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4 PSICOLOGIA E CRIMINALITA’

48. LA CRIMINOLOGIA INCENTRATA SULL’INDIVIDUO

Si è fin qui seguito il percorso storico-culturale del pensiero criminologico constatando come il succedersi
dei fondamentali assi portanti della cultura e delle ideologie si sia riflesso anche sul modo di intendere la
criminalità.

La maggior parte delle teorie che abbiamo considerato ha fatto però riferimento a fattori sociologici: questo
percorso deve ora essere integrato con l’esame di quegli approcci che, anziché sulla società, hanno posto
l’accento sull’individuo , per non correre il rischio di una visione solo settoriale della criminalità e dei fattori
che la influenzano.

Le teorie sociologiche rendono infatti conto delle molteplici ragioni legate all’ambiente, ai rapporti fra i
gruppi e alle loro reazioni che favoriscono le scelte criminose di molti individui, ma esse non possono
spiegare la variabilità del comportamento individuale dinanzi ad analoghi fattori socio ambientali che si
osserva di fatto nei singoli casi: variabilità che è da ricondurre alle diverse caratteristiche psicologiche e
biologiche di ogni individuo. È pertanto necessario un approccio integrato che miri a evidenziare quali sono
i fattori che rendono ogni persona un’entità unica e irripetibile, cosicchè differiscono per ogni soggetto
anche le risposte ai fattori criminogenetici insiti nella società nei diversi momenti storici: fattori che, nella
prospettiva criminologica, rappresentano altrettante componenti di vulnerabilità individuale nei confronti
delle scelte criminose .

Si intendono per componenti di vulnerabilità individuale tutti quei fattori, psicologici o biologici che siano,
propri di ogni persona, che rendono ragione della resistenza, della maggiore fragilità o dell’elettiva
propensione di taluni a comportarsi, a parità di condizionamenti macro e microsociali, in modo conforme
alle norme o ,viceversa, criminoso. In altri termini, non si verifica mai che, per esempio, tutti diventino
criminali o devianti perché la società ha caratteristiche di anomia o di disorganizzazione nello stesso
momento storico e in uguali situazioni di status socioeconomico, è sempre e sollo una parte degli uomini a
deviare in senso criminoso e in costoro vanno ricercati appunto quelle caratteristiche psichiche che hanno
fatto questa differenza e che possono essere il carattere, il temperamento, la reattività, , l’intelligenza, i
valori etici , la capacità di sopportare la frustrazione, l’aggressività o la tolleranza, e via dicendo.

Lo studio di queste componenti di vulnerabilità verrà condotto secondo una triplice direttiva:

- In primo luogo occorrerà conoscere, attraverso lo studio delle più importanti teorie psicologiche
della personalità, i meccanismi che possono spiegare la variabilità individuale delle risposte
comportamentali e identificare gli aspetti della personalità che maggiormente espongono al rischio
criminale; dell’approccio psicologico ci occuperemo in questo capitolo.
- Si tratterà quindi, nel capitolo 5, la prospettiva biologica per identificare i fattori che rendono gli
esseri viventi diversi dagli altri a cagione della differente struttura del patrimonio biologico e
genetico; si considereranno, sempre nella stessa prospettiva, le questioni legate all’ereditarietà
biologica e le nozioni che oggi si sono acquisite dalle neuroscienze sulla rilevanza di fattori
neurofisiologici nei confronti dell’organizzazione psichica. Verrà pure considerata la questione del
comportamento istintuale e di quello appreso.
- Verranno infine affrontate nel capitolo 7, sempre nella prospettiva incentrata sull’individuo, anche
le componenti di vulnerabilità connesse a fattori psicopatologici, nel quadro delle correlazioni fra
disturbi mentali e condotta criminosa.
Da questi approcci troverà conferma l’evidenza che, per un corretto studio della criminologia di regola è
necessario considerare in modo congiunto e integrato i fattori ambientali e quelli dovuti alle variabili
individuali.
L'aspetto più caratteristico delle correlazioni fra individuo e ambiente era rappresentato dal rapporto
inversamente proporzionale fra le componenti di vulnerabilità individuale e fattori ambientali: quanto più
criminogenetici sono questi ultimi, tantomeno rilevanti sono le componenti legate all'individuo e,
viceversa, quanto più marcate sono le componenti di personalità che rendono l’individuo più incline alla
condotta criminosa o deviante, tanto meno significativi risultano le carenze, le sollecitazioni e in generale i
fattori criminogeni legati alla società, ai ruoli che essa esprime o disconosce.
In momenti storici nei quali le generali determinanti sociali (fattori macrosociali) sono particolarmente
criminogene, oppure laddove per un singolo individuo le circostanze situazionali, di ceto o familiari (fattori
microsociali) siano sfavorevoli, si può osservare una condotta criminosa anche con una quota modesta di
componenti di vulnerabilità personale, le quali, indifferenti condizioni, sarebbero invece del tutto
inidonee a condurre l'individuo alle scelte delinquenziali.
Deve essere subito precisato, comunque, che la bipartizione tra fattori individuali e sociali risponde solo a
ragioni di comodità espositiva e di classificazione scolastica: nella realtà il comportamento deve essere
inteso come frutto di una costante e inscindibile integrazione di condizioni individuali e ambientali; La
personalità stessa deve essere concepita come la risultante di fattori biologici individuali e di condizioni
legate all'ambiente sociale nel quale vive ed è vissuto l'individuo.
Come si sono considerati fino a questo momento i fattori agenti sull'uomo quale membro di gruppi sociali,
si esaminerà dunque ora il ruolo che le caratteristiche psichiche esercitano sul modo di integrarsi
dell'individuo nella società.

49. PERSONALITA’, TEMOERAMENTO, CARATTERE

Non si intende qui affrontare sistematicamente lo studio della psicologia nel suo complesso, scioenza che,
del resto, comprende anche settori non direttamente connessi con quello del comportamento criminale;
si porrà piuttosto attenzione alle caratteristiche psichiche che più in generale si riflettono sul modo con cui
gli uomini perseguono fini e interessi, soddisfano bisogni, rispondono all’ambiente e adottano in definitiva
dei comportamenti quali attori operanti nella società. Per far questo occorre preliminarmente chiarire
alcuni concetti.

Per comportamento (o condotta) si intende il complesso gli atteggiamenti individuo assume in funzione
dei suoi obiettivi e degli stimoli che gli provengono dall'ambiente: poiché tali atteggiamenti sono
espressione della psiche, ne risulta la possibilità di identificare in gran parte lo studio della psicologia con
quello del comportamento. In tal senso, per alcuni la psicologia ha appunto come suo compito
fondamentale quello di scoprire le leggi e le dinamiche psichiche che regolano la condotta umana.
L’attività psichica è costituita da tre fondamentali funzioni: quelle attinenti alla sfera cognitiva, quelle della
sfera affettiva e quelle relative alla sfera volitiva.
Sono proprie della la percezione, la memoria, l’apprendimento, da cui discendono la conoscenza, il
pensiero e l’intelligenza.
Conoscenza è l’insieme delle funzioni che consentono all’individuo di essere informato sulla realtà, di
accumulare esperienze, di acquisire nozioni.
Pensiero è l’organizzazione di processi mentali di carattere simbolico che si concretizza nelle idee.
Intelligenza è l’insieme delle capacità acquisite che si utilizzano, oltre che a livello logico-relazionale o
speculativo, anche per agire nella vita relazionale; l’intelligenza può essere dunque l'attitudine ad
affrontare e risolvere situazioni concrete (intelligenza pratica), oppure l'attitudine a impostare e risolvere i
problemi generali e astratti (intelligenza teorica). Di fatto è la capacità di passare da un problema alla sua
risoluzione.
Parlando di sfera affettiva si fa riferimento a quella fondamentale coloritura positiva o negativa, piacevole
o spiacevole, che eventi e pensieri suscitano in noi; l'affettività responsabile di quegli stati d'animo si
sperimentano soggettivamente e che possono essere spontanei oppure conseguenti a stimoli esterni. Si
distingue nella sfera affettiva l’umore, inteso come il variare dell’emotività nelle diverse sfumature che
vanno dalla più profonda tristezza alla gioia. I sentimenti sono invece espressioni più elaborate della vita
affettiva, che sorgono nel rapporto con persone e situazioni, non tanto sulla scorta di elementi relazionali
quanto piuttosto per la risposta interiore che ciascuno vive nei confronti di tali persone e situazioni
(sentimenti positivi o negativi, di amore odio odio, di indifferenza o di coinvolgimento, di affinità odio
ostilità ecc.). Le emozioni sono reazioni che si manifestano con un'intensità particolarmente rilevante (ira,
pianto, furore, esaltazione, rabbia) e che si estrinsecano anche con fenomeni fisiologici (il rossore, il
batticuore, il pallone, il tremore, la paralisi).
La sfera volitiva riguarda le azioni (e le omissioni) che vengono compiute per determinati fini. Alla base del
volere sussistono sia motivi consapevoli, sia motivazioni profonde o inconsce: siamo nel territorio delle
pulsionalità e degli istinti. Sulla volontà si incentra tutta la tematica del libero arbitrio, delle responsabilità
o, all’opposto, del determinismo.
L’attività psichica si distingue inoltre date funzioni fisiologiche e autonome dell'organismo (come
movimenti intestinali o il battito cardiaco) per il fatto che è governata almeno in parte dalla volontà e che
può essere conosciuta mediante l'introspezione. Secondo la psicoanalisi e le psicologie di orientamento
dinamico che ne sono derivate, però, l'introspezione non consente al soggetto di conoscere i fenomeni
psichici inconsci virgola che pure sarebbero parte integrante della persona e che ne influenzerebbero,
senza che se ne renda conto, la volontà, gli atti coscienti e il comportamento.

Poiché il nostro interesse si incentra sullo studio della personalità, è necessario precisare il significato di
tale concetto, posto che le sue definizioni sono molteplici e anche molto diverse fra loro.
Nell'uso comune il significato di personalità può identificarsi con l'abilità o accortezza sociale, valutando la
personalità di un individuo in funzione della sua capacità ed efficienza nel reagire positivamente nei
contatti con persone diverse e nelle circostanze più varie. In tal senso, si dice che un soggetto “è dotato di
personalità” quando sa far valere le sue ragioni esame profittevolmente perseguire i suoi obiettivi oppure,
all'inverso, che presenta “problemi o disturbi di personalità” quando il modello di esperienza interiore e di
comportamento devia marcatamente rispetto alle aspettative del suo ambiente e il suo funzionamento
sociale risulta inadeguato a mantenere soddisfacenti rapporti interpersonali.
Una seconda accezione considera inerenti alla personalità di un individuo le impressioni più intense che
suscita negli altri; la reazione del prossimo al modo di interagire di un individuo definisce la sua
personalità (personalità prepotente, personalità affascinante, personalità difficile ecc.). E’ questa
pertanto una definizione psicosociale, puoi che considera la persona nell'interazione con l'altro. Secondo
questa prospettiva viene a realizzare una significativa coincidenza fra concetto di personalità e concetto di
ruolo: quest'ultimo è tratto dalla psicologia sociale e si parlerà di esso innanzi; basterà per ora definire il
ruolo come il “modello organizzato di condotta relativo a una certa posizione dell'individuo in un'insieme
Inter- relazionale” (Hartley, 1952.)
Ancora, la personalità può essere intesa come l’insieme delle qualità e delle caratteristiche di un soggetto,
quale somma cioè di aspetti biologici e psichici suscettibili di osservazione e di descrizione obiettiva,
facendo astrazione dai riflessi interpersonali.
In altre definizioni la personalità include gli aspetti unici, irripetibili, o più rappresentativi di una persona,
così ricalcando il concetto di “individuo” della prospettiva biologica, ma riferendola solo alle componenti
psichiche.
Dato che l’uomo è un essere sociale, la dimensione da considerare per comprendere la sua personalità e il
suo comportamento va oltre il livello intrapsichico (De Leo, Patrizi, 1999) e a maggior ragione
un’accezione di personalità essenzialmente incentrata sugli aspetti intrinseci della persona non può
essere apppagante per la criminologia, che deve tener conto dell’approccio integrato fra l’individuo e
l’ambiente sociale nel quale viene agito il comportamento delittuoso. Persino la definizione di Alloport
(1937), secondo la quale “la personalità è l’organizzazione dinamica all’interno delll’individuo di quei
sistemi psicofisici che determinano il suo adattamento unico all'ambiente”, non soddisfa pienamente i
nostri obiettivi, in quanto mantiene una separazione fra realtà psicologica e realtà sociale, almeno nel
senso che non sottolinea significato sistemico e il rapporto di causalità circolare della reciproco
influenzamento tra di esse. Infatti l'individuo è obbligato in qualche modo ad adeguare la propria
personalità all'ambiente sociale, quest'ultimo, a sua volta, rimanda l'individuo quell'immagine che esso sia
fatto di lui, al punto che il soggetto è indotto a modificare la propria autopercezione il proprio
comportamento, in un continuo processo di reciprocità e retroazione fra l'individuo e il suo ambiente.
Poiché il comportamento criminale è in sostanza un particolare tipo di comportamento nella società
legato alle caratteristiche della persona e ai reciproci influenzamenti fra persona e ambiente, dal punto di
vista criminologico la personalità interessa sostanzialmente nei suoi aspetti psicosociali: pertanto la
personalità si può definire “come un insieme di pattern relativamente stabili di pensare, sentire,
comportarsi e mettersi in relazione con gli altri. In questo contesto assumono rilievo anche i valori morali
e gli “ideali” (PDM Task Force 2006). In criminologia, in particolare, l’incontro si pone fra la personalità di
un soggetto e gli altri nel senso dell’adesione o meno alle norme o alle regole, e lo studio è mediato dal
rapporto del soggetto con queste, al punto che si è parlato nel nostro ambito di personalità o identità”
(Pisapia, 2003).
Le interrelazioni fra personalità e ambiente sociale, inoltre, sono in continua evoluzione dinamica e la
personalità è da vedersi come la risultante di continui scambi e influenzamenti, pertanto non può
considerarsi come data una volta per tutte, immodificabile e obbligata: anche se sono insite nel concetto
di personalità una certa costanza e continuità nel tempo del modo di essere, residuano per sempre
possibilità di cambiamento, altrimenti i concetti di risocializzazione e di trattamento rieducativo sarebbero
privi di significato.

Per meglio comprendere l’anzidetta relazione circolare fra individuo e ambiente nonché la rilevanza che
sulla personalità ha la struttura biologica – anch’essa implicata nel gioco della formazione della
personalità – è opportuno introdurre i concetti di “temperamento” e di “carattere”; termini ambigui nel
linguaggio comune, che frequentemente si sovrappongono, si confondono o si identificano con quello di
personalità.
Parlando di temperamento ci ricolleghiamo alla base innata, ancorata alla struttura biologica, delle
disposizioni e delle tendenze peculiari di ogni individuo nell’operare nel mondo e nel reagire all’ambiente:
così parliamo di temperamento mite o violento, subordinato o dominatore, di tendenze innate alla
creatività, alle nuove iniziative e all’esplorazione di ciò che non è conosciuto, oppure, all’opposto, di
passività o misoneismo. Pur senza dimenticare che educazioni e stimoli ambientali hanno una grandissima
importanza nello sviluppare o nell’inibire i tratti del temperamento, i genetisti da qualche tempo stanno
scoprendo – con la sempre maggiore conoscenza del genoma umano, dell’insieme cioè dei molti milioni di
geni insiti nella struttura del DNA – l’esistenza di certi geni che sembrano essere in relazione diretta con o
indiretta con il comportamento : a dimostrazione della sempre maggiore

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