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EMILE DURKHEIM

Emile Durkheim nasce a Epinal, in Alsazia, nel 1858, da una famiglia ebrea che si trasferisce a Parigi dopo la guerra
franco-prussiana e la conseguente annessione dell’Alsazia alla Germania. Nella capitale francese Durkheim studia
filosofia all’Ecole Norrnale Supérieure, ottenendo poi in questa stessa discipline la libera docenza nel 1882. I suoi
interessi lo portano a leggere, in particolare, Comte e Spencer, che
contribuiscono in modo decisivo ad avvicinarlo alla filosofia sociale. Nel 1887
ottiene la cattedra di pedagogia e scienza sociale a Bordeaux, di fatto il primo
insegnamento accademico di sociologia. In questo stesso periodo pubblica le
sue opere più importanti: Lo divisione del lavoro sociale (1893), Le regole del
metodo sociologico (1895) e il poderoso studio II suicidio, Studio di sociologia
(1897); nel 1896 fonda la rivista “L’année sociologique”. Nel 1906 diventa
docente alla Sorbona di Parigi e in quegli anni approfondisce la riflessione
sulla religione come fatto sociale, pubblicando nel 1912 Le forme elementari
della vita religiosa. Fiducioso nel progresso sociale, convinto della possibilità di
comporre pacificamente anche i conflitti tra le nazioni, Durkheim vede questa
sua convinzione infrangersi con Io scoppio della Grande guerra, che gli porta
via, sul fronte di Salonicco, anche il figlio André. Provato in modo decisivo da
questa esperienza, Durkheim muore a Parigi nel 1917.

DURKHEIM: INDIVIDUO E SOCIETÀ


LA SOCIETA COME DIMENSIONE CHE TRASCENDE L’INDIVIDUO
Se per Marx la rappresentazione che le persone hanno della società è distorta perché prigioniera della loro posizione
sociale e degli interessi che le sono connessi, per Emile Durkheim (1858-1917) la fonte principale di questa
distorsione è invece la tendenza, propria del senso comune, a spiegare i fatti sociali in termini individuali.

Nella teoria di Emile Durkheim i FATTI SOCIALI costituiscono l'oggetto della ricerca sociologica. È considerato fatto
sociale “qualsiasi maniera di fare, fissata o meno, suscettibile di esercitare sull’individuo una costrizione esteriore; o
anche (un modo di fare) che è generale nell’estensione di una data società pur possedendo una esistenza propria,
indipendente dalle sue manifestazioni individuali”

In altre parole: "I fatti sociali consistono in modi di agire, di pensare e di sentire esterni all'individuo, eppure dotati di
un potere di coercizione in virtù del quale si impongono su di lui" (Le Regole del Metodo Sociologico, 1895)

Ad esempio nel più importante studio del sociologo francese, sul suicidio, costituisce un fatto sociale l'influenza della
religione sulle probabilità di suicidio: esaminando le statistiche sui casi nelle forze dell'ordine in diversi distretti
Durkheim affermò a tal proposito che le comunità cattoliche hanno un tasso di suicidi minore di quelle protestanti.

Il nipote di Durkheim Marcel Mauss, importante sociologo ed antropologo, etichettò fatti sociali totali i fatti sociali
che influenzano ogni aspetto della società, come la cerimonia Kula dei Trobriandesi.

Noi siamo tendenzialmente portati a rappresentare la società come un aggregato di persone, ciascuna con
caratteristiche proprie, e a concepire la vita collettiva come la semplice somma delle azioni e interazioni di quelle
stesse persone. Per Durkheim, invece, bisogna partire dall’assunto che la società trascende l’individuo e gli
sopravvive; non si tratta pertanto di ricondurre la dimensione sociale a quella individuale, ma piuttosto di
riconoscere che sull’individuo operano “tendenze collettive”, cioè condizioni o concezioni comuni all’intera società,
in grado di guidare le sue azioni e i suoi pensieri, allo stesso modo, ad esempio, in cui le forze della natura
determinano il suo comportamento come corpo fisico. Inoltre, come gli oggetti fisici studiati dalle scienze naturali, i
fatti sociali sono vere e proprie “cose”, cioè realtà che si impongono a noi dall’esterno e che possiamo attingere solo
per mezzo di osservazioni e sperimentazioni.

GLI STUDI SUL SUICIDIO


All’esemplificazione della sua idea di fondo Durkheim dedica la
sua opera più famosa, il saggio intitolato Il suicidio. Studio di
sociologia (1897). Basandosi su una consistente raccolta di dati
empirici (fonti documentarie, soprattutto d’archivio, piuttosto
disomogenee) e sull’uso sistematico, anche se non sempre
preciso, di strumenti statistici, Durkheim cerca di leggere il
fenomeno delle morti volontarie come un fatto
eminentemente “sociale”. Noi
siamo generalmente propensi a
pensare che le persone si
uccidano in seguito a situazioni e
moventi di tipo personale:
delusioni affettive, difficoltà economiche, stati di depressione psicologica. In realtà
queste circostanze, secondo Durkheim, si trasformano in “cause suicidogene” solo in
presenza di condizioni sociali tali da rendere quelle circostanze intollerabili per
l’individuo.

Durkheim distingue a questo proposito tre condizioni fondamentali:

1. quando l’integrazione sociale è debole e l’individuo finisce per far capo solo a
se stesso, affermando “l’io individuale a danno di quello sociale», si verifica il cosiddetto SUICIDIO
EGOISTICO;
2. quando l’individuo fatica a trovare la propria individualità e ripone la propria essenza in un valore collettivo
più alto, ad esempio in una fede religiosa, si ha il SUICIDIO ALTRUISTICO;
3. quando, soprattutto nelle epoche di grandi mutamenti storico-sociali, viene meno il potere morale della
società di disciplinare le passioni dell’individuo, tanto che viene a mancare il giusto limite ai suoi desideri e
alle sue aspirazioni, si verifica quello che Durkheim chiama SUICIDIO ANOMICO (dal greco a- + nòmos,
letteralmente “senza leggi”).

Occorre ribadire che egoismo, altruismo e anomia non indicano disposizioni interiori delle persone, ma specifiche
tendenze collettive in grado di agire dall’esterno sugli individui.

LA COESIONE SOCIALE: SOLIDARIETA “MECCANICA” E “ORGANICA”


Secondo Durkheim, occorre partire proprio dalla consapevolezza che sull’individuo operano “tendenze collettive”
per attuare misure preventive nei confronti dei suicidi: e necessario dunque promuovere la coesione sociale (cioè la
solidarietà) e rafforzare la coscienza collettiva, definita dallo studioso come ”l’insieme di credenze e di sentimenti
comuni alla media dei membri di una società». Nell’opera “La divisione del lavoro sociale” (1893), Durkheim
individua due tipi di coesione realizzabile all’interno del tessuto sociale.

 La prima, tipica delle società preindustriali, e chiamata da Durkheim SOLIDARIETÀ MECCANICA: essa e
fondata sulla somiglianza di tutti i membri della comunità a un tipo sociale unico, e quindi sull’esistenza di
individui “indifferenziati”, paragonabili alle molecole dei corpi inorganici.
 Nelle società complesse, dove l’alto grado di differenziazione degli individui indebolisce inevitabilmente la
coscienza collettiva, è possibile un nuovo tipo di coesione, definita da Durkheim SOLIDARIETÀ ORGANICA,
fondata cioè sulla coscienza che la società e un organismo in cui, in virtù della divisione del lavoro, tutti sono
mutuamente interdipendenti.

SOLIDARIETÀ MECCANICA: la coesione sociale fondata sulla conformità di tutti i membri della comunità ad un
unico tipo sociale.

SOLIDARIETÀ ORGANICA: la coesione sociale fondata sulla coscienza della dipendenza reciproca tra le persone

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