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Zygmunt Bauman (Poznań, 19 novembre 1925 – Leeds, 9 gennaio 2017[1]) è stato un sociologo e

filosofo polacco di origini ebraiche.

Nato da genitori ebrei a Poznań nel 1925, Bauman fuggì nella zona di occupazione sovietica dopo

che la Polonia fu invasa dalle truppe tedesche nel 1939 all'inizio della seconda guerra mondiale.

Successivamente, divenuto comunista, si arruolò in una unità militare sovietica. Dopo la guerra,

incominciò a studiare sociologia all'Università di Varsavia, dove insegnavano Stanisław Ossowski e

Julian Hochfeld. Durante una permanenza alla London School of Economics, preparò la sua

maggiore dissertazione sul socialismo britannico che fu pubblicata nel 1959.

Bauman collaborò con numerose riviste specializzate tra cui la popolare Socjologia na co dzień

("La Sociologia di tutti i giorni", del 1964), che raggiungeva un pubblico più vasto del circuito

accademico. Inizialmente, egli rimase vicino al marxismo-leninismo ufficiale, per poi avvicinarsi ad

Antonio Gramsci e Georg Simmel soprattutto dopo il 1956 e la destalinizzazione.

Nel marzo del 1968, la ripresa dell'antisemitismo, utilizzato anche nella lotta politica interna in

Polonia, spinse molti ebrei polacchi a emigrare all'estero; tra questi, molti intellettuali distaccatisi

dal regime. Bauman, che aveva perso la sua cattedra all'Università di Varsavia, fu uno di questi.

Egli dapprima emigrò in Israele per andare a insegnare all'Università di Tel Aviv; successivamente

accettò una cattedra di sociologia all'Università di Leeds, dove dal 1971 al 1990 è stato professore.

Dal 1971 ha quasi sempre scritto in lingua inglese. Sul finire degli anni ottanta, si è guadagnato una

fama internazionale grazie ai suoi studi riguardanti la connessione tra la cultura della modernità e il

totalitarismo, in particolar modo sul nazismo e l'Olocausto. Ha infine ottenuto anche la cittadinanza

inglese.

Il 17 aprile 2015 Zygmunt Bauman ha ricevuto la laurea honoris causa in Lingue moderne,

letterature e traduzione letteraria presso il complesso Ecotekne dell'Università del Salento.


Si è spento il 9 gennaio 2017, all'età di 91 anni, nella città di Leeds, dove viveva e insegnava da

tempo.

Bauman ha focalizzato le sue ricerche sui temi della stratificazione sociale e del movimento dei

lavoratori, prima di elevarsi ad ambiti più generali come la natura della modernità, ecc. Il periodo

più prolifico della sua carriera ebbe inizio dopo il ritiro dalla cattedra di Leeds, quando si guadagnò

una vasta stima fuori dal circolo dei sociologi del lavoro con un libro sulle connessioni tra

l'ideologia della modernità e l'Olocausto. Le sue più recenti pubblicazioni si sono concentrate sul

passaggio dalla modernità alla post-modernità, e le questioni etiche relative. Con una espressione

divenuta proverbiale Bauman ha paragonato il concetto di modernità e postmodernità

rispettivamente allo stato solido e liquido della società.

Nei suoi ultimi lavori, Bauman ha inteso spiegare la postmodernità usando le metafore di modernità

liquida e solida. Nei suoi libri sostiene che l'incertezza che attanaglia la società moderna deriva

dalla trasformazione dei suoi protagonisti da produttori a consumatori[4]. In particolare, egli lega

tra loro concetti quali il consumismo e la creazione di rifiuti umani, la globalizzazione e l'industria

della paura, lo smantellamento delle sicurezze e una vita liquida sempre più frenetica e costretta ad

adeguarsi alle attitudini del gruppo per non sentirsi esclusa, e così via.

L'esclusione sociale elaborata da Bauman non si basa più sull'estraneità al sistema produttivo o sul

non poter comprare l'essenziale, ma sul non poter comprare per sentirsi parte della modernità.

Secondo Bauman il povero, nella vita liquida, cerca di standardizzarsi agli schemi comuni, ma si

sente frustrato se non riesce a sentirsi come gli altri, cioè non sentirsi accettato nel ruolo di

consumatore. In tal modo, in una società che vive per il consumo, tutto si trasforma in merce,

incluso l'essere umano.

La critica alla mercificazione delle esistenze e all'omologazione planetaria si fa spietata soprattutto

in Vite di scarto, Dentro la globalizzazione e Homo consumens.


Secondo Bauman, l'"omogeneizzarsi" indica, relativamente ai rapporti tra i soggetti, un processo

affine all'omologazione, all'assorbimento passivo dovuto a usi e consuetudini, a modelli culturali e

di condotta prevalenti in un dato contesto sociale. Oppure si può riferire anche a comportamenti o

valori che aprioristicamente e in maniera dogmatica vengono accettati e tramandati tra le

generazioni di individui, senza alcuno spirito critico o alcuna capacità riflessiva. Passo successivo a

ciò sono processi quali la spersonalizzazione e l'alienazione.

Secondo Bauman, nella modernità la morale è la regolazione coercitiva dell'agire sociale attraverso

la proposta di valori o leggi universali a cui nessun uomo ragionevole (la razionalità è caratteristica

della modernità) può sottrarsi. Non si può invece parlare della morale post-moderna, perché la fine

delle "grandi narrazioni" del Novecento, cioè le ideologie, ha reso impossibile la pretesa di verità

assolute, e quindi ci possono essere tante morali.

Bauman propone un tipo di morale: la morale nasce come (ed è sostanzialmente) il consegnarsi

totalmente dell'io al tu (ovvero di me all'altro). È un fatto assolutamente e totalmente individuale e

libero. Poiché non può esistere un terzo che mi dice se la mia azione sia morale oppure no, non c'è

più società, la quale necessita sempre di almeno tre persone. Ma come si traduce questa definizione

individuale nella concreta pratica sociale? Bauman specifica che questa libertà di donarsi è sempre

dentro a certi vincoli e costruzioni dati da una struttura che è, appunto, la società.

L'impulso a essere per l'altro, a donarsi all'altro, indipendentemente da come l'altro si atteggia nei

suoi confronti (questo impulso è stato formulato da Emmanuel Lévinas, filosofo francese

contemporaneo) non è razionale; per questo per Bauman la morale (originata da tale impulso) è del

tutto irrazionale. L'origine della morale è sempre un atto individuale, implica necessariamente un io

(è la mia decisione), mai un noi (non è un atto collettivo, né l'esito di un accordo, perché è sempre la

scelta del singolo di atteggiarsi in un certo modo nei confronti dell'altro). Se non c'è l'io l'atto

morale non c'è. La morale quindi è un atto del tutto individuale, ma crea la società. La società nasce

da una scelta etica individuale, l'atto etico individuale va fatto da me e non da altri, e però crea un
vincolo: viviamo in società, siamo in società, solo in virtù del nostro essere morali. Per Bauman

solitamente si incontra l'altro "non come persona": Bauman usa il termine “persona” nel senso in

cui viene usato dall'interazionismo simbolico, per cui il concetto di persona è inteso nel senso di una

maschera che ricopre un ruolo. L'identità di ogni individuo è la somma di tutti i ruoli che copre, per

questo si parla solo di persone, cioè di attori che ricoprono ruoli. L'atto morale ci permette di

incontrare l'altro non come persona/maschera, ma come volto, cioè nella sua vera identità e non nel

ruolo. Con l'atto morale mi consegno a una debolezza assoluta (l'atto morale è l'antitesi del potere o

della sua logica, che è forza) perché riconosco all'altro la possibilità di comandarmi, accetto di

consegnarmi a lui.

Il paradosso della morale per Bauman è che essa da un lato crea disordine, dall'altro è necessaria

come atto fondante della società (senza l'impulso di aprirsi all'altro non ci sarebbero le relazioni

sociali). Tuttavia, essendo l'impulso della morale irrazionale e libero, è in antitesi all'ordine sociale,

e pertanto la morale rischia di non avere molto spazio in una società sempre più complessa che ha

bisogno di regole sempre più sofisticate. Bauman non risolve questo paradosso del ruolo della

morale, pur essendo cruciale nella sua visione.[senza fonte]A giudizio di Zygmunt Bauman,

l'autoassoluzione della memoria storica tentata dai negazionisti è[5] un segno di cecità pericolosa e

potenzialmente suicida, che si sviluppa attraverso due processi:

1. Il processo di ramificazione, per cui « mentre la quantità, lo spessore e la qualità scientifica dei

lavori specialistici sulla storia dell'Olocausto crescono a un livello impressionante, lo spazio e

l'attenzione ad essa dedicati nelle opere di storia generale non fanno altrettanto »

(Z. Baumann, Modernità ed Olocausto)

2. Il "processo di sterilizzazione dell'immagine dell'Olocausto sedimentata nella coscienza

popolare". Le cerimonie commemorative e le solenni dichiarazioni non portano avanti nessuna


analisi dell'esperienza dell'Olocausto, anche se sono di estrema importanza perché mantengono viva

l'attenzione della gente comune, non specializzata sull'argomento, e cercano di sensibilizzare quanti

non si sono mai posti il problema della memoria storica collettiva dell'intera enormità dell'evento

"Shoah".

1989 Premio europeo Amalfi per la sociologia e le scienze sociali

1998 Premio Theodor Adorno della città di Francoforte

2010 Premio Principe delle Asturie (in comunicazione e discipline umanistiche)

2015 Laurea ad honorem in lingue moderne, letterature e traduzione letteraria dall'Università degli

Studi del Salento

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