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L’anomia
Émile Durkheim
Rosalba Altopiedi
rosalba.altopiedi@unito.it
Nel corso del XIX secolo emerge una visione (un paradigma sociale) che
considera la devianza, come ogni altro comportamento, un prodotto sociale,
un “fatto sociale”*.
*‘Fatto sociale’ «Qualsiasi maniera di fare, fissata o meno, suscettibile di esercitare sull'individuo una
costrizione esteriore; o anche (un modo di fare) che è generale nell'estensione di una data società pur
possedendo una esistenza propria, indipendente dalle sue manifestazioni individuali» (Le Regole del
Metodo Sociologico, 1895).
1
Il crimine è un fatto sociale normale
Per D. non esistono società in cui la devianza non sia presente, laddove esistono
delle regole ci sarà sempre qualcuno che le viola.
“La causa determinante di un fatto sociale deve essere cercata tra i fatti sociali
antecedenti e non già tra gli stati della coscienza individuale”.
Nei suoi tre testi fondamentali D. analizza tre aspetti che sono centrali nelle
nostre riflessioni:
2
Il contributo teorico di Durkheim/2
1. Anomia
3
Mantovan C., Teorie dell’anomia e della tensione, in Dino e Rinaldi (a cura di) Sociologia della devianza e del
crimine, Mondadori, 2021, p. 125
Se il crimine è un fatto sociale normale, poiché non può esistere una società nella
quale gli individui non divergano più o meno dal tipo collettivo, ciò che deve
essere considerato un fatto sociale patologico è il rapido incremento dei tassi
di criminalità.
L’anomia è il fatto sociale che spiega l’aumento del tasso della devianza.
4
Secondo Durkheim gli uomini sono esseri viventi i cui desideri non sono limitati
né dalla costituzione organica (come gli animali) né da quella psicologica.
La società è la sola “potenza” che può porre dei limiti alle inclinazioni egoistiche
degli individui consentendo loro di coesistere pacificamente.
Quando una società non agisce più come potere che regola il comportamento dei
suoi membri e non è più in grado di imporre loro alcun limite, si cade in una
condizione di anomia.
“La società non è una semplice somma di individui; al contrario, il sistema formato dalla loro associazione
rappresenta una realtà specifica dotata di caratteri propri. Indubbiamente nulla di collettivo può prodursi se
non sono date le coscienze particolari: ma questa condizione necessaria non è sufficiente. Occorre pure che
queste coscienze siano associate e combinate in una certa maniera; da questa combinazione risulta la vita
sociale, e di conseguenza è questa che la spiega. Aggregandosi, penetrandosi, fondendosi, le anime individuali
danno vita ad un essere (psichico, se vogliamo) che però costituisce un’individualità psichica di nuovo genere”.
(Le regole del metodo sociologico, V, p. 102)
Il delitto viene considerato come fatto sociale, ossia come fatto inevitabile,
presente in ogni struttura sociale, elemento normale in ogni società dato un
certo tipo e grado di sviluppo
Un fatto è sociale quando incidenza e regolarità sono condizionate dal contesto sociale e
variano con il contesto sociale.
5
Le funzioni specifiche del crimine (1)
6
3. Il suicidio
il suicidio anomico (i membri della società sono più esposti a questo tipo
di suicidio quando il potere delle norme sociali, che dovrebbero regolare la
loro condotta, si affievolisce).
A questi tre tipi di suicidio D. ne aggiunge un quarto (s. fatalistico) che ha una ricorrenza
molto più rara degli altri.
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La Scuola di Chicago
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Le radici storiche e sociali della prospettiva ecologica allo studio del crimine e
della devianza sono rintracciabili in alcuni studi condotti a partire dalla fine
del XVIII secolo che hanno raccolto e sistematizzato dati demografici, sociali,
economici al fine di comparare la distribuzione di alcuni fenomeni sociali in
diversi paesi.
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Gli statistici morali
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Gli statistici morali
In Inghilterra John Glyde pubblica nel 1856 sul «Journal of the Statistical of
London» l’articolo Localities of crimes in Suffolk nel quale presenta gli esiti
delle ricerche sulla distribuzione spaziale del crimine nelle diverse città della
contea di Suffolk.
Tra le cause della criminalità, Glyde focalizza l’attenzione sul contesto di vita
del criminale piuttosto che su sue caratteristiche personali o su
caratteristiche del luogo in cui il crimine è commesso
Una circostanza confermata anche in successivi studi come quello condotto
sempre in Inghilterra da Cyril Burt (1925). Le aree di Londra con i tassi di
criminalità più elevati sono quelle collocate nelle adiacenze del quartiere
centrale degli affari, mentre quelle con i tassi più bassi sono quelle
periferiche.
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Chicago una città in trasformazione
Gli anni a cavallo tra i due secoli sono il momento nel quale gli Stati Uniti effettuano
la transizione da paese prevalentemente agricolo-rurale a prima economia
industriale del mondo. Un processo di industrializzazione che porta con sé fenomeni
quali l’urbanizzazione spinta e l’immigrazione (sia interna che straniera).
Chicago, con le sue fabbriche e il suo essere centro nevralgico del sistema dei
trasporti ferroviari e fluviali, rappresenta un laboratorio sociale di questi
stravolgimenti. In poco meno di un decennio, la città sperimenta una crescita
vertiginosa: da piccolo centro si trasforma in una metropoli industriale (la seconda
per dimensioni negli Stati Uniti), con una popolazione di più di tre milioni di persone
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Il contesto intellettuale
Sono tre i fattori più rilevanti nella nascita della Scuola di Chicago:
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Nella prospettiva dell’ecologia sociale, gli esseri umani sono esseri sociali,
plasmati dalla loro interdipendenza reciproca, dalla comune dipendenza dalle
risorse del loro ambiente e dalle funzioni che svolgono per il sistema
all’interno delle loro comunità.
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Apparato teorico e concetti analitici della prospettiva
ecologica della Scuola di Chicago
Uno dei primi lavori della Scuola è lo studio di Ernest W. Burgess Juvenile
Delinquency in a Small City (1916) che, riprendendo l’impianto metodologico
del pionieristico lavoro dell’inglese Glyde (1856), focalizza l’attenzione sui
fattori geografici, mediati dalle condizioni economico-sociali, quali cause
della crescita dei tassi di criminalità negli adolescenti.
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La città
(Park, Burgess e Mackenzie, 1938)
La città è il luogo in cui è più evidente il venir meno del controllo sociale
primario, più estese sono le modificazioni dei rapporti, più gravi i problemi
sociali. Si riprende il tema durkheimiano dei vincoli e dei legami di solidarietà,
si guarda alle singole specifiche aree del tessuto urbano e alle costanti
trasformazioni.
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La città
(Park, Burgess e Mackenzie, 1938)
La città, come ogni sistema ecologico, non si espande in modo casuale, ma segue
un modello di sviluppo naturale basato su processi di invasione e dominio.
Quando gli usi caratteristici di una zona interna sconfinano in una adiacente zona
esterna si verifica un’invasione e quel territorio diviene meno desiderabile per chi
lo abita. I processi di invasione e dominio contribuiscono a definire all’interno della
città delle vere e proprie organizzazioni ecologiche (aree naturali), che possiedono
ognuna una propria identità sociale, culturale o etnica dominanti del territorio
all’interno di ogni zona.
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La città
(Park, Burgess e Mackenzie, 1938)
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La città
(Park, Burgess e Mackenzie, 1938)
Al centro della città vi è la zona degli affari (zona I) con i più elevati valori immobiliari.
La IV zona è quella residenziale dove mirano a trasferirsi gli operai una volta che
vedono migliorata la loro situazione.
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La città
(Park, Burgess e Mackenzie, 1938)
I processi continui di invasione e di assestamento tra le varie zone della città, danno
forma a delle aree ciascuna con una propria identità culturale, sociale ed etnica. Alcune
aree rappresentavano delle comunità razziali (come Little Italy, Black Belt, il Ghetto o
Chinatown), altre sono caratterizzate da un punto di vista socio-economico (individui
con reddito simile, stesso gruppo professionale, ecc.).
Il concetto di contagio sociale (Park, 1938) è utile per comprendere attraverso quale
meccanismo i devianti finiscano per concentrarsi prevalentemente in alcune zone della
città «finendo per enfatizzare i caratteri che li accomunano e sopprimendo quei caratteri
che li avvicinano ai tipi normali che li circondano».
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La disorganizzazione sociale
Juvenile Delinquency and Urban Areas (Shaw e McKay, 1942; 1969)
Tre le dimensioni:
1. le caratteristiche fisiche dei quartieri: la presenza di industrie, la mobilità dei
residenti e il numero di case sfitte o deteriorate.
2. la relazione tra caratteristiche economiche di queste aree e tasso di criminalità: i tassi
più elevati di criminalità si registrano in quelle aree che sono caratterizzate da livelli
più bassi di affitti e di case di proprietà.
3. le caratteristiche sociodemografiche dei residenti: ad esempio la percentuale di
popolazione afroamericana e il numero di residenti nati all’estero.
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La disorganizzazione sociale
Juvenile Delinquency and Urban Areas (Shaw e McKay, 1942; 1969)
Analizzando serie storiche di dati di fonte secondaria, Shaw e McKay affermano che la
variazione dei tassi di criminalità (che sono costantemente più elevati in alcune zone)
non può essere spiegata facendo riferimento alle caratteristiche degli individui, poiché
nelle diverse zone, e in particolare nella cosiddetta «zona di transizione» che registra i
tassi più elevati, vi è un costante ricambio della popolazione residente.
Pertanto la spiegazione deve basarsi sulle caratteristiche dei diversi contesti territoriali:
è il livello di disorganizzazione sociale della zona di transizione che determina tassi di
criminalità e di devianza più alti.
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La disorganizzazione sociale
Juvenile Delinquency and Urban Areas (Shaw e McKay, 1942; 1969)
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Chicago Area Project
Juvenile Delinquency and Urban Areas (Shaw e McKay, 1942; 1969)
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Le carriere criminali
Shaw (1930; 1931; 1938)
La correlazione tra forme di devianza o crimine e spazio ecologico è al centro anche degli
studi di Shaw sulla strutturazione delle carriere criminali.
La raccolta di storie di vita di giovani devianti consente allo studioso di evidenziare che
esiste una connessione specifica tra devianza e ambiente sociale.
Perché:
• gli individui che adottano comportamenti criminali non si distinguono dagli altri per
caratteristiche personali;
• nelle aree con tassi di criminalità più elevati i legami e il controllo sociale informale sono
minori a causa del livello di disorganizzazione che è lì presente;
• queste aree offrono maggiori opportunità illegali e incoraggiano poco il coinvolgimento in
attività convenzionali;
• in queste aree i ragazzi sono coinvolti sin dalla più giovane età in attività illegali, anche come
parte del gioco di strada;
• i valori e le norme, così come le tecniche, che regolano le attività illegali sono trasmesse dai
ragazzi più vecchi ai più giovani;
• la carriera criminale si struttura quando il ragazzo inizia a identificare se stesso con il mondo
criminale e ad assumere nel proprio stile di vita i valori prevalenti nel gruppo di riferimento;
un processo che sarà ulteriormente rafforzato dalla stigmatizzazione e dalla reazione delle
istituzioni di controllo.
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Teoria della trasmissione culturale della devianza
Shaw (1930; 1931; 1938)
L’osservazione che i giovani che vivono nelle aree in cui si sviluppano e si consolidano
tradizioni culturali devianti hanno una maggiore possibilità di interagire con soggetti
devianti e criminali rispetto ai loro coetanei che risiedono in altri contesti territoriali è alla
base della teoria della trasmissione culturale della devianza.
Il meccanismo per la trasmissione culturale dei valori devianti è individuato nel processo di
apprendimento degli stessi.
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Teorema di Thomas
Thomas (1923)
I fenomeni sociali (dunque anche la criminalità e la devianza) hanno sempre una causa
composita: un elemento soggettivo (un particolare orientamento dell’individuo) e un
elemento oggettivo (le condizioni strutturali e di contesto) in grado di influenzare
dall’esterno le azioni degli individui.
Ogni azione è sempre preceduta da un atto di valutazione in cui l’attore definisce la propria
situazione. In virtù di questa valutazione, il comportamento degli individui non dipende
esclusivamente dalle caratteristiche oggettive della situazione in cui si trovano, ma anche
dal significato che vi attribuiscono.
«Se gli uomini definiscono reali certe situazioni, esse saranno reali nelle loro conseguenze»
(Thomas 1923, pp. 41-43).
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Il conflitto culturale
Culture, Conflict and Misconduct (Wirth, 1930)
Louis Wirth concentra l’attenzione sulle seconde generazioni di immigrati. Questi vivono in
un contesto caratterizzato da una doppia cultura (dual cultural milieu): il giovane
immigrato, soprattutto se è nato in America, non possiede legami esclusivi e duraturi con la
cultura del gruppo di appartenenza originario a cui sono emotivamente legati i genitori.
Per il giovane assumono un valore maggiore i legami che stabilisce nel gruppo dei pari e
con individui che sperimentano la sua stessa situazione.
I comportamenti devianti o criminali dei ragazzi delle seconde generazioni sono molto più
simili a quelli dei loro coetanei autoctoni rispetto ai loro genitori.
I processi di trasmissione dei codici devianti avvengono nei gruppi primari ai quali questi
giovani si sentono legati dal punto di vista emotivo.
In questa situazione l’appartenenza a un gruppo e la lealtà imposta ai partecipanti sono i
motivi principali di conflitto culturale o con la famiglia di origine (nel caso dei giovani) o con
la comunità in generale.
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A partire dall’originale lavoro di Wirth, Thorsten Sellin propone un’analisi che ruota attorno
al concetto di «norma di condotta» e di «conflitto culturale»: si concentra sui tassi di
criminalità più elevati tra gli immigrati di seconda generazione e afferma che i diversi gruppi
sociali posseggono diverse convinzioni su ciò che è definibile come comportamento
appropriato o meno.
Le definizioni legali su ciò che è criminale e ciò che non lo è sono relative poiché mutano
come risultato dei cambiamenti nelle norme di condotta che regolano il comportamento
degli individui nella loro quotidianità. Il loro contenuto varia da cultura a cultura, pertanto i
conflitti culturali tra i gruppi sono conflitti tra codici di condotta.
Sellin individua la fonte del conflitto nello scarto esistente tra norme culturali della cultura
dominante e quelle prodotte dalle culture subordinate; in particolare il conflitto tra «norme
di condotta legale» e «norme di condotta non legale» produce ciò che legalmente viene
definito come «crimine».
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Il conflitto culturale primario e secondario
Sellin (1938)
I due «tipi» di conflitto
1. il «conflitto culturale primario» che si riferisce ai casi in cui le norme di una cultura
subordinata sono considerate criminali nella cultura dominante: tra i possibili esempi,
un padre siciliano migrato negli Stati Uniti che uccide il seduttore della propria figlia
seguendo le norme tradizionali dell’onore e si sorprende quando lo arrestano; oppure
nel caso della poligamia, legale in alcuni paesi e illegale in altri
2. il «conflitto culturale secondario» si riferisce a quei casi in cui segmenti della stessa
popolazione, e dunque della stessa cultura in termini più vasti, non accettano nella
stessa misura le norme di condotta; dunque un gruppo definisce qualcosa come
criminale e, invece, l’altro come un comportamento non criminale o «normale»: è il
caso, ad esempio, di una subcultura che definisce come normale un comportamento o
delle condotte che gli altri membri considerano devianti (i poliamorosi, ad esempio,
considerano accettabile una relazione che non si regga sulla monogamia; i fumatori di
marijuana considerano questa condotta come «normale»).
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La metodologia di ricerca
L’analisi e l’elaborazione dei dati forniti dalle istituzioni cittadine e dalle agenzie del
controllo formale, si accompagna all’utilizzo di tecniche di ricerca qualitativa e ai
metodi dell’etnografia sociale, privilegiando gli studi di caso, l’osservazione
partecipante, la raccolta di storie di vita, l’analisi documentale, ecc.
L’elaborazione dei dati prodotti dalle diverse amministrazioni pubbliche (censimenti della
popolazione, dati riferiti alla salute e alla sicurezza sociale, alla condizione lavorativa e
abitativa di coloro che risiedevano nelle diverse zone della città, dati sulla distribuzione
del crimine, ecc.), consentono di testare la correlazione tra la prevalenza di alcuni
problemi sociali e l’andamento del tasso di criminalità.
L’approccio biografico consente di documentare gli effetti della disorganizzazione sociale
sulla vita dei soggetti (The Polish Peasant in Europe and America di W.I. Thomas e
Florian Znaniecki del 1918; The Jack-Roller di Clifford Shaw del 1930); le varie etnografie
urbane prevedono un’osservazione diretta dei soggetti e delle loro relazioni nei loro
contesti naturali (come nel caso di The Hobo di Nels Anderson del 1923 e The Taxi-
Dance Hall di Paul G. Cressey) e consentono di restituire un’idea più fondata
dell’organizzazione di mondi sociali tra loro eterogeni e uno sguardo dal di dentro del
mondo deviante.
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Applicazioni e sviluppi contemporanei
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Il capitale sociale rappresenta una misura del buon funzionamento di una comunità Investimento
nelle relazioni sociali, nelle reti di impegno civico favoriscono un impegno sociale maggiore che si
traduce in un più elevato di partecipazione dei residenti in organizzazioni civiche e sociali. Il tutto
migliora la capacità della comunità di agire controllo sociale informale e ridurre i livelli di
devianza e criminalità
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I limiti e le critiche
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Le politiche
Secondo l’approccio che abbiamo presentato sono le condizioni sociali e culturali in cui
vivono gli individui che producono devianza.
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Le politiche
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Le politiche
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