Sei sulla pagina 1di 80

Lezione 20/09/21

Istruzioni del corso

Collaborazione Venturi/Tuzza

9 Novembre prima prova – Online 20 domande a risposta multipla e una domanda a risposta aperta (1 se
giusta, 0 sbagliata, quella aperta da 0 a 10) - 30/40 minuti

7 Dicembre seconda prova – Online su turni

Chi non ha almeno la sufficienza nella prima prova non può sostenere la seconda prova

Dopo il superamento di queste due prove abbiamo una terza prova – il libro di Matza come oggetto
d’esame – durante gli appelli ufficiali – prova scritta, no quiz ma domande a risposte aperte

Lezione

Di quali ambiti si occupa la sociologia della devianza? Cos’è la devianza?

Sociologia della devianza non significa criminologia. Primo obiettivo – capire come e perché si diventa
devianti. La devianza non sempre comporta negatività ma anche innovazione sociale.

Il nostro obiettivo è quello di comprendere come e perché si diventa devianti. Questo corso si occuperà
principalmente di aspetti di natura teorica che spesso vengono in qualche modo etichettati come noiosi,
astratti ed impalpabili, confinati in un mondo che non ci interessa. In realtà, dalla teoria noi apprendiamo
una serie di informazioni, quindi in questo corso ci occuperemo di aspetti che hanno un risvolto concreto.

Anche la teoria quotidianamente diventa parte integrante della pratica. Le teorie criminologiche hanno
ripercussioni nella quotidianità. Basti pensare, per citare degli esempi, le attività di polizia, che si avvalgono
di alcune spiegazioni di natura teorica o anche molto spesso l’opinione pubblica, le convinzioni rispetto
all’attribuzione di determinati comportamenti criminali. Molto spesso quando si parla di un
comportamento criminale lo si attribuisce a uso droga, crisi economica, famiglie disagiate, stili di vita
particolari. Si cerca di attribuire la causa e l’origine di condotte devianti o criminali a una serie di cause, fra
le quali anche influenze negative (il gruppo dei pari), soprattutto quando si parla di un target specifico,
come i giovani (influenze negative derivate dal contatto coi pari, uso smodato social, videogiochi).

La sociologia della devianza non è = criminologia perché include nello studio i comportamenti che vengono
definiti “criminali” ( ossia i reati, condotte previste e punite dall’ordinamento) e anche quelli devianti, che
non sempre ha una connotazione negativa, ma definibili come comportamenti problematici che vanno a
violare delle norme che non sono necessariamente di natura penale, ma che possono essere ad esempio
norme sociali. Nel considerare questi comportamenti problematici, questo allontanarsi “dalla via “ significa
anche considerare un determinato comportamento deviante in relazione a delle altre variabili ma possiamo
cominciare a considerare il comportamento in relazione al contesto sociale e il contesto culturale entro i
quali il comportamento si esercita. Una norma che viene violata in relazione ad un preciso sistema di
regole, un preciso contesto, anche semplicemente di tipo spazio – temporale. Un comportamento di oggi
può essere considerato come deviante rispetto al passato. Il discrimine tra deviante e criminale riguarda in
particolare il tipo di violazione:

- se violiamo una norma penale -> criminalità;


- se violiamo altre norme -> devianza.

Comportamenti problematici che non necessariamente rispecchiano un atto antigiuridico significa


occuparsi di problemi anche di natura sociale, ad esempio la tossicodipendenza, prostituzione, stili di vita
marginali, scelte di vita minoritarie ma anche forme di prevaricazione tra i pari. Quindi diverse connotazioni
che vanno a definire un comportamento deviante, quindi comportamenti che noi possiamo definire come
comportamenti problematici. I comportamenti criminali se ne occupa anche la s. devianza ma non in modo
esclusivo, perché è oggetto di interesse dei giuristi, che studiano e vanno a interessarsi di quelle che sono le
violazioni riconducibili all’ambito della criminalità (commissione di reati). Non solo, condotte devianti e
criminali possono essere oggetto di psichiatri, psicologi e in questo caso a cosa guardiamo? Guardiamo alla
volontà di questi professionisti di cercare di comprendere quelli che sono ad esempio i tratti della
personalità, disturbi di tipo psichico, cercare di comprendere i trattamenti più idonei, i disturbi psichici che
possono celarsi alcune condotte penalmente rilevanti. Questo tipo di condotte riguarda un interesse di
natura eterogenea che a loro volta riguardano ambiti di studio che nel corso del tempo hanno contribuito a
creare la disciplina della criminologia.

Uno degli obiettivi che ci si pone è riuscire a definire il deviante, colui che si allontana dalla strada della
conformità e cercare di comprendere perché, qual è la motivazione, l’origine di un comportamento
deviante. Perché decido di commettere una determinata azione? Per quale motivo si diventa devianti e
anche -> come reagisce la società, qual è la risposta delle istituzioni al comportamento criminale. Quindi, i
quesiti principali a cui tenteremo di rispondere sono:

- chi è il deviante, come e perché, - il deviante è colui non rispetta una norma di qualunque tipo, in
qualche modo tutti possiamo ritenerci devianti;

- come si diventa devianti

- la reazione sociale, reazioni che vanno a strutturare politiche di prevenzione, repressione di


determinati fenomeni

Anche perché, chi tra noi non ha mai commesso un atto deviante? Quello che dobbiamo ponderare è
l’entità di tale comportamento.

Quando parliamo di comportamento deviante abbiamo bisogno di una definizione sociale di un dato
comportamento in modo tale da cogliere la linea tra comportamento normale e quello deviante.
comportamento normale vs comportamento deviante rispetto ad un determinato contesto in cui valgono
norme, sia di natura penale che sociale. Prima si parlava di innovazione sociale che talvolta un
comportamento deviante mette in atto.

Da una parte ci occuperemo delle motivazioni individuali del soggetto deviante, dall’altra analizzeremo i
fattori sociali che possono concretizzare un comportamento di tipo deviante. Fattori sociali vs fattori
individuali che sono all’origine dei comportamenti socialmente definiti come devianti.

Come prima riflessione, perché gli individui infrangono le norme? Per quale motivo? Tre chiavi di lettura:

1) In modo semplicistico possiamo dire che il soggetto che mette in atto un comportamento deviante
lo fa razionalmente, quindi decide deliberatamente (volontariamente e liberamente) di
commettere un determinato reato ma anche un comportamento deviante. Io – soggetto razionale –
decido di agire – pur conoscendo a priori la natura dell’atto – SCUOLA CLASSICA
2) Altra chiave di lettura – si delinque perché si è influenzati da agenti esterni, esempio impulsi dettati
da anomalie genetiche – LOMBROSO – Scuola positivista. Egli faceva riferimento anche a
costituzione fisica, con apposite classificazioni. Chi è tatuato è deviante, le teorie lombrosiane
comunque arrivano alla fine del 900 e agli inizi di questo nuovo secolo ma al rifiorire di un nuovo
orientamento, quello neopositivista. Lo studio della persona fisica, del corredo genetico, delle
funzioni cerebrali non si è esaurito.
3) Altra chiave di lettura ulteriore – si delinque perché è il contesto sociale che mi influenza, che
determina la messa in atto di un determinato comportamento. Si tratta di impulsi che il soggetto
non riesce a controllare o contrastare e quindi in qualche modo si pone in una condizione tale da
diventare un non conforme. – TEORIE SOCIOLOGICHE E PSICOLOGICHE

Il deviante può essere influenzato da forze di varia sorta. Il nostro obiettivo è quello di capire perché si
decide di allontanarsi, creando un comportamento non conforme rispetto alla maggioranza e che talvolta
può divenire illegale. Un comportamento illegale che col contributo delle teorie sociologiche rappresenta la
necessità di riuscire a soddisfare un bisogno che può essere di diversa natura.

Quelle che vedremo insieme sono teorie di sociologia della devianza che ci aiutano, ci forniscono degli
strumenti interpretativi per riuscire a comprendere quelle che sono le condotte criminali. È utile al fine di
trovare adeguate soluzioni. Quando parliamo di un comportamento deviante, dobbiamo tenere presente
una serie di altre condizioni, una tra queste: quella del mutamento sociale. È il mutamento sociale può
determinare nuove forme di criminalizzazione e vittimizzazione che possono essere sempre diverse
all’interno del contesto sociale.

Nuove forme di reato? Nuove forme che sono rese possibili dal web, quindi: cyberbullismo, cyber crime,
adescamento e pedopornografia, il revenge porn (diffusione illecita di materiale sessualmente esplicito
senza il consenso dei protagonisti). Ultimamente trova applicazione all’art 612 ter, introduzione molto
recente, fa capo alla legge 69/2019. Quindi nuovi reati – mutamento sociale apportata in questo caso
dall’innovazione tecnologica.

Sappiamo anche che la criminalità può essere considerato come un contenitore gigante, all’interno del
quale possiamo trovare diversi comportamenti, es. criminalità informatica (furto identità, phishing)
criminalità economica, criminalità organizzata, reati predatori (furti, rapine, reati societari, legati a
particolari contesti “dei colletti bianchi” – Sutherland – autore che studieremo), reati contro la persona.

A proposito del mutamento sociale, un riferimento di natura teoria è Emile Durkheim. Egli definisce la
devianza un “fatto sociale normale” che consente alla società anche di aprirsi a quello che è il
comportamento sociale, includendo anche le nuove forme di criminalità (reati che prima esistevano ma
oggi non più). Quando affrontiamo le tematiche parliamo di natura teorica ma anche empirica al fine di
ottenere validi strumenti per contrastare e prevenire il crimine.

Per rispondere alla domanda centrale della s. devianza, abbiamo a disposizione diversi paradigmi
interpretativi che si fondano sull’analisi di condizioni, motivazioni ritenute alla base del comportamento
deviante. Spesso, come oggi accade, si cerca di dare la colpa a qualcosa. Quali fattori?

- Povertà
- Problemi economici
- Problemi di droga
- Ambiente di tipo sociale e familiare
- Trauma emotivo
- Influenza di cattivi modelli (i pari ad esempio)
- Problemi psichici
- Incapacità del sistema di contenere comportamenti devianti e prevenirlo

Questi fattori rispecchiano il serbatoio di conoscenze di cui disponiamo. Schematicamente:

1) PARADIGMA CLASSICO -> A partire dalla seconda metà del 700 si sono susseguiti una serie di
paradigmi interpretativi, il primo è il paradigma di tipo classico ritiene che il comportamento
deviante sia da ritenersi una libera scelta e razionale del soggetto, probabilmente a seguito di
un’analisi costi – benefici;
2) PARADIGMA POSITIVISTA -> Ferri (clima, ambiente, produzione agricola = elementi che influiscono
sul comportamento criminale) / Lombroso / recenti correnti di pensiero (analisi correlazione tra
fattori climatici e comportamento criminale) il comportamento criminale è qualcosa di
geneticamente indotto;
3) PARADIGMA SOCIALE ->
4) PARADIGMA NEOCLASSICO ->
5) PARADIGMA NEOPOSITIVISTA ->

Lezione 21/09/021

Oggetto del corso è riuscire a comprendere e capire le motivazioni del comportamento deviante, perché il
soggetto decide o meno, di delinquere. A seconda del periodo storico e ribadiamo la necessità di
contestualizzare le interpretazioni che vedremo, osserveremo lo sviluppo di interpretazioni teoriche
diverse. La prima di cui parleremo è quella inerente al paradigma classico, ci troviamo nella seconda metà
del 700 che si sviluppa una serie di approcci interpretativi. Secondo questo paradigma, il crimine è una
scelta di tipo razionale. Ci troviamo con la prospettiva classica, in particolare incontreremo C. Beccaria. Un
uomo dotato di libero arbitrio, razionale, che agisce sulla base di un calcolo costi e benefici. Egli è in grado
di contemplare rischi e benefici e quindi decide automaticamente di agire in un determinato modo.

Successivamente abbiamo il paradigma positivista, successivo a quello classico, è a partire dalla seconda
metà dell’800, vedremo che è importante valutare il contesto all’interno del quale questo paradigma si
sviluppa. In questo caso, ci troviamo di fronte ad un uomo delinquente (soggetto che commette dei reati)
che è diciamo mosso da una predisposizione congenita che può essere dovuta a diversi fattori. Vedremo
anche diverse aperture rispetto a fattori ambientali e sociali, però diciamo che per identificare in modo
univoco il paradigma è quello di trovarci di fronte a un uomo che ha delle carenze costitutive, proprie
dell’organismo, ieri si parlava delle tare congenite e ereditarie che spinge in qualche modo il soggetto a
delinquere. Vedremo nel dettaglio uno dei classici esempi è C. Lombroso, uno dei padri fondatori. Anche se
nel corso del tempo giungerà a rendersi conto (anche in seguito alle critiche) e rivedere i suoi studi, in ogni
caso egli rimane ancorato alla classificazione del delinquente, quale soggetto non dotato di libero arbitrio,
ma portato a delinquere da altre cause (derivanti da tare ereditarie o/e genetiche).

Dopo questo paradigma e in un periodo che per certi versi coincide (metà 800 fino al 900) parliamo di un
paradigma di tipo sociale. Facciamo riferimento a quegli studi che interpretano devianza e c. criminale
come un esito, come un risultato di alcune carenze, derivate dal contesto sociale di riferimento. È proprio
con questo paradigma che vedremo diventare centrali, i fattori sociali. In questo caso specifico, faremo
riferimento a studi d’autori classici: E. Durkheim, Merton, la scuola di Chicago, una serie di teorie di autori
che ci forniscono alcune informazioni rispetto alla condotta deviante o di chi delinque.

Successivamente a questo periodo (fine 800, anni 80 – 900) assistiamo alla riproposizione di vecchi
paradigmi che richiamano alcuni principi fondamentali delle scuole precedenti.

Il paradigma neoclassico che si sviluppa alla fine del 900 e nuovo secolo -> nuovamente ci si interessa a quel
soggetto che agisce deliberatamente che attua una scelta razionale e decide di comportarsi. Devianza come
scelta razionale significa anche parlare di responsabilità individuale, cioè del soggetto.

Sempre nello stesso contesto si sviluppa anche un altro orientamento, il paradigma neopositivista. Ci
troviamo a notevole distanza rispetto a Lombroso, non troviamo più chi ci dice che il tatuaggio è segno di
devianza, ma troveremo degli studi e autori che sulla base delle nuove acquisizioni relative alle
neuroscienze e genetica, propongono nuovamente l’idea di quella propensione naturale del soggetto, non
di tutti ma di alcuni, che a causa dei loro tratti peculiari, possono agire in modo non conforme alle norme.
Quindi ritorniamo un po' al passato, con un concetto ovviamente molto diverso rispetto al passato.
In questo corso in particolare, ci occuperemo dei primi tre paradigmi. Partendo da una riflessione
sull’attualità e lungimiranza di Beccaria arriveremo in modo graduale agli autori recenti e moderni. Nel
manuale di riferimento è dedicata una sezione intitolata psicopatologia forense. Cos’è?

Se facciamo riferimento all’origine al senso etimologico della parola PSICOPATOLOGIA, ci riferiamo ad una
dottrina che si occupa delle malattie mentali. In particolare, in modo molto elementare diciamo che la p.p.
forense si occupa del rapporto tra malattia mentale e l’attività giudiziaria.

Ci sarà capitato di aver sentito dell’esistenza di una perizia psichiatrica, la psicopatologia forense fa
riferimento ad una consulenza di tipo psichiatrico, quindi il soggetto è il criminologo psichiatra. Qual è il
compito di costui? Cercare di far conoscere in modo più approfondito che si trova in una particolare
condizione davanti alla legge.

Diciamo che in particolare nell’ambito professionale, lo psicopatologo forense, utilizza quello strumento
specifico (la perizia) per dare una serie di informazioni relative alla condizione di imputabilità – capacità di
intendere e volere del soggetto – capacità di scegliere e determinarsi; condizione psicofisica al momento
della commissione del reato – può esprimere un giudizio rispetto alla pericolosità sociale del soggetto, la
probabilità che si possa commettere ulteriori reati; esprimere un giudizio su quella che è la capacità di
partecipare a quello che è l’iter processuale. Il perito esprime una serie di pareri per aiutare a definire
alcuni elementi riconducibili a questo soggetto, in particolare facciamo riferimento alla perizia di tipo
psichiatrico. Esistono però altri tipi di perizia sempre in ambito giudiziario. Perizia -> Accertamento
esercitato da un professionista del settore. Altri esempi di perizia? Perizia necroscopica – autopsia ne è un
esempio, però quando parliamo di perizie in ambito giudiziario ci riferiamo al codice di procedura penale
art 220 -> l’oggetto della perizia riguarda il ricorso ad un esperto che ha delle competenze di natura diversa
(grafologo, medico legale, etc) per ottenere accertamenti. Per il perito psichiatra, riguarda l’accertamento
dello stato di mente e capacità di giudizio ma come fa il perito ad esprimere un parere (avvalorato dalla
competenza e strumenti che possiede) e stabilire determinate condizioni? Lo fa attraverso degli strumenti
di indagine e tecniche di vario tipo:

- Colloquio o test psicologici, tecniche proiettive, tecniche psicometriche (strumenti atti ad una
valutazione precisa rispetto al soggetto)
- Quello che si analizzerà è il rapporto tra condotte criminose e malattie mentali, in particolare si
analizzeranno alcune condizioni che tratteremo al momento opportuno

Ritornando al focus del corso, tra ieri e oggi dobbiamo capire il concetto/ consapevolezza rispetto al fatto
che i soggetti devianti si allontanino sia da norme sociali ma anche da norme di tipo giuridico. Noi
parleremo di comportamenti criminali, reati in senso stretto ma anche di comportamenti che riguardano
anche problemi di tipo sociale (prostituzione, tossicodipendenza), inoltre violazione di precise aspettative
sociali (aspettative relative al ruolo che un soggetto riveste nel contesto sociale di appartenenza). Da
quanto detto, una prima conseguenza fondamentale ma che non è mai inutile ripetere, una prima
distinzione fondamentale da fare:

- Devianza -> possiamo essere tutti devianti, perché va a definire un comportamento che si discosta e
allontana da una norma o da un sistema di regole che può essere di natura diversa: morale, sociale.
Implica anch’esso delle conseguenze che possono essere negative per il soggetto che agisce e che
riguardano delle reazioni sociali/sanzioni che possono influire sul soggetto. Pensiamo alla
stigmatizzazione di un soggetto che ha agito in modo diverso rispetto a quello che viene ritenuto
normale dalla maggioranza. Quando parliamo di devianza parliamo di un’infrazione delle norme
sociali, dei valori, delle aspettative di ruolo rispetto alla maggioranza dei consociati. È normale
considerare come conseguente una reazione, spesse volte di tipo sociale appunto.
- Criminalità -> Un complesso di azioni che è volto alla commissione del reato, il reato è definibile
come un atto antigiuridico, volontario e libero che va direttamente a ledere un interesse tutelato da
una norma penale (Sono poi possibili diverse sfaccettature). Si tratta di un’azione che ha delle
conseguenze, diventa punibile con delle sanzioni, dette pene.

Non sono sinonimi! Si tratta di una differenza in termini definitori che ha conseguenze e ripercussioni ben
diverse!

In un contesto in cui la norma è infrangere la legge, il deviante è chi segue la legge?

Bell’esempio, attinente alla criminalità organizzata, in cui appunto la norma è l’infrazione.

Il comportamento deviante, proprio perché va ad interessare contesti sociali, deve essere sempre valutato
(può essere valido anche per alcuni c. criminali) in relazione a determinate variabili:

- Contesto normativo specifico


- Particolare e determinato contesto sociale
- L’importanza di calare le interpretazioni in un determinato contesto storico – aspetto temporale –
momento storico

In verità esistono comportamenti devianti che determinano una reazione negativa quasi in tutti i membri di
una società, invece ce ne sono altri che anche se fanno riferimento ad un medesimo contesto sociale,
danno vita a reazioni sociali contrastanti. Per fare degli esempi, possiamo pensare a posizioni differenti
rispetto a determinati fenomeni. Esempio -> eutanasia, no vax/ pro vax, aborto, legalizzazione cannabis o
fumare marijuana, il gioco d’azzardo, l’evasione fiscale. Quindi, perché diciamo questo? Perché
naturalmente non tutti i comportamenti devianti vengono condannati, non hanno la medesima importanza
o valore attribuito.

Chi decide il valore dei comportamenti devianti? Può essere una decisione che riguarda una posizione
morale del singolo o qualcosa di condiviso collettivamente, esempio -> attraversare le strisce col semaforo
rosso, infrazione pesante o leggera?

Importante poi il principio dell’imitazione – G. Tarde – anche io attraverso la strada, anche se questo è
deviante. Interessante poi è un fenomeno di deresponsabilizzazione, se chi prima di me commette un
illecito e non viene punito, il peso della sanzione non si percepisce a pieno.

Esistono degli atti devianti stigmatizzati, disapprovati dalla maggioranza me ne esistono altri che lo sono
meno. Poi ci sono comportamenti devianti che coincidono col comportamento criminale.

Cosa ne conseguenze? Il concetto di devianza include ma non esaurisce il concetto di reato, in particolare
vedremo anche grazie ai contributi teorici che in particolare le teorie criminologiche valutano, assegnano
una certa importanza alle condotte devianti perché posso interpretarli come condotte prodromiche (che
anticipano) che possono favorire la commissione del reato, quindi diciamo che si tratta di spazi di
conoscenza che sono affini e vicini. Ci focalizzeremo anche sul comportamento deviante, perché la devianza
interessa anche a quelle teorie che vogliono spiegare le motivazioni dietro le quali si cela il compimento di
un determinato reato. Il nostro sguardo è di natura sociologica, quindi dobbiamo partire dal sapere
immediatamente che la devianza non può essere definita come una qualità intrinseca di una determinata
azione. Perché? Perché è un’interpretazione di un comportamento che non necessariamente è un’azione
ma anche un’espressione verbale. Questa interpretazione deve essere letta necessariamente da altre
variabili che ci aiutano a definire un comportamento come deviante o meno. Quali elementi?

- Ci riferiamo in questo caso ad uno specifico gruppo sociale


- Ci riferiamo ad un determinato contesto storico
- Ad un contesto ambientale
- Valutiamo elementi
Cos’è un comportamento normale? Come lo definiamo?

Domanda in aula- Chi decide che cos’è un comportamento normale? La connotazione di deviante, visto che
si basa sul distacco dalla maggioranza, non è correlata al gruppo dominante che decide cosa è deviante o
cosa no?

Questa risposta richiama i teorici dell’etichettamento, vedremo l’importanza del gruppo che stabilisce e del
gruppo che subisce.

Un comportamento normale è un comportamento che riproduce la conformità alle norme prevalenti in un


determinato contesto (sia di tipo sociale).

Altra possibile definizione – un comportamento è definito normale quando è il gruppo dominante a


definirlo

Normalità fa riferimento ad una circostanza specifica, ossia comportamento che viene adottato con
maggiore frequenza in una certa popolazione a determinate condizioni. È questo che è importante sapere,
a seconda del contesto sociale, culturale e temporale, un comportamento può essere ritenuto deviante o
meno. Esempio – indossare il velo in Marocco Vs indossarlo in Italia. In linea generale sappiamo che
l’organizzazione sociale è nutrita da norme di varia natura che vengono quotidianamente infrante e
l’infrazione di queste norme è devianza. Ci sono però comportamenti in cui è possibile riconoscere
supporto più che stigmatizzazione. Non esiste un elenco di comportamenti devianti, perché il deviante è
un’attribuzione di tipo soggettivo, che può espandersi o ridursi, anche a livello collettivo.

Possiamo definire la s. della devianza come una riflessione di tipo sociologico, che come oggetto il
comportamento deviante, ne studia le cause e le manifestazioni di tutti quei comportamenti che abbiamo
detto da ciò che la maggioranza/membri di un certo gruppo sociale ritiene utile, opportuno, necessario e
che determina delle conseguenze sociali e non. Questo è quello di cui si occupa la sociologia della devianza.
Restando nell’ambito della definizione di un comportamento deviante, possiamo fissare alcuni punti fermi
per una ipotetica domanda: definisci un comportamento deviante?

- In primis, un comportamento deviante è un comportamento che viola regole o norme dei membri
di un certo sistema sociale
- Per questo, dato che va contro un range, viene valutato negativamente dalla maggioranza
- Dato quello che abbiamo detto, ossia il comportamento deviante risulta essere un’anomalia
rispetto alla media dei comportamenti, poiché si discosta da quello che si ritiene consono. È un
comportamento che viola norme sociali che riguardano i comportamenti di ruolo

In relazione a quanto detto (viola regole e norme, discosta dalla media dei comportamenti accettati, altera i
comportamenti di ruolo) andiamo a definire ulteriormente il comportamento deviante. Per questo
dobbiamo valutarlo in relazione a:

- L’esistenza di un gruppo sociale, in cui si ha una definizione di comportamento normale


- Un corpus di norme, aspettative, credenze ritenute legittime dalla maggioranza (e quindi anche
rispettate poiché condivise)
- Il riconoscimento che questa violazione della regola determina una valutazione negativa da parte
della maggioranza. La violazione di queste regole – ossia valutazione negativa – deve essere
valutata anche in relazione ad una constatazione: il gruppo reagisce a questa violazione in relazione
a quello che è l’atto commesso. Reazione proporzionale alla gravità
- Un determinato atto deviante avrà delle conseguenze negative, porterà delle implicazioni negative
per il soggetto agente a seconda della gravità ma anche a seconda del tipo di infrazione posta in
essere (sociale, giuridica).
Quindi:

- GRUPPO SOCIALE
- REGOLE CONDIVISE
- VALUTAZIONE NEGATIVA
- CUI SEGUE REAZIONE
- REAZIONE DEL CONTESTO DI RIFERIMENTO CHE IMPLICA CONSEGUENZE NEGATIVE PER IL
SOGGETTO

Tutto il nostro discorso può essere diciamo ricondotto al punto che non esiste un atto intrinsecamente
deviante, non esiste un atto che di per sé è sistematicamente e universalmente deviante, anche se ci
sono dati comportamenti che talvolta coincidono col comportamento criminale. Esiste una definizione
sociale di ciò che è conforme e di ciò che è deviante rispetto ad uno specifico sistema culturale o
normativo. Esempio -> matrimonio tra consanguinei (un tempo accettato, oggi non più); delitto
d’onore; matrimonio forzato; spose bambine; divieto di fumare in luoghi chiusi (diverso rispetto al
passato);

Per valutare un determinato comportamento bisogna tenere conto anche di alcune condizioni, quindi
la relatività di ciò che è deviante, dell’ambiguità rispetto all’interpretazione di un comportamento, la
mancanza del consenso (rispetto alla legalizzazione della cannabis ma all’interno di un medesimo
contesto sociale possono aversi reazioni avverse).

Devianza significa in primo luogo riferirsi all’individuo, al soggetto che agisce, alla norma che proibisce
qualcosa ma anche al gruppo che rappresenta o rappresenterebbe la reazione.

Lezione 22/09/21

Riprendiamo il discorso sul concetto di devianza riprendendo da un discorso di ieri, in particolare


definizione del comportamento come deviante:

- Esiste un comportamento universalmente deviante? No, perché questo comportamento risente


della relatività, deve essere valutato in relazione alle norme e alle aspettative sociali. Dobbiamo
guardare a come viene giudicato un comportamento, in quanto quel determinato comportamento
può essere ritenuto deviante o normale -> prostituzione, definizione non univoca, risente del
contesto socio-culturale di appartenenza.
- Naturalmente le definizioni legali (ambito extra-sociale) sono lo specchio, riflettono in qualche
modo ciò che pensa l’opinione pubblica, diciamo che in qualche modo riflettono quello che è il
pensiero dell’opinione pubblica. Talvolta può porsi in disaccordo
- Altro aspetto -> ambiguità -> è difficile interpretare le aspettative rispetto al comportamento, es
attraversamento strisce pedonali con il rosso
- Mancanza di consenso -> possiamo vedere anche all’interno dello stesso contesto sociale non
sempre vi sono opinioni univoche, ma opinioni contrastanti

Quando parliamo di devianza ci riferiamo di un individuo – che agisce ed eventualmente infrange, il


secondo elemento che ci suggerisce quale comportamento tenere in virtù delle norme; il terzo
elemento riguarda il gruppo in cui questo comportamento si configura.

Questi tre riferimenti- relatività, ambiguità, mancanza di consenso- confermano la tesi che è molto difficile
definire un comportamento universalmente deviante. Per chiarire l’aspetto dei ruoli sociali e delle
aspettative possiamo fare diversi esempi. In relazione al ruolo sociale, un comportamento che può
considerarsi come deviante o come normale? Esempio -> Sparare (con la divisa agisce in modo conforme,
senza la divisa quindi non nell’esercizio delle sue funzioni si ritiene devianti). In questa circostanza, se
facciamo riferimento ad un soggetto che ricopre una carica di quel tipo è legittimato a farlo, può assumere
questo comportamento, nell’esercizio delle sue funzioni. In base al ruolo che ricopre nel contesto sociale
potrà agire in questo modo. Chi però non è titolare di un ruolo del genere, nell’esercizio delle sue funzioni il
soggetto sarà oggetto di riprovazione e sanzione. Cosa succede nel momento in cui, una persona non è
nell’esercizio delle sue funzioni? Lo stesso comportamento diventa punibile, quindi ruolo, aspettative sociali
e quindi dobbiamo comprendere il ruolo delle aspettative sociali. Abbiamo una qualificazione dell’atto da
leggere sempre in riferimento ai fattori culturali che possono mutare nel tempo e nello spazio.

Una delle definizioni che possiamo adottare da un punto di vista del contributo sociologico è quella di
Smelser che considera/ definisce un comportamento deviante come un comportamento che si discosta
dalle norme del gruppo e a causa del quale l’individuo può essere isolato o sottoposto ad interventi
correttivi e detentivi. Definiamo la devianza come una qualità che dipende dalle definizioni e dai significati
che vengono attribuiti di volta in volta dai membri di una comunità. Un altro autore che abbiamo già
menzionato e che rivedremo insieme è Durkheim (solidarietà organica, meccanica, anomia, fatto sociale
quali elementi principali) che interpreta la devianza -> 1893 Durkheim nella divisione del lavoro sociale
afferma che non bisogna dire che un atto urta la coscienza comune perché è criminale ma è criminale
perché urta la coscienza comune… inoltre :” non lo biasimiamo perché è un reato, ma è un reato perché lo
biasimiamo”. Egli propone una concezione relativistica del criminale, un comportamento che si ritiene
giudicato negativamente dalla maggioranza di una data collettività, quindi un comportamento che va ad
intaccare quelle che sono le norme condivise all’interno del contesto sociale. Non esiste un comportamento
deviante in se e per se ma oltre al contesto culturale, oltre al momento storico e contesto geografico,
possiamo dire che il comportamento deviante deve essere letto in funzione di un gruppo, il gruppo sociale.
Il gruppo di riferimento è importante perché riusciamo a distinguere il deviante dal conforme. Ieri si parlava
di questo, il componente di una banda criminale o di una banda di ragazzini che compie atti vandalici come
si relaziona rispetto al gruppo? Naturalmente il comportamento del singolo sarà ritenuto conforme rispetto
al gruppo, e difforme esternamente. Oltre al gruppo quale elemento cardine, dobbiamo considerare
anche un elemento situazionale, cioè uno stesso comportamento che viene definito deviante in una certa
situazione può non esserlo in un’altra. Un comportamento può essere soggetto a valutazioni di natura
diversa, in base alle definizioni sociali che riguardano una determinata situazione. Potremo pensare ancora
al verbo pensare oppure uccidere (es in guerra, oppure per strada un passante, quindi due situazioni
diverse). Pensiamo anche al limite di velocità in auto -> in centro urbano mi mantengo su un andamento di
50 km/h, al circuito non posso tenere la stessa velocità. Quindi in linea generale, qualsiasi cosa, perfino
l’abbigliamento e il linguaggio possono essere valutati positivamente o censurati a seconda delle situazioni.
A ciò bisogna collegare un passato molto importante che è quello del processo di socializzazione, mediante
il quale impariamo a comportarci in modo conforme rispetto al contesto in cui ci troviamo. In ogni società
abbiamo dei momenti istituzionalizzati, controllati ma anche momenti di destrutturazione della dimensione
situazionale. Ci sono ambiti circoscritti anche in ambito spazio – temporale dove le regole d’interazione
vengono messe in secondo piano (esempio la modalità ferie, in un momento situazionale e circoscritto
come quello di vacanza ognuno può concedersi una presentazione del sé diversa dal solito, un
comportamento che varia). Potremo anche chiaramente far riferimento alla vita pubblica oppure alla vita
privata (a casa comportamenti messi in atto non sanzionati, neanche di tipo sociale – un biasimo ad
esempio – assume una connotazione diversa in pubblico). Lo stesso comportamento pubblico o privato da
origine ad una moltitudine di significati. In relazione ai ruoli sociali, cominciamo a pensare per esempio
all’esistenza di una relazione tra DEVIANZA O CRIMINALITA’ E RUOLO SOCIALE -> esistono alcune infrazioni
o reati che possono essere strettamente correlati al funzionamento di certi ruoli. Per comprendere questo
passaggio facciamo riferimento a Sutherland, un autore che ci aiuta a comprendere come certi tipi di
devianza possano essere correlati a determinati ruoli o gruppi. Egli è noto per aver studiato, teorizzato,
fatto ricerca in un ambito particolare ed è noto per aver scoperto la criminalità dei colletti bianchi. Cos’è la
criminalità dei colletti bianchi? Grazie ad una ricerca egli comprende come la criminalità non fosse
esclusivamente legata a contesti di deprivazione, perché sappiamo che molte delle interpretazioni
precedenti ritenevano ci fosse una correlazione tra criminalità e disagio sociale, disoccupazione, povertà.
Sutherland scardina questo binomio portato avanti che vedeva l’associazione tra povertà e criminalità, non
è da escludere ma dobbiamo considerare l’esistenza della criminalità dei colletti bianchi (gente che
commette reati proprio in funzione della loro posizione, appartenenti a ceti sociali elevati, professionisti).
Esempio -> frodi fiscali, evasione fiscale, riciclaggio, crimini societari.

Facciamo alcune precisazioni:

Abbiamo detto che il reato riguarda una condotta che viola la norma penale, cioè una condotta che ha
come conseguenza delle sanzioni di tipo penale, ossia una pena inflitta al responsabile. In sociologia della
devianza diventa rilevante una distinzione che è tra reato strumentale e reato espressivo. Cosa intendiamo
con queste espressioni?

- Reato strumentale -> reato che ha come obiettivo e scopo quello di ottenere un vantaggio (es
economico, benefici di altro tipo). Indica una funzione nella quale la componente razionale è
fondamentale, perché si agisce in vista di uno scopo – esempio furto, evasione, omicidio per certi
casi (riscossione di un’assicurazione o di un’eredità)
- Reato espressivo -> il dato razionale, la motivazione o obiettivo che ci si prefigge, l’elemento della
razionalità passa in secondo piano perché la razionalità è completamente annullata/offuscata da
un’emozione particolarmente intensa. Il reato espressivo è un reato che scaturisce da particolari
stati d’animo, da bisogni che diventano impellenti, impulsi incontrollabili. Qui non abbiamo
gratificazione, soddisfare un bisogno in cui il raziocinio viene offuscato. Esempio -> omicidio sotto
particolari casistiche;
- Situazioni in cui abbiamo entrambi i reati -> pensiamo comportamento di gruppo degli adolescenti
che sottraggono capi di abbigliamento firmato. Da un lato notiamo una nota strumentale, cioè
ottengo un vantaggio (giubbotto all’ultima moda), dall’altro per ottenerlo perdo il controllo e metto
in atto reati espressivi (riferimento a Cohen).
- Reato individuale o reato di gruppo -> esempio – reati associativi, quando parliamo di gruppo. Da
un punto di vista sociologico è importante tener presente questa distinzione perché suggerisce
analisi ed espressioni diverse rispetto a quello che può essere l’origine del comportamento
criminale. Reato di gruppo -> cospirazione, associazione di stampo mafioso e da delinquere. Tutto
ciò che non si compie come singolo
- Altra distinzione è quella tra reati comuni e reati propri -> Reato comune sono quei reati
commessi da tutti, da qualsiasi soggetto privato, reati propri commessi a carico di un pubblico
ufficiale. Il reato comune è un reato che tutti possiamo commettere, il reato proprio è commesso
da un soggetto che ha qualità particolari, esempio -> peculato, concussione, abbiamo come reo un
pubblico ufficiale.

In generale, nel codice penale noi troviamo il reato, per cui il riferimento è ovvio. Possiamo pensarlo come
a un grande contenitore che distingue al suo interno due diverse componenti: delitti e contravvenzioni che
si contraddistinguono per la pena inflitta. Per i delitti (reato di maggiore gravità)-> reclusione, ergastolo,
multa mentre per le contravvenzioni (reato di minore gravità) -> arresto e ammenda.

Multa e ammenda -> sanzioni di natura economica, l’ammenda prevede da 20 a 10 mila euro, la multa
prevede somme molte più ingenti che vanno da 50 euro a 50 mila, dunque somme superiori.

Noi ci occuperemo dei delitti, cosa sono i delitti? Nel nostro codice penale troviamo una sezione, quella del
libro secondo che elenca una serie di categorie che contemplano al loro interno diverse condotte che
naturalmente vengono aggiornate, per esempio -> il titolo VI bis che riguarda i delitti contro l’ambiente.

Dal momento in cui decidiamo di analizzare quelle parti che riguardano un evento criminale, dobbiamo a
guardare a diversi elementi. Abbiamo:
- Il reo -> chi commette il reato
- La parte offesa -> la vittima
- Le agenzie di controllo (forze dell’ordine, magistrature, a tutte le istituzioni preposte a un controllo
sociale di tipo formale) – norme ritenute legali
- Il pubblico (maggioranza non criminale della popolazione che invece può esercitare un tipo di
controllo sociale informale) – rispetto di norme ritenute conformi

Vincenzo cesareo 1974 -> il controllo sociale informale è l’insieme più o meno organizzato nell’ambito di
qualsiasi unità sociale delle reazioni formali o informali, coercitive o persuasive, che sono previste o messe
in atto nei confronti del comportamento individuale o collettivo, ritenuto deviante, diretto a stabilire la
stabilità sociale.

Il controllo sociale di tipo informale può diciamo essere esercitato attraverso delle diverse azioni,
comportamenti, atteggiamenti che sono ad esempio le ricompense sociali attraverso cui si premia la
conformità alle norme prevalenti (cenni d’approvazione, sorrisi), o di contro censure (disapprovazione
rispetto ad un comportamento) al fine di scoraggiare o interrompere il comportamento non conforme,
oppure ancora si può mettere in atto la persuasione, ossia cercare di riportare sulla retta via, verso la
conformità alla norma ma c’è anche una ridefinizione delle norme connesse al contesto culturale. Parlando
di controllo sociale informale e facendo riferimento a Crosby, riconduce 4 tipi di diversi tipi comportamento
del controllo sociale informale:

- Ricompensa
- Censura
- Persuasione
- Ridefinizione norme

Il controllo sociale formale è una reazione stabilità per legge, operata da magistratura e forze dell’ordine. La
funzione precipua di questo controllo qual è? Il rispetto delle norme, garantire conformità alle norme. Se
pensiamo ad alcuni esempi, il processo di costruzione del comportamento deviante varia (pensiamo ai
delitti a seconda delle circostanze il diritto si aggiorna, abbiamo parlato di mutamenti socio – culturali,
quindi norma tutela che specifica e tutela nuovi beni). Definire varie forme di devianza significa disporre di
un set di strumenti/variabili. Come dicevamo ieri non esistono comportamenti universalmente ritenuti
come devianti anche se ci può essere una condivisione però non c’è una definizione esaustiva del deviante
o del conforme. Naturalmente ciascun gruppo di riferimento, pensiamo la famiglia – amici – università
pongono richieste di tipo diverso. Esistono del resto norme specifiche in relazione a tutti i contesti che noi
quotidianamente frequentiamo.

Per concludere il discorso sulla devianza, questa certamente è una chiusura idonea al percorso che
abbiamo fatto insieme e quindi partiamo con la consapevolezza che il comportamento è unico, in base a
elementi di luogo, spazio, tempo, cultura, sociale può assumere connotazioni diverse ed essere definito
conforme o deviante.

PARADIGMA DELLA SCUOLA CLASSICA

Cesare Beccaria è certamente il primo riferimento da citare. Siamo nel 18 esimo secolo e nella seconda
metà del 700 abbiamo uno sviluppo rispetto ad alcune interpretazioni che riguardano in particolare la
criminalità e giustizia penale che appunto sono riconducibili all’orientamento della scuola classica. Vedremo
la contrapposizione tra orientamento della scuola classica e orientamento della scuola positiva. Il primo
contributo di cui parleremo è quello legato ad un contesto storico particolarità, perché ci troviamo nel
contesto dell’illuminismo, in cui diritto e giustizia furono interessati da profondi ed importanti
cambiamenti. Abbiamo un passaggio significativo, da una visione medievale della pena (tortura) ad una
visione razionale della pena. Beccaria parlerà di una pena dall’effetto deterrente, quindi ci troviamo in un
momento storico (illuminismo quale movimento intellettuale) che vede un’evoluzione in relazione a idee
che riguardano sfere importanti, come scienza, politica, religione, filosofia, un’evoluzione certamente
importante. Oltre ad essere un periodo della storia particolare, si contraddistinguono correnti filosofiche il
cui obiettivo è quello di rischiarare le menti dall’oscurantismo, dalle superstizioni, dall’ignoranza, un
progetto piuttosto ambizioso. Rischiarare le menti degli uomini per liberarli dai fardelli che offuscano la
conoscenza e quindi ostacolare il sapere scientifico. Perché la scuola classica diventa oggetto, tappa da
affrontare quando parliamo di sociologia della devianza? Parliamo di un contributo non sociologico,
parliamo di un contributo che riguarda un movimento riformatore del diritto e del sistema penale, perché
queste idee sviluppate dalla scuola classica hanno risvolti pratici anche in epoca contemporanea. Il
contributo interessa la s. della devianza per la concezione del reato e per l’idea di pena che viene sviluppata
all’interno di questa scuola. Abbiamo il reato, la pena e l’uomo posto di fronte alla legge, uomo che viene
interpretato come soggetto libero, razionale, in grado di valutare le conseguenze delle proprie azioni. Gli
esponenti maggiormente rappresentativi sono: Beccaria e Bentham (1738 – 1794; 1748 – 1832). In cosa
sono accomunati? Entrambi si opponevano all’arbitrarietà, l’oscurantismo del sistema penale dell’epoca,
avevano diciamo un obiettivo completamente diverso, perché abbiamo detto che è già un pensiero il loro
assolutamente lungimirante. Con Beccaria una delle idee è quella del rispetto dei diritti umani, il rifiuto
della tortura e pena di morte. Ci danno una serie di informazioni che potesse essere basata sul rispetto dei
diritti umani. L’eredità del periodo precedente è quella di un sistema penale che potremo definire crudele,
diciamo che l’assunto principale portato avanti da questa scuola è che le azioni dell’uomo sono rette da un
principio di razionalità pertanto è libero di scegliere se rispettare o trasgredire le norme, in base
ovviamente ai propri interessi. Secondo questa visione il crimine può essere letto come un’opportunità di
azione. Questo paradigma oltre che paradigma classico si definisce anche come paradigma della scelta
razionale, quindi una scelta di un soggetto agisce per ottenere un beneficio, agisce calcolando costi e
benefici delle proprie azioni (derivanti dalla commissione del reato/ sanzione penale corrispondente).
Questa è una chiave di lettura che persiste nel tempo, che attraversa i secoli e giunge a noi e che si riferisce
a comportamenti non conformi di tipo soprattutto strutturale.

Lezione 27/09/21

Per rispondere al quesito del perché si diventa devianti facciamo riferimento a paradigmi ben specifici. Il
primo che incontriamo è quello della scuola classica. Un po' di ricordi derivano da studi precedenti rispetto
a quello che è il contesto di riferimento. La volta scorsa facevamo riferimento al periodo. Abbiamo detto
che per qualsiasi tipo di interpretazione, spiegazione è importante riuscire a contestualizzare bene il
momento storico. Ci troviamo nel 18 esimo secolo, seconda metà del 700, quando iniziano a svilupparsi
delle interpretazioni che ci riguardano da vicino perché relative alla criminalità e alla giustizia,
amministrazione della giustizia. Tema questo per Beccaria molto vicino, che dedica una serie di capitoli. Il
primo contributo è relativo al contesto illuministico. Senza addentrarci troppo, ci basti per il momento
ricordare che si tratta di un movimento ideologico, intellettuale che ha al centro uno sviluppo
particolarmente vivace, di una serie di idee che riguardano sfere della società importanti: religione, politica,
economia, politica. Quindi un movimento che rinnova di fatto rispetto a quello che invece riguardava il
passato. È un movimento riformatore. A noi interessa in particolar modo, perché questo sviluppo si
interseca con temi per noi importanti, cioè diritto e sistema penale. L’altra volta dicevamo che i principali
esponenti della prima scuola sono Beccaria e Bentham. Facciamo una breve parentesi rispetto al pensiero
di Bentham per comprendere come le idee abbiano avuto una corrispondenza nella pratica. J. Bentham è
spesso ricordato per una riforma relativa al sistema penitenziario, in particolare all’architettura del sistema
penitenziario, il panopticon. Quest’idea alla base del progetto, che mira a modificare la struttura
precedente nasce per l’interesse per i problemi che da sempre in modo diverso affliggono il sistema
penitenziario. B. sotto l’influenza di Beccaria sviluppa un sistema di idee che costituiscono i capisaldi di
questa scuola. In particolare, il panopticon ideato da Bentham riguarda un peculiare disegno architettonico,
un tipo di prigione che ha al centro una struttura di controllo centralizzata e che diciamo si fonda sull’idea
del vedere senza essere visti, sorvegliare costantemente qualcuno, in questo caso parliamo dei detenuti, da
una postazione centrale. Detto altrimenti, B. è spesso collegato alla figura del panopticon, una riforma del
sistema carcerario che si sostanzia in una postazione di controllo rivolta al maggior numero di detenuti. Ci
sono stati degli esempi di costruzione di questo tipo, anche in Italia abbiamo avuto un modello di carcere
ispirato a questo modello (1795 data di costruzione), nelle isole ponziane, dismesso nel 1965. Vediamo il
concretizzarsi di queste riflessioni che partono da lontano. La volta scorsa dicevamo che principi alla base è
il principio della razionalità e principio della dignità umana, quindi diritti umani. Nonostante l’epoca, è
molto innovativo questo esempio. Ci sono s

Partiamo considerando innanzitutto come fondatori della scuola classica Beccaria e Bentham, che si
oppongono a quel sistema connotato da arbitrarietà, ingiustizie, da un uso non condiviso non solo della
tortura ma anche pena di morte. È una scuola che si concentra prevalentemente sulla definizione di ciò che
è criminale e ciò che non è. Si concentra sulla definizione legale del concetto di criminalità. Ci troviamo in
un contesto storico culturale connotato da modifiche importanti, illuminismo, ambito demografico,
innovazioni a tutto tondo. Vediamo in primis un cambiamento nella struttura sociale che è dato dal fatto
che l’aristocrazia viene soppiantata dalla classe borghese, la classe simbolo dell’illuminismo. È un periodo
che vede un forte aumento di popolazione, correlato a quelli che sono dei progressi (medicina, scienza,
tecnica) e cambiamenti del mondo artistico e culturale. Questo contesto sociale fu quindi influenzato dalle
idee dell’illuminismo, che nascono soprattutto in Inghilterra e Francia per poi diffondersi (700, primi
dell’800). Vedono l’interesse e la prevalenza di temi quali: democrazia e circolazione del sapere, supremazia
della ragione e uso della ragione stessa.

Arriviamo al nostro primo interlocutore, Cesare Beccaria, il principale esponente dell’illuminismo italiano.
Un autore che è espressione stessa di quest’epoca, del movimento del pensiero illuminista, che pone al
centro della sua riflessione il primato della ragione, l’uguaglianza dei cittadini a fronte della legge, il divieto
della tortura. Egli si forma in un ambiente altamente intellettuale (casa dei fratelli verdi), dove a fronte di
una constatazione -> condizione in cui versa il diritto penale, caratterizzato da errori giudiziari, da una
sproporzione nelle pene, da una crudeltà delle pene (torture e abuso), tutta una serie di falle nell’iter
processuale (incertezza delle prove e indizi) che rendono tutto più complicato. In seguito a questa
riflessione che beccaria viene in qualche modo designato ad approfondire questo tema, che confluirà nel
libro “Dei delitti e delle pene” 1764 – Livorno. Questo fu un volume di poche pagine ma molto ricche di
contenuto e significato che fin da subito ebbe significato (anche fuori dall’Italia). C’è una diffusione veloce e
molto rapida rispetto anche al contesto internazionale. Ma perché questo libro rappresenta, ottiene un
grande successo e rappresenta un riferimento così importante, a prescindere dai contenuti? Questo libro,
nel corso del tempo ha avuto successo perché rappresenta la prima vera trattazione che riguarda il diritto e
procedura penale. Poi non solo in termini di contenuti ma anche per lo stile, particolare, semplice,
persuasivo ed incisivo il libro si è distinto. Il testo è in grado di esprimere un carattere assolutamente
rivoluzionario, viene visto come una vera e propria contro i pregiudizi prevalenti nell’epoca. Innanzitutto,
cominciamo a vedere alcuni elementi centrali in questo testo. Come già del resto anticipato, si tratta di un
libro che esprime, descrive una precisa figura di riferimento. Ha una precisa visione di un uomo che è
razionale, un essere libero, dotato di libero arbitrio e che è un soggetto in grado di discernere e calcolare le
conseguenze delle proprie azioni. Diversamente potremo dire che si tratta di un soggetto che agisce
soprattutto al fine di ottenere dei vantaggi che traduciamo in termini di benefici. È un soggetto che è in
grado di soppesare costi e benefici delle proprie azioni. La sfera di nostro interesse è quella del diritto
penale, perché strettamente collegato ai temi di cui ci occupiamo e in questo contesto il d.p. viene
interpretato l’unico ambito che definisce il reato da ciò che non lo è. Perché questo? Perché bisogna
assolutamente evitare di lasciare all’arbitrio personale, alla discrezionalità del giudice o addirittura ai
capricci di chi detiene il potere stabilire cosa è il reato e cosa non lo è. Beccaria dice -> bisogna a priori
stabilire dei codici, il diritto uguale per tutti, all’interno dei quali possiamo trovare dei delitti già definiti e
pene stabilite in precedenza. Quindi a ciascun delitto corrisponde la pena, il soggetto agisce ma sa della
presenza e della validità dei codici. Di conseguenza, una delle riflessioni centrali che oggi vedremo da più
punti di vista è quella della pena. È centrale la riflessione sulla pena, al centro dell’impianto teorico.

La pena per Beccaria dev’essere: con funzione di prevenzione e deve avere una funzione deterrente, non
capitale ovviamente, rieducativa, in grado di rispondere alla scelta razionale agita dal soggetto, deve
implicare un danno maggiore rispetto ai benefici che l’uomo ha ottenuto.

Cosa vuol dire deterrente?

- Significa cercare di distogliere dalla commissione di una determinata azione (sfera di diritto penale)
per il timore della punizione. Deterrente significa che ha il potere di trattenere l’uomo dal compiere
una determinata azione, perché appunto in qualche modo è connesso alla certezza della pena,
quindi se sono sicuro di ricevere come conseguenza del comportamento una pena, la paura fungerà
da freno rispetto alla mia scelta. Per raggiungere questo obiettivo, per avere un effetto deterrente
della pena, questa secondo Beccaria deve avere alcune caratteristiche:
- Prontezza -> vuol dire che al reato deve seguire immediatamente una sanzione, dev’essere celere,
immediata.
- Infallibilità -> alla violazione di una norma penale deve corrispondere sempre una pena
- Certezza -> la certezza invece fa riferimento al fatto che questa pena, pronta e infallibile, debba
essere anche scontata per intero
- Dolcezza -> sembra discordante, in realtà si inserisce bene nel pensiero. Significa che le pene
devono risparmiare inutili sofferenze ai condannati.

Perché collochiamo la scuola classica al suo contesto storico? Per comprendere le influenze di questi autori,
queste influenze si riverberano in quella che è la loro produzione. In particolare, ci riferiamo al fatto che in
questo momento storico, si affermano anche una serie di concezioni filosofiche e nuovi valori che vanno ad
interessare il tema trattato anche da Beccaria. Quali sono queste concezioni?

- La teoria del contratto sociale -> il contrattualismo prende le mosse dalla teoria del contratto
sociale. In particolare, ci riferiamo a Hobbes. È una teoria che vede lo stato come il prodotto di un
contratto sociale. Questa teoria è la dottrina del contratto sociale e prevede quello che viene
definito un patto tra governanti e governati. In questo patto cosa si stabilisce? Ogni uomo deve
rinunciare a una parte dei propri diritti e parte della propria libertà per ottenere in cambio
sicurezza.

È un passo che rappresenta un’evoluzione perché la teoria del contratto sociale nasce dalla
dissoluzione della società medievale. Gli uomini, per ottenere garanzia di sicurezza, per evitare quello
stato di guerra in cui l’altro è visto come nemico, rinunciano alla loro libertà e si sottomettono al
Leviatano. Il Leviatano compare come creatura marina nella Bibbia ma in questa sede è metafora dello
stato. Anche per Beccaria avviene esattamente questo, per cercare di ottenere sicurezza e libertà che
consentono di evitare quella situazione tipica dello stato di natura riassunta dalla massima “Homo
Homini Lupus”, quella condizione che riporta l’uomo allo stato di natura e quindi un contesto in cui
ciascuno è nemico. Per questa teoria e per Beccaria, per cercare di evitare di ricadere nello stato di
natura è necessaria la sanzione, fare un po' di ordine, è necessario da parte dello stato punire,
sanzionare dei comportamenti che possano destabilizzare quest’ordine, al fine di preservare questo
equilibrio come conseguenza del patto. la pretesa punitiva dello stato si giustifica in termini
contrattualistici. La porzione di libertà, quella rinuncia da parte dei cittadini, serve per uscire dallo stato
di natura e per entrare in una condizione diversa che è quella della società. Questa condizione consente
allo stato quel diritto – dovere di punire il soggetto per il male che ha recato alla società. Quando in
qualche modo quella libertà viene minacciata lo stato ha il diritto di punire nei confronti di chi ha posto
la minaccia.
- L’utilitarismo -> fa pensare a Bentham, perché è lui che forma un principio alla base di questa
concezione filosofica e formula quel principio fondamentale in base al quale è utile tutto ciò che ha
come conseguenza la più grande felicità per il maggior numero di persone. Diciamo che Bentham in
realtà sosteneva che l’utilità del diritto si misurasse dal grado con il quale questo è in grado di
promuovere il bene, il piacere e la felicità del popolo. Diversamente, lo scopo di ogni legislazione
dovrebbe essere quello di raggiungere la felicità per il maggior numero di persone.
- L’edonismo -> Dal greco edone che significa piacere, fa riferimento a quella dottrina filosofica che
riconosce come fine dell’azione umana il piacere. Questa visione postula che gli uomini agiscono
per massimizzare il piacere e minimizzare il dolore.

Tenendo conto di queste influenze rispetto alla scuola classica, partendo da riflessioni che richiamano
queste tre influenze, con questa scuola ci troviamo di fronte a una concezione del crimine come ente di
diritto e non come ente di fatto. Cosa vuol dire? Vuol dire che è reato tutto ciò e solo ciò che è previsto
dalla legge, che la legge definisce come tale. Ci troviamo di fronte ad esseri razionali e dotati di libero
arbitrio e quindi esseri razionali nei confronti dei quali l’azione giudiziaria e penale necessita di importanti
revisioni. Di importanti revisioni per ridurre l’arbitrarietà del giudice, ridurre l’eccessiva discrezionalità dei
giudici. Secondo Beccaria si può determinare le leggi a priori e stabilire precise regole da seguire per ciò che
riguarda l’iter processuale, cioè vuol dire che per esempio le procedure di imputazione e condanna devono
essere anch’esse stabilite per legge. Quindi dobbiamo avere un corpus di leggi che definisce a priori legge e
pena e dall’altra abbiamo un codice che ci dice come è giusto procedere. Quindi, crimine ente di diritto e
non di fatto. Uomini ed esseri razionali che diciamo sono anche riconducibili all’idea di una natura umana
che è connotata da edonismo, quindi diciamo che l’uomo che può scegliere di soppesare costi e benefici è
rapportata alla legge che tutela gli individui, proteggere la società e ha il compito di prevedere una pena
che per Beccaria deve avere una funzione deterrente. Beccaria intende la pena in funzione deterrente
rispetto al comportamento criminale. La pena non è vendetta ne da parte dello stato ne da parte delle
vittime, ossia gli offesi. Proprio in virtù di quei principi, la pena deve avere la funzione di riequilibrio, cercare
di ripristinare l’ordine compromesso dalla commissione del reato. Quindi abbiamo già detto che la pena
oltre ad avere la funzione deterrente ma anche preventiva. La funzione di prevenzione si assolve sotto una
duplice funzione. Sia all’individuo che ha commesso, sia rispetto ai consociati. Noi possiamo contemplare
due accezioni di deterrenza:

- Speciale o individuale -> si applica a colui che si è già macchiato di un reato, con l’obiettivo di
evitare la reiterazione della condotta. Quindi cerchiamo di prevenire la condotta futura di un
soggetto che si è già macchiato di un reato, ha già subito una pena.
- Deterrenza generale o sociale -> assolve ad un altro obiettivo, qui vogliamo in qualche modo
informare il resto dei consociati. Significa che questo tipo di deterrenza serve da monito per far
conoscere le sorti di una condotta penalmente rilevante. Significa che funge da monito per i
potenziali criminali e per gli altri. In questo secondo caso bisogna far comprendere ai potenziali
criminali e rei, che la commissione del reato non comporta alcun guadagno del criminale ma porta
solo a conseguenze negative.

Sempre per quanto riguarda la funzione della pena, che ricordiamolo per la scuola classica deve essere
preventiva e deterrente, l’effetto deterrente della pena dipende da due aspetti:

- Celerità -> abbiamo già in qualche modo menzionato quando abbiamo parlato di prontezza. La
celerità riguarda la velocità con la quale una punizione si applica. Il lasso di tempo tra
commissione del fatto reato e l’attuazione della sanzione. Più sarà immediata, pronta e certa la
pena, tanto meno, nell’idea di Beccaria, la norma viene violata
- Certezza -> tema molto attuale. Dicevamo che significa punizione certa (ancora oggi) e scontata
interamente per ciascun reato commesso. Quindi se da una parte abbiamo il riferimento
all’intervallo di tempo tra reato e sanzione, qui ci riferiamo alla probabilità di essere puniti.
- Severità -> approfondita e sviluppata più in là dai teorici della deterrenza (900). Concetto che viene
inteso come quantità di dolore da infliggere. Per i teorici della deterrenza sarà fondamentale
questo aspetto da prendere in considerazione, perché maggiore sarà il dolore più alto sarà il valore
deterrente della pena. Quindi in questo caso ci riferiamo al grado dell’intensità della pena che viene
inflitta.

“uno dei più grandi freni dei delitti non è la crudeltà delle pene ma la infallibilità di esse. La certezza di un
castigo, benchè moderato, farà sempre maggior impressione che non il timore di un atto più terribile
accompagnato dall’impunità. Perché i mali, anche se piccoli, spaventano sempre gli esseri umani”

In questa citazione ritroviamo alcuni aspetti di Beccaria.

Per Beccaria e Bentham le dimensioni da tenere in considerazione per la pena sono solo le prime due,
perché possiamo avere con certezza l’effetto di deterrenza. Da una parte intervallo di tempo, dall’altro
probabilità di essere puniti. In realtà, da una riflessione che possiamo fare insieme, è importante
interrogarsi sulla funzione di deterrenza oggi. In particolare, riguardo alla terza dimensione della pena, ci
riallacciamo per fare riferimento ad un altro elemento centrale del pensiero di Beccaria, ossia la tortura.
Abbiamo detto da subito che B. si opponeva alla tortura, da interpretare quale strumento volto a un preciso
scopo: estorcere confessioni, ottenere informazioni. Diciamo che B. non si opponeva solo alla tortura e
pena di morte ma anche alla carcerazione preventiva. In particolare, rispetto alla tortura e pena di morte, la
domanda da cui prende spunto B. è -> quale può essere il diritto che si attribuiscono gli uomini di vedere
trucidati i propri simili. Beccaria sosteneva che nessun cittadino ha il diritto di togliersi la vita e quindi
nessun uomo si può in maniera legittima attribuire il diritto di ucciderne un altro e di conseguenza questo
diritto non può essere trasferito allo Stato. La riflessione di Beccaria parte dall’idea di pena, che non vuol
dire espiazione, significa risarcire, ristabilire l’equilibrio sociale divenuto precario. Quindi è risarcire la
società rispetto al danno commesso in modo proporzionale.

Il risultato dev’essere quello di ridare alla società qualcosa di tangibile. Segue rappresentazione in slide - >
lavori forzati. In questa immagine abbiamo la copertina della terza edizione dei delitti e delle pene,
copertina scelta da Beccaria che raffigura Minerva (simbolo della giustizia) che invece di guardare il boia
con le teste mozzate, rivolge lo sguardo ad una serie di attrezzi. Queste idee di Beccaria per la pena di
morte ha ripercussioni e frutti. Nel 1786, il 30 Novembre, il Gran Duca di Toscana, Pietro Leopoldo abolisce
la pena di morte. Quindi ha un effetto, poi sappiamo che le vicende storiche in Italia ci portano ad una
situazione altalenante, la pena di morte si abolisce con l’entrata in vigore della Costituzione, 1948.

Oggi la pena capitale è presente in moltissimi stati. Seguono dati di esecuzioni 20 paesi, poi cartina sulla
pena di morte, con più esecuzioni al mondo. Cina e Iran, Iraq, Arabia Saudita, Egitto in testa, il problema è
che si definiscono con segreto di stato oppure quando abbiamo informazioni limitate. Nonostante nel corso
del tempo aumenti il numero dei paesi abolizionisti, nel 2020 abbiamo 55 paesi nei quali è in vigore la pena
capitale per reati comuni. Nel 2020 le esecuzioni sono 483 (di quelle di cui sa però), 1700 esecuzioni nel
2015.

Effetti di deterrenza? Secondo alcuni studi empirici, la pena di morte ha un effetto deterrente, in particolare
Gibbs e valida questa teoria della deterrenza. Discorso a parte riguarda il panorama teorico.

Per tornare a Beccaria, parliamo in conclusione della tortura. La tortura era usata al tempo per diverse
finalità, es costringere a confessare. Anche in questo caso B. è convinto dell’inefficacia, si esprime contro la
tortura, ne dedica un capitolo e definisce la tortura del reo una crudeltà, anche perché un uomo secondo B.
non può essere definito reo prima della sentenza. Qui facciamo riferimento al principio di presunzione di
innocenza. Un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza, la società non può togliersi protezione,
senza prima aver appurato la violazione dei patti attraverso i quali questa protezione è stata a lui concessa.
Per Beccaria un uomo è innocente finchè i delitti non vengono provati. Anche in questo caso parliamo di
una questione molto dibattuta.

Quando viene abolita la tortura in Italia? Nel 1989 ha ratificato la Convenzione contro la tortura dell’84 (10
Dicembre) dalla assemblea generale delle Nazioni Unite. Questo testo prevedeva l’obbligo di inserire nei
codici dei paesi contraenti una norma specifica volta ad inquadrare e punire il reato di tortura, obbligo che
l’Italia ha disatteso per tanti anni, fino alla legge del 2017/110 14 Luglio, che introduce nel nostro codice
penale nei delitti contro la persona l’art 613 bis che recita come in slide

Lezione 28/09/21

Riprendiamo il discorso per concluderlo oggi con il contributo della scuola classica. Ieri abbiamo concluso
anche con un po' di reazioni di sorpresa alla tortura, tema caro a Beccaria, regolamentato nel 2017 in Italia.
Più in generale, parlando di quella che è la concezione del reato, pena e uomo della scuola classica a fronte
della legge e la necessità di postulare una piena uguaglianza, abbiamo ancora oggi alcuni riflessi e alcune
aperture che nascono e si sviluppano in seno alla scuola classica. Alcuni concetti sono ancora oggi validi,
perché il pensiero della scuola classica ha influenzato molte costituzioni e ne abbiamo prova di certe
testimonianze. Innanzitutto, potremmo dire che la s.c. fonda l’imputabilità del libero arbitrio, sulla capacità
di un soggetto di autodeterminarsi che naturalmente è dettato da una scelta libera e volontaria e dettata
dai criteri visti ieri. Il concetto di imputabilità, come possiamo definirlo? Il presupposto minimo di maturità
del soggetto, cioè soggetto al quale noi possiamo rimproverare qualcosa, in particolare un fatto commesso.
Perché questa condizione possa verificarsi, il soggetto deve essere in possesso di una sufficiente maturità
mentale che possa aiutare il soggetto a discernere il bene e il male, il conforme da quello deviante. Nel
nostro ordinamento si fa riferimento alla capacità di intendere e volere, che deve sussistere al momento
della commissione del reato. Come è noto, esistono nel nostro ordinamento delle cause che escludono
questa imputabilità, per esempi: condizione di infermità mentale (totale o parziale), minore età (14 anni).
Cosa sappiamo dei minori di anni 18? Hanno sicuramente pene differenti, non devono avere meno di 14
anni (a meno che non vi sia rischio di pericolosità sociale), tra i 14 e i 18 è necessario un accertamento caso
per caso, in cui la capacità di intendere e volere va accertata, sopra i 18 non esistono cause di imputabilità
legate all’età anagrafica. Parliamo di imputabilità perché? Correlato a questo è l’art 85 del codice penale
che definisce la capacità di intendere e volere e dice appunto che nessuno può essere punito se al
momento in cui lo ha commesso non era imputabile. È imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere.
Questo discorso serve a farci comprendere che nella scuola classica il reato si configura come violazione
della norma penale in modo volontario. Questo implica inoltre la conseguenza che noi ci troviamo di fronte
ad un individuo che è sempre moralmente responsabile delle azioni che compie. Naturalmente perché si
possa parlare di volontà colpevole è indispensabile che il soggetto sia capace di intendere e volere, quindi
imputabile, così come è ancora oggi previsto. Come dicevamo molte costituzioni risentono di questo
paradigma interpretativo, che ha il merito di aver contribuito a quella che definiamo una concezione
umanistica del sistema legale e di giustizia penale. Fra le righe del trattato di Beccaria noi possiamo
rinvenire dei principi validi ancora oggi, esempio: principio di legalità, di irretroattività della legge penale,
alla presunzione di innocenza, nonché al principio di precisione della legge. Il principio di legalità o riserva di
legge in materia penale è frutto del pensiero illuminista e viene sancito nel nostro codice penale l’art.1,
articolo che ci dice che nessuno può essere punito per un fatto non espressamente previsto per legge. In
riferimento a ciò la nostra costituzione all’art 25 comma 2 recepisce il principio di legalità, quindi nessuno
può essere punito se non in forza di legge. Dato il carattere rigido della nostra costituzione, il principio di
legalità assume forza vincolante anche nei confronti del legislatore. Ciò cosa vuol dire? Vuol dire che
proviene pensando dalla scuola classica, asserito più spesso da Beccaria il principio -> il cittadino deve
sapere prima se dal suo comportamento possano originarsi conseguenze nefaste. Solo conoscendo a priori
ciò che è ritenuto reato e ciò che non lo è, le conseguenze previste, potrà scegliere liberamente come agire
e quindi assumersi la responsabilità delle proprie scelte. Un altro principio strettamente correlato è il
principio di irretroattività delle normi penali sfavorevoli all’agente, principio volto ad evitare la
sopraffazione di un comportamento arbitrario da parte del giudice, anche in questo caso facciamo
riferimento all’art.2 comma 1 del codice penale, in cui si dice che nessuno può essere punito per un fatto se
in quel momento non era previsto per legge. Anche questa norma non si può modificare in quanto
innalzato a livello costituzionale, lo ritroviamo sempre all’art. 25. Da quanto abbiamo detto rispetto a
Beccaria abbiamo certamente riscontrato con evidenza il principio di precisione della legge, che pone
l’esigenza di avere leggi chiare, precise e stabilite a priori. Un’altra importante influenza che possiamo
vedere è quella della presunzione di innocenza, ossia un uomo è innocente finchè i delitti non sono provati.
L’imputato non è da considerarsi colpevole se non nella condanna definitiva su tre gradi di giudizio.

Questo per avere un’idea delle influenze della scuola classica. Per concludere questo contributo e cercare
di fissare alcuni concetti e principi fondamentali di questa scuola, possiamo dire, partendo da “dei delitti e
delle pene”, opere più rappresentative dell’epoca e che ha dei riflessi e delle influenze importanti fino a noi,
emblema dell’illuminismo, da una larga diffusione (nel 1800 esistevano 23 edizioni italiane, 14 francesi ed
edizioni inedite in usa) che il pensiero di Beccaria parte di una critica dell’arbitrio, dell’irrazionalità, una
critica al sistema vigente e da questo punto di vista si schiera contro tortura e pena di morte. Egli ci
suggerisce che il sistema di giustizia deve ispirarsi a:

- Uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge


- Limitazione della discrezionalità
- Codificazione del diritto
- Proporzionalità tra delitto e pena
- Funzione deterrente della pena

Rispetto a quanto detto, riflettiamo su quelli che possono essere i limiti di questa scuola. Certamente nella
concezione della scuola classica, se paragonata alle teorie che vedremo è quello della mancanza di
attribuzione di responsabilità dei fattori che esulano dall’individuo. Con la scuola classica è sempre
moralmente responsabile, sempre presente a sé stesso, che non subisce influenza da fattori esterni.

Ad oggi sappiamo che il contesto sociale ha un forte impatto, così come altre dinamiche per cui non
possiamo definire un comportamento in modo unidirezionale. Altri autori mettono in evidenza il problema
del ritenere come unico criterio di riferimento la razionalità, ritenendo questo orientamento come riduttivo
perché non prende in considerazione quei reati derivano da stati d’animo particolarmente intensi, quindi
non sono strumentali, che possono per esempio essere riconducibili a rabbia e frustrazione ma
bisognerebbe pensare ai membri delle sottoculture criminali, la minaccia e l’applicazione del paradigma ha
poca rilevanza. Molti autori di orientamento sociologico sono concordi nel ritenere che l’impostazione della
scuola classica comporti una deresponsabilizzazione della società. inoltre, ci troviamo di fronte ad un unico
modo di prevenzione, perché è solo la previsione della pena e minaccia della sanziona che esercita una
funzione deterrente. In questo modo, diventa anche l’unico strumento e mezzo di prevenzione generale e
speciale perché non sono del resto previste altre forme che possano in qualche modo trattenere il soggetto
dal trattenere il soggetto a delinquere. Oltre queste considerazioni, quali sono i capisaldi, punti centrali che
non ci devono sfuggire di scuola classica?

- Il criminale chi è e come viene visto? Il criminale è un attore razionale, pienamente consapevole,
che opera una valutazione tra costi e benefici. Il crimine come normale opportunità d’azione. Non
solo il criminale è un attore razionale ma è anche un individuo normale, un individuo che non
presenta da un punto di vista morale o psicologico delle fragilità ed è un individuo che può
considerarsi come anormale (diametralmente opposta al positivismo), un soggetto responsabile
delle proprie azioni. Il crimine è una normale opportunità di azione ma è allo stesso tempo da
considerare una violazione cosciente e volontaria della norma penale.
- Abbiamo inoltre detto che l’origine del diritto e della pena risiedono in quella teoria che abbiamo
richiamato ieri facendo riferimento al contratto sociale. Abbiamo anche fatto riferimento
all’utilitarismo ed edonismo. Compito della giustizia penale con Beccaria diventa quindi la riduzione
dell’arbitrarietà. Diventa importante ed imprescindibile rispettare i diritti individuali, umani e la
dignità umana. Il diritto penale deve essere chiaro, certo, deve contemplare delitti e pene che siano
stabilite in precedenza, quindi già stabilite per legge con la pena corrispondente e la funzione della
pena è quella deterrente -> funzione di deterrenza che serve a scoraggiare i soggetti di commettere
il crimine per le conseguenze che possono derivare da questa azione. Se il soggetto che agisce è un
soggetto di questo tipo, per prevenire i reati e la criminalità, è necessario che la pena, ossia il costo,
sia maggiore rispetto ai benefici derivanti dalla commissione del reato
- Le caratteristiche rispetto alla concezione della pena: prontezza, infallibilità, certezza e dolcezza.
Questo riferimento alla pena nella sua complessità non solo quindi deterrenza ma anche
caratteristiche della pena, si ritrova al capitolo 47 a conclusione del testo che in poche righe riesce a
condensare tutto quello che abbiamo detto.
Chiusura: perché ogni pena non sia una violenza… deve essere pubblica, pronta, necessaria, la
minima, proporzionata e dettata dalle leggi. Abbiamo così il sunto della concezione della pena per
la scuola classica.

Strettamente correlato al concetto di deterrenza di origine classica (riferimento a Beccaria), abbiamo la


teoria del deterrente. Si sviluppa successivamente, nel corso del XX secolo e si fonda sull’ipotesi centrale in
base alla quale la punizione costituisce un valido freno alla produzione della devianza. Come abbiamo visto
e già ripetuto ieri, per Beccaria, il potere deterrente della pena non è strettamente associato al grado di
severità ma al contrario alla certezza e celerità. Diversamente invece, i teorici della deterrenza ritengono
che una maggiore severità abbia un potere deterrente maggiore. Cosa vuol dire? Più gravi sono le pene,
minore sarà il numero di reati commessi. Se riflettiamo un attimo, i principi di certezza, celerità e severità
sono fondamentali per quelle strategie preventive fondate sulla deterrenza. Si rivolgono sia ai criminali già
condannati sia a criminali potenziali che quindi di fatto, secondo questa impostazione eviterebbero la
violazione della norma penale (o ripeterlo) perché hanno paura delle conseguenze. Come dicevamo ieri,
alcuni studi hanno cercato di verificare la validità della deterrenza, quindi hanno riscontrato un effetto
deterrente minimo rispetto al livello di severità della pena e invece un certo effetto deterrente correlato a
certezza e celerità. Inoltre, per alcuni riferimenti, si potrebbe fare riferimento ad una certa influenza del
controllo sociale informale. Per esempio, studi ancora più recenti (2000) hanno notato, facendo delle
ricerche a ritroso che alla fine degli anni 70 nonostante l’esistenza di evidenze empiriche in senso contrario,
sia stata data una particolare attenzione alla dimensione della severità da parte dei politici come scelta
politica. Politici convinti che dalla minaccia di pene più severe dipendesse un diverso grado di deterrenza.
Esempio -> scelta di introdurre la pena di morte, politiche della tolleranza zero. Il quesito che sta alla base
di questa teoria della deterrenza è abbastanza semplice: qual è quella forza che trattiene l’uomo dal
delinquere? Qual è quella forza che impedisce ad un uomo a commettere delitti? Questo freno sarebbe
dovuto dalle sanzioni. Potrebbe essere la minaccia della sanzione a definire l’infrazione della norma. La
teoria della deterrenza si fonda sul principio che la punizione rappresenti un freno efficace alle azioni
criminali. Le evidenze empiriche non consentono tuttavia di estendere la validità a tutti i tipi di crimine e
tutti i tipi di pena. L’interesse si è concentrato su specifiche fattispecie criminose. I teorici della deterrenza
prendono le mosse, in chiave più moderna, dal pensiero di Beccaria che si concentrava sull’effetto
deterrente. Per Beccaria il potenziale deterrente della pena non è collegato al grado di severità ma più il
riferimento è celerità e certezza (anche per Bentham). I teorici della deterrenza moderni asseriscono il
contrario, cioè sottolineano che in generale e anche in riferimento a quasi ogni fattispecie di reato, una
sanzione più severa ha un maggior effetto deterrente. Maggiori saranno le pene e gli effetti, minori saranno
i reati.

In una pubblicazione del 1968, Gibbs ha cercato di offrire un primo orientamento empirico a questa teoria e
ha studiato gli omicidi che si sono verificati negli USA e ha preso in considerazione il numero delle
condanne ed il grado di severità per l’omicidio in ogni stato considerato. Dallo studio di Gibbs, veniva
un’importante conclusione: Gibbs dedusse che negli stati in cui vi era > probabilità di condanna con pene
maggiori, si avevano tassi di omicidio più bassi. Questi risultati furono ritenuti importanti perché la ricerca
dava credito e validità all’idea di deterrenza. Fino ad allora, questa correlazione era stata negata, non si
riteneva collegabile l’omicidio e pena di morte. Quindi il tasso di omicidi non variava in relazione alla
presenza della pena di morte. Questa di Gibbs rimane una visione alquanto rara e comunque un risultato
che non può essere generalizzabile perché le ricerche in questo ambito come possono essere fatte?

Esempio prendendo in considerazione i tassi di omicidio prima e dopo l’abolizione della pena di morte in
uno stesso contesto oppure confrontando tassi di omicidi tra stati abolizionisti e non. Un primo filone di
ricerca per la relazione tra deterrenza e omicidi era quello di comparare i tassi di omicidio tra paesi
abolizionisti e quelli che invece non lo sono. Da questi studi statistici emerge che nei paesi che mantengono
la pena di morte, il tasso di omicidi è più elevato. Ci saremmo aspettati il contrario.

Questo modo di fare ricerca è stato poi criticato perché si sono rapportate due realtà in verità
estremamente eterogenee. In realtà si dovrebbero confrontare paesi omogenei ma differenti solo per la
pena di morte. Anche per questo secondo tipo di approccio si giunge alla conclusione che l’effetto
deterrente della pena di morte non influisce negativamente o positivamente sulla pena di morte.

Questo cosa ci dice? Gli studi che hanno cercato di dimostrare questa correlazione (studio Ulrich) sono
inficiati da errori di natura metodologica e teorica, e comunque ad oggi possiamo dire che la maggior parte
degli studi esistenti giungono comunque, per quanto riguarda la maggior parte ad un unico risultato: la
pena di morte non ha un effetto deterrente > rispetto a quella che può essere l’ergastolo.

Chi preserva la pena di morte ad oggi non ha prodotto rilevanze empiriche, specialmente per quanto
riguarda il rapporto con deterrenza del carcere a vita.

Una credenza molto diffusa -> credere che l’effetto deterrente della pena di morte abbia un potere
straordinario è diffuso a livello sociale ma ciò non significa che dal punto di vista empirico sia così.

Tornando a quella che è il filone principale della teoria del deterrente, ieri abbiamo fatto riferimento alla
certezza e celerità. Sicuramente anche nella teoria del deterrente, sviluppata successivamente, troviamo
anche queste dimensioni ma è una teoria che si ri fa alle tre dimensioni di certezza, celerità e severità. In
merito a quest’ultima, riguarda il grado di intensità della sanzione, più severa è, più basso sarà il livello di
violazione, la certezza è invece la probabilità di essere puniti, la celerità riguarda l’intervallo di tempo tra
infrazione norma e risposta del sistema penale. Abbiamo detto che per Beccaria è molto importante la
prossimità temporale della punizione rispetto al fatto commesso. Queste tre dimensioni della pena
producono o dovrebbero produrre un effetto deterrente sia verso che coloro che sono già stati puniti sia
per la totalità dei consociati. Questo si dovrebbe tradurre in una riduzione del livello di violazione della
norma. Alcuni studiosi, riflettendo sul contesto italiano hanno sottolineato come si potrebbe notare oltre a
queste tre dimensioni la mancanza di una quarta dimensione: effettività. Si riferisce alla probabilità che un
soggetto sconti interamente la pena carceraria inflitta. Quindi sconti e sconti interamente fa riferimento al
concetto di infallibilità. Questa teoria del deterrente, come del resto avviene, è stata sottoposta a
numerose critiche. Una delle critiche più pesanti ma probabilmente più interessanti per riflettere rispetto a
questo contesto è quella che viene riportata da Gennaro ed è riconducibile al pensiero di Pontell. Questo
studioso non critica l’esistenza, parlando di teoria della deterrenza, della correlazione relativa ad una
maggiore severità della pena e conseguente minore criminalità. Riflettendo sull’assunto di base dei teorici
della deterrenza -> quando aumentano le punizioni in termini di severità e certezza dovrebbero diminuire
gli indici di criminalità, quindi praticamente significa che l’inasprimento delle sanzioni, sanzioni più severe
implicano un effetto deterrente maggiore, Pontell non riesce a spiegarsi la spiegazione che presuppone un
principio unidirezionale. Cosa vuol dire? Vuol dire che secondo Pontell, i teorici della deterrenza si ostinano
a proporre una unidirezionalità causale, cioè i livelli di punizione incidono sugli indici della criminalità.
Pontell suggerisce invece di invertire i termini di questa relazione, quindi: gli indici di criminalità incide sui
livelli di punizione. Ma in che modo e perché soffermarsi sulla relazione? Perché Pontell ritiene che
l’andamento degli indici di criminalità possa incidere sui livelli di punizione e non viceversa. Questa critica di
Pontell è avvalorata dalla considerazione di voler prendere in considerazione un fattore che è
determinante, ossia system capacity (capacità del sistema). I teorici della deterrenza invece non l’avevano
preso in considerazione. Quindi, contemplare l’esistenza di questo fattore nell’analisi, significa riflettere e
dal punto di vista – proviamo a calare questo nel contesto nazionale – significa che il sistema legale che
applica la sanzione (da comminare ai rei responsabili) dispone di risorse che sono limitate. Quindi delle
risorse che non vengono incrementate proporzionalmente all’aumento della criminalità, per cui un sistema
penale sovraccarico avrà minori livelli di punizione. Secondo Pontell, gli errori dei teorici della deterrenza
sta nel considerare il sistema legale/penale come provvisto di risorse illimitate, quindi capacità illimitata di
far fronte alla criminalità. Quando la criminalità aumenta e aumenta in modo esponenziale, il sistema non è
in grado di rispondere in maniera adeguata, per cui diventa incapace di gestire le sanzioni e quindi
diminuisce il livello di punizione data. In questo contesto, facendo riferimento alla capacità del sistema non
considerata in precedenza, secondo Pontell non c’è spazio per considerare l’effetto deterrente della
sanzione ma bisogna pensare ad un sistema penale sovraccarico che è tale a causa degli incrementi della
proporzionalità. Quando i livelli di criminalità calano, il sistema cosa fa? Riesce a gestire in modo efficiente
la situazione. Quindi si ha l’impressione che siano aumentati i livelli di punizione ma l’effetto deterrente
dato dalle sanzioni non c’entra nulla. Anche rispetto a questo, se condivisibile pensare che i teorici della
deterrenza non prendono in considerazione la capacità del sistema penale di far fronte agli incrementi della
criminalità, anche questa critica di Pontell ha una lacuna, perché manca di un valido riferimento di tipo
empirico, non è avvalorato, per cui può per certi versi ritenersi una teoria vaga, anche se utile per spunti di
riflessione. L’ipotesi centrale da cui parte Pontell è utile perché è certamente condivisibile l’idea che un
sistema penale in sovraccarico avrà per forze di cose livelli di punizione più bassi. A questo proposito, per
considerare queste posizioni anche diverse, per certi versi contrapposte rispetto all’idea di deterrenza e in
particolare in relazione al rapporto sulla deterrenza e sul modello della capacità del sistema penale
teorizzato da Pontell è interessante leggere la soluzione, il punto di contatto in slide -> di Henshell: in
realtà, più che essere pienamente discordanti, il modello di Pontell (riflessione sulla capacità del sistema) e
il modello della deterrenza sono legati da una relazione di complementarietà. Bisognerebbe leggere
congiuntamente i risultati di queste riflessioni per capire che le conclusioni a cui si giunge non portano a
posizioni così contrastanti. Perché? Quando gli indici di criminalità sono più alti, più bassa è la certezza e
quando la certezza è più bassa, più bassa è la deterrenza, quando la deterrenza è bassa maggiori sono gli
indici della criminalità. A prescindere dalle posizioni, bisogna concludere dicendo che anche se la teoria del
deterrente è riuscita ad acquisire uno statuto scientifico rilevante, in ogni caso dal punto di vista empirico,
resta comprovata solo in modo parziale. Bisogna piuttosto riferirsi ad un quadro di riferimento teorico che
sia in grado di prendere in considerazione anche altri variabili, anche perché la criminalità dipende da molti
fattori, non è possibile fornire una spiegazione di tipo causale che faccia riferimento ad un’unica origine.
Lezione del 29/09/21

SCUOLA POSITIVA

Gli autori della scuola positiva sono C. Lombroso, Ferri, Garofalo e un altro autore (Sigare?).

Questi sono gli autori ai quali faremo riferimento per questo indirizzo. La scuola positiva si sposta in avanti
rispetto alla scuola classica, siamo nella seconda metà dell’800. Con questa scuola le spiegazioni della
criminalità fondate sulla predisposizione naturale dell’uomo cominciano a svilupparsi da questo
orientamento. Predisposizione naturale che affondano le radici in quella che è una costituzione, anche di
tipo fisico, rispetto a quella della maggioranza. Soggetti che sono spinti al crimine per la loro costituzione.
Spesso quando facciamo riferimento alla scuola positiva, le teorie che si rifanno a questi orientamenti che
prendono le mosse da questi autori sono anche dette bioantropologiche (nel testo). Arriviamo in un
contesto storico completamente diverso, ci si accorge che la razionalità così al centro dell’interesse della
scuola classica in realtà non spiega tutto, non riesce a dare risposte rispetto a molte questioni:

- Differenza tra i reati- non possiamo considerarli tutti strumentali o utilitaristici, come spiegare la
differenza tra i reati e le diverse caratteristiche dei criminali?
- Come spiegare i diversi condizionamenti e influenze che possono naturalmente inficiare
direttamente la situazione che può sfociare nel comportamento criminale?

Tutto ciò che è stato approfondito dalla scuola classica viene ritenuto non sufficiente. Nella scuola classica
abbiamo un essere razionale, in grado di soppesare costi e benefici, un individuo che è moralmente
responsabile. In questa scuola, il concetto di responsabilità morale scompare, perché a questo
orientamento si contrappone una nuova interpretazione che è fondata sul determinismo biopsicologico.
Naturalmente fondare le spiegazioni della criminalità sul determinismo ha delle influenze per quanto
concerne il sistema punitivo e penitenziario. Qual è la differenza? Che il sistema punitivo si orienta verso
quello che è un piano terapeutico individualizzato, quindi i concetti che abbiamo visto di proporzionalità,
giustizia e funzione deterrente vengono spazzati via dalla scuola positiva che assume un altro punto di vista.
Al posto del giurista che valuta la condizione di imputabilità si sostituisce un medico scienziato o psichiatra
che deve dare una valutazione di tipo diverso, guardando lo stato psicofisico del soggetto. Quindi dovrà
esprimere una valutazione o giudizio sulla sua pericolosità sociale, altro concetto che qui diviene
fondamentale. Da ciò deduciamo che il trattamento del reo è decisamente diverso rispetto
all’orientamento della scuola classica, perché qui è possibile schedare, internare quei soggetti ritenuti
pericolosi, anche quando non siano ritenuti responsabili delle loro azioni perché ritenuti moralmente
irresponsabili. Quindi cade anche questa distinzione. La punizione ci deve essere per tutti.

Il fondatore di questa scuola è Cesare Lombroso. Quale merito gli dobbiamo, rispetto alle riflessioni fatte
della scuola classica?

- Va riconosciuto il merito di aver studiato il delitto a partire dalla componente umana, rivolgersi al
criminale che diventa il centro degli studi
- Se dobbiamo fare una distinzione tra le scuole, vediamo che nella classica al centro si pone il reato
e tutto ciò che ne consegue (ente giuridico e non di fatto), al contrario nella positiva troviamo al
centro il criminale, quindi l’uomo che nella scuola positiva si studia con metodo scientifico. Quindi
l’autore del reato, la personalità del delinquente, soprattutto prendendo le mosse da indirizzi di
studio precedenti quali la fisiognomica e la frenologia.

Fisognomica -> pone in relazione quelle che sono le tendenze antisociali del soggetto con particolari aspetti
della sua fisionomia esterna, ossia il suo aspetto esteriore

Frenologia -> trova correlazione tra la forma del cranio, la struttura cerebrale e il comportamento
antisociale.
Cominciamo a vedere cambiamenti significativi che sono strettamente correlati al contesto storico e
culturale. Gli ultimi anni del 19 esimo secolo sono caratterizzati da invenzioni e scoperte, la scienza diviene
lo strumento principale per la conoscenza dei fenomeni. Sono anni inoltre in cui si registrano dei
mutamenti sociali, crisi economiche e politiche. Sono gli anni nei quali si verificano una serie di problemi di
tipo sociale legati al vagabondaggio, delinquenza e criminalità. Dopo il periodo della scuola classica, ci si
comincia ad interrogare sul problema della recidiva ma cominciano ad emergere sentimenti di paura,
insicurezza rispetto alle forme di criminalità che iniziano a diffondersi. Il punto di vista della scuola positiva
è critico rispetto a quello della scuola classica. Viene criticata l’astrattezza illuministica del precedente
orientamento e comincia ad emergere

Lezione del 4/10/2021

La settimana scorsa abbiamo chiuso la lezione parlando di Lombroso, abbiamo fatto riferimento a quello
che è il pensiero dell’autore, dopo una premessa delle influenze, caratteristiche e il contesto della scuola
positiva abbiamo conosciuto alcuni autori del positivismo. In primo luogo abbiamo fatto riferimento a
Lombroso come padre fondatore della scuola e padre della criminologia, abbiamo fatto riferimento alla
teoria dell’atavismo, del delinquente nato, delle classificazioni e abbiamo iniziato a delineare una serie di
limiti ed elementi anacronistici, il primo elemento che ci viene in mente è il fatto di ritenere queste teorie
superate, anche se effettivamente possiamo ritenere la teoria del delinquente nato superata, ma alcune
influenze della scuola sono ancora oggi rimaste (associare il fisico alla criminalità e neuroscienze).

L’ultimo aspetto trattato è stato la vicenda del Brigante Villella e interpretazioni del marchio della
criminalità a seguito dell’autopsia. Abbiamo anche fatto riferimento alle impostazioni di questa scuola, cioè
cosa significa trattare il criminale, abbiamo visto le differenze con la scuola classica. Non possiamo ritenere
completamente superata e completamente inutile la teoria Lombrosiana perché possiamo cogliere
elementi positivi in questa teoria:

- Le idee di Lombroso seppur datate conducono ad una nuova idea di giustizia penale che si
contrappone a quella della scuola classica.
- Quella necessità di individuare ed adattare un modello clinico sui criminali, un modello che possa
far riferimento a delle pene che non sono già determinate a priori ma proporzionate in base alla
patologia del soggetto
- Uno degli insegnamenti è dunque l’indeterminatezza della pena: se noi consideriamo il delinquente
come un malato, la pena non potrà essere determinata a propri, perché così come avviene per la
prognosi in medicina, il percorso dovrà essere individualizzato per arrivare alla rieducazione
- È in questo caso che bisogna intervenire con un trattamento differente attraverso soluzioni di tipo
medico e psicologico per condurlo sulla strada della riabilitazione e risocializzazione
- Lombroso fin da subito si oppone all’idea della scuola classica, perché sostiene naturalmente i
principi di diritto penale della scuola positiva, per cui i criminali non delinquono per un atto
cosciente e volontario ma perché, secondo Lombroso i criminali hanno delle tendenze malvagie,
affondono le radici dalla loro costituzione. La scuola positiva ha l’obiettivo di studiare in maniera
approfondita, con metodi scientifici e quantitativi, il delinquente e vuole cercare di intervenire per
arginare quel fattore fondamentale all’interno di questa scuola che è il problema connesso alla
pericolosità sociale del soggetto, cioè trasformarsi in un recidivo.
- Per fare questo, Lombroso cosa fa? Paragona i criminali ad animali inferiori, popoli primitivi e
selvaggi, si percepisce molto l’influenza delle teorie sull’evoluzionismo, tanto che arriva a sostenere
che il delinquente presenti tare ataviche, degenerative, in uno stato di involuzione
- L’uomo delinquente per lombroso è anche un soggetto che difficilmente si adatta alla società
moderna, per cui è portato irrimediabilmente a compiere comportamenti criminali.

Per fissare quelli che sono i punti cardine:


- A partire da Lombroso in avanti la scuola si caratterizza per il ripudio del libero arbitrio, illusione
psicologica
- Il rifiuto della responsabilità morale, perché si parlerà di responsabilità morale. Il delinquente deve
poter rispondere a fronte della società. è responsabile dei delitti e deve essere punito perché vive
in società, quindi per la reazione che il delitto suscita sul contesto
- Passiamo da responsabilità morale a quella sociale e al centro del dibattito c’è la pericolosità sociale
(o temibilità del reo), quindi non abbiamo più quella necessità richiesta che vede corrispondenza
tra delitto e pena ma abbiamo adesso un singolo criminale ed un trattamento di tipo
individualizzato, con un’osservazione scientifica del reo di tipo quantitativo del delinquente.

Oggi le teorie lombrosiane legate all’idea del delinquente nato e atavismo sono superate, però in
criminologia permangono elementi che permangono e che riconducono al fattore biologico. È facile
immaginare come la teoria lombrosiana abbia ricevuto numerose critiche, anche se ricordiamo che il
paradigma lombrosiano non è stato del tutto abbandonato, proprio perché studi successivi associano le
tendenze criminali alla costituzione fisica dei soggetti, quindi vedremo il riferimento ad altri studi pur
partendo da premesse scientifiche diverse rispetto Lombroso.

I pregi della scuola positiva:

- Il trattamento individualizzato
- Una maggior comprensione del fenomeno criminale, perché non tutti delinquono in modo
consapevole (aver ampliato lo spettro di indagine, aver infranto il mito relativo alla libertà assoluta
dell’uomo, preparando la strada per ricerche che prendono in considerazione anche altri fattori
rilevanti e ricondotti all’ambito ad esempio familiare, sociale, ambientale, clinico)
- Il riconoscimento della responsabilità sociale
- Cominciare a contemplare fattori di origine diversa rispetto alla razionalità e libero arbitrio
- Le idee lombrosiane e del positivismo, furono alla base di un progetto di riforma del codice penale
italiano proposto da Enrico Ferri, che nel 1921 propone un progetto di riforma del codice penale e
fondato su quei principi: responsabilità sociale, pericolosità sociale alla quale era connessa una
precisa classificazione degli autori di reato e sanzioni penali. Quindi: criminali infermi di mente,
abituali, etc. per ciascuna categoria era previsto un provvedimento adatto alla risocializzazione del
reo. Questo progetto di riforma non fu mai provato ma alcune proposte da lui fornite, come ad
esempio il principio del doppio binario, quindi l’applicazione congiunta di pena e misura di sicurezza
sono state recepite dal legislatore del 30 e permangono nel nostro codice odierno. Un altro riflesso
lo ritroviamo nelle prassi giudiziarie della psicopatologia forense e anche della criminologia clinica.
Sulla base di questi studi vediamo come il modello di giustizia penale può essere accompagnato ad
un modello medico che si fonda sostanzialmente su un ideale riabilitativo, la predizione della
pericolosità sociale intesa come recidiva e come abbiamo detto più volte, l’individualizzazione del
trattamento penitenziario che significa adattarlo alle caratteristiche e necessità del reo

Abbiamo parlato dei riflessi ed aspetti positivi di chiara derivazione positivista ma naturalmente esistono le
critiche:

- Melossi critica: la teoria lombrosiana ipotizza molto spesso riferimento all’esistenza di una natura
criminale, però così facendo diciamo che non considera la radice prettamente giuridica e relativa
(variare nello spazio e tempo) del fatto criminale. Un fatto criminale viene ritenuto tale in seguito
all’applicazione di una certa etichetta giuridica o un certo comportamento, quindi stabilire a priori
una natura criminale è errato rispetto alle acquisizioni successive
- Una conclusione errata su cui Lombroso edifica parti fondamentali delle sue teorie, cioè il fatto che
ad una determinata morfologia di tipo anatomico potesse essere elemento rivelatore rispetto
all’atavismo antropologico che correla direttamente al comportamento criminale. Molto spesso
(errore di metodo), Lombroso prendeva i casi di studio da un campione già selezionato, per cui
traeva da contesti peculiari i suoi risultati, come il carcere. Certamente la teoria lombrosiana
presenta limiti relativi al metodo perché le tecniche statistiche utilizzate conducevano a risultati
irrilevanti
- Inoltre, se pensiamo alle foto dei delinquenti, quei segni esteriori che Lombroso riteneva essere
marchi di criminalità, non considerava alla radice di quei segni esteriori, come la povertà, problemi
di salute, malnutrizione sui volti dei soggetti degli individui e ciò dev’essere considerato come un
limite oltre le numerose critiche relative al razzismo di Lombroso, abbiamo visto per esempio a
proposito del brigante Villella. Potrebbe sembrare banale ribadire che le moderne teorie escludono
la possibilità di una regressione biologica a stadi primitivi sostenuta da Lombroso nella teoria
dell’atavismo
- Rapporto tra tassi di criminalità e variazioni biologiche, non esiste una correlazione tra questi
aspetti.

Nel corso della sua stessa produzione letteraria dopo aver ricevuto le critiche, Lombroso cambiò un po’
direzione, riflettendo anche sulle critiche che gli venivano rivolte provò ad ampliare quella catalogazione di
quei fattori che conducono alla criminalità, considerando fattori di tipo economico e sociale. Si allontana
nell’ultima fase del suo studio, da quella che è la centralità dell’elemento antropologico e si allontana
dall’idea centrale del delinquente nato. Comincia a contemplare criminalità diversa e tipi criminali di tipo
diverso, aggiungendo anche fattori di tipo ambientale. Quindi oltre ai fattori costituzionali, dobbiamo anche
considerare fattori di natura personale, sociale ed ambientale. Non possiamo negare che comunque le
teorie più importanti di Lombroso restano quelle dell’atavismo e del delinquente nato. Un merito che
possiamo riconoscere è che, rispetto alla scuola classica che si concentrava sul delitto, si pone al centro il
delinquente.

Il secondo autore che incontriamo nella scuola positiva è un penalista, con formazione diversa rispetto a
Lombroso, Enrico Ferri. È uomo politico che nasce in provincia di Mantova, nel 56 e muore a Roma nel
1929. I riferimenti più conosciuti dell’epoca furono Ardigò ed Ellero, quindi formazione giuridica e filosofica.
Enrico Ferri si laureò presso l’Università di Bologna nel 1887, con una tesi che già ci da molte informazioni
rispetto alle posizioni di Ferri: l’imputabilità umana e la negazione del libero arbitrio. Ha poi trascorso
periodi fuori dall’Italia incontrando diversi autori ma il maggiore è ovviamente Lombroso.

Egli è fra i principali esponenti della scuola positiva. Questo autore si occupò di studiare quelle che sono le
conseguenze del pensiero della scuola positiva e quindi sull’impatto che queste hanno sulle politiche sociali
e penali, soffermandosi sulla pericolosità del reo e sulla necessità della scuola di interpretare la sanzione
penale come misura di sicurezza. un elemento invece in più, più rilevante nel pensiero di Ferri è relativo alla
prevenzione che studia attraverso la nota teoria dei sostitutivi penali, cioè vale a dire l’idea di riforme, di
interventi sociali che possono avere l’obiettivo precipuo di prevenire la criminalità. Il punto di partenza è il
medesimo: Ferri parte dalle acquisizioni di Lombroso ma lo si definisce come l’allievo geniale di Lombroso,
va riconosciuto a Enrico Ferri il merito di aver ampliato lo spettro d’indagine della scuola positiva rispetto a
Lombroso, perché include nuovi elementi per spiegare e analizzare la criminalità, di tipo fisico,
antropologico ma anche di tipo sociale. Certamente, dal titolo della tesi possiamo facilmente intuirlo, parte
da una posizione simile a Lombroso, ossia nega il libero arbitrio, il concetto di responsabilità morale, perché
si arriva al delitto da cause antropologiche, fisico e sociale.

Prima edizione è del 1881, con un titolo diverso: “ i nuovi orizzonti del diritto e della procedura penale”. Per
Ferri, la scuola positiva è l’applicazione dello studio sperimentale allo studio dei delitti e delle pene,
rappresenta l’evoluzione della scienza criminale. Non si concentra però solo sullo studio antropologico, ma
dice, rappresenta un’innovazione radicale secondo Ferri, per ciò che riguarda il metodo usato, perché tenta
di studiare la patologia sociale criminosa e tenta di individuare i rimedi giuridici e sociali ai problemi
derivanti dalla criminalità. In particolare, al sociologo, al criminologo, interessa conoscere quelli che sono i
fattori della criminalità, che possono essere studiati tanto nell’ordine biologico ma anche fisico e sociale. Il
delitto non è solo conseguenza biologica. Un aspetto importante per Ferri è la prevenzione, quindi non
bastano le leggi penali ad eliminare le cause della criminalità ma è necessario studiare i fattori sociali e
modificare alcuni fattori sociali per incidere sul tasso di criminalità. La premessa teorica dalla quale parte
Ferri: se da un lato la scuola classica aveva l’obiettivo quello di ridurre la pena, la scuola positiva è quella di
ridurre il delitto (per Ferri), attraverso un efficace trattamento del delinquente e precisa opera di
prevenzione. Per Ferri la scuola deve rispondere all’obiettivo di diminuire il numero di delitti.

Per conoscere bene l’autore, dobbiamo citare i seguenti elementi:

- Tre fattori del delitto -> come già detto, Ferri rivolge l’analisi a cause di natura diversa rispetto a
quelle Lombrosiane, quindi non solo antropologico ma cause di natura sociale. Nell’analisi
ritroviamo la possibilità di analizzare la criminalità sull’esistenza di tre fattori: antropologici, fisici
(cosmotellurici) e sociali. A cosa fanno riferimento? Elemento antropologico permane ma non è
preponderante, sono fattori che fanno riferimento alla persona del delinquente. Si dividono in tre
sottoclassi e riguardano al costituzione organica del soggetto, la costituzione psichica e i caratteri
personali. Quindi i fattori antropologici con tre diverse categorie, costituzione organica: anomalie
del cranio, della faccia e caratteri somatici; costituzione psichica anomalie relative ai sentimenti,
intelligenza e per i fattori relativi ai fattori personali facciamo riferimento a condizioni quali la razza,
età, sesso, condizioni sociali, stato civile, la professione etc. La seconda categoria dei fattori del
delitto è relativa all’esistenza di fattori fisici, possiamo dire che rientrano tutte le cause che
appartengono all’ambiente fisico, cioè il clima, le stagioni, la temperatura ma anche l’alternarsi del
giorno e della notte, infine i fattori di tipo sociali che invece fanno riferimento al prodotto
dell’ambiente sociale in cui si vive, quindi densità di popolazione, opinione pubblica, costumi,
religione. Secondo Ferri l’uomo delinquente, per essere giudicato deve essere studiato secondo
questi fattori, quindi la costituzione organica, psichica ma anche l’ambiente fisico cioè ambiente
che lo circonda ed ambiente sociale. Nello studio e nella classificazione e tipologia ritroviamo una
classificazione diversa rispetto a quella di Lombroso e che si distingue anch’essa in 5 diverse
categorie ma che guarda ad una caratteristica diversa. In questa classificazione di Ferri abbiamo al
primo posto i delinquenti pazzi, affetti da malattie psichiatriche, abbiamo poi i delinquenti nati che
possiamo definire come uomini selvaggi, primitivi, incapaci di scindere il comportamento normale e
deviante, abituali, definiti anche per abitudine acquisita, cioè si fa riferimento a soggetti che pur
non avendo caratteri che possono ricondurci alla tipologia del delinquente nato, dopo aver
commesso il primo reato continuano, persistono nel delitto e quindi diventa un’abitudine
delinquere. La quarta categoria è quella delinquenti d’occasione, quindi ci riferiamo a soggetti che
cadono nel delitto perché sono tentati, cadono nel delitto a causa delle tentazioni offerte dalle
condizioni personali, ambiente fisico e sociale, infine abbiamo i delinquenti per impeto di passione
che invece commettono prevalentemente delitti contro la persona, delinquono prevalentemente in
giovane età in seguito a una passione particolarmente intensa, come la rabbia. In Lombroso
abbiamo una definizione diversa. Perché è importante ricordare l’esatta posizione dei delinquenti?
Perché siamo in grado di graduare la pericolosità sociale, va diminuendo dalla prima alla quinta,
quindi le prime tre sono le più pericolose e le ultime due che invece hanno minore pericolosità
sociale, per cui il trattamento sarà meno severo. Questa tipologia ci consente di graduare la
pericolosità sociale dei soggetti. Un’affermazione da tenere presente è relativa all’importanza che
riveste nella riflessione dell’autore è il contesto sociale, perché non può commettersi se un reato se
non si vive in società, per cui il delitto è un fenomeno della vita sociale anche se può interpretarsi
come un qualcosa di patologico. Nel parlare, classificare delinquenti e tipologie di delinquenza
distingue due grandi categorie di delitti: delinquenza atavica e quella evolutiva. In cosa si
differenziano queste due categorie? Abbastanza intuitivo, perché facendo riferimento a tutti quegli
atti che turbano la collettività mediante la riproposizione di comportamenti riconducibili a
condizioni ataviche (stupro, omicidio), delinquenza evolutiva ci riferiamo ad azioni che vanno a
disturbare l’equilibrio presente ma vogliono anticipare nuove forme di lotta per l’esistenza,
esempio sommossa, ribellione. Un altro dei nostri punti da ricordare relativamente al pensiero di
Enrico Ferri è la legge di saturazione criminosa, strettamente connessa alla teoria dei sostitutivi
penali. Cos’è la legge? Con questa espressione facciamo riferimento a una legge di determinazione
naturale in base alla quale secondo Enrico Ferri, in ogni ambiente sociale, in un dato momento
storico, quindi ogni ambiente sociale in ogni momento storico è caratterizzato da una certa forma e
una certa quantità di delitti, per intervenire sui quali non servono le pene scritte nei codici ma
piuttosto bisognerebbe agire sull’eliminazione o quanto meno sulla riduzione delle cause che
spingono i soggetti al delitto. Pertanto, nella spiegazione della legge di saturazione criminosa
troveremo un brano tratto dal libro più famoso che ci dice: “come un dato volume d’acqua in una
data temperatura si scioglie una quantità di sostanza chimica, non un atomo in più, non uno in
meno, così, in un dato ambiente sociale con date condizioni individuali e fisiche si commette un
certo numero di reati, non uno di più, non uno di meno. Quindi, da ciò deduciamo che il livello di
delinquenza è determinato annualmente (deriva da altri studi) da condizioni dell’ambiente fisico e
dell’ambiente sociale che combinandosi con quelle che sono le tendenze congenite e gli impulsi
occasionali degli individui (fattore fisico, sociale, costituzione, personalità del soggetto) avrebbe
dato luogo alla legge di saturazione criminosa. Strettamente correlata a quest’idea relativa al livello
di delinquenza, Ferri ci parla anche delle soluzioni possibili da mettere in campo anche se
comunque è consapevole del fatto di non poter riuscire a risolvere i problemi della criminalità a 360
gradi. Connessa alla legge di saturazione criminosa troviamo la teoria dei sostitutivi penali. Nello
studio delle cause del delitto, un posto centrale assume la prevenzione, che ha un carattere più
utile della prevenzione (elemento interessante da approfondire) quindi dato che comunque
l’obiettivo, è quello della difesa sociale, la difesa sociale per Ferri si può realizzare eliminando tutte
quelle cause che portano al delitto. Per far ciò, è possibile individuare dei provvedimenti di natura
diversa che Ferri definisce “sostitutivi penali” = ossia prevenzione (no sostituzione della pena),
stiamo parlando di una teoria di prevenzione delle cause che possono condurre al delitto. In Ferri
troviamo degli elementi di attualità su cui possiamo riflettere ancora oggi e che ci danno idea di uno
sguardo lungimirante per alcune problematiche e rispetto anche la posizione di chiusura di
Lombroso. Ferri, con la teoria dei s.p. possiamo suggerire riforme, provvedimenti e soluzioni a
monte, utili per cercare di impedire il concretizzarsi della criminalità. In particolare, in questa
teoria, la pena è uno dei tanti mezzi possibili, per combattere il crimine, però in realtà il compito del
legislatore dovrebbe essere quello di esaminare quali pregiudizi, costumi, usi possono essere
ritenuti fonte di criminalità ed intervenire in maniera determinante su questi onde evitare il
concretizzarsi di manifestazioni criminali. Come mezzo di difesa sociale, non è utile, non è la scelta
efficace quello del ricorso alle pene ma è meglio optare per una strategia di tipo preventivo, quindi
bisogna pensare ad altri mezzi che Ferri individua nei sostitutivi penali che definisce primi e
principali mezzi per preservare la società dalla criminalità. Società in cui le pene serviranno ancora
ma l’effetto delle pene, devono essere utilizzate solo in via secondaria, quando non si può fare a
meno nei casi di delinquenti pericolosi per i quali si prospetta un tipo di approccio relativo alla
segregazione di tipo clinico. Piuttosto che le pene dice Ferri, sarebbe meglio puntare sui sostituitivi
definibili come un antidoto contro la criminalità soprattutto, per tutti i fattori sociali (perché non
possono intervenire sui fattori antropologici ovviamente). Nel testo di Ferri, sociologia criminale, si
trovano numerosissimi esempi che ci fanno capire di cosa stiamo parlando e tra gli esempi diciamo
riportati nel libro sicuramente possono essere interessanti gli esempi dell’ordine economico,
politico, ordine civile, amministrativo, religioso e familiare. Vediamo insieme alcuni esempi che
possono rendere più chiara la teoria. Esempio -> ordine economico, il libero scambio è in grado di
prevenire molti reati contro la proprietà, evitando carestie o prezzi eccessivamente alti di prodotti
alimentari; sostituzione della moneta metallica alla carta moneta, per evitare la falsificazione delle
monete; si potrebbe pensare a stipendi proporzionati a bisogni dei pubblici funzionari per evitare
corruzione, concussione; per esempio è interessante vedere il rapporto tra spazio urbano e
devianza e a questo proposito l’autore ci dice che la progettazione urbana (case, progettazione di
vie larghe e illuminazione notturna estesa e capillare, la soppressione dei ghetti, può naturalmente
incidere a livello preventivo sui furti e particolare tipo di reato). Quando parla di ordine politico fa
riferimento ad un governo nazionale e rispettoso delle pubbliche libertà, questo potrebbe impedire
ribellioni, cospirazioni, guerre civili, sedizione, cosi come avere una piena libertà di stampa
potrebbe evitare reati di stampa e poi per quanto concerne la proposta di riforme ed opinioni sul
tema della politica è interessante notare su come Ferri si soffermi sul fatto che l’unità nazionale
non è sinonimo di uniformità dal punto di vista legislativo ed amministrativo. Ciò significa che Ferri,
come la scuola positiva in generale, condanna questa uniformità legislativa e amministrativa,
perché quella caterva di fenomeni criminali (mafia, camorra) si implementano. Diciamo che in
questo modo, a parte che ritroviamo in questo passo, tanti elementi su cui riflettere della scuola
positiva che a questo proposito di aiuta a riflettere sui provvedimenti in campo politico. Ferri è
contro l’uniformità legislativa ed amministrativa a livello nazionale. Altri esempi che vengono da
Ferri sono relativi alla modifica del codice civile e alcune riforme in materia di successioni,
testamenti, riconoscimento figli naturali, indagini sulla paternità che potrebbero far diminuire il
numero di omicidi, infanticidi e procurati aborti. Particolarmente interessante vedere sia in ambito
religioso, Ferri pensava al matrimonio tra ecclesiastici che eviterebbe infanticidi, adulteri, o ancora
in famiglia possiamo pensare all’ammissione del divorzio che arriva negli anni 80, perché potrebbe
far diminuire reati di bigamia, adulterio, omicidio. Gli esempi servono a spiegare il sostitutivo
penale, che per Ferri si potrebbero moltiplicare tanto da formare un codice preventivo a se da
contrapporre ad ogni articolo del codice penale. Con questa teoria riusciamo a comprendere
l’importanza che l’analisi di Ferri ha l’elemento sociale nella spiegazione della criminalità.

Quindi, riassumendo:

- Classificazioni dei delinquenti


- La teoria dei sostitutivi penali
- La legge di saturazione criminosa
- Riflessioni di giustizia penale (da fare)
- L’indennizzo delle vittime (da fare)

Lezione 05/10/21

Come possiamo definire la teoria dei sostitutivi penali -> una teoria di prevenzione. La teoria di Ferri sui s.p.
è una teoria di tipo preventivo volta ad individuare quelle lacune che diciamo possono in qualche modo
consentire il concretizzarsi di episodi di vittimizzazione. Nella lezione precedente abbiamo fornito degli
esempi per cercare di ridurre i reati. Secondo Ferri, modificando quelli che sono i fattori che possono
spingere al delitto, possiamo correggere in modo abbastanza efficace l’andamento della criminalità.
Modificando i fattori che possono condurre al delitto possiamo incidere sull’andamento della criminalità e
quindi il numero di reati. Tale teoria come dicevamo è strettamente correlata alla legge di saturazione
criminosa, cioè vale a dire che la teoria dei s.p. diventa complementare a questa legge perché abbiamo,
guardando alla teoria dei s.p, dimostrato che modificando i fattori di tipo sociali (riferimento a fattori bio
antropologici, fisici, sociali) possiamo incidere a livello sociale. Naturalmente possiamo ridurre il numero dei
reati e non possiamo eliminare completamente il problema della delinquenza, perché? Perché in ogni
ambiente sociale esiste un minimum di delinquenza che non si può eliminare, riconducibile ad esempio
all’elemento antropologico. Quindi, il crimine viene interpretato come un fenomeno che ha delle
caratteristiche che sono correlate al mutamento sociale e che possono incidere sulla trasformazione dei
comportamenti delittuosi. Qual è l’importanza dei s.penali ? mettere in evidenza il fatto che la legge penale
non è l’unico mezzo al quale possiamo ricorrere per cercare di combattere la criminalità. Perché nella
prospettiva di Ferri, la criminalità diventa il prodotto di una serie di cause, di tipo fisico, biologico, sociale
per cui la pena non può riuscire da sola diciamo a risolvere il problema, non può riuscire a fronteggiare le
cause. La pena deve essere, cosi per il positivismo, applicata come strumento di difesa sociale per ottenere
rieducazione del soggetto condannato, ossia il reo. In questa prospettiva con Ferri, l’apertura che troviamo
rispetto a Lombroso è la volontà di porre l’accento su quella che è l’opera di prevenzione e il notevole
vantaggio mettendo in atto azioni preventive.

Un’altra riflessione, importante analisi che troviamo è quella relativa al sistema della giustizia penale è una
riflessione che vuole mettere in luce quelle che sono le criticità rispetto alla giustizia, quelli che sono alcuni
elementi difettosi che non consentono al sistema di funzionare bene. Parlando di sistema di giustizia penale
e fattori difettosi, Ferri ne elenca in particolar modo 4:

- Arbitrarietà -> il riferimento al fatto che la motivazione della sentenza non è altro che il frutto della
visione discrezionale delle argomentazioni del giudice. Quindi è soltanto una aggiunta di
argomentazioni all’intima convinzione del giudice, riflette del resto la discrezionalità.
- Impersonalità -> sostiene che le leggi e i giudici non si occupano di quella che è la personalità bio –
psico – sociale di colui che viene giudicato. Quindi diciamo che la vede come una visione piuttosto
parziale, nel senso che vengono considerati il giudizio, delitto e pena ma posto in secondo piano chi
delinque.
- Disorganizzazione -> del sistema, vale a dire i vari organi della giustizia lavorano in autonomia
rispetto agli altri, privi di collegamento, quindi non conoscono l’esito delle decisioni degli organi,
ognuno agisce per proprio conto senza preoccuparsi di sapere cosa accade dopo o prima.
- Impotenza -> conseguenza dovuta agli elementi appena elencati, impotenza del sistema.

Ferri non si limita all’analisi degli elementi difettosi, ma propone anche soluzioni per migliorare la
situazione critica. Quindi per cercare di suggerire quello che può essere un funzionamento più efficace dei
servizi di giustizia, sostiene che sia necessario un impiego più razionale del personale, sia necessaria una
specifica formazione adeguata degli operatori della giustizia e una certa disponibilità di risorse (si riferisce a
risorse economiche e finanziarie). Quando Ferri si interroga sul funzionamento della giustizia e diciamo
quando analizza la dinamica del reato, quindi quella interazione che potremmo definire come
un’interazione tra due soggetti, da una parte abbiamo il reo e dall’altra la vittima, si interroga anche sulla
questione del risarcimento del danno. Sulla questione sostiene che lo stato debba divenire cessionario dei
diritti delle vittime, dando a queste soddisfazione e al contempo garantendo un risarcimento da parte del
reo. A questo proposito, anche Raffaele Garofalo si sofferma su questi temi, ma perché noi ne parliamo, pur
non entrando nel dettaglio? Perché è da qui, con questi due autori che si comincia a porre le basi per lo
sviluppo di una disciplina che vedrà la nascita nel 1948, la vittimologia, quella disciplina che a seconda degli
orientamenti può considerarsi come una branca della criminologia che si occupa di studiare e di analizzare il
ruolo della vittima nella dinamica criminale. Citiamo questi studi e questi autori perché cominciamo ad
accendere un faro anche sull’altra parte dell’interazione criminale, un altro soggetto, perché le teorie che
noi analizziamo insieme durante il corso sono reo centriche e non danno molta importanza alla vittima.
Quindi affermiamo che si ha una prima attenzione verso il ruolo della vittima, Ferri si è concentrato molto
sui diritti della persona offesa e considera la vittima il terzo vero protagonista del processo, da una parte
abbiamo il reo, dall’altra lo stato che giudica, l’apparato giudiziario.

Ieri abbiamo elencato una serie di limiti rispetto a questa scuola, non abbiamo ancora finito e in particolare
in questa circostanza, dopo aver trattato il contributo di Ferri possiamo citare un altro limite di questa
scuola che a differenza della classica, pone anziché l’azione giuridica al centro dell’analisi l’uomo
delinquente, che però abbiamo visto coi primi orientamenti (Lombroso) trova come fattore causale la
struttura anatomica ed organica. Quindi, di fatto, ricorre a delle generalizzazioni. Quindi, i criminali
sarebbero dal punto di vista psicologico e morfologico dai normali e dagli onesti (ritenuti tali). Questa
generalizzazione, fa riferimento a una violazione di quelle che sono le norme del metodo positivo, perché a
causa di insufficienza di osservazioni, erige a norma generale il caso particolare. Quindi ricorre a
generalizzazioni non avendo gli strumenti per farlo. Rispetto al contributo di Ferri, cosa possiamo dire?
Certamente abbiamo riconosciuto dei meriti, diversi da quelli di Lombroso:

- Pensiamo all’interpretazione di Ferri per la personalità del delinquente che deve porsi in relazione
col mondo circostante, ambiente di tipo naturale e sociale, si comincia ad esplorare una serie di
cause che possono concorrono a determinare l’azione criminale (anche se il dato antropologico
permane anche in Ferri)
- Posto al centro della riflessione l’idea di prevenzione, di aver posto enfasi sul problema della
prevenzione dei reati, anche se contestualmente può sembrarci anacronistico ma comunque l’idea
alla base è certamente da riconoscere come un pregio, un merito della sua produzione.

Con questo abbiamo esaurito i punti che abbiamo evidenziato su Ferri. Prima di passare a Raffaele Garofalo
(faremo qualche riferimento) è bene collegare un aspetto della riflessione di Ferri con l’attualità. Ogni tanto
quando possiamo cerchiamo di fare dei riferimenti moderni. A proposito dei tre fattori del delitto, ai fattori
cosmotellurici, fattori appartenenti nell’ambiente fisico (clima, natura del suolo, produzione del suolo,
alternanza delle stagioni). La prima domanda da porci è relativa a una tale possibilità: questi fattori che con
Ferri abbiamo definito fisici, possono avere delle relazioni con i tassi di criminalità? Che correlazione può
aversi?

L’ambiente può da un certo di vista, ritenersi non lungimirante ma in qualche modo collegabile all’attualità.
Effettivamente esistono delle variazioni connesse al cambiamento climatico, l’ambiente naturale e i
comportamenti umani. In realtà i cambiamenti pongono una serie di interrogativi anche nel contesto
criminologico, in particolare le implicazioni possono riguardare traiettorie diverse, non solo aumento
dell’aggressività nei soggetti ma anche fenomeni criminali legati a processi migratori, dettati da
cambiamenti climatici, sviluppo di mercati illegali, tutta una serie di crimini ambientali che contribuiscono
ad incrementare inquinamento, attività criminali che si infiltrano in quella che è la ricostruzione di edifici
dopo catastrofi naturali ad esempio, ma anche conflitti civili e comportamenti violenti. In particolare, ci
sono alcuni studi che hanno approfondito la correlazione tra comportamento violento e variazioni
climatiche. Un riferimento è allo studio del 2017, che ci dice appunto che esiste correlazione tra aumento
temperature e criminalità. Si fa riferimento alla città di Philadelphia, periodo cronologico che dura 10 anni e
che ha osservato come violenza e criminalità aumentino con temperature alte. Oltre a mostrare questa
correlazione, lo studio consente una serie di riflessioni sulla variazione comportamentale dell’uomo nelle
giornate più calde e questo è legato ad una serie di altre implicazioni, uso di spazi e abitudini in città.
Esempio -> con temperatura mite, i soggetti hanno l’abitudine di uscire con maggior frequenza e
aumentano in tal modo anche le opportunità dei criminali. Questo per collegare il nostro discorso
all’elemento di attualità.

RAFFAELE GAROFALO

Altro autore che è riconducibile alla scuola positiva, nominato a proposito del risarcimento del danno, un
positivista che si interroga sulla riparazione del danno, ruolo della parte lesa, che comincia a dare una
maggiore attenzione rispetto a quello che è la vittima del delitto. L’autore dedica molti scritti al tema della
riparazione del danno, possiamo citare uno scritto dal titolo “riparazione alle vittime del delitto”; indennità
alle vittime di reato. Da un punto di vista relativo alla produzione letteraria si spende molto per il tema. Per
Garofalo è un compito della s. positiva, il fatto di aver considerato/pensato la riparazione come uno degli
obiettivi precipui della repressione. G. diceva che bisogna riconoscere la vittima, merita da parte dello Stato
uno sguardo benevolo e una parola di conforto. Quindi diciamo che sicuramente un primo elemento da
sottolineare dell’autore è l’attenzione alla riparazione per le vittime. Però, cerchiamo di approfondire un
attimo il contributo dell’autore. Garofalo chi è? Un positivista, da attenzione alle vittime, si sofferma molto
ad approfondire il tema della riparazione del danno, è un penalista italiano, questa volta nato al Sud, Napoli
1851, insegna all’università, raggiunge la magistratura divenendo presidente di Cassazione. Anche lui è
ritenuto uno dei padri fondatori della scuola positiva e ha cercato di organizzare le proprie riflessioni che lui
stesso nomina “criminologia”, con questo titolo pubblica la sua opera più importante, tradotta in più lingue
1885. Quest’opera si divide in tre parti:

1) Dedicata al delitto
2) Al delinquente
3) Alla repressione

Secondo Garofalo, una delle premesse è relativa al fatto che non ci siano fatti considerabili come
universalmente punibili, cioè non esistono delitti che possano essere punibili in ogni tempo e luogo e ci fa
ricordare il concetto di devianza come concetto relativo. Quindi, per dimostrare questa sua premessa
ricorre a degli esempi (quando abbiamo parlato di devianza ne abbiamo fatti tanti), però a prescindere dalle
premesse Garofalo si differenzia dai due padri fondatori precedenti, perché la sua analisi si concentra su
qualcosa di diverso, su quella che Garofalo definisce ANOMALIA DEI SENTIMENTI. perché secondo
quest’autore è necessario cambiare il metodo, non focalizzarsi sulle azioni dei delinquenti ma sulle analisi
dei sentimenti. È implicito per l’autore nel concetto di delitto riscontrare la presenza della lesione dei
sentimenti. In particolare, Garofalo sostiene che questi sentimenti abbiano una radice profonda nell’animo
umano e sono questi a forgiare il senso morale. Con Garofalo definiremo il delitto naturale come l’offesa a
questi sentimenti, Garofalo scriverà “sentimenti profondi ed istintivi dell’uomo socievole”. Quindi, per
questo autore, diversamente da quanto visto, l’elemento di immoralità – necessario perché un atto nocivo
possa considerarsi criminoso – è correlato alla lesione dei sentimenti e in particolare fa riferimento ai
sentimenti altruistici. Da ciò dedurrà due diverse categorie di criminali connesse a due diversi sentimenti:

1) Pietà -> è correlata alla ripugnanza di azioni crudeli, resistenza rispetto a degli impulsi che possono
causare dolore ai nostri simili
2) Probità -> fa riferimento a un sentimento di rispetto per tutto ciò che appartiene agli altri non da
intendersi esclusivamente come bene materiale ma da intendersi anche come bene morale, quindi
fama, onore, diritti.

Il comportamento criminoso è legato alla lesione di sentimenti altruistici, la pietà e probità.

Distinguendo queste due diverse classi di delitto riconducibili la prima all’offesa del sentimento di pietà, la
seconda al sentimento di probità, corrispondono due classi di delitti:

1) Prima categoria -> mancanza di pietà -> aggressioni alla vita, aggressioni che possono produrre
male fisico, gli atti che comportano male morale, dolore morale (esempio diffamazione, calunnia)
2) Seconda categoria -> ritroviamo la mancanza di probità, conduce ad aggressioni violente alla
proprietà (furto, estorsione), aggressioni senza violenza ma aggressioni perpetrate con inganno o
abuso di fiducia (truffa), lesioni indirette alla proprietà e lesioni per diritti civili.

Ricordiamo come elemento fondamentale queste distinzioni che fanno riferimento all’offesa dei
sentimenti. Anche Garofalo, similmente ai precedenti, elabora una classificazione di delinquenti che non
riprende ne quella di Lombroso e Ferri, si limita anzi a identificare tre diverse categorie di delinquenti:

1) Assassini, quindi rappresentano per Garofalo il gradino più alto della criminalità, della scala della
criminalità che ha dei caratteri antropologici, psicologici precisi
2) Violenti – grado inferiore del sentimento di pietà, coloro che cedono ad impulsi violenti della
rabbia, della sovraeccitazione nervosa, Garofalo li definisce endemici perché in questa categoria fa
riferimento alla criminalità speciale -> camorra, mafia, setta degli accoltellatori. All’interno della
categoria dei violenti include anche quella criminalità endemica, speciale di determinate zone del
paese, quindi criminalità nel napoletano – camorra, mafia – sicilia, setta degli accoltellatori –
Romagna. In questo senso fa riferimento ai violenti
3) Ladri nevrastenici -> manifestazioni di mancanza di deficienza nel senso di lacuna del sentimento di
probità. In questa categoria possiamo ricondurre i delitti contro la proprietà.

Abbiamo il delinquente tipico assassino (elemento anche antropologico) poi violento ed energico (pietà) e
ladri nevrastenici (probità). Per quanto concerne il sistema della penalità, G. ritiene opportuno stabilire una
sanzione corrispondente al tipo di criminalità, con mezzi specifici da adottare. Contempla la possibilità per i
grandi malfattori e assassini della pena di morte ed elenca una serie di mezzi repressivi che devono
adattarsi ai casi. Cosa possiamo dire su Garofalo in rapporto ai precedenti autori?

- Anche se viene definito come epigone di Lombroso, egli si mostra perplesso rispetto all’elemento
fondante della teoria lombrosiana: le cause meramente biologiche.
- Garofalo fa riferimento a cause di tipo ambientale, a quell’anomalia morale, cioè vuol dire
mancanza di sensibilità nei confronti degli altri. Credeva che esistessero persone meno sviluppate
da un punto di vista morale
- Ritroviamo l’idea di un’inclinazione criminale correlata alla diminuzione di questi due sentimenti
- Una diminuzione del senso morale che può essere ovviamente correlarsi a delle anomalie innate,
congenite del cervello

Come abbiamo già visto, le critiche a questa scuola sono numerose e si affermano subito dopo i primi
congressi di antropologia criminale, soprattutto da parte di alcuni oppositori rispetto all’impianto teorico
positivista, in particolare Filippo Turati e Napoleone Colaianni. Le prime critiche arrivano da loro, in Francia
arrivano da Gabriel Tarde. Qual è la differenza sostanziale tra la posizione di Lombroso, Ferri e Garofalo e gli
antagonisti? Questi ultimi tre proponevano un approccio sociologico allo studio del crimine e allo studio del
criminale, che si allontana dall’approccio bio – antropologico di Lombroso. Questi autori fanno riferimento
a fattori causali, eziologia del crimine diversa, sostengono che le cause della criminalità non siano cause
ereditarie ma ambientali (ambiente sociale ovviamente). Sono autori che si oppongo all’idea del
delinquente nato che non riconoscono una matrice biologica del crimine e criticano quelle carenze
metodologiche viste più volte, quindi problemi metodologici riconducibili all’antropologia criminale.

Colaianni e Turati sono contrari al libero arbitrio, condividono una parte del pensiero dei lombrosiani,
invece Tarde cerca di optare per un approccio che possa mediare, trovare una strada di confronto, di
comunicazione tra approccio classico e quello positivo, senza negare categoricamente il libero arbitrio.
Tarde ci parlerà di numerose associazioni criminali nelle quali Gabriel Tarde riconosce il carattere
professionale, il crimine come professione (nuova interpretazione), ci parla di criminali che dimostrano di
avere un carattere professionale. Tarde parlerà di un criminale professionale e fonderà la sua teoria sul
concetto di IMITAZIONE, il criminale professionale prodotto dell’imitazione -> ripetizione di comportamenti
in un determinato contesto sociale. Abbiamo detto che i nostri autori che criticano gli autori lombrosiani
sono Turati e Colaianni che negano l’ereditarietà del comportamento criminale, questo elemento che
troviamo nel positivismo è uno spunto di riflessione e correlazione (tra ereditarietà e criminalità) che
conclusa l’esperienza della scuola positiva si ripresenta anche in tempi molto più vicini ai nostri. Col
trascorrere del tempo, l’idea del delinquente nato si avvia verso il declino, mentre la correlazione tra
criminalità e costituzione biologica non si avvia verso il declino ma vede dei momenti di ripresa, in tempi
successivi da diversi autori. È proprio sulla scia dei lavori degli studi del positivismo italiano che l’impegno di
studiosi che incentrano la ricerca sull’aspetto biologico si profuse. Se le tesi lombrosiane sono da ritenersi
superate (poca scientificità) il modello bio – antropologico non è da ritenersi superato ma anzi ritorna nel
corso del tempo. Facciamo riferimento al 900 furono realizzate alcune ricerche che si basano sul fattore
dell’ereditarietà, con attenzione su famiglie americane all’interno delle quali si riscontrava la presenza di
numerosi criminali. Lo studio si focalizza sull’albero genealogico della famiglia, con rapporto tra criminalità
ed ereditarietà. A questo proposito di ricorda lo studio di Richard Dugdale, che si concentra sulla famiglia
Juk, caratterizzata da una discendenza di criminali. All’interno della famiglia, il ricercatore scopre
comportamenti criminali e devianti (prostituzione, ladri abituali, vagabondi e capostipite soggetto
alcolizzato). In particolare, a proposito di questa famiglia, si analizzano 709 persone delle quali si possono
distinguere la maggior parte nel numero di 540 persone di sangue Juk mentre la restante parte di sangue
diverso, ossia imparentati con matrimoni con la famiglia. Dallo studio effettuato sulla famiglia, l’autore
dedusse che il comportamento criminale e antisociale sono comportamenti ereditati. Nel testo si afferma
che questi studi sono stati erroneamente interpretati, ossia l’autore in realtà non si concentrò sulle
influenze di tipo ereditario ma contemplò anche analisi di fattori ambientali. Giunse infatti a conclusioni
caute, per cui possiamo dire che lo studio sull’ereditarietà e sulla famiglia Juk non dimostra di fatto
l’ereditarietà della criminalità ma dimostra che l’ereditarietà combinata con alcune condizioni ambientali
può determinare la criminalità (cosa ben diversa).

Altri studi si concentrarono per esempio sui gemelli. Sulla base di alcuni studi genetici sui gemelli omozigoti,
si ritenne che ad un gemello criminale ne dovesse corrispondere un altro, uguale. Su gemelli identici, il
fattore criminale avrebbe dovuto accomunare i due gemelli. In particolare, facciamo riferimento allo studio
del 1919 ad opera dello psichiatra tedesco Lange, con 30 coppie di gemelli. Di queste 30 coppie, 13
monozigoti e 17 etero. Lo studio rileva che nei gemelli omo, in 10 su 13 casi, anche il fratello era stato in
carcere, mentre in caso di gemelli etero solo 2 su 17 il fratello si era trovato in condizioni analoghe.

Sulla base di questa rilevazione, l’autore dedusse un’identica predisposizione, alto livello di concordanza
per quanto riguarda il comportamento criminale dei gemelli identici. Siamo naturalmente ad inizio secolo.
Noi ricordiamo questi studi perché spesso vengono citati come studi importanti sui fattori ereditari per
quanto riguarda le cause del delitto, l’incidenza del comportamento criminale. Come già sottolineato, le
critiche a questi studi non possono essere sottovalutate:

- Uno studioso noto che si schiera contro questi studi (Meinhein) mette in evidenza l’esiguità del
campione, perché nello studio dei gemelli non si possono fare conclusioni del genere con un
campione del genere
- Critica ricorrente a Lombroso, i casi di studio sono tratti da realtà psichiatriche (Lombroso, il
campione già selezionato), quindi la propensione alla criminalità può essere più correlato a disturbi
psichici piuttosto che comportamento criminale frutto di un determinato corredo genetico
- Considerando lo studio sui gemelli, quasi tutti erano cresciuti nel medesimo ambiente, quindi
significa che è difficile valutare l’incidenza di altri fattori, specie di natura ambientale. Anche le
similitudini nel comportamento sono irrilevanti, non riconducibili all’eredità
- Di fronte alle coppie di gemelli che vengono analizzate, di tipo eterozigoti, è difficile identificare i
gemelli, questo può avere comportato errore nella ricerca
- Inoltre a conferma di quanto già affermato rispetto alle critiche che possiamo muovere, facciamo
riferimento a ricerche e studi successivi che hanno dimostrato come al momento della separazione
dei gemelli, influissero nel c. criminale fattori sociali, ambientali, familiari nei casi di adozioni.

L’interesse verso i fattori biologici ed ereditari non si arresta ma anzi nel corso degli anni (50 – 60) del
secolo scorso, al punto che si è deciso di studiare la struttura cromosomica di alcuni criminali. Le anomalie
riscontrate furono considerate una spiegazione valida del c. deviante con riferimento al comportamento
violento. Tra i criminali analizzati in questo studio, fu trovato un maggior numero di soggetti con un
cromosoma in più nella 23 esima coppia. Da questo riscontro si ipotizzò che i maschi portatori di un
cromosoma addizionale di tipo Y, potessero essere predisposti al comportamento criminale. Nel 1967
alcuni autori dichiararono che possedere un cromosoma del genere, potesse incidere negativamente
predisponendo i soggetti a comportamenti criminali. Dobbiamo sottolineare che non è stato chiarito alcun
nesso causale tra anomalie cromosomiche e comportamento criminale. Sottolineiamo che anche facendo
riferimento agli studi che postulano correlazione tra cromosoma addizionale Y o sindrome cromosomica,
anche in questo caso, i campioni risultano imprecisi, ridotti e quindi di una validità scientifica non provabile.
Lezione del 06/10/21

Oggi concludiamo il rapporto tra c. biologica e criminalità, facendo riferimento agli studi che troviamo nel
manuale, sono due studi che meritano particolare attenzione. Ci concentreremo poi sul quarto e ultimo
contributo degli esponenti della scuola positiva.

Ieri abbiamo evidenziato come anche dopo il tramonto delle teorie lombrosiane, alcune componenti di
queste teorie – volontà di indagare il rapporto tra caratteri ereditari e comportamenti antisociali – sono
state riprese. Abbiamo fatto riferimento agli studi su famiglie e gemelli e sindrome cromosomica. A partire
dagli anni 50, 60 si ripresenta l’interesse.

Oggi torniamo a Sheldon, anni 40, medico, psicologo americano, che studia la relazione tra costituzione
biologica e comportamento criminale. Ci troviamo nel 1949 all’incirca, Sheldon per realizzare e cercare di
rispondere sulla correlazione tra fattori fisici e comportamento criminale studia da vicino il campione,
analizza tutti i dati morfologici, biologici, biografie di 200 giovani di una fascia d’età compresa tra ii 15 e 20,
ospiti di una casa di riabilitazione di Boston. Nel procedere con lo studio e analizzando tutti questi dati che
vi ho elencato, arriva la conclusione circa 650 tratti temperamentali, che poi naturalmente per questioni di
ricerca ridusse in maniera un po' drastica a 50 tratti temperamentali. Dall’analisi dei tipi somatici,
caratteristiche fisiche e biologiche, arrivò a delineare 3 tipi diversi somatici. Sheldon decide di ridurre a 3
tipi fisici il campione della sua ricerca o quanto meno riscontra 3 tipi:

1) Ectomorfo -> nella figura è più magro, magrezza ma anche fragilità


2) Mesomorfo -> Lato opposto in figura, soggetto particolarmente reattivo, attivo e muscolo
3) Endomorfo -> il soggetto che è caratterizzato da una maggiore rotondità, una maggiore morbidezza
dirà l’autore

Come è facile immaginare, il tipo fisico più incline al comportamento deviante è il mesomorfo, perché ha
maggiore probabilità di mettere in atto condotte criminale e ritiene la mesomorfia lo sfondo costituzionale
più idoneo ad inclinazioni di tipo criminale. Ciò vuol dire che ha una possibilità di salvezza, quando e se
inserito e in situazioni positive, se dotati di intelligenza, possono orientare le loro tendenze verso mete
positive. Più inclini ma non necessariamente delinquenti e criminali. Che soluzione pone l’autore? In base
agli studi e alle analisi arriva a sostenere che il problema della delinquenza sia determinato dalle cellule
riproduttive e quindi come soluzione propone l’accoppiamento selettivo per cercare di evitare la nascita di
figli costituzionalmente nocivi. Un altro studio importante in quest’ambito che prende proprio le mosse da
Sheldon è realizzato dai coniugi Glueck, realizzarono uno studio sulla delinquenza minorile in particolare
sulla recidiva, facendo riferimento ad un contesto sociale particolare, cioè, delinquenza minorile recidiva in
aree urbane economicamente depresse. Giungono a soluzioni per certi versi analoghi a quelli di Sheldon,
anzi la loro ipotesi di partenza era verificare empiricamente la validità del tipo fisico mesomorfo visto come
maggiormente incline all’assunzione di comportamenti criminali. Quella dei Glueck è una teoria che già in
alcuni manuali si definisce multifattoriale perché include la componente biologica, caratteriale ma oltre a
questi due, aggiungono anche l’analisi di fattori di origine sociale, culturale, già questa è una teoria che si
presta ad un’interpretazione di tipo sociologico e psicodinamico della criminalità. Nel 1940 – 50 che anche i
Glueck come Sheldon iniziano la loro ricerca, che prende come campione di riferimento un numero più
consistente rispetto a Sheldon (200), il loro campione è formato da 500 giovani delinquenti abituali
minorenni e un campione di 500 non delinquenti. I coniugi giunsero ad evidenziare una serie di
caratteristiche differenti tra i due gruppi:

- Differenza che riguarda la costituzione fisica, confermano quella che è la teoria di Sheldon, perché
anche secondo loro i delinquenti sono di tipo mesomorfo in prevalenza
- Andando oltre l’aspetto fisico, ci parlano di differenze che riguardano il temperamento, i
delinquenti a differenza dei non d. sono soggetti caratterizzati da irrequietezza, sadismo,
aggressività ed impulsività
- Altra differenza è relativa all’atteggiamento perché i delinquenti sembrano soggetti che
manifestano diffidenza, ostilità, soggetti sospettosi, cosi come dal punto di vista psicologico si
distinguono perché sono diretti e concreti.

Quindi, riassumendo quanto detto:

1) Tipo fisico
2) Temperamento e componente emotiva, psicologica
3) Atteggiamento
4) Aspetti socioculturali e il loro impatto -> il livello socioculturale dei delinquenti -> deprivazione
familiare, cresciuti prevalentemente in contesti familiari caratterizzati da poco affetto, poca
comprensione e sono cresciuti in contesti familiari in cui i genitori non si sono diciamo rivelati adatti
a svolgere la funzione protettiva che dovrebbe fungere da guida e protezione per i ragazzi
delinquenti. Naturalmente per quanto riguarda i limiti di questi studi ne abbiamo già parlato ed
accennato a quelle che sono le criticità maggiori di questi studi, estendendo il discorso al titolo
“teorie bio antropologiche” i limiti sono uguali:
- Criticità dal punto di vista metodologico, i risultati sono inficiati e compromessi dal fatto di
identificare con una parte di essi che si trova già in situazioni peculiari, quindi il trarre il campione
selezionato da realtà particolari all’interno delle quali si trovano già soggetti che presentano delle
lacune relative non solo a condizioni di disagio materiale ma anche lacune relazionali (contesto
familiare).
- Si tratta sempre di conclusioni che non possono essere generalizzate, pensiamo alla differenza
sostanziale a trasferire quest’analisi nei confronti dei criminali dei colletti bianchi di Sutherland, che
non vivono da contesti deprivati ma che anzi sono proprio soggetti appartenenti a ceti culturali ed
economici piuttosto elevati. Sutherland romperà il pregiudizio di criminalizzare i poveri, anche
perché sappiamo che per definire e studiare il comportamento deviante sono diversi, non una sola
causa.

Adesso ci concentreremo su un altro autore, ultimo per la scuola positiva, facciamo riferimento a Scipio
Sighele (non c’è nel libro). In particolare, parliamo di Sighele non per l’approccio positivista che ci interessa
ed è strettamente correlato al lavoro dell’autore, ma l’interesse nasce soprattutto perché in un breve lasso
di tempo (muore a 45 anni, produzione scientifica di 25 anni) è una produzione molto eterogenea che tratta
temi di natura assai diversa: complicità nei delitti collettivi, critica alla letteratura, questioni di politica. Ciò
che è importante sono soprattutto i temi di natura sociale. Sighele è uno studioso non considerato dalla
sociologia della devianza, spesso si trova citato per una vicenda che lo vede contrapposto a Le Bon nella
disamina della folla – psicologia della folla, delitti della folla. Il libro più importante, scritto a 23 è “La folla
delinquente”. Diciamo pure che, oltrepassando il tema fondamentale trattato, parte da accezioni negative
ad altre positive nell’ultima fase di produzione. Partiamo da alcune note biografiche perché influenzano la
sua produzione letteraria. Sighele nasce a Brescia nel 1868 che fu allievo di Ferri, si laureò in giurisprudenza
a Roma e poi insegnò diritto penale in diverse università (Pisa, Roma, Bruxelles dove insegnò sociologia
criminale). Perché la biografia è importante da ricordare? Perché apparteneva ad una grande famiglia di
magistrati e si trasferì in diverse città a causa della professione del padre (procuratore), però per quello che
fu la sua formazione sui temi specifici che diciamo rientrano nella prospettiva della scuola positiva furono
determinanti le città di Roma e Milano, nella prima laurea, nella seconda -> completa il suo percorso. Nei
suoi scritti possiamo trovare argomenti temi che spaziano da criminologia alla politica ma anche questioni
sociali rilevanti, per esempio la condizione dell’infanzia e la condizione della donna. Quindi, dicevamo che è
riuscito a coniugare aspetti diversi nelle opere, quindi è da considerare come uno studioso in grado di
approfondire e valutare le trasformazioni sociali dell’epoca e del suo tempo, quindi non un autore
interessato esclusivamente interessato a temi criminologici, non si limitava ad osservare dall’esterno, non si
limitava ad una mera osservazione ma suggeriva delle proposte, soluzioni pratiche volte alla risoluzione di
alcuni problemi analizzati. Per comodità, possiamo suddividere la produzione letteraria facendo riferimento
ad una tripartizione realizzata dal nipote che individua tre diversi periodi:

1) Indagine scientifica -> parte da riflessioni che poi strutturano la tesi, analisi della folla e crimini
annessi. Fase in cui l’autore approfondisce le teorie della scuola positiva e le applica alla sociologia
e alla giurisprudenza.
2) Divulgatore -> quel periodo storico in cui l’autore si interessa di critica letteraria, esamina la
produzione letteraria a lui contemporanea, facendo riferimento a quella italiana e francese e
analizza i principali protagonisti delle opere.
3) Apostolo di italianità -> periodo che coincide con il periodo della maturità ed impegno politico dove
le parole chiave diventano irredentismo e patriottismo

La ripartizione viene poi ripresa da una studiosa che si occupa di analizzare il pensiero di Sighele, per
individuare dei periodi specifici rispetto a quali Sighele si impegna ad approfondire alcuni temi. La
formazione di Sighele è da ricondurre al positivismo, il suo interesse per la criminalità e fenomeni connessi
si sviluppano qui. Diciamo però che l’autore, pur essendo molto affascinato dalla figura di Lombroso, pur
riconoscendo lo spessore di Cesare Lombroso e avvicinandosi di Lombroso grazie al contatto di Ferri che
rappresentò il mentore durante il periodo degli studi di giurisprudenza e che ebbe su Sighele un’importante
influenza, l’adesione al positivismo fu legata principalmente alla condivisione del metodo, ma non alla
dottrina positivista in senso stretto, non condivise tutto rispetto agli orientamenti del padre fondatore.
L’interesse di studio e l’interesse di approfondimento di questo autore furono inizialmente incanalati verso
il diritto penale e fenomeni criminali. Punto di svoltà -> 1921 – la folla delinquente, che diciamo ebbe un
notevole successo, fu tradotta in 5 lingue e lo mise al centro di un dibattito piuttosto vivace con gli studiosi
della sua epoca. Questo scritto viene preceduto un anno prima da una riflessione sull’istituto della
complicità che vedrà la luce nel 1890, “la teorica positiva della complicità”. Qual è l’interesse iniziale
dell’autore? Parte studiando, cercando di tenere al centro dei suoi interessi i fenomeni di folla avendo un
obiettivo preciso, ossia comprendere come commisurare la responsabilità (penale) nei delitti collettivi,
voleva cercare di capire come attribuire la responsabilità penale ai diversi soggetti che frequentano la folla
e per certi versi si uniforma ad un pensiero già espresso da uno studioso, l’avvocato Pugliese e condivise
l’idea relativa al fatto che i delitti commessi nel contesto della folla, la responsabilità sia da considerarsi
come semi – responsabilità, quindi non una piena e totale consapevolezza da parte di colui che agisce. Nel
corso della produzione di Sighele troviamo un’idea di folla che cambia perché si arricchisce di nuovi
contenuti, muta di direzione e non viene più interpretata in chiave pessimistica, ma interpretata come
forma di aggregazione che può portare anche all’evoluzione della società e progresso, aspetti certamente
positivi. Noi non ci soffermeremo su questo punto ma ci concentreremo su alcuni temi specifici. In
particolare, Sighele si interessò di temi di natura sociale, analizza condizione infanzia e quella femminile.
Pur manifestando un’idea di emancipazione femminile peculiare per noi che guardiamo la produzione,
perché vede la realizzazione della donna all’interno della sfera domestica, familiare e figura materna,
Sighele riteneva indispensabile per il genere femminile l’obbligatorietà scolastica connessa anche ad un
accrescimento dal punto di vista culturale; riteneva opportuno l’inserimento nel mondo lavorativo per le
donne, in modo tale da vedere la scelta del matrimonio non come una scelta obbligata per questioni
economiche ma affinchè il matrimonio divenisse una scelta, non più un obbligo. L’autore, pensando alla
condizione femminile si pone a favore del diritto di voto e a favore del divorzio e parla anche di una tutela
adeguata per giovani madri. Quando approfondisce il tema dell’infanzia, ne parla correlando la questione a
problemi inerenti l’ambiente e soprattutto la famiglia. Quella che troveremo in Sighele è una denuncia a
quella che interpreta come una disgregazione sociale, una crisi dell’istituzione familiare e inadeguatezza del
sistema scolastico e carenza di istituzioni preposte alla cura e alla tutela dell’infanzia, naturalmente
preposta alla cura e tutela dell’infanzia abbandonata. Queste cause a livello di contesto sociale, famiglia,
istituzioni scolastiche e mancanza di luoghi di cura, contribuiscono ad incrementare i tassi di delinquenza
minorile. Facendo riferimento al terzo periodo di cui parlavamo, impegno politico correlato alla biografia,
l’ultimo periodo della sua vita è dedicato ai temi politici, specie dalle sue origini trentine. Egli crede nella
causa irredentista, quella che sua definisce “la sua patria del cuore” venga annessa al Regno D’Italia, è
questo che caratterizza l’ultimo periodo. Non è una mera osservazione del problema ma si traduce in
attivismo politico che gli costerà caro perché verrà espulso dal governo austriaco nel 1912 e non vi
ritornerà. Nel 13, dietro autorizzazione delle autorità austriache torneranno alla patria del cuore. Quindi,
leggere l’opera di Sighele, avvicinarsi a temi di natura molto eterogenea, in particolar modo di occuperemo
in modo prevalente di questi tre temi:

1) Delinquenza minorile -> partiamo da un presupposto, la formazione di Sighele avviene all’interno


della scuola positiva e significa che l’autore, almeno inizialmente, condivide il metodo, è sostenitore
italiana di antropologia criminale. Sighele non nega l’esistenza di casi congeniti di tendenza al
delitto. Quando parla del bambino Sighele ritiene che non si debba considerare come predestinato
e inguaribile, non è un soggetto predestinato verso cui non ci sono soluzioni. Quando parla del
ragazzo delinquente ritiene opportuno fare riferimento a delle proposte che siano soluzioni di
natura sociale per cercare di evitare ad alcuni ragazzi la scelta della carriera criminale.
Nell’analizzare il problema della delinquenza minorile, l’autore parla di responsabilità sociale,
quando si parla di criminalità minorile. La maggior parte di ragazzi delinquente è da ricercare in
quella che lui definisce “infanzia abbandonata” -> per la definizione riprende una tripartizione
operata da Ferri (parlava di Infanzia abbandonata dal punto di vista materiale, morale e
necessariamente). Ci sono riferimenti precisi per Ferri e poi per Sighele, per ciascuna categoria
1) i. materialmente abbandonata si parla di orfani
2) i. moralmente abbandonata si parla di tutte quelle situazioni nelle quali pur di trarre profitto in
modo illecito, i genitori obbligano i figli ad una serie di attività di tipo illecito (esempio furto,
prostituzione, condotte relative al vagabondaggio, maltrattamenti). Si fa riferimento ad uno
sfruttamento al fine di trarre illecitamente da minori
3) i. necessariamente abbandonata fa riferimento alla condizione spesso esperita da giovani che
sono costretti a restare soli per molte ore al giorno perché sono figli di operai, perché non possono
per ragione lavorative sottrarsi agli orari della fabbrica e non possono badare ai figli, che restano
soli.
Queste tre diverse tipologie sono condizioni secondo l’autore Sighele che si palesano quando
parliamo di ragazzini potenzialmente delinquenti e che necessitano di interventi urgenti. Questi
interventi sono interventi sociali di grande portata che richiedono per la loro realizzazione ingenti
somme di denaro. Allo stesso tempo, pur denunciando questo problema, l’autore ritenendo
indispensabile un investimento consistente dal punto di vista finanziario, ritiene che sia un
problema di difficile da risolvere, perché non si parla solo di un problema che potrebbe avere
ripercussioni sul settore penitenziario ma appunto un problema di natura finanziaria. È un
problema – dice l’autore – a cui l’Italia avrà a che fare e su cui fare i conti se non vuole il propagarsi
del crimine. Il progressivo dissolvimento dalla famiglia analizzato dall’autore è un contesto privo di
autorevolezza, rigore, responsabilità, severità, difficoltà economiche, divergenze coniugali,
maltrattamenti e immoralità. Questa particolare attenzione di Sighele nei confronti della
delinquenza minorile si concretizza in uno scritto in cui analizza la condizione dei minori condannati
studiando quello che è il progetto per stilare il codice dei minorenni. In particolare, in questo trova
e condivide alcune iniziative che trova adatte a quella che è la tutela dei minorenni condannati.
Sighele fa riferimento alla possibilità di evitare al ragazzo il contatto con il carcere comune, ritiene
meritevole di attenzione ossia prevede delle sentenze indeterminate (visto con altri autori,
indeterminata perché non ha un limite fissa ma può essere revocabile in casi in ci sia un serio
ravvedimento); la limitazione della pubblicità del giudizio e strettamente correlata il divieto di
pubblicare gli atti giudiziari (queste ultime due iniziative hanno un duplice fine: tutela del minore da
un lato, cercare di impedire l’effetto di emulazione dall’altro). Rispetto a quello che è il carattere
molto rigido dell’impostazione lombrosiana, possiamo dire che l’idea di Sighele rispetto ai problemi
della delinquenza minorile rappresenta un segno di apertura. Segue citazione (vedi slide), quindi
ritroviamo l’analisi proposta di cui abbiamo parlato. Quando si parla di d.m. l’autore si appella ad
una colpa indiretta che può avere origine dal punto di vista sociale e familiare. L’importanza di
questa valutazione rispetto alla condizione dell’infanzia è relativa ai fattori che valutiamo ancora
oggi. Quindi, posto che le radici della delinquenza minorile vanno come abbiamo visto, trovate in
ambito familiare e società, Sighele ci parla di alcune cause che incidono negativamente sulla genesi
della criminalità minorile:
1) Cause lontane ed ereditarie (influenza positivista) -> le condizioni fisiche al momento del
concepimento, cause morali, economiche e sociali dei genitori
2) Cause vicine e sociali -> si riferisce a una certa negligenza nell’educazione dei flgli, specie in
quella morale rispetto ai bambini. Questa negligenza può essere dovuta non solo per scelta ma
anche per necessità. È interessante valutare la differenza tra queste due condizioni, perché
quando ci parla di negligenza per scelta fa riferimento a classi elevate perché i genitori sono
troppi impegnati nella loro vita e non possono dedicarsi ai figli. Quando fa riferimento alla
condizione di necessità, pensa ai genitori piccolo borghesi o operai, che per questione
lavorative non hanno il tempo necessario da dedicare ai figli. Abbiamo inoltre citato il ricorso e
l’ausilio alle statistiche, l’autore lo fa. Tenendo conto delle rilevazioni, facendo considerazioni
sul numero oscuro (reati non denunciati), ritiene che l’aumento della criminalità giovanile sia
da ritenersi conseguenza della crisi della famiglia, perché molti genitori non sono in grado di
seguire adeguatamente i figli e guidarli. Ci dice una cosa in più: questi genitori non
rappresentano un modello per i figli, non impartiscono educazione da intendersi quale
trasmissione di principi, valori, morale, principi educativi, perché sono resi come in un turbinio
di interessi, sono assorbiti da interessi che riguardano moda, sviluppo civiltà, mettendo in
secondo piano l’educazione dei figli. Sighele non ha sempre atteggiamento ostile, perché i
genitori possono peccare in questo senso per omissione o debolezza ma comunque si rendono
sempre responsabili della sofferenza dei figli. All’origine di questa fotografia delle famiglie
contemporanee che si può avere l’origine della delinquenza minorile. Un altro aspetto
interessante del pensiero Sigheliano (aspetto oggetto di interesse attuale) è relativo ad uno
studio che vuole analizzare il rapporto tra opinione pubblica e fascino del delitto. Egli definisce
l’opinione pubblica un giudice impersonale e temuto e dice che, con l’avvento della stampa,
subisce un cambiamento. Prima il riferimento era ad un pubblico ristretto, composto da poche
persone, accomunate da interessi specifici (pubblico di tipo scientifico, letterario), quando
invece la stampa si diffonde, il sapere diventa politico, non riguarda più circoscritte minoranze
ma riguarda la maggior parte del popolo. Proprio connesso ai temi dell’opinione pubblica, uno
dei temi che possiamo ritenere come per certi versi attuali è quello che troviamo a proposito
della letteratura dei processi, titolo di un capitolo, nel 1906. In questo volume in particolare,
l’argomento che consente una riflessione è quello relativo al fascino che suscita il delitto, al
fascino che suscita la descrizione dettagliata e capillare di un delitto. Ciò accade anche oggi,
interesse del pubblico che diventa morboso verso quei dettagli che riguardano la vita del
delinquente, oppure spesso dettagli insignificanti che riguardano le vittime. Però la parte
preponderante sulla figura del reo. Segue lettura di un passo del testo, che ha ripercussioni nel
presente in quanto il crimine diventa sostanzialmente un’attività ludica, un’attività di
intrattenimento.

3) Parlamentarismo
4) La letteratura dei processi

Lezione dell’11/10/2021
Riprendiamo con l’analisi. Abbiamo discusso sugli elementi che possiamo ancora tenere in considerazione
nell’attualità. A noi interessa comprendere e parlare, per l’epoca quella di Sighele è una visione diversa, la
scelta di un tema che negli altri autori non abbiamo incontrato. Abbiamo già detto la scorsa volta che
Sighele si interroga sul fascino del delitto, perché si rende conto che quella che definisce letteratura dei
processi risulta all’epoca uno dei generi letterari più seguiti, alimentato da una curiosità morbosa che
diviene come una forza irresistibile, una caratteristica che accomuna la maggior parte delle persone perché
per Sighele tutti siamo alla ricerca di pettegolezzi rispetto ad azioni buone o cattive. Sighele dice che “c’è in
noi un interesse per tutto ciò che va oltre lo scandalo”. Ad oggi definiremo questo un aumento
esponenziale del pubblico verso il crimine e tutto ciò che ne consegue, i crimini e tutto un insieme di
interessi e di atteggiamenti che per Sighele possono condurre ad un fenomeno patologico. Con la
letteratura dei processi sighele evidenzia come i processi attirano il pubblico, in particolare su supposizioni
fantasiose, particolari insignificanti, quindi più che conoscere gli aspetti significanti del delitto, ci si occupa
dell’accumulo di inesattezze sulla pianta del delitto. La conseguenza è che ognuno, sulla base di conoscenze
affrettate, pretende di dare il proprio parere rispetto a quello che accade nelle aule di tribunale, senza
averne diritto perché non conosce i contenuti delle udienze, non ha approfondito in maniera adeguata il
caso giudiziario, non si sentono le testimonianze e le versioni, si da credito a riflessioni personali rispetto a
notizie sommarie e ci si innalza a ruolo di giudice. Questo avviene, secondo l’autore, perché la giustizia cosi
come la politica è un interesse che ci appartiene, ci riguarda da molto vicino e quindi interessando la vita
sociale implica quella che Sighele definisce come una “contaminazione esterna”, la superficialità con cui si
trattano i casi giudiziari contamina la giustizia. Ci parla di una suggestione del delitto che si origina da
meccanismi difettosi dell’apparato giudiziario. La successione del delitto si origina in questo perché riferibile
ed imputabile alla lungaggine processuale, che fa sì che si perda l’immediatezza del giudizio. Tra evento
delittuoso e pronuncia -> ricordo si diluisce, il dolore si attenua e le testimonianze diventano incerte. In
questo contesto, ancora una volta, contro la stampa che Sighele definisce fonte di amplificazione e diventa
quella che Sighele definisce l’artefice inconsapevole di altri delitti che vengono commessi per suggestione
giornalistica. Perché secondo Sighele, se la descrizione dettagliata di un delitto non ha un impatto negativo
sulla maggioranza, perché diciamo l’emozione che viene suscitata può essere transitoria, per alcuni soggetti
– degenerati o predisposti – l’impressione, emozione che per la maggioranza è transitoria, per alcuni
diventa un’ossessione che può condurre alla commissione di un reato. a questo proposito, ci parla del
fenomeno dell’emulazione, che però è pericolosa soprattutto su determinati soggetti degenerati o
predisposti. Anche qui, l’emulazione, dato che riguarda la minoranza non è l’aspetto più preoccupante ma il
pericolo maggiore riguarda la degenerazione del senso morale del pubblico, quindi non tanto emulazione
dei pochi ma degenerazione del senso morale, conseguenza dovuta all’enfasi che i giornali ed i libri
attribuiscono alla figura del delinquente. Quest’enfasi è diciamo sproporzionata rispetto alle notizie salienti
che riguardano il caso, perché è un’enfasi orientata prevalentemente a descrizioni insignificanti, descrizioni
che talvolta costituiscono una vera e propria biografia del delinquente, in cui assumono rilevanza elementi
più insignificanti. Questi sono proprio la fonte che alimenta la curiosità ed il fascino.

Segue riferimento: come viveva il super latitante matteo messina denaro (in frigo teneva caviale, salse
austriache, bottiglie di liquore, porta bretelle rosse, eccentrico, gioca al nintendo). Questo è uno tra tanti
esempi verso la figura del delinquente e vittima, soprattutto una situazione che si verifica dopo l’evento
vittimizzante che poi viene a scemare e che poi alimenta la spettacolarizzazione della vittima. Le riflessioni
di Sighele sul rapporto tra delinquenza, criminalità e la rappresentazione del delinquente e gli aspetti
morbosi del pubblico rispetto ad alcuni dettagli e questo voleva essere un esempio. Per approfondire un
attimo questa questione rispetto alla letteratura dei processi, molto probabilmente – deduzione rispetto
alla biografia e formazione – queste considerazioni inerenti a questi temi furono dovuti alla partecipazione
di Sighele ad un celebre processo noto come il Processo Murri. La partecipazione di Sighele lo vede per la
prima ed ultima volta nei panni di un avvocato. Riferimento al 1902, bologna, si trova il cadavere di
Francesco Bonmartini, marito di Linda Murri e genero di Augusto Murri. Il cadavere di Bonmartini in stato di
decomposizione viene ritrovato sfigurato da decine di coltellate e immediatamente l’attenzione si sposta
sulla famiglia di appartenenza, ossia Murri. Il professor Murri è un noto clinico bolognese, titolare della
clinica medica ed è uno degli uomini più popolari della città. Sarà qualche giorno dopo lui stesso ad
accusare lui stesso il figlio Tullio, anch’egli avvocato noto in città. Questa semplice descrizione degli eventi
serve a far riferimento a quello che diventò un caso giudiziario molto seguito, intricatissimo e discusso
come un caso di cronaca dell’epoca. Si tratta di un processo che riesce ad avere un eco anche sulla stampa
straniera. Il processo si chiude nel 1905, sentenza di colpevolezza per tutti gli imputati, condanna di Linda
Murri a dieci anni di reclusione, poi liberata con decreto di grazia e Tullio che viene condannato a 30 anni di
reclusione e che poi lascerà il carcere nel 1919. A questo proposito, come nota, ricordiamo che presso la
corte d’Assise nel 1905 anche Enrico Ferri partecipò al processo con una nota arringa in difesa di Tullio
Murri, parte opposta a Sighele, che difendeva il responsabile parlando di movente altruistico e di un
interesse non personale. Abbiamo visto che Sighele rappresenta la vittima, il conte Francesco Bonmartini e
dicevamo che questa fu l’occasione per approfondire questi temi proprio perché, secondo Sighele la
stampa in questa precisa circostanza ha condizionato l’interpretazione dei fatti. Perché i giornali mettevano
in secondo piano la compassione per la vittima e davano risalto a particolari scabrosi, inerenti al
ritrovamento del cadavere, denigravano la vittima per dare spazio esclusivamente alla rispettabilità della
famiglia Murri. È in questo contesto che abbiamo da una parte una vittima che desta poco interesse e
dall’altra aumento di popolarità del delinquente dato da una continua indagine ed interesse per ciò che
sono i successi amorosi, doti intellettuali che confluiscono addirittura in volumi scritti dallo stesso
delinquente. Quindi, vediamo una discrepanza, differenza di trattamento per quanto concerne la stampa
tra l’attenzione che viene assegnata al delinquente e la poca attenzione data alla vittima. A questo punto,
Sighele si chiede come sia possibile cercare di arginare questa suggestione del diritto e individua alcune
soluzioni, dicendo che non bisogna pensare a delle misure restrittive per la stampa ma bisogna piuttosto
cercare di adoperarsi per sviluppare “una coscienza maggiormente equilibrata”, quindi capacità critica,
riuscire a decifrare e comprendere, informandosi, il valore di tutto ciò che viene sottoposto alla nostra
attenzione. Certamente ciò che possiamo riconoscere in quest’analisi rispetto all’odierno è la
spettacolarizzazione dei dettagli irrilevanti, l’idealizzazione dell’autore di reato. Ciò che evidenzia Sighele è
relativa al fatto che si possa comunque ritenere innegabile che il pubblico resti molto spesso
particolarmente impressionato, dalle notizie che riguardano soprattutto efferati delitti, però molto spesso il
rischio è fondare la propria opinione sulla base di info che non corrispondono alla veridicità delle fonti.
L’appetibilità della notizia è data dal grado di coinvolgimento emotivo, il processo quindi ancor prima che
nelle aule di tribunale, diventa un processo massmediatico che si celebra nelle pagine di giornale, rendendo
diciamo confuso quel confine sottile che possiamo riscontrare tra la libertà di stampa e i diritti inviolabile
dei diritti delle vittime. Il problema che possiamo riscontrare è l’incapacità di riuscire ad affrontare in
maniera adeguata i casi giudiziari di cronaca. Un riferimento in particolare, è la sensibilità di Sighele rispetto
alla figura della vittima, perché nel processo Murri si definisce come oscura e sfregiata, colei che a
differenza dei superstiti non merita attenzione e commiserazione, quindi certamente un elemento da
sottolineare, perché è proprio in questi autori che troviamo una maggiore sensibilità verso la vittima di
reato. mette in evidenza la distanza rispetto a quella che è la notorietà del reo, quindi contrapposizione tra
autore di reato e vittima. Un altro argomento che ritroviamo all’interno dell’analisi sigheliana è relativa
all’istituzione parlamentare. Ci riferiamo ancora una volta ad un opuscolo del 1895 ma che innescò un
dibattito su questi temi, perché innanzitutto Sighele descrive il rappresentante parlamentare come una
persona mediocre, una persona che guarda solo al proprio tornaconto, una persona che è orientata a
perseguire un vantaggio di natura meramente egoistica e che quando incontra l’egoismo collettivo alimenta
un clima di immoralità. L’intento di Sighele non è quello di focalizzare l’attenzione sul deputato ma
analizzare il parlamento quale organismo collettivo, partendo dall’idea che accompagna la produzione di
Sighele dal tema della folla in avanti, che non bisogna lasciarsi ingannare e credere che un numero
maggiore di persone possa prendere decisioni migliori che possono essere prese da un singolo. Sighele
afferma ciò perché convinto che in una congregazione specifica di uomini quale quella parlamentare, si
abbia una diminuzione significativa del livello morale e del livello intellettuale. Quindi con la pubblicazione
del saggio contro il parlamentarismo, si critica il sistema parlamentare poiché non immune da corruzione,
clientelismo e favoritismi. Riprende per analizzare il contesto parlamento, un’idea di Aristide Gabelli, idea
che si porta dietro a partire dagli studi della folla, in base alla quale la somma degli individui non si
sommano, si elidono. per sighele in sociologia non si può operare in termini di semplice addizione
aritmetica, perché bisogna tenere presente che la psiche umana da vita a combinazioni e fermentazioni, si
tratta di fenomeni complessi che danno vita sempre ad un prodotto non una semplice addizione. Quindi da
ciò, perché ci interessa? Perché l’unione di più individui può dare risultati mediocri. La riunione di più
soggetti implica una riduzione del livello intellettuale. Per questo, quando analizza il parlamento, parla di
personalità ignote o insignificanti, di un contesto connotato e soggetto soprattutto alle leggi della psicologia
collettiva, la quale spesso comporta dei mutamenti rapidissimi che riguardano sentimenti opposti tra loro.
Quest’affermazione la ritroviamo nella citazione in slide, da “contro il parlamentarismo”. Quindi psicologia
collettiva che implica rapidissimi mutamenti di reazioni contrastanti tra loro, inclusi i deputati. Per quanto
riguarda il punto di vista morale, Sighele ritiene che si possa discutere solo dell’immoralità dovuta a diverse
cause:

- Innanzitutto il modo in cui vengono eletti i deputati, queste elezioni non seguono il principio della
meritocrazia, ma sono invece dovute a raccomandazioni esterne che quindi si traducono in un
sistema di obblighi, debiti i quali naturalmente conducono a scelte faziose ed ingiuste.
- L’unione di più soggetti con queste caratteristiche non può far emergere qualità moralmente
superiori perché il valore di pochi viene diluito dalla mediocrità della maggioranza. Quindi un
sistema connotato da immoralità, favoritismi ma anche da delitti. Quale soluzione porre a ciò?

Sighele non individua un rimedio vero e proprio, affronta i temi sociali e propone delle riforme. In questo
caso dice l’autore che non esistono rimedi veri e propri ma un’attenuazione del male rispetto alla situazione
descritta, è quindi possibile mettere in campo alcune proposte per cercare di migliorare questa situazione.
In primo luogo, fa riferimento alla riduzione del numero di parlamentare, perché limitando il numero è
difficile che rimangano fuori i buoni. Poi suggerisce una selezione più specifica, scegliere degli uomini con
spiccate doti politiche e poi propone l’idea di una retribuzione perché questa secondo Sighele può garantire
un impegno più assiduo ed una maggior responsabilità. Quindi, Sighele ci parla di retribuzione anche perché
questa che prima era un’occupazione scarsamente impegnativa potesse trasformarsi in un vero e proprio
incarico lavorativo. Queste sono le soluzioni proposte da Sighele in merito alla situazione parlamentare,
perché trattandosi di un organismo collettivo, questo soggiace alle stesse leggi della folla, quindi anche in
questo contributo e saggio, possiamo trovare elementi di cui possiamo parlare ancora oggi? Seguono
interventi in classe. Leggendo l’opera di Sighele si percepiscono delle contraddizioni, da una parte slanci che
mostrano apertura per temi moderni ma poi di fatto, in termini pratici una chiusura. Parlavamo ad esempio
della visione dell’emancipazione femminile che in pratica è sempre relegata al contesto domestico, o il
tema della parità di genere che da una parte è concorde, dall’altro nega dicendo che l’uomo e la donna,
seppur simili sono non paragonabili, hanno caratteristiche irriducibili che non potranno mai porsi allo stesso
piano. Teniamo comunque sempre presente di tre fasi di impegno, seppur breve, e quindi noi parliamo di
un autore che soprattutto nella prima fase della sua produzione viene fortemente influenzato dai canoni
della scuola positivista. Se per certi versi lo troviamo moderno, alcune produzioni letterarie, in realtà è uno
studioso che presenta gli stessi limiti della scuola positiva. A questo proposito, per trovare dei temi più
vicini fare riferimento a qualche studio precedente riguarda in particolare quella prima fase della
produzione sigheliana, ci riferiamo allo scritto all’opera un paese di delinquenti nati del 1890. Il titolo ci dice
già molto sull’impostazione e lettura di questo tema di cui adesso parleremo. Questo scritto viene inglobato
in un lavoro un po' più consistente “il mondo criminale italiano” nel 1893 con Bianchi e Ferrero. Perché
torniamo a quelli che sono i temi centrali della scuola positiva? Al centro di questo studio troviamo un
paese, Artena, in provincia di Roma, che Sighele ritiene caratterizzato da un numero elevato di reato.
pensiamo che oggi, in alcune riviste, il paese viene definito come il posto più vivibile al mondo. Qual è
l’analisi del nostro autore? Innanzitutto, ci parla di un fenomeno delinquenziale che è da riferire ad una
minoranza di abitanti. Ciononostante, viene etichettato dall’autore come un paese di delinquenti nati. Egli
valuta dati, informazioni statistiche, valutazione storica, caratteristiche specifiche della zona e comincia ad
interrogarsi sull’origine, sulle cause di una così elevata concentrazione di reati che naturalmente fanno
capo ad un tipo specifico di delinquenza. La delinquenza di Artena si manifesta in quello che Sighele
definisce “delitto per tendenza congenita della collettività”, che implica da un lato un potenziamento
dell’attività criminosa e dall’altro un abbassamento della moralità. Il delitto così inteso per capire meglio e
capire quello tipico dell’organizzazioni criminali (cita mafia, camorra). È un delitto che si fonda sulla
premeditazione, è un delitto che implica una temibilità grave e costante e che vede la prevalenza del
fattore antropologico. In questo, si distingue da un altro tipo di reato, che sighele definisce “il delitto per
passione della collettività”. Il delitto per passione ha delle caratteristiche diverse rispetto a quello della
tendenza congenita, perché si associa al delinquente d’occasione, è un delitto non premeditato, e
diversamente dal precedente del quale abbiamo detto è rilevante l’elemento antropologico, in questo caso
si ha la prevalenza del fattore sociale, cosi come si ha un grado di temibilità grave e costante. Perché è uno
scritto che fa riferimento alla tradizione positivista? Perché in particolare Sighele per spiegare l’elevato
numero di reati all’interno di questo piccolo contesto, elenca una serie di cause:

- Cause relative a caratteristiche psicologiche -> elenca una serie di tratti psicologici: impassibilità,
vanità, assenza morale (tratti simili al Lombroso). Cita anche dei tratti fisici, peculiarità relative
all’aspetto fisico come sviluppo eccessivo delle mandibole.
- Ereditarietà -> ne abbiamo parlato anche con gli sviluppi successivi, la tendenza al delitto si
trasmette per generazioni.
- Isolamento morale -> facciamo riferimento a degli elementi già visti con altri autori appartenenti
alla scuola positiva, ossia isolamento morale dei piccoli paesi di campagna che anche se non sono
molto distanti da un punto di vista geografico, di chilometri dalle grandi città, comunque restano
distanti in termini di civiltà.
- Conformazione dei luoghi -> il riferimento al luogo fisico, a quella peculiare conformazione dei
luoghi dove è possibile trovare boschi, vegetazione fitta, dei fossati profondi e privi d’acqua. Tutte
condizioni che creano e favoriscono la possibilità di creare dei nascondigli. Questa particolare
conformazione dei luoghi, all’interno dei quali è possibile creare numerosi nascondigli impediscono
il controllo e vanno direttamente a determinare delle situazioni di impunità. Situazioni di impunità
che naturalmente incoraggiano soprattutto i delinquenti nati o abituali a ricadere nel delitto. Anche
in questo caso, Sighele ipotizza delle soluzioni per cercare di arginare il dilagare della delinquenza
dal tema e quindi parla di repressione energica facendo riferimento all’ergastolo come uno
strumento risanatore. Nell’affermare questa possibilità legata ad un’energica repressione fondata
sull’ergastolo sottolinea che la strategia repressiva non è tra le soluzioni principali della scuola
positiva. Alla strategia repressiva la scuola attribuisce importanza secondaria, per sighele
rappresenta una scelta estrema però anche se estrema è inevitabile. Gli studi di Sighele in relazione
al contesto sono diversi, in particolare, ricordo anche uno studio realizzato con un altro positivista,
l’attenzione che sempre riferita al medesimo contesto geografico. Il volume si chiama la malavita a
Roma, pubblicato nel 1898. In tale volume, gli autori non rinunciano a qualsivoglia pretesa di tipo
scientifico, il loro obiettivo è voler comunicare spunti di sociologia criminale e nozioni di natura
antropologica, perché dicono “siamo discepoli di una scuola che a posto pervade ogni teoria della
criminalità, lo studio dei delinquenti da un punto di vista antropologico e sociologico”. Questo
studio è utile a sottolineare il fatto che questo rappresenti per Sighele l’occasione di esprimere una
critica nei confronti della legge penale che secondo i due autori non è in grado di rispondere
adeguatamente e che anzi quando interviene, rischia di peggiorare le cose. In particolare, i due
fanno riferimento alla detenzione carceraria. I due sostengono che durante la detenzione si
incentivano i rapporti tra criminali di professione e coloro che invece sono inesperti, quindi anche
correggibili questi ultimi. Affiancare queste due tipologie, significa incentivare un apprendimento di
tipo criminale. Il risultato che si ottiene per i criminali meno esperti, per Sighele è deleterio, quindi
sia Sighele che Niceforo dicono “sarebbe piuttosto auspicabile prevedere dei luoghi di detenzione
separati”. In tal modo sarebbe possibili dare una condizione di riscatto, è più facile che gli inesperti
possano essere corretti. Questo spunto di riflessione sull’apprendimento criminale è un elemento
moderno che ritroviamo. Un ultimo studio che in questo caso rappresenta una novità nel panorama
della scuola positiva è uno studio pubblicato nel 1892 e che è intitolato “la coppia”, scritto con
l’intento di analizzare la forma più semplice di associazione, la conoscenza di due individui. Il centro
è il vincolo criminale tra due individui. L’origine dev’essere sempre ricercata nella suggestione che
si manifesta non esclusivamente nelle unioni di tipo criminale, ma anche negli uomini onesi e anche
nei casi di degenerazione (parlerà anche di coppia pazza e coppia suicida). Esiste la disamina di
questo, analizzando le dinamiche di coppia. Sighele parte da coppia sana, poi suicida, poi pazza
dove già riscontra agli albori della coppia sana una particolare influenza, l’esistenza di una sorta di
superiorità di un soggetto su un altro, è sempre presente un rapporto di dipendenza psicologica.
Tuttavia diciamo che il nostro interesse è incentrato sull’autore del libro delle coppie criminali. In
particolare diciamo che l’analisi si riduce all’approfondimento di quattro tipi di coppie:
- Gli amanti assassini -> è la suggestione d’amore ad essere particolarmente potente, una
suggestione tanto potente da spingere la coppia verso l’omicidio del marito o del rivale. È qui già
che Sighele distingue due ruoli ben definiti, l’incube ed il succube, dove il primo ha predominio e
spinge all’azione. questo può essere alimentato anche da sentimenti di tipo diverso quale la
cupidigia.
- La coppia infanticida -> compie un delitto che può definirsi frutto di un amore illecito. L’autore parla
di infanticidio o di aborto, due reati che Sighele definisce analoghi giuridicamente ma dal punto di
vista sociale quasi identici, perché riguardano entrambi un’uccisione a seconda dell’età della
vittima. La differenza rilevante è relativa al fatto che in caso di infanticidio è quasi sempre la madre
ad essere quasi sempre responsabile, in caso di aborto, questa spesso è costretta ad avvalersi
dell’aiuto di complici, per cui la coppia sarà formata dalla madre e da un medico compiacente o
“una levatrice priva di scrupoli”. In questo caso specifico, secondo l’autore rientrano anche le
coppie incestuose, (?) dove secondo l’autore l’intensità della suggestione da parte della vittima può
raggiungere gradi talmente elevati come odio rispetto al carnefice. Queste prime due coppie sono
quelle nelle quali l’influenza dell’incube sul succube è maggiormente presente rispetto alle altre
due coppie che seguono, perché ritiene l’amore passionale come la più potente arma di
suggestione.
- La coppia di familiari -> la moglie che istiga al marito, madre che istiga il figlio. È qui che si fa
riferimento alla condivisione della quotidianità, confidenza dei soggetti, che può rappresentare il
terreno fertile per una suggestione criminosa. Non vi sono grandi differenze tra ruoli dei due, non si
tratta di un incube ma diciamo che questa situazione si manifesta più di rado.
- La coppia di amici -> non presenta delle grandi peculiarità se non differenze per quanto riguarda
l’ambiente in cui si forma, in particolare nelle carceri e bettole. Anche in questo caso, anziché il
legame familiare troviamo il legame d’amicizia, quindi per riassumere e concludere, diciamo che le
varie coppie criminali, possono essere rappresentate da un tipo di legame affettivo ma sono
comunque riconducibili al fenomeno della suggestione, quindi influenza.

Lezione del 12/10/21

Parziale 9 novembre, 10 Dicembre


Oggi, parleremo del mondo carcerario in Italia. Le slide non saranno disponibili, ma avremo la dispensa. Il
mondo carcerario in Italia? È molto difficile confrontare i sistemi carcerari in diversi paesi se non hanno lo
stesso codice penale, perciò è difficile confrontare USA e Italia, ad esempio. Noi abbiamo tre grandi aree
della detenzione: rems, carcere, carceri minorile. Guarderemo questi casi e come si sono formati.

Il mondo carcerario ha molti nomi perché si usa galera, carcere, penitenziario, istituti di pena, segrete,
lavori forzati. Sono sinonimi di carcere. Da un punto di vista professionale, si usa sempre istituti penitenziari
e di pena e i sottoposti si definiscono detenuti. Tali definizioni ce le portiamo avanti da tempi lontani.
Questa è una nave che si chiama galera, era una nave a remi. Già nel 1300 era usata per scambi mercantili e
mosse da schiavi. Successivamente ci misero anche chi commetteva reato e da qui abbiamo i galeotti,
perché venivano messi a remare. Il carcere non è nato con Beccaria. Il carcere viene dal latino che vuol dire
costringere, mentre per il termine “bagno penale” viene dal XV secolo, mentre le segrete erano strutture
del castello. La gattabuia -> luogo poco illuminato, perciò il carcere e costruzione dei penitenziari ha tempi
lontani, il primo è di amsterdam nel 1556, anche in GB, in Italia lo stato pontificio iniziò a Roma nel 1600 e
nascevano per contenere prostitute, ladri, vagabondi, ragazzi abbandonati perché si pensava andassero
riformati col lavoro e disciplina. Arriviamo poi a Milano nel 1700 e poi nel 1856 apre il primo manicomio
criminale ad Anversa, oggi si chiama Rems. Perciò il carcere in Italia. Noi abbiamo un grosso problema dei
carceri e di cui la corte europea ha delineato le problematiche con la sentenza Torreggiani, sentenza del
2013 e fotografa una situazione mai cambiata. Alcuni detenuti hanno fatto causa allo stato italiano per le
condizioni di detenzione e la corte europea ha dato ragione loro, per cui lo stato ha pagato i danni. È
interessante notare sul fatto che la corte europea non è d’accordo sulla soluzione detentiva ed in secondo
luogo, si è cercato ad ovviare una serie di strumenti per snellire la popolazione carceraria, talvolta
sfruttando situazioni emergenziale. In realtà è una pezza, data la mancanza cronica delle carceri e questo
provoca allarme sociale, perché quando si mette fuori dal carcere decine e decine di persone la popolazione
non è tranquilla, tanto che si raccomanda l’analisi del caso singolo. La corte europea non solo ci condanna
ma nonostante siamo nel 2021 siamo ancora così. L’organizzazione del carcere dipende dal ministero della
giustizia, poi il Dap, poi il direttore del carcere, il personale dell’area, volontari, etc. le nostre carceri si
differenziano in due grandi categorie: la casa circondariale -> pene inferiori ai 5 anni, soggetti in attesa di
giudizio; casa di reclusione -> sezioni al 41 bis, pene superiori a 5 anni. La corte europea condanna il 41 bis.
Per un totale di 189 strutture sul territorio nazionale. Quanti detenuti presenti al 30 Settembre? Quanti?
Numero di istituti 89, poi c’è capienza regolamentare dalla sentenza torreggiani, perché la sentenza indica i
metri quadri a disposizione del detenuto. Abbiamo una capienza di 50857, oggi 53000. Il sovraffollamento
risulta essere un problema, specialmente per le donne però le donne sono meno in generale, di cui stranieri
17209. Ora su 53900, non solo la maggior parte straniera, continua ad essere la maggioranza italiana. Le
carceri non sono sovraffollate perché ci sono tanti stranieri, questo è un mito da sfatare. Noi abbiamo
questa popolazione, la corte europea ci dice che abbiamo calpestato i loro diritti. Quali sono i loro diritti?
Gli derivano dalla costituzione italiana, perciò non glielo possiamo togliere. Come ad esempio la salute, una
vita dignitosa. Prima di passare ai diritti guardiamo altri due dati. Questi in tabella sono i detenuti (53900), i
condannati definitivi, italiani e stranieri sono 37114, la differenza è data da quelli in attesa di giudizio. Ora in
Italia, le porte del carcere si aprono in due casi: la detenzione perché c’è una sentenza passata in giudicato,
ossia passato tutti i gradi di giudizio oppure non si è posto appello; oppure, in attesa delle indagini, puoi
essere arrestato e trattenuto quando ci sono tre situazioni: la reiterazione del reato, il pericolo di fuga,
inquinamento delle prove. Il giudice allora può stabilire che in attesa di giudizio devi restare in carcere. Si
può inoltre fare appello al tribunale del riesame ma nel frattempo resti in carcere. Per il primo grado ->
8000 circa; condannati definitivi (condanna di primo grado) -> 5000 e qualcosa. Cosa succede? Succede che
tutte queste persone occupano posto nel carcere ed è ciò che ci contesta la corte, che sostiene che il
carcere debba essere l’estrema ratio. Occorrerebbe una revisione del codice penale. Altro problema ->
donne con figli sotto tre anni possono essere detenuti insieme. Ad oggi 25 madri e 28 bambini. Molti
chiedono misure alternative perché effettivamente il figlio può stare fino al 3 anno, poi deve lasciare il
carcere e questo è un problema nel caso in cui si debba scontare una lunga pena. Siamo ancora lontani dal
garantire una detenzione non sovraffollata. Perciò arriviamo ai diritti:

- Alcuni già visti, art 2 e art 27 costituzione, imputato non è considerato colpevole sino a condanna
definitiva, le pene non possono consistere in atti contrari al senso d’umanità, no pena di morte,
deve volgersi alla rieducazione
- Il diritto alla famiglia e mantenimento -> chi va in carcere ha diritto di mantenere relazioni familiari
e amicali. Con la legge 345 si stabilisce ciò che l’art 27 stabiliva. Il diritto non può essere spostato in
strutture più lontane di 200 chilometri dalla famiglia. Ecco perché alcune regioni sono sovraffollate
e altre no anche se non hanno raggiunto capienza massima. Questo è un diritto garantito che deriva
dalla costituzione, perciò la legge ha fatto proprio
- Diritto alla salute, anche il detenuto ha diritto ad essere curato. Sulla sanita penitenziaria c’è stato
un po' di problemi e pasticci, all’interno del carcere c’è sempre medico, infermiere
(indipendentemente da quale ministero gestisce la cosa), le terapie continuano ad essere seguiti,
detenuti che sono seguiti dal Serd ricevono metadone, l’infermiere fa il giro per distribuire i
farmaci. Nel caso che il detenuto abbia necessità di visite esterne, deve essere trasferito in
ospedale, sebbene siano difficili per la sicurezza anche se abbastanza di routine. Se il problema è
grave si richiede sospensione della pena e arresti domiciliari.
- Il diritto all’istruzione e allo studio, la costituzione non dice del diritto all’università, però
l’ordinamento penitenziario prevede questo come elemento atto al recupero. Scuole medie ed
elementari si frequentano in carcere, adesso le università possono permettere ai detenuti di
studiare e laurearsi. Il detenuto avrà modo di usare dispositivi tra cui il computer, la commissione di
laurea si era trasferita in carcere a Sollecito.

Dall’ordinamento penitenziario arrivano altri diritti:

- Diritto a professare la propria fede, abbiamo il problema delle persone musulmane che fanno il
ramadam, ora è possibile con le autorizzazioni. Il culto deve essere compatibile con l’ordine e la
sicurezza.
- Il diritto di ricevere di una serie di documenti, estratti legge 75 ordinamento penitenziario, Cedu,
carta dei diritti.
- Quando entra in carcere il detenuto deve ricevere alimentazione sana, fornello personale,
indumenti, biancheria del letto. (chi è a rischio suicidio, il fornello non viene consegnato)
- Possibilità di acquistare o ricevere merce dall’esterno, la famiglia può portare cose
- Il diritto al lavoro che fa parte del trattamento, lavoro pagato. Con questi soldi è possibile mandare
soldi a casa, in carcere i soldi non girano, il detenuto ha un libretto personale dove si registrano
entrate ed uscite. In carcere, si usa il termine “la domandina” è uno stampato dove il detenuto fa
richiesta di tante cose
- Il sopravvitto
- Diritto alla difesa
- I detenuti stranieri hanno possibilità di contattare l’ambasciata e i parenti

Questi sono i diritti che noi abbiamo. Abbiamo detto che ci sono tre grandi aree degli adulti, minori e REMS.

Sconti di pena -> si ottengono con relazione trattamentale, segue richiesta di sconto di pena. Le pene le
decide il giudice, solo lui calcola i termini

Riferimenti a carcere, pene, lavori intramurari ed extramurario, scadenze ed uscite

Adesso ci occupiamo dei minori, anche loro oggetto di detenzione e partiamo dall’organizzazione giudiziaria
minorile. Anche questa dipende dal ministero della giustizia, fino al 2001 esisteva il dipartimento minorile,
procura dei minori, istituti penali minori e dal 2000 è entrato in vigore il dpr dove ogni direttore decide il
progetto pedagogico d’istituto. A bologna fanno cene, hanno aperto al pratello e corsi di cucina. Il carcere ai
minori è l’estrema ratio, non la norma. Poi c’è il CPA, centri di prima accoglienza sono per minori in attesa
che il giudice decida cosa fare. Se il reato è grave -> carcere, oppure -> famiglia. In attesa di giudizio per gli
adulti -> carcere, non per i minori. Esistono poi servizi polifunzionali ed istituti per servizi diurni sostitutivi e
alternativi rispetto al carcere. La legislazione minorile non è vecchissima, c’era un decreto del 34 poi
sostituito nel 56. Arriviamo al 77 dove si ribadisce che la detenzione per il minorenne deve essere l’ultima
spiaggia, perché si ritiene che il minore possa essere rieducato e riformato, perciò si vuole evitare di porre
lo stigma. Ovviamente la legislazione minorile -> i minori sono imputabili dal 14esimo anno d’età, sotto no,
anche se verrebbero comunque seguiti. Le nazioni unite approvano le regole di Pechino che facciamo
nostre nel 1989, che regolano la detenzione minorile. Poi nel 14 si alza l’età in cui si considera il soggetto
adulto. Non sempre chi ha 18 anni va in carcere per adulti e anche quando entri in carcere tra 18 e 21 sei un
giovane adulto, quindi un occhio di riguardo. Adesso l’età viene innalzata a 25, i processi pedagogici
possono preservarsi fino a tale età, perciò troviamo che negli istituti ci sono anche maggiorenni che
possono restare fino al 25esimo anno d’età. Erika non è stata trasferita in una struttura per adulti da subito,
molto più avanti è stata trasferita. Qui abbiamo dei dati molto alti. I minori che sono in carico in slide ->
cosa vuol dire? Il tribunale dei minori e procura minorile si occupa anche di situazioni di famiglie
disfunzionali che hanno minori e perciò vengono prese in cura, con analisi delle capacità genitoriali,
assistenza famiglia, proprio per evitare che il minore venga collocato in una situazione di particolare
manchevolezza ma anche per evitare che si configuri una condotta delinquenziale. Ci sono delle famiglie
veramente disfunzionali – tossicodipendenza, alcolismo, violenza – che vengono monitorate dal tribunale,
che talvolta agisce in forza di denunce da parte anche delle insegnanti. Talvolta si decide di privare i genitori
della patria potestà. Quando si parla di minori sia in procura che tribunale c’è un mondo, perché 12000
maschi e 1279 minori femmine non sono in carcere. Gli istituti penali per minorenni -> 300 maschi e 15
femmine, quindi numero molto ridotto perché il carcere è l’estrema ratio, l’omicidio è uno dei motivi in cui
vai in carcere però è difficile arrivare subito a condanna, si preferisce la messa alla prova ad esempio,
elaborando un progetto comune. La pena massima per i minori non può superare i 16 anni, ecco perché si
trovano soggetti 30enni che escono dal carcere, perché il codice minorile prevede pene edittali più basse. Il
problema è che anche se sono minore e macchiato di giudizio, possono essere giudicato solo col codice dei
minori, perciò nessun minore avrà mai l’ergastolo o 30 anni.

Veniamo alle Rems, altro problema che abbiamo avuto in Italia. All’inizio, nel 1886 ad Aversa si apre il
primo manicomio criminale. Si è pensato di metterli separati, poi OPG, quando c’è stata la chiusura dei
manicomi, gli OPG sono rimasti aperti. Ora, chi andava all’ospedale psichiatrico giudiziario veniva
condannato all’ergastolo bianco, ovvero una fine pena mai, perché quando commetti un reato, il giudice
stabilisce che non sei in grado di intendere e di volere, finisci all’OPG e di solito ti danno 5 anni, poi lo
psichiatra rivede la posizione dei pazienti per verificare se il soggetto viene rimesso in libertà. Questo non
avviene mai, ci sono opg che ospitano persone da 30 anni. Allora, lo psichiatria dice -> vogliamo fare
psichiatri e non sostituirci al giudice. Queste cure devono essere garantite non con un fine pena mai, anche
perché quando queste persone escono non trovano famiglie che li riaccolgono. Perciò a questo punto, nel
2012 si decide la chiusura anche per gli OPG sostituiti da REMS, residenze per esecuzioni di misure di
sicurezza, uguali agli opg ma nome diverso (c’è stata anche una lunga coesistenza). La creazione delle Rems
sono state delegate alle regioni, ogni regione ha gestito la costruzione. La sicurezza esterna è garantita dalla
polizia penitenziaria, cosa che prima era interna ai reparti e ogni regione ha creato le proprie rems che
possono essere di gestione diretta o private. Restava il problema di questa specie di ergastolo bianco: ok
ora sono in cura, una volta curati il giudice interviene. Come facciamo? Alla fine hanno stabilito nel 2014
che comunque, all’interno della REMS non puoi rimanere con la pena massima per il reato commesso
(quindi pena 10, puoi stare 10 anni in REMS). La Rems deve essere anche qui un’estrema ratio, a questo
punto se non trovi un’altra misura si va in Rems, perché così si evitano situazioni complesse. Tutte le regioni
del 2012 hanno fatto le REMS. Abbiamo 606 posti letto, ad oggi occupati 730 però questo è il problema di
ricollocare queste persone, ad oggi, le Rems continuano a funzionare come ospedali psichiatrici. Ciò non
vuol dire che chi ha una malattia mentale va in Rems, ma solo chi ha commesso un reato.

Quali problemi vecchi e nuovi del carcere?

Problemi vecchi -> autolesionismo, lavoro, recidiva, suicidio, lavoro dopo il carcere

Quelli nuovi -> radicalizzazione -> le persone che in carcere si convertono all’islamismo e alla jihad e
abbiamo il superamento della divisione maschile e femminile per le persone transessuale, sono in transito,
perciò magari sono in transizione oppure non si operano ed è un nuovo problema che non trova soluzione
perché abbiamo solo parti o femminili o maschili. Solitamente si collocano in celle singole e poi il problema:
quale braccio? Sarà un problema più grande, perché non ci sono strumenti e risorse per fare una terza
sezione ed è un problema che molte associazioni si stanno ponendo.

Ultima cosa -> elenco aggiornato del 2021 di suicidi in carcere, i morti sono notevoli nonostante si prenda
molte precauzioni e questo però non sempre si riesce. Il suicidio avviene spesso non per colpa del carcere,
spesso ci si suicida perché ci si rende conto del reato commesso. Suicidi 3377.

Lezione 13/10/2021

Il delinquente non è un individuo isolato, ma il prodotto in cui vive. Quali sono le condizioni che possono
consentire la coesione sociale e quali la destabilizzano. Sociologi che hanno cercato di fare delle analisi sui
comportamenti criminali e quelli non conformi, detti devianti. All’interno delle teorie sociologiche è
possibile individuare 2 categorie, all’interno dei paradigmi interpretativi:

- Paradigma delle assenze e dei deficit -> 3 approcci teorici, in cui si hanno delle teorie che vedono le
cause della devianza associate a vari tipi di carenze, siano esse di tipo sociale, economico e
culturale:
1) Teorie che pongono al centro della riflessione il deficit economico causato spesso da condizioni
strutturali (povertà, disoccupazione, crisi economiche, disuguaglianze sociali) e anche carenze
di accesso alle opportunità sociali. Quando parliamo di carenze strutturali facciamo riferimento
a Marx, il quale tocca in maniera marginale il problema della devianza dicendo solo che questa
è correlata a problemi di alcolismo, prostituzione etc
La società nei confronti di questi individui attua un trattamento di sfruttamento e deprivazione.
In alcuni scritti M. parla del tema della delinquenza e delle cause del crimine, le quali vanno
ricercate nelle condizioni materiali dei soggetti. Delinquenza trattata per il perfezionamento in
alcuni settori: le maniglie sarebbero aggiustate se non ci fossero stati i ladri? Marx intende
sottolineare la natura criminale del sistema capitalistico. Provocazioni che inducono ad
affermare che l’eventualità di pensare una società libera dal criminale, coincide con l’abolizione
del sistema capitalista. Anche se la lettura di Marx non è un tema centrale si può trarre spunto
interessante in merito al tema. Con questa interpretazione si evidenzia il rapporto tra devianza
e marginalità sociale e rapporto tra quest’ultima e subculture devianti connesse a situazioni di
povertà e di disgregazione sociale. Altra prospettiva interna a questo approccio è quella
“conflittuale”. Troviamo qui l’associazione tra criminalità e classe sociale di appartenenza. Il
contesto resta ovviamente il capitalismo e si pone al centro della riflessione il conflitto di valori
e di interessi e lo si legge come elemento centrale di ogni dinamica sociale. La lettura dei
conflittualisti non è quella di una società che si fonda sulla condivisione di interessi e valori
comuni, ma si delinea una società tenuta insieme fondamentalmente dalla detenzione del
potere, da norme dettate da alcune classi sociali su altre
2) Si fonda sullo studio delle cause della devianza come indebolimento dei valori e delle regole
che controllano la società. Tale approccio trova fondamento dai contributi di Durkheim, autore
che ha a più riprese studiato il crimine, in cui si pone in relazione i comportamenti devianti con
l’anomia (ossia carenza o mancanza di norme socialmente condivise), per cui si considerano gli
aspetti correlati all’anomia, quali l’assenza di punti di riferimento validi, disgregazioni sociali ed
allontanamento dalla conformità dalle norme. Dopo Durkheim rientra in questa cornice
interpretativa la Scuola di Chicago, la cui esperienza sociologica è peculiare, perché va ad
incentrare la riflessione e da contributo empirico sul concetto di disgregazione sociale.
Partendo da ciò, i teorici analizzano le mete ed i mezzi, per cui obiettivi leciti ma mezzi più o
meno errati. Il deviante usa dei mezzi illeciti pur di arrivare alla meta che la società impone. La
teoria di Merton, appena proposta, rispecchia il contesto storico sociale americano, incentrato
sul sogno americano, realizzazione economica e fa riferimenti agli adattamenti di tipo sociale.
Oltre a ciò troviamo anche il contributo di Cohen, Cloward e Ohlin e le teorie delle subculture,
che partono dalle premesse poste da Merton e successivamente approfondiscono, ponendo al
centro della riflessione non adattamenti individuali ma collettivi. L’esposizione sulle subculture
si rintracciano dalle pubblicazioni del 1995 di Cohen, mentre per gli altri due autori non solo
fanno riferimento a forme di adattamento collettive ma si rintraccia una categorizzazione delle
bande, suddivise in: criminali, astensionisti, conflittuali.
3) Approccio che invece fa riferimento a delle carenze educative, ambientali e relazionali. Il
contributo qui è di Hirschi, che spiega come l’allontanamento delle norme per l’individuo sia da
ricercarsi in carenze che stanno all’origine del comportamento deviante. Sono carenze che
hanno spesso a che fare con i legami sociali. Tali carenze si distinguono in: attaccamento ad
altri -> genitori, amici o insegnanti; coinvolgimento-> ossia tempo ed energia condivisi per il
conseguimento di attività conformi; impegno -> come nelle attività di studio, lavoro o
mantenimento di buoni rapporti amicali; convinzione -> necessaria per l’adesione alla validità
delle norme sociali e giuridiche e l’osservanza di obblighi morali. Per l’autore, la mancanza di
questi elementi che produce una situazione deficitaria e carenze educative, comporta uno
scarso controllo di se e quindi si favorisce l’allontanamento dalle norme.
- Paradigma delle presenze o dei condizionamenti forti -> teorie che interpretano i fattori
determinanti della criminalità e devianza, facendo riferimento a sollecitamenti, pressioni sociali e
condizionamenti che agiscono direttamente sull’individuo. In questo paradigma si è soliti
riconoscere due filoni:
1) Teorie che attribuiscono importanza all’apprendimento di comportamenti devianti, trasmessi a
livello relazionale (rapporti con i pari, amici, contatti con soggetti devianti) o da un contesto
culturale di riferimento (impatto dei mass media, idee dominanti). Quando si fa riferimento alle
teorie dell’apprendimento dei modelli devianti la teoria più nota è quella di Sutherland. Egli,
noto per la ricerca sui colletti bianchi svolta nelle aziende americane (1909 testo censurato per
evitare denunce). L’interesse che l’autore si poneva era quello di analizzare comportamenti
devianti diversi da quelli già trattati dai sociologi e criminologi. Con la ricerca dei colletti
bianchi, detta anche teoria dell’associazione differenziale si discute sul fatto che non si ha un
soggetto che delinque perché mostra carenze, ma perché di contro, appartiene ad un contesto
integro, privo delle già citate carenze. A questo punto ci si chiede se allora il comportamento
deviante possa apprendersi a prescindere dal proprio contesto o status sociale di provenienza
prescindendo da caratteristiche economiche e sociali. La risposta è ovviamente affermativa,
mediante un tipo di comunicazione e comportamento che può prodursi in qualsiasi contesto
sociale. Nella teoria dell’associazione differenziale si spiega la modalità di apprendimento del
comportamento. Altro autore che non contrappone il mondo deviante e quello convenzionale è
David Matza, autore che parte dall’idea che non esistano delle differenze sostanziali tra
comportamenti devianti e non. Il testo “come si diventa devianti” si esprime come tra il mondo
convenzionale e quello deviante esiste un complesso di relazioni ed un sistema con elevati
gradi di compenetrazione, fino ad un processo di scambio reciproco tra i due mondi.
2) Teorie che attribuiscono al responsabilità del comportamento deviante ai processi di
definizione e di etichettamento di determinati comportamenti. I processi di stigmatizzazione
possono avere effetti sia sull’identità del singolo sia sul possibile sviluppo della carriera
criminale. Si fa riferimento dunque alla nuova scuola di Chicago, chiamati teorici
dell’etichettamento. La devianza diviene una proprietà conferita a determinati comportamenti
o atti all’interno del processo di costruzione della realtà. Si fa inoltre riferimento a Becker, col
testo “outsider”, in cui si descrivono come siano i gruppi sociali a creare la devianza e ad
istituirla, la cui infrazione rispetto agli standard posti costituisce la devianza stessa (per cui
ovviamente la devianza non è una qualità intrinseca in un atto). La devianza è definibile non
come qualità dell’atto commesso ma come conseguenza di un’etichetta verso chi si presume
differisca dallo standard e su cui si applicano sanzioni. Per Becker il deviante è colui al quale
questa etichetta è stata applicata con successo il comportamento non è da considerarsi come
deviante in se, è da ritenersi deviante in quanto definito così dal contesto sociale. La devianza
cosi costruita si propaga nello spazio sociale attraverso diverse reazioni, tra cui quella sociale
con la messa in atto di processi di stigmatizzazione e quella istituzionale, che ovviamente si
configura nella misura in cui il comportamento deviante riceve sanzioni da parte delle agenzie
del controllo, delegate del trattamento dei soggetti devianti.

Abbiamo così definito la cornice interpretativa delle teorie sociologiche che interpretano la devianza.

Riferimento agli statistici morali -> approccio spesso ritenuto prodromico della sociologia, in particolare due
autori sono degni di riferimento: Quelet e Guerry. Siamo nel XIX secolo, contesto nutrito da processi di
industrializzazione, patologie sociali collegate ai centri urbani, processi di urbanizzazione, condizioni di vita
malsana legata all’igiene, alla vita e alla qualità delle abitazioni. Tali condizioni resero necessari nuovi studi
che potessero spiegare la presenza di determinati fenomeno ed attuare strategie di controllo in grado di
affrontare nuove forme di devianza o problemi sociali in genere. Il maggior contributo della statistica
morale è quello di studiare lo stato morale della società, per cui si pone importanza e riguardo ai rapporti
tra criminalità e patologie sociali sorte a seguito dei nuovi contesti urbani. Si ha in questo settore
l’applicazione della statistica come strumento di analisi delle patologie sociali e problemi correlati. Questo
modo di fare ricerca è rintracciabile anche nella Scuola di Chicago, in cui si tentò di raccogliere e
organizzare dati di natura sociale ed economica per avere una base solida per poter usare lo studio di altri
dati.

Quelet e Guerry -> impostazione sociologica teorica per i problemi della criminalità. Il focus dello studio fu
quello di osservare i tassi di criminalità in relazione ad alcune caratteristiche socio – demografiche (età,
sesso e professione ad esempio). Scoprirono la presenza di regolarità nelle statistiche criminali. Per
entrambi gli autori i comportamenti umani sono condizionati da fattori esterni e leggono il crimine come un
fattore collegato al contesto e all’organizzazione sociale, motivo per cui i fenomeni della patologia sociale
solo legati alla società e sono ritenuti ineliminabili.

Quelet -> fisica sociale, scritto nel 1890. La sua formazione matematica venne presto applicata nello studio
della criminologia. Oggetto di studio -> statistiche criminali francesi, studia i casi di omicidio avvenuti tra il
1871 e il 1831. Notò che tra i vari distretti francesi i numeri di omicidi variavano poco da un anno all’altro,
per cui concluse che si poteva prevedere il numero di crimini che sarebbero avvenuti se si conosceva il
numero di quelli dell’anno precedente. Anche gli strumenti che servono per commettere reati, sempre
tenendo conto delle statistiche, sono prevedibili. I crimini hanno la medesima regolarità delle nascite,
matrimoni e decessi da un anno ad un altro. Le variabili che influiscono: età, sesso, stagioni, clima, stato
intellettuale degli accusati sono i temi che vengono analizzati per lo studio del rapport tra contesto e
comportamento deviante. Le probabilità di essere condannati aumentano se si fa parte di uno status
economico disagiato (o se egli vive in condizioni di indigenza) e soprattutto quando si è incapaci di
comprendere la giustizia. In merito all’età quale variabile, si evince una legge in base alla quale la tendenza
del crimine degli uomini nelle medesime circostanze, cresce rapidamente nell’età adulta con un picco ai 25
anni, per poi decrescere, anche a causa di fattori fisiologici quali indebolimento delle passioni, minore forza
fisica, avvicinamento del fine vita. È sempre a questo autore che delinea la legge termica della delinquenza,
ovvero sia, i delitti contro la persona sono più diffusi in luoghi con climi caldi mentre contro la proprietà
sono maggiormente diffusi in climi freddi e avvengono più frequentemente durante l’inverno. In merito alla
variabile “sesso” si rintracciano tre variabili per spiegare il diverso tipo di criminalità e la diversa incidenza
tra uomini e donne:

- Volontà, aspetto correlato alla moralità, ai sentimenti di vergogna e pudore che trattengono la
donna dal commettere un crimine;
- Occasione -> minore propensione alla delinquenza data dallo stato di dipendenza in cui vive la
donna di quell’epoca, motivo per cui in virtù della dipendenza adotta uno stile di vita
maggiormente ritirato.
- Facilità di agire -> ci riferiamo alla prestanza fisica, tendenzialmente maggiore tra gli uomini

Quelet -> è ritenuto il fondatore della biometria, disciplina che studia le caratteristiche fisiche dell’uomo e
le loro variazioni nel tempo. Dalla visione di questo autore rispetto al fenomeno criminoso, ritroviamo
considerazione con aspetti già precedentemente trattati, quali:

- Il concetto del libero arbitrio che viene definito compresso e non totalmente annullato per cui
l’uomo agisce per l’influenza di cause sociali esterne, non c’è razionalità. È la società che prepara i
delitti, i delinquenti e gli esecutori di questi
- I colpevoli sono da ritenersi vittime della società, si ha una visione della pena finalizzata al controllo
sociale e all’assistenza.

Guerry -> inizia nello stesso periodo la ricerca, di cui i primi studi sono di tipo comparativo, arriva alle
medesime conclusioni di Quelet e si ricorda perché nell’opera “statistica morale” realizza una cartografia
sociale e rappresenta simbolicamente informazioni sulla criminalità. Incrociando l’elemento socio –
strutturale (ossia ricchezza e sviluppo) e i dati delle statistiche criminali provenienti da dipartimenti
francesi. Dal suo contributo si rileva che la criminalità non implicava un diretto rapporto con condizioni di
povertà ma riconobbe un rapporto tra criminalità e disuguaglianza di sviluppo. Inoltre, riferendosi al
contesto geografico francese, emergerebbero diversi tipi di criminalità, come ad esempio al nord della
Francia -> maggiori delitti contro la proprietà, al sud invece maggiori delitti sulla persona.

Questi autori sono importanti da ricordare non solo per i contributi apportati ed innovazione degli
strumenti utilizzati ma anche perché da loro si formerà la scuola cartografica, embrione di ciò che oggi si
chiama “crime analysis”, studio che cerca di mappare la situazione criminale su un determinato contesto
geografico.

Lezione del 18/10/21

Come annunciato la settimana scorsa, partiamo da Durkheim, facendo riferimento alla concezione della
devianza e dei reati, della criminalità, riprendendo dei concetti cardine che ritroviamo nella concezione di
Durkheim. D. è uno dei più noti sociologi, sicuramente uno dei più importanti, la sua formazione si ha nel
solco del positivismo e riprende da Comte l’interesse per le scienze sociali. Alcune opere significative, la
divisione del lavoro sociale, le regole del met. Sociologico, il suicidio, le forme elementari della vita religiosa
e due opere postume l’educazione morale e sociologia, muore nel 1917 a Parigi. Dobbiamo guardare a
questo autore che analizza i comportamenti devianti facendo riferimento ai fattori di tipo sociale, quindi se
ricordiamo la premessa di mercoledì rispetto all’introduzione che riguarda le teorie sociologiche abbiamo
ricondotto il suo pensiero in quelle teorie che fanno menzione dei deficit che riguardano valori, deficit
inerenti al controllo sociale. D. mette in relazione i comportamenti devianti e criminalità col concetto di
anomia, condizione che alcune società possono sperimentare in alcuni momenti della loro esistenza,
nonché della loro evoluzione. Da un punto di vista etimologico anomia -> nomos – mancanza di leggi, alfa
privato. Per quanto riguarda D. riportiamo alcune nozioni.

Condizione di anomia come condizione di deregolamentazione che avviene all’interno di un contesto


sociale, diversamente potremo dire che senza la guida di regole chiare, di regole condivise, gli individui non
possono e non potrebbero trovare un posto nel contesto sociale. Significa far riferimento a dei soggetti che
hanno difficoltà di adattamento a cambiamenti repentini. Questa condizione di anomia che definiamo come
la deficienza di regole o norme atte a regolare l’attività sociale, conduce inevitabilmente a situazioni di
natura conflittuale, tensioni sociali, frustrazioni che possono condurre a comportamenti devianti o
comportamenti criminali. D. quando ci parla di anomia si riferisce al fatto che quando le regole sociali,
condivise perdono efficacia, gli individui sono in qualche modo spaesati, non sanno più cosa aspettarsi
reciprocamente l’un l’altro. Il concetto di anomia è un concetto che D. usa anche a proposito del suicidio,
nell’opera in cui analizzerà il fenomeno suicidario e in questa circostanza farà riferimento ad una
condizione moralmente deregolata in base alla quale i soggetti hanno uno scarso controllo sul proprio
comportamento. Quando una società diventa anomica? Quando non riesce a porre dei limiti alla corsa
verso il successo o quando gli individui non riescono a regolare i propri comportamenti all’interno della
cornice delle relazioni sociali. Sia che si intenda anomia come rottura di regole sociali o morali, in ogni caso,
si riferisce sempre alla disgregazione delle normali posizioni sociali. Quindi si riferisce alla perdita di
pregnanza delle norme che non svolgono più le funzioni per gli individui, condizione anomica significa
essere privi di una guida, privi di un orientamento che viene dettato dalle regole sociali per cui gli individui
appaiono disorientati. È in questa circostanza che per D. si può produrre insoddisfazione, devianza e
conflitto. Molto spesso troviamo negli scritti il riferimento alle cause di anomie circoscritte a crisi
economiche, industrializzazione, commercializzazione, fenomeni tipici del periodo storico che egli vive. Per
analizzare quegli aspetti fondamentali, dobbiamo, oltre al concetto di anomia, fare riferimento ad alcuni
concetti fondamentali, necessari per comprendere il fenomeno della devianza e criminalità.

Quali altri concetti possono aiutarci nella comprensione? Anomia, suicidio (forma più radicale di devianza
perché implica quella devianza dalla norma più elementare, quella di vivere), la solidarietà organica,
coscienza collettiva, il fatto sociale. Certamente partire dal concetto anomia, ma come detto il concetto da
riprendere è quello di coscienza collettiva, che bisogna intendere come l’insieme delle credenze e
sentimenti comuni dai membri della società. coscienza collettiva -> insieme che riguarda un sistema
determinato che possiede una vita propria ma è anche diciamo qualcosa che esiste grazie ai sentimenti e
alle credenze presenti nelle coscienze individuali ma agisce e si evolve secondo leggi proprie, distinta da
coscienze individuali. La coscienza collettiva è rilevante perché nelle diverse società implica una maggiore o
minore coesione sociale, quindi una maggiore o minore estensione o forza della coscienza collettiva stessa.
In merito al concetto di solidarietà -> ricordiamo come nell’analisi di D. nelle società tradizionali la
coscienza collettiva va a permeare gran parte delle coscienze individuali, ci troviamo di fronte in una
condizione in cui le coscienze individuali hanno una grande estensione che determina anche una forte
identità morale attorno a valori, imperativi, divieti e nelle società moderne abbiamo una coscienza
collettiva che ha un’influenza ridotta in relazione alle coscienze individuali. In una situazione nella quale la
coscienza collettiva è estesa e forte - società tradizionali – l’indignazione contro la violazione di un
imperativo sociale è molto forte. Nelle società moderne invece D. dice che osserva quello che definiamo un
affievolimento delle reazioni collettive, affievolimento per ciò che riguarda la violazione dei divieti. È una
situazione diversa e soprattutto ci dice D. oltre ad una minore reazione collettiva più debole, abbiamo a che
fare con interpretazione dei divieti più libera e ampia. In questa seconda condizione, ritroviamo ancora una
volta l’anomia, che va a testimoniare questa condizione, da intendersi come disgregazione dei valori
condivisi. Questa implica per quanto riguarda i rapporti umani, una disgregazione delle relazioni sociali e
per quanto riguarda i comportamenti individuali comporta allontanamento dalle norme. Quando la densità
morale di cui abbiamo parlato, connessa al concetto di coscienza collettiva, quando questa densità comincia
a sfaldarsi emergono le patologie sociali, tra cui il fenomeno del suicidio. Come possiamo intuire da queste
prime info ed elementi, capiamo che con D. devianza e criminalità sono strettamente collegati a fattori
sociali e al contempo capiamo anche che l’interesse di questo autore esula dallo studio dei fattori
individuali che possono essere di tipo sociale, economico ma anche spiegazioni causali di origine biologica.
L’oggetto di studio di soc. della devianza si fonda su quello che è il rapporto tra anomia e
devianza/criminalità. Per facilitare la comprensione ed avere uno schema chiaro rispetto al pensiero di
questo autore, facciamo riferimento a tre elementi principali, principi che ci guidano:

1) Natura relativa di ciò che ogni società definisce come devianza o crimine -> tutte le riflessioni fatte
nella prima settimana per il concetto di devianza si collegano a questa visione di Durkheim, perché
il primo elemento al quale facciamo riferimento parla del concetto relativo della devianza (relatività
della devianza). Quindi, questo primo elemento può certamente essere esemplificato in questa
citazione: “un atto urta la c. comune non perché è criminale, ma criminale perché urta la c.
comune….”. Cosa deduciamo da questo? Abbiamo detto che possiamo parlare di devianza facendo
riferimento alle reazioni di determinati comportamenti, a un dato momento storico e società.
quindi D. ci dice che i reati sono tali perché sono mala proibita, perché sono vietati/condotte
vietate dal diritto, fattispecie di creazione legislativa, non perché siano delle condotte moralmente
sbagliate, quindi al di là di una valutazione riconducibile all’ordinamento giuridico. D. la criminalità
viene definita come qualsiasi atto che offende gli stati forti della coscienza collettiva che
naturalmente determina conseguenze che si palesano in una reazione sociale forte.
2) Esistono crimini e condotte devianti in ogni società -> elemento relativo al fatto che esistano crimini
e condotte devianti in ogni società. Diciamo subito che il reato è per D. un fatto sociale normale.
Altro concetto cardine -> fato sociale, lo riprendiamo perché la teoria di D. fa riferimento al fatto
sociale, ogni modo di fare più o meno fissato capace di creare costrizione esterna…. (Vedi slide). D.
parla di Fatto sociale perché lo sfogo principale agli inizi della sua riflessione è la volontà di
dimostrare che possa esistere una scienza oggettiva (sociologia) che ha un oggetto specifico in
conformità con le altre scienze, il fatto sociale appunto, che esercita una costrizione sugli individui.
Affinchè vi possa essere una scienza c’è bisogno di un oggetto specifico diverso dalle altre scienze e
inoltre l’oggetto può essere studiato, osservato e misurato similmente alle altre scienze. Facciamo
riferimento dunque a dei fatti che hanno caratteristiche specifiche, modi di agire e pensare esterni
all’individui, dotati di un potere di coercizione che riescono ad imporsi all’individuo. Questi oggetti
della sociologia non sono da confondersi con fenomeni organici o psichici, perché riguardano una
nuova specie di oggetti da studiare ai quali è necessario attribuire l’epiteto di fatto sociale. Il
compito della sociologia è osservare il dato sociale come dato esterno e indipendente rispetto agli
individui. Secondo Melossi, il fatto sociale è riconoscibile attraverso l’esistenza di due precise
caratteristiche: l’esteriorità e la coercizione. Esteriorità -> capacità di porsi al di fuori della coscienza
individuale; coercizione -> fatto che è capace di imporsi e che è inevitabile. Il reato, la devianza
intesi in questo modo non hanno un carattere anormale, non sono da considerarsi anomalie per D.
perché elementi costanti sempre nelle società. D. ci dice “il reato è sempre esistito, presente da
sempre in tutte le società, muta forma ma in tutti i tempi e società abbiamo sempre avuto dei
comportamenti che hanno richiesto un tipo di sanzione”. Vi sono sempre stati uomini che hanno
ottenuto, in seguito al comportamento, una repressione. Ma cos’è normale per D? è normale
semplicemente il fatto che esista una criminalità, purchè questa non oltrepassi determinati livelli.
Perché ci dice D. , quando si verifica un innalzamento improvviso dell’indice medio di criminalità è li
che il fenomeno diventa da normale a patologico. Partiamo quindi dall’idea che d. definisce il reato
come un fenomeno socialmente normale, ciò non significa che i rei non abbiano mai anomalie di
tipo psichico ne significa giustificare alcuni comportamenti. Il reato è normale ma merita di essere
condannato e punito. Ciò che è normale è avere un certo numero di reati, diventa questo livello di
criminalità diviene patologico quando sale l’indice medio della criminalità. Sullo studio al suicidio,
anche un certo tasso di suicidi può essere considerato da D. normale. Il reato è un fenomeno
connaturato alla società per D. quindi si produce, riproduce nel corso del tempo in tutte le società e
contribuisce al cambiamento e all’evoluzione della morale e del diritto. È un fenomeno normale
perché è normale un certo tasso di reati all’interno di un determinato contesto sociale. Cos’è
normale in un contesto sociale? È normale quel fenomeno che si presenta con maggiore frequenza,
quindi il carattere della normalità del reato è dato proprio dalla sua frequenza.
3) Interpretazione diversa di D. rispetto alle precedenti, relative al crimine interpretato come un
qualcosa di inevitabile, necessario ed utile. Elemento che ci da un po' una visione innovativa
rispetto al passato, perché il terzo elemento vede il crimine, reato e le forme di devianza come si un
fenomeno inevitabile ma un fenomeno che è necessario e anche utile all’evoluzione della società.
cosa vuol dire? Perché un reato può essere utile? Potrebbe produrre un cambiamento sociale, es
parità di genere, suicidi, grandi rivoluzioni (criminalità evolutiva con Ferri). Diciamo che ci troviamo
di fronte ad un fenomeno che diventa inevitabile, che diventa patologico in riferimento al tasso di
criminalità ma è necessario è utile alla società perché determina dei cambiamenti, può anche
contribuire a dare una nuova forma a quelli che sono sentimenti collettivi e perché anticipa la
morale futura. In assenza di devianza le società risulterebbero caratterizzate da una totale
immobilità, invece il progresso, ciò che deduciamo è che il progresso è dettato da quelle forme
originali di un determinato tempo e società rispetto al comportamento dell’individuo ma anche
violazioni specifiche rispetto a norme sociali, di cui abbiamo fatto esempi. Il mutamento sociale
viene quindi “agevolato” dalla devianza ed è una condizione necessaria perché per D. nulla è buono
illimitatamente e indefinitamente. Se un organismo non si evolve muore. Il mutamento di diritto e
morale è favorito dagli atti devianti. Al contempo, classificare i reati come fenomeni attribuendo il
carattere della normalità significa non solo riconoscere il carattere di inevitabilità e riconoscere
anche che ci troviamo di fronte ad un fatto che contribuisce a quella che possiamo definire la salute
pubblica che diventa parte integrante di una società sana. Con D. il reato è normale, necessario e
vincolato alle condizioni della vita sociale, le condizioni a cui è legato è indispensabile all’evoluzione
della morale e del diritto. Ipotetica domanda -> reato per durkheim, quali elementi riconoscere?
Partendo da la definizione di D. che lo reputa fatto sociale normale, perché una società esente
sarebbe impossibile, il reato consiste in un atto che offende i sentimenti collettivi soprattutto quelli
dotati di particolare energia, il reato è necessario, utile, perché consente una evoluzione della
morale e del diritto, quindi in alcuni casi rappresenta proprio un’anticipazione della morale futura,
la libertà di pensare non avrebbe mai potuto essere proclamata se le regole che la regolavano non
fossero state violate. È normale, è utile, è necessario, inevitabile, è un fattore della salute pubblica,
è normale all’interno di una società sana ed è visto come necessario perché consente il
rafforzamento della coscienza collettiva. Come si rafforza? Attraverso la sanzione di tipo penale.

Ad un’ipotetica domanda sulla concezione della pena per D. dobbiamo ricordare le varie interpretazioni ed
implicazioni che è possibile apprendere e dedurre dal pensiero dell’autore. Naturalmente in D. una delle
funzioni della pena è rafforzare coscienza collettiva. A D. non interessa focalizzare l’attenzione sulla
repressione o prevenzione, non ci parla di una rieducazione o risocializzazione del colpevole come abbiamo
visto con la scuola positiva, quindi diciamo che la funzione della pena di D. è quella di rinsaldare i valori
comuni attorno a quella norma che è stata violata. Rinsaldare la coscienza collettiva vuol dire riuscire a
mantenere ordine sociale, infatti D. quando parla della punizione dice che non serve o serve solo
secondariamente a rieducare il colpevole o a intimidire i suoi possibili imitatori. Quando leggiamo e
facciamo riferimento alla parola “intimidire” pensiamo alla funzione deterrente. Quindi in D. non esiste la
funzione deterrente. La sua vera funzione è quella di mantenere intatta la coesione sociale, mantenere la
sua vitalità e si tratta di un qualcosa – la pena – che è destinata ad agire soprattutto sulle persone oneste,
perché tra le persone oneste riesce a rinforzare i legami di solidarietà. Se ci interrogassimo sulla funzione
della pena per D. potremo avere due risposte entrambe corrette. La funzione della pena -> da una parte
serve a preservare la stabilità criminale, quindi riuscire a mantenerla in certi limiti di normalità definiti da D.
; dall’altra la pena -> è il modo che serve a segnalare alla società ciò che è lecito da ciò che non lo è.
Attraverso questa interpretazione della funzione della pena in D. che si riaffermano i valori condivisi, valori
comuni e quindi anche la coscienza collettiva. Sono sempre gli stessi concetti a darci l’interpretazione
relativa alla criminalità e devianza nel pensiero di D. quindi funzione principale -> mantenere intatta
coesione sociale ed è necessario che a livello di contesto e coscienza comune, si manifesti nei confronti di
chi ha violato, messo a rischio la solidità della coscienza collettiva, una sorta di avversione unanime, quindi
del tutto nei confronti del singolo. Questa avversione unanime per D. si concretizza nel dolore inflitto
all’agente cioè al reo, che è andato contro questa solidarietà condivisa. Il dolore inflitto all’agente di cui ci
parla D. non è una crudeltà gratuita ma una funzione specifica e cioè riparare il male che il reo ha causato
alla società. il dolore serve per riparare. Rispetto alla funzione della pena in D. non ha uno scopo
preventivo, non ha una funzione deterrente non vuole incutere paura ne distogliere i soggetti
dall’eventuale commissione di un reato ma ha l’obiettivo di dare sfogo alla coscienza comune, che è stata
ferita dall’atto commesso e che quindi per questo motivo esige una riparazione. Parlando di pene e diverse
tipologie di sanzione – l’interpretazione della pena di D. non finisce qui – è necessario riprendere e andare
avanti per capire come -> ogni forma di solidarietà -> diverso tipo di reato e dunque di reazione ->
evoluzione del diritto. Ricordiamo che in uno degli scritti più importanti – la divisione del lavoro sociale del
1893 – ritroviamo quella classica distinzione, (elemento centrale dell’opera– società e individuo, chi nasce
prima? Le regole costituiscono il fondamento della società, le norme sociali regolano il comportamento
umano e uno dei temi più noti è quello che vede l’individuo nascere dalla società e non viceversa.
L’individuo in D. è espressione della collettività. Nella divisione del lavoro, l’oggetto di studio è il rapporto
tra individui e collettività) tra solidarietà organica e meccanica. La prima osservazione da fare è tra società
arcaiche e società in cui compare la moderna divisione del lavoro. Solidarietà meccanica -> quando ci
troviamo di fronte ad una società per somiglianza dove i membri della collettività si assomigliano perché
accomunati dai medesimi sentimenti, valori, riconoscono lo stesso motivo sacro, si tratta di una società
detta coerente perché gli individui ancora non sono differenziati. Solidarietà organica -> le condizioni sono
completamente diverse, nel senso è una società in cui il consenso sociale si esprime con la differenziazione
e gli individui non sono più simili ma sono individui differenti, quindi è una società moderna che permette
agli individui di essere se stessi ma si tratta di una funzione più ridotta. A queste due forme di solidarietà
corrispondono due forme di organizzazione sociale perché abbiamo società arcaiche con s. meccanica e
società moderna con s. organica. Perché ci interessa ancora questa distinzione? Perché in primo luogo,
guardando alla società moderna, è maggiore il rischio di disgregazione anomica. Nell’interpretazione di D.
abbiamo visto che il reato non può considerarsi come male assoluto però dobbiamo anche ricordare che
non si giustifica i comportamenti devianti, perché d. pur riconoscendo l’utilità e inevitabilità del reato ci
parla comunque anche di un effetto che ad un certo punto può portare ad una condizione patologica.
Quando D. affronta il discorso sull’evoluzione penale, ritiene che l’evoluzione verso forme più raffinate di
organizzazione sociale e solidarietà implichi il passaggio di un tipo di diritto a sanzione repressiva a un tipo a
sanzione restitutiva. Quindi, dalla solidarietà meccanica – organica – abbiamo poi un passaggio dal diritto
repressivo a quello repressivo (passaggio in termini di prevalenza, sarà maggiore e frequente la sanzione
restitutiva). Qual è la sostanziale differenza tra queste due forme di diritto? Per semplificare e capire di cosa
stiamo parlando, parliamo del diritto repressivo come diritto penale. Si tratta di un diritto che sanziona le
mancanze o naturalmente i reati che possiamo definire un diritto rivelatore della coscienza collettiva, un
diritto nella società a solidarietà meccanica, perché manifesta la reazione, i sentimenti comuni, la forza dei
sentimenti comuni rispetto al reato, all’atto commesso e che ha urtato, andato a ferire la coscienza
collettiva. Nella prima forma di solidarietà abbiamo detto che la coscienza collettiva è estesa, forte, quindi
saranno anche più numerosi quegli atti che vengono considerati reati, cioè atti che violano un imperativo o
un divieto e che quindi urtano la coscienza collettiva. È proprio da qui che deriva la definizione di D. come
atto proibito dalla coscienza collettiva. In questo contesto, si avranno sanzioni di tipo repressivo che mirano
direttamente a colpire l’individuo. Il diritto restitutivo a cosa ci fa pensare? Fa riferimento a un tipo di diritto
diverso che possiamo dire privato, civile, amministrativo, commerciale. Diciamo che l’essenza non sta nella
volontà di punire con delle sanzioni i trasgressori ma significa tentare di ricostruire le cose nel loro stato
(precedente all’infrazione). Non significa punire colpire direttamente l’individuo ma ristabilire lo stato delle
cose. Naturalmente, questo tipo di diritto restitutivo non è l’unico presente nelle società a solidarietà
organica, ma è da intendersi in un senso molto ampio che quindi è tale da inglobare tutte le regole
giuridiche che si propongono di organizzare e preservare/tutelare la cooperazione tra gli individui.
Diversamente dal diritto repressivo, la sanzione restitutiva non comporta espiazione ma una riparazione,
volta a ristabilire il rapporto sociale.

Lezione 20-10-2021

CASI DI CRONACA>

SUICIDIO ADOLESCENTI

20-25 minuti

Restituzione

1. Fattori protettivi  Es. delle buone relazioni familiari, con i pari, avere fiducia in se stessi
2. Fattori e situazioni di rischio  Es. Alta emotività, isolamento sociale, iper confronto, aspettative,
ruolo, senso di oppressione,
3. Strategie preventive  Aiuto psicologico, rafforzare canali di ascolto ecc.

CASO DI CRONACA: Nella notte tra mercoledì e giovedì 22 gennaio 2021, Andrea Collinelli, 26
enne residente a Forlì, si è tolto la vita lanciandosi dal tetto dell’itis di Ravenna,  Questo quanto
emerge dalla ricostruzione degli inquirenti, che nel verbale depositato in
Questura non hanno dubbi in merito alla volontarietà del gesto del ragazzo.
Il giovane, nato a Ravenna, avrebbe infatti lasciato anche un biglietto all’interno
dell’auto con cui si era recato davanti all’istituto, nel quale chiedeva scusa alla
madre per quanto stava per compiere, ma che il dolore per la morte del migliore
amico fosse troppo forte. Il giovane era infatti legatissimo a Christian Vernocchi,
l’operaio 26enne rimasto vittima di un incidente  sul lavoro lo scorso 14 gennaio
sera alla discarica Hera di Cervia.
Un primo lutto a cui oggi si aggiunge altro dolore, con l’amico che ieri si era
recato alla camera mortuaria di Vernocchi per un ultimo saluto all’amico.
Dopodiché, del giovane si erano perse le tracce, tant’è che la madre, che abitava
con lui a Forlì, si era rivolta alle forze dell’ordine forlivesi per cercarlo,
preoccupata poichè il figlio non aveva elaborato il lutto in seguito alla
scomparsa di Christian. L’allarme, su segnalazione della Questura di Forlì,
sarebbe arrivato anche alle volanti di Ravenna verso 23.30, quando subito sono
scattate le ricerche in area obitorio, dove il 26enne era stato visto per l’ultima
volta. La prima localizzazione è avvenuta, grazie al tracciamento del suo
telefono cellulare, in zona tribunale. Successivamente, a mezzanotte e mezza, la
sua auto è stata ritrovata chiusa nel parcheggio di via Sighinolfi in zona stadio.
Dopo pochi minuti, è stato quindi ritrovato il corpo sul marciapiede davanti
all’istituto.

1. FATTORI PROTETTIVI  Andrea ha compiuto questo gesto estremo o come definirebbe Durkhiem
‘’suicidio egoistico’’ a seguito del lutto del suo migliore amico.

- Fattori e situazioni di rischio  l’esposizione al pericolo è la situazione in cui lo stesso diventa concreto,
ovvero momento in cui la persona è esposta a un pericolo’’ invece il danno è qualcosa che può chiudere il
circuito di pericolo e può determinare una lesione fisica o fatale. Andrea aveva calcolato tutto, lo chiamerei
suicidio egoistico perché non ha pensato alle persone vicine a lui e anche alla loro sofferenza, tantè che
lasciò una lettera alla mamma nella macchina con scritto: ‘’ Cara mamma, spero che un giorno potrai
perdonarmi, mi hai insegnato ad amare incondizionatamente, e io provavo questo per Verno. Prenditi cura
dei miei fratelli, ti amo immensamente e sei la donna della mia vita’’.

1. – Strategie preventive  Sicuramente un aiuto psicologico. Le strategie preventive che si potevano


adottare in questo caso di suicidio sono state adottate, la mamma preoccupata per il figlio Andrea
che non rispondeva al telefono ha avvisato le forze dell’ordine di Forlì che subito si sono messe in
contatto con quelle di Ravenna.

SECONDO PARZIALE

ARGOMENTI RELATIVI AL SECONDO PARZIALE


Lezione sulla relazione tra reato e donne.

Le donne delinquono meno, e questo è un dato che inizia già da lontano ( 1800) non poteva farlo
poiché non disponeva di soldi e anche di decisioni autonome.

Cesare Lombroso scrisse con Ferrero ‘’la donna delinquente’’ o ‘’ la donna delinquente, la prostituta e
la donna normale’’ che possiamo considerare il primo trattato di criminologia delle donne.

L’analisi lombrosiana della devianza al femminile produsse una durata influenza sulla scienza
criminologica fino agli anni del Novecento.

Le ‘’donne normali’’ lombrosiane sono deboli, emotive, amorali e infantili. Seconde all’uomo per
biologia, psicologia, intelletto e moralità.

La ‘’donna criminale’’ presenza disordini atipici ‘’diminuita sensibilità sensoriale’’ e ‘’segni di


degenerazione cerebrale’’, non si possono misurare come le anomalie biologiche e psicologiche. La
donna criminale aveva caratteri ‘’mascolini’’, l’ intelligenza, più attivismo, più vivacità, ma anche i difetti
peggiori della femminilità – l’inclinazione alla vendetta, l’astuzia, la crudeltà ec..

Altri studiosi nel ‘900


Nel 1950 Otto Pollak, sociologo statunitense, pubblicò il libro ‘’The criminality of woman’’. Riteneva che
la sproporzione tra i tassi di criminalità M/F nelle statistiche ufficiali, fossero dovute alle differenze
biologiche e individuali che ritenevano le donne più abili a fingere o a mentire e quindi più difficile da
scoprire. Oltre, sempre per Pollak, i soggetti deputati al controllo sociale avrebbero un atteggiamento di
favore verso le donne – cd ‘’teoria della cavalleria’’- e vi sono numeri nascosti degli omicidi commessi
per mano femminile direttamente o con il ruolo di istigatrice.

Nel 1975 freda Adler, sociologia pubblicò il libro ‘’Sister in crime’’ dove sostiene l’esistenza di un nesso
tra criminalità ed emancipazione. Tra le donne emancipate con una effettiva parità tra sessi, anche i
tassi di criminalità femminile sarebbero aumentati.
La situazione in Italia
In Italia, oltre al terrorismo degli anni 70’, visto come il periodo buio, vi sono anche le organizzazioni
mafiose. Negli anni 90’ ci si accorge che anche le donne gestiscono gli affari della mafia, prima erano
sempre rimaste nell’ombra, la gestione del territorio era sempre in mano agli uomini, in seguito so è
visto che per mantenere il controllo del territorio molti uomini sono stati sostituiti da mogli o parenti
del sesso femminile. La donna tiene spesso in caldo il posto all’uomo nel momento in cui questo esce
dal carcere. Ci sono state anche alcune donne che sono state messe nel 41 bis.

ROBERT KING MERTON

Merton è un sociologo statunitense, nato a Filadelfia il 5 luglio 1910. Professore dal 1941 presso la
Columbia University. Dettore del Bureau of Applied Social Research.

È uno dei principali esponenti della scuola funzionalista in America e ha fornito originali contributi allo
sviluppo della metodologia della ricerca sociologica.

Merton si pone l’obbiettivo di scoprire in quale modo alcune strutture sociali esercitano una pressione
ben definita su certi individui e li orientano ad indurli in una condotta non conforme, ovvero di tipo
deviante. ( primo interrogativo che si pone Merton)

Teoria della tensione ( MERTON)

- Come alcune strutture sociali influenzano certi individui, inducendoli a comportamenti devianti?
- Quali sono le condizioni che producono comportamenti conformi?

TEORIA STRUTTURAL-FUNZIONALISTA

1. STRUTTURA SOCIALE  con i ruoli di status offre un accesso differenziato


2. STRUTTURA CULTURALE  struttura che comprende le mete, intendersi come obbiettivi cui tutti
devono pendere, mete per le quali vale la pena lottare dice merton

Vicino alle mete troviamo anche I mezzi  mezzi legittimi, accettati, non illegali

Mete su cui si concentra merton : successo economico, prestigio ecc.

Concetto di ANOMIA di merton ( sviluppato da Durkheim)  Intende l’anomia come dissociazione tra
mete e mezzi, discrepanza fra le mete proposte dalla società e i mezzi istituzionali predisposti per
raggiungerle. In questa condizione si viene a creare una sorta di squilibrio tra una forte enfasi attribuita
alle mete e una minore importanza attribuita ai mezzi legittimi.

Mete culturali (definizione) : scopi definiti culturalmente. ( cose per cui ‘’vale la pena’’ lottare)

Mezzi istituzionalizzati: modi legittimi per il raggiungimento delle mete.

In un contesto come questo, quelle norme condivise da tutte, perdono la capacità di regolare il
comportamento dei singoli e quindi si verifica una demoralizzazione/destituzionalizzazione.

Merton parte dal presupposto che in ogni società esistono mete culturali a cui individui aspirano e modi
legittimi/ accettabili attraverso quali è possibile raggiungere questi obbiettivi.

Merton dice che i gruppi più svantaggiati hanno più difficoltà ad usare determinati mezzi, e hanno più
difficoltà a raggiungere mete a cui vogliono aspirare.
Merton pone l’attenzione alle classi sociali svantaggiate, i membri sono indotti al comportamenti
deviante perché fanno fatica a raggiungere le mete a causa di mancanza di mezzi.

Il deviante è chi usa mezzi illegittimi per arrivare alle mete, chi rifiuta i mezzi, non si conforma agli
imperativi sociali ma anche colui che contesta tali imperativi.

Ruolo politiche di controllo: In un contesto del genere le politiche di controllo dovrebbero cercare di
annullare questa dissociazione tra mete e mezzi, anche da un punto di vista culturale cercare di ridurre
questa enfasi per determinate mete come per esempio il successo economico come meta che deve
essere raggiunta a tutti i costi.

METODI DI ADATTAMENTO INDIVIDUALE

Modi di adattamento Accettazione mete culturali Accettazione mezzi


istituzionalizzati
conformità + +
Innovazione + -
Ritualismo - +
Rinuncia - -
Ribellione +/- +/-
- mete e mezzi accettati e accessibili a tutti, quando si verifica una eccessiva attenzione alle mete, si
verifica una integrazione difettosa. Alcune mete vengono enfatizzate eccessivamente ( successo
economico ) più di altre.

Conformità: modo di adattamento più comune e diffuso, sé cosi non fosse la stabilità e la continuità
della società non potrebbero essere garantite. Individuo conformista è colui che si impegna ad un
obbiettivo delle mete culturalmente definite. Questo da non escludere che i ceti medio-altri non
utilizzano mezzi illegittimi per arrivare alla meta.

Innovazione: modo adattamento che comporta l’accettazione delle mete culturali, e quindi dei valori
socialmente approvati, ma non dei mezzi istituzionalizzati. Le mete vengono raggiunte attraverso l’uso
di mezzi istituzionalmente proibiti, ma efficienti  tipo di adattamento che interessa maggiormente la
criminalità. Quindi per esempio attraverso la corruzione, frode ecc. l’individui raggiunge le mete.
L’individuo innovatore ha interiorizzato l’imperativo culturale relativo alle mete imposte dalla società
ma allo stesso tempo non ha interiorizzato l’importanza delle norme. Innovatore figura classica
criminale ( ladro, spacciatore, trafficante di droga) secondo Merton questo adattamento è comune
soprattutto per coloro che appartengono agli stati sociali inferiori, quindi che hanno poche capacitò
legittime di successo.

Ritualismo: implica l’abbandono o l’abbassamento delle mete fino al punto in cui le proprie aspirazioni
possono essere soddisfatte attraverso l’uso dei mezzi istituzionalizzati. Il ritualista è deviante perché
rifiuta le mete del successo proprie della maggioranza.

Rinuncia: tipo di adattamento in cui vi è il rifiuto delle mete poste dalla società e dei mezzi istituzionali.
I rinunciatori sono estranei alla società. In questa categoria rientrano i tossicodipendenti, gli alcolizzati
e i vagabondi.

Ribellione: vi è una doppia scelta. Prima il rifiuto delle mete e dei mezzi codificati, poi l’assunzione di
nuove mete e di nuovi mezzi. Il ribelle combatte per una struttura socio-culturale alternativa a quella da
cui ha preso la distanza.

Lezione 08-11

LE SUBCULTURE: ( MERTON )
Contesto: Stati Uniti d’America

1 testo: titolo: ragazzi delinquenti di Albert Coin ( 1955)

2 testo: Rivisitazione assunti teoria mertoriana e di coin titolo: teorie delle bande delinquenti di Coin
( 1960)

Questi due autori criticano a Merton di aver posto l’accento su una condotta di tipo strumentale, per
aver posto l’accento su una mete precise ( successo economico ) dopo avere analizzato il contesto
circostante si accorsero che alcuni comportamenti non potevano essere interpretati secondo la teoria
dell’anomia di Merton, in particolare in riferimento storico agli anni 50, e a quelle forme di devianza
riconducibili a delle bande giovanili.

Critiche che possiamo muovere alla teorie di Merton: a parte quelle già dette ovvero che propone
mete di tipo utilitaristico mete di tipo strumentale per valutare una condotta deviante. 1. Mete
individuale ( non guarda alle relazione sociali dell’individuo ( ovvero l’individuo non agisce in maniera
sociale )

Merton non ci spiega perché le classi sociali elevate ( che hanno tutto ) commettono comunque atti
devianti.

Politiche di intervento: cosa si può fare per migliorare la situazione descritta da Merton? Si potrebbe
pensare in termini di politiche di risolvere o quando meno limitare il problema della dispersione
scolastica, avere una istruzione pubblica, tassare i più ricchi e agevolare i più poveri, offrire una serie di
servizi sociali adeguati, formazione di corsi professionali per ridurre le limitazioni definite più
svantaggiate/vulnerabili.

DEFINIZIONE SUBCULTURA: Sottoinsieme di elementi culturali sia immateriali che materiali – valori,
conoscenze, linguaggi, norme di comportamento, stili di vita, strumenti di lavoro – elaborato o
utilizzato tipicamente da un dato settore o segmento o strato di una società: una classe, una comunità
regionale, una minoranza etnica, un’associazione politica, religiosa, sportiva, una categoria
professionale, un’organizzazione come la burocrazia, l’esercito, una grande azienda, oppure una
comunità deviante come la malavita di una metropoli o la mafia.

A.K. COHEN (1918-2014)


In ragazzi delinquenti Cohen elabora una teoria della delinquenza giovanile subculturale, studia il
comportamento delle bande delinquenti; maschi della classe inferiore – bande giovanili forma più
comune.

Atteggiamento non utilitaristico, prevaricatore, negativo.

IL COMPORTAMENTO DELLA SUBCULTURA è:

1. Gratuito: ‘’rubare per il gusto di rubare, indipendentemente da considerazioni di guadagno e di


profitto, è attività a cui si attribuisce valore, vanto, bravura ed una profonda soddisfazione;
2. Maligno, ‘’malignità e di astio attivi, disprezzo e scherno, sfida e provocazione’’;
3. Distruttivo, ‘’La condotta del delinquente è giusta, secondo i principi standard che regolano la sua
sottocultura, precisamente perché è ingiusta secondo le norme della cultura circostante.

Cohen, Ragazzi delinquenti, pp. 20-23

La sub cultura è una forma di adattamento elaborata da un certo numero di soggetti che si trovano ad
affrontare, partendo da una posizione di marginalità pressochè simile, gli stessi problemi.
Tutti i giovani vanno alla ricerca di uno status sociale, però non tutti possono raggiugerlo con le stesse
opportunità, specialmente i figli delle famiglie delle classi inferiori che mancano di vantaggi materiali e
simbolici. Cohen pensa questo

L’attenzione di Cohen si focalizza sulla classe operaria perché ritiene che hanno una difficoltà maggiore a
raggiungere una posizione sociale considerata rispettabile agli occhi degli altri. Si rivolge a questa classe
poiché dice che è soggetta a maggiori tensioni rispetto ad altre classi.

L’obbiettivo di Cohen si incentra sul rispetto e l’attenzione, è legata la difficoltà di raggiungere una certa
considerazione sociale da parte degli altri. Il suo pensiero non è legato al raggiungimento del successo
economico.

- Cohen riscontra nella classe media una seria di valori che non sono condivisibili dalla classe
operaia, fa esplicito riferimento ad una determinata appartenenza di genere, ovvero i maschi, e
dice che questi criteri di valutazione portano ad essere sintetizzati in una serie di atteggiamenti di
questa classe media, ovvero: ambizione marcata nel volere raggiungere le mete elevate, sono dei
ragazzi che nutrono fiducia in se stessi, mette in evidenza la loro riluttanza nel rivolgersi ad altri per
richieste di aiuto e di sostegno, nonché orientati ad una progettazione consapevole delle loro azioni
che è anche correlata alla capacità di avere una gratificazione posticipata. I ragazzi della classe
media secondo Cohen hanno dei valori legati all’utilizzo delle buone maniere, occupazione
costruttiva del tempo libero ecc.

- Dall’altra parte (classe operaia) troviamo una classe che invece vede dei giovani orientati in modo
diverso. Giovani con criteri di classificazione sociale diversi, in primo luogo Cohen dice che questi
ragazzi hanno la caratteristica di essere alla ricerca di un edonismo immediato, ovvero non hanno
progetti a lungo termine, vogliono tutti subito e non hanno visione del futuro, in più rifiutano
qualsiasi tipo di obbedienza all’autorità tranne quella legata al contesto di banda.

Cohen afferma che esistono 3 SOLUZIONI differenti per affrontare il problema di adattamento:

1. La soluzione del ragazzo di college  il ragazzo sceglie di impegnarsi nello studio per affrontare un
percorso che apre le strade per il successo
2. La soluzione del ragazzo di strada  insuccesso di tipo scolastico, possono scegliere di adottare lo
stile della classe operaia ( quello della famiglia) senza entrare in contrasto con quello della classe
media
3. La subcultura deviante  Scelta criminale e delinquenziale

I primi problemi tra queste classi sorgerebbero già alle scuole elementari, perché i bambini della classe
inferiore sono in competizione con quelli della classe media. Gli insegnati utilizzano metodi di valutazione
adatti per la classe media e non per quella inferiore (operaia)

La subcultura si forma come una risposta che più individui forniscono per lo stesso problema di
adattamento: alla frustrazione, derivata dal non essere o non sentirsi in grado di raggiungere le mete
culturali, si risponde enfatizzando valori alternativi e negando quelli interiorizzati  formazione reattiva.

Meccanismo di difesa della classe inferiore

Utilizza un meccanismo psicodinamico della formazione reattiva per spiegare la genesi della subcultura
deviante.

Come si forma la Subcultura??

1. Si forma per aggregazione di soggetti che condividono gli stessi problemi di adattamento.
2. Sorge un conflitto con la cultura della classe media, che rappresenta valori dal quali questi soggetto
sono o si sentono esclusi.
3. Ciò comporta sentimenti di inadeguatezza, frustrazione.

Nell’opera di Cohen non troviamo l’attenzione sulla differenze tra culture etniche.

R.A CLOWARD E L.E. OHLIN


Opera: Teoria delle bande delinquenti in America
Presupposti teorici: Gli autori hanno ripreso e cercato di integrare i temi dell’anomia di Durkheim
e di Merton, le elaborazioni Scuola di Chicago, dell’associazione differenziale di Sutherland e della
Subcultura delinquente delle bande giovanili di Cohen.
L’obiettivo di questi due studiosi è quello di coniugare i temi dell’anomia di Durkheim con quelle
che sono le elaborazioni della scuola di Chicago e la teoria dell’associazione di Sutherland ( che
vedremo più avanti)
- Non esistono solo mezzi legittimi per raggiungere le mete culturali, ma anche mezzi
illegittimi.
- Teoria della disuguaglianza delle possibilità
Questa teoria è nota come teoria delle opportunità differenziali, che trae origine da un saggio
pubblicato da cloward, che sosteneva già in questa prima forma embrionale della teoria che
accanto alla struttura delle opportunità legittime esiste anche la struttura delle opportunità
illegittime. Quindi non esistono solo mezzi legittimi per arrivare alle mete ma anche mezzi
illegittimi.
I due autori approfondiscono il tema dicendo che è importante riflettere sulla STRUTTURA
ILLEGITTIMA di opportunità. Quindi inseriscono una nuova variabile nello studio delle subculture,
ovvero questo accesso differenziale alle opportunità legittime.
Tesi di fondo:
- l’ambiente nel quale gli attori operano ha un’influenza decisiva sui tipo di adattamento che
si sviluppano in risposta alle pressioni verso la devianza.
- Accanto alle opportunità legittime esistono anche le opportunità illegittime.
Teoria delle bande delinquenti in AMERICA
Obbiettivo: spiegare come la subculture persistono o mutano e si sviluppano nel tempo e come
esse violano le norme.
Oggetto di studio: bande e subculture delinquenziali che si riscontrano normalmente tra
adolescenti di sesso maschile nelle zone dei grandi centri urbani abitate dalla classe inferiore.
Tale opera esamina 3 tipo di subcultura
1. Subcultura criminale: tipo di banda debita al furto, all’estorsione e ad altri mezzi illegali per
procacciarsi denaro. Si sviluppano in quartieri dove la criminalità giovanile è accettato per il
raggiungimento del successo, in particolare riferimento al successo economico
( rintracciamo per presupposti della teoria di Merton) gli adulti criminali rappresentano per
i giovani un modello da imitare. Il tipo fidato è: un soggetto che mostra ostilità e sfiducia
verso i rappresentanti del mondo convenzionale, considera gli appartenenti alla classe
media come dei fessi da sfruttare, ma nei confronti del proprio gruppo mantiene la fiducia.
2. Subcultura conflittuale: tipo di banda in cui predomina il ricorso alla violenza come modo
per conquistare uno status  figura chiave: il mattatore. Questa subcultura ha una
differenza sostanziale perché sono sviluppata in una organizzazione sociale precaria e
instabile poiché rappresentano una scarsa integrazione perché sono interessati da un serie
di condizioni particolari, innanzitutto una elevata mobilità geografica degli abitanti, inoltre
molto spesso questi quartieri sono da considerarsi instabili perché cambiano
frequentemente le destinazioni d’uso dei terreni (es. da residenziale può diventare
commerciale) ecc. facendo riferimento ad una comunità non organizzata, i due autori
dicono che NON sarà in grado di fornire dei mezzi legittimi ai giovani. Il mattatore è un
soggetto che assume atteggiamenti da gradasso che usa le armi per conquistarsi il rispetto
delle altre bande.
3. Subcultura astensionista: tipo di banda particolarmente caratterizzata dal consumo di
droghe  figura chiave: il gatto (riferimento al tipo rinunciatario di Merton). Accomuna dei
giovani che non hanno accesso a nessuna delle due strutture di comunità (legittime e
illegittime) Figura chiave gatto  viene scelta questa figura chiave perché secondo i due
autori l’obiettivo è quello di ricercare continuamente un piacere proibito. I consumatori
subculturali di droga si percepiscono come distanti e distaccati dal mondo convenzionale
sia dal punto di vista sociale che culturale. Da Merton viene considerato un tipo di
adattamento individuale ma i due autori focalizzano l’attenzione sulla necessità degli altri
per questo tipo di subcultura. Cohen dice che la subcultura astensionista ha bisogno di
aggregarsi ad altri soggetto per apprendere le tecniche di utilizzo per esempio della
sostanza stupefacente. Loro utilizzano il mezzo per riuscire ad ottenere la sostanza.
Teoria delle bande delinquenti in America
Queste tre forme di delinquenza subculturale comportano:
- Stili di vita differenti per i loro membri
- Problemi molto diversi per il controllo e la prevenzione sociale
- Simili in quanto le norme che guidano il comportamento dei membri si pongono in
contrasto con le norme ufficiali.
Gli autori sostengono quindi che gli sforzi intensi ad estirpare la delinquenza debbano essere
rivolti non solo agli individui e ai gruppi, ma soprattutto all’ambiente sociale e, nello specifico,
verso la riorganizzazione sociale delle comunità disgregate con l’intento di rendere accessibili le
opportunità legittime in misura adeguata.
W.B. MILLER
Studioso che decide di avvicinarsi al tema delle subculture, Miller è un antropologo e criminologo
e la sua ricerca è di tipo etnografico che ha un preciso contesto di riferimento ovvero i quartieri
popolari di Boston.
- È la conformità ai valori della classe inferiore in un mondo della classe media a costruire un
problema di adattamento.
- Teoria della <<preoccupazione focale>>
Il punto di partenza della riflessione è lo stile di vita della classe inferiore che si riconosce in valori
culturali di tipo diverso è da considerarsi inosservante della legge.
Miller si appella al contesto della scuola che dice che può aiutare i giovani a superare la loro
inosservanza della legge. In particolare, Miller, per identificare la subcultura dei giovani americani
dei lavoratori non qualificati ci parla di alcuni principi fondamentali, alcuni valori che sono quelle
preoccupazioni focali che danno il nome alla teoria che sono:
 Guai, durezza, furbizia, caccia all’emozione/eccitazione, destino/fato, autonomia.
LA DELINQUENZA:
<< Un comportamento di NON adulti che viola norme giuridiche specifiche oppure norme di una
particolare istituzione societaria con frequenza e / o gravità sufficienti da fornire una sicura base
all’azione penale contro l’individuo o il gruppo agenti>> Cloward e Ohlin dicono che l’impostazione
di Miller non permette di distinguere i gruppi delinquenziali da quelli no, il concetto di Miller
abbraccia una varietà molto ampia di adolescenti, non specifica altro. Miller però concorda che la
delinquenza sia da riferire ai giovani della classe operaia. Interpreta la scelta subculturale come
una conseguenza dei valori della classe di riferimento, quindi, valori e norme che vengono
trasmesse ai giovani.
LE CRITICHE DI CLOWARD E OHLIN (riassunto più chiaro di quanto scritto sopra)
- Non distingue adeguatamente tra gruppi delinquenziali e non delinquenziali
- Si serve di un concetto di delinquenza che prende in considerazione un’estrema varietà di
adolescenti
- Ritengono che il conflitto tra i valori della classe inferiore e quelli della classe media non sia
così importante e persistente come Miller invece intende
- Non spiega le origini della norme delinquenziali
- Non spiega l’emergere delle subculture delinquenziali
- Non spiega la differenziazione tra subculture
Criminalità di strada: Analisi delle bande di strada in un confronto proficuo in ciò che avviene in
America e in Italia. Bande di strada che sono in grado di controllare quartieri e che molto spesso
sono connotate da alti livelli di violenza. Questa è una visione parziale perché viene veicolata dalla
polizia e dai media, soprattutto in riferimento a bande di strada specifiche tipiche della città di
Chicago. Questo non è applicabile a ciò che avviene in Europa. In America non si ha ancora un
definizione esatta di banda di strada. Un gruppo di ricerca ha attuato questa definizione: un
gruppo di giovane problematico riguarda qualsiasi gruppo di giovani con una durata nel tempo,
gruppo di giovani orientato alla strada che è dedito a attività illegali.
Maxson- Klein: tipi di bande
Le sei caratteristiche di Maxson e Klein sono: dimensione, sottogruppi, età, territorialità,
versatilità criminale, durata.
1. Tradizionali
2. Neo tradizionali: con dimensioni più piccole ma con soggetti più anziani che però sono
specializzati in alcune attività criminali come rapine, aggressioni, spaccio di droga.
Sono bande prevalenti negli Stati Uniti anche se in alcune città tipo manchester, olso. Fanno
riferimento a bande multigenerazionali, che hanno sottogruppi caratterizzati in base alla residenza
o età. Si tratta di bande fortemente territoriali e abbastanza versatili ( capaci di adattarsi in varie
situazioni ai modelli di criminalità) in particolare quando si parla di bande Europee si parla di
bande con prevalenza di adolescenti o giovani adulti. Ma le bande possono essere anche
composte da minoranze etniche, es le bande indigene sono segnalate in alcuni paesi come
norvegia, russia, Italia ecc. ma le bande più comuni sono composte da : albanesi, marocchini,
cinesi, turchi, algerini, tunisini ecc. la marginalità di questi soggetti li porta ad associarsi, quindi non
è tanto l’elemento etnico ma bensì la ‘’paura’’ di un esclusione sociale
Lezione 15-11
SETTE E SERIAL KILLER
Che cos’è un omicidio?
- L’omicidio è un’uccisione, contraria alla legge, di un altro essere umani.
- Per George Rush criminologo californiano definisce l’assassino semplicemente come
‘’un’uccisione illegale’’
Distinzione di omicidio:
- Mass murder ( strage) : l’uccisione di tre o più persone in una volta sola e in un unico luogo
- Spree Murder ( omicidio plurimo): l’uccisione di almeno tre persone nell’arco di 30gg
accompagnato da altri crimini gravi ( stupro, rapina, furto, incendio)
- Omicidio seriale: l’uccisione di tre o più persone nell’arco di un periodo superiore a 30gg
con significative battute d’arresto tra i vari omicidi. Nel 2008 FBI indica due omicidi.
Classificazione FBI scena del crimine:
- Organizzata / disorganizzata ; aggressione pianificata/ non pianificata; personalizza la
vittima/ depersonalizza la vittima; compie atti aggressivi prima della morte / atti sessuali
successivi alla morte ; nasconde il corpo / cadavere lasciato in vista; trasporta la vittima e il
cadavere / cadavere lasciato sul luogo dell’omicidio ecc…
Caratteristica degli offender organizzati e disorganizzati
Organizzati: organizzato, intelligenza media o superiore, socialmente competente, sessualmente
adeguato, padre con occupazione stabile, disciplina inconsistente nell’infanzia ecc.
Disorganizzato. Intelligenza sotto la media, socialmente inadeguato, padre con occupazione
precaria, vive/lavora vicino alla scena del crimine ecc.
Successivi studi: distinzione tra killer stanziale e geograficamente mobile.
Esempi:
- Stanziale: uccide 33 persone e li seppellisce nella sua abitazione
- Geograficamente mobile: uccide in 9 stati diversi degli USA
Maggiori dettagli sugli offender organizzati e disorganizzati individuando 39 caratteristiche per gli
organizzati e 30 per i disorganizzati
Elementi dell’omicidio seriale:
- L’assassino seriale non smette di uccidere e continuerà se ciò non gli verrà impedito
( arresto ecc.)
- I killer cercano un rapporto diretta ed esclusivo con le loro vittime
- Non vi è in genere alcuna relazione tra le vittime e il suo assassino
- Il serial killer è ben motivato a uccidere, gli omicidi non vengono scatenati dal
comportamento della vittima
Classificazione Serial Killer:
Killer allucinato, missionario, edonista, orientato al controllo e al dominio della vittima
Ci sono molte sottocategorie, riguardare slide..
Teorie dell’omicidio seriale: fondamenti biologici, psicologici, sociali
- Fondamenti biologici
- Pasternak esamina relazione tra detenuti omicidi e trauma cranico
- Norris e birnes studi sul trauma cranico e cattivo funzionamento dell’ipotalamo ma ricerche
molto dubbie senza fonti e senza possibilità di verifica
- Studi su comportamento violento e attività cerebrale anormale.
- Fondamenti psicologici
- Individua 16 tratti comportamentali che caratterizza lo psicopatico
- Gallagher riprendendo le teorie di Freud teorizza che il comportamento anormale e
talvolta criminale trae origine dal conflitto tra l’Es e il Super-io
- Carlisle, ex psicologi parla dell’esistenza di un modello dissociativo in molti suoi pazienti e
di un ‘’se diviso’’ ossia di una parte scissa della peronslaità del criminale ( pensano di non
averlo fatto loro ma di essere stati solo un mezzo)
- Sears ritiene che ache l’odio può giocare un ruolo nell’omicida seriale. Gli abusi subiti
nell’infanzia per mano delle loro madri possono aver un enorme influsso sulla loro
personalità
- Fondamenti sociologici
- Per bandura assistere ad atti violenti commessi da altri specilamente in età giovanile
insegna all’individuo un preziosa lezione ‘’ che la violenza paga’’
- Altri i- vestudiosi tentano di spiegare lo sviluppo di una personalità violenza nei terminidi
un’esperienza di apprendimento. La ricerca ipotizza che per diventare violenti non sia
imperativo di essere stati vittima di violenze. Gli atti di violenza osservati assumono
importanza maggiore quando sono commessi da persone vicine al bambino ( un genitore,
un fratello)
Teorie dell’omicidio seriale:
Spiegare in maniera esaustiva il fenomeno dell’omicidio seriale è un compito semplicemente
impossibile. La mente di questo tipo di killer è davvero unica e diversa da altri tipi di assassini.
Esempio: Ungheria Erxebet Batory uccide 650 vergini per fare dei bagni nel loro sangue per restare
giovane e bella.
Serial killer Female:
1. Serial killer allucinate, per tornaconto personale, edoniste, orientata a potere e al controllo
della vittima e per discepolato ( diverse dagli uomini queste ultime)
Esempi:
- Vedovenere che uccidono i mariti, sposati per impossessarsi dell’eredità
- Angeli della morte: donne che lavorano presso ospedali e uccidono i pazienti
- Predatrice sessuale: fa coppia con un uomo
- Uccide per profitto, per odio, problemi psichici ecc.
Negli stati uniti d’america esiste il VICAP che nasce da un’idea di un investigatore che stava
indagando su due crimini e capisce che ci potrebbero essere stati altri crimini simili e si chiude in
una biblioteca per trovarli, e da li nasce l’idea del database.
SETTE:
Per la costituzione Italiana tutte le religioni sono liberi davanti alla legge
Definizione: la parola ‘’setta’’ deriva dal latino sector, che vuole dire ‘’seguire’’, ma potrebbe anche
riferirsi al verbo seco, ‘’tagliare, separare’’
Sette religiose ed esoteriche:
Tutte quelle aggregazione di ordine relativamente recente, ispirate alla predicazione di un capo
spirituale o a dottrine di tipo iniziatico, i cui principi appaiono diversi da quelli delle confessioni
religiose tradizionali ( cristianesimo, ebraismo, islamismo, buddismo, induismo, confucianesimo) e
dei grandi sistemi filosofici occidentali.
Chiesa VS Setta
- Nei primi decenni del secolo XX, il teologo e sociologo protestante Ernst Troeltsch, propone
la sua famosa distinzione fra:
- Il tipo-chiesa, un gruppo religioso in armonia con la società circostante
- Il tipo-setta, un gruppo religioso che contesta la società circostante
- Il tipo-mistico, un gruppo religioso che s’interessa scarsamente della società circostante,
preferendo concentrare la sua attenzione sull’auto-perfezionamento dei suoi membri.
Classificazione Sette:
Wilson individua le seguenti tipologie
- Conversioniste: intendono cambiare gli esseri umani ricorrendo alla meditazione interiore
- Rivoluzioniste: attendono il sopraggiungere di un evento soprannaturale che sovverta
l’ordine sociale consolidato
- Introversioniste: propugnano una salvezza interiore, in una prospettiva esclusivamente
individuale
- Manipolazioniste: si ritengono depositarie esclusive di specifiche conoscenze
- Taumaturgiche: impiegano pratiche di guarigione
- Riformiste: attraverso il miglioramento dei singoli individui e del mondo
- Utopiste: si ritengono detentrici di un sapere che potrebbe rendeere il mondo libero dal
mali sociali e dal conflitti che lo affliggono
Classificazione Sette- fruitori
Stark e Baindridge
Slide 28
Le messe nere:
Catherine monvoisin era moglie di un gioielliere finito in bancarotta. Per sostenere la famiglia
iniziò a praticare la chiromanzia e gli aborti clandestini. Per ‘’aiutare’’ i suoi numerosi clienti a
esaudire i loro desideri iniziò a preparare amuleti, pozioni per far innamorare il/la prescelta ma
soprattutto veleni per coloro che desideravano che qualcuno morisse. Fu una delle protagoniste
dell’affare dei velenti..
Slide 31
Satanismo:
- Satanismo occultista: fa propria la visione del mondo descritta dalla Bibbia, la creazione
ecc.
- Satanismo razionalista: concepisce satana come il simbolo del Male e si incentra su una
visione del mondo anticristiana, edonista e immorale
- Satanismo acido: il culto del diavolo rappresenta un pretesto per attuare eccessi e
depravazioni, con rituali orgiastici basati sull’uso di sostanze stupefacenti, abusi psicologici
e sessuali.
- Luciferismo: di derivazione manichea o gnostica. Lucifero e Satana costituiscono oggetto di
venerazione nell’ambito di cosmogonie secondo le quali rappresenterebbero un aspetto
positivo, comunque necessario, del sacro.
Tipi di satanismo: slide 33
Satanismo religioso/organizzato
Satanismo tradizionale/transgenerazionale
Satanismo sedicente tale
Gli step della setta:
1. ISOLAMENTO  Allontanamento dalla comunità sociale e dal contesto famigliare, per
indurre la perdita di ogni altro punto di riferimento
Senso di superiorità, per spezzare tutti i rapporti precedenti
Bomba di affettuosità, per rinsaldare il senso di0 appartenenza al gruppo
Rimozione della privacy, per impedire l’esame personale
Obbligo del conferimento al gruppo di tutti i propri averi, per indurre dipendenza
finanziaria
2. INDOTTRINAMENTO  Rigetto sistematico ed aprioristico dei vecchi valori
Sottoposizione a letture di difficile comprensione, incoraggiamento all’obbedienza cieca, al
senso gerarchico ed all’aproblematicità, richiesta di conformità a codici di vestiario, per
accentuare l’idea della diversità da tutti gli altri. Senso del mistero, della partecipazione ad
un disegno insondabile, uso di preghiere o formule ripetitive, che riducono il senso critico.

3. MANTENIMENTO  Attività fisica prolungata, impegno mentale continuo e privazione del


sonno, accompagnati da un’alimentazione poco equilibrata per creare uno stato di
affaticamento ( che inibisca la ribellione ) e di reattività agli stress emozionali.
Deresponsabilizzazione, per scoraggiare iniziative personali. Pressione psicologica costante
da parte degli altri membri, per evitare improvvisi ripensamenti. Induzione di senso di
colpa e paura di punizione in caso di dubbi e pensieri negativi. Abitudine ad usare un
linguaggio criptico, per rendere più difficile la comunicazione con l’esterno.
Crimini delle sette:
- Esercizio di professioni mediche e psicologiche, truffe e frodi, violenze sessuali,
comportamenti di violenza e di minaccia, istigazione al suicidio, omicidi, maltrattamento
degli animali.
Come le sette e i serial killer si incontrano? Serial killer per discepolato ( derivate dalle sette)
- 1969 Charles Manson
LEZIONE 16-11.-21
SICUREZZA URBANA PARTECIPATA
La scuola ecologica di Chicago
- Nasce formalmente nel 1925 con la pubblicazione del testo ‘’the city’’ ad opera di Park e
altri.
- Nasce a Chicago.
- Lo spazio, il tempo e la posizione sono le tre variabili principali che loro vanno ad indagare
- Cosa vuol dire ‘’ecologica’’? termine importante che deriva dallo studio dell’ecologia che è
una branca della biologia che si occupa di studiare il rapporto tra il genere animale e il loro
ambiente di riferimento. Gli studiosi con questo paragone si rendono conto che tra l’uomo
e la città vi è un rapporto inscindibile, in cui l’uomo con il suo comportamento modifica la
struttura della città ma al con tempo la città con la sua struttura ha un’incidenza molto
forte sulle relazioni che l’uomo riesce ad instaurare con i suoi simili.
Scuola ecologica di CHICAGO
‘’ gli studiosi analizzando in modo approfondito Chicago hanno individuato dei cerchi concentrici. Il
primo cerchio riguarda il centro degli affari, per poi spostarsi nel secondo cerchio che è al zona in
transizione perché è qui che vanno a vivere gli immigrati di prima generazione, è qui che vanno a
vivere le persone che hanno uno status socio economico basso, in questa zona si concentrano le
cosiddette aree naturali -> che si intende un’area interna al centro della città che è caratterizzata
da un’omogeneità di persone con tradizioni, usanze ecc. in comune come ad esempio: il ghetto. Ed
è proprio in questo cerchio che si concentrano anche la prostituzione, abuso di droghe,
disoccupazione. Gli studiosi si interrogano sul perché nel secondo cerchio si riscontrano queste tipi
di problematiche e si danno delle risposte come la disorganizzazione sociale che vuole dire
mancanza di comunicazione, le persone non riescono a comunicare nel modo corretto.
Il terzo cerchio di questo scherma riguarda gli abitanti dei lavoratori industriali che hanno uno
status economico più elevato, si tratta degli immigrati di seconda generazione.
Nel quarto cerchio vivono i più abbienti
Quinta e sesta zona è abitata dai lavoratori regolari, è dunque una zona di passaggio.
Elisabeth Wood:
è un’esponente molto importante per lo studio della città, e si concentra sul controllo sociale
informale. Osserva che per migliorare la percezione di sicurezza è necessario progettare degli spazi
comuni che permettano lo scambio di opinioni e di esperienze: devono essere degli spazi comuni
fruibili da soggetti diversi (anziani, adulti, bambini)
Jane Jacobs:
Sociologa, giornalista e attivista politica che si è concentrata su una critica all’urbanistica moderna.
Ritiene sia importante esercitare diverse funzioni nello stesso quartiere. Il pensiero principale di
Jane Jacobs è lo sviluppo di relazioni umane.
Propone le strade a scorrimento veloce per permettere di raggiungere lunghe distante in un
tempo minore, ma facendo questo bisogna allargare le strade e si riduce la capacità di
intraprendere rapporti sociali.
Jane Jacobs fa una riflessione sui marciapiedi che devono avere una larghezza di 8-10 metri così
permettono alle persone di parlare tra di loro.
Propone:
- Progettare edifici con finestre ampie che affacciano direttamente sulla strada, così facendo
gli occhi sulla strada fungono da deterrente da un possibile atto criminale.
- Parchi di quartiere
- Mix di cose all’interno di un quartiere:
1. Presenza di Edifici vecchi e nuovi -> per permettere alle persone di impiegare attività
lavorative differenti. Per esempio negli edifici nuovi troveranno sede attività di lusso, e
negli edifici vecchi attività economici di nicchia es. piccole librerie.
Schlomo Angel
Si concentra su una funzione matematica di utilizzo della strada e osserva che a bassi livelli di
utilizzo della strada corrisponde un basso numero di crimini, questo perché la correlazione tra
criminale e guadagno è bassa. Il punto più alto della curva vi è il numero di crimini più elevato,
anche per questo il criminale fa più fatica a compiere l’atto poiché ci possono essere molte
persone che lo osservato.
Oscar Newman
È un architetto Statunitense che sottolinea l’importanza dello spazio urbano perché lo spazio
urbano è il miglior alleato per un potenziale criminale a discapito della vittima, questo perché uno
spazio urbano fornisce la possibilità di una via di uscita per scappare e occultare le prove. Newman
ha elaborato il concetto di spazio difendibile che viene definito come l’insieme di meccanismi,
barriere reali e simboliche, aree di influenza ben definite che sono utili per migliorare la capacità di
sorveglianza naturale e controllo informale del territorio da parte dei residenti. Newman si
interroga perché cerca di capire come l’utilizzo dello spazio aiuto o scoraggi il crimine. L’obbiettivo
è aumentare il senso di appartenenza dei cittadini al proprio quartiere.
Lui propone tre aree:
1. Area pubblica -> Difficilmente difendibile perché è pubblico e dunque aperto ad essere fruito da
molti soggetti che potenzialmente non conosciamo
2. Area semi-privata -> es. posto in cui vi è un portico che sarebbe di proprietà degli appartamenti
ma è fruibile da tutti poiché la gente ci cammina sopra.
3. Area privata -> questo spazio è facilmente difendibile appunto perché è privato.
Suggerisce infine di creare dei piccoli quartieri con le strade organizzate secondo uno schema a
croce greca per un massimo di 6 strade accessibili da una sola entrata, facendo questo permette ai
residenti di controllare di entra ed esce dal quartiere.
Ray Jeffery
È il padre della prevenzione situazionale e si concentra sul capire quali sono i fattori che concorro
per lo sviluppo di un crimine, si rende conto che i fattori ambientali, personali e psicologici sono
quei fattori che possono favorire e scoraggiare la commissione di reati. Quindi una sorveglianza
naturale e un rafforzamento del territorio, es. delimitare i confini attraverso siedi, muretti, cancelli.
Wilson E Kelling
Lui ha elaborato la teoria delle finestre rotte -> teoria che sta alla base di un pensiero politico a NY.
Questi due studiosi erano impegnati in un progetto di ricerca sui quartieri di edilizia popolare. Loro
capiscono da uno studio sul territorio che molti cittadini sono spaventati da un attacco violento di
uno sconosciuto e allo stesso tempo hanno paura di essere disturbati da persone sconosciute. La
presenza di una finestra rotta piò portare ad una maggiore criminalità perché riporta un segnale
molto chiaro: ovvero la non curanza di quel determinato quartiere. Il disordine fisico si intreccia
quindi ad un disordine sociale. Gli studiosi suggeriscono di creare un clima di collaborazione attiva
tra cittadini e forze dell’ordine per svolgere un controllo appiedato del territorio. A tal proposito gli
studiosi suggeriscono un parallelismo tra sociologia e conoscenza medica, siccome i medici oggi
riconoscono l’importanza della cura del paziente non limitandosi soltanto esclusivamente a curare
la malattia ma a migliorare anche l’aspetto in cui i cittadini vivono. E cosi anche le forze dell’ordine
dovrebbero interessare alla forma del quartiere e ‘’riparare la finestra rotta’’

Sampson, Morenoff, Earls


Secondo questi tre studiosi mentre il capitale sociale si riferisce alle risorse potenziali della
comunità, l’efficacia collettiva -> intesa come un coinvolgimento attivo dei residenti che vada oltre
il capitale sociale che si riferisce alle risorse potenziale della società, l’efficacia collettiva si
concentra sulle aspettative condivise.
Si sofferma sul controllo sociale informale attraverso le relazioni umane, tuttavia è soltanto
l’esercizio effettivo che può avere l’impatto su esso.
Quali sono le applicazioni contemporanee? Un po' di pratica
1. Community Policing: è una tecnica diffusa negli USA e cerca di rivedere il rapporto che si
viene a creare tra cittadino e forze dell’ordine, è una tecnica molto utile per creare un
clima di fiducia reciproca e di voglia si agire in prima persona per il proprio quartiere.
Questa tecnica si suddivise in tre fasi: 1. Collaborazione attiva con le forze dell’ordine, con
lo scopo di aumentare la fiducia reciproca anche con l’organizzazione di eventi 2.
Organizzare le risorse presenti sul territorio, quindi è necessaria una distribuzione di ruoli
per aumentare la qualità della vita, in questa fase le forze dell’ordine dovrebbero
frequentare abitualmente il quartiere per capire se ci sono delle problematiche, se possono
intervenire ecc. 3. Problem Solving : tecnica complessa che per metterla in atto è
necessario seguire delle fasi anche in un certo ordine, in questa fase la comunità anche con
l’aiuto delle forze dell’ordine cerca di individuare delle strategie per cessare la criminalità e
migliorare la qualità della vita in quel quartiere.
2. Neighborhood watch: è una tecnica che nasce negli USA intorno agli anni 60. Dopo
l’assassinio brutale di Kitty genovese, si sono scosse le coscienze dei vicini che la
conoscevano, cosi piano piano un gruppo di volontari ha iniziato ad organizzare delle ronde
di controllo appiedato del territorio, i cittadini hanno l’obbligo di chiamare le forze
dell’ordine e non intervenire di persona quando succede qualcosa di anomalo.
3. Social Street: si sviluppa nel centro storico bolognese nel 2013 quando i cittadini si
accorgono di non conoscere i propri vicini e quindi iniziano a svolgere attività in comune
lungo la via anche per insaldare i legami creati. Le attività organizzare sono finanziati dai
membri stessi.
4. Rigenerazione della città: all’inizio per rigenerazione della città voleva dire abbattere interi
quartieri e costruirne di nuovi, dunque creare un uso redditizio del suolo. Ma in realtà gli
studiosi si sono redi conto che questo approccio non funziona più, bisogna usare un
approccio multidirezionale e multisettoriale, bisogna prendere in considerazione lo
sviluppo economico, culturale, sociale del territorio: bisogna considerare più aspetti
affinché la generazione sia efficace.
Cos’è la facilitazione grafica?
Queste tecniche sono utili perché ci permettono di rappresentare graficamente pensieri e opinioni
di singoli e gruppi sia in ambito personale che lavorativo.
Molti pionieri della realizzazione grafica da cui: David Sibbet, Matt e Gail Taylor e Dave Gray.
Schema di Dan Roam: schema che viene utilizzato nell’approccio visuale: guardiamo, osserviamo,
immaginiamo. Es. osserviamo la strada, immaginiamo con un calcolo se facciamo in tempo a
passare dall’altra parte della strada prendendo in considerazione la velocità della macchina e la
distanza, e infine agisco: restando ferma o attraversando la strada.
Housatonic: we make it easy
Cos’è Housatonic? Azienda leader nel settore della facilitazione grafica
Metodologia dello studio:
- Osservazione partecipante -> riunione per aggiornare i colleghi sulle attività svolte
- Interviste semi-strutturate
- Learning by doing

LA SCUOLA DI CHICAGO:
Possiamo riconoscere a questa scuola, quello di essere riuscita a coniugare, con risultati buoni, ciò
che è teoria e ciò che è ricerca.
Con questa scuola viene valorizzata una ricerca di tipo qualitativo (anche se non manca l’approccio
quantitativo)
La scuola di Chicago ha ricevuto nel corso del tempo una serie di critiche, sono relative ad una
insufficienza di tipo teorico, troppo empirismo ??, volere ricondurre gli aspetti della ricerca ai
problemi della disorganizzazione sociale (vedere la disorganizzazione sociale come aspetto
centrale in cui indagare il contesto urbano)
 1892 Scuola di Chicago
 1910 Dipartimento di Sociologia e antropologia culturale
 William Isac Thomas
 Robert Ezra Park
Oggetto di studio della scuola di Chicago riguarda:
- Composizione urbanistica della città
- Relazioni sociali tra gruppi
- Immigrazione
- Gruppi e fenomeni devianti
- Chicago: laboratorio a cielo aperto -> città interessata a cambiamento di diversa natura…
Cambiamento: demografici; sociali, economici
<< Un felice <<incontro>> tra una città, che viveva un momento di grandi trasformazioni sociali
connesse allo sviluppo industriale e ai conseguenti flussi migratori, e alcune forti personalità
intellettuali, accomunate dalla volontà di creare una sociologia empirica capace di analizzare tali
trasformazioni>> ( Prima, 2019)
Chicago diventa una città all’interno della quale è facile trovare forme di conflitto tra gli abitanti.
Gli studiosi della scuola di chicago si occupano di studiare il rapporto tra città e ambiente
ECOLOGIA: Parte della biologia che studia le relazioni tra organismi o gruppi di organismi e il loro
ambiente naturale, inteso sia come l’insieme dei fattori chimico-fisici ( clima, tipo di suolo, luce,
nutrimento ecc.) sia come l’insieme dei fattori biologici ( parassitismo, competizione, simbiosi,
ecc.), che influiscono i possono influire sulla vita degli organismi stessi. ( traccani.it / vocabolario )
Per la ricerca: 1. Uso di dati ufficiali 2. Osservazione partecipante 3. Storia di vita
Uso di dati ufficiali:
Osservazione partecipante: In alcune città il casso di delinquenza rimaneva invariabile anche
quando diminuivano i tassi migratori, si può dedurre che è proprio la città / area che influenza i
cittadini ma non i cittadini stessi che influenzano la devianza/ criminalità
Storia di vita: capacità del ricercatore di cogliere tutti gli eventi essenziali della vita di un soggetto
per comprendere e capire il percorso di vita dell’individuo.
L’obbiettivo degli studiosi è quello di comprendere come la cultura di origine può incidere nella
città ospitante.
Sempre partendo da questo presupposto si parte dal presupposto di area naturale.
Area naturale: aree omogenee nelle quali si concentrano individui che si considerano tra loro simili
in base a fattori etnici o sociali. L’indebolimento di questi legami sociali i sociologi della scuola di
chicago l’interpretano come l’esempio di disorganizzazione sociale
- La zonal hypothesis theory di Burgess
- La città come un insieme di cerchi concentrici, che si irradiano dal centro della città.
1. Quartiere centrale degli affari
2. Zona di ‘’transizione’’
3. Operai specializzati
4. Zona residenziale
5. Lavoratori pendolari
C’è una foto nelle slide ( slide 11) lezione 22-11.-21
Clifford Shaw – Henry Mckay
- Institute for Juvenile Research
- Caratteristiche socio-economiche e devianza giovanile
- Juvenile Delinquency and Urban Areas
- Tasso di delinquenza
Teoria del graviente di questi due autori che ci dice: allontanandoci dal centro della città il livello
socio-economico dei cittadini aumenta e il tasso di criminalità diminuisce. Le cause della
delinquenza devono essere cercare nel contesto comunitario e non nel singolo individuo.
Studio ecologico di Park: per confrontare i diversi livelli di delinquenza nelle diverse aree si serve
del tasso di delinquenza che è dato dal rapporto tra il numero di delinquenti residenti nell’area e la
popolazione dello stesso sesso nella stessa fascia di età corrispondente.
3 diverse dimensioni è concentrato lo studio: 1. caratteristiche fisiche dei quartieri ( presenza di
industrie, numero abitazioni caratterizzare da un particolare degrado, caratteristiche economiche)
2. Tasso di delinquenza 3. Condizione socio-demografiche delinquenti. Condizione decrescente di
delinquenza mano a mano che ci si allontanava dalla città.
Definizione disorganizzazione sociale: << diminuzione dell’influenza delle regole sociali di
comportamento esistenti sui membri individuali del gruppo>> dobbiamo pensare ad una
condizione nella quale il controllo sociale sia di tipo formale che informale è in forte diminuzione.
In un panorama del genere la conseguenza è un aumento di comportamenti criminali antisociali e
devianti.
Teoria del gradiente: man mano che ci si allontana dal centro cittadino, il livello socioeconomico
della popolazione si alza e il tasso di criminalità diminuisce
Conclusioni
- Le interpretazioni teoriche della scuola di Chicago costituiscono la base per la maggior
parte dei lavori criminologici del trentennio successivo e le impostazioni teoriche degli
studiosi di Chicago si possono ancora individuare in molte teorie contemporanee.
- IL CAP  CAP (Chicago area project) nasce con la volontà di dare impulso ad un
cambiamento dal punto di vista sociale, cercando di coinvolgere i cittadini per
contribuire a migliorare la qualità della vita. Uno dei fini è quello di creare comunità
più forti, legami sociali più stabili, perché partendo da qui si possono risolvere i
problemi, diminuire la disorganizzazione sociale al fine di migliorare la qualità della
vita in generale, con particolare riferimento ai giovani devianti
Quindi, questi autori applicano la loro teoria in un programma di prevenzione, che ha un
obbiettivo a lungo termine (ristrutturare i quartieri, rivitalizzarli) e cercano di incidere
direttamente su un problema grande e grave che è la disorganizzazione sociale.
L’intento è quello di prevenire la criminalità, migliorare la qualità della vita e aumentare il
controllo sociale soprattutto di tipo informale, rendendo quindi più attivi i cittadini rispetto
al controllo del loro quartiere di riferimento.
Rapporto tra spazio urbano e devianza
Il rapporto tra spazio urbano e devianza si riflette sulla città da un punto di vista
urbanistico e architettonico, perché queste teorie hanno come oggetto di studio il
sentimento di insicurezza dei cittadini e il diminuire del rischio di vittimizzazione
(ovvero un processo attraverso il quale una persona diventa vittima di un crimine, e
tutto ciò che succede dopo). Questi studi si focalizzano quindi sul concetto di
sicurezza/insicurezza e sui processi di vittimizzazione.
Incidono sul sentimento di sicurezza:
- Disordine di tipo fisico = la compresenza di parchi pochi illuminati, palazzi
abbandonati, di strade buie, etc..
- Disordine sociale = la presenza di soggetti quali vagabondi, senzatetto,
tossicodipendenti che possono frequentare maggiormente una zona della città e già
solo per la loro presenza incutono una forma di timore nel cittadino.
Sviluppi successivi
- 1971 C. Ray Jeffery
- 1975 Patricia e Paul Brantingham
- 1972 Oscar Newman 

Patricia e Brantingham : Patricia e Brantingham realizzano uno studio in florida e


analizzano i dati di furti avvenuti in abitazione statisticamente certi (denunciati alla
polizia). Nel 1975 questi studiosi suddividono la città per gruppi di isolati, che
definiscono aree, e cercano di calcolare il tasso di incidenza dei furti per ciascuna area.
In questo studio gli autori deducono che gli isolati che vengono posti al confine tra
ciascuna area, il tasso di vittimizzazione relativo a furto è più elevato rispetto
all’incidenza relativa al centro.
In seguito a questo studio, gli autori cercarono di proporre strategie relative a una
pianificazione urbana per cercare di diminuire la dimensione dei confini fra le aree,
in modo tale da incidere sul rischio di vittimizzazione.
Oscar Newman e Jeffery Introducono dei suggerimenti volti a ridurre il rischio di
vittimizzazione nelle aree urbane
Strategie difensive in città -> che possono essere programmare sempre per ridurre il rischio di
vittimizzazione che si crea dentro il contesto urbano.
Jane Jacobs ( giornalista di new york) cerca di trovare delle strategie per migliorare la vita nelle
grandi metropoli. A partire da questo quartiere peculiare diverso da tutti gli altri quartieri di New
York cerca di trovare delle forme di rinnovamento che possano valorizzare un certo ordine urbano,
in particolare l’obbiettivo è quello di trovare dei principi urbanistici che possano valorizzare la
vitalità dei quartieri sia da un punto di vista sociale che economico. A New York ci dice l’autrice,
esistono diversi tipi di vicinato che possono incidere in maniera significativa sul sentimento di
sicurezza dei cittadini. Ci dice che nelle strade urbane gli edifici devono essere rivolte verso le
strade, in particolare per garantire sicurezza devono possedere 3 caratteristiche fondamentali
relative alla separazione tra spazio pubblico e privato, frequenza: le persone che girano li devono
essere continuative e le strade vivaci. L’obbiettivo principale è quello di creare diversità per le
strade e questo diventa per l’autrice un presupposto indispensabile per esprimere al meglio le
potenzialità di un quartiere.

Per creare diversità in un quartiere è necessario riuscire a soddisfare 4 diverse condizioni:


 Più funzioni primarie  è importante perché queste comportano la presenza di
cittadini ad orari diversi.
 Isolati piccoli  relativo al fatto che per creare diversità è necessario che le strade e
le occasioni di svoltare continuamente gli angoli debbano essere frequenti.
 Edifici diversi  diversi per etica di costruzione e per condizioni oggettive da un
punto di vista fisico/strutturale. La compresenza di edifici diversi per epoca e per
condizioni implica la presenza congiunta di edifici vecchi e nuovi quindi, in un ciclo
dinamico, i nuovi di oggi saranno i vecchi di domani… si mantiene sempre una certa
diversità
 Concentrazione di popolazione  dev’essere elevata, cioè l’alta densità di
popolazione di un quartiere diventa indispensabile perché il contributo delle
precedenti tre condizioni sarebbe nullo senza una presenza continua e costante di
cittadini che sono in grado di usufruire dei servizi della zona.

Gated community  sono nuovi scenari di protezione comunitaria all’interno dei quali si cerca una
omogeneità da un punto di vista sociale e dove il senso di appartenenza sembra essere imposto.
- ‘’ Comunità residenziale chiusa rispetto all’esterno che si configura spazialmente come
enclave, area avente caratteristiche peculiari e differenti rispetto a quando la circonda. Le
Gate Community sono infatti aree residenziali, generalmente in contesti urbani, alle quali è
impedito l’accesso o il transito a chi non vi sia residente’’.
- Questa strategia non difende dalla criminalità.
BLAKELY E SNYDER, 1997
- Life Communities -> rappresenta il modello su cui si sono modellate le comunità. Nascono
da un desiderio di esclusività di usufruire di zone, parchi, praticare sport elite ecc..
- Prestige communities -> riguarda la tipologia più diffusa, in particolare interessa la classe
medio-alta ed è legata all’idea di esclusività, prestigio sociale e creare dei vicinati omogenei
da un punto di vista socio economico. Si vuole garantire stabilità e diminuire al minimo
fattori di disturbo o di rischio
- Security zone communities -> tipologia che si discosta dalle altre due perché nascono dal
sentimento di paura nei confronti della criminalità e l’obbiettivo è quello di isolarsi e
lasciare all’esterno i fenomeni criminali ( esempio di fenomeni visibili: spaccio,
prostituzione ecc.) l’obbiettivo non è quello di migliorare la qualità della vita ma bensì di
garantire alti livelli di sicurezza per coloro che vi abitano.
LEZIONE 24-11
<< Negli Stati Uniti, dove la gated communities e gli insediamenti protetti ( es. Laguna beach)
ospitano oggi un americano su otto, si è scoperto che la criminalità all’interno di queste comunità
con cancello non è diversa da quella che c’è fuori>>.
J. Curbet, 2008 ci parla di queste oasi di sicurezza
- L’espansione di queste zone di sicurezza sta diffondendo un tipo di città con una struttura
duplice, in cui, da un lato, proliferano le zone residenziali blindate, occupate dalle classi altre e
medie, in cui gli abitanti si isolano e cercano di proteggersi dagli altri e dalle loro fobie,
immaginarie o reali e, dall’altro lato, si lasciano in balia di loro stessi sobborghi e baraccopoli senza
legge>>. Dice che questi posti possono rendere sicuri gli abitanti ma non limitano la delinquenza,
l’unica cosa che possono limitare sono le sorprese indesiderate (criminalità che può essere più
frequente nella vita urbana come ad esempio non si troveranno degli estranei alla porta)
Abitare all’interno di queste realtà significa anche accettare una serie di restrizioni come ad
esempio essere controllati quando si esce e quando si entra, anche con perquisizioni, il limite
riguarda anche gli orari con la possibilità di accedere a tutte le ore.
In Italia esistono delle vere e proprie gates communities? La risposta è si, ed esistono da tanto.. la
prima riconosciuta è Borgo di Vione a Cascina Vione, comune di Basiglio (MI)
- Conclusioni
La diffusione di tali modelli sulla pianificazione urbana e sull’idea di città, comporta conseguenze a
livello socio-economico, riguarda le politiche locali di amministrazione e condiziona i rapporti
sociali di convivenza in ambito urbano.
Lezione 29-11.-21
Edwin H. Sutherland
Si laurea presso l’università di Chicago e si distingue nel panorama degli studi criminologici.
È ricordato per la teoria della criminalità dei colletti bianchi e per la teoria dell’associazione
differenziale -> teoria che cerca di spiegare il comportamento delle classi inferiori e delle classi
agiate
- Il comportamento deviante può essere appreso da chiunque a prescindere dalla condizioni
economiche e sociali e può essere appreso allo stesso modo in cui si apprende il
comportamento conforme.
Sutherland parte dal concetto di disorganizzazione sociale  ritiene che questo concetto non sia
del tutto adeguato a spiegare la teoria che Sutherland intende portare avanti e sostituisce il
concetto di disorganizzazione sociale con il concetto di organizzazione sociale differenziale  lui
pensa che bisogna guardare all’organizzazione sociale dei diversi gruppi
Organizzazione sociale differenziale  facciamo riferimento secondo questo autore bisogna
guardare ai gruppi e come questi si comportano in gruppi e guardare anche alle diverse interazioni
che si vengono a creare all’interno di essi. È sulla base di queste interazioni che gli individui
sperimentano all’interno dei gruppi che potranno interiorizzare contenuti culturali, normativi che li
differenzieranno dagli altri gruppi.
Secondo Sutherland il processo di apprendimento dei comportamenti criminali è il medesimo
processo che si riscontra anche nell’apprendimento di comportamenti non criminali. Questo
perché : citazione di Sutherladn : il comportamento criminale è un comportamento umano e
quindi ha molto in comune con il comportamento non criminale che è un fenomeno umano.
Cos’è l’associazione differenziale? Con questo concetto lui vuole indicare il processo attraverso il
quale si comprende il comportamento criminale in interazione con altri individui e modelli
criminali.
Sutherland ci dice che sono diversi le possibilità di associazione per spingere l’individuo a
comportamenti conformi e non conformi. Si può definire l’associazione come
un’occasione/opportunità di apprendimento che si sviluppa attraverso un processo.
Lui Riesce a elaborare una teoria generale del comportamento criminale, affinchè questo
comportamento e non solo venga appreso in un determinato contesto sociale esattamente come
qualsiasi altro tipi di comportamento.
La differenza tra il Comportamento conforme e comportamento deviante è il CONTENUTO ( che
cosa si apprende e come si apprende ) lui non tiene conto dei fattori di personalità o delle doti
intellettive sviluppati nelle altre teorie per distinguere i criminali e non criminali
Passando da quel concetto di disorganizzazione sociale al concetto di organizzazione sociale
differenziale ci fa comprendere il netto rifiuto rispetto a delle motivazioni che possano assegnar e
un potere causale a tutte quelle condizioni che abbiamo visto essere di fondamentale importanza
agli autori della scuola di Chicago ( povertà, malattia mentale, disorganizzazione familiare ecc.)
Lui dice che le teorie precedenti hanno confuso una correlazione statistica tra variabili con il
rapporto causale, vuole dire che analizzando i dati statistici ufficiali che lui si serve si riscontra una
correlazione statisticamente significativa tra la criminalità e questi fattori quali: povertà ecc. es. la
povertà non causa la criminalità perché le statistiche ufficiali non fornicono una fotografia reale
rispetto agli indici di criminalità perché soprattutto alcune tipologie di reato come ad esempio i
reati commessi dai ceti sociali più alti non vengono rilevati dalle statistiche e anche se vengono
rilevati in percentuali assolutamente irrilevanti.
Lui dice che i reati dei colletti bianchi vengono registrati solo in maniera parziale, le persone che
risiedono in ghetti, i poveri, figli di tossici, dice che questi non commettono per forza dei reati
come espressione a questo problema. L’intendo è di dimostrare che anche chi fa parte di classi
sociali elevate volano frequentemente la legge a prescindere dalla realtà offerta dai dati statistici.

I nove punti della teoria di Sutherland dell’associazione differenziale che nasce per spiegare il
processo attraverso cui un soggetto mette in atto un comportamento criminale
1. Il comportamento criminale è appreso -> viene appreso attraverso un processo di
interazione con altri individui che avviene attraverso un processo di comunicazione di tipo
verbale ma può includere anche un tipo di comunicazione diverso. Il comportamento
criminale viene appreso all’interno di gruppi che riguardano persone strettamente legate
tra di loro che possono essere ad esempio amici o se parliamo di colletti bianchi anche
colleghi di lavoro.
2. Interazione con altri, processo di comunicazione -> viene appreso attraverso un processo
di interazione con altri individui che avviene attraverso un processo di comunicazione di
tipo verbale ma può includere anche un tipo di comunicazione diverso.
3. Gruppi -> Il comportamento criminale viene appreso all’interno di gruppi che riguardano
persone strettamente legate tra di loro che possono essere ad esempio amici o se parliamo
di colletti bianchi anche colleghi di lavoro. L’apprendimento del comportamento criminale
include secondo l’autore include due elementi essenziali: tra una parte le tecniche e
dall’altra l’orientamento specifico
4. Tecniche e orientamento specifico -> per quanto riguarda le tecniche facciamo riferimento
alle tecniche di commissione del reato: quindi come è possibile commettere un
determinato reato, queste tecniche possono essere piuttosto semplici come ad esempio le
tecniche riguardati la realizzazione di uno scippo, oppure possono essere tecniche più
complesse. Esempio di tecniche più complesse: se parliamo dei colletti bianchi alla
falsificazione di bilanci. L’orientamento specifico è come giustifico il mio comportamento,
quindi sono delle motivazioni per giustificare il mio comportamento. Esempio: facendo
riferimento alla figura del rapinatore, lui non apprende solo le tecniche relative ad una
rapina di una banca, ma apprenderà anche determinate idee sulla società e sul valore del
denaro, troverà giustificazioni per la commissione delle sue azioni.
5. Interpretazione favorevole o sfavorevole al rispetto della legge -> l’orientamento
specifico di cui parlavamo sopra è in funzione all’interpretazione favorevole o sfavorevole
al rispetto della legge. Punto strettamente correlato al punto successivo
6. Interpretazioni sfavorevoli più forti al rispetto della legge. -> una persone diventa
criminale quando le definizioni sfavorevoli al rispetto delle leggi sono più forti di quelle
favorevoli.
7. Frequenza, durata, priorità e intensità -> 4 modalità da quantificare per descrivere i
comportamenti criminali e ci dice che le associazioni differenziali possono variare per
questi 4 punti 
- Frequenza -> riguarda il tempo che una persona trascorre con persone che incoraggiano il
comportamento criminale.
- Durata -> Relativa al tempo di esposizione al comportamento.
- Priorità -> Da riferirsi alla storia individuale del soggetto, bisogna considerare il momento in
cui si verifica il comportamento criminale es. il comportamento criminale sviluppato
durante l’infanzia può durare nel tempo e per tutta la vita.
- intensità -> ha a che fare con il prestigio del modello criminale e emozioni associate ad
esso: ad esempio: impiegato che cederà alle pressioni del direttore che lo invita a truffare i
clienti; l’impiegato cederà nella misura in cui è esposto a tali sollecitazioni spesso
( frequenza) per molto tempo ( durata ) nella misura in cui non può permettersi di perdere
il lavoro perché ha un debito di riconoscenza per colui che agisce in questo modo nei suoi
confronti.
8. Stessi meccanismi -> il processo del comportamento criminale ha gli stessi meccanismi per
valutare il comportamento conforme.
9. Stessi bisogni e valori -> punto correlato al precedente. Ci dice che il comportamento
conforme e quello deviante sono espressione degli stessi valori e degli stessi bisogni.
Il comportamento conforme e quello deviante sono espressione degli stessi valori e degli stessi
bisogni. il processo di apprendimento al comportamento devianti non avviene per imitazione, ma
attraverso un processo di apprendimento che può essere ritenuto simile ad un processo di
apprendimento di tipo conforme
The PROFESSIONAL THIEF
Si tratta di un’ indagine di tipo qualitativo che pone al centro un protagonista Chic Conwell che è
un ladro professionista. Attraverso la storia di vita mette in evidenza quelli che sono gli elementi
salienti della carriera criminale del ladro.
L’autore scrive buona parte del libro anche il riferimento alla sua carriera criminale anche in forma
scritta a domande poste dallo stesso Sutherland. Il materiale che Sutherland raccoglie in seguito
all’interazione con lui viene discusso e corretto insieme al protagonista del libro attraverso ad una
serie di incontri frequenti a cadenza settimanale tra i due. Questo diventa indispensabile per
l’autore per cercare di rendere una narrazione il più affidabile possibile.
Colletti bianchi
- Differenza colletti bianchi e colletti blu -> i colletti blu sono gli operai e i bianchi sono degli
individui con ruoli rilevanti
- Chi sono? I colletti bianchi sono persone che hanno ruoli rilevanti nelle organizzazioni
economiche e nel mondo dellavoro che vengono addestrati a commettere illeciti di tipo
finanziario ed economico ( truffa, violazione ecc.) al fine di perseguire scopi di
arricchimento e successo negli affari. Quella dei colletti bianchi viene ritenuta una vera e
propria devianza per tre ordini di motivi
- Tre ordini di motivi (giuridico e sociale, economico, etico)
Giuridico e sociale: parliamo di comportamenti vietati da disposizioni giuridiche, sono
comportamenti che vanno a disattendere delle aspettative sociali che sono invece
largamente condivise
Economico: si tratta di una vera e propria criminalità perché sottraggono alla collettività
denaro ( esempio: evasione fiscale ), è forte la violenza del danno e dell’impatto
economico.
Etico:
- Studio: società industriali, commerciali, minerarie 
- 5 elementi ( reato, persona rispettata, Posizione sociale elevata, Abuso di fiducia e
occupazione) il reato quindi commesso da una persona rispettabile che commette il reato
nel corso della sua occupazione e che implica un abuso di fiducia.

Potrebbero piacerti anche