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Sergio Vinciguerra

PRINCIPI DI CRIMINOLOGIA

CAPITOLO 1
ALLE ORIGINI DELLA CRIMINOLOGIA

La criminologia antica
La parola “Criminologia” (dal latino crimen e il greco lògos) significa etimologicamente
“discorso sul reato”. Nei millenni si sono susseguite riflessioni sul reato, le sue cause, il
colpevole e la funzione della pena, ma da queste la criminologia moderna si distingue per il
proprio metodo, che la rende una scienza nuova.
La riflessione delle scuole antiche è deduttiva, si basa cioè solo sulla visione generale di
ciascun pensatore. Un esempio è il saggio “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria, che
a partire da delle premesse di dottrine contrattualistiche (l’uomo sacrifica parte della propria
libertà in cambio di sicurezza; la libertà sacrificata forma la sovranità della nazione; questa
detiene il diritto di punire; le pene servono ad evitare la violazione di ulteriori libertà fino ad
un ritorno al caos…) deduce una serie di conseguenze relative alla giustizia penale (le pene
che oltrepassano queste funzioni sono un abuso, non giustizia; la pena deve essere la
minima possibile e proporzionata al delitto; non importa la crudeltà della pena quanto la sua
infallibilità; la nazione deve formulare una scala delle pene proporzionate ai delitti).
Se il diritto penale moderno nasce nel pensiero illuminista, non vale quindi lo stesso per la
criminologia: la criminologia moderna infatti è induttiva, parte dall’analisi del reato come
fenomeno. Questo cambiamento si accompagna alla nascita del movimento filosofico
chiamato positivismo, alla fine del secolo XVIII.

Il positivismo
Il positivismo è parte integrante del movimento romantico dell’Ottocento; si presenta come
esaltazione della scienza, come pretesa di una sua valenza assoluta. Accompagna la
nascita della società tecnico-industriale, fondata sulla scienza, rigetta il soprannaturale e
pone nella scienza ogni fiducia.
Il positivismo ha due forme storiche principali: il positivismo evoluzionistico e il positivismo
sociale. Il positivismo evoluzionistico ha un’applicazione sperimentale negli studi di Darwin.
Il positivismo sociale
Il positivismo sociale “si propone di costruire la scienza a fondamento di un nuovo ordine
sociale”. Secondo Comte, la sociologia è uno dei cinque rami della scienza; detta anche
fisica sociale, studia l’uomo nel suo ambiente e il suo scopo è guidare la società verso
l’ordine e il progresso. Si distingue in statica sociale (relazioni fra le parti del sistema sociale)
e dinamica sociale (innovazioni da apportare al sistema).
Per studiare le condizioni ambientali del reato si ricorre alla matematica e ai suoi modelli
probabilistici; Alphonse Quételet è il primo a studiare l’andamento della criminalità (ciò che
oggi chiameremmo criminologia statistica o statistica criminale).

Alphonse Quételet (1796-1884)


Matematico e astronomo, si occupò di fenomeni sociali cercando di far emergere relazioni
fra essi attraverso il metodo matematico; giunse ad alcuni punti fermi del sapere
criminologico e aprì la strada ad altri sviluppi.
Rilevò che gli uomini delinquono molto più delle donne (che inoltre compiono reati meno
gravi) e che la tendenza al crimine cresce con l’età, raggiungendo un picco nell’età adulta e
poi decrescendo; queste leggi (distribuzione diseguale del crimine) sono tuttora valide come
nell’Ottocento.
Formulò la legge della costanza del crimine: il numero complessivo di reati non varia in
modo significativo fra un anno e l’altro. Questa dimostrerebbe che la società in sé racchiude
la potenzialità del delitto; Quételet ne derivò che da un’adeguata azione sociale il
comportamento umano poteva essere modificato. Questa legge si presta a valutazioni
distinte e verrà più volte ripresa in criminologia. A differenza della distribuzione diseguale del
crimine, la legge della costanza del crimine sembra non valere nella nostra società, anche
se l’aumento del numero di reati registrati osservato nel tempo potrebbe dipendere da una
maggior intolleranza sociale al reato, e non corrispondere quindi ad un reale aumento dei
reati commessi. Quételet stesso affrontò questo tema distinguendo fra reati commessi,
denunciati e puniti, su cui si costruì poi il concetto di cifra oscura del crimine (lo scarto fra i
reati commessi e quelli denunciati).
Altre leggi formulate a partire dall’osservazione statistica: correlazione fra criminalità e
disuguaglianza (se la povertà fosse diffusa in modo uniforme non provocherebbe maggiori
tassi di criminalità); legge termica della delinquenza (in estate e nei climi caldi prevalgono i
reati contro la persona, in quelli freddi i reati contro la proprietà).
Si avvalse di ricerche quantitative intorno ad aspetti biologici della vita umana, formulando
un principio per cui anche i caratteri intellettuali e morali (come quelli fisici) si distribuiscono
lungo una curva gaussiana (a campana), che chiamò curva della distribuzione normale dei
caratteri. Da questa emerge un “uomo tipo”, incarnazione della “normalità” in una
popolazione (“normalità” costruita con strumenti matematici e statistici). Questo principio
suscitò molte critiche, poiché Quételet sosteneva che rendesse possibile individuare
persone sospette in base al loro scostamento da questo “tipo” ideale.

Negli stessi anni, l’analisi statistica del crimine in vari dipartimenti francesi portò a produrre
anche delle cartografie del crimine.
Gli indirizzi della criminologia
La criminologia nasce insomma come indagine sulle cause naturali e sociali del crimine e sui
modi in cui si manifesta, attraverso metodi statistici. Anche con la fine del positivismo,
continuò a svilupparsi l’interesse per il fenomeno del crimine, applicando sempre nuove
discipline (prevalentemente la medicina, la psicologia e la sociologia) e ampliando l’oggetto
di studio della criminologia: oltre al reato questa si occupa ora di pena, della figura del
delinquente e della vittima.
Si può parlare di:
- criminologia causale (cause fisiche, psichiche, sociali del reato)
- criminologia descrittiva (forme in cui si manifesta il crimine)
entrambe queste sono forme di criminologia speculativa, cioè si propongono di ricondurre
casi particolari a principi e leggi di portata generale. Le modalità con cui un delitto viene
commesso possono essere considerate espressione di una personalità criminale specifica,
orientando le indagini; l’analisi psicologica del condannato può indirizzare a misure di pena
più appropriate. Si parla quindi di criminologia applicata (applicazioni operative della
criminologia speculativa), distinguibile in:
- criminologia investigativa (indirizzata alla scoperta del reato e del colpevole). Vi
confluiscono scienze con un proprio metodo come la balistica, la genetica,
l’informatica, la medicina legale, la psicologia.
- criminologia penitenziaria (comportamenti criminosi durante l’esecuzione
penitenziaria, contribuisce agli studi sull’efficacia del sistema sanzionatorio)
da questa derivano la politica criminale (volta a ridurre la commissione dei reati con politiche
sociali) e la politica penale (per ottimizzare il diritto penale), incluse in quella che viene
chiamata criminologia politica.

Alla criminologia contribuiscono quindi moltissime scienze, tanto che alla fine del secolo XIX
si tentò di ricomporre in modo unitario tutti i saperi relativi alla punizione del reato, per
rafforzare l’idea di una unità scientifica della criminologia.
CAPITOLO 2
ALLA RICERCA DI UNA SCIENZA GLOBALE DEL REATO

La scuola positiva: i principi


La scuola positiva del diritto penale offrì impostazioni e soluzioni originali e cercò di
raggruppare il sapere giuridico-penale e le conoscenze sul reato appartenenti a scienze
umane e naturali. I suoi principi la ponevano in contrasto con la scuola classica del diritto
penale, dominante nel secolo XIX: di questa si criticavano la “fondazione della responsabilità
penale sulla libertà del volere", per cui l’autore del delitto poteva essere una persona
qualunque; il disinteresse per il condannato una volta che questi aveva espiato la propria
pena; l’attenzione posta sul delitto e sulla pena come entità astratte, isolate da chi delinque
e dal contesto in cui lo fa e a cui torna una volta scontata la pena.
Si può dire che la scuola positiva nasca con la pubblicazione dell’opera di Lombroso
“L’uomo delinquente studiato in rapporto all’antropologia, alla medicina legale ed alle
discipline carcerarie” (1876); egli concludeva che la criminalità fosse espressione di una
anomalia fisica o psichica dei soggetti, fondando l’antropologia criminale. Ferri e Garofalo
ampliarono la riflessione includendo anche i fattori sociali della criminalità, definendo quindi
l’oggetto della criminologia moderna. Ferri sosteneva che il delitto, prima che come ente
giuridico, andasse studiato come fenomeno naturale e sociale, per rilevarne le cause e
studiarlo focalizzandosi sul delinquente, arrivando a “dirigere e adattare le disposizioni di
legge al delinquente anziché al delitto” (Ferri) interpretando le norme in modo più severo nel
caso di imputati ritenuti più pericolosi.

Nei pensiero positivista, le cause del delitto sono costituite da fattori individuali (fisici e
psichici), fisici (l’ambiente geografico) e sociali (l’ambiente sociale), che influiscono in modo
diverso su ogni individuo; questa impostazione è condivisa ancora oggi.
Partendo da questa multifattorialità della criminogenesi, la scuola positiva conclude che non
esiste un tipo unico di delinquente, definendo invece diverse tipologie (delinquente nato,
pazzo, abituale, occasionale, passionale). In ogni caso, la visione era deterministica: l’uomo
delinquente realizzerà attività criminali, non c’è spazio per la libertà individuale. “Se da una
parte il diritto criminale proclama che l’uomo in tanto è responsabile dei suoi delitti in quanto
è moralmente libero nel commetterli, dall’altra i dati innegabili delle nuove cognizioni
scientifiche rendono impossibile [...] ammettere, per semplice intuizione o per superficiale
osservazione, un grado di morale libertà nell’autore di un fatto delittuoso” (Ferri).
Questa posizione alquanto radicale attirò critiche alla scuola positiva e alimentò un dibattito
decennale. La scuola positiva affermava la necessità della difesa sociale, con cui ristabilire
“l’equilibrio fra i diritti dell’individuo e quelli dello Stato” (Ferri), realizzata con:
- prevenzione indiretta: misure che eliminino o attenuino le cause della criminalità e
del disordine sociale (arrivando a fare un censimento degli individui “deficienti
morali”, cioè potenzialmente delinquenti, in modo da isolarli)
- prevenzione diretta: vigilanza delle "classi pericolose” (riconducibili all’azione dei
regimi autoritari del passato, da cui con opportune correzioni derivano le misure di
prevenzione odierne)
- repressione: spetta all’autorità giudiziaria , che applica il diritto e la procedura penale
La scuola positiva: criminologia e sociologia criminale
Una figura importante nella scuola positiva è quella di Raffaele Garofalo, che per primo
utilizzò il termine "criminologia". Concentrandosi sulle innovazioni da apportare alla giustizia
penale, formulò il concetto di "pericolosità del delinquente" e distinse fra:
- delitti naturali, contrari alle condizioni essenziali di esistenza sociale: rientrano nel
dominio del diritto penale comune
- delitti legali, contrari a condizioni transitorie di sviluppo sociale, che pur pericolosi
non contraddistinguono una personalità anormale: rientrano nel diritto penale
amministrativo.
Nonostante questa suddivisione del diritto penale, la scuola positiva continua a sostenere
che i presupposti teorici debbano essere parte di una scienza unitaria, allora chiamata
"sociologia criminale" e a partire dagli anni Venti "criminologia". All'interno di questa operano
studiosi di ambiti diversi, sempre però in connessione l'uno con l'altro.

La scuola positiva: l’applicazione dei principi della scuola nel progetto di


parte generale del codice penale
Il codice penale Rocco del 1921, redatto da una commissione presieduta da Enrico Ferri,
mostra il modo in cui il pensiero della scuola positiva seppe tradursi in norme. Il codice si
occupa solo di delitti naturali (chiamati "delitti") e non dei delitti legali (chiamati
"contravvenzioni" e affrontate separatamente): solo per questi infatti si possono applicare sia
il principio di difesa sociale sia quello di pericolosità del delinquente. Mediando con alcuni
oppositori, la pena a tempo indeterminato viene scarsamente utilizzata, nonostante sia
profondamente coerente con l'idea positivista di pena da adattare alla pericolosità della
singola persona.
In questo progetto, la giustizia penale ruota intorno al concetto di pericolosità, slegato
dall’idea di responsabilità morale e libero arbitrio.Si parla di “responsabilità” e “sanzione”:
chiunque, a meno in casi giustificati, abbia commesso un delitto ne risponde legalmente, in
modo diverso a seconda delle proprie “condizioni psichiche”. “La pericolosità criminale
consiste nell'aver commesso o tentato di commettere un delitto” (Ferri) ed è sempre
espressione di anormalità: dato che nel pensiero positivo è esclusa l’esistenza del libero
arbitrio, chi commette delitti è una persona anormale, cioè non adatta alla vita sociale, ha
una disposizione diversa da quella altrui.

Le pene devono essere individualizzate in modo da adattare al singolo delinquente la


sanzione più efficace nell’evitare che ripeta il delitto commesso, arrivando a segregarlo a
vita qualora si ritenga che non possa essere rieducato “alla vita libera e onesta”. Questa
individualizzazione viene svolta attraverso una classificazione dei delinquenti, dei delitti e di
indici della pericolosità della persona (circostanze). Ad esempio, la premeditazione e le
motivazioni futili rappresentano una maggiore pericolosità, mentre motivi scusabili o di
interesse pubblico la riducono. I delinquenti vengono classificati come occasionali,
passionali, recidivi e abituali, infermi di mente, minorenni, comuni e politico-sociali. La
categoria politico-sociali contraddistingue chi commette delitti “esclusivamente per motivi
politici o di interesse collettivo”, a differenza di chi commette delitti comuni.
Le sanzioni vengono quindi stabilite in base al tipo di delitto (che determina dei minimi e
massimi di pena) e al tipo di delinquente; ad esempio, fra le sanzioni per i delinquenti
politico-sociali si trovano esilio e detenzione, per quelli infermi di mente ci sono manicomio
criminale e case di cura, per i minorenni libertà vigilata, scuole professionali e di correzione,
casa di custodia. Si possono poi aggiungere cauzioni di buona condotta, interdizione dia
pubblici uffici e altre possibilità sia come misure complementari che autonome. Oltre a ciò, si
cerca di assegnare i condannati appartenenti ad una stessa categoria e con condizioni
fisiche e psichiche simili allo stesso stabilimento di detenzione (restando divisi per sesso).

Dato che fra i compiti della difesa sociale rientra anche “la protezione efficace che lo Stato
deve alle vittime dei delitti”, compare come sanzione anche il risarcimento del danno,
mostrando una minima attenzione alle ragioni di chi è vittima di un delitto. Si afferma
l’obbligo di lavoro per i condannati, che deve essere organizzato non solo con scopi
educativi ma anche di sostenibilità economica: ogni condannato abile al lavoro deve avere
un orario e un salario uguali a quelli del mercato. Questo salario sarà devoluto in parte alla
parte lesa, in parte all’erario e in parte al condannato stesso e alla sua famiglia: il
condannato ha infatti i doveri di risarcire la parte lesa, compensare lo stato per il suo
mantenimento e contribuire al mantenimento della propria famiglia.
È inoltre previsto un sistema disciplinare che suddivide i condannati in comuni, buoni e
ottimi, con relative facilitazioni di trattamento. Al giudice è rimessa la decisione riguardo una
possibile libertà condizionale, a cui corrispondeva una fase di sostegno per evitare che
questi fosse abbandonato a se stesso.

La scuola positiva: il tramonto


I ceti colti e gran parte dell’opinione pubblica erano contrari al determinismo (ritenuto
deresponsabilizzante) che stava alla base della scuola positiva. Fra questi si trovavano sia i
seguaci della scuola classica nella cultura giuridico-penale (fra cui Pessina e Lucchini) sia la
Chiesa Cattolica, la cui dottrina del peccato è imperniata sull’idea della responsabilità e del
libero arbitrio (ad esempio con Agostino Gemelli). Inoltre, ciò che poteva essere
realisticamente applicato del pensiero positivista era già stato incluso nel codice Rocco e
non erano necessari altri apporti.
Negli studi penalistici si afferma un nuovo indirizzo, quello tecnico-giuridico, che ebbe
successo anche grazie alla sua funzionalità alle nuove esigenze dello stato unitario: in
un’età di crescente nazionalismo, occorre formulare una scienza nazionale del diritto penale,
e Arturo Rocco afferma che questa debba assumere come fulcro dei propri studi il diritto
positivo, “di carattere assoluto, immutabile, universale”. Questo indirizzo dominerà la
criminologia fin dagli anni Trenta, pur attirando critiche di ordine politico: vengono attaccate
l’incapacità progettuale dei penalisti (concentrati nell’applicare le leggi e non nel
promuoverne il miglioramento), l’insensibilità etica e l giustificazione ad adattarsi a
qualunque orientamento politico, incluso il fascismo.

La scienza completa del diritto penale


Anche in Germania si cerca di formulare una disciplina che includa tutti i saperi sui reati, per
predisporre mezzi efficaci di tutela. Franz von Liszt cerca di superare l'approccio
esclusivamente giuridico nello studio del reato e giunge a conclusioni simili a quelle della
scuola positiva (ad esempio che non si possano scindere delitto e delinquente e che il delitto
sia un fenomeno etico-sociale). Riteneva che la lotta contro la criminalità potesse passare
solo attraverso l’avanzamento parallelo delle diverse discipline che costituiscono la
criminologia, da cui gli esperti di diritto penale non possono distaccarsi.
Successivamente distinse fra due tipologie di crimine:
- quelli dovuti ad un predominio di impulsi esterni (come i delitti passionali od
occasionali), che rappresentano un episodio isolato nella vita del delinquente
- Quelli dipendenti dalla personalità e le predisposizioni del delinquente, che potrebbe
essere capace di rieducazione oppure essere incorreggibile.
Il crimine non deriva quindi esclusivamente dalla personalità fisica e psichica del criminale,
non esiste una tipologia ben precisa di criminale potenziale (contrariamente a quanto
sosteneva Lombroso). "L'influenza dei fattori sociali compare solo quando la personalità del
criminale si è sviluppata sotto l’influenza dei fattori esterni che lo circondano da quando è
nato”, una posizione vicina alla dottrina multifattoriale del crimine su cui convergerà pochi
decenni dopo la criminologia per quanto riguarda le cause della criminalità.
CAPITOLO 3
L’INDIRIZZO BIO-MORFOLOGICO

I precursori: la frenologia, l’antropologia, l’antropometria


La frenologia, risalente agli inizi del secolo XIX, era una forma arcaica (ed errata) di
localizzazione delle facoltà psichiche all’interno del cervello: lo sviluppo di ciascuna zona
avrebbe dovuto indicare la potenza della capacità corrispondente.
Durante il secolo XIX, l’antropologia compì molti passi in avanti nello studio dei caratteri di
varie popolazioni, e l’antropometria (che studiava in particolare i caratteri fisici dell’essere
umano) arrivò a distaccarsi come disciplina autonoma. Per questo, Lombroso volle inserire
all’interno di questa disciplina la scienza da lui fondata, che chiamò “antropologia criminale”.

Atavismo ed innatismo delinquenziale, pazzia morale, epilessia nel


pensiero di Cesare Lombroso
L’idea di Lombroso è che la criminalità derivi da anomalie organiche, e nel coros delle sue
ricerche applicò sempre questa chiave di lettura, pur effettuando dei cambiamenti
conseguenti alle critiche ricevute. Spiegò il crimine come effetto di una regressione a livelli
primordiali dell’evoluzione (atavismo), che si manifesta attraverso:
- anomalie fisiche (malformazioni scheletriche, asimmetrie del cranio, dimensioni
ridotte o eccessive del cervello…)
- anomalie psichiche (crudeltà, pigrizia, inclinazione al tatuaggio, linguaggio…)
I criminali avrebbero quindi una natura antropologica diversa dalle altre persone, che li
spinge inevitabilmente a commettere crimini (innatismo delinquenziale).
La società deve assicurare la difesa sociale contro questi criminali, intervenendo non con
misure che ne eliminino le cause (impossibile data questa interpretazione innatista) ma
riducendone l’influenza, attraverso l’istituzione di carceri e manicomi criminali ed includendo
come soluzione anche la pena di morte.
Questa teoria non spiega però i delitti di frode, per cui è spesso necessaria un’intelligenza
anche superiore alla media. Inoltre, non spiega l’esistenza del delinquente occasionale.
Lombroso aggiunge quindi alle cause di criminalità da lui identificate, accanto all’atavismo,
anche la pazzia morale (mancanza innata di senso morale) e l’epilessia.

Lombroso commise spesso errori di tipo metodologico e le sue teorie vengono oggi
riconosciute come prive di valore; ciò nonostante, furono diffuse dai suoi discepoli e
influenzarono profondamente la criminologia europea e sudamericana. È inoltre riconosciuto
come il fondatore dell’antropologia criminale ed è possibile che l’avanzamento di ricerche in
ambito genetico riprenda parte delle sue tesi, anche se in ambito diverso, ovvero quello della
sociobiologia.
Gli studi di sociobiologia cercano di comprendere le basi biologiche ed evolutive che
influiscono sul comportamento sociale, e anche questa disciplina viene criticata come
l’opera di Lombroso, poiché ipotizza senza dimostrarlo che la genetica influisca direttamente
sul comportamento umano, ignorando la mediazione svolta dalle varie forme di
apprendimento sociale.

Criminalità istintiva?
La scuola etologica di Konrad Lorenz (1903-1989) rivalutò fortemente l’orientamento
secondo cui il comportamento animale (e di conseguenza, secondo alcuni, quello umano)
avrebbe cause esclusivamente istintive e sarebbe quindi immodificabile. Secondo Lorenz,
quelli che venivano chiamati “istinti” sono inclinazioni geneticamente determinate a
comportarsi in un certo modo, che però vengono attivate solo in risposta a degli stimoli
dell’ambiente. Quando mancano questi stimoli la soglia oltre cui viene attivato un
comportamento si abbassa, di conseguenza quel determinato comportamento si realizza
come risposta a fattori che in altre condizioni non avrebbero avuto alcun effetto, in modo da
scaricare l’energia accumulata.

Negli animali si possono osservare delle “inibizioni” di alcuni comportamenti che


arriverebbero ad uccidere altri membri della stessa specie (ad esempio nei combattimenti
per gerarchie e accoppiamenti gli scontri sono quasi ritualizzati e non realmente violenti).
Nel caso dell’essere umano, agli istinti si aggiungono però le influenze delle tradizioni, e
l’evoluzione degli istinti e inibizioni sociali non è stata rapida quanto lo sviluppo imposto
all’umanità dal progresso della tecnica. Secondo Lorenz, l’umanità non si è autodistrutta solo
grazie al contributo della curiosità che sta alla base di esplorazione, sperimentazione,
invenzione: gli stessi ragionamenti di causa ed effetto che hanno permesso questo veloce
progresso forniscono anche la capacità di prevedere le conseguenze delle proprie azioni, la
responsabilità razionale.
Esercitare questa responsabilità richiede però uno sforzo, in quanto può contrastare con le
risposte istintive che daremmo agli stimoli ambientali. Trasgressione e reato sono degli
esempi di incapacità nel controllare queste pulsioni, in quanto non tutte le persone sono in
grado di compensarle con la stessa facilità.

Vi è un orientamento speculare chiamato “ambientalistico”, secondo cui l’ambiente influisce


in modo decisivo sul comportamento, mentre la genetica condiziona la capacità di recepirne
gli stimoli.
L’orientamento “correzionalistico” cerca di superare la dicotomia fra istinto e ambiente,
sostenendo che alcuni comportamenti siano geneticamente determinati e altri siano acquisiti
attraverso l’apprendimento (soprattutto all’interno dell’ambiente sociale).

Criminalità ereditaria? Le ricerche


Lo studio della criminalità attraverso il metodo delle scienze biologiche è continuato anche
dopo Lombroso, concentrandosi sulla questione dell’ereditarietà del crimine (in particolare
ponendo attenzione alle famiglie criminali, ai gemelli, alle malattie cromosomiche e ad alcuni
aspetti somatici).
Gli studi condotti sulle famiglie criminali non confermano l’ipotesi dell’origine genetica del
crimine, in quanto risulta difficile distinguere fra l’influenza di fattori ereditari e quella di fattori
ambientali sfavorevoli (interni o esterni alla famiglia). Anche gli studi sul rapporto tra
infermità mentale ereditaria e criminalità non confermano una correlazione.
Le ricerche relative ai gemelli monozigoti non portano a conclusioni chiare, in quanto occorre
studiare il comportamento di gemelli cresciuti in ambienti diversi e non criminali,
caratteristiche che riducono di molto il campione di studio.
Negli anni Sessanta si cercò di studiare gli effetti di alcune anomalie cromosomiche come
quelle relative ai cromosomi sessuali (ad esempio XYY). Questa anomalia, che porta a
conseguenze di tipo fisico (altezza maggiore) e psichico (intelligenza inferiore), avrebbe
dovuto allo stesso modo causare una superiore percentuale di criminalità. Tuttavia, non tutti i
portatori di questa anomalia delinquono; inoltre, anche se delinquono in percentuale
maggiore questo può essere dovuto alla loro maggiore vulnerabilità alle indagini (essendo
più alti e meno intelligenti). Infine, questa anomalia non spiega la delinquenza femminile.
Fu esplorata anche la relazione fra criminalità e disfunzioni dell’apparato endocrino; tuttavia
questi produssero risultati affrettati e anche le correlazioni individuate avevano in realtà
carattere indiretto e di natura psicologica, non legato strettamente a queste disfunzioni.

Criminalità ereditaria? La negazione del problema; un punto di equilibrio:


la teoria della costituzione delinquenziale o della predisposizione al
delitto
Alcuni negano totalmente il collegamento fra ereditarietà e delinquenza, data la differenza
fra i due fenomeni (uno biologico e scarsamente mutabile, l’altro sociale e soggetto a
cambiamenti continui). Ponti sosteneva questa posizione, per poi ammorbidirla concedendo
che alcuni aspetti biologici del funzionamento mentale possono favorire la criminalità (ad
esempio attraverso una maggiore aggressività), perciò potrebbero esistere delle correlazioni
indiretta fra i due fenomeni, di cui resta comunque difficile valutare l’entità.

Cercando un equilibrio, Benigno Di Tullio (1896-1979) sviluppò la dottrina della costituzione


delinquenziale: non si eredita una determinazione genetica a commettere un delitto, ma la
predisposizione ad esso, un potenziale che per realizzarsi ha bisogno di fattori specifici
(ambientali, educativi etc). A questa dottrina appartengono i risultati più attendibili delle
ricerche sulla criminalità ereditaria.
Il comportamento criminale non è quindi geneticamente predeterminato ma predisposto (e
più che al delitto la predisposizione si riferisce ad esempio all’aggressività, che media quindi
genetica e comportamento), e quanto più forte è la predisposizione tanto più deboli possono
essere i fattori ambientali che portano a commettere un crimine (legge della predisposizione
inversa tra predisposizione e ambiente).
Di Tullio identifica vari tipi di delinquenti costituzionali:
- ad orientamento ipoevolutivo (scarso sviluppo di funzionalità psichiche e forte
impulsività)
- ad orientamento psico-nevrotico (impulsi nevrotici)
- ad orientamento psicopatico (disturbi della personalità)
- ad orientamento misto
Oltre ai delinquenti costituzionali, esistono i delinquenti occasionali e quelli infermi di mente.
Costituzione somatica e criminalità
Nella prima metà del Novecento, alcune ricerche cercarono di stabilire un collegamento fra
aspetto fisico e caratteristiche psico-comportamentali, fra cui:
- La tipologia di Kretschmer (correlazione fra costituzione fisica e malattie mentali):
ogni personalità è riconducibile ad un biotipo ciclotomico (temperamento spontaneo
e socievole, tipo corporeo rotondeggiante, disposizione affettiva fra gaio e triste) o
schizotimico (indole introversa, aspetto snello, disposizione fra sensibile e freddo).
Esisterebbero poi individui viscosi (calmi e scarsamente suscettibili agli stimoli, dal
corpo atletico). Il delinquente è quindi riconducibile ad uno di questi tipi, ma nessuno
è definito sano piuttosto che anormale.
- La tipologia di Sheldon (incentrata sulla costituzione dei tessuti di derivazione
embrionale): si hanno una costituzione endomorfa (cui corrisponde un’indole
viscerotonia - socievole, tollerante, stabile), una mesomorfa (indole somatotonia -
coraggiosa, aggressiva, insensibile) e una ectomorfa (indole cerebrotonia -
autocontrollo, amore per la solitudine, timore della gente, reazioni rapide).
Dalle analisi svolte pare che i delinquenti più pericolosi appartengano alla categoria dei
mesomorfi, ma il campione era limitato e non ha quindi valore scientifico.

Il contributo delle neuroscienze


Le neuroscienze studiano la correlazione fra le scelte umane e i processi cerebrali a cui
corrispondono, cercando di capire il rapporto causa-effetto fra i due aspetti attraverso le
recenti tecniche di brain imaging. Lo studio dell’influenza dei processi cerebrali sui
comportamenti morali appartiene ad una disciplina derivata, la neuroetica.
Le neuroscienze hanno scoperto correlazioni fra azioni o decisioni e processi cerebrali, ma
non è ancora possibile capire se vi sia un rapporto di causa-effetto: la libertà di agire e la
conseguente responsabilità delle nostre azioni non possono ancora essere messe in
discussione (anche se già vengono avanzate delle tesi riduzioniste).
CAPITOLO 4
L’INDIRIZZO SOCIOLOGICO

(non studiare)

Sociologia e criminologia
A partire da Quételet, in Francia si applicano i metodi delle scienze sociali allo studio del
reato; tuttavia, in seguito sarà negli USA che si svilupperà l’analisi sociologica del crimine.
Qui si è avuto un maggiore sviluppo della sociologia e della psicologia sociale, tanto che la
maggior parte dei criminologi sono sociologi e la criminologia è considerata una branca delle
scienze sociali (e non, ad esempio, del diritto penale).

La sociologia fenomenologica del reato: cenni introduttivi


Questo indirizzo cerca di descrivere i modi in cui si manifestano i reati ed evidenziare le
relazioni fra questi e l’ambiente sociale in cui avvengono. A questo tipo di ricerche
contribuiscono fortemente indagini giudiziarie e processi.
La conoscenza di queste modalità permette di formulare norme che riflettono le situazioni
reali e allo stesso tempo di contribuire alla ricerca del colpevole. Conoscere il livello di
radicamento sociale delle organizzazioni criminali è fondamentale per contrastarle: ad
esempio parte del successo del potere mafioso è dovuta ai suoi collegamenti con le imprese
e le commesse dei lavori pubblici.

La sociologia fenomenologica del reato: il numero oscuro del crimine


Il numero dei reati commessi è (spesso fortemente) superiore a quelli scoperti dalle autorità
e quindi perseguiti: questa differenza viene chiamata cifra oscura del crimine. A volte è il
reato ad essere occultato, altre volte invece si sa che è stato commesso ma non è noto da
chi; l’influenza di entrambi i fattori dipende dal tipo di reato e dal contesto in esame. A volte è
la vittima che sceglie di non denunciare (come in molti casi di violenza sessuale), altre volte
il reato non viene denunciato perchè è socialmente accettato, altre volte ancora perchè c’è
la paura di una possibile ritorsione.
Alcuni studiosi credono che la cifra oscura del crimine sia molto elevata, anche maggiore dei
crimini di cui si ha informazione e che rientrano quindi nelle statistiche. Risulta quindi difficile
studiare la reale composizione e le tendenze della criminalità, questa cifra limita e distorce le
nostre conoscenze sul crimine e sui criminali. Il numero oscuro può avere impatti anche
sulla legge: mostra infatti talvolta che questa viene praticamente ignorata da pubblico e
autorità, e ci si chiede quindi come agire a tal proposito.
Ha però anche aspetti positivi: evita che gli uffici giudiziari siano sommersi di lavoro e che le
persone i cui reati sarebbero stati scoperti continuino a commettere crimini una volta
classificate come delinquenti.
La sociologia fenomenologica del reato: Rapporti fra criminalità e sesso,
età, razza, immigrazione, condizioni economiche, tossicodipendenza
Le analisi condotte con l’ausilio della statistica confermano quanto già detto da Quételet: il
tasso di delinquenza femminile è di gran lunga inferiore a quello di delinquenza maschile;
inoltre, i tassi di detenzione mostrano come le donne commettono in particolare un minor
numero di crimini gravi. Il motivo non può essere l’inferiorità fisica, poichè commettono
anche meno reati (ad esempio) di frode. Non può essere l’indipendenza economica, che nei
decenni sta crescendo molto più del tasso di delinquenza. Non è certo che le donne
interiorizzano la conflittualità in forme nevrotiche, poiché non si ha una maggior percentuale
di donne affette da disturbi psichici di questo tipo. Infine, non è vero come alcuni ipotizzano
che le donne compensino la criminalità attraverso la prostituzione, perchè anche molte
prostitute commettono reati e quindi le due cose non sono esclusive.
Risulta anche confermato che il tasso di criminalità cresce con l’età, culmina in età adulta e
poi decresce.
In alcuni gruppi etnici sono stati osservati tassi più alti di delinquenza, ma questo non
garantisce una correlazione: influiscono fattori socio-culturali coe discriminazione,
sfruttamento e mancanza di opportunità.
L’immigrazione è un fattore criminogeno, ma almeno in Italia i tassi di criminalità non
crescono velocemente quanto la percentuale di residenti stranieri: un importante ruolo di
mediazione è svolto dalla povertà.
Più che la povertà, sulla criminalità sembra influire la possibilità di comparare la distanza fra
la propria situazione di povertà e una di ricchezza. Nelle società moderne, ad alti tassi di
povertà si accompagnano alti tassi di criminalità, ma il miglioramento delle condizioni
economiche non riduce la criminalità in toto (piuttosto ne favorisce forme diverse). Chi
appartiene a ceti sociali più deboli è più facilmente individuabile e perseguibile, mentre chi è
più agiato commette crimini più sofisticati e difficili da perseguire.
Infine, la tossicodipendenza è un fattore criminogeno in quanto la necessità di procurarsi la
droga spinge a commettere reati, anche sotto l’effetto di sostanze.

La sociologia causale del reato: l’oggetto


Gli studi di sociologia applicata al reato permettono di evidenziare i fattori causali della
criminalità, che spesso interagiscono con altri fattori ambientali (sociali, fisici o psichici).
Possono portare a teorie unicausali o multifattoriali, deterministiche o meno.

La sociologia causale del reato: i contributi della sociologia francese di


fine Ottocento e primo Novecento
A fine Ottocento nella cultura francese si sviluppa un interesse per gli aspetti sociali della
vita umana;
- Tarde (1843-1904) esplora il rapporto fra aumento della criminalità e miglioramento
delle condizioni generali di vita, affermando poi che il comportamento criminale può
essere appreso per imitazione sociale
- Bonger (1876-1940) interpreta sociologicamente il reato a partire dai principi del
marxismo: ritiene che il sistema di produzione capitalista, basato su concorrenza e
profitto, è criminogeno in quanto esalta il conflitto interpersonale e l’aggressività
- Durkheim (1859-1917) parte dalla constatazione che ogni fatto sociale deve essere
spiegato da altri fatti sociali, per affermare che il reato è tale perché rappresenta
un'azione socialmente riprovata e non il contrario. Essendo poi il reato un fatto
sociale, non può essere eliminato dalla società ma solo contrastato promuovendo
l’evoluzione della morale sociale e del diritto. Infine, introduce la nozione di anomia,
una progressiva instabilità ed incoerenza delle regole sociali dovuta
all’iperstimolazione delle aspirazioni individuali; osserva che in fasi di accentuazione
di questo squilibrio (ad esempio in occasione di depressione economica o improvvisa
prosperità) aumentano i suicidi legati all’impossibilità di realizzare le proprie
aspirazioni.

La sociologia causale del reato: le teorie dei conflitti sociali


A inizio Novecento, la sociologia ha cercato le cause del crimine tra i conflitti sociali.

L’anomia
Robert K. Merton (1910-2003) ritiene che oltre al ricercare mete di successo siano anche
importanti i mezzi istituzionali che regolano la persecuzione di questi obiettivi: deve esserci
un equilibrio fra questi due aspetti, in modo che non ci siano solo soddisfazioni per il
raggiungimento dei propri obiettivi ma anche per il modo in cui sono stati raggiunti,
attraverso i canali istituzionali. Il conflitto tra mete e la possibilità di raggiungerle con mezzi
istituzionali causa l’anomia, il comportamento "aberrante" riflette la dissociazione fra le
aspirazioni prescritte culturalmente e le vie strutturate socialmente per raggiungerle. Gli
individui possono reagire in cinque modi alle pressioni sociali:
- conformità: accettare mete e mezzi proposti socialmente (il più diffuso, altrimenti la
società sarebbe altamente instabile)
- innovazione: si accettano le mete sociali ma non i mezzi istituzionali, perciò si agisce
in modo illegittimo (diffuso fra i soggetti degli strati sociali inferiori, a cui vengono
imposte richieste incompatibili con le scarse opportunità disponibili)
- ritualismo: riconoscere di non possedere mezzi adeguati e rinunciare quindi al
raggiungimento delle mete indicate dalla società, abbassando le proprie aspirazioni e
ricorrendo a routine rassicuranti e sicure
- rinuncia: porsi al di fuori della società rifiutandone mete e mezzi, assumendo il ruolo
di esempio negativo
- ribellione: rifiutare le mete proposte dalla società e quindi non porsi più il problema
dei mezzi (si scelgono nuove mete e si prova a raggiungerle anche con mezzi
considerati illegittimi), arrivando ad immaginare una struttura sociale nuova.

L’associazione differenziale, l’identificazione differenziale, la disorganizzazione sociale


Sutherland (1883-1950) spiegò il reato sia come comportamento individuale sia come di un
gruppo o nazione. Secondo la sua teoria dell’associazione differenziale, che spiega la strada
individuale verso la delinquenza, il comportamento criminale non è ereditato ma appreso
tramite il contatto con individui che lo definiscono in modo positivo e la distanza da chi lo
definisce in modo negativo. Una persona diventa quindi delinquente perché ha contatto con
modelli criminali in cui si definiscono i codici delle leggi come qualcosa da violare.
La disorganizzazione sociale fornisce invece una spiegazione di tipo sociale,
compatibilmente con l'associazione differenziale; può manifestarsi come mancanza di regole
o come conflitto fra regole (anche chiamata organizzazione sociale differenziale).
Si parla quindi di identificazione differenziale poiché l’apprendimento del crimine non
avviene solo con il contatto con modelli criminali ma anche attraverso le suggestioni dei
modelli trasmessi attraverso i mezzi di comunicazione.

Conflitti di norme e conflitti culturali


Vari studiosi, tra cui Harry M. Johnson, approfondiscono il tema dei conflitti di norme.
Johnson elenca i fattori che stimolano i conflitti:
- Socializzazione difettosa o mancante (non si condividono le norme, viste come tutela
di una classe rivale)
- Debolezza del sistema sanzionatorio (troppo mite o che tollera certi reati)
- Deficienza dell’apparato di controllo
- Facilità di razionalizzazione (giustificare plausibilmente la violazione di una norma)
- Imprecisione della portata della norma (il comportamento deviante è visto come
legittimo)
- Segretezza delle violazioni
- Apparato di controllo ingiusto o corrotto
- Cooperazione della vittima al crimine
- Ambivalenza degli agenti di controllo sociale (che hanno tendenze devianti)
- Legittimazione della deviazione in una sottocultura
- Sentimenti di fedeltà per i gruppi devianti
Secondo la teoria dei conflitti culturali, la criminalità degli immigrati negli USA dipende
dall’abbandono, da parte delle seconde generazioni, dei valori e sistemi di controllo culturali
dei genitori prima di aver assunto quelli del paese ospitante. Quando più persone hanno in
comune conflitti culturali simili possono formare gruppi caratterizzati da una sottocultura
criminale, arrivando nel caso di contatti alla formazione di bande criminali.

La sociologia causale del reato: la costruzione sociale del crimine


Fino agli anni ‘60 il crimine è visto come realtà oggettivamente conoscibile e spiegabile
attraverso lo studio del suo autore e le sue caratteristiche. Questa visione è messa in dubbio
dal concetto di numero oscuro del crimine (il quale impedisce di conoscere a fondo
criminalità a criminali) e successivamente compare un’idea nuova: che crimine e criminale
siano una costruzione, poiché siamo noi a plasmare la realtà che conosciamo.

Struttural-funzionalismo e interazionismo simbolico


Il sistema di relazioni sociali è costruito intorno a conformità (rispetto delle norme sociali,
favorito da un sistema di controllo) e devianza (mancato rispetto delle norme considerate
socialmente importanti). Secondo l’interazionismo simbolico, ?????? pag 109
L’etnometodologia
L’enfasi è posta sull’attore sociale, che non riceve semplicemente delle norme trasmesse ma
le usa in modo attivo per progettare azioni e interazioni. Il diritto penale agisce quindi
attraverso l’uso che ne fanno gli attori all’interno dei luoghi istituzionali. Il crimine è una
questione di definizioni, che però non sono (come secondo l’interazionismo simbolico) già
date, anzi sono prodotte e usate all’interno di un contesto specifico.
Si da importanza ai metodi con cui le azioni legali vengono prodotte e riconosciute, come
vengono organizzate le situazioni legali (telefonate alla polizia, interrogatori…), come sono
realizzate nell’interazione sociale le identità legali e criminali. Il diritto non è che la sua
applicazione, viene prodotto quando lo si utilizza (concetto di “diritto vivente”). Un limite
percepibile soprattutto dove non vige la common law è l’influenza che viene esercitata dalla
precostituzione normativa di ciò che è un “reato”, poco manipolabile e quindi condizionante
del comportamento degli attori sociali.

L’etichettamento
Questa teoria ritiene che non è delinquente chi commette un reato ma solo chi viene
concretamente punito: la devianza è quindi conseguenza del controllo sociale, il deviante è
chi viene etichettato come tale e svolge spesso un ruolo di capro espiatorio (soprattutto
quando occorre distogliere l’attenzione da altre condotte sociali dannose che caratterizzano
le classi sociali dominanti).

La carriera criminale
Chi viene etichettato come deviante interiorizza questa definizione, seguendo delle fasi in
cui la devianza viene protratta per più tempo. La carriera criminale inizia con la commissione
di un reato, passa attraverso lo stigma sociale e si consolida con l’ingresso di questa
persona nel mondo di chi ha accettato tale definizione, spesso accompagnando a questo
percorso delle autogiustificazioni per contrastare la spinta delle convenzioni sociali.

Neutralizzazione
L’autogiustificazione è alla radice delle devianza da parte di chi riconosce le leggi come
valide: nega la propria responsabilità, minimizza i danni, nega di aver agito ingiustamente.

La conflittualità sociale
Secondo la teoria della società come integrazione, la società è un sistema funzionalmente
integrato che si mantiene in equilibrio attraverso processi ricorrenti; secondo invece la teoria
della società come coercizione, sono forza e costrizione a tenere in piedi la società
attraverso il cambiamento e il conflitto. In questo contesto, la criminalità è parte di un
processo necessario a portare avanti conflitti di potere fra diverse parti sociali.

La criminologia critica
Le radici di questa componente politica della ricerca criminologica risalgono al marxismo e
alle battaglie per i diritti civili degli anni Sessanta.
Nella scuola di criminologia di Berkeley il deviante rappresenta una vittima all’interno di un
sistema in cui il potere si manifesta violando i diritti dei cittadini e reprimendo le categorie più
critiche; al tempo stesso è un potenziale rivoluzionario rispetto alle istituzioni che reprimono i
comportamenti non conformi, espressione di un conflitto di classe. In questo caso la
soluzione alla criminalità non è un aumento della tolleranza nei confronti della devianza, ma
una trasformazione radicale della società.
Questo tipo di posizione viene ripreso in Inghilterra; è possibile che la fluidità del sistema di
giustizia penale nei paesi di Common law abbia contribuito a consolidare queste correnti,
espresse nell’opera “The new criminology” del 1973. Secondo gli autori, le cause generali
dell’atto deviante vanno cercate nelle trasformazioni della società industriale e nella scelta
della devianza come risposta ai problemi sociali. La reazione sociale a questi atti dipende
dalle inclinazioni individuali e dei gruppi di controllo, e sono interessi economici e politici a
plasmare la legge. L’attenzione è posta al contenuto delle leggi penali, ai processi di
selezione fra chi ciola delle norme (legati a dinamiche di potere e privilegio) e si propone la
massima riduzione dell’intervento penale.
Come le teorie dell'etichettamento, c'è il potenziale per migliorare la giustizia penale verso
una società più tollerante e giusta, ma al tempo stesso viene tolta ogni oggettività alla
definizione di criminalità e può sembrare quindi più difficile combatterla e prevenirla.
CAPITOLO 5
L’INDIRIZZO PSICOLOGICO

Dato che a parità di situazioni ambientali non tutti delinquono, fattori fisici o psichici
contribuiscono a determinare il comportamento criminale. La psicologia studia quali fattori
contribuiscono al comportamento criminale e contribuisce ad identificare la personalità
dell’autore di un reato, valutare testimoni e vittime e anche il trattamento penitenziario.

I contributi della psicanalisi


La psicanalisi contribuisce allo studio della personalità.
Freud identifica tre funzioni fondamentali che la compongono: es (gli impulsi, l’inconscio,
l’istinto ovvero la libido e la pulsione di distruzione), io (razionalità con cui ci si rapporta
all’ambiente, rapportandosi agli stimoli esterni e tenendo sotto controllo l’es) e super-io (i
valori etico-sociali, la coscienza). Se sono in equilibrio, la personalità sarà armonica,
altrimenti si avranno dei disturbi della personalità che sono sempre riconducibili all’ansia o
angoscia, espressione di una conflittualità fra individuo e ambiente.
Non è utile studiare gli stati di equilibrio, quanto quelli di conflitto: se l’es e il super-io si
rafforzano troppo, viene rotto il rapporto dell’io con la realtà. In questa situazione è quindi
possibile conoscere meglio l’inconscio della persona a interpretarlo, anche per soccorrerla in
questo disequilibrio. Inoltre è importante identificare pensieri inconsci, non manifesti (come
quelli che possono nascondere i sogni).

Alexander e Staub abbandonano questa idea di conflitto tra super-io ed es che mette in crisi
l’io: spiegano invece la criminalità come l’assenza di controllo da parte del super-io, che
porta l’io a cedere agli impulsi antisociali dell’es. In casi estremi, l’es o l’io sovrastano
totalmente il super-io, al punto che la persona si può identificare totalmente con il crimine.
Per questo motivo, la concezione giuridica dovrebbe trasformarsi in una diagnostica
criminale, valutando il livello di partecipazione dell’io cosciente o inconscio al crimine
piuttosto che il reato stesso.
Un’educazione appropriata dovrebbe prevenire la formazione di un super-io criminale, o
perlomeno riuscire a correggerla. La condanna di quelli che sono invece criminali
“accidentali” (delitti colposi od occasionali) è solitamente superflua, poiché misure come il
risarcimento del danno dovrebbero bastare a reintegrare la giustizia e prevenire recidive.

Secondo Jung, ad un inconscio individuale si affianca un inconscio collettivo legato alle


esperienze delle generazioni passate. Inconscio e scopi personali interagiscono formando il
sé, l’essenza della personalità individuale. La criminalità è la proiezione esterna di un
conflitto sviluppato all’interno della psiche (dovuto a origine interna od ostacoli esterni).
Adler si distanzia da Freud parlando di volontà di potenza invece che di es; questa esprime
l’aggressività innata dell’uomo, che si manifesta soprattutto nei rapporti interpersonali.
Fromm pone al centro della riflessione i bisogni basilari della condizione umana: di
relazione, di trascendenza (creatività), di schemi di riferimento (per capire la realtà) e di
identità personale. Se questi bisogni sono soddisfatti si ha una personalità equilibrata,
altrimenti si cercherà di compensare anche attraverso il crimine. Un fattore genetico del
crimine è l’aggressività dell’uomo, che si trasmette anche culturalmente e viene scatenata
da tali scompensi.

Concentrandosi su questa serie di motivazioni inconsce, la psicanalisi mostra che i motivi


reali di un delitto possono discostarsi dai suoi motivi apparenti e non c’è per forza
correlazione fra tipo di crimine e sua motivazione. Tuttavia, sostenere che il reato è il
risultato di conflittualità interiori, deresponsabilizzazione, conflitti parentali irrisolti, senso di
colpa o impulsi volti a risolvere stati d’ansia rischia di incoraggiare l’impunità di tali reati.

La valorizzazione dei fattori sociali in psicologia: le anomalie dell’identità


personale e la teoria dell’identità negativa
Nell’ambito della psicologia sociale si studiano i riflessi dei fattori sociali sulla psiche
individuale. In particolare, le teorie della causalità lineare (contrapposte alla causalità
circolare, vedi succ) considerano il comportamento come risposta agli stimoli dell’ambiente
sociale, talvolta concentrandosi sulle anomalie dell’identità personale. Per Erikson, l’identità
personale è la percezione che si ha di sé stessi e del proprio ruolo all’interno della società,
giudicandosi in base a come ci giudicano gli altri per avere un senso di continuità e unità di
sè e vedere coerenza nei propri comportamenti.
Secondo la teoria dell’identità negativa, le anomalie dell’identità si formano a causa
dell’atteggiamento e valori negativi altrui, a cui si finisce per uniformarsi con la propria
condotta deviante. Secondo Mailloux, la criminalità nasce dalla concezione negativa che il
delinquente ha di sé, legata alle aspettative negative di figure significative. Anche le
istituzioni totali (come definite da Goffman) possono avere influenze negative sull’identità:
provocano modalità di adattamento al contesto che non promuovono il riadattamento della
persona, anzi ne alterano l’identità. Per questo motivo, nel Novecento si sono affermati
movimenti di politica criminale volti all’abolizione di questi istituti e all’inserimento di misure
alternative alla detenzione.

La valorizzazione dei fattori sociali in psicologia: la personalità criminale


De Greeff definisce la personalità come una disposizione prefissata ad reagire (o essere
sensibile) a uno stimolo. La personalità criminale è caratterizzata da un sentimento di
ingiustizia subita (a cui ci si vuole ribellare) e un attaccamento alterato all’ambiente (da cui ci
si isola).
Pinatel riprende il tema definendo quattro tratti della personalità criminale: egocentrismo (si
ignora il giudizio altrui), labilità (non si riflette sulle conseguenze del proprio agire),
aggressività (per superare ostacoli verso il crimine) e indifferenza affettiva (insensibilità alle
sofferenze causate). Questi tratti, che si sviluppano lungo un continuum in ogni persona,
interagiscono portando all’atto criminale. Non è però chiaro quale sia il rapporto di
causa-effetto fra lo sviluppo di questi tratti e il comportamento criminale.
Giacomo Canepa ritiene che nello studio della personalità criminale si debbano affiancare
psicologia e sociologia. Inoltre, non è possibile sviluppare una teoria generale della
personalità criminale perchè ogni caso presenta elementi specifici e particolari; propone
alternativamente, per esigenze pratiche, cinque tipi clinici di personalità antisociali.
Agostino Gemelli elabora una teoria integrale della personalità, ricordando l’importanza della
componente emotiva e il profilo evolutivo a partire dall’infanzia. L’analisi del comportamento
criminale deve essere dinamica, cioè considerare le sue varie fasi: ideazione, preparazione,
passaggio all’atto e realizzazione.
Yochelson e Samenow indagano la struttura del pensiero criminale attraverso delle
interviste, per ottenere una concettualizzazione utile alla riabilitazione dei delinquenti.
Concludono che la mente criminale canalizzi una grande energia verso l’eccitamento,
accompagnato da fantasie di dominio e potere. Identificano diversi meccanismi mentali che
precedono, accompagnano e seguono il crimine, e appare evidente l’impossibilità di partire
dai singoli reati per sviluppare una teoria generale valida nella maggior parte dei casi.

La valorizzazione dei fattori sociali in psicologia: il behaviorismo


Secondo il behaviorismo non è possibile conoscere con certezza i processi psichici profondi:
si concentra quindi sullo studio del comportamento, sulla reazione agli stimoli. Sono questi
stimoli ambientali ad influenzare il comportamento, arrivando ad un condizionamento che
può mettere in discussione la libertà umana stessa.
Secondo la teoria della frustrazione-aggressione di Dollard, l’aggressione insita nel reato è
la risposta alla frustrazione provocata dal non raggiungimento degli obiettivi imposti dalla
società. Tuttavia questo meccanismo non spiega ogni tipo di crimine, e soprattutto la
frustrazione porta spesso a rinuncia più che ad aggressione.
Secondo Skinner, le condizioni ambientali non determinano un comportamento ma lo
rendono più probabile o frequente (sia questo positivo o negativo). Questi principi vengono
usati per modificare il comportamento criminoso, rendendolo più conforme alla legge.

La valorizzazione dei fattori sociali in psicologia: le teorie della causalità


circolare
Queste teorie si sviluppano intorno al concetto di sistema: “un ordine dinamico di parti e di
processi mutuamente interagenti”. occorre superare lo schema stimolo-risposta per
riconoscere come ogni parte influisce sulle altre, ricoprendo contemporaneamente il ruolo di
causa ed effetto. L’uomo non riceve passivamente gli stimoli ambientali, anzi contribuisce a
creare il proprio universo; gli stimoli non causano i comportamenti, piuttosto modificano i
processi in un sistema che è già attivo.
Questa visione è rilevante nello studio dei rapporti fra vittima e colpevole, me al tempo
stesso rende difficile costruire una giustizia penale basata sul concetto di responsabilità.

Le teorie multifattoriali
Alcune teorie hanno cercato di spiegare la combinazione dei fattori sociali, psichici e fisici
alla base del crimine.
La teoria non direzionale dei Glueck spiega l’interazione fra variabili socio-ambientali e
individuali. Osservando un migliaio di ragazzi di Boston notarono che, a parità di condizioni,
quelli che delinquevano presentavano significativamente più spesso alcune caratteristiche:
fisicità muscolosa, atteggiamento impulsivo e ostile, diffidenza, desiderio di affermazione,
intellettualità tendente al concreto, familiarità inadeguata. Svilupparono delle tavole di
predizione del crimine secondo tre gruppi di fattori predittivi: legati alla famiglia, al carattere e
alla personalità. Le aree meno privilegiate presentano quindi diversi fattori criminogeni, ma
solo insieme a determinate caratteristiche individuali portano ad una condotta criminosa.
Secondo la teoria dei contenitori, la criminosità è dovuta alla carenza di “fattori di
contenimento”, delle caratteristiche personali e ambientali che assicurano l’inserimento
sociale. Questi fattori sono sia interni (autostima, autocontrollo, senso etico…) che esterni
(dissuasori come i controlli istituzionali e l’aspettativa di successo); in mancanza degli uni,
può compensare la situazione la presenza degli altri.

La psicologia della vittima; la vittimologia


Attraverso le riflessioni sull’influenza dell’ambiente esterno sul reato, nel Novecento i
criminologi iniziano a concentrarsi anche sullo studio delle vittime arrivando a sviluppare una
nuova branca della criminologia: la vittimologia. Questa contribuisce all’investigazione
criminale, allo studio dei danni sofferti dalla vittima e delle misure più adatte a delineare la
soggettività processuale più adatta.
Viene identificata un’ampia tipologia di vittime, divise prevalentemente in vittima passiva
(che non svolge alcun ruolo nel reato) e di vittima attiva o collaboratrice (in qualche modo
coinvolta nella genesi del reato)
- Vittima passiva accidentale: si trova per caso sulla strada del criminale (es. scippo)
- Vittima passiva preferenziale: viene scelta perché ha caratteristiche funzionali alla
realizzazione del reato (es. prostitute rispetto alla violenza sessuale)
- Vittima passiva trasversale: scelta per i suoi rapporti con una vittima irraggiungibile
- Vittima passiva simbolica: rappresenta i valori contro cui si scaglia il criminale (es. atti
di terrorismo)
- Vittima professionale: diventa vittima a causa del lavoro svolto (es. poliziotto). Simile
alla vittima preferenziale, ma in più interagisce con il criminale.
- Vittima aggressiva o provocatrice: può esserlo consapevolmente o inconsciamente
- Vittima favorente: favorisce inconsapevolmente il reato (es. truffe)
- Vittima consenziente: collabora con il criminale (es. omicidio del consenziente)
oppure non denuncia il fatto per paura di varie conseguenze
Esistono poi vittime simulatrici (affermano falsamente di essere state offese, essendo
consapevoli o meno della realtà dei fatti) e vittime per imitazione del comportamento altrui
(diventano vittime all’interno di un quadro sociale che le espone a situazioni pericolose, es.
guida avventata).
Alcuni fattori individuali (età, sesso, disturbi mentali, condizioni economiche…) rendono un
soggetto vulnerabile a particolari reati: si parla di predisposizioni vittimogene.

Il contributo della psicologia all’investigazione criminale


La psicologia può senz’altro contribuire alla criminologia investigativa (ricerca dell’autore di
un reato), fino ad arrivare allo sviluppo di un vero e proprio criminal profiling. Non è invece
ancora chiaro se la psicologia possa avere valore probatorio in sede di processo.
CAPITOLO 6
CRIMINOLOGIA E PSICHIATRIA

Criminologia e disturbi mentali


In passato si credeva esistesse una correlazione causale fra disturbo mentale e reato:
questa concezione è stata superata, tuttavia questi disturbi rientrano comunque tra i fattori
genetici della criminalità. Occorre osservare come i fattori ambientali interagiscono con il
disturbo, e se il reato sia correlato a questo oppure no.
La psichiatria criminologica studia lo stigma che caratterizza disturbi mentali e
comportamento criminale.
La psichiatria forense applica la psichiatria alla giustizia penale, ai motivi del crimine e alla
valutazione della capacità di intendere e di volere (difficile anche a causa della distanza
temporale fra atto e giudizio e all’esistenza di fenomeni transitori) così come della
pericolosità sociale. La diagnosi si serve sia degli atti processuali sia di colloqui clinici con
l’imputato, considerando anche l’ambiente di vita e fattori organici. Solo se la persona è
capace sia di intendere (comprendere situazioni, significati e conseguenze delle proprie
azioni) che di volere (pianificare, adeguare e controllare le proprie azioni) è imputabile.
La psichiatria penitenziaria studia le patologie indotte dalla vita carceraria e i trattamenti più
adeguati per i soggetti mentalmente disturbati.

Sulla tipologia e classificazione dei disturbi mentali non c’è accordo unanime; si propone
quella dell’Associazione Psichiatrica Americana (che pubblica il manuale diagnostico e
statistico dei disturbi mentali, DSM), che distingue fra anomalie psichiche e psicosi.

Tipologia dei disturbi mentali: le anomalie psichiche


Le anomalie psichiche includono deficienze intellettive (ritardi mentali e demenze) e disturbi
della personalità (nevrosi e psicopatie).
● Ritardi mentali: arresto dello sviluppo mentale di varia intensità e gravità.
Impediscono il raggiungimento della maturità intellettiva, cioè la capacità di risolvere i
problemi. Le forme più lievi portano la persona a commettere reati maldestramente, o
ad essere sfruttata per attività criminali.
● Demenza: perdita della maturità intellettiva raggiunta
● Nevrosi: stati di sofferenza psichica per cui ci si relaziona con la realtà in modo
distorto (stati di ansia, depressione, ossessione, isteria). Sfociano in reati quando
questi rappresentano un mezzo per liberarsi dallo stato di sofferenza.
● Psicopatie: anomalie del carattere percepibili nel comportamento sociale, ad
esempio attraverso impulsività, mitomania, disaffettività, fanatismo, perversioni
sessuali. Questi aspetti possono sfociare nella commissione di un reato.
Occorre precisare che le perversioni sessuali ricevono giudizi sociali diversi a seconda del
tempo e del luogo (alcuni comportamenti prima considerati illeciti sono oggi accettati, es.
omosessualità, o vice versa, es. pedofilia).
Tipologia dei disturbi mentali: le psicosi
Le psicosi sono disturbi mentali che coinvolgono l’intera personalità alterando il rapporto con
la realtà. Sono distinte in organiche o esogene (dovute ad agenti patogeni e alterazioni
anatomiche conseguenti, come la demenza senile o quella traumatica o le allucinazioni
indotte dai narcotici) e funzionali o endogene (schizofrenie, paranoia, psicosi affettive e
psicosi cicloidi).
● Schizofrenie: sono varie e accomunate dalla disintegrazione della personalità, che si
manifesta nella perdita del ragionamento logico, alterazioni dell’affettività e attività,
allucinazioni e deliri. I comportamenti sono quindi imprevedibili e richiedono cautela.
● Paranoia: sistema di delirio incoerente, basato spesso su temi persecutori, di
grandezza o anche mistici. Porta ad allucinazioni e alterazioni dell’umore, rendendo
la persona pericolosa per la rigidità delle sue convinzioni tanto da portare a
commettere reati per farle valere.
● Psicosi affettive o maniaco-depressive: presenza di fasi maniacali e depressive che
si alternano con momenti di integrità. Questa malattia ha un quadro clinico e dei
decoris molto vari.
● Psicosi cicloidi: riconducibili ad altre patologie come schizofrenia e depressione,
insorgono in modo acuto e con un alto tasso di recidiva, fino alla cronicizzazione.
CAPITOLO 7
CRIMINOLOGIA INVESTIGATIVA E IL CRIMINAL PROFILING

Criminologia investigativa e criminal profiling


La psicologia contribuisce ad attribuire un reato ad una persona, in particolare attraverso la
disciplina ora autonoma del criminal profiling. Questa aiuta a risalire a chi ha commesso uno
specifico reato durante la fase investigativa, attraverso lo studio di schemi comportamentali
e inclinazioni di un reo sconosciuto. Il criminal profiling ha applicazioni potenzialmente
ampie, ma normalmente viene usato solo per reati violenti di natura personale. Attraverso lo
studio di vari casi si possono elaborare leggi statistiche sul comportamento criminoso, a cui
poi riferirsi per individuare l’autore di un crimine specifico. In questa disciplina entrano anche
regole operative della prassi di polizia, consolidate negli anni.
Nel campo del criminal profiling esistono tre indirizzi principali: due prevalentemente induttivi
(criminal investigative analysis e investigative psychology) e uno deduttivo (behavioral
evidence analysis), che si influenzano però a vicenda nelle proprie pratiche.

Criminal investigative analysis


Questo è il metodo normalmente seguito negli USA, che si basa sulla distinzione fra
criminali organizzati (che pianificano il crimine) e non. Inoltre, classifica tutti i reati di violenza
(omicidio, incendi, aggressioni sessuali, crimini non letali e cyber crimes) in base al movente
specifico.
Questa analisi è articolata in cinque fasi:
● Raccolta dei dati alla scena del crimine, analisi vittimologica e testimonianze
● Individuazione del reato e movente a partire da queste informazioni
● Ricostruzione della dinamica del crimine, con particolare attenzione alla distinzione
fra modus operandi (azioni commesse nell’eseguire il crimine) e firma (azioni non
funzionali al reato, attuate per motivi emotivi). Importante è anche individuare l’attività
di messa in scena, che può essere stata attuata dal criminale oppure da terzi per vari
motivi.
● Formulazione di un profilo psicologico del possibile autore del reato, caratteristiche
fisiche e comportamentali ed eventuali altre indicazioni
● Delineamento di una strategia investigativa ed eventualmente di strategie di
interrogatorio da usare con persone sospettate

Investigative psychology
Questo metodo viene elaborato da David Canter per rimediare ad alcune mancanze nel
metodo di profiling prima descritto, focalizzandosi anche su elementi statistici.
Il modello si basa su cinque fattori:
● Coerenza interpersonale: il reo interagisce con la vittima come fa con altre persone
● Significato di tempo e spazio: tempo e luogo di un reato sono solitamente scelti in
modo consapevole. Attraverso tecniche come quella del cerchio si può elaborare un
profilo geografico dei reati: l’autore del reato può essere classificato come
predone/marauder (commette reati all’interno di una circonferenza intorno alla
propria casa, ma al di fuori di una zona sicura in cui potrebbe essere identificato) o
come pendolare/commuter (si sposta verso un’altra zona, in una circonferenza
sviluppata a partire da un altro punto significativo). Occorre ricordare che il criminale
agisce in base ad un principio di economicità: massima resa con minor sforzo (es.
sta vicino ad una zona sicura, nota dove ci sono vittime disponibili e vie di fuga etc).
● Caratteristiche criminali: modalità di esecuzione e pianificazione di un crimine, che
danno indicazioni su chi lo ha commesso
● Carriera criminale: è diverso cercare un delinquente primario, un recidivo o reiterato
● Conoscenze forensi: il soggetto può avere conoscenze sulle modalità di indagine che
lo portano ad agire in un certo modo per sviarle o coprire le proprie tracce

Behavioral evidence analysis


Questa tecnica è più deduttiva, in quanto si concentra sulle particolarità del singolo caso a
partire dall’indagine e non traccia un profilo ipotetico di colpevole in base a tipo generici. A
differenza della criminal investigative analysis, si concentra poco su movente e firma e più
sul profilo vittimologico (che fornisce informazioni sull’autore del reato a partire dalla vittima).
Questo metodo di analisi si compone di quattro fasi:
- analisi di prove forensi equivoche (equivocal forensic analysis): si analizzano tutte le
informazioni provenienti dalla scena del crimine, anche impiegando foto e
registrazioni della scena del reato. La quantità di materiale può essere consistente:
per questo serve una strategia investigativa che organizzi la raccolta di informazioni
e ne estrapoli quelle utili all’indagine. Questa fase dovrebbe terminare con un
documento che guidi le indagini successive, proponendo strategie e priorità oltre ad
un primo studio della vittimologia e possibili sospettati. Si parla di equivocità delle
prove perchè (secondo Turvey) tutte le prove sono in parte interpretabili da parte
degli inquirenti, perciò informazioni e ipotesi non vanno accolte in maniera acritica.
- vittimologia (victimology): studio accurato del ruolo della vittima nel caso,
valutandone il grado di esposizione (vittime a basso, medio e alto rischio). Il fattore di
rischio è legato sia allo stile di vita (lifestyle exposure, come ambiente in cui si vive e
impiego, carattere, problemi personali) sia ad un momento specifico (situational
exposure, come momentanea intossicazione per aver bevuto, momento di tristezza,
orario, luogo). In modo simile, anche il reo si espone a diversi livelli di rischio legati
sia al modus operandi (scarsa pianificazione, scarse abilità nel nascondere le proprie
tracce, tipo di vittima) sia al momento in cui viene commesso l’atto criminoso.
- caratteristiche della scena del crimine (crime scene characteristics): sono importanti
per ricostruire la dinamica del reato e profilare caratteristiche del colpevole. Si
possono avere ambienti coperti (struttura protetta da elementi ambientali), veicoli
(scene del crimine mobili), ambienti esterni (esposte ad elementi naturali) e ambienti
acquei (fiumi, paludi etc). La scena è distinta poi in primaria (dove è avvenuto il
reato), secondaria (dove se ne è svolta solo parte oppure attività funzionali ad esso),
intermedia (luogo di transito) e luogo di carico (dove viene lasciato il cadavere).
- caratteristiche del reo (offender characteristics): stesura del profilo psicologico e
comportamentale del probabile autore di quel reato. Ci sono quattro sottofasi: lettura
della ricostruzione dell’evento, formulazione di ipotesi su perchè il reo abbia agito in
tal modo, convalida o falsificazione delle ipotesi in base alle prove, uso del
ragionamento deduttivo per specificare caratteristiche e motivazioni del reo.
CAPITOLO 8
CRIMINOLOGIA, DIRITTO PENALE, POLITICA DEL DIRITTO

La criminologia oggi
In un secolo e mezzo, la criminologia ha raggiunto una grande complessità. Un problema
attuale è quello del linguaggio, dato che nella criminologia convergono diverse discipline e
quindi concetti nati in un ambito vengono tradotti in altri, mettendo a rischio il rigore della
disciplina. In criminologia si ha unicità dell’oggetto di studio (il reato o la trasgressione)
accompagnata ad una pluralità di metodi di ricerca, perciò questa può essere considerata
sia una scienza unica e autonoma sia un conglomerato di scienze (parlando quindi di
“criminologie” o di “scienze criminologiche”). In ogni caso va ricordato che l’oggetto di studio
influenza anche il metodo impiegato dalla ricerca nelle varie discipline.
Nonostante lo sviluppo della disciplina, diverse scuole di pensiero criminologico presentano
diversi atteggiamenti riguardo lo studio della genesi del crimine:
- Pessimismo: le motivazioni per delinquere sono innumerevoli e non è quindi
possibile produrre una prospettiva criminologica unitaria
- Agnosticismo: non è possibile sapere quale sia il ruolo del libero arbitrio nel
determinare un’azione criminale
- Moderato ottimismo: genetica ed educazione influenzano il nostro percorso ma non
lo determinano, è importante anche il contesto in cui ci troviamo

Criminologia e diritto penale


Oggi è chiara la diversità fra la criminologia e il diritto penale. La prima è scienza induttiva
che studia il reato come fenomeno della vita, il secondo è una scienza normativa (incentrata
non su fenomeni sociali ma su sistemi di norme) e deduttiva che consiste nello stabilire
come i fatti vadano interpretati alla luce di norme esistenti.
Nonostante questa distinzione, le due discipline comunicano fra loro: il diritto penale fornisce
alla criminologia un oggetto di studio (il reato, a cui recentemente si affianca il concetto più
ampio di trasgressione). Specularmente, la criminologia mette a disposizione strumenti
indispensabili per l’applicazione del diritto penale (nelle investigazioni, nei processi e fino
all’individualizzazione del trattamento penitenziario). Infine, in quanto scienza della
trasgressione la criminologia fornisce al diritto penale indicazioni per verificare la legittimità
sociale e suggerimenti riguardo le condotte da punire, libera da vincoli formali.

Politica criminale e politica penale


Attualmente in ambito giuridico vige un’ottica spesso riduttiva che si limita ad applicare il
diritto penale esistente, provocando secondo alcuni un’incapacità progettuale e
un’insensibilità etica nei giuristi. Occorre quindi rivisitare gli studi di politica criminale, che si
declina in due diversi modi.
- politica criminale globale: è svolta dalle organizzazioni internazionali e dall’ONU. Si
rivolge agli ordinamenti giuridici che permettono lo svolgersi di alcune attività
considerate criminali, individuando le prassi o i sistemi giuridici che permettono al
crimine di prosperare e suggerendo rimedi tecnici mirati. Attraverso la pressione
internazionale cerca di far recepire queste indicazioni agli stati trasgressori, senza
però interferire con i loro principi.
- Politica criminale di area: è condizionata dagli scambi fra stati di una certa zona
geografica, la cui vicinanza incoraggia ad un’uniformazione degli ordinamenti (es.
UE).
Ultimamente si sta diffondendo una definizione piuttosto ampia, che intende la politica
criminale come “politica di trasformazione sociale ed istituzionale in largo senso”
differenziandosi da una definizione più stretta che la intende come “risposta alla questione
criminale circoscritta nell’ambito dell’esercizio della funzione punitiva dello Stato”
(chiamandola anche politica penale). Se la politica penale si avvale esclusivamente del
diritto penale come mezzo, la politica criminale intesa in senso ampio è un aspetto della
politica sociale e si avvale primariamente di altri mezzi, avvicinandosi alla nozione di
sostitutivi penali formulata da Ferri, nella consapevolezza che per la lotta alla criminalità non
è sufficiente applicare delle norme penali.
La politica criminale studia quindi le misure sociali volte a ridurre i reati, mentre la politica
penale punta a migliorare le misure giuridiche di reazione ai reati stessi.

La politica criminale come teoria e come prassi


La politica criminale, così come la politica penale, non può essere puramente teorica né
puramente pratica. In un circolo fra teoria e prassi, la politica criminale può essere svolta da
chiunque si occupi di criminalità, sostegno, prevenzione ma è solitamente competenza delle
autorità pubbliche, che nel quadro della politica sociale agiscono per ridurre la criminalità e il
rischio di essa.

La politica penale come teoria: nozione e rapporto dei dati con


l’esperienza
La politica penale non può essere strumento di trasformazione globale della società, poiché
un programma pedagogico non può fondarsi sulla punizione e la specificità del diritto penale
non può investire ogni aspetto della vita sociale, fondandone la serenità.
Più che un’arte, il diritto penale è uno studio, un’attività di ricerca e proposta razionale, di
praticabilità e realismo.La politica penale può studiare un’intero ordinamento penale oppure
sue parti o istituti (precedendo una riforma).
La teoria della politica penale può partire da premesse filosofiche o politiche (come avviene
nella scuola classica del diritto penale) sviluppando un sistema penale razionale ma al
tempo stesso astratto. Questo tipo di studio è utile ad alimentare un libero confronto di idee
su temi nuovi, riguardo cui mancano esperienze nell'ambito legislativo che si vuole
sviluppare (ad esempio, bioetica e sperimentazione). Può però essere influenzato
dall’ideologia, cioè una conoscenza distorta della realtà non validata dall’esperienza,
arrivando a soluzioni, approcci e sanzioni molto diverse le une dalle altre.
Quando gli studi riguardano invece un complesso normativo già esistente, occorre tener
conto dell’esperienza già maturata e delle specificità storico-geografiche: si tratta di una
politica penale realisticamente orientata, cioè che si concentra sul “diritto penale possibile
qui e ora”. Questo tipo di studio è orientato al cambiamento della giustizia penale.
La politica penale come teoria: l’oggetto specifico
L’oggetto specifico della politica penale è l’individuazione di chi punire, per che motivo e in
che modo. Specularmente, definendo ciò che è vietato stabilisce anche cosa è permesso in
un certo sistema normativo.
Riguardo il modo di punire, non si risponde ad una trasgressione solo con una sanzione
penale; anzi, occorre modulare ogni intervento includendo sanzioni civili, penali e
amministrative a seconda della situazione. Si crea così un sistema giuridico che unifica e
regola tutte queste possibili opzioni (sistema punitivo).
Riguardo chi punire e per cosa, occorre selezionare cosa sia meritevole di tutela. Un punto
di riferimento sono i valori costituzionali e i relativi principi di diritto penale. Non ci si può però
limitare a questi: come sostiene Franco Bricola, vanno considerati anche i beni a cui la
Costituzione si riferisce anche solo in modo implicito (come la vita). La costituzione stabilisce
vari divieti di incriminazione, ma al di là di questi è il legislatore a stabilire quali beni tutelare,
anche se non nominati dalla Costituzione stessa.*
Un esempio: la pena dell’ergastolo non sarebbe compatibile con il principio costituzionale di
rieducazione, ma è ritenuta necessaria data l’esistenza di associazioni criminali
particolarmente crudeli e agguerrite. La politica penale ha il compito di trovare un equilibrio
fra queste diverse esigenze (ad esempio considerando una rivalutazione della pena
massima in base al comportamento del condannato).
* Lo stesso discorso è applicabile ad altri atti internazionali come la Dichiarazione universale
dei diritti dell’uomo e altre simili Convenzioni e Patti. I contributi di queste diverse fonti sono
oggetto di sintesi della politica penale, che attinge a discipline come diritto penale e
penitenziario, sociologia, psicologia, psichiatria, medicina, economia e ogni altra disciplina
focalizzata sulle materie oggetto della tutela penale.

La politica penale come teoria: i metodi e gli scopi


Per poter studiare in modo unitario tutti questi contributi e fonti, la politica penale adotta un
metodo interdisciplinare specifico di coordinamento e confronto (necessario per comporre un
quadro unitario partendo da istanze di ciascuna disciplina che possono essere in contrasto
fra loro). La politica penale è quindi, per il proprio metodo, una disciplina autonoma.
Una strategia utile è l’attenzione alle risposte di altri ordinamenti ad uno stesso problema,
ricorrendo alla loro comparazione. Ci si può servire del cosiddetto tertium comparationis,
ovvero formulare una domanda relativa ad un determinato problema e operare il confronto
fra le diverse risposte che vengono date a questa domanda. Per svolgere tale comparazione
non serve che i diversi ordinamenti siano attualmente vigenti né contemporanei fra loro: la
comparazione può anche essere diacronica (molto utile per cogliere i cambiamenti di un
ordinamento giuridico nel corso del tempo, documentando anche successi e insuccessi di
varie soluzioni adottate nel tempo).
Quando in una determinata area sono presenti diversi ordinamenti di cui nessuno prevale
politicamente o culturalmente, la comparazione contribuisce non solo a conoscere le norme
ma anche a spiegarle e convincere della loro applicazione. Studi comparativi approfonditi
servono anche ad organizzare codificazioni successive (cosa avvenuta in Italia per unire
diversi ordinamenti esistenti in un unico codice penale).

Il contributo della comparazione alla politica criminale segue di solito queste fasi:
- identificazione dei problemi a cui rispondere
- confronto e descrizione secondo parametri delle risposte fornite dai vari ordinamenti
considerati. Alcuni parametri possibili: perfezione tecnica, efficienza nel territorio,
diffusione, accoglimento in legislazioni recenti o nei progetti.
- Riconduzione delle varie risposte ai principi del sistema penale in cui è espressa (per
stabilirne il grado di coerenza)
Terminato questo lavoro di comparazione, il politico del diritto può elaborare il proprio
progetto ricercandone la coerenza con l’ordinamento penale in cui va incardinato.

Un altro strumento della politica penale è l’analisi economica ed etica dei sistemi o delle loro
parti considerate. La pluralità di dottrine etiche alimenta il diritto penale giustificandone la
riforma, per avvicinare gli ideali di verità, bene e giustizia. L’analisi economica valuta invece i
costi e benefici, utilità e considerazioni; le ricerche in questo ambito fanno emergere
informazioni inaspettate e permettono di valutare efficienza e praticabilità delle istituzioni
penali (strutture e strumenti giuridici).
L’analisi si concentra anche sui risultati di tali istituzioni, soprattutto valutando l’esito di
riforme di ordinamento e per monitorare la recidiva di persone soggette a misure giudiziarie
o penitenziarie. Specularmente, si valuta la corretta formulazione delle norme, che non
devono essere elastiche o manipolabili, né dal punto di vista dei contenuti né della
formulazione.

La politica penale ha lo scopo di generare un diritto penale sempre più giusto, certo ed
efficace. Gli strumenti analizzati contribuiscono ciascuno a raggiungere questi scopi.

La politica penale come prassi


Alle autorità pubbliche spetta la realizzazione delle misure elaborate in sede teorica
(emanazione e applicazione delle norme). Si verificano però spesso casi importanti di
inerzia, che portano a vuoti legislativi, mancate applicazioni delle norme per scarsa intesa
fra i diversi enti e istituzioni e così via. In particolare, il quadro del lavoro durante
l’esecuzione della pena detentiva (considerato indispensabile per la rieducazione dei
detenuti) contiene norme che richiederebbero il coinvolgimento di quasi tutti i detenuti ma
vengono raramente applicate, e i profili professionali effettivamente coperti non rispecchiano
pienamente le caratteristiche definite in sede normativa (cioè non fanno acquisire una
preparazione utile al reinserimento lavorativo sociale). Ciò avviene a causa di scelte
politiche che non prestano sufficiente attenzione alle esigenze della politica penale, come
evidente osservando scarsità di bilancio, sovraffollamento delle carceri, interventi di amnistia
e condoni che non risolvono i problemi alla radice. Si evidenzia quindi un deficit nella prassi
della politica penale penitenziaria.

Il rapporto della politica (criminale e) penale con il diritto penale e la


criminologia
La politica penale sta al diritto penale come il possibile sta all’esistente, e guida quest’ultimo
perché non si evolva alla cieca. Purtroppo, a differenza del diritto, in Italia è scarsamente
studiata e considerata. La politica penale rappresenta un ponte fra le discipline che
confluiscono nella criminologia e nel diritto penale, permettendo al sapere criminologico di
essere valutato per la praticabilità nel contesto e transitare quindi nel diritto penale.
Vi è ancora dibattito su quale sia l'oggetto della criminologia e quale della politica criminale,
che possono essere distinte in quanto rispettivamente scienza dei fatti e scienza normativa,
La politica criminale è certamente rilevante come prassi (realizzazione delle misure sociali di
reazione ai reati), ma questa caratteristica non è facilmente applicabile alla politica penale
intesa come teoria realisticamente orientata. Quest’ultima appartiene senz’altro al dominio
della criminologia, in quanto formula in termini astratti i contenuti acquisiti non in forma
deduttiva ma induttiva, analizzando i fatti offerti dalle discipline che confluiscono nella
criminologia stessa.

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