirente prevalgono sulle parti, in particolare sul
simulato alienante, sui creditori del simulato alienante, che sono interessati ad aggredire il bene e
prevalgono anche sugli aventi causa del simulato alienante.
Nel rapporto tra creditori del simulato alienante e creditori del simulato acquirente (sono equiparati
agli aventi causa) prevalgono su tutti i soggetti se hanno una causa di prelazione, se invece i
creditori del simulato acquirente sono chirografari prevalgono i creditori del simulato alienante se il
loro credito è anteriore all’atto simulato.
I creditori del simulato acquirente possono far valere la simulazione nei confronti delle parti se i
buona fede hanno intrapreso atti di esecuzione sul bene che ha costituito oggetto del contratto
simulato.
I RIMEDI CONTRATTUALI
Il rimedio è uno strumento posto a tutela di un interesse che la legge ritiene meritevole. I rimedi
contrattuali sono i diversi meccanismi offerti dalla legge per reagire al difetto o disturbo che il
contratto presenta, e metterne in discussione gli effetti.
Se i rimedi contrattuali operano cancellando gli effetti del contratto si parla di rimedi di
annientamento o ablativi. Il contratto perde i suoi effetti. Se il contratto aveva previsto la nascita di
obbligazioni, le parti non sono più obbligate. Se il contratto ha già prodotto i suoi effetti, questi
vengono meno, le prestazioni eseguite dovranno essere restituite e chi ha alienato un diritto
riacquisterà la titolarità del diritto trasferito.
Esistono anche i rimedi manutentivi o di adeguamento che si caratterizzano per il fatto di non
cancellare il rapporto contrattuale, ma di mantenerlo in vita modificato, adeguato alla situazione che
affligge il contratto.
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Il legislatore ritiene, quando prevede un rimedio di adeguamento, che il contratto non debba essere
cancellato, ma che debba sopravvivere sebbene adeguato, per non ledere a un interesse meritevole
di tutela.
Differenza tra rimedi che operano in presenza di un vizio genetico del contratto e rimedi che
operano in presenza di un difetto di carattere funzionale.
Rimedi che operano in presenza di un vizio genetico: il contratto nasce affetto da un vizio, è
caratterizzato da un vizio che nasce alla conclusione del contratto. Il vizio interessa il contratto come
atto, l’accordo contrattuale che le parti hanno formato è caratterizzato, già al momento della
formazione del contratto, da un vizio. Fanno parte di questa categoria di vizi la nullità,
l’annullabilità e la rescissione del contratto. Per esempio, l’annullabilità del contratto per
incapacità di agire reagisce ad un vizio genetico, cioè il contratto è stato concluso da un soggetto
incapace di agire; oppure l’annullabilità del contratto concluso dal rappresentante in conflitto di
interessi con il rappresentato, il contratto è annullabile se il conflitto era conosciuto o conoscibile dal
terzo.
Rimedi che operano in presenza di un difetto di carattere funzionale: il contratto nasce privo di difetti
genetici, ma l’attuazione del rapporto contrattuale risulta alterata a causa del verificarsi di alterazioni
del rapporto. Il contratto inteso come atto non è viziato, ma ci sono perturbazioni del rapporto
contrattuale. Le alterazioni possono essere:
• Inadempimento, la prestazione non viene eseguita dal debitore;
• Impossibilità di eseguire la prestazione, è diventata impossibile eseguire la prestazione per
causa non imputabile al suo debitore (deve consegnare un bene, ma il bene va distrutto per
causa a lui non imputabile);
• La prestazione diventa eccessivamente onerosa, cioè la sua esecuzione, a causa di eventi
straordinari e imprevedibili, diventa molto più costosa e impegnativa rispetto a quanto
originariamente previsto.
In questi casi opera un rimedio che reagisce a difetti di carattere che è la risoluzione.
La risoluzione ha 3 varianti:
1. La risoluzione per inadempimento;
2. La risoluzione per impossibilità sopravvenuta;
3. La risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta.
Classificazione che intercorre tra rimedi che operano a tutela di un interesse di carattere generale e
rimedi che operano a tutela di un interesse di carattere particolare.
La nullità è un rimedio che opera a tutela di interessi generali, cioè che vanno oltre a quello specifico
di uno dei contraenti, ma che sono riconducibili a un interesse della collettività. Questa caratteristica
della nullità si traduce sul piano delle regole che integrano il regime della nullità. Per questo le
regole che disciplinano la nullità favoriscono l’accertamento della nullità (declaratoria di nullità).
Regole in materia di nullità che sacrificano la stabilità degli effetti del contratto per far emergere la
nullità del contratto, perché la nullità opera a tutela di interessi di carattere generale.
Invece annullabilità, rescissione e risoluzione del contratto sono rimedi che proteggono un interesse
particolare di una delle parti che risulta essere pregiudicata da un vizio di carattere genetico o un
difetto di carattere funzionale. Per questo la legge prevede dei limiti più incisivi che circoscrivono
l’accertamento dell’annullabilità, della rescissione e della risoluzione in quanto con l’interesse
particolare della parte protetta bisogna contemperare gli interessi alla stabilità degli effetti del
contratto.
102
RIMEDI CHE OPERANO IN PRESENZA DI UN VIZIO GENETICO
Con il termine invalidità si indica la presenza di un vizio genetico del contratto e può significare sia
che il contratto è nullo, sia che il contratto è annullabile.
È importante distinguere tra nullità e annullabilità perché sono caratterizzate da regimi diversi, cioè
da regole diverse che governano la possibilità di far valere i due rimedi (regole che dicono chi può
far valere il rimedio, oppure gli effetti che il rimedio può avere sui terzi ecc.).
CAUSE DI NULLITÀ
• Cause di nullità strutturali, situazioni in cui il contratto è privo di un requisito essenziale
oppure uno dei suoi requisiti essenziali non ha le caratteristiche che la legge prescrive, si
parla di contratto assurdo, cioè un contratto che non è idoneo a realizzare l’operazione
economica prevista dalle parti. Determina la nullità del contratto l’illiceità dei motivi (le parti
concludono un contratto per svolgere un’attività illecita comune ad entrambe oppure una
parte svolge un’attività illecita e l’altra non solo è a conoscenza ma ne trae anche un
beneficio). Determina la nullità del contratto anche la mancanza nell’oggetto dei requisiti
stabiliti nell’art. 1346 (possibile, lecito e determinato o determinabile). Nel caso
dell’arbitraggio l’arbitratore può effettuare la determinazione dell’oggetto con mero arbitrio,
cioè, è esonerato dal documentare e illustrare i criteri che ha seguito, qualora non effettui la
determinazione e le parti non riuscissero a sostituirlo, il contratto sarebbe nullo. È nullo anche
quando la sua determinazione è stata impugnata in quanto viziata da malafede. Il contratto è
nullo se è sottoposto a una condizione sospensiva o risolutiva contraria alle norme imperative,
all’ordine pubblico o al buon costume. È nullo il contratto assoggetto a condizione sospensiva
meramente potestativa (il verificarsi dipende interamente dalla volontà di una delle parti che
non ha attinenza alla sfera degli interessi economici toccata dal contratto e non assume un
impegno serio). È nullo il contratto che non ha la forma prescritta dalla legge ai fini della
validità;
• Il contratto è nullo negli altri casi stabiliti dalla legge. Prevede una nullità testuale, cioè il
contratto è nullo quando la legge lo identifica come tale (esempio: patto commissorio. È nullo
il patto in base al quale al verificarsi dell’inadempimento da parte del debitore, la proprietà del
bene ipotecato o dato in pegno passi al creditore).
• Il contratto è nullo quando è contrario alle norme imperative, salvo che la legge disponga
diversamente, nullità virtuale. Si intende una nullità che deriva dal fatto oggettivo che il
contratto si ponga in contrasto con delle norme imperative (norme che perseguono interessi
di carattere generale e per questo non sono derogabili dalle parti). Il contratto è nullo quando
contrasta con una norma imperativa anche se la norma non aveva espressamente previsto la
nullità. La nullità virtuale si contrappone a quella testuale perché non è espressamente
prevista dalla legge.
CAUSE DI ANNULLABILITÀ
L’annullabilità è la situazione in base alla quale, una delle parti può ottenere dal giudice una
sentenza di annullamento. La sentenza ha effetto retroattivi, cioè, cancella il rapporto contrattuale
fino dal momento in cui le parti hanno concluso il contratto. La sentenza ha efficacia costitutiva
perché il contratto annullabile produce effetti nell’immediato, ma poi vengono cancellati dalla
sentenza di annullamento.
• L’annullabilità è testuale, cioè il contratto è annullabile solo nelle ipotesi in cui la legge
prevede che lo sia. Il contratto è annullabile se una delle parti è legalmente incapace di
contrattare.
• Vizi del consenso. Il contratto è annullabile nel caso di errore, violenza e dolo. Il contraente,
la cui volontà risulta essere viziata a causa di queste situazioni, può chiedere l’annullamento
del contratto.
103
ERRORE
L’errore è la falsa conoscenza o l’ignoranza di un elemento relativo al contratto. Una delle parti
conclude il contratto sulla base di una scorretta rappresentazione della realtà o ignorando un dato
rilevante ai fini della conclusione del contratto. Si dice che quella parte è caduta in errore. La falsa
conoscenza o l’ignoranza non è indotta da un inganno della controparte. Non è la controparte ad
aver determinato l’errore, altrimenti si tratterebbe di dolo.
L’errore riflette una condizione in cui spontaneamente si trova la parte.
Esempio:
Sto concludendo un contratto per l’acquisto di una vettura e penso che sia ibrida ma invece è a
benzina. Questo è un errore circa una caratteristica del bene che intendo acquistare. Non è una
falsa rappresentazione della realtà o una ignoranza di un dato rilevante determinata da una bugia o
da un inganno della controparte.
L’errore per giustificare l’annullamento del contratto deve avere due caratteristiche:
• Deve essere essenziale. L’errore è essenziale quando cade su un elemento oggettivo del
contratto. Non è essenziale quando cade su un fattore esterno al contratto, che ha indotto la
parte a concludere il contratto. In questo caso si avrebbe un errore sul motivo che come tale,
in conformità al principio di irrilevanza dei motivi, non giustifica l’annullabilità del contratto.
Esempio: soggetto che acquista un elettrodomestico senza sapere che un analogo
elettrodomestico è stato poche ore prima acquistato da un suo convivente. Questo errore non
è essenziale perché non verte su un elemento oggettivo del contratto, ma verte su un motivo
(ragione soggettiva per cui si conclude il contratto).
La legge distingue l’errore essenziale ex se dall’errore essenziale in quanto determinante del
consenso. In alcuni casi l’errore è essenziale per il solo fatto che verte su un elemento del
contratto che viene ritenuto così importante da giustificare l’annullabilità del contratto. In altri
casi, invece, l’errore è essenziale perché verte su un elemento oggettivo del contratto e
inoltre è determinante del consenso, cioè, risulta essere stato un elemento che ha
effettivamente indotto la parte a contrattare. L’errore è essenziale quando:
1. Cade sulla natura o sull’oggetto del contratto. Per natura si intende il tipo contrattuale
(concludo un contratto che penso sia di compravendita, ma in realtà è di locazione: errore
essenziale ex se). L’oggetto è dato dalla prestazione contrattuale
2. Cade sull'identità dell'oggetto della prestazione (penso di acquistare un immobile che si
trova al primo piano ma invece si trova al pian terreno) oppure un errore che verte su una
qualità dell'oggetto della prestazione che, secondo il comune apprezzamento o in
relazione alle circostanze, deve ritenersi determinante del consenso
3. Cade sull’identità o sulle qualità della persona dell'altro contraente, sempre che
l'una o le altre siano state determinanti del consenso (scopro che un dipendente a cui mi
ero affidato non è un dottore commercialista come pensavo)
4. Trattandosi di errore di diritto, è stato la ragione unica o principale del contratto. L’errore di
diritto è la falsa conoscenza o l’ignoranza di norme giuridiche (concludo un contratto sulla
base della mia scarsa conoscenza, scorretta rappresentazione o ignoranza di determinate
disposizioni). A volte sono disposizioni che configurano una certa qualità giuridica
dell’oggetto del contratto (ho acquistato un quadro in Italia pensando di poterlo esportare
negli Stati Uniti e di esporlo nella mia galleria d’arte e non so che quel quadro non può
essere esportato).
Restano fuori da questo ambito gli errori che vertono su un oggetto esterno al contratto, tra
questi anche l’errore sul valore (io acquisto un quadro identificando correttamente l’autore,
ma ritengo erroneamente che quel quadro abbia un valore di mercato di 150.000€,
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sovrastimando il valore di mercato. Dopo aver concluso il contratto vengo a scoprire che quel
quadro non supera il valore di 55.000€. non posso ottenere l’annullamento del contratto in
quanto l’errore non è essenziale). Questo errore attiene all’uso che può essere fatto di quel
bene e quindi è considerato un errore sul motivo.
• Deve essere riconoscibile. L’errore è riconoscibile quando, in relazione al contenuto, alle
circostanze del contratto ovvero alla qualità dei contraenti, una persona di normale diligenza
avrebbe potuto rilevarlo. Tipica della disciplina dell’annullabilità del contratto è la rilevanza
riconosciuta all’affidamento di colui che conclude il contratto (controparte del soggetto
protetto dall’annullabilità). Se la controparte ha concluso il contratto senza poter riscontrare
l’esistenza di un errore allora il contratto è valido e non può essere annullato.
Questi due requisiti valgono per l’errore vizio, cioè l’errore che interferisce con la corretta
formazione della volontà contrattuale. Valgono anche per l’errore ostativo o errore sulla
dichiarazione. Quindi si applicano anche al caso in cui l'errore cade sulla dichiarazione, o in cui la
dichiarazione è stata inesattamente trasmessa dalla persona o dall'ufficio che ne era stato incaricato.
Pu succedere che la volontà contrattuale si sia correttamente formata in capo a chi poi la dichiara,
ma che sia stata inesattamente dichiarata o che sia stata trasmessa in modo inesatto.
Esempio:
Un soggetto ha effettivamente voluto acquistare un bene, ma per un lapsus (errore compiuto nella
dichiarazione verbale o nella redazione di un documento scritto) ha affermato di acquistare un bene
diverso.
Altro esempio:
Il rappresentante legale di una società ha chiesto ad un dipendente della società di inviare una
proposta contrattuale, che è stata redatta dal dipendente e non è stata poi controllata dal
rappresentante della società che ha apposto la firma sul modulo. Quella proposta contrattuale per
conteneva un errore, cioè la volontà espressa dal rappresentante legale è stata alterata dal
dipendente che materialmente ha redato la proposta contrattuale. In questo caso si ha un errore
ostativo, cioè non interferisce con il processo di formazione della volontà contrattuale, ma con la
dichiarazione della volontà contrattuale o la sua trasmissione.
Spesso rimedi di annientamento e rimedi di adeguamento si riscontrano nello stesso rimedio, cioè,
sono due aspetti che si integrano nella disciplina del medesimo rimedio.
Il contratto annullabile può essere cancellato con una sentenza costitutiva. Tuttavia, la legge
prevede degli strumenti che possono permettere di evitare questa conseguenza, quindi di
mantenere in vita il contratto. Due norme:
• Art. 1430. Norma sull’errore di calcolo. L’errore di calcolo non dà luogo ad annullamento
del contratto, ma solo a rettifica, tranne che, concretandosi in errore sulla quantità, sia stato
determinante del consenso. Pu darsi che sia stato compiuto un errore che interessa
semplicemente il calcolo delle prestazioni rispettivamente dovute dalle parti. Esempio: in
base al contratto tizio deve consegnare a Caio 500 componenti di una certa materia prima e
ognuna di queste componenti ha un certo peso e il contratto prevede che in totale debbano
essere consegnate un certo numero di tonnellate di quella materia prima, risultando
evidentemente erronea la determinazione del peso complessivo perché viene commesso un
errore nella moltiplicazione.
• Art.1432. Norma sul mantenimento del contratto rettificato. La quale prevede che la
controparte di chi è caduto in errore possa offrire di eseguire il contratto in modo conforme al
contenuto che il contratto avrebbe avuto in assenza dell’errore. Se l'offerta viene effettuata
prima che possa derivare dall'errore un pregiudizio alla parte caduta in errore, allora, questa
offerta blocca l'azione di annullamento. Esempio: io penso di acquistare una giulietta full
optional, ma in realtà non ha queste caratteristiche; l’errore è essenziale perché riguarda
l’identità del contratto ed è riconoscibile dal venditore. Allora io posso chiedere l’annullamento
del contratto, ma non posso ottenerlo se il concessionario, prima che io possa avere un
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pregiudizio dal mio errore, mi offre la consegna della giulietta full optional (aumento del
corrispettivo).
DOLO
Il dolo è l’inganno che una delle parti compie ai danni dell’altra alterando la volontà di concludere il
contratto. Nella responsabilità contrattuale dolo significa la coscienza e volontà del debitore di
realizzare l’inadempimento e di cagionare il danno. In questo contesto, invece, dolo indica l’inganno
o il raggiro che una parte realizza ai danni dell’altra, alterando così la volontà che porta a concludere
il contratto.
Il comportamento doloso può consistere nella macchinazione, cioè in una serie di comportamenti,
più o meno complessi, che sono diretti ad alterare la volontà della controparte. In questo caso si ha
anche un comportamento penalmente illecito, perché integra il reato di truffa. Il dolo può consistere
anche in una semplice menzogna, che viene compiuta da una delle parti per alterare la volontà della
controparte.
Si discute se una semplice reticenza possa giustificare l’annullamento del contratto. La reticenza è il
silenzio di una delle parti, in ordine a una circostanza rilevante ai fini della conclusione del contratto.
La reticenza può costituire dolo solo se esiste un obbligo di comunicare quella circostanza alla
controparte che si può ricavare o da una disposizione di legge o dal precedente comportamento
tenuto dalle parti; comportamento che induce a ritenere che un delle parti debba necessariamente
informare l’altra.
Esempio:
Contratto di intermediazione concluso tra una banca e un investitore. Qui si ha un obbligo previsto
dalla legge di informare l’investitore circa le caratteristiche di un certo strumento finanziario da parte
della banca. Reticenza che viola un obbligo di informazione previsto dalla legge.
Si distingue tra:
• Dolo determinante, è il dolo che ha indotto la parte ingannata a concludere il contratto. Il
contratto è annullabile solo se il dolo è determinante. Art.1439. Il dolo è causa di
annullamento del contratto quando i raggiri usati da uno dei contraenti sono tali che, senza di
essi, l’altra parte non avrebbe contrattato. Nel dolo non c’è distinzione tra un elemento
oggettivo del contratto e il motivo. Il dolo giustifica l’annullamento del contratto anche se
porta la parte ingannata ad un errore sul motivo (ragione soggettiva). Esiste anche il dolo del
terzo, può darsi che il comportamento che determina l’inganno, non sia stato realizzato dalla
controparte del soggetto ingannato, ma sia stato realizzato da un terzo. Esempio: io voglio
acquistare quel quadro del 700 Veneto, ma non sono sicuro del valore, allora mi rivolgo ad un
esperto che mi dice che vale 150.000€. Sulla base di questo concludo il contratto, ma poi
risulta che il valore del quadro è solo di 55.000€. In questo caso si ha un dolo del terzo.
Giustifica l’annullamento del contratto se il dolo era noto alla parte che ne ha tratto vantaggio,
non è necessario l’accordo tra il terzo e la parte che ne ha tratto vantaggio.
• Dolo incidente, si contrappone al dolo determinante perché la parte ingannata avrebbe
ugualmente concluso il contratto, ma avrebbe stipulato il contratto a condizioni diverse, più
favorevoli a sé e meno favorevoli alla controparte. Esempio: ho trovato un immobile perfetto
per me e che ha un prezzo che trovo vantaggioso. Quando mi reco a visitare l’immobile
chiedo al venditore se la zona è tranquilla; il venditore sa che un locale al piano terra è stato
acquistato da un imprenditore che vuole realizzare nel locale un bar, la possibilità di
effettuare musica dal vivo ecc. Pur sapendo questo il venditore dice che la zona è tranquilla.
Il compratore avrebbe acquistato ugualmente l’immobile, tuttavia il fatto che la zona sarebbe
diventata animata, avrebbe potuto essere utilizzata per ottenere un corrispettivo inferiore. Il
contratto non è annullabile perché sarebbe stato ugualmente concluso, ma il contraente in
malafede risponde dei danni.
106
VIOLENZA
Non si tratta di costrizione fisica. Se un contratto viene concluso sotto la minaccia fisica il contratto è
nullo.
La violenza è causa di annullamento del contratto anche se esercitata da un terzo.
Esempio:
Un terzo minaccia un potenziale compratore di arrecare un danno a lui o alla sua famiglia, qualora
non acquisti dei beni ad una società pagando un prezzo elevato.
La violenza deve essere di tal natura da fare impressione sopra una persona sensata e da farle
temere di esporre sé o i suoi beni a un male ingiusto (non deve essere una conseguenza che
deriva dall’esercizio di un diritto che è effettuato in linea con l’interesse protetto da quel diritto) e
notevole.
Si ha riguardo, in questa materia, all’età, al sesso e alla condizione delle persone. Le persone
malate, anziane o troppo giovani possono essere più facilmente impressionabili.
Il male ingiusto può riguardare anche soggetti terzi che hanno un collegamento con la parte che si
vuole indurre a concludere il contratto. È possibile che la violenza riguardi la persona o i beni del
coniuge, un discendente o un ascendente del contraente.
Il solo timore reverenziale non è causa di annullamento del contratto. Il timore reverenziale è lo
stato di soggezione psicologica che un soggetto, in virtù della sua posizione, può determinare nei
confronti di un altro soggetto.
La minaccia di far valere un diritto può essere causa di annullamento del contratto solo quando è
diretta a conseguire vantaggi ingiusti. Se un soggetto prospetta l’esercizio di un diritto, in genere
questa prospettiva non determina l’annullabilità del contratto. Determina l’annullabilità del contratto
quando l’esercizio del diritto è finalizzato a ottenere la soddisfazione di un interesse diverso da
quello protetto dal diritto.
REGIMI
È importante distinguere quando un contratto è nullo e quando è annullabile perché hanno dei
regimi diversi, cioè, hanno regole diverse che governano l’applicabilità del rimedio, e queste regole
differiscono alla luce dell’interesse che è protetto dai due rimedi.
107
Il contratto annullabile invece produce provvisoriamente gli effetti propri del contratto (effetti giuridici
patrimoniali), quindi genera nell’immediato obbligazioni e produce nell’immediato effetti reale, ma
questi effetti vengono rimossi retroattivamente da una sentenza di annullamento.
DIFFERENZE
Legittimazione è la facoltà di attivare un rimedio a tutela di un proprio interesse.
Legittimazione all’azione di nullità: salvo diverse disposizioni di legge, la nullità può essere fatta
valere da chiunque vi ha interesse e può essere rilevata d’ufficio dal giudice.
Esempio: è stato concluso un contratto che viola certe norme imperative che disciplinano l’attività
della pubblica amministrazione e questo contratto prevede che una commessa pubblica venga
affidata ad un imprenditore; un imprenditore concorrente a quello che riceve la commessa pubblica
volendo può impugnare il contratto, cioè, far valere la nullità del contratto.
Tutto questo vale salvo diverse disposizioni di legge. Questo inciso è importante perché nella
legislazione speciale si moltiplicano una serie di disposizioni che prevedono delle nullità speciali le
quali prendono il nome di nullità relative o nullità di protezione.
Con la nullità relativa voglio indicare il fatto che solo una delle parti può far valere la nullità (non
entrambe, non un terzo).
Nullità di protezione si intende che la nullità ha la funzione di proteggere l’interesse di una delle parti
del rapporto, in genere con l’obiettivo di perseguire un interesse di carattere generale.
In presenza di una disposizione di legge che prevede diversamente, allora la nullità può essere fatta
valere solo da una delle parti.
La nullità può essere rilevata d’ufficio dal giudice, cioè il giudice nel contesto del processo rileva la
nullità del contratto senza che le parti l’abbiano espressamente domandata.
Legittimazione all’azione di annullabilità: l'annullamento è la situazione attuale, cioè la situazione
che si concretizza quando una parte propone una domanda di annullamento e il giudice accoglie
quella domanda con una sentenza di annullamento.
L’annullamento del contratto può essere domandato solo dalla parte nel cui interesse stabilito dalla
legge.
Prescrizione
Imprescrittibilità dell’azione di nullità: la nullità non è soggetta a prescrizione, salvi gli effetti
dell’usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione. Si può chiedere al giudice che dichiari
la nullità senza limiti di tempo. Gli effetti di questa sentenza possono incontrare dei limiti e sono gli
effetti dell’usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione. Questi effetti hanno a che fare
con la situazione in cui il contratto nullo sia stato eseguito.
Esempio:
30 anni fa due soggetti (A e B) hanno concluso un contratto. A, poco dopo che si è concluso il
contratto, (dopo una settimana), consegna un bene a B e dopo 20 anni lo usucapisce. Dopo 30 anni,
A chiede che venga dichiarata la nullità del contratto e il giudice accoglie la domanda, ma non può
ottenere la restituzione del bene perché sono salvi gli effetti dell’usucapione.
Altro esempio:
Sulla base di questo contratto nullo A ha consegnato a B una somma denaro e dopo 15 anni A
chiede al giudice che il contratto venga dichiarato nullo e che B sia condannato a restituire quella
somma di denaro. Il giudice dichiara la nullità del contratto, ma non può condannare B a restituire il
denaro perché si è prescritta l’azione di ripetizione. L’azione di ripetizione è l’azione con cui si
chiede la restituzione della prestazione eseguita e l’azione di ripetizione ha un termine di
prescrizione ordinario di 10 anni.
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Prescrizione dell’azione di annullamento: l’azione di annullamento si prescrive in cinque anni e il
termine di prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere esercitato (dies a
quo). Se l’annullabilità dipende da incapacità legale o incapacità naturale sarà dal momento in cui
cessa l’incapacità che può essere esercitata l’azione o dal momento in cui al soggetto viene
nominato un rappresentante legale; oppure se l’annullamento dipende da un errore, dal momento in
cui è stato scoperto l’errore oppure dal momento in cui è stato scoperto l’inganno che concretizza il
dolo o dal momento in cui viene meno la minaccia in cui si esprime la violenza.
L’annullabilità può essere opposta dalla parte convenuta per l'esecuzione del contratto, anche se è
prescritta l'azione per farla valere. Si prescrive l’azione non si prescrive l’eccezione.
Esempio 1:
A conclude un contratto con B, essendo A caduto in errore essenziale e riconoscibile, il contratto è
annullabile e ha eseguito una prestazione nei confronti di B. Passano più di 5 anni dal momento in
cui A si accorge dell’errore e chiede al giudice l’annullamento del contratto. Il giudice rigetta l’azione
perché l’annullamento si è prescritto.
Esempio 2:
A e B hanno concluso un contratto più di 5 anni fa, concluso da A per errore essenziale e
riconoscibile, e si è reso conto quasi subito di aver commesso questo errore. Sono passati più di 5
anni e A non ha fatto nulla perché in base al contratto avrebbe dovuto pagare 15.000€ a B ma non li
ha pagati. Dopo 5 anni, B agisce in giudizio nei confronti di A chiedendo che venga condannato a
pagare quei 15.000€. A può eccepire l’annullabilità del contratto anche se la corrispondente azione
si è ormai prescritta e ottenere il rigetto dell’azione di condanna da parte di B.
La funzione di questa norma è far sì che, se una delle parti ha concluso un contratto annullabile non
sia costretta ad agire in giudizio, se non ha ancora eseguito la prestazione dovuta può anche
rimanere ferma e poi opporre l’eccezione di annullabilità anche dopo che è decorso il termine di
prescrizione.
Convalida: atto con cui chi è legittimato a far valere un certo rimedio può rinunciare definitivamente
a far valere quella invalidità e stabilizzare in questo modo gli effetti del contratto. La convalida non
sana il vizio che rimane fermo, ma permette alla parte che può far valere l’invalidità del contratto, di
rinunciare definitivamente ad avvalersi di questa sua facoltà e di stabilizzare così gli effetti del
contratto.
Inammissibilità della convalida: Il contratto nullo non può essere convalidato, se la legge non
dispone diversamente, perché il contratto nullo lede interessi di carattere generale, interessi di cui
quindi la parte non può disporre. Quindi la legge esclude che il contratto nullo possa produrre i suoi
effetti in nome di un interesse di carattere generale. Proprio perché questo interesse ha carattere
generale, la parte che è astrattamente interessata a far valere la nullità, non può disporre.
Convalida del contratto annullabile: Il contratto annullabile lede un interesse particolare allora la
legge ammette la convalida in due forme: la convalida espressa e la convalida tacita.
Convalida espressa: Il contratto annullabile può essere convalidato dal contraente al quale spetta
l'azione di annullamento, mediante un atto che contenga la menzione del contratto e del motivo di
annullabilità, e la dichiarazione che s’intende convalidarlo. La convalida espressa è una
dichiarazione espressa con cui la parte legittimata convalida il contratto, cioè, afferma che intende
convalidare il contratto indicando il motivo dell'annullabilità.
La convalida implica che chi l’ha effettuata sia in condizione di concludere validamente il contratto,
cioè non deve essere viziata dalla stessa causa di invalidità che aveva determinato l’invalidità del
contratto o da altra causa di invalidità.
Convalida tacita: convalida per comportamento concludente, cioè la parte legittimata a far valere
l’annullabilità ha dato volontariamente esecuzione del contratto conoscendo il motivo della invalidità;
deve, cioè, risultare dal comportamento della parte che era a conoscenza della ragione sulla base
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della quale il contratto era annullabile. Anche nel caso della convalida tacita è necessario che non
sussista più la ragione che aveva determinato l’annullabilità del contratto.
Effetti nei confronti dei terzi
Effetti della nullità nei confronti di terzi: coloro che hanno acquistato diritti da una delle parti del
contratto nullo. La nullità in linea di principio è opponibile ai terzi.
Esempio:
A e B concludono un contratto nullo in base al quale A vende un bene a B, ma poi B vende lo stesso
bene a C, l’acquisto compiuto da C cade e il bene resta di proprietà di A.
Effetti dell’annullamento nei confronti di terzi: l'annullamento che non dipende da incapacità legale
non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della
trascrizione della domanda di annullamento.
Esempio:
A e B concludono un contratto annullabile e C ha acquistato pagando un corrispettivo e in buona
fede, C acquista in modo valido ed efficace. Questo non vale se il contratto concluso tra A e B
dipende da incapacità legale.
Se A che ha concluso un contratto viziato da errore essenziale e riconoscibile, ha trascritto la
domanda di annullamento prima che C trascrivesse il suo acquisto, allora la sentenza di
annullamento pregiudica l’acquisto compiuto da C.
Se C ha trascritto l’acquisto prima che A trascrivesse la domanda di annullamento allora C prevale
su A.
NULLITÀ PARZIALE
La nullità colpisce il contratto ma può colpire singole clausole.
La nullità non si accompagna ad una integrazione legale degli effetti del contratto e cioè il contratto,
per esempio, contrasta con una norma imperativa, la quale non prevede il contenuto che il contratto
deve avere, ma si limita a prevedere la nullità di una clausola. In questo caso la legge prevede un
criterio flessibile: la nullità di singole clausole importa la nullità dell'intero contratto se risulta che i
contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità.
Fa riferimento ad una volontà ipotetica delle parti, cioè, bisognerebbe ricostruire quale sarebbe stata
la decisione delle parti se avessero avuto presente la nullità del contratto. Se invece risulta che le
parti, tenendo presente la nullità parziale del contratto, non lo avrebbero concluso allora il contratto
è integralmente nullo.
Nell’interpretazione dottrinale e anche giurisprudenziale questo criterio assume una connotazione
oggettiva. L’interprete deve confrontare l'operazione economica che le parti hanno voluto realizzare
con la conclusione del contratto al netto della nullità, con l'operazione economica che consegue alla
nullità.
Se il contratto che risulta dall’eliminazione delle cause realizza un’operazione che è compatibile con
quella originariamente voluta dalle parti, allora il contratto sopravvive privato delle clausole nulle. La
nullità parziale non si estende all’intero contratto.
Se invece il contratto privato delle clausole nulle realizza un’operazione economica che è
incompatibile con quella originariamente programmata dalle parti, vuol dire che quella operazione
economica non merita di essere mantenuta perché altera la volontà delle parti e quindi la nullità si
estende all’intero contratto. Il contratto è interamente nullo.
La nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto quando le clausole nulle sono
sostituite di diritto da norme imperative.
Se viene concluso un contratto di locazione commerciale inferiore alla durata di 6 anni, il termine
viene integrato coattivamente dal termine minimo di 6 anni previsto dalla legge.
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In questo caso siccome quella lacuna viene colmata dalla legge, la nullità della singola clausola non
si estende mai all'intero contratto proprio perché la legge ha sostituito la clausola con il contenuto
previsto da norme imperative.
111
Prescrizione
L’azione di rescissione si prescrive in 1 anno dalla conclusione del contratto.
La rescindibilità del contratto non può essere opposta in via di eccezione quando l’azione è
prescritta. Significa che chi ha concluso un contratto rescindibile è tenuto ad agire entro un anno
dalla conclusione del contratto perché, se non ha eseguito la prestazione dovuta sulla base del
contratto e viene convenuto in giudizio dalla controparte quando l’azione di rescissione si è
prescritta, non può opporre la rescindibilità del contratto per via di eccezione.
Offerta di modificazione del contratto
Il contraente contro il quale è domandata la rescissione può evitarla offrendo una modificazione del
contratto sufficiente per ricondurlo ad equità.
Quando una delle parti ha concluso un contratto a condizioni inique, a causa del fatto che si trovava
in stato di pericolo o in stato di bisogno, può agire in giudizio entro un anno per ottenere la
rescissione del contratto. Allora la rescissione può essere evitata dalla controparte offrendo di
modificare il contratto in modo tale da ricondurre ad equità il rapporto tra le prestazioni.
La parte che si è approfittata dello stato di pericolo o dello stato di bisogno dovrà offrire una
modificazione del contratto tale da riportare il rapporto tra le due prestazioni su un piano di perfetto
equilibrio.
Inammissibilità della convalida
Il contratto rescindibile non può essere convalidato. La parte che ha subito la conclusione del
contratto a condizioni inique a causa dello stato di pericolo o di bisogno non può convalidare il
contratto.
Effetti della rescissione rispetto ai terzi
La rescissione del contratto non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti della
trascrizione della domanda di rescissione.
Se A che ha concluso un contratto in stato di pericolo o di bisogno, ha trascritto la domanda di
rescissione, la sentenza che accoglie la domanda farà cadere l’acquisto di C che ha trascritto dopo
la trascrizione della domanda.
LA RISOLUZIONE
È un rimedio contro il malfunzionamento del rapporto contrattuale.
I fattori di malfunzionamento del rapporto contrattuale sono:
• L’inadempimento di una delle prestazioni
• L’impossibilità sopravvenuta della prestazione
• Eccessiva onerosità sopravvenuta
La risoluzione nelle sue varianti è un rimedio che opera in relazione ai contratti sinallagmatici.
Sinallagma è una parola di origine greca che significa scambio, cioè i contratti che prevedono uno
scambio tra prestazioni contrattuali.
1.RISOLUZIONE GIUDIZIALE
Art. 1453. Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue
obbligazioni, l'altro (contraente deluso o fedele) può a sua scelta chiedere l’adempimento o la
risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno.
In presenza di un inadempimento in un contratto a prestazioni corrispettive, la parte che subisce
inadempimento è di fronte ad una scelta: può chiedere l’adempimento del contratto oppure può
chiedere la risoluzione del contratto. In ogni caso può cumulare alla domanda di adempimento il
risarcimento del danno e anche alla domanda di risoluzione del risarcimento del danno.
Art. 1455. Importanza dell’inadempimento. Il contratto non si può risolvere se l'inadempimento di
una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra. L’inadempimento può
avere diversi aspetti. Pu consistere nell’inadempimento assoluto, che rende impossibile la consegna
del bene; oppure può essere inesatto, oppure un ritardo. In ogni caso l’inadempimento che giustifica
la risoluzione deve essere grave. All’aspetto oggettivo della gravità dell’inadempimento si aggiunge
un aspetto soggettivo, cioè in che misura l’inadempimento pregiudica l’interesse del creditore.
Integrando questi due aspetti si ricava la gravità dell’inadempimento.
La legge prevede che l’inadempimento debba essere di non scarsa importanza perché la risoluzione
ha delle conseguenze pesanti sulla sfera della parte inadempiente. La parte inadempiente magari è
intenzionata ad eseguire il contratto perché così può ottenere la controprestazione.
Se il contratto si potesse risolvere anche in presenza di un inadempimento breve, il debitore
incorrerebbe in delle conseguenze pesanti per i suoi interessi patrimoniali, sulla base di una
condotta che non è tale da giustificare queste conseguenze. Esiste la necessità di una proporzione
tra l’inadempimento e il rimedio che ne consegue.
Se non venisse previsto questo requisito della gravità il creditore potrebbe prendere a pretesto una
qualunque inesattezza della prestazione per liberarsi del rapporto contrattuale.
La risoluzione può essere domandata, sottintesa nel corso del processo, anche quando il giudizio è
stato promosso per ottenere l’adempimento, ma non può più chiedersi l’adempimento quando è
stata domandata la risoluzione.
Se il creditore chiede in prima battuta l’adempimento può cambiare posizione nel corso del processo
e domandare la risoluzione del contratto, mentre se in prima battuta il creditore ha chiesto la
risoluzione non può chiedere l’adempimento nel corso del processo. Questo perché il mutamento
della domanda di adempimento in domanda di risoluzione si giustifica alla luce del fatto che il
debitore a cui viene chiesto di adempiere rimane inadempiente. Nel caso contrario invece non si
può perché a seguito della domanda di risoluzione il debitore ha un affidamento ragionevole nella
risoluzione del contratto e per questo può smantellare l’organizzazione necessaria ai fini
dell’adempimento, può interrompere le attività necessarie e può prepararsi a risarcire il danno che
deriva dall’inadempimento e dalla conseguente risoluzione del contratto.
L’inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione. Una volta domandata la risoluzione,
il debitore che al momento in cui viene chiesta la risoluzione è gravemente inadempiente, non può
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usare il tempo del processo per sanare il proprio inadempimento ed evitare la risoluzione del
contratto.
2.RISOLUZIONE DI DIRITTO
Le 3 ipotesi in cui il contratto si risolve di diritto sono:
• La diffida ad adempiere
• La clausola risolutiva espressa
• Il termine essenziale
Art. 1454. Diffida ad adempiere. È una intimazione scritta con cui il creditore sollecita il debitore ad
adempiere entro un congruo termine, con la dichiarazione che, decorso inutilmente questo termine,
il contratto si intenderà senz’altro risolto.
Il termine assegnato al debitore non può essere inferiore a 15 giorni, salva diversa pattuizione delle
parti o salvo che risulti congruo un termine minore alla luce della situazione.
Pu verificarsi la situazione in cui il creditore abbia interesse ad un adempimento tempestivo e allora
può darsi che le parti abbiano pattuito che la diffida possa prevedere un termine inferiore ai 15 giorni.
Oppure può darsi che dalla natura del contratto, dagli usi o dal contesto, sia ragionevole un termine
inferiore.
Se il debitore non adempie entro il termine il contratto è risolto di diritto e si verifica lo scioglimento
del contratto senza una pronuncia del giudice.
Art. 1456. Clausola risolutiva espressa. Pu darsi che le parti abbiano pattuito una clausola, la
quale prevede che al verificarsi dell’inadempimento di una determinata obbligazione, il contratto si
possa risolvere. La clausola risolutiva espressa deve necessariamente identificare l’obbligazione il
cui inadempimento giustifica la risoluzione del contratto.
Non è una clausola risolutiva espressa una clausola che si limita a prevedere che al verificarsi
dell’inadempimento di una qualunque obbligazione, il contratto si risolverà.
La clausola risolutiva espressa può anche identificare le modalità dell’inadempimento che
giustificano la risoluzione.
Esempio:
Io e il mio fornitore possiamo prevedere che nel caso di ritardo nella consegna delle merci, superiore
a 15 giorni rispetto al termine di adempimento dell’obbligazione, il contratto possa essere risolto da
me compratore.
La risoluzione si verifica solo quando la parte interessata (creditore), al verificarsi
dell’inadempimento, dichiara che intende avvalersi della clausola risolutiva espressa.
Si ritiene, quando viene intimata una diffida ad adempiere, che il contratto si risolve solo se
l’inadempimento è grave.
Il medesimo requisito non vale in relazione alla clausola risolutiva espressa perché, quando le parti
redigono una clausola risolutiva espressa identificano i presupposti dell’inadempimento per
giustificare la risoluzione del contratto.
Le parti redigono la clausola risolutiva espressa:
• A volte perché intendono permettere la risoluzione del contratto precocemente, prima che
l’inadempimento raggiunga la soglia della non scarsa importanza;
• E perché vogliono adeguare i presupposti della risoluzione a loro specifiche esigenze.
Art. 1457. Termine essenziale. Pu darsi che sia previsto un termine di adempimento, scaduto il
quale la prestazione perde interesse per il creditore. Una prestazione eseguita dopo il termine non
sarebbe più idonea a soddisfare l’interesse che aveva indotto il creditore a concludere il contratto.
Esempio:
114
Il sarto deve consegnare alla sposa il vestito entro la data del matrimonio. Il termine è essenziale
perché il vestito consegnato oltre la data del matrimonio non avrebbe nessuna utilità per la sposa.
Se la prestazione non viene eseguita entro il termine essenziale, allora il contratto si risolve di diritto,
senza che occorra una dichiarazione da parte del creditore. Il contratto si risolve automaticamente,
a meno che il creditore non abbia dichiarato entro 3 giorni dalla scadenza del termine, che è
interessato a ricevere la prestazione.
C’è una quarta ipotesi di risoluzione di diritto, che è quella che si configura quando viene
consegnata, contestualmente alla conclusione del contratto, una caparra confirmatoria. Avviene
spesso quando viene concluso un contratto preliminare. Se è inadempiente chi ha dato la caparra,
in questo caso il promissario acquirente, l’altra parte può recedere e tenersi la caparra. Se è
inadempiente chi ha ricevuto la caparra, l’altra parte può recedere ed esigere il pagamento del
doppio della caparra.
115
Art. 1465. Contratto con effetti traslativi o costitutivi. Nei contratti che trasferiscono la proprietà
di una cosa determinata, ovvero costituiscono o trasferiscono diritti reali, il perimento della cosa per
una causa non imputabile all'alienante non libera l'acquirente dall’obbligo di eseguire la
controprestazione, ancorché la cosa non gli sia stata consegnata (res perit domino).
La legge adotta questo principio, perché assume che la mancata consegna dipenda da una
esigenza del compratore e quindi in presenza di un perimento fortuito del bene, il rischio grava sul
compratore, il quale non otterrà il bene perito, ma resterà obbligato a pagare il prezzo.
La stessa regola vale quando l’effetto traslativo o costitutivo è differito allo scadere di un termine.
Qualora l’oggetto del trasferimento sia una cosa determinata solo nel genere, l'acquirente non è
liberato dall'obbligo di eseguire la controprestazione, se l'alienante ha fatto la consegna o se la cosa
è stata individuata.
Qualora dopo l’individuazione si verifichi il perimento dei beni così individuati scatta il principio res
perit domino, e quindi l’acquirente che è già proprietario del bene deve pagare il prezzo dei beni già
individuati nonostante siano periti per causa non imputabile all’alienante.
117
Il codice del consumo è, dal punto di vista delle fonti, un decreto legislativo che contiene dagli
articoli 33 e seguenti la disciplina delle clausole vessatorie nei contratti del consumatore.
Essi si applicano solo ai contratti per adesione conclusi tra un professionista e un consumatore.
Professionista significa imprenditore o professionista intellettuale. In questo contesto, professionista
è chi conclude un contratto nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale.
L’altra parte del contratto è il consumatore, cioè colui che conclude il contratto al di fuori della
propria attività imprenditoriale o professionale.
Queste norme non si applicano a tutti i contratti per adesione, ma solo ai contratti in cui il
professionista predispone il testo contrattuale e il consumatore aderisce al contratto predisposto.
118
valore economico e a fronte di questo bisognerebbe spendere molto per esercitare i propri diritti in
giudizio.
Il legislatore prevede il rimedio dell’azione inibitoria che viene esercitato dalle associazioni
rappresentative dei consumatori. Il codice del consumo prevede delle associazioni maggiormente
rappresentative dei consumatori che vengono iscritte in un apposito registro e che possano agire in
giudizio e chiedere al giudice di inibire l’adozione delle condizioni generali di contratto che
contengono le clausole vessatorie.
RESPONSABILITÀ EXTRACONTRATTUALE
La responsabilità extracontrattuale è una responsabilità che si verifica in presenza di un
comportamento lesivo di un interesse meritevole di tutela, il quale non si identifica con
l’inadempimento dell’obbligazione. Si verifica al di fuori di un preesistente rapporto obbligatorio tra
danneggiante e danneggiato.
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Anche un soggetto che dal punto di vista degli atti di disposizione del proprio patrimonio non ha la
capacità di agire può essere capace di intendere e di volere e quindi dover risarcire il danno
(minorenne di 16 anni).
RESPONSABILITÀ OGGETTIVA
È la responsabilità che prescinde dalla colpa. La legge prevede la responsabilità oggettiva perché
l’evoluzione della tecnica e lo sviluppo industriale moltiplicano le possibilità che si verifichi un danno,
senza che sia possibile identificare una specifica negligenza di un determinato soggetto.
Art. 2049. Responsabilità dei padroni e dei committenti. I padroni e committenti sono
responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell'esercizio delle
incombenze a cui sono adibiti. Si ammette la responsabilità del datore di lavoro anche quando il
lavoro è stato una occasione del danno.
Art. 2050. Responsabilità per l'esercizio di attività pericolose. Chiunque cagiona danno ad altri
nello svolgimento di un'attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è
tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno.
Chi esercita un’attività pericolosa risponde a prescindere dalla sua colpa, non basta dimostrare che
è stato diligente per essere esente dalla responsabilità, deve dimostrare il caso fortuito, cioè un
evento assolutamente estraneo al suo ambito di organizzazione e controllo.
Art. 2051. Danno cagionato da cosa in custodia. Ciascuno è responsabile del danno cagionato
dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.
Art. 2053. Rovina di edificio. Il proprietario di un edificio o di altra costruzione è responsabile dei
danni cagionati dalla loro rovina, salvo che provi che questa non è dovuta a difetto di manutenzione
o a vizio di costruzione.
PLURALITÀ DI RESPONSABILI:
RESPONSABILITÀ DA CIRCOLAZIONE DI VEICOLI
Art. 2055. Responsabilità solidale. Se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono
obbligate in solido al risarcimento del danno.
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Colui che ha risarcito il danno può esercitare un’azione di regresso contro ciascuno degli altri, nella
misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dall'entità delle conseguenze che ne sono
derivate. Nel dubbio, le singole colpe si presumono uguali.
Art. 2054. Circolazione di veicoli. Si parla di veicoli senza guida di rotaie (monopattini, bici,
macchine). Il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto
a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per
evitare il danno (responsabilità oggettiva). In presenza della lesione di un pedone questa prova
liberatoria tende a configurarsi in modo simile a quello del caso fortuito. Il conducente è
responsabile, ma non deve risarcire il danno se riesce a provare che il danno si è prodotto a causa
del comportamento del danneggiato.
Nel caso di scontro tra veicoli si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti
abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito dai singoli veicoli.
Vi è responsabilità anche in situazioni in cui in fondo vi è una colpa preponderante, si tende spesso
a riconoscere il concorso di colpa. Il proprietario del veicolo o l’eventuale usufruttuario è
responsabile in solido con il conducente, se non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta
contro la sua volontà.
In ogni caso le persone indicate fino ad ora sono responsabili dei danni derivanti da vizi di
costruzione o da difetto di manutenzione del veicolo.
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