Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
DI GIUSTIZIA E COMUNISMO
Antonio Perna intervista
Salvatore Mastroeni
Edizioni Libere
Ai mie figli ed a tutti i figli
di nessuno nel mondo
LE MAFIE BIANCHE E LA CASA CHE BRUCIA
“Gli adulti continuano a dire – dobbiamo dare speranza ai giovani -. Ma io non voglio la vostra
speranza. Non voglio che siate ottimisti. Voglio che siate in preda al panico. Voglio che proviate la
paura che io provo ogni giorno. E poi voglio che agiate. Voglio che agiate come fareste in una
emergenza. Voglio che agiate come se la nostra casa fosse in fiamme. Perché lo è”.
(GRETA THUNBERG)
Abbiamo vissuto una nuova “belle époque" ad inizio secolo, ed ora stiamo ancora ballando
ma la nave sta affondando. La storia si ripete e sono le proporzioni che cambiano. Oggi, cadute
le principali difese, rischiano di affondare il pianeta e con esso l'umanità.
Mentre la casa brucia in tutto il mondo, in Italia il tarlo di una mafia bianca, di una
corruzione diffusa, si mangia le strutture, prima del fuoco. Si svuota dall’interno tutto.
Si svuota, piano piano ma l’erosione è continua, la religione, la morale, la giustizia, la
solidarietà umana e la coesione sociale, si offuscano la vista e la capacità di comprendere, si
confondono le lingue.
Ci si perde nella paura, nel caos, nell’incompetenza ed impotenza, in un trionfo dell’effimero
e del dettaglio.
Ci prepariamo, vittime sacrificali, alle fiamme.
Pochi hanno la sensazione che il fuoco troverà la cassa e le case svuotate.
Solo umanità, giustizia e verità possono salvarci da mafie e nazismi striscianti, che si nutrono
da sempre nelle crisi e nella decadenza delle civiltà.
Si vive nell’inerzia, nell’indifferenza e soprattutto i “buoni” hanno paura.
“Come nascono i lager? Facendo finta di nulla”. Primo Levi - con il suo Se questo è un
uomo - e Cesare Pavese - con Il mestiere di vivere - mi hanno segnato e posto la loro domanda
a vita.
E’ assolutamente necessario uscire dalla nebbia mentale di ritenerci sicuri come dal giocare
con il fatuo e l’effimero. Vedo scarse, ridotte ma encomiabili aperture al mondo degli altri,
dei diversi, dei fragili. Ma anche cecità sul fatto che tutti noi, e con noi i più deboli, siamo
fragili ed irrilevanti per il “Golia capitalistico mondiale”.
Mi mancano, e non credo ci siano più, i vecchi comunisti, con la fede e la capacità
partecipativa che permettevano di salire sulle montagne, non certo il collettivismo e i regimi
del terrore che lo hanno seguito. Quel comunismo, che vedevo come argine a tutela dell’uomo
contro ogni classe egemone dominante, è morto. Ma anche qualsiasi ideologia di tutela
dell’uomo, dei diritti e dello Stato.
E con esse muore pure, sporcata e compromessa, la magistratura: altro possibile
argine contro ogni tirannia.
Tutti i giorni delle memorie, della Shoà come delle vittime di mafia, sono sacri e tristi.
Ma con quanta convinzione oggi, se non si è partigiani, si combatte al presente contro tutte
le ingiustizie e dittature?
Il mondo barcolla tra pandemia, crisi economiche, disastri ambientali, e contemporanea
sconfitta dei valori e principi di solidarietà umana, mentre i morti e la povertà crescono.
E da noi il tarlo delle “mafie diverse” opera indisturbato, eppure, come disse un politico
superato dagli eventi, “si pettinano le bambole”.
Sulle “bambole” basta osservare, e non come boutade ma come una riscrittura generalizzata
in corso di tipo iconoclasta, che oggi viene colpevolizzato il pur mitico “principe azzurro”,
perché bacia Biancaneve non consenziente!
Non è l’eccesso in sé che mi allarma, ma la perdita di coscienza dei delitti più gravi della
malefica Grimilde. Oggi si grida, anche giustamente, alla pagliuzza mentre tranquillamente
“travi” di lesioni di diritti ci violentano con il nostro consenso e silenzio.
Sul primo punto (le mafie bianche) mi torna in mente, per tante troppe analogie, il terribile
terremoto dell’Aquila. I morti ma, anche, l’agghiacciante telefonata, intercettata, a terremoto
ancora in corso, di coloro che ridevano e testuale dicevano: “ora arrivano i soldi”.
Anche oggi è così, non è cambiato nulla, con le disgrazie partono appalti e soldi, ed è tutto
speculare alla povertà che cresce.
Ora ci sarebbero intercettazioni, di persone arrestate e che, direttamente o no trattavano con
Arcuri, il commissario all’emergenza della lunga prima fase, che direbbero “E’ una manna”,
aggiungendo peraltro che durerà almeno cinque anni.
Sui soldi le nuove e le vecchie mafie, criminali di alto bordo di ogni tempo, apparecchiano
banchetti.
Altri, che definirei eroi del politically correct, su principii indiscussi, indiscutibili e condivisi,
giocano ancora a fare i coraggiosi, senza avversari o su avversari morti e sepolti.
Oggi mandiamo al rogo i libri di un secolo fa che abbiano una parola scorretta,
imprigioniamo il principe azzurro, costruiamo nuove alte figure di reato e non pensiamo ai
lavoratori schiacciati dalla pressa, finiti macerati per le violazioni totale della normativa
antinfortunistica.
Voglio credere nella buona fede, ma la mia fede vacilla.
Cerco riparo nei valori giovanili di un comunismo, o era voglia di libertà ed anarchia
adolescenziale, e resto mille volte deluso.
Da scriverci un libro, ma nei libri, per sintesi, talvolta deve bastare un accenno.
Il Primo maggio per me ha un significato forte, i lavoratori ed il diritto: vedere bandiere
rosse al vento è un sogno, un sogno di adunanza ed ideali.
E vedo ragazzi, che si reputano coraggiosi ma al massimo seguono la moda, che vanno a
Portella della Ginestra.
Ora, i martiri di 70 anni fa, quei contadini, quegli operai sono i miei martiri, i miei fratelli
della mia Sicilia schiacciata da latifondisti e mafia.
Giusto ricordare. Ma è innaturale che oggi non si vedano altri nemici tranne quelli di 70 anni
fa, morti e sepolti (dico dei carnefici).
Imprese in rovina, attività chiuse, negozi chiusi, industrie delocalizzate, riduzione del
personale e migliaia e centinaia di migliaia di persone oggi alla fame, quanti disperati suicidi
per perdita del lavoro e debiti!
E chi lavora ha sempre meno diritti, talvolta nessuno, è sfruttato, si muore di non lavoro e si
muore di lavoro schiavista (i morti per infortunio sul lavoro annuali e i modi di morire fanno
paura) e andiamo solo a Portella delle ginestre! Non vediamo le stragi di oggi, i carnefici e le
vittime di oggi o è più comodo lottare i fantasmi?
Ci soffermiamo su diritti indiscussi, da applausi, ma possiamo dimenticare che la
Costituzione, uguaglianza, lavoro, diritti sono stracciati? E se ci frena il fatto che al comando ci
sono “i nostri” siamo in grande malafede.
La palude
E noi giudici, che sui diritti avremmo la possibilità di incidere, anzi il dovere di tutelarli,
invischiati nella palude “Palamara”, non ne usciamo mentre dovremmo avere il dovere di un
vero cambiamento.
Perché non uscire puliti da questa morta gora mina la nostra credibilità ed uccide il prestigio
del ruolo, importante non in sé, ma condizione primaria per operare.
Manteniamo saldo il principio che mai ed in nessun caso dobbiamo essere manichei, ma sulla
esigenza di credibilità della giustizia non ci si può abbandonare al relativismo, al grigio, alle
mezze misure.
E avere anche il senso del reale peso dei reati. Uscire da una sorta di medioevo giudiziario,
un ritardo che si va facendo incolmabile rispetto alla società che cambia, tale da determinare
una capacità operativa limitata se non inidoneità ed inefficienza rispetto ai nuovi mondi
criminali.
Restano necessarie ed encomiabili le indagini su nipoti di mafiosi, su giochi e scommesse
sull’ippica clandestina, ed ancora sui livelli più alti di violenza, estorsioni e droga, ma non
dimentichiamo che questa è la base e senza una vera pulizia, anche al nostro interno, ed un reale
adeguamento alla realtà attuale, non si intaccano le mafie a livello più alto.
Solo una rigenerazione integrale potrà farci ripartire e solo l’aggiornamento della
legislazione, sia sulle nuove mafie, sia su ogni struttura di potere, loggia o quello che sia, se
deviata, se segreta, o ancora su nuove configurazioni di reati di eversione costituzionale, politica
ed economica, e forse soprattutto informatica, unitamente ad un adeguamento dei mezzi di
indagine, potranno rendere più efficiente la tutela penale dello Stato, dei cittadini e dei diritti.
Dobbiamo sì multare pesantemente chi butta una carta in strada, ma dobbiamo avere
presente che un attacco informatico mondiale o su scala statale, all’intero del sistema di
internet, metterà in ginocchio il Mondo ed il nostro Paese. Bisogna valutare il potere di lobby
mondiali sulla vita dello Stato e sulle stesse scelte democratiche, il rischio di crisi finanziarie, i
mezzi di alterazione delle condizioni economiche, la capacità di influire sulla narrazione delle
verità intoccabili. Non si può restare fermi al furto e alla violenza privata!
Non si vuole accettare un dato ineluttabile, che il mondo sta cambiando e bisogna trovare le
strade giuste, che non saranno mai i privilegi di una casta, giudiziaria che sia, né gli egoismi a
qualsiasi livello.
Io credo nella giustizia e nel diritto: “Cambiare il mondo, amico Sancho, non è follia né utopia,
ma solo giustizia” (Miguel de Cervantes).
E ciascuno di noi dovrebbe dare il contributo che può, senza limiti e paure.
Ecco perché mi soffermo sul mio limitato campo di esperienza, la giustizia.
Fare chiarezza, dare un minimo contributo, è un passetto.
Con tutti i rischi che comporta.
Ben sapendo che la corrente porta altrove e che solo seguire interamente le tesi comunemente
accettate è remunerativo mentre andare in direzione contraria attira le ire dei “nuovi”
criminali, ma anche dei benpensanti alla moda e stimola l'“intolleranza schiacciante ed
inesorabile dei tolleranti”, che rappresentano un paradosso dell’epoca moderna.
Allora ritroviamo il senso di una vita “con gli altri” e lasciamo agli innumerevoli
“spacciatori” di modelli ed illusioni i comodi e fantasmagorici prosceni e protagonismi.
A noi non interessano i “fatti a parole”, descritti su agevoli tastiere o peggio dietro tante
telecamere e su palchi e apparati profanati, non servono gli eroi di carta né, tanto meno, tutti
gli “impegnati” fino all’uscio di casa. A questa umanità serve la speranza e la certezza che non
siamo tutti in vendita.
Che non abbiamo paura e che sappiamo lottare ingiustizie e reati, il crimine a qualsiasi
livello, e pericolo, si collochi. Nessun bambino, donna o uomo, di nessuna parte del mondo,
senza distinzioni di colore genere o nascita, può essere una vittima sacrificale, un danno
collaterale o, peggio, destinato a mero strumento produttivo o obiettivo di una battaglia di
ridimensionamento della popolazione.
A tutti i livelli bisogna lottare oggi contro il razzismo, il nazismo, l’antisemitismo e ogni
attacco all’uomo e alla sua dignità e libertà, le stragi, i genocidi, i neo imperialismi e la neo
schiavitù.
Oggi come mai vi è il pericolo di visioni e metodi nazisti e razzisti, che tentino di gestire la
transazione verso il futuro. E non parlo delle bande di criminali con svastica, che non si
vergognano ad inneggiare al passato, per i quali basterebbe e sarebbe agevole un carcere giusto
e lungo.
Il rischio è dato dal “capitalismo della sorveglianza”, con poteri immensi di risorse e sistemi
di controllo mondiale, su ogni essere umano nel pianeta e con capacità di influenzare le masse
e creare una narrazione accettata della realtà cui doversi omologare tutti.
Il pericolo è la violenza senza anima della finanza, con parti di continenti derubati e intere
fasce della società portate alla povertà e disperazione. Il pericolo è il mondo in mano alla rete
informatica, e di chi la gestisce, soggetti indefinibili, anonimi ed esenti da ogni regola nazionale;
il mondo delle banche, dei profitti, insensibile all’individuo, alle morti, alla povertà, alla
proletarizzazione di intere fasce delle società umane. Il pericolo è il mondo che fa del
capitalismo, del progresso e dei profitti il fine e che ciò passa sulle persone ma anche sullo stesso
pianeta Terra, depredato e devastato. Il pericolo sono le tante associazioni e cupole e centri di
potere occulti che sorvolano sulla testa di tutti noi.
Alla fine, in un mondo di caste, di privilegiati, di scorciatoie, di paesi ricchi e dominii di ogni
tipo, o ci si salva tutti oppure sarà solo una ingiustizia salvarsi individualmente e per classe e
razza che sia.
E in Italia sarebbe indispensabile un vero Stato sociale, la massima tutela del welfare e dei
diritti. Ma con il “ricatto” del debito pubblico, quel mostro agitato per sopprimere diritti, tutti
hanno ceduto inserendo in Costituzione il pareggio di bilancio.
E’ un dato sotto gli occhi il neo capitalismo inattaccabile e mondiale. Trenta persone
posseggono la ricchezza di mezza umanità. Il vero comunismo è morto, e muore la libertà e i
diritti: “Mi dica, in coscienza, lei può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è
nella miseria, che non ha lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli ed
educarli? Sarà libero di bestemmiare, di imprecare, ma questa non è libertà. La libertà senza
giustizia sociale è una conquista vana” (Sandro Pertini).
Quanti a scagliarsi contro il lupo di carta, dato in pasto agli ingenui, per farli sentire eroici
e alla moda, mentre sopra le teste di tutti passa un capitalismo senza pietà.
Sì, rimpiango comunismo e socialismo, nella loro essenza di lotta al capitale, lotta di classe,
di protezione dei deboli, dell’uomo.
Non certo nelle purtroppo generali derive poliziesche e totalitarie, antidemocratiche e oggi
capitaliste.
LE CONGIURE ALLA LUCE DEL SOLE
Il fascino e il peso
Essere e fare il giudice, in base a come decidi di farlo, non è affatto una passeggiata.
Non si può capire, se non si è vissuto e se non si hanno le motivazioni, cosa vuol dire entrare
in udienza alle 9 e uscirne a mezzanotte, d’inverno entrare con poca luce, che ancora non si
vede il sole, ed uscire la notte, magari con la nebbiolina come a Caltagirone, come a Palmi.
Capire che hai vissuto la giornata “altrove” (spesso in una aula bunker) ma sentire la città
propria o condividerla con qualche ubriaco di passaggio.
Quelle fatiche accettate con gioia e condivise con colleghi meravigliosi.
Studiare atti notte e giorno e in breve tempo leggere 50.000, 100.000 pagine, ed ancora
scriverne 1000, 5000. Non si possono sapere, ostacoli, solitudine, impegno e scrupolo necessario.
Cosa voglia dire elaborare processi con decine e centinaia di omicidi, fare maxiprocessi,
dare centinaia di ergastoli, migliaia di anni di carcere. Operare misure cautelari, arrestare
decine e centinaia di persone.
Studiando ogni rigo, usando tutte le proprie capacità, sapendo quanto devastanti siano gli
omicidi, e i reati gravi, ma parimenti quanto gravi siano il carcere e gli ergastoli.
E poi invecchiando e perdendo la vista su codici, libri, riviste, collane ed infinite raccolte
on-line di giurisprudenza, per applicare, ad ogni passo, le norme giuste e in modo giusto.
La continua ricerca della verità, di comprendere fatti, cose e persone, di valutare ogni
singolo, anche più apparentemente insignificante, elemento, la necessità assoluta della
decisione giusta, volta per volta e sempre.
Non solo come dovere o lavoro ma impegno essenziale di vita, pari alla necessità di capire
profondamente ogni persona con cui si interloquisce, ogni maschera e ogni scena del
drammatico spettacolo che talvolta è la vita.
In Sicilia si dice “fare teatro”, con l'indicazione del luogo al posto della rappresentazione,
ma nello stesso tempo rispettare ogni essere umano che venga in contatto con te: il lavoro
dell’avvocato, il dolore delle persone offese, la dignità degli imputati.
Sentire e vivere il peso dei delitti ma anche delle pene, sapere che solo quella “giusta” ha
una giustificazione.
Quante camere di consiglio in cui tutte le questioni di diritto, poste dagli avvocati e dai
Pm, erano semplici e il massimo del tempo veniva dedicata esclusivamente a maturare quale
fosse la pena giusta, l’essenzialità di essa sia per la gravità dei fatti sia per dare il senso della
comprensione umana ed il filo della speranza all’imputato.
Verificare e combattere le mille ingiustizie, storture, prevaricazioni, abusi nella società e
nei sui diritti.
In particolare, da P.M., incontrare dolore, impotenza, fiducia o sfiducia disperata delle
persone offese, soggetti quasi di secondaria attenzione per molti, ma che ti arrivano perché lese
e vittime di violenza, fisica psicologica, negli affetti, nel patrimonio che sia.
Impotenti di fronte ai criminali, ai violenti, ai mafiosi, ai ladri di futuro o giustizia, ai
poteri sociali se ingiusti. E lo Stato, talvolta infiltrato e svuotato da dentro, il grande bancomat,
l’ambizione e la vittima sacrificale di tutti.
Allora tutti d’accordo a giudicare, omicidio per omicidio, ma quanti a non capire che (il
tema ovviamente tornerà) come le “semplici” raccomandazioni, quasi strutturali nella nostra
società, quando attengono un posto, dagli ordinari dell’Università a qualsiasi lavoro o un
appalto, creano un “fortunato” che avrà vita, prestigio, famiglia, beni, ville e di converso creano
tanti sbandati, senza futuro pur magari con meriti maggiori; già, “il merito”, quello che non
riusciamo più a cogliere e la cui mancanza uccide spesso l’individuo nella sua dignità, nella sua
autostima e talvolta ne distrugge la vita. Della libertà lo scempio è evidente.
Se tutti, tramite gli amici, e gli amici degli amici, trovano il posto, hanno il sussidio, la
promozione, la concessione ed ogni beneficio personale (che spesso sarebbe un diritto) è
evidente che poi, per ricambiare, devi magari votarli, o fare il favore a tua volta, non scegli più,
ti sei venduto la coscienza. Allora finché questo non sarà un gravissimo reato la nostra società
sarà ingiusta e nelle mani di una mafia di potere, di posti e di burocrazia.
La verità è che i reati “bianchi”, la raccomandazione, la corruzione, lo spartirsi i posti, i
beni ed i soldi pubblici fanno più male del colpo di lupara. Oggi non si spara con i fucili e la
vita degli altri si decide nelle stanze più eleganti, si decide con le “carte giuste” chi vivrà una
bella vita e chi sarà un fallito. E le “mani” di carte decisive si giocano talvolta laddove si può
decidere il destino di tutti.
La vera delinquenza è, in qualche caso, oltre le “famiglie di cosa nostra”, in quel mondo
di poteri occulti e deviati, baronati, di nepotismo, di vendita dei posti, degli appalti, degli
investimenti con i soldi dello Stato.
E da qui si svuota la cassaforte statale, si gioca col debito pubblico, e si manomettono
quegli ascensori, quella parità dei cittadini dinanzi alla legge che troppo spesso denunciamo
essere ormai carta straccia insieme alla stessa Costituzione.
La mafia era ed è un mostro feroce, ma ora più che lottare lo Stato lo infiltra, lo inquina,
ne trasferisce i meccanismi predatori, la fame di potere e denaro, lo infetta con la corruzione.
Se non è quella mafia di 40 anni di processi, la cosa nostra disegnata da Falcone con le
dichiarazioni di Buscetta, è struttura e metodo, parimenti spietati ed invincibili, perché in
colletti e guanti bianchi.
E oggi è vile un magistrato che, prudente, non persegua un politico corrotto e andando
con i piedi di piombo utilizza un metro differente rispetto a quello usato per i poveracci perché
se questo politico corrotto “concede” un appalto milionario ad una ditta mafiosa, contribuisce
alla mafia più dell’associato al clan mafioso che frega mille euro all’unione Europea
denunziando mille capre che non ha e usufruendo così dei contributi.
Bisogna saper leggere la società e le nuove mafie se si è giudici veri.
Bisogna non far parte, contrastare, quei centri di potere, cittadini o statali, dove non
stanno pregiudicati, ma grandi professionisti, quarti di nobiltà, potere e ricchezze consolidate,
genericamente vertici di tanti poteri, dove si stabiliscono le sorti di tutto, dove politica, società
segrete, rari alti magistrati e la mafia della nuova e nobile generazione entra o è nella sua
essenza di dominio alternativo. Dove magari nasce la Fatwa che esclude il magistrato onesto
dal poter raggiungere un posto in una Procura avendo fatto danni illimitati a gente che ha i
giusti contatti a Roma.
Le sacche di impunità del potere, i collegamenti con la politica e anche con alte sfere della
giustizia, quante cose attraversano la vita di un giudice, e quanto è dura fare giustizia quando
si va oltre il livello dalla piccola criminalità.
Quante volte un giudice solo, che non voglia fare l’impiegato o il lavorante a cottimo di
“sentenzine”, è bloccato, combattuto, schiacciato?
Il ministro o il vice ministro, il miliardario e ora lo stramilionario in euro, Principi di
diritto o di fatto, pezzi o “numeri” grossi, singole facce nell’Università o nello stesso Palazzo di
giustizia, quanti a dirti o farti capire i rischi che corri se tocchi e vedi ciò che non si deve toccare
e neanche vedere.
Il fascino di Roma
Ognuno fa le sue scelte e sa, davanti allo specchio di casa sua, se è Eccellenza o meno.
Certo Roma ha il suo fascino, il raddoppio dello stipendio al Consiglio Superiore è piacevole,
diventare corteggiato come una star dai politici e dai colleghi accattoni che hanno bisogno di
te per ottenere mezza nomina, anche meritata, e poi ti fai le cene, insomma una dolce vita, sei
un arrivato. Ma valeva veramente la pena fregare il collega? Quanto valeva genuflettersi al
Consiglio? Per taluni sì perché – il ragionamento è questo – molti erano amici che già ti
stimavano e ora che conti di più potrai fare molto anche per loro. Ti impegnerai per dare al
momento giusto il tuo voto e quello degli amici per ricambiare quanto ricevuto, certo lo farai
con prudenza ed attenzione a mille equilibri, ma il gioco per te, evidentemente, vale la candela.
Io, invece, mi vanterò delle cene fatte a mezzanotte, da solo, col panino portato da casa,
alla luce di una modesta lampadina, a Niscemi, luogo di mafia, dove mi ammazzavano le
persone, a decine, nella piazza accanto, con un occhio ai fascicoli che studiavo e pronto alle
chiamate del mitico Maresciallo Resciniti, e poi del capitano Sica, per correre dai morti, per
iniziare autopsie ed indagini.
Io mi vanterò e ricorderò di quel caffè, o rara pizza, presi a Caltanissetta, dove ho vissuto
in ogni segmento, l’intera mafia, la sua inaudita ferocia potenza e pericolosità, le stragi ed i
pentiti di Palermo, come di Gela, con quel gruppo meraviglioso di colleghi, Gilda, Piero,
Fernando, Maria, Nino, Elisabetta, Annamaria e gli altri.
Io non dimenticherò mai le notti in camera di Consiglio, in quelle lunghe settimane di
camere di consiglio, con l’orario fisso 8 del mattino, 2 di notte, con Federico, con Simona,
Alessandro, Giovanni, Claudia. I giorni e le notti di indagini con Marilena e Piero.
E le udienze infinite, 9/22, sei giorni su sei, poi con Rosa, Piero, Luana.
E i miei cancellieri fratelli, Rinaldo, Cinzia, Nadia, Giusy, Pippo fra i tantissimi.
Sì, lo ripeto, la dignità non ha prezzo.
E poi, forse, chi ha fatto i processi dei colleghi uccisi dalla mafia, chi ha esplorato il male
terribile che era ed è la mafia “cosa nostra” e cosa era ed è la ‘ndrangheta, con centinaia di
cadaveri per le strade, con gente e bambini sciolti nell’acido e persone fatte a pezzi e date in
pasto ai maiali, per tutto questo non può accettare che i giudici siano sporchi, ma neanche che
vi siano ombre.
Chi ha avuto le minacce della mafia, di essere sciolto nell’acido e che sarebbe stata sciolta
anche la statua fatta dalla propria vedova, chi si è sentito dire da un uomo armato che era un
“uomo morto” non può vendere il suo credo nella giustizia per un posto, pregando quattro
consiglieri di guardare il curriculum, loro che forse non hanno mai visto il male come me e non
ne hanno tratto l’obbligo di essere uomini, di meritare di difendere la società, di essere
all’altezza dei colleghi uccisi.
Ma forse quella vita a studiare provare a combattere, sul campo e non a parole e
comparsate in televisione, quella mafia vera non quella degli straccioni su cui si fondano
innumerevoli conferenze stampa, forse qui è la chiave di tutto.
Da giudice sai di essere una protezione, spesso minuscola, tra il potere ed il male che sono
le mafie con sistemi occulti di vario genere e la gente, impaurita ed indifesa e frodata dei suoi
diritti e del suo avvenire.
Impari così l’obbligo di essere credibile, impari i poteri terribili che ti lottano e quanto la
gente è indifesa.
Solo per questo parlo del tema giustizia, perché è essenziale scoprire il fango, perché la
giustizia è essenziale.
Resterò ideologicamente contro connessioni della giustizia con mondi ambigui opachi, a
rapporti di prossimità tra poteri e mafia, la cui comprensione forse costò la morte a Falcone e
Borsellino.
Che quella idea di cercare ancora, nel 2021, la mafia e il suo potere a Corleone, o nella
povera masseria dove viveva Provenzano, senza almeno indagare sui suoi contatti, perché non
è stato perquisito in tempo il covo di Riina, o senza cercare coloro che hanno garantito la lunga
latitanza di Provenzano, vuol dire vivere una idea di mafia da cinema, da film del Padrino di
30 anni fa. Anche esultare per la condanna di un vecchio Madonia per l’omicidio Agostino di
più di 20 anni fa è sconsolante. Non già per il ritardo ma perché, anche quando si sa e si vede
che ci sono dietro pezzi deviati dello Stato, la condanna tocca solo al mafioso sclerotizzato o
comunque neutralizzato. Non si sale più su!
Le cene eleganti
Per questo occorre parlare e scrivere di quei politici che con i Consiglieri del Csm
decidevano all’Hotel Champagne chi nominare come Procuratore di Roma, agivano secondo
una prassi costante, e quasi leciti rapporti alla luce del sole. Per me in taluni casi sono cene
ancora più micidiali di quelle “eleganti” di Berlusconi, sono veri congiurati e per me qualsiasi
decisione non istituzionale che si riflette sulla stessa giustizia e sulla sua applicazione, e non già
su titoli onorifici, è una congiura.
Sono congiure intese a scegliere gli “amici” per i posti decisivi ai vertici della magistratura
o per colpire avversari politici di posizioni opposte alla propria.
Le “riunioni” al ristorante, denunciate con lo “scandalo” Palamara, per molti sono
normali perché si colpiscono personaggi (Berlusconi e Salvini) che comunque non andavano
bene, forse per tutti ma in particolare ad un certo mondo, a quelle frange della politica e dei
mezzi di stampa e dell’opinione pubblica per i quali certi soggetti politici, a prescindere,
andavano combattuti.
Magari è vero ma questa non è giustizia, sono congiure, e come le tante del passato, non
sono mai fatte per colpire un uomo e raramente per liberare il popolo, mirano invece a
conquistare il potere, a sostituirsi nel potere.
E poi sfugge cosa voglia dire, in termini di “ingiustizia” scegliersi il Procuratore di Roma,
Milano o Canicattì che piace, che dà garanzie, che ha chiesto il favore e sarà riconoscente.
E, anche se mi pongo forti dubbi sulle auto assoluzioni e letture giuridiche non penali dei
fatti, solo per amor di patria non penso a quanti anni di custodia cautelare e poi carcere
vengono inflitti, alla cupola del piccolo centro che, a cena, fissa le quote di miserabili estorsioni
nel paesino in cui esercitano la intimidazione, associazione mafiosa ed estorsione, un capo si fa
30 anni di carcere.
Il grave è che nella melma. si perde di vista l’Attila moderno che non fa crescere più erba
dove passa e che brucerà la casa. Noi persi a cercare poteri ricchezza e gloria paesana, ad
affogare nel nostro fango e le visioni dei problemi dell’umanità si disperdono.
Cito Tiziano Terzani, come farò poi nella conclusione, ma lì con un pensiero di segno
diverso:
“la malattia di cui oggi soffre gran parte dell’umanità è inafferrabile, non definibile. Tutti si
sentono più o meno tristi, sfruttati, depressi, ma non hanno un obiettivo contro cui riversare la
propria rabbia o a cui rivolgere la propria speranza.
Un tempo il potere da cui uno si sentiva oppresso aveva sedi, simboli e la rivolta si dirigeva
contro quelli.
Si sparava ad un re, si liberava la Bastiglia, si assaltava il palazzo d’inverno e si apriva così
la breccia di un secolo.
Ma oggi? Dov’è il centro del potere che immiserisce le nostre vite?”
(Un altro giro d giostra).
Oggi il potere viaggia lontano, e riunioni e congiure sono alla luce del sole, impunite per
eccesso di potere e mancanza di giurisdizione.
La politica ha i suoi riferimenti sovranazionali, l’Europa giustamente, anche se non coesa,
il Patto atlantico, gli Stati Uniti, la Cina, la Via della seta.
Quante ragion di Stato, quanti segreti di Stato. Campi insondabili. E quante riunioni dei
potenti, si chiamano riunioni non congiure.
Il problema finale
C’è chi ha capito l’importanza di avere i giudici vicini e chi no. C’è chi ha capito che gli
intrallazzi delle correnti, di cui parla Palamara, quel clima di corruzione per amicizia, poteva
giovare per ragioni più serie a orientare la politica del Paese, e con rischio anche di poter
coprire le frange di potere più opache.
Chi lo ha capito (il fenomeno è maturato gradatamente nel tempo e con l’intervento di
opposte parti politiche) ha reso possibile che singoli giudici liberi e non condizionabili, fossero
messi sotto la rigida gerarchia di un Procuratore (per indirizzo di Ufficio...) e questo poteva poi
consentire di avere un interlocutore unico.
In teoria, ma in qualche caso a dire di Palamara verificabile, la scelta di un Procuratore
omologo ideologicamente avrebbe reso più sicura la convivenza tra i poteri, o meglio tra quei
congiurati e quel Procuratore.
C’è chi ha capito, inoltre, è questo è un fatto oggettivo ma che pochissimi sanno valutare,
che ogni singola misura cautelare passa al vaglio di tanti giudici, ma, al contrario, “una
indagine non nata, o appositamente abortita”, resta tra le notizie di fatti non costituenti reati o
massimo in archiviazioni per fatti non indagati o indagati male.
Se un giudice deviato può fare malissimo con una misura cautelare, una Procura può
decidere di salvare un governo semplicemente non esercitando l’azione penale o archiviando
denunzie. Mille volte a ragione (so io quanti sono i denunzianti per professione) ma magari una
volta ed in un solo caso a torto.
La verità è che taluni parlano di giustizia senza conoscerla, la verità che sfugge a tutti è
che decine di Gip, Tribunali, Appelli e Cassazione, centinaia di giudici, tutti insieme, sono
impotenti se la Procura non esercita l’azione. E il controllo è prossimo a zero, il controllo
vastissimo è quello sulle indagini fatte, non quello sulle indagini, in teoria e per mera ipotesi,
seppellite (un assurdo su cui tutti tacciono). E ovviamente ciò potrebbe accadere una volta su
mille, seguendo in ipotesi la corrente politica predominante e che, sempre in ipotesi, apprezzerà
e magari ti promuoverà o ti ha già promosso.
E’ l’altro punto centrale e conseguenziale.
L’azione penale è obbligatoria, e spesso sfugge che la obbligatorietà è il fondamento della
uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge.
Se procedo sempre contro i tizi delle periferie povere che fanno reati e invece non procede
contro chi abbia un reddito superiore al milione di euro l’anno io sono solo un giudice ingiusto.
Fortunatamente l’azione penale è obbligatoria.
Ma lo è?
La realtà e altra, e se lo fosse veramente non ci sarebbero tante congiure nelle nomine dei
procuratori importanti.
E come detto non è solo che si persegue il nemico.
Parimenti grave è salvare l’amico, in politica chi ti ha nominato e ti è omogeneo.
Le strade, poco conosciute, sono tante: si scrive una denuncia tra i fatti non costituenti
reato invece che farne oggetto di reato; ancora di più non si iscrivono e non si procede per reati
evidenti a tutti pur a fronte dell’obbligo di procedere anche d’ufficio. In fondo spesso le
denunce sono collegate a contrasti tra parti, la stragrande maggioranza dei reati corruttivi, dei
peculati, degli abusi, dove si divide bene e non si fanno vittime, vanno bene a tutti, si sa ma
nessuno denuncia. Poi ci sono i processi fatti morire insabbiati o con indagini scarse o sbagliate
o carenti. I modi sono mille.
Per amor di patria, pur con la giustizia penale ingolfata, non dico che i reati scoperti o
comunque accertati, sono una percentuale ridottissima rispetto a quelli non accertati, che le
impunità sono altissime e mi astengo dalle percentuali.
Mi basti dire quanto sono ridotti i processi e le condanne per corruzione e le percentuali
di corruzione rilevate, mi basta citare, dato innocuo, che probabilmente più del 97% dei furti
denunziati va direttamente in archiviazione senza indagini, segnalando che le denunce spesso
ci sono per le assicurazioni e che in molti campi le denunzie mancano del tutto.
I Procuratori sono alla guida di una macchina che potrebbe far rispettare a livelli altissimi
la legalità e talvolta, magari solo in un caso, anche per inettitudine funzionale da nomina, non
si vedono troppi reati. Nessuno e niente controlla le notizie di reato seppellite e, per definizione,
quelle non viste, non colte, non cercate.
Quel che è certo è che se il metodo di nomina diventa quello dei notabili congiurati in un
antro segreto e scuro, questo vanificherà o comunque appannerà il dato che 20/100 Procuratori
sono meravigliosi e seri tutti, e l’eccezionalità del loro lavoro merita il plauso del Paese.
Ma resta il neo che uno solo può, al posto giusto, dare direzione o bloccare la macchina
giudiziaria. A fronte di quanto denunciato dal Sistema “Palamara” sarebbe doveroso verificare
le appartenenze, e le stesse nomine dei Procuratori, sia per trasparenza sia per capire se mai vi
possano essere una influenza e una matrice comune nelle nomine.
Il falso problema
E tutti si resta al mero effetto finale, contrastare la magistratura che fa politica, come se
quello fosse il problema!
La risoluzione di tutto è la commissione di inchiesta politica sulla giustizia!
E se il problema a monte è che la politica che si sceglie i giudici (i Procuratori)?
Falcone parlava delle correnti o del Consiglio come cinghia di trasmissione con il potere
politico?
Lui ha vissuto sulla sua pelle lo scempio fatto dai colleghi, prima che dai mafiosi.
E le menti raffinatissime. Aveva capito tutto ed è morto.
La commissione di inchiesta andrebbe fatta sulla politica(deviata?) che si salda con vertici
(deviati) delle correnti e qualsiasi altra società segreta deviata che insieme decidano i posti
strategici. Che dai posti strategici poi si faccia politica (a favore o contro) è solo una
conseguenza.
Resta quindi il dato che occorrerebbe passare al vaglio, ove il sistema fosse strutturale,
continuo, con mezzi, luoghi e metodi, eventuali reati quali favoreggiamenti, concorsi ed
associazioni a delinquere, associazioni in luoghi impensabili e con poteri incredibili.
Perché a fronte di tante emergenze di avvicinamenti, raccomandazioni, frammistioni di
mondi incompatibili, il rischio teorico può porsi.
Ed invece è come se riusciamo a percepire e perseguire il singolo giudice corrotto, che si
vende per una vacanza, per un posto per l’amante, ma non vediamo se mai vi sia, in ipotesi, un
segmento di corruzione di sistema.
Anzi, tutti accalorati, nei rispettivi ruoli, anche ai più alti vertici della magistratura, e
naturalmente dell’Associazione, autoconservativa, ad escludere l’esistenza di reati.
Mi dicevi che prima di rispondermi dovevi fare un’altra premessa, oltre quella che hai esposto
nell'introduzione?
Sì. Ogni uomo quando parla, scrive, deve porsi il problema del costo delle sue parole e della
ragione per cui le pronuncia. Io so perfettamente che è pericoloso mettersi contro ogni sistema
criminale, le frange deviate del potere ti scatenano contro di tutto.
Più hai ragione più ti colpiscono. Talvolta, senza saperlo, ti salvi la vita solo perché hai la
fortuna di essere irrilevante ed impotente.
Il quieto e saggio vivere, cui si attengono persone anche elevate, mirabili e stimabili,
impongono il silenzio: non capire, al massimo dirlo sottovoce, o peggio accettare e condividere.
La mafia ti faceva saltare in aria, ma può bastare un Tir che ti spinge da un viadotto, in un
banale incidente, due o tre pentiti all’improvviso, magari veline a qualche mezzo di informazione,
calunnie, demolizioni varie.
Diceva Martin Luther King “Prima o poi arriva l’ora in cui bisogna prendere una posizione,
che non è né sicura, né conveniente, né indolore, ma bisogna prenderla perché è giusta”.
Da magistrato questo l’ho sempre fatto, pagando in prima persona. Da magistrato magari si
sente la minaccia, detta o non detta, ma non puoi spaventarti o puoi ma non devi deviare, devi lottare
per la giustizia, se no non si resta né giudici né uomini. Poi sempre King diceva “di temere oltre la
malvagità dei cattivi, anche e di più il silenzio degli onesti”. Se fai una battaglia “pericolosa”, che
in qualche modo tocca i cosiddetti poteri forti, resti solo. Ecco, è tutto profetico...
E continuiamo lo stesso?
Vedi, nel mio piccolo, io non accetto i destini segnati per nascita, che ci siano i ricchi da un
lato e i bambini dell’Africa povera o dei ghetti della mia città e i giovani di tutte le favelas del mondo
dall’altro, non accetto la persecuzione nazista degli ebrei, non accetto discriminazione per neri o
bianchi, non accetto stragi, violenze, ingiustizie, torture, non accetto la schiavitù e le nuove schiavitù
che si stanno costruendo, e non accetto il razzismo dei buoni, devastante come tutti. Essere cittadino
del mondo impone amarci tutti come fratelli, come già detto con King.
E sono cristiano, ed essere cristiano non può essere recitare solo preghiere, fare elemosina,
omelie strepitose e basta. Per amore della gente si agisce, si parla, si rischia.
Non sarò mai, con tutti i miei limiti, uno scriba, fariseo o sepolcro imbiancato.
Allora veniamo al dunque! Sono certo che sui problemi della giustizia e rimedi puoi parlare per
giorni, ma si era detto di affrontare essenzialmente le anomalie emerse. Hai letto il libro di
Sallusti e Palamara?
Sì e ne parlerò, è un racconto di fatti, di chi sa e documenta decine di casi, di intrecci, complotti
e congiure, le più salienti. Fatti che però concretamente non posso sapere e, soprattutto, il mio punto
di osservazione è diverso.
Ho vissuto questa realtà “dal basso” e principalmente dall’interno, posso solo confermare il
costante e capillare operare del Sistema di cui parla Palamara, le frenesie e le ambizioni di colleghi,
i favoritismi ai soci/compari/associati alle correnti, le possibilità prossime a zero di avere un posto
direttivo senza essere o piegarsi ad una corrente, lo sconcerto le umiliazioni di decine di colleghi per
questo ignobile modo di procedere.
Quindi il mio approccio è comunque da precisare. Ho letto il libro e ascoltato, ho letto le
interviste a Palamara ed è oggettivo che si sia posto in una posizione confessoria e che, altresì, abbia
indicato centinaia di situazioni, persone e fatti concorrenti.
Tecnicamente credo, in generale, di poterlo valutare anche se le sue imputazioni penali sono
minime e non so di giudici cui sia stato contestato alcun concorso (non un sostanziale pentito che fa
chiamate in correità). Vi è tutta una giurisprudenza consolidata sulla valenza di tali prove, ma non
sto qui trattando un processo.
Per sommi capi posso dire che quanto dice sulle correnti (e in certi casi ammesso, a denti stretti,
con dimissioni e comportamenti oggettivi) corrisponde quasi al notorio per me e migliaia di altri
giudici.
E’ un discorso logico il suo, nella sua chiamata di correo, perché non riesce ad accettare la
monumentale condanna singola, come se da solo abbia traviato e deciso le sorti della magistratura.
E questo non solo per la cena intercettata – Forciniti (altro Consigliere) lo dice – perché era il
Consiglio tutto che operava fuori sede, c’era il cerchio magico. Poi è stato solo lui, boh!
E tengo presente anche la genuinità e la spontaneità. E’ palese che quando era intercettato,
non sapeva di esserlo, è palese che faceva e diceva ciò che era il vero, né c’è accenno ad invenzioni
o necessità di inventare, atteso il livello operativo raggiunto. Non è un mitomane né un calunniatore,
né esercita vendette.
Che poi a Perugia il Procuratore, nominato con l’unanime voto dei laici e delle correnti che
hanno ritenuto di votarlo, gli abbia contestato reati individuali e non quelli che potrebbe avere
consumato con il Consiglio, per me è un fatto, ma resta - credo - la libertà di valutazioni giuridiche.
Quel che è certo è che non mi risulta una sola smentita, una sola querela, e questo riguarda
tutti, anche i segretari della Presidenza dello Stato che Palamara ha coinvolto ed anzi,
esemplarmente, Mattarella è andato al Consiglio Superiore della Magistratura ed ha letto un
memorabile discorso sulla necessità di cambiare e recuperare credibilità. Solo allora fior di
consiglieri e lo stesso Procuratore Generale della Cassazione si sono dimessi.
Se a ciò si aggiunge la perfetta coincidenza del “metodo”, con gli effetti che anch’io ho subito,
ritengo di poter ritenere che Palamara sia credibile in assoluto e le sue “informazioni” utilizzabili
per i ragionamenti che ritengo vadano sviluppati. Resta chiaro che solo quelle intercettazioni, e dalla
data della pubblicizzazione si può parlare, prima, senza una base, nessuno avrebbe creduto
l’incredibile ma vero nella magistratura.
…e su Sallusti?
Anche per lui, la cosa che mi ha fatto più tenerezza in tutta questa vicenda sono alcune parole
in un suo recente articolo, ed è notevole - atteso il personaggio - che la reazione sia la tenerezza.
Sallusti stesso, quasi in fallo di frustrazione come si dice in gergo calcistico, si stupisce che le
cose “terribili” dette nel suo libro non determinino alcun effetto.
Certo il silenzio è assordante e potrebbe colpire come colpiscono i commenti di chi afferma
“ebbene sì, fanno porcherie pure i giudici, ma alla fine quello che fanno tra loro poco ci importa”.
Come minimo non si capisce la ricaduta micidiale sulla giustizia di un giudice scelto perché di parte.
Poi arrivano i “social” con interpretazioni, suggerimenti e rimedi in libertà, ma solo per un
minimo periodo, poi tutto passa. Il resto è silenzio, di più ancora per un libro che credo in pochi
abbiano veramente letto. La gente è giustamente distante e non addentro al pianeta giustizia, spesso
pure pensa che non gli interessi, non calcolando quanto incida sulla vita di tutti noi.
Lo dico da giornalista... non è facile, purtroppo, comunicare e farsi capire; forse il “messaggio”
lanciato attraverso i libri è superato dalla velocità dei tempi, sicuramente ci sono questi dati di
relatività e di difficoltà di comprensione “oggettiva” dei fatti, ma resta l’elemento cardine del
nostro discorso: la giustizia malata.
Scrivo, in contraddizione con tali miei convincimenti, sia perché dall’interno ho avuto una
visuale forse migliore, ma soprattutto perché ci sono volte, nella vita, in cui si deve provare a dare il
proprio, anche modesto apporto, assolutamente consapevole del rischio elevatissimo di essere
controcorrente o di vedere e dire cose non comode, sono convinto che prima si è odiati e massacrati
da tutti poi, se morti, qualche volta si viene santificati.
La situazione della giustizia è grave, ed è giusto non nascondere tutto sotto il tappeto, non
basterà né ghigliottinare il solo Palamara o mettere sulla fronte del Csm pannicelli caldi di riforme
elettorali o separazioni inutili di carriera. Quando il male accertato è la contiguità politici/giudici
nelle nomine degli Uffici direttivi, con il rischio di magistrati orientati politicamente, la cura deve
essere radicale. Ed è tragico vedere che si parli solo di commissioni sulla giustizia, sulla invadenza
in politica dei giudici, non percependo l’essenziale, che la prima invadenza è della politica, con laici
nominati dai partiti e correnti schierate, che rischiano di scegliersi i giudici funzionale agli scopi o
almeno dell’area di riferimento. Sono l’indipendenza e l’uguaglianza in gioco.
Può non piacere, sicuramente scrivere mi espone e non ho niente da guadagnarci, né tanto
meno rivalse avendo scelto l’armonia di un mondo lontano da queste cose, ma ritengo un dovere
fornire un quadro di lettura dei fatti ed il perché del “niente” verificatosi dopo la denuncia di
Palamara.
Separare, escludere giudici e laici insieme nel Consiglio, eliminare il connubio tra magistratura
e politici nello stesso Consiglio, non far scegliere i posti direttivi nella magistratura da giudici
politicizzati e politici della stessa aria, vietare gli sconfinamenti dei giudici in politica e della
politica sui giudici.
Sì il rimedio potrebbe essere questo perché se a monte, in sedi inappropriati ed in una
commistione non istituzionale di laici e politici che preparano le maggioranze nel CSM, si scelgono
politicamente i ruoli direttivi in magistratura - con i margini di scelta su tempi e modi dell’esercizio
dell’azione penale, spesso svuotata dalla sua obbligatorietà - si rischia anche di avere una giustizia
politica, o variamente indirizzabile.
Non solo per i giudici politicizzati ma per un meccanismo di nomina, invaso dalla politica, che
scelga sulla base della stessa politicizzazione del giudice.
Il giudice forse talvolta, con azioni ma anche omissioni, invade il campo politico ma questo
accade perché, prima, al Consiglio Superiore, la politica, con politici e correnti insieme, ha invaso
la magistratura e scelto i capi di ufficio omogenei e graditi.
Con amarezza ho potuto constatare quanto questo modus operandi possa incidere nella società
e ancora sulle libertà personali, sulla vita e sulla morte dei cittadini. Il fenomeno emerso con il caso
Palamara non è affatto mero clientelismo delle correnti. C’è ben altro e gli effetti come abbiamo visto
possono essere gravissimi.
Parli di vita e morte dei cittadini. La pandemia, oltre ad essere una sciagura planetaria, ha
coperto naturalmente le altre notizie, ma secondo te fino a che punto ha evidenziato gli effetti
della politicizzazione della magistratura collegata al sistema delle nomine?
Con la pandemia ho visto, da giudice, colpe e reati che nessun umano potrebbe immaginare -
per riprendere la frase su ciò che avvenuto nella camera di consiglio per Berlusconi – e ne sono
affranto, soprattutto da cittadino che mastica penale.
Ogni omissione di intervento penale su colpe e responsabilità, non è solo impunità per aver
causato i morti ma, più grave ancora, è lasciar spazio alla reiterazione delle stesse condotte colpose.
Io posso pormi solo domande, leggo molto ma non ho atti. Né sono uno scienziato. Ma ho 40 anni di
esperienza di diritto penale, e non proprio scadente.
A fronte di questo dramma mondiale, si può seppellire tutto con il vago concetto di
inevitabilità? Oppure si può dire che si sono fatti errori gravissimi nella gestione della pandemia?
Ci vogliono parole nette. E’ una immane tragedia mondiale.
Troppi filosofi, scienziati autoproclamatisi tali, troppi comitati, troppi virologi, troppa politica
da “self made man”.
Io da cittadino del mondo piango i morti e i gravi effetti nella vita delle persone, nell’economia
e mi spingo fino ai disagi psichici. Sono per tutte le precauzioni, i vaccini e ogni cosa che ci aiuti.
Ma rifiuto di chiudere gli occhi davanti ad evidenti errori e al concetto, in sé, di responsabilità.
Escludere a priori responsabilità è licenza di uccidere, sia pure per colpa.
Uno, cento, mille o diecimila, che siano morti per omesse precauzioni od incapacità od
omissioni ai vertici, che si potevano salvare, non possono finire nella fossa comune. E non per volontà
di vedere responsabilità penali ovunque ma se drammi di questo livello sono affrontati da incapaci
“scudati” sotto il mantello della inevitabilità o di generiche assoluzioni che tanto si muore in tutto
il mondo, allora i morti aumenteranno sempre.
La spaventosa realtà è che l’omicida volontario ammazza una volta, l’incapace al posto
sbagliato può ammazzare mille volte. I centomila morti potevano essere meno e di quanto? Sono dati
enormi. Ed un’azione penale avrebbe potuto accertare la mancanza di un piano pandemico, un
ritardo nel blocco dei voli, un ritardo, documentato dal contenuto delle autocertificazioni richieste
nel tempo, nel blocco della mobilità regionale, un errore nel vietare le autopsie, un errore indotto in
alcune cure, un errore ancora nel precludere cure immediate?
Ma anche peculati e corruzione uccidono. Può non essere evidente, ma bastano pochi esempi:
se compro 100 milioni di euro di mascherine dalla ditta inesistente del mafioso o di mio nipote, o se
compro mascherine assolutamente inadatte, arricchisco sì il mafioso e mio nipote, ma lascio anche
medici ed infermieri senza ricambio di mascherine e qualcuno rischia di ammalarsi e morire. E se
avevo mascherine e le ho date ad amici e parenti, privandone i medici degli ospedali?
E ancora, se vaccino una persona con dei rischi specifici di trombi, con un vaccino che
comporta pur residuali rischi di trombosi nel bugiardino, e poi lascio la dose del vaccino migliore a
mio nipote, o al mafioso (ma forse qui si capisce che più che la mafia può il potere) si mi faccio un
amico, si faccio un mero abuso, ma sottopongo il soggetto a rischio alla roulette russa della trombosi
e qualcuno muore.
Debbo dire, con sollievo che oggi, sull’assenza del piano pandemico qualcosa si muove, gli
“scemi di Venezia”, scienziati che hanno valutato nell’ambito dei loro compiti gli errori nella
gestione della pandemia (così definiti da Ranieri Guerra, vicesegretario dell’Organismo Mondiale
della Sanità, per come emergerebbe e in discorsi che ancora portano in evidenza il ruolo dei segretari
plenipotenziari dei ministri, nella specie di un Ministro della salute che resta al suo posto ma non
rimuove i segretari/funzionari infedeli), hanno influito e portato ad un segmento di accertamento
penale, le omissioni emergono, le false informazioni vengono contestate. E anche scandalosi acquisti
cominciano ad essere valutati, peculati e corruzione, qualcosa si muove.
Oggi, che muoiono ancora da 300 a 500 persone al giorno, potevano essere vaccinate e salvate
vite umane con la diligenza nell’acquisto dei vaccini e una minima intelligenza nell’usare gli
ospedali, le farmacie e la rete dei medici di famiglia per effettuare le vaccinazioni? Marginalmente
si è distrutta una economia? Marginalmente quanto denaro pubblico è stato speso, e negli appalti
milionari, secretati, ci sta del marcio? Ci sono responsabilità politiche enormi, anche penali, ma la
cosa più grave che oggi la parola responsabilità sia diventata un tabù, come se lo scudo
dell’immunità politica sia diventata, non scritta, una religione di Stato.
Parte dell’opinione pubblica ha comunque denunziato le “anomalie” nella gestione della crisi.
Qui veniamo al punto.
Talvolta leggo con amarezza frasi che hanno il sapore della certezza, o anche solo della
speranza, come “Abbiamo presentato denuncia all’Autorità giudiziaria”, o “Ora interviene la
Magistratura”.
Le denunzie sulla gestione della crisi, come sulle deviazioni della magistratura, hanno un
interlocutore realmente terzo, e non di parte? In genere anche il semplice cittadino può scrivere e
denunziare i fatti ad una Procura che però, magari, avrà una diversa valutazione, se no sarebbe
dovuta intervenire d’ufficio. Poi si può scrivere al Presidente della Repubblica. Essenziale ultima
istanza, ma su un fatto penale - giustamente rispondono i giuristi - il Colle non può interferire.
Restiamo seri, non si capisce ciò che non si vuol o può capire. La gente scrive ancora
monografie e denunzie chilometriche e non si chiede se il proprio scritto vada prima valutato nel
contesto socio-temporale in cui si inserisce, se il destinatario cui indirizza le sue denunzie fa o meno
parte del mondo denunziato. Abbiamo un giudice a Berlino per i politici della stessa aria? Abbiamo
un giudice per il CSM? Abbiamo un giudice per le correnti?
Sarà che sono siciliano, e già questo mi porta a guardare le mille facce della realtà.
Siamo la terra di Pirandello, sappiamo che, volti e realtà, sono uno, mille, centomila.
Sappiamo delle maschere, sappiamo con Bufalino cosa sono le menzogne della notte.
Abbiamo una fatalità araba, un orgoglio normanno, una diplomazia francese, una foga
spagnola ed i tanti volti delle mille occupazioni storiche.
Diceva Camilleri: “Abbiamo il sangue di 13 dominazioni. Noi siciliani, abbiamo l’intelligenza
e la ricchezza dei bastardi”.
C’è chi, oggi, nel 2021 ancora è rimasto al regno della Magna Grecia, e scrive odi per eroi che
non trova, c’è chi sa assumere, ma solo come atteggiamento, la forma militare dei romani, c’è chi,
magari vecchietto ed incolto, ha capito tutto dalla vita.
E su tutto e tutti riecheggia la frase del povero Renzo, dei promessi sposi, che il Manzoni
dileggia amaramente un po’, facendogli dire, ma smentendolo, che “c’è giustizia alla fine in questo
mondo”.
Ma non è una semplice brutale aggressiva manipolazione? O ci sono handicap culturali di base?
Essenzialmente interessi o disinteressi politici ed economici, eccessi della tecnologia e del
modo di vivere moderno, hanno allontanato la gente prima che dalla politica, dalla cultura e spesso
dalla capacità di capire quel che avviene e di poter far valere la propria volontà.
C’è classe, c’è studio ma anche ci sono cause, concause e concorrere di elementi non collegati.
Decenni di televisione fatta di veline nani e ballerine hanno svuotato culturalmente la gente, internet
ed i telefonini, hanno determinato generazioni di videodipendenti. Giochi, Grande Fratello, Isole dei
famosi.
E contemporaneamente una scuola, anche con la demotivazione e frustrazione dei docenti,
sottopagati e sottostimati, che non dà più cultura e capacità di discernimento.
La civiltà occidentale aveva dei capisaldi, la filosofia greca e la cultura della democrazia ad
Atene, il diritto, con l’Italia patria del diritto a partire dal cd Codex Iustinianus, le Costituzioni, che
tutelano libertà, democrazia, cultura e tanto altro in Europa, e la religione, la Sacra Romana
Ecclesia. Ormai è tutto un po’ saltato, la cultura una sconosciuta, i diritti in nome del debito pubblico
e delle epidemie, molto contenuti.
E’ avvenuta la caduta degli dei e delle ideologie. Le nostre ingenue ideologie sessantottine!
Sono subentrati altri idoli, il Dio potere e il Dio denaro, i potenti a livello mondiale, i mercati,
il mondo bancario finanziario, la tecnologia e il globalismo, stanno cambiando tutto.
Parole di Falcone che fanno impressione, profetiche. Qui si innesta la marginalizzazione del
tema? Ci sono poteri autorigeneranti nei poteri deviati?
Che volete che sia Palamara, lo scandalo i giudici, parliamo a reti unificate di pandemia, di
morti, di positivi asintomatici, di vaccini, magari per una pausa vediamoci Sanremo e se no
prendiamo, come notizia ossessiva da passare per settimane a reti unificate, una madre che forse si
suicida con il figlio o cose terribili del genere, e il resto passa sotto silenzio.
Del resto qualcuno disse beati i poveri di spirito, preso malamente alla lettera, non ci sono più
bandiere, religioni, regole per il potere.
Povero Sallusti, ma non l’avevi capito? Palamara è un puntino nello spazio per la gran massa
della gente, addirittura anche per innumerevoli avvocati, che pur debbono lavorare con i giudici
“vincenti”, il problema della giustizia, anche per chi soffre le ingiustizie è tema sideralmente lontano.
Si può urlare allo scandalo, al lupo, al fuoco, siamo ciechi (Per me Saramago, con cecità, dice
tutto ciò che oggi andrebbe detto), annichiliti, rassegnati, non succede nulla.
Né si può pretendere che chi esercitando il potere ha creato questo sistema, se ne spogli o lo
rimuova. Si fa un po’ di dichiarazioni, si colpisce il solo Palamara, e niente cambia e deve cambiare.
La gente è rassegnata o non capisce o non gliene frega, chi potrebbe intervenire ha scelto il
modello e lo protegge. Si rifletta, si voleva abbattere Salvini, dice Palamara. E lo dice genuino,
mentre è intercettato. Torto o ragione che avesse, bisognava abbatterlo. Salvini, Berlusconi, non
importa. Se dei magistrati deviati possono diventare il braccio violento di una fazione politica
deviata, e se questa fazione può scegliersi il giudice, è la fine, la sovversione dell’ordinamento
giuridico.
Questo conta in assoluto, irrilevante e neutro il dato se da destra o da sinistra.
Se fosse stata la stessa battaglia, fatta dalla destra, avremmo giustamente gridato tutti, io per
primo perché lo faccio anche ora, al “colpo di stato fascista”, e le dimissioni avrebbero dovuto
partire dai vertici alle basi, l’Italia giustamente, sarebbe scesa in piazza, una rivoluzione.
E’ caduto il muro di Berlino ma altri muri non si abbattono.
Ma, al di là di questa copertura ideologica c’è ben di più.
Forse si può capire ricordando “mani Pulite”.
Ma non quella breve fase, direi soprattutto il dopo. Tutto è continuato, tutto è peggiorato.
Il potere deviato ha una forza, una capacità autorigenerante, una influenza su tutto e tutti, i
media, i cittadini succubi o elemosinanti dal potere o contigui o plagiati.
Cambiano modi, persone, ma niente è cambiato sulla corruzione.
E’ in gioco la vera tutela dello Stato da ogni mafia? Dalla corruzione? Da poteri segreti e
deviati?
Sì a tutto e probabilmente vado oltre Palamara. o semplicemente oltre ciò che ha deciso di
denunziare.
La magistratura è un argine contro la mafia, la violenza, i reati ma anche contro ogni eversione
e deviazione delittuosa dei poteri.
Le norme penali tutelano Costituzioni e ruoli degli organi democratici anche dagli attacchi
interni, si pensi - solo per esempio - che anche il Capo dello Stato è perseguibile per attentato alla
Costituzione ed alto tradimento.
Questo è quasi rimosso nella coscienza generale, c’è un certo appiattimento delle indagini in
basso, la corruzione sta divorando l’Italia, in modo da renderla un paese del sesto e non terzo mondo.
Tutto bene ma se i magistrati, che potrebbero intervenire e controllare, vengono scelti dai
soggetti da controllare è la fine.
Il problema più grave, è l’acquisizione di potere, anche con infiltrazioni e scambi con le
correnti, della politica sulla magistratura, non il contrario.
E partono tutte le ampie tutele politiche e del potere.
E solo don Chisciotte può credere di farcela, in realtà giudici ideologicamente vicini piacciono
e servono a ogni parte politica ma anche a ogni potere, visibile o meno che sia.
Le stragi strane, quelle definite di Stato, come dimostra anche l’esperto Sallusti, non hanno
insegnato niente. La strage di Borsellino e della sua scorta non ha insegnato niente. Eppure il povero
collega lo disse a chiare lettere, che la mafia, al massimo, poteva essere esecutrice materiale, ma che
gli assassini erano altri. E Falcone, se non lo disse, lo sapeva bene.,
La mafia è dove ci sono i soldi disse il mio conterraneo, i soldi sono nelle mani del potere, sono
i miliardi dell’Europa, i miliardi per rotelline e mascherine fasulle e posti letto a peso d’oro, ed ecco
perché, per tornare ai coraggiosi, non salvo quelli “che la mafia è una montagna di merda” e
guardano solo il piccolo mafiosetto di due euro.
Il mio terrore vero, il pericolo grave, che mi pare non si voglia vedere, è se il sistema delle
nomine clientelari, e l’asse politica tra deviazioni singole delle correnti e politici, possa portare
all’ultimo più grave livello di infiltrazione.
Non accadrà mai spero, ma è notorio che una qualche infiltrazione della mafia nella politica
c’è, come di ogni centro occulto di poteri. Se mai queste infiltrazioni arrivassero, come laici, al
Consiglio, e con un Consiglio a dire di Palamara, occupato a trattative spartitorie, si comprende il
rischio di nominare Procuratore della repubblica di una ipotetica “Mesopotamia” infestata dalla
mafia, non un impensabile colluso ma un semplice pavido che non lotti la mafia al posto del Di
Matteo o Gratteri, per come è stato,di turno?
Proseguendo la disamina sui metodi applicati, come entra la politica nella magistratura e nelle
sue scelte?
In quel sistema, le frange di persone, a ragione o torto, convinti di principi da salvare, si sono
- a sentire Palamara - alleate con i laici del Consiglio a loro omogenei. Ma io aggiungo che altri
laici si aggiungono ad altre frange.
Così l’asse, con la connivenza di chi godeva del mercato dei posti, anche di chi faceva solo
clientelismo e non politica, ha trovato sponde rilevanti.
Terrei conto, con il massimo rispetto per il ruolo del Capo dello Stato, che i Presidenti della
Repubblica, che hanno molti poteri, sono eletti da maggioranze politiche. Il Presidente della
Repubblica ha Segretari che hanno, di riflesso, un loro peso, d ed egli è il capo del CSM, il suo vice
- anche lui - viene eletto tra i laici politici.
Quindi il CSM, a prescindere di chi siano e chi abbia nominato il Presidente ed il Procuratore
generale della Cassazione (pure essi membri del CSM), trova già una guida “politica”, nel Vice
Presidente, ai suoi vertici. Per non parlare dei segretari della Presidenza che volevano, secondo
Palamara, decidere tutto sulle nomine e su cui è caduto il silenzio.
Del resto mi pare palese (a chi ha fatto leggere i dossier Davigo?) che non esiste fra Cristofaro
ma è possibile ci siano Innominati ed innominabili.
Con la legittima riunificazione e coordinamento tra giudici e laici ad essi contigui, appurata la
spartizione dei posti per correnti, e non per meriti, ecco lo spazio per una o più aree per incidere
nella scelta di posti apicali specie di Procura.
Gli effetti di cui parla Palamara sono una conseguenza inevitabile, giudici scelti da aree
politiche, con il rischio di essere omogenei a quelle aree.
Eppure il tema della Magistratura malata è ben definito, perché tanto pessimismo?
Non malata, infettata da infiltrazioni, compromissioni e metodi spartitori, a dire di Palamara.
Il corpo, sia pure di adepti delle correnti, è sano. Subisce o al massimo si adegua a questo
sistema insuperabile. Ma l’esito del caso Palamara giustifica il pessimismo, l’insieme delle forze e
del contesto lo giustificano di più.
Il tema è ben definito perché è sotto il sole che i rapporti dei segretari del Presidente della
Repubblica, dei laici politici (perché è previsto che lo siano) e dei giudici di correnti omogenee,
determinano un asse che può far prevalere, nella corruzione generale e assoluta per i posti, scelte
che privilegino appartenenza ed ideologia e non merito ed imparzialità.
E di conseguenza, e cosa gravissima, atteso il potere immenso dei Procuratori della
Repubblica, e dell’asse che si salda con altri poteri, in primis con la stampa, vi è il rischio che un
avversario politico possa essere distrutto da un solo giudice, che sia nominato perché
ideologicamente schierato e che, invece di fare giustizia, decida che Tizio o Caio vengano fermati.
O anche, e peggio, che corruzione, poteri deviati, mondi economici finanziari, per ipotesi
estremi, criminali, vengano lottati o meno. Tutto questo sarebbe un golpe strisciante, sarebbe
gravissimo, contro la Costituzione e la stessa democrazia. E lo ribadisco e scandisco, è un errore
grave, un errore democratico, tacere per questa fase storica di predominio di frange di sinistra.
Non solo perché il metodo è inaccettabile. Lo è perché anche una frangia conservatrice,
dall’altro lato e con gli stessi mezzi, lotta e fa sabotaggio del sistema.
Se dovessi cogliere una differenza mi sembra quest’ultima sia più tollerante con i politici in
generale e molto meno con gli indipendenti ed i giudici liberi, mentre la prima fa più battaglia
paraideologica. Ma così siamo al Pirandelliano “turno”, a chi tocca tocca.
Oggi concretamente, ove questa piaga avesse preso piede, rischia Renzi (salvo che sia
depotenziato politicamente), che ha danneggiato quell’asse che, nell’ipotesi Palamara, aveva scelto
Conte e aveva l’obiettivo, magari giusto, di eliminare il “lercio” Salvini.
Ma a chi vive nella paura del Covid, a chi ha fame e bisogno, a chi non legge libri, di tutto ciò,
della stessa democrazia importa poco e Palamara e Sallusti possono urlare alla Luna.
Hai più volte detto: lo si vedrà, che il “Re era nudo e nessuno lo voleva vedere”.
Oggi dico che abbiamo le prove che il Re è nudo e non cambia niente, nessuno pare capirlo.
Quello di cui parlo è un cancro (nella misura in cui siano sopportati disonesti e metodi
disonesti), oggi più silente e che non si vuol vedere e curare. Perché è prossimo al potere e il potere,
di qualsiasi colore. non si tocca, e in più si sono aggiunte scuse “paramorali e paraideologiche”
come accennate, per conservare l’esistente e non cambiare nulla.
Ma i pericoli che una parte di magistratura malata continui ad operare stanno nel modo come
essa può incidere, a cagione dei pur pochi che calpestino le regole di imparzialità, sulla società e
sullo stesso sistema democratico.
Da taluno, da tempo immemorabile, si sostiene con un minimo di facile intuizione ma con
forte genericità, di un partito di giudici, di giustizia ad orologeria. Affermazioni così hanno in sé zero
valore, sospetti, proteste abituali di chi è colpito, e tesi indimostrata. Oggi ci sono prove, e prove di
altro, ma nessuno tira le somme.
Neanche per evitare altri casi di vittime prescelte e ogni commistione di poteri e deviazione del
sistema.
Si va sul notorio, in Italia uno dei pochi politici che ha dimostrato di sapere incidere e fare
politica, è Matteo Renzi
Bene, va detto ora, perché dopo sarebbe tardi, che Renzi sotto odio e denigrazione feroce,
definito da parte di stampa il politico più odiato, correrebbe un rischio con una proiezione dello
“schema Palamara".
Ma se si adegua al potere, se fa il passo indietro o di lato, si salverà. Ma ciò non ha senso, non
dovrebbe esistere.
In realtà non vi è un partito dei giudici, detto così è concetto senza senso. E' altro.
Le prove del caso Palamara dimostrano dei dati oggettivi, volutamente o assurdamente
ignorati: come detto, vi è una rilevante, ed istituzionalizzato, commistione tra pezzi di correnti della
magistratura, pezzi di politica e pezzi di istituzioni. Che oggi temo non amino Renzi. Ma forse può
stare sereno con l’arrivo di Letta.
Si creano centri decisionali, a cena, non nel Consiglio e quel che fa più male non è che il povero
giudice senza correnti non ottiene posti direttivi, schiacciato ed umiliato. Il grave è, sarebbe o
può essere, per quanto emerso dalle prove, che pezzi politicizzati di correnti, pezzi di politica
con aspetti di omogeneità con il credo dei giudici, e delle istituzioni, possano aver scelto
sistematicamente o in un solo caso i capi degli uffici, in primis delle Procure.
Non ne ho le prove e non sosterrò che sia così.
Ma sostengo che ciò, con le deviazioni palesate del CSM, è assolutamente possibile.
Il problema non sono i giudici che entrano in politica, il problema è se entrano per pregressa
affinità politica. Ancor di più, il problema sono i giudici che restano giudici ma fanno politica.
Il problema vero, assoluto ed evidente è se il rapporto tra correnti e laici politici e politici crea
decisioni fuori dal CSM e con scelte di capi ufficio omogenei politicamente.
Il problema è se le nomine delle Procure, dei capi, sia stato, anche parzialmente, infiltrato
politicamente.
Con responsabilità non, genericamente, dei giudici o di un assurdo partito dei giudici ma di
pezzi di correnti e di politici, e altissime connivenze, che, tradendo la Costituzione, si dividono il
cosiddetto potere giudiziario.
Il caso Palamara, complesso ma pieno di prove documentali, è stato una conferma della forza
delle istituzioni deviate, delle patologie che attaccano alla radice la Costituzione e la democrazia.
Sono emersi fatti gravi, ma tutto si è stabilizzato, la montagna ha partorito il topolino
dell’espulsione di Palamara, dalla magistratura: quattro dimissioni e indagini che non
sono dichiaratamente punitive (cit. Chinaglia presidente I Commissione disciplinare del C.S.M).
E' stato realizzato un miracolo giuridico perché il solo Palamara, a fronte di un sistema basato
necessariamente e nei decenni di tutta una struttura partecipe, è stato condannato in sede
disciplinare e coevamente messo sotto giudizio penale per altre piccolezze.
Palamara - questa è la risultanza - ha fatto tutto da solo. L’assurdità è evidente. Ma la gente
non è addentro e può bastare. Ma i miracoli e capolavori sono altri, per tutti la verità è che sono
emersi comportamenti non propriamente onorevoli di tanti Consiglieri e di tanti giudici, ma i giornali
- che costruiscono un’opinione pubblica acquietata - e la stessa gente ormai liquida il tutto con “fatti
tra loro giudici”, con al più una riduzione del già basso livello di credibilità.
Il massimo dell'approfondimento porta generiche valutazioni, senza reali soluzioni su dei
giudici che fanno politica.
Una volta si cercavano i colletti bianchi, il terzo livello, ebbene con i contatti del solo Palamara
esce uno spaccato che potrebbe andare ben oltre l’ultimo livello?
Fatti immediatamente precedenti appaiono in tale direzione. Tipico il caso del ministro della
giustizia che offre a Di Matteo il Dap ma poi revoca l’offerta per un generico non gradimento
di “qualcuno". Non esprimere il gradimento a Di Matteo, e nascondere la mano, oggi ha una valenza
unica. Neanche i malumori dei Boss, presi a oltraggioso pretesto (e poi da chi informati in una notte?)
hanno questo peso. La mafia, come la si intende, quella col “dominio del territorio” ancora richiesto
ed assolutamente superato, se si pensa al controllo militare, non ha questi poteri.
Ridimensionare Di Matteo è ridimensionare Falcone e Falcone fu ucciso. Del resto, per evitare
che sia una mera dichiarazione di impressioni del dottor Di Matteo, confluiscono nella stessa
direzione notori casi che, visti separatamente, non hanno allarmato, ma nel contesto attuale sono
troppo significativi e coincidenti.
Allora nascono tanti interrogativi. Gratteri non è stato voluto come ministro da Napolitano?
Da cosa scaturì il blocco del concorso del posto di procuratore di Palermo, dopo la commissione
che di fatto annullò la maggioranza in commissione del dottor Lo Forte?
Il dato è storico e specificamente sul punto oggi potrebbe essere superato.
Possibili interventi ai più alti livelli, me lo spiego così,
Interventi che si raccordano con quelle indicazioni ascoltate (frutto di intercettazione) sul peso
di taluni segretari della Presidenza dello Stato e in contesti relativi a “tavoli” per le nomine.
E che dire del ruolo di raccordo, e diretto, di alta incidenza del Vice Presidente del CSM,
politico, espressione della politica, della maggioranza, e con i consiglieri laici parimenti politici. Ciò
non solo potrebbe non essere in linea con la divisione dei poteri voluta dalla Costituzione ma anche
incidere pesantemente su linee politiche ed anche giudiziarie della magistratura.
Ed ecco che anche combattere l’opposizione non sarebbe per alcuni reato, ma in realtà straccia
la Costituzione.
Certo ci stanno i favoritismi di livello anticostituzionale, e i favoritismi di meri posti. Leggo su
giornali e chat, non ho atti. Ho verificato solo che l’attenzione si è spostata sui favoritismi ininfluenti
sull’assetto costituzionale. Quelle raccomandazioni che si vogliono poi derubricare a robetta, che
manco la vergogna morale passa. Il problema è se la linea giudiziaria viene deviata, non dettata, da
influenze di poteri che interferiscono sulle nomine. E questo non solo contro il nemico politico, ma
anche a proprio favore o a favore di circuiti di potere ed economici oscuri, sperando sempre che non
arrivi la mafia di alto livello ad incidere.
Ultimo livello?
Lo si può leggere come si vuole, il più alto di quelli che, esagitati come Sgarbi ma anche gente
che vi ha vissuto dentro, come De Magistris, chiamano sistemi criminali mafiosi o almeno metodi
mafiosi
Questo è il livello più basso in cui sia mai giunta la magistratura.
Nelle vicende umane non di rado il più alto incrocia il punto più basso.
L’unico livello certo, reale è quello del giudice che scrive, che se n’è andato dal sottoscala
dov’era confinato al primo livello di carriera, quello di inizio.
Capita, ma tra tanta brava gente, è anche un livello che resta a mediocri, inetti, non cacciati
con procedimenti disciplinari (perché non si caccia nessuno), inadeguati, messi male in qualche
modo. Un posto in Appello, magari una vita a latere non si nega a nessuno. Mai chiesto di stare a
latere.
Questo è l’ultimo livello, il più umile, quello delle beatitudini.
Ma il singolo conta poco. La difesa della Costituzione dovrebbe svegliare gente e coscienze.
I Padri Costituenti non ci sono più, dei partigiani neanche l’ombra, eredi di Berlinguer non
esistono e della questione morale che egli pose c’è un azzeramento se non peggio. Si individua un
nemico fasullo, si fa populismo generico di destra e di sinistra, e tutto passa sotto gli occhi disattenti
quando non impotenti della gente.
Il vero è che emergono frammenti di un nuovo mondo che non riesco a farmi piacere e dunque
è a me che toccava togliere il disturbo. Fatto.