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12/09/19
La norma processuale è una norma diversa rispetto alla norma sostanziale.
Esempi:
La caratteristica del diritto assoluto è che c’è una situazione di potere del titolare
sul bene oggetto del diritto, a cui si contrappone un obbligo, un dovere generale di
astensione che grava su tutti i consociati, i quali non possono intromettersi in
questo rapporto esclusivo che lega il titolare al bene. In ipotesi di proprietà la crisi
di cooperazione può prendere forme molto diverse.
Si pensi allo spossessamento, cioè qualcuno priva il proprietario del possesso del
suo bene.
Nei diritti assoluti rientrano anche i diritti reali di godimento, per esempio una
servitù di passaggio. Io sono titolare di un diritto di servitù di passaggio sul fondo
del mio vicino perché il mio fondo è intercluso e quindi ho diritto di passare per
accedere alla strada. Si supponga che il mio vicino ad un certo punto metta un bel
cancello, lo chiude a chiave e non mi dà la chiave. Ecco un’altra violazione di un
diritto assoluto che ha una forma diversa rispetto a quelle viste precedentemente.
Nei diritti assoluti rientrano anche altre situazioni di marca diversa, cioè le libertà
personali, i diritti della personalità. Sono situazioni che hanno un contenuto
diverso, perché si tratta di situazioni che hanno un contenuto e una funzione non
patrimoniale. È diverso dalla proprietà, però la struttura è la stessa. A fronte del
godimento assicurato al titolare grava su tutti i consociati un obbligo generale di
astensione. Ma anche qui si possono verificare delle crisi di cooperazione.
Si pensi all’ipotesi di qualcuno che usa il mio nome. Diritto al nome, classico diritto
della personalità che può essere violato. La violazione ha una forma diversa da
quelle precedenti.
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Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi [cfr.
art. 113].
La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi
davanti ad ogni giurisdizione.
La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.
Questa è la norma fondamentale dell’ordinamento processuale. In essa troviamo
enunciato innanzitutto la garanzia del diritto di azione. È un po' la contropartita del
divieto di autotutela privata. Il cittadino non può farsi ragione da sé, però ha il
diritto di rivolgersi sempre al giudice e questo diritto gli è garantito in via generale
ed atipica dall’art 24 co.1 Cost. Il riferimento ai diritti e agli interessi legittimi lo
riteniamo come un riferimento generale a tutte le situazioni giuridicamente rilevanti,
a prescindere dal loro schema. L’art 24 garantisce a qualsiasi cittadino il diritto di
rivolgersi al giudice per ottenere la tutela di qualsiasi situazione giuridicamente
rilevante di cui si ritiene titolare. Questo a prescindere dall’esistenza di una norma
specifica che con riferimento a quella situazione attribuisca al cittadino il diritto di
azione. L’ordinamento italiano, a differenza di quello romano, non è un
ordinamento di azioni tipiche. Nell’ordinamento romano esistono solo le azioni
espressamente previste, anzi, una situazione può essere ritenuta giuridicamente
rilevante solo nella misura in cui esiste una norma che attribuisce un’azione al
cittadino. L’ordinamento italiano, invece, si fonda su una nozione di azione come
categoria atipica, cioè che l’ordinamento, che la Cost., affida, attribuisce a
qualsiasi cittadino, a prescindere dalla situazione giuridica che è in gioco, che il
cittadino ritiene sia stata in qualche modo violata. Quindi, il cittadino italiano, in
base all’art. 24 co.1 Cost., ha diritto di rivolgersi al giudice, ogni volta che ritiene
essere stato leso in un proprio diritto, in una propria situazione giuridicamente
rilevante e lo può fare anche se si tratta di una situazione giuridica c.d nuova, su
cui il legislatore ancora non è intervenuto. Questo è il motivo per cui il giudice
italiano si trova spesso a prendere decisioni in settori delicatissimi. Si pensi, ad
esempio, al fine vita, su cui il legislatore ancora non ha avuto la forza di intervenire,
non ha trovato il modo di emanare un’espressa normativa. Il 24 co.1 consente al
cittadino di rivolgersi comunque al giudice per far valere il suo preteso diritto.
Tuttavia l’art 24 contiene anche un altro principio, ci indica l’obbiettivo
dell’ordinamento processuale, perché è pacifico che, nell’affermare che tutti
possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, l’art 24
enunci il c.d principio di effettività della tutela, cioè l’ordinamento processuale non
deve offrire al cittadino una tutela quale che sia, un qualsiasi provvedimento, ma
deve consentire al cittadino di ottenere le utilità che gli sono garantite dalla legge
sostanziale. Per spiegare il principio di effettività della tutela siamo soliti
richiamare le parole di Giuseppe Chiovenda, processualcivilista vissuto all’inizio
del 900 ritenuto un po' il padre della disciplina. Giuseppe Chiovenda diceva che il
processo deve dare a chi ha un diritto tutto quello e proprio quello che egli ha il
diritto di conseguire sulla base della legge sostanziale. Il processo deve dare a chi
ha un diritto tutto quello e proprio quello che egli ha il diritto di conseguire sulla
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base della legge sostanziale. Quindi non un foglio di carta che si limiti a dire al
cittadino che ha ragione, che è titolare del diritto, ma il processo civile deve essere
in grado di offrire al cittadino le utilità che gli sono garantite dalla legge sostanziale.
Questa affermazione del principio di effettività della tutela ci consente di capire il
motivo per cui il processo civile italiano viene chiamato ad offrire al cittadino, a
garantire al cittadino, non una qualsiasi tutela, ma una tutela c.d. in forma
specifica. Deve essere in grado di fornire al cittadino una tutela in forma specifica,
ovvero le utilità che gli sono garantite dalla legge sostanziale e che a causa della
crisi di cooperazione non è riuscito ad ottenere in maniera spontanea. Se questo è
vero, allora si capisce anche che la tutela risarcitoria, la c.d tutela per equivalente
monetario, è una forma di tutela residuale, cioè è la tutela che deve essere
apprestata al cittadino solo e soltanto nei casi in cui non è più possibile ottenere la
tutela in forma specifica. Esempio:
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Diritto di proprietà, il contratto di locazione, il diritto del lavoratore illegittimamente
licenziato di essere reintegrato nel proprio posto di lavoro, diritti della personalità e
della libertà in genere.
Si pensi alla situazione del contratto di locazione, il quale prevede che alla
scadenza del contratto il conduttore debba restituire l’immobile al locatore. Questo
diritto di restituzione, se non viene adempiuto da parte del conduttore, apre alla
necessità di effettuare il c.d. sfratto, che è la restituzione coattiva dell’immobile al
locatore. Lo sfratto passa attraverso l’azione della forza pubblica, perché, come
dimostrano le cronache, è necessario l’intervento della polizia per effettivamente
riuscire a restituire al proprietario, al locatore, l’immobile. Il legislatore spesso, pur
non andando a toccare la disciplina sostanziale del contratto di locazione, limita la
disponibilità della forza pubblica e di fatto, in questo modo, non fa altro che
allungare la durata del contratto di locazione. Quindi, qui abbiamo una situazione
giuridica la cui tutela non è effettiva, non è piena, perché quanto previsto dalla
norma sostanziale rimane sulla carta.
Questo è ciò di cui andremo ad occuparci, i limiti in cui questa direttiva di tutela in
forma specifica, di tutela effettiva, trova reale attuazione, diversificando settore per
settore.
I rilievi appena svolti fanno notare come ci sia un legame di interdipendenza tra
diritto sostanziale e diritto processuale, ma anche come, in virtù di questa di
interdipendenza, soprattutto in virtù del fatto che il diritto sostanziale finisce col
dipendere dal diritto processuale, questo diritto processuale, allora, non è un
fenomeno neutrale, un insieme di regole tecniche, perché attraverso lo studio
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dell’ordinamento processuale possiamo comprendere qual è effettivamente
l’ordinamento sostanziale che è effettivamente esistente.
13/09/19
Nella lezione di ieri abbiamo chiarito che l’obiettivo dell’ordinamento processuale è
quello di con- sentire a qualsiasi cittadino di ottenere, nell’ipotesi in cui subisca
una crisi di cooperazione, una tutela effettiva.
L’ordinamento processuale si compone di una serie di strumenti (di processi civili)
il cui scopo è proprio quello di consentire, come diceva Chiovenda: “tutto quello e
proprio quello che egli ha diritto di conseguire sulla base della legge sostanziale”.
Gli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione dei cittadini per ottenere la
tutela delle situa- zioni giuridiche violate, cioè che hanno subito una crisi di
cooperazione, sono molteplici; tuttavia non ci sono soltanto i rimedi giurisdizionali,
ci sono anche altri rimedi e sono gli strumenti alterna- tivi di risoluzione delle
controversie; per esempio: la mediazione e forme simili come la negozia- zione
assistita, poi c’è l’arbitrato (l’affidamento della risoluzione della controversia ad un
collegio di privati).
Questo per dirvi che il sistema giurisdizionale di tutela delle situazioni giuridiche
non svolge una funzione esclusiva, perché la stessa funzione viene svolta anche
attraverso altri istituti.
Detto ciò è chiaro che l’apparato giurisdizionale dei diritti è lo strumento di
risoluzione per eccel- lenza delle liti tra privati e la titolarità (l’esercizio) di questa
funzione viene attribuita dalla Costitu- zione in via esclusiva alla Magistratura.
Esso introduce al secondo comma il diritto di difesa, diritto inviolabile in ogni stato
e grado del procedimento; questa disposizione non riguarda solo il processo
penale ma anche quello civile, perché per molti anni si è ritenuto che dalla lettura
combinata dell’art. 24 comma 2 e l’art 3 com- ma 2 Cost. (principio di uguaglianza
sostanziale dei cittadini) si ricavasse il principio del contrad- dittorio, cioè il
principio di parità delle parti nel processo civile.
Oggi in verità tale principio lo ritroviamo direttamente affermato all’art 111 Cost.
riportato oggi se- condo la lettera che gli è stata attribuita dalla Legge
costituzionale n. 2/1999, che ha riscritto completamente il testo dell’art 111 Cost.
in cui troviamo esplicitate una serie di garanzie che ri- guardano il processo civile;
secondo l’interpretazione preferibile l‘art 111 nella sua nuova veste non è tuttavia
una norma innovativa, ma ricognitiva, perché afferma principi di cui nessuno aveva
mai dubitato.
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L’art 111 ci dice al primo comma che <<la giurisdizione si attua mediante il giusto
processo attua- to dalla legge>>, e al secondo comma che <<ogni processo si
svolge nel contraddittorio tra le parti in condizione di parità davanti ad un giudice
che è terzo e imparziale, la legge ne assicura la ragionevole durata>>.
Tornando all’art 24, degno di nota è anche il suo terzo comma, che prevede
l’assistenza ai non abbienti a cui sono assicurati i mezzi per agire e difendersi
davanti ad ogni giurisdizione (disposi- zione chiaramente riconducibile al diritto di
difesa inteso non in senso formale, ma sostanziale, in quanto lo Stato deve
mettere il cittadino in condizione di esercitare materialmente i propri diritti
processuali).
Soffermiamoci ora sulla Magistratura come apparato statale a cui lo Stato affida
l’esercizio della funzione giurisdizionale.
Che cos’è la funzione giurisdizionale? La definizione la possiamo ricavare dalla
lettura combinata dell’art. 101 primo e secondo comma e dell’art. 24 Cost.
L’art. 101 al primo comma prevede che la giustizia è amministrata nel nome del
popolo e al se- condo comma prevede che i giudici sono soggetti soltanto alla
legge.
L’art 24 prevede che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e
interessi legitti- mi.
Allora dal combinato di questi due articoli possiamo dire che la funzione
giurisdizionale è una fun- zione statale, espressione della sovranità popolare, il cui
esercizio è diffuso tra una pluralità di soggetti (i giudici) che sottostanno solo alla
legge.
Detto ciò, cosa s’intende per “Magistratura”?
sere istituiti giudici speciali o straordinari, possono solo istituirsi, presso gli organi
giudiziari ordi- nari, sezioni specializzate per determinate materie anche con la
partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura.
Ciò che si ricava da questi due commi sembrerebbe essere il principio dell’unicità
della giurisdi- zione perché la norma si apre affermando che la funzione
giurisdizionale viene esercitata solo dai magistrati ordinari precisando al secondo
comma che non possono essere istituiti giudici straor- dinari o speciali.
Il divieto dei giudici speciali e straordinari trova deroga nel seguente art. 103,
perché tale art pre- vede espressamente 3 ipotesi di giudici speciali: il Consiglio di
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Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela
nei confronti della P.A. degli interessi legittimi e per particolari materie indicate
dalla legge anche dei diritti soggettivi.
Nel secondo comma si prevede che la Corte dei Conti ha giurisdizione nelle
materie di contabilità pubblica e nelle altre materie elencate dalla legge.
Al terzo comma si prevede che i Tribunali Militari in tempo di guerra hanno la
giurisdizione stabilita dalla legge, in tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per
reati militari commessi da apparte- nenti alle forze armate.
Questi tre commi fanno riferimento solo a giudici speciali, quindi giudici istituti ex
ante, cioè prima che la controversia sia sorta, ma in relazione a precise e
specifiche controversie.
Il primo comma contempla il più importante giudice speciale, e cioè quello
amministrativo.
Quali sono i giudici amministrativi?
I TAR (Tribunali Amm. Regionali), che trovano riconoscimento nella Cost. all’art.
125 in cui leggia- mo che nella Regione sono istituiti organi di giustizia
amministrativa di primo grado secondo l’or- dinamento stabilito da legge della
Repubblica; la legge istitutiva dei TAR è la L.1034/1971.
In secondo (e ultimo) grado troviamo il Consiglio di Stato, con sede a Roma, che è
la “corte su- prema” della giurisdizione amministrativa.
Il secondo comma dell’art. 103 introduce la Corte dei Conti, si parla della c.d.
giurisdizione conta- bile infatti l’articolo in questione le attribuisce competenza
nella materia di contabilità pubblica e nelle altre materie elencate dalla legge.
Il terzo giudice speciale sono i Tribunali Militari che, in tempo di pace, hanno
giurisdizione solo per i reati militari commessi da appartenenti alle forze armate,
mentre in tempo di guerra hanno la giu- risdizione stabilita dalla legge.
L’elenco dei giudici speciali non finisce qua, perché se andiamo in calce alla carta
Cost. alle di- sposizioni transitorie e finali, più precisamente la n.6, troviamo scritto
che entro 5 anni dall’entrata in vigore della Cost. si procede alla revisione degli
organi speciali di giurisdizione attualmente esi- stenti, salvo le giurisdizioni del
Consiglio di Stato, della Corte dei Conti e dei Tribunali Militari. Quindi questa
norma dà per presupposto l’esistenza di ulteriori organi giurisdizione speciale, tut-
tavia occorre specificare che questa norma è del ’46 e in epoca fascista i giudici
speciali erano esponenzialmente proliferati per assicurare un novero di privilegi al
Regime. La Costituzione quin- di non prevede l’abrogazione in toto di questi istituti
bensì prevede che entro 5 anni dalla sua en- trata in vigore quest’ultimi debbano
essere rivisti, e cioè che devono essere resi compatibili con i principi costituzionali.
I più importanti tra questi ulteriori organi di giurisdizione speciale sono i giudici
tributari (provinciali e regionali).
Non esistono invece giudici straordinari, tale divieto è assoluto e non potrebbe
essere altrimenti, perché l’istituzione di un giudice straordinario, che avviene ad
hoc ed ex post, rappresenterebbe una violazione dell’art 25 Cost. che introduce il
principio del giudice naturale (“nessuno può esse- re distolto dal giudice naturale
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precostituito per legge”) —> il fatto che il giudice sia istituito prima che la
controversia sia sorta ne garantisce l’imparzialità e la terzietà.
Che differenza c’è tra magistratura ordinaria e magistrature speciali? Bisogna fare
attenzione per- ché non è una distinzione meramente formale, questi due ordini di
magistrati infatti ricoprono po- sizioni diverse all’interno dell’ordinamento, nel
senso che il legislatore ha previsto con riferimento
alla magistratura ordinaria una serie di garanzie la cui estensione e la cui forza è
assolutamente superiore rispetto alle garanzie che sono previste con riferimento
alle magistrature speciali.
Quindi lo status di magistrato ordinario non è pari allo status di magistrato speciale
(quello ordina- rio gode di maggiori garanzie).
L’art 104 si occupa delle regole di composizione del C.S.M. definito, come già
detto poco fa, “or- gano di autogoverno”, e ciò perché la maggior parte dei suoi
componenti sono proprio magistrati eletti da altri magistrati. In questa sua parte,
l’art. 104 rappresenta un elemento di enorme novità rispetto al passato: è
l’espressione del momento storico in cui la Costituzione fu scritta, all’indo- mani
della fine della seconda guerra mondiale, nel momento in cui l’Italia uscì dal regime
totalita- rio. In questo momento storico era pienamente diffusa la consapevolezza
che uno degli strumenti di cui il regime fascista si era servito per privare e
sopprimere la libertà degli italiani era stato pro- prio quello di imbavagliare la
magistratura, ma in che modo? Ancora non esisteva la Costituzione e la legge
fondamentale di allora era lo Statuto Albertino che prevedeva l’affidamento
dell’allora Ministro di Grazia e Giustizia tutti i poteri diretti ad incidere sullo status
di magistrato, e natural- mente tale ministro se ne serviva per eliminare tutti i
magistrati che non si fossero allineati con i principi del regime.
Questo è l’unico momento di frizione, di contrasto, che si è verificato tra Pres. della
Repubblica e C.S.M.
Nel terzo comma dell’art. 104 troviamo i c.d. componenti di diritto, ovvero gli
organi apicali della magistratura: il Primo Presidente della Corte di Cassazione (che
è l’organo apicale della magistra- tura c.s. giudicante) e il Procuratore Generale
della Corte di Cassazione (organo apicale della magistratura c.d. requirente).
Si tratta della componente di diritto, gli organi apicali fanno parte del C.S.M. e non
devono passa- re attraverso un sistema elettivo.
Nel quarto comma troviamo invece la componente elettiva, la disposizione
prevede che gli altri componenti siano elette per 2/3 da tutti i magistrati ordinari,
tra gli appartenenti alle varie catego- rie e per 1/3 dal parlamento in seduta
comune, tra professori ordinari in materie giuridiche ed av- vocati dopo 15 anni di
esercizio.
Quindi non è una distinzione meramente formale, diventa concreta nel momento in
cui si deve in- dividuare il regime d’impugnazione della decisione.
Come possiamo vedere l’art. 105 nell’assegnare al C.S.M. queste competenze
precisa che queste funzioni devono essere esercitate secondo le norme
dell’ordinamento giudiziario, quest’inciso è di fondamentale importanza perché da
quest’ultimo si ricava che in base alla Cost. il C.S.M. non esercita le funzioni in
maniera arbitraria, secondo il proprio orientamento, ma bensì deve applicare la
legge sull’ordinamento giudiziario—> il termine “legge sull’ordinamento giudiziario”
è fuorviante perché tecnicamente tale legge è il Regio Decreto n.12/1941 (che
troviamo in appendice al Codi- ce), legge emanata durante il regime fascista, per
cui questa disposizione in molte sue parti è sta- ta abrogata perché incompatibile
con la Cost. ed è stata più volte modificata ed integrata tramite la tecnica della
novellazione, ma la verità è che questa legge sull’ordinamento giudiziario non vede
la propria disciplina esaurita in questo Regio Decreto ma è una disciplina
estremamente complessa e farraginosa che si ricostruisce dalla lettura di un’ampia
serie di provvedimenti che noi avremo modo di richiamare in minimissima parte
data la complessità della materia; in partico- lare però dobbiamo fin da subito
introdurre la L. sull’ordinamento giudiziario n.50/2005 modificata poi nel 2007, si
tratta della legge Castelli-Mastella, dal nome dei due guardasigilli del 2005 e del
2007, che ha portato notevoli miglioramenti alla disciplina previgente.
Questa previsione è molto importante perché è vero che il C.S.M. si vede attribuita
la titolarità esclusiva di tutte le funzioni previste dall’art 105 (tutti i poteri diretti ad
incidere sullo status di ma- gistrato) tuttavia questi poteri non possono essere
esercitati liberamente dal C.S.M. ma devono essere esercitati secondo le norme
sull’ordinamento giudiziario stabilite dal Parlamento —> an- cora una volta il
legislatore assicura da una parte l’autonomia della magistratura da tutti i poteri
dello Stato e dall’altra un coordinamento, perché è il Parlamento che detta le leggi
sull’ordina- mento giudiziario che regolano l’esercizio di tutti questi poteri. Tale
disposizione non va letta come sottomissione del C.S.M. al Parlamento perché il
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C.S.M. non è soggetto al Parlamento ma alla legge sull’ordinamento giudiziario
che quest’ultimo emana.
Occorre specificare però che la legge sull’ordinamento giudiziario è stata per molto
tempo una legge lacunosa a causa della negligenza e della lentezza del legislatore,
la verità è che prima del- l’entrata in vigore della L.150/2005 molte delle funzioni
che l’art. 105 affidava all’esercizio del C.S.M. non erano regolate dalla legge,
quindi il C.S.M. si è trovato ad esercitare queste funzioni senza avere una norma di
rifermento —> cosa ha fatto allora il C.S.M. per sopperire a questa mancanza? Ha
esercitato un potere che non è espressamente previsto dall’art. 105 ma che si ri-
tiene gli appartenga trattandosi di un organo di rilevanza costituzionale, ovvero il
potere di autore- golamentazione, il potere normativo (cioè il C.S.M. ha
autoregolato la propria attività attraverso l’utilizzazione di un potere normativo
atipico, perché non previsto dall’art. 105, attraverso l’ema- nazione di
provvedimenti aventi la forma delle decisioni o spesso delle circolari per il cui
tramite ha regolato la propria attività. Ad esempio: per molti anni non esisteva una
legge che regolasse lo svolgimento del concorso di magistratura, le modalità di
svolgimento delle prove, i criteri per redi- gere le graduatorie, non c’era niente, è il
C.S.M. che si è auto-dettato le norme auto-vincolandosi al rispetto delle norme
stesse e molte volte è successo che il legislatore a posteriori ha recepito queste
norme con cui il C.S.M. aveva autoregolato la propria attività, e quindi noi oggi
ritroviamo nei testi normativi che si ricomprendono sotto la nozione di “legge
sull’ordinamento giudiziario, tutta una serie di previsioni che non rappresentano
altro che il recepimento a livello normativo di
norme dettate dallo stesso C.S.M. che si era trovato spesso paralizzato
nell’impossibilità di eser- citare le funzioni attribuite dall’art. 105 a causa della
negligenza del legislatore.
Spostiamo ora la nostra attenzione sulla funzione disciplinare esercita dal C.S.M. ,
tale funzione viene esercita completamente dalla Sezione Disciplinare interna al
C.S.M.
Con riferimento alla funzione disciplinare emerge un ulteriore punto di raccordo tra
l’attività del C.S.M. e quella degli altri organi dello stato, perché se noi guardiamo
l’art. 107 secondo comma Cost. notiamo che il Ministro della Giustizia ha la facoltà
di promuovere l’azione disciplinare.
Il procedimento disciplinare che appartiene alla competenza esclusiva del C.S.M.
può essere aperto solo da 2 soggetti: il Ministro della Giustizia (in base all’art. 107
comma due Cost.) e il Pro- curatore Generale presso la Corte di Cassazione (in
base alla legge istitutiva del C.S.M., ovvero la L.195/1958)—> la verità è che anche
quando l’iniziativa è intrapresa dal Ministero della Giustizia l’azione viene esercitata
sempre dal Procuratore Generale, perché è colui che sostiene l’azione difronte al
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C.S.M. (ciò consente di comprendere la delicatezza della situazione che si è
verificata qualche tempo fa con riferimento proprio al Procuratore Generale della
Cassazione che ha chiesto il pensionamento anticipato, perché quest’ultimo è
risultato coinvolto in una serie di indagini e si è creata una situazione
estremamente delicata perché lui è l’unico organo che può esercitare l’azio- ne
disciplinare, quindi nel momento in cui è lui stesso ad esporsi non sono ad una
responsabilità penale ma forse anche disciplinare chi la esercitava l’azione nei suoi
confronti? Quindi si è creata una situazione potenzialmente pericolosissima a cui il
Procuratore Generale stesso ha posto ri- medio chiedendo il pensionamento
anticipato).
Ma la norma ci dice anche altro, perché nel momento in cui precisa che il giudice
“è soggetto” soltanto alla legge, dice chiaramente che nel momento in cui esercita
la funzione giurisdizionale il giudice non può decidere il caso sulla base del suo
buonsenso, ma deve applicare la legge gene- rale astratta (il termine legge qua va
inteso come comprensivo di tutte le fonti del diritto, dalle fon- ti sovranazionali fino
al più piccolo regolamento locale).
Quindi perché l’articolo 101 secondo comma è una norma centrale? Perché
garantisce in primis il principio di legalità: la funzione giurisdizionale viene svolta
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alla luce di quanto stabilito dalla legge; e attraverso il principio di legalità si
assicura l’uguaglianza sostanziale: casi analoghi portati di- fronte a giudici diversi
devono avere lo stesso esito perché la norma è una sola ed oltre che gene- rale ed
astratta è anche uguale per tutti.
venta magistrato lo deve alla propria preparazione tecnica e non alla nomina di
qualcuno, metten- dolo così in posizione di indipendenza.
La seconda previsione la ritroviamo nell’art. 107 primo comma <<i magistrati sono
inamovibili>> e cioè che i magistrati non possono essere spostati. Tale articolo
continua poi <<non possono es- sere dispensati, sospesi dal servizio, né destinati
ad altre sedi o funzioni se non in seguito a deci- sone del C.S.M. adottata o per i
motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudi- ziario o con il
consenso dello stesso magistrato>> ( in poche parole se il magistrato fa troppo
bene il suo dovere non deve avere il timore di essere spostato dall’altra parte del
Paese).
Il ruolo dei magistrati è stato suddiviso in una serie molto ampia di funzioni (ci sono
decine di fun- zioni) e la legge attualmente in vigore stabilisce che via via che un
posto si rende libero viene aperto un concorso, e i magistrati interessati a ricoprire
il posto che si è reso vacante possono fare domanda al C.S.M. prendendo parte
ad una selezione. Per accedere a questo concorso la legge richiede che il
magistrato abbia nelle sue mani una serie di c.d. “valutazioni di professionali- tà”:
ogni 4 anni il magistrato è soggetto ad una valutazione, viene valutato il lavoro che
ha svolto, e viene redatta una valutazione di professionalità (procedimento
abbastanza articolato in quanto
Quindi questo articolo 107 terzo comma trova attuazione in un sistema che, pur
conservando la garanzia di indipendenza interna tramite cui tutti i magistrati sono
posti sullo stesso piano, ha ri- voluzionato la carriera di magistrato.
Per completare il disegno bisogna anticipare che il principio d autonomia e
indipendenza espres- so dagli artt. 104-105 con riferimento ai magistrati ordinari
non si traduce nell’affermazione se- condo cui i magistrati non sono responsabili.
Anche i magistrati sono soggetti ad un regime di re- sponsabilità che rientra
senz’altro nella previsione dell’art 28 Cost. a tenore del quale i funzionari ed i
dipendenti dello Stato sono direttamente responsabili secondo le leggi civili, penali
e amministrative degli atti compiuti in violazione di diritti, in tali casi la
responsabilità civile si esten- de allo Stato e agli enti pubblici>> quindi anche il
magistrato, nonostante sia autonomo ed indi- pendente, è soggetto a
responsabilità civile, penale e disciplinare.
18/09/19
Abbiamo esaminato nella lezione di venerdì le disposizioni di cui agli articoli 104 e
105, ci siamo soffermati sulla nozione di autonomia e di indipendenza.
Abbiamo detto che l’autonomia della magistratura ordinaria rinviene la propria
disciplina negli articoli 104 e 105 e fondamentalmente si concretizza nella CSM,
organo di autogoverno a cui la Costituzione affida in via esclusiva la titolarità di
tutti i poteri che incidono sullo status, sulla carriera del magistrato.
Abbiamo detto che questi poteri il CSM non li esercita in maniera discrezionale ma
secondo quanto stabilito dall’ordinamento giudiziario come precisa l’art 105 in un
inciso che vi ho indicato a sottolineare perché è di fondamentale importanza,
d’altra parte abbiamo ricordato che in base all’art 108 primo comma la materia
dell’ordinamento giudiziario è coperto da riserva di legge quinid è materia che
deve essere regolata dal parlamamento potendo il governo intervenire solo alivello
di normaiva seconodaria quinid attuativa come in effetti è successo.
Poi abbiamo detto con riferimento all’indipendenza che la norma centrale è l’art
101 secondo comma “il giudice è soggetto soltanto alla legge” quindi il giudice
non ersercita la funzione giurisdizionale secondo il proprio buonsenso o secondo i
propri valori ma la dispozione enuncia il principio di legalità, quindi il giudice risolve
la controverisa applicando la norma, la norma generale ed astratta.
Abbiamo detto che questa dispozione è do asolita importanza nella misura in cui
pone acconto al principo della lealità anche il principio di uguaglianza sostanziale
dei cittadini.
Poi applicazione del principio di indipendenza sono, abbiamo visto, l’articolo 106
con riferimento all’accesso alla magistratura, l’articolo 107 che pone la garanzia di
inamovibilità e poi con riferimento alla indipendenza interna alla magistratura
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l’articolo 107 terzo comma, nella parte in cui stabilisce che i magistrati si
distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni.
Abbiamo detto che nella magistratura non esiste un ordine gerarchico così come
avviene nella Pubblica amministrazione, ma tutti i magistrati sono posti sullo
stesso piano perché sono tutti ugualmente titolari, pieni titolari, della funzione
giurisdizionale.
Nella comparte finale della lezione ci siamo lasciati ricordando che autonomia e
indipendenza della magistratura non significa che i magistrati non siano
responsabili perché ai magistrati come funzioni dello stato si applica l’articolo 28 C
nella parte in cui stabilisce che: “i funzionari e i dipendenti dello stato e degli enti
pubblici sono direttamente responsabili secondo le leggi penali, civili e
amministrative”.
Sotto il profilo della responsabilità civile, invece, c’è da ricordare una lunga e
annosa vicenda che ha riguardato la disciplina applicabile ai magistrati.
La responsabilità civile dei magistrati è disciplinata dalla legge 117 del 1988, la
cosiddetta “legge Vassalli”, il testo, ancora in vigore, è poi stato modificato da una
legge recente, la legge numero
18 del 2015.
La legge 117 viene emanata quindi a seguito del referendum abrogativo con lo
scopo di introdurre un regime di responsabilità civile dei magistrati, nel rispetto,
ovviamente, del principio di autonomina e indipendenza fissato dall’art 104.
Il risusltato di questa legge fu un risultato del tutto insoddifsacente, infatti, da parte
di molti per molto tempo si è detto che in fin dei conti la legge Vassallo aveva del
tutto vanificato i risultati del referendum abrogativo perché attraverso il referendum
abrogativo si era espressa chiaramente la volontà di introdurre un regime di
resposabilità dei magistrati, mentre il sistema messo a punto dalla legge Vssallil
era un sistema che metteva a punto un responsabilità più virtuale che reale, da qui
22
le istanze periodicamente portate avanti d revisione di questa disciplina.
I limiti più gorssi della legge vassalli erano, intanto, le ipotesi di responsabilità del
magistrato che erano piuttosto limitate al dolo, alla colpa grave, peraltro la nozione
di copla grave era una nozione particolarmnete ristretta.
Poi nella legge Vassalli s prevedeva che l’azione era di responsabilità fosse una
azione indiretta cioè che il cittadino doveva esercitare nei confronti dello Stato e
poi sin prevdeva che lo Stato poteva rivalersi sul magistrato che era stato ritenuto
responsabile quindi attraverso l’esercizio di una azione di rivalsa, peraltro questa
azione di rivalsa poteva essere esecitata soltanto entro limiti piuttosto ristretti
rispetto allo stipendio del magistrato.
Il problema più grosso però era rappresentato dalla previsione di un filtro di
ammissibilità, cioè il cittadino non poteva esercitare direttamente l’azione ma
prima doveva chiedere un giudizio di ammissibilità di questa azione e il risultato di
questo filtro era che di azioni ammissibili ne venivano considerate ogni anni due,
tre quindi una cosa ridicola.
Inoltre la normativa prevedeva una limitazione perché escludeva la possibilità di
eserciatre una azione di resposnabilità nei confronti del magistrato rispetto alla
attività di interpretaizone della norma e di valutazione del fatto e delle prove.
Ora, questo regime di responsabilità, praticamente virtuale, lo dico senza
esagerazione ad un certo punto aveva attirato l’attenzione anche dell’Unione
europea prima Comunità Europea perché si riteneva che questo regime non
rispondesse ai principi dell’ordinamento europeo.
Quindi, l’intervento dell’Unione Europea, se vogliamo, è stato determinante ai fini
della modifica perché ad un certo punto è stata aperta nei confronti dell’Italia una
procedura di infrazione che ha portato alla condanna dell’Italia nel 2011 nella parte
in cui la legge sulla responsabilità civile dei magistrati escludeva qualsiasi forma di
responsabilità per l’attività di interpretazione di diritto nonché di valutazione del
fatto e della prova.
Sulla scorta di questa condanna proveniente dalla corte di giustizia europea si è
messo in moto il processo di revisione che ha portato sotto la guida del governo
Renzi alla legge n 18 del 2015, questa legge in effetti è intervenuta e il risultato è
stato quello di ampliare il regime di responsabilità civile dei magistrati ma non nel
senso auspicato dalla Unione Europa infatti la legge del 2015 ha per un verso
ampliato i presupposti della responsabilità del magistrato sostanzialmente
ridisegnando la nozione di colpa grave cioè ampliandola e introducendo anche
l’ipotesi del diniego di giustizia.
Ha poi abolito il filtro della ammissibilità il che è stato salutato con enorme favore,
per cui adesso l’azione può essere direttamente esercitata, lasciando però
l’originaria scelta di una azione indiretta cioè di azione che viene esercitata nei
confronti dello stato, salvo poi la possibilità dello
stato di rivalersi nei confronti del magistrato ed è stato aumentato anche il limite
della rivalsa dello Stato nei confronti del Magistrato.
Quello che invece non è stato toccato è il limite della attività di interpretazione del
diritto e valutazione delle prove e del fatto che ancor oggi noi ritroviamo
23
nell’articolo 2 comma 2 della legge 117/1988 in cui si legge che: “fatti salvi i commi
3 e 3-bis e i casi di dolo nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, non può dar luogo
a responsabilità l’attività di interpretazione delle norme di diritto e quella di
valutazione del fatto e delle prove” quindi al di là delle ipotesi del dolo, che voi
sapete si fonda sulla intenzione del soggetto, in tutti gli altri casi che sono
chiaramente quelli comuni (è difficile che un magistrato si renda colpevole per
dolo), viene esclusa la possibilità di configurare responsabilità civile per l’attività di
interpretazione del diritto e valutazione del fatto e della prova. Quindi quella
clausola di salvaguardia per cui l’Italia è stata condannata dalla corte di Giustizia
europea non è stata in verità intaccata.
Non è stata intaccata perché si ritiene che questa clausola sia una dittea
espressione del principio enunciato nel 101 secondo comma della C secondo cui il
Giudice è soggetto soltanto alla legge, abbiamo detto che la norma crea un
rapporto diretto ed immediato tra il giudice e la legge e si ritiene che questo
rapporto diretto ed immediato comporti come conseguenza inevitabile che nello
svolgimento di tutte le attività che rientrano in questo rapporto fra giudice e norma
non possa essere configurata alcuna forma di responsabilità trattandosi di una
limitazione che è immediata espressione del principio sacrosanto di indipendenza
del magistrato e vedremo fra poco una uguale limitazione la troviamo nella
normativa relativa alla responsabilità disciplinare del magistrato.
In ogni caso questa riforma del 2015 si ritiene che abbiamo molto opportunamente
ampliato i limiti della responsabilità civile perché fino a quel momento il regime di
responsabilità civile non funzionava, non trovava mai applicazione soprattutto
passando attraverso il filtro di ammissibilità.
costituzionale -> cioè una modifica di questo genere deve passare attraverso un
processo di revisione costituzionale, il quale richiede delle maggioranze molto
qualificate, è un procedimento non paragonabile a quello ordinario.
Prevede, infatti, diversi passaggi e delle maggioranze molto alte. Questo è bene
saperlo perché è conseguenza della forza che queste disposizioni hanno
nell’ambito del nostro ordinamento.
Non è così per le magistrature speciali perché con riferimento alle magistrature
speciali, l’art 108.2 afferma che la legge assicura l’indipendenza dei giudici delle
giurisdizioni speciali, del PM presso di esse e degli estranei che partecipano
presso all’amministrazione della giustizia. L’articolo 108 comma 2 dunque enuncia
il principio di indipendenza delle giurisdizioni speciali ma non lo disciplina,
rinviandola alla legge ordinaria. Quindi appare evidente che se l’indipendenza dei
magistrati speciali trova la propria disciplina nella legge ordinaria, la modifica del
regime di indipendenza non passa attraverso il procedimento di revisione
costituzionale ma attraverso il procedimento ordinario quindi ha una forza di
resistenza molto inferiore rispetto a quanto abbiamo detto in riferimento alla
magistratura ordinaria.
Da qui si capisce la diversità di posizione che occupano i magistrati ordinari che
vedono la propria autonomia e indipendenza affermata, disciplinata e protetta dalla
carta costituzionale e dall’altra i magistrati speciali che vedono riconosciuta si la
loro indipendenza, ma trovano la disciplina della loro indipendenza in legge
ordinaria.
La legge di riferimento che attualmente disciplina la indipendenza delle
magistrature speciali è la legge numero 186 del 1982
In particolare, questa legge si occupa del più importante giudice speciale, il
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giudice amministrativo. Questa legge è stata modificata più volte.
Questa legge ha rivisto tutto l’ordinamento della giurisdizione amministrativa che
abbiamo detto si compone dei TAR e del Consiglio di stato che è la corte suprema
della giurisdizzion amministrativa. Questa legge è stata dettata con l’intento di dare
compiuta attuazione al p di indipendenza sancita dal 108.2 perché
precedentemente le leggi che disciplinavano questa materia, si trattava di
disposizioni contenute nella legge istitutiva del TAR, legge 1071 del 1974, e
contenuta nel “TU sul consiglio di stato”, lasciavano un po’ a desiderare. Questa
indipendenza non era pienamente garantita
Quindi nel 1982 il legislatore si decise ad intervenire e dettare una legge che fosse
maggiormente garantista. Ora, l’ispirazione di questa legge è chiara, vengono
dettate delle disposizioni che traggono chiaramente ispirazione dalle norme
costituzionali dettate con riferimento alla magistratura ordinaria, quindi agli articoli
104 e ss. a partire dalla istituzione del cosiddetto consiglio di presidenza del
consiglio di stato, che rappresenta diciamo l’organo corrispondente al CSM,
l’organo di autogoverno.
Anche le regole di composizione sono simili ma non perfettamente corrispondenti
a quelle dettate nell’art 104, intanto la presidenza viene attribuita al presidente del
consiglio di stato, presidente del consiglio che è di nomina governativa, nominato
dal potere esecutivo e quindi diciamo c’è una notevole differenza rispetto alla
previsione dell’art 104 che affida la presidenza del CSM al presidente della
repubblica.
Poi le regole di composizione prevedono la presenza di:
Quindi vedete che l’ispirazione è chiara anche se ci sono delle differenze per
esempio con riferimento al CSM, qui l’articolo 104 infatti prevede che la
componete laica venga eletta dal parlamento in seduta comune mentre qua si
prevede una elezione separata della camera dei deputati e del senato della
repubblica.
domanda: è riuscita la legge 282 con tutte le sue modifiche a dare concreta
attuazione al principio di indipendenza fissato dal 108.2?
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non pienamente!
Ci sono dei punti di questa disciplina che fanno dubitare della effettiva e piena
indipendenza del giudice amministrativo.
Questa nomina, ci dice il numero 2 dell’art 19 ha luogo con decreto del presidente
della repubblica su deliberazione del consiglio dei ministri previo parere del
consiglio di presidenza di cui al precedente numero 1, contente valutazioni di
piena idoneità all’esercizio della funzione di consigliere di stato sulla base
dell’attività e degli studi giuridico-amministrativi compiuti e delle doti attitudinali e
di carattere.
Quindi nella sostanza è una nomina che proviene dal consiglio dei ministri quindi
dal governo. Questa previsione è una previsione che desta delle enormi perplessità
perché è vero che la nomina non è libera nel senso che deve ricadere su cittadini
che siano in possesso di un grado di
29
Quindi è una previsione che da sempre fa si che molti operatori mettano in
discussione l’effettiva indipendenza del giudice amministrativo.
L’ultimo quarto dei consiglieri di stato è ricoperto mediante concorso pubblico,
quindi mediante accesso dall’ esterno per titoli ed esami terorico-prativci a cui
possono partecipare dei cittadini che siano in possesso di esperienze professionali
motlo qualificate,
però è l aprevisione del numero 2, quinid l’affidamento della norma di 1 quarto dei
posti al consigliere di stato al governo è da sempre rotenuta lesiva della
inidpendenza del giudice aministratiovo
ulteiroe punto oggetto di grosso dibaritto è la nomina a presidente del coniisglio di
stato perch ex art 22 di questa legge il presidente è nominato tra i magistrati che
abbiano effetticamente esercitato per al€no5 anni funzoini direttive con deceto del
presidente dell apreubblica su proposta del presidente del consiglio dei ministri
previa deliberazione del consiglio dei ministri, sentito il parere del consiglio di
presidenza.
amministrativo.
Perché ci sono queste situazioni? Perché si prevedono questi incarichi
stragiudiziali?
La ragione è comprensibile, il giudice amministrativo è indispensabile che conosca
l’attività amministrativa dal dentro perché questo è la condizione migliore perché
possa svolgere in maniera adeguata la funzione giurisdizionale, il giudice deve
conoscere l’attività amministrativa, che ha le sue regole e i suoi meccanismi di cui
il giudice amministrativo deve essere padrone. Tuttavia, si ritiene che si tratta di
profili delicatissimi che meriterebbero di essere radicalmente ripensati.
1. la cosiddetta “novella del 1950”, la legge 281 del 1950 per il cui tramite sono
state iscritte molte delle ispezioni contenute nel secondo libro
3. Poi: La legge di riforma 353 del 1990 contente provvedimenti urgenti per il
processo civile. È l’ultima grande riforma del processo civile e ha modificato
la disciplina del II libro “le disposizioni relative del processo a cognizione
piena” secondo il rito ordinario, ma ha introdotto anche delle importanti
novità anche nel IV libro nell’ambito della disciplina dei procedimenti speciali
che poi vedremo.
Il codice del 1942 è un codice che ha una sua sistematica perché i lavori
preparatori hanno visto la partecipazione dei più importanti processual-civilisti
italiani.
Non soltanto importanti nel primo 900 ma importanti in assoluto, facevano parte
della commissione che ha lavorato alla stesura del codice, giuristi come:
32
1. Il primo libro è un libro che contiene le disposizioni generali, ci troviamo tutta
una serie di previsioni, nome e principi che in quanto disposizioni generali si
applicano a tutti quanti i processi disciplinati nei libri successivi.
1. Terzo libro prende avvio con l’articolo 474 e che invece è dedicato al processo
di esecuzione. In verità sarebbe più corretto parlare di processi di esecuzione
perché non ce n’è solo uno. Questi sono dei procedimenti il cui scopo è proprio
quello di attribuire al cittadino materialmente le opportunità a cui ha diritto. Quindi
se un cittadino è riconosciuto titolare di un diritto di credito, diritto ad ottenere il
pagamento di una somma di denaro, attraverso il processo esecutivo il cittadino
ottiene proprio il denaro a cui ha diritto e non il foglio carta che dice che sei titolate
di un diritto parti a 100, con questo processo si ottengono i 100 di cui si ha diritto.
Quindi ci ritroviamo tutta una serie di procedimenti definiti speciali perché: intanto,
come regola generale, possono essere utilizzati nei casi previsti dalla legge quindi
si connotano tutti per la loro tipicità, poi speciali perché questi procedimenti non
rientrano nella nozione di processo a cognizione piena si tratta di procedimenti a
cognizione sommaria, termine che se posto in contrapposizione a quello di
cognizione piena consente di capire che si tratta di una forma di cognizione meno
approfondita (detto con un termine tecnico) e che vengono dettati dal legislatore
Italiano per assolvere a esigenze fondamentali quale l’economia processuale cioè
risparmiare la lunghezza del processo a cognizione piena che presenta un
meccanismo molto pieno, farraginoso, complesso.
Quando?
Quando non c’è una vera contestazione fra le parti ma c’è semplicemente uno che
non paga, non perché non vuole contestare l’esistenza del diritto ma perché non
paga perché non ce l’ha, perché non vuole pagare. Quindi quando c’è una lite da
pretesa insoddisfatta, ecco l’economia processuale, è inutile mettere in moto un
processo a cognizione pinea così pesane, lungo e impegnativo per tutti anche per
33
lo stato!
E poi esigenze come assicurare l’effettività della titela giurisdizojnale, ci sonon
situazioni giuridiche le uqali non possono rimanere insodffitate per tutot il tenpo di
svolgimento del processo a cognizione piena perché il tutolare verrebbe a subire
un danno irreparabile pensate balamente al dritto alla retribuzione, diritto al
mantenimento cioè situazioni critiche che hanno un contenuto patrimoniale ma che
garantiscono un bene non patrimoniale, cioè garantire la sopravvivenza della
persona e non si può lasciare il lavoratore senza stipendio per i tre anni di durata
del primo grado del processo a cognizione pine a
Quindi siccome la necessità di mettere il cittadino nella condizione di ottenere in
tempi rapidi un provvedimento che anticipa il contenuto della sentenza del
processo a cognizione piena.
Anche questa è una delle esigenze che sta alla base di questi procedimenti
speciali che ritroviamo nel IV libro.
⁃ In questo primo semestre però parleremo solo del processo a due parti.
Quindi rimaniamo nell’ottica in cui processi sia a due part, fra attore e convenuto.
Anche fra
per esempio io attore propongo nei confronti del convenuto una domanda con cui
chiedo adempimento di un credito ereditario e il mio convenuto propone nei miei
confronti una domanda di accertamento ti non esistenza della mia qualità di erede.
quindi, capire, come queste due domande sono intimamente collegate. Il legame
sta nel fatto che la qualità di erede è il presupposto su cui si basa il mio diritto a
richiedere l’adempimento del credito del de cuius di cui io sono erede, mi affermo
erede.
35
Quindi il legame può essere intento allora in presenza di questi legami
l’ordinamento ha l’interesse a favorire un ordine processuale, interesse a che
queste cause vengano riunite difronte ad uno stesso giudice.
Perché è opportuno che sia lo stesso giudice a pronunciarsi su tutte e due e
domande però capite che se le due domande sono soggette alla competenza di
cui agli articoli 7 e ss. possono essere due domande che originariamente
appartengono alla competenza di due giudici diversi.
Allora l’ordinamento in presenza di legami forti, avendo l’interesse a che queste
domande vengano affrontate difronte allo stesso giudice e tratta simultaneamente,
consente negli articoli 31 e ss. che per attuare il cumulo processuale si possono
derogare i criteri originari di competenza, quindi in questi articoli troviamo tutta una
serie di disposizioni che prevedono la possibilità di derogare alle regole
precedentemente dettate agli articoli 7 e ss. per favorire il cumulo processuale, per
far si che quelle due domande possono essere portate difronte allo stesso giudice
e che quindi sia lo stesso giudice che tratta e decide contestualmente su tutte e
due le domande e gli articoli 31 e ss. riguardano sano processi fra parti (articoli
31-34-35 e 36) sia domande proposte da parti diverse (articoli 32 e 33).
Poi, articoli 37 e ss. si tratta l’art 37 della norma che si occupa della giurisdizione
che è uno dei quesiti di legittimazione de giudice. L’art 38 riguarda la competenza,
l’art 40 -> ancora una volta è una norma che si occupa di cause connesse, di
cause che presentano un legame più o meno intenso ed è anche in questo caso
una norma che detta una serie di previsioni (una norma molto ampia) il cui scopo è
lo stesso, favorire il cumulo processuale, favorire la possibilità che le due domande
vegano trattate e decise dallo stesso giudice per le ragioni che poi a suo tempo
vedremo.
Andando ancora avanti, andiamo negli articoli 50 bis e ss., ancora una previsione
relativa al giudice, queste disposizioni presentato una deroga alla norma generale
che il codice di procedura ha adottato dal 1998 e che ricordiamo oggi espresso
nell’art 48 dell’ordinamento giudiziario, ovvero la regola genarle secondo cui il
tribunale si pronuncia in composizione monocratica. Quindi le cause che rientrano
nella competenza del tribunale non sono affidate ad un giudice collegiale, il
tribunale non si pronuncia in composizione collegiale.
La regola generale è che il processo venga seguito dall’inizio alla fine da un giudice
persona fisica, un giudice singolo. Nell’art 50 bis noi troviamo una serie di ipotesi
che si ritengono tassative in cui invece il tribunale si pronuncia in composizione
collegiale, cioè, la causa viene affidata ad un giudice singolo nella prima parte
(ovvero nella parte introduttiva e nella parte
Poi negli articoli 51 e ss. troviamo gli istituti della astensione e della ricusazione del
giudice.
36
Il giudice deve essere terzo ed imparziale, vuol dire che deve essere distante
rispetto alle parti. A seguito della applicazione degli istituti che abbiamo detto
danno attuazione al principio del giudice naturale è possibile e che venga
individuato un magistrato che in qualche modo è legato alla causa del processo
(es è patente di una delle parti oppure è titolare di una situazione giuridica legata
all’oggetto del processo oppure ha già giudicato quella causa perché era un
giudice di primo grado che poi è passato in appello)
In questo caso intervengono i due istituti (astensione e ricusazione) = il giudice in
presenza di una delle situazioni tassativamente indicate nell’art 51 ha l’obbligo di
essere dimesso quindi è il giudice persona fisica che laddove risconti la presenza
di una delle ipotesi tassativamente indicate nell’art 51 ha l’obbligo di astenersi.
Se non lo fa e una delle parti ritiene che invece sussista una delle condizioni di cui
all’art 51 questa ha la possibilità di ricusarlo, quindi di far valere l’esistenza di uno
dei casi di cui all’art 51 si tratta degli istituti che presidiano alla terzietà e
imparzialità del giudice.
Negli articoli 57 e ss. invece noi troviamo la disciplina di quelli che possiamo
definire gli ausiliari del giudice quindi si tratta di una serie di collaboratori del
giudice, non magistrati ma personale amministrativo che coadiuva il giudice.
1.Si tratta del cancelliere, che possiamo dire in gergo atecnico sia una sorta di
segretario.
2.si tratta dell’ufficiale giudiziario che è un funzionario che svolge una funzione
molto importante es: nell’ambito del processo di esecuzione si tratta di colui a cui
viene affidato il procedimento di notifica degli atti, il procedimento per il cui tramite
un atto viene portato nella sfera di conoscibilità del suo destinatario
Poi abbiamo articoli 61 e ss.:
3.I consulenti tecnici che sono degli esperti a cui il giudice si può rivolgere se ha
bisogno di un esperto (per es. perché la controversia è tecnica e il giudice non ha
quelle conoscenze tecniche che sono necessarie per svolgere alcuni accertamenti;
può essere presente il medico legale se si tratta di valutare le conseguenze di un
incidente stradale, può essere un ingegnere se si tratta di dover riscostruire una
dinamica di un incidente a partire dai segni che sono stati rinvenuti nel luogo di un
incidente tesso); quindi il consulente tecnico è un esperto e la consulenza tecnica
è uno dei mezzi prova che rientrano nella diponibilità del giudice.
Poi negli articoli 69 e ss. troviamo il Pm, svolge un ruolo anche nel processo civili,
anche se non lo stesso rispetto al processo penale perché sulla base dell’articolo
112 della C è il Pm ad essere titolare in via esclusiva della azione penale, è l’unico
magistrato legittimato ad aprire il processo penale attraverso la richiesta di rinvio a
giudizio,
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ritiene che sussista un interesse pubblico, quindi sono materie in cui il legislatore
ha ritenuto che sussista un interesse pubblico che legittima una iniziativa del Pm.
Poi nell’art 70 invece troviamo l’indicazione dei casi in cui il Pm è parte necessaria
del processo, cioè il processo viene aperto secondo le regole ordinarie ma il Pm
deve essere presente quindi si vedrà riconosciuta la titolarità dei poteri che
appartengono alle parti anche in questo caso la partecipazione è prevista perché il
legislatore ritiene evidentemente che sussista un interesse pubblico e che quindi ci
sia la necessità che il contraddittorio venga integrato dal Pm.
Poi finalmente nel titolo III art 75 e ss. troviamo una serie di disposizioni che
riguardano le parti e i difensori, quindi abbiamo l’art 75 che si occupa di quella
capacità processuale che grossomodo corrisponde alla capacità di agire secondo
la nozione di diritto privato.
E poi abbiamo l’art 81 che si occupa della legittimazione ad agire, di chi può
esercitare azione civile. Siccome il processo civile come regola genarle ha ad
oggetto situazioni disponibili, l’azione potrà essere esercitata da chi si afferma
titolare del diritto fatto valere in giudizio, del diritto con riferimento al quale si è
verificata la crisi di cooperazione e solo eccezionalmente ex art 81 la legge può
attribuire questa legittimazione anche ad un soggetto terzo, si tratta dei cosiddetti
legittimati straordinari, uno i questi è il Pm anche se non l’unico.
Fra queste:
• ⁃ il principio della domanda, sono cui il processo civile non può
essere in moto d’ufficio
ma è necessaria l0niziativa di un soggetto 3° rispetto al giudice.
Negli articoli 131 ess. Che vanno a comporre il VI titolo dedicato agli atti
processuali e troviamo una serie di previsioni che si occupano del profilo formale
del processo.
Il processo civile rientra nella categoria dei procedimenti cioè è una serie
cronologicamente e logicamente ordinata di atti. Il primo atto è l’atto di
proposizione della domanda giudiziale, l’ultimo atto è il provvedimento del giudice.
Tra l’uno e l’altro si snodano tutta una serie di atti e provvedimenti posti in essere
dai protagonisti del processo civile, ovvero le parti (attore e convenuto) e il giudice.
Questi atti sono l’esercizio di poteri processuali e sono intimamente legati l’uno
all’altro perché ogni atto, come esercizio di un potere processuale, è il
presupposto dell’atto successivo ed è la conseguenza dell’atto precedente quindi
c’è una concatenazione che non è solo cronologica ma anche logica.
Allora negli articoli 131 e ss noi troviamo tutte una serie di disposizioni che sin
occupano del profilo formale del processo come serie ordinata di atti.
È una disciplina molto interessante perché nella stessa troviamo una serie in
previsioni ed istituti pe il cui tramite il legislatore tenta di creare le condizioni
perché il processo civile possa sempre raggiungere il suo esito fisiologico ovvero
la sentenza che si pronuncia sulla domanda iniziale e a tale scopo prevede tutta
una serie di meccanismi diretti ad eliminare i vizi che si possono verificare nel
corso del processo.
Un potere esercitato male, un potere esercitato in assenza dei presupposti.
Meccanismi aventi lo scopo di depurare il processo da questi vizi in modo che il
processo possa andare aventi e raggiungere il suo esito fisiologico, la sentenza o il
provvedimento che si pronuncia sulla domanda giudiziale, sulla richiesta di tutela
avanzata dall’attore accogliendola o respingendola. Sono soltanto eccezionali e
patologiche le ipotesi in cui il processo civile non può raggiungere questo scopo e
quindi si conclude con un provvedimento che chiude il processo in rito=
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Rito sta a significare una pronuncia che contiene una dichiarazione secondo cui il
giudice prede atto della impossibilità di rispondere alla domanda giudiziale.
19/09/19
Il secondo libro contiene il maggior numero di disposizione del cpc. Esso si apre
con l’art 163 e si chiude con l’art 447 bis. È dedicato al processo a cognizione
piena, è il processo civile per eccellenza, in cui trova sfogo il diritto di azione. Così
come il diritto di azione sancito nell’art 24 della costituzione è un diritto atipico,
cioè che l’ordinamento attribuisce al cittadino con riferimento a qualsivoglia
situazione giuridica, così il processo a cognizione piena si caratterizza per la sua
atipicità, cioè è un meccanismo che può essere utilizzato con riferimento a
qualsivoglia situazione giuridica e che quindi si correla al diritto di azione e ne
condivide l’atipicità. Esistono due forme di processo a cognizione piena: il rito
ordinario che è la forma generale, e il c.d. rito lavoro, che si applica alle
controversie in materia di lavoro (il più importante), ma anche alle controversie in
materia previdenza e assistenza così come alle controversie locatizie. Gli artt. da
163 a 408 sono dedicati al rito ordinario, mentre dall’art 409 in avanti abbiamo
delle disposizioni che si occupano del rito lavoro, in particolare all’art 409 troviamo
indicazione delle controversie di lavoro ritenute soggette a questo particolare rito.
Si tratta comunque di due forme diverse di processo a cognizione piena, ove
soltanto le regole di svolgimento sono diverse.
Per quanto riguarda il rito ordinario, la più parte delle disposizioni si occupa del
processo che si svolge davanti al tribunale. Ciò si spiega per motivi storici, il
tribunale era il giudice per eccellenza quando è stato redatto il codice, esisteva al
tempo una figura di giudice onorario, il conciliatore, che svolgeva un ruolo
importante, ma il tribunale era il giudice togato per eccellenza ed è di fronte al
tribunale che il codice detta il maggior numero di disposizioni. Con riferimento al
giudice di pace, che oggi è l’altro giudice di primo grado, le disposizioni del codice
sono molto poche, ovverosia gli artt. tra 311 fino al 322, poco più di 10
disposizioni. Ci sono una serie di disposizioni particolari, ma per tutto ciò non
espressamente disciplinato c’è un rinvio alle norme del processo di fronte al
tribunale. Questa scelta è probabilmente non più ragionevole, perché il giudice di
pace è sì giudice onorario, ma che a questo punto ha un contenzioso di tutto
rispetto, e a seguito dell’entrata in vigore dell’ultima riforma della magistratura
ordinaria ha visto aumentato moltissimo il proprio contenzioso, quindi il processo
di fronte al giudice di pace avrebbe bisogno di una maggiore attenzione da parte
del legislatore poiché queste legislazioni sono troppo scarne e problemi
interpretativi ve ne sono. Per quanto riguarda il processo davanti al tribunale, prima
di guardare queste norme devo avvisarvi che esse risentono ancora della
fondamentale scelta che fu operata nel ‘42, infatti sotto l’egida del codice
precedente del ‘65, il processo di fronte al tribunale era collegiale, quando fu
scritto il nuovo codice fu fatta una scelta diversa ovvero quella di affidare ad un
giudice singolo, il giudice istruttore, le prime fasi del processo a cognizione piena,
40
cioè la fase introduttiva e di trattazione e la fase istruttoria, mentre la fase finale
decisoria fu affidata ad un collegio di cui il giudice istruttore doveva
necessariamente far parte. Tutte le disp del II libro ancora danno per presupposta
questa regola, cioè della trattazione monocratica e decisone collegiale, scelta non
più attuale perché nel 1998 il legislatore ha adottato la regola del giudice unico
monocratico di primo grado, cioè ha accolto la regola secondo cui anche di fronte
al tribunale, il processo si svolge in tutte le sue fasi di fronte ad un giudice
monocratico. Questa regola la troviamo oggi espressa nell’art 48 della legge
sull’ordinamento giudiziario (R.D. 12/1941) art 48 modificato dal dlg. 51/1998. L’art
48 detta: “In materia civile e penale il tribunale giudica in composizione
monocratica e, nei casi previsti dalla legge, in composizione collegiale”. La norma
dà per presupposta l’esistenza di una serie di eccezioni in cui si è conservata la
vecchia regola, cioè la regola della trattazione e istruzione affidate al giudice
istruttore e della decisione affidata al collegio. Queste eccezioni le troviamo oggi
espressamente previste nell’art 50bis e ss. che si occupano delle cause nelle quali
il tribunale giudica in composizione collegiale ed è proprio tale articolo che, nei
numeri da 1 a 7bis, contiene questi casi eccezionali tassativi. Quando il legislatore
nel 1998 ha introdotto questa modifica non si è preoccupato di andare a
descrivere tutte le disposizioni del II libro, ma le ha lasciate così com’erano, infatti
anche oggi troviamo il richiamo del giudice istruttore e collegio, ma sappiamo
ormai che questa non sussiste come regola generale. Sapete che il legislatore
italiano non è tra i più precisi e ha visto bene di lasciare inalterato il testo del
codice.
Si arriva così alla prima udienza, detta udienza di prima comparizione e trattazione,
il cui scopo è quello di mettere a fuoco il tema decidendum (cioè l’oggetto/i del
processo) e il tema probandum (i fatti rilevanti che sono controversi tra le parti, con
riferimento alle quali le parti sono in contestazione). “Probandum” perché i fatti
controversi dovranno essere provati, scatta l’onere della prova.
Dopo la prima udienza scattano le cc.dd. preclusioni istruttorie, cioè viene fissato
un termine entro il quale le parti possono articolare le proprie richieste istruttorie
per provare l’esistenza dei fatti favorevoli a ciascuna parte, e ci sarà poi un
secondo termine fissato per presentare le richieste di prova contraria. A questo
punto si apre la fase istruttoria, il giudice si pronuncia sull’ammissibilità e rilevanza
dei mezzi di prova richiesti dalle parti e procede all’acquisizione delle prove
richiese. Potranno essere prove documentali, che dovranno solo essere
depositate, oppure di prove costituenti come le testimonianze, per cui invece
dovranno essere fissate una o più udienze allo scopo di acquisire la testimonianza
(dichiarazione di scienza di un soggetto terzo e soggetta ad una regolamentazione
molto rigida). Nel momento in cui si chiede una testimonianza la parte deve sin da
subito indicare al giudice i quesiti (capitolazione dei quesiti) che vuole siano posti
al testimone e il giudice valuterà l’ammissibilità e rilevanza di ciascuno dei quesiti.
Il giudice civile italiano ha poi una serie di poteri istruttori d’ufficio. Può lui stesso
disporre l’acquisizione di una lunga serie di mezzi di prova.
Terminata l’acquisizione delle prove si arriva alla ultima fase del processo, cioè la
fase decisoria. Le parti sono chiamate a precisare le conclusioni di fronte al
giudice, vengono fissati i termini per lo scambio di una serie di memorie scritte e
poi finalmente abbiamo la pronuncia della sentenza.
Anche il passaggio davanti alla cassazione passa attraverso l’iniziativa della parte
soccombente, è essa che si vede riconosciuta la legittimazione ad impugnare, e lo
fa attraverso un atto che prende la forma del ricorso (si parla infatti di ricorso per
cassazione). Tale ricorso si inserisce nel sistema delle impugnazioni civili ordinarie,
ma la corte non svolge una funzione di garanzia soggettiva ma di garanzia
oggettiva, poiché attraverso le sue sentenze assolve alla funzione nomofilattica,
cioè assicurare l’esatta e uniforme interpretazione del diritto (art 65 ord. giudiz.).
Inoltre, mentre in appello si può denunciare qualsiasi errore del giudice
precedente, con il ricorso in cassazione si possono denunciare solo i vizi
tassativamente previsti nell’art 360 nei numeri da 1 a 5. Il ricorso per cassazione è
un ricorso a motivi limitati, solo quelli espressamente previsti dalla legge.
44
Sono tre le caratteristiche le processo a cognizione piena, così come evidenziato
dal professor Protopisani: la prima è la predeterminazione a livello legale delle
forme e dei termini di svolgimento del processo, cioè è la legge che con precisione
indica e disciplina tutto i processo in ogni sua fase (introduttiva, istruttoria,
decisoria) indicando i soggetti legittimati a porre in essere gli atti, il contenuto degli
stessi e le modalità di svolgimento di determinate attività, ed è per questo che la
scuola fiorentina ritiene che il processo a cognizione piena rappresenti l’attuazione
concreta del principio della garanzia costituzionale dell’art 111 laddove si fa
riferimento al giusto processo regolato dalla legge (è proprio il processo a
cognizione piena in quanto esso prevede la predeterminazione da parte della legge
di tutte le regole di svolgimento);
Accanto alla sentenza ci sono anche altri provvedimenti del giudice dotati di
efficacia esecutiva, per esempio alcuni provvedimenti emanati a conclusione dei
procedimenti speciali del IV libro che esamineremo (anche un decreto ingiuntivo,
che non nasce esecutivo, può essere dichiarato tale successivamente anche se in
modo provvisorio). Accanto ai provvedimenti del giudice sono richiamate al
numero 2 le scritture private autenticate, nonché i titoli di credito (cambiali,
assegno ecc.). in ogni caso, il titolo esecutivo è il presupposto essenziale per dare
avvio al processo esecutivo.
Come si svolge l’espropriazione forzata? Le fasi sono almeno tre: la prima fase è il
pignoramento, il cui scopo è quello di creare un vincolo di indisponibilità sui beni
facenti parte il patrimonio del debitore, e allora abbiamo una serie di disposizioni
che dettano le regole del pignoramento e che sono diverse in relazione alla natura
del bene oggetto del pignoramento, perché i diversi beni sono soggetti a regimi di
circolazione diversi: i beni mobili si trasferiscono sulla base di un trasferimento del
possesso, invece nella circolazione dei beni immobili ciò che è rilevante è la
trascrizione. Dovendo trovare un vincolo di indisponibilità il legislatore si è dovuto
confrontare sulle regole di circolazione che riguardano i diversi beni. Naturalmente
accanto a questi si pone anche il pignoramento dei crediti, probabilmente l’unica
forma di pignoramento che funziona;
a questo punto si apre l’ultima fase, ossia quella di distribuzione del ricavato in
base alle regole stabilite nel codice civile fra i creditori intervenuti nel processo
esecutivo a partire dai creditori privilegiati, che hanno il diritto di essere soddisfatti
per primi e per intero anche laddove siano intervenuti all’ultimo momento (è il
codice che indica le priorità anche tra i creditori che sono muniti di titoli di
prelazione). Si possono verificare tanti incidenti nell’ambito di esecuzione di questo
processo. Per es il creditore può voler contestare l’esistenza del titolo esecutivo. Ci
sono degli strumenti che consentono al debitore di far valere questi vizi e uno
strumento in particolare è l’opposizione. L’opposizione può avere come oggetto il
precetto o l’esecuzione, a seconda del momento in cui il debitore si attiva e questo
incidente determina l’apertura di un processo a cognizione piena, il processo
esecutivo va avanti e parallelamente si svolge il processo di opposizione che è più
47
lungo in quanto si svolge secondo le regole del processo a cognizione piena. Può
anche essere uno degli altri partecipanti al processo a voler muovere una
contestazione, per esempio quando sono state violate le regole relative alla vendita
forzata, anche in questo caso esiste uno strumento rappresentato dall’opposizione
agli atti esecutivi, disponibile per tutti coloro che intervengono nel processo
esecutivo (debitori, ceditori o terzi interessati). Anche questo è un incidente che si
può verificare nel corso del procedimento anche se meno complicato perché si
svolge davanti al giudice dell’esecuzione. Ci sono poi tutte le contestazioni relative
al riparto del ricavato, anche i creditori possono litigare tra di loro riguardo le
priorità, e anche per queste problematiche esiste un apposito strumento
rappresentato dall’opposizione in sede di distribuzione (art 512)
Esiste anche un altro istituto che può essere affiancato a questi, è l’art 2932 cc in
tema di contratto preliminare. La norma prevede che se una delle parti non
ottempera all’obbligo assunto, la controparte può recarsi di fronte al giudice, il
quale può emanare una sentenza che produce gli stessi effetti del contratto non
concluso (se si tratta di un contratto di compravendita, la sentenza produce
l’effetto traslativo). Siamo davanti a una sentenza molto particolare che però, in
base all’interpretazione preferibile, può assumere un duplice contenuto: cognitivo
da una parte, in quanto il giudice accerta il diritto e il corrispondente obbligo alla
stipula del contratto definitivo; esecutivo dall’altra poiché attua questo diritto. Il
provvedimento del giudice produce gli stessi effetti del contratto definitivo non
concluso spontaneamente. La possibilità di utilizzare questa tecnica si spiega in
49
ragione della particolare natura del diritto inadempiuto, poiché si tratta di un diritto
che ha come oggetto la prestazione di una dichiarazione di volontà.
Il IV libro prende avvio con l’art 633, è il libro più eterogeneo perché qui il
legislatore ha inserito tutto ciò che non poteva essere compreso nei primi 3 libri. Si
tratta dei procedimenti speciali, ossia procedimenti a cognizione sommaria, dove
tale termine si contrappone a quello di cognizione piena. Cos’è un processo a
cognizione sommaria? Può essere spiegato sulla base di diverse considerazioni:
intanto la cognizione può essere sommaria perché parziale, e significa che il
giudice, almeno in una prima fase, ha di fronte a sé una sola parte. N.B. ricordare
che il contraddittorio è un principio costituzionale che non può essere derogato,
ma l’art 101 cpc ammette che in determinate ipotesi stabilite dalla legge esso
venga posticipato, cioè venga attivato non subito ma in un secondo tempo. È
quanto si verifica nel procedimento di ingiunzione, nella prima fase c’è solo il
creditore e il debitore non sa neppure che è stata proposta la domanda;
Esempio. Io sono creditrice di una somma di denaro, agisco verso il debitore per
ottenere un provvedimento di condanna all’adempimento e poi aprire un processo
esecutivo. Se io lascio il debitore libero di disporre del suo patrimonio per tutto il
tempo in cui attendo il decreto di condanna rischio di non trovare niente, per
evitare la dispersione del patrimonio ed assicurare la fruttuosità pratica della futura
sentenza, il legislatore mette a disposizione particolari provvedimenti, ossia le
misure cautelari di tipo conservativo, nel caso di specie il sequestro conservativo.
Per completare il quadro della materia si deve far riferimento ad altri due istituti: fra
le azioni costitutive necessarie ex art 2908 cc, ci sono dei casi in cui il legislatore
stabilisce che affinchè si producano determinati effetti giuridici, l’intervento del
giudice è indispensabile, quindi la sentenza diventa elemento della fattispecie da
cui deriva un determinato effetto giuridico. Per esempio, pensiamo
all’annullamento del matrimonio (art117 cc), per ottenerlo, i coniugi sono obbligati
a recarsi di fronte al giudice perché anche se sono d’accordo nell’esistenza di una
causa di annullamento del matrimonio, l’effetto annullamento non può essere
prodotto in via di autonomia privata, ma è indispensabile l’intervento del giudice.
Perché il legislatore prevede questi meccanismi? Evidentemente c’è un interesse
pubblico. Il legislatore vuole che il giudice, effettui un controllo circa l’esistenza dei
presupposti cui si correla la possibilità di ottenere l’effetto giuridico richiesto e,
siccome c’è un interesse pubblico, il legislatore non accetta che questo effetto si
produca automaticamente. Queste sentenze prendono il nome di sentenze
costitutive, la norma di riferimento è l’art 2908 cc.
Infine troviamo nelle ultimissime disposizioni del cpc negli artt. 737 ss. la disciplina
del procedimento di volontaria giurisdizione, il quale viene utilizzato dal nostro
52
legislatore nel momento in cui affida al giudice lo svolgimento di una serie di
funzioni molto diverse rispetto a quelle appena esaminate, poiché non si tratta di
funzioni giurisdizionali, ma funzioni che si prendono cura di particolari interessi (Ad
esempio interessi di cittadini che non sono in grado di prendersi cula di loro
stessi). Queste funzioni potrebbero essere affidate ad una autorità amministrativa,
ma il legislatore sceglie di attribuirle al giudice per le garanzie che esso offre
(autonomia e indipendenza). In questa categoria possiamo far rientrare funzioni
come ad esempio la nomina o rimozione dei rappresentanti legali dei minori o degli
incapaci, oppure l’autorizzazione al compimento di atti di straordinaria
amministrazione rispetto a patrimoni di questi particolari soggetti. Queste funzioni
sono svolte dal giudice attraverso il procedimento in camera di consiglio.
20/09/19
Nell’ordinamento troviamo una serie di disposizioni da cui possiamo trarre con
assoluta certezza un’indicazione molto importante, ovvero che l’oggetto del
processo, e per processo intendo fare riferimento a tutti i processi civili, è sempre
una SITUAZIONE GIURIDICA; possiamo parlare di diritto ma lo dovete intendere in
senso ampio, come indicazione di qualsiasi situazione giuridicamente rilevante a
prescindere dalla sua struttura, e che anche l’oggetto della tutela giurisdizionale è
la stessa situazione giuridica.
Queste disposizioni le rinveniamo non soltanto nel cpc, ma anche nel codice civile,
abbiamo infatti già ricordato che il codice civile è stato scritto prima del codice di
procedura e in esso il legislatore ha anticipato una serie di regole processuali che
poi non ha riscritto nel momento in cui ha redatto il codice di procedura; col
risultato che l’operatore poi deve continuare a muoversi sui due testi e integrarli
l’uno con l’altro.
La prima norma l’abbiamo già letta più volte, ci accompagna in ogni lezione ed è
l’art 24 Cost. 1° comma, laddove si legge che “tutti possono agire in giudizio per
la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”; dalla lettura di questa disposizione si
trae chiaramente che l’oggetto dell’azione, così come l’oggetto della tutela, sono
proprio i diritti e gli interessi legittimi.
Ancora, andiamo nel cpc, all’art 99 cpc che enuncia il PRINCIPIO DELLA
DOMANDA, è uno degli istituti che presidia la terzietà del giudice; lo possiamo
tradurre come il DIVIETO DI INIZIATIVA UFFICIOSA, quindi il giudice civile non può
emanare provvedimenti che nessuno gli ha chiesto, soltanto perché gli sembrano
adatti, così come non può, tanto meno, aprire un processo di fronte a sè.
L’art 99 cpc così recita: “chi vuol far valere un diritto in giudizio, deve proporre
domanda al giudice competente”. Ancora una volta appare molto chiaramente il
collegamento tra la DOMANDA e la SITUAZIONE GIURIDICA, cioè il diritto che si
fa valere in giudizio, e su cui il giudice dovrà statuire.
Passando al codice civile, possiamo soffermarci innanzitutto sull’art 2907 cc, che
si occupa ancora del PRINCIPIO DELLA DOMANDA, anche se se ne occupa
nell’ottica visuale del giudice, l’art 99 cpc è scritto invece nell’ottica della parte, e il
2907 così recita: “alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l’autorità giudiziaria
su domanda di parte e quando la legge lo dispone anche su istanza del pubblico
ministero o d’ufficio.”
E poi l’art 2697 cc, che è la norma centrale in tema di PROVE, e in cui troviamo
enunciato il PRINCIPIO DELL’ONERE DELLA PROVA, cioè è la norma che
stabilisce chi nel processo deve provare che cosa, e così recita: “chi vuol far valere
un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”, poi la
seconda parte che non rileva per l’argomento trattato stabilisce che “chi eccepisce
l’inefficacia di tali fatti, ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto,
deve provare tali fatti su cui l’eccezione si fonda”. A noi interessa il 1° comma
perché anch’esso fa emergere il collegamento fra la DOMANDA DI PARTE, quindi
fra l’AZIONE che viene esercitata, e il DIRITTO fatto valere in giudizio.
Allora quello che possiamo trarre dalla lettura di queste disposizioni è che
l’oggetto del processo è la SITUAZIONE GIURIDICA, è il DIRITTO fatto valere in
giudizio, e che questo stesso diritto costituisce l’oggetto della tutela
giurisdizionale.
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Il GIUDICATO è il risultato a cui tende il PROCESSO A COGNIZIONE PIENA, che
abbiamo detto essere lo strumento di tutela generale predisposto
dall’ordinamento. Dalla lettura di queste disposizioni possiamo argomentare che
l’oggetto del giudicato coincide, tendenzialmente (ci possono infatti essere delle
situazioni che incidono sull’ampiezza del giudicato), con il DIRITTO oggetto del
processo, diritto che viene fatto valere in giudizio dall’ATTORE, che è colui che si
rivolge al giudice perché ha subito la crisi di cooperazione.
Infatti dalla lettura delle norme del cpc noi possiamo evidenziare che è proprio
l’attore, nel momento in cui apre il processo, proponendo la domanda, a fissarne
l’oggetto, a individuare la situazione giuridica con riferimento alla quale invoca la
tutela.
Abbiamo già ricordato che il secondo libro disciplina 2 moduli di processo civile:
Il RICORSO invece contiene soltanto l’editio actionis, quindi l’esercizio del diritto
d’azione, perché il ricorso, una volta che è stato redatto, viene presentato all’ufficio
giudiziario adito, sarà il giudice a fissare con decreto in calce al ricorso la data
della prima udienza, dopodiché il ricorso e il decreto contenente la fissazione della
data dell’udienza vengono notificati al convenuto.
Ai fini dei limiti oggettivi del giudicato mi interessa solo l’editio actionis, quindi il
sottoatto di esercizio del diritto di azione.
Per rispondere alla domanda relativa a come si individua il diritto possiamo fare
riferimento all’art 163 cpc, che si occupa del contenuto dell’atto di citazione,
indicando i requisiti di forma-contenuto dell’atto di citazione.
L’art 163 indica ben 7 requisiti, ai fini dell’editio actionis però rilevano soltanto 3 di
questi 7 requisiti.
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2. abbiamo l’indicazione della COSA oggetto della domanda, che è il requisito di
cui al n.3;
—> questi sono gli elementi identificativi di qualsiasi diritto, di qualsiasi situazione
giuridicamente rilevante.
Andiamo a vedere nel dettaglio il profilo soggettivo: chi sono le PARTI? La nozione
di parte è in realtà una nozione polivalente, ora, ai fini della individuazione del
diritto fatto valere in giudizio rileva soltanto la nozione in senso sostanziale di
parte —> PARTE è colui che si afferma titolare, sul lato attivo e sul lato passivo di
una determinata situazione giuridica.
Pensiamo sempre a situazioni semplici per adesso, che appartengono quindi sul
lato attivo e su quello passivo a una sola parte.
Le parti in senso sostanziale sono quindi gli affermati titolari attivi e passivi della
situazione giuridica. Quindi, se viene dedotta in giudizio un’obbligazione
pecuniaria, le parti sostanziali saranno il CREDITORE e il DEBITORE, cioè chi ha il
diritto di pagare e chi ha l’obbligo di pagare.
Come vi ho detto, questa non è l’unica accezione del termine “parte”, perché nel
processo si parla anche di parte in senso formale; diciamo che, generalmente le
parti in senso formale e la parti in senso sostanziale coincidono, perché di solito
sono proprio le parti sostanziali che fanno valere in giudizio le proprie situazioni
giuridiche, però ci sono molti casi in cui si ha una scissione, tra la parte in senso
sostanziale e la parte in senso formale.
Lo stesso n.2 dell’art 163 fa riferimento ad uno dei casi in cui si verifica questa
scissione, laddove parla dei RAPPRESENTANTI, così recita infatti il n.2: “l’atto di
citazione deve contenere il nome, il cognome, la residenza, e il codice fiscale
dell’attore, il nome e il cognome e il codice fiscale, residenza e domicilio del
convenuto, e delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono; se
attore o convenuto è una persona giuridica, un’associazione non riconosciuta o un
comitato, la citazione deve contenere la denominazione o la ditta, con l’indicazione
dell’organo o ufficio che ne ha la rappresentanza in giudizio.”
Ecco, la rappresentanza non si riferisce soltanto alle persone fisiche, ma anche alle
persone giuridiche, e anche a quegli enti che non sono persone giuridiche, ma che
comunque non sono nemmeno persone fisiche, come appunto i comitati o le
associazioni non riconosciute.
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Vi faccio un esempio: l’azione surrogatoria (art 2900 cc) —> il creditore può
sostituirsi al debitore nell’esercizio delle azioni poste a tutela del patrimonio. Il
presupposto dell’azione surrogatoria è che il debitore sia inerte, non si curi del
patrimonio, non si cura di conservare la garanzia patrimoniale; l’art 2900 consente
al creditore di agire in nome proprio, ma per conto del debitore, quindi di far valere
in giudizio i diritti facenti parte il patrimonio del debitore. —> questo è il classico
esempio di sostituzione processuale/legittimazione straordinaria.
2) la tutela di condanna;
3) la tutela costitutiva;
57
Non è il giudice a scegliere, ma è l’ATTORE che deve indicare al giudice il
provvedimento che chiede. Quindi l’attore deve indicare al giudice il tipo di tutela
che intende ottenere.
Infine, i fatti e gli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda; si parla in
questo caso di CAUSA PETENDI. Per capire che cosa essa sia e che cosa vi rientri
dobbiamo recuperare una nozione di teoria generale del processo e del diritto,
ovvero la nozione di fattispecie giuridica: ogni situazione giuridica, a prescindere
dalla sua struttura, possiamo ricostruirla come l’effetto giuridico di una determinata
fattispecie. Cioè la legge stabilisce, attraverso le sue norme, che alla presenza di
una serie di fatti, scaturisce l’effetto giuridico —> questi fatti prendono il nome di
FATTISPECIE COSTITUTIVA.
Facciamo degli esempi per capire: parliamo di quali siano i fatti costitutivi del
diritto di proprietà, e sono i modi di acquisto della proprietà, quindi la
compravendita, la successione, la donazione, l’accessione, la specificazione,
l’usucapione —> questi sono i possibili fatti costitutivi del diritto di proprietà.
Parliamo delle obbligazioni, quali sono i loro fatti costitutivi? Sono le FONTI delle
obbligazioni, quindi il fatto illecito, i contratti, e gli atti unilaterali —> questi sono i
cosiddetti fatti costitutivi, vanno a comporre la cosiddetta fattispecie costitutiva,
sono i fatti che debbono sussistere affinché la fattispecie costitutiva si perfezioni e
quindi l’effetto giuridico possa prodursi.
Attenzione, io ho fatto degli esempi molto semplice, ma nella realtà spesso queste
sono delle fattispecie costitutive complesse; intanto non sempre la fattispecie
costitutiva si compone di un solo elemento, ma è possibile che si componga di 2 o
più elementi, ed è anche possibile che questi elementi vengano ad esistenza in
momenti temporali diversi; per cui si parla di una fattispecie costitutiva a
formazione progressiva; quindi finché la fattispecie non si è perfezionata, e questo
richiederà un certo lasso di tempo, l’effetto giuridico non sorge, perché la
fattispecie deve essere perfetta, affinché l’effetto sorga.
E qui possiamo però introdurre fin da ora una distinzione che ha rilevanza sulla
disciplina processuale, perché la fattispecie costitutiva non sempre svolge una
funzione identificativa; ci sono situazioni giuridiche che si individuano sulla base
del solo CONTENUTO. Si parla di diritti autodeterminati, in contrappunto ai diritti
eterodeterminati.
Dobbiamo completare un po’ il quadro, perché abbiamo detto che nell’ambito del
processo è l’ATTORE che tendenzialmente fissa l’oggetto del processo, indicando
le parti, indicando il petitum e indicando la causa petendi, però sappiamo che nel
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processo vige il PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO, dobbiamo quindi fare i
conti con il destinatario della domanda, la parte nei cui confronti viene invocata
tutela, la quale a sua volta è titolare di una serie di poteri processuali, che sono i
poteri di difesa del CONVENUTO, che possono incidere sull’oggetto del processo.
Attraverso l’esercizio quindi dei POTERI DI DIFESA del CONVENUTO si può avere
un ampliamento, vuoi dell’oggetto del processo, vuoi del cosiddetto materiale
61
cognitivo, quindi dei fatti che il giudice dovrà accertare ai fini dell’esistenza o non
esistenza dei diritti oggetto del processo.
Torniamo al giudicato.
Quello che possiamo fin da subito chiarire, è che i fatti non possono entrare nel
processo su iniziativa del giudice, quindi sul giudice civile grava il cosiddetto
DIVIETO DI UTILIZZAZIONE DELLA PROPRIA SCIENZA PRIVATA. Quindi, anche
se il giudice ha una conoscenza privata dei fatti che hanno rilevanza con
62
riferimento al processo che pende di fronte a lui, non li può utilizzare; così come
non può andare a fare l’investigatore; il giudice civile non è un investigatore, quindi
deve svolgere la sua attività e deve statuire sull’esistenza o non esistenza del
diritto sulla base di ciò che emerge lecitamente dagli atti giudiziali.
Dico sempre ai miei studenti che il processo è come una sorta di scatola: il giudice
guarda ciò che è entrato nella scatola, ma non può essere lui a far entrare in
giudizio i fatti giuridicamente rilevanti. Il divieto di utilizzazione della scienza privata
è un limite che grava sul giudice civile, che NON trova espressione normativa, non
lo trovate espresso nel codice di procedura italiano (il codice francese invece lo
enuncia espressamente), il codice italiano invece non contiene questa indicazione
ma è una regola d’oro, una regola che nessuno mette in discussione; perché?
Perché si tratta di un principio che presidia la garanzia di TERZIETA’ e
IMPARZIALITA’ del giudice.
Come fa il giudice ad accertare l’esistenza o non esistenza dei fatti? Abbiamo già
prima incidentalmente introdotto il PRINCIPIO DI NON CONTESTAZIONE —> se il
processo civile, come generalmente avviene, ha ad oggetto diritti disponibili, ha
una rilevanza determinante la circostanza che il singolo fatto entrato nel processo
sia controverso o meno fra le parti; perché se non c’è controversia fra le parti, il
giudice lo ritiene esistente, quindi non c’è bisogno di andare a svolgere attività
istruttoria/processuale in genere. Se invece c’è una contestazione fra le parti, nel
senso che una delle parti dice “è vero”, e l’altra parte dice “no non è vero”, allora
scatta l’ONERE DELLA PROVA. Abbiamo già detto in base all’art 2697 che l’onere
della prova scatta a carico della parte nel cui interesse il fatto opera. Quindi, sarà
interesse di quella parte chiedere al giudice l’acquisizione di mezzi di prova il cui
scopo è convincere il giudice che il fatto esiste. Naturalmente la controparte potrà
esercitare i suoi poteri probatori contrari: cioè potrà chiedere l’assunzione di prove
diretti a convincere il giudice che quel fatto non esiste —> pensate all’incidente
stradale: l’attore danneggiato porterà una serie di testimoni che ricostruiranno una
certa dinamica dei fatti, facilmente il convenuto porterà testimoni che diranno cose
esattamente contrarie. Quindi la prova diretta e la prova contraria; sta al giudice
valutare secondo il suo prudente apprezzamento, art 116 cpc, come si sono svolti
i fatti; quindi se i fatti giuridicamente rilevanti esistono o non esistono.
Ora, se il giudice vuole emanare una sentenza di accertamento, in cui dichiara che
il diritto esiste, il giudice dovrà accertare tutti i fatti costitutivi, perché abbiamo
detto che tutti i fatti costitutivi sono indispensabili perché il diritto nasca; ma dovrà
accertare anche la non esistenza di tutti i fatti modificativi, estintivi e impeditivi;
perchè? Perché è sufficiente che un solo fatto modificativo, estintivo o impeditivo
esista, per impedire al giudice di dichiarare l’esistenza del diritto, almeno nei
termini in cui l’attore l’ha prospettato. Quindi se la sentenza è una sentenza di
accertamento positivo, allora l’attività cognitiva del giudice è ampia, perché dovrà
soffermarsi su tutti i fatti che sono stati introdotti nel processo.
Se però il giudice si rende conto che uno dei fatti costitutivi non esiste, oppure si
rende conto che uno dei fatti modificativi, impeditivi, estintivi esiste, è fondato, per
esempio la prescrizione, che è di facilissimo accertamento perché si basa sul
63
decorso del tempo, basta fare due calcoli, per il giudice è sufficiente, potrà
immediatamente emanare una sentenza dichiarativa della non esistenza del diritto,
e di conseguenza rigettare la domanda, è inutile andare a svolgere attività
processuale quando non c’è bisogno, quindi l’accertamento negativo si può
basare su un solo fatto = la non esistenza di un fatto costitutivo o l’esistenza di un
fatto modificativo, estintivo, impeditivo; gli altri fatti il giudice non li guarda
nemmeno, si ha una cosiddetta DICHIARAZIONE DI ASSORBIMENTO: il giudice
non statuisce su questi fatti.
Quindi, con riferimento alla QUAESTIO FACTI, questa è dominata dal PRINCIPIO
DISPOSITIVO, perché sono le parti a regolare l’introduzione dei fatti in processo,
non il giudice, su cui grava il divieto di utilizzazione della scienza privata.
D’altra parte già ci siamo soffermati sull’art 101.2: “il giudice è soggetto soltanto
alla legge”, quindi nessuno si può mettere fra il giudice e la norma.
Quindi con riferimento alla QUAESTIO IURIS c’è una regola contraria rispetto a
quella che abbiamo visto valere rispetto alla QUAESTIO FACTI, cioè il giudice
utilizza proprio la propria scienza privata, il proprio sapere professionale. Sarà il
giudice quindi ad individuare la norma da applicare al caso concreto, ma
naturalmente dovrà agire nel rispetto del PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO,
cioè, una volta individuata la norma, una volta che l’ha ricostruita, deve dare alle
parti la possibilità di esporre le proprie ragioni. Perché, tornando ai vostri studi di
diritto sostanziale, un conto è configurare rispetto a una certa fattispecie una
forma di responsabilità contrattuale, un altro conto è prospettare una
responsabilità extracontrattuale: intanto perché varia la fattispecie costitutiva,
perché nella responsabilità extracontrattuale il danneggiato che cosa deve
provare? Art 2043 cc: l’elemento soggettivo, il dolo e la colpa della controparte,
quindi si allarga la fattispecie costitutiva per l’attore; nella responsabilità
contrattuale, in base all’art 1218 cc, l’elemento soggettivo non ha rilevanza, conta
l’impossibilità della prestazione eventualmente. E poi perché le conseguenze sono
diverse: attraverso la responsabilità contrattuale probabilmente si ottiene un
risarcimento più ampio rispetto alla responsabilità extracontrattuale. Quindi non è
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neutra l’applicazione di una o di un’altra norma; questa è una scelta carica di
conseguenze per le parti, che quindi devono poter esercitare i propri poteri, quindi
il giudice è libero nella individuazione della norma da applicare, ma nel rispetto del
PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO.
E qui si pone una prima complicazione, e qui cominciamo a parlare dei LIMITI
OGGETTIVI del GIUDICATO. Perché io fino ad adesso io vi ho fatto degli esempi
semplici, degli esempi in cui i fatti giuridicamente rilevanti avevano la struttura del
fatto storico, però non è sempre così, perché spesso i fatti giuridicamente rilevanti
hanno invece natura non di fatto storico, ma di fatto-diritto, cioè sono l’effetto di
un’autonoma fattispecie. Vi faccio un esempio: se io agisco per ottenere
l’adempimento del credito ereditario, io sono l’erede e agisco nei confronti del
debitore del decuius per avere l’adempimento del credito ereditario, fatto
costitutivo del diritto ad ottenere il pagamento, è la mia qualità di erede —> la
qualità di erede NON è un fatto storico, è uno status, è una situazione
giuridicamente rilevante, è l’effetto di un’autonoma fattispecie giuridica.
Un altro esempio: io agisco per ottenere il risarcimento del danno che il convenuto
ha causato ad un bene di mia proprietà —> fatto costitutivo rispetto al mio diritto
ad ottenere il risarcimento del danno è la proprietà del bene: intanto io posso
chiedere ed ottenere il risarcimento del danno in quanto sia la proprietaria del bene
che è stato danneggiato. Allora la proprietà è fatto costitutivo, e sappiamo bene
non essere un fatto storico, è una SITUAZIONE DI DIRITTO, è una situazione
giuridicamente rilevante, è l’effetto giuridico di un’autonoma fattispecie.
Ma, se così è, negli esempi che vi ho proposto, appare evidente che questi fatti-
diritti, avendo la consistenza della situazione giuridica, essendo effetti giuridici di
autonome fattispecie, potrebbero essere dedotti nell’ambito di autonomi processi,
perché i processi possono essere aperti in riferimento a qualsivoglia situazione
giuridica.
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Torniamo alla nostra domanda: cosa fa il giudice che si trova di fronte ad un fatto
costitutivo che ha la consistenza del fatto-diritto e che è controverso fra le parti?
Lo accerta con autorità di cosa giudicata o senza autorità di cosa giudicata? La
risposta a questo quesito noi la ritroviamo nell’art 34 cpc —> è la norma intorno
alla quale viene ricostruita tutta la teoria dei limiti oggettivi del giudicato: “il giudice
se per legge o per esplicita domanda di una delle parti è necessario decidere con
efficacia di giudicato una questione pregiudiziale che appartiene per materia o
valore alla competenza di un giudice superiore, rimette tutta la causa a
quest’ultimo, assegnando alle parti un termine perentorio per la riassunzione della
causa davanti a lui.” Allora, intanto l’art 34 fa parte di quella sequela di disposizioni
di articoli da 31 a 36 che vi ho detto per favorire il cumulo processuale consente la
deroga alla competenza, ma questo profilo non ci interessa adesso, ci interessa
soltanto la prima parte —> “il giudice se per legge o per esplicita domanda di una
delle parti è necessario decidere con efficacia di giudicato una questione
pregiudiziale…” —> intanto cos’è una QUESTIONE PREGIUDIZIALE? È proprio
quello di cui stiamo parlando, è un fatto giuridicamente rilevante che è controverso
fra le parti; quindi i fatti giuridicamente rilevanti prendono il nome di punti
pregiudiziali, se controversi diventano una QUESTIONE PREGIUDIZIALE. Qui
abbiamo una questione pregiudiziale che ha la consistenza del fatto-diritto.
Allora, questa norma mi dice che “il giudice, se per legge o per esplicita domanda
di una delle parti…”, quindi mi dice questa norma che il giudice accerta la
questione pregiudiziale con autorità di cosa giudicata se imposto dalla legge o se
viene proposta una domanda da una delle parti. In base a una lettura al contrario
della disposizione si desume che se non è imposto dalla legge, e se non è
richiesto da una delle parti, questo accertamento è svolto senza autorità di cosa
giudicata. Quindi quello che questo articolo enuncia una regola restrittiva in punto
dei limiti oggettivi del giudicato.
Che cos’è questa domanda di parte? Tornando agli esempi, io propongo domanda
di adempimento ereditario, il mio convenuto contesta la mia qualità di erede. A
questo punto l’attore può, in sede di replica, proporre una seconda domanda:
chiedere al giudice di accertare la qualità di erede con autorità di cosa giudicata
—> è la domanda di accertamento incidentale, prevista proprio dall’art 34; ma può
essere anche il convenuto: a fronte della mia domanda di adempimento del credito
ereditario il convenuto contesta la mia qualità di erede e propone in via
riconvenzionale o in via di domanda di accertamento incidentale una domanda di
accertamento negativo della mia qualità di erede, chiede al giudice di accertare
che io non sono l’erede.
Oppure si fa riferimento alla legge: ci sono delle ipotesi in cui è la legge a imporre
che la questione pregiudiziale che ha la natura, l’essenza, la consistenza del fatto-
diritto venga sempre accertata con autorità di cosa giudicata.
Altre ipotesi che troviamo con riferimento a una serie di fattispecie in cui c’è una
particola esigenza di certezza, per cui si vuole che certe situazioni vengano
sempre accertate con autorità di cosa giudicata —> ad esempio, in tema di
verificazione della SCRITTURA PRIVATA oppure in tema di QUERELA DI FALSO:
sono due istituti che studieremo quando parleremo delle prove documentali.
Torniamo all’art 34: questo somministra una regola restrittiva in punto di limiti
oggettivi del giudicato, perché vi dice che le questioni pregiudiziali, quindi i fatti
giuridicamente rilevanti che sono controversi fra le parti e che hanno la
consistenza del fatto-diritto, come regola generale vengono accertati senza
autorità di cosa giudicata.
Cosa vuol dire accertare senza autorità di cosa giudicata? Vuol dire che questo
accertamento è, in gergo tecnico, incidens per tantum(?), cioè è un accertamento
che vale solo ai fini della causa in corso, della causa originaria. La conseguenza è
che questo altro diritto, il rapporto pregiudiziale, potrà essere dedotto in un
autonomo processo, perché il primo accertamento non acquisterà mai autorità di
cosa giudicata, e quindi lascia aperta la possibilità di un secondo e autonomo
processo.
Il rischio è che si formino due sentenze, due giudicati in contraddizione —> si parla
di una contraddittorietà logica, perché i due giudicato NON hanno lo stesso
oggetto: il primo giudicato ha ad oggetto il rapporto dipendente, e il secondo ha
ad oggetto il rapporto pregiudiziale. Per cui la contraddittorietà corre tra l’oggetto
della sentenza che ha ad oggetto il rapporto pregiudiziale, e il presupposto logico
della sentenza che ha ad oggetto il rapporto dipendente.
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Quindi la regola generale è che l’ordinamento processuale italiano ha accolto una
nozione ristretta dei limiti oggettivi del giudicato. Ci sono invece dei settori in cui si
è affermata in via dottrinale una nozione più ampia dei limiti oggettivi del
giudicato , in deroga a quanto previsto dall’art 34.
Quand’è che una soggetta non è più soggetta ai mezzi di impugnazione? Sono
due le ipotesi:
1) le parti hanno esaurito tutti i possibili mezzi di impugnazioni, siamo arrivati alla
fine del sistema dei mezzi di impugnazione; a quel punto non c’è più alcuno
strumento ordinario per attaccare la sentenza, ci sono quelli straordinari.
Quello che rimane è sicuramente quello che diceva Giuseppe Chiovenda, cioè che
una volta che si forma l’autorità della cosa giudicata, una volta che si forma il
giudicato sostanziale, a nessun giudice può essere chiesto di rimettere in
discussione il bene della vita che la prima sentenza ha riconosciuto o
disconosciuto; quindi non si può chiedere a un secondo giudice di disconoscere il
bene della vita che il primo giudicato ha attribuito, o non li si può chiedere di
riconoscere un bene della vita che invece è stato dal primo giudicato negato.
Tutte le vicende che riguardano la norma generale astratta sono indifferenti rispetto
a quella fattispecie, perché quella fattispecie trova la propria lex specialis nel
giudicato.
Problemi certamente più complessi si creano invece nei rapporti con gli
ordinamenti sovranazionali: ci sono stati dei casi in cui la corte di giustizia europea
ha dichiarato che la sentenza europea ha prevalenza rispetto al giudicato. C’è la
famosa sentenza Lucchini che ha scompaginato assiomi che si ritenevano
indistruttibili; ma sono problematiche molto complesse e come spesso avviene
nello studio dei rapporti fra l’ordinamento europeo e l’ordinamento nazionale, ciò
che ci sta alla base è la considerazione di una serie di conseguenze pratiche,
concrete, economiche, che probabilmente spesso sono alla base della pronuncia
della corte suprema europea.
Mi limito solo a introdurvi queste problematiche per farvi capire che anche questo
giudicato è esposto a dei pericoli, però non nell’ordinamento nazionale.
Per oggi mi fermo qua, nella prossima lezione vedremo i casi in cui i limiti oggettivi
del giudicato sono ampi.
26/09/19
(chiarimento sui diritti eterodeterminati e autodeterminati: è una distinzione che si
appunta sul ruolo svolto dal fatto costitutivo.
Anche la lezione di oggi è dedicata ai limiti oggettivi del giudicato. Per questo
ripartiamo dall’art. 34, perché abbiamo già chiarito nella scorsa lezione che si tratta
della norma di riferimento.
L’art. 34 dice che “il giudice, se per legge o per esplicita domanda di una delle
parti è necessario decidere con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale
che appartiene per materia o valore alla competenza di un giudice superiore,
rimette tutta la causa a quest’ultimo, assegnando alle parti un termine perentorio
per la riassunzione della causa davanti a lui”.
Abbiamo detto che l’art. 34 si inserisce in una serie di disposizioni che al fine di
favorire il cumulo processuale consentono la deroga ai criteri originari di
competenza (però in questo momento questi spostamenti di competenza non ci
interessano).
Quello che mi interessa è invece la prima parte della disposizione. Il problema che
l’art. 34 risolve è questo: abbiamo detto che il giudice, al fine di statuire sulla
esistenza o non esistenza del diritto fatto valere in giudizio, vede risolvere le
questioni di fatto e la questione di diritto. Le questioni di fatto interessano tutti i
fatti giuridicamente rilevanti ai fini del diritto fatto valere in giudizio, dell’effetto
dedotto in giudizio. Ogni diritto, ogni situazione giuridica ha l’effetto giuridico di
una certa fattispecie, all’interno della quale acquistano rilevanza:
72
Abbiamo altresì detto che questi fatti giuridicamente rilevanti possono avere lo
spessore del fatto storico oppure essere, a loro volta, situazioni giuridiche, effetti di
autonome fattispecie, che sono richiamati da un’altra norma. Gli esempi che vi ho
proposto e su cui vi consiglio di ragionare è quello innanzitutto della domanda di
adempimento del credito ereditario e la qualità di erede la qualità di erede è
fatto costitutivo rispetto al diritto da parte dell’erede di pretendere l’adempimento
del credito appartenente al de cuius.
Abbiamo evidenziato che il giudice laddove uno dei fatti giuridicamente rilevanti è
controverso fra le parti deve accertare l’esistenza o meno di questo fatto. Abbiamo
detto che questa regola vale a prescindere dal se il fatto sia un fatto storico oppure
un fatto diritto, un fatto che ha la consistenza dell’effetto giuridico, perché è
l’effetto di un’autonoma fattispecie.
Quindi l’art. 34 somministra una regola ristretta in punto di limiti oggettivi del
giudicato. Questa è una scelta che ha fatto l’ordinamento in maniera consapevole,
riprendendo teorie formulate da Giuseppe Chiovenda, e che ha alla sua base
l’esigenza di favorire la rapida chiusura del processo. Perché non è indifferente che
l’oggetto del processo sia semplice o complesso, se l’oggetto è complesso, se
cioè a una domanda originaria si somma un’altra domanda la disciplina
processuale si appesantisce ed entrano in gioco tutta una serie di meccanismi che
condizionano tutto lo svolgimento del processo.
Vi ho altresì fatto notare che, dal momento in cui il legislatore ha adottato una
regola restrittiva come quella enunciata nell’art. 34, l’ordinamento ha accettato un
rischio, ovvero il rischio che si formino sentenze logicamente contraddittorie. Dal
momento in cui il primo giudice accerta l’esistenza, il modo di essere del rapporto
pregiudiziale incidenter tantum, senza autorità di cosa giudicata, la conseguenza è
che quel rapporto potrà essere dedotto nell’ambito di un secondo e autonomo
processo, potrà costituire l’oggetto di un secondo e autonomo processo di fronte
a un diverso giudice, il quale potrà pervenire ad una conclusione opposta rispetto
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a quella raggiunta dal primo giudice incidenter tantum. Quindi il primo giudice
accerta che sussista la qualità di erede e, di conseguenza, accoglie la domanda di
adempimento, e il secondo giudice ritiene invece che la qualità di erede non
sussiste. Il primo giudice accerta l’esistenza del diritto di proprietà e, di
conseguenza, accoglie la domanda del risarcimento del danno, il secondo giudice
accerta che il diritto di proprietà dell’attore non sussiste. Questa è la conseguenza
che l’ordinamento processuale ha accettato nel momento in cui ha adottato la
regola dell’art. 34.
Quindi l’art. 34 enuncia una regola restrittiva in punto di limiti oggettivi del
giudicato.
Questa è la regola enunciata dall’art.34. Ci sono dei settori con riferimento ai quali
si stanno affermando soluzioni più ampie, che si ritiene non siano soggette alla
regola restrittiva dell’art.34.
Ora ci sono delle hp in cui questa relazione si manifesta in una forma diversa, nel
senso che siamo di fronte a due situazioni giuridiche fra le quali intercorre una
relazione molto più stretta. Non sono due situazioni giuridiche autonome, separate,
ma c’è un rapporto giuridico di base, complesso, e una coppia pretesa-obbligo
interna al rapporto pregiudiziale. Facciamo degli esempi, pensiamo ai contratti
sinallagmatici, contratti a prestazioni corrispettive, ragioniamo sulla
compravendita, (che è il più importante). Il contratto di compravendita è il classico
74
contratto a prestazioni sinallagmatiche, il sinallagma, che è questa relazione di
interdipendenza, corre fra i due principali effetti che scaturiscono dal contratto:
Queste sono le due prestazioni che hanno una struttura diversa, legate da questo
vincolo sinallagmatico. Prendiamo un’altra hp, prendiamo esempi di rapporti di
durata, come per es. il rapporto di mutuo. Il contratto di mutuo prevede che un
sogg. consegna a un’altra parte una somma di denaro e quest’altro si impegna a
restituirla nel tempo. Quindi scaturiscono una serie di prestazioni periodiche,
avente ad oggetto il pagamento di una somma di denaro. Oppure pensiamo al
contratto di locazione, il locatore concede al conduttore la facoltà di godimento del
bene, il conduttore si obbliga al pagamento del canone, perché deve essere
corrisposto periodicamente.
La domanda che ci dobbiamo porre è quella relativa al se, nel momento in cui
viene dedotto nell’ambito del primo processo la singola coppia pretesa-obbligo,
che scaturisce dal contratto a prestazioni sinallagmatiche, vale la regola dell’art. 34
e di conseguenza l’oggetto del giudicato rimane nei militi della coppia pretesa-
obbligo dedotta in giudizio. Facciamo un esempio: io agisco per ottenere il
pagamento del prezzo, perché il mio compratore non ha pagato. La domanda è:
l’oggetto di questo processo è limitato alla coppia diritto-obbligo al pagamento del
prezzo oppure si estende al rapporto giuridico fondamentale, al rapporto di
compravendita, a tutti gli effetti del contratto di compravendita, in primis l’effetto
traslativo.
Un’ulteriore hp, che viene indicata come deroga all’art. 34, riguarda le hp di
incompatibilità, i rapporti incompatibili. L’incompatibilità è una relazione che può
intercorrere tra rapporti giuridici, soprattutto mi interessa in questo momento il
caso dei rapporti giuridici di tipo assoluto, ad es. la proprietà. Si distinguono due
forme di incompatibilità:
Vediamo come si comportano i limiti oggettivi del giudicato con riferimento queste
fattispecie.
La domanda che ci dobbiamo porre è questa: se l’attore fa valere nei confronti del
convenuto una domanda avente ad oggetto un diritto assoluto, quindi
consideriamo la classica hp di un’azione di rivendica ( l’azione di rivendica è
un’azione di condanna al rilascio che ha ad oggetto il diritto di proprietà sul bene),
se l’attore propone una domanda avente ad oggetto un diritto assoluto nei
confronti di un convenuto e questa domanda viene accolta, e quindi avremo una
sentenza coperta dall’autorità della cosa giudicata, che dichiara l’esistenza del
diritto dell’attore, il convenuto può aprire un secondo e autonomo processo in cui
chiede a un secondo giudice di accertare che è lui il proprietario dello stesso
bene? Il primo giudicato che accerta l’esistenza di un primo diritto impedisce o no
l’apertura di un secondo processo avente ad oggetto un diritto direttamente
incompatibile con il diritto già accertato con autorità di cosa giudicata?
La risposta è un risposta NEGATIVA, nel senso che non può farlo, perché è
pacifico che l’autorità della cosa giudicata copre non soltanto il rapporto giuridico
oggetto del processo ma anche il rapporto giuridico direttamente incompatibile
con esso. Nel momento in cui l’attore propone la sua domanda avente ad oggetto
un determinato rapporto giuridico, e quindi deduce questo rapporto giuridico in
giudizio, è come se deducesse in giudizio anche il rapporto giuridico direttamente
incompatibile. Quindi nell’ es. precedentemente offerto, nell’hp dell’azione di
rivendica, se l’azione viene accolta e quindi abbiamo una sentenza che passa in
giudicato e che ha ad oggetto il diritto di proprietà dell’attore sul bene, questa
sentenza si ritiene pacificamente che contenga anche l’accertamento di non
esistenza del diritto di proprietà del convenuto sullo stesso bene, del rapporto
giuridico direttamente incompatibile. Quindi il convenuto, se questo è vero, non
può aprire un secondo e autonomo processo avente ad oggetto il diritto
direttamente incompatibile con quello ormai accertato con autorità di cosa
giudicata. Se infatti si consentisse l’apertura di questo secondo processo è chiaro
che si svuoterebbe di contenuto il primo processo. Quindi se il convenuto intende
far valere il suo diritto di proprietà e intende ottenere un accertamento con autorità
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di cosa giudicata del suo diritto, deve proporre subito domanda riconvenzionale,
quindi nell’ambito del primo processo deve chiedere al giudice di accertare con
autorità di cosa giudicata che è lui il proprietario del bene.
Con riferimento invece alla INCOMPATIBILITÀ INDIRETTA ormai avete gli strumenti
per capire che si applica pacificamente l’art. 34, perché l’incompatibilità indiretta
ricade pacificamente nella nozione di connessione per pregiudizialità dipendenza.
Quindi nell’hp che abbiamo sempre fatto, domanda di adempimento del credito
ereditario, si è detto che la qualità di erede, come regola generale, viene accertata
senza autorità di cosa giudicata. Quindi, siccome nessuna norma impone di
accertare la qualità di erede con autorità di cosa giudicata e se nessuna delle parti
propone una domanda di accertamento incidentale ex art. 34, l’accertamento del
giudice è un accertamento incidenter tantum. Quindi un accertamento svolto solo
ai fini dell’accertamento del rapporto dipendente dedotto in giudizio, oggetto
originario del processo. La conseguenza è che se la domanda viene accolta e se la
sentenza che accoglie la domanda di adempimento del credito passa in giudicato,
questo giudicato non impedisce al convenuto di aprire un secondo e autonomo
processo per chiedere a un secondo giudice di accertare che è lui l’erede e non
l’attore, perché il rapporto pregiudiziale è stato accertato senza autorità di cosa
giudicata, e quindi sia l’attore sia il convenuto possono aprire il secondo processo
e chiedere l’accertamento della qualità di erede.
Se il secondo giudice la pensa diversamente dal primo e quindi ritiene che sia il
convenuto il vero erede abbiamo due sentenze logicamente contraddittorie che
devono convivere, perché il secondo giudicato non può travolgere il primo, il primo
ha un altro oggetto, ormai ha una vita propria, quindi devono coesistere queste
due sentenze. L’ordinamento dettando l’art. 34 ha accettato questo rischio e
quindi coesisteranno queste due sentenze che d’altra parte hanno un oggetto
diverso.
Cioè settore dei diritti aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro. Si tratta
delle obbligazioni pecuniarie. Le obbligazioni pecuniarie sono sempre costituite da
una pluralità di voci (termine usato in senso atecnico). Quando si deve pagare una
certa somma di denaro facilmente si devono pagare anche gli interessi, e magari
anche la rivalutazione monetaria. Se poi ripeschiamo dal nostro passato le
obbligazioni risarcitorie, allora ci dovremmo ricordare anche che dire “ho diritto al
risarcimento del danno”, questa espressione “risarcimento del danno” è
comprensiva di un ampio ventaglio di voci: il danno materiale, il danno biologico, il
danno alla salute, lucro cessante, danno emergente.. (sono tante queste voci). E
allora la domanda che si è posta nella pratica è quella relativa al se il creditore,
colui che ha diritto a ottenere il pagamento di un somma di denaro, è libero di
frazionare questo suo diritto di credito in più domande giudiziali, quindi oggi agisce
per ottenere il lucro cessante di fronte a un primo giudice e domani apre un
secondo processo per chiedere il danno emergente e le altre voci di danno, oppure
oggi agisce per ottenere la domanda del capitale e in un secondo processo vuole
chiedere gli interessi e la rivalutazione monetaria. Quindi, può frazionare il suo
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credito in più processi oppure è tenuto a far valere tutte le voci, l’intero diritto di
credito nell’ambito del primo processo? Come si fa a rispondere a questa
domanda? Si tratta di chiarirsi le idee sui limiti oggettivi del giudicato. Quando io
propongo una domanda avente ad oggetto un diritto di credito a petitum
frazionabile (che sono le obbligazioni pecuniarie poi) debbo dedurre questo diritto
per intero nell’ambito di un unico processo oppure posso riservarmi il diritto di
frazionarlo in più processi? Capite che si fronteggiano due valori opposti, perché:
Capite che sono due concezioni completamente opposte. Che cosa ci ha detto la
giurisprudenza? Purtroppo questo è un terreno su cui si misura l’incapacità della
Corte di Cassazione italiana di assolvere in maniera decente alla funzione
nomofilattica che le viene affidata dall’art. 65 dell’ordinamento giudiziario. Perché
la Corte di Cassazione proprio per la difficoltà, la delicatezza del tema, viene
periodicamente chiamata a pronunciarsi su questioni che rientrano in questa
tematica, e puntualmente offre una soluzione diversa, passando proprio da un
estremo all’altro. Quindi è uno dei settori in cui la Corte di Cassazione purtroppo
spesso a Sezioni Unite ha dato la peggiore prova di sé, e questo non fa altro che
incentivare l’apertura del contenzioso, perché l’avvocato chiaramente le proporrà
le domande, andrà avanti fino in fondo nella speranza di incorrere in una pronuncia
favorevole. D’altra parte se viene detto tutto e il contrario di tutto vale la pena
tentare. Vedete che è un cane che si morde la coda, si innescano dei circoli viziosi
quando la Corte di Cassazione non assolve alla funzione che le viene attribuita.
Il secondo es. che offre la Corte è legato al riparto di competenza fra il Giudice di
Pace e Tribunale. Rileva la Corte che il creditore può avere interesse a far valere
dei crediti separatamente, dei crediti piccoli, minori separatamente di fronte al
Giudice di Pace, perché anche il processo di fronte al Giudice di Pace gli consente
di ottenere un provvedimento dotato di efficacia esecutiva in tempi più rapidi
rispetto a quanto gli consente il Tribunale, di fronte a cui si deve recare se deve
cumulare tutte le domande in un processo unitario. E nell’argomentare questa
soluzione la Corte richiama una serie di disposizione del cpc che danno per
scontata la possibilità per il creditore di segmentare il proprio diritto di credito. In
particolare la Corte ha richiamato l’art. 31 e l’art. 40 del cpc. Si tratta di
disposizioni che abbiamo già visto, che per favorire il cumulo processuale
consentono la deroga ai criteri di competenza, sia per materia, valore, sia per
territorio. L’art. 31 in modo particolare si occupa della c.d. accessorietà.
L’accessorietà è una forma di connessione per pregiudizialità dipendenza, che si
caratterizza per un rapporto pregiudiziale che è più importante, più grosso rispetto
al rapporto dipendente. L’esempio classico di accessorietà che troverete in tutti i
manuali è proprio il rapporto che intercorre fra il diritto a ottenere il pagamento del
capitale e il diritto a ottenere il pagamento degli interessi. Questo è il classico
rapporto di accessorietà.
Ora l’art. 31 così come l’art. 40, che si occupa della riunione di processi
separatamente proposti, danno per scontato che il cumulo processuale è una
possibilità, è una facoltà che l’ordinamento vuole favorire, sì, perché gli serve per
evitare che vengano emanate sentenze contraddittorie, ma non lo impone.
1) i rapporti di valuta
2) i rapporti di valore
non è una classificazione didattica, perché stando ai migliori studi svolti dai
privatisti (e mi riferisco in modo particolare agli studi del professor Bianca) mentre i
rapporti di valuta sono rapporti in cui le singole voci, il diritto al capitale, per es. il
diritto agli interessi, si configurano come situazioni giuridiche distinte, sebbene
connesse per pregiudizialità dipendenza, i rapporti di valore, tipicamente le
obbligazioni risarcitorie (sia che si tratti di obbligazioni risarcitorie derivanti da
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responsabilità contrattuale o da resp. extracontrattuale, è indifferente), sono
situazioni giuridiche che a livello sostanziale sono unitarie. Uno solo è il diritto al
risarcimento del danno e all’interno del diritto al risarcimento del danno si
individuano i diversi segmenti, le diverse voci, appunto il danno materiale, il danno
biologico, il danno alla salute e via dicendo. Ma sono segmenti interni a una
situazione giuridica unitaria.
Questa distinzione dovrebbe avere una sua rilevanza, perché mentre con
riferimento ai rapporti di valuta si fa fatica ad accogliere il principio della
infrazionabilità del credito, perché gli art. 41 - 40 ci dicono chiaramente che, con
riferimento a queste situazioni giuridiche che possono tranquillamente essere
ricondotte alla figura della accessorietà, siamo di fronte a una forma di
connessione per pregiudizialità-dipendenza tecnica. Il diritto al capitale e il diritto
agli interessi e il diritto alla rivalutazione monetaria sono situazioni giuridiche
distinte ma connesse per pregiudizialità dipendenza.
Allora, con riferimento a crediti pecuniari riconducibili allo schema del rapporto di
valuta, il principio della infrazionabilità del credito difficilmente può essere
accettato, perché qua trattandosi di situazioni distinte si dovrebbe riconoscere
all’attore il diritto al frazionamento, il diritto di portare queste situazioni giuridiche di
fronte a giudici diversi. L’ordinamento può creare le condizioni per facilitare il
cumulo. Quindi l’art. 31, l’art. 40,che poi andremo ad analizzare, e questo è un
conto. Altra cosa è dire che però se l’attore fa valere soltanto alcune di queste
situazioni e poi intende aprire un secondo processo, questo secondo processo
venga chiuso in rito, per la non possibilità del secondo giudice di conoscere le
altre situazioni giuridiche, questo è inaccettabile a fronte del dato normativo.
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Andiamo ad esaminare un ulteriore settore in cui si è affermata una nozione ampia
dei limiti oggettivi del giudicato, ovvero le azioni di impugnativa negoziale.
La domanda che dobbiamo porci è proprio quella di fissazione dei limiti oggettivi
del giudicato con riferimento a questo particolare settore e quindi, per fare un
esempio concreto, se proposta, ad esempio, azione di risoluzione del contratto, il
giudicato di rigetto di questa domanda impedisce oppure no allo stesso attore di
aprire un secondo processo esperendo nei confronti dello stesso contratto un
ulteriore azione. Quindi, rigettata l’azione di risoluzione del contratto, è possibile
per l’attore esercitare autonomamente l’azione di annullamento del contratto?
Rigettata l’azione di annullamento del contratto, è possibile agire autonomamente
ed esercitare un’azione di rescissione dello stesso contratto?
Per rispondere a questa domanda occorre confrontarsi con i limiti oggettivi del
giudicato, cioè stabilire qual è l’oggetto del processo e del giudicato in ipotesi di
azione di impugnativa negoziale. Anche questo è un tema estremamente dibattuto
su cui si sono registrate delle incertezze molto gravi, per molto tempo.
Che cosa vuol dire? Vuol dire che, per ottenere l’effetto annullamento del
contratto, la norma stabilisce che, in presenza di determinati fatti (errore, dolo,
violenza ecc …), è necessario che la parte interessata, che la parte colpita dal
fatto, si attivi proponendo una domanda (quel potere sull’an) e che il giudice
accolga questa domanda, perché è la sentenza del giudice a produrre l’effetto di
annullamento. Questo particolare diritto, questo potere sull’an della parte che
diciamo prende la forma della domanda giudiziale, ma è soltanto una forma, viene
chiamato come diritto potestativo a necessario esercizio giudiziale cioè è un
potere sostanziale per il cui tramite la parte attribuisce rilevanza giuridica a quel
fatto, per esempio, un vizio del consenso (errore, dolo, violenza).
Quindi, errore, dolo, violenza, in base alla disciplina sostanziale, non producono
efficacia automaticamente, è necessario che la parte interessata gli attribuisca
rilevanza attraverso l’esercizio de diritto potestativo, che è un potere sostanziale.
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Quando si verifica una causa di nullità l’effetto nullità si produce da solo,
autonomamente, infatti, a livello processuale, l’azione di nullità è un’azione di
accertamento, perché opera autonomamente, opera di diritto la nullità.
Qual è la conseguenza di una nozione così ristretta dei limiti oggettivi del
giudicato? È evidente, il giudicato di rigetto della prima domanda non m’impedisce
l’apertura di un secondo processo, laddove il secondo processo ha ad oggetto un
diverso diritto potestativo a necessario esercizio giudiziale. Quindi se io ho
proposto domanda di annullamento del contratto per errore, il giudicato di rigetto
di questa domanda non mi impedisce di esercitare contro lo stesso contratto
un’altra azione di annullamento basata sulla violenza, perché è diverso l’oggetto, è
diverso il diritto dedotto in giudizio e oggetto del giudicato. La nozione ristretta dei
limiti oggettivi del giudicato facilita la reiterazione dei processi relativi alla stessa
vicenda sostanziale, che è il contratto impugnato.
Poi è emersa in dottrina una tesi intermedia, una tesi che però è rimasta piuttosto
limitata, è una tesi che viene fatta risalire al professor Augusto Cerino Canova.
Quest’ultimo riteneva che il diritto potestativo a necessario esercizio giudiziale si
dovesse identificare sulla base solo dell’effetto e non del fatto. Questa era una
posizione intermedia che, diciamo, allargava un po' le