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L'attuale concetto di Criminal Profiling getta la proprie basi in radici antiche e in discipline diverse
quali la fisiognomica, il costituzionalismo, la psicologia, la psichiatria e – più in generale – nella
criminologia, cioè nello studio delle cause e delle conseguenze del fenomeno criminale. In sintesi,
si può affermare che il Criminal Profiling e le discipline criminologiche hanno condiviso nel corso
degli anni lo stesso percorso formativo.
Il Criminal Profiling si sta imponendo come la metodologia più efficace che accompagna e
supporta tutti i processi investigativi attirando quindi un considerevole interesse.
Il presupposto che sta alla base del concetto dell’Offender Profiling è da rintracciare nella
consapevolezza che la condotta di un individuo rifletta la sua personalità e il suo status emozionale;
da questo discende per deduzione che anche il comportamento di un criminale, da intendersi come
tutto l’insieme degli aspetti comportamentali che riguardano l’evento crimine, durante
l’esecuzione di un reato riflette le sue peculiarità personali e psicologiche.
Fatta questa breve premessa, tale Profilo ha la sua utilità e funzionalità nel sovrapporre le
informazioni comportamentali ricavate da una qualsiasi scena del crimine con le modalità di
commissione del reato attribuite a criminali precedentemente identificati, arrestati e condannati.
Seguendo quindi un percorso investigativo basato su un ragionamento di natura analogica è
possibile acquisire ulteriori informazioni sul sospetto sconosciuto definibile anche come soggetto
ignoto.
Si sostiene che abbia come principale fine quello di tracciare un Profilo di chi ha commesso
l’evento crimine, principalmente tramite lo studio e l’analisi delle seguenti informazioni messe di
volta in volta a disposizione:
- scena del crimine;
- rilievi provenienti da esami autoptici;
- precisa ricostruzione delle dinamiche di tutti gli aspetti del crimine.
È utile e doveroso specificare che il Profiler, tramite la sua attività, fornisce un aiuto concreto a a
tale attività di indagine anche se occorre tuttavia sottolineare come l’elaborazione di un Profilo
non costituisca in nessun caso un elemento di natura probatoria utilizzabile a fini dibattimentali.
Infatti, l’attività non è assolutamente da inserire nell’ambito delle attività peritali o di consulenza,
anche se nel procedimento giudiziario in fase di indagine può prendere specifiche forme per il
conferimento dell’incarico. Per sua natura intrinseca è logico e corretto definirlo come un’attività
che nasce e si esaurisce in fase di indagine senza quasi mai entrare in un’aula di tribunale.
Definizioni
Di seguito vengono riportati alcuni passaggi che rendono l´idea del concetto di Criminal Profiling
e quella che è l’attività del Profiler.
▪ Mentre Douglas tre anni più tardi definisce lo stesso concetto nel seguente modo:
Identificazione delle principali caratteristiche di comportamento e personalità di un
individuo, basate sull’analisi delle peculiarità del crimine commesso.
R. Holmes e S. Holmes ritengono che i casi in cui l'offender profiling rivesta maggiore utilità sono
quelli connotati da esistenza di torture alle vittime nei casi di aggressione sessuale, di eviscerazione
della vittima, di attività sessuali o mutilazioni post-mortem, di inneschi di incendi senza apparente
motivo, di stupri, di crimini seriali rituali o satanici e di pedofilia.
Il modello sviluppato da questi autori si basa sui seguenti paradigmi:
1. la personalità di un individuo non cambia mai radicalmente nel corso del tempo;
2. il comportamento riflette la personalità;
3. le persone diverse con personalità “similari” si comportano in maniera simile.
Da questi principi, gli autori deducono le seguenti conseguenze, che portano poi a commettere un
delitto:
a) i crimini compiuti da un individuo non sono soggetti a cambiamenti nel corso del tempo;
b) la scena del crimine riflette la personalità dell'autore di reato;
c) i criminali diversi con personalità “similare” sono portati a compiere crimini simili.
Anche Holmes e Holmes distinguono i criminali in organizzati e disorganizzati più o meno con le
stesse differenze indicate da Douglas e altri. Quanto ai serial-killer, essi li hanno classificati sulla
base della motivazione ad uccidere e del modus operandi, distinguendo le categorie in:
1) serial-killer visionario: spinto a uccidere da fenomeni allucinatori o interpretazioni deliranti;
2) serial-killer missionario: spinto dalla “missione” di liberare il mondo da determinate categorie
di persone, considerate deboli e quindi inutili: prostitute, omosessuali, criminali, minoranze
etniche, ecc.
3) serial-killer edonista: agisce per tornaconto personale e cerca il piacere sessuale;
4) serial-killer orientato al controllo e al dominio della vittima: agisce per ottenere gratificazione
sessuale dal dominio sulla vittima.
FASE 1
La prima fase prevede la raccolta delle informazioni e si costituisce delle seguenti operazioni:
a) la scena del crimine prevede informazioni sulla categoria delle tracce materiali, sulla loro
struttura complessiva, sulla posizione del corpo e delle armi rinvenute.
Per prove o tracce materiali si intendono tutte le tracce ematiche, biologiche, impronte
dattiloscopiche, strumenti e altro rinvenuti sulla scena del crimine, cioè nella zona
immediatamente circostante il luogo in cui é stato commesso il delitto. Per struttura complessiva,
invece, si intende il quadro generale in cui sono inserite le tracce rinvenute. Ovviamente, la
collocazione del cadavere assume importanza fondamentale, come anche la sua posizione. Infine,
è fondamentale descrivere e repertare le armi rinvenute, specie se rappresentano gli “strumenti”
con cui è stato verosimilmente compiuto il delitto.
b) La vittimologia, all'interno della quale il Profiler provvederà a raccogliere tutti i dati relativi
alla vittima. Se la vittima è deceduta, egli dovrà ricorre a informatori o a testimoni per ottenere i
dati necessari. Se, al contrario, la vittima è in vita, il Profiler provvederà a interrogarla
personalmente. In tutti i casi egli dovrà provvedere anche alla raccolta e alla disamina di tutti i
documenti riguardanti la persona offesa per avere un quadro complessivo della circostanza. Nella
vittimologia l'investigatore dovrà ricercare abitudini, passatempi, condotta sociale, precedenti
penali e tutte le informazioni più importanti sulla sua personalità, compresi il contesto lavorativo
e quello familiare.
c) Riscontri medico-legali, la cui fonte primaria di informazione è l'autopsia della vittima deceduta.
Se quest’ultima è ancora in vita, il medico legale eseguirà una visita per constatare la presenza di
lesioni, caratteristica delle stesse, nonché del materiale biologico riguardante l'autore del reato
(tracce di sangue, sperma, sudore). Nel caso di vittima deceduta, l'autopsia potrà stabilire tra l'altro
le cause e l'ora del decesso, il tipo di arma usata e se le ferite o gli eventuali abusi sessuali sono
compiuti pre o post-mortem. Inoltre è sempre opportuno eseguire un esame tossicologico completo
sulla vittima per controllare l'uso di sostanze stupefacenti, alcoliche o di sostanze tossiche.
e) Le fotografie, che si distinguono in tre tipi fondamentali: fotografie aeree del quartiere dov´è
avvenuto il reato, quelle relative alla scena del crimine e le istantanee riguardanti la vittima.
FASE 2
Nella seconda fase è previsto il ricorso a modelli decisionali: il primo di questi è il tipo e stile di
omicidio, che può essere:
1) omicidio singolo: avvenuto in un unico luogo e con una sola vittima;
2) doppio omicidio: che coinvolge due vittime in un unico luogo;
3) triplo omicidio: con tre vittime in un solo luogo;
4) omicidio di massa: è definito un solo evento che coinvolge quattro o più vittime in un unico
luogo. Esso si può ulteriormente distinguere in omicidio di massa classico, compiuto da un unico
individuo solitamente affetto da disturbi mentali, che sfoga la sua frustrazione su un gruppo di
FASE 3
Nella terza fase rientra la valutazione del crimine, dove i dati raccolti nelle due fasi precedenti
vengono ulteriormente inseriti in categorie. Nella ricostruzione del crimine il profiler tenterà di
ripercorrere la successione degli eventi e delle condotte sia del colpevole che della vittima.
Per giungere a tale conclusione è necessario considerare tre fattori:
1) Scelta della vittima: gli organizzati prendono di mira una vittima specifica, i disorganizzati si
imbattono in una vittima a caso.
2) Strategie di controllo della vittima: spesso riguarda gli organizzati perchè gli aggressori cercano
di avvicinarsi alle vittime con l'inganno o con l'astuzia.
3) Sequenza del crimine: i delinquenti organizzati generalmente pianificano la condotta che
compone il delitto, mentre i criminali disorganizzati non agiscono seguendo un piano e la
successione degli eventi appare generalmente casuale. A volte i criminali tentano di depistare le
indagini ponendo in essere una “messa in scena”.
Quanto alla motivazione, solitamente è difficile individuarne una nei criminali disorganizzati,
atteso che essi spesso agiscono senza seguire un piano specifico o un movente, mentre può essere
più facile da accertare nei criminali organizzati. Da ultimo, è importante considerare attentamente
le relazioni che intercorrono tra i vari frammenti di informazioni raccolte sulla scena del crimine
al fine di comprenderne le dinamiche.
FASE 4
La quarta fase riguarda il profilo criminale, nel corso della quale vengono raccolte tutte le
informazioni disponibili, i pareri specialistici e quanto scoperto dalla polizia investigativa.
FASE 5
La quinta fase riguarda l'indagine in cui il profilo consegnato alla polizia giudiziaria servirà a
identificare il colpevole. In tale step possono essere acquisite nuove prove per verificare,
controllare e aggiornare il profilo che è già stato stilato.
FASE 6
La sesta fase riguarda l'arresto e si verifica quando le indagini sfociano nell'individuazione e nella
cattura del presunto colpevole.
Sotto il profilo criminologico è stato rilevato che lo Stalker pone in essere un complesso di
comportamenti che diventano persecutori solo quando siano consapevoli, intenzionali, reiterati,
insistenti e duraturi, tra i quali: sorvegliare, aspettare, inseguire o raccogliere informazioni sulla
vittima e sui suoi movimenti; appostarsi sotto casa o nei luoghi di lavoro; pedinare; inviare
ripetutamente lettere, sms, e-mail o messaggi su social network; telefonare o lasciare messaggi;
inviare regali; fare visite a sorpresa, simulare incontri improvvisi nei luoghi abitualmente
frequentati; appropriarsi e leggere la corrispondenza, ordinare merci e servizi a nome della stessa;
diffondere dichiarazioni diffamatorie e oltraggiose; minacciare l’uso della violenza non solo contro
il soggetto interessato ma anche contro i suoi familiari o i suoi animali; introdursi nei luoghi di
privata dimora, eventualmente danneggiando o distruggendo beni di sua proprietà.
To stalk, che letteralmente significa proprio appostarsi, rende alla perfezione l’idea dello Stalker
che si apposta, insegue, pedina e controlla la sua vittima per intromettersi, più o meno
violentemente, nella sua vita privata. Non è un caso che la parola Stalking possa essere tradotta
Secondo Mullen per le cinque tipologie di Stalker ci sono diversi bisogni e desideri che fanno da
motore motivazionale. Il disagio psicologico che è all'origine di tali strategie nasce dall’attrito con
un sistema di valori dominanti. La reazione di neutralizzazione non produce, né presuppone un
sovvertimento dei valori comunemente accettati, ma anzi, in maniera solo apparentemente
paradossale, implica di fatto un'accettazione del sistema di valori condivisi.
Vengono così superati i sensi di colpa e di vergogna e il conflitto con la morale sociale, in modo
da salvaguardare il sistema di valori comuni, altrimenti messi a rischio.
La sensazione di riuscire a controllare la realtà tende a rinforzare il bisogno di persecuzione e,
applicando le teorie di Pavolv e del rinforzo differenziale di Skynner e Lewin, le probabilità di
compiere un reato dipendono dal tipo di risposta a un certo stimolo o a più contemporaneamente.
a) “Il bisognoso d’affetto” è quella tipologia di stalker motivata dalla ricerca di relazioni d’amore
o, semplicemente, di semplici attenzioni d’affetto. Non a caso la vittima risulta essere, nella
maggior parte dei casi, una persona vicina. In assenza di un segnale di disponibilità, si verifica il
delirio erotomanico causato dal confronto tra la propria coscienza passionale e la realtà dell’altro.
La patologia viene generata dalla convinzione di essere oggetto di attenzioni amorose di una
persona, la quale, di riflesso, diviene l’unico soggetto d’amore e, quindi, come nella sindrome di
Stoccolma, di ossessione. La psiche crea un mondo parallelo e fantastico in cui gli elementi tipici
di una relazione si manifestano, scatenando una reazione compulsiva nei confronti dell’oggetto
desiderato in forza della quale la persona amata diviene vittima di persecuzioni ossessive.
b) Un´altra tipologia di persecutore è quella definita “il corteggiatore incompetente”, che tiene un
comportamento alimentato dalla sua scarsa o inesistente competenza relazionale, che si traduce in
comportamenti opprimenti, espliciti o anche aggressivi. Questa categoria sembrerebbe di minor
efferatezza e sicuramente dotata di minore carica ossessiva. Rispetto agli altri tipi di Stalking, le
molestie del corteggiatore incompetente durano meno nel tempo poiché procurano allo Stalker
scarse soddisfazioni. È però che il più recidivo di tutti. Spesso, infatti, i soggetti appartenenti a
questa tipologia mettono in atto condotte di Stalking nei confronti di più soggetti e cercano un
nuovo bersaglio se non hanno avuto successo con quello precedente.
c) Ancora diversa è la categoria del persecutore “respinto”, il cui scopo è quello di ristabilire la
relazione o, in mancanza, di vendicarsi per l’abbandono. La persecuzione rappresenta una forma
di relazione che rassicura rispetto alla perdita totale, che è invece percepita come intollerabile.
Nell´ “inseguitore assillante” gioca un ruolo cruciale il modello di attaccamento sviluppato in
grado di scatenare angosce legate all’abbandono che creano una tendenza interiore, più o meno
consapevole, a considerare l’assenza dell’altro come una minaccia di annientamento e di
annullamento del sé.
Il mancato funzionamento dei modelli operativi interni non permetterà il corretto sviluppo e il
senso motorio di Piaget, favorendo l’assimilazione, l’accomodamento o l’attaccamento patologico
persecutorio. L’adattamento individuale è un processo continuo e attivo nel quale una persona
reagisce e modella il proprio ambiente interpersonale. Bowlby, riprendendo direttamente Piaget,
d) Infine la categoria di Stalker definita “il predatore” e costituita da un molestatore che ambisce
ad avere rapporti sessuali con una vittima che può essere pedinata, inseguita e spaventata. La paura
spinge e dirige questo tipo di predatore che prova un senso di potere solo nell’organizzare l’assalto.
Questo genere di Stalking è quello che colpisce anche i bambini, perché posto in essere da persone
con disturbi nella sfera sessuale.
La terza fase è quella delle conseguenze psico-fisiche per la vittima in relazione alla quale la
dottrina ha elaborato la nozione di «sindrome da trauma da Stalking (Stalking trauma sindrome,
STS) che per certi aspetti richiama il fenomeno da maltrattamento e la sindrome da trauma da
rapimento, ma che di fatto rappresenta una condizione a sé stante».
L’ultima fase è quella definita professionalmente “scontro finale”, la quale si può realizzare
attraverso una conclusione tragica, determinata sia da uno Stalker che intensifica il contenuto e le
modalità di aggressione, sia da una reazione della controparte esasperata: in proposito si rileva che,
però, l’epilogo distruttivo resta spesso a livello ideativo e l’ultima fase dello Stalking è costituita
in concreto da una denuncia penale o da uno scontro legale. Peraltro, esistono vari tipi di Stalkers,
A prescindere dai limiti e dalle ambiguità definitorie, un aspetto intrinseco nella natura stessa di
queste condotte è rappresentato dall’impatto delle medesime su chi le subisce, indipendentemente
dalla presenza o meno di minacce o azioni violente. Nonostante, infatti, per molti anni l’attenzione
della letteratura si sia rivolta prevalentemente al rischio di aggressioni fisiche, è apparso evidente
come questo fenomeno, per la sua persistenza e intrusività, possa provocare molteplici e severe
conseguenze anche dal punto di vista psicologico e sociale.
Gli atti persecutori sono in grado di compromettere in maniera significativa il benessere della
vittima, che vede la propria personalità e la propria vita completamente alterate, in forza della
paura e dell’angoscia determinate dagli inseguimenti, dai pedinamenti e dalle diverse forme di
controllo e sorveglianza, che invadono la sfera privata.
In un’ottica psicologica ed emozionale, le ripercussioni possono essere devastanti con una
molteplicità di sintomi tipici e facilmente rintracciabili, quali: ansia, paura, senso di colpa e di
impotenza, vergogna, introversione, ipersensibilità, diffidenza, rabbia e aumento dell’aggressività,
instabilità, irritabilità, inquietudine, disperazione, deflazione dell’umore, stati depressivi,
ideazione suicidaria.
La gravità di queste condizioni può, talvolta, condurre all’insorgenza di veri e propri quadri
psicopatologici, con una prevalenza dei disturbi dell’adattamento e della cosiddetta sindrome del
“Disturbo Post Traumatico da Stress” (DPTS). In quest’ultimo caso, s’intende quella
sintomatologia che emerge, anche a distanza di tempo, in forza di un rilevante trauma subito dalla
vittima nel corso di un evento violento (incidente aereo o automobilistico, rapina in banca),
individuabile nella tendenza a rivivere quell’esperienza attraverso flashback e pensieri ricorrenti e
a evitare situazioni analoghe, accompagnate da ipervigilanza, stato di allerta, ansia e tensione.
Quel che appare essere un aspetto fondamentale degli atti persecutori è la loro capacità di incidere
in maniera totale sulla sfera sociale della persona molestata, portandola a modificare pesantemente
le proprie abitudini e condizioni di vita. Tale effetto è talmente evidente e ormai generalmente
accolto, che lo stesso legislatore italiano ha previsto tra gli elementi oggettivi del reato ex art. 612
bis anche l’eventuale cambiamento delle proprie “abitudini di vita”, riconoscendo in tale
eventualità un danno grave e difficilmente gestibile per il destinatario principale dello Stalking
così come per la sua famiglia e le persone intorno allo stesso in qualche modo legate.
Accade, infatti, che la vittima segua una serie di strategie di evitamento, decidendo di non
frequentare più determinati luoghi per la paura di incontrarlo limitando i propri rapporti
interpersonali, sia per proteggere amici e familiari che per ragioni d’imbarazzo e vergogna,
Parlando di femminicidio si vuole includere in un’unica sfera semantica di significato ogni pratica
sociale violenta fisicamente o psicologicamente, che attenta all'integrità, allo sviluppo psicofisico,
alla salute, alla libertà o alla vita della donna, col fine di annientarne l'identità attraverso
l'assoggettamento fisico o psicologico, fino nei casi peggiori alla sottomissione o alla morte.
Questo perché la violenza sulle donne può manifestarsi in forme molteplici, più o meno crudeli,
più o meno subdole, e non è detto che lasci sempre marchi visibili sul corpo: essa infatti può
provenire non solo dall’uomo, ma anche dalla società, che la favorisce o in taluni casi la provoca
attraverso le sue discriminazioni, i suoi stereotipi, le sue istituzioni.
Il femminicidio quindi è un fatto sociale: la donna viene uccisa in quanto donna, o perché non è l´
individuo che l’uomo o la società vorrebbero che fosse.
Questo, nonostante la cronaca veda crescere incessantemente e a dismisura il numero di donne
vittime di violenza, è difficile da concepire, da ammettere, da razionalizzare, da accettare, in una
società democratica, civilizzata e culturalmente avanzata come la nostra, dove le questioni
affettive, familiari e di coppia vengono relegate a una dimensione privata: tuttavia è una realtà
innegabile che oggi molte donne subiscano violenza solo in quanto tali.
La violenza di genere, perlopiù in ambito familiare, è dunque una realtà statisticamente provata,
ma non salta immediatamente agli occhi come tale, più spesso si parla infatti di stupri, violenza
sessuale, molestie, maternità forzata, incesto, e il panorama si fa variegato. Non si coglie l’essenza
comune di tutti questi reati. Da qui la necessità di parlare di femminicidio, per infrangere un tabù
e affrontare seriamente il problema.
Chiaro è quindi che la violenza di genere non è imputabile a un “mostro”, alla strada, ma ha radici
più profonde di quanto si voglia far credere: è un fenomeno trasversale, interessa tutte le classi
perché si trova dentro il nucleo base della comunità, la famiglia, e proprio per il suo essere
familiare spesso passa inosservata, oppure fa paura chiamarla con un nome così terribile,
femminicidio, perché fa paura ammetterne la terribile realtà.
Un problema mondiale
Il termine femminicidio è stato recentemente utilizzato in particolare per descrivere gli omicidi di
genere avvenuti a Ciudad Juarez (Chihuahua, Messico) e Città del Guatemala, tutti luoghi dove,
contando sull'inettitudine delle autorità locali, centinaia e centinaia di donne sono state assassinate
dopo essere state sequestrate, stuprate, torturate e mutilate.
Sospetti di femminicidio ci sono anche tra le donne indigene canadesi. Cinquecento di loro sono
scomparse o uccise dopo il 1980, un numero sproporzionato se si tiene conto della esiguità della
popolazione indigena canadese. Gli studi sociologici spiegano che queste donne vengono viste
come facili bersagli a causa delle discriminazioni subite dalla loro razza. Molte delle donne
scomparse sono state definite prostitute e non si è nemmeno indagato sulla loro scomparsa.
È dal 1994 che hanno cominciato ad apparire nel deserto cadaveri di ragazze, mutilati e seviziati.
Il Centro de Asesoría de las Mujeres ha cominciato ad investigare. Le ragazze erano tutte molto
simili fisicamente e provenivano da famiglie povere; in genere erano impiegate nelle maquilas.
Non venivano uccise il giorno del loro sequestro ma erano tenute in ostaggio, violentate e torturate
Se infatti la società non riconosce la violenza sulla donna a meno che questa si manifesti nelle
forme più estreme, ed anche in questi casi tende a normalizzarla più che a connotarla come
violenza di genere, vi sono società in cui alcune forme di violenza sulle donne sono accettate come
normali, in quanto è socialmente - e in alcuni casi anche istituzionalmente, in maniera più o meno
esplicita - condivisa l’ideologia patriarcale, che vuole la donna subordinata all’uomo.
In queste società, la violenza sulle donne si manifesta in forme particolarmente cruenti, al punto
tale che anche Amartya Sen ha parlato in questi casi di genocidio di genere. Altri invece hanno
parlato di “hidden gendercide”, il genericidio nascosto, per il numero impressionante di donne
demograficamente scomparse nel mondo, comparabile a un Olocausto che si ripete ciclicamente:
ogni anno quattro anni nel mondo muore per motivi di genere un numero di donne equivalente al
numero di vittime mietute nell’Olocausto dai nazisti. Con la differenza che per le vittime
dell’Olocausto si sono cercati colpevoli, celebrati processi, raccolte testimonianze, intitolate
strade, invece le donne muoiono purtroppo in un “silenzio assordante”.
Negli ultimi due decenni la violenza sulle donne è in crescita esponenziale, anche se nel mondo
dal 1992 al 2003 la violenza e i conflitti armati sono in calo del 40%. Il non – detto è indicatore
politico di indifferenza e oscurantismo verso realtà problematiche, che generano un dolore non
riconosciuto e non quantificato, in quanto tale non guaribile”.
Primo passo dunque per poter rendere il femminicidio un problema politicamente risolvibile è
“riconoscerlo” nelle forme in cui globalmente si manifesta: si ritiene infatti che l’analisi di tali
realtà, attraverso la ponderazione delle molteplici sfumature giudiziarie, sociali, politiche che il
fenomeno assume, sia un punto di partenza indispensabile per quantificare il dolore attraverso la
conoscenza, pur se approssimata, della sua portata, quindi per riuscire a renderlo guaribile.
Quanto più il maschilismo è socialmente condiviso, tanto più la violenza è diffusa. In questi
contesti spesso lo Stato è complice a sua volta delle violenze, attraverso legislazioni fortemente
discriminanti che rispecchiano e legittimano il credo sociale. Quando è lo Stato stesso a porre in
essere norme discriminatorie nei confronti delle donne, è lecito parlare di violenza di Stato.
Quando queste norme hanno come conseguenza l’eliminazione sistematica di feti femminili, tanto
da capovolgere i rapporti di proporzione uomo-donna attestati a livello mondiale, è lecito parlare
di genocidio di Stato.
La violenza di Stato è un fenomeno che riguarda un po’ tutto il mondo. Uno dei paesi
maggiormente interessato è l’Etiopia, la cui legislazione prevede come delitti il rapimento e lo
stupro, ma con la totale assoluzione del criminale qualora ad essi segua l’assenso al matrimonio:
il risultato è che stupri e rapimenti in alcune regioni sono all’ordine del giorno, in quanto la
famiglia della ragazza stuprata è sempre acconsenziente al suo matrimonio con lo stupratore, che
avendola derubata della sua verginità le ha rubato anche il diritto a “nozze oneste”.
Di violenza di Stato è lecito parlare anche negli Stati Uniti, o perlomeno nella maggior parte degli
Stati Federati dove lo stupro coniugale non è considerato un crimine, così che uscire da un’unione
indesiderata per la donna diventa un’impresa impossibile.
a)Iran, dove per il reato di lesbismo è prevista la condanna a morte, e spesso queste donne non
riescono ad ottenere neanche l’asilo politico perché non riescono a fornire le prove degli abusi
subiti nel paese d’origine, ovviamente non documentati in quanto persecuzioni effettuate dalle
forze dell’ordine.
b)Arabia Saudita, dove quattro anni fa nell’incendio di una scuola morirono quattordici bambine
e molte altre furono ferite perché la polizia impedì loro di uscire dalla scuola a capo scoperto,
senza velo, e nessun genitore era lì per accompagnarle.
c)Pakistan, dove almeno tre donne vengono freddate ogni giorno in omicidi d’onore che restano
impuniti al 100% perché, come denuncia l’attivista Nahida Mahbooba Elahi, “la polizia li giudica
affari privati e si rifiuta regolarmente di perseguirli.
d)Egitto, dove il 47% delle donne sono eliminate da un parente dopo uno stupro che a loro modo
di vedere infanga la reputazione della famiglia.
e)Afghanistan, dove se prima l’abbandono del tetto coniugale da parte delle donne costava la
lapidazione, adesso comunque costa 3 o 4 mesi di carcere: questa è la tanto vantata libertà ed
emancipazione portata alle donne afgane….
La donna a causa di queste tradizioni tramandate nei secoli, è culturalmente considerata un oggetto
di scambio, il suo essere è valutato in termini economici: i matrimoni forzati, per questo motivo,
sono all’ordine del giorno, e si conta che per la carenza di donne in molte regioni della Cina e
dell’India, esse siano aumentate a tal punto di valore economico, da dar origine a un vero e proprio
“traffico di spose”, e da causare persino una migrazione delle donne vietnamite in tali aree, nella
speranza che sposando uno degli uomini persecutori le loro condizioni economiche migliorino.
Il livello di coscienza
La donna non viene considerata – e di conseguenza tutelata – dallo Stato in quanto donna, come
persona portatrice di diritti assoluti inviolabili, ma viene invece considerata in nome della funzione
sociale che riveste, o che dalla società le è assegnata per la sua natura: quella di madre o di moglie.
Ciò comporta un non-riconoscimento della sua soggettività giuridica.
Per dirla esplicitamente viene declassata a non-persona e in quanto tale diviene uccidibile: la sua
vita diventa un bene fruibile, i suoi diritti diventano relativi e possono essere oggetto di
ponderazione con altri beni socialmente rilevanti, quali appunto la tutela della famiglia e la morale
sociale.
In questi casi il controllo sociale esercitato sulla donna acquista una dimensione totalizzante: vi è
infatti una triplice convergenza tra religione/tradizione, legislazione e giurisdizione
nell’influenzare il sentire sociale. L’ideologia patriarcale propria della tradizione non solo
rappresenta un imperativo morale di matrice religiosa, e in quanto tale già socialmente condivisa,
ma è anche legislativamente applicata e assunta a norma, così che la donna si trova anche