PRINCIPI DI CRIMINOLOGIA
CAPITOLO 1
ALLE ORIGINI DELLA CRIMINOLOGIA
La criminologia antica
La parola “Criminologia” (dal latino crimen e il greco lògos) significa etimologicamente
“discorso sul reato”. Nei millenni si sono susseguite riflessioni sul reato, le sue cause, il
colpevole e la funzione della pena, ma da queste la criminologia moderna si distingue per il
proprio metodo, che la rende una scienza nuova.
La riflessione delle scuole antiche è deduttiva, si basa cioè solo sulla visione generale di
ciascun pensatore. Un esempio è il saggio “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria, che
a partire da delle premesse di dottrine contrattualistiche (l’uomo sacrifica parte della propria
libertà in cambio di sicurezza; la libertà sacrificata forma la sovranità della nazione; questa
detiene il diritto di punire; le pene servono ad evitare la violazione di ulteriori libertà fino ad
un ritorno al caos…) deduce una serie di conseguenze relative alla giustizia penale (le pene
che oltrepassano queste funzioni sono un abuso, non giustizia; la pena deve essere la
minima possibile e proporzionata al delitto; non importa la crudeltà della pena quanto la sua
infallibilità; la nazione deve formulare una scala delle pene proporzionate ai delitti).
Se il diritto penale moderno nasce nel pensiero illuminista, non vale quindi lo stesso per la
criminologia: la criminologia moderna infatti è induttiva, parte dall’analisi del reato come
fenomeno. Questo cambiamento si accompagna alla nascita del movimento filosofico
chiamato positivismo, alla fine del secolo XVIII.
Il positivismo
Il positivismo è parte integrante del movimento romantico dell’Ottocento; si presenta come
esaltazione della scienza, come pretesa di una sua valenza assoluta. Accompagna la
nascita della società tecnico-industriale, fondata sulla scienza, rigetta il soprannaturale e
pone nella scienza ogni fiducia.
Il positivismo ha due forme storiche principali: il positivismo evoluzionistico e il positivismo
sociale. Il positivismo evoluzionistico ha un’applicazione sperimentale negli studi di Darwin.
Il positivismo sociale
Il positivismo sociale “si propone di costruire la scienza a fondamento di un nuovo ordine
sociale”. Secondo Comte, la sociologia è uno dei cinque rami della scienza; detta anche
fisica sociale, studia l’uomo nel suo ambiente e il suo scopo è guidare la società verso
l’ordine e il progresso. Si distingue in statica sociale (relazioni fra le parti del sistema sociale)
e dinamica sociale (innovazioni da apportare al sistema).
Per studiare le condizioni ambientali del reato si ricorre alla matematica e ai suoi modelli
probabilistici; Alphonse Quételet è il primo a studiare l’andamento della criminalità (ciò che
oggi chiameremmo criminologia statistica o statistica criminale).
Negli stessi anni, l’analisi statistica del crimine in vari dipartimenti francesi portò a produrre
anche delle cartografie del crimine.
Gli indirizzi della criminologia
La criminologia nasce insomma come indagine sulle cause naturali e sociali del crimine e sui
modi in cui si manifesta, attraverso metodi statistici. Anche con la fine del positivismo,
continuò a svilupparsi l’interesse per il fenomeno del crimine, applicando sempre nuove
discipline (prevalentemente la medicina, la psicologia e la sociologia) e ampliando l’oggetto
di studio della criminologia: oltre al reato questa si occupa ora di pena, della figura del
delinquente e della vittima.
Si può parlare di:
- criminologia causale (cause fisiche, psichiche, sociali del reato)
- criminologia descrittiva (forme in cui si manifesta il crimine)
entrambe queste sono forme di criminologia speculativa, cioè si propongono di ricondurre
casi particolari a principi e leggi di portata generale. Le modalità con cui un delitto viene
commesso possono essere considerate espressione di una personalità criminale specifica,
orientando le indagini; l’analisi psicologica del condannato può indirizzare a misure di pena
più appropriate. Si parla quindi di criminologia applicata (applicazioni operative della
criminologia speculativa), distinguibile in:
- criminologia investigativa (indirizzata alla scoperta del reato e del colpevole). Vi
confluiscono scienze con un proprio metodo come la balistica, la genetica,
l’informatica, la medicina legale, la psicologia.
- criminologia penitenziaria (comportamenti criminosi durante l’esecuzione
penitenziaria, contribuisce agli studi sull’efficacia del sistema sanzionatorio)
da questa derivano la politica criminale (volta a ridurre la commissione dei reati con politiche
sociali) e la politica penale (per ottimizzare il diritto penale), incluse in quella che viene
chiamata criminologia politica.
Alla criminologia contribuiscono quindi moltissime scienze, tanto che alla fine del secolo XIX
si tentò di ricomporre in modo unitario tutti i saperi relativi alla punizione del reato, per
rafforzare l’idea di una unità scientifica della criminologia.
CAPITOLO 2
ALLA RICERCA DI UNA SCIENZA GLOBALE DEL REATO
Nei pensiero positivista, le cause del delitto sono costituite da fattori individuali (fisici e
psichici), fisici (l’ambiente geografico) e sociali (l’ambiente sociale), che influiscono in modo
diverso su ogni individuo; questa impostazione è condivisa ancora oggi.
Partendo da questa multifattorialità della criminogenesi, la scuola positiva conclude che non
esiste un tipo unico di delinquente, definendo invece diverse tipologie (delinquente nato,
pazzo, abituale, occasionale, passionale). In ogni caso, la visione era deterministica: l’uomo
delinquente realizzerà attività criminali, non c’è spazio per la libertà individuale. “Se da una
parte il diritto criminale proclama che l’uomo in tanto è responsabile dei suoi delitti in quanto
è moralmente libero nel commetterli, dall’altra i dati innegabili delle nuove cognizioni
scientifiche rendono impossibile [...] ammettere, per semplice intuizione o per superficiale
osservazione, un grado di morale libertà nell’autore di un fatto delittuoso” (Ferri).
Questa posizione alquanto radicale attirò critiche alla scuola positiva e alimentò un dibattito
decennale. La scuola positiva affermava la necessità della difesa sociale, con cui ristabilire
“l’equilibrio fra i diritti dell’individuo e quelli dello Stato” (Ferri), realizzata con:
- prevenzione indiretta: misure che eliminino o attenuino le cause della criminalità e
del disordine sociale (arrivando a fare un censimento degli individui “deficienti
morali”, cioè potenzialmente delinquenti, in modo da isolarli)
- prevenzione diretta: vigilanza delle "classi pericolose” (riconducibili all’azione dei
regimi autoritari del passato, da cui con opportune correzioni derivano le misure di
prevenzione odierne)
- repressione: spetta all’autorità giudiziaria , che applica il diritto e la procedura penale
La scuola positiva: criminologia e sociologia criminale
Una figura importante nella scuola positiva è quella di Raffaele Garofalo, che per primo
utilizzò il termine "criminologia". Concentrandosi sulle innovazioni da apportare alla giustizia
penale, formulò il concetto di "pericolosità del delinquente" e distinse fra:
- delitti naturali, contrari alle condizioni essenziali di esistenza sociale: rientrano nel
dominio del diritto penale comune
- delitti legali, contrari a condizioni transitorie di sviluppo sociale, che pur pericolosi
non contraddistinguono una personalità anormale: rientrano nel diritto penale
amministrativo.
Nonostante questa suddivisione del diritto penale, la scuola positiva continua a sostenere
che i presupposti teorici debbano essere parte di una scienza unitaria, allora chiamata
"sociologia criminale" e a partire dagli anni Venti "criminologia". All'interno di questa operano
studiosi di ambiti diversi, sempre però in connessione l'uno con l'altro.
Dato che fra i compiti della difesa sociale rientra anche “la protezione efficace che lo Stato
deve alle vittime dei delitti”, compare come sanzione anche il risarcimento del danno,
mostrando una minima attenzione alle ragioni di chi è vittima di un delitto. Si afferma
l’obbligo di lavoro per i condannati, che deve essere organizzato non solo con scopi
educativi ma anche di sostenibilità economica: ogni condannato abile al lavoro deve avere
un orario e un salario uguali a quelli del mercato. Questo salario sarà devoluto in parte alla
parte lesa, in parte all’erario e in parte al condannato stesso e alla sua famiglia: il
condannato ha infatti i doveri di risarcire la parte lesa, compensare lo stato per il suo
mantenimento e contribuire al mantenimento della propria famiglia.
È inoltre previsto un sistema disciplinare che suddivide i condannati in comuni, buoni e
ottimi, con relative facilitazioni di trattamento. Al giudice è rimessa la decisione riguardo una
possibile libertà condizionale, a cui corrispondeva una fase di sostegno per evitare che
questi fosse abbandonato a se stesso.
Lombroso commise spesso errori di tipo metodologico e le sue teorie vengono oggi
riconosciute come prive di valore; ciò nonostante, furono diffuse dai suoi discepoli e
influenzarono profondamente la criminologia europea e sudamericana. È inoltre riconosciuto
come il fondatore dell’antropologia criminale ed è possibile che l’avanzamento di ricerche in
ambito genetico riprenda parte delle sue tesi, anche se in ambito diverso, ovvero quello della
sociobiologia.
Gli studi di sociobiologia cercano di comprendere le basi biologiche ed evolutive che
influiscono sul comportamento sociale, e anche questa disciplina viene criticata come
l’opera di Lombroso, poiché ipotizza senza dimostrarlo che la genetica influisca direttamente
sul comportamento umano, ignorando la mediazione svolta dalle varie forme di
apprendimento sociale.
Criminalità istintiva?
La scuola etologica di Konrad Lorenz (1903-1989) rivalutò fortemente l’orientamento
secondo cui il comportamento animale (e di conseguenza, secondo alcuni, quello umano)
avrebbe cause esclusivamente istintive e sarebbe quindi immodificabile. Secondo Lorenz,
quelli che venivano chiamati “istinti” sono inclinazioni geneticamente determinate a
comportarsi in un certo modo, che però vengono attivate solo in risposta a degli stimoli
dell’ambiente. Quando mancano questi stimoli la soglia oltre cui viene attivato un
comportamento si abbassa, di conseguenza quel determinato comportamento si realizza
come risposta a fattori che in altre condizioni non avrebbero avuto alcun effetto, in modo da
scaricare l’energia accumulata.
(non studiare)
Sociologia e criminologia
A partire da Quételet, in Francia si applicano i metodi delle scienze sociali allo studio del
reato; tuttavia, in seguito sarà negli USA che si svilupperà l’analisi sociologica del crimine.
Qui si è avuto un maggiore sviluppo della sociologia e della psicologia sociale, tanto che la
maggior parte dei criminologi sono sociologi e la criminologia è considerata una branca delle
scienze sociali (e non, ad esempio, del diritto penale).
L’anomia
Robert K. Merton (1910-2003) ritiene che oltre al ricercare mete di successo siano anche
importanti i mezzi istituzionali che regolano la persecuzione di questi obiettivi: deve esserci
un equilibrio fra questi due aspetti, in modo che non ci siano solo soddisfazioni per il
raggiungimento dei propri obiettivi ma anche per il modo in cui sono stati raggiunti,
attraverso i canali istituzionali. Il conflitto tra mete e la possibilità di raggiungerle con mezzi
istituzionali causa l’anomia, il comportamento "aberrante" riflette la dissociazione fra le
aspirazioni prescritte culturalmente e le vie strutturate socialmente per raggiungerle. Gli
individui possono reagire in cinque modi alle pressioni sociali:
- conformità: accettare mete e mezzi proposti socialmente (il più diffuso, altrimenti la
società sarebbe altamente instabile)
- innovazione: si accettano le mete sociali ma non i mezzi istituzionali, perciò si agisce
in modo illegittimo (diffuso fra i soggetti degli strati sociali inferiori, a cui vengono
imposte richieste incompatibili con le scarse opportunità disponibili)
- ritualismo: riconoscere di non possedere mezzi adeguati e rinunciare quindi al
raggiungimento delle mete indicate dalla società, abbassando le proprie aspirazioni e
ricorrendo a routine rassicuranti e sicure
- rinuncia: porsi al di fuori della società rifiutandone mete e mezzi, assumendo il ruolo
di esempio negativo
- ribellione: rifiutare le mete proposte dalla società e quindi non porsi più il problema
dei mezzi (si scelgono nuove mete e si prova a raggiungerle anche con mezzi
considerati illegittimi), arrivando ad immaginare una struttura sociale nuova.
L’etichettamento
Questa teoria ritiene che non è delinquente chi commette un reato ma solo chi viene
concretamente punito: la devianza è quindi conseguenza del controllo sociale, il deviante è
chi viene etichettato come tale e svolge spesso un ruolo di capro espiatorio (soprattutto
quando occorre distogliere l’attenzione da altre condotte sociali dannose che caratterizzano
le classi sociali dominanti).
La carriera criminale
Chi viene etichettato come deviante interiorizza questa definizione, seguendo delle fasi in
cui la devianza viene protratta per più tempo. La carriera criminale inizia con la commissione
di un reato, passa attraverso lo stigma sociale e si consolida con l’ingresso di questa
persona nel mondo di chi ha accettato tale definizione, spesso accompagnando a questo
percorso delle autogiustificazioni per contrastare la spinta delle convenzioni sociali.
Neutralizzazione
L’autogiustificazione è alla radice delle devianza da parte di chi riconosce le leggi come
valide: nega la propria responsabilità, minimizza i danni, nega di aver agito ingiustamente.
La conflittualità sociale
Secondo la teoria della società come integrazione, la società è un sistema funzionalmente
integrato che si mantiene in equilibrio attraverso processi ricorrenti; secondo invece la teoria
della società come coercizione, sono forza e costrizione a tenere in piedi la società
attraverso il cambiamento e il conflitto. In questo contesto, la criminalità è parte di un
processo necessario a portare avanti conflitti di potere fra diverse parti sociali.
La criminologia critica
Le radici di questa componente politica della ricerca criminologica risalgono al marxismo e
alle battaglie per i diritti civili degli anni Sessanta.
Nella scuola di criminologia di Berkeley il deviante rappresenta una vittima all’interno di un
sistema in cui il potere si manifesta violando i diritti dei cittadini e reprimendo le categorie più
critiche; al tempo stesso è un potenziale rivoluzionario rispetto alle istituzioni che reprimono i
comportamenti non conformi, espressione di un conflitto di classe. In questo caso la
soluzione alla criminalità non è un aumento della tolleranza nei confronti della devianza, ma
una trasformazione radicale della società.
Questo tipo di posizione viene ripreso in Inghilterra; è possibile che la fluidità del sistema di
giustizia penale nei paesi di Common law abbia contribuito a consolidare queste correnti,
espresse nell’opera “The new criminology” del 1973. Secondo gli autori, le cause generali
dell’atto deviante vanno cercate nelle trasformazioni della società industriale e nella scelta
della devianza come risposta ai problemi sociali. La reazione sociale a questi atti dipende
dalle inclinazioni individuali e dei gruppi di controllo, e sono interessi economici e politici a
plasmare la legge. L’attenzione è posta al contenuto delle leggi penali, ai processi di
selezione fra chi ciola delle norme (legati a dinamiche di potere e privilegio) e si propone la
massima riduzione dell’intervento penale.
Come le teorie dell'etichettamento, c'è il potenziale per migliorare la giustizia penale verso
una società più tollerante e giusta, ma al tempo stesso viene tolta ogni oggettività alla
definizione di criminalità e può sembrare quindi più difficile combatterla e prevenirla.
CAPITOLO 5
L’INDIRIZZO PSICOLOGICO
Dato che a parità di situazioni ambientali non tutti delinquono, fattori fisici o psichici
contribuiscono a determinare il comportamento criminale. La psicologia studia quali fattori
contribuiscono al comportamento criminale e contribuisce ad identificare la personalità
dell’autore di un reato, valutare testimoni e vittime e anche il trattamento penitenziario.
Alexander e Staub abbandonano questa idea di conflitto tra super-io ed es che mette in crisi
l’io: spiegano invece la criminalità come l’assenza di controllo da parte del super-io, che
porta l’io a cedere agli impulsi antisociali dell’es. In casi estremi, l’es o l’io sovrastano
totalmente il super-io, al punto che la persona si può identificare totalmente con il crimine.
Per questo motivo, la concezione giuridica dovrebbe trasformarsi in una diagnostica
criminale, valutando il livello di partecipazione dell’io cosciente o inconscio al crimine
piuttosto che il reato stesso.
Un’educazione appropriata dovrebbe prevenire la formazione di un super-io criminale, o
perlomeno riuscire a correggerla. La condanna di quelli che sono invece criminali
“accidentali” (delitti colposi od occasionali) è solitamente superflua, poiché misure come il
risarcimento del danno dovrebbero bastare a reintegrare la giustizia e prevenire recidive.
Le teorie multifattoriali
Alcune teorie hanno cercato di spiegare la combinazione dei fattori sociali, psichici e fisici
alla base del crimine.
La teoria non direzionale dei Glueck spiega l’interazione fra variabili socio-ambientali e
individuali. Osservando un migliaio di ragazzi di Boston notarono che, a parità di condizioni,
quelli che delinquevano presentavano significativamente più spesso alcune caratteristiche:
fisicità muscolosa, atteggiamento impulsivo e ostile, diffidenza, desiderio di affermazione,
intellettualità tendente al concreto, familiarità inadeguata. Svilupparono delle tavole di
predizione del crimine secondo tre gruppi di fattori predittivi: legati alla famiglia, al carattere e
alla personalità. Le aree meno privilegiate presentano quindi diversi fattori criminogeni, ma
solo insieme a determinate caratteristiche individuali portano ad una condotta criminosa.
Secondo la teoria dei contenitori, la criminosità è dovuta alla carenza di “fattori di
contenimento”, delle caratteristiche personali e ambientali che assicurano l’inserimento
sociale. Questi fattori sono sia interni (autostima, autocontrollo, senso etico…) che esterni
(dissuasori come i controlli istituzionali e l’aspettativa di successo); in mancanza degli uni,
può compensare la situazione la presenza degli altri.
Sulla tipologia e classificazione dei disturbi mentali non c’è accordo unanime; si propone
quella dell’Associazione Psichiatrica Americana (che pubblica il manuale diagnostico e
statistico dei disturbi mentali, DSM), che distingue fra anomalie psichiche e psicosi.
Investigative psychology
Questo metodo viene elaborato da David Canter per rimediare ad alcune mancanze nel
metodo di profiling prima descritto, focalizzandosi anche su elementi statistici.
Il modello si basa su cinque fattori:
● Coerenza interpersonale: il reo interagisce con la vittima come fa con altre persone
● Significato di tempo e spazio: tempo e luogo di un reato sono solitamente scelti in
modo consapevole. Attraverso tecniche come quella del cerchio si può elaborare un
profilo geografico dei reati: l’autore del reato può essere classificato come
predone/marauder (commette reati all’interno di una circonferenza intorno alla
propria casa, ma al di fuori di una zona sicura in cui potrebbe essere identificato) o
come pendolare/commuter (si sposta verso un’altra zona, in una circonferenza
sviluppata a partire da un altro punto significativo). Occorre ricordare che il criminale
agisce in base ad un principio di economicità: massima resa con minor sforzo (es.
sta vicino ad una zona sicura, nota dove ci sono vittime disponibili e vie di fuga etc).
● Caratteristiche criminali: modalità di esecuzione e pianificazione di un crimine, che
danno indicazioni su chi lo ha commesso
● Carriera criminale: è diverso cercare un delinquente primario, un recidivo o reiterato
● Conoscenze forensi: il soggetto può avere conoscenze sulle modalità di indagine che
lo portano ad agire in un certo modo per sviarle o coprire le proprie tracce
La criminologia oggi
In un secolo e mezzo, la criminologia ha raggiunto una grande complessità. Un problema
attuale è quello del linguaggio, dato che nella criminologia convergono diverse discipline e
quindi concetti nati in un ambito vengono tradotti in altri, mettendo a rischio il rigore della
disciplina. In criminologia si ha unicità dell’oggetto di studio (il reato o la trasgressione)
accompagnata ad una pluralità di metodi di ricerca, perciò questa può essere considerata
sia una scienza unica e autonoma sia un conglomerato di scienze (parlando quindi di
“criminologie” o di “scienze criminologiche”). In ogni caso va ricordato che l’oggetto di studio
influenza anche il metodo impiegato dalla ricerca nelle varie discipline.
Nonostante lo sviluppo della disciplina, diverse scuole di pensiero criminologico presentano
diversi atteggiamenti riguardo lo studio della genesi del crimine:
- Pessimismo: le motivazioni per delinquere sono innumerevoli e non è quindi
possibile produrre una prospettiva criminologica unitaria
- Agnosticismo: non è possibile sapere quale sia il ruolo del libero arbitrio nel
determinare un’azione criminale
- Moderato ottimismo: genetica ed educazione influenzano il nostro percorso ma non
lo determinano, è importante anche il contesto in cui ci troviamo
Il contributo della comparazione alla politica criminale segue di solito queste fasi:
- identificazione dei problemi a cui rispondere
- confronto e descrizione secondo parametri delle risposte fornite dai vari ordinamenti
considerati. Alcuni parametri possibili: perfezione tecnica, efficienza nel territorio,
diffusione, accoglimento in legislazioni recenti o nei progetti.
- Riconduzione delle varie risposte ai principi del sistema penale in cui è espressa (per
stabilirne il grado di coerenza)
Terminato questo lavoro di comparazione, il politico del diritto può elaborare il proprio
progetto ricercandone la coerenza con l’ordinamento penale in cui va incardinato.
Un altro strumento della politica penale è l’analisi economica ed etica dei sistemi o delle loro
parti considerate. La pluralità di dottrine etiche alimenta il diritto penale giustificandone la
riforma, per avvicinare gli ideali di verità, bene e giustizia. L’analisi economica valuta invece i
costi e benefici, utilità e considerazioni; le ricerche in questo ambito fanno emergere
informazioni inaspettate e permettono di valutare efficienza e praticabilità delle istituzioni
penali (strutture e strumenti giuridici).
L’analisi si concentra anche sui risultati di tali istituzioni, soprattutto valutando l’esito di
riforme di ordinamento e per monitorare la recidiva di persone soggette a misure giudiziarie
o penitenziarie. Specularmente, si valuta la corretta formulazione delle norme, che non
devono essere elastiche o manipolabili, né dal punto di vista dei contenuti né della
formulazione.
La politica penale ha lo scopo di generare un diritto penale sempre più giusto, certo ed
efficace. Gli strumenti analizzati contribuiscono ciascuno a raggiungere questi scopi.