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SOCIOLOGIA

26/09

Emile Durkeim è il fondatore della sociologia del diciannovesimo secolo. Gli altri esponenti
sono Erbing Goffman e Pierre Bourdieu.

Marco Santoro, articolo che compare in un volume collettaneo curato da Gabriella


Paolucci e si intitola “Bourdieu dopo Bourdieu” edito nel 2012.

EMILE DURKEIM

Emile Durkeim è il primo vero sociologo francese. Nasce ad Epinal nella Lorena nel 1858.
a seguito della sconfitta della Francia il comando passò sotto il dominio spagnolo. E' figlio
di un rabbino molto colto e per questo potrà frequentare la scuola normale, laurearsi in
filosofia, diventare insegnante e in seguito di entrare alla Sorbona come primo titolare di
un corso di sociologia.
In fondo il termine sociologia circolava nel mercato intellettuale attraverso il prodotto di una
figura abbastanza atipica che era Auguste Comte (positivismo francese). Durkeim vuole
dare un referente oggettivo alla sociologia, vuole trovare uno spazio che sia solo di questa
disciplina.

Di cosa si occupa la sociologia? Qual ' l'oggetto, il referente di questa disciplina?

Che cos'è la società, come si fa a studiare la società? La società viene studiata da


economisti e altre discipline. La società è un compendio di varie discipline.
Il concetto di società è alquanto evanescente.

Molte volte i sociologi passano per quelli che spacciano i concetti di senso comune per
scienza sociale (cattiva sociologia). Stereotipo della sociologia che ha concetti/termini che
servono per dire un sacco di cose. Il sociologo passa per colui che da delle statistiche che
legittimavano degli ovvi concetti del senso comune.
La scientificità di questo discorso sta nei concetti che si usano (sociologia) o nella
matematica? Ovviamente nella matematica.

Durkeim vuole elaborare un concetto di società che vada oltre le concezioni del senso
comune e che sia di proprietà esclusiva della sociologia.
Ne “Le regole del metodo sociologico”, Durkeim ci propone la sua idea di società. Il
sociale per lui è essenzialmente rappresentato da questo standard, cioè l'attivazione
fisiologica in pubblico. La società si presenta a noi con degli standard. Per indicare il
sociale utilizza l'espressione dei fatti sociali che sono elementi che non dipendono da noi,
non decidiamo noi, sono fuori di noi e con cui costantemente dobbiamo fare i conti.
Bisogna considerare i fatti sociali come se fossero delle cose, questa è la prima regola che
deve seguire un sociologo. I fatto sociali esercitano una coercizione sul soggetto. Se il
fatto sociale esiste nella realtà ed esercita sul nostro corpo una pressione, se
trasgrediamo i fatti sociali ne deriva una sanzione. Ai fatti sociali corrisponde sempre un
dispositivo sanzionatorio di vari tipi. Per esempio il denaro per Durkeim è un fatto sociale,
il linguaggio è un fatto sociale (io sono liberissima di inventare un mio linguaggio ma
nessuno mi capirà).
Tutta la nostra quotidianità è intessuta di fatti sociali, di normatività a cui ci è dato il
compito di uniformarci. Il sociale è la norma (ma non è più solo il giuridico ma si
estende). L'individuo deve socializzarsi, prendere questo complesso normativo e
portarlo dentro di se.
Immagina che ci siano diversi tipi di fatti sociali, e alla domanda “che cos'è un fatto
sociale?” risponde così: <<modi di agire, modi di sentire, modi di pensare>> che poi
diventano parte di me.
Ma il sociale ha anche una dimensione emotiva, sono dei modi di sentire.
Due sono gli interrogativi: il primo è relativo alla genesi e cioè <<da dove arriva il sociale,
la norma?>>, il secondo è <<come i fatti sociali cambiano?>>.
Alla prima domanda Durkeim dedica un testo “la divisione del lavoro sociale” che è la sua
tesi di dottorato. Qui prende in esame le risposte che aveva dato tutta la tradizione
filosofica moderna (anglosassone in Locke, Rousseau e in Herbert Spencer). C'è tutta una
tradizione che spiega la società come esito di un contratto. La norma è l'esito di un
accorso tra individui. All'inizio non ci possono che essere degli individui che si accordano
sull'esistenza di regole.
Per definizione gli individui sono liberi, uguali e desideranti, cioè hanno dei bisogni e
desiderano vivere piuttosto che morire. Inoltre gli individui sono anche razionali che
cercano di perseguire in maniera efficiente i loro scopi mettendosi d'accordo tramite un
contratto.
La società non è altro che l'esito del contratto sociale.
In questo testo gli strumenti per stipulare un contratto che sia valido sono: altre leggi, c'è
bisogno di un linguaggio.
Il problema è la morale che determina il contratto che non contrattuale e da cui il contratto
dipende. Il problema è che i contrattualisti scambiano l'effetto per la causa. Non possiamo
porre il contratto come un mattone costitutivo della società. E' un prodotto sociale, non la
causa del sociale.

Per lui tutte le società moderne hanno come genitrici le società arcaiche. Se io voglio
capire come è fatta la società moderna la cosa migliore è andare a studiare le società più
semplici e da li iniziare a ragionare; questa è la caratteristica che contraddistingue
Durkeim.
Comune a tutte le società arcaiche è il fatto di essere formate da segmenti, da piccoli clan
che sono famiglie cioè piccoli raggruppamenti sociali. Pertanto la società è disposta su un
territorio molto omogeneo dal punto di vista fisico.
Durkeim va a vedere come è organizzato il lavoro dentro questi clan e scopre che
all'interno il lavoro non è per niente differenziato, non ci sono differenziazioni di ruolo, tutti
sanno più o meno cacciare, tutti sanno costruire una capanna...l'unica differenza è data
dalla differenza di genere e dall'età.
Dentro questi clan ci saranno grandi varietà di idee tra gli individui (si chiede Durkeim)? La
risposta è no, tutti la penseranno nella stessa maniera. Ma se io e un altro pensiamo le
stesse cose, chi le ha inventate? Da dove verranno? Queste idee avranno una esperienza
sovrumana, quella che lui chiamerà coscienza collettiva.
In Durkeim non c'è un momento razionale, il sociale è frutto di un abbaglio, di una
allucinazione, non c'è il momento di una riflessività.
La coscienza collettiva esprime sempre una forma di solidarietà che in sociologia vuol dire
essere legati assiemo, stare in connessione.
Queste società semplici sono a solidarietà meccanica vuol dire che gli individui stanno
insieme come stanno insieme le parti di un corpo meccanico (cavatappi). Non c'è libertà,
autonomia di pensiero. Gli individui stanno assieme perché pensano le stesse cose e si
comportano alla stessa maniera.
Durkeim continua a bastonare sulla questione della materialità, la società non può
cambiare se non attraverso la modificazione della sua forma attraverso la crescita
demografica. Si comincia ad avere il surplus. Cambia anche il territorio su cui la società
risiede, cresce come una cellula e necessita sempre di più di risolse e per questo aumenta
anche la competitività la quale può dare origine ad un processo di violenza (si regredisce
ad uno stato di natura, di guerra civile) oppure il lavoro inizia a differenziarsi.
Iniziano a specializzare funzionalmente la società. Non tutti fanno più le stesse cose, non
c'è più quell'identità di comportamento e dunque non c'è più l'identità di contenuti di
coscienza. Questo porta ad uno stadio di incomprensione però questo processo educativo
è molto lento e graduale che sconta sempre alle proprie spalle la presenza della
solidarietà meccanica che deriva dal precedente stadio. Questo fa si che ci siano delle
diversità di modi di rappresentarsi il mondo, la realtà ma queste diversità sono
accomunate dalla condivisione di una serie di valori che derivano dal precedente stadio.
Questi valori tengono assieme questa difformità di vedute perché anche loro subiscono un
processo evolutivo, i valori diventano sempre più astratti e sempre più generali e riescono
a contenere una enorme varietà di pensieri, comportamenti...
Questo nuovo stadio che egli attribuisce alle società moderne lo definisce lo stadio
organico. La società moderna è formata da parti diverse l'una dell'altra eppure tutte
queste sono tenute insieme da questo filo rosso, comunione di valori che fa si che queste
parti di armonizzino.
Il problema è quello di trovare una prova di questo ragionamento, qualche appiglio nel
mondo fisico che dimostri il fatto che non si tratta di una teoria ma che riflette la realtà così
com'è. Durkeim si appella alle funzioni che hanno i sistemi giuridici. Il diritto per lui è
essenzialmente il simbolo visibile della solidarietà, cioè che rappresenta ciò che si può
vedere di un fenomeno sociale che però è in larga parte inconoscibile, non visibile. Il diritto
è qualcosa di visibile perché ci sono i codici e seguendoli posso misurate concretamente
questo fenomeno astratto che è la solidarietà.

27/09

Far coincidere il sociale con il normativo.


Il sociale è esterno al soggetto perché esiste fuori dal soggetto, esiste nel mondo e il
soggetto poi deve fare i conti con questa realtà. Il sociale deve essere interiorizzato e qui
sta fuori inizialmente.
Il contratto è un prodotto della società, quindi il contrattualismo è sbagliato.
Non c'è un momento contrattualista, un momento riflessivo ma i fatti sociali sono prodotti
dall'inconscio.

Lui ha bisogno di fondare la disciplina come una disciplina scientifica. L'elemento che a lui
pare di fondamentale importanza è il diritto che lui considera come il simbolo visibile della
solidarietà.

Il diritto in società segmentarie è un diritto penale. Il diritto penale punisce. La pena è una
reazione della coscienza collettiva a chi ne ha violato i contenuti. Nel tributare una pena al
reo, il diritto riafferma i dettami della coscienza collettiva.
Esistono pene più gravi e altre meno gravi. Quello che determina la gravità di una pena è il
valore che occupa nella coscienza collettiva.
I reati puniti al massimo grado all'interno delle società segmentarie sono le
trasgressioni ai precetti religiosi (chi lavora il sabato viene lapidato). C'è una sorta di
relativismo sociologico in Durkeim riguardo la concezione del bene e del male, di ciò che è
giusto o sbagliato. Non c'è solo la centralità del valore ma anche la precisione con cui
esso può essere definito (ad esempio essere un buon padre e una buona madre).

Il diritto penale oggi come oggi nella modernità tutela massimamente la vita. L'individuo
diventa oggetto di attenzione nel diritto penale. Da una parte il diritto si restringe su un
punto (individuo), dall'altra si sviluppa tutta un'altra sfera giuridica che era sconosciuta alle
società segmentarie e questa Durkeim la chiama diritto restitutivo. Questo diritto è un
diritto che tenta di restituire integrità ad una situazione che il comportamento errato di un
attore sociale ha minato, ha compromesso. Mentre il diritto penale punisce, quello
restitutivo cerca di ridare integrità. Il diritto restituivo è quello che deve essere annunciato
dal banditore perché non lo sappiamo. E' tipico delle società moderne perché cerca di
armonizzare tutta la complessità che deriva dalla divisione del lavoro sociale. Il diritto
restitutivo non gratta la coscienza perché non è espressione della coscienza collettiva.
Mentre lo ius è il diritto così come viene espresso dalla consuetudine ed è avvertito da
tutti, la lex è la legge che viene espressa dal sovrano e dunque è sconosciuta.

Visione di Durkeim della realtà statale.


La visione liberale è terrorizzata da sempre da un eccesso di stato, meno stato c'è e più si
sta meglio. La mano è invisibile (Adam Smith), cioè deve restare invisibile soprattutto
rispetto al potere politico. Il politico non deve cedere alla tentazione di modificare gli assetti
del mercato. Sarebbe impossibile per il politico cogliere la totalità delle leggi naturali che
regolano la totalità del mercato.
Durkeim dice che in realtà tutti i liberali denunciano l'espansione dello stato ma in realtà gli
stati diventano anche loro sempre più vasti mano a mano che le società si differenziano e
si espandono. Come in biologia più si va avanti nel processo di evoluzione e più emerge la
funzione celebro-spinale. Nelle società moderne la funzione celebro-spinale è assolta
dallo stato, lo stato rappresenta il cervello della società. Se lo stato è il cervello la sua
funzione dunque è quella di pensare; deve pensare la società nella sua interezza e la
rappresenta (mentalmente, produrre un'idea della società). La funzione dello stato è quella
di riflettere immagini del tutto sociali e di trasmetterle a ciascuna delle singole parti
che si sono differenziate.
Come fa lo stato a elaborare visioni complessive della società? Lo stato è in
comunicazione con tutte le parti sociali perché apre costantemente canali comunicativi e
informativi che vengono percorso bidirezionalmente. Lo stato deve garantire una
integrazione sociale.
Lo stato per Durkeim deve essere in relazione con le famiglie e le corporazioni
professionali. Le corporazioni perché raggruppano coloro che svolgono lo stesso lavoro
(isole di coscienza collettiva); chi volge lo stesso lavoro ha all'interno della propria testa le
stesse rappresentazioni. Allo stesso tempo lo stato è anche fuori, deve operare uno scarto
all'interno della società. Lo stato è il nome che diamo allo scarto se si vuole pensare nella
sua totalità; comporta una distanza rispetto a se stessa. Lo stato è il luogo di una nuova
vita mentale che trasmette senso alla società riguardo alla sua stessa identità.

Durkeim si chiede quale sia la natura della morale e come fare a determinare quando
siamo innanzi ad un fatto morale. Il metodo che propone è il fatto di osservare le sanzioni,
chi in una società viene punito.
Per Durkeim esistono due tipi di sanzioni:
– alcune sono inscritte maccanicamente nell'atto che il soggetto compie ( se io tampono
uno perché sono distratto sfascio la macchina)
– altre non sono inscritte nell'atto che compio ma hanno un vincolo sintetico, cioè sono
state collegate artificialmente (se io tampono uno perché ero ubriaco sfascio la
macchina, quindi posso andare in galera etc..)
Le prime sono sanzioni materiali mentre le seconde sono sanzioni morali. Con le seconde
non è detto che siamo innanzi ad un valore morale. La sanzione non dipende dall'atto in
sé ma dal fatto che questo non è conforme alla regola.
L'atto compiuto di chi viene punito è simbolo del fatto morale.
L'atto morale ha sempre a che fare con delle emozioni, suscita in noi una vita emotiva che
comprende sforzo ma anche desiderabilità e soddisfazione (per esempio se un podista
decide di andare a correre ma il giorno dopo piove e non può andare rimane arrabbiato
per tutto il giorno finché il giorno dopo non ci va e rimane soddisfatto).
Quando siamo in contatto con il sacro ci sentiamo in soggezione, ci tiene a distanza. Il
sacro pretende una distanza ma a volte è anche qualcosa che vogliamo sempre vicino a
noi.
Questo dualismo di sentimenti è la stessa che secondo Durkeim si ritrova nel sacro. Per
lui gli atti morali hanno in sé qualcosa di sacro sia perché tutti i sistemi morali derivano da
sistemi religiosi, la seconda ragione riguarda l'oggetto verso cui va rivolto l'atto morale.
La referenza dell'atto non deve essere mai il soggetto stesso ma la società.
L'atto morale è rivolto verso l'anonimato della società. Anche il sociale è avvolto dalla
patina del sacro.

Concezione che Durkeim ha del fenomeno religioso.


Ad un certo punto della sua carriera fonda una rivista e attorno a questa si crea un circolo
formato da antropologi, storici e sociologi.
Spencer e Guillem sono due autori che hanno colpito Durkeim su un tema delle società
totemiche.

“Le forme elementare della vita religiosa” è un testo di Durkeim in cui dice che tutte le
religioni sono fatte della stessa materia e quindi devo guardare le religioni più semplici.
Il primo problema è che bisogna dare una definizione dell'oggetto di studio, che cos'è una
religione? La religione aveva a che fare con il sovrannaturale dicevano Spencer e Muller.
L'idea di sovrannaturale per Durkeim è sopravanzata. Per avere un'idea del
sovrannaturale bisogna sapere cosa è il naturale. L'idea del sovrannaturale si può avere
solo una volta inventata la trascendenza.
L'altra visione era quello di Tylor che sosteneva che la religione non è altro che una serie
dei regole che presiede il rapporto tra l'uomo e il dio. Ma la deità non è affatto un concetto
comune a tutte le religioni perché esistono le religioni senza dio (buddismo).

Cosa c'è nella religione, di che cosa è fatta?


Tutte le religioni sono fatte di credenze ed hanno dei rituali. Questi sono tutti oggetti,
credenze e rituali che presuppongono una classificazione, una divisione netta tra il sacro
e il profano. Il sacro e il profano sono gerarchicamente ordinale, il sacro è più importante
del profano (ma il sovrano non è superiore allo schiavo). Le cose sacre sono interdette, le
cose profane non lo sono, ma non funziona neanche questo.
L'unico modo per distinguere queste due è che sono incommensurabili, assolute. Non c'è
niente di così incompatibile e distante come sono il sacro e profano, non possono
comporre nessuna unità.

Rapporto tra magia e religione


Il mago generalmente ha dei clienti, è un professionista. Con il mago si ha sempre un
rapporto utilitaristico. I preti invece hanno i fedeli. Quindi il rapporto con la magia non è
collettivo ma individuale, è strumentale e di scambio utilitaristico. La religione invece è
sempre faccenda di comunità di fedeli.

Le pratiche rituali sono i momenti in cui si celebra il culto (messa, battesimo). Durkeim si
chiede che rapporto c'è tra le credenze, le pratiche rituali e gli oggetti, in che rapporti
stanno. Secondo lui la preminenza logica va data al rituale, prima vengono le pratiche e
poi le credenze e gli oggetti.
Per lui un rituale è qualcosa che si fa sempre tra più persone e bisogna condividere uno
stesso spazio ed essere attivati su uno stesso centro di attenzione. Però questo centro
deve essere interno /endogeno al gruppo. Quando il rituale funzione provoca un tumulto
emotivo in chi vi partecipa. Le coscienze individuali avvertono sempre dentro di loro un
sommovimento (effervescenza collettiva). La direzione che prende questo sconvolgimento
è quella che Durkeim definisce estatica (stare fuori, trascinare fuori la coscienza). Quello
che si avverte è una forza che ci lavora dal di dentro e che viene da capo provata nella
stessa maniera da tutti i membri.
Ma da dove viene questa forza e che cos'è? Come mai ci sentiamo così?
Questa forza non è umana. Questa forza è di ordine superiore e quindi di natura sacra.
Sono, per Durkeim, le pratiche rituali che istituiscono il sacro. Il sacro ancora una volta è
frutto di un meccanismo di rimozione, di un inconscio che è prodotto dalla società.
La società coincide con Dio. Per quello tutte le società hanno un passato e un presente
religioso. La religione è la simbolizzazione, trasfigurazione delle coscienza collettiva.

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Lo stato è frutto di un processo di differenziazione sociale ed ha una funzione speculativa.


Lo stato deve pensare la società nel suo complesso. Lo stato rappresenta il cervello della
società e ha il compito quindi di pensare la società nella sua interezza. Lo stato resta in
comunicazione con le parte della società che sono le famiglie e le corporazioni
professionali per Durkeim.
Il compito dello stato è un compito speculativo e integrativo perché riflette immagini
del tutto che devono essere comunicate alle parti. Lo stato è al contempo dentro e fuori la
società.

Sono tre i nodi della morale per Durkeim:


1. estrema relatività della concezione della morale. Al variare della coscienza collettiva
varia la morale.
2. Effetto emotivo contraddittorio che evidenzia l'atto morale che è un misto tra sforzo
e soddisfazione. La morale ha sempre una sorgente di natura religiosa.
3. L'oggetto dell'atto morale fonda la moralità dell'atto stesso perché non può essere
rivolto verso chi lo pone in essere ma ha sempre bisogno di altro da se.

Per Durkeim la religione ha un ruolo fondamentale. L'idea centrale è che il sacro è


sempre in funzione di una società. Non c'è dubbio che nelle forme elementari vengono
prima le pratiche (funzionano quando creano uno stato emotivo forte) e poi le credenze. Il
rituale è un tumulto ben organizzato ma pur sempre un tumulto. La forza che l'individuo
avverte dentro di se è talmente potente che la genesi di essa viene interpretata come
qualcosa che è fuori dalla quotidianità. La causa del sacro sta nel virtuale.

Tutte le società hanno sempre conosciuto un'esperienza religiosa perché il religioso non è
che l'ordine sociale sacralizzato.

La religione totemica è comune a tutte le società segmentarie. Ci sono i gruppi/clan e


ciascun clan ha un proprio totem. Questo totem è qualsiasi cosa, può essere un animale,
altre volte è un elemento fisico, altre volte può essere un fenomeno atmosferico...
Il totem esprime l'identità del clan. Da il nome al clan e ne è l'emblema.
Siccome i totem sono estremamente vari, la sacralità non dipende da contenuti intrinseci
del totem e nota che la sacralità del totem è qualcosa che si diffonde. Il sacro è qualcosa
che si diffonde, di contagioso. Viene contagiato ciò che tocca, c'è un trasferimento
del sacro (ad esempio se il totem è il coccodrillo l'acqua che beve diventa sacra etc...).
e' sacro l'oggetto che è stato a contatto con un certo oggetto.
In Goffman questo contagio riguarda l'esatto opposto del sacro, ciò che si oppone al sacro
rimanendo dentro al sacro ha un'ondata non sacralizzante ma contaminante.
Il sacro è una qualità che si sovrappone all'oggetto.
Il sacro è appiccicato sopra l'oggetto perché quest'ultimo è al centro del rituale.
L'oggetto diviene o uno strumento ma può essere anche ciò che abilita il rituale (ad
esempio se prendo un calice e dopo questo calice viene usato per dire messa, il suo
valore dopo la messa per me cambia, cioè si è appoggiato sopra il sacro).

Il rituale è un meccanismo di produzione dell'effervescenza collettiva. Durante un tumulto


ci può essere qualcuno che va sopra le righe. Durkeim pensa che l'effervescenza collettiva
può produrre nella coscienza di qualcuno il desiderio di compiere un gesto straordinario.
E' vero si che la società è questa realtà che ci sovrasta, che si impone ma è anche
ciò che ci da forza, che ci abilita.
Il sociale non è solo ciò che debilita e che reprime ma è anche ciò che abilita.

Comunque i totem sono sempre e comunque dei simboli. Hanno una valenza simbolica
cioè veicolano un significato ad una pluralità di individui. I simboli veicolano anche un
contenuto emotivo. Le rappresentazioni collettive hanno sempre bisogno di simboli sui cui
fissarsi.

Pierce dice che:


Gli indici sono prove di uno stato del mondo empirico (luce e fumo sono simboli del fatto
che c'è qualcuno in casa) e sono frutto della naturalità di quel mondo;
le icone sono rappresentazioni grafiche di un contenuto semantico.
I simboli non hanno nessun rapporto con la realtà fisica ma hanno un rapporto stipulativo.

Durkeim critica questo e dice che il simbolico non ha una precisione nell'indicare un
contenuto cognitivo ma la sua proprietà e quella di veicolare un contenuto che è emotivo
(c'è un senso di appartenenza). I simboli hanno sempre una base emotiva.
C'è la variabilità del simbolico per quello un totem può essere qualsiasi cosa ma c'è
sempre un senso di appartenenza. Il simbolo contiene una elemento sacrale.

In questa discussione per Durkeim i fatti sociali che spiccano sono i modi di sentire. Il
religioso è una sorta di abbreviazione, di condensato di tutta la normatività sociale.
Rappresenta una sintesi estrema da cui sgorgherà tutta la normatività del sociale. Il
religioso è una sorta di formalismo giuridico abbreviato. I modi di agire sono connessi ai
modi di sentire.
Nel religioso ci sta inscritto anche il modo di pensare. Si trova anche un modo per
conoscere il mondo.
Durkeim tratta questa questione e dice che le categorie della conoscenza non siano
categorie innate ma siano il prodotto di un processo di socializzazione. L'individuo fa
esperienza del mondo anche senza essere in società ma senza esperienza speciale non
si hanno le nozioni astratte che ci permettono di conoscere il mondo.

Il pensiero logico non è una qualità individuale ma le facoltà logiche si possono rinvenire
da precise istituzioni sociali.
La psicologia ha sempre pensato che la logica fosse il frutto del pensiero umano ma per
Durkeim esiste una storia della logica.
Più si scava nella storia più ci si imbatte in società della storia dell'indistinto in cui il
trasmutare di un genere all'altro è all'ordine del giorno.
Le nozioni logiche hanno un'origine extralogica, cioè che si formano bel sociale.

La tribù è differenziata in due macrogruppi che si chiamano fratrie (perché non ci si può
sposare con quelli appartenenti alla propria fratria). A loro volta queste possono essere
suddivise in classi matrimoniali (che scambiano le donne con le altri classi matrimoniali), a
ciascuna classe matrimoniale appartengono diversi clan.
Tutti quelli che appartengono ai mallera mangiano cibo mallera e così via...
E' un mondo in cui il religioso e il logico sono un tutt'uno. Esistono nelle teste di questi
gruppi cose/elementi che derivano dalla simbologia dell'organizzazione sociale.
La struttura della società produce dei criteri logici di distinzione.

Quando una società cresce di numerosità e il meccanismo della segmentazione va oltre


un certo stadio, la complessità diviene tale che tutto il meccanismo crolla, si frantuma.

Il meccanismo di segmentazione come funziona?


I sottototem o totem secondari (oggetti inseriti nel mondo fisico) possono corrispondere dei
totem terziari. Se il totem del corvo diventa troppo numeroso si stacca un gruppo e questo
prende il nome di un sottototem.
Gli arunta aversano in questa condizione dicono Spencer e Miller.

Vedremo che anche per Bourdieu anche le società moderne hanno un'influenza logica
sugli individui.

I modi di sentire istituiscono dei modi di agire e dei modi di pensare. La sociologia di
Durkeim è una sociologia delle emozioni. Il sociale si regge anche in base alla vita
emotiva dei propri membri.

Durkeim alla fine del libro affronta il problema del sacrificio. Il sacrificio è un enigma
perché può essere inteso come il sacrificio della comunità dei fedeli volto a nutrire il dio,
ma noi sappiamo che la direzione può essere anche opposta ossia è il dio che si fa corpo
e si sacrifica per nutrire i fedeli. Da una parte c'è il sociale che nutre il dio e dall'altra c'è il
dio che nutre la società. Per Durkeim non c'è nessun rischio di cortocircuito.
La società produce la religione ma la religione retroagisce assicurando l'interazione
sociale.
Al contempo accade che la religione agisce come un dispositivo che garantisce la tenuta
del legame sociale, non c'è quindi nessuna contraddizione.
La società è uno specchio, come una descrizione della grammatica profonda della società
che ha la funzione di garantire la tenuta della solidarietà, per questo Durkeim dice che
tutte le religioni sono vere.
Il problema è se possa esistere una società senza religione, senza sacro. Durkeim
articola due risposte a questo quesito:
1. la prima ottimista la formula in un saggio che si intitola “l'individualismo e gli
intellettuali”. Da una parte c'è chi difende gli individui e dall'altra difendono
l'istituzione collettiva. In fondo gli intellettuali rappresentano l'avanguardia della
morale, il futuro di quello che sarà della coscienza collettiva. Dunque lo sviluppo
sociale si muoverà verso una direzione individualista. Si propone un individualismo
in termini religiosi che consiste in una celebrazione dell'autonomia della persona,
della libertà della persona. Questa credenza è la sola che possa assicurare unità
morale alla società. Occorre che le regole sociali si costruiscano tenendo al centro il
valore dell'individuo. La religione dei moderni è una religione laica in cui l'uomo è
contemporaneamente il religioso e dio. Il problema è che l'individuo è un oggetto
che è individuale (nel celebrare il valore dell'individuo celebriamo una
indipendenza, una libertà).
2. la seconda si colora di tinte più cupe e sarà quella definitiva. Considera il moderno
una stagione anonica perché si profila come una stagione priva di stati emotivi forti.
4/10

Particolare concezione antropologica proposta da Durkeim. Per lui il soggetto da


Platone a Kant è stato caratterizzato come una dualità che è articolata verso un polo
elevato meno energetico e un polo concreto molto materiale e ricco di energia. Esiste un
polo concreto che ha una matrice egoista, individualista ed esiste un polo che ha una
matrice più personale e quindi morale.
Dal momento che noi proviamo a tradurre ciò che proviamo, ciò che avvertiamo è che
queste vengono trasformate. Quando compio l'azione morale ho bisogno di far violenza su
me stesso.
Questa è una visione così universale che non può essere sbagliata. Per Durkeim questa
dualità è uno specchio del dualismo fondamentale che caratterizza il fenomeno religioso
cioè il sacro e il profano.
Per Durkeim la religione non è solo un'origine di un fatto sociale normativo ma è
soprattutto un insieme di pratiche e dunque ha una carica emotiva molto forte.
L'individuo è costituito da pezzi di società che camminano per Durkeim. Tuttavia la parte
individuale è vitale, energetica mentre la parte sociale svolge un ruolo regolativo di queste
pulsioni ma per svolgerlo deve avere anch'essa una potenza energetiche che Durkeim
affibbia all'esperienza del religioso.

Ai valori della coscienza collettiva si collegano le sanzioni. Ci sono delle punizioni per chi
non li rispetta.
La vera sanzione dovrebbe consistere nel rimorso. Se ci conformiamo alla norma solo per
paura di subirne le conseguenze, mettiamo in campo un comportamento utilitarista
(rispetto la norma perché gli svantaggi sono maggiori rispetto ai vantaggi che ne avrei
rispettando la norma).

Il religioso è visto come fonte di una solidarietà specifica.


Questo stadio anonico ha due tipi di conseguenze negative:
1. la prima riguarda la psicologia degli individui. Lui attuerà uno studio sui suicidi, la
maggior parte dei quali hanno una causa sociale. La sua idea è che il suicidio sia
causato a livello sociale da un disequilibrio nelle componenti della dualità interna al
soggetto (tra la componente istintuale e quella sociale).
Esistono essenzialmente 3 tipologie di suicidio: il suicidio altruistico (kamikaze
che si da alla morte e si da alle mani del proprio esercito) che prevede una
esondazione della componente sociale che schiaccia quella individualista e3 deriva
da un eccesso di integrazione;
il suicidio anonico che si realizza quando non ci sono più stati normativi, non
fornisce più un lessico per dare un limite ai propri bisogni;
il suicidio egoistico che vede diffuso nelle società protestanti. Le società a base
protestante hanno una visione individualista con una costrizione alla libertà e alla
responsabilità.
Il punto è che la mancanza di società non è salubre, come non lo è nemmeno
l'eccesso. Questo porta ad una conseguenza negativa in termini sociali di una
mancata cogenza delle regole sociali.
Il denaro è una sanzione positiva esterna. Poi ci sono delle sanzioni che
interrogano la coscienza del soggetto tramite l'influenza cioè far valere la propria
autorevolezza e vederla riconosciuta (sanzione positiva interna perché cambia il
modo di rappresentarsi la realtà). Poi esiste una sanzione interne negativa con il
cosiddetto “impegno al valore”.
Nelle società di oggi fa da padrone il denaro e il potere che favoriscono
l'integrazione sociale ma non interrogano le coscienze. Il moderno è una stagione
anonica in cui la società sta insieme con dispositivi tecnici. Per Durkeim il moderno
è un periodo deritualizzato.

ERBING GOFFMAN

L'analisi di Goffman inizia da qua. E' vero che la modernità ha fatto piazza pulita al
dispositivo rituale?
Goffman è un sociologo canadese naturalizzato statunitense. A Chicago ci va un
giornalista che dirige il dipartimento di sociologia e che ha una inclinazione empirica.
Goffman coniuga una attenzione per i problemi del quotidiano. Vuole rintracciare la
dimensione rituale del moderno. Non esistono più i grandi rituali collettivi ma la sua
ipotesi è che il sacro non è scomparso dalla società. Il posto dei rituali non è più la
piazza ma è l'iterazione. Per lui i rituali vanno studiati nelle relazioni quotidiane, negli
incontri.

Il primo saggio si intitola “giochi di faccia”. Una faccia fa riferimento al valore positivo
che l'individuo rivendica per la propria immagine. Significa un valore positivo ricercato
dal soggetto in rapporto alla propria immagine. Nello stare con gli altri noi mettiamo in
mostra un'immagine del nostro sé. Non si può non comunicare, tutto è comunicazione
(anche quando ad esempio ci mettiamo le cuffie in treno o facciamo finta di dormire). A
meno che non ci si ritiri dalla società non si può non mostrare la propria faccia.
Ci sono innumerevoli fattori che costruiscono la nostra immagini. Alcuni cadono dentro il
nostro controllo (come ci vestiamo), su altri non abbiamo alcun potere (l'età).
Gli elementi che controlliamo Goffman li chiama “corredo identitario” che è di
importanza notevole e si vuole acquisire una faccia.
Elemento essenziale che serve a gestire il gioco di faccia è la linea di condotta (immagini
del sè) e abbiamo delle aspettative su come l'altro ci tratterà. Quando le aspettative sono
confermate non accade gran che. Quando le aspettative sono superate si genera
soddisfazione. Quando invece le aspettative che avevamo sono deluse abbiamo disagio e
umiliazione.
Alcune linee di condotta già segnate sono i ruoli sociali che sono degli io belli e
pronti cioè che eseguendo un ruolo sociale trovo un'identità bella e pronta per me. Ci
sono dei simboli che sono più istituzionalizzati e altri meno ma che in ogni caso
comunicano qualcosa.
Il giudice e il medico hanno già implicito nel ruolo una certa reputazione che è pregiata. Al
contrario ruoli sociali meno prestigiosi non hanno impliciti una reputazione. Questo è un
vantaggio per la faccia ma è anche un onere.
Bourdieu dirà che è implicito un capitale simbolico.
Ci sono condotte che noi teniamo nei confronti di un pubblico estemporaneo che
incontriamo e che non è detto che restino. In questo caso possiamo pretendere per il sè
più di quanto non si possa fare con i pubblici stabili.
La cosa da notare è che il soggetto costruisce la propria faccia ma nel farlo non può
fare altro che utilizzare delle norme sociali. I materiali con cui la faccio mi sono dati
dalla società perché sono materiali semantici e che quindi devono essere condivisi.
Io propongo una faccia e gli altri me la devono certificare. Tuttavia anche gli altri faranno lo
stesso con me. Quindi la costruzione della faccia è sempre una questione relazionale.
<<La faccia della persona è qualcosa che si è diffuso nel flusso degli eventi che
hanno luogo durante l'incontro>>.
Il problema è che la faccia, le nostre immagini del sé possono essere si costruite ma
possono essere anche danneggiate (l'espressione “ho perso la faccia”). I soggetti hanno
un assoluto interesse a preservare la propria faccia come quella degli altri. C'è una
collaborazione, non si può fare se non stando in relazione.
Esistono tre tipi di incidenti:
1. il primo è la gaffe ed è il meno grave. Profanazione della faccia del tutto
involontaria e può riguardare la nostra immagine o quella altrui.
2. La profanazione colposa quando l'oltraggio è inferto senza cattiveria, senza
malizia.
3. Insulto vero e proprio cioè l'attacco sferrato alla faccia altrui.

Esiste un modo difensivo (il soggetto difende la propria faccia) ed uno protettivo (riferito
alla protezione della faccia altrui).
La prima tecnica della difesa è l'elusione cioè il non entrare in contatto (chi non è sicuro
della propria faccia evita il contatto con gli altri). Questa tecnica la usiamo quando
entriamo in nuovi contesti.
Un'altra tecnica elusiva è la modestia (giocare al ribasso) e consiste nel comunicarne di
meno e non di più perché poi dopo quando avremmo modo di manifestare i nostri talenti
riceveremo un apprezzamento superiore avendone comunicati di meno.
L'elusione può essere anche una forma di protezione, quando manifestiamo educazione e
riservatezza, quando tacciamo i fatti scabrosi che riguardano gli altri.
Un'altra tecnica è ignorare, far finta di non aver visto, sentito e continuare come se nulla
fosse.
Alle volte però l'evento non può essere evitato. Questo si chiama processo correttivo e
consiste di tre fasi: la sfida consiste nel far notare al trasgressore quello che ha combinato,
l'offerta consiste nel far vedere lui la strada d'uscita, l'accettazione significa certificare che
la riparazione è avventa.
Questi tre sono processi correttivi che vengono attivati quando si verifica l'incidente.
Il gioco di faccia aggressivo è quando la faccia di uno dei due interlocutori è spacciata e
corrotta. Consiste nel guadagnare positività per la propria faccia denigrando la faccia
altrui.
Generalmente quando si verificano incidenti c'è collaborazione nel cercare di aggiustare la
situazione. A volte l'imbarazzo consiste nel fatto che non si riesce a scegliere un gioco di
faccia giusto e condiviso che sia giusto per la riparazione. Questo imbarazzo segnala per
Goffman la socializzazione degli individui in relazione al gioco di faccia.
Ci sono delle regole sociali che impongono la tutela della faccia degli altri. Uno di questi
istituiti è quello che la nobiltà obbliga. Obbliga ad essere magnanimi con i sottoposti.
A colui che nonostante la sua posizione prestigiosa si comporta alla mano, succede che
aumenta ancora di più il proprio prestigio; c'è una sorta di mercanteggiamento negativo.
Lo stesso meccanismo che però è positivo riguarda le persone con diversità,affetta da una
qualche manchevolezza che devono far finta che quella manchevolezza sia una cosa da
poco.
La nobiltà che obbliga e lo sbandierare le proprie mancanze sono due istituti che
fungono da membrana protettiva all'interazione perché cercano di riequilibrare delle
diversità di status. L'interazione deve essere uno spazio protetto dalle eccessive
differenze altrimenti risulta poco utile alla costruzione della faccia.
Perché ci sia interazione ci deve essere simmetria tra ego e alter.
L'interazione è un piano costitutivo dell'identità individuale che deve essere protetto dagli
squilibri sociali esterni. Gli individui comunicano anche per definire le loro relazioni.

10/10

La natura dell'interazione è rituale.


Faccia e sé sono sinonimi in Goffman. Il punto centrale è che Goffman sostiene che
l'interazione sia una realtà duplice: c'è un piano manifesto (il piano del contenuto) che
riguarda il contenuto manifesto dell'interazione; ma esiste anche un contenuto latente,
implicito che chiamano il piano della relazione che è un piano in cui si negoziano le
identità dei partecipanti all'interazione.
La faccia è un progetto collaborativo che deve parlare la lingua che parliamo noi e si
muove sul piano dell'implicito. Ci sono delle regole che vanno seguite, delle strutture che
vanno rispettate.

Il gioco di faccia riparativo serve per riportare alla normalità la situazione dopo
l'incidente.
Esistono delle membrane che servono a tutelare lo spazio dell'interazione. Ad esempio il
caso della nobiltà che obbliga (l'alto deve far finta sul piano simbolico di essere basso
come il magistrato che si ferma a parlare con la donna delle pulizie; ma allo stesso tempo
il basso deve far finta di essere alto). Queste discrasie altrimenti getterebbero un
eccessivo stress sul piano dell'interazione.

Queste strutture, sfida, offerta e accettazione devono essere appresi, le dobbiamo


imparare. I bambini sono poco discreti, non capiscono il danno cerimoniale che fanno
quando fanno certe domande che non dovrebbero fare (Goffman dice che sono distruttori
di mondi).

“La natura della deferenza e del contegno”, qui Goffman si interroga sulla natura della
deferenze e del contegno. Esistono due grandi plessi, insiemi di regole e queste sono
distinguibili in norme sostanziali e norme cerimoniali.
Esistono delle regole che hanno senso in sé, hanno una ragione molto chiara (come il
codice della strada che evita gli incidenti), esistono però delle regole che sono svuotate di
qualsiasi senso pratico e funzionano come palestre utili a produrre un'immagine del sé.
L'attività cerimoniale è composita, comprende azioni, comunicazioni non verbali come la
mimica, gli sguardi, gli atti verbali...tuttavia opera uno sforzo sintetico racchiudono le
regole cerimoniali all'interno di due sfere distinte che sono le regole di deferenza e altre di
contegno.
La deferenza è l'espressione simbolica della considerazione che io tengo nei
confronti dell'altro. L'altro è inteso sia in termini concreti, ma anche la sua proprietà, la
sua opera e le sue cerchie relazionali. Nessuno può farsi deferenza da solo. La deferenza
può essere pretesa ma non possiamo mai tributarcela da soli ma proviene dall'altro.
La deferenza può essere data alla posizione sociale e non alla persona che la
ricopre. Esistono enormi esempi anche di deferenza tra pari, tra individui che sono
posizionati allo stesso livello.
La deferenza è una comunicazione simbolica cioè che non deve essere preso alla
lettera, ci si deve accontentare del gesto. Ma se non si osserva il gesto siamo innanzi ad
una specie di ribellione. Il gesto non va preso alla lettera.
Goffman nota che esistono due modi di comunicare in deferenza che sono antitetici: esiste
una deferenza di discrezione ed esiste una deferenza di presentazione (vedi appunti
più avanti). La deferenza di descrizione testimonia all'altro il rispetto della sfera ideale.

Concetto di sfera ideale di Simmel ripreso da Goffman. Per Simmel ciascun individuo è
inserito all'interno di una cerchia spaziale che non è difesa fisicamente ma tutti sanno che
esiste uno spazio di esclusiva pertinenza del soggetto. Gli altri non devono violare questa
sfera.
Mano a mano che si sale nella scala gerarchica la scala ideale che circonda i soggetti
diventa ampia dice Goffman.
Chi è posto generalmente in una condizione di essere stigmatizzato viene posto
nell'incapacità di mantenere la sfera ideale. Sono soggetti a violazioni sistematiche della
sfera ideale. La diversità è un elemento che stimola.
L'identità dell'individuo è qualcosa di sacro e più questa è sacra, più si estende. Infatti la
sfera ideale di espande. Anche qui c'è la profanazione dell'individuo.

Goffman fa una ricerca etnografica che conduce in un ospedale psichiatrico. Goffman


studia questo piccolo ospedale che consta di due reparti. In uno si trovano pazienti in
convalescenza e insieme a queste pazienti sono internati per punizioni due ragazzi usati
come cavie per testare psicofarmaci. Nell'altro reparto si trovano invece persone molto
gravi. Nel reparto A è possibile osservare strutture di deferenza di discrezione molto
evidenti (ad esempio le pazienti non chiedono alle altre le loro precedenti esperienze al
ricovero). Nel reparto B osserva la sistematica trasgressione della regola a differenza del
reparto A. Però le norme di discrezione sono trasgredite dal personale sanitario (es
lavaggio forzato delle pazienti) e queste reazioni sono giustificate dall'esistenza di regole
sostanziali (ad esempio se non mangia non posso farla morire). Dall'altra perte però
osserva che anche le pazienti violano la sfera individuale dei medici e degli infermieri
anche come reazione alle violazioni subite. Ovviamente la violazione della sfera ideale
individuale da parte dei pazienti ha sempre una natura cerimoniale e non sostanziale.
Questi pazienti parlano tuttavia il lessico delle deferenza. Saranno pazzi questi pazienti
ma hanno la potenza del sociale e riescono a parlare il lessico del sociale.
Un'altra cosa che nota relativa alla sfera ideale è che per lui la burocratizzazione del
quotidiano impongono delle violazioni della sfera ideale dei soggetti e istituiscono di tenere
dei buoni contegni.

Poi esistono dei rituali di presentazione che sono delle comunicazioni esplicite
dell'immagine che il soggetto ha preso di noi. Questi rituali servono a confermare che
gli altri confermano le convinzioni dell'individuo della propria immagine.

Durkeim parla di rituali negativi che vengono tenuti nell'accostarsi al sacro (avvertiamo la
presenza del sacro) intenzione ad accostarsi al sacro in maniera consona, i rituali positivi
pervengono alla sacralizzazione stessa, appiccica il sacro sopra l'oggetto. La discrezione
è il rituale negativo, quello positivo è la presentazione rispettivamente.

Tra discrezione e presentazione c'è una dialettica intrinseca. Più si spinge sulla
presentazione e più si mortifica la discrezione. Più si insiste sulla discrezione e meno si
parlerà il linguaggio della presentazione. E' un gioco a forma zero. L'ideale è l'equilibrio.

L'altro aspetto della faccenda è il contegno (p. 84 nel saggio sulla deferenza e il
contegno). Sembrerebbe che il contegno abbia a che fare con la capacità di gestirsi, con
la facoltà di essere padrone di se stesso. Il contegno è una qualità che si apprende, non è
innata. Contegno come mezzo diagnostico per capire come siamo anche in altre attività.
Gli altri con le nostre qualità le usano come mezzi diagnostici per attribuirci un'identità.
Capacità che abbiamo di interrompere le vie percettive per capire come ci sentiamo
veramente. Tener dentro le nostre emozioni, i nostri appetiti che tutti hanno. Il contegno è
qualcosa che gli altri apprezzano perché chi ha un buon contegno è colui al quale gli altri
si possono fidare (protegge la nostra faccia). Nella modernità ci fidiamo di più di chi tiene
dentro e non mette in mostra. C'è sempre una gestione sociale di questa apertura e
chiusura.

Esistono delle figure sociali prestigiose alle quali non è sempre richiesto un contegno
ineccepibile. Al contrario i ruoli meno prestigiosi devono sempre tenere un contegno
ineccepibile. La cosa fondamentale è che una persona che non è in grado di garantire da
se un buon contegno nelle nostre società è obbligata a sottomettersi alle cure di altri. Chi
non può tenere un buon contegno e non permette agli altri di mantenerlo sarà sottoposto e
perdite di dignità e deferenza. Lavare e radere un malato di mente vuol dire garantirgli un
buon contegno.
Ci sono delle regole di contegno e chi non le rispetta viola la sua sfera ideale. Essere
individui lungi dal rappresentare la condizione naturale, genetica è un fatto sociale.
Queste regole sono sociali perché quando non le rispettiamo veniamo sanzionati.

Il soggetto tenendo un buon contegno propone il proprio sé, il contegno è il linguaggio


attraverso cui proponiamo all'altra un'immagine del nostro sé. Siamo costretti a
proporlo.
Con la lingua della deferenza invece riconosciamo l'immagine dell'altro.
Per quello la faccia, il sé è un progetto collaborativo.
La natura dell'interazione è rituale e dato che il rituale produce il sacro e quindi l'identità
intesa come oggetto sacro.
Perché ci sia un'immagine complessiva dell'uomo, questa immagine la dobbiamo
costruire insieme all'altro. Essere individuo è un fatto sociale che è sanzionato come
tutti gli istituti sociali.

Se è vero che il sé è dato dal prodotto di deferenza e contegno, l'idea che esistano dei
contesti dove venga parlato di questo in modo differente fa pensare che il sé dell'individuo
sia sempre declinato al plurale. Noi siamo una molteplicità di sé. I mondi che
attraversiamo producono sé differenti. L'individuo sta allo stesso tempo da nessuna parte
e dappertutto. Il sé pensa che abbia una natura intermittente. Nessuno può sapere chi è
quando sta da solo.

Sentimento dell'imbarazzo: compresenza di sé in conflitto (ad esempio quando i genitori


vanno a prendere i figli a scuola). Noi essendo una molteplicità dobbiamo sapere che il sé
si intrufola l'uno nell'altro e li si crea imbarazzo. Questo è un modo di dire che quello che
stiamo vivendo non è vero, toglie lo statuto di realtà.

11/10

Esiste un ego (io) ed esiste un alter. Ego propone all'altro tramite il contegno una
faccia e alter certifica la faccia tramite la deferenza. Lo stesso meccanismo riguarda
anche alter e quindi va in entrambe le direzioni. La questione è che nel profanare la faccia
di ego, viene meno il polo interattivo necessario per costruire la nostra faccia.
Nell'essere aggressivi nei confronti del sé altrui ci si priva della costruzione della propria
faccia, da qui l'imbarazzo. Il sé è sempre una pratica collaborativa che è una realtà
divisa in due possedute una da alter e una da ego. Il sé è prodotto di un'interazione
e quindi esiste solo nel momento in cui siamo interazione, fuori dall'interazione non si
da sé (da qui la natura intermittente del sé).

Segregazione del ruolo. Chi popola una sfera di esperienza generalmente non popola
anche l'altra.
L'imbarazzo serve a togliere statuto di realtà alla situazione per Goffman. L'individuo
si scompone perché si trova popolato da due sé contemporaneamente.

“La vita quotidiana della rappresentazione”. L'idea di sé che abbiamo visto Goffman la
trasla anche alle realtà collettive le quali propongono un'identità e lui le chiama equipe. I
gruppi sociali devono fare un lavoro di squadra per presentare il loro sé collettivo.
Esistono per Goffman dei complessi di individui che collaborano per inscenare una
routine. Questi complessi di individui lui li chiama equipe. Si tratta di gruppi che si
yrovano impegnati in una rappresentazione collettiva.
La tesi di laurea per Goffman è una situazione in cui viene inscenata una routine. Perché
la routine funzioni è necessario che ci sia fiducia tra i partecipanti. Si crea
un'interdipendenza tra gli attori che costituiscono l'equipe che spesso va oltre le divisioni
sociali e strutturali del sistema. Si crea anche una certa familiarità tra i membri dell'equipe.
L'equipe è un gruppo tenuto a creare una realtà dinnanzi ad un pubblico. Questa
realtà per essere creata necessita di un copione de sui mezzi espressivi atti a
rappresentarla.
L'accordo è necessario ed è necessario nascondere che ci si è messi d'accordo.
L'impressione di realtà è quella che molti autori chiamano performance, cioè mettono in
scena una realtà. Il tratto dominante è che deve apparire non preparata ma autentica
(anche se tutti sanno che è preparata).
Può capitare che ci siano delle rotture della linea collettiva. Qui si può osservare la
solidarietà. In alcuni casi non c'è solo la solidarietà ma c'è l'aggressività, il
rimprovero generalmente svolto dal superiore nei confronti dell'inferiore.
E' evidente che se la linea collettiva va preservata, c'è una necessità vitale da
soddisfare che è evitare i doppi giochi. I membri dell'equipe non possono essere
allo stesso tempo membri del pubblico.
L'equipe è fatta da attori sociali che si trovano a loro agio nel posto dove mettono in scena
la routine. In quello spazio al contrario il pubblico non è a suo agio. Chi maneggia con
destrezza lo spazio della rappresentazione gli fa acquisire anche credibilità.

Nello svolgere la linea collettiva il gruppo si dota di alcuni ruoli. Ad esempio in una
tesi di laurea il presidente è il regista dell'equipe. Nel caso delle commissioni di laurea
abbiamo il regista che è anche il primo attore (ha un compito anche espressivo) è lui che
conferisce più di tutti lo statuto di realtà. Però il ruolo di regia non è detto che sia svolto
sempre dal primo attore (ad esempio nel funerale il primo attore è la salma e la regia la
svolge l'impresa di pompe funebri).
A volte ci sono dei conflitti tra la leadership di espressiva e quella della regia. Può anche
accadere che questi ruoli vengano assegnati a dei neofiti.
La terza posizione è quella che sta più nell'ombra e che è quella degli autori. E' necessario
avere il supporto autoriale che è dato da quelli che scrivono il copione (nel caso della tesi
di laurea lo statuto dell'ateneo e la segreteria studenti). Il loro prestigio è un prestigio
riflesso.

Goffman pensa la realtà sociale basata su due grandi dimensioni: la ribalta e il


retroscena. Tutta la nostra esistenza sociale si gioca come un'entrata e un'uscita tra
queste due sfere; tra ciò che è mostrato e tra ciò che è nascosto. C'è un momento della
preparazione e uno della messa in scena.
La sua idea che che non si possa fare a meno di preparare un'identità e di mostrarla.
-c'è una rappresentazione monopolistica in cui c'è un solo centro d'attenzione legittimo.
– poi ci sono le rappresentazioni frammentate che hanno più centri di attenzione.
La ribalta reale è la sala da pranzo dove invitiamo gli ospiti. Ma esistono anche delle
ribalte virtuali.
La ribalta è il luogo dove viene messo in mostra un sé. Se sulla ribalta mettiamo in
mostra il nostro sé, vanno tenute in estrema considerazione gli atteggiamenti di contegno
e di deferenza. Ma mentre nel secondo caso notiamo dei comportamenti intermittenti, non
si può fare a meno di mantenere una attenzione alla manifestazione del contegno.
E' chiaro che gestire bene la propria comunicazione di contegno sulla ribalta diventa un
modo di comunicare deferenza nei confronti di un pubblico potenziale. Spesso occorre far
finta di non lavorare per gestire bene la ribalta. Bisogna modellarsi e adattarsi alle
esigenze sociali.
Il retroscena invece è il luogo dove si nascondono gli elementi che non si vogliono
mostrare sulla ribalta e anche il luogo dove si confezionano quelli che verranno
esibiti. <<Luogo dove l'impressione voluta dalla rappresentazione stessa è
scientemente e sistematicamente negata>>. E' qualcosa di separato dai sensi del
pubblico. E' un vantaggio per i professionisti avere un retroscena.
Questi due termini riguardano la vita quotidiana.
Questi due possono avere anche confini variabili. Ci sono dei confini variabili che sono
dettati dal tempo. Spesso il retroscena può essere anche rappresentato da condizioni
passate o presenti, da amicizie, legami etc... (per esempio gli ex galeotti quando si trovano
non si salutano). Nella ribalta passiamo per normali mentre nel retroscena non aderiamo a
quel concetto di normalità.
Da chi lavora sulla ribalta si aspettano doti espressive, mentre da chi lavora nel retroscena
ci si aspettano doti tecniche.

C'è un aspetto espressivo che segna il passaggio da una sfera di esperienza all'altra. Non
c'è mai un'informalità totale perché il retroscena è sempre la ribalta di un altro retroscena e
via cosi. I compagni di equipe saranno poi il mio pubblico quando quella rappresentazione
finisce e ne inizia un'altra.
L'equipe ha sempre attori differenti (di età, di status...) in cui ognuno rappresenta il
pubblico dell'altro fino a quando si è fuori dal contesto interattivo. Spesso i ruoli bassi
credono che i ruoli al vertice non abbiano retroscena. Però per Goffman esistono dei ruoli
che sono così ai vertici che per loro il retroscena forse non esiste, per esempio non si sa
se si può dire che il Papa abbia un retroscena.
Esistono dei ruoli sociali che sono molto più invadenti di altri in termini di ribalta. Ci
sono dei ruoli sociali che tendono ad attirare a sé porzioni crescenti di retroscena. Il
personaggio pubblico è tale perché il ruolo che esegue è invadente e lo mette
continuamente sulla ribalta, ha sempre visibilità.

Ci sono attori che si trovano molto più a loro agio sulla ribalta che sul retroscena ,
che sono talmente assorbiti nel loro ruolo che fanno fatica ad entrare nel retroscena. In
fondo il retroscena è la loro ribalta e viceversa dice Goffman.
Oggi stiamo assistendo ad un'inversione di ribalta e retroscena.

17/10

Un ruolo sociale è un insieme di aspettative normative che di distingue da una


aspettativa cognitiva (che devono essere rielaborate riferita alla persona e non al ruolo).

Questa analisi svolta sul ruolo è un'analisi di natura organizzativa. È una analisi che
determina la composizione di ruolo di un sistema sociale.
Però esiste anche un altro tipo di analisi che è quella identitaria cioè un'analisi svolta sul
sé, sul tipo di identità che è implicita nel ruolo. I ruoli sono degli io belli e pronti per noi. Ci
si può affezionare più o meno al proprio ruolo (grazie all'immagine implicita all'interno del
ruolo). L'attaccamento al ruolo è relativo al tema dell'identità e quindi all'emozione ce
proviamo nei confronti del sé implicito del ruolo.

Goffman studia la relazione che intercorre tra sé e ruolo. Svolge un'analisi identitaria
del ruolo attraverso i metodi dell'etnografia. Si preoccupa di osservare quelli che lui
chiama sistemi situati di attività che sono gruppi attivati su pratiche specifiche.
Sistemi situati di attività significa che c'è un unico centro di attenzione svolti da un sistema
di ruolo.
Goffman vuole studiare come si fa ad andare in giostra. Lui studia i bambini che vanno
sulla giostra. Nota che i bambini di 2-3 fino ad un massimo di 4 anni sono la gioia dei
giostrai perché si fanno assorbire dal ruolo di bambino che va sulla giostra. Questo è un
esempio di totale assorbimento del ruolo.
Quando i bambini crescono (5-6 anni) invece cominciano a comunicare una timida
indisponibilità a far esaurire il proprio sé nell'immagine del bambino che va sulla giostra.
Inizia a compiersi una distanza da ruolo (ad esempio vogliono scegliere loro il cavallo...)
ostentano grande padronanza della situazione.
I bambini di 6-7 anni ancora più grandi negano tutte le regole implicite del ruolo di bambino
che va sulla giostra (ad esempio alcuni si siedono al contrario...).
Un bambino di 9-10 anni può andarci a patto di definire la faccenda come uno scherzo, un
totale no-sense, ci va per divertirsi.
Gli adulti che salgono sulla giostra stanno seguendo un compito di sicurezza.
La distanza dal ruolo è una comunicazione di separazione riguardo all'identità
virtuale implicita nel ruolo stesso.
La conclusione è durkeimiano. Che cosa deve fare uno per distanziarsi dal ruolo?
Per negare il sé implicito nel ruolo io non posso rifugiarmi in un mondo
introspettivo di mia invenzione ma devo ricascare dentro un altro ruolo sociale.
Le azioni di distanza dal ruolo hanno senso se si sviluppa all'interno di un campo
semantico che è condiviso (come per il dispositivo della faccia la quale la faccio io ma con
la materia che mi da la società).

Goffman inizia a ragionare la dove si era fermato Durkeim e cioè su una nota pessimistica
sulla modernità.
Le sanzioni che hanno più valuta nel nostro sistema sociale sono il denaro e il potere ma
questi colpiscono un ambiente esterno e non interno ma non agiscono sul modo in cui noi
rappresentiamo l'ambiente e il mondo.
Si ha un'espulsione graduale del rituale dalla sfera pubblica per Durkeim. L'espulsione del
sacro espelle anche degli stati di coscienza forti. La società moderna è quella dove il
rituale non ha più nessuna cittadinanza. La soluzione che propone è l'individualismo
religioso cioè una concezione sacrale dell'individuo su cui progettare il legame sociale del
moderno a partire da una credenza della natura sacra del soggetto, ma questa credenza
fa perno daccapo sull'individuo. Noi celebriamo la libertà dell'individuo e la sua autonomia
da qualcosa e non sulla sua appartenenza a qualcosa. La religione laica è quindi priva di
riti, fatta solo di credenze.
Deritualizzazione progressiva del sociale. Ci sono le regole ma non fanno senso. Si perde
quella che era la sostanza della regola e cioè che rappresentasse una valore della
coscienza collettiva.

Goffman chiede se è vero chela natura del sociale sia priva di rituali. Lui vuole studiare le
relazioni sociali quotidiane attraverso la lente fornita da concetto di rituale di Durkeim.
Per Goffman nei rituali dell'interazione si costruisce il sé come sacro.

Il contegno è la chiusura sistematica delle vie percettive che gli altri potrebbero percorrere
per vedere come noi ci sentiamo (è il contrario dell'effervescenza collettiva). Tuttavia a
prescindere dalla differenza relativa alla tonalità emotiva, la funzione del rituale rimane
quella. Ciò non toglie che la condizione del sé come oggetto sacro sia una pratica
collaborativa del sociale.

La sociologia di Goffman è una sociologia dell'interazione. Goffman pensa


all'interazione come ad un vero e proprio regno di studi sociologici suo proprio.
L'interazione è una basilare esperienza sociale. Tutte le teorie sociologiche hanno trattato
questo tema dell'interazione. Tuttavia Goffman pensa che le teorie sociologiche classiche
non ne hanno colto la specificità.
Le teorie classiche pensano che l'interazione rifletta strutture sociale più ampie che
l'interazione cioè è un'emanazione dei contesti strutturali più vasti all'interno dei quali
vengono decisi gli squilibri di potere tra i soggetti.
Goffman suggerisce di abbassarsi e mettersi allo stesso livello.
Il difetto delle teorie classiche è duplice: sia di natura empiriche che teorica. Nella natura
empirica ci sono dei fenomeni empirici che la funzione strutturalista non può cogliere come
le diseguaglianze sociali La natura teorica non afferra la differenza tra due ordini sociali
che sono quello macrosociologico e quello situazionale.
Poi esiste un altro filone che pensa l'interazione come un semplice luogo di intersezione
delle azioni individuali. L'interazione è il prodotto di un'intenzionalità dei soggetti.

Ancora una volta l'ordine dell'interazione è frutto di forze che sono esogene, in secondo
luogo l'autonomia dei soggetti deve fare i conti con delle regole e delle norme che è tutta
interna al contesto dell'interazione. L'interazione è un ordine sociale a se stante
relativamente autonomo dal suo ambiente strutturale e psicologico.
Vi sono elementi che sono connessi più strettamente tra loro che non tra elementi esterni.

Goffman non è un'analista dei piccoli gruppi perché l'ordine dell'interazione non prevede
una appartenenza.

Unica eccezione è rappresentata da Simmel il quale dice che la socievolezza è un gioco in


cui si fa come se si avesse stima di tutti. Sebbene tutti sanno che esistono persone più o
meno valide, potenti, ricche...nella socievolezza si fa finta di aver stima d tutti allo stesso
identico modo; si sospende l'importanza dello status sociale.
Questa tesi è simili a quella di Goffman quando parla dell'interazione.
Per Simmel la socievolezza era un'arte che si esercitava in uno spazio e in un tempo ben
precisi, era l'arte del cosiddetto salotto borghese. Al contrario per Goffman l'ordine
dell'interazione è un ordine sociale.
L'ordine dell'interazione è anche fondamentale non solo per acquisire un'identità, ma
anche per comunicare un senso di normalità, di ordinarietà senza la quale qualsiasi vita
sarebbe impossibile.
Le aspettative normative ci dicono come ci tratterà la società. Questo serve a stabilizzare
la dimensione sociale; ma esiste anche un ordine dell'interazione che riguarda l'incontro
tra estranei. Esistono dei segnali tra estranei che tendono a comunicarci la condivisione di
un senso pacifico del mondo.

Si finta che i talenti non centrino nulla, rimangano come un rumore di fondo. Mentre per
Simmel questo miracolo è confinato nel salotto borghese, Goffman ne individua un ordine
sociale sui generis.

PIERRE BOURDIEU

Il terzo autore è Bourdieu. Nasce nel 1930. e' figlio di una piccolissima borghesia quasi
ridotta sul lastrico. Si concentrerà nello studio di una realtà culturale molto vicina ad Algeri.
Poi fa ritorno in Francia e gli viene data la cattedra di sociologia.
Bourdie è il sociologo più citato a livello internazionale.

Anche lui parte da un profondo radicamento nella sociologia di Durkeim. Il problema di


Bourdieu è uno: quello del dominio. La società è una realtà ingiusta gravida di
diseguaglianze che non hanno giustificazione e caratterizzata da profonde strutture di
dominio. Il problema suo è che nonostante ci siano diversità che non hanno alcuna
ragione di essere, l'ordine sociale continua a perpetuarsi tutto sommato abbastanza
facilmente.
Il problema è cercare di arrivare a cogliere la questione del dominio e del potere che in
Durkeim non avevano alcuna cittadinanza. Nella realtà di Durkeim vige una armonia tra le
forze. La dimensione del potere è sempre pensata come un'armonia, un gioco di pesi e
contrappesi teso a costruire l'ordine sociale.

Per Bouriei esistono gruppi sociali che non sono ordinati in maniera verticale ma sono
ordinati anche in una linea orizzontale dove c'è il problema dello scontro.
La sua sfida è cercare di rendere conto del potere e del fenomeno del domino rimanendo
all'interno di una cornice durkeimiana.

Evidenzia grosse difficoltà di natura semantica rispetto ai due autori precedenti. I punti
centrale sono due: il concetto di atteggiamento scolastico e la dialettica oggettivismo-
soggettivismo.
Per il concetto di atteggiamento scolastico prende spunto da Austin (filosofo del
linguaggio). Austin sviluppa questo concetto di visione scolastica del linguaggio che è
quella che noi troviamo in un vocabolario. Se io prendo il termine “campo”, il campo è ad
esempio un campo di gioco o di battaglia, il campo di concentramento etc...

18/10

Tutta la teoria sociale è affetta dal problema dell'atteggiamento scolastico del teorico
sociale contraddistinto da una scissione epistemologica che sconta alla base una
scissione sociale.
Chi riflette sulla società lo può fare perché non ha urgenze.
Questa condizione di ozio che domina l'atteggiamento scolastico viene rimossa,
dimenticata. C'è una epochè delle strutture sociali (che permettono le libertà di urgenze)
che stanno alla base dell'epoché stessa.
La realtà sociale ci sbatte in faccia l'impellenza all'azione, dobbiamo agire.
Spesso le persone agiscono perché spinte da urgenze. Le scelte, le azioni non dipendono
da un meccanismo che è riflessivo ma sono delle riflessioni a delle urgenze. Infatti lui non
ama il concetto di azione e per questo forma una sociologia non dell'azione ma della
pratica. Il teorico è colui che è libero da urgenze.

Cosa provoca l'atteggiamento scolastico?


Il frutto della scolé è una dualizzazione interpretativa del mondo sociale, divisione
inconciliabile delle prospettive usate per interpretare la realtà sociale.
Si sviluppano due atteggiamenti che sono inconciliabili: il soggettivismo e l'oggettivismo.
Il soggettivismo per Bourdieu è un modo di intendere la realtà sociale (es.
l'esistenzialismo di Sartre...) .
Le caratteristiche tradizionali del soggettivismo sono tre:
1. un privilegio epistemologico dell'esperienza primaria.
2. Un primato ontologico dato dall'individuo cioè esistono in primis gli individui
3. e un primato metodologico attraverso cui spiegare la realtà sociale.
Per questi approcci, i fenomeni sociali partono dalle azioni individuali, quindi si devono
scomporre.
Il punto di forza più fondamentale è il fatto che ad agire sono gli individui. Solo loro
costruiscono la realtà sociale, sono i soggetti che producono la realtà sociale.
Ma quello che manca nella posizione soggettivista è che non ci si interroga mai sulle pre-
condizioni necessarie affinché ci sia esperienza del mondo. Nel momento in cui si passa
ad osservare questo plesso di pre-condizioni ecco che immediatamente scivoliamo dentro
la posizione oggettivista.
Questa condizione oggettivista è il fatto che esistono delle regolarità che sono strutturali
(ad esempio esistono delle leggi sociologiche).
Come possono spiegarsi queste regolarità? L'idea che via dia un solo soggetto slegato
che scelga il meglio per sé è ingenuo e anche dubbia dal unto di vista politico. Da un lato
la sua idea è quella di salvare l'elemento di creatività che è implicita nella condizione
soggettivistica, inoltre è ingenuo pensare che il sociale sia qualcosa di trasparente alla
coscienza degli attori.
L'atteggiamento scolastico non coglie la vera naturalità del sociale che è soggettivismo e
oggettivismo. Non riesce a cogliere quale è la specificità dell'urgenza.

La risposta che lui da al problema è il fatto che per Bourdieu il mondo sociale è un mondo
palesemente ingiusto caratterizzato dall'ordine del dominio. La realtà sociale quindi è
stratificata e ordinata gerarchicamente. Succede che i soggetti quando nascono, nascono
all'interno di una famiglia che a sua volta è all'interno di una classe sociale. I soggetti
nascono sempre in un punto dello spazio sociale. Il sociale nasce sempre in un ambiente
sociale oggettivo.
Il fatto di nascere all'interno di uno spazio sociale inculca nel soggetto delle disposizioni.
Nel termine disposizione sono compresenti entrambe le visioni oggettiviste e soggettiviste.
La disposizione può anche richiamare il passaggio di un'energia esterna e organizzatrice.
Il fatto di nascere in un punto dello spazio sociale produce nel soggetto un sistema di
disposizioni che lui chiama habitus che è il prodotto di una società stratificata.
Questo sistema di disposizioni non ha delle referenze specifiche ma è un sistema di
disposizioni che produce orientamenti vaghi nei confronti delle scelte che sgorgano da un
punto preciso che è la posizione di classe.
Si tratta di un insieme di strutture strutturate (cioè coerenti) predisposte a funzionare come
strutture strutturanti.
C'è assoluta libertà del soggetto ma è determinata dalla potenza dell'habitus.
Queste disposizioni che fanno l'habitus sono organizzati, costituiscono delle risorse per
rispondere a delle urgenze che danno origine a pratiche le quali non seguono alcuna
regola. L'habitus produce strategie d'azione che tuttavia non sono affatto il prodotto
di un'intenzione strategica.
<<Tramite l'habitus si rifiuta l'impossibile e si ama l'inevitabile>> dice Bourdieu.

Il modo attraverso cui l'habitus giunge all'individuo è l'ambiente familiare. La realtà


familiare è vista come un grande filtro attraverso cui viene fatta passare la posizione di
classe.
Ci sono sia sanzioni positive che negative che prefigurano l'habitus.

Le posizioni sociali di cui sono figlie gli habitus questi ultimi le riproducono. L'habitus è un
processo storico che si tramanda di padre in figlio, è un prodotto del divenire storico che
però si fa natura perché viene dimenticato. Quindi l'habitus è anche storia rimossa,
inconscia.
L'habitus rende simili in modo ovvio i membri di un gruppo e li distingue da tutti gli altri;
dunque la sociologia deve trattare come identici tutti gli individui che sono i supporti dei
medesimi habitus.

Bourdieu pensa che il primo operatore di socializzazione all'habitus sia la famiglia, il


secondo la scuola e il terzo il lavoro.
Però lui istituisce una gerarchia tra gli habitus, cioè non tutti gli habitus hanno lo stesso
potere plasmante nei confronti delle scelte individuali. A suo avviso la famiglia fa
interiorizzare un habitus però queste prime strutture sono molto radicate ma costituiscono
anche le lenti attraverso cui il soggetto va a filtrare per esempio l'esperienza scolastica.
Tuttavia l'habitus non è un oggetto deterministico, le scelte restano scelte. L'habitus è il
principio non scelto di tutte le scelte.

Potremmo accostare il concetto di habitus alla grammatica di Chomsky che è un linguista


americano che formulò la proposta di una grammatica generativa. Dice che esistono in
tutte le lingue delle strutture generali che stanno alla base. Queste strutture permettono
l'edificazione dell'edificio del linguaggio. L'habitus è simile perché è un nucleo generativo
ma la differenza è che c'è una diversità di fondo tra le strutture generative e questo vuol
dire che questa è una differenza di ordine gerarchico.

Grazie al concetto di habitus saltano tutte quelle categorie dicotomiche della sociologia
tradizionale. Queste dicotomie non hanno più senso di esistere perché c'è una specie di
unione.

La sociologia ha come oggetto due fenomeni, uno passato e uno presente. La sociologia
studia la formazione degli habitus. Lui parla di socio-analisi.
A suo avviso la sociologia dell'educazione è anche una sociologia politica perché gli
habitus sono stratificati. C'è uno studio teso a comprendere i processi formativi dell'habitus
ma la sociologia si interroga anche delle condizioni dell'habitus in cui l'habitus viene
messo in atto con una pratica.
La sociologia studia l'incontro tra l'habitus e l'evento (accadere a cui l'habitus
risponde, l'evento è dunque l'urgenza).
L'habitus gira a vuoto quando si trova a contatto con ambienti sociali che non l'hanno
prodotto. La sociologia ha il compito di indicare il rimosso.
La sociologia è un'arte marziale perché cerca di dibattersi e di allargare gli spazi di
libertà del soggetto per portare alla luce il rimosso.

Mentre in Durkeim il fatto di indicare il rimosso ha una funzione destrutturante, in Bourdieu


il rimosso ha la funzione liberatoria.
Sembra che l'habitus è un concetto che limita la supposta sacralità dell'individuo.

Ancora una volta si pensa all'habitus come ad un linguaggio. Chi parla un linguaggio è
libero di esprimersi tuttavia lo fa in un modo che è tipico di quella lingua. Siamo detti dal
nostro dire.

Per Bourdieu il mondo sociale non è trasparente, c'è un inconscio sociale che è l'habitus.
Con il soggettivismo la realtà sociale è data dalle pratiche che sono attivate dall'habitus e
dall'incontro con l'evento.

L'habitus non può essere appreso in termini discorsivi e riflessiva ma è a sua volta
appreso dalla pratica. Sono le azioni degli altri che inculcano l'habitus.
Questo concetto non è altro che una serie di schemi integrati in un tutto coerente. Il
bambino in famiglia vede applicare questi schemi agli eventi e alle contingenze. Ora
l'habitus non si apprende per imitazione di un modello astratto né tramite tentativi ed
errori. Ma uno schema classificatorio si apprende e si comprende anche senza
comprenderne la logica. Ad esempio noi apprendiamo la lingue sentendola in
continuazione. L'habitus si apprende attraverso la pratica, stando a contatto, quasi per
osmosi.
24/10

Questo concetto di habitus è il concetto di forte derivazione durkeimiana. Con l'habitus gli
individui sono pezzi di società vivente. L'individuo interiorizza una componente pulsionale
e morale, quindi sono pezzi di società che camminano.

Coincidenza tra i modi di classificare la realtà e la struttura sociale. L'individuo ci fa vedere


come nelle società totemiche produce degli schemi classificatori per dare ordine al reale.
Durkeim ipotizza una coincidenza tra strutture sociali e allo stesso tempo mentali.
L'habitus è l'interiorizzazzione della struttura sociale.

Tuttavia in realtà Bourdieu va oltre a Durkeim per tre ragioni:


– in primo luogo in merito all'omologia tra società e mente che non si esaurisce con
l'entrata nella modernità.
– In secondo luogo introduce una spiegazione causale relativamente alle urgenze che
producono degli stili di comportamento, delle pratiche che fungono da esempi che poi
si inculcano nelle menti di chi le osserva.
L'habitus è un concetto di Tommaso che sono le disposizioni stabili che vengono donate
dal sommo bene e queste danno origine al soggetto cristiano. Habitus in latino significa
disposizione stabile e in Tommaso disposizione stabile ad agire secondo virtù (lo stesso
per Bourdieu). L'habitus è una struttura dell'oggettività di second'ordine perché l'oggettività
di prim'ordine è quella della società. L'habitus accomuna tutti coloro che appartengono ad
una stessa posizione di classe.
Chi nasce in un medesimo punto dello spazio sociale acquisisce un medesimo habitus. E'
soprattutto un concetto collettivo. Gli individui devono essere trattati come identici. Ci sono
parabole sociali molto diverse ma per Bourdieu vanno studiate come omologhe.
Poiché l'habitus fa saltare l'antinomia tra soggetto e oggetto, saltano anche le barrire che
erano state erette tra le discipline che si occupano di individuo e società. Non ha senso
studiare solo le strutture di società di prim'ordine ma un'adeguata scienza della società
dovrà prolungare lo sguardo per osservare come questi dispositivi con cui si giunge ad
una società di second'ordine. L'habitus si fa corpo e c'è una necessità dell'habitus di
attaccarsi al corpo connessa al fatto di essere inconscio.

– In terzo luogo ci fa vedere come questa faccenda dell'incorporazione delle strutture


sociali in quelle mentali ha una funzione politica, cioè ha un'enorme funzione di
dominio. Vuole usare l'intuizione di Durkeim ma poiché la società e stratificata e le
strutture mentali sono derivate dal posizionamento di questa gerarchia, l'habitus svolge
una importante funzione nell'economia del dominio.

Per Gramsci la cultura noi non l'abbiamo studiata bene perché è già inscritta nella società.
La cultura ha un ruolo attivo perché la cultura borghese esercita un potere egemonico. Ma
se questa egemonia si trasforma in dominio si crea una società ideologica in cui le classi
subalterne fanno esperienza della loro condizione attraverso e categorie d'analisi della
società borghese. La risposta ideologica fa apparire come date per scontate delle
distribuzioni di potere arbitrarie e ingiuste. Da qui torniamo al corpo, all'inconscio sociale
perché questa è una interiorizzazione dell'arbitrario (che si realizza appunto tramite
l'inconscio).
Si cristallizzano quindi dei rapporti di dominio. L'habitus plasma il modo di essere del
corpo.
L'habitus fa saltare la dicotomia oggettivismo-soggettivismo, fa collassare uno dentro
l'altro i termini e lo fa perché da un lato l'azione umana è determinata da una
rappresentazione della realtà, l'individuo risponde cioè a delle esigenze. Non tutto ciò che
io vedo nel mondo costituisce fonte d'azione. C'è un elemento idealista in Bourdieu perché
il mondo è ciò che mi rappresento ma attraverso le categorie dell'habitus che mi
provengono dall'oggettività del sociale.

Bourdieu sviluppa questo concetto di habitus mentre è in Algeria. Poi lui torna in Francia e
la realtà sociale che ha innanzi è diversa da quella algerina. Ha bisogno di un concetto
che lo aiuti a rendere conto della differenziazione sociale. A suo avviso la società moderna
si caratterizza per essere una pluralizzazione di microcosmi sociali. Questi microcosmi li
chiama campi.
L'individuo prende parte ad ambiti sociali diversi e molteplici, ciascuno caratterizzato da
proprie regole e logiche. Questi campi sono dei sistemi di relazioni oggettive tra posizioni.
Ad esempio un campo è l'università e il suo sottocampo può essere il corpo docente. Ad
esempio c'è il professore ordinario che è al vertice, poi c'è il professore associato, poi i
ricercatori universitari, poi quelli a tempo determinato che si suddividono in tipo A (finito il
contratto se ne vanno) e di tipo B (finito il contratto diventano professori associati. Il campo
è quindi un sistema di relazioni di posizioni.
La posizione è decisa da una porzione differenziale di potere. Nel momento in cui sono
inserito in una posizione trovo un pezzetto di potere bello e pronto per me. I campi sono
caratterizzate da relazioni oggettive che esistono indipendentemente dall'idea che uno si
fa e ciascuna di queste è decisa da un differenziale di potere. Le relazioni che ci saranno
possono essere relazioni di dominio, di conflitto etc..
Per Bourdieu le società differenziate sono un insieme sterminato di campi. Tutti questi
sono caratterizzati da logiche specifiche cioè che la valuta corrente all'interno di un
campo non è la stessa di un altro campo.
I soggetti che stanno dentro ai campi che cosa fanno? Di solito competono per migliorare
le loro posizioni oppure per conservarle. Da questo punto di vista il concetto di campo
assomiglia al concetto fisico di campo magnetico perché il campo per Bourdieu è una
realtà che deforma lo spazio sociale decisa da queste relazioni tra le posizioni e il soggetto
che entra all'interno del campo si trova investito da una serie di forze e quindi gioca (sta in
competizione) nel campo.

Il concetto di gioco per Goffman non è un momento di relax o di vita meno seria, ma anche
il gioco più banale è qualcosa di serio. Generalmente nel gioco c'è una posta in gioco che
delle volte è un non detto. Nel gioco esprimiamo premure e preoccupazioni in maniera
tacita, in maniera implicita. Il gioco esprime qualcosa che deve stare sullo sfondo.
Nel campo quindi ci sono delle posizioni in cui i soggetti devono investire nel gioco del
campo, devono percepire l'importanza della posta in gioco. C'è in gioco il mio sé e la mia
identità in quel campo. Si ha n interesse a giocare visto che la posta in gioco ha un
interesse simbolico.
Il concetto di interesse in Bourdieu non va confuso con un economicismo. E' una nozione
che si contrappone sia a quella di gratuità, sia a quella di disinteresse. Ciò vuol dire che se
uno è interessato ad una cosa percepisce le differenze, è sensibile alle differenze e quindi
non è indifferente. Chi è interessato al campo percepisce le differenze, quindi l'interesse
significa che si colgono le differenze tra le diverse poste in gioco. E' in campo che va
socializzato all'interesse. Per Bourdieu come per Goffman c'è un interesse al disinteresse.
L'interesse non è affatto un concetto economicistico ma significa percepire
differenze perché si è appunto interessati.

Questo termine di interesse è soggetto a incomprensioni perché l'interesse di solito è un


interesse materiale.
Nell'opera “Il senso pratico”, Bourdieu è un sostenitore dell'approccio empirico però
quando lo studio empirico permette connessione tra queste categorie d'analisi. Sostituisce
queste termine di interesse con il termine di doxa che lui traduce come credenza che è il
campo al cui interno le poste in gioco abbiano un valore. La doxa genera un'illusione cioè
siamo immessi nel gioco, nel lumus. Quelli che popolano il campo insieme a me sono dei
collusi perché sono degli illusi insieme a me nel gioco. Il campo ci crea questa credenza
che la posta in gioco abbia un valore e quindi siamo degli illusi, siamo nel gioco. Ma basta
un passo a lato del campo perché si squarci il velo di Maya e la doxa si frantuma. Chi non
è colluso dice che gli altri sono psicopatici. A non percepire le differenze possono essere i
membri stessi del campo. Si è illusi e collusi insieme agli altri e quindi si gioca al gioco che
c'è nel campo.
I risultati di ciascun giocatore sono connessi alle specifiche logiche che regolano il campo.
Vuol dire che ci sono diverse monete che circolano all'interno dei campi e non è detto che
le monete che circolano all'interno di un campo circolino all'interno di un altro e
garantiscano le stesse cose.
Generalmente esistono tre monete, tre valute che hanno cittadinanza all'interno dei campi
che sono tre forme di capitale:
– capitale economico (quanti soldi ho)
– capitale sociale (volume di relazioni che possiamo attivare come il numero di amici che
abbiamo su facebook)
– capitale culturale (riguarda la competenza, la capacità di far avanzare questa o
quell'altra disciplina)
Una volta inseriti dentro ai campi queste valute funzionano per giocare. Le poste in gioco
che ottengo sono differenti. Investo capitali diversi e quindi gioco partite diverse. Tuttavia
l'utilizzo di queste forme di potere e di capitale differente da origine a traiettorie differenti.

Dove un campo inizia e finisce?


La prima regola empirica per l'analisi del campo è che i confini del campo sono
caratterizzati dalla presenza di forti conflitti (c'è una contesa tra i membri dello stesso
campo). Si tenta di restringere i confini del campo da parte di chi è all'interno. Chi invece
entra nel campo con orze nuovo attua una politica di allargamento dei confini. Aggiunge
anche che il campo esercita degli effetti e i confini del campo sono là dove finiscono i suoi
effetti. Aggiunge anche che non è possibile spiegare che cosa succede ad un oggetto che
attraversi quel campo in base alle sole proprietà intrinseche dell'oggetto. L'effetto di campo
è qualcosa che piega, che lo deforma, quindi il campo è qualcosa che agisce realmente e
non è solo una costruzione del ricercatore, i confini ci sono davvero. L'effetto di campo è
un concetto che ha a che fare con la posta in gioco, ha a che fare con il concetto di doxa.
Gli effetti di campo riguardano la costituzione delle urgenze. Gli effetti di campo consistono
nella sua capacità di condizionamento, nella sua capacità di produrre doxa negli individui
che hanno un habitus.

25/10
Il concetto di campo è un modo di intendere dei micro-cosmi sociali definiti da posizioni
oggettive. Ci sono campi più ampi ma ci sono anche campi specifici (politico, burocratico).
Gli individui nei campi competono per una posta in gioco che è ciò che i collusi credono
avere un valore. Competono perché sono interessati alla posta in gioco. Interesse significa
percepire le differenze, non essere disinteressati e dunque si avvertono le urgenze. Per
confini del campo Bourdieu dice che ci sono conflitti tra chi vuole entrare e chi vuole
mantenere le posizioni di privilegio. Il campo è in grado di propagare un effetto dossico
sugli habitus che sono disposti ad accoglierlo. Se esiste una società stratificata ci saranno
campi che si rivolgeranno agli habitus di strati superiori. Il campo diplomatico l’effetto
dossico lo esercita sulle classi superiori, sugli strati sociali superiori. L’habitus di classe è
strutturato per cogliere l’interesse iniziale (filosofia, lettere, cinema). Il campo poi comincia
ad influire e modifica le disposizioni iniziali. L’effetto dossico è percepito a partire
dall’habitus di classe. le procedure di immissioni nel campo sono atte a valutare la docilità
dell’habitus, cercano di capire quanto l’individuo sia disposto a farsi socializzare da una
logica del campo. Si guarda il modo di parlare, il modo di stare nello spazio, la posizione
corporea. Secondo Bo la realtà sociale esiste due volte: esiste internamente ed
esternamente. Internamente esiste nell’habitus ed esternamente esiste nel campo.
L’habitus è la realtà sociale interiorizzata, il campo è la realtà sociale oggettivata. Quando
un habitus entra in relazione con il campo di cui esso è il prodotto è come vedere un
pesce nuotare nel mare, tutto è naturale, ovvio perché le categorie di analisi che applico
per interpretare il mondo sono le stesse che il mondo mi ha dato. Il mondo mi comprende
ma il mondo mi comprende perché io comprendo il mondo. Le categorie d’analisi del
mondo però sono il prodotto dell’habitus ma sono un prodotto storico quindi non sono degli
eterni, degli universali. Gli habitus sono la realtà storica oggettivata. i campi sono dei
microcosmi sociali che sono relativamente autonomi e bisogna capire come Bourdieu
spiega il cambiamento (per lui più che cambiamento si ha riproduzione).
Un buon modo per comprendere l’autonomia dei campi è fare riferimento ad un articoletto
tratto da una sua conferenza sui rapporti tra giornalismo e vita politica. Lui cita Marx e dice
che l’universo politico è una sorta di teatro e in quanto tale propone una rappresentazione
teatrale del mondo sociale che è de-realizzata. Marx sta indicando le scissioni che
segnano l’autonomia dei campi. L’universo politico è una sorta di teatro. Nonostante gli
interessi del mondo politico possano nascere al di fuori del campo politico devono essere
tradotti e ri-espressi all’interno della logica del gioco politico. Ciò che dice un politico serve
a portare avanti un gioco interno al sistema politico. Gli interessi di classe danno la
benzina per far funzionare la logica politica. Gli opinionisti spiegano qual è il gioco di
palazzo. Ciò che accade dentro al campo politico è spiegabile con la logica della chiusura,
del ripiegamento del campo su sé stesso. Bourdieu riprende ciò che avevano altri autori
come Gaetano Mosca che dice che il consenso viene gestito da un’oligarchia. Bourdieu
pone attenzione ai partiti di sinistra. Essendo questi ultimi quelli più inclini a rappresentare
gli strati sociali più degradati, più bassi sono anche quelli che hanno maggiore possibilità
di autonomizzarsi, di chiudersi operativamente. La sinistra ottiene una delega in bianco. Il
concetto di relativa autonomia vuole comunicare che esiste una sorta di membrana che
separa il campo da ciò che non è campo. Questa membrana filtra e separa ciò che accade
all’esterno e lo immette all’interno. Per Bourdieu ciascun campo è autopoietico, cioè
ciascun campo è capace di farsi da solo, si fa da solo. L’autopoiesi è un concetto
sviluppato da due studiosi cileni che avevano il problema di definire un sistema vivente da
un sistema che non lo è. La risposta che danno è che un sistema è vivente se è in grado
di riprodursi, ovvero se è in grado di riprodurre il corredo di elementi costitutivi. Il sistema è
operativamente chiuso, c’è una chiusura operativa, non c’è alcun ruolo dell’ambiente nel
decidere la riproduzione del sistema. Prendiamo in considerazione auto-elettrica,
computer e aspirapolvere. Funzionano tutte con energia elettrica ma le funzioni, le
operazioni che il sistema fa sono decise dal sistema stesso. L’energia è una sola ma la
logica con cui viene usata è decisa dal sistema, il sistema si fa da solo, poi ha una
interazione con l’ambiente. Un altro esempio è quello della fiamma: se metto la mano sulla
fiamma la tiro via. Nella fiamma non è inscritto il male. Il fatto che noi sentiamo male
dipende dal cervello. Le operazioni che fa dipendono dall’organizzazione interna, non
dall’esterno. Per esempio è chiaro che la società è formata da uomini. Noi non possiamo
sapere cosa la gente pensa. La società consiste solo in comunicazione. Tutti i sistemi
sociali funzionano attraverso funzioni comunicative. Senza uomini e donne che parlano la
società non ci sarebbe ma i pensieri per essere immessi nella società devono essere
tradotti in parole, azioni. Anche i sistemi psichici sono influenzati dai sistemi sociali. Tutti i
sistemi sociali funzionano con le comunicazioni. Bourdieu dice che i campi sono in
iterazione con l’ambiente ma ciò che accade nell’ ambiente viene tradotto secondo la
logica specifica dei campi. Il campo scientifico, la scienza si orienta a un codice, vuole
capire cosa è vero e cosa è falso. Il sistema giuridico nota se una cosa è legale o meno.
Sono sistemi che sono chiusi operativamente (la religione non c’entra con la scienza). Le
irritazioni esterne non hanno nulla a che fare, i rumori esterni vengono tradotti nel codice
del campo. Il campo traduce il tumore esterno in base alla propria logica. Ciascun campo
è relativamente autonomo. Relativamente significa che non coincide, non sfuma.
Affrontiamo la questione del cambiamento. Esistono questi campi caratterizati da posizioni
oggettive, degli spazi che gli habitus vanno ad occupare. Queste posizioni sono in
relazione tra di loro in base al potere che ognuna di loro detiene. All’interno di queste
posizioni ci sono degli habitus, dei soggetti che agiscono. Bourdieu distingue tra posizioni
e prese di posizione. Le posizioni sono spazi oggettivi che i soggetti occupano, le prese di
posizione sono ciò che i soggetti dicono o fanno a partire da quella posizione. Sia le
posizioni occupate sia le prese di posizione dischiudono lo spazio dei possibili. Esiste una
posizione che è inserita nel campo, arriva un habitus dentro e osserva da quella posizione
il suo campo; questo è lo spazio dei possibili. Sia le posizioni occupate sia le prese di
posizione sono percepite e filtrate attraverso le categorie dell’habitus; questo è frutto
anche della propria provenienza e traiettoria sociale. L’habitus pesca nella stratificazione
sociale e quindi ci sarà una certa omogeneità nel campo ma non una omogeneità totale.
Ci sono habitus simili all’interno del campo ma non del tutto identici. La dinamica
relazionale tra le posizioni e le prese di posizione che filtra ciò che avviene all’esterno del
campo fa sì che si creino delle possibilità, delle possibili strade di mutamento, delle
traiettorie potenziali di sviluppo che per essere realizzate devono incontrare degli habitus
che siano in grado di leggerle e di portarle a compimento, di agirle. Fuori dal campo
succedono delle cose (aumenta il costo della metropolitana, scoppia la rivoluzione, la
rivoluzione deve essere tradotta nel gioco politico). Affinchè il cambiamento è già inscritto
nel campo. Il cambiamento avviene nella connessione tra realtà oggettivata e
interiorizzata. Il cambiamento è presente ma bisogna accorgersi che ci sia, serve un
habitus che accolga questo cambiamento. Un esempio di cambiamento di un campo è
individuato nel caso letterario di Flaubert. Quest’ultimo è stato studiato come simbolo di
come avviene il cambiamento all’interno del campo. Bourdieu si occupa di studiare il
campo artistico perché vuole dimostrare che la pratica artistica è una pratica sociale e
anche essa è figlia di un incontro tra habitus e campo. Quindi è studiabile attraverso le
categorie sociologiche. La scelta di concentrarsi sulla pratica artistica ha una valenza
fondamentale perché vuole sconfessare la credenza che l’artista sia una sorta di eroe che
ha un talento innato e che produce questa realtà estetica così dal nulla. Quindi l’idea è
quella di dimostrare che anche l’atto più libero è comprensibile con i concetti di habitus e
di campo. Così vuole portare alla luce il rimosso che sta dietro l’apparente universalità
dell’atto artistico. Il gusto artistico, ciò sia la produzione che la fruizione di arte non sono
doni naturali ma dipendono da condizioni di possibilità che non sono accessibili a tutti. La
supposta superiorità sociale che si conferisce agli artisti non è legittimabile da doti innate
ma dipende da caratteristiche di censo. Non vuole condannare la cultura ma vuole portare
l’inconscio che sta dietro la concezione artistica di arte. Il discorso si può estendere a tutta
la condizione di soggetto. C’è anche un altro modo per vedere il legame tra ambito
artistico e letterario perché il campo artistico e letterario sono anche un buon modo per far
vedere che l’economia delle pratiche, cioè come funzionano i campi, non è una
trasposizione del mercato e il campo artistico funziona in toto con logiche rovesciate
rispetto al campo economico. Il campo letterario obbedisce ad una economia che non è
comprensibile se si riconduce tutto al profitto. La sua idea di campo non è coincidente con
quella di campo economico.
Il campo letterario è un campo? Bisogna capire se il campo artistico è capace di
autoriprodursi, se ha una sua logica. Il campo artistico non è sempre stato autonomi ma
esiste una storia della sua autonomizzazione. Un campo artistico non autonomo non può
che replicare le visioni del mondo insite nei gruppi sociali a cui le sue opere sono
indirizzate o commissionate. Man mano che il campo dell’arte diventa un campo diventano
presenti una serie di poste in gioco che devono esercitare degli effetti. Il campo artistico
inizialmente non gode di piena autonomia: gli artisti dipendono dalla borghesia, dalle classi
elitarie. La storia dell’arte è lo studio della sua progressiva autonomia. Anche in presenza
di un mercato l’arte dipende quasi esclusivamente dal soggetto borghese non tanto in
termini radicali ma almeno dal punto di vista materiale/economico. Gli scrittori provengono
dalla borghesia, le loro relazioni sono borghesi. Questo fa sì che il campo letterario abbia
un rapporto ambivalente sia col popolo sia con la borghesia e ha un’idea incerta sulla sua
funzione sociale. La classe degli artisti si legge come destinata a produrre una merce che
deve essere acquistata da persone incompetenti. Il campo artistico è diviso in due: da una
parte ci sono gli artisti, gli scrittori che si rivolgono alla borghesia, sono letti e celebrati dal
soggetto borghese, scrivono teatro. Poi esistono i fautori dell’arte sociale che è quella che
i bohemien riservano per il popolo. Mentre gli artisti borghesi sono realizzati, famosi, la
bohem è irrealizzata, è disconosciuta dalla borghesia e fa fatica ad essere ascoltata dal
popolo. Questo è l’assetto generico in cui il campo artistico riversa alla metà del
diciannovesimo secolo.
Flaubert è il figlio di una dinastia di medici, padre chirurgo, ha un fratello che è il cocco di
casa, quello bravo. Flaubert macera in una posizione scomoda, non è brillante a scuola, è
pigro, è intelligente ma non si applica. Viene allontanato dal liceo, legge molto ma gli
rimproverano tutti una certa superficialità ma lui voleva essere accettato dalla famiglia ma
al tempo stesso la disprezza. Commistione di amore e odio verso la sua famiglia. Lo
stesso atteggiamento ce l’ha verso la borghesia. Il borghese non capisce nulla, è gretto
ma si sente membro della borghesia, odia ciò che è popolare, le periferie, le birrerie.
Flaubert entra nel campo letterario con questo habitus è un habitus scisso, alienato dice
Bourdieu. Gli artisti borghesi svendono la loro identità, compiacciono i potenti e sono
consacrati quanto più rinnegano il loro essere artisti. I bohemien hanno una concezione
sciocca della creazione artistica. Per Flaubert la soluzione è l’arte per l’arte. Flaubert
rivendica la pura autonomia della pratica artistica, l’arte non deve essere consumata da
borghesi e proletari, deve essere fine a sé stessa. La creazione artistica deve rivolgersi
verso sé stessa, non ha alcuna funzione sociale, non soddisfa alcun bisogno sociale ma
ha una funzione simbolica. Flaubert culla il sogno di un romanzo che non racconti nulla,
che sia una pura armonia discorsiva, un puro culto della forma. Flaubert c’è un grande
culto dell’estetica. Il campo artistico non deve vendere niente. La pura ricerca formale
prevede un continuo cambiamento di codice, degli stilemi espressivi ma se io continuo a
fare ricerche sulla forma succede che non si consolida mai il genere. L’arte per l’arte
continua a cambiare codice. Se continuiamo a cambiare codici però non si consolida il
genere e se non si consolida il genere non si consolidano neanche i pubblici, non ci sono
gli appassionati del genere e quindi con Flaubert le opere artistiche hanno pubblici differiti.
Le opere artistiche rispondono solo alle esigenze interne delle comunità di artisti e critici.
Flaubert intravede un percorso di sviluppo che era già inscritto nel campo, disprezza la
famiglia ma vorrebbe essere accettato da essa. Flaubert sfrutta anche il fatto che può
sopportare il fatto della remunerazione differita.
Il meccanismo del cambiamento, dice Bourdieu, è dato da una interazione tra habitus e
campo. Si intraprende l’innovazione del campo ma anche dell’habitus. le potenzialità sono
già inscritte ma servono gli habitus giuste che vanno a metterle in luce. Il processo di
cambiamento ha anche a che fare con la ristrutturazione dei confini del campo. I processi
di cambiamento del campo mettono in gioco anche la stessa definizione di che cosa è
arte. Quindi le logiche di Flaubert spiegano il tema delle avanguardie, cioè alla scuola
istituzionalizzata che detiene il monopolio del significato della pratica si contrappongono gli
eretici che cercano di scardinare i canoni e se hanno successo fanno apparire come
obsolete le opere precedenti. Si uccidono i padri perché c’è sempre all’atto una
banalizzazione del potere debanalizzante. Le opere che avevano rotto ora diventano il
canone, gli eretici di ieri diventano il clero di oggi. Le avanguardie producono il pubblico,
costruiscono un loro mercato e quindi si produce un consumo di prodotto artistico. Si
produce un habitus ricettivo di quel prodotto artistico. Quindi si intravedono delle possibilità
di sviluppi che artisti con l’habitus adatto colgono e sviluppano generando nuove
avanguardie. Nel momento in cui si consolida il genere accade che l’artista comincia a
vendere e a diventare famoso, quindi vende, vende, vende e diventa sempre meno
artistico. Per Bourdieu il polo più artistico è sempre quello più autonomo, sganciato dalle
logiche mercantile. Il polo meno artistico è quello più vincolato dalle classifiche, dal
pubblico. Questa logica non è soltanto inerente al campo artistico; per Bourdieu tutti i
campi sono organizzati così. Tutti i campi funzionano così perché c’è la legge inscalfibile:
più aumenta il capitale culturale più diminuisce il capitale economico, più aumenta il
capitale economico più diminuisce il capitale economico. Queste due forme del capitale
sono il principio differenziatore di tutta la società. I campi si configurano quindi come delle
strutture a chiasmo: più aumenta uno più aumenta l’altro. Bourdieu dice che ciascun
campo è avviluppato, si inscrive nel metacampo del potere ciò significa che ciascuna
posizione interna del campo è definita in base ad un salvadanaio di capitale che ha
monete di capitale economico e monete di capitale culturale.

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Capitale economico e capitale culturale. Il capitale gioca una funzione essenziale nella
concezione della società come ordine del dominio.
Santoro sostiene che la questione di capitale sia indebitata con la proposta marxiana.
Marx è fondamentale e ce ne sono altri due tra cui un economista, Becker (premio nobel
dell'economia, e il sociologo Weber.
Marx in un volume de “Il capitale” affronta il tema del capitale e della divisione della
società in classi. La sua idea è che il dna di una società per capire come è fatta occorre
studiare i rapporti di produzione, i rapporti economici costituiscono la struttura di una
società. Tutto il resto è una sola struttura, è un riflesso dei rapporti di forza che si
strutturano all'interno delle pratiche produttive nella ricchezza. Costruisce una sorta di
classificazione delle società, una topologia sociale.
Tutto per lui può essere espresso dall'idea dello scambio che avviene così: io che sono un
artigiano ho della merce, ho bisogno di carne e vendo la merce, predono il denaro e con
questo mi prendo la carne; merce-denaro-merce (questa struttura si trova nelle economia
feudali di sussistenza). Qua l'elemento predominante è il valore d'uso, io ho bisogno di
carne per nutrirmi, chi compra le sedie ne hanno bisogno e quindi le merci servono a
qualcosa. Nello stadio capitalistico che sorge con l'arrivo dei mercanti, questa struttura di
scambio si ribalta e diventa denaro-merce-denaro'(primo). Ci sono delle persone che
hanno del denaro, queste acquistano delle merci ma l'obiettivo non è soddisfare un
bisogno ma è rivendere le merci che abbiamo acquistato per realizzare altro denaro. D' è
maggiore di D. questa struttura si trova nella società industriale. Il problema di Marx è
quello di capire come fa il capitalista a comprare delle merci, a rivenderle e ad aumentare
il capitale, quale è l'origine del profitto? La logica qui non è più dominata dal valore d'uso
ma dal valore di scambio; dalla tendenza ad aumentare costantemente il valore di
scambio. Nel passaggio tra la prima società è l'altra è la predominanza del capitale. Il
punto è capire dove si genera il profitto (D'). l'idea è che il capitale compra delle merci ma
queste devono essere trattate, lavorate e per lavorarle c'è bisogno di comprare un'altra
merce che sarà il lavoro. Il capitale non acquista solo merci inanimate ma anche il lavoro.
Però il problema del lavoro è che è una merce magica perché mentre tutte le merci più le
usiamo e più vedono decadere il loro valore, al contrario il lavoro è una merce che non si
deprezza (anzi secondo Becker aumenta il valore più la si usa) ed è l'unica che è in grado
di trasferire valore alle altre merci. Il capitalista acquista questa merce che è in grado di
attribuire valore. Il lavoratore quindi è colui che da valore alla merce.
Come si fa a determinare il costo del lavoro? Come tutte le altre merci. Il costo del lavoro
si determina andando a valorizzare il lavoro che è stato necessario per produrre quel
lavoratore. Il profitto va tolto al lavoro, ai lavoratori perché in realtà nella giornata di lavoro
di 10 ore ad esempio, il lavoratore si è pagato quello che ha fatto con 4-5 ore, quindi il
resto è plusvalore (lui lavora molto di più). La differenza è tra il valore di scambio (costo
della manodopera e delle materie prime) e il prezzo (una bottiglia d'acqua nel deserto
costa di più ad esempio). Nel produrre la merce ci deve essere un furto che è il fatto che il
lavoratore produce molto di più di quello che riceve indietro in busta paga. Il prezzo non è
la stessa cosa del valore, il valore di scambio di una merce è dato dalla quantità di lavoro
che abbiamo messo dentro. Il cellulare vale di più di un registratore, perché c'è stato più
bisogno di lavoro per fare il cellulare quindi se volessi scambiare un cellulare con un
registratore dovrei averne 5 al posto di uno.
E' evidente che le classi sociali stanno in un rapporto di sfruttamento, una classe è
sfruttata, è ridotta in schiavitù, mentre l'altra domina, che è la classe che possiede il
capitale e quindi i mezzi di produzione (fabbriche). Poi ci sono le classi di sfruttati che non
posseggono i mezzi di produzione che sono gli operai. L'obiettivo è quello di togliere
l'istituto della proprietà privata.
Il dominio si realizza tramite il feticismo delle merci, il dominio per Marx arriva dalla merce
stessa, noi siamo dominati dalla merce. Il feticismo è l'attribuzione di una coscienza ad un
particolare del corpo dell'altro. Marx ne parla perché la merce ci domina, l'abbiamo fatta
noi ma siamo dominati dalla merce. Il capitale però per Marx è astensione dal consumo, è
risparmio e anche lavoro accumulato. Quello che non torna è la divisione della società in
classi. La realtà empirica è molto diversa, e di questa diversità si fanno carico quelli che
Bourdieu pone alla base cioè Weber e Becker.
Becker è un economista americano, premio nobel dell'economia, che ne “L'approccio
economico al comportamento umano”, tratta argomenti che non sono affatto da
economisti, è un libro che tratta delle scelte patrimoniali, delle dipendenze...La sua idea di
economia è particolare, è nuova e cioè che in realtà l'economia è una scienza delle
scelte,che studia come gli individui fanno a scegliere di allocare/utilizzare delle risorse che
sono scarse in vista di fini alternativi. L'economia studia come facciamo a prendere le
decisioni che vincolano la nostra vita. Ad esempio il tossico lo sa quello che fa ma in quel
momento il piacere dell'eroina è maggiore del dramma della malattia che arriverà tra molti
anni; il profitto è lo sballo, questa è una scelta per Becker. Un ruolo importante ce l'hanno
le scelte educative, cioè la propria formazione. Investire in formazione vuol dire investire
nelle nostre capacità e questo investimento vedrà i propri frutti sul mercato del lavoro. Il
lavoro ha un rendimento crescente. In fondo non esiste il capitalista e uno che il capitale
non ce l'ha, tutti siamo capitalisti, anche quelli che non possiedono i mezzi di produzione
perché noi abbiamo lo stesso un capitale, un mezzo di produzione che siamo noi stessi, io
sono il mio capitale ed è formato di quello che so fare. Questa è la teoria del capitale
umano di Becker. Siamo tutti imprenditori di noi stessi direbbe Focault. Sfruttiamo questi
investimenti in vista di un rendimento futuro (gli hobby che ho sono un investimento, il
quartiere in cui vivo è un investimento...). Il capitale per Becker non è solo qualcosa che si
possiede ma è qualcosa che si è, ha una dimensione incorporata, è un qualcosa che
abbiamo dentro. Becker è un teorico neoliberale perché se tutti siamo
capitalisti/imprenditori la società che viviamo è un enorme mercato. I soggetti si
comportano tutti come imprenditori, vanno stimolati, educati ad esserlo, e la società non è
altro che un mercato. Il libera non riduce tutto a mercato rispetto al neoliberale, questi
ultimi estendono tutto non solo agli scambi materiali ma anche a quelli simbolici etc...I fini
per lui sono esogeni, esterni al sistema, il problema è capire dove si genera lo schema di
parametri (come mai ad esempio io abbia scelto filosofia e tu sociologia). Il capitale è
qualcosa che si è e non solo che si ha, tutto diventa mercato, bisogna portare il mercato
dove il mercato non c'è con la competizione, tutto deve essere ridotto all'interazione
competitiva che è quella che prediligono i soggetti imprenditoriali. La competizione è la
logica del mercato.
La terza sfumatura al concetto di capitale è quella di Weber. La sua idea è quella della
stratificazione sociale legata alla distribuzione del potere. Per lui il dividersi della società in
classi è un fenomeno causato dalla diversa distribuzione del potere. <<Classi, ceti e partiti
sono fenomeni legati alla distribuzione del potere>>. La società e stratificata in maniera
molteplice, esistono le classi, i partiti e i ceti. Il potere è distribuito in maniera diseguale e
questa genera gruppi, classi. Esistono almeno tre forme di potere: un potere economico
che è inteso alla stessa maniera di Marx, come il possesso dei mezzi di produzione. Però
non esiste solo una forma di potere economica ma anche politica-militare. Lo stato è quel
soggetto che ha il monopolio legittimo dell'uso della violenza. Solo lo stato può utilizzare
legittimamente la violenza. C'è un potere politico-militare e la società si divide in gruppi
che lottano tra di loro per garantirsi il controllo dei mezzi attraverso cui esercitare
legittimamente la violenza, e questi gruppi sono i partiti. Una volta che siamo in possesso
di questi possiamo prendere decisioni che siano vincolanti per tutti. Infine esiste una terza
forma di potere che è quella del potere ideologico. La distribuzione diseguale di questo
potere dà vita alla stratificazione cetuale, in base ai ceti. Il potere ideologico è la capacità
di istituire un ordine gerarchico nei termini del prestigio; quella capacità che si ha di
istituire una gerarchia e di farla accettare. I ceti dominanti sono dei gruppi sociali che
hanno particolare prestigio perché hanno istituto la gerarchia e si sono autocollocati nei
gradini di sopra. Weber fa l'esempio delle professioni; ad esempio la professione di
ballerino/a, esistono tanti tipi di danza, a questo punto se si chiede di fare una gerarchia
diremmo che al primo posto c'è la danza classica pur non sapendo motivare la risposta. I
ceti si strutturano in base ad una gerarchia che si basa su parametri totalmente arbitrari. I
ceti sono dei gruppi di prestigio, dei gruppi stratificati in base al capitale di prestigio. Per
Weber esistono due forme per garantire il potere: una forma di legittimazione esterna e
una forma di legittimazione interna (noi riconosciamo potere a quell'individuo perché
diamo valore alla personalità dell'individuo; in realtà questa fondazione interna è una
forma di potere che lui esercita nei miei confronti ma che dipende da me, io ho i mezzi, il
credito glielo do io).
Bourdieu dice che esistono almeno quattro forme di capitale: economico, culturale,
sociale, simbolico (forma più complessa e articolata). Il capitale economico lo intende in
maniera aderente alla tradizione marxiana, è il lavoro accumulato perché per accumulare
capitale c'è bisogno di tempo, di astensione dal consumo. Il capitale riproduce se stesso
con i meccanismo marxiani che abbiamo visto. Però esiste una forma di capitale che
anch'essa è lavoro accumulato e costa fatica e garantisce un reddito ma non è
rappresentata da un possesso materiale, è il risultato di un lavoro di accumulo ma è
rappresentato da un modo di essere del corpo e consiste di modi di parlare, nello stile di
vita che si adotta, nei gusti, in competenze...tutti questi modo sono frutto di un lavoro e
sono il capitale culturale. Il problema del capitale culturale rispetto a quello economico è la
trasmissibilità. Il capitale economico è subito trasmissibile, quello culturale è molto più
difficile da trasmettere perché c'è bisogno di una lungo lavoro di accumulazione che ha sia
aspetti consci ma anche inconsci (l'habitus si trasmette tramite l'azione). Poi il capitale
culturale ha diversi modi di essere: incorporato, oggettivato e istituzionalizzato.
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Bourdieu considera il capitale come qualcosa che si è e non solo quello che si possiede e
questo è il capitale culturale che è rappresentato da modi di essere del corpo. Questo è
frutto di un lavoro di accumulazione ma quello che lo distingue da quello economico è che
la sua trasferibilità è più complicata e necessita di processi che sono sia consci, sia
inconsci (questi ultimi si trasmettono con una serie di pratiche che sono diffuse all'interno
della vita sociale degli individui e che inculcano un capitale culturale). Il capitale culturale
coincide con il concetto di habitus.
Il soggetto che ha acquisito il tipo di capitale culturale prestigioso appare mescolare due
caratteristiche essenziali; il capitale culturale è una variabile acquisitiva ma dona allo
stesso tempo il prestigio dell'ascrizione dice Bourdieu. Questa apparenza sconta alla
base la rimozione del processo acquisitivo. Io appaio così ma sono stato costruito così. Il
capitale culturale sembra una dote innata ma noi sappiamo che in realtà non lo è. Il
capitale culturale è una dimensione incorporata.
Però il capitale culturale è anche una dimensione oggettivata, è posseduta dagli
oggetti. Tuttavia c'è una differenza notevole; per far funzionare il capitale culturale nella
dimensione oggettivata c'è sempre bisogno del capitale culturale nella sua dimensione
incorporata. Si il capitale è qualcosa che si possiede ma è anche qualcosa che si è per
farlo funzionare bisogna essere qualcosa.
La forma istituzionalizzata del capitale è la terza forma (fanno parte i titoli di studio,
risultato ottenuti nei concorsi pubblici etc..). Sono delle ritualità, dei dispositivi magico-
rituali attraverso cui il capitale culturale incorporato è reso manifesto, visibile. Siccome il
capitale culturale sgancia la forma di sapere dalla forma biologica, rende intercambiabile le
persone che posseggono quel capitale culturale nella forma istituzionalizzata. Questo
rende possibile dei tassi di conversione del capitale culturale in capitale economico.
La terza forma di capitale è il capitale sociale. Consiste nel volume di relazioni sul quale
possiamo contare. Il capitale sociale consiste nella densità della rete all'interno della quale
siamo inseriti. Anche in questo caso resta fedele al fatto che il capitale è frutto di
un'accumulazione. Il capitale sociale consiste nella capacità di mobilitare un numero x di
relazioni in vista di un fine. La sua idea è che il capitale sociale funzioni come un
ingranaggio di scambiazione (?).
L'idea di Bourdieu è che tra queste tre forme ci sia un gioco continuo di conversione. Il
gioco è convertire costantemente secondi i propri desideri. Il tutto dipende anche dal
campo in cui sono inserito.
C'è un quarto tipo di capitale che è il vero oggetto di studio della sua sociologia che è il
capitale simbolico. Bourdieu parla di un capitale simbolico, di potere simbolico e di
violenza simbolica. Per lui è ovvio che esista un ordine sociale. La domanda classica è:
come è possibile quest'ordine? Il punto è che l'ordine sociale è palesemente ingiusto
perché esistono diseguaglianze, ingiustizie, iniquità che non hanno alcuna giustificazione.
Tuttavia nonostante questo l'ordine sociale si riproduce in maniera pacifica. Come è
possibile l'ordine sociale a partire dal dominio? (l'ordine sociale è sempre un ordine del
dominio). La domanda fondamentale è come il dominio riesce a perpetuarsi in maniera
pacifica (in assetti sociali che sono stabili e accettabili). La risposta che si da è che la
violenza/l'uso della forza è esclusa; ci deve quindi essere una tacita alleanza o un'alleanza
inconscia tra dominati e dominanti. C'è un accordo che fa si che i dominati ritengano
giusta la loro condizione di essere dominati e quindi la accettano.
Per spiegare cosa intende Bourdieu con “tacita alleanza”, in tutti i suoi testi cita la figura
giuridica che si chiama Khammés che è un poveraccio che non sapendo più dove sbattere
la testa va a mezzadria presso un possidente più ricco. Il Khammés accetta per una
percentuale irrisoria del raccolto a donarsi totalmente al padrone, va a vivere a casa del
padrone, se ha figlio questi diventano i figli del padrone, la moglie prende il nome del
padrone, quindi il Khammés decide di asservirsi totalmente al padrone ama questo
rapporto non sembra un rapporto di dominio tra padrone e servo ma è come se fosse un
rapporto di parentela (il khammés diventa il fratello ad esempio del padrone). Ci sono degli
obblighi reciproci (perché per esempio il padrone deve tutelare il khammés). Attraverso un
continuo dire di tradizioni e proverbi il dominio materiale viene simbolizzato nei termini di
una associazione parentale, il dominio materiale viene eufemizzato (abbellito,
trasformato). Il simbolico agisce come un meccanismo di traslazione, uno specchio
deformante che restituisce un'immagine dei rapporti di dominio materiale nei termini di
rapporti logici, dati per scontati. Quindi il simbolico è una rappresentazione sociale della
realtà in cui i rapporti di forza che si esprimono si manifestano soltanto come rapporti di
senso (che quindi sono ovvi, dati per scontato e giusti). Il simbolico, lungi dall'essere una
pratica di rappresentazione della realtà come avveniva in Durkheim è qui anche uno
strumento di dominio. Nonostante tutto questo c'è una riproduzione ordinata. Il simbolico è
una pratica di eufemizzazione che provoca misconoscimento (non rendersi conto, il non
avvertire). Si arriva a dire che attraverso il simbolico si costruisce l'integrazione di
un'ordine sociale arbitrario naturalizzate nell'ingiustizia. Il padrone deve stare li a parlare,
mangiando... con il khammés, è un lavoro di accumulazione, costa fatica. Tutte queste
attività sono necessarie per presentare il khammés come un socio, come un familiare.
Per Bourdieu nelle società moderne il capitale simbolico si trova inscritto in tutta una serie
di tratti (per esempio il sesso, l'appartenenza etnica...), sono tutti elementi innervati in una
forma simbolica di capitale. C'è una presenza del capitale simbolico in una serie di tratti e
una volta che li acquisiamo lo troviamo pronto. Il capitale simbolico in fondo emerge dalla
presenza degli altri tre capitali, è un effetto emergente della composizione di capitale
economico, culturale e sociale. In quanto effetto emergente retroagisce sugli elementi che
lo hanno costituito e ci mette in grado di accrescere il nostro capitale economico, culturale
e sociale.
Un elemento di fondamentale importanza nella discussione del simbolico per Bourdieu è
costituito dal corpo e dalle emozioni, prima di iscriversi nelle menti il dominio si inscrive nei
corpi. L'efficacia del simbolico nel far passare i rapporti di forza sta nel fatto che si inscrive
per prima nei corpi. Ma se il simbolico si inscrive in primis nei corpi, questo significa che
esso viene inscritto nei corpi attraverso una violenza simbolica che è una violenza dolce,
attraverso cui i soggetti vengono incasellati e messi la dove devono stare. E' una forma di
addestramento del corpo che è ovunque e che chi la mette in atto non se ne rende conto.
Grazie a questa violenza dolce si realizza questa integrazione che va verso il dominio. Al
contrario il corpo dei dominanti e dei borghesi è la disinvoltura, questa specie di
indifferenza di fronte allo sguardo oggettivante degli altri, se ne frega perché neutralizza il
potere. Il dominante è quello che dice lui come il suo corpo deve essere percepito da te.
Impone le norme della percezione del proprio corpo. Sono io che dico come dovete
percepire me, l'immagine del sé io la determino, la impongo. Chi ha potere simbolico è
tranquillo perché è lui che determina come il suo corpo deve essere percepito, il dominato
invece è un alienato da sé stesso. Il corpo da una serie di risorse topografiche che sono
inscritte nel corpo, sembrano essere naturali (come destra e sinistra), succede che la
società carica di valori, dona loro dei significati che poi vengono ad essere reintrodotti nel
corpo.
Uno dei luoghi dove il capitale simbolico, il potere e la violenza simbolica vengono costituiti
per Bourdieu è lo stato che è la banca centrale del capitale simbolico. All'interno dello
stato si decidono un sacco di cose come il prestigio che deve avere un insegnante di asilo,
uno delle superiori e uno universitario...nello stato si decidono i capitali simbolici di quei
tratti di cui parlavamo prima. Lo stato è una x che distribuisce il capitale simbolico.
Durkeim diceva dello stato che aveva il compito di pensare la società nel suo complesso.
La sua idea è che la società venisse pensata in maniera armonica, organico; Bourdieu
dice che lo stato configura la società ma sarebbe impensabile che la producesse in
maniera organica, al contrario la produce attraverso il dominio simbolico. Lo stato fa anche
un'altra cosa, nello stato si decidono anche i programmi scolastici e per Bourdieu la scuola
è un grande ingranaggio di socializzazione della gerarchia, attraverso la scuola si realizza
l'ordine del dominio, la scuola ci insegna delle cose e ci insegna anche una gerarchia delle
classi. Ci sono due studi che Bourdieu dedica al sistema scolastico, uno è “I delfini” e
l'altro è “La rivoluzione”. Nel primo testo le famiglie con più capitale culturale
istituzionalizzato determinano una riuscita migliore dei propri figli nei sistemi scolastici. Nel
secondo testo sostiene che la scuola consacra la divisione di classe perché la scuola
trasmette la cultura ereditata dal passato, ma è la cultura delle classi dominanti.
Quindi il messaggio di Bourdieu è che la sociologia ha come compito di scardinare e
maglie della violenza simbolica e quindi del dominio. Può farlo attraverso la pratica della
socio-analisi, defatalizzare il simbolico. Quindi combattere i meccanismi di riproduzione
dell'ordine che ha uno scopo politico quando è rivolta alle strutture simboliche che
governano la vita degli altri, ma ha uno scopo anche auto-analitico quando lo studioso
rivolge lo sguardo su sé stesso. E' evidente che il lavoro di auto-analisi, di oggettivazione
auto-partecipante (bisogna oggettivare il proprio complesso attraverso cui noi osserviamo
la realtà sociale) ma siccome si tratta di svolgere un ruolo di disvelamento, non è raro che
il risultato sarà accolto con un rifiuto più netto. Ci sono due versioni dell'inconscio: una è
quella durkeimiana, il sociale è una rimozione, non ci si rende conto che lo abbiamo fatto
noi, però il fare emergere il rimosso ha in lui un grande effetto disgregante perché il
collante sociale deve riposare sulla rimozione (che orchestra una società che è
armonica) ; dall'altra Bourdieu il rimosso produce una integrazione attraverso il dominio.

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