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HARVARD LAW LIBRARY

3 2044 061 693 057

CARRARA

PROGRESSO E REGRESSO

DEL GIURE PENALE

NEL REGNO D' ITALIA

Presto L. T

I volumi IV. & V. si vendono anco separatamente dar tre precedenti volumi .
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HARVARD LAW LIBRARY

FROM THE LIBRARY


OF

HEINRICH LAMMASCH

Received May 25 , 1922 .


Italy
CARRARA

OPUSCOLI

VOL. V.
22

OPUSCOLI

D1

DIRITTO CRIMINALE

DEL PROFESSORE

FRANCESCO CARRARA

MEMBRO ONORARIO DELL'ACCADEMIA DI LEGISLAZIONE DI TOLOSA , E DELLA


SOCIETA' DEGLI Amici della EDUCAZIONE DEl popolo di bELLINZONA ; SOCIO
CORRISPONDENTE DELLA REALE DEL BELGIO E DEL REALE ISTITUTO
LOMBARDO DI SCIENZE E LETTERE ; SOCIO DELL'ATENEO DI BRESCIA
E DELLE REALI ACCADEMIE DI LUCCA, DI MODENA, DI MACERATA,
DI URBINO, E DEI PITAGORICI DI NAPOLI ; MEMBRO DELLA
COMMISSIONE INCARICATA DEL PRogetto di CODICE
PENALE ITALIANO ; PRESIDENTE DELLA CAMERA
DEGLI AVVOCATI PRESSO LA R. CORTE
DI APPELLO DI LUCCA

❤❤

VOL. V.

LUCCA

TIPOGRAFIA GIUSTI

1874
x
Crt

30
C31 2
£6

Proprietà Letteraria

MAY 25 1922
CARRARA

PROGRESSO E REGRESSO

DEL GIURE PENALE

NEL NUOVO REGNO D' ITALIA

VOL. II.
PROGRESSO E REGRESSO

DEL GIURE PENALE

NEL NUOVO REGNO D'ITALIA

OSSERVATO

NELLA DOTTRINA, NELLA LEGISLAZIONE E NELLA GIURISPRUDENZA

IN ALCUNI SCRITTI

DEL PROF . FRANCESCO CARRARA

RACCOLTI PER SERVIRE DI CONTINUAZIONE AGLI OPUSCOLI


DEL MEDESIMO AUTORE GIÀ PUBBLICATI

VOL. II .

LUCCA

TIPOGRAFIA GIUSTI

1874
Proprietà Letteraria
XV.

IL DIRITTO PENALE

LA PROCEDURA PENALE

VOL. V. 1
IL DIRITTO PENALE

LA PROCEDURA PENALE ( 1 )

L'argomento che gli ordini veglianti impongono


ai nostri studi nel presente anno accademico , è la
parte generale del criminale diritto . La parte ge
nerale : vale a dire il complesso di quei supremi
principii che procedendo dalla pura ragione gover
nano invariabili ed assoluti in tutta la umanità

questi tre grandi fatti sociali del vietare, del pu


nire, del giudicare l'uomo in quanto faccia di mal
vagio e nocevole al proprio simile. Funzioni che
hanno in loro del divino ; e che per siffatto carat
tere non possono essere lasciate in balia delle oscil
lazioni della umana volontà , o trovare la propria
genesi nello arbitrio delle passioni , ma costitui
scono nel più esatto significato della parola, gli ele

(1 ) Prolusione al corso di diritto criminale dell' anno


accademico 1875-74 , nella R. Università di Pisa.
-
- 4 -

menti di una vera scienza ; e forse la più sublime


di tutte.
È prezzo dell ' opera, prima di entrare nel campo

che dobbiamo percorrere , di fermarci un istante a


contemplarne la periferia, la ragione di essere, la
genesi ed i fini delle singole parti di questa scienza
sovrumana, dalla cognizione della quale tanto be
nefizio possono raccogliere i popoli civili, come dal
disconoscimento della medesima tanto male si ro
vesciò sopra gli avi nostri.
La scienza del giure penale ha per suo prece
dente e per sua prima causa un postulato che pro
cede dalla filosofia politica : il diritto di punire per
tinente in ogni consociazione alla autorità sociale.
Senza questo precedente la scienza penale sarebbe
una idealità fantastica, un puro romanzo. Dal pre
cedente stesso scaturisce la scienza di che parlia
mo, e dalla ragione fondamentale di quel prece
dente emergono le condizioni ed i caratteri assoluti
della scienza medesima e delle sue singole parti .
È inutile ricordare come le menti dei filosofi ab
biano vagato per cento vie , tutte erronee, onde con
vertire in un atto necessario di ragione questo fat
to pauroso dell' uomo ( compiutosi nei suoi primi
momenti sotto lo istinto della vendetta ) che viene
a restringere l'attività dell' altro uomo ; che a lui
minaccia di spogliarlo dei suoi più cari diritti ; e
che arrogandosi l' attributo della divinità si costi
tuisce giudice degli atti del proprio simile . Basti
ricordare che ormai rejette le formule favolose , le
formule ipotetiche e fantastiche, le formule elasti
che ed empiriche, i pubblicisti sonosi ormai gene
ralmente accordati nel riconoscimento di questo
― -

cardine della filosofia politica : che il diritto di pu


nire esercitato dalla autorità sociale, ben lungi dal
doversi guardare come un problema da sciogliere ,
è invece la unica causa ( la sola causa permanente
e legittima ) della stessa costituzione del principio
di autorità. L'uomo è indubitatamente un animale
socievole ; e tale non è per un momento di sua
volontà ma per la legge di propria natura, dalla
quale non può deflettere . Ma questa legge di na
tura, finchè se ne guardano i fini nella conserva
zione, nel perfezionamento morale, e nel progresso
intellettuale della umanità ; condurrebbe alla con
sociazione naturale ordinata sul principio della egua
glianza ; la quale è pur essa un precetto della su
prema legge di natura, e che sembra in apparenza
incontrare una deroga nel mutamento subito dalla
consociazione naturale quando convertesi in società
civile ; e così abbandona il principio della completa
uguaglianza fra i consociati, per sostituirvi quello
della gerarchia e della subiezione dell' uno all'altro.
Questo passo ulteriore della umanità, sostituzione
della società civile alla società fraterna , è ancora
esso imposto alla umanità dalla legge di natura ;
nè con ciò può dirsi che essa contradica sè mede
sima in quanto dopo aver voluto gli uomini tutti
uguali nei loro diritti gli abbia poi voluti soggetti
l'uno all' altro nell' esercizio dei diritti medesimi.
Non è contradizione di un principio con l'altro : è
contenuto di un principio nell' altro . Perchè se per
legge di sua natura l'uomo è dotato dei diritti
che gli sono indispensabili allo adempimento dei
propri doveri ed a raggiungere la sua destinazione
nella vita terrena, la legge giuridica che ne pro
- 6

tegge la personalità viene ad essere al tempo me


desimo la sua sovrana . Egli sarebbe in uno stato
contradittorio se invocando per sè la legge giuri
dica la negasse per gli altri. Non è contradittoria
la legge giuridica quando dice all ' uomo che se essa
esiste per proteggere lui contro gli altri, forza è
pure che essa esista per proteggere gli altri con
tro di lui : il contrario sarebbe incompatibile con
lo stesso principio di uguaglianza che vorrebbe in
vocarsi all' opposto fine .
Ma il diritto ha per necessario contenuto la po
testà di difendere sè stesso . Quello senza questa
sarebbe un nulla , sarebbe un concetto risibile, una
vana parola. La completa uguaglianza fra gli uo
mini esige dunque che come ogni individuo ha
dalla legge di sua natura la stessa somma di di
ritti, così abbia la stessa potestà di difenderli dove
siano per opera di altri aggrediti. Senza ciò non
vi sarebbe eguaglianza . È pertanto un contenuto
essenziale della legge giuridica che il diritto di un
individuo abbia un limite tutte le volte che il suo
fatto viola ingiustamente il diritto di altro indivi
duo. Dunque il precetto di non fare è un contenuto
necessario della potestà di fare ; dunque il divieto
è un contenuto del permesso , e qui diviene una
verità positiva lo apparente paradosso di Schel
ling che la negazione è un contenuto costante
della affermazione. Dunque col vietare ad uno di
invadere la libertà dell' altro, ed all' altro di inva
dere la libertà dell' uno, non si restringe nè la li
bertà dell' uno nè la libertà dell' altro, ma invece
si rafferma e si protegge la libertà dell' uno e del
l'altro . E il divieto, che parrebbe un fatto restrit
- 7 -

tivo della eguaglianza, è invece il necessario com


plemento della eguaglianza .
È evidente da ciò che se la legge suprema della
eguaglianza fra gli uomini deve essere mantenuta,
ne deriva che ogniqualvolta il fatto di un uomo
infranga questa legge di uguaglianza facendosi su
periore al diritto altrui, il suo atto di disuguaglianza
gli sia vietato e si usi ogni forza coattiva e repres
siva al fine di impedirglielo . Al che essendo neces
saria una coazione , e tale coazione non avendo
attuazione possibile che nella minaccia di una pena
al violatore e nella successiva irrogazione della
pena, il diritto di punire è un contenuto necessario
della suprema legge giuridica, la quale senza ciò
non sarebbe più legge ma consiglio, non potendo
concepirsi legge senza sanzione.
Ma il diritto di punire , ingenito nella legge giuri
dica, non può esercitarsi dall' uomo se questi non è
investito di una superiorità sopra l'uomo contro il
quale vuole dirigersi il divieto, la punizione , ed il
giudizio. In faccia a questo supremo bisogno della
tutela giuridica è una ultima necessità che la con
sociazione naturale si tramuti in una consociazione
civile. Lo che risulta dalla costituzione di una au
torità che agli altri sovrasti, affinchè possa attuare
quella sanzione che è complemento della legge giu
ridica, e che senza una gerarchia sarebbe impos
sibile. Ed ecco che il principio della uguaglianza
tace per i bisogni di mantenere la uguaglianza. Ed
ecco che vanamente si cerca la genesi del diritto
di punire nella autorità sociale, mentre la ragione di
essere di questa autorità, ed anzi la unica sua ra
gione di essere che sia assoluta, sta appunto nel
-

bisogno di procacciare fra i consociati una forza la


quale valga a frenare i violatori del diritto. Ogni
altra attribuzione della autorità sociale è figlia di
convenzione e di volontà umana, ed essa potrebbe
esserne del tutto sfornita senza che da ciò nascesse
disordine . Tutto potrebbe farsi dagli uomini conso
ciati senza bisogno di una autorità imperante : ed
anzi sta in questo l'apogèo della libertà civile , verso
la quale tendono con incessante progresso le culte
Nazioni, che alla potestà pubblica resti a fare il
meno possibile , ed il più possibile si faccia per le
volontà e forze private. Tutto meno che frenare l'im
peto delle passioni individuali aggreditrici del di
ritto dei simili , e così violatrici della suprema legge
morale . Tutto potrebbe ottenersi senza bisogno di
un Governo , tranne che la tutela giuridica, ossia la
difesa effettiva dei diritti degli individui.
Il bisogno della tutela giuridica non spiega sol
tanto la ragione del diritto di punire ma spiega
la stessa ragione di essere della autorità sociale ; la
quale per tal guisa diviene un assoluto nella uma
nità, perchè assoluta in questa è la legge giuridica
ed assoluto il bisogno che la medesima sia tutelata.
Laonde la potestà di punire nella autorità sociale
ha più propriamente il carattere di un dovere che
non quello di un diritto .
È questo il postulato di filosofia politica che ci
conduce alla genesi della scienza penale .
Se infatti il diritto di punire negli uomini che
rappresentano la autorità sociale non è una potestà
autogenia ma un servigio che essi sono chiamati
a prestare alla suprema legge giuridica , è evidente
che questa sovrasta a loro del pari che essi come
strumenti della medesima sovrastano alla nazione .
Le leggi che essi detteranno costituiranno un ar
gine che sarà di freno alle passioni individuali dei
malvagi e di protezione ai diritti di tutti : ma al
tempo stesso i sommi principii di ragione ai quali
si informa la legge giuridica dovranno essere di
freno a quelli uomini medesimi che sono investiti
della gerarchia, affinchè la difesa non cangisi in
oppressione ; ed affinchè quanto verrà da loro co
mandato, così nel divieto come nella punizione co
me nel giudizio , non sia per parte loro uno slancio
passionato, il quale o per ignoranza o per super
bia loro osteggi a quei cardini di giustizia univer
sale che è loro debito e loro missione di fare ri
spettare dagli altri e di rispettare essi medesimi .
Studiare, raccogliere , ordinare e seguitare in ogni
loro svolgimento questi supremi cardini, ecco il
tema di quella che dicesi scienza del diritto pena
le filosofico : la quale deve elaborarsi sulla norma
dei principii di astratta ragione, indifferente sempre
ad ogni riguardo verso i placiti umani. I placiti
umani sono mutabili e relativi : la scienza penale è
immutabile ed assoluta . Quelli sono buoni e giusti
se obbediscono ai precetti di questa : se no, sono o
tirannici se eccedono nel rigore, o improvvidamente
viziosi se desertano il compito della difesa giuridica.
Il sindacato di quei placiti spetta alla scienza :
non sono dessi quelli che debbano imporre alla
scienza cosa alcuna che non sia da ragione e giu
stizia voluta. La scienza penale esercita il suo sin
dacato non solo sui giudici che a legge data hanno
l'incarico della sua attuazione ; e non solo dirige
questi nella interpretazione del giure promulgato
― 10

alla nazione . Essa inoltre e primieramente esercita


il suo sindacato a legge ferenda sopra i legislatori ;
ed insegna loro i modi ed i limiti che un ordine
superiore di giustizia impone sia dai medesimi
rispettato. La scienza può dire che una legge od
una sentenza fu ingiusta, ma nè un legislatore nè
un giudice possono abolire un precetto della scienza .
Ecco l'altezza nella quale siede la scienza penale :
ed a questa altezza la solleva Dio stesso ; che co
stituì il diritto sovrano della umanità ; ed alla so
vranità del diritto volle soggette tutte le altre sovra
nità della terra comunque costituite o per volontà
o per tolleranza delle genti .
Ma la formula che pone a fondamento della po
testà punitiva il bisogno della tutela giuridica è
indefinita, e contiene in sè la protezione del diritto
in tutte indistintamente le personalità che ne sono
capaci. La tutela giuridica.ha pertanto tre obiettivi
distintinello svolgimento del giure penale : 1.º la
protezione di tutti i consociati avverso i malfattori
2.º la protezione degli onesti in faccia alla auto
rità sociale che esercita la potestà punitiva - 3.º la
protezione dello stesso malfattore in faccia alla au
torità che lo colpisce, poichè ancora esso ha il diritto
di non essere punito al di là del bisogno ed oltre
la misura dei suoi demeriti.

Il primo di questi obiettivi costituisce la essen


zialità radicale del giure punitivo. Esso ha per sua
prima ragione di essere la difesa di tutti i conso
ciati contro le aggressioni dei violatori del diritto.
In questo si trova la sua causa efficiente ed il suo
fine, ma non i suoi limiti : in questo risiede lo im
pulso della attività punitiva, non il suo freno . E se
— 11

a questo solo obiettivo dovesse limitarsi il giure


penale , più non vi sarebbe (a parlare esattamente)
una scienza a lui relativa. Il legislatore violerebbe
il principio che dà vita a questo obiettivo quando
intralasciasse di perseguitare un colpevole , o pro
clamasse nel suo stato la impunità di un delitto :
ma, tranne ciò , a lui resterebbe pienissima libertà
di azione. Potrebbe punire anche le intenzioni e i
pensieri ; potrebbe, novello Dracone, punire di morte
anche i più leggeri reati, anzi potrebbe far cadere
la pena sopra un capo innocente ; perchè sempre
direbbe che con simili atti esso esercita la tutela

giuridica dei consociati, e li protegge avverso le


passioni dei malvagi , i quali vedendo colpito anche
lo innocente per meri sospetti, viepiù si atterriscono
e si fanno certi della pena che verrebbe a colpirli
se dessero corso alle loro prave intenzioni .
Ridotto il giure penale a questo solo obiettivo i
legislatori che adoperassero cautele per non colpire
l'innocente eserciterebbero un atto di umanità ; e
il legislatore che mitemente punisse un reato eser
citerebbe un atto di benignità ; ma nè l' uno nè
l'altro potrebbe dirsi che obbedissero ad un sacro
dovere imposto loro dalla legge giuridica , dovere che
non può violarsi da loro senza rendersi essi mede
simi colpevoli di un delitto . Questo è il concetto nel
quale si intende il giure penale dalla tirannide :
expedit mihi ; giova alla difesa sociale ; tutto è le
cito, tutto è incensurabile quanto da me si dispone
sia nel divieto, sia nella punizione , sia nel giudizio .
Ma sorge la scienza ; e avverte il legislatore che
il principio della tutela giuridica contiene due altri
obiettivi, la custodia dei quali è a lei consegnata.
―――― 12 ―

Difendere il diritto col magistero penale , è formula


indefinita, e conseguentemente è formula univer
sale. Essa esprime la protezione del diritto in tutti
ed avverso tutti ; e così anche il diritto del suddito
in faccia al legislatore : ed il diritto del suddito , tanto
se egli è innocente, quanto se egli è colpevole : per
chè anche il colpevole per essere tale non ha perdu
to la sua personalità giuridica ; e la sua colpa lascia
permanente in lui il diritto di non essere punito
oltre il giusto .
La scienza del giure penale è la protettrice del
diritto in questi due ultimi punti di vista : ma a
questi due distinti obiettivi essa serve con due se
parate parti del suo insegnamento. Con quello cioè
che comunemente distinguesi col nome di diritto
penale : e con 'quello che comunemente distinguesi
col nome di procedura penale. In ambedue tali as
sunti essa lavora sempre nello intendimento di pro
teggere il diritto contro gli abusi della autorità so
ciale : ma se una parte non si differenzia dall' altra.
per diversità del nemico rimpetto al quale protegge
il diritto, differenza sostanzialissima incontra per la
diversa situazione degli individui nei quali il di
ritto è protetto. Questa differenza, non avvertita
abbastanza dalla comune dei criminalisti , è di una
verità positiva .
La scienza penale nella sua prima parte, dove
contempla la generalità del delitto e della pena,
prende le mosse dal presupposto di avere a sè din
nanzi un colpevole ; ossia l'autore di un fatto este
riore che ha violato od aggredito il diritto dei con
sociati: e protegge l'autore materiale di questo fatto
misurandone al giusto la responsabilità .
13 ――――

Nella sua seconda parte, dove contempla il rito


procedurale, essa prende le mosse da un presup
posto contrario ; presuppone cioè la innocenza di
quel cittadino contro il quale dirige i sospetti e le
armi sue la giustizia . Può dunque dirsi con tutta
verità che la prima parte della scienza penale serve
principalmente alla tutela dei diritti del colpevole :
laddove la sua seconda parte serve principalmente
alla protezione della innocenza. Sempre coerente a
sè stessa la scienza ha per suo fine costante che
sia fatta giustizia ; ma l'obietto della opera sua è
differentissimo in quelle due parti . Ecco le tesi che
io vado a svolgere nel presente discorso .

1. Quella parte della scienza nostra che comune


mente distinguesi col nome di diritto penale, pre
sume un delitto commesso, e intende a proteggerne
l'autore perchè il suo fatto non gli venga imputato
oltre il dovere e non venga oltre misura punito.
Addentriamoci con rapida corsa nelle singole teo
riche delle quali si compone la prima parte della
dottrina penale ; e toccheremo con mano la verità
di questa prima proposizione.
La teorica della imputazione , l'analisi dei suoi
elementi , conducono allo esame della intenzione, ed
alla circoscrizione delle sue fasi . Di qui emerge la
nozione del dolo e della colpa, e lo studio dei res
pettivi gradi. Dottrina interessantissima in quanto
viene a circoscrivere l'elemento subiettivo morale

del delitto ma poichè il bisogno di circoscriverne


l'elemento morale nasce soltanto dove ne esista la
subiettività fisica o elemento materiale, così tutta
quella dottrina ha per necessario presupposto la esi
―――― 14 --

stenza di un fatto materiale lesivo od aggressivo


del diritto, e quindi il bisogno di giudicare lo indi
viduo o gli individui che furono causa di simile
fatto. Sia pure che questa dottrina riesca ad elimi
nare la colpevolezza giuridica dove trovi mancanza
di imputazione morale o di imputazione legale . Sem
pre però rimane vero che la dottrina stessa, anche
nei casi più favorevoli , profitterà soltanto a colui
che se ebbe pura la coscienza in faccia alle leggi
umane non ebbe peraltro pura la mano : e colui dal
quale esteriormente ebbe vita la offesa ; e nel quale
il leso ed il pubblico videro l'autore della mede
sima. Il cittadino che non abbia neppure esterior
mente aggredito il diritto altrui , non troverassi mai
nel caso di invocare questa dottrina a propria sal
vezza. Egli rimane indifferente agli studi nostri fin
chè sentesi completamente innocuo . Si voglia da noi
erroneamente stabilire l'adequazione della inten
zione indiretta alla diretta ; la adequazione della
colpa al dolo ; la adequazione della colpa lievissima
alla lata ; la repressione in certi casi anche del caso
fortuito nel quale ebbe parte la mano dell' uomo ;
tutti questi gravissimi errori potrebbero spiacere
agli onesti per quel sentimento di ripugnanza che
tutti abbiamo ai dettati ingiusti quantunque non

ci feriscano personalmente ; ma chi niente ha fatto


in oltraggio dei diritti altrui non avrà occasione
di palpitare per simili errori, nè di scorgervi oc
casione di un pericolo che direttamente sovrasti alla
sua persona.
La notomia del delitto presuppone la esistenza
del delitto ma la esistenza del delitto presuppone
un delinquente. Dunque la minutissima analisi, mer
― 15 ―――――――

cè la quale la scienza distingue la soggettività dalla


oggettività nel malefizio ed il suo soggetto passivo
dal suo soggetto attivo per giungere a definire con
esattezza la qualità dei diversi reati , onde con giu
sto criterio misurarne poscia la quantità, è da capo
a fondo diretta alla protezione di un colpevole, af
finchè sul medesimo non venga a cadere una pena
soverchia ed immatura. A chi è scevro di colpa, e
non si preordina a violare la legge, nulla interessa
se un legislatore insipiente abbia confuso i reati
politici con i naturali, abbia confuso le offese alla
proprietà con le offese alla persona, od abbia respet
tivamente usato più o meno rigore nella punizione
generale dei malefizi od incongrua sproporzione di
rigore nella repressione delle diverse specialità.
L'onesto ed incolpabile cittadino potrà deplorare
siffatti errori nei casi concreti , dove ne vegga la
pratica applicazione : mai potrà armarsi a scudo di
sè medesimo degli insegnamenti della scienza, ed
invocando la medesima inveire contro simili errori
per bisogno della sua personale difesa. Qual senti
mento di personale pericolo suscita in me una
legge improvvida che punisca il ladro alla pari del
l'assassino ? Potrò temerne personale pericolo per
parte dei facinorosi i quali dalla stolta legge saranno
eccitati ad uccidere anzichè soltanto rubare : ma pe
ricolo a carico mio per parte della legge e della
sua esecuzione , io non posso temerlo , perchè so di
non essere nè un ladro nè un assassino , e non ho
intenzione di divenire nè l'uno nè l' altro .
A solo benefizio del colpevole si costruisce del
pari dalla scienza tutta la vasta ed elegantissima
dottrina del grado nel delitto : e la cosa è evidente.
- 16

Per invocare a miglioramento del proprio destino


la scusa della età, della ubriachezza, dell' impeto, e
simili, bisogna essere ( esteriormente almeno ) col
pevoli. Lo stesso vale perchè sia utile la regola del
la disparità nella pena fra complice ed autore prin
cipale, fra reo di attentato e consumato delitto . Sem
pre tutte queste investigazioni rimangono inoperose
per chi abbia affatto pura la coscienza e la mano .
E gli stessi precetti della non punibilità del conato
con mezzi inidonei, o degli atti meramente prepa
ratorii, o del tentativo rimasto tale per pentimento,
quantunque conducano ad una dichiarazione di non
colpevolezza, hanno sempre bisogno, affinchè rie
scano profittevoli allo individuo, che costui abbia o
voluto o eseguito qualche cosa di male. Senza ciò
siffatte teorie non sono che sonetti arcadici . Lo stes
so dicasi della teorica della continuazione , per la
quale minorasi la responsabilità di chi si rese col
pevole di più delitti sotto lo impulso di unica de
terminazione.
Identiche conclusioni si incontrano se percorria
mo i problemi svolti dalla scienza penale sullo ar
gomento della pena. Qualunque sia lo eccesso , qua
lunque sia lo abuso di penalità che scomparisca
sotto gli anatemi della scienza, questa emenda riu
scirà di giovamento a parecchi colpevoli : ma sem
pre ai soli colpevoli. Mai avverrà che lo integer
vitae scelerisque purus abbia a ringraziare la scienza
di un benefizio recato direttamente alla sua perso
na, perchè rettificò la teorica della qualità o della
quantità delle pene, o perchè proscrisse la dottrina
del cumulo , o perchè propugnò la prescrizione della
pena, o perchè fece cancellare da un codice le in
17 -

giuste regole dello aumento del castigo desunto


dal falso criterio della difficoltà della prova, e dello
essersi per opera di altri malfattori reso più fre
quente un malefizio . Questi ed altri consimili pro
gressi del giure penale saranno profittevoli alla
umanità : ma il profitto concreto , immediato, e sen
sibile, sempre si godrà dal colpevole. Res clara non
indiget demonstratione.

2.º Tutto l'opposto avviene nella seconda parte


dello insegnamento penale ; voglio dire in quella
.
relativa alla procedura . Il procedimento penale ha
per suo impulso e fondamento un sospetto : un so
spetto che annunziandosi come avvenuto un delitto,
ne designa come verosimilmente partecipe uno in
dividuo ; e così autorizza gli ufficiali della accusa a
dare moto alle loro investigazioni per l'accerta
mento del fatto in genere, ed a specializzare le ri
cerche loro contro quello individuo. Ma in faccia a
questo sospetto sta a favore dello imputato la pre
sunzione di innocenza che assiste ogni cittadino ; e
questa presunzione si piglia in mano dalla scienza
penale , che ne fa sua bandiera per opporla allo
accusatore ed allo inquisitore, non al fine di arre
stare i movimenti dei medesimi nel loro legittimo.
corso, ma al fine di restringere quei movimenti nei
modi, incatenandoli in una serie di precetti che
siano freno allo arbitrio, ostacolo allo errore , e per
conseguenza protezione di quello individuo. Ecco
lo scopo del rito procedurale, che forma l'obietto
della seconda parte della scienza penale . Ma il po
stulato da cui parte la Scienza in questa seconda
serie di studii è la presunzione di innocenza, e così
VOL. V. 2
―― 18

la negazione della colpa. Non più, come nella prima


parte, essa concede alle autorità che stia dinanzi a
loro un colpevole ; più non dice io proteggo questo
colpevole perchè voi non lo puniate oltre la giusta
misura frangendo i canoni ed i criterii che io sta
bilisco sui dogmi della ragione per determinare
siffatta misura. Qui la Scienza dice il contrario : a
fronte levata essa dice, io proteggo quest' uomo
.
perchè è innocente : tale io lo proclamo finchè voi
non abbiate provato la sua colpevolezza : e questa
colpevolezza voi dovete provarla con i modi e con
le forme che io vi prescrivo , e che voi dovete ri
spettare, perchè esse pure procedono da dogmi di
assoluta ragione .
È evidente quanto positiva questa antitesi delle
due situazioni nelle quali si trova la dottrina cri
minale in quelle due parti delle proprie lucubra
zioni . Quando prescrive stretta adesione alle com
petenze ; leale , completa, e tempestiva contestazione
dell' accusa ; temperanza nella custodia preventiva ;
pienezza di prova ; cautele per la veridicità dei te
stimoni ; condizioni per la legalità delle confessioni ;
ostracismo di ogni suggesto , di ogni frode, di ogni
subdolo artifizio che possa dare al falso la sem
bianza del vero ; critica imparziale nella valutazione
degli indizi ; liberissimo campo allo esercizio del
patronato ; favori per la difesa ; forme sacramentali
per la sentenza ; rimedii di appello o di revisione ;
in una parola da capo a fondo in quanto essa co
manda come assoluta condizione della legittimità del
procedimento, e del giudizio, essa non ha che una
sola parola : fate questo perchè l' uomo da voi preso
in sospetto è innocente ; e voi non potete negare la
19

sua innocenza finchè non abbiate dimostrato la sua


reità; nè potete raggiungere siffatta dimostrazione.
se non correte per questa via che io vi segno .
Il rito penale è dunque la salvaguardia dei ga
lantuomini ; la Scienza in questa parte esercita la
protezione degli onesti ; ed anche questa seconda
proposizione è incontrastabile .
Nè vale il dire che dalle protezioni della inno
cenza possono talvolta cavare profitto ancora i col
pevoli. Frivolo obietto in faccia alla mia tesi , perchè
simile accidentalità non cambia il fine dello istituto ,
come la eventualità che quando per effetto di un
errore giudiciario verificatasi la condanna di un in
nocente una teorica di giure penale torni a benefizio
di un innocente, non cambiasi il fine dello istituto
e non autorizza a negare che la dottrina ( a modo
di esempio ) della età, dell' impeto o della quantità
dei reati sia diretta alla protezione dei delinquenti .
Io credo dunque verissime ambedue le proposi
zioni che ho svolto : la metafisica del giure penale
propriamente detto è destinata a proteggere i col
pevoli contro gli eccessi della autorità sociale : la
metafisica del diritto procedurale ha per sua mis
sione di proteggere contro gli abusi e gli errori
della autorità tutti i cittadini innocui ed onesti.

Ma quale è il costrutto che si tragge da queste


mie osservazioni ? Sono desse puramente specula
tive ; oppure guidano a conclusioni pratiche ed im
portanti ? Se questo non fosse mancherebbe di ogni
utilità il mio discorso . Ma pratiche conclusioni emer
gono dal sin qui detto ; ed io le credo di grave
importanza ; e vado brevemente ad esporle.
20

• a) Udii troppo spesso adoperare la parola uma


nitarii come espressione derisoria : udii rimprove
rare ai più caldi cultori delle dottrine criminali che
essi fossero i protettori del delitto. A questi mot
teggi, che procedono sempre da ferità di animo o
da fanciullesche paure, fanno plauso talvolta i ciechi
che accettano un epigramma come buono argo
mento ; e si tengono cari più specialmente da cer
tuni appo i quali una gualdrappa dorata fa le veci
di senso comune. Ma quel rimprovero è sotto un
punto di vista assolutamente falso ; ed è sotto altro
punto di vista sofistico ed antigiuridico.
È falso quel rimprovero quando si dirige contro
la parte procedurale del criminale diritto , poichè
tutta la serie delle dottrine che professano e sosten
gono la religiosa osservanza del rito nei processi
criminali non intende a proteggere nè il delillo nè
il delinquente, ma a tutelare gli onesti e ad impe
dire il martirio di un innocente . Cessino dunque i
fautori dell' arbitrio ; cessino i fautori dei privilegi
dell' accusa ; cessino dallo insinuare che siano ne
mici dei buoni e che siano perniciosi alla società
civile coloro che combattono pel santo fine che la
giustizia penale non divenga fiagello degli inno
centi ; e che in una città non rendasi una mano di
inquisitori più assai terribile ai buoni che non lo
siano i facinorosi . La società civile ha il suo più
solido cemento nella buona giustizia, poichè il fine
della sua costituzione è precipuamente quello che
giustizia facciasi sulla terra. E trista giustizia dav
vero sarebbe quella che per tema di vedersi sfug
gire un colpevole consegnasse gli intemerati citta
dini alla balia di uomini sospettosi per mestiere,
- 21 ――――――

alla balia di delatori mendaci o di nemiche perse

cuzioni, senza che le forme sacramentali facessero


scudo al suo petto contro i dardi avvelenati della
calunnia, contro lo zelo fanatico di menti preoccu
pate, e contro errori fatali . Iperbolica è sempre quel
la frase che tante volte si reca innanzi come pau
roso fantasma del proscioglimento della società ci
vile. La società civile non si può sciogliere , perchè
è legge eterna di Dio imposta alla umanità. Si può
modificare la forma di una società civile per mu
tamento di opinioni nei consociati ; modificarsi ora
in meglio ed ora in peggio a vicenda, secondo la
prevalenza di velleità più o meno ragionevoli nella
maggioranza dei consociati : sciogliersi mai . E se
una mano di uomini disgustati degli ordini che
sentono essere loro troppo molesti nella città na
tale si decidono ad emigrare , non emigrano già per
gettarsi a vivere isolati nelle foreste, ma per con
volare in altra città che sembri loro meglio ordi
nata ; o per gire in luogo solitario a costituire fra
loro una nuova società civile con più simpatici
ordinamenti ma sempre conformi al tipo gerarchico .
Questo non è davvero lo sciogliersi delle società.
civili ed anche in tali fasi della vita delle genti si
rivela una di quelle destinazioni provvidenziali de
gli umani rivolgimenti, preordinate a correggere
certi mali quando eccedono i limiti della tolleranza .
E in questo senso i danni derivati ad una conso
ciazione speciale per numerosa emigrazione dei suoi
membri sono meno a temersi come conseguenza
della impunità di qualche colpevole , avverso il quale
il cittadino spera sempre di ripararsi con le proprie
cautele e con la difesa privata ; e sono più a te
22 ――――

mersi come conseguenza dei soprusi di una auto


rità invaditrice di ogni civile libertà, avverso i quali,
quando assumono il manto della giustizia e si ar
mano della sua forza, non veggono i cittadini probi
altro riparo tranne la rivoluzione o la fuga . E que
ste verità si confermano dalla storia di tutti i ri
volgimenti delle nazioni , dalla quale si mostra che
l'autorità presto o tardi si suicida quando permette
che gli agenti suoi facciano abuso della giustizia.
Io nego dunque recisamente che possano dirsi pro
tettori del delitto o dei delinquenti i difensori delle
libertà civili che inveiscono contro lo spreco insen
sato del carcere preventivo, contro la mala fede e
contro il fanatismo dei processanti ; contro le vili
arti birresche tramutate in forme procedurali e
salutate come prodigi di critica giudiciaria ; contro
le testimonianze anonime o cortinate, o prezzolate ,
o raccolte senza sufficiente cautela ; contro le con
fessioni estorte mediante inganni e tradimenti,
mediante i patimenti delle segrete malignamente
prolungati ; contro le coartazioni della difesa, o mu
tilata, o angustiata, o avvilita, o tardivamente con
cessa ; contro le infamie dei compari e dei delatori
premiati ; contro le infedeltà dei verbali ; contro la
incensurabilità della inquisizione, e la mancanza di
sufficienti sanzioni che tutelino la osservanza sa

cramentale del rito ; in una parola contro tutta


quella selva selvaggia di angherie e di modi tiran
neschi i quali senza rendere più certa la punizione
dei delinquenti espongono i galantuomini a perenni
molestie ed a tremendi pericoli . È falso , assoluta
mente falso che la scuola la quale combatte su que
sta linea si faccia ausiliatrice dei malvagi . Tutti gli
23 -

onesti devono esserle riconoscenti poichè combatte


per loro. Coloro che promuovono la indifferenza al
rispetto del rito non riflettono che scagliano in aria
un sasso il quale può ricadere sul capo di loro
stessi o dei loro figli . Ricordino che Murat fu vit
tima della legge che egli aveva promulgato, e che
i Montagnardi perdettero la testa sotto la scure
che avevano affilato pei Girondini. Quale è l'uomo.
onesto che possa stimare sicura la sua persona in
faccia ad un rito vizioso od inosservato ? Datemi
( diceva D'A guessau ) datemi quattro linee scrit
te da un uomo che io voglia perdere , e mi impe
gno di farvelo condannare come colpevole di per
duellione. E D'Aguessau poteva menare questo
vanto sotto le procedure Francesi .
È poi sofistico quel rimprovero ed antigiuridico
quando volgesi alla prima parte della Scienza penale
che tende a stabilire le regole fondamentali defini
trici e misuratrici del delitto in genere e della pena.
Noi abbiamo già concordato che questa parte della
Scienza da noi professata mira alla protezione del
l'uomo colpevole. Noi non abbiamo esitato a profe
rire questa parola ; e l'abbiamo proferita con fronte
serena e coscienza tranquilla . Ma fra la protezione
del delinquente e la protezione del delitto intercede
un abisso, e nel confondere questi due termini sta
appunto il sofisma dei nostri critici. Farsi panegi
risti della scelleratezza , è certamente cosa improba
e nefasta e qui sta il peccato di certi romanzieri
moderni , specialmente francesi , i quali cercano ad
arte nella loro fantasia situazioni eccezionali che de
moliscano la antipatia verso il delitto e quasi ne
invaghiscano gli spiriti giovanili e bollenti, non sen
- 24

za pregiudizio della pubblica moralità. Ma non pro


tegge il delitto la Scienza severa che propugna i
diritti del delinquente in faccia alla autorità che lo
colpisce, e mentre mantiene la riprovazione di quello
insegna come debba esservi un moderame nella
difesa pubblica alla guisa che vi è un moderame
nella difesa individuale .

Designare come vituperosa la protezione dei col


pevoli equivale a riprodurre il barbaro sofisma del
feroce Pouyet che tanto male recò per tre secoli
al reame di Francia proclamando che il colpevole
non deve avere difensori ; e che finì per condurre
quel popolo alla più sanguinaria delle rivoluzioni .
Equivale alla incarnazione pratica della falsa dot
trina della decadenza che si volle da taluno pigliare
a base del giure punitivo , e che trascina a negare
nel delinquente la perseveranza della umana per
sonalità, quasi risuscitando per adattarlo a lui il fe
roce motto pagano adversus hostes perpetua aucto
ritas esto : di chi ha commesso un delitto può forse
l'autorità farne ciò che meglio le aggrada ? Era
forse legittima la barbarie dei tempi Medicei quan
do per sovrano rescritto i condannati si consegna
vano alla notomia , cioè si davano agli spedali perchè
fossero sezionati viventi ad incremento degli studi
medici?
No : un delitto per quanto grave , o una serie di
delitti per quanto ripetuti ed atroci, non dispogliano
lo sciagurato che se ne macchiò di tutti i diritti
inerenti alla umana personalità ; non lo tramutano
in una cosa della quale possa l'autorità sociale fare
.
senza ritegno uno strumento passivo inserviente ai
suoi fini, alla guisa che il civis Romanus faceva dei
25 -

servi. Quel delinquente, per quanto abbrutito nelle


perverse abitudini non è ancora un bruto, e consi
derandolo come tale si consegna la giustizia ad una
figura rettorica. Esso è tuttora la creatura di Dio ;
investita di diritti che debbono essere in lui rispet
tati, salvo quella frazione dei medesimi che propor
zionatamente alla colpa sua impone la necessità della
tutela giuridica dei consociati gli vengano tolti per
mano della autorità sociale . Ma questo toglimento
sempre parziale, ha i suoi limiti nei supremi dogmi
del giusto, che formano lo evangelio della scienza
penale ; e finchè si pugna per la osservanza di questi
limiti , non è causa di rossore , è causa di gloria , è
religioso esercizio di virtù cittadina la protezione del
delinquente contro i suoi troppo irosi persecutori .
Anche la parola innocente è parola di duplice
senso, e troppe ve ne ha di tali nella dottrina penale
che spesso generano confusioni nello svolgimento
delle teoriche . Vi è lo innocente in senso assoluto,
ed è colui che mai commise delitto : vi è lo inno
cente in senso relativo, ed è colui che mentre com
mise un delitto leggiero si vede rinfacciare un
delitto più grave. Nel cerchio del fallo da lui com
messo e nel rapporto della meritata repressione
costui è un colpevole ; ma rispetto al di più di colpa
che vuolsigli apporre, o al di più di castigo che
a lui vuolsi infliggere, esso è innocente ; ed in que
sta sua innocenza relativa ha sacro il diritto ad
essere difeso ; e fa opera di giustizia chi lo protegge.
Lo attentante è innocente rispetto alla accusa di
consumazione ; lo è il complice rispetto all' accusa
di autore ; lo è lo impetuoso omicida rispetto alla
accusa di premeditazione ; lo imprevidente rispetto
26 --

alla accusa di volontarietà . Ed ha per conseguenza


diritto che questa sua innocenza relativa si sosten
ga e si protegga nè più nè meno come in altri la
innocenza assoluta , perchè il fallo da lui commesso
non ha fatto cessare la subiettività giuridica della
sua persona. Così il creditore che violentemente

costrinse il debitore a pagarlo, è innocente rispetto


alla accusa di furto; così il feritore per fini privati
di un agente della forza pubblica quantunque col
pevole di lesione, sarà innocente rispetto alla accusa
di ribellione o di perduellione ; e via cosi discor
rendo. E lo studio delle regole relative alla più esatta
definizione del titolo, niente giovando a sottrarre il
delinquente dalla pena veramente meritata, saranno
dettate e praticamente invocate a protezione di un
colpevole, ma non per proteggerlo nella fase della
sua colpevolezza ; bensì per proteggerlo nella fase
della sua innocenza relativa , e saranno opera di
giustizia ; opera santa e pia, nè più nè meno come
lo è la protezione dell' innocente in senso assoluto.
E che dunque ? Se il più notorio scellerato ha
imprestato cento lire ad un conoscente e le chiede.
per la via di giustizia, potrà egli ascoltarsi il patrono
del debitore quando impugna la aggiudicazione del
credito sotto il pretesto che colui è notoriamente
malvagio ! Tali assurdi mai si dissero da alcuno.
Eppure si osò dire ( e torna lo stesso ) che sia opera
nocevole alla patria propugnare i diritti del malvagio
quando si oppone alla esorbitanza di chi vorrebbe
punirlo oltre la misura della malvagità. Noi ci ten
ghiamo dunque ad onore di essere , e teoricamente
e praticamente , i protettori dei colpevoli in questo
27 _____

senso : arrossiremmo invece di essere in questo sen


so chiamati i persecutori dei colpevoli .
Anche la parola umanitarii è parola di duplice
senso ; e lo scambio produce confusioni nocevoli.
Quando si adopera la parola umanitarii in senso di
derisione, si spende come designazione di gente mol
le, di gente pietosa, ai nervi della quale ripugna
anche la punizione degli scellerati . E in questo senso
è pretta calunnia apporre il predicato di umanita
ria alla Scienza penale ed ai suoi più progressivi
cultori . Calunnia, pretta calunnia , è lo asserire che
per moto di pietà o tenerezza di cuore sostengasi
la dottrina che vuole il tentativo punito meno del
consumato delitto, e non punito il tentativo estrin
secato con mezzi inidonei , o rimasto tale per pen
timento, o la dottrina che vuole unificata la impu
tazione di più reati per effetto della continuazione ,
o la dottrina che richiede la convergenza del dise
gno con lo evento per applicare la terribile aggra
vante della premeditazione, o la dottrina che nel
caso di più reati impone si freni il cumulo della.
pena mediante lo assorbimento ; ed altre simili tesi .
Non è mollezza di pietà, ma sentimento di severa
giustizia, quello che ispira la penna e la voce di
chi propugna siffatte teoriche ; e di chi in genere
aderisce alla tenace proporzione della pena al de
littoperchè in ciò fare proteggesi il diritto del
l'uomo colpevole , ma si protegge nella fase della
sua innocenza.
Ed ecco il secondo senso della parola umanitarii,
ed è il senso suo più vero e più proprio. Essere
umanitarii non vuole dire essere compassionevoli ,
ma significa essere tenaci sostenitori dei diritti
- 28 ――――

della umanità, dei diritti cioè che per legge divina


sono inerenti alla umana personalità. Ed in questo
senso noi accettiamo il titolo di umanitarii, e lo
tenghiamo non come parola di spregio, ma come
parola di encomio : perchè il tenere sempre l'oc
chio della mente fiso ai diritti della umana perso
nalità in ogni individuo, è un sacro dovere ; è la
religione che incombe a chiunque si dedica al sa
cerdozio della giustizia in ogni situazione nella
quale esso si trovi ; sia che esso insegni, sia che
esso difenda, sia che esso accusi, sia che esso giu
dichi , sia che egli si trovi fornito della potestà di
comporre leggi, o della balia di giudicare i suoi
simili. Non è possibile enumerare quanto siano state
funeste nelle scienze morali certe frasi e parole
equivoche. Noi siamo umanitarii quando combat
tiamo per l'abolizione della pena di morte . Uma
nitarii, non perchè ci stringa il cuore pietà verso
lo scellerato che si vuole appiccare , ma umanitarii
perchè crediamo che la personalità umana non possa
essere distrutta dalla mano dell' uomo tranne per
una necessità presente, immediata, ed inevitabile.
Ben lungi dallo essere misericordiosi verso il de
linquente col sottrarlo alla morte per mano del
manigoldo, noi siamo invece fermamente convinti
di essere crudeli verso di lui, perchè lo togliamo da
una supposta pena, che non è pena ma cessazione
di tutti i mali , per sottoporlo al martirio di lunghi
ed intollerabili patimenti. Noi crediamo di essere
crudeli in questa tesi, ma pur siamo umanitarii
perchè sosteniamo i diritti della umana personalità .
- 29 ―――――

b) La seconda deduzione, che emerge da quanto


sopra osservai , ci richiama a contemplare il con
fronto fra le condizioni della Scienza penale nel

secolo passato e le sue condizioni nel secolo pre


sente. È egli vero che essa si trovi in uno stato di
universale progresso ?
Finchè si guarda la Scienza penale nella saa
prima parte, il progresso della medesima è incon
trastabile e grande . Bisogna riconoscerlo tale appo
tutte le genti di Europa. Sarà più o meno grande
nelle diverse genti, secondo lo stato di maggiore of
minore barbarie nel quale appo quelle versava nel
passato secolo la legislazione penale. Sarà sembrato
gigantesco in Francia, dove la Scienza penale era
discesa cotanto a basso da subire la sua completa
negazione. Sarà apparso meno sensibile in Italia e
Germania, dove gli svolgimenti pratici erano già
venuti con sublime filosofia temperando la oscena
lettera dei vecchi statuti, ed erano stati i precursori
della odierna luce. Ma sempre trovasi un progresso
dovunque. La dottrina della imputazione e del dolo
condotta a più genuine definizioni ; meglio e con più
esattezza enucleata la qualità dei delitti ; indagati
con logica migliore i criterii della quantità dei reati ,
sbandite le pene aberranti e le pene immorali ed
i supplizi feroci ; introdotta nella punizione la ve
duta della emenda del colpevole, la quale ad ogni
volgere di sole va gradatamente facendosi reina del
castigo queste ed altre cento migliorie più o meno
esplicitamente sanzionate dai codici moderni sono
fatti che a tutti rivelano un progresso nel giure
penale propriamente detto, clie torna a grande ono
ranza del secolo presente, e dà ragione a sperarne
- 30

( a dispetto dei pochi e rabbiosi adoratori del pas


sato ) più o meno veloce ma indubitata la evolu
zione completa .
Può egli dirsi altrettanto della seconda parte del
giure penale, di quella cioè che si occupa del pro
cesso e del giudizio ? Io seriamente ne dubito : e mi
addolora il dover dire che in questa parte la Scienza
penale , si va ponendo nel presente secolo ( almeno
praticamente) in una via funestissima di regresso .
In quanto al processo gli ordinamenti passati di
molte regioni di Italia avevano cautele e rigide pre
scrizioni che sonosi venute fatalmente dimenticando .

Chi abbia la pazienza di studiare i volumi di quelli


scrittori, che oggi si chiamano praticacci antichi (e)
che si vanno poco a poco esaurendo dai pizzicagnoli)
dovrà riconoscere il fenomeno di una antitesi sin
golare. Ed è che mentre li statuti penali si ispiravano
ad una insana ferocia, mentre la tortura flagellava
i popoli , mentre i giudicanti avevano nella quantità
della pena esorbitanti balie, i giudici processanti però
si erano dagli ordinamenti e dalla pratica incatenati
fra noi alla osservanza di discipline minuziosissime ,
tutte intente a frenarne gli abusi, tutte intente ad
impedire gli errori giudiciarii , ed a tutelare gli in
nocenti perseguitati . Studiando in quei volumi io
sono venuto in una convinzione che formulerò nei
più semplici termini. Se i processi che si fanno og
gigiorno secondo gli ordini veglianti in Italia si
fossero presentati nel giorno del giudizio definitivo
ai giudici del secolo passato in Germania e in Italia,
e dovunque la barbarie dei tempi non era giunta
( come in Francia ) fino a negare ogni patronato dei
rei, io dico che appena dieci su cento dei nostri
31 ―――

processi avrebbero condotto in porto a piene vele


l'accusa, e negli altri novanta avrebbe fatto nau
fragio o sarebbe giunta con vele e sartie sdrucite.
dopo aver fatto getto della parte maggiore del ca
rico . Certe eccezioni di forma che oggi si guardano
con disprezzo perchè le disprezzano gli ordini ve
glianti, i quali alla fidanza del prescritto dalla legge
hanno sostituito una cieca e spensierata fidanza
nella supposta imparzialità dello accusatore e dello
inquisitore, erano a quei tempi validissimo presidio
della difesa e innumerevoli monumenti di consul

tazioni e di giudicati di quei tempi dimostrano ( a


chi voglia leggerli e meditarli ) come le più piccole
violazioni di rito riuscissero in quei tempi frequen
temente micidiali alla accusa. Cosa sia avvenuto
oggidì di tutte queste guarentigie lo dica chi im
parzialmente legge il nostro codice di procedura
penale ; lo dica chi vive alla pratica forense, e su
dando alla difesa dei rei può bearsi del buon viso
che ricevono oggi dagli inquisitori ; lo dicano tutti
coloro che hanno sperimentato gli effetti della on
nipotenza del Pubblico Ministero.
Si è proclamata nel presente secolo la pubblicità
dei giudizi . Grande conquista e di ispirazione divina
fu questo ritorno verso la primitiva forma dei giu
dizi criminali. Ma fu un riavvicinamento e non un

vero ritorno, poichè al giudizio orale si accoppiò


la vecchia inquisizione e il segreto . E questa si rese
forse peggiore che prima ; perchè inebriati della
fiducia nel processo orale i nostri legislatori hanno
trascurato ogni sanzione che guarentisca il rito
nello scritto procedimento : causa unica di ciò una
delle solite jattanze che poscia si dileguano in faccia
32

alla trista realtà delle cose. Il processo scritto ( si


è detto ) non è che una semplice informativa : esso
non ha valore alcuno sul definitivo giudizio : dun
que non è prezzo dell' opera circondarlo di forme
solenni ; e seriamente occuparsi delle forme e delle
guarentigie della innocenza in questo periodo. Ma
la realtà dei fatti giornalmente smentisce quel pre
supposto. In molti casi è la legge stessa quella che
attribuisce una efficacia giuridica alle pagine della
scritta procedura, come nel tema delle verificazioni
locali, e nel caso di testimoni morti od irreperibili .
E ciò che negli altri casi non fa la legge lo fa pur
troppo la pratica di molti accusatori e di molti
Presidenti, i quali non sono contenti se al giudizio
orale i testimoni non riproducono sacramentalmente
le parole stesse che loro attribuiva il processo
scritto e guai per loro se osano dire che fa male
inteso o male scritto. E quando poi il giudicabile
trova un equivoco nelle risposte registrate come
emesse da lui al suo interrogatorio scritto, si ha un
bel dire che quello scritto non ha valore . Ciò non
impedisce che il Pubblico Ministero rinfacci al giudi
cabile il suo mendacio ; nè che i giurati annoverino
il mendacio fra gli indizi che gravano quello infelice ;
quantunque il supposto mendacio non abbia prova
in altro che in quelle pagine le quali si va jattan
do non poter decidere della sorte del cittadino.
E intanto i processi scritti nascono come si vuol
colà dove si puote ciò che si vuole, e speriamo
in Dio !
In ordine al giudizio non è altrettanto certo il
regresso che io lamento, ma è però un problema
da sciogliersi dalle future generazioni se anche qui
- 33 ――――――

veramente sia tutto progresso quanto emerge dalle


innovazioni del presente secolo .
Grande senza dubbio è il benefizio che la giusti
zia penale ha ricevuto dalla pubblicità dei giudizi .
Qui non avvi possibilità di contradizione. Ma questo
non è tutto ciò che esigeva la odierna civiltà ; nè
sempre la pubblicità del giudizio orale ripara i mali
che ha recato un iniquo procedimento ; nè sempre
nei giudizi orali si può essere certi che vinca la
ragione anzichè la fortuna ; nè ancora è deciso
l' arduo problema dei giurati e dei magistrati ; nè
ancora la coscienza pubblica si è fatta tranquilla
sopra la convenienza di sentenze terribili che non
danno alcuna ragione dei loro pronunciati, e che
non lasciano documento per la restaurazione della
innocenza tradita ; nè sempre la innocenza è sicura ;
e se potesse farsi una statistica esatta degli errori
giudiciarii che addoloravano i padri nostri, e di
quelli che attristano la presente generazione, la
bilancia non tornerebbe ad elogio dei vivi.
Segno di progresso umanitario nelle attuali pro
cedure non sono davvero nè le magistrature infeu
date al potere esecutivo ; nè la inquisizione infeu
data alla accusa ; nè i processi partoriti dallo osce
no connubio della polizia e della giustizia ( quella
troppo spesso sovrastante su questa ) ; nè le balie
senza freno e senza sindacato dei Pubblici Ministe
ri, vigilatori perpetui e sempre arbitrarii di ogni
più piccolo movimento del cittadino ; nè la disugua
glianza di libertà di azione fra querelante e que
relato ; nè una Corte Suprema che giudica del
colpevole senza poter conoscere della colpevolezza
o della innocenza ; nè la forma oracolare sostituita
VOL. V. 3
- 34

al ragionamento ; nè in una parola la perpetua con


segna della salute del cittadino o alla fortuna del
l'urna o allo arbitrio di gente ambiziosa. No : questi
non sono segni di progresso civile, poichè anche
nei tempi più duri furono dalle buone scuole ana
temizzati, e dalle buone pratiche con indignazione
reietti. Io consumai oltre i primi tre lustri del mio
patronato sotto un governo esageratamente dispo
tico ; lo esercitai sotto un codice penale esagerata
mente crudele ; vidi prodigare e bolli , e galere e
supplizi, come doveva essere sotto leggi di ferro .
Ma il rito era sacro ; ma le sentenze di morte si
sottoponevano di pieno diritto alla revisione , nè
si consegnava la vita di un uomo alla eventualità
di una distrazione del cancelliere ; nè mai ebbi oc
casione di lamentare difetti di lealtà, di imparzialità
o di onestà nel procedimento ; nè di udire emettere
da altri siffatti lagni. I malfattori erano inesorabil
mente perseguitati , ma cadevano in mezzo alla più
splendida luce della loro colpevolezza. Cosa giova
agli onesti che si siano schiuse cento porte di mi
tigazione a benefizio degli scellerati quando sonosi
aperte cento porte per flagellare gli uomini probi ,
offuscare le più intemerate riputazioni , ed affibbiare
la giornea di colpevole a chi meno la merita ?
Tenetevi la vostra misericordia per i delinquenti ;
io rimpiango la sicurezza dei galantuomini . Sotto
quel regime di ferro io mi sentiva tranquillo di
morire senza aver tocco la carcere : ed ora .. !
sarebbe superbia vantare questa sicurezza.
Io non posso negli stretti limiti di una prolusione
dilungarmi sopra un argomento si vasto. Ho accen
nato i mici dubbi intorno a problemi gravissimi :
35

e per ora mi basta. L'avvenire è in mano di Dio ,


e i posteri faranno giudizio delle novità presenti
e delle presenti lagnanze ; ma io stimo che Za
charia emettesse una profezia veridica quando
esclamò che i nepoti avrebbero chiamati barbari i
nostri giudizi criminali, come noi chiamiamo bar
bari i giudizi criminali degli avi nostri .

c) La terza deduzione che scaturisce dalle mie


premesse appella a certe foghe popolari delle quali
si fa organo il giornalismo. Quanto mai non si gri
da per avere un nuovo ed unico codice penale in
Italia ? Questo gridare è desso figlio di un bisogno
veramente sentito o piuttosto di passioni individuali
e di spirito di parte ? Il codice penale Toscano è
eccellente, e tutta la nostra provincia è contentis
sima di tenerselo . Il codice Sardo sotto il punto di
vista estetico e scientifico è tutt' altro che bello e
meritevole di elogio od imitazione, perchè troppo
ha copiato dal codice penale Francese ; ma pure
nella sua sostanza è di gran lunga migliore di
questo. Migliore ancora è il codice Sardo Napole
tano, dal quale una Commissione di dottissimi giu
reconsulti tolse via le più enormi brutture che de
turpavano il codice Sardo e ne facevano un ana
cronismo in Italia. Sicchè, in fine dei conti , non vi
è poi tanta urgenza per precipitare una riforma, e
per lamentare come una disgrazia di Italia la pre
senza di tre codici penali nella penisola. Questa
condizione d'altronde si è sostenuta per quasi un
secolo da parecchie grandi e felici Nazioni, e non
ne ha sofferto danno la loro prosperità e la loro
sicurezza . Evvi però un punto nel quale, per quanto
- 36 ―

io congetturo, sta l' arcana ragione di questa pres


sura. Credo di non ingannarmi quando penso che
il principale movente di questo ostentato desiderio
di unificazione sia ( oltre una folla di meschine am
bizioni e speculazioni individuali ) la questione della
pena di morte. E qui ciò che trovasi di singolare
si è che i due partiti si accordano nello accelerare
la unificazione per fini diametralmente opposti . Gli
abolizionisti usano ogni forza per condurre il Go
verno alla unificazione del codice penale , nella lu
singa che lo esempio della Toscana trascini, e il
carnefice abbia il meritato bando da tutta la peni
sola. Gli antiabolizionisti al contrario vedono con
rabbia che la Toscana provincia prosperi senza il
sussidio della pena capitale ; palpitano dal timore
che continuandosi lo stato presente anche i più
ciechi si illuminino allo esempio della provincia
Toscana, e tocchino con mano che la società civile
non crolla per il mantenuto rispetto alla vita uma
na, e che i cittadini possono vivere sicuri e tran
quilli senza il soccorso della mannaia, mentre al
tempo stesso le altre provincie fanno giornaliera
testimonianza che i più atroci misfatti non cessano
per moltiplicare di capestri. E quindi insistono per
la unificazione, nella speranza di ricondurre il boja
in Toscana. In questa perplessità quale dei due par
titi risulterà vincitore ? . .. Problema terribile !
in faccia al quale io mi ascriverei a peccato il de
siderio della unificazione .
Ma invece bisogno urgentissimo per la sicurezza
dei buoni, urgentissimo per la prosperità della na
zione, urgentissimo per lo stesso decoro di Italia,
sarebbe che si gettasse alle fiamme il nostro codice
- 37 -

di procedura penale del 1865 , indegno da capo a


fondo dei tempi nostri , e di un popolo che dicesi
libero. E qui invece tutti tacciono ad eccezione di
pochi, ed a questo giogo di ferro si crede che siano
( salvo qualche meschino rattoppamento ) destinate
a sottostare perpetuamente le popolazioni di Italia !
Deus omina tollat ! Oh come spesso si avvera quella
sentenza che il popolo facilmente grida, viva la mia
morte, e pera la vita mia. Ma se si comprendesse
che nel codice di procedura penale, come testè di
ceva dalla sua tribuna lo illustre Conforti , sta
il palladio della libertà civile e il più saldo presidio
degli onesti cittadini , forse si muterebbero i desi
derii. Gravissimo scoglio però incontrerebbero, ed
incontreranno tutti coloro che daranno opera ad
una riforma delle nostre procedure penali , in un
ostacolo che è potentissimo e soverchiante . E l'osta
colo è questo ; che il codice procedurale e l' ordi
namento giudiciario del 1865 sono due colonne
sulle quali si è edificato il trono del più effrenato
arbitrio dei pubblici ufficiali. In un governo vera
mente libero i pubblici ufficiali dovrebbero essere
quelli che meno esercitassero influenza sui provve
dimenti legislativi in materia di procedura penale,
per la ragione decisiva ( e che basta avere occhi
in capo per capirla ) che il Codice di procedura
penale è destinato a proteggere i galantuomini con
tro gli abusi e gli arbitrii dei pubblici ufficiali.
Ma invece nelle vicende legislative italiane accade
il rovescio ; e non è così facile che Bertoldo trovi
l'albero al quale dovrà farsi appiccare. Hinc illae
lachrymae !
38 →→→

d) Finalmente la ultima deduzione che traggo


dalle mie premesse si volge ai dilettissimi giovani
che mi fanno corona .

Voi vi accingete , tutti con pari ardore, allo studio


della filosofia penale , ma non tutti fra voi si limi
teranno ad apprendere ciò che è necessario per
giungere ad insignire il proprio nome degli onori
universitari. Molti ve ne sarà in coteste fila ( io ne
sono certo ) i quali di spiriti più ardimentosi , più
fidenti nella lucidità del proprio intelletto e nella
energia del volere ; più caldi del santo affetto per
la patria, più sitibondi di gloria, vanno ad applicarsi
allo studio del giure penale nella speranza di far
sene uno istrumento a divenire benefattori della
umanità, a fecondare il migliore incremento delle
dottrine sociali , ad allargare la gloria e le prospere
fortune di Italia , spingendo ad ulteriore progresso
questa Scienza nella quale or sono neofiti.
Questi eletti ingegni già vagheggiano il giorno
in cui brandiranno la penna ; e nel pensiero che a
loro sorride di non restare paghi dello insegnamento
dei maestri, ma farsi alla loro volta maestri essi
medesimi, accelerano con i voti il giorno beato nel
quale mettendosi in comunicazione col pubblico ver
ranno salutati come novelli interpreti di problemi
tuttora perplessi , e come promotori di utili migliorie
nel giure penale. Bene avvenga a costoro. Io li sa
luto come astri brillanti che sorgono sull' orizzonte
a fare obliare con più splendida luce le fioche stelle
che ormai tramontano. Io li saluto come futuri apo
stoli di verità e di giustizia, come predestinati estir
patori di ogni ruggine medioevale che tuttavia ri
mane nelle discipline penali. Salute a voi, salute e
39

perseveranza, e coraggio civile . Perseverate in que


sti santi divisamenti , nè vi sgomentino le delusioni
incontrate dai padri vostri : e fatevi forti nella cer
tezza che il trionfo del vero non è questione che
di tempo . Ma a voi permettete che io porga un
consiglio nelle ultime parole con le quali vado a
chiudere il nostro primo colloquio , consiglio che mi
induce a darvi una santa trinità di affetti , lo amore
per voi, lo amore per la patria, lo amore per la
giustizia.
Nel corso dei vostri studii, ed al primo tentativo
che farete di imbrandire la penna , voi vi sentirete
trascinati e sedotti dagli argomenti che attengono
al giure penale propriamente detto . La notomia del
delitto , il tentativo , la ragione di punire , l' estremo
supplizio, i penitenziarii , la più equa distribuzione
delle pene, sono tutti argomenti rigurgitanti di at
trattive per i giovani e nobili cuori, tutti ripieni di
un fascino per le menti più veloci ed intrepide. Nè
io vi dico che dobbiate trascurare questi argomenti,
senza la profonda cognizione dei quali non si può
essere penalisti perfetti : e tanto meno dovete tra
scurarli, poichè tuttora sorgono attorno alla Italia
genti idolatre delle tenebre del passato, che fanno
sorda e continua guerra alle conquiste della civiltà
e della Scienza : ed avverso i nefasti conati di que
sti tenebrosi vi è bisogno di vigilanti guardiani che
si mantengano intrepidi sulla breccia.
Ma soltanto vi dico che quando siate edotti in
cotesti argomenti vogliate riconoscere che intorno ai
medesimi poco rimane da aggiungere su quello che
fu fatto dai padri vostri, e che vogliate persuadervi
che quando con erculei sforzi siate giunti a com
―― 40 -

porre su queste materie un bellissimo libro vi po


*
trete chiamare fortunati se una pagina sopra cento
A
vanterà il pregio di novità interessante . Questa con
vinzione vi induca a riconcentrare la strenuità delle
vostre menti, le severe meditazioni vostre , le vostre
valorose fatiche sulla materia del procedimento pe
nale. Questo è il campo da mietere nell' attuale vi
cenda delle dottrine penali : campo ricchissimo , ed
in molti dei suoi angoli inesplorato , in altri super
ficialmente o tortamente esplorato : campo dove ri
mangono tuttora velenose spine da sradicare , e uti
lissimi frutti da mietere, senza dei quali la cultura
del giure punitivo forza è che confessi di rimanere
tuttavia alla metà del cammino a lei segnato dalla
Provvidenza. Hoc opus hic labor : questa è l'opera,
questa è la fatica che la odierna civiltà reclama ed
aspetta dalla gioventù che sorge sull' orizzonte delle
accademie e del foro . Il programma della procedura
penale secondo i dogmi della suprema ragione non
è ancor fatto, e la civiltà cristiana ne ha bisogno
urgentissimo. Questo programma è assai più difficile
1
che non fosse il primo, al quale consacrai tutte le
1
deboli forze della mia vita, perchè a quello bastava
la paziente assiduità del raccoglitore, mentre a que
sto si esige una sapienza creatrice. Il programma
filosofico della procedura penale non è ancor fatto :
nè possono tenerne le veci i lavori legislativi det
tati sotto l'incubo dei vecchi pregiudizi ; nè i com
mentarï, per quanto eruditi e dottissimi, sui diritti
costituiti, dei quali sono arricchite le moderne bi
blioteche. Il programma della Scienza penale nella
seconda sua parte, dove contempla il processo ed il
giudizio, deve sciogliere gli ardui problemi che ten
- 41 ――

dono a guarentire la tutela giuridica dei consociati


avverso le invasioni delle autorità sociali, o troppo
paurose, o troppo superbe e crudeli. Per me ormai
dalle stremate forze sono fatto certo che il deside
rio di tentare quest' opera dovrò meco portare nella
tomba. Possa tale opera compiersi da un Italiano ,
e compiersi presto, e compiersi dagli alunni miei ,
e le mie ceneri esulteranno in quel giorno nel loro
sepolcro.

Pisa 12 novembre 1873.


f

.
XVI .

UNITA DI GIURISPRUDENZA
UNITÀ DI GIURISPRUDENZA

-~ -~~

Che sia desiderabile in uno Stato la unità di leggi


penali e la unità di giurisprudenza, ella è cosa da
tutti sentita nel cuore, e ripetuta da tutti . Da più
di un secolo il pensiero dominatore degli studi dei
giuristi, la stella popolare dei legislatori progressi
sti, fu ed è il raggiungimento di quel grande fine,
e la ricerca dei modi di convertire in una realtà
della vita la aspirazione verso questa unità. A tal
fine intesero le autorità reggitrici di alcuni dei gran
di Stati dell' Europa centrale , i quali composti dello
aggregato di diverse Provincie avevano per lunga
stagione serbato differenti statuti penali : e questi
si abolirono, e un nuovo codice penale dettossi a tut
ti comune, senza avvertire alla enorme diversità
dei costumi ; come avvenne ( a modo di esempio )
nello Impero Austriaco quando nel 1852 il nuovo
Codice universale venne ad unificare nei modi delle
penalità gli Italiani ai Croati . A tal fine intesero
46

tutti coloro che caldamente propugnarono lo istituto


della Cassazione come preferibile al vecchio me
todo della terza Istanza . A tal fine intesero ed in
tendono tutti coloro che anche oggidi vivamente.
propugnano doversi avere in uno Stato, per quanto
grande, un unico Tribunale di Cassazione . Il gran
de argomento di tutte siffatte tesi è quasi esclusi
vamente questo del dovere incombente ad ogni Go
verno di procacciare a tutti i suoi sudditi, special
mente nella materia penale , unità di leggi e unità
di giurisprudenza.
Nè io voglio qui tornare allo esame speculativo
di così importante questione. Ciò che io voglio di
mostrare oggi si è unicamente una condizione tut
ta di fatto. Voglio mostrare che la unità di giu
risprudenza è un desideratum al quale invano si
spera di giungere nella realtà della pratica con la
unità di legge e con la unicità della Cassazione.
Questa mia tesi mi darebbe argomento di un vo
lume se volgessi il mio discorso sulle condizioni
della giurisprudenza nello attiguo Reame di Fran
cia. La per fermo regna un solo Codice penale : là
quell' unico codice penale si governa e s'interpetra
da una unica Cassazione. Là inoltre quella Suprema
Corte Regolatrice si costringe ad unificare la giu
risprudenza col rimedio dei giudicati a sezioni riu
nite. Ebbene cosa si ottenne ? Limitandoci al solo
argomento penale noi potremmo ricordare un nu
mero molto esteso di questioni intorno alle quali
quella unica Cassazione ha nel corso di sessanta
anni mostrato la sua costanza unicamente nel con
tradire a sè stessa : noi potremmo indicare problemi
importanti sui quali le quattro e le sei soluzioni ,
47 ——

tutte contradittorie, tutte modificative le une delle


altre, sonosi successivamente accolte ; e sempre con
la speranza che fosse detta la ultima parola, la quale
non è ancor detta colà : noi potremmo mostrare con
indubitati monumenti che i pronunciati delle sezioni
riunite sonosi criticati dalla dottrina, rinnegati dalle
Corti, e revocati ancora da successivi pronunziati
delle Camere riunite . Dimostrare tutto ciò non altro

esige che la pazienza di un raccoglitore : ma tanto


estese e molteplici sono state in Francia quelle oscil
lazioni che il semplice ricordo delle medesime oc
cuperebbe un volume.
Io voglio stringere questo scritto nei più angusti
confini possibili. Voglio limitarmi alla sola Provincia
Toscana, governata da un solo Codice penale e da
una sola Cassazione . Voglio scegliere un solo ar
gomento di divergenza : voglio, in una parola, rive
lare siffatta divergenza senza uscire dal mio scrit
toio , senza gettare lo sguardo più in là oltre i pochi
processi che giacciono sul medesimo , ed oltre i fatti
nei quali io ebbi parte.
Il punto limitatissimo che io prendo oggi a con
siderare è il seguente : quando in faccia ad un' ac
cusa di alto criminale sorge un verdetto dei giu
rati che conduce la Corte ad infliggere pena cor
rezionale, e il giudicabile non ancor pago ricorre
in Cassazione, quale è lo effetto ( ecco il problema )
di quel verdetto, di quel ricorso e del successivo
annullamento ?
Sul primo e principale effetto , relativo alla futura
condanna non può nascere divergenza nè dubbio .
Esso è determinato dalla chiara lettera della legge .
L'art. 678 del Codice di procedura penale peren
48

toriamente impone che nel nuovo giudizio non possa


al condannato infliggersi una pena che per qualità
o per durata sia più grave della prima.
Ma il dubbio e la divergenza, che sono impossi
bili circa lo effetto principale , sono pur troppo gra
vissimi e reali intorno agli effetti secondarii della
scarcerazione e della competenza.

1.° Scarcerazione provvisoria. - Tizio era invia


to alla Corte di Assise sotto l'accusa di omicidio
per moto improvviso . La pena che a lui sovrastava
era la casa di forza . Pel chiaro disposto delle ve
glianti leggi egli non poteva essere ammesso ( mal
grado qualunque offerta di cauzione ) alla scarcera
zione provvisoria. Ma la Giuria lo dichiarò respon
sabile unicamente di omicidio preterintenzionale ;
oppure di omicidio per eccesso di difesa : e conse
guentemente la Corte lo condannò a due anni di
carcere. Tizio peraltro continua a sostenere la pro
pria innocenza ; e ricorre in Cassazione. Pendente
questo ricorso, oppure pendente dopo l'annullamento
il nuovo giudizio dovrà egli Tizio continuare a pa
tire il carcere preventivo o potrà essere ammesso
alla liberazione provvisoria ? Il titolo che tuttavia
lo grava è quello di omicidio : ma la pena che a
lui sovrasta non può mai più essere superiore ai
due anni di carcere. Il titolo (direbbe un Gallicista)
è correzionalizzato : altri direbbe il crimine è ir
retrattabilmente convertito in delitto. In questa per
petua e perpetuamente risorgente lotta fra il criterio
del titolo originariamente obiettato , e il criterio della
pena non più suscettibile di aumento, chi dovrà vin
cere questa volta sul vitale argomento della prov
visoria scarcerazione ? Ecco il problema.
▬▬▬▬▬▬▬ 49 -

Io non voglio dir parola sul merito di tale pro


blema (1 ). Ho già protestato che oggi non discuto
teorie ma soltanto narro fatti. Or bene : in ordine
ad un problema che pare tanto semplice, e che par
rebbe doversi sempre risolvere con identico criterio
giurisprudenziale , il fatto è che la Real Corte di Fi
renze e la Real Corte di Lucca vanno continuamente
in due opinioni ed in due sistemi diametralmente
contrari. La prima accorda benignamente la scarce
razione provvisoria : la seconda inesorabilmente la
nega. Io non emetto parola di critica nè contro l' una
nè contro l'altra di queste Corti, che tutte ugual
mente venero per sapienza , dottrina , ed umanità . Mi
limito a denunciare lo stato di fatto ; perchè questo
conforta la mia tesi che la unità di giurisprudenza
non sempre risponde alla unità di legge penale.
E tale stato di fatto io potrei documentare, e
dimostrare permanente, con una serie di decreti
delle due Corti, emanati sempre da ciascuna di loro
.
secondo la respettiva opinione e coscienza . Ma il fatto
è saputo da tutti della Curia nostra, e nessuno può
impugnare la mia assertiva : onde mi limito a te
stificarlo con due esempi attuali , i quali altro non
sono che la più recente riproduzione di molti altri
casi consimili tutti corsi nella respettiva linea.
In faccia alle Corti di Assise si agitò non ha
guari contro due giovani Lucchesi G, e M, un ' ac

(1 ) Questo problema si è recentemente trattato da Luc


chini nel suo scritto che ha per titolo Studio degli
articoli 205 , 208 , 652 , 657 , 678 del codice di Procedura
penale, Venezia, Tipografia della Gazzetta , 1875. Ma que
sta volta nel punto di vista scientifico mi permetterei di dis
sentire dal mio amico e collega .
VOL. V. 4
50 ―

cusa per fallimento doloso. Costoro ebbero la fortu


na di essere rinviati alle Assise di Firenze. I giu
rati negarono la bancarotta dolosa ( titolo di alto
criminale ) affermarono però la frode e la banca
rotta colposa ; e la Corte condannò i due accusati
a quattro anni di prigionia per ciascheduno, pena
che più non può essere aumentata da nessun giu
dizio futuro. Ma i due condannati ricorsero in Cas

sazione ; e la Cassazione avendo cassato con rinvio ,


quei due attendono il nuovo giudizio sulla loro col
pevolezza. Ma dove lo attendono essi questo nuovo
giudizio ? Forse in carcere per ossequio al titolo
primitivo ? Mai no. Essi lo attendono nelle loro case,
ed io veggo con mia grande soddisfazione quei
miei buoni amici passeggiare liberamente per la
Città, perchè la questione della scarcerazione prov
visoria essendosi dovuta portare avanti la Real Cor
te di Firenze , questa ( seguitando la sua costante
giurisprudenza ) ordinò la liberazione provvisoria
dal carcere, renduta agli occhi di lei inevitabile e
doverosa tostochè più non eravi possibilità di pena
di alto criminale . E perciò dissi essere stata fortuna
per loro il rinvio alle Assise di Firenze .
Osvaldo Concina di Livorno fu nel 1870 inviato
alle Assise di Livorno sotto la imputazione di omi
cidio volontario ; e colà io lo difesi. I giurati respin
sero il titolo di omicidio volontario : affermarono il
titolo di omicidio preterintenzionale con sola pre
visione possibile : e la Corte inflisse al Concina due
anni ( dae e non quattro ) di prigionia. Ma il Con
cina continuò a protestare della sua innocenza, e
volle ricorrere in Cassazione da quel giudicato . Io
continuai a prestargli i miei uffici, ed aggiuntomi
- 51 -

avanti la Corte Suprema il gagliardo aiuto dell' Av


vocato Piero Puccioni, ottenemmo la Cassazione de
siderata dal nostro cliente. Dopo ciò il Concina rin
viato alla Corte di Assise di Pisa attende il suo
nuovo giudizio . Esso lo attende da più di un anno
perchè impreveduti ostacoli ( impotenza di Presi
denti, irreperibilità di testimoni ) hanno fatto andare
il nuovo dibattimento di aggiornamento in aggior
namento. Ma dove attende egli il Concina il nuovo
giudizio ? Forse lo attende a piede libero ? No ; esso
geme nelle carceri di Pisa. Invano inoltrai la tem
pestiva e regolare dimanda per la scarcerazione
provvisoria : era necessità che tale dimanda si sot
toponesse alla Real Corte di Lucca, e questa , coe
rente alla giurisprudenza da lei stabilita, decretò
non esser luogo a scarcerazione.
Tale è lo stato di fatto nel quale versa una regola
così semplice e così importante in faccia a due Cor
ti sorelle, uscite entrambo dalla medesima scuola,
e chiamate entrambo ad applicare la identica legge .
Qual meraviglia se io rispondo col sorriso dello
scettico a coloro i quali vanno cantando che la unità
di codice produce la unità di giurisprudenza ?
2.° Competenza ――――― Ora mi resta a vedere se lo
effetto sperato possa ottenersi dalla unicità di Corte
di Cassazione. In Toscana , oltre l'unico codice , ab
biamo unica Corte di Cassazione . Può egli dirsi che
abbiasi per ciò unità di giurisprudenza in materia
penale ? Un' altra volta ripeto che se volessi fare un
disteso lavoro potrei indicare molte e molte que
stioni sulle quali la nostra Corte Suprema ha do
vuto, nella sua sapienza e giustizia, trovare doveroso
di mutare opinione . Potrei ancora, rialzando un velo
52 -

che cuopre uno spettacolo di sangue , ricordare lo


esempio della cessata Cassazione del già Ducato
Lucchese, alla quale per salvare cinque teste ( che
poi caddero miseramente recise in un solo giorno )
io proponeva alcuni rimedii di nullità che avevano
la sanzione di tre concordi giudicati di quella Corte.
Ma la medesima non esitò ad esordire la sua fa
tale sentenza di rigetto con quella memorabile mo
――
tivazione che le stampe consegnarono alla storia
Considerando che sebbene con equivocato ragiona
mento abbia più volte questa Corte deciso ec. pu
re . . . . . il resto lo completò il carnefice .
Ma ho detto che voglio stringere questo scritto
nei suoi più angusti confini ; e perciò mi limito a
contemplare la proposta questione degli effetti del
verdetto correzionalizzatore.
Se Tizio fu ormai irretrattabilmente dichiarato
colpevole di un fatto che rientra nella competenza
del Tribunale correzionale ; se il disputabile nel
nuovo processo da farsi non può eccedere i confini
della verificazione di un fatto correzionale ; par
rebbe per buona logica che la Corte Suprema, cas
sando il verdetto , dovesse rinviare non più ad un'al
tra Corte d'Assise ma al competente Tribunale
Correzionale. Il decreto della Camera delle accuse
che stabiliva la maggior competenza, era una sem
plice previsione di possibilità ; previsione smentita
poscia irretrattabilmente dall'orale processo . In quel
la parte il decreto della sezione di accusa non è
più che un foglio di carta stracciato dal verdetto ,
divenuto per disposizione di legge il solo Autocrate
a favore del condannato . Parrebbe che questo si
stema fosse più conforme a giustizia, perchè se gli
53 —

aggravii della competenza superiore devono subirsi


dal giudicabile finchè è possibile che egli sia dichia
rato responsabile di un crimine, apparisce giusto
che egli più non li subisca quando la legge vieta
che ei più si dichiari responsabile di un crimine , e
rende impossibile una pena criminale. Parrebbe che
tale sistema si confortasse dai riguardi alla econo
mia delle spese : si confortasse dal supremo vantag
gio della celerità dei giudizi : si confortasse eziandio
dalla veduta di risparmiare le fatiche della Giurìa.
Mosso da tali considerazioni or sono tre anni , di
fendendo Lorenzo Fantozzi alla Corte Suprema, pro
posi la dimanda del rinvio al correzionale . Il Fan
tozzi era stato inviato per crimine alla Corte di As
sise di Lucca. I giurati con verdetto del 26 giu
gno 1867 ridussero il fatto alle proporzioni corre
zionali , e la Corte inflisse la pena di tre anni di
carcere. Non contenti di questa, benchè più mite
condanna, ricorremmo alla Cassazione : e assistiti
anche quella volta dall' Avvocato Puccioni ottenem
mo per decreto della Corte Suprema del 3 ago
sto 1867 lo annullamento del verdetto ed il rinvio
al Tribunale Correzionale di Lucca, motivato sulla
semplice osservazione che la mutazione irretratta
bile del titolo escludeva ormai la competenza della
Corte di Assise . Così il Fantozzi fu messo in salvo
dall' uragano vorticoso dell' urna ; e ricondotto in
nanzi alla giustizia che libra le colpe con la bilan
cia della ragione anzichè con le ispirazioni del sen
timento , potè vedere dai magistrati del Tribunale
correzionale di Lucca ridotta la sua condanna per
sentenza del 27 gennaio 1868 a dieci mesi di carcere.
- 54 -

Ingenuamente confesso che quel rinvio al Tribu


nale correzionale mi fece credere aperta una volta
per sempre una strada per la quale si dovesse cor
rere perpetuamente nell' avvenire in consimili casi.
Ma i casi mi ritornarono poscia, e assai frequenti ,
fra mano ; omicidii mancati ridotti dalla Giuria alle
più umili proporzioni del tentativo o della lesione ;
omicidii per moto improvviso ridotti ad omicidii
preterintenzionali, o per difesa eccedente : fallimenti
dolosi ridotti a fallimenti colposi : insomma reati di
alto criminale e di superior competenza dichiarati
non constanti ; e sostituite a quelli le più miti dichia
razioni di reati soggetti a competenza e pene cor
rezionali ; ancor queste però riportate in questione
pel reclamo del condannato e per la Cassazione
della condanna. Ma per quanto in questi successivi
casi io tentassi di spingere nuovamente il processo
futuro in quella via che era da me desiderata, e
che aveva avuto sanzione dal decreto 3 agosto 1867 ,
cioè ottenere insieme con la Cassazione il rinvio ai
Tribunali Correzionali, questi miei tentativi e que
sto mio desiderio fa sempre posteriormente deluso ,
e dovette tornarsi nuovamente in faccia ai giurati
per fatti che più non potevano assumere le pro
porzioni di alto criminale, e per titoli di reato ri
conosciuti d' indole correzionale .

Anche su questo non leggiero problema del rinvio ,


io non intendo trattare l'argomento nel suo merito .
Narro soltanto anche questo fatto, che insieme con
altri mi ha persuaso essere un pensiero tutto diafano
quello di chi vuole insinuare che un codice unico ed
una Cassazione unica diano guarentigia della desi
derata unità di giurisprudenza. Non è lo ente ideale
- 55 ―――――

quello che giudica, nè lo sono i banchi nè i seggiolo


ni ; ma gli uomini che siedono sopra questi. E i giu
dizi variando necessariamente col variare degli uo
mini, agognare la unità di giurisprudenza equivale
a cercare la quadratura del circolo .
Ed in tale convincimento, radicato in me per otto
lustri di esercizio forense in diverse Curie d'Italia,
e di studi indefessi sulle giurisprudenze straniere ,
io vengo alla conclusione alla quale precipuamente
diressi questo mio scritto : ed è la seguente . Oggi in
Italia avvi una mano di pensatori profondi e di dotti
giuristi i quali propugnano con assiduo calore la de
siderata riforma dell' unico Tribunale di Cassazione .
Io rispetto le loro opinioni : e non oso discutere le
ragioni desunte da altro terreno per le quali essi
credono dovere essere proficua all' Italia una unica
Cassazione sostituita alle quattro Cassazioni attual
mente vigenti. Ma quando fra tali ragioni odo ripe
tere ( e forse come regina di tutte ) quella del benefi
zio della unità di giurisprudenza, io mi permetto di
considerare siffatta speranza come un sogno dorato.
Dirò finalmente di più . È indubitato che al bene
di qualche individuo deve sempre preferirsi il bene
universale. Certamente a qualche individuo potrà
parer duro di subire una pena perchè fu giudicato
alla Cassazione di Napoli , mentre forse non l'avreb
be subita se fosse stato giudicato dalla Cassazione
di Torino. Ma ad altri parve anche più duro dover
perdere il capo sotto la mannaja perchè fu giudi
cato nel 1846 mentre non lo avrebbe perduto se
fosse stato giudicato nel 1840 dalla identica Corte
e sotto identiche leggi . Il bene universale peraltro
solleva a più alte regioni le aspirazioni del filosofo .
56 -

Sommo bene di una Nazione è che la scienza giu


ridica perpetuamente si svolga, si elabori, e progre
disca nella via santissima della verità. A questo
giova lo attrito delle opinioni , ed anzi ne è stru
mento indispensabile. La provvidenza , più saggia
sempre degli uomini , volle appunto che la unità e
la immobilità della giurisprudenza fosse un impos
sibile non mai raggiunto dai ciechi desiderii degli
uomini e lo volle appunto perchè volle che tutto
procedesse nella vita umanitaria per una incessante
via di progresso. E fermo in questo pensiero io
soggiungo che la unica Cassazione, la quale non
soddisfarà mai il voto inconsulto di chi desidera la
indiscutibilità e la irrevocabilità delle massime giu
risprudenziali , quando per impugnata ipotesi rag
giungesse siffatto fine, segnerebbe l'ora deplorabile
della ultima agonia della scienza.

172 iz

In appendice e complemento di queste mie os


servazioni giova ricordare ciò che la Suprema Corte
di Cassazione di Firenze ha testè deciso nel suo
decreto dell' 11 novembre 1871 ; ed ecco i termini
di questo decreto :
La Corte di Cassazione di Firenze sezione pe
nale ; visto il Ricorso interposto da Cosimo Par
dini contro la ordinanza 8 luglio 1871 della Corte
di Appello di Lucca , sezione di accusa, colla quale
gli fu negata la libertà provvisoria nella pendenza
del suo ricorso in cassazione dalla sentenza 13
maggio 1871 della Corte di Assise circolo di Pisa
che avealo condannato a 30 mesi di carcere per
omicidio oltre l'intenzione ; visti gli atti processuali ;
- 57 ---

sentita la relazione del sig. Consigliere Cav. Fran


cesco Trecci ; sentito l'Avv. Piero Puccioni difen
sore del ricorrente ; sentite le conformi conclusioni
di S. E. il sig. Procuratore generale. Attesochè que
sta Corte Suprema ha in massima stabilito che gli
accusati di crimine, i quali sieno poi condannati dal
la Corte di Assise a pena correzionale, possono es
sere ammessi al godimento della libertà provvisoria
nella pendenza del ricorso in cassazione che abbiano
interposto dalla sentenza per essi condennatoria .
Attesochè la Corte Reale di Lucca, sezione degli ap
pelli correzionali, disconobbe la massima come so
pra fermata, allorchè colla ordinanza del dì 8 lu
glio 1871 negò di ammettere al benefizio della li
bertà provvisoria Cosimo Pardini nella pendenza
del ricorso in cassazione da lui interposto contro la
sentenza della Corte di Assise del circolo di Pisa

del 13 maggio precedente, che come colpevole di


omicidio oltre la intenzione lo aveva condannato
alla pena della carcere per anni due e mesi sei.
Per questi motivi cassa la Ordinanza proferita
dalla Corte di Appello di Lucca, sezione degli ap
pelli correzionali, nel dì 8 luglio 1871 a carico
di Cosimo Pardini ; e rinvia la causa alla Corte
di appello di Firenze, sezione degli appelli corre
zionali, perchè vi sia nuovamente trattata e riso
luta a forma di ragione.

Firmati ――――――――― Z. PASQUI ff. di Presid. BANDI ―――――


F. BILLI - BORSARI -- L. CARTADE
PANI - B. PAOLI ·- F. TRECCI relat.

La Corte di Cassazione di Firenze con questo

decreto non ha fatto che ripetere un principio che


- 58 -

altra volta ella aveva già sanzionato : vale a dire


che quando un reato ritenuto dapprima come me
ritevole di pena di alto criminale, e conseguente
mente rinviato alla Corte di Assise , sia stato da
questa dichiarato meritevole di pena inferiore ( o co
me vuol dirsi correzionalizzato ) il giudicabile , il
quale ricorrendo in Cassazione mette in questione
la riportata condanna, ha quesito il diritto di con
tinuare a piede libero il cimento delle sue sorti .
Malgrado ciò Osvaldo Concina, come ho sopra
ricordato, dovette per conseguenza della giurispru
denza difforme della Real Corte di Appello di Lucca
soffrire quasi un altro anno di carcerazione pre
ventiva per aspettare nella prigione il giorno 24
aprile 1871 , nel quale la Corte di Assise di Pisa
riconobbe e proclamò la sua innocenza nell' omici
dio del quale i giurati di Livorno lo avevano rite
nuto colpevole .
Giova sperare che quest' ultimo decreto della Su
prema Corte in causa Pardini , se non vale a per
suadere gl' intelletti ormai tenacemente imbevuti
della massima contraria, valga almeno per ragione
di ossequio alla superiore autorità della Corte Re
golatrice a risparmiare ulteriori decreti reiettivi di
una liberazione che sotto ogni aspetto è dovuta.
È chiaro ormai che dove siffatti decreti fossero
denunciati alla nostra Corte Suprema sarebbe ine
vitabile il loro annullamento : e se talvolta per la
ignoranza dei detenuti o per la inesperienza dei
patroni rimanessero vivi, non resterebbe viva che
una solenne e deplorabile ingiustizia.

Pisa 20 novembre 1871 .


XVII.

F Ꭱ Ꭺ Ꮇ Ꮇ Ꭼ N T I

SULLA

Ꮲ Ꭼ N Ꭺ Ꭰ Ꮖ Ꮇ Ꮊ Ꭱ Ꭲ Ꭼ
FRAMMENTI

SULLA PENA DI MORTE

I.

Mezzo secolo di pensieri sulla pena


di morte (1).

Nei primi dieci anni del mio tirocinio preparato


rio io raccolsi la dottrina abolizionista dalle labbra
venerate dei miei maestri , e la chiusi come fede
vivissima nell' animo mio, per mere deduzioni logi
che di principii speculativi, indipendentemente dalle
osservazioni pratiche, sulle quali il giovine non è in
grado di emettere opinioni personali . A mostrarıni
illegittima la opera del carnefice bastò quello che
io tengo come unico vero fondamento della ragione
di punire. Ribelle di buon'ora alla dottrina di Ben
tham perchè immorale, alla dottrina di Hobbes
perchè disumana, alla dottrina del Ginevrino per
chè fantastica , io guardai la socievolezza come un
ordine precostituito immutabilmente alla umanità
pel suo svolgimento fisico, intellettuale , e morale . Ma

(1) Dal n. 3 del Bollettino per la sottoscrizione nazionale


per un monumento a Giovanni Carmignani .
62

se ciò bastava a riconoscere come procedente da una


legge superiore la consociazione naturale, non ba
stava a darmi ragione della società civile e della
autorità nello Stato . Anche il fondamento di questa
io riconosceva peraltro in una legge di ordine su
periore, ed era la legge morale giuridica precosti
tuita anche essa immutabilmente alla umanità. Que
sta legge non avendo in sè stessa il suo comple
mento in una sanzione presente, come lo hanno le
leggi fisiche imposte da Dio all' universo ; e non po
tendola avere, perchè ciò avrebbe tolto all' uomo la
libertà morale , e la balia di meritare e demeritare ;
bisognava la trovasse in una forza terrena onde
mantenesse i caratteri di vera legge, e non dege
nerasse in semplice consiglio . Se questa forza ter
rena non poteva trovarsi che in una autorità sovra
stante ai consociati, in lei doveva ravvisarsi la unica
.
ragione di essere dell' autorità nello Stato , la uni
ca ragione di essere dei governi , dei quali per ogni
altro fine, tranne quello della tutela del diritto , sa
rebbesi bene potuto fare a meno senza arrestare
il progresso umanitario. Lo Stato preesistente alla
legge, lo Stato creatore della legge , sono bestemmie
della tirannide : ma è vanità al tempo stesso chie
dere allo Stato ragione del diritto di punire i vio
latori della legge, quando esso è voluto ed imposto
dalla legge suprema dell' ordine al solo ed unico
fine che punisca i violatori della legge . Considerata
la pena come la necessaria sanzione della legge
morale giuridica essa era in sè stessa più che giu
stificata : nè occorreva appligliarsi alla dottrina della
espiazione nel senso ascetico, la quale audacemente
conferisce alla creatura di fango gli attributi di Dio ;
―――― 63 -

nè alla dottrina della intimidazione , la quale rin


nega la umana personalità ammettendo che l'uomo
possa farne strumento ai suoi fini ; nè il fallace so
fisma che tramuta la difesa diretta in una difesa
indiretta, e lo ipotetico in assoluto ; nè a tante altre
dottrine escogitate dai pensatori , che tutte risalgono
alla veduta empirica della utilità con la quale si
divinizza il materialismo . Ma se la pena è giustifi
cata una volta per sempre dal suo carattere di ne
cessaria sanzione della suprema legge morale giu
ridica indispensabile alla protezione dei diritti con
cessi da Dio alla umana personalità, da questo stesso
suo fondamento ne derivava per necessità logica la
sua circoscrizione . Peccava dunque del vizio d'in
tima contradizione lo ammettere che la difesa della
umana personalità si spingesse fino al punto di dis
truggere la umana personalità, tranne il caso nel
quale la coesistenza delle respettive personalità fosse
renduta impossibile per una necessità attuale e pre
sente non evitabile in altro modo. Allora bene si
comprende che la legge protettrice spinga i suoi
effetti anche alla distruzione di ciò che protegge,
sacrificando il colpevole, che viola il diritto , alla con
servazione dell' innocente, che lo reclama. Tranne
questo supremo caso del vero moderame, la legge
di protezione è legge protettrice di tutti , e non può
contradire a sè stessa ; e l'autorità terrena che ol
trepassa questo limite, abusa dei suoi poteri calpe
stando la stessa legge che a lei li ha conferiti . Fa
una visione dei potenti il credere che gl' individui
fossero creati per la società civile, e non questa per
il servizio degli individui : fu un delirio tutto diafano
e senza base il considerare nello Stato un essere
- 64 -

esistente per sè stesso e sovrastante a tutti i con


sociati, attribuendogli la potestà di tutti immolare
alle sue speranze, ai suoi bisogni, e ai suoi timori :
delirio che si rompe nell'assurdo di ammettere che
questa personalità fittizia dello Stato se si costituisce

da mille individui possa ucciderne novecento novan


tanove se tutti si rendono l'un verso l'altro colpe
voli, per lo specioso pretesto di difendere lo Stato.
Ma se tali pensieri mi bastarono a farmi acco
gliere la fede abolizionista ( e l'accolsi senza scru
polo, perchè la mia coscienza mai potè persuadersi
che la questione della pena di morte fosse una que
stione teologica ) mi rimaneva però a confermare
questa fede nello attrito delle pratiche osservazioni .
Io veniva allo esercizio dell' Avvocheria nel già Du
cato di Lucca, e mi dedicava su larga scala al pa
tronato dei rei. Là io trovava vigente il codice pe
nale Francese del 1810 , avverso il quale io dovetti
lottare dal 1831 al 1847 : il codice del 1810 conser
vato in tutta la sua pristina crudezza, dappoichè le
modificazioni benigne recatevi in Francia non si
erano accettate dai nostri Borboni ; ed anzi allar
gato con più esorbitanti rigori per ulteriori ordina
menti penali colà promulgati , che rincaravano la se
verità delle pene , ed aumentavano il numero dei casi
capitali. In quel periodo di sedici anni vidi frequen
tissime le accuse per delitti capitali : talvolta eluse
dagli sforzi della difesa, e talvolta evase dalla fuga
del reo, ma pure condotte fino alla ultima esecu
zione sopra sei teste nel giro di quei sedici anni
in una Duchea la quale contava di popolazione cen
tomila anime ; lo che, se si costituisce il rapporto di
proporzione con l'attuale popolazione del Reame
65 -

d'Italia, verrebbe a darci per ogni anno un centi


najo di esecuzioni. Ma anche nei casi più fortunati ,
dove poteva eliminarsi il pericolo della mannaja , le
pene salivano sempre colà ad alti gradi di rigore ;
ed io vidi parecchie volte prodigare la galera a vita
per il furto di pochi polli e di un arnese rusticale ;
ed i venti e i venticinque anni di galera per un
graffio recato ad un carabiniere. Qual' era lo effetto
di tanta severità ? Parlano i quadri statistici dei con
dannati all'alto criminale, che al termine di ogni
anno per ordine di quel Governo si pubblicavano e
si affiggevano agli angoli della città . I delitti ad
onta di una polizia (dicasi ad onore del vero) delle
più vigilanti, si mantenevano nelle consuete propor
zioni. Grande era il lamento dei cittadini per la
poca sicurezza delle vite e delle proprietà ; e ciò
viepiù mi persuadeva della inefficacia dello ecces
sivo rigore nelle pene, e della pena di morte in
particolare . Frequentissimo io vidi l'esempio di To
scani che venivano a commettere delitti nel terri
torio Lucchese ove questi erano puniti di morte ,
anzichè consumarli in Toscana dove avrebbero in

contrato pena più mite : e mi persuasi che il colpe


vole non calcola sulla pena mite , ma sulla impunità .
Io mi feci argomento di studio speciale la clinica
delle prigioni ; e là passava lunghe ore in colloqui
coi miei clienti avanti il giudizio , durante il giudi
zio, e dopo la condanna ; persuaso potersi appren
dere la storia psicologica del delitto meglio che nelle
Accademie o negli scrittoi di un Tribunale o di un
Ministero, nei familiari colloqui fra detenuto e pa
trono. Spesso interpellava quei disgraziati qual de
mone li avesse ispirati a recarsi nel Lucchese a
VOL. V. 5
- 66

commettere il furto, o l'omicidio del compagno di


viaggio, o la falsa moneta, rendendo in tal guisa
troppo più grave il loro pericolo : e sempre ne ot
tenni risposta avere essi ben conosciuto il troppo
celebre rigore delle leggi Lucchesi al confronto
delle limitrofe , ma avere sperato di non essere qua
scoperti. E mi era forza toccar con mano che un
grado di probabile aumento jalla impunità vince
dieci gradi aumentati alla severità della pena. Spes
so altri all'obietto che loro faceva degli indizii rac
colti dall' accusa, mi rispondevano tranquillamente
il loro delitto essere punito di morte e per una con
danna di morte non essere bastevoli quei soli indizi .
Ed io comprendeva che il facinoroso ragiona le sue
speranze d'impunità anche sulla stessa mannaja. Io
vidi in quel periodo non infrequenti i casi di sui
cidi tentati o consumati nelle carceri. Un condan
nato a morte in contumacia, si costituiva spontaneo
in mano della giustizia, e affidava le sue sorti al
mio patrocinio. Io lo rincuorava avendo la più po
sitiva certezza di poterlo condurre a mitissima pena.
Ma ( narro lacrimevole caso che tuttora mi preme
il cuore ) su quell' infelice gettavasi uno di quelli
avvoltoi che speculano sulle difese , e per indurlo ad
eleggere un altro Avvocato gli dava ad intendere
che io aveva abbandonato l'esercizio della profes
sione : e il povero Marco Bicchieri con un pezzo di
vetro si recideva la gola, e moriva. Io malediceva
alle arpie della toga, piangeva amaramente sulle
ceneri del povero Marco ; ma contemporaneamente
io doveva dimandare a me stesso se colui temeva
la morte . La stessa interrogazione dovetti farmi ad
occasione di altro mio cliente. Persona appartenente
67

a civile famiglia ; calunniosamente imputato di avere


ordinato un incendio di locale abitato , esso era inc
sorabilmente dalle nostre leggi minacciato di morte .
Esso era innocente ( e tale fu poscia chiarito in
modo luminosissimo al pubblico dibattimento ) ma
mentre si avvicinava il periodo defensionale egli
veniva trovato semivivo nella sua cella. Il tedio della

segreta lo aveva spinto a battere con impeto il capo


al chiavistello dell' uscio nella speranza di suicidarsi .
Ma salvato per provvide cure potè sopravvivere lun
ghi giorni alla propria assoluzione. Ed anco una
volta io rispondeva con un sorriso d' incredulità a
questo timore della morte, nel quale molti preten
dono trovare l' ancora che sostiene la società, ed io
non ravviso la forza di un capello .
Ma intanto sorgeva il settembre 1847 , che per
patti sovrani aggregava Lucca a Toscana. Il 12 ot
tobre 1847 la tromba del precone Pallavicini ci chia
mava alla piazza. Io udiva leggere il primo editto
che ai nuovi sudditi inviava Leopoldo Secondo . Quel
lo editto diceva che come caparra del suo paterno
regime il novello Sovrano salutava i Lucchesi con
l'abolizione della pena di morte. Da indi a poco
abolivasi la esosa legislazione di Francia, e si pro
mulgavano le più miti leggi penali Toscane . Molti
degli accusati di delitto capitale uscivano tosto dal
carcere ; molti dei condannati a morte in contuma
cia si presentavano a ricevere una pena di pochi
mesi di prigionia, giacchè la differenza fra legge e
legge era in alcuni casi nientemeno che il passag
gio dalla pena di morte a pochi anni di carcere :
tutti coloro che gemevano nelle galere ebbero dalla
giustizia di quel governo una revisione di condanna
68

che molti liberò dalla restante pena ed a molti la


rendette di gran lunga più lieve . Qual fu l'effetto
di questo momentoso cambiamento di pena ? Gli
usciti si trovarono forse imbaldanziti per tornare a
delinquere ? I facinorosi a tanta fatica frenati fino
a quel giorno si diedero forse a scorazzare più ar
diti per la nostra città ? In una parola vedemmo
noi nella nostra Provincia un accrescimento di de
litti ? Parlino i documenti officiali ; parlino i miei
concittadini , purchè non fanatici e purchè impar
ziali . Noi potemmo osservare come fatto incontra
stabile una diminuzione di reati . Capisco che questo
debba attribuirsi alla minorata pressione del gover
no sullo svolgimento delle attività individuali ; che
debba attribuirsi all' aumentata prosperità di quella
provincia, prodotto inevitabile dei nuovi ordinamenti.
Capisco tutto. Ma ciò non toglie la forza della mia
osservazione ; ciò non toglie un grado di verità alla
mia sentenza che dove allo impedimento dei delitti
non giunge la remozione delle cause, non giunge
nè giungerà mai la severità delle pene : ciò non
toglie che io possa dire avermi la esperienza mo
strato la inutilità della pena di morte. È un fatto
che fino all' aggregazione i Lucchesi ebbero nella
vicina Toscana la trista fama di gente indisciplinata
e facinorosa. Ciò si diceva a fronte scoperta dal
Conte Serristori nel suo erudito libro di stati
stica : attalchè nel 1834 un dotto Magistrato Luc
chese a confutazione di quel rimprovero leggeva alla
Reale Accademia Lucchese uno elaborato discorso
tendente a mostrare che sola causa dell' apparenza
di soverchiante fierezza dei nostri costumi appo i
costumi della vicina Toscana era la eccessiva seve
69 --

rità delle nostre leggi . E viva Dio il vaticinio del


mio antecessore potè bene avverarsi dopo il 1847 ,
quando i miei concittadini uguagliati ai Toscani
anche nel regime penale diedero prove di essere al
pari dei loro fratelli mansueti e civili.
Ma qui non arrestossi il processo dei miei pen
sieri. Io portai le mie meditazioni sulla storia con
temporanea. Vidi le migliaja di esecuzioni capitali
consumate in Francia nei primi ottanta anni del
secolo passato : vidi le ributtanti descrizioni delle
decapitazioni eseguite a Parigi . Dovetti necessaria
mente ravvicinarle ai più luttuosi avvenimenti di
quella città. Il prodromo dei Settembristi , degli scor
ticatori e dei bevitori di sangue , io lo trovei nella
folla degli infelici appiccati , arrotati, martorizzati a
sangue freddo da un feroce governo ; e nelle orgie
scandolose che circondarono il palco di Troppmann
io vidi il prodromo delle petroliere e di tutti gli
orrori dei quali è tuttora fumante quella disgraziata
città. Siffatti orrori sarebbero stati impossibili fra
noi . Non lo furono là, perchè il governo aveva edu
cato il popolo ai massacri, alle violenze , ed al san
gue. Io finii dunque per convincermi che la pena
di morte non solo era illegittima pei sommi prin
cipii di diritto ; ma che per di più era inefficace,
era inutile, era dannosa, e pervertitrice del senso
morale dei popoli : e vergai sulla mia bandiera un
motto, nel quale è assai più logica che non ne abbia
la troppo celebre facezia di Karr - è assurdo
pretendere che s' inculchi il precetto di non ucci
dere con uccidere a sangue freddo.
- 70 ――

II.

Lorenzo Gori e la pena di morte ( 1 ).

Despretz nello interessantissimo libro testè


pubblicato contro la pena di morte ricorda sulla
scorta di autorevoli documenti che alla occasione
della esecuzione capitale del troppo celebre Lace
naire, il quale era salito imperterrito sul palco, ser
bando fino all' ultimo momento il massimo sangue
freddo , scherzando con la mannaia, e deridendo il
carnefice, la polizia fece pubblicare un rapporto of
ficiale di quella esecuzione , dove si narravano cento
novelle dei pretesi segni di pentimento, e di dispe
rata trepidazione dati allo aspetto del patibolo da
quel nefando scellerato . Queste falsità credette utile.
l'autorità di venire spacciando , non già per atter
rire i futuri colpevoli ( perchè questi temono o non
temono i pericoli della pena secondo i proprj sensi ,
e non già perchè abbia tremato o non tremato un
Lacenaire od un Cartouche ) ma per ingannare gli
onesti . E gli onesti si vollero ingannare per man
tenere nell' animo loro la opinione che gli scellerati
abbiano grande paura della pena di morte. E siffatta
opinione si vuole ( anche a costo di alterare la ve
rità dei fatti ) mantenere nel pubblico al fine di
perpetuare negli animi la fede nel carnefice , ed il
pensiero ch' esso sia indispensabile come unico mezzo
possibile di arrestare i perversi nelle vie del delitto .

(1) Inserito nella Rivista di Giurisprudenza : Annali di


Giurisprudenza Italiana vol . IV, parte 3 , Firenze 1870 .
- 71 --

Queste pie frodi non sono nuove negli antiaboli


zionisti e sono un mezzo necessario a difendere la
causa loro. Perchè ( bisogna pur dirlo ) l'unico ar
gomento sul quale tuttavia si puntella il trono del
manigoldo è soltanto questo ; che il timore della
pena di morte sia l'unico freno efficace ad arre
stare le opere micidiali dei malfattori ; e per dare
a tale freno tutta la sembianza di efficacia, e di
assoluta necessità è mestiero dimostrare che i per
versi temono la morte, e non temono che la morte.
Tolto questo grande argomento l'altare del carne
fice è rovesciato. Non fa dunque meraviglia se ogni
arte, buona o cattiva, si adopera per tenerè viva
siffatta credenza.
Ma quello argomento pecca di sofisma in dialet
tica, e si adagia sopra base fallace nel fatto.
Quello argomento è falso in dialettica, perchè pec
ca del vizio di cavillazione ; poichè nel medesimo
si fa uno scambio di termini, e si equiparano come
identiche due cose sostanzialmente difformi. Le due
cose sostanzialmente difformi che con vizio logico.
si equiparano nella dimostrazione di quello argo
mento sono la paura della morte imminente ed ine
vitabile, e la paura della morte lontana ed even
tualmente evitabile. Si sono studiosamente spiati
tutti i momenti dell' ultimo giorno dei condannati :
si è fissata la lente alla loro pupilla per vedere se
ne sgorgava una lacrima ; si è tenuto conto di ogni
loro moto, di ogni detto , di ogni sospiro ; delle an
sietà con le quali firmavano i ricorsi in cassazione
od in grazia, e delle oscillazioni dei loro muscoli
allo annunzio del rigetto. E si è creduto di avere
guadagnato una vittoria quando si è potuto dire
-- 72 ―

che coloro morivano mal volentieri, e che avreb


bero preferito lo ergastolo alla forca. Con una pre
cipitata argomentazione si è concluso che dunque
per impedire i delitti era necessario minacciare la
morte. E non si è voluto comprendere che tutti
coloro i quali così tremavano all' aspetto della for
ca, non avevano ugualmente tremato alla minaccial
di quella pena .
Non si è voluto comprendere che ogni esecuzione
capitale è una prova matematica che per colui fu
inutile la minaccia del patibolo.
Non si è voluto comprendere che la società non
può trarre conforto dai tremiti dello assassino sotto
la mannaia mentre colui non aveva tremato vibran
do il pugnale. Non si è voluto comprendere mai
che il problema dei non delinquenti non si può
sciogliere se non per via di congetture arbitrarie.
Perchè mentre noi da un lato asseriamo che i non
delinquenti si sarebbero ugualmente astenuti dal
delitto per la minaccia dello ergastolo, non è pos
sibile confutarci con una dimostrazione positiva di
fatto : laddove quando gli avversarii nostri asseri
scono che i delinquenti sono trattenuti dalla mi
naccia di morte, sono confutati dalla positiva evi
denza dei fatti . Ogni opera del carnefice è una
prova della inutilità del carnefice .
uno strumento che voi non adoperate tranne
quando esso è stato buono a niente .
Dissi di più che quello argomento riposa sopra
una base fallace di fatto.
E di vero, quel timore della morte anche immi
nente non è poi tanto generale quanto si assicura.
Nella vita umana moltissimi fatti mostrano al con
- 73

trario che la morte si considera spesso come un


male minore di altri mali ; e specialmente del male
di una vita trascinata fra privazioni, e dolori .
Già la frequenza dei suicidii manifesta ogni gior
no che l'anima umana, nella infinita varietà di vi
cende per le quali traversa, preferisce spessissimo
di condannare a perire immaturamente lo involu
cro che la circonda, pur di sottrarre lui a patimenti,
o sè stessa a dolori che a lei appariscono intolle
rabili e più gravi della morte del corpo .
I motivi pei quali la capricciosa sovrana pronuncia
la fatale sentenza di morte ora saranno la miseria,
o il morbo cronico e tormentoso , od altra situazione
molesta ai sensi ; ora saranno le deluse aspirazioni
di lei medesima, o l' imminente disonore, o la de
lusa ambizione , o il mancato ricambio di ardentissi
mo affetto, od altro simile che molte e molti portano
in pace, ma ch' essa ricusa di sostenere.
E il corpo obbedisce alla crudele sentenza della
sua donna, e serve ai voleri suoi come docile schia
vo, facendosi strumento della propria distruzione ,
perchè ella possa abbandonare lui come si fa di un
amante disdegnato e rejetto, e sciolta dall' esoso vin
colo ella possa volare in seno alla eternità.
L'amore della propria conservazione è un istinto
tutto corporeo, e per ciò i bruti non si suicidano
perchè in loro non è la potenza dello spirito che
vinca lo istinto . Ma nell' uomo lo istinto è sover
chiato spesso dalla energia dell' anima, e quanto
più questa è energica, o per abitudine , o per im
pulso transitorio di fervente passione , tanto più resta
soggiogato lo istinto della propria conservazione ,
perchè l'anima divenuta prepotente nel suo egois
- 74 -

mo, vuole il trionfo della passione che in quello


istante la predomina, e lo vuole anche a costo del
pericolo, o del sacrifizio della vita corporea.
Così il predominio della passione conduce l' ani
ma innamoratasi di un delitto a spingere il corpo
a commetterlo , benchè vegga il pericolo della morte
di questo, perchè ella forma il giudizio che meglio
valga sfidare il rischio lontano della morte del corpo
anzichè tollerare le angustie fra le quali essa si
agita. E il suo giudizio è inappellabile quando è
convertito in un decreto della volontà ; il corpo ob
bedisce ; e il delitto è commesso a dispetto della
legge che minaccia la pena capitale.
Cosi altra volta lo impero della passione , o della
intolleranza dell' anima giunge a tale, che la superba
signora comanda al corpo di subire certa ed im
mediata la morte sua, perchè essa ha formato il
giudizio che per lei sia male minore il sacrificio
della vita del suo schiavo anzichè durare fra le
ansietà che la premono. E il suo giudizio è inap
pellabile ; e il corpo obbedisce ; e il suicidio si compie.
Ora chi può egli preconizzare come certo il giu
dizio comparativo che l'anima di ogni individuo
pronuncierà quando essa si troverà posta nel con
flitto fra la passione che di presente la preme e
che la sospinge a fallire contro la legge , e la pre
visione di un male futuro ed incerto che potrà in
correre come pena del suo fallire ? Come può as
serirsi in tuono positivo che in tale conflitto avrà
sull' anima dello individuo una efficacia più repel
lente la previsione del male futuro ed incerto dello
scioglimento di lei dalla vita corporea, che è un
fatto già da lei previsto come una necessità ine
- 75 ―――――――――

vitabile da compiersi più presto o più tardi ; oppure


la previsione di un male ugualmente futuro ed in
certo , consistente nello incatenamento perpetuo di
lei ad un corpo rinchiuso in una cella, e sottoposto
a continue e durissime privazioni ?
Dove sono i fatti i quali in questo campo congettu
rale autorizzino ad asserire che la prima di tali pre
visioni avrà in ciascuno individuo una forza repellen
te dal delitto, più efficace che non abbia la seconda ?
Tali fatti noi chiediamo da più di un secolo agli av
versarii nostri , ma essi non hanno ancora saputo come
produrli, e si appagano di ripetere , e poi ripetere , e
poi tornare a ripetere la gratuita assertiva : che è
quanto dire, è così perchè noi crediamo così.
Ma essi asseverando tale credenza hanno contro
di loro la evidenza dei fatti ; mentre la contraria.
credenza, la quale forma la nostra fede , non si com
batte che con un asserto .
E dico che gli avversari nostri hanno contro la
credenza che da loro si vanta la positiva testimo
nianza dei fatti, perchè ogni esecuzione capitale
mostra la insufficienza della morte minacciata come

pena, cioè, come male lontano, ed evitabile ; e quanto


più si moltiplicano le esecuzioni, tanto più si dilata
la prova di tale insufficienza
E dico di più che ogni suicidio offre un altro
fatto che viene a smentire la credenza dei nostri
avversari ; e che quanto più si moltiplicano i suicidj
tanto più si palesa la inutilità del carnefice , perchè
essi offrono una serie di fatti nei quali per il giudizio
inappellabile di tutti coloro che si suicidarono , si mo
stra in modo positivo che l'anima di tutti loro si fer
mò nel giudizio che valesse meglio affrontare non solo
-- 76 ――――

il risico futuro ed incerto della morte del corpo, ma


benanche la certezza immediata di quella morte ,
piuttostochè tollerare le angustie di una passione .
Ecco un uomo caduto nella miseria ; esso avrebbe
avuto occasione di sottrarsi ai propri guai ucci
dendo un ricco congiunto , o sgozzando un vian
dante sulla pubblica strada. Ma esso non lo ha fat
to ; ed ha preferito uccidere sè medesimo perchè
gli era insopportabile la miseria. Ecco un amante
tradito, costui poteva lusingarsi di riconquistare gli
affetti perduti, trucidando il proprio rivale ; ma non
lo ha fatto, ed ha preferito uccidere sè medesimo .
Oserete voi asserire che costoro si astennero dal
delitto, che avrebbe potuto alleviare i loro mali pre
senti, perchè ebbero paura della morte ? Certamente
la vostra fede non vi darà coraggio di spingervi
tant' oltre . Vi è forza convenire che coloro non si
astennero dal delitto per timore della morte , ma
per la prevalenza dei virtuosi sentimenti, che è la
fondamentale ragione per cui la maggioranza degli
uomini che è costituita, la Dio mercè , dai non de
linquenti si astiene dal delinquere. E vi è forza
concordare che per il giudizio inappellabile di tutti
quelli individui, la morte certa ed immediata del
corpo apparve un male minore che non gli stenti
della povertà, o lo sdegno della bella, o la perdita
dell' onore, o dell' impiego , o della salute corporea, od
altro male che fu la causa determinante al suicidio .
Dico finalmente che la credenza delli avversari è

spesse volte smentita dal giudizio inappellabile degli


stessi scellerati ai quali vuolsi da coloro imprestare
tanta paura della morte lontana ed incerta. Ed ec
comi a Lorenzo Gori.
- 77 -

Leggesi alla colonna 12 del Corriere Italiano


del 1. luglio 1870 ( n . 182, anno VI ) quanto segue :
Una gravissima causa si è agitata in questi gior
ni in Siena avanti la Corte di Assise presieduta
dal Cav. Mori - Ubaldini, e con l'intervento del
l'Avv. C. Paglicci sostituto procuratore del Re.
Con la trattazione della medesima si è svolto, e si
e anche fatalmente compiuto un tristissimo dram
ma. Certo Lorenzo Gori di Colle ( Circondario di
Montepulciano ) di anni 25 , di natura triste e mal
vagia manifestata fino dall'infanzia, condannato
più volte per furto, era accusato di latrocinio per
avere nel 20 novembre 1868 assassinato un suo
zio paterno uccidendolo con circa trenta colpi di
trincetto da calzolaio allo scopo di derubarlo.
Dopo un lungo, e laborioso dibattimento durato
più giorni, nel quale l'accusato affettando più volte
una ributtante indifferenza si è mostrato astutis
simo nel difendersi, giovedì sera al seguito del ver
detto dei giurati fu dalla Corte condannato alla
pena perpetua dell'ergastolo .
Questa sentenza fu accolta da lui con la usata
freddezza, e coll' usato disprezzo, mentre sembra
per altro che la disperazione, o il rimorso andas
sero fieramente ad assalire il suo animo . Infatti
sabato mattina fu trovato morto nella sua prigione
per essersi impiccato alla ferriata della medesima,
facendosi laccio delle calze, e dopo di avere con
dei fiammiferi vergate su di un pezzo di carta le
sue ultime disposizioni di volontà.
Vi sono dei fatti più eloquenti di qualsisia ragio
namento . Se vi sono dei condannati a morte che
78

preferiscono a quella lo ergastolo ; avvene pure


che preferiscono la morte allo ergastolo.
Allo annunzio della sentenza Gori probabilmente
parecchi di coloro i quali non trovano nella propria
borsa altra moneta da spendere tranne la corda o
la scure, avranno rotto nelle consuete lamentazioni
sopra la cecità dei toscani i quali si ostinano a non
volerne sapere del carnefice. Essi avranno con tutta

probabilità ripetuto ciò che è il loro luogo comune


ad ogni delitto atroce che si commette in Toscana.
Ecco i frutti dei vostri pregiudizi, delle vostre al
lucinazioni, del vostro umanitarismo ? Se il vostro
codice penale avesse minacciato un bel capestro
contro il latrocinio, lo infelice zio del Gori non sa
rebbe stato barbaramente trucidato perchè Lorenzo
Gori avrebbe avuto paura della pena di morte.
Decisamente bisogna far del bene a questi cicchi
anche a loro dispetto, e restituire la sicurezza
della vita di questi poveri illusi riconducendo il
boja a Firenze .
Costoro si saranno dati al placido sonno inebrian
dosi della lusinga di essere i taumaturghi apporta
tori della luce in Toscana, tutti contenti di quello
avvenimento . Ma alla dimane trovarono che Lorenzo
Gori aveva dato una solenne mentita a loro, ai loro
confratelli, ed al loro falso vangelo secundum car
nificem . Lorenzo Gori col formarsi tranquillamente
un capestro delle proprie calze e strangolarsi , aveva
mostrato loro quanta sia la paura che hanno della
morte corporale le anime scellerate . Esso aveva
pronunciato il suo giudizio inappellabile , dicendo , io
temo più l'ergastolo che la morte.
―――― 79

Il giornalista dà un accenno ai rimorsi del Gori :


ma questa parola caduta dalla sua penna non è da
pigliarsi sul serio ; perchè non si sa davvero come
possa qualificarsi una sinderesi la quale si estrin
seca con la perdita eterna del corpo e dell' anima .
Il rimorso che assalse Lorenzo Gori fu unicamente

quello di non essere riuscito a tenere occulto il pro


prio reato. I suoi calcoli erano, come quelli di ogni
premeditato colpevole , le speranze della impunità .
E tanto è lungi che a complemento dei suoi calcoli
vi stasse quello di non patire la morte , quanto è
certo che invece vi stava il calcolo opposto quello
cioè di procacciarsi ad ogni evento la impunità col
darsi con le sue mani la morte. Quindi la cinica,
intrepidezza di quel malvagio fra i pericoli del pro
cesso. La sua anima depravata era ferma nella pro
pria determinazione : essa era certa di non subire
pena alcuna per il misfatto che andava a compiere.
La legge col porre innanzi ad anime di siffatta
tempra la minaccia della pena di morte niente gua
dagna. Con ciò essa aumenta di parecchi gradi di
probabilità le speranze di impunità nel primo espe
rimento ; perchè in faccia ad una pena irreparabile
è più facile che i giurati rimangano esitanti a pro
ferire il fatale sì . E quando la speranza del colpe
vole fallisca alla prima prova d'impunità, la legge
che gli promette di ucciderlo fa viepiù certa l' anima
sua che rimarrà impunita, e al pauroso pensiero di
una morte impenitente le sostituisce una morte del
corpo circondata di virtù espiatrici, e dalla speranza
della redenzione dell' anima.
Io ebbi sempre questo pensiero che la morte fosse
la impunità del colpevole : perchè il colpevole non
- 80 --

è il corpo, che fu del delitto strumento cieco e passi


vo, ma l'anima scellerata che volle il malefizio , e
spinse il suo materiale strumento ad eseguirlo. Ora
voi con la vostra mannaja punite il corpo, che non
è responsabile , e aberrando nelle ire vostre lasciate
senza pena l'anima rea che fu la sola colpevole .
Finchè voi chiudete il malfattore in una cella sot

toponendo il suo corpo alle più dure privazioni e


mantenendone con ogni cura la vita perchè la espia
zione duri il più lungo tempo possibile , voi avete la
positiva certezza che l'anima delinquente sarà pu
nita , e patirà lunghi dolori ed angoscie , che forse
la condurranno a deplorare il suo fallo ; sia pure
quanto vuolsi indurata quell'anima, essa dopo sei
mesi, dopo dieci , dopo venti, converrà bene che una
volta si fiacchi sotto la vostra mano, e riconosca la
superiorità della legge .
Ma quando invece uccidete il corpo innocente , e
sciogliete l'anima scellerata dalla carcere terrestre
consegnandola alla misericordia divina, voi siete be
ne audaci ed illusi se menate vanto di avere punito
chi fu colpevole . Voi invadete l'arcano di Dio : mi
seri vermi, voi non sapete se il colpevole ottenne
una pena od un premio .
Voi pigliaste la eredità del supplizio dai popoli
che non credevano alla immortalità dell' anima , e
non vi accorgeste che la fede novella aveva tramu
tato il supplizio in una liberazione .
So bene cosa rispondesi a queste verità che la
fede cristiana rende inoppugnabili . Niente interessa
a noi ( ci rispondono ) che il colpevole espii o non
espi il suo delitto : niente ci cale che non abbia
tremato alla minaccia del capitale supplizio : niente
- 81 -

ci cale se egli muore di buona voglia, od anche


con desiderio . Noi non lo uccidiamo per punire lui ;
vada egli a perdizione o a salute eterna, questo
non si riguarda. Il colpevole non è che uno stru
mento ai nostri fini : noi lo uccidiamo per atterrire
gli altri: ecco la grande parola . E per atterrire gli
altri abbiamo bisogno di ucciderlo. In tal guisa si
corre in un perpetuo circolo , e mentre il colpevole
col delinquere vi ha dato manifesta prova ch' egli
non temette la morte ( la morte minacciata come
evento lontano, e possibilmente evitabile ) e poscia
con la sua indifferenza in faccia al patibolo vi ha
dato novella prova di non temere neppur la morte
imminente ed inevitabile ; voi vi ostinate a supporre
che gli altri scellerati simili a lui temeranno quella
.
morte, e quella minaccia ; perpetuamente sostituendo
in siffatto modo la pertinacia di una affettata cre
denza alla smentita che i fatti positivi oppongono
a tale credenza.
Ma se vogliamo dai fatti , e non dalle congetture
arbitrarie apprendere quanto siavi di verità in que
sto terrore che si suppone eccitato nel popolo da
una esecuzione capitale, volgiamo lo sguardo dalle
carceri di Siena, e portiamolo su Parigi ; e contem
pliamo il supplizio capitale di quella belva ch' ebbe
nome di Tropmann .
Voi dite che niente vi cale se Tropmann non
ebbe timore della morte minacciata ai colpevoli :
voi dite che niente vi cale se Tropmann affrontò
la mannaja con intrepido volto , senza dar segno di
pentimento o dolore : voi recideste quel capo perchè
il popolo tremasse , e ciò vi basta .

VOL. V. 6
- 82 _____

Ma questo popolo che voi voleste atterrire, ha egli


risposto veramente ai calcoli vostri con lo atterrirsi ,
oppure egli ha dato vita ad un nuovo fatto che
un' altra volta smentisce le vostre previsioni ? Io
non voglio ripetere la descrizione che tutti i gior
nali di Francia unanimi riprodussero di quello spet
tacolo scandaloso ed osceno di una plebaglia che
si affolla intorno a quel palco, non già commossa
e compunta, ma trasmodando negli eccessi degli
scherzi, dei motteggi , dei canti , assiste a quella ese
cuzione come se si trattasse di una delle più buf
fone rappresentanze teatrali , e converte quella riu
nione in una orgia, in uno stomachevole baccanale .
Tutti abbiamo letto la descrizione di quella scena,
e senza amareggiare il cuore non potremmo ripe
terla. Basti il ricordare che lo spettacolo di quella
plebaglia fu tanto contrario a ciò che avrebbe vo
luto il legislatore, che la stessa aula legislativa se
ne commosse ; e gli onesti ed imparziali pensatori
sentirono il bisogno di una riforma .
Disinganniamoci una volta da una credulità che
parecchi secoli di esperienza hanno mostrato iper
bolica. La pena di morte non atterrisce gli scelle
rati. Se voi volete uccidere un colpevole per di
struggere un nemico sociale dal quale non sia pos
sibile in altro modo difendere la sicurezza dei buoni ,
uccidetelo pure. Voi siete nel vostro diritto ; e l' uc
cidete legittimamente , allo stesso modo come io le
gittimamente ucciderei l'assassino dal quale non
potessi altrimenti salvare la vita mia.
Ma non pretendete di dare a credere che legit
timamente uccidete il delinquente per far paura ai
signori assassini , giacchè i signori assassini vi ri
―― 83

spondano ogni giorno ch'essi non hanno paura , nè


della vostra minaccia, nè della vostra mannaja.

Granaiola, 1 agosto 1870.

III.

LETTERE

AL COMMENDATORE PROF. AVV. P. S. MANCINI ( 1)

1.a

Onorevole Presidente

Al suo invito di intervenire personalmente al


prossimo Congresso giuridico, mi addolora dover
rispondere che le condizioni di mia salute me lo
rendono assolutamente impossibile . Sarò al Con
gresso col desiderio e col cuore, ed i miei voti farò
presenti a lei ed agli illustri congregati con queste
brevissime linee.

Il primo ed il più importante argomento che do


vrà occupare il Congresso , suppongo che sarà quello
dell' abolizione della pena di morte . In ciò il mio
voto è ormai di pubblica ragione, ed ogni volgere
di anno , ed ogni rinnuovamento di esperienze con

(1) Inserite fra gli Allegati alla Relazione sulla Tesi 1 .


al Primo congresso Giuridico Italiano in Roma , Roma , 1872 ;
pag. 103.
84

ferma e fortifica le mie convinzioni. Quella stessa


frequenza di atroci delitti, che attrista le provincie
nelle quali si conserva l'opera del carnefice , anzichè
offrire ragioni per conservarlo, dà assoluta ragione
di bandirlo per la sua dimostrata inutilità. Ove ciò
altro non fosse che uno esperimento, sarebbe sem
pre un consiglio che avrebbe la sua autorità nella
storia ; sarebbe il consiglio di Livia ad Augusto
quando perorò la grazia di Cinna . Augusto fatto
bersaglio di continue e ripetute congiure dannava
a morte i congiurati e le congiure si rinnuovavano .
La savia donna ricordò al marito che dove un ri
medio non giova deve adoperarsi il contrario. Augu
sto graziò, e le congiure cessarono.
Ma un congresso di dotti non ha bisogno di tali
argomenti che al solo fine di combattere gli empi
risti. Un congresso di dotti ha nelle supreme ragioni
del diritto quanto basta per proclamare non la sola
inutilità, ma anche la ingiustizia della pena di morte .
Questo voto lo chiede la scienza , e lo chiede alta
mente l'onore d'Italia .
L'altro argomento, sul quale senza dubbio dovrà
fermarsi il Congresso, è quello della custodia pre
ventiva, prodigata dopo il 1866 nel Reame d'Italia
.
in un modo esorbitante, intollerabile e pauroso . Una
riforma su questo argomento è dimandata altamente
non solo da riguardi economici e da . principii di
giustizia, ma ben anche dal sommo interesse di non
demoralizzare il popolo . Io guardo principalmente la
questione sotto questo punto di vista, ed affermo che
la moltiplicazione delle custodie preventive conduce.
il popolo alla indifferenza ed al disprezzo del car
cere ed alla più deplorabile demoralizzazione . Que
Jus 85

sta mia fede manifestai al Congresso carcerario


governativo , tornai a presentarla al Congresso di
Londra, ed ora ne ripeto la manifestazione allo il
lustre Consesso da Lei degnamente presieduto . Ove
ricorrono indeclinabili ragioni di gravi pericoli per
la giustizia e per la pubblica sicurezza, la custodia
preventiva è un male che la necessità obbliga a
tollerare. Ma lo spreco insensato, che se ne è fatto
e se ne fa dopo il malaugurato Codice del 1865, non
ha nessuna ragione che possa giustificare la effre
natezza di tanto arbitrio : il quale ad ogni giorno
che si prolunghi viene sempre aumentando la de
pravazione del popolo.
La speranza che questi miei pensieri trovino un
eco gagliardo fra i sapienti riuniti nel Congresso
mi allevia il dolore di non potervi personalmente
intervenire .
Un saluto ai confratelli, un evviva all' Italia ed
al progresso civile , una reverenza di sentita stima
verso la sua degna persona.

Pisa 16 novembre 1872.

2.a

Onorevole Collega

In obbedienza al suo Telegramma mi sono sotto


posto pazientemente alla lettura di quanto l'Ambro
soli ( dopo che, rinnegato il primo voto , subì le in
spirazioni patibolari ) consarcinò con accorta scelta
―――― 86 -

nel suo Volume, pel quale io non avrei al certo ri


petuto il Vagliami di Dante.
Ma per quanta attenzione io vi abbia posto non
mi è riuscito trovare un argomento generale , al
quale i nostri non abbiano già dato replica, e che
non incontri splendida confutazione nella magnifica
orazione da Lei pronunziata alla Camera subalpina.
Soltanto trovo sopraggiunti tre argomenti spe
ciali alla questione Italiana ; e cioè 1. il voto pre
ponderante emesso dalla nostra magistratura a fa
vore del carnefice, 2.º le attenuanti , 3.º gli ostacoli
di diritto internazionale .
1. In quanto al primo argomento speciale che si
vuol desumere dalla prevalenza dei voti della Ma
gistratura Italiana a favore del carnefice ha rispo
sto magnificamente e concludentemente il G i uria
ti nell' aureo suo scritto sulla materia, nè so cosa
possa dirsi di meglio. Soltanto ricorderò che anche
a Maria Teresa la magistratura Italiana rispose che
l'abolizione della tortura avrebbe reso impossibili
i processi, e convertito l'impero in una selva di
delinquenti. E questa è storia.
2. La maggior parte dei nostri oppositori fanno
gran forza sulla panacèa delle attenuanti.
Le attenuanti impediranno gli errori giudiciarii .
Le attenuanti riveleranno la opinione pubblica.
quando siasi dichiarata avversa alla pena di morte.
Le attenuanti renderanno nominale il ritorno del
carnefice in Toscana .
Tutto si ripara con le attenuanti.
Per questo è appunto l'argomento che io non so
se debba dire piuttosto cinico che sofistico , o piut
tosto sofistico che ipocrita.
dcam 87 ―

Se avete fede nella necessità del patibolo perchè


lasciate la obbedienza a questa necessità alla ventura
di sei Giurati di cuore pietoso ?
È dessa giustizia quella giustizia che consegna
la vita di un uomo alla sorte ?
E chi non sa che con i Giurati si è tolta dalla
figura della giustizia la bilancia di mano per sosti
tuirvi ľurna ? Può credersi in buona coscienza che
otto Giurati rivelino la opinione pubblica : o piuttosto
non si fa qui una poesia ? Non è un abusare della
statistica l'osservare che i Giurati attuali hanno
escluso le attenuanti in 14 o 20 cause capitali, senza
calcolare la debita proporzione delle cause capitali
dove l'hanno ammessa ?
Perchè deve trovarsi il voto della maggioranza
Italiana nei 14 Collegii severi anzichè negli altri 86
che ammettendo le attenuanti manifestarono la opi
nione contro il carnefice ?
Non è un abusare della statistica affermare la
prevalenza di una opinione nel Reame d'Italia su
ciò che ha fatto una città od una provincia, senza
tener conto delle altre cento città ?
Si può in questa sognata rivelazione della opinione
pubblica non tener conto della epurazione delle li
ste dalle quali si escludono volentieri gli abolizio
nisti più pronunziati ?
Si può aver fede nelle attenuanti quando si man
tiene la ricusa del Pubblico Ministero, il quale cre
derà sempre proprio dovere quello di ricusare nelle
cause capitali otto abolizionisti ?
Il salvaguardia delle attenuanti agli occhi miei
niente conclude come argomento, e niente giova
come riparo al male che si minaccia.
88

Ma avverta che gli oppositori con un finissimo


artifizio avrebbero ( molti almeno fra loro ) congiun
to la proposta di mantenimento del patibolo con la
proposta dell' abolizione dell'ergastolo : e perchè ciò ?
Latet anguis in herba. Questo è un artifizio per
rendere più rara l'applicazione delle attenuanti :
perchè i Giurati, che facilmente le accorderebbero
quando la morte si cambiasse in ergastolo a vita,
sentiranno repugnanza a cambiarla in una reclusione
temporaria. E qui si rivela la ipocrisia , perchè da
un lato si finge di avere fiducia e desiderio delle
attenuanti, e dall' altro lato si propone il mezzo più
sicuro perchè siano applicate rarissimamente. Io ho
sempre detto, e sempre dirò, che per logica bisogna
venerare gli antichi feroci criminalisti. Essi crede
vano in buona fede alla necessità del patibolo, e
coerenti a sè medesimi scrivevano lunghe disser
zioni per dimostrare che il Re non poteva fare uso
del diritto di grazia a favore dei condannati a morte;
ed in molti reami si faceva giurare il Sovrano che
mai avrebbe fatta grazia a certi più odiati delitti.
Questa era logica. Perchè in principio astratto si
toglie l'assurdo che un uomo sia arbitro della vita
dell' altro uomo : e nel punto di vista pratico si
toglie ai colpevoli una grande speranza di evitare
la morte col negare l'esercizio della grazia. Oggi
invece sulle orme dei Francesi tutto è terapeutica ,
tutto è empirismo nel giure penale . Si afferma ne
cessario il patibolo , e si dà a sei privati cittadini il
diritto di grazia . Si afferma la necessità di mante
nere la forza intimidativa del patibolo, ed oltre alla
grazia Sovrana si istituisce , per evaderlo, la speranza
della grazia di sei privati. Si grida che dai giurati
89

si vuole giustizia, e si dà loro balia di annullare


l'articolo di legge che vorrebbe la morte. Si inter
dice ai Giurati di pensare alla pena, e poi si ha
la temerità di asserire che gli uni hanno ammesso
e gli altri hanno negato le attenuanti, perchè quelli
erano avversi e questi amorevoli pel supplizio ca
pitale ; lo che è quanto dire che si suppongono i
giurati tutti spergiuri ; anzi si consigliano dai nostri
oppositori a spergiurare , perchè mentre si fa pre
stare loro lo esplicito giuramento che niente pen
seranno alla pena, si aggiunge loro che se aborrano
dalla pena di morte ammettano le attenuanti . Cose
tutte e contradizioni che farebbero ridere se non
fossimo in argomento di sangue . Ma prese sul serio.
farebbero dubitare che anche i più elevati ingegni
di Italia manchino affatto di logica se non si ricor
dasse che anche gli uomini sommi smarriscono
talvolta la logica quando la mente loro è turbata
dalla paura ed invasata da uno spirito di parte.
Ma queste aberrazioni di ragionamento non hanno
che una sola genesi. Lo accatto delle idee dai mo
derni criminalisti Francesi, ed in specie da quelli
fra loro che ambiscono al non invidiato titolo di
uomini pratici. Uomini che riuniti sotto il sole ri
sorto della libertà in una assemblea, nel 1832, per
riformare il peggior codice che mai vedesse la terra,
non seppero altro fare di meglio che consegnare ai
giurati la balia della riforma mediante le attenuanti.
Ripiego il più irragionevole che potesse idearsi ,
perchè impedisce sempre al popolo la conoscenza
del gran dilemma se siasi amministrata giustizia
od usata pietà . Ma in quelli uomini anche questa
mostruosità era sempre logica, avvegnachè essi re
- 90 ――――

cisamente negassero la esistenza di una scienza


penale, e francamente affermassero ( come tuttavia
si afferma colà da molti che vanno pure per le cime )
che la dottrina penale non è che una terapeutica,
un ' arte che non ha principii assoluti : ed in tale
credenza mettono i rappezzi all'abito secondo che
varia il colore dell' abito.
Si corra dunque tutta la linea, e non si resti a
metà. Se per sostenere il palco minacciato si vuol
ricorrere a questa sorta di argomentazioni non si
resti a metà. Ma giungendo al punto di partenza
di quella linea si proclami come pietra angolare
del nuovo codice punitivo che non esiste scienza
penale. E questa vituperosa bestemmia si insegni
alla Italia ; all' Italia che fu gloriosa madre di
quella scienza .
3. Ma se invece si ha ferma coscienza di questa
grande verità, si mantenga la gloria della iniziativa
alla piccola Italia, e non si ascoltino le voci meti
colose di alcuni dei nostri oppositori, i quali spin
sero il fanatismo fino al punto di dire che alla
piccola Italia è disdicevole farsi maestra alle più
grandi nazioni che le sono a contatto ; che si farebbe
un oltraggio a quelle, ove si abolisse il carnefice
non abolito da loro ; e che si violerebbe con ciò il
diritto internazionale, rinnegando così il primato
italiano nel progresso civile.
Quando per sostenere una causa che dovrebbe
discutersi a termini di pura giustizia si scende nel
fango dello empirismo facendosi appoggio delle at
tenuanti, o si monta sul cavallo Pegaseo cercando
appoggio nel diritto internazionale, la causa che ha
-- 91 -

bisogno di tali ausilii e di tali difensori può dirsi


ormai giudicata .
Ma continuando a cercare in quel volume le
nuove obiezioni speciali che sonosi accampate con
tro l'abolizione della pena di morte in Italia , un
altra se ne incontra, la quale ( poichè parte da una
base di verità ) non deve essere trascurata. Essa
procede dalla contemplazione della pena da surro
garsi. alla morte .
4. Da alcuni si è detto che lo ergastolo surro
gato alla morte non offre sicurezza per la facilità
delle fughe .
È vero pur troppo che in alcune provincie d'Ita
lia si veggono frequenti esempi di fughe di dete
nuti , e sempre dei condannati più facinorosi e più
terribili, fughe che a noi Toscani pajono favole . Ma
quali sono le cause di ciò ? O i locali od il personale.
I locali, perchè si mantengono carceri disadatte e
mal sicure ; il personale, perchè da un lato si scel
gono all' ufficio di guardiani uomini o inetti o mal
vagi ; e dall' altro lato ( e questa è una gran piaga
d'Italia ) per una malintesa economia non si paga
no come sarebbe dovere . E il non pagarli porta du
plice sconcio : l'uno è che gli uomini valenti non
accettano uffici così penosi e così male retribuiti :
l'altro è che i guardiani mancando di pane cedono
facilmente alla tentazione di premi .
Ma tutto questo non è cosa assoluta ed inevita
bile. Costruire nuovi ergastoli , e costruirli solida
mente, e con ben composto disegno, in guisa da
rendere impossibile le evasioni ; e corredare gli
ergastoli di un personale onesto e giustamente re
tribuito, prudentemente vigilato, e seriamente mi
――――― 92 -

nacciato in caso di mancanza . Questo è ciò che può


e deve farsi , e la obiezione è caduta . La frequenza
delle fughe è dunque in mano del governo di to
glierla e lo è più negli ergastoli penitenziarii che
non lo sia nelle galere o nelle prigioni promiscue.
Ciò che altamente dimanda il progresso civile lo
reclama anche la pubblica sicurezza , voglio dire la
riforma carceraria ; e questo dopo la difesa esterna
è il primo dovere del governo. Nè può ammettersi
che un governo, per mantenere l'opera esosa ed
inutile del carnefice , si faccia pretesto della propria
oscitanza nell' adempire un sacro dovere .
Certo è che lo asserire impossibile la costruzione.
e l'ordinamento di ergastoli dai quali non si fugga ,
è una vera iperbole. È un sofisma con il quale da
uno stato di fatto vizioso e mutabile si vuole ar
gomentare un assoluto ; è una jattanza che non
dovrebbe suonare sulle labbra di uomini governa
tivi, e che è smentita da una esperienza assai lunga
che hanno dato di loro i penitenziarii toscani .
Aggiungo che dalle informazioni presentate alla
prima Commissione sarebbe risultato esistere in
Italia locali , già disposti ad ergastolo o riducibili
agevolmente , quanti ne possono occorrere al bisogno
delle pene supreme.
Aggiungo ancora che questo ragionamento suo
nerebbe come altamente ingiusto ai Toscani, i quali
con sacrifizio loro sopperirono alla erezione di sta
bilimenti penali , donde ( viva Dio ) i condannati
( non parlo delle tuttora infelici carceri giudiciarie )
non fuggono ; e che non potrebbero menar buona.
la infausta novella : anche voi dovete pigliarvi il
- 93

carnefice, perchè le altre provincie non hanno pri


gioni sicure.
E finalmente concludo che questo argomento
niente fa ostacolo alla proclamazione del principio
anche nelle altre provincie.
Questo è ciò che ho creduto trovare di nuovo e
meritevole di osservazione nel volume che ella mi
ha invitato ad esaminare . Tutto il resto non esce
dai termini delle cose già dette e discusse ; e se
qualche altra novità mi è sfuggita, rifletta che nei
tre giorni da lei assegnatimi era impossibile di fare
di più .
Ho l'onore di ripetermi con alta stima e profon
da reverenza .

Pisa 24 Novembre 1872

IV.

Abolizione della pena di morte : Considerazioni


del Dott. Antonio Buccellati , Professore
ordinario di Diritto Penale nella Università di
Pavia ec. ec. - Roma, Milano, Napoli, Stabili
mento del Dott. Francesco Vallardi Tip. Edito
re 1871 (1).

Il Professore Antonio Buccellati , già


benemerito della scienza penale, ha dato in questo
piccolo libro di sole 96 pagine un nuovo saggio
della profondità delle proprie vedute , e del fino ac

(1 ) Articolo bibliografico inserito nella Nuova Antologia ,


vol. 18, pag. 889.
94

corgimento col quale sa rendere interessanti ed


utilissimi tutti i lavori suoi .

Questo libro, a prima giunta, ha l'aspetto di un


lavoro di occasione . Ma realmente è un monumen
to scientifico .
L'autore prende le mosse dalle vicende che ha
subito la quistione della pena di morte in faccia
al Parlamento Italiano, ed alla imminenza del nuo
vo agitarsi di tale questione a causa della proposta
di un nuovo codice penale Italiano, che sta per farsi
dall'attuale Ministero. Rapidamente scorrendo le
passate oscillazioni, e tributando i debiti elogi al
Ministro de Falco, egli ricorda che se l'abolizione
della pena di morte, deliberata con notevole mag
gioranza alla Camera dei Deputati nel 1865 , fece
naufragio al Senato , ciò derivò unicamente dallo
essersi quel deliberato posto innanzi senza la con
temporanea surroga di altra pena da sostituirsi alla
capitale. Mostra perciò come fosse logica conseguen
za di quella scissura il divisamento di formare un
nuovo codice penale comune a tutta l'Italia che
completamente riordinando la scala penale rispon
desse alle obiezioni del Senato : e come da ciò aves
se origine nel gennaio del 1866 la nomina reale di
una Commissione incaricata del nuovo progetto , la
quale e per le sue origini e per gli uomini che
vennero chiamati a comporla ebbe ( secondo il Buc
cellati ) i caratteri di Commissione Parlamentare.
Ricorda che il primo lavoro di quella Commissione ,
eseguito sulla base del primo progetto De Falco ,
fu dal Ministro guardasigilli fatto circolare e sot
toposto alle supreme magistrature del Regno, le
quali facendone argomento di serii studi vi porta
-- 95

rono sopra le loro osservazioni che per ordine del


Ministro furono pubblicate a stampa e rinviate alla
Commissione. Ricorda come la Commissione nel
secondo anno dei suoi lavori ( temporaneamente in
terrotti per l'anzidetta circolazione ) facesse tesoro
di quelle osservazioni della magistratura ( e di altre
che pur si erano procacciate per cura del Ministero
dai più illustri criminalisti del Regno ) per compiere
l'opera propria, presentando nel giorno 17 mag
gio 1868 il suo definitivo schema di codice.
A questo luogo l'autore non può astenersi dal
notare che il Ministro De Filippo in tal momento
mostrossi uomo che va senza sapere dove va quando
invece di spingere senza più al Parlamento il pro
getto della Commissione , lo avviò ad una seconda
circolazione e richiamo alle Magistrature del Regno.
E non può astenersi dal notare che il successivo
Ministro Pironti , al quale vennero respinti dalla
Magistratura i relativi lavori , avrebbe dovuto per
le regole costituzionali presentare senza più al Par
lamento il Progetto o le critiche , affinchè sull' uno
e sulle altre esercitasse il suo supremo giudizio
l'autorità legislativa. Laonde l'autore non cela la
sua disapprovazione del fatto di quel Ministro di
avere invece consegnato il giudizio sulle divergenze
fra la Commissione Parlamentare e la Magistratura
ad una Giunta Ministeriale di pochi individui da
lui creata. L'opera di questa Giunta, che il Buc
cellati chiama officiale, e che si estrinsecò col
rifare da capo a fondo in ottanta sedute un nuovo
schema di codice , non ha ( secondo il Buccellati )
verun carattere di autorevolezza , e non è il lavoro
sul quale possa costituzionalmente richiamarsi lo
96

esame del Parlamento, al quale invece dovrà ( a


parer suo ) sottoporsi il Progetto primitivo insieme.
alle critiche fatte al medesimo. Il primo progetto
nato per eccitamento della Camera dei Deputati, e
sulla presentazione del quale la Camera anche po
steriormente è tornata ad insistere, è un fatto che
non si può distruggere a volontà di un Ministro :
e non si può togliere alla Camera il diritto di esa
minare e giudicare quel fatto.
1
Fin qui il lavoro del Buccellati non sarebbe
che un libro di famiglia tutto relativo alle nostre
questioni parlamentari e poco o niente alla scienza .
Ma da quello esordio il Buccellati piglia oc
casione di trattare in merito la questione della le
gittimità della pena di morte, e la combatte nel
punto di vista filosofico con i più solidi argomenti.
Esso appartiene alla scuola radicale, quella cioè
che non fa del supplizio capitale una elastica que
stione di opportunità, ma una questione di potestà.
Non si addice ad un cenno bibliografico un più
largo sviluppo di questo insigne lavoro, e perciò ci
astenghiamo da qualunque analisi dei ragionamenti
dello scrittore . Soltanto ci piace raccogliere in que
sto scritto qualche osservazione speciale , e ci piace
additare i pensieri che scaturiscono dal libro stesso
guardato nel suo insieme e nel suo proprio essere .
In primo luogo vuolsi notare che il Buccel
lati , dottissimo canonista quanto acuto filosofo,
non esita di respingere lo errore di coloro che della
questione della pena di morte vorrebbero farne una
questione teologica.
In secondo luogo vuol essere ricordata ad onore
di Italia la perentoria confutazione che Buccel
97 ――――

lati fa del recente sofisma, altrettanto temerario


quanto falso, col quale si è preteso negare che la
maggioranza degli Italiani sia avversa alla pena
di morte . Noi ( dice il Buccellati ) per affer
mare che la coscienza prevalente degli Italiani abor
re dal carnefice abbiamo un monumento solenne
ed irrecusabile . Abbiamo il pronunciato della Ca
mera dei Deputati che alla seduta del 13 mar
zo 1865 deliberò l' abolizione della pena di morte .
La Nazione ha parlato con l'organo legittimo dei
suoi rappresentanti : chi dunque oserà imprestarle
opinioni e sentimenti diversi tenterà sostituire al
voto della maggioranza le velleità individuali . Voi
( prosegue l'autore ) pretendete opporre a quel voto
solenne gli sparsi verdetti di quei collegi di giurati
che negando agli accusati di delitto capitale le cir
costanze attenuanti, vengono a dare un voto a fa
vore del capestro e della mannaia : voi dite che
tutti questi verdetti sono altrettante proteste del
popolo Italiano contro l'abolizione. Ma con simile
argomentare voi cadete nel sofisma di convertire
un esercizio di mera autorità giudiciaria compe

tente, nello esercizio incompetentissimo di una au


torità legislativa. Voi dimenticate che il giurato ha
l'obbligo di coscienza di obbedire alla propria con
vinzione in punto di fatto : e che le circostanze at
tenuanti sono un quid facti che il giurato deve
sinceramente proclamare quale esso esiste nelle con
dizioni del caso , e non crearlo favoleggiando per
farsi correttore della legge che lo governa. Tale

giurato, il quale obbedendo alla coscienza propria


che gli fa precetto di rispettare la legge scritta, è
costretto a riconoscere niente esservi che attenui
VOL. V. 7
- 98 ---

la colpa del giudicabile , se in quell'istante medesi


mo sedesse come legislatore darebbe il suo voto
contro la pena di morte : e perchè questo onesto
cittadino non volle esser bugiardo al proprio con
vincimento sul fatto, ed esitò ad usurpare una au
torità legislativa che a lui non competeva, voi gli
affibbiate le simpatie verso il carnefice ? Così non
si ragiona . E qui aggiungerò io che questo nuovo
argomento insultante alla civiltà Italiana è una delle
solite ipocrisie che troppo sono in voga ai di nostri.
I nostri legislatori , imitando più volentieri la Fran
cia che la Inghilterra ( e lascisi di cercare se bene
o male ) hanno fatto precetto espresso ai giurati di
non portare il loro pensiero sopra la pena sovra
stante al giudicabile. Questo precetto sembra es
sersi considerato come l'ancora della salute pub
blica, tanta è la cura con la quale ad ogni seduta
se ne ripete il monito ai signori giurati, tanto è lo
zelo col quale alcuni presidenti frenano gli slanci
della difesa quando si permette contro la legge di
eccitare la commiserazione dei giurati facendo al
lusioni alla troppa severità della pena. Eppoi quando
il giurato religiosamente obbedisce al vostro coman
do con emettere le sue dichiarazioni sul fatto chiu
dendo gli occhi della mente alla pena che ne verrà,
voi lo calunniate imputandogli di avere dichiarato
in quella guisa perchè gli è piaciuta la pena : ipo
crisia, io dico , e sofisma palpabile .
Piacemi ancora di additare nello scritto del B u c
cellati quel punto dove egli combatte un altro ar
tificio novellamente assunto dagli anti-abolizionisti .
Questi hanno oggidì preso il vezzo di adagiarsi so
pra lo asserto che la questione della legittimità
― 99 ――――

della pena di morte sia ormai risoluta ; e che or


mai sia universalmente riconosciuto che la società

ha il diritto di infliggerla anche fuori dei casi di


assoluta ed attuale necessità . Con tale artificio, rin
chiudendo questo palpitante problema sull' elastico
terreno della opportunità , si aprono facile via a quel
perpetuo loro aspettiamo : onde cosi attuare la vita
pratica del più solenne fra i paradossi, quello cioè
di chiedere la esperienza, e vietare ad un tempo di
fare lo esperimento. Facile modo è codesto di elu
dere la discussione di un grave problema con lo
asserire che il problema è , sciolto . Siffatto modo di
sciogliere il nodo tagliandolo con la spada piacque
ad alcuno anche nella Assemblea della Confedera

zione Germanica, e piacque alla nostra Giunta Mi


nisteriale. Ma contro lo asserto che la scienza avesse
ormai sciolto in senso favorevole al carnefice la
questione di legittimità fu sollecita ad insorgere in
Allemagna la scienza con le più energiche proteste.
Mai si vide in brevissimo periodo di tempo tanta
folla di scritti contro la irrogazione della morte ad
terrorem quanti ne furono pubblicati in Germania
dopo il celebre voto di Berlino, emanati dalle più
illustri celebrità di quello impero quasi a protesta
solenne della scienza contro quel pronunciato . Ed
anche in Italia lo scritto stesso del Buccellati,
ed altri dei suoi confratelli , vogliono essere consi
derati in simile aspetto .
Finalmente mi piace pigliare occasione dallo scrit
to del quale favello per mostrare la fallacia di un ' al
tra opinione erronea invalsa oggidì anche nell'animo.
di uomini dottissimi, competenti, e di pienissima
buona fede. Mi avvenne spesso di udire ripetere che
- 100 -―――――

la questione della pena di morte era argomento


ormai esaurito : che niente poteva dirsi di nuovo
su tale proposito ; ed in tal guisa distorre gli animi
dal meditare ulteriormente su questo importante
problema. Io non ho altrettanto sfiducia della esten
sibilità dell' umano intelletto, nè divido il pensiero
orgoglioso che in qualsiasi punto scientifico la pre
sente generazione abbia raggiunto le colonne d' Er
cole. Nel tema poi della pena di morte la opinione
che niente restasse a dire di nuovo è venuta in

questi ultimi tempi a ricevere una solenne impugna


tiva mercè i lavori di tanti illustri contemporanei .
Si leggano i recenti scritti di Despretz , di
Lucas, di Rolin , di T. Loos, di The zard,
di Hetzel, di Geyer , di Bitius, di Roen
ne, e si legga la monografia del Buccellati :
e ciò basterà a convincere anche i più scettici di
questa grande verità, che per gli eletti ingegni non
havvi mai campo il quale possa dirsi intieramente
mietuto .

Oooo

V.

Il processo Lemaire, e la pena di morte ( 1 ) ..

Il giorno 8 marzo 1867 , a ore 6 antimeridiane,


cadeva la testa di Carlo Lemaire, sotto la scure del
manigoldo sulla piazza della Roquette a Parigi. Egli
aveva premeditatamente ucciso a colpi di coltello

(1) Inserito nella Rivista di Giurisprudenza : Annali di


Giurisprudenza Italiana , vol . V, parte 3, pag. 13 .
T

I
- 101 w

la futura sposa del suo vedovo genitore, al seguito


di proditorio invito, e pel fine di impedire quelle
nozze. Nulla di specialmente osservabile avrebbe
presentato questo processo , se non era il contegno
del condannato.
Lemaire si era consegnato alla giustizia dopo il
commesso delitto, aveva confessato ogni sua circo
stanza, dichiarato che il delitto lo aveva premeditato
da diciotto mesi, e che il suo disegno era quello di
fare, non una sola, ma quattro vittime.
In tutto il corso del processo e durante il pub
blico dibattimento , e dipoi , si mostrò sempre imper
turbabile e quasi ilare . Usò ogni arte per descrivere
sè stesso coi più neri colori , per mettere in luce ogni
circostanza che più lo aggravasse, e ripetutamente
insistè in faccia al pubblico niente essere pentito di
ciò che aveva fatto, e sarebbe tornato a farlo : usò
speciale studio a persuadere i suoi giudici che egli
non era niente alienato nello intelletto, e che a suo
favore non era possibile trovare nessuna circostanza
attenuante. I suoi modi e le sue parole furono, in
sostanza, sempre quelle che si riassumono nel dis
corso che per ultimo egli diresse ai giurati : e fu il
seguente : Nella maggior parte delle cause crimi
nali voi vedete gli accusati cercare di mettersi in
salvo ; ve ne hanno che simulano la pazzia : la mia
condotta però è stata sempre la stessa . Io non cerco
di salvare la mia testa ; io so che mi attende la
pena capitale . Ora una breve discussione
sul mio stato mentale. Io non sono un pazzo : chi
mi riguardasse come tale sarebbe spinto da un sen
timento onorevole, ma falso . Io debbo sopportare
tutta la responsabilità delle mie azioni.
―――― 102 ―

Le circostanze attenuanti in mio favore, dove


vorreste voi trovarle ? Ah ! se io avessi ceduto ad

un impeto di collera, capisco che voi potreste ac


cordarmi il benefizio delle attenuanti, voi potreste
escludere la premeditazione. Per quanto l'uomo sia
caduto, gli rimane sempre una certa quale fierezza .
Io sono troppo fiero per domandare delle circostan
ze attenuanti alla vostra compassione . Vendetta
per vendetta ; io mi vendicai, e la società si ven
dichi di me.

E poi io sono un fannullone ; io ho orrore del


lavoro ; se non volli lavorare quando era libero,
come potrò lavorare nel bagno ? Io mi lascerei mo
rire di fame ; non voglio per orizzonte la catena
del forzato. Datemi dunque questa sodisfazione ;
dite che io sono responsabile delle mie azioni. D'al
tronde la società reclama un castigo. La prigione
non mi ha abbattuto ; questa udienza non mi ha
impressionato, e si vedrà ciò che io farò sul palco.
Il palco è la pietra di paragone della furfanteria ;
provate ad osservare se io tremerò.
In questo secolo, in cui si parla tanto di filoso
fia, sarebbe umanità accordarmi le circostanze at
tenuanti per farmi morire di fame ? O non sarebbe
piuttosto un rinnovare la barbarie di un' età pas
sata e farmi morire lentamente ? Ciò che io temo
non è la morte, ma l'agonia. Così col vostro ver
detto voi renderete omaggio alla giustizia ed alla
umanità in uno dei suoi membri perduto per sempre.
Così ragionava tranquillamente Lemaire in faccia
al patibolo, con la fermezza che spiegava Socrate dis
sertando coi suoi discepoli prima di bevere la cicuta.
- 103

I giurati fecero a suo modo, e lo condannarono


a morte.
Egli mostrò poscia che i suoi discorsi non erano
vane iattanze ; non volle ricorrere in cassazione , non
chiedere grazia ; fu sempre sereno durante i prepa
rativi della esecuzione, sempre sordo ad ogni voce
di pentimento, sempre sprezzante ascese il palco , e
corse veloce ad accomodare la sua testa sotto la
mannaia ; e così morì al cospetto di numerosissi

mo popolo.
Qual è la morale che si cava da questa deplora
bile istoria ? Io ne concludo una novella prova che
la pena di morte è inutile , anzi , disutile .
Io dico in primo luogo, che se Lemaire fosse stato
condannato ad una reclusione perpetua, la sua im
perturbabilità sarebbe scomparsa ; dico anzi, che se
avesse preveduto con certezza che la sua pena do
vesse esser quella della reclusione perpetua, egli
non avrebbe commesso il delitto . I grandi scellerati
perdono innanzi tutto ogni fede nella vita avvenire ;
si assuefanno a contemplare la morte con occhio
indifferente come una necessità della vita ; il tedio
delle umane miserie si congiunge, negli animi loro
corrotti, ad un'ambizione feroce, e giungono ad aspi
rare al palco, come altri aspira ad un impiego, ad
un trono, o ad una corona accademica. Per frenare
costoro niente vale l'apparato del supplizio, che in
vece gli esalta. Una pena di perpetuo confine gli
avvilirebbe ; si sentono nobilitati dalla scure o dal
laccio. Costoro, si dirà, sono i meno ; ed io rispondo
che in faccia appunto a costoro abbisogna la società
di più energica repressione , e che la repressione
che più temono è la vita nel carcere. Fu grande
104 -

quella sentenza con cui Poeri o chiudeva una delle


sue brillanti difese : « giudici, condannatelo a vi
vere » ; ed io se fossi stato il giudice di Lemaire
lo avrei condannato a vivere, sicuro di vederlo im
pallidire ; dico di più, che i grandi scellerati sono
appunto quelli, ai quali si restringe l'applicazione
della pena capitale perchè i minori trovano per lo
più delle scuse o delle attenuanti.
Io penso in secondo luogo che per tali fatti ne
venga danno gravissimo alla pubblica morale. Par
mi di vedere come cosa certa che da quella fittis
sima turba che assisteva a quel giudizio ed a quella
esecuzione, molti ne partissero con l'animo più in
clinato a delinquere che prima non fosse.
Il coraggio ha un fascino che seduce il cuore
dell' uomo, specialmente in età giovanile, e vi eccita
un senso di ammirazione anche nel delitto ; e la
natura imitatrice dell' uomo cambia troppo spesso
l'ammirazione in una perversa emulazione, dove
non siano forti e radicati i principii della morale.
Gli incomodi della vita e le passioni fanno il rima
nente ; e lo spettacolo del supplizio eroicamente so
stenuto, agevola loro la strada. Così avviene la con
tro azione della pena di morte. Ma davvero una
simile contro azione non è a temersi in quelle pene
che niente hanno di romanzesco, niente hanno che
si adatti a quella formula, terribile troppo, ma trop
po vera, eroismo nella scelleraggine ; negli stanzini
non havvi poesia possibile . Condannando un uomo
alla reclusione , noi siamo certi d'infliggergli una pe
na, di condannarlo a soffrire. La morte è dessa una
pena? L'uomo non è capace di sciogliere questo
grande problema : e pure si ostina a congiungere
- 105

la parola morte con la parola pena, ignaro tuttavia


se Dio abbia congiunto quelle due parole, o se ne
abbia fatto un ' antitesi ! L'unico obietto logico che
può farsi contro cotesti pensieri, è quello che vi
gettano in faccia gli umanitarii . Essi vi dicono che
noi non siamo umanitarii, ma più crudeli di coloro
che vagheggiano con amore l'opera del carnefice ,
perchè non risparmiamo la vita del colpevole per
pietà verso lui, ma per farlo soffrire. E noi che ci
facciamo pregio di essere parimente logici , accettia
mo l'obietto .
Noi avversiamo la pena di morte per amore della
umanità, non per amore del delinquente. Noi av
versiamo la pena di morte , perchè la sua irrepara
bilità ci fa tremare per la condanna di un innocente .
Noi avversiamo la pena di morte , perchè codesto
dubbio dello errore ci mostra per una necessaria
reazione più frequente la impunità, e meno tutelato
il diritto. Noi avversiamo la pena di morte, perchè
ci pare di sentirci meno tranquilli e meno sicuri
in faccia alla medesima. Ci sentiamo meno tran
quilli, perchè pensiamo che le aberrazioni umane.
possono fatalmente condurre la giustizia a colpirci
innocenti ; ci sentiamo meno sicuri, perchè siamo
certi che la reclusione perpetua è temuta da tutti,
e siamo certi per la giornaliera esperienza dataci
dai suicidii , dai duelli e dagli stessi facinorosi , che
molti e molti non temono la morte.
A quelli poi che ci fanno rimprovero di volere
sottoporre l'uomo a dei patimenti, francamente ri
spondiamo che cancellino dai Codici la parola pena.
La logica, che è più inesorabile di tutti i despoti
della terra, ha bene condotto molti sommi filosofi
106 -

contemporanei, specialmente della Lamagna, a que


sta indeclinabile conseguenza, che la società non ha
diritto a punire , ma soltanto a correggere il delin
quente, o a difendersi contro di lui. A coloro che
adottano la prima formula, noi rispondiamo che se
la correzione dell' uomo non può ottenersi senza
farlo soffrire , il diritto di far patire il colpevole è
un contenuto necessario dello stesso loro postulato.
A quelli che adottano la seconda formula, noi ripe
tiamo che se la difesa del diritto non può ottenersi
senza far soffrire l'uomo, il diritto a questo è un
contenuto necessario del postulato loro : cosicchè il
diritto a correggere e il diritto a difendere, hanno
per implicito necessario il diritto a far soffrire . E se
la pena di morte, non facendo soffrire , o non con
siderandosi dai grandi malvagi come causa di pa
timento, non corregge, nè difende, alla società bene
si nega il diritto d'infliggerla.
Da coloro poi ( ed è la scuola che universalmente
prevale ) i quali ammettono che la pena debba es
sere un male, non è a temersi l'obietto. In faccia
a questi, tutta la disputa cade sulla efficacia della
pena di morte ; e lo esempio di Lemaire valga a
disingannarli, e a dileguare ogni dubbio dagli ani
mi loro.

Pisa, 30 marzo 1867.


XVIII .

IL DELITTO

IL MATRIMONIO ECCLESIASTICO
W –D
IL DELITTO

IL MATRIMONIO ECCLESIASTICO

Boo00

Allo scritto da me pubblicato col titolo Le tre con


cubine sonosi date interpretazioni falsissime . Sento
la necessità di ricordare innanzi tutto che quello
scritto io pubblicai molto prima ( 24 luglio 1873 )
che si conoscesse il nuovo progetto di legge : e
sento al tempo stesso il bisogno di respingere
quelle false interpretazioni come aliene dal mio
pensiero ; e ridurre questo pensiero alla sua ulti
ma formula .

Dichiaro dunque, in primo luogo, essere assolu


tamente falso che il mio scritto Le tre concubine
io dettassi per combattere la legge proposta dal
Ministro Vigliani sul Matrimonio ecclesiastico . La
proposta Ministeriale fu presentata alla Camera il 3
decembre 1873. Il mio scritto era già stampato il 24

luglio 1873 , ed in quel tempo mandai li stamponi


al mio amico e collega Cav. Prof. Antonio Buc
cellati, che me ne può fare testimonianza . A lui
110

lo mandai perchè era destinato ad essere letto alla


prossima tornata dello Istituto Lombardo del quale
io sono socio, e il Buccellati gentilmente si
era preso lo incarico di farne la presentazione. Non
era convenienza che io pubblicassi lo scritto prima
che fosse stato letto all' Istituto, e perciò ne dila
zionai la pubblicazione fino dopo la lettura che
doveva essere imminente. Ma l'Istituto sospese le
sue tornate a cagione del cholera. Il collega mi par
tecipò questo emergente . Io gli risposi che ne ero
dispiacentissimo perchè ciò ritardava la pubblica
zione del mio lavoro a tempo meno opportuno. La
desiderata lettura non potè farsi che nelle sedute di
ottobre e novembre , ed ecco la cagione che ritardò
la pubblicazione di quello scritto. Questa è la sto
ria genuina dei fatti . Chi dunque ha detto che io
ho scritto contro il progetto di legge , è caduto in
gravissimo errore : a chi tornasse a ripeterlo do
po questa mia dichiarazione sarei in diritto di dire
che mente .
E poichè per siffatte combinazioni e malintesi io
mi sono trovato nella necessità di emettere questa
protesta, ne piglio occasione per ritornare a volo
sull' argomento a rettificazione di altri malintesi .
'
Non è vero che io neghi allo Stato il diritto e
la competenza di ingerirsi sul matrimonio. Egli ne
ha il diritto, perchè troppo il matrimonio si con
nette con l'ordine sociale ( 1 ). E come può apporsi

(1) E quando mai ( a modo di esempio ) elevai dubbi su


gli articoli 142 e 217 del codice Toscano ove si contempla
vano due forme di matrimonii criminosi ? Con troppa facilità
si corre ad argomentare da una proposizione per attribuire
- 111 ___

che io neghi tale competenza dopochè io fui il pri


mo ( anzi l'unico ) che nella Commissione per il
progetto di nuovo codice penale facesse proposta
onde nel nuovo codice si provvedesse a certe for
me criminose alle quali poteva dare occasione il
nuovo stato giuridico del matrimonio religioso ! E
come poteva appormisi ciò dopo quello che ho detto
alla osservazione nona dei miei Lineamenti di pra
tica legislativa testè pubblicati con i tipi di Bocca a
Torino ! Io non faccio questione di competenza, ma
di GIUSTIZIA.
Ciò che io nego allo Stato, e lo nego tanto in
occasione del matrimonio quanto in occasione di
qualunque altro fatto , si è la facoltà di conculcare
i cardini fondamentali del diritto di punire , perchè
questo è tirannico .
E si conculcano per una falsa politica i cardini
fondamentali dei diritto di punire quando si pretende
elevare a delitto ( e come tale punirlo ) un fatto
che non ha in sè gli elementi essenziali del delitto :
cioè il dolo ed il danno .

Da questa regola cardinale non preterisco, e su


quella non transigo.
Può dunque essere un delitto anche il matrimo
nio ecclesiastico. Non nego questa potenza. Ma quan
do ? Quando sia diretto ad un fine pravo e nocevole.

a chi la sostiene che egli la deduce da un principio imma


ginato dal critico , mentre egli invece la deduce da un prin
cipio sostanzialmente diverso . È lecito ai critici argomentare
da un principio alle deduzioni quando queste sono logiche .
Ma argomentare dalle deduzioni ai principii è mera divi
nazione : e gl' indovini spesso si ingannano .
- 112 -

Ma senza questo, ed in modo assoluto, no. Etiamsi


omnes, ego non .
Un dissoluto si fa strumento del matrimonio ec
clesiastico per sedurre onesta donna e poi abbando
narla. È uno stupro qualificato dalla più infame se
duzione. Punitelo : ne avete il diritto, anzi il dovere.
Una vedova lussuriosa e bigotta vuol sodisfare ai
sensi , e nel tempo stesso continuare a godere il le
gato maritale , o l' usufrutto a danno dei figli e dei
legittimi eredi , e si approfitta a questo reo fine del
matrimonio ecclesiastico. Ê una frode immorale e
dannosa. Punitela : ne avete il diritto , anzi il dovere .
Altra vedova simile vuol rubare allo Stato la
pensione, e si mette all' ombra del matrimonio ec
clesiastico. È una frode diretta a fare ingiusto lu
cro con danno altrui . Punitela : e bene sta. Ma que
sti tre delitti, che sono realmente tali per il con
corso del dolo e del danno, credete voi di averli
impediti con una multa od anche con la carcere
inflitta indistintamente contro la celebrazione del
matrimonio ? Quei tre delinquenti sottostaranno alla
carcere e alla multa piuttosto che stringere nodo
indissolubile con la femmina venuta a noja, o piut
tosto che perdere l'usufrutto o la pensione che as
sicura largo compenso per tutta la vita. La legge
penale sarà derisa se a quei fatti non si adatta un
titolo di vero delitto che autorizzi a gravissima
pena ( 1 ) e dia ragione ALLE INDENNITÀ.

(1 ) Questo si comprese anche dai legislatori Francesi


del 1810 , i quali spinsero la pena del prete fino alla depor
tazione. Ma le esorbitanze del ferreo codice di Francia non
sono possibili in Italia ; e per renderle possibili bisognereb
- 113 -

Prestigiosa e sofistica è la obiezione che lo Stato


non deve occuparsi del matrimonio ecclesiastico ;
niente deve saperne ; e agire come se al mondo
non fosse ; e che se si dichiarassero delitti certi fatti
ai quali può servire di strumento il matrimonio re
ligioso lo Stato verrebbe a riconoscere la esistenza
di questo matrimonio del quale nulla deve nè vuole
pigliare cognizione. Questa speciosa obiezione udii
farmi nella Commissione del nuovo codice penale
quando io ( io stesso ) fino da allora proponeva si
studiassero e si prevedessero certe forme criminose
alle quali poteva dare occasione la nuova situazione •
giuridica data in Italia alle nozze religiose..Fu in
faccia a questa obiezione speciosa che io per reve
renza dovetti tacere. Ma la obiezione non è che un
circuito di belle parole, e niente più . Non chiamasi
dar sanzione ad un fatto il punirlo quando è stru
mento di delitto . E che forse il codice penale col
punire le falsità dannose ha dato sanzione alle
falsità che non recano danno ? Esso rimane nello
stato di indifferenza : ma chi lascia fare non sanziona.
Ma poi come può seriamente continuare a dirsi
che lo Stato non deve occuparsi dei sacramenti,
quando si vuole che se ne occupi fino al punto di
dichiarare delitto la mera celebrazione di un sa
cramento non susseguita da alcun effetto nocevole?
Ma i figli ? Ecco il campo delle più patetiche de
clamazioni ( 1 ) . Cosa si è fatto per migliaia e mi

be che giù dall ' Alpi scendessero sulla Penisola le tenebre


d'Egitto.
(1 ) Con le declamazioni non si discutono le questioni
giuridiche e molto meno con le esagerazioni . Eppure in
VOL. V. 8
-
114 14

gliaia di sventurati che nacquero prole di incerta


Venere o di vero concubinato ? Nulla. Si è loro in
terdetto la ricerca della paternità, e sonosi conse
gnati alla carità pubblica .
Ora tutta la pietà improvvisamente si desta per
i figli del matrimonio ecclesiastico, i quali sono a
migliore condizione degli altri ?
Ma io non interdico questa pietà, purchè essa si
eserciti senza abuso del giure penale. Questo si
serbi ai soli casi nei quali il fatto offra i caratteri
di un vero delitto : negli altri si provvegga altri

questo tema, per mettere in orgasmo la pubblica opinione , si


è corso fino alle favole . Così si è detto - essere una grande,
fatale, verità che TUTTI i matrimonii ecclesiastici hanno
avuto la fine del concubinato .. Quante coppie felici
smentiscono siffatte fole ! Una causa che si difende con i ro
manzi è condannata dalla sua stessa difesa . Gli odii e le se
parazioni succedute alla luna di miele sono d'altronde una
eventualità che in tutti i tempi ed in tutti i luoghi ha te
nuto dietro anche al matrimonio civile. Dunque in Francia
non vi sono coniugi che si siano perpetuamente divisi ? Si è
soggiunto che dal matrimonio ecclesiastico sono nati omicidii
per vendetta del coniuge abbandonato . Ne sia pure avvenuti ,
come ne avviene spesso per la rottura delle promesse di
sponsali e per l'abbandono di fanciulle sedotte . Ma dunque
si avrà ragione di elevare a delitto l'amoreggiamento per
chè può essere talvolta occasione di gelosie e di vendette !
Qual modo poetico di ragionare è cotesto ! Ma poi gli uxori
cidii ed i viricidii non sono essi pur troppo frequenti anche
dopo i matrimonii civili ? Ogni fatto umano, ogni convegno ,
ogni contratto può nella vita sociale essere occasione even
tualmente di sdegni , di risse e di stragi. Ma questa non è
ragione perchè possa legittimamente dichiararsi delitto quel
fatto quando non è in sè stesso criminoso .
115

menti. Equivalga il matrimonio ecclesiastico alla


recognizione dei figli naturali .
Voi non smentite il vostro principio sul privile
gio esclusivo del contratto quando mantenete ai
figli di matrimonio ecclesiastico la qualità di na
turali in faccia alla legge civile ; e nel tempo stesso
provvedete ai loro diritti avverso le intemperanze
di un padre snaturato . Ma che forse con una multa
ai genitori avete dato loro il pane e la qualità di
legittimi ? Sogni. Chi non vuole addossarsi il man
tenimento di numerosa prole, trova ben comodo li
berarsi da esorbitante aggravio perpetuo col pagare
una multa ; o piuttosto non fa neppure il matrimo
nio ecclesiastico, e resta in concubinato .
Cento modi vi sono per provvedere ai bisogni
della società senza mettere in moto il magistero
penale per delitti immaginarii. Questa è la mia
tesi. Mai ammetterò che possa dirsi colpevole chi
agì a fine onesto e senza danno di alcuno. Ora la
coppia che si è risoluta a cambiare il concubinato
immorale in un nodo benedetto dalla legge religiosa
benchè niente valutato dalla legge civile , voi la vo
lete dichiarare in un modo assoluto colpevole, per
chè per sue buone ragioni non può o non vuole
fare il matrimonio civile, mentre con omettere la
comparsa avanti al Sindaco ha la coscienza di non
nuocere ad alcuno. Questo è ciò che io dico tiran
nico ; e questo è il vizio radicale di chi esorbita
siffattamente dalle regole del giure punitivo, pre
tendendo trovare un delitto in un atto eseguito per
sentimento morale e per scrupolo di coscienza ; sen
za dolo e senza danno. Questa è una eresia in
giure penale.
PANE
――― 116 -――――――――――

Che se volete mettere in movimento anche il giu


re penale al fine di proteggere la prole civilmen
te illegittima, ve ne manca forse il mezzo , senza
trascendere allo abuso di trovare il momento cri
minoso nella celebrazione del sacramento ? Voi lo
potete purchè vogliate .
È singolare questa vostra tenerezza per la prole
illegittima, improvvisamente eccitata dal sopraggiun
gere di un sacramento. Può una coppia aver vis
suto in concubinato anche per dieci anni ; può in
questo corso di tempo aver dato la vita a parecchie
creature . Voi non ve ne siete occupati ; non le avete
inferito molestia ; non vi siete commossi sulla sorte
di quei pargoletti , e non avete accordato loro pro
tezione o difesa : anzi se erano adulterini li avete
anatemizzati barbaramente per la colpa impunita
.
dei loro genitori, e tutto il vostro sdegno è caduto
sopra di loro. Ma se quella coppia, per uscire dallo
scandalo e dal peccato , coglie la occasione di mo
ralizzare la propria situazione religiosa e sociale
con la benedizione della Chiesa, ecco subito che il
vostro cuore si accende di sdegno, le vostre viscere
si commuovono a pietà per la prole che forse quella
coppia non è più in grado di avere ; e pronunciate
delitto la loro morale resipiscenza.
Non è egli espiscato il pretesto della prole quando
la legge inesorabilmente draconiana colpisce di pena
il nodo ecclesiastico anche in coloro che più non
hanno speranza nè possibilità di aver prole ?
Non mancano mezzi legittimi per proteggere la
prole. Si costituisca lo Stato tutore della medesi
ma ; esso ne ha il diritto, e forse anche il dovere .
Nella sua qualità di tutore della prole nata dal no
D
- 117

---
do ecclesiastico eserciti a nome ed interesse di quel
la una azione contro i genitori per costringerli a
darle uno stato civile. Questa azione sia pure, se
vuolsi , anche azione penale : nulla avvi di nuovo in
ciò, perchè la soppressione di stato e la occulta
zione di fanciullo, sono titoli di reato che già esi
stono nei codici dei popoli culti, e nei quali la co
scienza pubblica è ormai assuefatta a riconoscere 1I
una criminosità ed una legittimità di punizione. Le
·
migliori scuole hanno ormai insegnato che il titolo 11
di soppressione di stato è bene adattabile anche al
fatto malvagio di chi vuol togliere al fanciullo lo
stato di figlio naturale, poichè anche a questo stato
la legge civile annette dei diritti che si violano col
sopprimerlo. Allora voi potrete dire io proteggo un
diritto col punire i genitori, proteggo il diritto che
hanno i figli ad avere dai loro genitori quello stato
naturale di famiglia che i genitori hanno libera
potestà di dar loro e che col fatto volontario della
procreazione hanno incorso il dovere di dare . Ma
per tradurre innanzi alla giustizia criminale aspet
tate che io abbia avuto figli : aspettate che i figli
ottenuti io abbia barbaramente gettati sul lastrico .
Ma finchè non ho figli ; e finchè i figli che Dio mi
ha dato li riconosco come miei, e adempio verso di
loro tutti i doveri morali e giuridici che mi incom
bono, io non sono delinquente. La legge vostra avrà
allora un colore giuridico : sarete logici, perchè prov
vederete ad un bisogno porgendo vero ed efficace
riparo ai mali che lamentate : mentre col punire il
sacramento voi non date riparo alcuno a quei mali ;
agite senza diritto ed opprimete le coscienze quali
―――――― 118 ―――――

ficando reato un atto comandato dalla morale e


dalla religione .
E se la protezione della prole non volesse affi
darsi al magistero penale ( che sotto ogni buon
governo dovrebbe essere l'ultimo dei rimedii ) non
sarebbe egli miglior consiglio modificare quella no
vità Francese dell' art. 189 del nostro codice che in
modo assoluto interdice la indagine della paterni
tà ? (1) Non potrebbe farsi a quell' articolo una li

(1) E poichè a me piace sempre manifestare le convin


zioni mie , anche a risico di procacciarmi dei visi arcigni , non
esito a dire che io sono tutt ' altro che ammiratore di quella
novità. Si deriderà come strana questa mia opinione , poichè
ormai invalse appo noi il mal uso di guardare come eccen
triche tutte le opinioni che avversano agli eccentricismi Fran
cesi . Ma io non posso tenere come meritevole di disprezzo
una massima ed una pratica che ha governato per secoli
tutti i popoli culti , e che ha governato la Toscana fino agli
ultimi giorni . Nè mai la Toscana ebbe a spaventarsi delle ri
cerche delle paternità ; nè mai ebbe a lamentare gli effetti.
Ed io vidi molti di questi giudizi in Toscana , ed in tre di
loro ebbi mano : l'uno per la Clarice T. . . . nel quale la
dimestichezza di un prete nella famiglia della ragazza mi fece
soccombere : l'altro per Geta C. . . . che fu transatto per
chè il giovine fu pago di accettare una larga fortuna rinun
ziando al nome di un onorevole : il terzo per la Maria N....
nel quale corsi con fortuna tutti i gradi di giurisdizione dei
Tribunali Toscani , e la derelitta, ebbe nome e fortuna . Cer
tamente ammettere la ricerca della paternità per contradire
alla prova presunta nascente da un matrimonio , sarebbe ro
vinoso e incivile ; come potrebbe esserlo dove pigliasse a sua
base congiungimenti adulterini . Ma , tranne ciò , i mali che si
temono da quella ricerca sono espiscati . Anche qui i Fran
cesi ( come è loro costume ) furono trascinati da un motto
119 ―――――――

mitazione esprimente presso a poco che la ricerca


della paternità sia permessa quando ha per fonda
mento un connubio consumato con le forme religiose

enfatico la maternità si disse è un fatto ; la paternità è


un mistero : e parve di aver tutto detto con quella frase
sonora ; e bastò. Ma troppi sono i misteri che la giustizia
sottopone per pubblico bene alle sue investigazioni ; le quali
valgono appo lei a disvelare il mistero quando i fatti este
riori ci autorizzano ad esserne certi : nè questo motto bastava
a troncare la questione. Ed ai pericoli di paternità apposte
"
col mezzo di testimoni venali , aveva portato saldo riparo la 1
1
pratica nostra esigendo a quel fine i tre requisiti della one
stà della donna , della dimestichezza dell ' uomo , e della stret
tissima e rigorosa custodia del ventre. Fatto è che la Toscana
mai ebbe a lamentare disordini ; mai la pubblica opinione du
bitò di ingiustizie commesse all'ombra di quella regola : et
hoc jure utebamur . Fu dunque vittima di una allucinazione
tutta l'Europa quando per un secolo riconobbe che in To
scana , in materia di legislazione , eravamo avanzatissimi fra
le genti civili ! Eravamo invece i Beoti ; e la luce non ci può
venire che dalla Francia . Per molti è pur troppo così ; e
basta a costoro che una cosa siasi fatta colà per accettarla
e crederla buona : ma io , che per un mezzo secolo nella mia
città natale ho vissuto sotto le leggi di Francia , e ho dovuto
studiarle addentro e sperimentarle, mi sono permesso di al
bergare nell ' animo una fede del tutto opposta. Timeo Da
naos et dona ferentes. E penso che se i Francesi negli ul
timi loro svolgimenti hanno fatto parecchie cose lodevoli e
buone, tali le abbiano fatte soltanto quando le hanno impa
rate da noi. Tornando all' argomento presente la situazione
che ne risulta è una delle solite contradizioni nelle quali
troppo spesso inciampano i nostri legislatori . Si grida alla
immoralità contro i matrimonj ecclesiastici , e non si vuol
comprendere che i matrimonj ecclesiastici troncano copioso
-- 120 -

dai genitori? Resterebbero allora gli effetti del man


cato matrimonio civile a pregiudizio dei coniugi che
cosi vollero : e non a pregiudizio dei figli innocenti .

numero di concubinati immorali che non troncherebbe la ne


cessità del solenne contratto ; si grida alla immoralità perchè
si volle tranquillizzare la coscienza con un rito religioso,
mentre si è detto francamente ai giovani libertini , seducete
zittelle credule a libito vostro ; rendetele madri e abbando
nate i vostri figli al disonore e alla pubblica carità : e siate
tranquilli, che io vi proteggo dalle loro molestie . Si ostenta
pietà verso la prole dei matrimoni ecclesiastici perchè a lei
manca una veste civile della quale può fare a meno , ed es
sere malgrado ciò onorata e felice ; mentre alla prole che
davvero è infelice si chiude la porta ad ogni speranza di
procacciarsi il nome ed il pane , ai quali la eterna legge della
natura le darebbe diritto . Così ne avviene che per duplice
via l'autorità sociale conculca la sacra legge di natura , nella
quale unicamente riposa il fondamento legittimo delle sue
potestà, costituite a sola protezione e non ad oltraggio di quel
la . Conculca la libertà di coscienza sotto pretesto di tutelare
i diritti della prole : conculca i diritti della prole per far
tranquillo il libertinaggio . Ma io tengo le leggi di natura come
più rispettabili di certe leggi sociali che le contradicono: per
chè la legge di natura è legge eterna di Dio . Questa è la
mia fede giuridica , la quale è per me una seconda religione :
e ciò che penso io lo dico . Del resto la vecchia pratica non 1
è poi così rejetta dalle legislazioni contemporanee come sem
bra ai Gallomani : infatti la indagine giudiciale sulla pater
nità è stata mantenuta nelle leggi dei seguenti Paesi - 1.° in
Inghilterra per le leggi di Vittoria degli anni 1844-45-46 —
2. ° dal codice Austriaco art. 163 e 164 - 3.º dal codi
ce Badese per le addizioni all'art. 340 - 4.° in Baviera
codice Civile art. 9, 2. ° alinea -5. ° in Spagna - 6.º in Gre
cia -- 7.° nell ' Isole Ionie per l'art . 248 seconda parte -
――― 121 ――――

In una parola il mio concetto si riassume nella


più semplice formula . Sta bene che lo Stato porti
l'occhio sopra i matrimonj ecclesiastici ; ma quando?
Stringo qui tutta la questione. Lo può quando dai
medesimi ne viene a sorgere la offesa di un diritto.
Il momento di ogni criminosità non può senza ti
rannide trovarsi altrove . Non si punisca dunque con
prescrizione universale il matrimonio ecclesiastico
nel suo momento di atto religioso : se ne puniscano
gli effetti tutte le volte che si estrinsecano in una
lesione giuridica.
Alla attuazione di questo concetto non occorre
creare delitti nuovi : basta col criterio della analo

gia adattarvi i titoli già esistenti, i titoli di reato


entrati ormai nelle nostre consuetudini e accolti
dalla coscienza universale come fatti criminosi.
Il matrimonio ecclesiastico servi di mezzo ad ab
bandonare una femmina onesta tradita ? Adattatevi
il titolo di stupro ; e colpite il momento dell' abban
dono come il primo ed unico momento nel quale
il bisogno della tutela giuridica vi arma giustamente

8. in Portogallo , dove come in Spagna il concubinato porta


0
presunzione di paternità - 9. In Prussia , dove peraltro è
vietato alla madre di proporre l'assunto della paternità del
figlio ; ma l'azione deve proporsi da un tutore destinato a
questo dal Tribunale -G 10. in Rumenia , dove quantunque
il 4 decembre 1864 siasi adottato un codice Civile quasi
identico a quello Francese si trovano però soppresse le dis
posizioni relative alla ricerca della paternità - 11. ° nella
Svizzera ; Argovia , Basilea , Berna , Friburgo , Lucerna , San Gal
lo , Soletta , Vaud , Zurigo 12. Stati Uniti di America ―――――
13. Luisiana , codice del 1824 , art. 126 .
- 122 -

la mano. Con quale giustizia punite di una multa


ANCHE LA SPOSA, per proteggerla onde non sia ab
bandonata ?.... Con quale giustizia punite lo sposo
perchè può abbandonare la sua compagna, mentre
se la tiene carissima ed ha fermo proposito di mai
abbandonarla?
Il matrimonio ecclesiastico servì di mezzo a ru
bare una pensione , a carpire un legato, un usufrutto,
od altro simile lucro ? Ebbene nulla osta che in
questi artifizi si ravvisino li elementi di una scroc
cheria o frode criminalmente punibile. Sorge in
questo momento la effettiva violazione di un diritto.
accompagnata da malvagia volontà e da effettivo
nocumento : e nessuno potrà rimproverarvi di abuso
del diritto di punire se lo esercitate su questo mo
mento del fatto. Ma la punizione indistintamente
inflitta colpisce anche la vedova che si astiene dal
matrimonio civile per altre sue ragioni e motivi , e •
che spontaneamente abbia dichiarato di renunziare
alla pensione, al legato, allo usufrutto, nulla interes
sandole ciò . Tanto vale punire come reo di furto
chi entra in casa altrui, sotto il pretesto che poteva
rubare, quando è chiaro che niente rubò, e che
aveva tutt'altra intenzione fuori che quella di ru
bare. Lo ingresso arbitrario nell' altrui domicilio è
un delitto per sè stante , ma le leggi e le pratiche
lo esimono da ogni imputazione quando il giudica
bile dimostra che quello ingresso ebbe un fine
ragionevole ed onesto. L'ingresso nello stato ma
trimoniale sarà dunque un delitto anche quando sia
scompagnato da ogni malvagia intenzione ! Aberra
questo assunto ( lo ripeterò anche una volta ) dai
cardini fondamentali del giure punitivo .
―――― 123 --

Il matrimonio ecclesiastico ha avuto per effetto


l'abbandono della prole infelice per parte dei bar
bari genitori ? Ebbene : si colpisca il fatto in questo
momento. Il delitto non consista nel sacramento ma
nell'abbandono del fanciullo e nella occultazione del
suo stato. Con ciò sarete logici e potrete sincera
mente dire di avere tutelato un diritto dato dalla
natura e riconosciuto dalle leggi civili ; e nessuno
oserà farvi rimprovero di aver convertito in delitto
uno scrupolo di coscienza ed un atto religioso ; o
la omissione di una forma civile, che è nella mia
libertà di omettere quando la ometto per mie giu
ste ragioni ( 1 ) senza intendimento di nuocere ad
alcuno e senza nocumento di alcuno .
La competenza dello Stato nello esercizio del
giure punitivo ha un confine assoluto , ed è quello
che il divieto e la punizione siano necessari al man
tenimento della tutela giuridica. Questo è il primo
articolo di fede nella scienza criminale dei popoli
culti. Conculcare questo precetto è arbitrio . Tro
vando la consumazione di un delitto nell' atto re

(1 ) E finchè durano i vincoli successorii imposti ai coniugi


dal nuovo codice civile le giuste ragioni per rifiutarsi alla
solennità del Sindaco vi sono , e vi saranno ; ed insuperabili
in moltissimi casi . E sono GIUSTE , ONESTE ; anzi SANTE : e sfido
chiunque a negarlo . Le ragioni sono , l'amore dei figli di pri
mo letto ; i bisogni della vecchia famiglia ; il sentimento di
affetto verso di questa , e il desiderio di non turbarne la
quiete. Chi oserà dire che non sono buone queste ragioni ?
Rendetemi la libertà di disporre del mio nel rapporto del
nuovo coniuge ricco ; e dimani vi contenterò col matrimonio
civile ; se no, no.
124

ligioso prima che si estrinsechi in una offesa giu


ridica, si conculca ad un tempo la libertà di coscien
za ed il cardine fondamentale del giure punitivo .
Non è difficile che qualche criminalista di buona
scuola trovi ripugnanza avverso questo pensiero di
adattare ai casi che qui configuro i titoli di stupro,
di frode, di abbandono di fanciullo, o soppressione
di Stato. Ma io qui non intendo impegnarmi in una
polemica scientifica. E soltanto avverto che ho ac
cennato unicamente ad una analogia. E sostengo
che estendere per analogia a dei fatti dove concor
re il dolo ed il danno dei titoli di reato già esi
stenti, sarà sempre un anacronismo minore ed una
meno sensibile deviazione dalla odierna scienza pe
nale, di quello non sia creare nuovi titoli di delit
to ; e creare un delitto dove non è nè dolo nè dan
no, e portare questioni teologiche sotto la competen
za di Tribunali criminali. E qui davvero faccio que
stione anche di competenza finchè si tratta di sin
dacare l'amministrazione dei sacramenti, come
già la feci altra volta quando trattavasi di sindaca
re la denegazione dei sacramenti. Lo Stato è pa
drone di disporre che un chierico presti il servizio
militare, perchè il privilegio della esenzione dalla
milizia è nel dominio della autorità civile. Ma non
concordo che possa interdire ad un Vescovo di am
ministrare il sacramento dell' ordine ad un soldato
quando ne ha i requisiti canonici ( 1 ) . Io sono sem

(1) Acute ( come sempre ) sono le osservazioni che inse


riva testè nel giornale la Nazione il mio dottissimo e ca
rissimo amico Commendatore Borgatti , nello intento di
sostenere la legge. Le riassumo , e rispondo ——— 1.º La que
―――― 125

pre sulla mia linea. Libertà per tutti : legge uguale


per tutti : repressione penale contro i soli che vio

stione ( egli dice ) non deve discutersi cou declamazioni.


Ottimamente dunque portiamola sul campo del diritto, e
non facciamo pressione sul cuore con i quadri patetici delle
fanciulle tradite e dei figli reietti --- 2.° Lo Stato non colpisce
l'atto religioso ma le conseguenze . Benissimo . In astratto
e nella questione di competenza siamo perfettamente d'ac
cordo , ed è precisamente quello che io propugno . Portate la
pena sui momenti di fatto nei quali nascono le conseguenze ;
e sarete logici e giusti. Ma punire l'atto religioso , quando
le conseguenze non sono nè CONCOMITANTI nè NECESSARIAMENTE
congiunte all'atto , non è una deduzione esattamente logica
della distinzione ( d'altronde giustissima ) fra atto e conse
guenze. L' esempio delle processioni chiarisce appunto questo
mio concetto. Se da una forma di processione si apprende un
disordine , il disordine è concomitante all'atto . Non si pos
sono evitare le conseguenze senza impedire l'atto ; e l'atto
allora si impedisce legittimamente per la necessità di evitare
le conseguenze . Ma nel matrimonio ecclesiastico non è così.
Si possono punire le conseguenze senza creare delitto nel
l'atto. Aspettate a punire l'abbandono della donna e la fro
de . Aspettate almeno a dichiarare obbligatoria la celebrazione
del contratto , e criminoso l'ometterla , il giorno in cui la cop
pia abbia prole. Allora potrete usufruire questo argomento ,
e dire con verità punisco le conseguenze . L'illustre Bor
gatti ed io siamo d'accordo nel principio ; il divario è nella
applicazione - 3. L' esimio senatore concorda che il nostro
Codice circonda di troppe difficoltà formalistiche il matri
monio civile . E dove è che le nuove leggi Italiane non ab
biano circondato di inutili forme noiosissime e vessatorie tutti
gli atti della vita civile ! Anche qui mi unisco a lui nel sup
porre che una delle cause le quali diradano i matrimonii ci
vili risieda forse nel tedio di tali vessazioni ; al modo stesso
- 126 ―

lano il diritto. Questi sono i miei tre articoli di fe


de e la base del mio liberalismo.

che la esperienza mi ha mostrato come moltissimi oggi vanno


a caccia senza permesso , non per risparmiare quelle poche
lire, ma per non perdere una giornata a girare mezza la
città per ottenere il permesso . Benissimo . Ma se anche per
questo lato li ostacoli al matrimonio civile nascono da errori
degli ordini veglianti , io prendo atto delle dichiarazioni del
Borgatti. Se le forme e le solennità onde la istituzione
civile del matrimonio è circondata nella sua esecuzione,
lo rendono meno facile e meno accessibile del matrimonio
religioso e possono essere una delle cause del disordine
( sono parole dello illustre pubblicista ) io credo non ingan
narmi quando mi auguro che la sua squisita logica lo con
durrà a non accettare la legge nei modi e termini con i quali
è proposta e nello stato attuale dei fatti .
Qui sta il vizio radicale della tesi propugnata dai nostri
avversari : niente si è fatto per impedire o correggere le
conseguenze ; e di questa inerzia volete farvi ragione per
portare sull'atto religioso il flagello penale. La pena è il
rimedio eroico della amputazione : non vi si deve ricorrere ·
tranne quando la esperienza abbia mostrato che la piaga è
per ogni altro modo assolutamente incurabile . Dunque si
aggiorni ogni provvedimento penale nell'attuale stato di cose,
e prima di ricorrere a quest' ultimo rimedio si verifichino le
cause del disordine ; sulla norma di queste si studino e si
adottino senza dilazione rimedii preventivi. Dopo eiò ( e sol
tanto dopo ciò ) si potrà , senza incorrere censura di incon
sulta precipitazione , armare la giustizia criminale del suo fla
gello ; ed atteggiarla ancora a maggiore severità , ma in quei
soli casi dove giustizia lo tolleri e necessità lo comandi .
Questa è la mia ultima conclusione nell ' attuale momento
della controversia.
127 -

Ed è speciosa, ma non solida , la replica che si op


pone dai sostenitori della legge dicendo che non si
vuole già punire gli sposi per avere celebrato il
sacramento, ma per non averlo fatto precedere dal
contratto civile . È speciosa questa replica, perchè di
mera apparenza. La coppia che può congiungersi
carnalmente, ed unirsi in permanente convitto sen
za incorrere pena, anche nei casi nei quali sarebbe
a lei interdetto il matrimonio civile , quando è che
si sente chiamare come colpevole davanti al giudi
ce criminale ? Il giorno in cui essa si moralizza col
sacramento. Dunque essa ha tutta la ragione di dire
che la sua colpa è stata quella di aver fatto l'atto
religioso. Quando cento coppie di liberi pensatori si
circondano di numerosa figliolanza al cospetto del
pubblico senza sacramento e senza contratto , e la
giustizia criminale non reca loro alcuna molestia ;
cosa devono dire le altre cento coppie che infino a
tutto ieri vivevano in eguale condizione di quello
(ed esse pure tranquille ) quando appena determi
natesi a chiedere la benedizione dal prete si vedo
no chiamate al Tribunale criminale ? Cosa devono
esse dire ? Necessariamente bisogna che dicano :
siamo divenute colpevoli perchè abbiamo ottenuto
la benedizione del prete. Il convitto carnale e la
mancanza del contratto sono due condizioni che
abbiamo a comune con quelle altre cento coppie le
quali sono tuttavia in stato di innocenza in faccia
alla giustizia : la unica differenza che è sorta fra
noi è il sacramento ; dunque il delitto non consiste
nel convitto carnale nè nel non fatto contratto ; ma
consiste nel sacramento .
- 128 --

Rimane che dica due parole sulla statistica, ed


ho finito per sempre su questo argomento.
La statistica : questa maliarda (1 ) prestidigitatrice,
che così docilmente si plasma al servigio di chi ne

(1 ) Sarebbe idiota davvero chi negasse i grandi vantaggi


che la statistica , guardata in astratto , può recare alle scienze
morali e sociali . Ma se immensi possono essere i suoi be
nefizi quando la sua opera si eseguisca imparziale e com
pleta, altrettanto grandi e funesti possono essere i mali e gli
errori che se ne facciano forti con una fantasmagoria di nu
meri inconsultamente raccolti , e artificiosamente coordinati a
sostenere una tesi preconcetta . Anche l' aritmetica è una scien
za esalta : ma i ragionieri troppo spesso e troppo fatalmente
ne abusano formando prospetti che fanno apparire il bianco
nero a servizio di una parte . Tale è l'effetto connaturale al
giuoco dei numeri . Mi si permetta un esempio. La Giunta
Ministeriale per la riforma del progetto di codice penale , che
il 3 settembre 1869 ebbe l'incarico di guastare e demolire
quanto era di bello e di buono nel primo progetto di codice
penale presentato dalla Commissione Reale il 17 maggio 1868 ,
e rimettere in trono tutti i vecchi errori condannati ormai
dagli ultimi pronunciati della scienza , e reietti dai migliori
codici contemporanei ; ebbe pure l'incarico speciale di man
tenere la pena di morte. E fosse pure così : non parlo ora
della massima ; e rispetto tutte le convinzioni . Ma a questo
fine si doveva giungere con modi leali e senza artifizio . Non
fu lealtà mistificare il pubblico dicendo che il patibolo si ri
duceva ai minori casi possibili, mentre si proponeva anche
CONTRO I DELITTI D'IMPETO e per quei casi nei quali anche
il nuovo codice dell ' Impero Germanico l'aveva , per obbe
dienza alla giustizia , abolito . Nè fu senza artifizio farsi ap
poggio del voto della Magistratura , insinuando che questo ri
sultava dai deliberati delle diverse Corti di Appello del Regno,
i quali davano ( così si disse ) una grande maggioranza alla
- 129

ha bisogno, ha dato un ' arme potentissima ai Procu


ratori del Re che da lungo tempo vennero eccitan
do questo brusio contro il matrimonio ecclesiasti

pena di morte. Questo sarà e non sarà : io non ho dati per


asserire : ma ho dati quanti bastano per sostenere che in
quanto è stato presentato al pubblico da quella Giunta la jat
tata maggioranza dei Magistrati non è dimostrata . Sussisterà
forse in fatto. Questo io non so . Ma dimostrata non è : e lo
provo. Si è detto che delle diciassette Corti del Regno dodici
si sono pronunziate per la pena di morte , e cinque contro
la medesima e si è precipitosamente concluso , che dunque
la maggioranza della Magistratura vuole il patibolo. Que
sta conclusione è sofistica . Perchè le Corti non sono indivi
dui, ma aggregati di individui : la maggioranza del numero
degli aggregati non sempre rappresenta la maggioranza del
numero degli individui. La cosa è evidente. Pongasi che le
Corti siano per ipotesi di 15 Consiglieri per ciascheduna :
pongasi che le dodici favorevoli al patibolo abbiano delibe
rato a maggioranza anche di due terzi . E pongasi che le
Corti avverse al patibolo abbiano deliberato alla unanimità.
Quindi facciamo il conto . Il carnefice dalle 12 Corti favore
voli ha per sè il voto di 120 Magistrati ; ed ha contro di sè
il voto di 60 : ma sommando con questi 60 i 75 voti delle
cinque Corti a lui contrarie , il risultato vero è che il carne
fice ha avuto in questo esperimento 120 Magistrati a favore ,
e 135 contro : ed ecco la vantata maggioranza dei Magistrati
diventa una menzogna . Io non dico che sia così : ma dimando
se sia arte o ignoranza il circondare sempre di tenebre le sta
tistiche nei punti più interessanti : e dico che , per questa
trista abitudine di lasciar tenebre là dove sarebbe necessario
che splendesse la luce , i lavori statistici che si costruiscono da
chi vuole sostenere un partito preso riescono sempre artificiose
mistificazioni . I numeri non saranno forse quelli che io ho
supposto : ma sono certo che la occultazione del numero
degli individui votanti deve avere una segreta ragione nel
VOL. V. 9
- 130

co, per il fine ( e questa è la morale della favola )


di sodisfare alla insaziabile bramosia di allargare
ogni giorno viepiù i loro poteri, che sono già tanti
e troppi in Italia. Niente si è fatto per prevenire
e correggere i disordini : si sono raccolti quasi con
gioia i documenti dei mali ; e con una fantasma
goria di numeri si è spaventata la pubblica opinio
ne, si sono esaltati li spiriti , e si è preparato il ter
reno per raggiungere il solito scopo di guadagnare
più ampi poteri , e porre anche sul collo del prete
quel piede che continuamente si agita per concul
care tutte le libertà civili . Non è nuova questa pra
tica . È la vecchia storia di Pisistrato , e niente
di più (1 ) . I tempi mutano nomi e forme : ma i fatti

l'artifizio di esagerare quella maggioranza la quale si era


desiderato di ottenere con ogni mezzo . Ecco perchè io dico
che la statistica in mano di certe genti è una maliarda . La
statistica è ottima cosa. Ma bisogna innanzi tutto saperla
fare. Ed in secondo luogo bisogna farla lealmente, e senza
preordinamenti ad un fine precostituito : e questo mai si ot
terrà finchè il Governo ne consegna le operazioni a certi
officiali dell' accusa , ai quali in ogni atto loro è stella polare
la bramosia di aumentare con ogni mezzo i poteri dei qualı
sono insaziabili . Potrebbe dirsi di costoro col poeta latino
crescit amor nummi : potrebbe dirsi col poeta italiano E do
po il pasto ha più fame che pria : potrebbe ripetersi
quel celebre motto del confessore di Luigi XIV Sire ! l'ap
petito viene mangiando. Ma ciò non si vede o non si vuole
vedere ! Che cosa ha che fare l'accusa con una verifica
zione tutta amministrativa ?
(1) Ho già più volte deplorato nei miei scritti quella che
io chiamo nomorrea penale, anatemizzata fino dai tempi di
Seneca come persicie della repubblica. Questa malattia si
― 131 -

si riproducono. Creata questa situazione un Ministro


dotto e zelante non poteva lasciarla inosservata. Egli
doveva proporre una legge per richiamare l'atten
zione del Parlamento sui lamentati disordini. E la

legge non poteva non proporla se non nel senso e


nei modi che a lui venivano indicati da chi tanto
aveva sudato per preparare il terreno nella pub
blica opinione. Tolga Dio che per noi si voglia muo
ver parola di censura contro il Ministro che pro
pose la legge. Egli era stato posto nella necessità
di farlo perchè una più seria e più estesa discus
sione illuminasse la Nazione sui suoi veri biso

gni, ed aprisse la strada a giudicare imparzial


mente se questi bisogni esigano inevitabilmente
UNA LEGGE PENALE ; o se invece possano, con più

fece gigante in Francia , ove sotto Napoleone III accrebbe di


parecchie centinaia il numero dei fatti elevati a delitto ; e
in tal guisa familiarizzando il popolo con la giustizia
criminale, lo demoralizzò , ed aiutò i Comunardi . Questa ma
lattia minaccia di divenire contagiosa in Italia per lo zelo di
certi ufficiali ai quali occorre che ai fatti si imponga la ve
ste di delitti per condurli sotto la propria signoria. E qui
pure si va a ritroso delle date speranze . Si è detto agli Ita
hani che erano maturi per avviarsi progressivamente al go
verno di sè stessi , e che perciò si liberavano dal governa
mentalismo dei vecchi Signori . Ma se ad un governamenta
lismo , che era preventivo e che assumeva il nome di paterno ,
si va sostituendo il governamentalismo del giudizio criminale ,
non so vedere il guadagno del mutato sistema . Dove prima
si incappava in un monito dal Presidente del buon Governo,
oggi spessissimo si incappa in qualche mese di prigionia.
E questo un buono avviamento ad assuefare il popolo a go
vernarsi da sè !
- 132 -

legalità e sicurezza, ripararsi mediante ALTRI TEM


PERAMENTI .
Ma la statistica che ha servito di base a questa
impresa è dessa completa ? No : essa è al solito
monca, difettosa ed insufficiente ad illuminarci . Ed

è tale per due capitali ragioni : 1.º perchè ha trascu



rato ogni indagine sulle cause ( 1 ) 2.º perchè ha

(1 ) Nè qui mi si obietti che la Relazione Ministeriale an


nunzia che le cause sono state cercate , ed anche le enu
mera. A questa obiezione risponde il testo di quella Rela
zione - ivi - Le cause alle quali i Procuratori Gene
rali, secondo il resultato delle loro indagini , attribuiscono
siffatto disordine, sono ec. - Dunque io ho detto benissi
mo 1 e d'altronde è cosa notoria in Italia ) che verificazioni
in questo senso non ne sono state fatte . Grazioso è il modo
di fare le statistiche con le indagini dei Pubblici Ministeri ;
cioè con le informazioni sommariamente prese o dai Sindaci
o dai birri ! Tum ficti pravique tenax quam nuntia veri !
La statistica si deve ella fare su dati positivi o sulle con
getture ? mi si risponda. La statistica delle congetture non è
più statistica : è una divinazione ; e pur troppo le indagini
dei Pubblici Ministeri sono spessissimo divinazioni smentite
dalla realtà . La statistica deve dare numeri positivi quando
questi numeri si possono ottenere : e qui era facilissimo ot
tenere il positivo, ordinando in ciascun comune l'interroga
torio dei coniugi . Questo non si è fatto : dunque non si è
cercato il positivo : ma si sono volute dare al pubblico come
fatto le opinioni e le supposizioni personali degli agenti del
potere e questa non è statistica . Oltre a ciò le indagini dei
Pubblici Ministeri hanno enumerato una vaga quantità di
cause che tutti sapevamo senza bisogno delle loro indagini.
Ma niente hanno potuto dire della proporzione relativa e
del relativo influsso di tali cause . E questo, lo ripeto ancora
una volta , non è un fare la statistica . Chi accetterebbe come
――― 133

trascurato il necessario raffronto degli effetti : ed è


rimasta nel cerchio di una gretta enumerazione
dei fatti .
1. Se voleva ottenersi una luce completa sulla
questione onde potessero utilmente erudirsi i legis
latori intorno alla medesima, non dovevasi restar
paghi di contare i matrimonj ecclesiastici non sus
seguiti dai matrimonj civili : si doveva indicare il
perchè tanto numero di coppie astenevasi dal con
tratto. Quale è il medico che curi una febbre sen
za prima cercare dove stia la cagione morbosa che
la produce ? Pochissima fatica e nessuna spesa sa
rebbe occorsa al Governo per ottenere siffatta ve
rificazione . Una circolare ai Sindaci locali delle va
rie Provincie del Regno, onde richiamassero ad una
ad una le coppie maritate canonicamente, rammen
tassero loro il dovere di procedere al contratto ci
vile, e le richiamassero a dichiarare le ragioni per
le quali ricusavano di uniformarsi alla legge. In
venti giorni la operazione era fatta.
Poteva accadere che dietro tali verificazioni le
gigantesche cifre sparissero, e si fosse costretti a

buona una statistica che dicesse le cause dei delitti avvenuti


in una data provincia essere state le tali e le tali , senza spe
cificare quale fu il numero di delitti conseguito ad una causa ,
e quale il numero conseguenza di un altra ? Si risponderebbe
che questa è una burletta, e che con queste formule la sta
tistica d'Italia del 1873 poteva farsi in Roma ai tempi di
Cesare, perchè il complesso delle cause dei delitti erano al
lora quelle che sono ora. Questa superficialità nel fare le
statistiche, questa presunzione perpetua di sostituire ai dati
positivi ( che non si cercano ) le congetture e le opinioni
degli onnipotenti , è il vizio continuo di tali lavori fra noi .
--- 134 -
-

toglierne i numeri rappresentati da quelle coppie


di conjugi che dal 1871 in poi hanno convertito le
prime nozze in nozze civili .
Poteva darsi che quella stessa chiamata univer
sale, eccitasse parecchi a mettersi in regola, per ti
more che quella chiamata preludiasse a molestie .
Poteva accadere che i Sindaci, rivelate a loro le
singole cause di quella ritrosia, le combattessero, e
persuadessero anche i più schivi a mettersi in re
gola con la legge civile : nè a ciò sarebbe mancato
l'impulso anche dei parrochi ai quali incombe oggi
paurosa la minaccia di una legge penale .
Ma io voglio prescindere da tutte queste conside
razioni delle risultanze probabili di quella generale
investigazione. Io non corro dietro alle congetture :
ma torno a dire come cosa positiva , essere necessa
rio che su quelle cause siano istruiti i legislatori .
Cosi raccolte le informazioni sopra le cause, do
vevano le medesime ridursi a categorie : e allora
si sarebbe conosciuto che due decimi di quelli sposi
erano Ufficiali che non potevano devenire al con
tratto perchè sforniti dei mezzi indispensabili a fare 1
il deposito prescritto dalle leggi militari ; si sareb
be saputo che altri tre decimi erano vecchi concu
binari ai quali ripugnava il matrimonio civile per
non rendersi invisi e rovinosi alle loro famiglie, e
per non perdere la libera disponibilità dei loro pa
trimoni, che a pregiudizio dei congiunti poveri ver
rebbe tolta a loro per le improvvide disposizioni del
codice civile : si sarebbe saputo che un altro deci
mo erano nozze di vedove di impiegati che il con
tratto avrebbe condannato a mancare di pane : si
sarebbe finalmente saputo che gli altri quattro de
135

cimi erano gente illusa per falsi scrupoli, o inerte, o


apatista, o procrastinatrice ; che facilmente si poteva
condurre a regolare la propria situazione. Io non as
serisco ; congetturo soltanto queste cagioni : ma sono
in diritto di congetturarle in faccia a chi potrebbe
mettere in chiaro la verità vera e trascura di farlo .
Or bene : conosciute così le cause del lamentato
disordine e le loro proporzioni conveniva studiare
se vi erano modi preventivi di toglierle. Illuminare
prima di tutto gli illusi ed eccitare li indolenti , det
tare misure repressive e severe più che una multa
contro i sacerdoti ( 1 ) ignoranti e fanatici che in
gannino i creduli dando loro ad intendere essere

(1 ) Io non sono teologo . Ma secondo coscienza mia , e senza


arrogarmi pronunciati teologici , dico che sarebbe peccamino
so uel Sacerdote osteggiare il matrimonio Civile ; e nel Sa
cerdote cattolico più che in ogni altro . È dovere religioso
per noi la indissolubilità del nodo : è dovere religioso per
no dare uno stato ai figli da noi procreati : dunque pecca
contro la religione chi si astenga dal contratto per i due
pravi fini di ridurre a nulla il vincolo ecclesiastico a talento
suo ; e di gettare i propri figli alla strada . Il sacerdote che
conosca questi due pravi intendimenti non può che biasi
marli ; e per conseguenza deve desiderare che ai precetti
religiosi si aggiunga la sanzione civile : e poichè egli sa che
per le leggi veglianti la sanzione civile non può rafforzare
quei due precetti religiosi se col sacramento non concorre
il contratto, così egli deve sentire il dovere religioso ( pre
scindendo da ogni dovere cittadino ) che a lui incombe di
spingere i maritati al contratto come ad un mezzo che me
glio assicura lo adempimento degli obblighi cristiani . A me
pare che debba essere così : e per questo io ho detto che
il sacerdote non può osteggiare il matrimonio civile altro che
per ignoranza o per fanatismo .
136 _____________

peccaminoso il contratto ; ed in tal guisa si ponga


no al tempo medesimo in urto contro lo Stato e
contro la Chiesa. Immenso divario passa fra il puni
re il prete perchè amministra un sacramento , e pu
nirlo perchè si mette in urto contro le leggi dello
Stato e della stessa religione . Poi esaminare se
quanto alle vedove ( 1 ) povere degli impiegati fosse

(1 ) La Finanza Italiana è ormai celebre per liti tenace


mente sostenute con temerario proposito , e quasi sempre fi
nite con la peggio di lei . E si proferì sentenza che la Fi
nanza non perde mai , anche quando perde la lite , perchè
guadagna nello spaccio della carta bollata. Or come mai non
si è tentato di sospendere il pagamento delle pensioni alle
vedove rimaritate col solo nodo ecclesiastico onde portare la
questione al giudizio dei Tribunali ? Questo tentativo si era
pur fatto dai privati per sottrarsi ai lasciti di vedovanza ; ed
era stato per alcuni di loro fortunato fino alle superiori Cor
ti del Regno . La teorica era identica . Come in quei lasciti
rettamente si argomentò la volontà del testatore dallo avere
dettato le sue tavole in epoca anteriore al 1865 quando non
esisteva matrimonio civile ; così ad argomento identico di
volontà si prestava la nostra legge sulle pensioni che è del 14
aprile 1864. Questa legge all' art. 25 dispone indefinitamen
tela pensione si perde dalla vedova che passi ad al
tre nozze : e nozze sono anche quelle celebrate col solo
rito ecclesiastico , come sono nozze quelle che si celebrino
dalla Italiana in Costantinopoli col rito Mussulmano . Io qui
non voglio discutere la tesi . Ma dico con fermo convinci
mento che la tesi era sostenibile : e che ad ogni modo era
prezzo dell ' opera cimentare la prova . Che se la prova fosse
riuscita infelice appo i Tribunali , allora avrei fatto una legge
speciale per questo caso ; ma non legge penale . Ecco i due
articoli che avrei proposto . Art. 1. Alle vedove che fino
alla data della presente legge si sono rimaritate col solo rito
―― 137 ――

stato opportuno di procedere con quelle sanatorie ,


che noi vedemmo cosi frequenti e così lodate nei
cessati governi delle Provincie Italiane. Conveniva
studiare se non fosse stato più opportuno per in
durre al contratto lasciare agli sposi la libertà del
contratto, anzichè spogliarli della disponibilità dei
loro beni a profitto del coniuge ricco ed a rovina.
dei congiunti miserabili.
Che se il risultato di questo studio avesse man
tenuto i legislatori nel convincimento di non potersi
rimuovere certe cause perpetuamente repellenti dal
matrimonio civile, allora bisognava mettere il pro
blema sul suo vero terreno .
Ed il vero terreno del problema era ed è questo.
In presenza di cause permanenti , potentissime, e che

ecclesiastico sarà conservata la pensione che attualmente go


dono purchè dentro due mesi facciano il matrimonio civile :
altrimenti cesseranno dal godere la pensione . - 2. Dalla pro
mulgazione della presente legge le vedove di impiegati per
deranno la pensione anche quando contraggano nozze sem
plicemente ecclesiastiche. Con ciò si riparava alle conseguen
ze dell' atto religioso senza invadere le coscienze . Anzi , vo
lendo risparmiare l' esperimento giudiciario , poteva darsi a
questo articolo 2 il concetto di una interpretazione autentica
dell'art. 25 ; la quale , purchè non fosse retroattiva , non le
deva i diritti di alcuno . Certo è che in questa guisa si otte
neva per gran numero di nozze lo scopo desiderato . Cosa
otterrete con la vostra multa ? A tutte le vedove che si sono
maritate in questi sette anni continuerete a pagare la pen
sione , senza avere ottenuto la loro sottomissione al Sindaco .
E dopo la legge la vedova che ha mille lire di pensione vi
lascierà un' annata a titolo di multa , e vi scroccherà la pen
sione per altri venti anni di vita .
138 -

non si vogliono o non si possono eliminare, le quali


respingono tante coppie dal matrimonio civile, cosa
faremo noi, cosa otterremo con elevare a delitto la
omissione del contratto ? Il dubbio serio era qui.
Otterremo che malgrado la persistenza di queste
cause si facciano i matrimonj civili ; o piuttosto
otterremo che si prolunghino e si moltiplichino i
concubinati senza la benedizione del prete ? Io mi
permetto di credere nulla probabile il primo risul
tamento ; probabilissimo, e quasi certo il secondo.
2.º Dovevano inoltre studiarsi gli effetti che aveva
prodotto il codice civile col negare la sanzione della
legge al matrimonio ecclesiastico . Bisognava trovare
la media annua dei matrimonj avvenuti in Italia
negli otto anni successivi alla promulgazione del
codice, sommando insieme i matrimonj civili ed i
matrimonj ecclesiastici . Poi doveva cercarsi la media
annua dei matrimonj negli otto anni anteriori al
codice. E fare il raffronto delle cifre . E se questo
raffronto avesse mostrato ( congetturo e non asse
risco ) che in Italia si aveva dopo la nuova legge
un aumento meraviglioso nel numero dei matrimonj ,
dovevano portarsi qui le più serie meditazioni.
E se per avventura ( congetturo e non asserisco )
questo raffronto ci avesse mostrato che il numero
annuo dei matrimonj civili dopo il codice adeguava
il numero annuo dei matrimonj anteriori al codice ,
era forza concludere che dunque tutto l' aumento
di matrimonj si estrinsecava nei matrimonj eccle
siastici ; ed era precisamente l'effetto della nuova
legge , che col non dare sanzione al matrimonio ec
clesiastico aveva spinto gli uomini con potentissimo
incitamento a stringere nozze, aprendo loro la via
139

di procurarsi una compagna con tranquilla coscien


za, senza sottostare a perpetui oneri patrimoniali ;
senza correre il pericolo di vedersi costretti dalla
giustizia ad alimentare bastardi , o ad erogare il
frutto dei propri sudori a benefizio di una moglie
ingrata e spergiura, ladra, avvelenatrice , e forse di
una prostituta. Io non credo improbabile che anche
in questo pensiero si asconda una delle tante cause
del preteso disordine che si lamenta. E forse se si
procedesse alla inchiesta , che a me pare comandata
dalla necessità delle cose, avremmo da un buon
numero questa ingenua risposta, che se avessero
dovuto soggettarsi alla catena civile sarebbero piut
tosto rimasti celibi.
E se cosi fosse ? Allora il saggio statista dovrebbe
meditare se in questo fatto vi sia una RIVELAZIONE
meritevole di serio studio ; e dovrebbe istituire quel
calcolo che ogni prudente uomo istituisce in ogni
cosa di suo interesse : voglio dire il confronto dei
mali con i beni che in ogni cosa umana perpetua
mente si alternano . Se così fosse sarebbe ad esa
minare se i mali che si attribuiscono al matrimonio
ecclesiastico abbiano o no sufficiente compenso nel
benefizio dell' aumentato numero di matrimonj .
E qui tornare al già proposto problema ; la proibi
zione assoluta del matrimonio meramente ecclesia
stico aumenterà i matrimonj civili , o piuttosto au
menterà la vaga venere, il concubinato senza be
nedizione , e la demoralizzazione del popolo ? Ince
dimus super ignem suppositum cineri doloso.
Questo è il mio dubbio , e lo tengo per serio.
Una ultima osservazione : e depongo la penna.
- 140 --

Anche qui mi trovo costretto a lamentare un


luogo comune al quale troppo facilmente si ricorre
oggidì : la pubblica opinione . Ognuno vanta di ada
giare la sua tesi sopra la pubblica opinione : ma
come lo dimostra ? Oggi è venuto in uso quando
una ventina di giornali hanno riprodotto un assunto,
che si gridi tosto volersi ciò dalla pubblica opinione.
Ma io mi prendo la rispettosa libertà di dubitarne.
Vi sono, sì, delle manifestazioni solenni , sfolgoranti,
irrecusabili della opinione pubblica, ma ben altri
devono esserne i sintomi. La opinione pubblica dei
Toscani contro la pena di morte ( a modo di esem
pio ) non si è manifestata soltanto con qualche pe
riodico . Gli scrittori, gli insegnanti , i professionisti,
le adunanze popolari, le associazioni deliberanti , gli
scomposti clamori , le petizioni firmate da numero
strabocchevole di cittadini di tutti i ceti, e persino
i fischi con i quali si cacciarono dalle Università
benemeriti professori per la sola colpa di conni
venza col carnefice, furono echi potentissimi ripe
tuti con lunga ed universale costanza, i quali più
non permisero di dubitare che la opinione pubblica
in questo senso era un vero torrente in Toscana.
Ma qui, nella questione nostra, dove si hanno i do
cumenti per asserire che la opinione pubblica forza
la mano al Ministro e al Parlamento per ottenere
una legge repressiva dei matrimonii ecclesiastici ?
Su quali basi si assevera ciò ? Dove è il voto di
corpi deliberanti ? Dove le petizioni di numerosi
cittadini ? Dove sono i fischi che accompagnano gli
sposi ecclesiastici allo uscire dalla Chiesa : dove le
riunioni civili e le case oneste che li discaccino, e

neghino loro accoglienza e rispetto ? Nel caso pre


- 141 -

sente vi è anzi l'opposto. Il fatto stesso di tante


migliaia di matrimonj ecclesiastici avvenuti in po
chi anni, non è desso una manifestazione che la
pubblica opinione si appaga del rito religioso ? La
statistica che voi invocate è appunto quella che
smentisce la vostra jattanza. A confessione vostra
centoventimila quattrocentoventuna coppie maritate
ecclesiasticamente vi danno duecentoquarantamila
ottocentoquarantadue individui che in modo peren
torio hanno detto vogliamo il matrimonio ecclesia
stico ed anzi siete voi che asserite che dal 1871
in poi questo numero va crescendo ogni giorno in
Italia. Aggiungete altra somma identica di testimoni
al maritaggio. Aggiungete altro maggior numero
di parenti ed amici che hanno aiutato il nodo ed
hanno fatto agli sposi festoso corteo : ed anche la
sciando affatto in disparte il clero , che può avere
interesse in causa, voi avete un numero straboc
chevole di cittadini i quali nel modo più aperto
osteggiano allo assunto vostro . Dove avete adesso,
e dove trovate l'opposto numero soverchiante che
vi autorizzi a quella pomposa assertiva , la legge è
richiesta dalla pubblica opinione ? Padroni voi siete
di vantarvi superiori alla opinione pubblica ; padroni
di affermare il vostro giudizio migliore di quello ;
padroni di dichiarare che volete guidare, compri
mere, rettificare la pubblica opinione . Ma non siete
padroni di gridare che la opinione pubblica è per
voi, quando non avete fatti positivi che vi autoriz
zino ad asserirlo ; e quando tutti i fatti vi stanno
contro. E qui mi piace riportare un celebre aned
doto di Leopoldo II . Quando esso stava per conce
dere il tentativo del primo tronco di via ferrata in
-- 142 -

Toscana da Livorno a Pisa, numerosissima peti


zione di gente interessata e pregiudicata era pre
sentata al Principe per diştorlo dal suo proposito
e lo ammoniva che la opinione pubblica in Toscana
era ostile alle ferrovie. Ma il Principe rispondeva
che se questo era vero ciò doveva farli tranquilli,
poichè se tale era la opinione del popolo nessuno
sarebbe salito sui treni, e la intrapresa sarebbe sva
nita. Fu una lepidezza : ma esprime il vero che la
opinione pubblica si rivela con i fatti. Ma anche
qui eccoci ad una delle solite contradizioni che per
petuamente mostrano la doppia misura, la quale
tanto si predilige da chi ha in mano il potere . Ave
te una opinione pubblica manifestata con i modi
più solenni e positivi per il corso di un secolo, la
quale vi grida che i Toscani non vogliono la pena
di morte : ma allora ( perchè voi volete regalarci
questo spettacolo) la opinione pubblica ( quantunque
universale, costante ed energicamente pronunziata )
non ha più valore per voi . Quando invece la opi
nione pubblica si mostra incerta e divisa fra i di
versi partiti, allora voi prendete la opinione che vi
piace come opinione prevalente ; ed allora questa
opinione fattizia ed incerta acquista per voi un va
lore irresistibile dal quale pretendete che si comandi
la legge . Eppure è vecchio il dettato che nelle discus
sioni legislative dovrebbe la rettorica avere ostra
cismo : ed è pura rettorica nella presente questione
il vanto che la opinione pubblica assista la tesi del
la punizione del sacramento .
Nè vale anche una volta girare di bordo, e lo
insistere che il legislatore non deve essere schiavo
della opinione pubblica perchè è sua missione edu
___ 143

care il popolo. Ammetto questo vero senza contra


sto ; ma io riconduco la questione ai principii fonda
mentali ; e disputo intorno ai mezzi. Si può educare
il popolo ( ed anzi si deve in certi casi ) ma non con
i messi della repressione penale, tranne quando la
aberrazione che vuolsi correggere si estrinseca in
una offesa al diritto. Cosi nessuno contrasta alla
autorità la potestà di punire legittimamente i duelli ,
quantunque i duelli siano non solo tollerati ma pur
troppo comandati dalla opinione pubblica. Questo sta
bene, perchè il duello offende i diritti sociali e na
turali nel modo più audace e più intollerabile . Ma
quali diritti offendono le coppie che si stringono in
nodo ecclesiastico e il sacerdote che le benedice,
mentre si riconosce che nessun diritto offendono le
coppie che formano e popolano le loro famiglie senza
benedizione ? E dove non è offesa al diritto come
potete creare un delitto ? ( 1 ) Quando il sacerdozio per

(1 ) Non posso prendere come seria una obiezione la quale


si fa vista di credere demolisca in radice la teoria da me
sostenuta. Si è detto che il progetto di legge non fa del ma
trimonio ecclesiastico un delitto ma una semplice contra
venzione. Da ciò probabilmente se ne vorrà indurre che alle
contravenzioni non richiedendosi dolo e danno la legitti
mità del divieto non è discutibile . A chi è nuovo al linguag
gio del giure penale potranno fare impressione questi giuo
chi di parole, i quali non hanno valore alcuno , non potendo
cambiarsi a comodo la realtà delle cose con adattarvi va
rietà di nomi a capriccio. Se si usa la parola contravenzione
nel senso del Codice Austriaco rispondo che quelle contra
venzioni ( malgrado questo nome ) sono delilli correzionali
che richiedono danno e dolo ; ed è per quel Codice con
travenzione anche il furto (S. 460 ) quantunque punibile.
- 144 ―――――

ostilità al Governo si ponesse in aperto antagonismo


col matrimonio civile, questo (e non altro che questo)
offrirebbe una aggressione al diritto : e qui potè
trovarsi la ragione dell' eccessivo rigore delle leggi
di Francia, dove i preti fanatici armavano la Vandea
e facevano ogni modo di guerra al nuovo Governo .
Ma in Italia la massa del sacerdozio non è per
cotesta via sull' argomento del matrimonio civile ;
e non vi sono fatti che autorizzino una reazione e
la giustifichino neppure per occasione politica. La
simpatia per il matrimonio ecclesiastico nasce in
Italia o da cause di privati interessi, o da una se
greta aspirazione del popolo verso il divorzio, che
si alletta della speranza di una famiglia più docile
e più tranquilla ; o nascono da ignoranza e pregiu
dizi popolari e questi moventi autorizzano i rimedii
educativi ; ma il giudizio criminale no.

Pisa 31 decembre 1873.

con l'arresto fino a sei mesi; e ( §. 411 ) anche le lesioni


deliberatamente arrecate che lascino visibile traccia . Ma se
si usa ( come si deve in questa disputa ) la parola contra
venzione nel senso del codice italiano , non è possibile soste
nere sul serio che un fatto contro il quale si irroga una
multa di cinquecento lire sia una contravenzione . Gli ar
ticoli 688 e 57 del codice penale vegliante insegnano a tutti
che le contravenzioni non possono punirsi con una ammenda
superiore a lire cinquanta.
XIX .

DIVIDUITÀ

DELL' AZIONE DI INGIURIA

VOL. V. 10
DIVIDUITÀ

DELL'AZIONE DI INGIURIA

..

Questa
uesta tenebrosa ed empirica regola della indivi
duità del delitto e dei suoi contenuti , io ho com
battuto forse dieci volte , e più, nei miei scritti ovun
que me la sono trovata innanzi ; e sempre la com
batterò quante volte io ne abbia occasione , perchè
è un errore solenne . Errore che tocca all' assurdo in
quanto pone come regola assoluta la individuità giu
ridica del delitto anche quando non ricorre la indi
viduità ontologica . Vero assurdo , perchè esprime
una contradizione . Ciò che è ontologicamente dividuo
non può farsi per umano placito individuo, perchè
non giace nella cerchia dello umano potere di fare
che quello che è non sia tale quale è.
Ed ora che vidi in un caso pratico sostenersi la
tesi della individuità dell' actio injuriarum, ripiglio
la penna per tornare a combattere il vecchio ne
mico, nella fiducia di dimostrare che anche in que
sta sua applicazione quella formula è erronea.
La questione della dividuità o individuità della
actio injuriarum può svolgersi sotto due forme
―― 148 ――――――

diverse ; secondo che si guarda il reato di ingiuria


o nel suo modo di essere oggettivo, o nel suo modo
di essere soggettivo.
1.º La questione della individuità si presenta nel
rapporto oggettivo del reato di ingiuria quando si
suppone che un solo individuo abbia contemporanea
mente ingiuriato due persone, forse con una sola
frase. Per esempio, Sempronio acceso di sdegno
contro Sejo e Cajo ha detto loro, siete due ladri.
La actio injuriarum che nasce da quello oltraggio
è dessa individua ?
No : nascono due azioni da quell' unico fatto . Una
azione per ingiuria a favore di Cajo, ed una azione
per ingiuria a favore di Sejo ; e sono due azioni
distinte, dividue ed indipendenti l'una dall' altra.
• Potrà forse insinuarsi che sotto il rapporto sog
gettivo abbiasi nel caso proposto la individuità, per
chè unico fu il momento di azione ; unico il moto
delle labbra ; unica la ripercussione dell' aria che
recò il suono molesto alle orecchie di Cajo e di Sejo .
Ma a più giusto vedere può dubitarsi se anche nel
suo modo di essere soggettivo quel reato sia vera
mente individuo o piuttosto dividuo, perchè il de
litto ha la sua soggettività nella forza fisica ( moto
del corpo ) e nella forza morale ( atto della volontà ) .
E sebbene il moto del corpo , nella ipotesi che esa
miniamo, sia stato un solo, pure la volontà ha ne
cessariamente percorso due fasi distinte. La idea
di tacciare Sejo di ladro non è identica con la
idea di tacciare Cajo di ladro . Si esigono due di
stinti momenti della facoltà volitiva. Possono appa
rire contemporanee nella loro genesi quelle due
idee : ma sono sempre due idee diverse. E la con
149 www.b

temporaneità (quando anche fosse esattamente vera)


non equivale davvero alla unicità. Ma sia che vuolsi
di ciò.
Concedasi pure che nel caso proposto si abbia ad
ammettere la individuità soggettiva . Certo è che
individuità obiettiva non vi può essere ; perchè altro
è il diritto all' onore leso in Cajo , ed altro il diritto
all' onore leso in Sejo : e repugna che due violazioni
di due diritti differenti ( quantunque omogenei )
costituiscano un solo delitto. Può la legge riunirli
nel calcolo della imputazione ; ma i fatti sono sem
pre distinti ; e ciò che dispone il legislatore penale
per aggravare una pena attesa la moltiplicità di
certi atti criminosi non fa cessare la loro moltiplicità.
Di qui la prima conseguenza che Sejo possa ac
cordare quietanza al suo offensore ; e negarla Cajo ,
ed insistere sulla querela. Nè potrà davvero Sem
pronio pretendere di imporre silenzio a Cajo perchè
Sejo lo perdonò . Tesi che egli potrebbe sostenere
validamente se l'azione fosse individua, perchè ri
correrebbe la teorica dei creditori solidali . Ed estinta
da Sejo una volta la azione non potrebbe essere
morta e viva nel tempo stesso .
Poi la seconda conseguenza : che la ingiuria a
Cajo e la ingiuria a Sejo possano essere giudicate
con diversa misura . Ponete che Cajo sia un pub
blico ufficiale e Sejo no ; ecco una diversità nella
pena. Oppure ponete che Cajo avesse prima insul
tato Sempronio, sicchè fra questi due trovasse con
grui termini la compensazione. Chi vorrà dire che
anche Sejo, benchè inoffensivo , debba vedersi estinta
nelle mani la sua querela perchè la compensazione
ha estinto la querela di Cajo ?
- 150

Poscia la terza conseguenza . Cajo non aveva nè


dato querela nè perdonato : ma intanto Sejo insistè
1
sulla accusa contro Sempronio : ed ottenne che que
sti fosse condannato alla prigionia. Ecco allora Sejo
che alla sua volta propone querela per la ingiuria
da lui patita. Voi nol potete ( grida a lui il difen
sore di Sempronio ) nol potete, perchè violate la
sacra regola non bis in idem. Sempronio ha ormai
subito la pena della ingiuria da lui commessa, e
con subirne la pena ha estinto l'azione penale ; e
non è tollerabile che risorga. Se l'actio injuriarum
fosse giuridicamente individua, il difensore di Sem
pronio avrebbe piena ragione . Ma invece ha il torto
marcio perchè l' actio injuriarum, come ogni altra
azione penale, quando è dividua ontologicamente,
non può essere individua giuridicamente.
E che sia così non lo affermo io solo : lo ha bene
affermato non ha guari la Cassazione di Francia sul
ricorso Rubier nel decreto del 14 febbraio 1873. Il

giornale le Progres de Loiret aveva pubblicato una


nota di diversi individui che accusava di essere de
latori . Uno degli individui nominati in questa nota
presentò querela contro il gerente Rubier il quale
fu condannato dal Tribunale correzionale. Dopo ciò
un altro degli individui diffamati con quella nota
propose alla sua volta querela contro lo stesso Ru
bier. Ma questi fu sollecito ad opporre la eccezione
che l'azione penale era estinta con la prima con
danna , e non poteva una seconda volta proporsi per
l'identico fatto. Era la teorica della individuità sem
plice e netta. Ma questo sistema portato innanzi alla
Corte di Cassazione fu da lei con elaborate consi
derazioni respinto, e la Corte concluse - les élé
- 151

ments qui constituent le délit de diffamation sont


essentiellement individuels, et il y a autant de dé
lits de diffamation q'il y a de personnes diffamées.
Conclusione giustissima la quale mostra che anche in
Francia il famoso principio della individuità del tito
lo, levato a cielo ai tempi dell' autocrate Merlin ,
e ferocemente applicato per punire di morte il com
plice per moto improvviso di un omicidio premedi
tato dall' autore principale, e l' estraneo partecipe
del parricidio, e per altri simili effetti terribili , va po
co a poco anche colà perdendo terreno mercè lo svi
luppo della ragione filosofica del giure penale.
La individuità dell' actio injuriarum nella sua
forma oggettiva è dunque un sogno insostenibile.
2.º La questione della individuità si presenta nel
rapporto soggettivo, quando si suppone che parecchi
individui abbiano ingiuriato una sola persona. E que
sta la forma sotto la quale si è agitato testè il pro
blema nelle nostre pratiche, perchè si è preteso di
sostenere che l'actio injuriarum competente all' of
feso contro i parecchi suoi offensori fosse individua .
Questa tesi si volle propugnare in quel caso prati
co allo speciale effetto di estendere per volontà del
Pubblico Ministero a tutti gli ingiurianti la querela
che l'offeso aveva proposto contro un solo dei suoi
offensori ; ed allo effetto, anche più singolare, che
il perdono e la quietanza dovessero darsi a tutti gli
offensori, altrimenti non avesse valore per alcuno.
L'azione penale ( si diceva ) non può essere viva
e morta nel tempo stesso . Se è viva contro un col
pevole deve essere viva per tutti.
L'azione per ingiurie ( si soggiungeva ) è di sua
natura pubblica . Ha bisogno dell' eccitamento delpri
- 152 -

vato onde possa eccitarsi dal Pubblico Ministero . Ma


quando una volta quella azione è eccitata dall' offe
so il Pubblico Ministero ne è divenuto padrone ; e
deve esserne padrone nella sua integrità senza li
miti e senza restrizioni ; deve esserne padrone a
riguardo di tutto il fatto, e non di una parte sola
del fatto ; deve essere padrone di esercitarla contro
tutti coloro che furono partecipi al fatto, e quere
lati o non querelati , o perdonati o non perdonati .
Ma questi speciosi argomenti non sono che il pro
dotto di un presupposto , il quale è una vera allu
cinazione : il presupposto cioè della individuità del
l'azione penale contro parecchi colpevoli involuti
nello stesso delitto.

Non è vero che l'azione nata per un delitto ( e più


specialmente per il delitto di ingiuria ) contro i
più individui che presero parte al fatto criminoso
sia una sola azione. Sono altrettante azioni quanti
sono i delinquenti che vi presero parte . Se furono
due ad oltraggiarmi ( Pietro e Luigi ) io vengo ad
acquisire due azioni sostanzialmente distinte : l'una
è l'azione contro Pietro , l'altra è l'azione contro
Luigi. Il fatto è la causa giuridica di una azione
penale ; non ne è l'obietto. L'obietto dell' azione è
la persona. Molteplice dunque è il delitto dei più
perchè ha distinti subietti attivi : molteplice è l'azio
ne persecutoria dei medesimi perchè ha più obietti
diversi quante sono le persone eventualmente pas
sive della medesima.
La ingiuria che mi inferì Pietro potè essere gra
vissima, o per la sostanza delle parole o pei rapporti
personali intercedenti fra noi : la ingiuria inferitami
da Luigi potè essere leggerissima. Come può soste
--- 153 ✔

nersi che da due delitti di diversa gravità e addebita


bili a diverse persone nasca una azione individua ?
E quando anche la indole del delitto di Pietro,
e la indole del delitto di Luigi siano perfettamente
omogenee, come può sostenersi che la identica gra
vità conduca alla unificazione di due fatti distinti ?
Gravissimo equivoco è supporre il titolo del reato
come un quid materialmente esistente. Il titolo non
è che la veste del fatto . Ciò che esiste è il fatto.
E quando ormai la dottrina ha riconosciuto che i
più partecipi ad uno stesso delitto debbono corri
sponderne secondo la misura del loro dolo e del
loro fatto personale, come può ( dove pure in un
caso di ingiurie ricorressero i termini della compli
cità ) sostenersi il concetto della unificazione dei
due fatti ontologicamente distinti, per concludere
che unica ed individua debba essere l'azione per
secutrice di quei due fatti ?
Dove è la ragione politica per falsare la verità
delle cose, e introdurre una individuità giuridica
dove fa difetto la individuità ontologica ? Non è egli
interesse della società di promuovere le paci ed i
perdoni ? E se fra cinque che mi offesero io voglio
perdonare a quattro perchè mi sono benevoli , perchè
mi chiesero scusa, perchè ho ragione di non temere .
ripetizioni di oltraggi da parte loro, quale è il pre
cetto di morale o il precetto di giustizia o il precetto
di politica che imponga di costringermi od a sacri
ficare gli amici od a perdonare anche al quinto ben
chè siami tenace nemico ed io abbia forte ragione
di prevedere che tornerà più audace agli insulti ?
Non ha dessa del cerebrino questa velleità di
mutilare la massima (ormai signora della dottrina)
―――――― 154 -

che nei delitti perseguibili a querela di parte l'offeso


è il supremo giudice del suo meglio, il supremo ar
bitro di ciò che più conviene al proprio onore ed
alla sua pace domestica ?
E qual sorta di padronanza è ella questa che
vanta il Pubblico Ministero sulla azione per ingiuria
dopo che ne fa portata querela ? Bella padronanza
per mia fè ! Dopochè alla udienza finale il Pubblico
Ministero ha declamato a sua posta e concluso per
la condanna, l'offeso si alza e ringrazia l'accusa
tore della sua cortese adesione, ma desiste dalla
querela : ed il vantato padrone , diventa l' umilissimo
servo della parte privata.
Ma parmi inutile ragionare sopra argomenti estrin
seci. L'argomento sostanziale si è che tanti sono i
delinquenti , tanti sono i delitti ; e tanti sono i delitti ,
tante sono le azioni penali che la legge accorda all'of
feso. E chi giudica le cose secondo la realtà vera, e
non secondo i voli della fantasia o i suggerimenti del
le passioni, bisogna convenga che un delitto nasce
quando Pietro mi taccia di ladro ; ed un altro delitto
nasce quando Luigi mi taccia di poco educato ; laon
de se a me piace di trascurare la seconda ingiuria
ma voglio sodisfazione dell' altra ingiuria che più mi
ferisce , io sono nel mio diritto quando querelo, e
sono nel mio diritto quando non querelo ; e il Pub
blico Ministero non è mai nel suo diritto quando
pretende di portare in casa mia le sue bilancie, e su
quelle pesare gli interessi e le convenienze dell' ono
re mio : e spingere il suo dispotismo fino al punto
di interdirmi di perdonare ad un amico pentito.
Singolare poi è il ragionamento col quale si volle
confortare la tesi della individuità dell'azione di
155

ingiuria, argomentando in faccia ai diritti positivi


dalle disposizioni relative alla accusa di adulterio.
È verissimo che parecchie legislazioni hanno or
dinato che la querela proposta contro uno degli adul
teri debba estendersi ancora all' altro ; e parecchie
hanno ordinato che il perdono concesso dal marito
ad uno dei due adulteri profitti anche all' altro . Ma
che si conclude da ciò nella questione presente ?
Sotto il punto di vista dialettico le disposizioni
speciali in tema di adulterio provano mirabilmente
contro la tesi avversaria, per il noto precetto di
critica ― ubi voluit dixit ; ergo ubi non dixit no
luit. E vi vuol poco a capirla.
Sotto il punto di vista ontologico è da osservarsi
che il fatto dell' adulterio È UNICO perchè la moglie
non può violare i diritti del marito senza che con
temporaneamente il drudo faccia altrettanto : laonde
la individuità nasce dalla natura delle cose, e non
da una finzione giuridica. Ma nella ingiuria non è
così . Tizio poteva ingiuriarmi senza che Cajo mi
ingiuriasse e viceversa, io poteva essere ingiuriato
da Pietro senza che Pietro ingiuriasse al tempo
stesso il mio fratello Luigi . Se più furono li ingiu
rianti , o se più furono li ingiuriati si hanno dunque
in ciascun caso altrettanti fatti di per sè stanti, e
nella natura delle cose costantemente ed inevita
bilmente dividui. E la individuità sarebbe un so

vrapposto che vorrebbesi aggiungere per finzione


giuridica: e tale finzione sarebbe cerebrina.
Finalmente sotto il punto di vista giuridico -po
litico troppo vasta e troppo palpabile è la differen
ziale fra caso e caso perchè possa menarsi buona
l'audacia di chi vorrebbe estendere a tutti i casi
―――――――――――― 156 -

una disposizione dettata per un caso specialissimo .


La comunicazione della querela e la comunicazione
della quietanza dell' adulterio hanno una suprema
ragione morale che non ricorre in altri delitti ; la
ragione cioè di evitare i sordidi mercati , e le turpi
collusioni dei mariti. La dividuità della querela di
adulterio darebbe balia ad un marito che detesta

la moglie di incitare un perfido amico a sedurla e


farla sua vittima promettendo di non muovere que
rela contro di lui. La dividuità della querela di
adulterio darebbe balia alla avidità di un marito
venale di eccitare la moglie a procacciarsi un ricco
drudo onde speculare sulla querela contro di quello
promettendo alla donna la impunità.
Non corrono uguali ragioni, non sono a temersi
uguali pericoli dal mantenere alla verità ontologica
il governo della azione di ingiuria nella di lei vita.
giuridica, proclamandola ( come essa è in rei veri
tate) essenzialmente dividua dovunque ricorre mol
tiplicità di persone , sia dal lato degli offesi, sia dal
lato degli offensori.
La tesi pertanto della individuità non ha soste
gno che regga alla critica, sia che si guardi nel
rapporto obiettivo , sia che si guardi nel rapporto
subiettivo del delitto di ingiuria .
I più ingiuriati hanno ciascuno di loro un'azione
della quale essi possono fare quell' uso che loro piace .
Lo ingiuriato da più persone ha contro ciascuno
dei suoi offensori una azione distinta, e di ognuna
di queste azioni è libero dispositore a talento proprio.
Altri opini diversamente a sua posta ; io la pen
so così.
XX.

PENSIERI

SULLA

NOZIONE DELLA BANCAROTTA


PENSIERI

SULLA

NOZIONE DELLA BANCAROTTA

Io tenni sempre e tengo come inesatta e viziosa


la stessa denominazione e la nozione della banca
rotta fraudolenta, in quanto si è voluta rendere
comune a casi ed a fatti che sono sostanzialmente
diversi e diversi così nel punto di vista morale,
come nel punto di vista giuridico, come nel punto
di vista politico .
Io mai mi persuaderò che sia conforme alla ve
rità delle cose ed alle regole di giustizia confonde
re in una sola denominazione, e colpire con identica
misura di repressione , due figure criminose, le quali
presentano costantemente immense differenziali.

Uno è il caso del mercante che prepara malizio


samente il suo fallimento con una fraude preor
dinata ad arricchirsi in danno dei suoi corrispon
denti, mediante commissioni superiori ai suoi biso
gni, mediante rivendite clandestine, mediante con
- 160 ―――――

venzioni e scritture artificiosamente architettate ; in


una parola mediante macchinazioni antecedenti
alla dichiarazione del fallimento , la quale nel suo
disegno deve essere il volontario compimento della
scellerata aggressione alle altrui proprietà, e giun
gere a bottino già assicurato . Costui è l'assassino ,
è l'omicida proditore e premeditato che sceglie la
propria vittima, che la inganna con simulate parole ,
e freddamente assicura i mezzi che meglio varran
no ad operarne la ruina .
A costui bene si obietta il titolo di fallimento do
loso o il titolo di bancarotta fraudolenta, perchè
quando nasce la dichiarazione di fallimento ( sia che
questa emani da terzi o da lui medesimo ) il falli
mento nasce già informato da dolo ; nasce come
conseguenza della fraude : e il giorno stesso in cui
nasce egli nasce delitto.
A costui bene sta che si infligga rigorosissima
pena, perchè sotto il punto di vista morale la sua
bruttura tocca il colmo della nequizia ; perchè sotto
il punto di vista giuridico la violazione dei diritti
da lui aggrediti fu conseguenza di una determina
zione matura e perfetta ; e perchè sotto il punto
di vista politico in faccia alle macchinazioni di uo
mo siffatto è difficilissimo che gli onesti riescano
a difendersi e ad eludere le inique sue trame. La
fredda deliberazione , la prodizione, la insidia, e
quanto avvi che rende un delitto o più inescusabile
o più pericoloso, tutto concorre in costui.
Altro, ma ben altro, è il caso di un negoziante
onorato che apri e mantenne in pienissima buona
fede le proprie speculazioni con intendimento di
migliorare la sua condizione , migliorando al tempo
- 161 -

medesimo quella dei propri associati e dei propri


corrispondenti, procedendo con fiducia nei mezzi
che egli giudicava saldissimi e nei calcoli della più
ragionata probabilità di un prospero avvenire ; e
che ad un tratto è colpito da un infortunio, e co
stretto a fallire o per nimistà di fato e per mali
zia di altri.

Costui nel giorno in cui lo sorprende o il falli


mento dichiarato, o la necessità di dichiararlo, è un
vero fallito di buona fede ; non un bancarottiere,
perchè rompere la banca vuol dire , nel linguaggio
di tutte le scuole , infrangere o per imprudenza o
per dolo i patti ed il vincolo che lega il negoziante
al commercio. Il fallimento che così nasce non è un
fallimento doloso, non è una bancarotta , e non può
dirsi tale tranne per una metafora ed un anacro
nismo, perchè il fallimento è compiuto senza che
nulla si possa rimproverare al fallito e la retrotra
zione del dolo postumo alla consumazione materiale
del fallimento è un concetto antigiuridico . Se il dolo
sopravviene sarà doloso il fatto successivo ; ma è
inesatto e falso affermare che fu doloso il fallimento .
Può bensi ad occasione di un fallimento immune
da ogni colpa nascere successivamente un delitto ;
e l'uomo il più onesto divenire disonesto ad un
tratto . La disgrazia patita gli perturba lo spirito ,
il bisogno inattesamente lo stringe , l'avvenire si
presenta allo animo suo con i più neri colori : i
creditori troppo tenaci ed inesorabili negano ogni
pietoso riguardo alle calamità che lo hanno colpito .
Ecco in moto le passioni improvvise e veementi ;
e vittima di queste egli cade, e capitatogli il destro
di sottrarre valori, di fingere debiti, di nascondere
VOL. V. 11
― 162

capitali, commette una qualche sottrazione sull' at


tivo del fallimento sospinto dalla miseria nella quale
vedesi ruinato e che come marea montante gli op
prime il cuore.
Costui è delinquente ; ma il suo fallimento non
fu doloso, non fu una bancarotta : e chiude gli oc
chi alla luce del vero , e ricade nel vecchio errore
di equiparare al ladro il ricettatore senza prece
dente concerto , chi voglia iperbolicamente asserire
che costui commise bancarotta o che dolosamente
falli. Costui dovrà dirsi colpevole di frode commessa
ad occasione di fallimento, e questo sarà il vero
titolo del suo reato. Costui dovrà bene punirsi per
chè ha violato i diritti altrui. Sarà anche conve
niente che si punisca con mano più severa di quella
che si adopera contro la frode comune ; io non mi
oppongo a questo . Ma francamente dico che è una
iniquità colpire costui col medesimo articolo di leg
ge ; e sottoporlo alla medesima infamia per punirlo
alla pari del fallito precedentemente descritto.
Costui, sotto il punto di vista morale, è meno
malvagio : è l' omicida per impeto improvviso di
veemente passione, poichè egli delinque trascinato
dal vortice di violenti commozioni dell' animo : il
dolore dei danni patiti per infortunio o per altrui
scelleraggini , la pietà della famiglia languente, il
timore della imminente ed immeritata miseria che
va a fare triste corona ad una vita operosa ed
onesta, l'ira contro le troppo rigide vessazioni dei
creditori, sono altrettanti venti nefasti che condu
cono a naufragio la sua illibatezza . Tutte passioni
violente che si dirigono ad evitare un male : non
la fredda avidità che si dirige a conquistare ricca
163

fortuna col tradimento dell' altrui buona fede . Egli


merita pena ( non si contrasta ) : ma merita una
scusa, e al tempo stesso che viene punito deve es
sere compianto .
Costui sotto il punto di vista giuridico presenta
un delitto essenzialmente minore nella forza voli
tiva del delinquente ; ciò è incontrastabile.
Costui sotto il punto di vista politico è assai
meno temibile del precedente . Impossibile ai cre
ditori premunirsi contro il primo che ebbe tutto
l'agio di contrattare , di occultare , di trasportare ,
di farsi spedire all' ombra della comune fiducia, et
di una seducente prosperità : difficile raggiungere
le sostanze che egli ha involato alla guarentigia di
chi contrattava con lui : più difficile anche alla pu
nitrice giustizia raggiungere la frode in operazioni
che sonosi compiute nei momenti della felice for
tuna. Non così l' altro . Il fallimento dichiarato con
ferisce diritti amplissimi ai creditori sulla persona
e sulle cose del debitore . Il fallimento ha dato il
grido di allarme, ha svegliato la vigilanza di tutti
gli interessati questa vigilanza essi hanno agio di
esercitare con ogni mezzo di potenza privata ed
anche presidiarsi della pubblica autorità. Difficile
assai consumare una sottrazione ; difficilissimo fare
in guisa che la sottrazione sfugga ai cento sguardi
degli interessati e degli agenti della punitrice giu
stizia . Anche dunque sotto il punto di vista politico
questa figura di malefizio è difforme e grandemente
minore della prima.
Eppure, come già il vecchio codice Francese , e
dopo quello le nuove leggi di Francia, e poscia tut
te le altre leggi che ne hanno calcato le orme ,
164 ――――――

così anche il nuovo progetto Italiano allo art. 927


torna alla usata via , e unifica i due casi in una sola
denominazione ; e (peggio ancora) l'art. 929 li uni
fica nella medesima pena : ed anche una volta si di
mentica quella celebre sentenza che nelle materie
penali più spesso si distingue, più spesso si è certo
di amministrare buona giustizia. È colpevole di ban
carotta fraudolenta per l'art. 927 del nuovo progetto
chiunque ha distratto od occultato parte del suo
attivo, o ha supposto passività insussistenti. Senza
distinguere se ciò egli abbia commesso prima del
fallimento con l' animo preordinato a fallire ; oppure
se lo abbia fatto per determinazione sopravvenuta
ad occasione del suo cataclisma.
Io vorrei che al primo caso esclusivamente si ri
serbasse l'odioso titolo di bancarotta fraudolenta
o fallimento doloso, e vorrei che si punisse costan
temente con la galera. Vorrei che invece al secondo
caso si desse il nome di frode commessa ad occa
sione di fallimenti, e si punisse col carcere o con
la reclusione, secondo la misura delle quantità sot
tratte od occultate.
Questo pensiero, che già più volte manifestai al
pubblico nei vari miei scritti , piacemi oggi ricor
dare di nuovo ed alquanto esornarlo , perchè col se
guitarlo io credo si servirebbe non solo ad un più
equo reparto della repressione in caso di condanna
ma eziandio al bisogno di più frequenti condanne.
Gridano e strepitano i Procuratori del Re contro
le così dette troppo frequenti assoluzioni che i giu
rati fanno dei fallimenti dolosi. Io non voglio qui
tornare a notare ciò che vi ha di anfibologico, di
offensivo alla giustizia, e di veramente insensato in
165 ▬ ▬ ▬ ▬ ▬ ▬ ▬ ▬

cotesta formula. Dico soltanto che se avviene troppo


spesso che i giurati dichiarino non dolosi fallimenti
che forse non furono esenti da ogni malizia, questo
inconveniente ( se pure è sotto le leggi attuali un
inconveniente ) non è colpa della giuria ma della
improvvida legge.
Non ci illudiamo : non si lusinghino i legislatori
di avere la onnipotente signoria delle coscienze dei
giudici. Sogni sono questi che potevano allignare nel
la mente di Caracalla ( il feroce assassino di Papi
niano ) ma non allignano, nè possono allignare nel
cuore dei moderni legislatori.
Non ci illudiamo : quando si detta una legge pu
nitiva che non obbedisce alla voce del senso mo

rale, il senso morale erge il suo trono nel cuore


dei giudici, e detta una assoluzione piuttostochè det
tare un esagerato castigo .
Si vuole la vera ragione del frequente assolvere
i così detti bancarottieri ? Io la trove precisamente
nella omessa distinzione di quei due casi . Quando
si reca innanzi un birbante matricolato che con so
praffini raggiri preordinossi a fare sua fortuna col
fallimento, i giurati condannerebbero volentieri ; ma
spesse volte nol possono, perchè appunto la sover
chia maliziosità del delitto ha deluso l'opera della
accusa e della inquisizione. Ed allora l'accusa e la
inquisizione vuol pigliare la sua rivincita : ma la
rivincita sopra i birbanti matricolati non è cosi fa
cile a prendersi : e l'ira della giustizia delusa sca
glia il suo fulmine sul primo baggiano che le ca
pita innanzi ; sulla vittima di ripetute calamità, sulla
vittima di altrui fallimenti veramente dolosi ; e per
chè quello infelice, caduto senza sua colpa nella mi
-- 166

seria, cedette alla tentazione e mise da parte un


gruzzolo di mille lire per dar pane alla famiglia,
contro costui ( forse confitente ) innalza un processo
piramidale , e dà fiato a tutte le trombe per la pe
regrina scoperta di un reo confitente, e vorrebbe
votare all' infamia uno stolido inesperto come olo
causto al pubblico esempio. Ma il senso morale si
ribella a queste reazioni , e non tollera che la infa
mia sia conseguenza di una disgrazia ; e i giurati
assolvono, e fanno benissimo. E non solo assolvono
i giurati oggidi . Io vidi assolvere in frangenti con
simili anche i giudici Magistrati , perchè anche appo
loro il senso morale sovrasta sempre ai placiti del
giure positivo ; e guai se fosse altrimenti. Non è
una formula inventata dalla giuria, ma una sentenza
corsa attraverso i secoli dal cuore al labbro dei più
- summum jus,
sapienti Magistrati quel motto
summa injuria.
Potrà a queste osservazioni opporsi il solito luogo
comune. È inutile ( si dirà ) immergersi nella distin
zione dei casi per quanto possa essere grande ed
incontrastabile la differenziale che li separa, poi
chè al bisogno della proporzionata distribuzione del
la pena suppliscono le attenuanti, e vi supplisce il
dettato dei codici già veglianti e del nuovo progetto
che lascia al giudice larghezza di scelta fra la ga
lera e la reclusione. Io mi immagino bene questa
risposta, con la quale perpetuamente i criminalisti
Francesi mettono da banda le più importanti que
stioni di diritto penale sulle quali sudano con tanto
impegno i giuristi Alemanni e Italiani. Ma a que
sto ritornello, che già fu troppo fatale alla scienza, è
facile opporre perentorie risposte , e tutte incriticabili .
――― 167 -

Non disapprovo le attenuanti e la larghezza con


segnata al giudice di modificare la pena non solo
nella sua durata ma benanche talvolta nella sua
specie. Ma questa deve essere la ultima salvaguar
dia della giustizia distributiva, la ultima panacéa , alla
quale il legislatore dovrà ricorrere soltanto in quei
casi nei quali le modificazioni e le differenziali non
si possono da lui prevedere e definire a priori. È
questo il punto di sconfinazione che rende cattivo.
anche un metodo buono quando si vuole genera
lizzare la eccezione ed accettare come rimedio uni
versale quello che sarebbe conveniente soltanto in
occasioni di necessità : e che dovrebbe tenersi co
me eccezione.
Occorrono, senza dubbio, per le perpetue vicende
dei fatti umani nelle svariatissime forme delle de

linquenze, innumerevoli circostanze che consigliano


la giustizia ad essere più severa o più mite ; cir
costanze che mente umana non può tutte preve
dere od enumerare , e che necessariamente sfug
gono per le loro novità ai calcoli del più accurato
legislatore. E poichè la emergenza pratica di tali
circostanze renderebbe meno equa la distribuzione
dei castighi ove inalterati si volessero mantenere
nella misura dalla legge prescritta, la legge è co
stretta in simili contingenze ad esautorare sè stessa,
e consegnare al prudente arbitrio del giudicante la
facoltà di correggere i suoi dettati . Ma ciò che è buo
no quando necessità lo esige, diviene cattivo quando
convertesi in abitudine ed in sistema ; e si fa per
incuria dove sarebbe facile provvedere altrimenti .
Non sono accidentalità difficili a prevedersi, non
sono circostanze indefinibili a priori quelle diffe
- 168 -

renziali che con un processo sempre uniforme mo


dificano il delitto nelle sue essenzialità, e nelle for
ze o soggettive o oggettive che lo costituiscono.
Rispettare queste variazioni non dipende da beni
gnità, ma da obbligo di rigorosa giustizia, e il le
gislatore che ne consegna la valutazione all' onda
dello umano arbitrio ed alla eventualità del senti

mento dei giudicanti , tradisce la propria missione,


e dimentica il debito che gl' incombe. Ciò che in un
delitto modifica il grado del dolo, e la forma della
intenzione ; ciò che apporta varietà sostanziali nel
danno privato ; ciò che costantemente modifica il
danno politico di un delitto, non può dirsi una ac
cidentalità imprevedibile ed incalcolabile, poichè or
mai la scienza penale ha preparato larghissima tela
di definizioni e di distinzioni , sulla quale il legisla
tore deve pronunziare il giudizio proprio, perchè il
giudizio sia sempre uguale in tutti i casi nei quali
con forma uguale la varietà si presenta.
Questa è la dottrina che con plauso universale ,
con benefizio della giustizia distributiva, ha ormai
prevalso nell' Italia e nell' Alemagna. Perchè arre
starci nella via felicemente intrapresa ? Perchè re
trocedere dove potrebbe e dovrebbe seguirsi lo
svolgimento della novella dottrina ? Qui non si ha
la scusa della impotenza o della necessità ; e incor
resi la censura o di errore di intelletto, o di ne
ghittosità inescusabile . I nostri vicini nel misurare
la imputazione, e nel dettare la pena, non distinguono
fra delitto tentato e consumato, fra complice ed au
tore principale, tra il fatto dell' ubriaco e quello
dell' uomo nella pienezza dello intelletto ; non di
stinguono nel furto il maggiore o minore valore
169

del tolto ; non distinguono nella violenza carnale


la onestà della vittima dal suo meretricio ; non di
stinguono nello infanticidio l'impeto della vergogna
dalla ferocia ; queste ed altre molte consimili cose
non si distinguono da loro, e perenne scusa alla
draconiana severità essi credono porgere riposan
dosi sullo origliere delle attenuanti . Ma noi italiani
non abbiamo potuto far tranquilli i nostri sonni su
quello origliere ; tutte quelle differenziali si sono
appo noi maturamente discusse dalla scienza ; e le
soluzioni che la scienza ha dato ai respettivi pro
blemi sonosi accettate dai nostri legislatori e con
vertite da loro in altrettanti articoli di legge che
sono pei giudicanti obbligatorii ed inalterabili : e
l'Europa ha fatto plauso al sistema tenuto dai nostri.
Non è più dunque questione appo noi di accet
tare o non accettare un sistema : non è più que
stione appo noi se le varietà nelle forze del delitto
debbano misurarsi con precetto stabile dal legisla
tore o consegnarsi al giudizio fluttuante dell' uomo
con una formula vaga ed indefinita o con una libera
larghezza di penalità. Appo noi la questione di mas
sima è ormai decisa. Dovunque può giungere la
previsione del legislatore, dovunque la varietà con
duce ad una differenziale costante nelle forze del
delitto, ivi il legislatore deve parlare, deve pronun
ziare il placito suo, anzichè cedere ai giudicanti il
proprio scettro ; perchè il suo debito è quello di pro
cacciare quanto meglio può che la legge sia eguale
per tutti ; e questo santo fine non si raggiunge
davvero col mettere in trono l'arbitrio dell' uomo,
e consegnare questa uguaglianza a centinaia di
uomini , i quali è impossibile che tutti egualmente
- 170 ―

sentano, ugualmente pensino, e con uguale stregua


misurino l'attenuanza o la gravità dei singoli casi .
No : in Italia non è più questione di massima : è
questione di applicazione : non torniamo dunque ad
accattare dai nostri vicini un sistema che abbiamo

ormai completamente reietto. È questione di appli


cazione, e null' altro .
È vero o no che il fallimento simulato, il falli
mento dolosamente assunto per cuoprire una ladre
ria già consumata, il fallimento di chi lascia allo
scoperto un passivo di diecimila mentre ha nascosto
ventimila di attivo, offra una configurazione crimi
nosa essenzialmente diversa dal fallimento di chi
infelicemente caduto per nemica fortuna salva nel
naufragio un qualche avanzo , e lo salva per sè piut
tosto di salvarlo ( come dovrebbe ) per i suoi cre
ditori ? Non si può impugnare che la differenza vi
sia, e che emani dai criterii essenziali del malefizio .
Chi lo impugnasse qui dovrebbe per buona logica
al tempo stesso negare la differenza che passa fra
l'omicidio premeditato, e l'omicidio per eccesso
di difesa.
Ma se la differenza fra caso e caso è essenziale ,
perchè si connette da un lato con le forme del dolo,
e dall' altro lato con gli effetti politici del reato
( che è quanto dire con la forza morale soggettiva
e con la forza morale oggettiva del malefizio ) è
stretto debito del legislatore di distinguere quelle
due figure giuridiche, e delimitarne i confini nelle
nozioni e nelle misure, anzichè affidare al caso
la obbedienza pratica a quella verità.
Chi ci assicura che fra i duemila giurati che ver
ranno mano a mano a decidere se il caso a loro
―― 171 —

proposto sia grave o leggiero, vi sarà concordia di


sentire o di pensare ? Chi ne assicura che tutti
procederanno con eguale criterio nei calcoli della
gravità ? Chi ci assicura che anche quel criterio che
sembra più positivo sia stabilito sempre sulla me
desima base ? Il danno deve esso valutarsi sullo
ammontare dei crediti insoluti, oppure sullo am
montare delle somme occultate ? La questione è
delicata, nè io voglio a questo luogo trattarla : sol
tanto dico che ella è questione sulla quale difficil
mente si troveranno d'accordo le coscienze dei
giurati inesperti ai problemi giuridici . E l'uno oggi
sentirà in una guisa , l' altro dimani in un' altra, e
ne sarà ferita la giustizia distributiva . E dico i giu
rati , perchè la scelta della pena, che spetta al giudice,
se vuole essere ragionata e non capricciosa, non
può avere ragione che nelle deduzioni di un fatto ;
e il fatto non può stabilirsi dai giudici se prima non
lo hanno dichiarato i giurati : ed è un fatto senza
dubbio la circostanza che qui vorrei si valutasse
dalla legge ; lo essere cioè il dolo o causante o
incidente ; lo essere il dolo antecedente ad un falli
mento voluto al preordinato fine di arricchirsi con
danno altrui, o lo essere susseguente ad un falli
mento disgraziato.
Cosa hanno fatto i più lodati fra i legislatori con
temporanei (codice Toscano art. 317 ) in tema di
infanticidio ? Hanno distinto fra la uccisione del fan
ciullo commessa dalla madre illegittima per deter
minazione presa avanti i dolori del parto ; e la uc
cisione commessa per determinazione formata du
rante i dolori del parto ; ed hanno distribuito con
norma fissa penalità differenti e relativamente de
-- 172 -

terminate per i due casi. E questo reparto ( che


altro non era tranne lo svolgimento spontaneo della
teorica della premeditazione e dell' impeto ) è stato
universalmente lodato da tutti coloro che ne hanno
compreso le giuste ragioni .
Si torna al solito rinfaccio, che noi vogliamo fare
del codice una casuistica. Ma questa formula non
ha senso che valga ; e l'obietto è uno dei consueti
ripieghi ai quali ricorrono coloro che o non sanno
o non vogliono ragionare, e con un luogo comune
o con un motto sentenzioso credono supplire al di
fetto di ragionamento .
Cosa facilissima il gridare, questa è casuistica ;
e così volgere le spalle alla discussione . Ma cosa si
intende per casuistica ? E questa che chiamasi ca
suistica è dessa sempre viziosa, o spesso invece lo
devole e necessaria ?
Sarà casuistica viziosa quella che terrà dietro
a minuzie insignificanti ; a circostanze materiali che
nulla influiscono sui criterii essenziali e sulle forze
costitutive del malefizio . Cosi chi suggerisse doversi
distinguere tra il fallimento del mercante di panni
e il fallimento del mercante di granaglie, correreb
be dietro ad una nuvola : perchè se la distinzione
fra panni e granaglie potè un tempo avere un in
flusso sui criterii essenziali del delitto di monopolio
temendosi dal caro delle granaglie la fame del po
polo, la quale , non è a temersi dal caro dei panni :
quella differenza di negoziazione non potè mai avere
un influsso sullo interesse pubblico nella repressione
dei fallimenti , l'obiettivo dei quali non è la prosperità
o la salute pubblica, ma la conservazione della pub
blica fede ; la quale ugualmente si viola col tradire
――――― 173 ―――

lo speditore di panni, come col tradire lo spedi


tore di grani. Ecco la casuistica frivola ed incon
veniente ad un codice.

Ma quando una differenziale si incarna con gli


elementi costitutivi del malefizio, e porta in modo
costante una modificazione nelle forze soggettive od
oggettive del medesimo, è non solo lodevole, ma do
veroso e necessario che il legislatore provvegga in
un modo costante, affinchè si avveri per opera sua
quanto meglio può . il santo precetto che la legge sia
uguale per tutti.
Alla osservanza pratica di questo precetto deve
il legislatore, per quanto può, vegliare direttamente
coi mezzi propri . A lui incombe , come alla madre
amorosa, di vigilare personalmente sui figli suoi ,
anzichè imitare lo indifferentismo di una trascurata
matrigna che consegna la prole alla eventuale e
problematica prudenza delle fantesche .
Fu bene una forma di casuistica la distinzione
fra delitto consumato e tentato, fra delitto tentato
e mancato, fra peculato proprio ed improprio, fra
peculato e vuoto di cassa, fra furto semplice e furto
di cosa smarrita, fra incendio di cosa propria e di
cosa altrui, fra stupro e mollizie , fra violenza su
donna onesta e violenza su meretrice , fra esimizio
ne di debitore o colpevole , ed altre cento consimili .
Però queste distinzioni di casi non si chiamano ca
suistica ma progresso : e di questo progresso van
no legittimamente superbe le legislazioni di quei
popoli culti che non hanno immolata la ragione pe
nale alla idolatria dell' empirismo : progresso del
sapiente legislatore che meglio assicura la unifor
mità della giurisprudenza penale , e la debita pro
-- 174 -

porzione delle penalità alle singole delinquenze.


Non era casuistica viziosa, ma obbedienza alla lo
gica, la distinzione che i prischi Romani facevano
in tema di peculato fra sottrazione di denaro della
Repubblica, e sottrazione di denaro dei Municipi.
Non era viziosa , perchè in allora trovavasi il crite
rio essenziale del peculato nel sacrilegio ; e come
sacra tenevasi la pecunia dello Stato, non quella
dei Municipi . Ma quando il criterio del sacrilegio
esulò dal concetto giuridico del peculato , per cedere
il luogo al criterio più vero della pubblica fede vio
lata, quella distinzione divenuta frivola doveva ces
sare ; e bene cessò per l'opera dei giureconsulti e
degli editti degli imperatori . Ecco ciò che deve
guardarsi prima di gridare a casaccio lo anatema
contro ogni distinzione di casi.
I Romani giureconsulti ( giganti nel giure civile ,
pigmei talvolta nel giure penale ) non conobbero la
distinzione fra truffa e furto. Ma la pratica osservò
giustamente che l'oggettivo giuridico della prima
forma criminosa era la sola proprietà e non il pos
sesso ; laddove l'oggettivo giuridico del furto era il
possesso insieme alla proprietà . Dunque ( se ne con
cluse ) è obbligo di giustizia proclamare che le due
forme costituiscono due titoli di reato distinti , e
differenziarne la pena, e proclamare che lo statuto
punitivo dell' uno non può estendersi all' altro de
litto . E cosi migliaia di colli furono salvati dal laccio,
e la distinzione fra truffa e furto divenne classica
nella dottrina.
Ma la diligenza della pratica non arrestossi qui.
Dopo lo studio dei criterii oggettivi, che aveva mo
strato la differenza tra furto e truffa, passò ad un
175

più accurato esame dei criterii soggettivi ; e sinda


cando nella sua cronologia il dolo che poteva infor
mare la truffa, riconobbe che il tempo non era una
semplice accidentalità la quale dovesse rimanere
inoperosa in questo malefizio , giudicò ( e giudicò
benissimo ) che fra il dolo precedente alla consegna
e il dolo susseguente alla consegna esisteva una tale
diversità che mutava i caratteri della moralità sog
gettiva : che le due figure dovevano proclamarsi
diverse nella sostanza , e che alla diversa designa
zione doveva corrispondere costantemente una dif
ferenza nella penalità. E cosi ebbe vita la distin
zione fra truffa con dolo a principio, e truffa con
dolo successivo ; ossia fra colui che con artifizi e
menzogne carpisce all' altrui buona fede il possesso
di una cosa che intende appropriarsi ; e colui che
sedotto dalla occasione di trovarsi in possesso le
gittimo di cosa altrui cede alla tentazione del biso
gno, e se l'appropria.
Probabilmente anche in quei tempi i nemici di
ogni novità avranno gridato che si voleva fare una
casuistica. Ma la sapienza dei nostri padri non
ascolto quel grido , e la prudenza dei legislatori
converti gli insegnamenti della dottrina in precetti
di legge ; ed anzi diede a quello insegnamento una
forma più durevole con apposite nomenclature ; ed
oggi non avvi codice che non distingua come due
differenti reati la frode, o la scroccheria, o lo in
ganno, dalla truffa, o appropriazione indebita, o abu
so di fiducia ; due trinità di nomi, i quali non rap
presentano che due figure .
E cosa è dessa questa distinzione che io vado
suggerendo da qualche tempo in materia di falli
_______ 176

mento, tra fallimento doloso e volontario, ed appro


priazione indebita ad occasione di fallimento disgra
ziato ; cosa è dessa se non una fotografia della di
stinzione fra truffa con dolo antecedente , e truffa
con dolo susseguente ? Si mediti la mia tesi sotto
questo punto di vista. Il privato che simulando un
bisogno, o con altro artifizioso raggiro , si fa conse
gnare un oggetto dalla altrui buona fede con animo.
di usurparlo, è lo specchio del mercante che com
mette merci per rivenderle a qualunque prezzo onde
far denaro e preordinarsi a fallire col sacco. Il pri
vato che avendo per un suo servizio ( non simulato
ma vero) ottenuto ad imprestito il cavallo dell' amico ,
sopraggiunto poi dal bisogno di denaro lo vende , è
lo specchio del mercante che avendo commesso
merci per legittimo fine di sincera speculazione ,
colpito poscia da improvvisa calamità e costretto a
fallire, si appropria occultamente gli avanzi di quelle
merci, che avrebbe dovuto conferire alla massa dei
creditori. Questo non è un fallimento doloso che
possa punirsi con la galera.

Pisa 20 novembre 1873.


XXI.

QUESTIONI SUL TENTATIVO

VOL. V. 12
QUESTIONI SUL TENTATIVO

I.

Continuazione nel tentativo .

In varie occasioni ho accennato nei miei scritti alla

difficoltà del problema se nel tentativo possa tro


varsi continuazione, osservando che la giurispru
denza toscana non erasi ancora pronunziata su tale
argomento. Trovo adesso che la Corte di Cassazione
di Firenze col decreto del 2 maggio 1870 ( vedasi
nel Giornale delle leggi, anno 2, n. 6 ) sul ricorso
Zecchi avrebbe sciolto la questione in senso affer
mativo. Il ragionamento della Corte Suprema è sem
plicissimo. Per l'art. 80 del codice Toscano vi è de
litto continuato quando ad un giudicabile si obiet
tano ― ivi
――――
più violazioni della medesima legge,
commesse in uno stesso contesto d'azione, o anche
in tempi diversi, con atti esecutivi della medesima
risoluzione criminosa . Ma egli è certo che un ten
tativo punibile costituisce una violazione di legge.
Dunque più tentativi procedenti dalla medesima
-- 180 ――――――

risoluzione criminosa possono costituire il delit


to continuato .
Chi per questo giudicato credesse stabilito in mo
do assoluto che la ripetizione dei tentativi costitui
sca sempre la continuazione, emetterebbe ( a mio cre
dere ) un giudizio troppo accelerato . Già sappiamo
che le Corti di Cassazione non stabiliscono mai

massima assoluta quando decidono in senso di ri


getto: perchè la Corte regolatrice può essere chia
mata a stabilire una massima generale quando de
creta lo annullamento di una sentenza per viola
zione di legge : ma quando essa rigetta , giudica sol
tanto il caso speciale che è sottoposto al suo esame,
e decide che in quel caso la legge fu bene appli
cata. Cosicchè essa rimane sempre libera, senza pec
care di contradizione , di giudicare poscia che la leg
ge fu male applicata in un'altra fattispecie, la quale,
per quanto in apparenza analoga alla precedente,
offra però qualche differenziale di fatto che la su
periore sapienza della Corte giudichi dover condurre
a risoluzione diversa.
Ora, prima di credere stabilita col giudicato del 1870
una regola assoluta per la quale ogni ripetizione di
atti esecutivi di un delitto costituisca sempre con
tinuazione, bisogna sostare alquanto, e prepararsi a
procedere con distinzione di casi.
Corre innanzi tutto una grande differenziale fra
il concorso di un tentativo col delitto consumato ;
ed il concorso di più tentativi rimasti tutti sem
plici tentativi .
Dove si obietti il concorso di un tentativo col de
litto consumato può innanzi tutto dubitarsi se quei
due fatti costituiscano più violazioni della medesima
――― 181 ―

legge ; poichè una è la legge che punisce il tenta


tivo, ed una quella che punisce il delitto consumato .
Ma prescindiamo pure da ciò. In questa prima ipo
tesi è impreteribile il criterio della diversità di
azione e della discontinuazione delle azioni. La sola

considerazione della esistenza di più violazioni di


legge non può bastare ad escludere il delitto unico
e far nascere il delitto continuato in un modo as
soluto e costante : perchè siffatta regola quando si
applicasse a più atti esecutivi, che quantunque co
stituenti ciascuno di essi una violazione di legge
non sono altro che parte e prosecuzione di una me
desima azione, si anderebbe all' assurdo . Bisogna
dire in tal caso che il delitto consumato sopravve
nuto assorbisce in sè tutti gli atti esecutivi prece
denti i quali tutti s'incarnano e si compenetrano
in quello per formare un solo ente giuridico. La
cosa è palpabile se si viene agli esempi .
Tizio ha dato opera a fabbricare la falsa moneta :
ha gettato il pezzo di metallo : vi ha scolpito gran
parte delle effigie occorrenti : ma non ha ancora
compito la moneta. Esso è responsabile di un ten
tativo di fabbricazione . Questa è indubitatamente
una violazione di legge. Se Tizio è sorpreso e sco
perto, sarà punibile per tentativo di falso nummario.
Ma Tizio non è stato scoperto. E dopo parecchi
giorni ritorna al suo lavoro ; perfeziona le necessarie
effigie ; colora la moneta : ecco la moneta perfetta e
spendibile ; ecco il falso nummario consumato . Se
dopo ciò venite col vostro processo a dimostrare ciò
che ha fatto oggi Tizio per consumare il falso num
mario, e ciò che fece otto giorni addietro per co
minciarne la esecuzione, vorrete voi dire che vi è
-- 182 ▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

un falso nummario tentato ed un falso nummario


consumato, reciprocamente continuati fra loro ? Vi
pare egli di potere affermare cotanto ? Ma allora il
più o meno di pena del falsario lo farete dipendere
dallo avere egli fabbricato la falsa moneta tutta in
un giorno, o dallo averla fatta in più giorni ? In tal
guisa voi fate un' aggravante della inesperienza ed
una diminuente della abilità criminosa ! Oppure di
rete che tutti i falsi nummari sono delitti continuati
perchè non si consumano con un solo atto istanta
neo come alcuni omicidi ; ma tutti hanno bisogno
di una ripetizione di atti ? Tale sarebbe la conse
guenza inevitabile che la logica imporrebbe a chiun
que pigliasse come assoluta la regola che dovunque
si hanno più violazioni della medesima legge si
abbia sempre il delitto continuato ; perchè sempre,
assolutamente sempre, i primi atti esecutivi di un
delitto costituiscono una violazione di legge di per
sè stessa punibile : cosicchè il delitto continuato lo
verrete ad escludere unicamente nei reati che per
ficiuntur unico actu. La unicità del delitto sarà al
lora identificata con la unicità dell' atto esecutivo.
Di qui non si esce .
Un ladro si è introdotto nella mia camera ; aveva
già rotto il serrame del mio scrigno , e stava per
involarne il denaro , quando io sono tornato colà per
pigliare un oggetto che aveva dimenticato . Se io
sorprendo quel ladro , e lo consegno alla giustizia,
questa lo punirà per tentativo di furto qualificato :
quel suo fatto costituisce una violazione di legge ;
su ciò non cade dubbio . Ma il ladro all' udire i
miei passi si è nascosto sotto il mio letto : io ho
preso l'oggetto dimenticato ; non ho veduto nè il
183 -

ladro, nè il guasto allo scrigno ; e sono ripartito con


tutta fretta. Dopo qualche intervallo il ladro ha ri
preso coraggio ; è uscito dal nascondiglio ; è tornato
allo scrigno, e ne ha involato il denaro . Ecco una
seconda violazione di legge . Essa è tanto diversa
giuridicamente dalla prima che conduce a pena
difforme e più grave . Perchè si ebbero qui due di
stinte violazioni di legge conducenti ( se isolata
mente si guardano ) a due pene distinte, le impu
terete voi come due delitti anzichè come un delitto
unico ; e crederete di usare una benignità riunendo
una imputazione sola quelle due violazioni di
legge, mediante il rimedio della continuazione ? Ma
questo sarebbe un rinnovare tutte le pratiche . Rari
assai sono i delitti che negli atti esecutivi pream
bali alla loro consumazione , non offrano una viola
zione di legge, la quale guardata in sè stessa possa
presentare un fatto compiuto isolatamente punibile
o come conato o come fatto criminoso di per sè
stante. Anche l'omicida se prima di vibrare il colpo
di stile afferrò il nemico, lo percosse , e lo gettò in
terra, si rendette per quel solo primordio respon
sabile di un fatto che dovrebbe punirsi o come le
sione personale perfetta, o come tentato omicidio .
Anche colui che aggredi femmina reluttante, e le
alzò i panni, commise una violazione di legge, che
potete punire o come oltraggio violento al pudore,
o come tentativo di violenza carnale, quantunque
la donna sia riuscita a sottrarsi immune da quella
lotta. Ma se colui nuovamente la ghermisce e con
suma sopra di lei la violenza carnale , e così una
seconda violazione di legge, gli obietterete voi en
trambo i titoli, e lo dichiarerete responsabile di due
――――― 184

delitti ? La pretesa regola che dovunque sono più


violazioni di legge ivi sia sempre adattabile l'obiet
to della pluralità dei delitti e la dottrina della con
tinuazione, non può dunque pigliarsi come assoluta
mentre in verità non potrebbe accettarsi che come
una eccezionalità specialissima.
Avvi una regola più antica, più classica, più uni
versale ; ed è quella che i mezzi criminosi diretti
ad un fine criminoso si compenetrano con questo ,
e ne sorge una unica figura delittuosa determinata
nei suoi caratteri , o dai mezzi o dal fine, secondo
la respettiva gravità prevalente. Questa regola uni
ficatrice deve potersi innanzi tutto eliminare in
quei casi nei quali vuolsi parlare di delitto conti
nuato. Bisogna innanzi tutto dimostrare che i delitti
sarebbero stati DUE . Questo è il substrato indispen
sabile alla continuazione : stabilito questo, è allora
soltanto che può cercarsi della identità di legge
violata e della medesimezza di determinazione , per
dire al giudicabile, io t'imputo un solo delitto con
tinuato, dove avrei dovuto a tutto rigore imputarti
due delitti e punirti per due.
La teorica della continuazione non può senza so
fisma applicarsi che alla sola ipotesi per la quale
essa nacque . Essa nacque per moderare le esorbi
tanti conseguenze della dottrina del cumulo delle
pene, ed evitare che per tale dottrina un uomo si
condannasse a cinquant'anni di prigionia, un altro
a novant' anni di casa di forza. Ma tale effetto non
si vidę mai, nè mai fu temibile, quando le più vio
lazioni di legge erano altrettanti atti esecutivi di
una medesima azione, quantunque ciascheduno di
tali atti esecutivi se fosse stato isolato avesse po
― 185 _____

tuto costituire in sè stesso un delitto punibile per


chè rappresentante una violazione di legge.
Il criterio delle più violazioni di legge non basta
dunque a solo a darci la formula che sciolga il
problema della continuazione, perchè condurrebbe
ad intollerabili assurdi . È necessità congiungerlo con

una formula ulteriore, la quale alla pluralità degli
atti esecutivi faccia tener dietro una pluralità di
azioni; cosicchè alla pluralità di azioni possa farsi
tener dietro la pluralità dei delitti, e togliere poscia
gli effetti di questa mercè la benigna finzione del
delitto continuato.
Corsero dunque troppo veloci coloro che imma
ginarono essersi raggiunta la definitiva risoluzione
del problema mercè quel giudicato della Corte re
golatrice. Essa decise un caso speciale ; ed in quel
caso non vuolsi criticare la sua decisione . Ma la for
mula da lei adottata per risolvere quel caso spe
ciale non è buona per tutti quanti i casi ; e una
formula assoluta che serva a tutti i bisogni rimane
pur sempre un desiderato della scienza. Quale sia
per essere questa formula io non so dirlo ancora .
Ma tengo per fermo che la vera formula definitrice
della continuazione debba avere per suo contenuto
una discontinuazione. E questo deve procedere così
nella ipotesi dove si combini un tentativo col suc
cessivo delitto consumato, come nella ipotesi dove
si combinano più atti ciascuno dei quali esaurisca
in sè stesso un tentativo punibile . Per applicare la
dottrina della continuazione ( che mitiga la imputa
zione ma aggrava la pena ) bisogna avere preven
tivamente due delitti, due enti giuridici separati e
distinti ; ma la dualità degli enti giuridici non ba
― 186 ▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

sta ; perchè ogni atto esecutivo costituisce in sè un


ente giuridico ; occorre di più la dualità dei fatti,
la dualità delle azioni, senza di che tutti gli enti
giuridici sorti dai singoli atti esecutivi si unificano
in un solo ente giuridico . Vi vuole una certa diffor
mità, una certa interruzione ; vi vuole , in una pa
rola, quello che io chiamo discontinuazione, e che
riesce difficile a definire . Se il ladro tentò di svel
gere la inferriata e non riuscì, e poscia si provvi
de di una falsa chiave e con quella s' introdusse in
mia casa, potranno trovarsi in ciò due diverse azioni.
Ma se il ladro fabbricò la falsa chiave, ne fece lo
esperimento al mio scrigno, e non riuscì ad aprirlo ;
e posteriormente lavorando con la lima su quella
chiave, o facendone altra più adatta, potè tornare
alla mala opera, ed aprire lo scrigno, quel primo
atto esecutivo rimasto mero conato , ed il secondo
atto esecutivo e consumativo, non saranno altro che
momenti di una unica azione, e ( per quanto a me
pare) di un unico delitto. L'argomento ha bisogno
di ulteriori studi.

Pisa, marzo 1871 .

II.

Tentativo Omicidio per eccesso di difesa.

In un caso pratico sorse in Toscana gravissima


disputa sul punto di sapere se fosse giuridicamente
accettabile la figura del tentativo di omicidio per
― 187 ―

eccesso di difesa. Da un lato si propugnava il corso


ordinario delle regole generali , sostenendo non es
servi ostacolo alla accettazione di titolo complesso ,
e doversi quindi desumere la pena dall' articolo 339
del codice Toscano ( carcere da sei mesi a tre anni )
e doversi questa pena modificare giusta il precetto
dell' art. 45 let. e, che ordina la riduzione alla metà
(carcere da tre a diciotto mesi ) della pena minac
ciata al delitto consumato.
Sostenevasi in contrario da altri che il concorso
dello eccesso di difesa rendesse inaccettabile la fi
gura del tentativo punibile : e che perciò il vero
tilolo e la giusta pena dovevano desumersi dallo
evento ; obiettare cioè la lesione prodotta per eccesso
di difesa ; e non potersi per l'art . 339 let. b irro
gare il carcere al di là di otto mesi .
La questione apparve grave, e i magistrati dissi
denti non riuscirono a persuadersi l'un l'altro delle
respettive opinioni . Tale questione tutta versa sul
punto principale se dove ricorre eccesso di difesa
possa o no ammettersi tentativo punibile.
La regola generale stando per l'applicabilità della
nozione del tentativo a tutte le figure criminose
nelle quali ( notisi bene ) esso sia ontologicamente
possibile , non può ( in mancanza di una speciale ec
cezione dettata dalla legge ) negarsi la possibilità
del tentativo punibile, senza adagiare simile nega
zione sulla negazione della possibilità di alcuno de
gli elementi del tentativo.
Ora è indubitato che lo ente giuridico che dicesi
tentativo punibile si costituisce da due elementi
distinti, ciascuno dei quali ( isolatamente e indipen
dentemente dall' altro ) deve concorrere nel fatto ed
- 188

essere separatamente assodato e dimostrato ; cioè


lo elemento materiale e lo elemento intenzionale.
Laonde fa mestiero esaminare se quella negazione
della possibilità del tentativo nello eccesso di difesa
si possa appoggiare al difetto dello elemento mate
riale oppure al difetto dello elemento intenzionale.
Lo eccesso di difesa non presenta condizioni che
tolgano al fatto lo elemento materiale del conato :
elemento che ( come ognuno sa ) consiste nella po
tenza, inerente per sua natura all' atto esterno ese
guito, di produrre uno effetto più grave di quello
prodotto. Qui siamo chiarissimi . Un colpo di stile che
feri, non si modifica nella sua potenza micidiale per
chè fosse vibrato con dolo di proposito, o per moto
improvviso, oppure per provocazione , o per difesa .
Le modificazioni della proeresi dell'agente sono in
differenti sulla potenzialità del colpo , e dello stru
mento feritore ; quando questo aveva la idoneità a
recar morte e non la recò, esso porge sempre ele
mento materiale sufficiente di tentato omicidio,
checchè possa avvenire in ordine alla diversa figura
dell' omicidio mancato. La negazione anzidetta non
poteva dunque trovare il suo fondamento in altro
che nel difetto dello elemento intenzionale.
Ora, per le regole più certe della buona scuola, due
sono le condizioni speciali della intenzione di un
agente che conducono a dubitare non potersi nelle
medesime trovare lo elemento ideologico del tenta
tivo punibile : e sono la intenzione indiretta nega
tiva ( colpa ) e la intenzione imperfetta ( impeto ).
A quale delle due fasi della proeresi criminosa fa
cevano e fanno appello coloro che opinavano ed
opinano non essere adattabile la forma del tentativo
189

punibile alle offese recate per eccesso di difesa ? Nel


dubbio esaminiamo la questione rispetto ad entrambo.
1.º Non avvi alcuno che osi dubitare ( tranne i
neofiti , e gli eccentrici ) della regola universalmente
accettata della impossibile combinabilità di un reato
colposo col tentativo punibile . Tentare vuol dire di
rigere i propri atti ad un fine determinato : essere
in colpa vuol dire non aver voluto , anzi non avere
neppure preveduto quel fine . Fra i due termini esi
ste dunque inconciliabile contradizione , e non pos
sono trovarsi insieme riuniti . Questa regola è certa
e perpetua : ma qual uso potrà farsi della medesima
per negare il tentativo nell' eccesso di difesa ? A mio
parere nessuno.
È vero che nella scienza odierna ha prevalso ed
è comunemente accettato il principio che il fonda
mento della imputabilità degli eccessi di difesa non
stia nel dolo, ma nella colpa. È questa una verità
apodittica che non s'impugna da alcuno , tranne da
chi male confonda lo eccesso di difesa con la pro
vocazione. Non vi è dolo, perchè si presuppone non
siasi agito per ira o brama di vendetta ma a solo
intuito della propria difesa, e così con la coscienza
di fare atto legittimo ; e per rovescio senza la co
scienza di far cosa contraria alla legge, cioè senza
dolo. Ma vi è colpa ( e perciò si punisce ) perchè
lo agente errò nel calcolo dei bisogni della propria
difesa, e per una imprudente precipitazione esage
rando al proprio giudizio tali bisogni , fece nella rea
zione contro il suo aggressore più di quello che
era necessario a sottrarsi dal pericolo che a lui
sovrastava. Questo errore di calcolo non dette a lui
la coscienza di far male, e perciò non lo mise in
- 190 -―

stato di dolo ; ma da lui poteva vincersi quello er


rore di calcolo adoperando maggiore prudenza ; e
perciò lo eccesso a lui si rimprovera legittimamente
come consequenziale ad un difetto di prudenza che
in lui fa vizioso . Tutto questo è certissimo.
Ma perchè lo eccesso di difesa non s' imputa che
in ragione di colpa, e perchè nei fatti colposi non
può trovarsi tentativo punibile , dovranno esse que
ste due regole ( entrambo indubitate ) congiungersi
insieme per negare la possibilità dell' omicidio ten
tato per eccesso di difesa ? Ragionando in tal guisa
si farebbe uno scambio di situazioni, e si cadrebbe
in gravissimo equivoco.
La colpa nell'omicidio per eccesso di difesa non
consiste nello avere ucciso persona che non si vo
leva uccidere : anzi presuppone come forma ordina
ria che siasi ucciso con animo diretto ad uccidere.
In quanto all'omicidio , come fatto o come evento
previsto e voluto, può dunque aversi anche nel
l'omicidio per eccesso di difesa la intenzione di
retta. Ma da lato a questa direzione d' intenzione
relativa allo evento della morte come risultamento
di fatto, sorge una intenzione indiretta negativa in
quanto al carattere criminoso del fatto che si è
voluto e prodotto. Per una mancanza di previsione
e di calcolo , mentre si voleva direttamente cagio
il fatto materiale dell' omicidio, non si voleva
però cagionare il fatto giuridico dell' omicidio ille
gittimo si credeva erroneamente di essere nei ter
mini della legittima repulsione . La figura materiale
del fatto ebbe vita per volontà diretta e con piena
previsione nostra : la sua figura giuridica di delitto
ebbe vita oltre la volontà nostra e contro la nostra
191

previsione. Ecco dove sta la colpa politicamente im


putabile nello eccesso di difesa. Non sta nello aver
prodotto un evento che non si voleva produrre : ma
sta nello aver dato opera ad un evento criminoso
mentre si credeva di dar vita ad un evento legit
timo quantunque d'identica materialità .
Ciò mostra che dalla regola della colpa non può
trarsi serio argomento per la opinione negativa
nella questione presente : perchè, per giudicare del
concorso o no del tentativo, la intenzione deve con
templarsi nel suo rapporto con lo evento materiale,
e non con le forme giuridiche che può assumere
questo evento . Assurdo sarebbe, e degno di riso ,
quello di chi volesse obiettare un tentativo di omici
dio preterintenzionale, perchè congiungerebbe l' ani
mo diretto ad uccidere ( essenziale al tentato omi
cidio ) con la mancante volontà e con la mancante
previsione di uccidere . Ma non è altrettanto assurda,
a parer mio, sotto questo primo punto di vista la
congiunzione del tentativo con lo eccesso di difesa,
perchè lo eccesso di difesa non implica necessaria
contradizione con lo intendimento di togliere la vita
ad un uomo .
2.º Più serio è il dubbio che può elevarsi contro
la possibilità del tentativo nella difesa eccedente in
faccia alla contemplazione della seconda proeresi ,
quella cioè della intenzione imperfetta. Sa ognuno
che la intenzione è perfetta quando con la piena.
lucidità dello intelletto concorre nello agente la
piena e completa libertà di elezione. Invece dicesi
imperfetta la intenzione o quando una qualche causa
turbò le funzioni dello intelletto nello agente o quan
do la sua libertà di elezione fu menomata e ristretta
―― --
192

per una qualche causa che violentemente agì sulla


determinazione criminosa e sospinse precipitosa
mente ad agire, come , l'impeto di una passione.
E qui la questione presente dalla ipotesi speciale
( eccesso di difesa ) nella quale si propone, richiama
ad una questione più generale : è o no ammissibile
il tentativo nell' impeto ? Sono titoli ammissibili il
tentativo di omicidio in rissa o il tentativo di omi
cidio provocato ? Tale questione è stata lungamente
agitata, e contradittoriamente risoluta fra noi.
Nella scienza i migliori criminalisti sostennero
non essere possibile il tentativo nell' impeto. So
stennero senza esitanza questa opinione Nani ,
Romagnosi, Rossi, Lauria, Roman o,
Carmignani , Pizzoli , Giuliani , Jenull,
Puccioni, Arabia, Mittermaier, ed una
lunga folla di dotti . La giurisprudenza Toscana an
dò senza oscillazione in questo concetto , prima del
codice del 1853. Il medesimo ebbe nuova sanzione
dopo il codice del 1853 per giudicati di varie Corti e
di Tribunali inferiori , ed anche per un solenne de
creto della Corte Suprema. La ragione di negare il
tentativo nell' impeto non è giuridica , ma psicologi
ca, che è quanto dire più assai impreteribile. Non è
giuridica, perchè non si allega un precetto scienti
fico che osteggi al tentativo nell'impeto . Ma è psi
cologica, perchè procede dalla considerazione dello
stato dell' anima umana quando precipitosamente
agisce sotto l'impulso di una veemente e subitanea
concitazione. In tale situazione l'anima non riflette,
non avverte ad un fine determinato e preciso con
sistente nella morte piuttostochè nella lesione , o
nella lesione piuttostochè nella morte dello inimico
――― 193 --

che si colpisce. Si mena colpi in rissa per il vago


intendimento di offendere, o di ricambiare colpi
contro colpi : si offende per dare sfogo alla ira cieca
che bolle nel seno , senza prevedere qual sarà pre
cisamente lo effetto che terrà dietro ai nostri colpi.
Si è in dolo perchè si ha la intenzione di far del
male al nemico , ma il dolo non è determinato pre
cisamente alla uccisione o alla mutilazione o allo
storpio, o ad altro evento che terrà dietro ai colpi
vibrati : è un dolo indeterminato ; laonde vale la
classica regola dolus indeterminatus determinatur
ab exitu : è l' esito che determina il titolo perchè
una intenzione soverchiante l'esito non può rim
proverarsi a chi agiva con dolo indeterminato . Se
l'esito fu l'omicidio, lo storpio, la mutilazione,
l'aborto della donna incinta, il titolo determinato
dal risultamento si obietterà come doloso nello agen
te che ne fu causa con la sua azione dolosa. Ma
dove l'esito fu più lieve non può obiettarsi un titolo
più grave , perchè questo non trova radice nello
evento che non si verificò, e non trova radice nella
intenzione, perchè questa non fu determinatamente
diretta allo evento più grave non avvenuto : o al
meno non è riconoscibile in modo certo; lo che per
la giustizia torna alle stesso . Non è riconoscibile
dal giudice nei fatti d'impeto la intenzione mici
diale , perchè i criterii che rivelano ad altri il segreto
intendimento di un uomo sono buoni e solidi quando
quest' uomo procedeva ad agire con calcolo , con
riflessione, e con calma : allora la causa a delinquere ,
la scelta delle armi, il numero e la direzione dei
colpi, i propositi seriamente manifestati, ed altre
circostanze esteriori rendute sensibili al giudice ,
VOL. V. 13
194

gli servono di guida per penetrare lo arcano di


quello intelletto e di quella volontà che direttamente
non può cadere sotto i suoi sensi . Ma tutti questi
criterii che possono incontrarsi nell'omicidio volon
tario quantunque non premeditato, divengono incerti
quando vuolsi giudicare la intenzione di un uomo
che agisce mosso dal turbine d' instantanea passio
ne : la causa ad agire è lo sdegno il quale può ap
pagarsi anche di un male minore : le parole emes
se sono jattanze dell' ira ; le armi sono quelle che
più presto ha somministrato il furore ; la direzione
dei colpi è casuale ; la loro iterazione è figlia di un
moto convulso eccitato dall' ira ; tutto in una parola.
è irriflettuto, e quindi inabile a porgere un criterio
sicuro al giudicante . Male si ragiona sempre intor
no agli atti di chi non ragiona. Il giudice è costretto
a cercare nella materialità lo elemento ideologico
del tentativo ; è costretto a contentarsi di divina
zioni arbitrarie ; e se ha l'abitudine della severità
il titolo della lesione personale sparirà dalla prati
ca : tutti i colpi feritori diverranno tentati omicidii
perchè tutti hanno la potenza di recar morte : e il
giudicabile conscio di non avere in quella commo
zione niente pensato ad uccidere, ed esserne uscito
ben soddisfatto di non avere ucciso, quando udrà
poscia il giudice imprestargli una volontà diretta
.
a dare la morte maledirà gli errori della umana
giustizia. Ecco nei più succinti termini la teorica
del non tentativo nell' impeto, teorica che può dirsi
classica ed universale, e che fu regina del foro e
delle scuole fino ai giorni nostri .
Ma al seguito del codice Toscano del 1853 questa
teorica dopo qualche oscillazione si rinnegò dai Tri
- 195 --

bunali Toscani. E la ragione di rinnegarla ( dicia


molo francamente ) fu piuttosto politica che giuri
dica o psicologica . Nell' antica giurisprudenza le
leggi criminali avevano un titolo speciale di reato
costituito dalla esplosione di armi a fuoco contro un
individuo e la pena di questo delitto speciale era
cosi larga secondo i casi, che dava campo alla giu
stizia di esercitare una conveniente repressione con
tro le esplosioni anche riuscite innocue per non
avere colpito alcuno. La teorica del non tentativo
nell' impeto non presentava dunque pericoli di scan
dalosa impunità in faccia alle vecchie legislazioni ,
e potè la coscienza dei Magistrati continuare ad
obbedire tranquillamente alla verità ontologica ed ai
precetti della scienza, anzichè lanciarsi nel rischie
vole cammino di una divinazione intenzionale diffi
cilissima e spesso impossibile.
Ma sventuratamente il codice del 1853 non det
tava sanzione alcuna per la esplosione contra homi
nem non susseguita da ferimento. Erano intanto
(come sempre lo furono nel nostro fervido clima )
assai frequenti le risse : e divenuta ogni di più fre
quente la mala usanza di delare pistole ed armi a
fuoco, ne avvenivano spessissimi i casi di esplosione
in rissa : e il più spesso ( attesa la inesperienza dei
nostri villici al maneggio delle armi ) quelle esplo
sioni non davano resultato di lesione personale . Il
titolo di esplosione contra hominem non esisteva
più il titolo di minaccia non era giuridicamente
adattabile al caso ; mantenuta la vecchia regola non
si sarebbe potuto parlare di tentativo : ultima con
seguenza di siffatta situazione era la costante im

punità di simili fatti : tale impunità spaventava i


――― 196 -

Pubblici Ministeri ; spaventava i Magistrati ; spaven


tava i cittadini tutti : ed a questa si preferi piut
tosto il partito di rinnegare la vecchia regola.
Tale è la storia genuina del regresso di questa
dottrina che ho veduto svolgersi e maturarsi len
tamente sotto i miei occhi . È doloroso che una con
siderazione politica faccia dimenticare una verità
ontologica, ma pur troppo avvenne così. Nè fu ul
tima causa di tale regresso la intemperanza dei di
fensori ; i quali non si appagavano di una più mite
condanna, ma volevano l' assoluzione, ed a tal fine
sostenevano audacemente che lo esploditore aveva
tentato niente. Questa era una esagerazione : perchè
se chi reagisce in una rissa non può affermarsi che
abbia il dolo determinato precisamente ad inferire
la morte, non può però senza cadere in poesia se
riamente negarsi che egli abbia un dolo determi
nato a far male al nemico , determinato almeno a
ferire. Cosicchè quanto era ragionevole la negazione
del dolo determinato all'omicidio, e così del tentato
omicidio, altrettanto era iperbolica la negazione di
un dolo determinato ad offendere, e cosi della ten
tata lesione personale. Ma sventuratamente in que
sto lungo conflitto fra la difesa e l'accusa si pro
pugnarono sempre vicendevolmente le opinioni es
treme ; e da ciò ne avvenne che vicendevolmente
trionfo ora l' una ora l'altra delle opinioni estreme
anzichè la opinione media, nella quale stava forse
la verità. Fuvvi un periodo nel quale il nostro föro
mostrò flagrante siffatto conflitto , che poscia lenta
mente si è venuto modificando. Se un uomo aveva
esploso contro il suo avversario senza colpirlo, di
qua correvasi tosto a dire senza meno che aveva
---- 197

tentato di uccidere, di là sostenevasi che non ave


va neppure tentato di offendere la persona : esa
gerazione da un lato, assurdo dall' altro : ma fra la
esagerazione e l'assurdo vinceva naturalmente quel
la . Così io vidi per ripetuta esperienza che incon
trava miglior partito il corrissante quando aveva
ferito, e peggiore il corrissante che non aveva col
pito. A quello poteva applicarsi la pena determinata
dallo evento ; la giustizia se ne appagava, ed in
viavasi al correzionale : a questo l' evento non at
tribuiva pena ; bisognava misurarla sulla intenzione ;
questa si presumeva pessima, e s' inviava alla Corte
Regia sotto il titolo di omicidio mancato . Tanta fu
tra noi ad un certo periodo la mania ( dico proprio
mania ) di adagiare sempre le accuse sulla divina
zione della intenzione più micidiale quando lo evento
non offriva titolo che potesse determinarla ! Un uo
ino che stava pescando lungo un fosso dove l'acqua
era all'altezza di un braccio veniva molestato da
un ragazzo importuno . Colui impazientito dopo varii
moniti lo afferrò, e lo gettò nella fossa. Se il ra
gazzo avesse patito danno nella persona, colui si
sarebbe inviato al correzionale sotto l'accusa di le
sione : ma perchè il ragazzo era tosto risalito dal
l'altra sponda e fuggito senza altro danno che le
vesti bagnate, si volle ( con risultato peraltro di as
soluzione ) inviare innanzi la Corte sotto l'accusa di
omicidio mancato. Era possibile che il giovinetto an
che in quella poca acqua affogasse ; dunque si era
voluto l'annegamento ; e si era fatto tutto il neces
sario per annegare. Ecco lo acervo di sofismi al
quale s' ispirano simili accuse !
198

Ricordato lo stato presente della dottrina sulla


questione generale e preambula, ritorno alla questio
ne propostami sul tentativo nell' eccesso di difesa.

CPLS
E qui volgendomi a coloro che caldamente pro
pugnano non potersi ammettere tentato omicidio
con eccesso di difesa, io dimando loro : qual'è la
opinione che voi tenete per vera in ordine alla que
stione generale del tentativo nell' impeto ? Negate
voi la possibilità del tentato omicidio in rissa, op
pure voi l'ammettete ? Se voi la negate io sono
con voi, e siete eminentemente logici quando negate
ancora la possibilità del tentato omicidio nella di
fesa eccedente. Con lo identico ordine di ragiona
mento col quale voi dite non potersi obiettare il ten
tato omicidio a chi soltanto feriva nell' impeto di
uno sdegno subitaneo e veemente perchè egli am
menava colpi per menar colpi e per dare sfogo
alla rabbia convulsa che lo agitava, ma senza pre
figgersi uno scopo finale piuttostochè un altro ; con
lo identico ordine ( io dissi ) di ragionamento voi
rettamente potete ripetere che chi feriva per pro
pria difesa, feriva per liberarsi dal male che gli
sovrastava ; feriva per difendersi : ma non intende
va a procacciare piuttosto la morte dello aggres
sore che il semplice ferimento, non avendo alcun
fine oltre quello di recare quel male che era ne
cessario ad assicurare la propria difesa. La parifi
cazione è incriticabile .
Ma se al contrario voi siete di coloro che sosten
gono il tentativo nell' impeto, io mi permetto di
dirvi che siete inconseguenti quando negate il ten
tativo nello eccesso di difesa. Ripeto che qui la ne
gazione del tentativo non procede da un principio
199

giuridico, ma da una considerazione psicologica :


dal considerare cioè che in un' anima agitata da su
bitanea commozione che tutti perturba i suoi cal
coli non può concepirsi quella riflessione che è in
dispensabile perchè gli atti umani possano affer
marsi diretti ad un fine più grave di quello che
materialmente si ottenne .
Laonde, poichè l'impeto di sdegno e l'impeto di
timore sono operativi degli stessi effetti psicologici,
non vi è ragione per distinguere fra caso e caso.
Anzi può con verità osservarsi che se la ipotesi
dell' impeto d' ira presuppone sempre per suo ne
cessario contenuto il turbamento della facoltà di ra
gionare e di prevedere , non è sempre altrettanto
del timore. Sente ognuno che la difesa eccedente ,
ed anche la stessa difesa legittima con pieno con
corso degli estremi del moderame , possono in certi
casi combinarsi con la più fredda riflessione e con
la più matura deliberazione . Ponete che noi siamo
caduti in mano dei briganti e vittime di un ricatto
che ci espone di ora in ora ad imminente pericolo
di vita : non per moto repentino, ma per cospira
zione maturata lungamente ed accortamente tro
veremo il modo di cogliere i masnadieri nel sonno
o nell' ebbrezza, trucidarli , e metterci in salvo . Ne
avremo plauso e non pena, benchè il timore che
ci spinse ad agire non avesse alcuno dei caratteri
della passione impetuosa : perchè, secondo la miglio
re scuola, il moderame non ha la sua ragione scri
minatrice nella perturbazione dello intelletto, ma
bensì nello esercizio legittimo della difesa privata
dovunque la difesa pubblica è impotente al bisogno .
Che se configurisi un vero impeto di paura, una
200 --

di quelle vertigini nelle quali l'uomo ragionevole


scomparisce affatto e non resta che l'uomo dello
istinto , non vi possono essere termini per proporre
la questione del tentativo , perchè in tale stato non
può esservi eccesso politicamente imputabile.
E qui finirò con lo osservare che anche ritenuta
( come io persisto a credere scientificamente più
vera ) la negazione del tentativo nell' impeto, que
sta regola trova condizioni abili alla propria appli
cazione soltanto in quelli atti materiali ai quali po
tevano eventualmente rispondere più e diversi ef
fetti alternativamente possibili, come il ferimento o
la morte, la contusione delle carni o la frattura.
delle ossa, e simili . La regola in sostanza è quella
che fra due eventi possibili si presuma voluto il
meno grave quando questo solo si ottenne . Ma se
configurate dei casi nei quali il fine possibile fosse
uno solo impedito fortunatamente da una casualità ;
allora è necessità logica che quella regola faccia
difetto, perchè anche nell' impeto un fine qualunque
ogni agente lo deve avere ; e dove non è alterna
tiva di fini è repugnante invocare la regola che
debba presumersi il fine meno grave. Colui che
esplode l'arme o vibra lo stile può intendere più
spesso a ferire che non ad uccidere , perchè il ri
sultamento ordinario di tali fatti è il ferimento , e
lo eccezionale e meno frequente la morte : ma colui
che getta il tizzo ardente nella mia capanna ripiena
di paglia non può avere altro fine tranne quello di
destare lo incendio.

Pisa, marzo 1871 .


- 201 ―

III.

Obiettività della premeditazione nel tentativo ( 1 )

( TEORICA )

§. 1. Giuseppe Biagi di Vicopelago nella sera


del 4 maggio 1873 alle ore 9 ' , pomeridiane esplo
deva un archibugio contro la persona di Michele
Bedini.

§. 2. Quell' archibugio era carico a minutissimi


projettili di n. 1 e 2, designati in atti col nome vol
gare di migliarini.
§. 3. Quella esplosione produceva al Bedini sei od
otto leggerissime ferite nel lato sinistro del petto ,
che appena passavano il derma, e che inabilitarono
il Bedini per due giorni al lavoro, e che in sei
giorni furono perfettamente guarite .
§. 4. Quella botta era esplosa a circa dodici brac
cia di distanza, e si ha ragione di ritenere ( nello
stato attuale degli atti ) che tale esplosione fosse
accompagnata da premeditazione ed aguato.
§. 5. Tutto questo non ha formato oggetto di se
ria questione in faccia alla Corte di Assise di Luc
ca : nè può farsene oggi argomento di disputa in
faccia a questa Corte Suprema.
§. 6. Tutta la questione era ed è se il titolo e la
conseguente pena da applicarsi al reato del Biagi
fosse quello di TENTATIVO DI OMICIDIO PREMEDITA

(1 ) Motivi addizionali del ricorso di Giuseppe Biagi alla


R. Corte di Cassazione di Firenze .
- 202 -

To, che inconsultamente venne a definirsi dai giu


dici popolari con una maggioranza di SETTE contro
CINQUE Voti ; o non piuttosto il titolo di LESIONI
LEGGIERE PREMEDITATE , che io sostengo essere
l'unico titolo adattabile al caso a termini della più
rigorosa giustizia .
§. 7. E la questione relativa alla preferenza da
darsi ai due titoli controversi dipendeva e dipende
dallo stabilire ( lo avverto fino d'ora alla Corte
Suprema ) non già se il Biagi nel momento nel
quale esplodera avesse lo animo di uccidere ; ma
bensì se avesse premeditato di uccidere il Bedini,
o piuttosto se avesse soltanto premeditato di fe
rirlo, e tutto al più, per un dolo indeterminato, la
previsione della morte si fosse affacciata alla sua
mente nel momento della esplosione .
§. 8. Di questa distinzione niente capirono i Giu
rati di Lucca, perchè non eruditi alla più sana giu
risprudenza delle Corti di Cassazione Italiane ; le
quali oggimai con parecchi e parecchi monumenti
ripetutamente e concordemente hanno stabilito che
a ritenere premeditato l'omicidio non basta che si
riconosca premeditato il ferimento.
§. 9. La contraria dottrina prevalsa nella giuris
prudenza di Francia per la formula eccessivamente
severa con la quale il codice Francese definisce la
premeditazione , non ha mai avuto plauso nei Su
premi Tribunali del Regno d'Italia : e innumere
voli decreti di tutte lo Supreme Corti del Regno
annullarono tutti i verdetti nei quali non si era
tenuto conto di simile distinzione ; e si era mala
mente confusa ed identificata nella pena la preme
ditazione a ferire con la premeditazione ad uccidere.
- 203

§. 10. Crederei di offendere la sapienza dei Ma


gistrati della Corte di Cassazione se ricordassi loro
questa giurisprudenza, e se qui mi facessi a svol
gere il precetto incontrastabile che la premedita
zione non qualifica l'omicidio se la medesima non
risulta simultaneamente accompagnata dai suoi ca
ratteri soggettivi, e più dalla sua condizione ogget
tiva : vale a dire dal preciso fine colpevole, nel quale
sta la essenza del malefizio che vuol dirsi preme
ditato. Chi premedita un fatto in tutte le sue sog
gettività materiali , non sempre premedita ugual
mente tutte le conseguenze possibili di quel fatto :
e ciò specialmente quanto più sono insolite ed ec
cezionali simili conseguenze ; come appunto è la
morte prodotta dalla esplosione contro un uomo ve
stito di grossi panni , e ad archibugio carico a sem
plici migliarini.
§. 11. Soltanto mi permetto notare alla Corte
Suprema che questo precetto della scienza ebbe
spesso la sua applicazione dalla comune dottrina dei
più insigni pratici , e dalle Corti Supreme del Re
gno, anche nel caso di morte avvenuta, la quale si
ritenne che avesse potuto oltrepassare la inten
zione quantunque fosse premeditato il ferimento .
A molto maggior ragione quella distinzione non deve
dimenticarsi quando non avvenne lo effetto letale :
perchè allora la morte non essendo nè nello evento
nè nel meditato disegno diviene gravissimo errore
stabilire il titolo di premeditato omicidio .
§. 12. Certo di questi principii, dei quali si onora
la scienza e la pratica criminale italiana, io dico che
un Tribunale di Magistrati non avrebbe esitato un
istante ad adattare quella distinzione al fatto del
_________ 204 -

Biagi ; ed avrebbe disdegnosamente respinto il ti


tolo di tentato omicidio premeditato, per far luogo,
come giustizia voleva, al più congruo titolo di pre
meditate lesioni.
§. 13. E questa pronuncia io mi sento certissimo.
che sarebbesi emessa da un Collegio di Magistrati
non solo per la santa regola che in dubbio deve
ritenersi la intenzione meno feroce ( 1 ) ; ma più an
cora perchè tutte le circostanze del processo con
vergevano a mostrare a luce meridiana che il Biagi
non aveva preordinato il proprio delitto a togliere
di vita il Bedini, ma soltanto ad intimidirlo , prima
con le minaccie verbali, e poi col ferirlo, per mo
strargli che esso era capace non solo a dire ma
anche ad agire ; e così dissuaderlo dallo amoreg
giare la Berti, che era il suo unico scopo.
§. 14. Mi permetto di riassumere e rapidamente
percorrere tutte queste circostanze : e sono
1.º La indole del Biagi. Esso è descritto come
.
prepotente e soverchiatore . Giunto a 26 anni esso
non ha mai dato prova di animo sanguinario . Era
dunque nelle sue prave abitudini il pensiero di met
tere paura anche col dare una lezione ai suoi ri
vali , non quello più truce e nuovo per lui di spen
gere umana creatura.

(1 ) Bertazzolo consultat . decis . 1 , cons . 28 , n . 5


-- ivi - Semper in delictis praesumendum esse delin
quentem minus deliquisse ; et cons. 85 , n . 2 ―― ivi ― Reus
habet praesumptionem juris pro se quod non percusserit
animo occidendi ut minus delictum voluerit committere.
In dubio capienda est praesumptio minoris delicti.
-―――― 205

2. La causa a delinquere, che era l'amore per


Ester Berti vagheggiata dal Bedini. Ma questa causa,
rimane equivoca nel tema presente , perchè lo scopo
di distorre il Bedini dal partirsi da Lucca per an
dare a Vicopelago a corteggiare la Berti si otteneva
ugualmente col generare nell' animo del Bedini
serio timore della sua personale sicurezza, e dargli
un saggio dell'audacia del suo rivale , mostrando a
lui come egli fosse capace non solo alle violenti pa
role ma ancora agli atti violenti. Non era nel Biagi
contro il Bedini odio o nimistà personale che a lui
potessero far desiderare la morte del suo nemico .
Il Bedini dimorava a Lucca ; il Biagi a Vicopelago :
nessune collisioni fra loro ; nessuna vendetta da
compiere. Quando il Biagi aveva ottenuto di per
suadere il Bedini a non più vagheggiare la Berti ,
egli aveva ottenuto tutto il più che a lui interes
sava. A questo suo desiderio bastava una lezione
( come suol dirsi ) data al rivale, che fosse minaccia
di più gravi danni se avesse persistito. Dunque il
disegno , e lo effetto che si voleva, doveva essere li
mitato nel cerchio di questo intendimento finale .
Dunque a premeditare la morte manca la causa a
delinquere ( 1) .

( 1 ) Bertazzolo consultat . decis . lib . 1 , cons. 85, n . 17


--
- ivi- Quia caussa non erat talis ut offenderet ad mor
tem et occiderel Joannem ; sicut enim e contrario magna
caussa arguit animum occidendi ; ita levis arguit contra
rium animum. Eo quod caussa inimicitiae non erat talis
ut mereretur quod aliquis occideretur .
Conciolo allegationes alleg . 85 , n . 12 , et 15 -— ivi —
Cum homicidia non soleant committi sine causa gravi, et
206 ―――

3. Gli antecedenti del Biagi. Rigurgita in pro


cesso la prova della sua proclività a minacciare i
vagheggiatori delle sue amanti. Di tali minaccie
egli si era servito contro Eugenio Lucchesi quando
amoreggiava con Viola Agresti : egli se ne era nuo
vamente servito contro Eugenio Pieri quando que
sti corteggiava la Berti . E sempre questo metodo
gli era servito per allontanare i suoi rivali . Minac
ciava a tutti la morte , ma non uccideva nessuno .
Egli aveva trovato peraltro più sodo il Bedini ; il
quale aveva disprezzato le minaccie verbali . Ragione
da ciò nel Biagi di andare un passo più innanzi ; e
procedere dalle minaccie verbali alle reali vie di
fatto. Ma non ragione davvero per correre tutta la
linea, e giungere all'apice delle scelleratezze pri
vando un uomo di vita ; quando col solo mostrargli
che esso diceva davvero aveva motivo di credere i
fatti raggiungessero quello scopo di intimidazione
che non aveva ottenuto con le parole .

cuusa non solum debet esse gravis , sed debet etiam re


spondere offensae factae. Et in terminis nostris quod
quando offensae non sunt tales ut mereantur mortem non
sit praesumendum mandatum ad homicidium .
Gabriello comm . conclus. lib . 7 de malefic . concl. 2 ,
n. 54 -- ivi ― Sublimita, nisi ex qualitate offensue ve
risimile esset non fuisse mandatum homicidium.
Grassetto anatomes necis proditoriae § . 55 , n. 4
ivi - Necesse tamen ad hoc est ut inimicitia fuerit
capitalis , cum sola capitalis inferat ad praemeditationem
secuti homicidii.
Raynaldi vota decisiva , vot . 50 , n . 16ivi - Quod
causa erat levis nec talis ut offenderet ad mortem el oc
cideret, quo casu animus deliberatus non praesumitur.
207 -

4.º Nè a questo più probabile intendimento faceva


ostacolo il tenore delle minaccie che ripetutamente
e senza mistero si ripetevano dal Biagi in faccia
alla donna amata, in faccia ai rivali , in faccia al
Centoni , in faccia al Del Bianco, in faccia (può dirsi)
a tutti i conoscenti. Le minaccie naturalmente do

vevano essere di morte perchè avessero maggior


potenza di intimidire . Ma questa pubblicità e co
stanza del minacciare rivela spontaneo lo intendi
mento di mettere paura (1 ) . Male però si adatta

(1 ) Granz defensio inquisitorum cap. 5, membr . 2, se


et. 3 , art. 2, n 88 - ivi Alias minae vitae sunt vanae
nec pluris faciendae quam fulgor ex pelvi in vitro , aut
quanti nugae obstreticum et delirantium jam vetularum ;
cum multi reperiantur Thrasones , quae ex frivola saepe
caussa satyreas et mortem aut alio nescio quam vindi
ctam spirant, minas tamen non exequuntur; nequiores in
terim illo hominum genere, quod nocere studet et acrem
in alios meditatur vindictam, tegit plerumque dissimulat
que malum accurate et callide, donec illum ad effectum
perducere possunt. Qui enim vere ulcisci statuit, minis
nihil aliud efficit nisi ut praemonitio inimico sibi minuat
laedendi opportunitatem . Aliquando quis per iracundiam
et animum nondum sedato minitatur verba vindictae, a
quibus tamen discusso animi ferrore postmodum abstinet:
quae pariter indicium ad torturam non faciunt.
Oldekops observat . crim. tit . 4, obs . 7, n. 4 ――― ivi ――――
Multi reperiuntur homines etiam non mali, quibus in usu
est impotenter evomere multa minarum flumina, ut solius
linguae suae telo omnem injuriam vel contumeliam vel
vindicare vel avertere velle videantur. Contra illud ho
minum genus pessimus, quod nocere studet et acrem in
alios meditatur vindictam, legit plerumque dissimulatque
____- 208 -

alla cupa deliberazione di commettere un assassi


nio. Un giurato può benissimo trovare peso nello
argomento seguente - Biagi diceva a tutti di vo
lere ammazzare ; dunque premeditava di uccidere .
Ma un giurista non ragiona così. Un giurista ar
gomenta in senso opposto . Esso dice che se l'ac
cusato non minacciò mai a parole ma esplose ino
pinatamente il fucile, egli poneva le sue speranze
nella strage , e non nella paura. E dirà all' opposto
che quanto più faceva lo spavaldo mostrandosi senza
mistero intenzionato ad uccidere, tanto meno do
veva essere fermato nell' animo suo il disegno di
uccidere, perchè in tale disegno doveva prevedere

malum accurate et callide, quod prima occasione commoda


incautis est paraturum . Quales considerationes a judice
nequaquam sunt postponendae.
Clasen comment. in Const. Crim . Carol. ad art. 25 ,
pag. 116 - ivi — Ut autem minae locum faciant tortu
rae requiritur ut factae sint ab eo qui illas consuevit
exequi . Saepe enim reperiuntur vani jactatores qui qui
dem verbis nescio quam vindictam spirant , minas tamen ,
uti dictum est , non exequuntur .
Mascardo de probation . conclus . 98 ――――― ivi -- Multi
reperiuntur qui, ut ipsorum mos est, jactatione verborum
et denunciatione periculi, omnes terrent, minas jactare,
pericula intendere, formidines opponere unicuique solent ;
sed cum facinus aliquod aggrediendum est post principia
se continent, ut Terentianus ille Thraso . Unde ad remo
vendam praesumptionum hujusmodi minarum erit reme
dium probare loquacitatem viri, jactanctiam et ostenta
tionem inanem, qui consueverat projcere ampullas et ses
quipedalia verba . E questo in ordine al Biagi era lumino
samente provato dagli stessi testimoni di accusa .
209 -

che quella stolta spavalderia sarebbe tornata ter


ribile contro di lui , quando avesse condotto a ter
mine il suo disegno. Il giurista capisce che quando
si vuol mettere paura non si minacciano carezze ,
ma si minaccia sempre il più terribile male ; e dis
tinguendo le rivelazioni confidenziali dalle minacce,
non accetta quell' argomento sofistico che se mi
nacciò morte aveva deliberato di dar morte.
5. La minaccia a mano armata di revolver, dal
Biagi diretta contro la Berti e accompagnata dalla
manifestazione di volerla uccidere se continuava ad
amoreggiare il Bedini , rientra nella precedente con
siderazione : ed anzi fa un giuoco ulteriore , perchè
mostrando che il Biagi era possessore di un revol
ver induce a ritenere che dove egli realmente
avesse premeditato la morte del Bedini si sarebbe
valso di quello strumento contro il Bedini e non di
un fucile carico a minutissimo piombo .
6. Trascendente è poi l'argomento desunto dalla
carica a migliarini. Chi ha deliberato di dare morte
ad alcuno col mezzo di un arme da fuoco è solle
cito a caricare l'arme con grosso piombo per ren
dere più probabile il raggiungimento del fine ne
fasto : laddove in un delitto di sangue che si sup
pone premeditato, lo avere apparecchiato l'arme
con pallini e piombo minuto, dal quale è rarissimo
e difficile che si cagioni la morte, manifesta invece
apertamente il più mite fine di produrre una sem
plice spizzicatura, e di contentarsi di recare un fe
rimento . Ed è questa una regola di critica univer
salmente insegnata ( 1 ) da tutti i dottori, ed accolta
(1 ) Raynaldi observationes cap. 7 , §.12, n . 11 — ivi —
Onerans vero cum pallinis EXCLUDIT MANIFESTE animum oc
VOL. V. 14
210

costantemente in tutte le pratiche criminali come


decisiva per escludere la premeditazione di ucci
dere, anche a fronte di opposti e gravissimi indizi .
7. Nè a neutralizzare l'argomento eloquentissimo
desunto dalla natura della carica può darsi valore
alla circostanza di essersi il Bedini visto colpire ( sic )
nel petto. La direzione del colpo , quando trattasi di
esplosione di arma da fuoco, è per regola generale
inconcludente ; e più inconcludente addiviene nel
caso speciale .
È inconcludente per regola generale, specialmente
quando trattasi di colpi esplosi di notte , perchè è

cidendi, quia regulariter quis non utitur illis ad homi


nem occidendum : Campana resolut. 2 , n. 41 : Blanco
de judiciis n. 84: Thoro Codex rerumjudicatarum cas. 60 ,
n. 175 .― ed al n . 43 ( così prosegue Raynaldo ) — ivi -—
Quia ex communiter accidentibus non solet ex dictis mi
liarinis remanere quis mortuus, videtur cessare animus
occidendi, et praemeditatio in explodente, qui si habuis
set animum vel PRAEMEDITATIONEM OCCIDENDI, non adhibuisset
miliarinos in aptando archibusium , sed pilas magis aptas ;
unde videtur cessare dolus qui accipitur pro animo oc
cidendi. Etenim NON EST VERUM QUOD EMITTENS ICTUM ARCHI
BUSI SEMPER HABEAT ANIMUM OCCIDENDI , QUIA ATTENDI DEBET MA
TERIA QUA SCLOPUS EST ONUSTUS .
Leyser ( il quale appunto applica la regola anche al caso
in cui la morte sia avvenuta ) medit. in pandect . spec . 604 ,
med. 21 ------ ivi - Tormenta ignifera PER SE MORTEM NON IN
FERUNT, sed per MATERIAM, quae illis inditur, lethalia vel
non lethalia efficiuntur. Quodsi haec MATERIA in necandis
hominibus inusitata est, etsi mors per eam forte illata sit ,
tormentum pro instrumento non lethali reputandum: et
occisor ANIMUM OCCIDENDI NON HABUISSE censendus.
211

facilissimo sbagliare nella mira ( 1 ) e spessissimo av


viene che non si colpisca dove si è mirato, e si
colpisca dove non si è mirato ; quando più partico
larmente la passione e la trepidazione rendono mal
fermo il braccio, e mal fido l'occhio.
È inconcludente per ragioni speciali , perchè sup
posta una direzione precisa ed esatta deve rammen
tarsi che il Bedini era coperto di grosse vesti e che
la carica si conosceva dallo esploditore essere a
minutissimo piombo . Laonde se avesse voluto reca
re più grave danno avrebbe diretto il colpo alla
parte ignuda della faccia anzichè alla parte coperta
da parecchi strati di panni . Che se si opponesse
che il colpo era diretto alla testa, e solo per caso
colpi nel petto, a siffatta arbitraria asseverazione
replicherei con asseverazione altrettanto arbitraria

(1 ) Bertazzolo consultat. decis . lib . 1 , cons . 208, n . 6


-- ivi - Constat absurdum esse hunc intellectum quod
tales praesumptiones armorum hujusmodi et PERCUSSIONIS
IN PARTE CORPORIS PERICULOSA inferant ad animum occidendi:
ideo vitandus est . Tametsi hoc casu ego parvifacerem
praesumptionem, quod vulneraverit inquisitus Bignardum
in LOCO PERICULOSO ( IN HYPOCHONDRIO videlicet) , tum quia pro
batum est, quod fuit vulnusculum modicae curae , tum quia
illius praesumptionis esset habenda ratio in percutiente,
et vulnerante hominem , in cujus potestate esset vulnerare
illum potius in una , quam in alia parte corporis ; ut con
tingit in vulnerante ENSE , vel alio SIMILIUM armorum ge
nere: secus in VULNERANTE ARCHIBUSIO, balista, et similibus
armis, et maxime quando vulnerant EUNTEM, non STANTEM ,
ut in casu isto: certe non possumus dicere, quod sit in
potestate ejus, magis in unam partem , quam in alias cor
poris vulnerare, ut bene norunt, qui arma exercent .
― 212 ――――

dicendo che il colpo era diretto al basso della per


sona, e per caso o per lo effetto naturale della si
tuazione più bassa dello esploditore , la botta colpì
nel petto .
I periti cacciatori Colonna e Raffaelli ( vecchi e
veri cacciatori ) deposero alla udienza che doveva
considerarsi come evento straordinario e rarissimo
la morte di un uomo contro il quale fosse esploso
a dodici passi di distanza un fucile carico di mi
gliarini in parte del corpo coperta da panni . Il pe
rito armaiuolo ( convertito dalla istruzione in pe
rito cacciatore ) aveva detto nel processo scritto che
era possibile la morte anche a venticinque passi di
distanza. Possibile ? E chi nega un possibile straor
dinario e rarissimo per uno di quei giuochi pazzi
che talvolta producono le armi a fuoco, e che gli
esperti chiamano annodamenti ? Ma la questione non
era del possibile. La questione era se chi determi
natamente vuole un fine, e con maturo studio preor
dina i mezzi per raggiungere cotesto fine , elegga
i mezzi che soltanto raramente ed eccezionalmente

possono in un caso su cento raggiungere quel fine ;


o se piuttosto preferisca i mezzi che offrono mag
giore probabilità. Confondendo le due questioni in
tema di tentativo si cade nel peggiore dei sofismi,
perchè si dichiara caso fortuito la vita dove in
faccia alla verità dovrebbe dirsi caso fortuito la
morte qualora avvenisse . Prendo a caso il primo
trattato di medicina legale che mi cade tra mano .
Odasi De vergie ( celebre fra i celebri ) médecine
―――
legale, Bruxelles 1827 , tom . 1 , chap. 13, pag. 306
Un fusil chargé à petit plomb constitue une arme
dont les projectiles traversent rarement les par
e 213 -

ties de part en part. Les petits plombs s'arrêtent


ORDINAIREMENT à la surface ou dans l'épais
seur de la peau, s'y enchatonnent et y séjournent
pendant un temps plus ou moin long. Il faut exce
pter le cas ou le coup fait balle. Ecco lo insegna
mento positivo dei veri dotti e dei veri esperti . È
caso eccezionale e rarissimo che una botta a pic
colo piombo produca lesione grave, e molto più è
straordinario che produca la morte . Ma i veri dotti
ed i veri esperti sono raramente chiamati all'uffi
cio di periti fiscali . Questi nel corto loro intelletto
confondono il raro possibile col probabile : e i giu
dici confondono talvolta il possibile col probabile ,
calpestando così le regole della scienza ed i precetti
di buona giustizia. E in questo fatale equivoco ca
dono più spesso che altri i giurati ; e vi caddero i
giurati di Lucca. Se Biagi avesse con quella botta
ucciso Bedini, un Magistrato dotto, e un esperto non
inesperto, avrebbero dovuto dire che quella morte
era un evento straordinario difficilmente prevedi
bile, e che la morte era preterintenzionale .
8. Finalmente , oltre questi argomenti i quali ob
bligano qualunque giudice che segua la scorta della
critica calma ed imparziale ad escludere la pre
meditazione fredda ed omicida, avvene un altro che
assolutamente esclude l'animo di uccidere anche
nell'atto della esplosione. Da un lato vediamo il
Bedini rimanere eretto nella persona e continuare
il suo cammino, e intanto il Biagi non gli si fa ad
dosso per consumare il disegno omicida che a lui
volle imprestarsi dalla divinazione dei Giurati. Dal
l'altro lato ( circostanza trascendente ) il Biagi ha
seco il suo fido compagno Federigo Del Bianco ;
214 ――

il Del Bianco è anche egli munito di archibugio ;


e la giustizia ha verificato che quel fucile era ca
rico a pallettoni. Dunque il Biagi che ha esploso il
suo fucile munito di migliarini, anzichè pigliare il
fucile del compagno caricato a piombo mortifero ,
ha mostrato che voleva ferire soltanto e non ucci
dere ( 1 ) . Di più quando il Biagi si è convinto che
il Bedini era rimasto vivo e con lievissimo danno ,
non ha preso l' arme del compagno per rinnuovare
il colpo e consumare la strage . Dunque era pago
dello effetto da lui prodotto. Dunque voleva ferire
e non uccidere : Ciazzi disceptationes criminales
discept. 26, n. 39 - ivi ---- Immo si vulneravit
unico ictu non praesumitur vulnerasse animo occi
dendi. Nam sicut praesumitur vulnerasse animo
occidendi is qui plura vulnera intulit, ita e con
verso cessat praesumptio animi occidendi in eo qui
unico ictu percussit. L' arme del Del Bianco era
preparata carica a grosso piombo per assicurare la
personale difesa nel caso che il Bedini rimasto in

(1 ) Menochio de arbitr. lib . 2 , cent . 4 , cas . 361 , n. 6


--- ivi - Subjicit illum non habuisse animum occidendi,

qui cum hastam ferratam prae manibus haberet non ferro


sed ligno percussit, vel quia ense non vulneravit cum
posset sed pugno percussit.
Bertazzolo consultat. decis. 85 , lib . 1 , n . 20 quia
POTUISSET Josephus Joannem occidere , si VOLUISSET, ense qui
habebat ad latus, vel pugione punctim, et noluit .
Angelo de delictis pars 1 , cas. 69 , n. 15 ― - ivi - Non
erit locus poenae ordinariae in eo qui potens cum ense
percutere percutit cum pomo, nam apparet ex hoc non
habuisse animum occidendi, quoniam non percussit cum
ferro principaliter ad occidendum ordinato.
215 ――――

colume reagisse contro i suoi aggressori e ne met


tesse a repentaglio la vita. Ma poichè ciò non av
venne, l'arme che sarebbe stata micidiale riportò
al domicilio senza farne uso . Che si brama di più
per eliminare ogni dubbio , ed accettare con positiva
certezza il concetto che il Biagi voleva semplice
mente ferire ?

§. 15. Io ripeto dunque col più profondo convin


cimento, e senza tema di essere seriamente contra
detto, che un Collegio di giudici Magistrati avrebbe
cacciato via e disprezzato come un sogno febbrile
la obbiettata premeditazione omicida.
§. 16. Ma si dirà, a che ne giova questa minuta
analisi quantunque possa essere luminosa e con
vincente ? A che ne giova in faccia alla Corte Su
prema di Cassazione , quando i Giurati si sono di
chiarati convinti della premeditazione di uccidere, e
l'hanno affermata col loro incensurabile giudizio
di fatto ?

§. 17. La obiezione sarebbe terribile ed inespu


gnabile se veramente i Giurati AVESSERO DETTO che
il Biagi aveva PREMEDITATO DI UCCIDERE . Ma que
sto i Giurati NON LO HANNO DETTO, per la potente
ragione che non è stato loro dimandato e se si
fosse a loro dimandato, come dovevasi , essi avreb
bero dovuto rispondere negativamente.
§. 18. Non è dunque inetta la critica del fatto che
ho premesso questa volta alla esposizione dei miei
motivi di ricorso . Essa è utilissima, perchè mostra
che il dubbio stava non tanto sull' animo di ucci
dere nel momento dell ' azione ; e neppure sulla pre
meditazione di esplodere quell' arme . Il dubbio stava
sul NESSO di queste due circostanze, premeditazione
216 -

di esplodere, e animo di uccidere. Doveva diman


darsi ai Giurati se vi fosse stata premeditazione
di uccidere : e questo non fu loro dimandato. Fu
invece chiesto loro se il Biagi avesse esploso con
animo di uccidere ; ma non fu chiesto loro se, quan
do premeditava di esplodere e caricava l'arme a
pallini, avesse l'animo determinato a produrre la
morte del Bedini.
§. 19. Questo è il vizio che informa la questione
proposta ai Giurati di Lucca, la quale fu così for
mulata L'accusato Giuseppe Biagi è egli col

pevole di omicidio premeditato tentato, per avere


nella sera del 1 maggio 1873 in luogo detto Mon
tescendi presso questa città, cagionato a Michele
Bedini , con premeditazione e con intenzione di
ucciderlo, e mediante la esplosione di un colpo di
arme da fuoco carica a proiettili plumbei, più e
diverse lesioni nella parte anteriore superiore si
nistra del torace che non ebbero per sequela la
morte dell' offeso Bedini per cause affatto indipen
denti dalla volontà dello stesso accusato Giuseppe

Biagi ?
§. 20. Ecco la questione che io denuncio alla Cor
te Suprema come viziosa : e talmente viziosa da
farne con alacre fiducia sperare nella cassazione
del verdetto Lucchese, affinchè il rinvio ad un' altra
Corte apra l'adito a più maturo esame della col
pevolezza del ricorrente, ed a più giusto e più ve
ridico pronunciato .
§. 21. E perchè questo vizio emerga più chiaro
in tutte le sue molteplici forme , io lo denunzio alla
Corte con i tre seguenti motivi.
217 -

MOTIVO PRIMO

Vizio di perplessità nella prima questione prin


cipale proposta contro Giuseppe Biagi nel giudizio
agitato il dì 2 agosto 1873, perchè lascia incerti se
i Giurati abbiano dichiarato il concorso del preme
ditato disegno di uccidere il Bedini : o se piuttosto
abbiano affermato soltanto il premeditato disegno
di ferire il Bedini , susseguito poscia dall' animo di
uccidere sopravvenuto nel momento della esplosio
ne : nel qual caso per la comune dottrina ( 1 ) non
sarebbe sorto il titolo di tentato omicidio preme
ditato ; ma alternamente o il titolo di lesione pre
meditata, o il titolo di tentato omicidio improvviso.
In siffatta perplessità sarebbe disumano ed ingiusto

(1) Fra i molti giudicati dai quali può dirsi stabilito come
costante Giurisprudenza che la dichiarazione del concorso
della premeditazione non esaurisca lo estremo intenzionale
dello assassinio se altresì non è esplicitamente dichiarato che
lo agente aveva PREMEDITATO DI UCCIDERE il nemico , e non sol
tanto premeditato di offenderlo o di ferirlo, è notabile come
una singolarità la circostanza che questo giustissimo princi
pio si promulgasse quasi nel medesimo giorno dalle Corti
Supreme di due distanti provincie di Italia , l ' una ad insa
puta dell'altra . Alludo al giudicato della Corte di Cassazione
di Torino del 24 febbraio 1866 ( Giornale la Legge n. 32 )
ed al giudicato della Corte di Cassazione di Palermo del 26
febbraio 1866. Ambedue questi giudicati annullarono i ver
detti a loro deferiti , osservando che non esauriva gli ele
menti di fatto della premeditazione la dichiarazione che
il giudicabile avesse agito col premeditato disegno di at
tentare alla vita del nemico , perchè questa formula inclu
deva il possibile del disegno diretto a semplicemente ferire.
218

attribuire ai sette Giurati la volontà di affermare


il più severo concetto, mentre è forza convenire
che esplicitamente non lo affermarono . Infatti la
questione pone come soggetto principale della ri
cerca se il Biagi esplodesse e recasse ferite . Questo
è chiaramente affermato , e non se ne fa dubbio .
Pone poi come adietto al momento della esplosione
se esplodesse con animo di uccidere, ed anche que
sto si afferma. Pone poi come altro adietto della
esplosione se esplodesse e recasse ferite con pre
meditazione. E questo pure si afferma. Ma niente
affatto si cerca se premeditasse con animo di uc
cidere ; il che era essenziale a costituire il preme
ditato omicidio . Poichè questo titolo non risulta dal
solo esplodere con premeditazione ; nè dal solo esplo
dere con animo di uccidere : ma unicamente dallo
avere premeditato di uccidere : e questo non fu
dimandato nella questione . Il senso naturale della
questione conduce a dire che recò ferite con pre
meditazione : dunque la premeditazione si congiun
ge con le ferite ; e l'animo letale resta un acci
dente sopraggiunto all'atto della esplosione. Dun
que gli essenziali costitutivi del titolo più grave
applicato al ricorrente non sono assodati nella que
stione. E la Corte dichiarò constare di assassinio
tentato , senza che il verdetto avesse accertato gli
estremi necessari a quel più grave reato. La pre
"
meditazione è una circostanza che i Giurati di
Lucca ravvisarono come precedente alla esplosione.
L'aninio di uccidere è circostanza che i Giurati di
Lucca dichiararono come concomitante alla esplo
sione. Ma niente affatto guardarono se l'animo di
uccidere fosse concomitante alla premeditazione .
219

Pote il Biagi premeditare di ferire : potè il Biagi


esplodere con animo di uccidere dopo avere pre
meditato di ferire. Ma quando si è concordato tutto
ciò, non è ancora dichiarato che il Biagi premedi
tasse di uccidere. Carlo V Re di Spagna mori nel
convento di s. Giusto, è una verità storica. Ma sba
glierebbe chi da tale proposizione desumesse che
Carlo V fosse Re di Spagna quando moriva a
s. Giusto. L'annullamento del verdetto Lucchese

per questo motivo di perplessità, ha il suo testo


preciso nella dottrina dell' Angelo ( de delictis
pars 1, cap. 69, n . 6 ) ―――― Advertendum est NON
ESSE IDEM animum OCCIDENDI et animum DELIBE
RATUM AD OCCIDENDUM, nam differunt inter se.

MOTIVO SECONDO

Vizio di complessità, perchè fa riunita in una


sola questione la ricerca sul tentativo di uccidere
e sulla premeditazione. Mentre , specialmente trat
tandosi di delitto non consumato ma semplicemente
tentato, il quale non ha la sua essenzialità nello
evento, ma la trova nella intenzione soverchiante
lo evento ; era necessità scindere le due ricerche ;
e separatamente interrogare se stasse in fatto la
intenzione di uccidere costitutiva del tentato omi
cidio ; e separatamente se stasse in fatto che quella
intenzione si fosse deliberatamente e freddamente
formata in uno intervallo di tempo precedente alla
azione.
MOTIVO TERZO

Vizio di incompletezza, perchè si omise di inter


rogare i Giurati sulla qualità della carica esplosa ;
220 ―――

questo era necessario per richiamare i Giurati a


considerare il tentativo nel suo elemento materia
le ; ed è bene a credersi che alcuno di quei sette
Giurati avrebbe esitato ad affermare nella mede
sima risposta quelle due circostanze radicalmente
contradittorie. Ad affermare cioè un tentato omici
dio preparato col caricare il fucile a migliarini che
produssero una malattia di sei giorni .

Signori della Corte Suprema ! Io sento in cuore


la più profonda convinzione che il Biagi fa vittima
di un equivoco nel quale caddero i sette Giurati di
Lucca per non essere stati sufficientemente illu
minati dalla questione a loro proposta ; e per non
avere sufficientemente compreso i caratteri giuri
dici della premeditazione , e tutte le conseguenze
della loro risposta. Io sento in cuore la più profonda
convinzione che alle Assise di Lucca si consumo
una esorbitante ingiustizia sottoponendo Giuseppe
Biagi alla casa di forza decretata contro di lui. La
mercè del superiore vostro senno confido che la
punizione del Biagi potrà essere ridotta alle pro
porzioni più conformi alla severa giustizia e meglio
rispondenti al grado della sua colpevolezza. Ed a voi
raccomando questo giovine vivace ed ardito sì ma
non scellerato, perchè uomini scellerati non nacque
ro mai dalla sua onorata ed oggi desolata famiglia.

La Corte di Cassazione di Firenze non ebbe occasione


di pronunziarsi su questi motivi di merito perchè annul
lò con decreto del 5 novembre 1873 la sentenza Biagi
221 -

per un vizio pregiudiciale incorso nella formazione nella


lista dei Giurali.

IV .

Preteso tentativo di lesione ( 1 )

( TEORICA )

Quando il Venosino volle esprimere il concetto


del suo justum ac tenacem propositi virum, lo
delineò con esatti e vivaci colori , descrivendolo im
mobile nel suo consiglio, così in faccia al truce as
petto del minaccioso tiranno come in mezzo al fre
mito della plebe riottosa. Ma lo ideale di Orazio
ha egli trovato, e trova una costante corrispondenza
nella realtà della vita pratica ? Ahi ! pur troppo non
sempre. E ( bisogna pur dirlo ) quello ideale del
moralista Romano si cerca invano nella realtà delle
cose più spesso nella seconda sua forma che non
avvenga nella prima.
Gli annali della giustizia ricordano splendidissimi
esempi di Magistrati che seppero con solida mente
.
resistere al vultus instantis tiranni ; ma pochi e rari
ne presentano di pubblici funzionari che abbiano
saputo ugualmente resistere al civium ardor prava
jubentium. E la ragione della differenza è sensibile ;
ed è nella natura delle cose che sia cosi.

(1) Memoria per Giuseppe Vivarelli Fabbri appellante alla


R. Corte di appello di Firenze .
――― 222

Quando è il tiranno che vorrebbe imporre ai Ma


gistrati la ingiusta sentenza, la ingiustizia desiderata
si presenta alla coscienza del giudice in tutta la sua
laidezza. Si chiede il male per un preteso diritto ad
esigere il male in ragione della volontà del potente ;
ma non si disconosce che quello sia un male . Ed
allora la coscienza del giudice, salda come ella è
nel casto amore del vero e nel sentimento di un
sacro dovere, si ribella alla brutta richiesta ; e il
Magistrato pone sua gloria nell' osteggiare le inique
voglie del potente, le quali tentano soverchiare la
volontà non bastando ad ottenebrare lo intelletto .
Ed ecco che la storia registra con plauso innume
revoli nomi di Magistrati e di Collegii giudiciarii
che negli antichi e nei moderni tempi non piega
rono alle volontà del despota, ed impedirono che la
giustizia ordinaria si rendesse strumento di sue
feroci vendette.
Non avviene cosi quando il giudice si trova lan
ciato in mezzo ad una di quelle farie popolari che
nutricate da vecchi rancori e da smodate passioni
erompono talvolta ai danni di un mal capitato cit
tadino. Allora il fremito della plebe che procede da

ire colpevoli si nasconde sotto la maschera di pub


blica opinione, di pubblica voce e fama, di giudizio
popolare ; e sotto queste larve assedia il giudice, non
più come una prepotente violenza che sfacciatamen
te a lui comandi uno ingiusto dettato, ma come una
seduttrice Sirena che a poco a poco ottenebra il
suo intelletto, ed a questo fa apparire come ragio
nevole e giusta la più iniqua sentenza. Allora il
giudice non appigliasi al male perchè il timore vin
ca la sua volontà , ma appigliasi al male perchè il
223

grido della moltitudine lo inganna sulla natura ma


ligna di ciò che egli fa. Egli non si rende volonta
riamente colpevole di ingiustizia : la sua coscienza
è pura, ma è pervertito il suo intelletto , perchè le
acclamazioni dei molti prava jubentium lo hanno
condotto fra le onde perigliosissime di una coscienza
erronea. Ed ecco perchè negli annali giudiciarii sia
no rarissimi gli esempi di magistrati che abbiano
saputo mostrarsi sordi al grido delle plebi . I Pre
sidenti ed i Parlamenti seppero parecchie volte re
sistere ai comandi dei Reali di Francia ; ma non
seppero risparmiare il sangue dello innocente Calas
perchè una plebe forsennata lo gridava parricida .
Le verità che proclama la storia si riproducono
a parità di circostanze in tutti i tempi ed in tutti
i luoghi ; e la verità che qui accenno si riprodusse
dolorosamente in Arezzo nel processo agitato colà
contro il Conte Giuseppe Fabbri dei Vivarelli.
Non fa mestiere che io ricordi ai Magistrati della
Regia Corte di Firenze i tempi che corrono. La
presente generazione, virtuosa senza dubbio e civile.
al pari di ogni altra, ed al pari di ogni altra ener
gica, laboriosa , ed amante del bene , si agita però
sotto un incubo fatale e maligno dal quale hanno
origine tutti i mali contemporanei : l'odio dei non
abbienti, contro gli abbienti . Lo stesso progresso
della civiltà ha renduto più ardente negli animi di
coloro che la fortuna collocava agl' infimi gradini
della scala sociale una bramosia sfrenata, la quale
non si appaga di moderati miglioramenti , ma aspi
rerebbe nientemeno che a rovesciare dall' alto chi
in alto siede ed a collocarsi nella vece sua. Di qui
le torte invidie ed una sorda ma pertinace guerra,
--- 224

che fomentata da insensate dottrine e usufruita da


speculazioni di demagoghi , minaccia di erompere pri
ma o poi ad una aperta battaglia sociale, e frattanto
si esercita alle piccole e parziali battaglie quando
gliene capita il destro. Così avviene che oggidì nel
teatro della giustizia si svolga un dramma che è
precisamente il rovescio di quello che là si vide
nei secoli scorsi . Un tempo bastava che in una lite
stesse da una parte il potente e dall' altra il povero,
perchè tutte le forze sociali si collegassero a danno
di questo per ossequio verso di quello . Oggidì av
viene tutto l'opposto ; basta che l'offeso sia un po
vero e l'offensore un potente perchè tosto la belva
scatenisi con le sue diverse lingue, orribili favelle.
Tosto il giornalismo esagerato alza un grido di ven
detta, da ogni lato sorgono gli anatemi : in ogni
crocchio, in ogni Caffè, in ogni ragunata si ripete
con alacre gioja il racconto del reato commesso dal
ricco : si rimprovera la inerzia alla giustizia quando
non ha ancora avuto tempo di agire razionalmente ;
s' inventano da cento bocche circostanze false , e le
vere si esagerano o si trasfigurano : si preconizzano
sognati favori e parzialità, per sospingere gli agenti
della giustizia alle parzialità ed ai favori. Questo
turbine esercita il suo influsso maligno sul pub
blico ; lo esercita sui testimoni ; lo esercita final
mente sopra gli stessi giudici ; e tutto il processo si
svolge e si compie in un ambiente appestato dalle
favole e corrotto dalle nemiche preoccupazioni . La
verità allora si smarrisce ; si smarrisce la remini
scenza delle più certe regole di diritto ; e ( quello
che è peggio ) si smarrisce talvolta anche lo stesso
senso comune . È un ambiente di ubriachezza mo
225 --

rale, a vincer la quale non basta la abituale sapien


za, non basta la più squisita logica, non basta la più
intemerata coscienza : e lo errore fatalmente trionfa
con trionfo tanto più facile quanto più piccolo è il
teatro dei fatti, e quanto è per conseguenza più
concentrata la pressione della fremente plebe sullo
justum ac tenacem propositi virum .
Non faccia dunque meraviglia se patrocinando
l'appello del Conte Giuseppe Vivarelli noi denun
cieremo alla Regia Corte di Firenze errori ed ab
bagli così madornali ed insoliti da sembrare incre
dibili in una Magistratura Toscana. Non se ne
argomenti menomata in noi la stima verso i Magi
strati che recitarono in questo disgraziato processo .
Se noi per debito di ufficio nostro verremo mo
strando che Giudice Istruttore , Pubblico Ministero,
e Giudici giudicanti in Arezzo, caddero questa volta
nelle più inqualificabili aberrazioni ; valga quello che
ho detto come preliminare protesta a rivelarne la
causa. La piccola città d' Arezzo ha pur troppo an
ch'essa la sua plebe fremente ed i suoi demagoghi ;
e scatenata quella da questi contro il nobile Conte ,
l'aere di quella Città più non poteva esser puro e
sereno ; e gl'intelletti di quelli ufficiali ( d'altronde
rispettabilissimi ) dovevano restar vittima di una
transitoria vertigine : e così fu .
Il Conte Giuseppe Vivarelli ha moglie . Questa mo
glie aveva tolta a sua fantesca Serafina Fazzini gio
vane popolana di Arezzo . Sembra che il Conte imme
more della inoltrata sua età si permettesse qualche
scherzo con la novella fantesca . Affrettiamoci però a
dire che lo strumento di tali scherzi fu il solo la

bro . Ciò lo affermiamo senza timore di mentita,


VOL. V. 15
226

poichè la stessa Serafina Fazzini , nel suo esame


giudiciale alla pubblica udienza, dietro interpellanze
del sig. Presidente , ne assicurò che tutte le inquie
tudini a lei recate dalle supposte voglie del Conte
si limitarono a sole parole. E fu buona fortuna per
lui che la Fazzini deponesse cosi , poichè se ella
avesse pur fatto cenno di un atto di mano o di un
toccamento non si sarebbe omesso per certo di tra
durre il povero Conte innanzi ai Tribunali come
colpevole di stupro violento mancato ! Fatto è però
ché quella giovine era così pudica, e così gelosa cu
stode della verginità degli orecchi suoi, da trovare
in quelle parole la ragione ( sempre che fosse ra
gione e non pretesto ) di abbandonare il servizio ;
e finqui noi rispettiamo le sue verginali suscetti
vità. Ma decisa la Serafina ad abbandonare il ser

vizio per questa lodevole causa , procedette però im


prudentemente quando la causa stessa apertamente
rivelò alla propria padrona . Finchè ella avesse me
nato vanto appo i congiunti , appo i conoscenti , ed
appo altre persone attenenti a lei , di quella sua pu
dica suscettività, ciò sarebbe stato esente da censura
presso chi calcola la vanità femminile e la giusta
elevazione di orgoglio alla quale salisce una fanciulla
quando può gloriarsi di un rifiuto opposto ad un ricco
sessagenario. Ma dirlo alla moglie del tentatore non
era effetto di semplice vanità : era malignità che
avrebbe potuto produrre gravi scandali nella fami
glia dove essa era stata accolta, se fra quei conjugi
fosse stato possibile dopo si lungo convitto una re
crudescenza di gelosia.
Ad ogni modo però sebbene quel fatto non pro
ducesse alcun disturbo nella famiglia Vivarelli sem
227 ――――――――

bra che il Conte ne rimanesse piccato : e quando


nel giorno del ventitrè luglio 1871 , egli vide la Se
rafina che reduce dalla Chiesa ed abbigliata di ve
stimenta festive passava sotto le finestre del suo
palazzo , invasato da una voglia puerile di farle di
spetto, prese un bicchiere di acido solforico, e da
quella finestra gettò quel liquido sul tergo di quella
ragazza, che ne ebbe tosto tutta macchiata e cor
rosa la veste.
Tolga Iddio che da noi si tenti scusare il Conte
per questo atto . Noi pei primi lo proclamiamo im
perdonabile, non tanto per la entità del delitto che
nel medesimo si estrinsecava, quanto perchè l'atto
stesso era disdicevole ed inconveniente alla dignità
del nobile signore . Egli operò male rispetto a sè
medesimo : operò male rispetto a quella povera fan
ciulla : operò male in faccia alla morale ed alle leggi
che non permettono si strazi per un moto di bizza
la roba altrui . Egli operò male , e doveva esser pu
nito : ma punire dovevasi dentro i limiti del reato
che aveva commesso e del reato che aveva voluto
commettere.

Egli non aveva commesso che un danno per in


giuria alle cose altrui, avvegnachè la persona della
Serafina non fosse vulnerata nè tocca per modo
alcuno dal liquido corrosivo, e non avesse patito
altro nocumento tranne quello delle vesti.
Egli non aveva voluto commettere altro delitto.
tranne un danneggiamento di quelle vesti ; poichè
liquido aveva gettato sulle vesti e sulla parte po
steriore di quelle vesti, e non sulla parte anteriore ,
e molto meno sul viso della fanciulla.
228 -

Dunque , così per lo affetto come per l'effetto , il


titolo di reato obiettabile al Conte Vivarelli era
soltanto quello di danno dato .
Ma questo titolo non era bastevole a saziare le
ire dei nemici del Conte. Gli Icilii Aretini vollero
fare della Serafina una novella Virginia e del Conte
un Appio novello. Quando un partito cerca di farsi
delle bandiere egli sa trovare una bandiera anche
in un cencio bucato dall' acido solforico . E Serafina
e la sua veste bucata divennero una bandiera in
Arezzo . Si levarono a cielo le virtù di quella fan
ciulla : si descrissero con i più abominevoli colori
le malvagità di Giuseppe : si andò per tutto attorno
bociando che il Conte aveva voluto nientemeno che
uccidere la infelice fanciulla per vendetta della sua
castità : s'intuonarono gli osanna alla provvidenza
perchè avesse quasi miracolosamente salvato la co
lomba innocente dalli artigli dello sparviere . E di
tal guisa la intenzione di ferire o di uccidere ,
straniera affatto all'animo del giudicabile , s' infiltrò
nella mente dei testimoni e dei periti ; da questa
passò nella opinione dell'istruttore, da questa nelle
credenze dell' accusa ; e da queste nella solenne
affermazione del Tribunale. Ed ecco la condanna di
Giuseppe Vivarelli a mesi sei di prigionia per ti
tolo di tentata lesione grave premeditata, che il
Tribunale di Arezzo proferiva nel giorno 21 no
vembre 1871 , e della quale aspettiamo la revoca
dal VOSTRO freddo ed imparziale giudizio .
Chiamati dall' ufficio nostro ad esporre nel pre
sente scritto le ragioni che assistono lo appellante
noi ci troveremmo innanzi uno esteso e svariato
- 229 ----

compito se pigliassimo a trattare la causa non solo


nella tesi, ma eziandio nella ipotesi.
E doppia ipotesi a noi si parerebbe davanti, poi
chè il Tribunale di Arezzo non limitossi a bevere
la fola popolare che il Conte avesse volato ferire
la Serafina : ma accolse inoltre la strana leggenda
in quanto la medesima narrava per di più che quel
disegno fosse premeditato nel Conte ; e che il di
segno mirasse proprio a ferire gravemente e non
soltanto leggermente .
Facile ci sarebbe combattere le appendici di que
sta leggenda col solo chiedere ai primi giudici ed
alla appellata sentenza il perchè di quelle appen
dici. E siccome lo asserto della premeditazione non
emerge da alcun dato di fatto ; e la determinazione
dell' animo a volere il ferimento piuttosto grave che
leggero non muove da alcun criterio solido e ra
zionale, ma è un puro volo di fantasia ; il silenzio.
della sentenza a quelle due nostre interpellazioni
basterebbe a ridurre il supposto tentativo alle sue
più minime e microscopiche proporzioni .
Ma la nostra coscienza non si permette di scen
dere in questa arena delle ipotesi . Per convinzione
nostra il vizio della denunciata sentenza è più ra
dicale ; e la tesi che noi dobbiamo discutere è più
recisa. Il Conte Vivarelli non tentò di ferire ; il Conte
Vivarelli non ebbe animo di ferire.
Dimostrerò partitamente queste due proposizioni
in due distinti articoli . Poscia in un terzo articolo
mi affaccierò alla sentenza condennatoria, e nella
parte confutativa del mio scritto ne metterò in luce
gl' imperdonabili errori.
230

ARTICOLO I.

Vivarelli non tentò di ferire

Supposto ancora che si volessero calpestare a dan


no del Conte Vivarelli i più santi principii di di
ritto penale ; quei principii che possono dirsi anche
legislativamente sanzionati dall' art. 44 del codice
penale Toscano : supposto cioè che si potesse me
diante mera divinazione , e senza alcuno speciale
criterio determinante , attribuire ad un giudicabile
la intenzione più truce a preferenza della intenzione
meno malvagia, e così supposto che si potesse ri
tenere in Giuseppe la intenzione di ferire, io nono
stante ritengo ed affermo che mancherebbero a
carico suo gli elementi del tentativo punibile di
ferimento .

In questa ipotesi , da me virilmente impugnata, mi


sarebbe facile di fare appello alla nota teorica degli
atti inidonei.
Non basta che un uomo sedotto da scellerata
libidine siasi determinato a ferire un nemico. Per

dirlo colpevole di tentativo punibile e responsabile


per siffatto titolo alla giustizia, è di più necessario
che egli abbia dato principio agli atti esecutivi di
quella prava intenzione, ed è necessario di più che
gli atti esecutivi posti in essere dal giudicabile aves
sero l'attitudine e la potenza di produrre lo evento
desiderato dal malfattore.
Questa verità non si dimenticò dalla istruzione
di Arezzo . Anzi essa medesima la riconobbe come
principio inconcusso, e senti il debito di farle omag
- 231 -

gio, dandosi in obbedienza a quella verità alla ricerca


della idoneità dei mezzi . Essa scelse l' opera dei
periti medici signori Fabbroni Dott. Sebastiano e
Del Vito Dott. Antonio, i quali emisero il loro giu
dizio a carte 25 del Processo .
Ma quando poscia si volle raccogliere il frutto di
quella verificazione , si sbagliò in genere, numero , e
caso, credendo che i signori Periti avessero affer
mato la desiderata idoneità dei mezzi, mentre in
vece essi avevano a chiare lettere affermato la ini
doneità assoluta dei mezzi adoperati dal Vivarelli.
Infatti interrogati quei periti se un bicchiere di
acido solforico gettato addosso a persona viva po
tesse cagionare lesione corporale, essi risposero ciò
che in sostanza tutti sappiamo : vale a dire che
l'acido solforico può recare lesioni alle carni se è
gettato sopra carni nude ; ma che esso non può ca
gionare lesioni alle carni se esso è gettato sopra
i panni i quali rendono impossibile all' acido di
giungere a contatto delle carni medesime.
In questa parte la opinione di quei Periti era in
criticabile e bene i giudicanti dovevano accettarla.
Ma nel fare applicazione di quel giudizio non
dovevano i giudici dimenticare lo stato dei fatti ;
non dovevano cioè dimenticare ciò che aveva fatto
il Vivarelli .
Il Vivarelli aveva gettato quell' acido sulla Fazzini
non dirigendolo verso le carni scoperte, che erano
soltanto nella parte anteriore del volto ; ma lo aveva
gettato sulle vesti ; sulle vesti posteriori ; ed anzi
sulla parte inferiore di quelle vesti .
Se dunque i periti avevano detto ai giudici di
Arezzo che l'acido solforico gettato sopra le vesti
232 ---

non ha la potenza di trapassarle come farebbe un


projettile di piombo , e giungere a ferire la sottopo
sta persona, è chiaro come la luce del giorno che
in quanto aveva materialmente fatto il Vivarelli non
trovandosi altro se non un getto d'acido sopra le
vesti, la perizia giudiciale mostrava ad evidenza la
inidoneità dei mezzi adoperati dal giudicabile.
Suppongasi un delinquente così ignaro di chimica
da credere che l'arsenico rechi morte col solo por
lo a contatto della pelle altrui. Costui si è procurato
qualche grano di arsenico e me lo ha gettato entro
uno stivale , che io poscia ho calzato al mio piede .
Scoperto il fatto viene ad obiettarsi il veneficio ten
tato, e poniamo che del tentativo di veneficio si
abbia limpidissimo lo elemento intenzionale, perchè
sia fuori di dubbio che colui mi voleva uccidere
mediante veleno . Ma il dubbio nasce sullo elemento
materiale, cioè sull' attitudine del veleno ad uccidere :
e qui s'interpellano i periti . E i periti rispondono
che quel veleno sarebbe stato certamente mortifero
se il nemico me lo avesse cacciato in bocca, ma
che quello stesso veleno è innocuo finchè si caccia
negli stivali. Potrà ella l'accusa all'appoggio di si
mili risultati venir gridando di aver in pugno la
prova del materiale di un ferimento tentato con
mezzi idonei ? Sarebbe vanità neppure il discuterlo .
Gli accusatori affermano che il Conte voleva fe
rire Serafina : fra poco metterò in chiaro tutta la
falsità di questo concetto, ma intanto io rispondo
loro che anche in tale ipotesi riuscirebbero impo
tenti i tentativi loro a nostro danno, come riuscì
impotente il supposto tentativo di Vivarelli per la
inettitudine dei mezzi. Sia per un istante che Vi
1

――― 233

varelli volesse ferire Serafina col mezzo di quel


l'acido solforico . Egli voleva ferirla nel tergo e nel
deretano, poichè contro il deretano ed il tergo di
resse il suo getto . Egli immaginava che l'acido
solforico avesse la potenza fulminea di traforare
come una palla le vesti e giungere a cauterizzare
le sottoposte carni . Ciò egli necessariamente doveva
credere, se è vero che volesse ferire , poichè l'acido
gettò sovra i panni e nel tergo della Fazzini. Dun
que, se è vero che egli volesse ferire, è necessità
logica ritenere che egli volle ferire traforando le
gonnelle con l'acido. Ma il traforamento delle gon
nelle con l'acido con effetto di lesione alle sottoposte
carni è impossibile ; tutti lo sanno e lo hanno de
posto i periti fiscali . Dunque Vivarelli avrebbe ten
tato una forma di delitto impossibile, e non si avrebbe
nel suo fatto un tentativo politicamente imputabile .
Per eliminare questo primo obietto l'accusa do
vrebbe impugnare il substrato di fatto del mede
simo : dovrebbe cioè confutare il nostro asserto che
Vivarelli colpi Serafina nel tergo e nella gonna ; per
chè contro il tergo e contro la gonna egli scagliò il
liquido che aveva in propria balia : dovrebbe dimo
strare all' opposto che Vivarelli aveva scagliato il
liquido contro le parti scoperte della persona di
Serafina ( che era soltanto il volto, mentre anche
il suo capo dalla parte posteriore riparavasi dal mo
derno celebre e voluminoso Chignon ) e che fu sol
tanto un fortuito quello che fuorviò il liquido dalla
sua direzione, e produsse l' aberrazione del getto .
Allora si che potrebbe l'accusa affermare che gli
atti di esecuzione avevano la potenza di ferire , e
la disputa si stringerebbe tutta intorno allo elemento
234

intenzionale del tentativo . Altrimenti è un assurdo ;


è un vero sofisma cercare la idoneità nel mezzo
guardato in sè stesso, e non guardarlo nel modo
con cui fu adoperato. Un archibugio carico a piom
bo ha l'attitudine di ferire in sè stesso ; ma se il
mio nemico ha esploso l' archibugio contro le mu
raglie esteriori della mia casa, falsamente credendo
che il piombo traforasse quelle muraglie , invano si
mostrerà chiarissima la micidiale intenzione, invano
si ripeterà che quello archibugio era in sè stesso
idoneo a ferire : ciò che deve giudicarsi è il fatto
nel modo con cui venne eseguito, ed il fatto era
perpetuamente in quella sua forma impotente .
Ma questo fortuito di sviamento del getto ( non
si dimentichi ) deve apoditticamente dimostrarsi dal
l'accusa per via di segni materiali, e quì i segni
materiali di siffatto disvio mancano assolutamente
all' accusa .

Non vi fu una mano straniera che a Giuseppe af


ferrasse il braccio e lo stornasse dalla sua direzione.

Nessuno dice che Giuseppe urtasse col braccio


nello stipite della finestra, e che ciò ritardasse lo
slancio del braccio medesimo.
Nessuno dice che Serafina vedendo quell' atto , o
scorgendo il liquido in aria, facesse un moto di pa
rata, o volgesse le spalle , o in altra guisa si scher
misse. Miglior testimone a provare che il liquido
colpi propriamente là dove la mano del Vivarelli
l'aveva diretto , non può davvero desiderarsi di
quello che ci offrono le parole della stessa Serafi
na nel suo esame al pubblico dibattimento : ad essa
nel ritornare dalla benedizione sembrò da lontano
vedere qualcuno alla finestra di casa Vivarelli ; ma
235 ―

non vide nè il Vivarelli , nè il bicchiere , nè il getto :


essa non vide nè il recipiente con cui il liquido le
fu gettato nè la persona che lo gettò dalle finestre
Vivarelli, ove per quanto le venne detto trovavasi
il medesimo affacciato alla terza delle cinque fine
stre del primo piano. Vennele gettata addosso certa
quantità di liquido che di subito suppose essere fon
daccio di Caffè, ma che poi dovè convincersi essere
invece un liquido corrosivo, in quanto nello inter
vallo di circa tre minuti le parti del vestito nelle
quali il liquido stesso cadde rimasero come abbru
ciate. Tale fu il deposto di Serafina.
È dunque evidente che nessuna eventualità fra
stornò il getto dalla direzione che aveva dato la
mano, e se questo getto sulle vesti posteriori di
una donna ripetuto anche diecimila volte non sa
rebbe mai capace a produrre la più piccola lesione
personale, il raggiungimento del fine diviene im
possibile per le scelte materialità, e non può senza
errore parlarsi di tentativo punibile dove la forma del
principio di esecuzione è assolutamente inidonea
Nè dicasi che il moto impeditivo della efficacia
dei mezzi, la Serafina lo fece scostandosi dal muro
della casa Vivarelli che essa rasentava coll' omero
destro appena ebbe sentito cadere sopra quell'ome
ro qualche goccia di liquido . Sarebbe un equivoco
argomentare in siffatta guisa intorno a questa cir
costanza. Noi non abbiamo che il solo detto della
nostra accusatrice, e potremmo ancora con buona
ragione eccezionarla, e mantenere uno stato di dub
bio sulla circostanza medesima, non veduta nè at
testata da alcun altro fidefaciente . Ma noi non vo
gliamo farlo .
236

Noi non vogliamo farlo , perchè in questo scritto


ci siamo prefissi di discutere la questione giuridica
accettando il fatto con tutte le sue circostanze ma
teriali come lo narrò la dolente , e come lo ritenne
costante la stessa denunciata sentenza. Possiamo
noi essere più generosi ?
La Corte nella sua diligenza e nella sua rettitu
dine ( nella quale abbiamo altissima fede ) saprà
bene discernere le esagerazioni dal vero . Ma noi
per parte nostra (lo protestiamo una volta per sem
pre ) non facciamo discussione del fatto nella sua
materialità. Discutiamo il fatto nelle sue condizioni
giuridiche: discutiamo il fatto nel suo rapporto con
la intenzione dello agente : discutiamo il fatto nel
rapporto delle deduzioni logiche e giuridiche che ne
trasse a torto ed a traverso la sentenza appellata.
Ecco i tre soli temi delle nostre investigazioni .
Anche qui dunque in ordine alla circostanza che
mi sono obiettato accetterò come buona moneta il
testo della denunciata sentenza, che riproduco let
teralmente nel suo 13.° ritenuto di fatto ―――――― ivi ―
nel ritornarsene a casa per la via dell' Anfiteatro
giunta solto la sopraindicata finestra dell' abita
zione dell' imputato senti cadere sull' abito e sopra
la spalla destra con la quale rasentava la casa del
Vivarelli ed ancora verso il petto alcune goccie di
liquido, per cui di subito si scostò ; ed allora imme
diatamente una quantità del liquido medesimo le
INVESTI L'ABITO stesso dal lato destro e più spe
cialmente in basso e si distese in discreta dose sul
terreno. E sia pure così : ma si avverta però che le
perizie diligentissime fatte e ripetute sulle vesti della
Fazzini hanno irrecusabilmente mostrato che anche
--- 237 ――――――

di quel primo spruzzo non cadde sul petto della


femmina che UNA SOLA MESCHINISSIMA GOCCIA tras

portata probabilmente dal vento : e me ne appello


al testo delle Perizie.
Sia dunque così . Ma chi volesse in quello allon
tanarsi della Fazzini trovare la causa impeditiva
dello evento, ragionerebbe malissimo , ed errerebbe
a partito.
Infatti se la Fazzini mentre rasentava il muro
della casa Vivarelli senti alcune goccie di liquido
sopra l'omero destro ; e questa fu la cagione per la
quale senza volgersi addietro , e seguitando sempre
la direzione del suo cammino, fece un passo tra
verso per discostarsi dal muro, egli è manifesto che
anche a quel primo momento il Vivarelli stava con
la mano fuori della finestra e col bicchiere colmo
di quell' acido in mano. E se il getto del liquido
avvenne solo posteriormente, e fa diretto all' abilo,
e specialmente nel BASSO DELL' ABITO, ciò mostra ad
evidenza che il cadere di quelle prime goccie fu
una accidentalità non attribuibile alla volontà ed

all'opera diretta del Vivarelli . Ragioniamo pacata


mente e senza preoccupazione di spirito . Se il Vi
varelli avesse voluto gettare il liquido sulla testa o
sul volto della Fazzini, non sarebbero cadute quelle
poche goccie. La mano era fuori : la mano era ar
mata di quel bicchiere : bastava rovesciarlo, e tutta
la spalla, e forse anche la parte posteriore del capo
della Fazzini ne sarebbero state investite . Niente
impediva al Vivarelli quell'atto rapido ed imme
diato. Ma invece il Vivarelli non rovesciò ( come
poteva ) il liquido sull' omero della Fazzini . No. La
Fazzini era in via di allontanarsi da quel bicchiere ;
238

il suo viaggio, la sua direzione comandavano ciò ,


ed ugualmente si allontanava tanto se proseguiva
nella primitiva linea quanto se di un passo si dis
taccava lateralmente dal muro. E il Vivarelli che
di questo allontanamento doveva esser certo, per
chè era una necessità logica di quella direzione che
ad ogni passo ulteriore della ragazza sempre più
lo assicurava della impossibilità di colpirla dalla
parte anteriore ; il Vivarelli che avrebbe potuto ese
guire il getto quando la Fazzini era con tutto il
corpo a lui sottoposta, ASPETTA INVECE che sia
allontanata, ed allora ( allora soltanto ) eseguisce il
suo divisamento ; allora soltanto compie il getto da
lui preparato, e questo getto egli fa verso l'abito,
e precisamente verso il basso dell'abito . Lascio per
ora gli argomenti che da queste circostanze possono
sorgere sotto il rapporto della intenzione. Di que
ste dirò nel seguente articolo. Per ora non guardo
che il fatto nelle sue condizioni ontologiche ; e dico
e sostengo che in quel fatto la lesione personale era
impossibile. E mantenuta la disputa su questo ter
reno io respingo l'obietto che trarre si volesse dalle
prime goccie involontariamente cadute per il tre
molar della mano , per la semplicissima osservazio
ne, che il fatto da giudicarsi si costituisce dal getto
e non dalle goccie involontariamente cadute nella
preparazione del getto ; perchè sarebbe assurdo co
struire lo elemento di un tentativo in ciò che av
venne oltre la volontà dello agente nella prepara
zione del supposto tentativo . La questione non può
porsi in diversi termini : non possono supplirsi le
condizioni ontologiche, che mancano al fatto, con ri
correre a ciò che non si è fatto. La caduta di quelle
239

prime goccie è un evento che sfugge alla nozione


del tentativo per la involontarietà : il getto, che co
stituirebbe l'atto consumativo del malefizio , sfugge
alla nozione del tentativo di ferimento, per la im
possibilità materiale : perchè ( lo ripeto ) è impos
sibile che l'acido solforico gettato sopra le gonnelle
di una donna le cagioni lesione personale : e lo con
cordano li stessi periti fiscali.
Ragionando diversamente, e supponendo che di
versamente ragionassero i primi giudici , si verrebbe
a porre la sentenza appellata in contradizione con
la stessa sentenza appellata : ciò è intuitivo . Se por
tiamo lo sguardo sul secondo attesochè dell' appel
lata sentenza, noi leggiamo che fra le circostanze
che apparvero più culminanti ai primi giudici per
ruinare nella convinzione del disegno di offendere
la persona, si pone in rilievo la vistosa QUANTITÀ
del liquido gettato. Questo fu il cavallo di battaglia
dell' accusa nella discussione Aretina, e a rendere
costante simile quantità si esaurirono gli erculei
sforzi della diligente istruzione : e la quantità del
liquido fu la ragione che determinò i primi giudici
al più severo convincimento . Ma poichè è incontra
stabile che la circostanza della vistosa quantità non
ricorreva in quelle prime goccie cadute, così è del
pari incontrastabile che il fatto materiale giudicato
in Arezzo come costituente lo elemento fisico del
conato ( lasciamo per ora da parte la indagine della
intenzione ) non fu la caduta di quelle goccie ; ma
il getto di quella vistosa quantità di liquido. Ma se
il getto per tal guisa costituente il materiale del
supposto tentativo fu diretto alla gonna, ed alla
parte posteriore della gonna, ed alla parte inferiore
―― 240

della gonna : e se il getto sulla gonna nella parte


posteriore e inferiore è l'unico fatto nel quale de
vono cercarsi gli elementi materiali del preteso
tentativo, bisogna concludere che il fatto giudicato
tale quale esso nacque per natura sua e non per
interposte casualità, nacque impotente a ferire . Lo
che per i più certi canoni di diritto conduce ad
escludere il conato punibile per la completa defi
cienza della sua forza fisica soggettiva.
E qui fa d' uopo ricordare che alla udienza del
dì 15 novembre 1871 fu fatto indossare alla Faz
zini l'abito sventurato, ed ecco cosa fu renduto
costante al cospetto del pubblico mediante i sensi
dei giudici e di tutti gli astanti . Così precisamente
si legge nel processo verbale - ivi - resulta che
il grosso delle lacerazioni è situato nel DI DIETRO
del lato destro ; e soltanto una PICCOLA lacerazione
si riscontra nel petto dal lato stesso.
Ed è parimente da ricordare che i periti medici
fiscali Fabbroni e Del Vita deposero a quella udien
-
za nei seguenti precisi termini ―――― ivi concor
demente soggiungono che se l'acido nella quantità
che si è detto venisse gettato sulle vesti della Faz
zini avesse colpito i capelli, certamente avrebbe
prodotto dei gravi danni, ma quando avesse colpito
la testa, questa per essere difesa tre quarti dal
Chignon, probabilmente la Fazzini sarebbe rimasta
illesa . Che se l'acido gettato fosse stato sui ses
santacinque gradi, e avesse colpito in qualche parte
scoperta del corpo, non avrebbe prodotto che LE
SIONI LEGGIERE ANCO SENZA TRACCIA, purchè si
fosse avuto l'avvertenza di subito asciugare e ba
gnare la parte colpita con acqua.
- 241 -

Se per avventura poi anche in minima porzione


l'acido avesse colpito gli occhi, la cecità totale o
parziale sarebbe stata la conseguenza necessaria.
Nè omettasi che i periti medici della difesa, si
gnori Dott. Francesco Sforzi , e Dott. Augusto Bo
nagurelli, deposero come segue - ivi - concor
rere nel parere emesso da quelli dell' accusa, dis
sentendo però nello ammettere probabile la cecità,
osservando che quando una persona si sente da
qualunque materia od oggetto colpire gli occhi, per
istinto naturale suol chiudere le palpebre, e por
tandovisi la mano cercare di allontanare e non
fare internare quella materia o quell'oggetto, men
tre poi d'altronde le palpebre sono la sentinella
avanzata dagli occhi, e l'acido colpendole NON po
TEVA PRODURRE CHE LESIONI LEGGIERE . Sicchè , ri
dotto al loro genuino valore il pensiero dei quattro
medici, si scorge che in fin dei conti la gravità del
la lesione dipendeva da UNA AVVENTURA ( parola dei
periti fiscali ) ossia da una sventurata ACCIDENTALITÀ .
Nè qui posso omettere di ricordare alla R. Corte
due circostanze rilevantissime.
1. Che non solo un capello , ma neppure un filo
del Chignon che copriva tutta la parte posteriore
del capo di Serafina, furono menomamente tocchi
da quel liquido che pur si pretenderebbe a lei get
tato sul capo .
2.º Che anche le piccole lacerazioni che in quel
l'abito si trovano un poco più in alto, non è poi
certo che fossero operate direttamente dal getto del
liquido . È indubitato infatti che appena giunta a casa
la Fazzini si tolse di dosso quella gonnella. Nel to
gliersela di dosso era impossibile che non se ne
VOL. V. 16
- 242 ――――

ripiegasse qualche lembo ; impossibile che qualche


particella di quell' acido, del quale tutta era inzup
pata la estremità della gonna, non venisse a con
tatto, o qualche goccia non se ne spremesse in al
tre parti dell' abito . Se la donna nello spogliarsi
usa il metodo di lasciar cadere l'abito in terra,
necessariamente la vita dell' abito viene a contatto
con la gonnella. Se la donna per dispogliarsi si to
glie l'abito di sopra la testa, necessariamente il
lembo bagnato viene a strisciare sopra la vita. Vi
voleva dunque un' apposita specialissima diligenza
per impedire che in quell' operazione dello spogliarsi
dell' abito avvenisse un qualche piccolo contatto delle
parti fracide del medesimo con le parti che niente
erano state colpite dal getto del Vivarelli .
Queste diligenze non furono in alcun modo ado
perate, perchè nessuno ne attesta : e non è presu
mibile che si adoperassero , perchè naturalmente la
ragazza dovette appena giunta alla non distante ca
sa, torsi via con tutta furia quell' abito di dosso per
meglio esaminarne i guasti e tentarne il riparo .
Riassumendo il concetto di questa mia prima
tesi, io dico :
1.º In punto di fatto non può dubitarsi che il Vi
varelli, avrebbe potuto gettare il liquido sulla per
sona di Serafina, quando essa veniva verso la fine
stra dove egli stava o mentre ella trovavasi sotto
quella finestra : e che ASPETTò invece che ella AVES
SE OLTREPASSATO lo stipite laterale di quella fine
stra. Questo punto di fatto emerge limpido da tutte
le pagine del processo : e noi ne abbiamo posto sotto
gli occhi dei giudici la dimostrazione matematica
mediante la relazione peritica del sig. Ingegnere
----- 243 ―――――

Giuseppe Grilli e la annessa pianta geometrica, che


abbiamo regolarmente prodotta avanti la Corte , e
ché pubblichiamo in calce del presente scritto.
2.º In punto di fatto è dunque indubitato che il get
to fu eseguito sopra le vesti posteriori della Fazzini .
3. In punto di fatto è indubitato che quel liquido
gettato sopra le vesti NON POTEVA GIAMMAI produrre
lesione personale .

Dunque il fatto che deve giudicarsi non aveva


nella natura sua la possibilità di produrre lesione.
Dunque ( sia che vuolsi della intenzione ) è posi
tivo per i più certi principii di diritto che l'obiettato
tentativo di ferimento manca del suo elemento ma
teriale. E questo è ciò che ci siamo proposti di di
mostrare nel primo articolo del nostro discorso.

ARTICOLO II.

Vivarelli non volle ferire

Ma posto ancora che nel fatto da giudicarsi ri


corresse ( a dispetto delle condizioni d'impossibilità
che lo accompagnano ) la potenzialità di ferire , ciò
basterebbe a dar licenza di affermare lo elemento

fisico del tentativo ; non basterebbe però a comple


tare la nozione del tentativo di lesione grave pre
meditata, se da lato allo elemento fisico non mo
strasse contemporaneamente l'accusa il concorso
dello elemento morale ; vale a dire la intenzione
precisamente diretta a ferire, e non soltanto a sciu
pare le vesti. È questo il punto sul quale special
mente si affanna il povero Vivarelli . Egli è conscio
- 244-

a sè medesimo di non aver mai avuto il menomo


pensiero di offendere la Fazzini nel volto , o di le
dere ( con quell' acido ) in alcuna delle sue parti il
corpo di lei ; egli non tollera che gli s'impresti un
così barbaro intendimento . Se il suo fatto materiale.
per disposizione di legge vegliante lo sottoponesse
anche a due anni di prigionia, egli si rassegnerebbe
ai due anni di prigionia, poichè troverebbe giusto
che al male da lui fatto s' irrogasse la punizione
destinata dalla legge a quel fatto . Ma quando invece
egli trova che il suo fatto incontrerebbe un lievis
simo castigo ; e ode dirsi che i sei mesi di carcere
a lui s ' infliggono non come pena del fatto ma co
me pena di una intenzione feroce che i primi giu
dici gli attribuirono, la sua coscienza si ribella alle
divinazioni dei giudici , ed altamente grida alla in
giustizia ; ed alla ingiustizia continuerà pertinace
mente a gridare finchè quella arrisicata divinazione
non sia cancellata. E viva Dio, se vi sono casi nei
quali un condannato abbia il privilegio di lamen
tare di esser vittima di enorme ingiustizia, tale è
appunto quello nel quale a lui vuole imprestarsi uno
intendimento che egli è certo di non avere avuto
giammai. Qui bisogna riconoscere che il giudicabile
ne sa sempre assai più di tutti gli Avvocati , di tutti
i Professori, e di tutti i Giudici . Nessuno al mondo
può sapere meglio di lui ciò che da lui si covava
nell' animo, ciò che da lui si voleva ottenere .
Non basta però che il Vivarelli sia certo nella
coscienza sua di non aver mai agognato di ferire
la Serafina, di non avere mai neppur preveduto
che dalla sua azione potesse derivarne nocumento
alla persona di lei ; e di avere anzi disposto la opera
--- 245 ―――――

sua in modo da evitare ogni possibile danno nella


persona. Tutto questo non basta : perchè le inten
zioni dell' uomo essendo un arcano all' occhio del
l'uomo, forza è che i giudici congetturino dalle
apparenze esteriori la più probabile intenzione dello
accusato, e lo giudichino secondo le apparenze spesso
fatali e fallaci. Laonde se vi è probabilità di errori
giudiciarii, questa probabilità è massima in tutti i
giudizii di tentativo ; e la probabilità diviene spesso
realtà quando i giudicanti troppo precipitosamente
si appaghino di prestigiose apparenze . Abbiasi dun
que in pace il Vivarelli questa seconda parte della
mia discussione ; e capisca una volta che se da lui
male si tollera si discuta sul serio una intenzione
che egli sa benissimo di non avere mai avuto , il
dovere dei suoi Avvocati è quello di pigliare sul
serio quelle apparenze, e combattere gli argomenti
che infelicemente condussero i primi giudici ad
imprestargli la più nefasta intenzione.
Ma prima di scendere alla critica analisi di que
sti argomenti, io voglio premettere una osservazione ,
la quale porta ( per opinione mia ) alla più palpa
bile nullità della sentenza Aretina : nullità che se
fosse denunciata alla Cassazione farebbe cassare
quella sentenza ( volendo dirlo con un vecchio pro
verbio ) prima che fosse giunta a Peretola. La sen
tenza ha il vizio della incertezza e della perples
sità in quanto riguarda le intenzioni del Vivarelli.
I primi giudici per una stranissima allucinazione
si dichiararono certi di cosa incerta, e dichiararono
certa nel Vivarelli una intenzione incerta.
Questa mia censura apparirà a prima vista pa
radossale : ma quando avrò esposto il mio concetto,
-- 246

oso dirmi sicuro che l' acuto Vostro intelletto vi


persuaderà che ho pienamente ragione.
Premetto una ricerca generale.
La lesione grave è dessa un ente di fatto, oppure
un ente giuridico ?
Io non esito a rispondere che la gravità della
lesione è un quid giuridico. Essa emerge da certi
momenti di fatto, ma nel suo essere è propriamente
un quil giuridico , come il furto qualificato ed altre
consimili creazioni della legge, che non esistono in
tali loro condizioni in rerum natura, ma si forma
no come idealità dedotte da un rapporto interce
dente fra certi stati di fatto e certe obiettività.

Tanto è ciò vero che la gravità della lesione è


sempre relativa . Altra è dessa nella intelligenza vol
gare, che dirà grave una lesione che cagionò atroci
dolori quantunque rapidamente vinta dall' arte e
rimasta senza conseguenze dannose, mentre invece
dirà leggiera una scalfittura in un dito quantunque
per la ostinata suppurazione abbia tardato più di
quaranta giorni a sanarsi completamente . Altra è
dessa nel concetto di un codice che la desume da

una malattia di venti giorni : altra per altro codice


che vuole una malattia di trenta giorni : altra per
altro codice che la trova nel pericolo transitorio di
vita : altra per altro codice che la trova in un mo
mentaneo delirio.
Se la lesione grave fosse un quid esistente nella
natura delle cose reali, essa sarebbe uguale dovun
que e sempre ; e sarebbe uguale nel pensiero di
tutti . Ma tale certo non è. Dunque essa non è che
un concetto ideale .
- 247 -

Ora tali essendo i caratteri della gravità della


lesione ne discende per conseguenza logico - giuridica
che una sentenza la quale voglia condannarmi come
colpevole di lesione grave per applicarmi la relativa
penalità, non basta davvero che dichiari in fatto esi
stere lesione grave, se non dichiara eziandio la causa
speciale di quella gravità ; ossia il quid facti dal
quale essa vuole desumerla. Cosa direste di una
sentenza la quale vi dichiarasse colpevole di furto
qualificato, e come tale vi punisse, senza specificare
se quel furto qualificossi dallo scasso, o dalla vio
lenza, o dallo scalamento , o da altro !
Lo equipollente della indicazione in sentenza del
solo concetto giuridico potrà tutto al più ammettersi
quando nella vegliante legge il concetto giuridico
si trovi in una sola condizione di fatto : per escm
pio, si ha una legge che dichiara grave la lesione
quando la malattia oltrepassò i venti giorni, ed al
tre cause di gravità non conosce. In faccia a simile
legge si potrà dire che nella dichiarazione del con
cetto giuridico (gravità) vi è per necessario impli
cito contenuto il quid facti della durata della ma
lattia, perchè in faccia a quella legge tanto vale il
dire lesione grave, e tanto vale il dire lesione oltre
i venti giorni . Ma quando sono molti e diversi gli
stati di fatto ai quali corrisponde per la vegliante
legge il concetto giuridico dichiarato in sentenza,
la sentenza che si limita a dichiarare questo senza
dichiarare quello, è radicalmente viziosa del vizio
di perplessità ed incompleta dichiarazione del fatto ,
perchè ne lascia incerti qual sia lo stato di fatto
che conduce il giudicabile a quella pena.
248

L'art. 326 §. 2 del codice Toscano non coarta la


gravità ad una sola forma di nocumento . Ma ne
riconosce nientemeno che quattro - 1.º La pertur
bazione mentale -2.º La debilitazione permanente
o di un senso o di un organo - 3.º La deturpazione
della faccia - 4.° Lo impedimento per trenta o più
giorni . Dunque nella sentenza si deve trovare espres
so uno di questi speciali risultamenti dannosi in ter
mini di fatto ; e la gravità ( concetto giuridico ) deve
esservi enunciata come conseguenza del fatto pre
stabilito senza ciò la sentenza è perplessa ed in
completa.
Nè io sarò schifiltoso in quanto al luogo dove ciò
debba trovarsi nella sentenza . Non richiederò nelle
sentenze correzionali che sacramentalmente si trovi
lo enunciato di fatto nella parte dispositiva, e che
debba tassativamente dirsi, ti condanno come reo
di lesione grave per avere cagionato perturbazione
mentale. No : quantunque ciò potesse esser buono ,
io non pretendo tanta esattezza, e mi appago che
quel perchè si legga nei ritenuti di fatto della sen
tenza, cosicchè congiungendo la parte espositiva
con la conclusiva possa trovarsi in quella la defini
zione del fatto , ed in questa la deduzione giuridica
conseguente al fatto medesimo. Ma almeno nel ri
tenuto di fatto sarà indispensabile che la sentenza
mi dica in un modo certo e positivo se la lesione
fu dichiarata grave per il turbamento mentale, op
pure per la debilitazione di un organo, oppure per
la deturpazione, oppure per la prolungata malattia.
Or bene questa indispensabile certificazione dello
stato di fatto costituente la gravità della lesione , i
249

giudici Aretini credettero di averla fatta : ma equi


vocarono, ed in realtà non la fecero per niente.
E lo equivoco loro derivò dal sostituire nei loro
ritenuti la potenzialità di fatto alla intenzionalità
del fine ; mentre essi chiamati a vergare un giu
dicato, non in materia di evento reale esistito, ma
in materia di un evento semplicemente voluto dallo
agente e non ottenuto, avevano il debito di fare una
duplice dichiarazione di fatto. Dovevano - 1.° Di
chiarare in fatto che quell' azione aveva potenza
di cagionare tale o tal' altro effetto causativo della
gravità giuridica , ponendo in sodo così la forza fisica
soggettiva dello asserto conato : e questo essi lo fe
cero in un modo alternativo come di un mero pos
sibile. Dovevano inoltre ― 2.º Dichiarare in fatto

che lo agente ebbe la precisa intenzione di produrre


quello effetto potenzialmente contenuto nell' opera
sua ; ponendo in sodo così la forza morale soggettiva
del preteso conato : e questa seconda dichiarazione
i giudici Aretini se la scordarono interamente, o se
pure credettero di averla fatta non si accorsero che
se l' alternativa era sufficiente nella questione di
potenza materiale, l' alternativo era insufficiente ed
anche ( bisogna dirlo ) ridicolo e poetico nella que
stione intenzionale.
Per meglio chiarire il mio pensiero riproduco
letteralmente il testo del controverso ventesimo ri
tenuto di fatto ―――――― ivi - Che dalle stesse perizie è
pure emerso che se tale acido avesse investito an
zichè l'abito, la faccia , il collo, l'occhio, e lo interno
dell' orecchio della Fazzini, o quella parte capelluta
della testa non coperta dall' apparecchio della pet
tinatura, avrebbe potuto produrre lesioni gravi, e
- 250

·
per la durata della malattia consecutiva , superiore
a giorni trenta, o per deturpamento della faccia o
per grave offesa dell' organo della vista e dell' udito.
E qui finiscono le dichiarazioni di fatto relative al
punto che si discute .
Ma basta leggere quel ventesimo ritenuto dell' ap
pellata sentenza per capire che qui i meritissimi
Giudici niente portarono la mente loro sulla ricerca
della intenzione. Essi qui mirarono a render co
stante lo elemento materiale del tentativo punibile ;
cioè la potenza dell' atto a ledere gravemente, per
l'alternativa di tre distinti possibili ; cioè la durata,
la offesa di un organo, e la deturpazione. Malamen
te ( come ho già notato di sopra ) ed anzi pessima
mente ed a ritroso della logica , costituirono anche
questo elemento materiale ; perchè è illogico dedur
re il certo dal condizionale ; è illogico il dire se
Tizio avesse fatto diversamente da quello che fece
poteva uccidere ; dunque il fatto diverso che non
aveva potenza di uccidere ebbe potenza di uccide
re perchè poteva esser fatto diversamente. E que
sto fu il ragionamento dei primi giudici, ma su ciò
non voglio adesso tornare.
Ma quello che è certo si è che in quel ritenuto
non si fa parola d'intenzione diretta ad usufruire
piuttosto l' una che l'altra di quelle potenze di gra
vità od alcuna di tutte le tre.
Ed io sono in diritto di domandare :
Dove è che la sentenza dichiari che il Vivarelli
PREVEDESSE Come conseguenza del suo fatto la de
bilitazione di un organo della Fazzini ; e che vo
LESSE precisamente ottenere questo effetto ?
La sentenza è muta, e non mi risponde .
- 251 ―――

Dove è che la sentenza dichiari come fermato

nel pensiero del Vivarelli questo ridicolo preordina


mento a VOLERE che Serafina restasse inferma pre
cisamente trenta o più giorni, e non soltanto ven
tinove o ventotto ?
La sentenza tace anche su questo iperbolico cal
colo del giudicabile .
Dove è che la sentenza dichiari accertato che il
giudicabile PREVIDE il deturpamento del volto e che
VOLLE precisamente raggiungere cotesto effetto ?
La sentenza non mi risponde .
Ma che forse i giudici Aretini credettero che ad
avere un tentativo di omicidio basti che l'atto ese
guito avesse potenza di uccidere, ancorchè quella
potenza non si conoscesse e non si calcolasse dallo
agente ed ancorchè egli niente pensasse ad ucci
dere ? Questo errore è così grave che noi non osia
mo attribuirlo a quei meritissimi Giudici come abi
tudine dello intelletto loro. Ma certo è che per una
fatale dimenticanza essi in quel giorno caddero in
siffatto errore. In quanto alla potenza materiale del
l'atto essi dichiararono tre possibili di gravità; in
quanto alle intenzioni dello agente essi dichiararono
nella dispositiva che il Vivarelli aveva tentato una
lesione grave : ma quale fosse il criterio di fatto,
precisamente PREVISTO e VOLUTO dal giudicabile,
come elemento di gravità, essi dimenticarono di
dichiararlo.

Nè dicasi che a questo difetto supplisce il secondo


attesochè della sentenza Aretina . Anche qui non
sarò schifiltoso , e mi adatterò a cercare le dichia
razioni di fatto pigliandone un pezzo dal disposi
tivo, un pezzo dai ritenuti, ed un altro pezzo dalla
252 -

moticazione di diritto. Siamo pur larghi, e concedasi


che in faccia alla effervescenza popolare suscitata
in Arezzo contro il disgraziato Vivarelli, mancasse
anche a quei giudici la presenza di spirito neces
saria per dettare una sentenza regolarmente com
posta. Ma in qualche luogo della medesima io vo
glio trovare una dichiarazione che mi faccia sapere
in chiari termini se il mio cliente voleva far di
ventar sorda la Serafina, o farla diventare cieca ,
oppure farla diventare più brutta, oppure farla stare
in letto trentadue giorni . Questo ho diritto di sapere
io difensore, questo ha il diritto di sapere il cliente .
Ha egli torto se chiede che dovendo andare in
prigione, non per ciò che egli ha fatto, ma per ciò
che egli voleva ottenere, gli si faccia conoscere
almeno a qual fine tendeva questo desiderio che a
lui s' impresta?
Certo è che rimproverare ad alcuno di aver vo
luto produrre un ferimento grave senza altro ag
giungere, è proposizione cotanto vaga ed indefinita
che tocca il ridicolo .
Ora io diceva che la direzione della volontà di
Giuseppe ad una piuttosto che ad altra delle quat
tro forme di gravità prevedute dall' art. 326 non
è posta in sodo neppure in quel secondo attesochè,
e lo provo col testo del medesimo ― ivi ――― gli
effetti dannosi che alla medesima sarebbero deri
vati ove ( COME DALLO AGENTE VOLEVASI ) fosse essa
rimasta colpita nella faccia o sulla testa .
Di questo attesochè, nel quale compendiasi tutta
la parte razionale ( se parte razionale vi fu ) di
quella sentenza, terrò più largo proposito nel terzo
articolo del mio discorso, dove lo riprodurrò per
――――――――― 253

intero : allora vedremo quanta confusione dovesse


ingombrare la mente di quei giudici quando in un
solo periodo di ragionamento vollero cumulativa
mente motivare la opinione loro ―――――― 1.° sullo spe
ciale - 2.0 sulla intenzione di ferire ― 3.º sulla
intenzione di produrre ferita grave ―――― 4.° sulla pre
meditazione ; dimenticando che l'analisi è la sola
sicura guida nella ricerca del vero ; e che lo ab
bracciare sette circostanze per provare quattro pro
posizioni , senza spiegarne la singola referenza , può
essere un metodo buonissimo per gli Avvocati che
vogliono imbrogliare i giudici col far pompa di un
ricco apparato di ragioni, ma niente si addice alla
serietà di un giudicato. Per ora mi basti averne
riferito quel piccolo brano, e notare che percorsa e
ripercorsa da capo a fondo quella sentenza , non vi
si trova sulla supposta intenzione del Vivarelli nes
sun altro cenno tranne quello inciso contenuto in
una parentesi COME DALLO AGENTE VOLEVASI .
E noi una terza volta passeremo sopra alla for
ma: nè andremo cercando se alla serietà di un
giudicato convenga di consacrare un inciso di quat
tro parole in una parentesi alla constatazione del
principale e più problematico estremo della impu
tazione che vuol farsi cadere sul capo dell' accu
sato. Solo dirò senza tema di essere contradetto
che se i giudici Aretini s' immaginarono di avere
con quell' inciso posta nella loro sentenza la affer
mazione che Vivarelli volesse ferire gravemente
Serafina, caddero anche una volta in uno equivoco
grossolano. E poco vi vuole a dimostrarlo .
Per avere gli elementi del tentativo, ed anzi il
primario elemento della sua essenza, non basta sia

|
--- 254 ―――

posto in sodo che il fatto eseguito in altra guisa


sarebbe stato nefasto : e neppur basta aver posto
in sodo che lo agente voleva eseguire il fatto in
quella diversa guisa ; se al tempo stesso non si di
mostra che egli volesse agire in quella diversa guisa
al preciso fine di produrre l'effetto nefasto da lui
preveduto e voluto .
In una parola, spiegando il mio concetto nei ter
mini concreti, per trovare in quella sentenza la di
chiarazione dello elemento intenzionale del conato
di grave lesione bisogna trovarvi tre proposizio
ni distinte .
Proposizione 1.- Se il liquido fosse stato versato
sul capo di Serafina poteva produrre lesione grave.
Proposizione 2. ― Il Vivarelli voleva vuotare
quel liquido sulla testa della ragazza e non sulla
parte inferiore della sua gonnella.
Proposizione 3.ª— Il Vivarelli voleva versare il
liquido sul capo di Serafina per il preciso fine di
recarle lesione grave .

Ammettasi adesso che le due prime proposizioni


alla meglio o alla peggio si trovino nella sentenza .
Quello che certo si è che della terza proposizione
nec verbum nec vola si legge colà. E tanto basta
per concludere che i Giudici Aretini condannarono
il Vivarelli per tentativo di lesione grave senz'avere
potuto dichiarare in fatto che egli aveva la inten
zione di produrre lesione grave . Volere o non vo
lere la conclusione è questa, perchè con lo affermare
la natura del fatto non si afferma davvero per ne
cessario contenuto la volontà di produrre col fatto
medesimo gli effetti più gravi piuttostochè i più
leggieri. L'affermazione relativa allo elemento della
255

volontà deve avere uno obiettivo determinato . Sa


rebbe ridicolo dire che alcuno intendeva commet

tere un furto qualificato, quasichè il suo fine fosse


quello di andare in galera per qualsivoglia via pur
di andare in galera. Bisogna dire , voleva scalare ,
oppure voleva frangere una chiusura, oppure dire
voleva violentare, e simili . Bisogna determinare
l'obiettivo materiale dello agente ; perchè un col
pevole non delinque per gusto di violare un articolo
di legge, o pel gusto di passare qualche anno fra
le delizie della casa di forza : non delinque per la
idealità di dar vita ad un titolo di reato, ma per

ottenere uno effetto materiale. E questo i giudici


non lo hanno detto davvero, perchè dicendo che
voleva gettar l'acido piuttosto sul capo che nel tergo
dove egli lo gettò, non hanno ancor detto se egli
ciò volesse per il previsto e determinato fine di ca
gionare sordizie o cecità, anzichè abbruciamento del
la pomposa torre di falsi capelli che giganteggiava
sul capo di Serafina.
La sentenza dunque difetta delle necessarie co
statazioni del fatto .

Premesso ciò, ritorno sulla tesi da me proposta


in questo secondo articolo, e senza impacciarmi nei
criterii della gravità riporto la questione sul suo
primitivo terreno : Vivarelli voleva ferire o voleva
danneggiare le vesti ?
E qui non posso dimenticare il disposto dell' ar
ticolo 44 del codice Toscano , cosi concepito - Quan
do la pena del delitto consumato si dee misurare
secondo la quantità del danno arrecato all' offeso ;
dove non sia dalo chiarire a quanto mirasse la in
1 256 -

tenzione di chi commise il tentativo si presume che


fosse diretto allo scopo meno dannoso.
Con questo art. 44 il senno del legislatore Tosca
no diede sanzione a quel precetto di giustizia e di
umanità che si venera appo tutti i popoli culti , in
dubio pro reo. Non è un dettato del quale possa il
giudicabile denunciare la violazione , come insensa
tamente fu detto da alcuno ( per la mania di gran
dinare censure sul Progetto di nuovo codice Italiano
che aveva riprodotto quell' art. 44 ) perchè quando il
giudice si è dichiarato certo in una credenza , sa
rebbe stolidità rinfacciargli che esso era in dubbio.
Ma è un consiglio, un ricordo, che la legge volle
dare ai giudicanti, perchè in materia di tentativo
dovessero sempre volgersi verso l'accusa a diman
dare la prova della intenzione più malvagia che ad
essa piaceva venire obiettando ad un giudicabile .
E poichè, la Dio mercè, questo articolo è sempre
in vigore fra noi , non è a temersi che dissotter
rando la ruggine del medio evo si rechino innanzi
le presunzioni della colpa più grave. No : le presun
zioni stanno sempre a favore dell' accusato per il
triplice scopo : 1.° di presumerlo innocente finchè
non è chiarito colpevole - 2.º di presumerlo, quando
è chiarito colpevole , indirizzato al titolo di reato che
è meno grave ― ― ― ― ― ― ― ― ― 3. di presumerlo ( anche quando
sia chiarita la colpa e il titolo ) indirizzato alla spe
cie meno dannosa fra le diverse che farebbero capo
a quel titolo .
Noi siamo dunque nel nostro diritto quando, am
messa la colpevolezza del Vivarelli, diciamo che in
combe all' accusa di provare col mezzo di chiari
segni che egli volle piuttosto ferire Serafina anzi
257 -

chè danneggiarle le vesti : e di provare una sec onda


volta per chiari segni che egli volle ferirla grave
mente anzichè leggermente ; e premeditatamente an
zichè improvvisamente. Finchè potrà restar dubbio
.
se Giuseppe volesse ferire, e se volesse gravemente
ferire, dolus determinatur ab exitu ; e il Vivare lli
deve esser punito sul criterio dello evento , e non
sopra una supposta intenzione che rimane indeter
minata ed incerta.
Procedendo con diverso ordine d'idee non solo
si manomettono tutte le regole di critica giudicia
ria, ma si conculcano con inverecondo piede i prin
cipii fondamentali del giure punitivo .
Or come fecero i giudicanti di Arezzo a lanciare
le loro coscienze nel procelloso mare delle divina
zioni, e adattando agli omeri loro le penne d' Icaro
guidare al porto la stemperata accusa di lesione
grave premeditata ? Certamente i chiari segni della
più truce volontà apposta a Giuseppe non erano a
loro forniti dalle pagini processali ; laonde dovettero
brancolare in traccia delle più risibili congetture.

E questo il vedremo nel susseguente articolo , dove


esporrò la confutazione analitica di quella sentenza .
Ma la dignità del Vivarelli e la sua intemerata co
scienza esigono ancora di più dall' opera dei suoi
patroni ; esigono che non si vinca per la sola ra
gione del dubbio, la quale se appaga il bisogno di
libertà non appaga l'onore : esigono che per via
diretta si mostri dai difensori del Vivarelli essere
stato unico suo intendimento quello di un capric
cioso dispetto che recar voleva all' altera donna col
macchiarle le vesti al cospetto del pubblico . E que
sta dimostrazione noi andiamo a fare nel presente
VOL. V. 17
―――― 258 ----

articolo sulla scorta di quei criteri che furono sem


pre da tutti i criminalisti riconosciuti come guide
più sicure nelle questioni intenzionali , e come i me
no fallibili definitori della nozione e della misura dei
tentativi. Voglio dire la causa, i mezzi, il luogo, il
tempo, il modo della azione incriminata.

1.º Causa.
Si ebbe il coraggio di asserire che nel fatto in
questione la causa a delinquere mostrava che il
Vivarelli non poteva appagarsi di fare alla Serafina
un semplice dispetto col guastarle la veste dome
nicale , ma doveva propriamente cercare il suo sfo
go in un danno grave e permanente sulla persona
e corpo di lei. Sa ognuno quanto è docile la carta
bianca : essa se ne sta impassibile sotto la mano del
l'accusatore, dell' Avvocato, e del Giudice, a ricevere
tutto quello che vi si scrive , fosse anche la più fan
tastica esagerazione .
Era dunque facile scrivere su quel foglio di carta
che la causa a delinquere mostrava l'animo di le
dere gravemente : facilissimo era lo scriverlo , e quel
buon figliolo di quel foglio di carta pigliavasi in
groppa senza mormorare quella visione. Ma non era
altrettanto facile dimostrare il gratuito asserto ;
laonde fu necessità limitarsi allo asserto, e rispar
miarsi il tentativo della dimostrazione.

Noi invece consegniamo alla carta l'assertiva


contraria, e ci auguriamo di darne una dimostra
zione, la quale per lo meno varrà qualche cosa più
dello ego dixi.
Qual era la causa degli sdegni del Vivarelli che
avevano cangiato in antipatia le procaci voglie del
259

nostro Cavaliere ? Niente altro che i negati favori


amorosi, e la imprudenza di essersene millantata ed
averne fatta avvertita la gente. Nessuna inquietu
dine, nessun disturbo aveva recato quella rivelazione
alla famiglia del Vivarelli. Non vi è traccia di que
sto in processo, e la diligenza specialissima con la
quale la istruzione in questo processo andò spigo
lando anche gli atomi che potevano tornare a carico
dello inquisito, ci fa sicuri che se il Vivarelli avesse
avuto delle inquietudini nella famiglia per ragione
di quel suo capriccio, se ne sarebbero avuti i docu
menti negli atti. Ma nessuno disse ciò : e non ne
diede cenno alcuno neppure la stessa dolente.
Non era dunque mosso l'animo del Vivarelli dal
risentimento di grave , danno patito ; risentimento
che trovasse il suo corrispondente proporzionale in
altro grave danno da recarsi all' offensore . Questo
non si può affermare, e nessuno lo ha detto.
Era un ripicco amoroso : ecco tutto .
Il Vivarelli era ferito nel suo orgoglio, nel suo
amor proprio. Bisogna pur confessarlo che per una
leggerezza inescusabile alla età sua essendosi egli
fitto nel capo di fare il galante , pungeva le sue su
scettività il pensiero di essere mostrato a dito come
un uomo che aveva dovuto soccombere in faccia
alle repulse di una fantesca. Ciò lo esponeva alle
derisioni dei cavalieri suoi amici , per quel modo di
sentire indubitatamente riprovevole, ma pur troppo
comune in certe classi e in certe abitudini , che fa
parer gloria ciò che dovrebbe cagionare rossore.
La buona logica insegna che gli effetti devono
essere corrispondenti alle cause : deve esservi una
correlazione fra loro .
260

Se il Vivarelli avesse patito per opera della Se


rafina un grave danno nella persona o nel patri
monio, noi potremmo ammettere la induzione logica
che la sua reazione si dovesse dirigere al fine di
un nocumento ugualmente grave. Il criterio dei cor
respettivi autorizzerebbe siffatto calcolo .
Ma poichè il Vivarelli era unicamente ferito nel lato
del suo orgoglio e del suo amor proprio, il criterio
dei correspettivi conduce precisamente alla conclu
sione contraria : che cioè egli volesse offendere nel
l'orgoglio e nell' amor proprio colei che lo aveva,
a suo parere , avvilito nell' amor proprio. E quale
è il modo più spontaneo di pungere una femmina
nella sua vanità se non appunto quello di guastarne
gli abbigliamenti e le vesti ? La idea di costringere
la Serafina a stare ammalata appunto trentun giorni,
o quella di procurarne una perturbazione mentale,
non aveva connessione logica col supposto scorno
patito dal Vivarelli. Connessione intercedeva spon
tanea nella idea di fare un dispetto alla donna col
guastarle le vesti , e nel rimandarla a casa propria
in un giorno festivo ed al cospetto del pubblico con
le vesti macchiate e sdrucite .
Il Vivarelli ( ce lo dicono i testimoni, e meglio di
ogni altra la teste qualificata Oliva Fazzini madre
della dolente ) perseguitava la Serafina anche dopo
il di lei licenziamento, sempre sperando di vincerla
e di condurla alle sue voglie. Il Vivarelli le stava
attorno ancora perchè almeno , se non volea conten
tarlo, cessasse dal menar vanto degli amori suoi che
lo rendevano il ridicolo della Città. Debolezze en
trambo sono queste, inescusabili in un uomo di quella
età e di quel rango : ma qui non trattasi di scusarle ,
- 261

trattasi di congetturarle. E congetturarle bisogna


per il deposto della vecchia Fazzini, e perchè sono
naturalissime in un vecchio Signore tostochè sven
turatamente si è fitto in capo di pigliar l' attitudine.
di un giovinastro.
Ma la Serafina non volea contentarlo nè in un
modo nè nell' altro . Essa faceva bene a non con
tentarlo nel primo modo ; ma agiva poco pietosa
mente negandosi a contentarlo nel secondo modo
mossa più da uno spirito di vanità femminile che
da commiserazione verso le umane fragilità . E frat
tanto il novello Paride trovavasi esposto ai mot
teggi per aver soggiaciuto in faccia alla resistenza.
di un' Elena in zoccoletti . Per riparare questa sgra
devole situazione occorreva una pubblica e solenne
dimostrazione di disprezzo onde fare a tutti palese
non essere altrimenti vero che ei fosse miseramente
innamorato della fantesca.
Questo, e non altro, dovette essere il pensiero del
Vivarelli, pensiero puerile e malvagio nel tempo stes
so (si ammetta pure) ma pensiero logico e coerente
alla causa. Dopo avere inutilmente tentato di lavare
.
sè stesso dalla mortificazione di aver soggiaciuto
alle repulse di una fantesca mediante la ritrattazione
della medesima, il suo pensiero dovette fermarsi in
questo : offendere nel suo amor proprio chi lui ave
va offeso nell' amor proprio, e smentire al cospetto
del pubblico con un atto solenne quel cieco amore
che a lui si rimproverava. Ogni di più è una gra
tuita supposizione.
Nè a ritenere nel Vivarelli il feroce proponimento
di recare alla Serafina una lesione organica o una
permanente deturpazione, oppure una malattia di
262

trentuno giorni, conduce per modo alcuno quella


minaccia della quale favella la denunciata sentenza
nel suo nono ritenuto di fatto .
Su questa minaccia io sono nella necessità di fer
marmi sotto duplice punto di vista : in primo luogo
per costruirne la materialità sulla scorta del vero
e non delle esagerazioni ; in secondo luogo per
sindacarne lo spirito relativamente al quesito della
più genuina intenzione del Vivarelli.
In ordine alla materialità di questa minaccia io
sono costretto a dire prima di tutto che i giudici
Aretini caddero in uno equivoco di fatto anche qui
quando la minaccia attribuita al Vivarelli riferirono
in quel nono ritenuto di fatto con le parole che ivi
si leggono.
Nel processo scritto ed orale quella minaccia non
ha che tre fonti , e sono : ――― 1.º Il deposto orale di
Serafina - 2.º Le sue denuncie scritte 3.º Il de

posto di Oliva Misuri madre della Serafina, quale è


registrato a carte 67 della scritta procedura. Esa
miniamo pazientemente e partitamente questi tre
fonti di prova .

a) Deposto orale . Io ho letto con la più scrupo


losa attenzione l'intero deposto che Serafina Faz
zini emise alla pubblica udienza del giorno 15 no
vembre 1871 in Arezzo , nella copia che me ne è
stata comunicata. Ma in quella deposizione io non
trovo una sillaba che neppur faccia allusione a quel
la pretesa minaccia. Dunque tra i fonti di prova di
questa circostanza il processo verbale non vi è .
b) Denuncia scritta. È ben vero che quel processo
verbale esordisce col dire depone conformemente
alle sue denuncie esistenti negli atti a carte tre e
――――――― 263 -

nove, aggiungendo ec . Questo ci rinvia alla proce


dura scritta : e cercando le prove di quella minac
cia nelle denuncie, a carte tre e nove , ci pone nella
necessità di fare le seguenti osservazioni .
In primo luogo siamo nel dovere di protestare
contro questo sistema dei Cancellieri di udienza di
premettere abitudinariamente la formula di referen
za alla procedura scritta. Essi con tale sistema si
fanno giudici ed interpetri del detto del fidefaciente.
Ciò può ammettersi quando si abbia nel processo
scritto una deposizione regolare, ma non quando si
ha una mera denuncia : può ammettersi quando il
deposto del fidefaciente cada sopra un fatto semplice
e non sopra una minutissima serie di circostanze
svariate per luogo e tempo. Il Cancelliere di udienza
in tali casi dovrebbe tenere davanti a sè la denuncia
o il deposto scritto ; e di mano in mano che il fidefa
ciente parla riscontrare se tutte e singole le circo
stanze scritte si riproducono integralmente ed esat
tamente dalla voce di chi depone. Allora il Cancel
liere potrà con sicura coscienza inserire nel processo
verbale la formula - ha ripetuto tutto quanto aveva
detto nel processo scritto a carte tante. Siffatta for
mula porrà gravissima responsabilità sulla coscienza
del Cancelliere ; ma potrà avere un significato che
esprimerà il confronto puramente materiale di ciò
che ascolta dal deponente con ciò che riscontra nello
scritto. Ma il Cancelliere di Arezzo ( notisi bene )
non usò questa formula.
Altra volta un Cancelliere attesterà che al denun
ciante è stata data lettura della sua denuncia : e che
ha dichiarato di confermarla in ogni sua parte e
di persistervi. Ed anco in tal caso l'attestazione del
- 264

Cancelliere avrà un valore giuridico , perchè verrå


attestando cosa che è caduta sotto i suoi sensi . Ma
il Cancelliere di Arezzo non usò neppur questa se
conda formula, e il processo verbale ne fa certi che
la denuncia a carte 3 del processo NON FU LETTA
a quella udienza alla Serafina . Ella dunque non po
teva confermarla.
Il Cancelliere d' Arezzo disse invece ―――― la Sera
fina depose conformemente alle sue denuncie. Ma
dunque il Cancelliere emette un giudizio intellettua
le, perchè il deporre conformemente non equivale
davvero a ripetere le parole. E in materia di una
circostanza consistente in parole dette dal giudica
bile, per sindacarne ed interpetrarne il vero concetto
bisognava averne il preciso testo . La conformità è
un rapporto di idee , e le idee che possono apparire
conformi al giudizio di un Cancelliere, quantunque
espresse con parole difformi, possono essere sostan
zialmente diverse agli occhi del giudice e del critico
che deve interpetrarle .
Vuolsi una prova del giusto lamento che io qui
muovo nello interesse del vero ? Io ve la porgo pal
pabile. Supponete che alcuna delle circostanze refe
rite in quella denunzia risultasse oggi evidentemente
sbagliata, e che il Vivarelli ne dasse querela contro
la Serafina : potreste Voi con tranquilla coscienza
condannare quella povera ragazza come colpevole di
avere emesso falsa deposizione alla udienza del 15
novembre 1871 per ciò che non disse e non le fu nè
chiesto, nè ricordato ; fondandovi unicamente sullo
asserto del Cancelliere che ciò che ella disse era
conforme alla denuncia a pag. 3?
265

Osservo in secondo luogo che meno che mai può


aversi come fonte di prova quella denuncia, se la
medesima addentro si guarda nel suo contenuto .
Già si sa cosa sono in generale queste denunzie. O si
distendano esse dagli agenti di polizia ai quali ri
corre il villico offeso ; o si distendano dal curiale
ricercato da lui : sempre lo scrittore ci vuol mettere
i cenci suoi. Non sono mai le genuine parole del
dolente quelle che si trovano registrate sopra la
carta : ma una fraseologia sistematica ed ampollosa,
e fiori rettorici e vivaci pitture, e termini giuridici
soffocano sempre il genuino concetto dell' uomo vol
gare che parla. Andatevi a fidare delle denuncie, e
costruite sulle medesime lo edifizio del vostro con
vincimento, e ne farete di belle. Gettisi uno sguardo
sulla denuncia in questione , e poi chiediamo a noi
stessi se è la villica del Pontassieve quella che parla
colà. Ivi si legge che il Vivarelli circonveniva quella
ragazza con fraudi di una straordinaria seduzione ;
e poi si prosegue x.com per verità nonostante tutte

queste promesse FECI FORZA A ME STESSA PER RE


SISTERE a tanta illusione. E finisce col chiedere che
procedasi contro il Vivarelli — ivi per danno

dato, lesione premeditata , attentato al pudore, o per


qualsivoglia altro titolo che sarà creduto di giu
stizia. Può egli neppure immaginarsi appo ciò che
in quella denuncia sia la Fazzini che parla !!
In terzo luogo a mostrare che quella denuncia,
invece di essere la genuina riproduzione delle pa
role della dolente , è una fabbricazione fantasmago
rica di chi per antipatia verso il Vivarelli volle con
vertire un lampo fosforico in una bomba all' Orsini ,
basti rilevare la circostanza notabilissima che su
266

tutte le particolarità sulle quali la diligenza del


sig. Presidente di Arezzo richiamò la interrogata
alla udienza, su tutte ( nemine excepta ) risultò che
la denunzia era un tessuto di menzogne e di fole.
Questo io lo dimostro ad oculos.
Nella denuncia, fatto proposito che la Fazzini si
querelasse di attentato al pudore, bisognava enun
ciare pressioni che non si limitassero a sole parole :
ed ecco che nella denuncia si legge - ivi ――――― più
e più volte dopochè mi era RIUSCITO DI POTERMI
SOTTRARRE A FORZA DALLE MANI del Si
gnor Vivarelli andava cogli altri servi nelle altre
stanze a sfogarmi, lamentandomi di quanto mi FA
CEVA e diceva il padrone ; per cui dico che costoro
possono essere in grado di deporre se sia vero che
lo stesso Vivarelli cercava sedurmi. E bene ! La
fantasmagoria delle cose FATTE , e delle MANI del
Conte, e degli strenui SFORZI , dileguasi come nebbia
alle ingenue dichiarazioni che Serafina emette al
l'udienza. Tornisi a quel verbale ――― ivi ____ Richie
sta dal sig. Presidente a dire in che consistevano
le pressioni amorose fattele dall' imputato, dichiara
essere state puramente a PAROLE , OFFERTE AMORO
SE, E NON ALTRO, non avendole MAI USATE VIO
LENZE DI SORTA. Ora chiedasi il vero a quella
denunzia ? Erudimini qui judicatis terram !
Di più nella denuncia si legge - ivi esso Vi
varelli trovavasi affacciato alla terza finestra : e
VIDI BENE CHE ESSO MI GETTÒ ADDOSSO un bicchie
re di vetriolo che mi bruciò il vestito . E bene, tor
nisi di nuovo al processo verbale , e udremo che la
Serafina ci dice ――――― ivi ――― NON VIDI NÈ IL RE
CIPIENTE CON CUI IL LIQUIDO MI FU GET
267 ――――

TATO, NÈ LA PERSONA CHE LO GETTÒ , seb


bene da lontano mi SEMBRASSE di vedere qualcuno
alla finestra . Ed io una seconda volta ripeto che a
quella denuncia già trovata per due volte bugiarda
non può aggiustarsi fede sul solo giudizio di con
formità emesso dal Cancelliere ; e che se alla udien
za il sig. Presidente avesse richiamato la Serafina
sul tema di quelle minaccie, essa avrebbe una terza
volta fatta bugiarda la denunzia, correggendone an
che in questa parte le ampollosità , le esagerazioni,
e le tramutazioni di concetto.
Ma una terza volta bugiarda quella denunzia, e
precisamente sul tema di queste asserte minaccie,
e delle vantate persecuzioni del Vivarelli , risulta per
il terzo fonte di prova del quale ho dato cenno di
sopra, voglio dire per il deposto di Oliva Misuri nei
Fazzini a carte 67 del processo scritto : deposto che
dalla medesima fu pienamente confermato alla pub
blica udienza . Eccoci all' analisi del terzo fonte .
c) Nella famosa denunzia si legge ivi ―――― Alla
metà di aprile partii dalla casa Vivarelli, e preci
samente circa otto di dopo la mia partenza, e men
tre ero andata da sua moglie a riportarle alcuni.
lavori, appostatami allorquando uscivo ( e così nel
l' andito ) mi disse che tanto si voleva meco VEN
DICARE, e che non sarei stata sicura neppure in
Chiesa. Quasi poi giornalmente da quest' epoca mi
ha PERSEGUITATA, ed ha guardato sempre di co
gliere il momento propizio per PERSEGUITARMI, e
quindi VENDICARSI usandomi qualche affronto.
Ecco il piedistallo della premeditazione obiettata
allo appellante : ecco il piedistallo del truce propo
sito di ferire gravemente attribuito al medesimo.
268

Ma questo è il piè di Nabucco ; e il colosso ruina.


e cade stritolato nel fango, non già per sottili argo
mentazioni della difesa, nè per testimoni venduti
al Vivarelli ; esso ruina e si stritola per la deposi
zione formale della madre di Serafina, da lei solen
nemente confermata al pubblico dibattimento.
Io non voglio dirvi quali fossero veramente le
ferite che Giuseppe pazzamente agitato da una pas
sione tutt' altro che feroce meditava recare a quella
ragazza. Io vi dirô soltanto che le persecuzioni del
Vivarelli erano quelle già usate da Giove verso
Danae che gli affronti temuti dalla giovinetta erano
della natura di quelli recati a Dafne da Apollo , e
che le vendette da lui meditate erano quelle che
a Zeppa inferiva il celebre Spinelloccio. E questo
ve lo fa sapere la madre della ragazza fino dalla
sua prima deposizione scritta ; deposizione assoluta
mente ineccezionabile, perchè emessa nel primo fu
rore dello sdegno, e che qui voglio trascrivere let
teralmente. Processo scritto a carte 67 ― ivi --
La signora continuava anche dopo a dare dei la
vori di cucitura per casa alla Serafina, la quale
talvolta anche dopo che ne era uscita si recava
per cagione di quei lavori alla casa del Vivarelli.
Questi sempre PERSEVERANDO NELLE SUE VOGLIE
IMPUDICHE PERSEGUITAVA SEMPRE la mia fi
glia facendole offerte e richieste illecite e disone
ste ; e siccome essa si rifiutava sempre di aderire
alle di lui voglie, egli un giorno la minacciò dicen
dole CHE NON SAREBBE MAI SICURA nè coi suoi

genitori, e nemmeno in Chiesa, giusta quanto la


stessa mia figlia ebbe poi a raccontarmi piangendo
appena venne in casa .
269 -

Questa deposizione non ha bisogno di commenti,


ed essa mette in chiarissima luce il grave abbaglio
nel quale caddero i primi giudici nel valutare i di
scorsi del Vivarelli. Essa mostra che le minaccie
non procedevano dalla sognata brama di una ri
trattazione ; ma da una persistente smania di ot
tenere una affermazione : mostra che il vero con
cetto di quelle parole non sarai sicura nè in casa
tua e neppure in Chiesa ( diciamolo francamente )
erano una millantazione , la quale non alludeva alla
sicurezza della vita ma alla sicurezza della vergi
nità riprovevolmente insidiata dal Vivarelli.
Il tenore di quelle minaccie , delle quali dobbiamo
adesso indagare il genuino concetto, io non lo pos
so leggere nel verbale di udienza, perchè non ce
lo trovo. Io non lo voglio leggere nella denunzia ,
perchè quel foglio più che tre volte mendace non
mi rivela le genuine affermazioni della fanciulla ,
ma un artificioso impasto di frasi architettate ai
danni del Vivarelli. Non posso cercarle nei ritenuti
della sentenza appellata quando il processo li mo
stra inesatti . Io li cerco nei deposti niente parziali
ma coscienziosi della madre della dolente. Di quella
donna nel cui seno ingenuamente ed immediata
mente versava la figlia i propri dolori ed i propri
timori, per quella deplorabile mania del suo perse
cutore . E la candida narrativa che quella buona
vecchia fece alla giustizia delle immediate conque
stioni confidenziali della zittella mostrano ad evi
denza che la pretesa minaccia ( coartata nel depo
sto di Serafina al giorno 23 aprile 1871 ) era la
minaccia di prendersi per forza ciò che per amo
re non si voleva concedere : dimostra che le con
- 270 ―――――――

secutive persecuzioni temute e sfuggite dalla ra


gazza come preludio di qualche affronto, preludia
vano sì ad un affronto, ma un affronto amoroso.
Se nel giorno 23 luglio 1871 il Vivarelli trovata
in luogo solitario quella fanciulla le si fosse gettato
addosso e l'avesse stuprata, io sì che avrei detto
che quello stupro era da tre mesi minacciato e
premeditato. Ma che da quel precedente contegno
del Vivarelli si possa arguire , tranne per un volo
di fantasia, il disegno premeditato di ferir grave
mente, sembrami repugnante e contradittorio.
Concludo da questo primo obietto delle mie con
siderazioni che bene studiati ed imparzialmente pon
derati gli antecedenti, nulla vi ha che avvalori lo
elemento intenzionale del preteso tentativo . I me
desimi invece mirabilmente convergono a dimo
strare che soltanto in quella fatale Domenica li ap
petiti dell'Avvocato Vivarelli si convertirono in bizza
desiderosa di fare alla renuente donzella un dis
petto ; e che il dispetto voluto era soltanto quello
ottenuto, vale a dire di guastarle le vesti.

2.º I mezzi.
Quando i mezzi si contemplano nel confronto con
uno evento che dai medesimi nel caso concreto non
conseguì, possono presentare con lo evento stesso
due modi diversi di rapporto : cioè un rapporto di
mera possibilità ; ed un rapporto di probabilità.
Un rapporto meramente possibile presentano i
mezzi con un dato evento, se quantunque sia caso
raro ed eccezionale, pure non è conclusa la possi
bilità che dai mezzi medesimi consegua lo evento
in questione . Presentano invece un rapporto proba
-- 271 -

bile se lo evento era una conseguenza frequente ed


ordinaria dei mezzi stessi.
Così se taluno gettò un pomo contro il suo av
versario bisognerà dire che lo evento della morte
di costui era impossibile, perchè ( tranne un feno
meno quasi miracoloso ) un molle pomo non ha po
tenza di recar morte. Se fu scagliato da qualche
distanza un piccolo sasso avremo il rapporto possibile,
perchè non mancano esempi di uomini uccisi con un
piccolo sasso scagliato da lungi ; ma non andremo
più là del possibile, perchè questo evento è rarissi
mo ed eccezionale nella natura del mezzo, il quale
nel corso ordinario dei fatti umani non è destinato
ad uccidere ma soltanto ad offendere o colpire , ed
anco soltanto ad intimorire .
Se poi fu esploso a giusta distanza un fucile ca
rico a grosso piombo il rapporto di questo mezzo
con la morte sarà probabile, perchè nel corso degli
eventi è frequente che quel mezzo procuri la morte,
ed è questa la sua ordinaria destinazione.
Ora tutte le volte che si studiano i mezzi ado
perati da un uomo per costruirne la nozione giu
ridica del tentativo, debbono una seconda volta i
mezzi stessi guardarsi sotto duplice punto di vista,
secondochè si esaminano per trovare del supposto
tentativo o lo elemento materiale o lo elemento
ideologico.
1.º Si esaminano i mezzi sotto il punto di vista
dello elemento materiale del conato quando prima
di farsi a discutere le più vere intenzioni dello agente
si vuole stabilire il rapporto ontologico tra i mezzi
adoperati ed il fine supposto. Ed in questo punto di
vista è sufficiente che i mezzi presentino un rap
272 ―

porto meramente possibile. Onde l'accusa sostenga


( quando si limita ad obiettare il tentativo e non il
delitto mancato ) questo primo punto della sua tesi,
non è necessario che mostri un rapporto probabi
le ; non è necessario che mostri essere il rapporto
evento la conseguenza ordinaria e frequente del
mezzo adoperato . Qui a lei basta che lo evento fosse
possibile ; alla difesa, se vuole escludere il tentativo
anche nel suo criterio materiale , occorre mostrare
che tra lo evento ed il mezzo non intercedeva nep
pure un rapporto di possibilità. Così quando l'ac
cusa si fondi sopra uno scagliamento di sasso, po
trà dire di avere assodato il tentativo di omicidio
nel suo elemento materiale ; perchè ( sebbene non
ordinario nè frequente ) lo effetto della morte può
risultare da uno scagliamento di sasso : ed allora
tutta la disputa verrà a concentrarsi sul secondo
elemento del conato, vale a dire sullo elemento in
tenzionale . Mentre se l'accusa vorrà assodare il
materiale del tentato omicidio sopra lo scagliamento
di un pomo, o la somministrazione di zucchero, la
difesa non avrà bisogno di scendere alla discus
sione del più reo fine dello agente ; essa potrà an
che francamente concedere che lo agente procedette
col fine di uccidere ; ma sempre trionferà nella re
pulsa del tentato omicidio o del tentato veneficio ,
perchè mostrerà che uccidere col mezzo di un pomo
od avvelenare col mezzo di zucchero, sono cose im
possibili, e che perciò al supposto tentativo fa com
pleto difetto lo elemento materiale .
2. Si esaminano i mezzi sotto il punto di vista
dello elemento ideologico quando ( ammessa già la
possibilità dello evento ) si cerca se l'azione si con
- 273 --

sumasse per il fine non ottenuto o soltanto per il


fine ottenuto. Ma in questa seconda ricerca l'ac
cusa che facciasi a sostenere la tesi del tentativo
non può trarre dai mezzi un argomento della tesi
sua col solo additare tra i mezzi e lo evento che
essa afferma voluto un solo rapporto di possibilità .
Ciò non le basta. Ragioni essa a posta sua sopra
altri criterii che rivelino la più truce intenzione ; ma
non rechi innanzi lo argomento dei mezzi se non
le è dato di mostrare tra questi e lo evento un
rapporto di probabilità . Senza ciò l'argomento dei
mezzi non solo le sfugge, ma propriamente si ri
torce contro di lei , e per migliore dialettica si schie
ra fra gli argomenti della difesa .
Finchè s'interrogano i mezzi come segno rive
latore della intenzione di chi li adoperò, non può
dimenticarsi il criterio sperimentale e costante nei
fatti umani, che l' uomo quando vuole ottenere un
preciso fine come effetto degli atti suoi sceglie
sempre quei mezzi che per natura loro più spesso
e più probabilmente giovano a raggiungere quel
fine : non si contenta di un mero possibile : non si
affida ad una incertissima accidentalità, sceglie quei
mezzi che più d'ordinario sono scelti a raggiun
gere il fine, perchè più d' ordinario al fine stesso
conducono.
Non si dimentichi quella regola apodittica che
troppo spesso si conculca praticamente dai giudicanti
senza che dessi neppure se ne avveggano. Non si
dimentichi il precetto dolus indeterminatus deter
minatur ab exitu : non si dimentichi in una parola
che ad assodare l'accusa di tentativo per il lato
dello elemento ideologico non basta il dolo indeter
VOL. V. 18
274 ――――

minato: è assolutamente necessario il DOLO DETER


MINATO. Non basta che si sia PREVEDUTO COME POS
SIBILE conseguenza di ciò che si fa anche lo effetto
più grave : bisogna che si sia VOLUTA questa
conseguenza, ed a questa sola siansi diretti gli sforzi
dello agente. Queste sono verità apodittiche ed ele
mentari nella dottrina del conato, le quali nessuno
vorrebbe mostrarsi tanto insipiente da negarle in
teoria, sebbene inconsapevolmente si dimentichino
troppo spesso nelle loro pratiche applicazioni .
E poichè il dolo indeterminato non basta a por
gere lo elemento morale del tentativo , ella è una
conseguenza di logica necessità che onde trarre dai
mezzi adoperati un solido criterio per argomentar
ne la più feroce volontà, bisogna che nel loro punto
di vista ontologico i mezzi adoperati presentino una
connessione probabile, e non basta la sola connes
sione possibile : perchè chi vuole determinatamente
raggiungere un fine, sarebbe stolto od almeno illo
gico se si appigliasse a mezzi i quali soltanto per
rara eccezione e mera casualità possono in un caso
su cento raggiungere il fine che si suppone deter
minatamente voluto.
I mezzi dunque forniti di sola connessione pos
sibile possono fare ammettere tutto al più che lo
agente fra gli effetti eventualmente conseguibili abbia
previsto anche la possibilità del più grave danno ; ma
non che egli abbia precisamente voluto questo dan
no : lo che conduce alla conclusione che se il danno
avverrà questo sarà imputabile allo agente come
doloso, perchè ad evento verificato la sola previsio
ne costituisce il dolo che rende imputabile come do
loso lo evento. Ma se il danno non avverrà non
-- 275 ―――――――

· potrà imputarsi il titolo di reato aderente allo ef


fetto meramente previsto ; perchè ad imputare que
sto titolo non si ha la base di fatto , mentre il fatto
non avvenne ; non si ha la base della intenzione,
perchè il prevedere come possibile un effetto non
equivale a volere lo effetto stesso.
Queste, io ripeto , sono nozioni elementarissime e
da nessuno contradette ; e se ho dimorato alquanto
nello esporle io già non l'ho fatto perchè abbia
menomamente creduto bisognevole ricordarle alla
sapienza di questa Regia Corte, ma soltanto per
chè a tale necessità mi ha condotto il vederle di

menticate dai primi giudici , i quali correndo sulle


orme delle volgari dicerie infelicemente raccolte dal
la istruzione e dall' accusa, credettero trovare nei
mezzi adoperati un argomento del più feroce pro
posito di Giuseppe, mentre per lo contrario la con
templazione dei mezzi è quella che più di ogni al
tro argomento assicura la vittoria della difesa.
Infatti, ritornando sul primo dei suaccennati punti
di vista, i mezzi adoperati dal Conte distruggono il
primo elemento del tentativo , non intercedendo fra
essi ed il ferimento grave neppure un rapporto di
mera possibilità : e questa è la tesi che ho svolto
nel precedente articolo del mio scritto.
Ma guardando ora i mezzi sotto il secondo punto
di vista, vale a dire come criterio rivelatore della
intenzione , poco vi vuole a comprendere che per i
medesimi tutt'altro che porsi in sodo la intenzione
di ferire, si illumina invece e si pone in sodo la
intenzione di fare un dispetto ed un danno.
L'uomo è un animale eminentemente imitatore :
lo esempio altrui lo trascina come un torrente. Ma
276 -

chi vide mai un malvagio che volendo ferire ( e gra


vemente ferire ) un nemico, usasse a tal fine lo
stranissimo ed incertissimo mezzo di gettare acido.
solforico sopra di lui ? Io ho vissuto più di otto
lustri nel foro : ho tenuto dietro a migliaja di pro
cessi. Ho letto immensi volumi di consulti e di giu
dicati, che mi hanno posto innanzi gli esempi di
mezzi anche straordinariamente feroci adoperati dai
malfattori a danno di un nemico . Ma in verità non
mai vidi nè lessi un caso di un nemico che al fine
di recar grave danno al nemico gettasse un acido
corrosivo sopra di lui. La prima volta in mia vita
che vennemi fatto di udire simile concetto fu quan
do venni chiamato dal Vivarelli a patrocinare lo
appello suo ; e francamente dichiaro che a tale
annunzio , io mi sentii più inclinato a ridere che a
temere . Or come mai supporre che questa idea ( nuo
vissima nella Toscana ) di ferire col mezzo di un acido
cadesse in mente a Giuseppe : nuovissima tanto da
meritare un brevetto d'invenzione ? Come credere
che egli, ricco signore , fornito di cento mezzi atti ad
offendere la persona della riottosa donzella, volesse
scegliere ( se avesse agito pel fine di ferire ) questo
insolito mezzo ? Come credere che egli signore ric
chissimo volesse di propria mano cagionare il fe
rimento di Serafina , anzichè consegnarne la ese
cuzione ad un sicario, non difficile certamente a
trovarsi nella patria di Gnicche?
Ma invece rimpetto al disegno di guastare un
vestito , i! mezzo del getto di un acido non solo
trova una connessione di certezza, ma trova ancora
numerosissimi esempi nella storia e nella storia
contemporanea. Chi è tra noi che non ricordi i
277 ――――

tempi dolorosi nei quali la Toscana gemeva sotto


la ferrea mano degli ausiliarii ? Chi è tra noi che
non ricordi ( quantunque con rossore sul volto ) co
me in quel periodo mestissimo vi fossero femmine
così dimentiche della patria da gavazzare con lo
straniero ed abbigliarsi di nefasti colori ? E chi è
tra noi che non ricordi come il popolo Toscano anche
in quell'epoca mostrasse al tempo stesso insieme con
lo. affetto verso la patria e l'odio suo verso i tradi
tori, anche quel senno e quel senso spontaneo di giu
stizia che dirige e regola le vendette contro chi
meglio le merita, non inferocendo già contro i sol
dati stranieri, che in fin dei conti erano trascinati
a porci il piede sul collo, ma invece sfogando gli
sdegni suoi su quelle femmine che oscenamente
insultavano alle lacrime della patria ? Non dieci nè
cento , ma mille e più furono le vesti delle ree fem
mine che il nostro popolo balestrò con acido cor
roditore ; e Livorno e tutte le altre Città sorelle ne
ricordano gli esempi , nè credo che Arezzo restasse
addietro alle città sorelle in quella occasione . E chi
sa che il Vivarelli ( descrittoci dai testimoni come
fornito di patriottici sentimenti ) non fosse allora
anche egli uno degli Italiani sciupatori di vesti ?
Chi sa che forse egli non avesse fino da quella epo
ca raccolto e conservato in sua casa qualche fiasco
di quella sostanza destinata a tor via dagli occhi
nostri lo spettacolo delle donne Italiane mascherate
coi nefasti colori ? Ad ogni modo la reminiscenza
di quei fatti non poteva essere cancellata nella mente
del Vivarelli , come cancellata non è nella mente mia
e dei miei vecchi amici.
- 278 -

Ed ecco spontaneo germogliare dal ricordo di


quelli esempi nell' animo di Giuseppe il pensiero di
rintuzzare l'altera femmina col guastarle il vestito
per farle dispetto .
Ed ecco come spontanea e logica deduzione la
idea di fare quell' atto di propria mano e dalle fi
nestre del suo stesso palazzo.
La donzella ritrosa passa e ripassa nella matti
na di quella Domenica di sotto le finestre del Vi
varelli per recarsi alla Chiesa. Il Vivarelli la vede,
e questo è accertato in processo .
Vi ripassa nel pomeriggio per tornare alla Chiesa
alle funzioni serali, ed il Vivarelli la vede : e sem
pre ornata del suo chignon, dei suoi fiocchi , e del
suo abito domenicale .
Forse in quel passaggio ella ha sollevato la testa
verso la finestra dove stavasi il Vivarelli.
Forse una occhiata irrisoria ed un ghigno bef
fardo la vanitosa femmina ha diretto verso il deluso
amatore, quasi dicendogli guarda come io sono bella
ma non sono per te.
Ed ecco l'impeto dello irritabile Giuseppe destar
si, ed ecco dar di piglio a quell'acido per ricattarsi
dell' albagia di Serafina con abbruciarle quel vestito
del quale tanta pompa menava.
Ed ecco il perchè l' acido doveva gettarsi dalla ma
no del Vivarelli onde fosse più pungente il dispetto.
Ed ecco il perchè l'acido non si gettò la mattina.
Ed ecco il perchè l' acido non si gettò all' andata,
quando i devoti spicciolatamente si recavano alla
sacra funzione , ma si gettò invece al ritorno, quando
più folta era la gente che usciva in frotta dalla
sacra funzione.
- 279 -

Tutte queste mie non sono che ipotesi accessorie,


ne convengo : ma il fatto principale sta immoto,
e non è una ipotesi . E il fatto principale ci mostra
la scelta di un mezzo al quale il ferimento si con
netteva come un mero possibile, come un' acciden
talità difficilmente verificabile ; mentre esso stava
allo sciupamento delle vesti in un rapporto di ne
cessità e di certezza.
Dunque se i mezzi scelti possono avere in que
sto processo un significato, essi lo hanno spontaneo
e logico a designare lo intendimento di far dispetto
alla donna ; e nessuno ne hanno, che sia ragione
vole, il quale valga a designare il premeditato pro
posito di gravemente ferire.

3.º Il tempo.
4.º Il luogo.
Ad evitare inutili ripetizioni riunisco insieme la
trattazione delle circostanze di luogo e di tempo,
che con mia grande maraviglia trovo agglomerate
nella sentenza Aretina fra le circostanze che nella
mente di quei giudici avvalorarono il premeditato
disegno di gravemente ferire. E dico che grande
meraviglia in me desta il trovare colà quelle due
circostanze, perchè ( vedi pensiero uman come spes
so erra ) quelle due circostanze che ai giudici Aretini
parvero indizi inducenti la premeditazione a ferire,
pajono a me ( e non credo di errare ) argomenti
esclusivi di siffatta premeditazione, e circostanze
che mirabilmente quadrano col disegno di sciupare
una veste , e di arrecare uno scorno .
Si comprende di facile che chi agogna recare ad
altri pungentissimo oltraggio scelga il luogo pub
1
·
1
!
280
8
blico ed il tempo nel quale quel luogo è più popo
loso. Benissimo dunque al disegno di fare un ol
traggio alla Serafina si addiceva lo scegliere come
teatro dell' onta la via dell' Anfiteatro : e di scegliere
quell' ora nella quale era più popolato il Caffè del
Vapore giacente in faccia al suo palazzo ; e quel
l'ora nella quale sciogliendosi le sacre funzioni era
la via medesima popolatissima e rigurgitante di
genti di ogni condizione.
Si comprende di facile che chi ha fatto disegno
di recare un dispetto a una femmina col guastarle
l'abito, non debba andarne in cerca pei campi o in
giorno lavorativo quando indossa conformemente
alle sue condizioni ed abitudini un abito misero e
forse logoro e brutto , ma debba aspettare la occa
sione nella quale colei si reca alle sacre festività
in un giorno di Domenica , indossando, come ap
punto volgarmente si dice, il suo domenicale.
Nulla dunque di tanto logico e di tanto spontaneo
quanto lo argomentare così : se il Vivarelli a gettare
quell' acido sulle vesti di Serafina aspettò il solenne
giorno festivo e la ora solenne della uscita dalle
sacre funzioni , ed elesse la pubblica strada mentre
rigurgitava di popolo , egli dovette mirare a recarle
uno scorno appo tutte le sue compagne ed un
danno negli oggetti migliori del suo abbigliamento.
Questa pareva a noi buona logica.
Ma non è altrettanto buona logica il supporre in
un giudicabile , che non è poi furente nè smarrito
dello intelletto , un disegno pazzo e da vero demen
te ; molto più quando tale disegno vuolsi lungamente
e freddamente premeditato.
- 281

La Fazzini non era già donna che ad intere set


timane si chiudesse nel suo abituro ; nè che ne
uscisse soltanto circondata da armigeri. Poveral
bracciante, come ella era, doveva spessissimo aggi
rarsi sola per le solitarie contrade . Chi avesse pre
meditato ferirla ; e ferirla con quello strano modo
del getto di un acido poteva coglierla in ora ed in
luogo dove non fossero testimoni. Chi premedita
un delitto che ( dove raggiungasi il fine ) espone a
parecchi anni di casa di forza , non si getta alla
cieca in balia delle prove che possono conquiderlo
e rovinarlo tra i ferri della giustizia senza speranza
di discolpa o di scusa . Un uomo che premedita un
tale delitto è un pazzo se il delitto commette dalla
finestra della propria casa : se lo commette di
giorno e al cospetto di numerosa gente dalla quale
è conosciutissimo, come difatti fu qui conosciuto
benissimo dai testimoni di vista che lo indicarono
alla giustizia : è un pazzo se lo commette dalla fi
nestra della propria casa mentre in quella casa
stanno parecchi servi, i quali possono tosto rive
lare la sua presenza colà, come qui di fatto il suo
domestico Tommasoni rivelò quasi immediatamente
alla Fazzini che il padrone era in casa. La preme
ditazione di un grave delitto si manifesta sempre
con le più solerti cure di allontanarne le traccie
da sè . Ma il Vivarelli non era pazzo ; eppure com
mise il delitto dalla propria finestra, al cospetto di
numerosi conoscenti, di pieno giorno, e mentre la
sua presenza in quella casa si testificava dai servi :
dunque non solo egli non voleva commettere un
delitto da casa di forza , ma non prevedeva neppure
la possibilità che dal suo fatto potesse derivarne
- 282 ―――

un delitto da casa di forza. Egli, per un impeto di


dispetto, volle commettere un delitto quietanzabile,
un danno dato del valore di poche lire, sperando
forse che dalla guerra nascesse l'amore da lui
agognato, e che le trattative della refezione dei
danni aprissero la via a recarne di nuove di di
versa natura e di comune contento, memore forse
di quel precetto dello Elixir d'amore che dà alla
collera la potenza di destare un affetto che le ca
rezze non valsero a ravvivare.
Se Vivarelli avesse voluto ferire con l'acido (non
si dimentichi che eravamo di estate) avrebbe scelto
il giorno lavorativo, nel quale la ragazza più di
scinta, meno coperte le spalle, sfornito il capo della
torreggiante pettinatura, offriva all' acido meglio ac
cessibili le carni sue ; e non il giorno solenne nel
quale oggidì le donne si affagottano fra tante gonnel
le e sopragonnelle, e fiocchi e nastri, e ornamenti ,
da lasciare appena discernere le forme reali del corpo.
La mia logica ragiona così. Altri ragioni diver
samente a sua posta. Ma non credo che sia facile
trovare chi accetti questa argomentazione : se colui
commise il delitto di giorno , in occasione di festi
vità, dalla finestra della propria casa, in presenza
di una moltitudine di conoscenti ; dunque egli ave
va premeditato il misfatto. E se ad Arezzo si ar
gomenta così, bisognerà dire che Claro, Fari
naccio , e Menochio , sono nomi incogniti in
quella Città.

5. Il modo è la ultima fra le condizioni intrinse


che al fatto e concomitanti al medesimo , che deve
indagarsi da chi cerca le più vere intenzioni che
- 283

condussero lo agente a quel fatto ; ed è spesso la


più eloquente e decisiva . Se il colpo dell' offensore
fu diretto ad una parte vitale del corpo ; se le offese
farono persistenti e ripetute, se probabilmente era
micidiale la ferita arrecata, sarà ragionevole argo
mentare dal modo scelto la micidiale intenzione. Ma
è una vera allucinazione pretendere di argomentare
dal modo quando il modo scelto era tale che esclu
deva ogni probabilità dello effetto più micidiale .
Potrà talvolta preterirsi dalla contemplazione del
modo, quando altre circostanze stringentissime di
mostrino che la scelta del modo meno dannoso non
fu volontaria nello agente nel quale per altra via si
constati la più truce intenzione. Ma anche in tali
ipotesi sarà sempre sofistico noverare il modo fra
gli argomenti di accusa, mentre il modo essendo
per sua natura in quel caso un argomento di difesa,
incombe all' accusa ( se essa lo può ) di eliminare
la forza congetturale .
Cosa si direbbe di chi così argomentasse ― Cajo
ferì il nemico nella gamba, ma siccome se lo avesse
ferito nel capo lo avrebbe ucciso, così IL MODO DEL
FERIMENTO ( nella gamba e non nel capo ) dimostra
la intenzione di uccidere ?
A siffatta anfibologia risponderebbe ciascuno col
riso. Eppure fu questo precisamente l'ordine di ra
gionamento che preoccupò gl' intelletti dei giudici
Aretini quando nel secondo attesochè della loro sen
tenza noverarono il nodo tra i criterii induttivi della
premeditazione di ferimento grave.
Ma il modo usato dal Vivarelli, a confessione
della stessa sentenza, fu quello di gettare quel li
quido sulla gonnella di Serafina, di gettarlo sulla
- 284 ――――

parte posteriore della medesima, di gettarlo spe


cialmente nella parte più bassa. E i periti fiscali
hanno detto che con siffatto modo non era possibile
ferire neppure leggermente.
Dunque l'appellata sentenza ragiona cosi ; se il
Vivarelli avesse usato un modo diverso da quello
che usò avrebbe potuto ferire ; dunque il modo che
usò, diverso da quello che poteva ferire, mostra che
egli aveva intenzione di ferire. Ma i difensori della
sentenza diranno che il Vivarelli voleva gettare
quel liquido sulla faccia e non sulle vesti di quella
ragazza. Questo schermo però non salva la sentenza
dal vizio logico che io le rinfaccio, perchè in tale
ipotesi non sarebbe mai il modo usato quello che
darebbe base all' accusa, ma sarebbe altro modo
non usato, e che si suppone voluto usare.
Ma poi chi autorizza ad affermare questo punto
di fatto che fosse volontà del Vivarelli di versare
il liquido sulla testa e sulla faccia di Serafina an
zichè sulla veste ? Di grazia non si voli su questo
punto cardinale.

Questo era il supremo fra i debiti dell' accusa : ma


sembra che ai giudicanti scottasse il terreno quando
si trovarono su questo punto, poichè se ne sbriga
rono con un inciso di quattro parole in una paren
tesi . Ma la difesa ripete , di grazia non si corra tanto
a precipizio su questo punto cardinale.
Chi è che autorizza l'accusa ad affermare che il
Conte voleva versare quel liquido sulla parte ante
riore del capo di Serafina ? Chi osi ciò affermare lo
trovo ma chi si accinga a dimostrarlo io non lo tro
vo. E la dimostrazione che implicitamente presup
pone l'accusa, è il più intollerabile dei sofismi. È un
285

vero e palpabile circolo vizioso. Eccolo nella sua nu


dità il Vivarelli voleva ferire gravemente Sera

fina, dunque dovette volerle gettare l'acido sulla


parte anteriore del volto, perchè questo era l'unico
mezzo onde raggiungere il suo fine. Ma dunque se
egli tentò di gettare l'acido sulla parte anteriore
di quella testa è chiaro che egli aveva l'intenzione
di ferirla. Questa , e non altra , è l' argomentazione
dell' accusa, nella quale , se vi è qualche cosa di
chiaro , è chiaro , anzi chiarissimo , soltanto il vizio
sofistico sul quale si aggira.
Tranne questo circolo vizioso, questa petizione di
principio, questa vicenda di aeree supposizioni, an
che una volta io ripeto che niente in processo di
mostra aver voluto il Vivarelli agire in modo diverso
da quello che agi ; avere voluto offendere il capo e
non la gonnella. Dove è la dimostrazione di questo
diverso modo voluto ? Stimerò bravo davvero chi
saprà darmela. Io dimando tale risposta al processo ,
ma il processo non mi risponde .
Tutte le volte che ad alcuno il quale abbia fatto
una data cosa si voglia rimproverare che egli vo
leva fare una cosa diversa da quella che fece, non
basta gratuitamente affermare avverso colui , tu vo
levi fare una cosa diversa . Colui è nel suo pieno
diritto quando risponde ciò che tu affermi non è
vero ; io volli fare precisamente quello che feci , e
tu dimostrami la diversa volontà che m'impresti,
o taci per sempre .
Il processo risponde a questa ricerca che Viva
relli aveva libero il braccio alla sua finestra. Dun
que presunzione che gettasse l'acido precisamente
appunto dove voleva gettarlo, e non altrove.
286

Il processo dimostra che Vivarelli poteva versare


l'acido sulla Serafina quando essa trovavasi perpen
dicolarmente sotto la sua finestra, ma invece aspettò
a gettarlo quando essa era uscita di qualche passo
da quella perpendicolare ; ciò è indubitato in punto
di fatto (1 ) . Dunque non più sola presunzione ma di

(1) Perizia stragiudiciale prodotta alla Real Corte di


Appello di Firenze a sostegno dell'appello Vivarelli --.
A disimpegno della commissione ricevuta dalle Signorie
Loro Illustrissime invio loro la carta , ove ho delineata la
pianta Geometrica lucida dalle Mappe Catastali del Comune
di Arezzo del Palazzo dell ' Illustrissimo Signore Avv. Giusep
pe Vivarelli-Fabbri ; rappresentato dalla particella 225´ della
Sezione C.³ del detto Comune di Arezzo ; della strada di San
Bernardo , del Corso Vittorio Emanuele, della piazza S. Jaco
po , e delle strade adiacenti , egualmente che della Chiesa
di S. Bernardo , e di S. Jacopo.
Inoltre ho disegnato l'alzato laterale della Casa Vivarelli,
che prospetta la enunciata strada di S. Bernardo , e l'alzato
di questa Chiesa , sviluppando nella proporzione stessa il Corso
Vittorio Emanuele , la via di San Bernardo , e la piazza S. Jacopo .
Da questo tipo sarà loro agevole conoscere come potè 1
avvenire , ed in quali condizioni , il getto del liquido sulle
retrovesti dalla fanciulla Fazzini.
Per una circostanza che io non rammento , potei poco dopo
il getto osservare alcune macchie , che nel Tipo sono geo
metricamente segnate, e contromarcate dei numeri 1. 2. 5
e 4 ; e riscontrai che nelle lastre di n. 1 e 2 ve ne erano
pochissime, e che in maggior copia si verificavano in quelle
di n. 3 e 4.
Venne pure asserito che il getto venisse fatto dalla terza
finestra del primo piano che ho colorata di verde cupo , e
che in fatto è la terza vera contando dalla parte di San Ber
nardo ; come lo è pure numerando dall ' angolo del Palazzo
287 ---

mostrazione apodittica che Giuseppe non volle get


tare l'acido sul capo di lei ma sulla gonnella dove
effettivamente lo gettò.

formato dal Corso Vittorio Emanuele e dalla Strada di San


Bernardo.
E poi indubitato che la fanciulla Fazzini sortiva dalle fun
zioni a cui aveva assistito nella Chiesa di San Bernardo, per
tornarsene per la via di San Bernardo a casa , transitando la
piazzetta di San Jacopo e la parte inferiore del Corso Vitto
rio Emanuele .
La Fazzini adunque allorchè fu investita dal liquido nella
retro estremità del vestito si trovava al limite estremo delle
due lastre segnate dei N. 2 , e 3 ; ora se il lembo della ve
ste si trovava al limite delle ora mentovate lastre , con i pie
di non poteva esser distante dal limite delle medesime che
di oltre quaranta centimetri ; se si rifletta che una fanciulla ,
che per abitudine incede lesta , parte per la resistenza del
l'aria che deve superarsi , parte per la indole del taglio del
l'abito stesso , questo viene totalmente lasciato dietro , ed è
perciò che la persona della Fazzini ( e ciò può dirsi senza
tema di andare errati ) aveva oltrepassato il centro della fi
nestra colorata di verde cupo , di metri uno e centimetri qua
rantacinque ; distanza che passa dall ' appiombo della metà del
la citata finestra al limite estremo delle macchie ; finestra
che si eleva dal piano stradale di soli metri quattro e cen
timetri ottantaquattro ; più di centimetri quaranta , distanza
che per il meno passa tra il centro della persona della Faz
zini al retro estremo delle vesti , e così in complesso di me
tri uno , e centimetri ottantacinque , dall' appiombo della metà
della finestra , al punto ove trovavansi i piedi della Fazzini .
Che la Fazzini non fu oltrepassata dal getto , ma neanche
dagli spruzzi , lo prova l'abito non macchiato nella parte an
teriore , come egualmente lo prova il fatto che oltre le mac
-- 288 --

Se dunque tutto il fondamento dell'accusa di ten


tativo si riduce a supporre un tentativo di tentativo ;
se in sostanza dicesi tentò di ferire perchè tentò di
versarle l'acido sopra la testa e non vi riusci : se
questo tentativo di gettar l'acido sopra la testa è
un gratuito asserto, smentito dal fatto, e contradetto
da tutte le circostanze del fatto ; è necessità di con
cludere, indipendentemente da qualsisia regola di fa
vore prevalente nel dubbio , che il tentativo obiettato
a Giuseppe Vivarelli, e ritenuto a danno suo dal
l'appellata sentenza, manca di ogni base e di ogni
elemento, e riducesi ad una mera visione .

ARTICOLO III.

Futilità degli altri argomenti

La tesi che noi prendemmo a sostenere sarebbe


omai dimostrata, e potremmo a questo punto de
porre la penna fidenti nella verità che ci assiste,
nel senno e nella giustizia di questa Regia Corte ,
la quale è impossibile faccia proprie le preoccupa
zioni e le divinazioni del Tribunale di Arezzo . Ma

chie verificate nelle lastre di N. 3 e 4 non riscontravasene


altre nelle lastre che le stavano davanti .
La Fazzini adunque fu colpita nella retro - veste ove erasi
prefisso colpirla , e per ciò fare si lasciò oltrepassare la fine
stra ; mentre se si fosse voluta cogliere nella faccia , era age
vole gettando il liquido poco prima che raggiungesse la già
della terza finestra , che ha la modica altezza sopra osser
vata , senza aspettare che la oltrepassasse di metri 1. 85 , co
me pei fatti suesposti è stato abbastanza provato.
― 289 -

poichè questo processo crebbe ad una mole di trop


pa misura soverchiante la gravezza del fatto , e si
corse dietro alle più vaporose induzioni, stimiamo
nostro dovere di consegnare alle stampe tutta la
storia : e come piacque agli alleati della Fazzini di
rovistare tutta la vita del Vivarelli ed ogni suo atto
dipingere con più neri colori al fine di puntellare
la vacillante iperbole del tentativo premeditato, e
convertire questo galantuomo agli occhi della giu
stizia e del pubblico in uno scellerato ; così questo
scritto non deve appagarsi della questione legale ,
ma rivendicare anche la fama e la reputazione di
un uomo, che se fu talvolta imprudente mai fu un
malfattore. Il processo Fazzini riproduce la favola
dell' Idra, che non di una sola, ma di ben sette teste
almeno si volle fornita. E sebbene le superfetazioni
del processo Fazzini non siano prodotti fisiologici ,
ma piuttosto prodotti patologici, non siano teste ma
code, perchè prive di vita e di spirito, sicchè ad
estirparle non occorra davvero la gagliardia prodi
giosa di un Ercole, pure è debito nostro di dare
a ciascuna il meritato colpo , e niente lasciare oblia
to di quanto il partito avverso al Vivarelli venne
buccinando in onta di lui.
E innanzi tutto dobbiamo riprodurre lo attesochè
dell' appellata sentenza che costituisce tutta la parte
razionale della medesima, e compendia tutto quanto
credettesi aver raccolto a sostenere la tesi del va

gheggiato tentativo premeditato di grave lesione


personale : eccolo - Attesochè riguardo all' addebito
di tentativo di lesioni personali gravi premeditate a
danno di Serafina Fazzini concorrano a persuade
re della esistenza delli estremi tutti che lo costitui
VOL. V. 19
-- 290 -

- la causa a de
scono e della reità dello imputato
―――― le minaccie precedenti di danni perso
linquere
- la qualità - la quantità
nali verso la Fazzini
-
del liquido adoperato il tempo - il modo col quale
fu sulla Fazzini versato — li effetti dannosi che
alla medesima sarebbero derivati, ove ( come dallo
agente volevasi ) fosse essa rimasta colpita nella
faccia o sulla testa ――――― le premure e i mezzi posti
in essere per preparare discolpe anche prima che
il fatto fosse commesso ____ e per cancellare le trac
cie del liquido caduto sulla via : circostanze tutte
emerse dai fatti sopra ritenuti. Ecco tutto.
-
Ma della causa a delinquere delle minaccie -
del luogo - del tempo -e del modo, abbiamo già
sopra discorso nel precedente articolo, e mostrato
che questi argomenti o sono equivoci , o persuadono
anche i più schivi che l'Avvocato Giuseppe Vivarelli
non spinse nè le sue previsioni nè la sua volontà
oltre all' effetto ed al fine che ottenne ; quello cioè
di sciupare un vestito.
Resta dunque, a completare la storia di tante fiabe,
che noi guardiamo più rapidamente che si potrà
1.º Le premure per preparare discolpe - 2.º i mezzi
adoperati per cancellare le traccie - 3.º la quantità
del liquido ―――― 4.º la qualità del liquido ; e 5.º final
mente a corona della nostra apologia, il sindacato
della vita anteatta del Vivarelli.

1. Premure per preparare discolpe.


Esiste in Arezzo uno spellagatti per nome Gio
vambattista Del Frate - detto per beffa il Bello -
uomo conosciuto da tutti per la corta sua levatura ,
ed in paese oggetto più che di stima di derisione e
291 ―――

pietà. Costui faceva speculazione di raccogliere con


cio ; e il Vivarelli per i bisogni dei suoi orti e delle
sue coltivazioni vi si era diverse volte provveduto .
Quando dopo il fatto del 23 luglio lo sconsigliato
Giuseppe appigliossi alla stolta idea della negativa,
dovendo dare discarico di sè nella ora del fatto prese
a dire che non era in sua casa ; e gli cadde in
mente di asserire che trovavasi invece a quell' ora
precisa a contrattare del concio al baluardo con
quello scorticatore ; poscia ripensando che il Bello
lo avrebbe smentito , sembra che per alcuno dei suoi
servi lo mandasse a chiamare , e vuolsi che il fine
di tale chiamata si fosse quello d' indurre il Del
Frate a mettersi d'accordo con lui quando fosse
esaminato dalla giustizia.
Di qui sorge la seconda testa dell' idra : e ve
diamo la inquisizione agitarsi intorno al Del Frate
ed a quelle ambascerie, evidentemente lanciandosi
con minutissime indagini a costruire avverso il
Vivarelli un processo addizionale per tentata subor
nazione di testimoni . Ma era ben difficile sostenere
un'accusa di tentata subornazione sul fondamento
di un invito per mezzo di ambasciatore ad un col
loquio che mai aveva avuto luogo, e lo scopo del
quale il Vivarelli non aveva manifestato ad alcuno .
Quindi il processo addizionale si ridusse alla più
meschina forma di verificazione di un indizio co
stituito da una intenzione , tutta congetturata, senza
l'appoggio di alcuna manifestazione.
Ed io voglio anche qui mostrarmi leale e voglio
ammettere che al Vivarelli venuto una volta nella
insensata determinazione della negativa, e di quella
deduzione di alibi, balenasse forse nella mente la
292

idea di dare corpo e sostanza a quella avventata


sua deduzione, studiando il modo di persuadere al
Del Frate che uno di quei trattati di concio i quali
realmente e diverse volte erano avvenuti tra lui e
lo spellagatti , erano precisamente accaduti nelle ore
pomeridiane della Domenica 23 luglio . Tutto questo
nelle pagine processali non è che una supposizione :
ma pure ammettiamola. Lo idiotismo di quell' uomo
poteva forse dare alla mente esaltata del Vivarelli
una qualche speranza di condurlo a siffatta illusio
ne ; e spaventato come egli era del grido popolare ,
e della minacciosa attitudine della giustizia affer
rarsi a questa tavola di naufragio . Egli fece male :
ne convenghiamo : fece malissimo a darsi alla nega
tiva, ed incautamente porgere egli stesso ai ne
mici suoi le armi che loro mancavano. Egli aveva
perduto la testa prima per l'amore, e poscia per
la paura. Ma che per ciò ?
S' interpetrino pure quelle ambascerie nel più
sinistro concetto . Esse saranno un indizio : ma in
dizio di che ?
Se mi dite che ciò porge un indizio dello speciale
io ne sono interamente d'accordo. Ma vi soggiungo
che lo speciale in questa causa non è mai stato
oggetto di seria questione fra la difesa e l'accusa ;
e che sarebbe oggi vanità il farne questione.
Ma l'accusa non si appagava di desumere da
quei supposti conati di subornazione un indizio della
colpevolezza del Vivarelli. Essa pretese di più che
quello fosse un indizio della intenzione di ferire
gravemente ed un indizio ancora della premedita
zione del più grave reato e qui l'accusa viaggiò
per le nuvole.
293 -

Perchè ( secondo l'accusa ) quelle premure intor


no al Del Frate dovevano rivelare nel Conte il di
segno di ferire gravemente ? Ecco come argomenta
l'accusa. Per la coscienza di un leggiero delitto e
per il timore di una lieve pena non si architettano
difese così arrisicate . Il desiderio di procacciarsi ad
ogni costo un alibi rivela dunque nell' accusato la
coscienza di avere meditato un grave delitto, e me
ritato una grave pena. Dunque quel grave delitto
doveva essere la grave lesione personale, e la pena
che si voleva dallo inquisito evitare dovevano essere
i sei mesi di prigionia che il Tribunale di Arezzo
accogliendo devotamente le idee dell' accusa gli ha
inflitto con l'appellata sentenza . Ecco l' argomenta
zione dell' accusa.
Ma quando la difesa vi concorda che il Vivarelli
aveva voluto commettere un delitto punito della
prigione, e che un delitto punito della prigione egli
sapeva pur troppo di aver commesso , le pratiche
per ingannare la giustizia hanno sempre una ra
gione sufficiente dello essere loro . La coscienza di
aver commesso un delitto passibile di un mese di
carcere non può essa forse condurre a quelle stesse
aberrazioni insensate alle quali conduce la coscienza
di aver commesso un delitto che fu punito con
sei mesi di carcere ? Non si fa questione di un mese
.
più o di un mese meno per parte di colui che è
minacciato della prigione : e quando questi è un
nobile, un Avvocato una persona provetta, un signore
che sta fra i primi e gode dei primi onori nella
sua patria, anche un solo giorno di prigionia è tale
disdoro da condurne l'animo ai più disperati con
sigli . Ripeto dunque che in buona critica questo
- 294 -

argomento dell' accusa non è di alcun peso e va


lore quando , oltre l'obiettivo dello speciale , vuol
portarsi a dimostrare la qualità e quantità del de
litto commesso .

Ma l'accusa volle di più ( e la sentenza parve


tenerle dietro ) che quel fatto dello scorticatore ri
velasse la premeditazione : ed ecco il perchè.
Otto o dieci giorni prima del 23 luglio il Vivarelli
chiamava a sè lo spellagatti, ed a lui chiedeva gli
procacciasse del concio del quale esso abbisognava.
Il Del Frate non ne aveva di disponibile, ma pro
metteva ne avrebbe fornito il Vivarelli come tosto
avesse potuto ragunarne una quantità. Di niente al
tro si favellava : e Giuseppe dava a quel povero
uomo due franchi. Ed ecco gridare l'accusa che
quei due franchi erano il primo prezzo della subor
nazione ; che quei due franchi rivelano avere il Viva
relli premeditato già da più giorni di fare quello che
fece e rivelano di più che egli aveva premeditato
di fare quello che poscia fece , non pel fine di re
care scorno e danno alle vesti , ma per lo scopo di
ferire gravemente la Serafina. Oh ! Cavourrino mi
racoloso che hai la potenza di rivelare tante cose
allo sguardo linceo dell' accusa ! 4

Ed io potrei una seconda volta ripetere le strin


gentissime osservazioni che ho fatto testè. Ammesso
ancora il castello costruito dall'accusa , ed ammesso
che quei due franchi fossero dati proprio per pre
parare l'animo del Del Frate ad un futuro sper
giuro, del quale peraltro non diede Giuseppe alcun
cenno in quell' ultimo colloquio che ebbe con lo
scorticatore, chi è che possa dedurne la premedita
zione di ferire gravemente, anzichè la premeditazio
―――― 295 ――――

ne di danneggiare le vesti ? Se il Vivarelli aveva fer


mato nell' animo il desiderio di far quel dispetto
alla pertinace donzella doveva bene sapere che a
quel dispetto teneva dietro un processo criminale,
un giudizio pubblico , e la prigione . Può ella sul se
rio affermare l'accusa che allo Avvocato fosse indiffe
rente lo andar prigione ? Può ella affermare che a
lui fosse un delizioso trionfo lo andar prigione per
un mese, ed il rifare ( come pcscia dovette ) un abito
nuovo alla Fazzini in rimpiazzo di quello sciupato ;
e darle inoltre cinquecento franchi per ottenerne il
generoso perdono ! Se l'accusa può affermar questo,
il suo ragionamento sarà logico : ma siccome tale
affermazione sarebbe più che assurda , ridicola , il
suo ragionamento non vale il gran niente .
Ma poi, come può egli andarsi così vagheggiando
voli pindarici da attribuire quel tenebroso concetto
alla elemosina di due franchi data da un ricco Si
gnore ad un povero pezzente ! Apparisce ella una
elemosina di due franchi così straordinaria all' ac
cusa da non poterla spiegare tranne con un divi
samento scellerato ? Ha ella almeno provato l' ac
cusa che quel dovizioso Signore fosse un novello
Masaccio, ritroso alle limosine ed alle opere di be
neficenza, e brutto del fango di una tenace avari
zia ? Niente di ciò ha potuto recare innanzi l'ac
cusa, e tutti sanno invece il contrario. E non si vuol
dunque vedere che correndo in tal guisa da suppo
sizioni maligne a supposizioni maligne per una ca
tena fecondata dalla immaginazione , si costruisce
una piramide di sofismi e non una prova legale !
Evvi peraltro ancora di più . Evvi un fatto pal
pabile ed eloquentissimo che demolisce da capo a
296

fondo quella piramide ; ed a questo che io vado a


dire non vi è risposta possibile .
Il Vivarelli dunque ( secondo voi ) fino da otto
giorni innanzi aveva determinato di ferire grave
mente la Serafina : e fino da quel giorno onde as
sicurarsi la impunità aveva divisato di dire che a
quell' ora EGLI NON ERA IN SUA CASA : aveva divi
sato di dire che invece esso trovavasi col Del Frate
in quel baluardo assai distante di là. Questa è la
vostra divinazione . Benissimo .
Ma se tale era il progetto del Vivarelli egli per
prima cosa doveva necessariamente portare il pen
siero sui domestici che erano in quella casa. Egli
doveva pensare o ad ingannare o a sedurre questi
suoi servi. Ingannarli, col fingere in faccia a loro
di uscire di casa, e poi furtivamente rientrarvi. Se
durli, col persuader loro con doni o minaccie a non
dire ad alcuno che esso era in casa, a sostenere
invece che ei ne era assente . Senza ciò il disegno
defensionale dello Avvocato era nè più nè meno il
disegno di un pazzo. Certamente egli non gode i
celebri privilegi di Sant' Antonio. A qual pro far
dire al Del Frate che Vivarelli era seco nel ba
luardo, e al tempo stesso farsi vedere in casa da
tutti i familiari, ed a nessuno di loro ingiungere il
segreto ed il silenzio ! Eppure è così. Se avvi in
questo processo cosa evidente e palpabile, si è que
sto fatto che raccomandiamo alla perspicacia ed
all' acume della Regia Corte. Il fatto è che Giu
seppe, il quale ( secondo i sogni dell' accusa ) sa
rebbesi per lunghi giorni venato ammannendo la
falsa prova che egli non era in casa, si sarebbe
poi fatto vedere in casa da tutti i domestici, e non
―― 297

avrebbe ad alcuno di loro diretto la menoma in


giunzione affinchè negassero la sua interessenza
nel proprio palazzo. Questo solo fatto basta a dile
guare tutte le supposizioni, d'altronde gratuite , dei
nostri accusatori.

E che il fatto sia proprio così io lo dimostro con


la deposizione di Serafina Fazzini, nè credo mi si
possa chiedere una prova più incriticabile. La Faz
zini non aveva veduto l'antico suo padrone alla
finestra; appena giunta in sua casa non avendo
ancora avvicinato fra le molte commari che le
facevano vanguardia e cerchio e codazzo nel suo
ritorno dalla benedizione, quelle che avessero ve
duto e riconosciuto il Vivarelli alla sua finestra,
nutriva pur nonostante ( e poco vi voleva ) il so
spetto che autore di quel getto fosse stato il sig. Vi
varelli. Desiderosa di accertarsi in questo sospetto
mandò tosto a chiamare il Tommasoni uno dei
servi del giudicabile per sapere se il padrone era
in casa : il Tommasoni tosto vi andò , e tosto le
diede risposta che il padrone era in casa nell' ora
in cui scioglievasi la sacra funzione . Risposta fran
ca ; senza riservo ; senza mistero ; senza raccoman
dazione di segreto . Tanto emerge dalla deposizione
della dolente.
Ora poco vi vuole a capire che se il Tommasoni
avesse avuto dal suo padrone la più piccola ingiun
zione di segreto , certo è che a quella interpellazione
stragiudiciale a lui diretta precisamente dalla per
sona più di ogni altra interessata a conquidere il
Vivarelli, il Tommasoni avrebbe risposto con una
negativa ; o per lo meno con la evasiva di non
saperlo ; o per lo meno avrebbe raccomandato alla
298 --

ragazza di non comprometterlo, e di non tradire


la confidenza che a lei faceva. Ma niente di ciò.
Il Tommasoni non nega ; il Tommasoni non tenta
schermirsi ; il Tommasoni non raccomanda segreto,
e francamente risponde - il padrone è in casa;
quando nè giuramento nè autorità di giudice faceva
pressione sull' anima sua. Dunque bisogna conclu
dere che il Vivarelli non aveva nè prima nè poi
ingiunto ai suoi familiari di dire che era fuori
di casa.
E se così è, lo immaginato preordinamento del
l' alibi si dilegua come tante altre visioni agglome
rate in questo processo ; e i due franchi dati al
Del Frate non valgono un centesimo più di una ele
mosina di due franchi .

2. I mezzi adoperati per cancellare le traccie.


Ecco germogliare la terza testa dell' idra . Dopo
la mezzanotte successiva al 23 luglio i due servi
della famiglia Vivarelli , Tommasoni e Faltoni, scen
dono per ordine ripetuto del padrone nella pubblica
via, e col mezzo di calce ed altre sostanze tentano
lavar quel lastrico e cancellare la macchia nera che
l'acido solforico caduto in grande quantità sul ter
reno dietro alle orme della Fazzini vi aveva lasciato.
Ed ecco la istruzione che con solertissima diligenza
volge le proprie indagini alla constatazione di que
sto lavamento di pietre. Giunti alla prima lettura
di queste pagine del processo noi avevamo preve
duto che contro quei due servi si volesse procedere
per favoreggiamento . E davvero del delitto di favo
reggiamento per parte di quei due servi ( confessia
molo pure francamente ) vi sarebbe stata base più
- 299 -

solida che non ne avessero tante altre accuse lan


ciate a diritta e a sinistra. Ma il reato di favoreg
giamento non porta corresponsabilità di complice
nel favoreggiato che se lo procura. Il Faltoni ed il
Tommasoni furono esaminati come testimoni sul

fatto di quello occultamento di traccie, fatto che in


genuamente confessarono, e non ebbero alcuna mo
lestia. Sicchè anche questo secondo episodio del pro
cesso non riuscì ad un distinto capo di accusa, ma
fornì il suo cammino col servire di elemento ad
un indizio.
Indizio lo sia. Ma anche una volta dimando in
dizio di che? Come indizio dello speciale lo si tenga
pure, non ci scaldiamo per ciò. Ma se vuol nove
rarsi fra gl' indizi della premeditazione e dell' ani
mo di ferire gravemente, anche qui ripetiamo che
si sogna vegliando.
Neppure è da accogliersi il pensiero che quella
macchia il Vivarelli desiderasse fosse tolta di là
nella stolta idea di procacciarsi la impunità . Quella
macchia era stata veduta da tutta la popolazione
di Arezzo . Ridicolaggine cancellare le traccie di un
fatto testimoniato da centinaja di persone ; le trac
cie ormai vedute ed esaminate da tanti. Non fu
questo il pensiero e lo scopo del Vivarelli.
Per tutto il corso di quel disgraziato pomeriggio
accorreva da ogni banda gente o curiosa o male
vola a contemplare quella macchia. I popolani al
leati o parenti di Serafina se ne servivano come di
bandiera si era costituito un servizio permanente
di vigilanza privata per guardare e custodire quella
macchia. Essa era il corpo di Cesare che recato da
Antonio nel foro servì a commuovere la plebe Ro
300

mana ed eccitarla con quel sanguinoso spettacolo


a pigliar le armi contro i patrizi congiurati a man
tener la Repubblica. Era un continuo andare e ve
nire di uomini donne e ragazzi a contemplare quel
monumento della ferocia dell' Avvocato Vivarelli :
e lì il mormorio : e li le invettive e le esclamazioni
mordaci ; e tutto questo romoreggiare feriva le orec
chie di Giuseppe ed anche quelle della consorte , i
quali non potevano starsene indifferenti e tranquilli
ad ascoltare quelle sgradevoli esclamazioni e mali
gni commenti . Si volle dunque toglier via quella
macchia per finire lo scandalo ; e perchè alla mat
tina di poi non si rinnovasse il via vai ed il cica
lare della gente. Non dirò se bene o male si fa
cesse a procedere a quel lavamento. Dirò solo che
la giustizia non vi aveva apposto il suo veto ; e
che le ragioni di eseguirlo furono tutte innocenti
e scusabili pel desiderio della propria tranquillità.
E ripeterò anche una volta che quando quel fatto
vogliasi ad esuberanza valutare per lo speciale non
ha nessuna connessione logica col disegno di ferire
e con la premeditazione.

3. Quantità del liquido.


Questo davvero è un bello argomento ! Il Vivarelli
gettò un bicchiere quasi pieno di acido anzichè get
tarne piccola dose : dunque ( così ragiona l'accusa
facendosi eco dei cicaleggi del volgo ) dunque Giu
seppe non voleva guastare un abito, ma voleva
deturpare la faccia o inabilitare l'organo della vi
sta. Manibus date lilia plenis ! Su via : un brevetto
d'invenzione ed una medaglia di onore a questa
grande scoperta !
301

Nello udire questo ragionamento verrebbe fatto


di credere che per acciecare un uomo occorresse
un intiero bicchiere di acido e per rendere in servi
bile un abito ne bastassero poche goccie. Ma poichè
la realtà dei fatti è precisamente tutta a rovescio,
così dalla quantità del liquido io ne traggo la co n
clusione diametralmente opposta , e la Corte giu
dicherà chi meglio rag ioni tra noi. Io dunque dico ,
se il Vivarelli avesse volu to acciecare Serafina o
scarificarle il viso, eg li le avrebbe non solo gettato
davanti quello che le gettò di dietro, e gettato in
alto quello che le gettò nel basso ; ma a quello scopo
suo sarebbe stata più che sufficiente una piccolis
sima dose di liquido di più facile nascondimento.
Ma poichè invece Giuseppe aveva appunto delibe
rato di renderle inservibile l'abito domenicale ,
così piccola dose di acido non bastava al disegno
suo. Piccola dose d'acido poteva inferire qualche
macchia a quell' abito , facilmente correggibile con
un fiocco o con una raccomoda tura. Per rovinare
quella veste bisognava dilatare l'azione del corro
sivo : per dilatare siffatta azione ve ne voleva un
bicchiere. Ed ecco perchè il Vivarelli adoperò quella
grande quantità di liquido che era necessaria al vero
suo scopo. Sarebbe ridicolo chi dicesse che il Viva
relli voleva rovinar l'abito della Fazzini perchè vi
rovesciò poche goccie di liquido : è logico invece chi
dice , se egli gettò sì larga copia di liquido egli
intendeva di agire sopra una larga superficie ; cioè
sull'abito e non sul viso, dove certamente non può
trovarsi la larga superfici e bisognosa perchè venga
inondata di una grande quantità di liquido . In so
stanza l'argomento della quantità, perchè favorisca
- 302

l'accusa, bisogna costruirlo così --- per guastare un


abito vi voleva molto vetriolo : dunque se Giuseppe
usò molto vetriolo non voleva guastar l'abito ! Tale
è l'argomento dell' accusa ridotto alla sua ultima
espressione : e vale quanto dire che era giorno per
chè non ci si vedeva.
Per me se in questa disputa alla quantità del
liquido può attribuirsi un senso ed un significato
qualunque, il senso ed il significato spontaneo, ra
gionevole, e quasi necessario, è quello di addimos
trare che si voleva abbruciare non un occhio ma
una intera sottana.

4. Qualità del liquido.


Ed eccoci ad un altro argomento della tempra
dei precedenti . Qui sì che si è lavorato ad Arezzo
da entrambo le parti per chiappar mosche. Perizie
chimiche ; contro perizie chimiche ; spese immense ;
....
operazioni difficilissime al fine di verificare ...
Che cosa ? i gradi che aveva l'acido gettato dal Vi
varelli. E la mercè di tanti studi e di tante fatiche
siamo giunti a poter leggere nella sentenza quel
diciannovesimo ritenuto di fatto che ne assicura
-
— ivi — che il liquido il quale bagnò nelle circo
stanze premesse il vestito della Fazzini, lo corrose
e distrusse, è resultato dalle perizie fatte in pro
cesso e ripetute in udienza, essere stato acido sol
forico di commercio a sessantacinque gradi, e ca
pace di disorganizzare e corrodere nello spazio di
tre minuti il tessuto di cui è formato l'abito della
Fazzini. Benissimo : mille grazie.
Veramente che quell' acido fosse capace di disor
ganizzare in tre minuti quell' abito io non aveva
303

bisogno di apprenderlo dai farmacisti di Arezzo .


Mi bastava guardarlo nel miserando stato al quale
è ridotto ( da invidiare il mio povero abito del Gua
dagnoli ) per andarne tosto convinto , e dargli un
amaro tributo di lacrime, senza bisogno di tante
analisi chimiche. Ma sono venuto ad imparare che
l'acido solforico di commercio è di sessantacinque
gradi, e ne godo moltissimo : mille grazie. Mille
grazie di nuovo alla sapienza di quei chimici che
hanno così illuminato la mia ignoranza su questi
arcani dell' arte loro. Ma come difensore del Viva
relli io vorrei anche sapere per quale ragione la
qualità di quell' acido, cioè lo essere quello a ses
santacinque gradi piuttostochè a sessantaquattro o
a sessantadue porga argomento della premeditazione
e dell' animo diretto a ferire.
E questo, a dir vero, non sono ancor giunto a
capirlo.
Propriamente in questa causa è destino che io
sia l'uomo dalla dura cervice, e che mi trovi fra
mano una dialettica totalmente opposta a quella che
prevale nella patria di quello illustre poeta che fu
lo Sgricci. Io non capisco lo entimema che si viene
a costruire combinando insieme perizie mediche ,
perizie chimiche, requisitorie e sentenza ; e che
netto netto è il seguente - L'acido adoperato dal
Vivarelli era capace di bruciar l'abito in tre minuti,
dunque l'acido non fu gettato col solo fine di bru
ciar l'abito. Grazie di nuovo, mille grazie, signori
chimici di Arezzo, e grazie ancora ai Signori me
dici. Se i chimici mi avessero detto che quell' acido
usato da Giuseppe non era capace di bruciare quella
veste io mi sarei trovato davvero in un grande im
304 --

broglio, e non avrei saputo come sostenere che Giu


seppe voleva bruciare la veste quando usava un li
quido che non era capace a bruciare la veste. Ma
poichè con le vostre faticosissime analisi siete giunti
ad affermare la idoneità del mezzo al fine che io
propugno, io debbo le cento volte ripetere benedetti
voi e l'arte vostra.
Se i periti medici avessero giudicato che l' acido
a sessantacinque gradi aveva la capacità dopo per
forate le vesti di corrodere ed esulcerare le sotto
poste natiche della Fazzini, io mi sarei trovato peg
gio assai che in un imbroglio ; avrei dovuto getta
re le armi , come fece Orazio a Filippi , relicta non
bene parmula. Ma siano benedetti ancor essi , poichè
dicendo che quell' acido era capace a ferire soltanto
quando fosse caduto su carni nude, siano benedetti
anche loro che così mi hanno dato in mano la prova

della impossibilità di un ferimento tentato a posteriori .


Se quei medici avessero detto che l' acido a ses
santacinque gradi è solo esso capace a bruciare le
carni e non lo è un acido a sessanta gradi , io ca
pirei che potesse trovarsi un qualche nesso ( con
getturale però e di mero possibile ) fra i gradi del
l'acido e l'animo di ferire gravemente. Ma i me
dici non hanno detto questo : e per quel poco che
io conosco non avrebbero davvero potuto dirlo. E se
qualcuno venisse ad asserirmelo io rispettosamente
lo inviterei a gettarsi sul naso o nelle orecchie o
sugli occhi una discreta dose di acido solforico a
sessanta gradi, e poi mi venisse a contare le nuove.
Io ripeto dunque che non capii mai il tanto agi
tarsi delle parti nel presente processo attorno alla
constatazione dei gradi di quell'acido, gli effetti del
305 -

quale si vedevano con gli occhi anche dai più idioti ,


e si toccavano con le mani. Non capii mai per qual
ordine logico d'idee cinque gradi di forza maggiore
trovati in quell' acido avessero altresì la forza di
escludere dall' animo di Giuseppe la intenzione di
bruciare una gonnella .
Ma poi, qualunque potesse essere il valore intrin
seco di questo argomento, ricorrono esse in processo
le circostanze di fatto che sarebbero indispensabili
per mettere l'argomento della qualità dell' acido
a contatto in qualche modo con la persona e con
la volontà del Vivarelli ? Niente, e poi niente. E
senza ciò la qualità dell' acido rimane per aria co
me un' areostata e i sottostanti la guardano senza
trepidazione.
Fermiamoci un istante qui dove la istruzione e
l'accusa non portò mai il pensiero. Risponda l' ac
cusa alle seguenti interpellanze.
Avete voi forse provato che quell'acido si com
perasse dall' Avvocato Vivarelli o da alcuno per
ordine suo ? Voi non lo avete provato. E notate che
ciò era facilissimo a provarsi nella non grande Città
di Arezzo , dove naturalmente i cento agenti della
polizia pubblica e della polizia privata ( in questa
causa alleati e gareggianti nel più fervido zelo ) non
possono avere omesso di interpellare i venditori di
acido di quella Città se e quando avessero fatto ven
dita di quella sostanza all' Avvocato Giuseppe o ai
suoi dipendenti .
Dunque io sono in diritto di affermare che quel
l'acido il Vivarelli lo aveva presso di sè forse da
parecchi anni : e lo teneva in casa egli come ve
ne tengo io da che ho memoria di me , e come
VOL. V. 20
― 306 --

ve ne tengono moltissimi che io conosco , o per il


servigio del ripulimento delle armi essendo caccia
tori, o per la disinfezione delle stanze in caso di
espurgazione di latrine , di malattie , od altre occa
sioni di men grati fetori . Io affermo ciò, ed affermo
il vero ; e neppure vi è dato spargere un dubbio
.
sopra la mia affermazione, perchè se l'acido fosse
stato comprato in quel torno di tempo dal Vivarelli ,
la polizia giudiciaria e la diligentissima inquisizione
ne avrebbero raggiunto la prova.
Ed allora se il Vivarelli adoperava quell' acido
che trovava presso di sè, dove va egli il vostro ar
gomento della supposta scelta dei mezzi ? Sapeva
egli che quell' acido era a sessantacinque gradi e
non a sessantadue ? Rispondetemi se potete intanto
che io procedo alla seconda mia interpellanza.
Poniamo ora che il Vivarelli avesse comprato
quell' acido nel luglio 1871. Questa è una ipotesi che
non accetto, ma che anche ammessa niente mi nuo
ce : ed in questa ipotesi io vi dimando .
Avete voi provato che l'acido solforico a sessan
tacinque gradi sia cosa rara in Arezzo ?
Avete voi provato che per ottenerlo bisogni ap
positamente ordinarne ad un chimico il concen
tramento?
Avete voi provato che il Vivarelli girando in cer
ca dell' acido lo chiedesse appunto a sessantacinque
gradi, e respingesse la proferta di acidi di forza
minore ?
Avete voi provato che il Vivarelli abbia in casa.
un laboratorio chimico e tale abilità nella scienza
di Lavoisier da operare da sè medesimo il concen
tramento o farne il saggio da sè medesimo ?
307

Nulla di tutto questo. Voi avete per i primi pro


clamato che quello era acido di commercio. Or, che
vi è dunque di straordinario e di eccezionale in
quella sostanza perchè possiate senza iperbole par
lare di scelta e di preparazione di mezzi esclusiva
mente diretti al gravissimo nocumento della salute
personale ? Tutte le vostre perizie chimiche altro
non sono che una fantasmagoria ; la quale può ab
bagliare lo sguardo, ma non fermare la mente di
chi con freddo calcolo ne misura il valore. La scelta
consistè nel prendere acido solforico piuttostochè
acido nitrico, nel prendere acido piuttostochè pe
trolio, acido piuttosto che una soluzione di nitrato
di argento la quale gettata sulle carni avrebbe avuto
un'azione più rapida e più micidiale del vetriolo
comune. Ma nell' usare ACIDO SOLFORICO DI COMMER
CIO non si configura nessuna scelta ulteriore , non
si manifesta alcun desiderio di avere nel mezzo ado
perato una potenza straordinaria ed eccezionale .
E quando per ultimo questo desiderio di una ec
cezionale potenza fosse anche apoditticamente pro
vato ( anzichè essere fantasticamente supposto ) esso
troverebbe pur sempre la sua spiegazione naturale
e spontanea nello intendimento di bruciare rapida
mente e senza riparo la gonnella di Serafina ; spie
gazione che si deve preferire fino a prova lumi
nosa in contrario.

5. Vita anteatta.
In una questione intenzionale sa ognuno di qual
pondo sia la considerazione dei costumi, del carat
tere morale e degli antecedenti del giudicabile : cir
costanze che sono sempre determinanti ; e tanto più
308 ___

determinanti quanto più per la età inoltrata del


l'accusato fu lunga la prova che egli dette al mondo
di sè. Stabiliscasi dunque con tutta imparzialità, ma
con la più minuta esattezza, che sia questo Signore
Aretino, che una mano di nemici volle quasi dipin
gere come un nuovo Conte di Santa Fiora.
Innanzi tutto riproduciamo i giudizi, poscia pas
seremo all' analisi dei fatti.
Ecco i giudizi che hanno dato di Giuseppe Vi
varelli in processo le più rispettabili persone di
quella illustre Città.
Il nobile sig. Angelo Guillichini , notissimo a tutti
e da tutti altamente stimato , non esitò a farsi lo apo
--
logista del Vivarelli deponendo così - ivi per
cariche coperte e per speciali missioni sostenute per
scopo patriottico e liberale il Vivarelli ha cercato
cattivarsi la stima del paese e dimostrarsi uomo
di retti principii come l
' ho sempre stimato. Talora
però gli accade di non vedere le cose sotto il vero
punto di vista, ed allora facilmente si ostina , come
anche si fa dominare facilmente da impeti di ani
mo, e allora può anch'essere probabile che trascen
da ad atti dei quali poi debba pentirsi. Ecco defi
nita per autorevole voce la moralità ed il carattere
del nostro cliente . D ' inattaccabile probità, ma sog
getto a qualche momento d' impeto. E sa ognuno
che i caratteri impetuosi offrirono sempre nella loro
natura argomenti esclusivi della premeditazione . Di
questa irritabilità momentanea dell' Avvocato Giu
seppe ne dà con profonda cognizione di causa la
cagione e la origine il Prof. Francesco Sforzi, in una
gravissima malattia dalla quale il sig. Giuseppe fu
afflitto circa venti anni addietro, e che ( lascisi an
- 309 ―

dare se per la malattia o per la cura ) lo portò ad


uno stato di nervosa irritabilità. Ma il medesimo
professore malgrado ciò depone della moralità del
Vivarelli nel modo che segue - ivi ――――――――――― Da molti
anni che servo il Vivarelli l'ho sempre sperimen
tato per un galantuomo, e quindi lo ritengo inca
pace ad attentare all' altrui integrità personale.
Viene poscia il nobile Avvocato Angiolo Alber
gotti, ed ecco le sue precise parole - ivi - Posso
dire al certo che il Vivarelli è uomo onesto e dab

bene, ma in pari tempo lo ritengo per un uomo di


idee grette e di carattere irritabile, e questa sua
irritabilità l' attribuisco ai suoi incomodi di salute,
stantechè da molti anni è pieno d' incomodi.
-
Segue il Dott. Augusto Bonagurelli , e dice — ivi —
Vivarelli è sempre soggetto a varii incomodi e ma
lattie che ne rendono il carattere un poco irre
quieto : però nei rapporti che ebbi con lui lo tro
vai sempre persona gentile e dabbene, ed io lo ri
tengo incapace di attentare all' altrui integrità per
sonale e di commettere qualsiasi azione delittuosa
e riprovevole.
Comparisce per quinto il sig. Mazzoleni , il quale
a carte 106 del processo scritto depone - ivi

Io ho sempre ritenuto il Vivarelli per un uomo


dabbene, un po ' eccentrico, sofferente per diversi
malanni, ma incapace di commettere reati, mas
sime di quelli di cui ora sento che è imputato cioè
delle violenze praticate in persona della Fazzini.
Queste attestazioni sarebbero bastate, ma poichè
i nemici dell' Avvocato Giuseppe Vivarelli lo ave
vano voluto dipingere come uomo altero e violento
verso i sottoposti, ruvido e spilorcio con gli operai
- 310

che lo servono, e quasi come uno di quelli antichi


feudatari che pagavano i lavoranti a bastonate ; così
fu necessità alla pubblica udienza produrre ancora
dei conjuratores di rango inferiore , ed ecco il ri
sultato che si ottenne .

Comparve per sesto testimone Giuseppe Sandrelli ,


perito agrario, e depose ――――― ivi -- di avere riscon
trato l'Avvocato Giuseppe Vivarelli Fabbri sem
pre gentilissimo : che gli ha fatti parecchi lavori
della sua professione, e mai ha avuto motivo di
lamentarsi, avendolo sempre pagato puntualmente
e senza tara. Non lo ritiene capace di commettere
azioni delittuose.
Identica attestazione fu fatta dall' altro perito agra
rio Giuseppe Grilli.
Sicchè la probità dell' Avvocato Giuseppe non solo
fondasi sulle generali presunzioni e sulla mancanza
di pregiudizi , ma eziandio sul giudizio di tutte le
persone dabbene che sono state interpellate in pro
posito. Cosa hanno opposto avverso ciò i detrattori
del Conte ? Essi hanno istituito un sindacato gene
rale di tutti gli antecedenti dell' accusato, e spigo
lando per tutto Arezzo e dintorni sono venuti rac
cogliendo tre fatti pei quali l'idra minacciò nuove
moltiplicazioni delle paurose sue teste . Di questi fatti
non possiamo tacere .
Circa nove anni addietro il Conte tornava da
caccia con ai piedi il suo cane . Transitando davanti
alla bottega di calzolajo di Cesare Ferruzzi un ra
gazzotto figlio di costui si permise tirare una sas
sata contro quel cane : non perchè la povera bestia
avesse a lui dato noja, ma per quel brutale istinto
che hanno certi ragazzi male educati di tirar sassi
311 xxx

ai cani per il gusto di sentirli guaire . Qual caccia


tore sarebbe stato impassibile a quell' atto ? Il Vi
varelli non fu impassibile, ma che fece egli ? Pro
ruppe forse a contumeliose parole ? Insegui quel
ragazzo, oppure lo percosse ? Niente di ciò . Egli si
tolse il fucile dalla spalla, e disse al padre di quel
nojoso che tenesse il ragazzo al suo bischetto, e nien
te altro avvenne. Questo è quanto risultò dalle ve
rificazioni della istruzione ; e la speranza di dare
all' idra una quarta testa con l'accusa di minaccie e
violenze commesse a mano armata nove anni addie
tro, si dovette abbandonare. Ma che mostra egli quel
fatto tranne la moderazione e la prudenza del Conte ?
Togliersi il fucile di spalla e recarselo in braccio non
fu atto di offesa, ma atto di difesa del povero animale
che senza ciò sarebbe stato probabilmente bersaglio
di una seconda e di una terza sassata . Poteva far
egli di meno a difesa del fido compagno dei suoi
piaceri ? È egli tale quell' atto che riveli l'animo
sanguinario e feroce ! Vi fosse pure nell'atto stesso
il disegno d'impaurire il procace ragazzo onde farlo
desistere dal ripetere i colpi di sasso ; certo è che
non vi fu disegno di vendetta, ma soltanto veduta
di protezione e di difesa legittima delle cose pro
prie, non rimproverabile nè moralmente nè giuri
dicamente perchè diretta ad impedire la ripetizione
di un fatto che in paesi più civilizzati del nostro
costituirebbe in sè stesso un delitto . E basti di ciò.

Cinque anni addietro il Vivarelli ebbe occasione di


procurarsi una quantità di lavori di fabbro da An
tonio Montaini. Sembra che costui pretendesse arro
garsi il monopolio del servizio dell' Avvocato Giusep
pe , poichè venuto a conoscere che il Vivarelli aveva
312 -

dato qualche piccolo lavoruccio anche ad un altro


fabbro fece il suo conto ; e questo conto esagerò
molto al di sopra del giusto e del convenuto, come
ha deposto per propria scienza e verificazione il te
stimone Donato Rossi esaminato all' udienza, il quale
era la persona che aveva precedentemente fissato
i prezzi col fabbro Montaini . Costui dunque recossi
tutto sdegno dal Vivarelli chiedendo che lo pagasse .
E poichè il Vivarelli a buona ragione diceva non
poter pagare quel conto di quattrocento lire senza
prima verificarlo ed esaminarlo, il Montaini a lui
faceva rimprovero di essersi servito da altri ed in
sisteva per lo immediato e totale pagamento . Fu
allora che Giuseppe volle osservare a quell' operajo
che si doveva tutti campare, e gli disse che era un
egoista pretendendo di guadagnare egli solo . Ma il
fabbro sempre più irritato replicò al giudicabile che
l'egoista era lui, e proseguì poscia col tacciarlo
di nobile ignorante ed ineducato. A quelle parole
ed a quel contegno burbanzoso la irritabilità di
Giuseppe si accese, ed in un istantaneo moto di
collera diede uno schiaffo al fabbro insolente. Questa
è la genuina storia di quel fatto del 1857, risusci
tato e verificato in questi precisi termini nel pro
cesso per la speranza di dare all'idra una quinta
testa. Nè io sarò quello che voglia fare l'apologia
di quell' atto inconveniente a tutti, e più inconve
niente ad un uomo della dignità e dell' età del no
bile Avvocato. Ma dico però che quando rovistata
tutta la lunga vita di un uomo non si è potuto
raggranellare altro fatto a suo carico tranne uno
schiaffo dato ad un importuno insolente , male si col
tiva nell' animo la speranza di fondare sugli ante
313 -

cedenti del giudicabile l'accusa di un tentativo di


lesione grave premeditata.
Si è peraltro raccolto un fatto ulteriore , ed eccoci
al sesto capo dell'idra ; il quale non è rimasto in
embrione, ma ha germogliato in atto di mordere
quantunque gli mancassero i denti.
Caterina e Federigo fratelli Nespoli dell' età fra
i tredici e i quattordici anni guidavano al pascolo
una loro mandra di pecore in prossimità di alcuni
beni del Vivarelli, e sbadatamente governando que
gli animali lasciarono che alcuni di loro penetras
sero nei beni medesimi, e precisamente ( a quanto
pare ) in una piantonaja di giovani olivi , recando a
quelle piante un danno che poscia verificato e li
quidato dovette pagarsi dal vecchio Nespoli con Lire
tredici al fattore del Vivarelli. Questi aveva occa
sione o per diporto o per vigilanza di beni di tran
sitare per quella località dove giornalmente i fratelli
Nespoli stavano pascendo la greggia loro . Talvolta
passò di colà in compagnia del suo fattore Galassini
e della sua guardia Fioravante Neri , talvolta vi pas
sò a solo. Era naturale che vedendo quei ragazzi
con quelle pecore in prossimità della piantonaja che
già ne aveva provato il dente mordace, al Vivarelli
venisse sospetto che qualche pecora mal guardata
nuovamente varcasse il confine e nuovi danni ar
recasse : ed era naturale che per lo impulso di tale
sospetto egli dirigesse parole ad un tempo di rim
provero e di monito a quelli scioperati ragazzi.
Questo egli fece diverse volte. Lo fece con mode
rate parole quando era accompagnato da quei suoi
familiari : ma pare che lo facesse con modi più
vivaci in quel giorno che egli era solo, a quanto
-- 314 -

narrano i due testimoni Nespoli . Prendo la deposi


zione loro concorde, tale quale la raccolgo dal ver
bale di udienza Nespoli Caterina — ivi — men
tre io in quella sera col mio fratellino Federigo
stava in campagna nella via pubblica in sito detto
la Villa presso Vignale m'imbattei nel Vivarelli,
il quale andava da Arezzo alla Villa, ed appena
mi vide fortemente sdegnato mi disse che se un'al
tra volta mi trovava nel suo campo mi avrebbe
ucciso ed i miei mi avrebbero trovata morta nel
campo. Il Vivarelli in quella circostanza non aveva
fucile, ma teneva in mano solamente un bastoncino.
Egli non mi rincorse nè cercò di percuotermi con
quel bastoncino. Concorda Federigo Nespoli - ivi —
il Vivarelli ci disse che se ci trovava sul suo ci
voleva ammazzare e che i nostri avrebbero a venire
a cercarci morti nel campo . Il Vivarelli non aveva
in quella circostanza fucile e teneva solamente un
bastoncino: egli non ci perseguitò, e nemmeno cercò
di batterci con quel bastone. Dopo che ci ebbe detto
quelle cose continuò la sua via per la Villa , e noi
restammo con le pecore per quella via.
Queste sono le deposizioni costanti ed unanimi
dei due offesi, soli presenti al fatto. Qui non si to
glie nè si aggiunge una linea, sole si deve aggiun
gere che se Federigo Nespoli niente si commosse
per quelle parole del Vivarelli , la sua sorella Ca
terina la quale ( come emerge dal deposto del
Dott. Fabbroni a carte 84 ) era disgraziatamente
malaticcia e cloratica, se ne impauri fortemente e
continuò per qualche tempo ad essere inferma.
Ed ecco che al seguito di questa scoperta i ne
mici del Vivarelli torva mimalloneis inflarunt cor
-- 315 ―

nua bombis per costruire un processo addizionale


ai danni dell' Avvocato Giuseppe : Eureka, Eureka :
finalmente trovammo. Ed ecco si magnifica la ma
lattia di Caterina, e si tace che ella fosse già pre
cedentemente ammalata : e tutto il parentado dei
Nespoli va gridando , e viene a giurare che Giuseppe
in quella circostanza brandiva un fucile, e che con
quello minacciava di morte quella povera creatu
rina ; e tanto si fa, e tanto si dice, e tanto si grida ,
anche a dispetto delle ripetute deposizioni di quei
ragazzi ( i quali niente altro videro tranne il pic
colo bastoncino immobile nelle mani del Vivarelli )
che finalmente riesce di strappare all' accusa una
requisitoria per l'altro titolo di delitto di minaccie
gravi inferite ai fratelli Nespoli .
È ben vero che la giustizia dei primi giudici
vide intorno a questo capo di accusa la luce ; e non
esitò a pronunziare l'assoluzione dell' accusato con
la seguente semplicissima considerazione ―――― ivi --

Attesochè rispetto al primo addebito di minaccie


contro i giovanetti Nespoli, se pei risultati del di
battimento è fuori di dubbio che fossero dal Vi
varelli proferite espressioni che importavano mi
naccia di grave danno personale futuro, nondimeno
esse non appariscono accompagnate da tale gra
vità e serietà da aver potuto ingerire ragionevol
mente timore nella persona minacciata che fossero
per essere mandate ad effetto, estremo necessario
a costituire quel reato.
Ma se la sentenza assolutoria ha ormai spogliato
quel fatto di ogni efficacia giuridica, a noi resta
l'obbligo di mostrarlo denudato anche di ogni effi
- 316 ―――

cacia morale e di ogni influsso sull' accusa super


stite di tentate lesioni.
E poco vi vuole a comprendere che anche sotto
questo punto di vista indiretto il fatto dei Nespoli
non solo non mostra, come vorrebbe l'accusa, che
Giuseppe sia uomo capace di premeditare gravi
danni alla vita altrui, ma neppure accenna ad una in
dole sanguinaria e feroce. Ci torna innanzi l'uomo
coi suoi impeti vivaci ed irriflessivi : e tutto fini
sce qui .
Finchè il Vivarelli si fosse limitato a rimprove
rare quei ragazzi ed a minacciarli di fare arrestare
le pecore invaditrici e di farli arrestare anche loro
stessi dalla sua guardia per metterli in mano della
giustizia ed anche prigione quando fossero tornati
a danneggiare i suoi possessi, esso era nel suo di
ritto. E chi tacerebbe vedendosi manomettere i
careggiati prodotti della propria industria ! Tutto il
male dunque stava nel modo e nella forma delle
parole . Fu dunque un vizio di mente e non di cuo
re : fu un errore d'intelletto e non di volontà : per
chè nessuno può credere ( come bene valutò l' ap
pellata sentenza ) che Vivarelli avesse seriamente
la intenzione di uccidere quei giovinetti , nè che
essi già adulti potessero seriamente credere che
lo appellante li avrebbe davvero ammazzati . E d'al
tronde se io mi trovassi in mezzo ad un' Assem
blea di coloni e di possidenti agricoli , io potrei dir
loro chi primo è senza macchia scagli la prima
pietra. Non una volta ma più di cento essendo alla
campagna mi è avvenuto di vedere i miei coloni
ed i miei vicini scacciare dai loro campi i monelli
che come locuste venivano a farvi bottino : e più e
- 317 ___

più volte li ho uditi gridare , se torni a rubarmi


le celiege ti castro, se torni a guastarmi i piselli
ti fiacco l'ossa, e simili cose . E costoro erano gente
tranquilla ed incapaci di torcere un capello ad al
cuno : quei monelli fuggivano via ghignazzando sen
za niente spaventarsi, come niente si spaventò Fe
derigo Nespoli . Se Caterina Nespoli per quelle pa
role crebbe ( ed è una ipotesi e niente più ) nelle
sue condizioni morbose, perchè (come ne ha deposto
il suo medico curante) era affetta da amenorrea,
chi poteva preveder questo ? Come poteva egli il
povero signore essere informato dei corsi mensili

delle ragazze del paese ? Ripeto che quelle parole


spinte oltre il bisogno procedettero da causa giusta
e legittima, quella cioè di proteggere la sua pian
tonaja da quelle maledette pecore che sono il fla
gello dei nostri campi e il tormento dei possidenti :
e se vi fu eccesso nel modo , o sia nel tenore delle
parole irriflettutamente emesse, questo errore im
petuoso di calcolo non vale a mostrare nel Viva
relli uno scellerato capace di premeditare fredda
mente lo acciecamento di umana creatura.
Ma era destino che i giudici di Arezzo dovessero
pronunziare la loro sentenza sotto l' incubo delle.
più sfavorevoli impressioni . Non era riuscito di de
signare il Vivarelli come subornatore del Del Frate.
Una fatale combinazione doveva spargere sopra di
lui in quel decisivo momento i sospetti che fosse
subornatore di altri testimoni. Ed ecco il settimo
capo dell' idra.
Ho già detto che più d'una volta aveva il Viva
relli rimproverato quei ragazzi per i danni recati
alla piantonaja : e questa è una verità ormai sancita
-- 318 ---

da una rejudicata. Una di quelle volte Giuseppe era


solo ; e fu allora che usò le parole di uccidere . Altra
volta era in compagnia della sua guardia Neri e del
suo fattore Galassini ; ed allora usò parole più blande .
Or bene : la difesa dello appellante in Arezzo fu
solertissima, e si mostrò ( come lo è sempre ) dottis
sima nella discussione del diritto . Ma forse per trop
po zelo ed affetto peccò di soverchia diligenza. Non
ebbe fede, quanto avrebbe dovuto, nei principii di di
ritto che così maestrevolmente sapeva svolgere : e
pigliandosi troppa paura dei fantasmi, contribui forse
a dar loro maggiore apparenza di realtà di quella
che avessero ; lochè forse derivò dal trovarsi essa in
Arezzo spettatrice della straordinaria commozione
del popolino. Così avvenne che ella indusse quel Ne
ri e quel Galassini come testimoni a provare che il
Vivarelli non aveva proferito la minaccia di uccidere .
Ma i due Nespoli persistevano ad affermare le
parole esprimenti il concetto di uccidere ; ed affer
mavano inoltre che quando Giuseppe proferiva quel
le parole era solo e non erano presenti nè il Ga
lassini nè il Neri . Di qui un ' apparente contradizione
fra i due testimoni dell' accusa e i due testimoni
della difesa.

Poco vi voleva a capire che entrambo le coppie


dei testimoni versavano completamente nel vero, per
chè ognuno di loro narrava fatti avvenuti in diverso
tempo quantunque avvenuti presso a poco nello stes
so luogo e per la identica causa. Ma a questo nes
suno pensò. Laonde senza più fu decretato l'arresto
di quei due galantuomini ; furono inviati il Neri ed
il Galassini al giudizio come testimoni falsi ; si ac
crebbe la baldanza dei nemici dello accusato : ed i
―――― 319 --

giudici di Arezzo che nella Camera di Consiglio


dovevano sciogliere un problema in modo eminente
relativo alla apprezzazione della moralità del giudica
bile, si trovarono a sciogliere questo problema sotto
la preoccupazione di animo che egli fosse uomo da
non arretrarsi in faccia a qualunque delitto : così la
mente di quei magistrati , già preoccupata dal civiumro
ardor, ebbe novella spinta alla convinzione fatale .
Ma li stessi giudici dovettero nella loro inteme
rata coscienza accorgersi poscia che il Vivarelli non
era un subornatore perchè Galassini e Neri non
erano stati spergiuri . Con la loro sentenza del gior
no 5 marzo 1872 ( 1 ) , assolvettero quei due disgra

(1 ) Ecco la motivazione e il dispositivo della sentenza


del 5 marzo 1872. Ritenuto essere venuto a risultare
che nel sedici novembre prossimo passato al pubblico giu
dizio avanti questo Tribunale in una causa penale contro
l'Avvocato Giuseppe Vivarelli Fabbri, imputato di minaccie
e di altro reato , essendo stati uditi come testimoni defensio
nali Giovanni Battista Galassini e Fioravante Neri deponeva
no di essersi trovali in compagnia col detto Vivarelli tre o
quattro anni addietro presenti ad un incontro tra il mede
simo e Caterina Nespoli nel quale incontro il Vivarelli sgri
dando questi ultimi perchè avevano mandato delle pecore
in un suo campo erasi espresso Che se avessero riman
date le pecore nel suo gli sarebbe andata male.
Che il Vivarelli era incolpato del surriferito reato di
minaccie appunto a danno di detti Nespoli , asserendo costo
ro, come ne deponevano anche nel detto giudizio , che esso
Vivarelli incontrandoli da solo tre o quattro anni fa in un
di lui campo con le pecore gli aveva minacciati di morte,
e gli aveva perciò gravemente intimoriti .
Che ravvisandosi dal Tribunole contradizione tra l'as
serto dei Nespoli e le dichiarazioni dei ridetti Galassini e
― 320 ―――――

ziati, non per amminicoli di diritto o per cagione


di escusanti, ma perchè dovettero persuadersi che
Neri e Galassini avevano deposto la verità. Ma in

Neri , furono questi ultimi sottoposti a processo per falsa te


stimonianza.
Che, tanto nell ' interrogatorio subito all' uffizio d'istruzio
ne quanto a questo dibattimento , hanno il Neri ed il Galas
sini persistito nelle deposizioni emesse alla suddetta udienza
del sedici novembre , tornando a sostenere essere vero l ' in
contro da essi annunziato tra il Vivarelli ed il Nespoli alla
loro presenza , ed esser vero altresì che non furono emesse
in quella circostanza minaccie .
Considerato che dagli atti della causa , di cui è stata
data lettura , non resulta che nè il Neri nè il Galassini , nè
i Nespoli coartassero in qualunque siasi modo che uno solo
fosse stato l'incontro tra il Vivarelli ed essi Nespoli , e che
questi ultimi accennassero allo stesso identico fatto di cui
deponevano i detti Neri e Galassini , lochè neppure dall ' orale
odierna discussione ha potuto stabilirsi.
Considerato che certamente da questa incertezza ne viene
a sorgere dubbio di per sè se non lieve che possa essere
vero, e ciò che gli uni e ciò che gli altri dichiaravano , cioè
il Neri ed il Galassini da un lato , ed i Nespoli dall' altro , e
tale dubbio quindi sarebbe bastante a consigliare una dichia
razione di non luogo a procedimento nella presente causa
per falsa testimonianza .
Considerato che a torre poi ogni incertezza , ed a CONVIN
CERE DELLA NON SUSSISTENZA DEL DETTO REATO , si sono avute nel
presente dibattimento delle ulteriori dichiarazioni dai detti
Nespoli, rimaste confortate dalla deposizione del testimone
Don Lorenzo Lucettini ; per le quali è venuto a constatarsi
che due furono effettivamente i detti incontri tra il Vivarelli
e costoro Nespoli ; che nel primo il Vivarelli era solo , ed in
quello avvenivano le asserte minaccie di morte , e nel secon
321

tanto se questa sentenza venne a recidere il set


timo capo dell' idra , rimaneva però la sua prima
testa che aveva ormai dilaniato la riputazione del
Vivarelli, e che lo aveva miseramente afferrato per
trascinarlo sei mesi prigione .
A Voi, sapientissimi Giudici della Regia Corte, è
serbata la gloria di recidere anche quest' ultimo
capo della belva, ammettendo lo appello e procla
mando che l' Avvocato Giuseppe Vivarelli gettò
l'acido solforico sulla gonnella di Serafina Fazzini
per il solo ed unico fine di farle onta e dispetto
con abbruciare quella gonnella. E pronunciando co
sì Voi riporrete in trono quella santa verità che
troppo è stata bersagliata ed adombrata in questo
straordinario procedimento.
Meraviglierà forse taluno che in causa cotanto
chiara io abbia speso così lunghe parole : ed io ho
già concordato che alla sostanza della difesa ne ba
stavano meno e meno assai. Ma bisogna pure dal
l'altro lato meravigliarsi che per una gonnella la
cerata siasi menato tanto rumore, quasi rinnovan
do le storie della Secchia di Modena . Certamente
se tali fossero le abitudini inquisitorie del tribunale

do vi erano in di lui compagnia Neri e Galassini , ed in que


sto non vi furono minaccie ; e ciò come appunto deponeva
no essi Neri e Galassini alla udienza del sedici novembre .
Per questi motivi dichiara non colpevoli Giovanni Batti
sta Galassini , e Fioravante Neri del reato loro ascritto.
E visto l'articolo trecentonovantatre del codice di Pro
cedura penale .
Assolve i nominati Giovannibattista Galassini e Fioravante
Neri dallo addebito di falsa testimonianza .
VOL. V. 21
322

di Arezzo io debbo bene felicitare me stesso di


non essere mai stato interpellato nel processo del
celebre Gnicche, perchè se faccio il debito conto
della proporzione del merito debbo supporre che
quel processo fosse multorum camelorum onus, do
ve io avrei logorato parecchio tempo e quel poco
di vista che mi rimane . Siane lodato Iddio .

Pisa 4 aprile 1872.


XXII.

ACCUSATO E PATRONO
ACCUSATO E PATRONO

10000 米

In re communi potior est conditio prohibentis.


Questo antichissimo broccardo, che appoggiasi a ra
gioni metafisico - giuridiche a tutti note, può egli es
sere utile a sciogliere il nodo che incontrisi quando
intorno ai movimenti defensionali avvenga conflitto
ad un pubblico dibattimento fra il giudicabile ed il
suo difensore ? Certamente non potrebbe impugnarsi
uno stato di comunione fra i due cointeressati rap
porto ai diritti defensionali. Entrambo vi hanno un
interesse. Quello del giudicabile è intuitivo. Ma non
è meno aperto quello del patrono , così nel rapporto
della coscienza come nel rapporto dell' amor pro
prio , della gloria, e della desiderata estimazione . Ciò
d'altronde è riconosciuto dalla stessa legge che pre
scrive come rito sacramentale la necessità dell' ul

tima parola da accordarsi all'accusato ed al suo


difensore. Quella regola inconcussa troverebbe dun
que i suoi termini in una certa società o comunione
326

che su tutto il fatto della difesa pertiene così al


l'accusato come al patrono. Lo che condurrebbe a
dire che dove l'uno dei due voglia una cosa, e l'altro
non la voglia, debba accordarsi preponderanza a
quello dei due che non vuole, ossia al proibente . Ma
se nel punto di vista giuridico astratto quella solu
zione parrebbe accettabile , lo sarà essa ugualmente
nel punto di vista pratico per la difficoltà spesso in
sormontabile di definire chi dei due sia il proibente?
Questi pensieri che mi preoccupano la mente ,
nacquero in me ad occasione di un incidente insorto
testè avanti le Assise di Napoli nel processo contro
il celebre brigante Crocco.
Ecco il caso , quale si raccoglie dalla relazione di
quel processo pubblicata nel giornale la Rivista dei
Dibattimenti.
Mancò all' udienza un testimone indotto a difesa
pel quale si allegò fede di malattia. I difensori ele
varono incidente perchè si ordinasse lo accesso giu
diciale alla casa del testimone onde ottenerne l'esa
me orale. Il Presidente si rivolse a Crocco inter
rogandolo se insistesse anch' egli in ciò che i suoi
difensori chiedevano . Crocco rispose cinicamente, e
che me ne fo? Al seguito di ciò quella Corte emise
decreto di rigetto dell'istanza, motivandolo sulla con
siderazione che il giudicabile conosce meglio del
suo difensore la importanza dei fatti dei quali può
deporre un testimone.
La lettura di quello emergente mi schiuse la
contemplazione di un problema interessantissimo
non mai fino allora balenato al pensiero mio, nè
(per quanto io sappia ) mai considerato da alcuno
fin qui. E tale problema mi gettò in un mare di
―――― 327 -

dubitazioni. E come dubbi e come problema io volli


farne argomento di un rapido scritto, non già per
censurare ciò che fu fatto o per pronunziare una
decisa opinione, ma unicamente per richiamare la
luce di più acuti intelletti sopra una combinazione
che può nella pratica essere talvolta feconda di gravi
perplessità in un giudizio criminale.
Non mi tranquillizza il pensiero che il difensore
possa istantaneamente dimettersi, od essere ricusato
dal giudicabile per cagione di quella discordia . Que
sto rimedio non mi appaga, perchè scioglie il pro
blema con la spada di Alessandro , cioè non lo scio
glie ma lo recide ; e perchè tali recessi sarebbero
occasione di troppi disordini in un giudizio gia
inoltrato ; nè potrebbero sempre accettarsi dalla
giustizia per lo scandalo, per le dilazioni , e per i
gravi disordini che potrebbero nascerne. Che il pa
trono abbia il diritto di dimettersi anche a metà
del corso di un dibattimento , io lo ammetto come
cosa incontrastabile quando a ciò lo spingano gravi
ragioni derivate da un fortuito o da soprusi offen
sivi della sua dignità o che turbino la sua coscienza
i quali procedano però da fatto di terzi. Ma esi
terei ad ammettere che un accusato possa con un
insulto diretto al suo patrono a dibattimento già
inoltrato intorbidarne , intralciarne o ritardarne il
corso a capriccio suo . Come regola almeno ciò non
mi parrebbe buono a stabilirsi .
Bisogna dunque risalire ad un principio giuridico
per determinare la prevalenza fra i due diritti ve
nuti a tenzone : il diritto dell' accusato che non vuole
il testimone regolarmente citato ; e il diritto del
328

patrono che persiste a volerlo , poichè ne ha que


sito il diritto e lo giudica interessante.
Potrà esso questo conflitto far sorgere un diritto
nel terzo ( voglio dire nella Corte ) di farsi arbitro
in quella collisione ? Neppur questo a me parrebbe
ammissibile. Il Presidente ha bene un arbitrio pru
denziale in molti emergenti di un dibattimento ; in
molti altri ha la Corte piena autorità di giudicare :
ma quell' arbitrio e questi poteri non parmi che
possano passare oltre alla mera esteriorità della
difesa ed invaderne i penetrali in quello che per
tiene all' intimo svolgimento della vita di lei. Non
saprei dunque sottoscrivermi a chi mi dicesse che
nel supposto caso dovesse in certa guisa delegarsi
alla Corte l'ufficio della difesa , facendola arbitra di
secondare il desiderio del giudicabile o piuttosto
quello contrario del suo patrono.
Potrà forse sciogliersi il nodo col criterio che parve
guidare la Corte di Napoli nel caso di Crocco ? Non
intendo criticare ciò che nel caso speciale fu detto
da quella rispettabile Corte : lungi da me simigliante
accusa. Ma io cerco come teorista una regola gene
rale ; un principio giuridico che possa signoreggiare
tutti i casi consimili . Ora come tale non posso ac
cogliere la presunzione che l'accusato ne sappia
più del suo difensore. La distinzione fra punto di
fatto e punto di diritto, con la quale volesse limitarsi
quella presunzione , mi sembra fallace . Può a prima
giunta illudere una teorica che volesse costruirsi nei
seguenti termini : se trattasi di questione di diritto
prevalga il giudizio più illuminato del patrono ; ma
se trattasi di questione di fatto prevalga il giudizio
più illuminato del giudicabile. Guardata però più
329 -

addentro siffatta teorica si viene presto a conoscere


la sua fallacia, perchè dessa poggia sulla consueta
allucinazione della vera e costante possibilità di se
parare il fatto dal diritto, dimenticando lo assioma
che ex facto oritur jus ; e la sentenza che facti
interpetratio etiam sapientissimos fallit. Un accu
sato saprà meglio del suo difensore quali parole
( a modo di esempio ) verrà Tizio a narrare al Tri
bunale come a lui dette dal giudicabile stesso : ma
prescindendo dall' osservare che naturalmente è a
supporsi uguale cognizione anche nel patrono per
informazioni ricevute dal giudicabile, è manifesto
che se fin qui la cognizione cade sul mero punto di
fatto questo però è sempre un niente in sè mede
simo, stando unicamente la sua entità ed importanza
nelle deduzioni logico- giuridiche che ne possono
scaturire. E a questo passo ( che è quello nel quale
sta la importanza del giudizio ) siamo indubitata
mente alla questione di critica o alla questione di
puro diritto ; e così nell' uno come nell' altro campo
non potrà dirsi davvero senza iperbole che l'accu
sato ne sappia più del suo difensore. Noi patroni ,
nella clinica delle carceri che precede i dibattimenti,
ci troviamo ad ogni momento ad ascoltare accusati
i quali vorrebbero dedurre nello interrogatorio o
provare con testimoni una qualche circostanza che
stoltamente credono profittevole, mentre invece po
trebbe essere a loro di pregiudizio gravissimo.
Troppe volte mi avvenne di consigliare il mio di
feso ad una confessione sincera, e udirlo poi nel
l'interrogatorio tornare alle più sfacciate impugna
tive perchè aveva preferito il suo stolto giudizio, ed
i pestiferi e sempre funesti consigli dei condetenuti ,
330

al giudizio ed al consiglio del suo avvocato. Ebbene!


il punto di fatto era a lui cognito meglio che a me,
poichè egli sapeva di aver commesso il delitto e le
circostanze dalle quali erasi accompagnato. Ma il
giudizio importante nel rapporto della difesa cadeva
sulla convenienza o no di farne ingenua confessione.
Dirassi dunque che il giudicabile meglio edotto di
me nel punto di fatto era più abile di me nel giudi
care la convenienza di confessarlo ? Lo stesso ripe
tasi di una testimonianza. Il mio raccomandato sa
prà al certo meglio di me prevedere le circostanze
di fatto che verrà a narrare un testimone : ma
nell' apprezzazione delle conseguenze logiche e giu
ridiche dei fatti che narrerà il testimone , non am
metto che egli sia giudice sovrano , e che la sua
opinione debba preferirsi alla mia . A lui parrà in
concludente e forse anche nociva una circostanza
(in sè stessa di puro fatto) che il patrono considera
come cosa utilissima . Nella immensa variabilità delle
condizioni giuridiche che possono accompagnare un
reato, giova talvolta mettere in luce la crassa igno
ranza dello accusato , o la sua proclività ad un' ira
furente, o la sua abitudine a portare armi , o cento
altre cose, sul valore delle quali nella determinazione
della criminalità o della sua maggiore o minore
gravezza la maggior parte dei giudicabili niente
possono capire . Mi permetto dunque di non accettare
la presunzione di sapienza maggiore dell' accusato ,
nè la teorica che porterebbe nel supposto conflitto
a preferire la volontà di lui alla volontà del patrono .
Oltre a ciò la presunzione di incapacità del giu
dicabile è proclamata dalla legge . Tutti gli ordina
menti giudiciari prescrivono che l'accusato debba
331

essere sempre assistito dal suo difensore in tutto il


corso del giudizio ; che è quanto dire in ogni e sin
gola operazione che costituisce il giudizio. Vi sono
dei momenti alla Corte di Assise nei quali resta in
udienza il solo difensore facendosi ritirare l'accu
sato : non avvene uno nel quale l'accusato rimanga
solo e senza il presidio del suo patrono. Questi è
dunque il principale depositario dei diritti della di
fesa . E se vuolsi considerare una collettività di per
sona, bisognerà pur sempre concordare che il pa
trono nel giudizio penale fa le veci del curatore che
si dà all' interdetto . Quando il curatore non presta
il suo assenso, la persona dell' accusato non è inte
grata, e qualunque atto di rinunzia che da lui si
emetta è radicalmente nullo.
Quella disposizione può dirsi ancora che elevi un
motivo di forma : perchè se l' accusato deve essere
sempre assistito dal suo difensore, altrimenti vi è
nullità del giudizio, è manifesto che quando l' ac
cusato contrae giudicialmente ( renunziando o chie
dendo una qualche cosa ) contro la volontà del pa
trono, esso non è davvero assistito dal suo difensore ;
e per conseguenza la sua volontà è illegittima ed
inattendibile, ed il giudizio nel quale si è dato un
valore a quella volontà è sostanzialmente vizioso .
Con qual criterio adunque scioglieremo il pro
blema ? Ci volgeremo forse alla dottrina del man
dato, e seguitando i dettati di questa dottrina di
remo che i poteri del mandatario cessano dove
interviene il mandante ? Non parmi buona neppur
questa via, perchè il mandato del giudicabile al suo
patrono non è un mandato assolutamente volonta
rio che liberamente parta dallo accusato, e che egli
― 332 -----

abbia nella pienezza dell' arbitrio suo, in quello che


riguarda il modo e la durata della sua esecuzione.
Decisamente esso non è tale ; e questo io dico per
due ragioni. La prima io la trovo nella nota regola
nemo auditur perire volens, l' applicazione della qua
le alla presente disputa è intuitiva. La seconda ra
gione me la dà la legge la quale impone ad ogni
accusato l'obbligo di munirsi di un patrono o di
accettare quello che gli viene destinato dai Presi
denti qualora egli si ostini a non volerlo eleggere
a piacer suo : la legge, la quale interdice si esau
disca mai la pazza voglia di non essere difeso . Il
difensore dunque non è a rigore di termini un
'
mandatario dell accusato. Sotto un certo aspetto
può anche dirsi un mandatario in rem propriam
perchè nella difesa ( una volta accettata ) ha impe
gnato la propria coscienza ed il proprio onore . Ma
più veramente può dirsi con Berrier che il di
fensore è un mandatario della società. L' accusa
tore ( così scriveva quel sommo giurista ) è il man
datario della società nello interesse della punizione
del colpevole : il patrono è il mandatario della so
cietà nello interesse della salvezza della innocenza .
Auree parole che sono lo svolgimento spontaneo di
quel grande principio che Roma pagana proclamava
fino dai suoi tempi mentre lo rispettava anche a fa
vore dei servi, quantunque per tre secoli lo rinne
gassero i Reali di Francia ; il principio cioè che la
difesa è di ordine pubblico. Ora se la difesa è di
ordine pubblico e di interesse sociale nel suo gene
rico essere, bisogna bene riconoscerla tale in ogni 1

suo singolo movimento . Sarebbe contradittorio non


rispettare la volontà del giudicabile quando protesta
333 -

di non volere essere difeso , e rispettarla poscia e


considerarla come sovrana quando protesta di volere
un modo di difesa piuttosto che un altro. La società
per motivi di pubblico ordine vorrebbe nei giudizi
lo intervento di quel suo mandatario nello interesse
della innocenza, e poscia ridurrebbe quel suo sacer
dote alla meschina figura di un discepolo dell' accu
sato, tutto passivo ai capricci di lui. Nobile ufficio
davvero ! Che andrebbe in molte occasioni a somi
gliare l'uffizio del Pappataci dell' Italiana in Algeri .
Per me l'ufficio del difensore deve essere indi
pendente soggetto soltanto al prescritto delle leggi
ed alla coscienza sua . E quando egli abbia fatto
una istanza perchè in ordine a quella ha emesso
coscienziosamente il duplice giudizio che la doman
da stessa sia conforme elle leggi ed utile alla di
fesa, mi repugna lo ammettere che possa venirgli
intimato il silenzio dal giudicabile , o che il Tribu
nale possa nel dissenso del giudicabile trovare ra
gione sufficiente e perentoria per rigettare quella
dimanda quantunque il patrono pertinacemente vi
insista, e non sia da alcuna legge osteggiata.
Se sbaglio altri mi corregga.

Pisa 10 Novembre 1872.


XXIII .

FRODE E TRUFFA
FRODE E TRUFFA

1000 20000

Quale è il criterio che nella famiglia dei furti im


propri distingue e delimita la truffa dalla frode ?
La soluzione di questo problema non dobbiamo cer
carla nel giure Romano, il quale nelle materie pe
nali non creò un sistema completo ma lasciò sol
tanto nozioni imperfette e perplesse . Neppure dob
biamo cercarla in certi codici stranieri contempo
ranei , i quali sedotti dalle subiettività materiali
nella classificazione dei reati sono caduti in uno

empirismo scompigliato, ed hanno finito per non


obbedire a criterio alcuno . Dobbiamo cercarla nelle
moderne scuole italiane e germaniche, le quali sfrut
tando le elaborazioni della pratica ( emancipandosi
però dalle pastoie del dommatismo che spinse i
pratici a correre talvolta per torti sentieri ) pote
rono procedere libere e sicure per la retta via se
gnata dalla filosofia del giure punitivo. Dobbiamo
cercarla nel codice penale Toscano, si perchè que
VOL. V. 22
―― 338 -

sto è la legge la quale governa il caso proposto ,


sì perchè in quel codice ( malamente calunniato da
chi nol comprese ) si incarnò con obbedienza me
ravigliosa la più pura ed esatta dottrina delle
scuole moderne.
Quale è il criterio che distingue e delimita la
truffa dalla frode ? È il criterio ontologico che deve
( se vuolsi essere esatti ) procedendo per vie razio
nali e costanti signoreggiare qualunque classifica
zione. Il criterio ontologico, perchè quando trattasi
di segnare le linee di distinzione fra parecchi enti
omogenei e definire ciascuno di essi , bisogna atte
nersi a ciò che ne costituisce la essenza speciale,
e l'intima natura, lasciando in disparte le acciden
talità esteriori , le quali possono talvolta influire sul
valore dell' ente ma non costituirne lo speciale ca
rattere. E poichè il delitto non è un ente di fatto ,
ma un ente giuridico che ha la sua vita nello stato
di contradizione tra il fatto del colpevole e il di
ritto che questi ha aggredito e che la legge penale
protegge, così il criterio ontologico si risolve in un
criterio giuridico. E questo si formula nella propo
sizione altrettanto positiva ed esatta, quanto nitida
e costante, che le diverse figure criminose si di
stinguono le une dalle altre secondo la diversità
del diritto col quale si pose in urto il fatto che
vuolsi giudicare e definire .
I reati contro gli averi altrui possono aggredire
ad un tempo il possesso e la proprietà. Quando la
obiettività giuridica del reato si complette per guisa
che il colpevole giunga alla usurpazione della pro
prietà di una cosa altrui mediante lo ingiusto im
possessamento della cosa stessa, si ha il titolo di
339

furto ed è furto proprio, appunto perchè il delitto


esordì dalla ingiusta aggressione ( o clandestina o
violenta ) del possesso altrui . Il carattere costitutivo
del furto sta nella contrectatio invito domino.
Ma la proprietà altrui si può usurpare senza
che il possesso siasi usurpato contro la volontà del
padrone, o perchè questi ne fosse già privo od abbia
consentito a trasferirlo in altri. Ed allora se avvenga

usurpazione di proprietà contro la volontà del pa


drone il furto è improprio. E la impropriazione del
titolo sta appunto in questo che la violazione della
proprietà non è stata preceduta dalla violazione
clandestina o violenta del possesso altrui . Si ha una
differenza nella obiettività giuridica ; dunque diffe
renza nel titolo .
Ma sul medesimo criterio del possesso, che serve
di guida a distinguere il furto proprio dallo im
proprio, si svolgono le ulteriori suddivisioni dei
furti impropri .
La occupazione del possesso altrui non può es
sere tenuta a calcolo come elemento della crimi
nosità quando essa fa legittima, quando cioè lo
usurpatore della proprietà entrò in possesso per una
giusta causa di possedere . Chi acquistò il possesso
causa inventionis, o causa commodati, o causa man
dati, o causa depositi, o causa pignoris, od altra
simile , non violava diritto alcuno finchè possedeva
per quella causa. La criminosità incomincia soltanto
quando colui inverte la causa possidendi, e per ar
bitrio suo sostituisce la causa dominii ( illegittima
perchè contro la volontà del padrone) alla causa pre
cedente che era legittima perchè non dissentita.
Ecco perchè i moderni criminalisti Alemanni det
- 340 --

tero a questo reato il nome di crimen interver


sionis ; e più generalmente si venne chiamando ap
propriazione indebita, perchè appunto la criminosità
incomincia dal momento in cui esordisce l'ap
propriazione .
Il criterio dunque che delimita la famiglia delle
truffe dalla famiglia dei furti è la legittimità od il
legittimità del possesso . Abbiasi dunque come regola
assoluta che quando si è usato della cosa senza in
vertire la causa del possesso ; e cioè se ne è usato
secondo la destinazione per la quale era stata con
segnata dal proprietario, MAI sarà truffa. Potrà sor
gere un altro delitto : mai la truffa, ed è errore
il pensarlo .
Infatti se per questo criterio può dirsi che ogni
qualvolta la traslazione del possesso fu consentita
dal proprietario più non può senza errore parlarsi
di furto ( e questa è regola assoluta ) ; non potrebbe
egualmente dirsi che tutte le volte che il proprie
tario consenti alla traslazione del possesso si abbia
sempre una truffa . No : perchè tra la truffa ed il
furto sorge una terza figura, quella cioè della frode
che si stacca ugualmente dal furto e dalla truffa,
e sta quasi nel mezzo ad entrambo loro ; e che
sempre si definisce e si delimita anch' essa sul cri
terio medesimo del possesso .

Non ogni consegna che il proprietario faccia ad


altri della cosa sua volontariamente, è operativa
degli stessi effetti giuridici . È cardinale la distin
zione fra consenso libero ed illuminato e consenso
carpito con inganno e con dolo. Il contratto che
nasce in virtù del primo consenso, è valido ed effi
cace per tutte le conseguenze giuridiche consentanee
- 341 -

alla indole sua . Il contratto che nasce in virtù del

secondo consenso non è rispettato dalla legge , nè


produce vincoli obbligatorii irrevocabili , nè conferisce
diritti solidi e permanenti. Questa massima gene
rale, applicata alla traslazione del possesso, portò alla
conseguenza che il possesso carpito al proprietario
con dolo ed inganno non si considerasse come ge
nerativo di una causa legittima possidendi, e la de
tenzione che ne era derivata si guardasse come
viziosa alla guisa di quella del predone, perchè la
causa possidendi apparente era inefficace a motivo
del dolo che la viziava nel suo principio.
Ecco la genesi razionale della vecchia distinzione
fra truffa con dolo susseguente e truffa con dolo ab
initio. Nella prima è criminosa la sola appropria
zione, non lo è lo impossessamento . Nella seconda
è criminoso lo impossessamento già prima ancora
che sia avvenuta la appropriazione , perchè il con
senso estorto con dolo si ha come non consenso, e
si ha come invito il domino che volle perchè fu
circonvenuto ed ingannato .
Ed ecco in questo criterio costitutivo della sua
criminosità la truffa con dolo ab initio si avvicina
e si assimila al furto . Ed ecco che lo svolgimento
del tecnicismo legale fa sorgere il titolo di frode
(stellionato nella vecchia pratica , inganno in Spagna,
scroccheria in Francia ) il quale è ormai con i
più pronunziati caratteri ugualmente difforme dalla
truffa come è sempre difforme dal furto.
La frode pertanto si sconfina dal furto per questo
che la cosa usurpata non fu dal colpevole sottratta
al proprietario contro la volontà di lui , ma con sua
adesione.
- 342 -

Si sconfina poi dalla truffa per questo che la ade


sione del proprietario allo impossessamento non fu
efficace e giusta, perchè estorta con inganno. Queste
linee sono altrettanto nitide quanto positive e con
cordemente accettate dalle buone scuole.

Non è vero che la truffa e la frode si delimitino


in ragione del titolo per cui fu trasferito il possesso ;
cosicchè la consegna fatta per titolo non traslativo
di dominio generi sempre la truffa e mai la frode.
Alcuni credettero ciò, ma questo è un equivoco.
E l'equivoco consiste nel rovesciare una proposi
zione che è vera ; ma che nel suo rovescio diviene
falsa . È vero che la consegna fatta dell'oggetto con
libera facoltà di disporne esclude sempre la truffa,
la quale ha per suo criterio essenziale che la con
segna fosse fatta con destinazione ad uso determi
nato . Ma non è vero che ovunque si ha consegna
con destinazione ad uso determinato la inversione

in uso diverso generi sempre la truffa e mai la


frode. No : può benissimo nascere la frode anche
in simili ipotesi . Ciò dipende dagli antecedenti della
consegna e non dal titolo della consegna. Ciò dipen
de dal vedere se la consegna fu fatta con buona
fede da ambo le parti, o se invece la consegna si
ottenne con dolo antecedente, con macchinazioni
ed inganno .
Se chi ha vero bisogno per una sua urgenza del
mio veicolo me lo chiede in prestito ed io glielo
consegno, costui da quel momento possiede causa
commodati ; è possessore legittimo del mio veicolo ;
e se dimani si risolve a venderlo per farne denaro
egli delinque con la appropriazione ma non com
mise delitto con lo impossessamento : è reo di truffa.
―――― 343 -

Ma se altri preordinandosi a rubarmi il veicolo me


lo viene a chiedere in prestito allegando false qua
lità, o sotto nome di altra persona a me benevola,
o simulando bisogni fittizi, in una parola mediante
inganno, ed io per causa di quell' inganno glielo
consegno, il possesso di costui è vizioso in origine ;
la sua criminosità incomincia dallo impossessamento
inquantochè il suo possesso non ebbe mai giusta
causa in un contratto lecito , ma ebbe per sola causa
vera il dolo, e per solo fine il delitto : ed il delitto
è frode : ed il delitto è consumato con lo imposses
samento alla pari del furto.
Questo criterio, che delimita la frode dalla truffa,
può esprimersi ancora in una formula più pratica
senza mai uscire dalla considerazione degli antece
denti. E la formula che io dico pratica può essere
questa che si escluda la frode quando l'offerta della
consegna esordi spontanea dalla volontà del proprie
tario. Laddove le ricerche fatte dallo estraneo per
le quali fu condotto il proprietario alla consegna
aprono il campo all' alternativa possibilità della
frode o della truffa, secondo che quelle ricerche fu
rono o no dolose e preordinate alla usurpazione
degli averi altrui.
Queste che ormai sono nella scuola verità incon
cusse hanno conferma nel codice penale Toscano,
che all'art. 404 lett . f così definisce la frode.
È colpevole di frode chiunque sorprendendo l'altrui
buona fede, con artifizi, maneggi, o raggiri, si pro
cura un ingiusto guadagno in danno altrui.
Laddove il codice stesso all' art. 396 dice colpe
vole di truffa - chiunque si appropria una cosa
mobile altrui che gli è stata affidata o consegnata
344 -

per custodirla, amministrarla, restaurarla, tras


portarla, o per qualunque altro titolo che importi
l'obbligo di riconsegnarla, o di farne un uso de
terminato.
La frode nel codice Toscano suppone una conse
gna viziata per gli artifizi e raggiri che indussero
il proprietario a spogliarsi del possesso. Non distin
gue il titolo pel quale si fece il primo contratto :
fosse o no traslativo di dominio, se fu carpito con
artifizi e raggiri, è frode.
La truffa al contrario suppone una consegna non
viziata da inganno, un contratto stipulato in buona
fede, e così un possesso legittimamente trasferito .
La frode si consuma con lo impossessamento
mediante inganno . La truffa si consuma col disporre
della cosa contro la legge del patto stipulato a buona
fede. Quella si esaurisce col pigliare la cosa, questa
con lo invertire la causa del possesso .
XXIV .

QUESTIONI

AD OCCASIONE DELLA GIURIA


QUESTIONI

AD OCCASIONE DELLA GIURIA

J.JA---

I.

Provocazione Questione ai Giurati

1.

Agitavasi qualche tempo addietro ad una Corte


di Assise del Regno un giudizio per omicidio . Il
Pubblico Ministero aveva chiesto la dichiarazione
di colpevolezza in omicidio volontario. La difesa
aveva chiesto l'assoluzione, senza scendere a nes
suna ipotesi di scusa . Ma il Presidente aveva posto
d'ufficio la questione della grave provocazione : e i
giurati avevano dato affermativa risposta alla que
stione principale ed alla subalterna.
Erasi mosso reclamo per annullamento di quel
giudizio, pretendendo trovarne motivo appunto in
questo che il Presidente avesse per arbitrio suo
proposto una questione di scusa non dimandata.
Ma la Corte Suprema respinse siffatto reclamo, e
fece benissimo : e benissimo ancora tributò elogio
348 -

a quel Presidente perchè con quel suo giudizioso


provvedimento avesse dato saggio di doverosa im
parzialità, ed aperto la via alla più retta ammini
strazione della giustizia.
Rileggendo quella sentenza trovo però che il re
latore alle giuste parole di elogio del Presidente
fa succedere parole di rimprovero contro il difen
sore perchè avesse egli omesso di proporre la su
balterna questione della scusa in un caso nel quale
l'esito del giudizio aveva mostrato concorrere ve
ramente la scusa. Questo rimprovero richiama le
mie meditazioni ad una ricerca, la quale sotto un
punto di vista generale è molto delicata e difficile .
Quando è che al difensore corre il debito di pro
porre ai giurati le questioni subalterne di scusa ?
Forse ei lo deve fare tutte le volte che ne trova
qualche elemento in processo ? Io non lo credo .
Nello esercizio del patronato dei rei vi sono dei
momenti non sempre nè da tutti bastantemente
apprezzati, nei quali la coscienza del difensore tro
vasi in uno stato di agitazione e di perplessità più
terribile di quello nel quale trovasi il giudice , se
il patrono intende l'ufficio suo nel vero suo senso
di un sacerdozio onusto di gravissime responsabi
lità. Felici ma non invidiabili a creder mio sono
quei difensori i quali con rara apatia disimpegnano
meccanicamente lo incarico loro, e cercando nel
Codice le singole scuse che la legge prevede come
eventualmente applicabili al titolo di malefizio obiet
tato al loro cliente , tutte le pongono in schiera co
me subalterne ipotesi per consegnarne la decisione
ai giurati ; e credono in tal guisa di avere esaurito
il compito loro . Costoro imitano alcuni Pubblici
- 349 ―――

Ministeri i quali alla lor volta dotati di una rara


freddezza credono che tutto il dover loro consista
nel chiedere il più che si può contro l'accusato ;
nè cercano oltre . Lo spettacolo di battaglie forensi
combattute da ambo le parti con questo sistema .
sono fortunatamente infrequenti ed eccezionali fra
noi. Ma quando si verificano, amareggiano l'animo
di chi le contempla, perchè mostrano che da un
lato e dall' altro si sacrifica la verità ad un falso
sentimento di dovere ; e ricordano le antiche ten
zoni degli Andabasti qui dimicabant oculis clausis.
Se il fatto del patrono che presenta la questione
della provocazione ai giurati per lo imputato di
omicidio alle sue cure affidato non potesse recare
pregiudizio alla sorte del giudicabile ed alla verità
ed alla giustizia, io direi alla buon ' ora ; accettiamo
questo consiglio, mettiamo innanzi per sistema tutte
le scuse possibilmente accettabili ; che niente si per
de con ciò .
Ma disgraziatamente in faccia ai giurati bisogna
dire che non è sempre così. La sorte dell' urna con
duce talvolta nel Collegio della Giuria uomini i
quali completano la loro convinzione più sopra cri
terii esteriori che non sui criterii di colpevolezza
desunti dalle viscere dell' orale processo . Sull' animo
di costoro esercita soverchio influsso il contegno
( e talvolta anche la persona ) del difensore . Essi ne
studiano i moti , ed ogni parola , preoccupati dalla
idea che l'Avvocato abbia le confidenze del giudi
cabile, e sappia veramente come le cose stanno .
Agitata la mente loro in un processo indiziario e
spesso difficile, dal conflitto delle congetture che vi
cendevolmente si frangono, cercano ansiosi come
i

- 350 -

ultimo porto di sicurezza alle loro coscienze gli in


dizii che parrà loro emergere dalla condotta della
difesa. E se in faccia ad un reo negativo , gravato
soltanto da pochi ed equivoci indizii , il patrono
scende alla ipotesi della provocazione, essi non cer
cano altro : concludono da ciò, nella mente loro , che
se il difensore è contento ammetta la scusa a

favore dell' accusato , dunque egli sa che l'accusato


è colpevole. Ed ecco che il patrono col proporre la
scusa ha precipitato alla ruina le sorti del suo rac
comandato forse innocente. Questa situazione e que
sti eventi sono incontrastabili per chiunque abbia
esperienza dei criminali giudizi .
Or come può egli dettarsi come precetto assoluto
al patrono il dovere di proporre la questione di
scusa ? Delicatissimo è questo momento per noi
patroni, e non può la nostra condotta guidarsi da
consiglio altrui, ma illuminarsi soltanto dalla no
tra coscienza.
Quando io sono certo della innocenza del mio rac
comandato nessuno potrà persuadermi che spaven
tato dalle apparenze degli indizi conglomerati a
suo danno io debba porre da banda il coraggio mo
rale di sostenere la innocenza, ed afferrarmi alla
ipotesi. Quando io sono certo in fatto, e sicuro per
le più sante regole di diritto che il giudicabile (con
fitente con qualità) scese ad uccidere nel concorso
del moderame ; o che la scusa a lui per giustizia
dovuta è quella dello eccesso di difesa ; nessuno
potrà persuadermi che sia mio dovere di condurre
i giurati sul terreno della provocazione . I giurati ,
inesperti sulle condizioni della sottilissima linea che
delimita la provocazione o il giusto dolore dallo
- 351 ---

eccesso di difesa, se veggono il difensore alternare


le sue proposte fra questo e quella, facilmente si
persuadono che il patrono abbia spinto le proprie
armi sul terreno del moderame o dello eccesso uni
camente per zelo, o per affetto , o per onore di toga,
ma che ancor egli in fine dei conti riconosca come
più giusta la scusa minore . E se nel primo caso
l'innocente sarà condannato contro le mie convin
zioni e contro la verità ; oppure nel secondo caso
contro le mie convinzioni e contro la verità mate
riale e giuridica, s' irrogherà la pena dell'omicidio
provocato a chi doveva andare affatto immune da
pena, oppure soggiacere soltanto al mite castigo
dello eccesso, non sarò io stesso concausa efficiente
di tali ingiustizie ? e non mi sarò io preparato un
acerbo rimorso ? Oh ! coloro che si fanno a sinda
care con animo freddo il nostro contegno non hanno
provato i palpiti che battono sotto la nostra toga.
Non hanno provato le angoscie e le notti insonni
che ci funestano quando ci cade fra mano il patro
cinio di un uomo che noi crediamo innocente ; e
peggio ancora se tale lo conosciamo ( come talvolta
ci avviene ) per prove sicure ed irrefragabili !
Ma dalla non proposta questione potrà avvenirne
che lo innocente dichiarato colpevole , per un fatale
errore dei giurati , incontri severissima pena invece
della più mite che voi gli avreste forse procacciato
recando innanzi la ipotesi : e questo male sarà pur
colpa vostra ; e questo sarà pure un rimorso che vi
sarete procacciato ? L'obietto è pungente, ma non
mi ferma. Non ammetto transazioni con la verità,
con la giustizia, e con la innocenza. Non ammetto
che neppure come ipotesi possa la difesa accettare
352 -

la condanna dello innocente. Quanto più enorme.


sarà la ingiustizia tanto più facilmente la provvi
denza aprirà una strada al riparo : e se fatalmente
rimarrà salda la iniqua condanna , la colpa non sarà
mia che ogni mio mezzo adoprai al fine di stor
narla : sarà colpa dei giurati troppo corrivi ad ac
cogliere fallaci apparenze : sarà colpa, se vuolsi , an
che del Presidente che in faccia alle incertezze del
processo omise di proporre le subalterne questioni ;
non mia. Egli , che era incerto della colpevolezza e
scorgeva la probabilità di una scusa, doveva pro
porla di uffizio, chè la legge a questo preciso fine
gliene aveva attribuito i poteri : non io che era
certo della innocenza.
Ma poichè sono sceso su questa delicata ricerca
delle persone alle quali incombe il dovere di pro
porre le questioni di scusa mi si permetta di fare
un passo ulteriore. Finqui io era nel mio terreno.
ed esercitava il mio diritto esaminando i doveri dei
.
patroni. Un passo ulteriore mi porterà sul terreno
altrui, e potrà forse aver sembianza di audacia, ma
pure non voglio arrestarmi . È egli vero che i Pub
blici Ministeri non mai debbano proporre questioni
di scusa ?
La Dio mercè questa dimanda incontra una ris
posta negativa dal contegno pratico della maggio
ranza, e quasi direi della universalità dei Pubblici
Ministeri del Regno : e ne abbiano la meritata lode.
Essi comprendono che la missione loro nelle requi
sitorie che spiegano non è quella di obbedire pas
sivamente agli ordini superiori ; nè di cercare a
tutta oltranza soltanto ciò che può condurre il giu
dicabile alle più esagerate penalità ; ma di obbedire
www.y 353

alla voce della loro coscienza , e di farsi i primi giu


dici dell' accusato ; e di chiedere soltanto ciò che
credono vero e giusto. E ne abbiano ( lo ripeto col
cuore ) la meritata lode .
Ma pure mi avvenne d'incontrarne alcuni ra
rissimi in questo onorevole ceto , i quali nodrivano
opposta fede, e seguitavano opposto sistema . E tale
reminiscenza mi è ritornata alla mente nel chiudere
il presente scritto.
Incontrai qualche pubblico Ministero che stimava
essere suo preciso dovere d' insistere ad unguem
sopra ogni particolarità dell' atto di accusa per quan
to ella fosse impallidita al pubblico dibattimento :
stimava commettere grave peccato , o correre risico
di una ingrata traslocazione se avesse abbandonato
o modificato l'accusa : credeva poi fermamente che
nelle sue conclusioni non dovesse niente occuparsi
delle scuse benchè scatenti dal processo : spettava,
secondo lui, alla difesa proporle ; e quando essa le
avesse proposte a lui incombeva per ogni modo.
combatterle . Effetto di questo sistema si era che se
il difensore non proponeva le scuse, esse rimane
vano occulte ai giurati ; o se il Presidente le propo
neva d'uffizio esse venivano a decidersi dai giurati
senza che ne avessero udito discutere gli argomenti.
E se la difesa le proponeva era invertito l'ordine.
della discussione , e avveniva la mostruosità che in
vertito l'ordine della discussione si scambiavano le
respettive parti. Fatto accorto di questa malizia poco
studio mi occorse per vincerla . Io proponeva seria
mente le questioni senza discuterle tranne per meri
accenni allora quel Pubblico Ministero era costretto
a sfoderare tutta l'arringa da lui preparata contro
VOL. V. 23
354 -

le minoranti ; alla quale con forze non esaurite io


poteva a tutto agio replicare : e così io veniva a
restituire alla difesa il campo della parte confuta
tiva che è nel suo diritto. Ma questi sono piccoli
giuochi di forza, e più di forma che di sostanza .
Torniamo alla questione principale. E egli vero che
il Pubblico Ministero non debba mai scendere a
proporre questioni di scusa quando la difesa creda
di suo interesse o di suo dovere di non proporle ?
La pratica generale dei Pubblici Minişteri rispon
de ( e già l'ho detto ) negativamente : e la ragione
proclama questa risposta. Non fa egli parte il Pub
blico Ministero della santa triade che concorre al
l'ordine del giudizio , presidenza , accusa e difesa ?
E non incombe egli a tutti i membri di questa triade,
come dovere comune la ricerca del vero ?, Sia pure
che la difesa non debba farsi attiva a procacciare
la luce del vero in quanto può nuocere al suo cliente .
Ma la parzialità che entro certi confini giustifica
il contegno negativo del difensore non può egual
mente giustificare il contegno negativo dello accu
satore e scusare le sue reticenze, perchè nello ac
cusatore non può ammettersi parzialità . E parzialità
non può ammettersi in lui, perchè non rappresenta
lo individuo , ma la società ; la quale non ha spirito
di parte che la faccia desiderosa della condanna di
un innocente, o bisognosa di una condanna più gra
ve del giusto. Laonde male si rappresenta una per
sona eminentemente imparziale con metodi costan
temente parziali.
Del resto finirò col dire che i difensori non hanno
certamente a piangere di cotesto sistema eccezio
nalmente accanito di qualche Pubblico Ministero ;
355

avvegnachè la esperienza mostri che questo è un


sasso lanciato in aria che ricade sul capo di chi lo
scagliò. Al modo stesso che un difensore col soste
nere le tesi più esorbitanti scredita sè medesimo ,
e uccide nel cuore dei giurati ogni fiducia che vo
gliano porre nelle sue parole ; e con una sperticata
difesa fatta oggi per Pietro nuoce forse alla difesa
che dimani farà per Luigi ; così un Pubblico Mini
stero che mostrisi tenacemente sordo ad ogni ra
gione di scusa, e ad ogni senso di compassione per
lo infelice che siede sulla panca dei rei, indebolisce
la fiducia dei giudici cittadini verso lui stesso, i quali
coltolo in fallo si persuadono che non sempre il vero
suona sulle sue labbra, nè sempre è il giusto la meta
alla quale esso tende. Volere o no la pluralità dei
collegi quando si trova posta nel bivio durissimo,
o di assolvere un colpevole o di sottoporlo a pena
.
esageratamente più dura di quella che crede giusta ,
sarà più facile si appigli al primo partito che non
al secondo . Si ha un bel dire che il giurato non deve
pensare alla pena. Questa è una delle tante favo
lette ipocrite dei tempi nostri , venuta a noi dalla
Francia, e da noi ciecamente accettata per difetto
di esperienza .

Pisa 10 gennaio 1872.

2.

Più come aneddoto che come oggetto di seria


questione giuridica piacemi raccogliere un fatto
ricordato nello interessante giornale che pubblicasi
356 ―――

mensilmente in Catania sotto il titolo - La Giu

risprudenza, anno 11, dispensa 1, pag. 19 .


Discutevasi nanti una Corte di Assise dell' Isola
un' accusa di omicidio il quale era, a quanto sem
bra, manifesto sotto il punto di vista dello speciale ;
e tutto il disputabile concentrava intorno alla scusa
della provocazione ed al grado di questa. Pare che
due fossero state le contese fra l'uccisore e l'uc
ciso sempre con l' aggressione per parte di questo :
ma pare che l'ucciso nel primo scontro avesse tra
sceso a violenze corporali a danno del suo avver
sario senza che questi reagisse ; e che nel secondo
scontro l'ucciso non avesse rinnovato che soli ol
traggi più lievi ; i quali fatto traboccare lo sdegno
dell' altro lo avevano spinto alla strage del suo
persecutore. Or poichè il codice Sardo distingue
( con notabilissima differenza di effetti nella degra
dazione della pena ) la provocazione in semplice e
in grave, e definisce ( o almeno esemplifica ) le
condizioni subiettive costituenti la provocazione gra
ve, così in quel caso poteva dubitarsi se la provo
cazione fosse a dirsi semplice o grave ; perchè se
la si faceva consistere negli atti oltraggiosi che de
terminarono immediatamente ad uccidere potevano
questi aver sembianza di provocazione semplice ;
mentre se la si faceva consistere nelle violenze

inferite nel primo scontro, la provocazione assu


meva il carattere di grave. Sembra che al Presi
dente di quella Corte di Assise non andasse a
genio la cumulazione delle due risse pei fini di
desumere la provocazione dal complesso delle suc
cessive offese : sembra che per opinione sua quel
breve intervallo di tempo che era passato tra la
- 357

prima e la seconda contesa dovesse giuridicamente


segregare i due fatti per guisa da non doversi più
tenere alcun conto a scusa del giudicabile di quanto
egli aveva ingiustamente patito dal suo nemico
nella prima contesa ; quantunque la seconda non
fosse che una continuazione della prima ; e quan
tunque alla strage consumata nella seconda il giu
dicabile fosse stato sospinto dall' impeto d' ira già
destato nell' animo suo per le prime offese , la ef
fervescenza del quale aveva traboccato ad occasione
delle seconde . Questa opinione era evidentemente
erronea, perchè la provocazione non ha la sua ra
gione escusante in una od in altra materialità este
riore, ma nello impeto d'ira eccitato nell' offeso da
quella materialità con grave turbamento dell' anima
sua, e soggiogamento della sua ragione . Impeto
d'ira che quando procede da giusta causa deve
ammettersi come scusa all' omicida ; e che conse
guentemente serba la sua potenza escusatrice fin
chè dura la effervescenza dell' ira senza riguardo
allo intervallo del tempo . Il criterio delle materia
lità esteriori è buono soltanto per giudicare la giu
stizia od ingiustizia della causa provocante all' ira,
onde decidere se questa fa ragionevole o irragio
nevole e bestiale : ma una volta stabilito questo cri
terio la scusa assume il suo carattere costituente
nella alterazione psicologica dell' accusato ; e qui
( unicamente qui ) si concentra il valore giuridico
della scusa. Non si scusa il feritore per ciò che
altri ha fatto, ma perchè il fatto altrui lo ha get
tato nella vertigine dell' ira, e questa ha turbato il
suo intelletto e modificata la sua libertà di elezione .

La essenza della scusa dipende tutta da una inda

}
358

gine psicologica; e poichè nella natura dell' uomo


è impossibile determinare a priori la durata del
bollore dell' ira, così è impossibile prestabilire una
misura di tempo fra la offesa provocante e la rea
zione succedutane ; e secondo tale misura ammet
tere o negare la scusa. Questa verità si riconobbe ,
e si riconosce da tutti i criminalisti antichi e mo
derni, i quali tutti chiusero lo studio di questa im
portante ricerca consegnandone la soluzione alla
apprezzazione complessiva dei fatti. E così deve
farsi se si vuole il trionfo della giustizia nella sua
vita pratica. Non deve pertanto porsi sulla bilancia
unicamente la ultima goccia di liquido che ha fatto
traboccare il vaso e che può essere meschinissima ;
ma quella goccia deve sommarsi col liquido prece
dentemente raccolto colà : perchè se deve formarsi
giudizio sul traboccamento deve portarsi in calcolo
la somma di tutte le cause che condussero a quel
traboccamento . Nel momento fatale dell' ultima rea
zione alla lieve offesa allora inferita, dovette farsi
nella mente del giudicabile la somma di questa
lieve offesa con tutto lo acervo delle precedenti
che furono gravissime : questa somma rinfocò l'ira
sua non ancora sopita : la eruzione di questa ebbe
per causa quella somma di dolori che tutti si fe
cero vivi e presenti alla mente dello aggredito :
nella verità delle cose la causa dell' ira fu quella
somma e non soltanto l'ultima ingiuria. Se dunque
la forza escusante dell' ira deve giudicarsi e misu
rarsi sul criterio della causa che la suscitò, è in
giustizia palpabile tener calcolo soltanto dell' ultimo
dolore nella valutazione di un' ira la quale ebbe
per causa un coacervato di continuati dolori.
359 ―

Cose le sono queste elementarissime nelle scuo


le; generalmente riconosciute dai giudici magistrati ,
e per intuizione del senso morale universalmente
sentite dai giudici cittadini.
Nelle antiche pratiche questo dubbio si discusse
rimpetto alla formula in continenti, con la quale
alcune leggi limitavano la scusa accordata alla rea
zione eccitata dal giusto dolore . Se la reazione deve
farsi in continenti ( fu dimandato ) quale è desso il
significato di questa formula ? Impone essa come
condizione necessaria alla scusa che la reazione sia
immediatamente contemporanea alla offesa che de
stò l'ira o il giusto dolore ? E la comune dei dot
tori rispose che no. La parola in continenti fa in
tesa nel senso d'illico, cioè senza dilazione, senza
intromissione di circostanze che avessero calmato
quel dolore o quell' ira, e così continuando lo stato
di esaltazione. E Caballo , e Carpzovio esa
minando la l . 32 ff. ad leg . Juliam de adulteriis
ammisero che la vendetta dovesse dirsi eseguita
in continenti ancorchè fosse avvenuta dopo qualche
ora se in questo intervallo aveva perseverato la per
turbazione dell' animo : dicitur in continenti quod
fit uno impetu licet duret per horas. Laonde chi
oggi in faccia ad una legge che non appone con
dizione di tempo volesse richiedere lo estremo della
contemporaneità si mostrerebbe senza accorgersene
più fiero dello stesso Carpzovio già troppo ce
lebre per le sue severe opinioni.
Ma sembra che quel Presidente tenesse nell' ani
mo una opinione diversa ; nè di questo ci cale . Fatto
è che dubitando a buona ragione di non trovare
simpatia per quella sua dottrina nei giudici popo
360

lari, pensò accortamente nel calore del suo zelo di


porre i giurati in un letto di procuste accalappian
doli con una questione abilmente intrecciata . Ed
ecco come egli la pose , secondo quello che leggesi
nel succitato giornale ― ivi È costante il fatto

che quando Zocco uccideva il D'Angelo, era nel


l'impeto dell' ira perchè dal D'Angelo provocato
nel CONTEMPO con vie di fatto ? Essendo le vie di
fatto avvenute nella precedente contesa è chiaro
che la insinuazione finissima di quella formula nel
contempo obbligava la coscienza dei giurati a dare
una risposta negativa alla questione di scusa per
la mancanza della contemporaneità . Quella questione
conteneva tre vizi gravissimi ――― 1. violava il rito,
sostituendo alla formula legale una formula improv
visata dal Presidente - 2.º Violava i più certi ca

noni di giure penale, introducendo lo estremo della


contemporaneità nella provocazione - 3.º invadeva
la competenza della giuria, arrogandosi il Presiden
te la apprezzazione del fatto che a lei solo pertiene .
Fece dunque il dover suo la difesa quando sollevò
incidente alla Corte avverso quella questione : e
poichè la Corte con una motivazione singolarmente
contradittoria ebbe respinto le opposizioni della di
fesa, questa fece di nuovo benissimo il dover suo
invocando l'oracolo della Corte Regolatrice . Nè que
sta venne meno al suo ufficio , quando col decreto
del 2 febbraio 1871 censurò quello eccesso di zelo
presidenziale , e cassò come doveva lo anormale
giudizio - La legge ( ecco le parole di quel decreto )
parlando d'impeto d'ira e provocazione non di
stingue se il fatto che ha destato l'ira sia contem
poraneo al reato o lo preceda. La esistenza dell' ira,
-- 361 __

e la causa che la determinò, costituiscono una que


stione di fatto non subordinata a modalità alcuna.
L'avere quindi proposta la questione relativa alla
provocazione con una modalità che la legge non ha
postola contemporaneità --- oltre una violazione

di rito, costituisce ben pure una violazione di diritto,


essendo missione del potere giudiziario applicare le
statuizioni del codice non già sostituirsi all'autorità
legislativa e disporre in sua vece.
Questa ed altre molte analoghe dispute che sor
gono innanzi le Corti del Regno governate dal co
dice Sardo sono difficilmente prevedibili in Toscana
dove l'art. 310 del vegliante codice si astiene affatto
da ogni definizione della scusa della provocazione.
In tal guisa il codice Toscano ha portato all'ultimo
svolgimento applicativo il precetto scientifico che la
scusa della provocazione dipende in ultima analisi
dalla apprezzazione dei fatti. Questa verità si do
vette in fin dei conti riconoscere anche dal codice
Sardo, il quale nella terza parte dell' art. 562 dopo
aver subito la sua consueta voglia di definire col
tentare una definizione della provocazione grave ;
dovette poi subire anche qui la necessità delle cose,
chiudendo col dire doversi la gravità della provo
cazione valutare ――― ivi ――――― avuto riguardo all' indole

dei fatti ed alla qualità delle persone provocanti e


provocate. Lo che mostra ad evidenza ( checchè
possa da taluno opinarsi in contrario ) che la gra
vità della provocazione, anche in faccia del codice
Sardo, è questione di fatto e non è questione di
diritto.
Non è dunque a temersi che sotto il codice To
scano un Presidente di Assise voglia tentare il
362

guado così infelicemente tentato dal preside Sici


liano ; e nella questione sulla provocazione intrudere
una definizione sua dove la legge si astenne asso
lutamente dal definire. Bensi il dubbio appo noi può
assumere altra forma quando nello infinitamente
variabile svolgimento dei fatti concreti sia la difesa
quella che trova lo interesse suo nel richiamare i

giurati a pronunciarsi sopra un fatto speciale co


stituente ( a suo credere ) provocazione legittima.
Potrà egli il Presidente negarsi a questa specia
lizzazione di fatto quando il difensore con insistenza
ne proponga e ne formuli il quesito ?
Questo io crederei di non concordare. L'art. 495
del vegliante codice di procedura penale ci sembra
autorizzare in questo senso la delicatissima soluzione
del proposto dubbio -―――― ivi ――― allorchè l'accusato

ha proposto per iscusa un fatto ammesso come tale


dalla legge, e richiede che se ne proponga una
questione ai giurati, il Presidente lo farà, e for
mulerà la questione come segue. Il fatto ..
è egli costante ? L'accusato non deve dunque a
mente di questo articolo proporre una scusa sin
tetizzata in una formula giuridica. Se il difensore
si appaga di una simile posizione di quesito egli è
nella sua facoltà, e niente lo impedisce . Ma se il
difensore insiste perchè i giurati si richiamino ad
affermare o negare il fatto speciale nei puri ter
mini con i quali il giudicabile lo dedusse, parmi che
egli abbia in ciò l'assistenza della lettera della
legge, e che non siavi autorità che possa coartare
la sua azione defensionale . Qualsisia disputa sul
l'essere o no quel fatto la legittima rappresentanza
della scusa ammessa dalla legge è disputa prepo
363 ----

stera ; la ultima decisione della quale potrà non


spettare neppure alla Corte di Assise ma riserbarsi
in definitivo alla Cassazione . Basta che il fatto sia
di tale natura da potere rientrare nelle condizioni di
quelli che hanno potenza escusatrice . In questo sta il
passaporto della questione defensionale. E quando
ciò ricorre, se la difesa trova interesse di specializ
zare il fatto della questione , essa ne ha la balia per
la lettera dell' art. 495 ; e questa via non può esser
le preclusa da un pregiudizio del Presidente o della
Corte . Quando la legge lascia integralmente alla
mia facoltà la proposta di una questione, è ben ra
gionevole che io la proponga in quel senso nel quale
io intendo di sostenerla . E quando la legge di rito
insegna doversi dimandare se è costante il fatto,
parmi si contradica alla legge negando di esprimere
il fatto nella questione. Facendosi giudice anticipa
tamente delle deduzioni che io sarò a trarre dal
fatto capitolato, la Corte o il Presidente vengono in
sostanza a pretendere che io difenda a modo loro ,
ed invadono il campo della difesa.
Ma una questione anche più delicata, e che an
cora non vidi esaurita, emerge dall' art. 310 del co
dice penale Toscano .
L'art. 310, §. 2, non definisce la provocazione per
criterii positivi. I criterii positivi di questa scusa
sono dunque assolutamente lasciati alla pura ap
prezzazione del fatto . Quell' articolo sembra però
definire i criterii negativi con la susseguente formu
la ――― senza che questi ( l'uccisore ) ne avesse dato

all' ucciso alcun motivo ragionevole. Non basta dun


que che il giudice affermi a sè stesso il concorso
del fatto provocatore ( indagine di puro fatto ) bi
364

sogna inoltre che neghi ancora a sè stesso che l'uc


cisore avesse dato un motivo, e finqui anche il cri
terio negativo rimane nell'ambito del puro fatto .
Ma il giudice bisogna ancora che decida se quel
motivo dato dall' uccisore all' ucciso, e che indusse
questo all' aggressione provocatrice, fosse o no ra
gionevole. Questa ultima è proprio anche essa, e si
manterrà essa sempre ed in tutti i casi nei limiti
di una indagine di puro fatto ? Ecco il mio dubbio .
In altri termini quella ragionevolezza del motivo
è dessa nella mente del nostro legislatore un quid
puramente morale che rimanga tutto sotto la si
gnoria dei giurati ; oppure può convertirsi talvolta
in un quid giuridico appartenente al giudizio ma
gistrale ? Ecco la ultima formula del dubbio.
Può avvenire in un caso pratico che nessuna que
stione sorga sul fatto provocatore : l'ucciso aggredi
improvvisamente l'avversario mentre questi tran
quillo passava per la via. È pacifica e concordata
questa situazione di fatto . Ma l'accusa, non potendo
impugnare l'aggressione violenta esordita dall' uc
ciso, si getta a combattere sul motivo ragionevole.
Quell' aggressore era, a modo di esempio, un ma
rito : egli aveva concepito gelosi sospetti contro il
giudicabile e lo aveva invitato a non eleggere il
luogo di suo passeggio sotto i balconi della sua
donna. E qui l'accusa trova una imprudenza ripro
vevole nel giudicabile che non rispettò quelle su
scettività maritali ; e trova correspettivamente un
motivo ragionevole nelle invettive e nell' aggressione
di quel marito . Su questa base egli nega la dove
rosità della scusa ; e tutta la disputa fra accusatore
e patrono s'impegna su questo terreno . Sarà que
365

sta una questione di mero fatto, oppure potrà dirsi


che il decidere cosa abbia inteso la legge per mo
tivo ragionevole è interpetrazione di legge e così
e questione di diritto ?
E se, o l'accusa o la difesa, nel preconcetto che
i termini speciali del fatto attribuiscono alla que
stione della ragionevolezza il carattere di questione
giuridica si vogliono mettere in grado di procac
ciare completo corso a questa discussione (a senso
loro) giuridica : ed a tal fine vogliono assodare in
fatto quelle materialità che nel respettivo intendi
mento valgono a dimostrare la ragionevolezza od
irragionevolezza della provocazione ; e propongono
apposita questione ai ginrati per trarne poscia , se
condo la risposta della giuria, le opportune conse
guenze giuridiche ; potranno essi farlo ? Per esem
pio : l'accusa crede che i giurati daranno risposta
affermativa sulla circostanza che il giudicabile real
mente amoreggiasse con quella donna ; e vuole pro
porne speciale questione. Oppure la difesa crede
provato dagli atti che quel marito era un geloso
pazzo il quale dava noia a tutti gli uomini che pas
savano per la contrada sospettando di tutti ; e su
questo precedente insiste perchè sia proposto appo
sito quesito ai giurati . Potrà essa venire impedita
dall' autorità presidenziale o dalla Corte ?
La questione nella prima forma non ha alcun
appoggio nel testo della legge ; perchè un semplice
amoreggiamento non è un reato nè una circostanza
che aggravi il reato . Ma nella seconda ipotesi la
questione desiderata dalla difesa ha l'appoggio nel
testo letterale della legge : perchè essa chiede la
verificazione di un fatto il quale serve a comple
- 366 ---

tare la scusa ammessa dalla legge . E regolando il


modo col quale deve esser posta la questione de
fensionale fa positivo precetto che si formuli in que
sti termini ――――― ivi ――――― Il fatto ( dedotto dall' accu

sato ) è egli costante ?


Io non intendo neppure questa volta di sostenere
una tesi , ma di manifestare un dubbio, aspettan
done la soluzione o dallo svolgimento della dottrina
o dalle pratiche contingenze.
Mi basti avere in questo scritto assodato, sull' au
torità del giudicato Siciliano, che tra le facoltà pre
sidenziali non può esservi quella di dare a suo
modo una definizione della provocazione.

Pisa 12 febbraio 1872.

II.

Giuria ――――― Riassunto.

Il problema dei giurati in Italia sembra al mio


corto intelletto, o una questione esaurita, o una que
stione non ancora matura per la ultima decisione .
È una questione esaurita se la si guarda sotto
un punto di vista generale, e meramente specula
tivo. Dove a fondamento del giure pubblico interno
si è posto il principio della sovranità popolare : dove
come necessario svolgimento di quel principio si è
proclamato essere incompleta la legittimità di qua
lunque esercizio di autorità legislativa al quale non
367

sia concorso in una od in altra forma il popolo col


mezzo dei suoi rappresentanti : in tale paese , ed
appo tali postulati è necessario si riconosca ezian
dio non essere completamente legittimo lo esercizio
dell' autorità giudiciaria quando al medesimo non
sia in una od in altra forma concorsa la rappre
sentanza del popolo . Respingere questa ultima con
seguenza vale lo stesso che mancare alla logica, e
non servire al bisogno al quale si mira. Avvegna
chè si tolga alla tirannide la voce che soltanto at
terrisce ; e le si lasci armata la mano che atterrisce
ed opprime . Si può impugnare in radice quel fonda
mento : ma quando sia una volta accettato non è pos
sibile rinnegarne questa ultima conseguenza , senza
cadere in aperta contradizione, e senza rendere ef
fimere e derisorie le guarentigie che sonosi volute
dare alla libertà dei cittadini.

Ma la questione è immatura se la si guarda sotto


un punto di vista pratico : sia che voglia cercarsi
in principio se la forma desiderata per mantenere
al popolo la debita parte nello esercizio della au
torità giudiciaria voglia essere quella della giuria,
ovvero altra forse più radicale e più seria, la quale
il rispetto ai diritti dei cittadini sappia ordinare in
modo da far loro usufruire la sapienza dei dotti :
sia che ( prescelta la forma della giuria ) voglia eli
minarsi quella serie innumerevole di difficoltà ; vo
gliano sciogliersi quei molti e gravissimi dubbi che
circondano ad ogni passo la istituzione dei giurati
nel suo movimento pratico , e nella sua vitale at
tuazione. È immatura perchè quella serie di pro
blemi difficilissimi non può giungere ad una serena
e definitiva soluzione senza il soccorso di dati spe
――――― 368

rimentali pazientemente ed imparzialmente raccolti


non per due anni nè per dieci, ma pel corso di
parecchie generazioni, le quali siano nate e cresciute
·
sotto il sole della libertà, e della pratica delle virtù
cittadine. Giudicare della bontà di una macchina per
l'uso che ne facciano persone non ancora esperte
al maneggio della medesima è vera temerità : come
è farisaico sofisma quello di chi vorrebbe aspettare
ad usar della macchina quando si avessero uomini
esperti al governo della medesima. Questo ultimo
concetto, col quale troppo spesso si mira ad arre
stare per tutta la eternità ogni idea di progresso,
rassomiglia perfettamente alla facezia di Jerocle Si
racusano quando diceva che l' uomo mai dovrebbe.
gettarsi nell' acqua finchè non avesse bene impa
rato l'arte del nuoto. O bisogna dichiararsi perpe
tuamente stazionarii, e respingere ogni e qualunque
nuovità ; o bisogna adattarsi alla necessità delle cose,
tollerando quel periodo di transizione che è inevi
tabile in ogni instaurazione di cosa nuova, e non
affrettarsi a pronunciare il giudizio definitivo sulla
convenienza della medesima per qualche mala prova
che possa aver fatto nel suo iniziamento per effetto
del manco di esperienza nei suoi fautori , o per
troppa perseveranza di prevenzione ostile nei suoi
oppositori . Minerva uscì tutta armata dal cervello
di Giove ma nella Minerva i pagani configurarono
una Divinità partorita dalla Divinità.
Malgrado questo insuperabile vero la alacrità dello
spirito umano si getta appunto viepiù veloce attorno
a ciò che meno gli è dato raggiungere . Di qui la
folla degli scritti giuridici che vengono oggi pullu
lando da ogni angolo d'Italia , o per levare a cielo
- 369 ――――――

la novella istituzione, o per irriderla e maledirla.


Molti di tali scritti sono evidentemente in uno od

in altro senso ispirati alla passione politica, che è


sempre perfida consigliera nelle questioni di diritto.
Molti e molti altri che non toccano la questione nel
suo fondo, presentano osservazioni che possono esser
preziose, ma che sono semplici pietre utilmente ap
portate all' edifizio che dovrà essere coronato dai
posteri. Sono lampi di luce, ma è talvolta quella
luce che abbaglia gli occhi del viandante, e lo smar
risce nel sentiero ; tal' altra volta è vera luce, la quale
però non mostra al viandante che una breve span
na del suo cammino , nè basta a fargli intravedere
la meta .

Di tali osservazioni, e di ogni pensiero che esce


da intelletto umano su questo grave argomento,
deve la nostra generazione studiosa tener conto
con amorevole cura per farne oggetto di severe
meditazioni e di confronto coi fatti. Ecco l'opera
di elaborazione che incombe a noi italiani in questo
periodo. Studiare un problema arduo , interessante,
e difficile con la coscienza di desiderare la verità :

mai affacciarsi a simili questioni con lo intendimento


di assodare un teorema già dimostrato per opinioni
da noi preconcette .
E questo debito di maturare anche i più fugaci
pensieri che vengano a manifestarsi sul conto della
giuria, ne corre più specialmente quando siffatti
pensieri scaturiscano dal supremo oracolo delle
Corti regolatrici, nelle quali si raccoglie tutto il
meglio della sapienza giuridica italiana, e che si
compongono di uomini sommi per probità, per in
gegno, e per immensa dottrina.
VOL. V. 24
- 370 -

Mi si permetta dunque di raccogliere uno di tali


pensieri, che trovo nel giudicato della Corte di Cas
sazione di Torino, in causa fratelli Monti, del giorno 8
agosto 1870.
Tutti conosciamo la controversia che divide i giu
risti italiani intorno al riassunto presidenziale delle
Corti d'Assise . Avvi chi vorrebbe assolutamente
respingerlo come pregiudicevole alle guarentigie
dovute alla innocenza : avvi chi lo considera come
inutile perditempo : avvi chi lo sostiene come utilis
simo e persino necessario : avvi chi vorrebbe man
tenerlo, ma con migliori limitazioni. Questo dissidio
nasce da due cagioni . O da un eccesso di fiducia
o di sfiducia preconcetta nell' animo verso i giurati :
oppure dalla accidentalità di qualche singolo spe
rimento : avvegnachè di facile si comprenda che chi
assiste ad un resoconto imparziale , doveroso , ed
esatto, che si faccia dai presidenti ( e sono i più ) i
quali rammentano l'obbligo che loro corre di non
convertire il resoconto in una seconda requisitoria
di accusa, se ne parta edificato ed innamorato di
quella forma. Laddove chi sventuratamente venga
ad imbattersi in uno di quei presidenti eccezionali
che tengono opposto modo, bisogna che se ne parta
con la coscienza ferita da un senso di aborrimento
verso simile forma.
Ma io qui non prendo a trattare la questione del
riassunto presidenziale . Dio mi guardi da tanta te
merità. Io non mi fermo che sopra un unico punto
della questione ; punto vitale sì, ma punto unico e
semplice, sul quale sono stati lungamente incerti i
pensieri miei, e lo sono tuttora.
- 371 --

Il pericolo del riassunto presidenziale non sta


soltanto in una manifestazione di voto che impru
dentemente si faccia e che possa trascinare i giu
rati in una via dove forse le loro convinzioni non

li avrebbero spinti . Il pericolo più direttamente sen


sibile e che contiene coartazione di difesa sta in
questo che il presidente abbia raccolto in processo
ulteriori circostanze a carico dell' accusato oltre quel
le che sonosi contestate e svolte nella requisitoria
del Pubblico Ministero , ed intorno alle quali la di
fesa ha potuto esaurire l'ufficio suo. A tali circo
stanze non mai finora obiettate il difensore non
poteva nè doveva preventivamente rispondere . Non
lo poteva, perchè non era fornito del dono profe
tico : non lo doveva, perchè veggendole dimesse nel
le contestazioni scritte ed orali del pubblico accu
satore, egli aveva giusta ragione di crederle ab
bandonate per la loro riconosciuta fallacia od in
concludenza, ed avrebbe male risposto all' ufficio
suo evocandone le ombre.
Ora se avviene che alcuna di simili circostanze
si ponga innanzi novellamente dal Presidente nel
momento decisivo e fatale del suo riassunto , è ma
nifesto che la difesa è coartata . Al riassunto non
può rispondere il difensore . Forse quelle circostanze
non sono che equivoci dello stesso Presidente : forse
già erano state confutate e distrutte da migliori.
verificazioni in processo ; ed era perciò che il Pub
blico Ministero con senno migliore le aveva abban
donate : basterebbe forse lo accenno ad una pagina
del processo , basterebbe forse una sola parola a
dileguare quel fantasma : ma quello accenno e quel
la parola sono interdetti al patrono , il quale con
--- 372 ―

dannato a doloroso silenzio bisogna sopporti muto


ed inoperoso che il fantasma dello errore invada il
tempio della verità e trascini in un falso sentiero
la coscienza dei giurati.
È questo per opinione mia il maggiore pericolo
del riassunto .

E meditando su questo io mi sono più volte di


mandato cosa avrei potuto fare e cosa avrei fatto se
per mia sventura mi fossi trovato in simile cimento.
Una sola volta io vidi in pratica questo caso : e
posso bene narrarlo senza incontrare l'accusa di
rivelare i misteri del foro, perchè nel foro io non
conosco misteri, e perchè ciò che avviene ad un
pubblico dibattimento è nel dominio di tutti . Fu alle
Assise di Siena. Sedeva al banco della difesa l'ono
revole Avvocato Piero Puccioni. Il Presidente ( nuo
vo d'ufficio ) erasi dato a snocciolare un riassunto
di sua creazione, tutto vagante fuori del cerchio delle
contestazioni sulle quali era caduta la discussione .
L'esimio patrono non si stette con le mani alla
cintola : si alzò, protestò , minacciò richiamarsene
alle supreme giurisdizioni. Nacque una disputa : ma
l'incidente non ebbe seguito, perchè il Presidente
riconobbe il suo torto , e finì col dire, ebbene rico
mincierò daccapo .
Rispondendo a quella dimanda che io proponeva
a me stesso , io mi era dunque tranquillizzato su
questo esempio . Ove simile caso mi avvenga prote
sterò, chiederò atto delle proteste nel processo ver
bale, e non potrà venirmi negato ; e se il Presidente
non retroceda ne avrò sicuro mezzo di far cessare il
giudizio. Ed in questa conclusione io mi era fermato.
―――――――― 373 .-

Ma leggendo testè il resoconto del succitato de


creto della Corte di Cassazione di Torino , come ne
vien dato dalla Temi Zanclea anno 2, n. 9, io vi ho
letto parole che mi hanno costretto a meditare di
nuovo sulla via da tenersi dal patrono in simile
emergente. E le parole sono le seguenti, che tras
crivo dal citato giornale - Il riassunto Presiden
ziale e il modo di condurlo non può esser giammai
soggetto a reclamo o censura, salvo se il Presidente,
con manifesto abuso di potere, esca dai limiti della
discussione, ponendo dinanzi ai Giurati fatti o cir
costanze nuove, argomenti da nessuno sviluppati, o
documenti non prima esaminati e discussi in con
tradittorio. In questo caso l'accusa e la difesa pos
sono dimandare alla Corte la riapertura del cibat
timento allo scopo di esaminare e discutere ciò che
di nuovo il Presidente ha presentato ai Giurati.
Se queste parole io avessi incontrato in uno scritto
di qualche privato , le avrei tenute in conto di uno di
quei lampi di luce che ho accennato di sopra, e non
vi avrei fermato la mente : ma trovandole in un ora
colo della Suprema Magistratura del Regno ( siano
pur dette in via perfuntoria, piuttosto come consiglio
che come pronunciato ) ne ho tratto argomento di
serie dubitazioni : le quali dubitazioni mi piace di
rendere di pubblica ragione per la importanza della
materia, e perchè i colleghi miei possano con miglio
re acume risolverle . Ecco dunque i miei dubbi .
1.º Il modum tenendi, che qui suggerisce il Su
premo Magistrato, è desso tassativo ed esclusivo ,
oppure meramente facoltativo ? Mi spiego .
Dato che un Presidente nel suo riassunto faccia
fondamento di una circostanza o documento nuovo
- 374 -

non prima obiettato, il patrono si sarà egli posto ba


stantemente in regola col protestare e fare i riservi
del ricorso in Cassazione ? Potrà egli temersi che su
1. tale ricorso la Corte Suprema gli risponda che egli
doveva chiedere la riapertura della discussione su
quella circostanza nuova ; e che non avendo fatto
ciò, ed essendosi limitato alle proteste e riserbi , egli
ha pregiudicato al proprio cliente ?
Questo primo dubbio pone la coscienza del patro
no in grave imbarazzo ; perchè mentre noi difen
sori eravamo tranquilli che la via del riparo contro
tale ingiustizia fosse aperta e sicura nelle proteste,
nei riservi , e nel ricorso ; la opinione emessa nel
decreto 1870 ci fa temere che la via novellamente
suggerita della riapertura parziale della discussione
possa avere per suo contenuto la negazione del
l'altro mezzo ; giusta la regola che dove si è pre
termesso di chieder giustizia subito quando la si
poteva ottenere , tardi se ne chiegga nella via straor
dinaria il riparo ?
Su questo primo dubbio io mi permetto di emettere
opinione nel senso che l'ulteriore rimedio, suggeri
to come adoperabile nella via ordinaria, non renda
inefficace il rimedio per generalità competente nella
via straordinaria. Già quella pretesa regola che mi
sono obiettato è tutt' altro che assolutamente vera.
Essa non procede che in rari ed eccezionali casi ,
e precisamente in quelli nei quali può affermarsi
che il mezzo ordinario incomba al patrono come
dovere e non come semplice facoltà. Ma parmi poi
troppo severa sentenza ritenere che quando si ac
corda il mezzo più pingue siasi voluto ritogliere il
meno pingue.
- 375 ―――

2. Ma siamo noi patroni sicuri di avere questo


diritto alla riapertura parziale del dibattimento ?
Certamente non può dirsi che tale diritto fino a
tutt'oggi sia consolidato da un effato giurispruden
ziale ; perchè simile carattere non hanno le mere
considerazioni di una sentenza per quanto autore
vole. Non avremmo dunque a sostegno nostro che
un' autorità dottrinale : autorità rispettabile sovra
ogni altra, ma che non impedisce ad un consesso
di Magistrati di scendere in opposta opinione . Un
testo di legge che in qualche modo avvalori questo
nuovo sistema ci manca affatto . Anzi tutte le dispo
sizioni che governano la economia dei giudizi orali
alle Corti d'Assise procedono ( per quanto pare alla
mia tenuità ) sul concetto che la chiusura del di
battimento una volta pronunciata lo sia irretrat
tabilmente. E se io faccio istanza alla Corte di Assise
perchè riapra la discussione sopra una circostanza
improvvisata dal Presidente, e non prima proposta
e discussa ; e la Corte mi rigetta la istanza ; qual
sarà la legge che io potrò denunciare come violata
da tale rejezione ? Sarà certamente violato dal Pre
sidente l'articolo che prescrive i limiti nei quali gli
corre l'obbligo di circoscrivere il suo riassunto.
Ma quell'articolo era già violato prima della mia
istanza, e rimane pur sempre violato malgrado la
rejezione di questa. Cosicchè io non posso reclamare
contro la rejezione della istanza, ma contro il fatto
illecito del Presidente. A qual pro dunque rinnuo
vare le sorti del giudizio con quella istanza quando
il fatto presidenziale mi ha già acquisito il diritto
allo annullamento .
--- 376 ――――――

3.º Ma guardata la questione in radice , e dicasi


pure a diritto costituendo , può egli ammettersi que
sto nuovo sistema? Io rispettosamente penso che no.
E penso che no perchè con tale sistema si allar
gano a dismisura in un modo intollerabile i poteri
del Presidente. Gli si dà manifestamente balia di
eccedere i limiti della propria giurisdizione ; ed in
vadere la competenza del Pubblico Ministero . Si
converte il riassunto in una nuova requisitoria di
accusa. Quando il Pubblico Ministero nel libello e
nella requisitoria orale ha posto in linea di battaglia
tutto il suo armamentario, e la difesa ha contro
quello strenuamente pugnato ; ecco il Presidente
t con una seconda requisitoria di accusa : esso vi
porta contro una serie di circostanze o di docu
menti, tutte nuove e tutte inaudite dall' accusato e
dal suo patrono. E cosa è egli questo se non vera
mente e propriamente un nuovo libello accusato
rio ? Avremo dunque non più un solo Pubblico Mi
nistero, ma due. E questo è poco .
Col sistema anzidetto non si elimina il vizio
della coartata difesa ; anzi si accresce : e si accresce
contro lo spirito di tutti gli ordinamenti della pro
cedura penale , i quali tutti hanno gelosamente sta
bilito termini e forme per raggiungere il santo fine
T
che nulla di nuovo e d'impreveduto nel pubblico
dibattimento ( tranne per le accidentalità che sono
inseparabili dalla sua natura ) piombi addosso al
l'accusato ed al suo patrono, senza che egli abbia
avuto agio e tempo alla doverosa repulsa. Se un
testimone aggiunge alla udienza una circostanza
nuova, od indica un documento finquì sconosciuto,
e il Pubblico Ministero ne fa tesoro, questa è una
377 ―

eventualità inseparabile dal processo orale ed un


risico ingenito alla natura sua , al quale si sa do
vere essere esposta così l'accusa come la difesa .
Ma che in faccia all' art. 494 del nostro codice di
procedimento penale , il quale tassativamente impone
al Presidente di niente dire oltre quello che è stato
detto dall' accusatore o dal difensore , si conferisca
al Presidente la balia di obiettare all' accusato cose
totalmente nuove, facendosi tranquillo l' animo circa
il pericolo della innocenza col simulacro di una di
scussione inattesamente riaperta, e di una difesa
improvvisata ; ella è cosa che a me non par buona
in teoria nè accettabile in faccia alle leggi che ci
governano.
Rispetto come consona alla giustizia la regola
ubi advocatus deest judex suppleat . Ma la ben di
versa regola ubi accusator deest judex suppleat, è
tutta propria del processo inquisitorio, e repugnante
fino all' assurdo alle funzioni del giudice nel pro
cesso accusatorio il quale è il tipo della seconda
fase del processo misto . Quando il Presidente ha
dichiarato chiuso il dibattimento deve esser chiuso
regolarmente per tutti ; e non può essere nelle fa
coltà del Presidente di riaprirlo ad arbitrio suo
sfoderando un nuovo atto di accusa, e dicendo al
patrono, ora difendetevi contro di me. Finqui si è
fatto per celia : il Pubblico Ministero non ha bene
.
studiato il processo : io vengo a farne le veci : di
fendetevi contro di me. In questo giudizio orale
rinnovato, il Presidente non è più Giudice ma ac
cusatore ; il vero accusatore rimane passivo ; e spa
risce la trinità costituente il pregio dell' odierno
giudizio criminale. Possono avvenire anche dopo la
____ 378

chiusura del dibattimento dei casi fatali che ne


consiglino la eccezionale riapertura, o ( meglio a
mio credere ) la sospensione ed il rinvio a nuove
Assise. Come, a modo di esempio, una improvvisa
confessione dell' accusato con indicazione di nuove
circostanze, o di nuovi complici . Oppure lo inatteso
irrompere di uno dei testimoni già uditi, il quale
colpito da salutare resipiscenza facciasi a procla
mare di avere giurato il falso , e venga a narrare
circostanze e ad indicare contesti tutti nuovi ed in

teressanti . In tali, e simili casi , di difficilissima so


luzione, sarà prudente il temporeggiare e dar cam
po a quella verità che è il fine supremo di ogni
giudizio, e questo campo dovrà essere il più largo
possibile. Ma tali e simili casi accennano ad un
fortuito tutto straniero all' opera di chi governa e
signoreggia il corso della discussione e del giudi
zio . Non sono emergenti figli del mero arbitrio del
Presidente non possono convertirsi in un preor
dinamento sistematico a danno dell' accusato ; nè in
un artificio maliziosamente ordito per allontanare la
catastrofe di un' accusa che scorgasi ormai sconfitta
nella discussione esaurita. In quei casi straordina
rissimi il Presidente e la Corte sono puramente
passivi : essi ne subiscono le sorti come tutte le
altre parti in causa . Ma nella ipotesi nostra tutto
è volontario negli ufficiali della società. Fu volon
tario l'omettere per parte del Pubblico Ministero :
fu volontario lo ampliare per parte del Presidente :
e il tutto si converte in un' arte di pigliare a sor
presa, intollerabile ovunque gli ordinamenti proce
durali non si preordinino da una feroce tirannide
- 379 ‫ނ‬

alla consumazione di assassinii giudiciarii dei ne


mici del Governo .
Con tutta reverenza , e sommessamente, io mi per
metto dunque di mantenermi nella mia antica opi
nione : dalla quale non recederò fino ad una giu
risprudenza solidamente costituita in contrario. Av
venendomi il caso previsto, io non farò istanza per
riaperture di dibattimento, e crederò di avere adem
pito all'ufficio mio col far prender atto dello emer
gente nel processo verbale, e riserbarmi la via del
ricorso. Questo è il metodo che continuerò a tenere ,
ed oso consigliare i miei colleghi a fare altrettanto
finchè l'autorità giudiciaria non ci abbia impo
sto altrimenti.
Sento però obiettarmi : queste due pratiche che tu
confronti e discuti partono entrambo da un presup
posto che può fallirti : voglio dire dal presupposto
che il Presidente ti lasci parlare, e tolleri che s' in
seriscano nel verbale o quelle proteste di reclamo ,
o quelle istanze di riapertura, che tu crederai più
opportune a tutela del tuo raccomandato . Ma che
farai tu se invece intoppi in un Presidente che
t' interdica la parola ; che imponga al Cancelliere
di non ricevere le tue proteste o dimande : che farai
tu allora quando ti venga obiettato che chiuso il
dibattimento tu non hai più il diritto di parlare
tranne sul merito delle questioni ? Tu avrai un bel
gridare al Cancelliere che l'ufficio suo gli fa pre
cetto di ricordare quanto si dica e quanto si faccia
alla udienza : tu avrai un bel dirgli che esso non è
la mano sinistra del Presidente, ma un organo
di verità costituito dalla legge, che è al di sopra
di tutti, come guarentigia della osservanza di quanto
380

ella impone a tutti gli strumenti del giudizio , siano


dessi gallonati o bigallonati : ma se al Cancelliere
trema la mano pel burbero piglio del Presidente,
e quella mano rimane inerte ad onta del tuo decla
mare, cosa farai tu allora ? Rispondo all' obietto.
Rispondo in primo luogo che non credo possibile
siffatta ipotesi ; perchè non credo possibile la esi
stenza di qua dalle Alpi di un Presidente nel quale
tanto siasi incarnato il militarismo da giungere ad
interdire alla difesa anche una rispettosa protesta.

Che se voi persistete nell' obietto ; e credendo


possibile un atto di simile autocrazia, che io credo
impossibile, tornate a domandarmi, cosa faresti al
lora ; io non esito a darvi l'ultima risposta. Cosa
farei ? . . . . . Poserei sul banco il berretto , farei
una riverenza ai giurati ; e tranquillamente mi al
lontanerei dalla sala, con la coscienza di avere adem
pito al mio sacro dovere.

All' Illustrissimo Sig . Avvocato MARIO DE MAURO

Permetta onorevole collega che io mi congratuli


per l'articolo testè da lei inserito nell' Archivio Giu
ridico contro il riassunto presidenziale alle Corti
di Assise .
Prima di tutto io le devo dire che pochi giorni
addietro un Presidente di Assise ( ed è uno di co
loro che io pongo alla cima per sapienza , per im
parzialità, e per intemerata coscienza ) combinatosi
meco sulla ferrovia mi prese a parlare di quel suo
- 381 -

scritto, e se ne mostrò edificato. Egli lodò le sue


osservazioni, e concluse che il riassunto è cosa gra
vida di pericoli , e senza vantaggio nessuno . Questo
le sia di conforto per continuare la guerra a quel
francesismo.
Ora io le dirò il mio modo di vedere la questione .
Il riassunto procede dal preconcetto che tutti i
Presidenti siano imparziali. Se questo preconcetto
vacilla, il riassunto sarà funesto alla giustizia.
Ora io non nego che molti Presidenti abbiano que
sta indispensabile dote della imparzialità. E questi
io venero con reverenza, e quando un dibattimento
è nelle loro mani la mia coscienza è tranquilla. Ma
bisogna pure che io dica, e meco debbono dirlo tutti
coloro che si agitano nelle palestre forensi , esser
vene pur troppi che alla vece della imparzialità
portano nei dibattimenti la preoccupazione della
colpa, ed il più acerrimo accanimento contro gli
accusati. Io non faccio rimprovero a costoro, perchè
sono vittime di una coscienza erronea. Essi agi
scono così perchè credono che sia loro dovere agire
così : ma tale coscienza è erronea perchè conculca
la santa regola della presunzione della innocenza .
Su questo proposito io le narrerò alcuni fatti dei
quali ne posso guarentire la autenticità.
1.º Io parlava anni indietro con un Presidente di
Assise. Egli ad un tratto ruppe in queste parole :
avete saputo la disgrazia del Presidente tale ? No
( risposi io ) cosa gli è avvenuto ? Gli hanno asso
luto i tali accusati. Un brivido mi corse tutte le

membra. Mi limitai a rispondere , che non arrivava


a comprendere come l'assoluzione di un accusato
fosse una disgrazia per un Presidente .
- 382 ---

2. Altra volta passeggiando con un Presidente ,


egli mi narrava di avere avuto in una città di To
scana una sessione fortunatissima - Mi riusci in una
sola sessione di dare 86 anni di casa di forza : ed
anzi mi disse male, perchè di cinque imputati di
furto violento, uno mori pendente il dibattimento .
E se quel minchione non moriva io dava 14 anni
anche a lui, e arrivava a 100 .
3.º In altra seduta un quondam Presidente apre
il terzo giorno del dibattimento dicendo -- in virtù
del mio potere discrezionale ho fatto citare come
testimone il signor tale. Il quondam Pubblico Mi
nistero si scuote , e dice ma ... sig. Presidente
cosa faremo ?

Stia tranquillo ( risponde il Presidente ) ci parlai


ieri sera, ed è tutto per noi .
4. Un altro, già Presidente , quando faceva me
stieri di completare la lista dei Giurati per causa
di esenzioni , soleva tenere una nota di nomi di Giu
rati davanti a sè già da lui precedentemente for
mata. Poi estraeva le cartoline dall' urna, e invece
di leggere i nomi estratti leggeva i nomi che aveva
su quella nota da lui preparata. Ciò non avrà fatto
a malizia. Lo avrà fatto per sollecitare le citazioni
dei Giurati, e risparmiare scarpe all' Usciere, sce
gliendo i più vicini alla Corte . Ma pure non parmi
una bella cosa.
5. Non udimmo noi un Presidente in un accesso
di bile esclamare ――― se non riesco a farli condan
nare mi ammazzo ! ...
6.º Altra volta uno di questi Presidenti, a mo
strarmi la insipienza dei signori Giurati , mi narrava
con enfasi una sua prodezza. Mi portarono innanzi
――――― 383 -

( diceva egli ) un accusato di stupro violento : ma


della violenza non eravi neppur l'ombra. Vedendo
inevitabile l'assoluzione, ideai uno strattagemma
per salvare le spese al fisco . Proposi una questione
sussidiaria sullo stupro con seduzione. Figuratevi !
Si trattava di una donna di 35 anni. La difesa
baggiana se la lasciò calzare . E i Giurati risposero
affermativamente ; e potei dare a colui qualche mese
di carcere, e salvare le spese . Certamente quel
l'uomo rispettabile non credeva di far male appa
recchiando un tranello ai Giurati , deridendo la di
fesa, e applicando la pena ove mancava lo estremo
fondamentale del delitto sul quale egli proponeva
la questione . Nel calore del suo zelo egli riteneva
che il suo sacro dovere fosse quello di procurare
una condanna a qualunque costo per salvare le
spese al padrone . Se avesse avuto coscienza di far
male, e lo zelo non avesse pervertito il suo senso
morale, egli non avrebbe a vecchio patrono menato
vanto di questa e di altre consimili bravure sue .
Ma quando il male si fa, niente mi cale che si faccia
per uno, o per altro fine . Ed anzi appunto perchè
lo zelo di ufficio troppo spesso inconsapevolmente
perverte il senso morale , io testimone di quei detti
e di quei fatti, venni a convincermi che la impar
zialità dei Presidenti di Assise sia la eccezione an
zichè la regola. E se bisogna riconoscere che si
hanno dei Presidenti ( siano dessi più o meno rari )
i quali si prefiggono come dovere dell' ufficio loro
di procacciare per ogni modo un verodetto di col
pevolezza, tanto basta perchè il riassunto presiden
ziale sia pericolosissimo, e da non mantenersi.
- 384 ―

7. Ma come vuolsi egli sperare imparzialità nei


Presidenti di Assise se lo stesso governo è quello
che studia ogni via di pervertirne la coscienza, ed
insinuare che il debito loro è quello di procacciare
ad ogni costo verdetti di condanna ? sono note pur
troppo le amare riprensioni, ed i traslocamenti mo
lesti inflitti ai Giudici in pena di una assoluzione .
Sono note le croci , e le decorazioni distribuite ai
magistrati in premio di una condanna ottenuta. Nè
ciò fa meraviglia quando in un celebre processo si
vide conferita la croce di s . Maurizio a due volga
rissimi testimoni , in rimunerazione dello aiuto dato
all' accusa . Che si direbbe dai Pubblici Ministeri se
un difensore si abbassasse a dare un premio ad un
testimone ? Eppure è meno scandalosa la croce con
ferita ad un testimone, che nol sia quella conferita
ad un Giudice. Già io vorrei che fosse legge uni
versale e perpetua della Nazione non doversi mai
conferire titoli nè decorazioni dal Governo agli Av
vocati ed ai Magistrati. Miserabile vanità è quella
di gire pescando nei meandri delle Corti un titolo di
cavaliere, quando si è fregiati in virtù dei proprii
sudori del titolo bene altrimenti più nobile di dot
tore, di avvocato, di auditore , o di consigliere . Le
croci si debbono agli artisti ed ai soldati, perchè si
è certi che essi non possono averla guadagnata col
sacrifizio della coscienza. Per chiunque , in una od
altra funzione, esercita il sacerdozio della giustizia,
una croce sul petto è un tremendo problema ; per
chè può nascere il dubbio che sotto quel nastro si
celino le lagrime di sangue di un innocente immo
lato al partito governativo, o di un orfano sacrifi
cato alla avidità di un potente. Queste poche cose,
385 -

onorevole signore, ho voluto dirle perchè le fossero


di stimolo a continuare nella via così felicemente
intrapresa. Coraggio, atleti dello avvenire! La giu
stizia penale è oggi in Italia in uno stato doloroso
di decadenza ; e se più oltre procede, si cadrà in
un pantano. Sorga unanime la giovine curia , e scuo
tendo il batolo, come leone che scuote la bionda
sua giubba, levi alto un grido di riforma. Bando alle
utopie , bando alle esagerazioni , bando alle viltà che
sono vituperio nel sacerdozio della difesa. Ma co
raggio e fermezza nel sostenere la verità, ed il buon
diritto. Fermezza nello eccitare i nostri legislatori
a pigliare una volta in serio esame i procedimenti
penali che minacciano ogni domestico altare , e ro
vesciare un edifizio che si direbbe costruito appo
sitamente per dare una reggia all' arbitrio, ed un
laberinto di pericoli alla innocenza.

Pisa, 14 agosto 1870.

III.

I Giurati e la pena.

L'art. 498 del codice di procedura penale fra le


altre cose impone ai Giurati la seguente istruzione
- ivi ――― I Giurati mancano al principale loro
dovere, se pensano alle disposizioni delle leggi pe
nali, o considerano le conseguenze che potrà avere
per l'accusato la dichiarazione che devono fare.
VOL. V. 25
386 __________

Da tale disposizione la pratica ufficiale ne ha trat


to la regola che sia assolutamente interdetto ai di
fensori avanti la Giuria di neppure accennare le
penalità che sarebbero conseguenza di una risposta
affermativa o negativa alle questioni proposte dal
Presidente o da loro medesimi.
È vero che la equità e il buon senso di molti
Presidenti non fa gran caso di quella pratica, e
tollera nei Patroni qualche deviazione dalla mede
sima . Ma invece ve ne sono altri i quali stanno là
come vigili sentinelle sulla breccia col fucile alla
spalla; pronti a lanciare il terribile veto se al di
fensore nella foga del suo discorso sfugge dal lab
bro la più veloce allusione ai pericoli che sovra
stano allo accusato, od alla sua innocente famiglia.
Questo naturalmente deriva dal modo di sentire dei
Presidenti verso i Patroni. Avvegnachè sia pur trop
po innegabile che se vi sono dei Presidenti i quali
ci stimano e ci rispettano, perchè riconoscono la
onestà che nella maggioranza nostra prevale , e
comprendono la utilità grande che alla giustizia
reca l'opera dei Patroni nel criminale giudizio ,
alcuni pur troppo ve ne ha che guardano per si
stema il difensore o con disprezzo, o con esagerata
paura. E meno male di coloro che sistematicamente
ci disprezzano ; poichè si sa che per natura sua il
disprezzo frutta ricambio ; e tutto finisce li. Ma
il peggio è di coloro che sistematicamente ci temo
no, e per un pregiudizio fatale anzichè guardarci
come una forza concorrente per necessità logica
allo svolgimento del giudizio verso il supremo suo
fine della verità, ci guardano come i perpetui´ ne
mici loro, i quali bisogna combattere per ogni modo .
387 ―――

Rimangono pur troppo in questi pochissimi le tradi


zioni del famoso Pouyet ; il Cancelliere di Fran
cesco I che iniziò nella Francia la proibizione as
soluta di ogni Patronato dei rei ; sistema che durato
colà per tre secoli fu il padre legittimo di tanti
errori giudiciarii , di tante iniquità , e di tanto anni
chilimento della scienza penale. Laonde essi volgono
ogni arte loro a rimpiccolire con assiduo e tenace
studio l'ufficio del difensore, e spesso si valgono di
quella pratica al fine di aggelarne il calore nel
mezzo della sua perorazione, e si dilettano a sgo
minarlo con un severo monito, ed a rompere quella
corrente magnetica che veggono costituirsi fra i
Giurati e il Patrono per la forza e vivacità delle
sue argomentazioni. E questo fatto riesce talvolta
micidiale alla difesa ove il Patrono sia timido od
inesperto . Perciò ho creduto interessante di sottopor
re ad imparziali considerazioni quel precetto e quella
pratica, e meditarne la convenienza ed il valore .
Il concetto sostanziale di quella pratica, nel modo
con cui troppo generalmente si intende , riducesi a
questo : i Giurati hanno il dovere di mettersi in
uno stato di ignoranza (almeno fittizia) delle con
seguenze penali che terranno dietro alle loro ri

sposte; e il difensore manca al dover suo se cerca


di toglierli da questo stato di ignoranza coatta.
Ora io dico che questo concetto in un senso così
assoluto ---- 1. non può essere nello spirito della
legge. Dico di più -2. che esso è illogico ――― 3.º che
esso è inosservabile ed impossibile - 4.º che esso
è inosservato, e - 5. che sarebbe pernicioso alla
giustizia ed assurdo quando mai venisse rigida
mente osservato .
388

1.º Il pensiero del nostro legislatore quando det


tava la istruzione dell' art. 498 ; o piuttosto il pen
siero del legislatore dal quale ( a risparmio della
fatica di pensare ) venne giusta il costume ' accattato
quel precetto dai nostri ; non può essere stato quello
che gli attribuisce la pratica sulla quale adesso dis
corro, ma deve essere stato tutt' altro ed assai più
circoscritto : quel pensiero deve essere stato unica
mente quello di ricordare ai Giurati che nel for
mare la loro convinzione sugli elementi di fatto
debbano attenersi ai puri elementi di fatto ; e non
già divagare in considerazioni giuridiche sulla con
venienza della legge penale vegliante. In questo
senso il precetto è giustissimo , e finchè si adatta
alla questione principale di reità o di innocenza deve
religiosamente osservarsi da qualunque Patrono.
Colui che ( quantunque fondato sopra ragioni giu
stissime ed incriticabili ) pigliasse a tema della sua
difesa, per indurre i Giurati a dichiarare che l'ac
cusato non è colpevole, la censura della legge che
dichiarò DELITTO quella data azione ; o della legge
che minacciò contro quel fatto piuttosto una che
un' altra penalità, potrebbe bene trovarsi trattenuto
in questa erronea via, perchè due contradizioni si
multanee si incontrerebbero in tale sistema. La
prima contradizione sarebbe quella di voler giudi
care il fatto sui criterii del diritto ; la seconda, e
più grave, sarebbe quella di convertire i Giurati in
legislatori.
Ma quando il difensore ragiona sulla penalità, pel
fine di condurre la legge scritta alla sua più retta
applicazione, esso è nel suo dovere ; e conseguen
temente è nella pienezza del suo diritto : allora
389

commette una ingiusta coartazione di difesa il Presi


dente che lo interrompe : allora obbedisce al più sacro
dei suoi doveri il Giurato che lo seguita per questa
via, ed anzi conculca il proprio dovere il Giurato che
si faccia scrupolo di ascoltarlo. Qui non vuolsi desu
mere dalla pena la convinzione di una circostanza
di fatto ; lo che sarebbe assurdo : ma vuolsi invece
desumere dalla pena la volontà della legge : vuolsi
interpretare la legge con la legge, anzichè con le
irose brame dell' accusa . Non vuolsi cancellare o
modificare la legge per ragioni di pietà o di astratte
teorie, vuolsi invece applicata la legge nel suo più
genuino intendimento . E se a raggiungere questo
santo fine mi è necessario maneggiare argomenti
che scaturiscono spontaneamente dalla qualità o
quantità della pena minacciata, come può tollerare
giustizia che ciò mi venga interdetto quando questa
è una assoluta necessità della logica giuridica !
Come può non essere in ciò una ingiusta coarta
zione di difesa ! Chiarirò fra poco il divisamento di
questa mia distinzione , e ne darò una dimostrazione
palpabile per varii modi di esemplificazione , i quali
nutro fidanza che persuaderanno anche i più schi
filtosi . Ma prima di gire innanzi sento il bisogno di
sbarazzarmi da una obiezione .
Al primo annunzio di questa mia distinzione , odo
sussurrarmi all' orecchio il rimprovero della sua
inopportunità. Che andate voi distinguendo fra giu
dizio sul puro fatto e giudizio subordinato al di
ritto ; che andate voi favellando di applicazione di
legge ? Dimenticate voi che i giurati pronunciano
sempre sul fatto, ed esclusivamente sul fatto ! Que
sta vostra distinzione è cerebrina, ed inapplicabile ai
- 390

termini della nostra pratica perchè dissonante dal


principio cardinale della nostra istituzione : e lascisi
pure che gli oppositori diano lunga briglia alle loro
invettive con la enfasi dei soliti principii cardinali e
delle solite formule rimbombanti. Io do a questa
obiezione una semplice ma perentoria risposta : fi
niamola una volta con questa ipocrisia dei Giurati
giudici esclusivamente del fatto ; ipocrisia che ora
mai desta il riso anche nelle figure che stanno at
torno dipinte nella sala di udienza . Non avvi giu
dizio in Corte di Assise nel quale, secondo l'attuale
sistema delle questioni, la giuria non sia chiamata
ad emettere pronunciati giuridici ; vale a dire ad
emettere affermazioni delle quali lo esser vere o
false, lo esser giuste od ingiuste, unicamente di
pende dallo essere intesa in un modo od in un al
tro una definizione data dalla legge. Questa è cosa
che ormai da tutti si è capita. E quando, se vuolsi
essere sinceri, bisogna confessare che un identico.
collegio di Giurati chiamati a rispondere sulla iden
tica questione ( a modo di esempio ) o di preme
ditazione o di scalamento , sulle identiche circostanze
di fatto dovrebbe dare in buona coscienza risposte
difformi secondo che egli giudicasse un fatto fran
cese od un fatto italiano, bisogna pur riconoscere
lo influsso del codice vegliante sui pronunciati della
Giuria ; e bisogna riconoscere che malamente si con
fonde il fatto materiale col fatto giuridico.
Se in cosa ormai sentita da tutti facesse mestieri
di esemplificazioni , io ne potrei addurre moltissime
e comuni e conosciute da tutti . Mi limiterò a ri
cordarne una, perchè recentissima ed indiscutibile .
Un ferito aveva denunciato il suo feritore, dichia
391 --

rando di averlo benissimo conosciuto . Poscia ricon

dotti gli animi alla pace, ed adescato dalle larghe


indennità, depose alla pubblica udienza di avere
sbagliato, e che il suo feritore era un altro a quel
giorno defunto. Fu processato costui per falsa te
stimonianza, e convinto del mendacio fu inviato alle
Assise. E là il suo sistema defensionale tutto si
strinse nel dedurre di aver creduto potere impu
nemente mentire , perchè egli essendo offeso, non
credeva di essere testimone . Questa opinione si rac
colse dall' abile difensore che ( concordando il men
dacio ) la converti in una tesi giuridica sostenendo
che il codice di procedura distingue costantemen
te tra offesi e testimoni, e che per conseguenza
l'art. 364 e seguenti del codice penale minacciando
pena tassativamente ai testimoni, non colpisce li
offesi : i quali se giurano falso a danno dell' accusato
sono colpevoli di calunnia ; ma se mentono a favore
non per questo divengono testimoni . Persuasi di ciò
i Giurati risposero negativamente alla questione se
l'accusato fosse colpevole di falsa testimonianza .
Quei Giurati decisero essi in fatto, o in diritto ?
Non vado più oltre in questa digressione ; e torno
al mio ragionamento.
2. Ho detto in secondo luogo che lo assuto della
ignoranza coatta dei Giurati è illogico. Dimandate
a qualunque alienista qual sia la forma nella quale
più comunemente si estrinseca la manifestazione
della demenza . Esso vi risponderà , il non calcolare
le conseguenze di ciò che si fa. È caratteristico del
pazzo lo agire senza riflettere agli effetti che na
sceranno dagli atti suoi . I Giurati dunque, per ob
bedire al dommatismo di quella istruzione , devono
-- 392

ridursi alla condizione del pazzo ! Lo insegnamento


è poco lusinghiero ; e difficilmente vi si adatteranno
i Giurati italiani.
3. Infatti ho detto che il sistema della ignoranza
coatta è inosservabile ed impossibile ; ed anche que
sto si comprende da ognuno che senta quanto rie
sca difficile ad ogni uomo intelligente il fare anne
gazione del proprio intelletto e ridursi alla condi
zione di automa.
In fatto poi , quando i signori Giurati convengono
dalle diverse località nel centro delle Assise , la pri
ma cosa della quale si informano nella città si è
questa, se vi siano in quella sessione giudizi lunghi
e difficili : ma la seconda è subito quest' altra, se
vi siano in questa sessione giudizi gravi. Ed i cit
tadini sono i primi ad avvertirli che questa volta
avranno faccende serie alle mani, che sono chiamati
alle Assise reati gravissimi ; che vi sono due giu
dizi nei quali si corre pericolo di morte, e che tale
previsione tiene già sospesi gli animi , e palpitanti
i cuori degli abitanti di quella città. I Giurati per
tanto già sanno che dal giudizio loro dipenderà la
vita o la morte di Pietro e di Carlo : sanno che
Giovanni e Tommaso sono in pericolo di galera a
vita. Tutto questo essi sanno per rivelazione fatta
loro ben parecchi giorni prima del giudizio dalla
voce dei privati che ne sono venuti a contatto. E
poi si dovrà interdire al difensore di ripetere quel
l'annunzio che già da cento bocche è sceso nel
l'animo dei giudici cittadini ! A noi soli sarà inter
detto di ripetere ciò che cento voci hanno detto ai
Giurati per la via, e mentre salivano le scale del
Tribunale ! E dovranno farsi le viste di credere a
393

questo sogno della ignoranza coatta ? Ipocrisie : mi


stificazioni : parole sonanti, e niente di meglio .
Guardate poi i Giurati nel loro convegni che pre
cedono le udienze. I Giurati che non sono della città
si riuniscono di ordinario per gruppi ad una o ad
altra Trattoria per i bisogni degli alimenti. Se io
avessi l'abilità di Karr di trattare umoristicamen

te le questioni più serie , io vorrei comporre un libro


che avesse per titolo la Fisiologia del Giurato, ed
in questo libro vorrei fare un capitolo intitolato i
Giurati all' Osteria . E per comporre questo capitolo
non avrei già bisogno di salire sul cavallo Pegaseo
della immaginazione : no , vorrei farlo proprio foto
grafato sul vero . Ed a tal fine mi basterebbe sacri
ficare qualche franco ai camerieri delle Trattorie ,
ed avrei materiali ad abbondanza. E la prima cosa
che si rivelerebbe per questo studio pratico sarebbe
appunto la ridicolezza di coloro che credono (o fanno
le viste di credere ) che i Giurati non pensino alla
pena. E quale è l'Avvocato che avendo famigliarità
con qualche giurato non siasi veduto avvicinare da
lui ad occasione di giudizi nei quali egli non aveva
parte, ed interrogare sulle conseguenze che avrebbe
in ordine alla pena una od altra risposta che ve
nisse data a qualche questione . Simili interpellanze
sono state fatte a me forse le venti volte e più da
Giurati coscienziosissimi . Ed è così , perchè bisogna
che sia così. Naturam expellas furca tamen usque
recurret. Bisogna che sia così, perchè nessuno si
adatta a fare la funzione di automa, ed a giudicare
come il pazzo. Bisogna che sia così, perchè l' uomo
di senno ha la costante abitudine di riflettere sulle
conseguenze che potranno derivare da ogni suo detto
--- 394 ――――

e da ogni suo fatto ; ed è impossibile che l'uomo


di coscienza deserti questa abitudine quando le
conseguenze del proprio detto o del proprio fatto
possono recare gravissimo ed irreparabile danno ad
umana creatura.
Ecco perchè io dissi che l' assunto della ignoranza
coatta vagheggiava un impossibile . Bisogna vivere
nelle nuvole per nodrire la credenza che un assunto
al quale si ribella la umana natura possa conver
tirsi in una realtà. Nè io penso che siavi alcuno
tanto poeta da crederlo seriamente. Penso invece
che si faccia le viste di credervi per averne un
pretesto onde molestare i difensori.
Ma quando io dico impossibile quello assunto non
alludo soltanto alla sua inconciliabilità con la realtà

dei fatti. Allado ancora ( e più seriamente ) alla sua


inconciliabilità con i bisogni della verità e della
giustizia. E qui dico inosservabile quello assunto
perchè l'osservarlo renderebbe in certi casi impos
sibile la difesa , ed il raggiungimento del vero . E
questo secondo aspetto della mia proposizione , io
io svolgo con tre distinte formule ; e dico a) La
considerazione della pena è talvolta necessaria ad
illuminare i Giurati sulla serietà della questione.
b) La considerazione della pena è talvolta neces
saria a bene intendere la legge. c ) La considera
zione della pena è talvolta necessaria per giudicare
la intenzione dell' accusato. Dimostro questi tre as
serti per via di esempi , onde abbreviare il cammino .
a) Trattasi di un furto qualificato. La legge che
ci governa minaccia modica pena di carcere contro
il furto qualificato se il valore del tolto non supera
le cento lire ; e minaccia invece ( codice Toscano
395 --

art. 386 ) la casa di forza da tre a dodici anni, se


il valore del tolto supera le lire cento. Or bene si
impegna tutta la questione sul valore del tolto . Il
derubato , e con lui il Pubblico Ministero, sostiene
che l'oggetto sottratto al mezzo di scasso deve va
lutarsi per minimo a lire centuna. L' accusato, e
seco il suo difensore , concordando il furto sosten
gono invece che quell' oggetto non valeva che lire
cento. Ecco il valore di una lira divenuto di un
peso terribile nel tracollo della bilancia : da quella
lira dipendono l'onore o la infamia, la rovina di
un uomo, la rovina di una famiglia. Con grande
calore si combatte qui la battaglia : difese, repliche ,
e controrepliche , tutto per una lira. Il Giurato nella
supposta ignoranza della pena si tedia e sbadiglia :
e qualcuno dice in corde suo - quale indiscretezza !
Tener qui una giornata quattordici galantuomini a
perder tempo e patir caldo e fame per la questione
di una lira ! Il difensore si accorge di questa indif
ferenza di qualche Giurato sulla questione , e sente
il dovere di illuminarlo sulla importanza della me
desima. Avvertite ( egli dice ) signori Giurati , av
vertite che qui non trattasi di una miserabile lira ;
trattasi della infamia, trattasi di dodici anni di casa
di forza .. . . Ed ecco scatenasi repentina pro
cella ; nè il difensore può pronunciare il quos ego
del Nettuno di Virgilio al fine di sedarla. Il Pub
blico Ministero balza sulla sua poltrona, come se
fosse morso da uno scorpione : il Presidente fa un
piglio da Torquemada, e severamente minaccia il
Patrono di togliergli la parola, perchè ha ( dice egli )
violato il proprio dovere, richiamando i Giurati a
considerare il pericolo della casa di forza . Ma io ,
396

viva Dio, crederei di avere invece tradito il mio


dovere, e ne sentirei pungente rimorso, se avessi
lasciato i Giurati nella credulità che il loro si, od
il loro no, decidesse soltanto di una miserabile lira.
So bene che l'edifizio della Giuria si è costruito
sopra quel mistico motto - lode alla ignoranza
che giudica per sentimento . Ma so altresì che la
ignoranza, levata a cielo in quel celebre motto, non
era nella mente del filosofo che lo inventò la igno
ranza delle conseguenze del proprio verdetto .
b) Trattasi di un furto che si pretende qualificato
da scasso. Il derubato aveva chiuso l'uscio della sua
stalla con una stoja raccomandata a dei chiodi me
diante vimini. Il ladro per introdursi tirò a sè la
stoja, strappo due vimini, e commise il furto. L' ac
cusa sostiene che vi fu scasso. I Giurati devono ris
pondere o si, o no. Trattasi di interpretare l'art. 381
del codice penale Toscano. È egli costante ( diman
da il Presidente ) che il giudicabile si rendesse col
pevole di quel furto con la circostanza aggravante
dello scasso, rompendo serrami di solida materia ?
Il Pubblico Ministero tenacemente sostiene che una
stoja legata con due vimini è un serrame di solida
materia. Il difensore propugna la opposta tesi. La
parola solida ( egli dice ) non deve interpretarsi nel
senso naturale nel quale anche un capello ed un
filo di cotone sono materia solida . Deve interpre
tarsi in un senso giuridico, secondo lo spirito della
legge, e le ragioni che dettarono la qualifica . La ra
gione del rigore sta tutta nel bisogno di protegge
re con più energici modi il proprietario che fu più
diligente nella custodia delle cose sue : sta tutto nel
supplire con la maggiore energia della difesa pub
c 397

blica, alla minorata potenza della difesa privata. Ma


la diligenza risibile che si esaurisce con lo affidare
a due vimini , o a due fili , la difesa della sua pro
prietà, non dà diritto al proprietario di esigere che
si protegga con dodici anni di casa di forza : la gra
vità della pena rivela il concetto del legista ..
Ed ecco nuova procella, interruzioni, e rimproveri
contro il povero difensore, perchè ha profanato il
santuario della giustizia accennando alla pena . Ed
io torno a dire che il difensore doveva farlo , per
chè era nella necessità di farlo a servigio del vero ;
e perchè della considerazione della pena si è valso
non per determinare una convinzione di fatto, ma
per provocare un giudizio giuridico più conforme
alla giustizia ed alla presunta volontà del legislato
re penale a bene intendere la quale fu sempre
(vogliasi o no ) argomento logico concludentissimo ,
anzi necessario, la proporzione della pena.
c) Trattasi di una accusa di omicidio premeditato.
La difesa fa battaglia sulla intenzione di uccidere,
fa battaglia sulla premeditazione. In questa batta
glia essa ricorre ai soliti luoghi comuni, che sono
inevitabili in siffatti casi, perchè è necessità logica
ricorrervi attesa la decisiva loro concludenza. Ri
corre all' argomento della leggerissima causa a de
linquere : ricorre all' argomento della integerrima
vita anteatta : ricorre all' argomento della prospera
e dignitosa situazione sociale nella quale versava
l'accusato . Deve presumersi ( egli dice ) che avesse
volontà di atterrire anzichè di offendere, o volontà
tutto al più di ferire anzichè di uccidere : deve pre
sumersi che agisse per istantanea ubriachezza di
sdegno anzichè per freddo e maturato consiglio . Im
398

possibile a credersi che per un meschino atto di


sprezzo, per una causa cotanto frivola e passeggie
ra l'uomo tranquillo ed onesto divenisse ad un
tratto scellerato e feroce ; e più impossibile a cre
dersi che in tale ferocia perseverasse con freddo
proponimento e con riflessione : impossibile a cre
dersi che un uomo ricco, un uomo fortunato per
una compagna amabile ed amorosa ; per le onori
ficenze che lo circondano ; per una prole carezze
vole ed adorata, volesse con freddo calcolo delibe
rare un delitto che distruggeva tanta beatitudine ,
che demoliva ogni sua speranza dell' avvenire , espo
nendolo alla galera a vita o alla morte. . . . . Ed
ecco un' altra volta la procella che romba sulla te
sta del povero Patrono, perchè si tremava della im
pressione prodotta sull' animo dei Giurati dalla for
za logica di tali argomentazioni , e si voleva brusca
mente rompere la corrente magnetica. Ed io torno.
a ripetere che il difensore era nella pienezza del
suo diritto quando in siffatto senso maneggiava la
pena, perchè non la maneggiava al fine di condur
re i Giurati col veicolo della pietà a negare una
verità di fatto ; ma al fine di sindacare con la cri
tica delle cause e degli effetti , e con la dinamica
degli impulsi e delle repulse , la questione intenzio
nale e il più probabile stato dell' animo dell' accu
sato : stato dell' animo che ai soli Giurati è affidata
la missione di giudicare ; stato dell' animo che es
sendo un arcano agli occhi dell' uomo non può a
lui farsi chiaro, tranne appunto per il calcolo com
parativo delle cause e degli effetti , i quali dell' ani
mo umano sono l' ordinario movente .
- 399

E bastino questi esempi a mostrare che non a


caso io dico impossibile giuridicamente , ed inosser
vabile da un Presidente che voglia giustizia, il pre
cetto della ignoranza coatta nel senso assoluto col
quale vorrebbe spendersi da certi legulei.
4. Dissi pure che quel precetto è inosservato ; e
ciò ancora io dimostro col segnalarne le violazioni
che se ne fanno in pratica dai Magistrati e dai
Pubblici Ministeri.
Parlando dei Magistrati non intendo usar parola
di rimprovero , ma soltanto rivelare la contradizione
ridicola del sistema.
Il decreto di Camera di Consiglio aveva escluso
una circostanza aggravante. Ne appellò il Pubblico
Ministero alla sezione delle accuse , e questa trovò
fondata la aggravante , e rinviò alle Assise. Ed ec
coci al giudizio orale.
Il giudizio si apre con la lettura del decreto di
accusa ciò lo comanda la legge. Ed ecco che in
quel decreto si legge dal cancelliere ad alta voce
in faccia ai Giurati il seguente brano - ivi - Con
siderando che per i suddetti rilievi dovendosi rite
nere che il furto superi il valore di cento, la pena
applicabile al caso a forma dell'art. 386 è quella
della casa di forza ; e che perciò il giudizio appar
tiene alla Corte di Assise.
Il difensore chiede allora si dia lettura del de
creto di Camera di Consiglio : ed è nel suo diritto ,
nè vidi mai che si facesse opposizione su questo.
Ed ecco che in quel decreto il cancelliere legge ad
alta voce ai Giurati il seguente brano - ivi - At

tesochè per i suddetti rilievi ridotto il furto ad un


valore che non supera le lire cento, la pena mi
- 400 -

nacciata dalla legge è quella del carcere : e così


la cognizione di questo fatto rimane nella compe
tenza del Tribunale Correzionale.
Dopo che così solennemente la voce di sette Ma
gistrati ha fatto conoscere lo influsso che sulla pena
potrà esercitare il valore di una lira, o la circo
stanza dello scasso , od altra simile questione, se
poscia avviene che il difensore nella sua arringa
ripeta quelle stesse parole fatali , carcere o casa di
forza, sarà fatto bersaglio ad un severo monito?
Qui si va nel ridicolo .
In quanto ai Pubblici Ministeri comincio dall' os
servare che se è vietato di parlare della pena al
fine di mostrarla troppo grave deve essere ancora
proibito di parlare della pena, nel senso di mostrarla
troppo mite. Io credo che questa parità di diritti e
di doveri non possa venirmi seriamente impugnata
in terra civile . Ma in fatto è dessa costantemente
osservata ? Sempre no.
Vi sono alcuni ufficiali della Procura del Re (rari
e pochissimi, ma pur ve ne sono ) i quali ad esem
plare delle loro arringhe amarono scegliere piuttosto
i missionari , che non i sobri ed elogiati modelli
della eloquenza forense . Costoro vengono su piagnu
colando, e dibattendosi , e scongiurando i giudici cit
tadini a nome della povera società, con enfasi tale ,
e tali modi che sarebbero forse disdicevoli anche ad
un Patrono, quando raccomandasse la innocente.
famiglia del giudicabile. Costoro si mostrano terri
bilmente allarmati da una questione defensionale ,
per esempio dalla questione dell' articolo 64 del
codice Toscano ( o 95 del codice Sardo ) e nell' en
tusiasmo delle loro supplichevoli deprecazioni ai
- 401

Giurati si lasciano trasportare fino ad esagerare


ed ingigantire li effetti della questione defensionale .
Sarà una semplice minorante che ridurrà la pena
a proporzionituttavia bastantemente severe , ma
nello esaltamento del loro zelo ( non per maligna
intenzione, ma per l'impeto dello affetto dal quale
sono invasati ) ad essi sembra che per quella que
stione si vadano a schiudere immediatamente a pro
dell' accusato i cancelli della prigione : e con una
prosopopea ultra rettorica fanno comparire ai piedi
dei giurati, genuflessi tutti li onesti cittadini implo
rando da loro che siano negativi sulla questione
defensionale , perchè la impunità di così grave mi
sfatto sarebbe cagione di scandalo e di universale
terrore : e così di seguito .
Il difensore ascolta con pazienza tutta questa
diatriba contro la povera questione da lui proposta :
e se ne conforta girando attorno lo sguardo sui più
intelligenti dell' uditorio ; e scorgendo il ricambio
dei loro sorrisi, ne piglia lena per aspettare il quar
to d'ora della sua replica. Giunto questo istante egli
si alza tranquillamente, e con voce calma risponde -――――――
non è vero signori Giurati che la mia questione tenda
alla impunità dell' accusato : non è vero che lo am
metterla porti a gravi pericoli la pubblica sicurezza,
o ad una penalità illusoria e risibile. Io sento il
dovere di illuminarvi su questo punto , sul quale ri
marreste mistificati se daste fede agli esagerati
timori dell' accusa. Dove rispondesteaffermativa
mente alla mia questione non si avrebbe altra dif
ferenza tranne quella di infliggere all' accusato dieci
anni di reclusione invece di quindici anni di galera ……
Ecco il turbine : ecco il richiamo all' ordine : gran
VOL. V. 26
- 402 -

clamore . · ma sì ... ma no ... è stato egli il pri


mo ... egli poteva e lei no ... ma egli ingannava
ed io dico il vero . . si taccia altrimenti prendo delle
misure contro di lei . E forse fu questa una delle
occasioni nelle quali ad un liberalissimo Presidente
del Regno libero venne in mente or sono tre anni
di supplicare il Ministro Guardasigilli perchè nelle
riforme che andava a proporre intorno alla Giuria
aggiungesse un articolo il quale dasse balia ai Pre
sidenti di ordinare l'arresto immediato del difen
sore. Che Dio lo benedica.
Concludo questo punto del mio discorso osservan
do che dove lo assunto della ignoranza coatta si
spinge a queste condizioni di disparità per le quali
si interdica di dire il vero in ordine alla pena, mentre
si permette di dirne il falso, la legge diviene orri
bilmente iniqua.
5. Dissi per ultimo che l'osservare sul serio quel
precetto sarebbe pernicioso alla giustizia ed assurdo:
e dicendo ciò io alludeva al confronto della tesi av
versaria col sistema delle circostanze attenuanti,
delle quali mi rimane adesso a parlare.
Io affermo che il precetto della ignoranza coatta
imposta ai Giurati in ordine alla pena che emergerà
dalle loro risposte è una flagrante contradizione
col sistema delle attenuanti indefinite ; un palpabile
assurdo, e credo agevole dimostrarlo. Ma innanzi
tutto bisogna dimorare un istante sulla ricerca pre
liminare, cosa siano le circostanze indefinite dalla
legge, delle quali il codice di Francia ed il codice
Sardo consegnano la dichiarazione al beneplacito
dei Giurati.
- 403 ―――――――

E qui confesso che mi impegno in una disamina


ardua e difficoltosa, e ad una impresa che forse può
sembrare impossibile . Quella cioè di trovare il senso
dove senso non è ; di definire lo indefinibile ; di ri
condurre sotto i precetti della scienza un effato del
più grossolano empirismo . Pure mi proverò a farlo.
Io non cerco cosa siano nei casi concreti nella
mente di ciascun Giurato le circostanze attenuanti
delle quali esso ha affermato il concorso . Tanto var
rebbe accingersi a noverare le iridi che si presen
tano nell' aria ; ciascuna delle quali ha la sua esi
sistenza nell'occhio di chi contempla la refrazione
dei raggi solari ma nessuna ha una sussistenza reale
in sè medesima. Io cerco soltanto quali dovrebbero
essere queste circostanze attenuanti nella mente
di un giurista.
E recisamente sostengo che non dovrebbero con
siderarsi come circostanze attenuanti consegnate
all' arbitrio del sentimento tutte quelle modificazioni
che può ricevere il delitto nella sua configurazione
impersonale e nelle sue forze costitutive ; ma quelle
soltanto che emergono da condizioni eccezionali
esteriori al delitto ; da un rapporto cioè interce
dente fra la pena e l'individuo al quale vuole
applicarsi.
Tutte le possibili modificazioni nelle forze costi
tuenti il delitto in una legislazione penale che ab
bia voluto raggiungere almeno l'apparenza di esser
completa, devono trovarsi tassativamente enumerate,
e calcolate come criterii misuratori della quantità
del reato, o come degradanti della sua imputazione :
ed a ciascuna deve essere prestabilito il debito ab
bassamento di castigo con pene relativamente de
- 404 ―――――

terminate ; nella latitudine delle quali il giudice della


pena deve trovare ciò che conviene alla specialità di
quei criterii o di quella degradazione .
Il danno ridotto alla mera condizione di pericolo
nel tentativo ; la minore efficacia della cooperazione
nella complicità ; la esiguità del nocumento indivi
duale nel ferimento, nel danno dato, nel furto, nel
falso , nella bancarotta ed in altri malefizi nei quali
rende il caso leggiero ; come del pari la minorata
forza morale soggettiva derivante dalla giovinezza,
dalla debolezza di mente , dallo irrompere di un giu
sto sdegno, dal timore di un male , dalla ebrietà ,
dallo errore vincibile o dalla colpa, dal giusto do
lore, e simili . Tutto questo eventuale variare di forze
o soggettive od oggettive nella figura astratta del
malefizio si sono già minutamente prevedute dalla
legge , e lo influsso loro sulla imputazione è stato
scrupolosamente calcolato. Il Giurato che torni a
farne elemento di calcolo per trovarvi ancora un' at
tenuante duplica la operazione . Esso non può farlo
senza censurare implicitamente la legge, di aver
troppo poco calcolato ciò che essa ha con ogni stu
dio calcolato ed esattamente misurato . Nessun le
gislatore potrebbe confessare di avere consegnato
ai Giurati un nuovo giudizio sulle condizioni interne
del reato già da lui prevedute, a meno che non vo
lesse confessare di aver trovato questa panacéa pel
solo artificio politico di condurre più facilmente i
Giurati ad una condanna.

Il legislatore, che voglia dare della balia delle at


tenuanti una ragione della quale non sia costretto
ad arrossire , non ha altra risposta che questa : le
situazioni eccezionali nelle quali può trovarsi un
405 ― ― ― ― ― ― ―

individuo rimpetto alla PENA che lo sovrasta non


sono calcolabili a priori : è impossibile prevederle
tutte : impossibile tutte descriverle con esattezza :
impossibile attribuire a ciascuna di loro nella infi
nita varietà dei casi concreti lo influsso che esse
eserciteranno sulla forza oggettiva o fisica o morale
della pena che la legge ha come regola generale
prestabilito. Esige dunque il bisogno della giustizia
pratica che il giudizio concreto di queste circostanze
esteriori io lo consegni al giudice del fatto con
creto. Non è empirismo, non è politica, ma è un
obbedire ai bisogni della giustizia distributiva il
fare così, affinchè certe circostanze , che debbono
avere efficacia diminuente in faccia alla verità come
alla pubblica opinione, non rimangano inefficaci , e
la penalità, equa nel suo precetto, non divenga ini
qua nella sua applicazione.
Questo pare a me l'unico sistema possibile col
quale il legislatore , cui piacque ( ed a tutti non
piacque ) completare il suo meccanismo penale con
le circostanze attenuanti, possa rendere una ragione
plausibile del sistema da lui preferito. La illibata
vita anteatta del giudicabile , la sua mal ferma sa
lute che gli renderebbe intollerabile una certa fog
gia di pena, in certi casi la sua miseria, la sua nu
merosa famiglia sono circostanze esteriori al delitto ,
le quali eccitando la compassione del pubblico ren
dono soverchia la forza morale oggettiva della pena
ordinaria. Queste non può il nomoteta in precedenza
stabilirle e valutarle . Sono circostanze esteriori al
delitto ; lo intervallo del tempo trascorso dopo la sua
consumazione , la riformata condotta del giudicabile
durante questo intervallo, la sua confessione spon
- - 406 --

tanea, i non dubbi segni che egli ha dato di salu


tare pentimento, li sforzi da lui fatti per ripararne
gli effetti nocevoli. Tutte queste cose non poteva
prestabilire nè definire con aggiustata misura un
articolo di legge. Questa ha definito il delitto in
tutte le sue possibili fasi per quanto atteneva la sua
interna costituzione. Questo compito lo ha fornito,
e i suoi precetti niente lasciano a desiderare . Ma
le circostanze esteriori al delitto, per le quali niente
si modifica del medesimo la figura ed i lineamenti
giuridici, non erano nel dominio delle sue previsioni ,
perchè mercè le medesime il delitto non varia di
un atomo nè in più nè in meno : ma soltanto se ne
modifica il rapporto concreto fra la PENA minacciata
e l'INDIVIDUO al quale vuole applicarsi.
È dunque manifesto che la virtù giuridica delle
attenuanti non deve nella maggior parte cercarsi
negli elementi della imputazione ; ma cercarsi bensì
negli effetti morali della pena sul pubblico , e negli
effetti fisici della pena stessa sul condannato o sulla
sua innocente famiglia.
E se così è, io riconduco le mie osservazioni sul
punto che adesso discuto ; e dimando : se così è, co
me può seriamente sperarsi che la dichiarazione
delle attenuanti per parte dei Giurati sia una opera
di ragione, e che essa riesca un fattore di giusti
zia, se i Giurati debbono essere al buio sulla qua
lità e quantità della pena emergente dalle prece
denti loro dichiarazioni ; pena che essi vengono giu
dicando doversi per buona giustizia attenuare !
Quando anche tutte le mie precedenti argomen
tazioni non bastassero a mostrare la fatuità di que
sta moderna dottrina della ignoranza coatta dei
―― 407

Giurati, a me pare che questa sola le valga tutte.


Dove è il senso comune nella pretesa di ragionare
con uomini ragionevoli per indurli ad attenuare
una incognita !
E non è d' altronde evidente che il sistema delle
attenuanti, dove se ne consegni il giudizio alla igno
ranza coatta, condurrà inevitabilmente alle più as
surde ed intollerabili conseguenze, e ad una misti
ficazione dei giudici , del pubblico, e della giustizia.
Anche questo io lo dimostrerò per esempi .
Ponete che le precedenti mie deduzioni defen
sionali abbiano siffattamente modificato la indole
giuridica del reato da condurre l'accusato ad una
semplice pena di multa o di interdizione di ufficio
mentre esso versa in assai liete condizioni di for
tuna. Se il difensore sarà sleale si ricorderà che i
Giurati non devono pensare alla pena, e cercherà
di indurli ad ammettere eziandio le attenuanti , col
muoverli a compassione per la gracile salute del
giudicabile : e i Giurati , se avranno ignorato la pena
che da loro si attenua , si troveranno ad essere stati
mistificati, quando in vista di una infermità che lo
affligge avranno attenuato una multa ad un ricco !
Ponete che, per una di quelle combinazioni che
non sono infrequenti sotto il codice Sardo, la dichia
razione delle attenuanti porti alla conseguenza che
la pena di tre anni di reclusione si converta per
virtù delle attenuanti nella pena di sette anni di
carcere, come avvenne al Cafaggi da me difeso
alle Assise di Massa . E supponete che io avessi
desunto le attenuanti dalla povertà dell' imputato ,
e dalla numerosa famiglia che da lui solo e dalle
fatiche sue ricevendo il necessario alimento implo
408 ――――

rava una pena di più corta durata che più presto


facesse cessare li immeritati patimenti di lei. Non
avrebbero essi avuto ragione di dirsi beffati quei
Giurati che si erano per tal guisa condotti ad un
risultamento diametralmente opposto ai loro fini ,
con avere alleggerito i patimenti del colpevole nel
la intensità della pena, e raddoppiato invece i pa
timenti della innocente famiglia !
Ponete, in una parola, che i Giurati abbiano ver
sato in un errore in quanto alla gravità della pena
che minacciava il colpevole, ed in quel supposto
abbiano attenuato. E quando invece vedranno che
la pena ordinaria era minore di quella supposta, e
che con le attenuanti sono discesi agli infimi gradi,
tenete per fermo che voi li udrete per i primi de
plorare di aver commesso uno sbaglio, e protestare
( essi i primi ) che se avessero conosciuto siffatte
conseguenze avrebbero negato le attenuanti : al mo
do stesso che io talvolta li udii rammaricarsi di

averle negate quando videro colpirsi il giudicabile


da severissima pena non aspettata nè preveduta
da loro.
Non è vero che la cognizione della pena per parte
dei Giurati giovi all' accusato , e sia strumento da
maneggiarsi soltanto a benefizio della difesa . No :
essa giova alla verità ; ecco tutto. Essa giova a far
sì che il giudice pronunzi con perfetta cognizione
di causa : ecco tutto. E chi sinceramente vagheggia
la verità mai deve in nessuna vicenda della vita

farsi propagatore della ignoranza , la quale a niente


è buona tranne alle mene di chi vuol trappolare
il suo simile.
- 409 -----

Riducete le questioni al genuino tema del fatto :


interrogate i Giurati sulla nuda materialità di una
circostanza, riserbando ai giudici della Corte la ap
prezzazione giuridica di quella materialità sulle qua
lifiche del reato, e la sua apprezzazione morale e
politica come attenuante della penalità . Ed allora
potrete sostenere senza iperbole che i Giurati am
ministreranno buona giustizia ancorchè siano com
pletamente al bujo sulla stessa esistenza di un co
dice penale. Ma quando il richiamo del fatto, sotto
uno od altro articolo, e sotto o una od altra pena
lità, emerge immediatamente dalle risposte che chie
dete ai Giurati ; e finchè persistete a consegnar loro
il giudizio sulle attenuanti, le quali principalmente
nascono dal variabile rapporto della pena con l' in
dividuo ; è intollerabile che si pretenda ridurli alla
condizione degli Andabasti qui dimicabant ocu
lis clausis.
Attenuare la pena, senza sapere qual pena si
attenua, è un assurdo. Cento cause che giustamente
vogliono si muti in carcere la casa di forza, o la
morte in ergastolo , sono prive di senso per mutare
in una multa la carcere , l'esilio , o la interdizione
d'ufficio : ed anzi controagirebbero a questo fine
dove se ne conoscesse lo effetto .
Fra il Giurato che risponde, si Cajo è autore del
furto, e il Giurato che risponde , si, Cajo merita le
attenuanti, intercede un abisso .
Il primo pronunzia un vero assoluto e costante,
che rimane sempre vero qualunque sia la pena che
al reato sovrasta.
Il secondo afferma un vero che emerge dalla
combinazione complessiva di fatti e di condizioni o
- 410

morali o giuridiche o politiche ; e che può esser


vero in faccia a certe specie e quantità di pena, e
non esserlo in faccia ad altre. Il primo pecca se
nel pronunciare quel si pensa alla pena : il secondo
pecca se pronuncia quel si senza avere un riguardo
alla pena. Se io avessi seduto come Giurato con
fesso che avrei giudicato con questa coscienza : e
fu fortuna che io'mai fossi chiamato a quell' ufficio,
perchè probabilmente avrei tradito la legge ; diffi
cilmente avrei potuto dimenticare la scienza e pla
smare l'animo mio al sentimento della ignoranza.
Io la penso così. Penso che la onestà e la lealtà
di un difensore si ribellerà sempre alla inibizione
assoluta di argomentare sulla pena , perchè non
potrà adattarsi ad un sistema di giustizia che spe
cula sull' errore , sulla ignoranza .

Pisa 20 gingno 1873.

IV.

Scandali immaginarii.

In una monografia ( meritevole d'altronde di stu


dio ) pubblicata non ha guari in Italia, leggo le se
guenti parole che fedelmente trascrivo - È scan
daloso che i Giurati assolvano con la confessione
del reo, o con testimoni giurati di viso o di udito.
Leggo queste parole : e non so frenare un brivido
di terrore .
-- 411 —

Siamo dunque venuti a questo che il lavorìo se


colare di tanti nobili ingegni per ricondurre a prin
cipii di ragione e di umanità il giure punitivo, trop
po a lungo fuorviato dagli abusi dei potenti, debba
guardarsi come opera perduta ; e noi dobbiamo nel
secolo XIX trovarci risospinti agli errori di barbari
tempi ! Il sistema delle prove legali , questa ortope
dia degli intelletti e delle coscienze , che costringeva
il giudice a plasmare i suoi pronunciati sopra un
meccanismo esteriore conculcando le convinzioni
dell' animo proprio , si sarà inutilmente anatemizzato
per tutta Europa dalla civiltà odierna ! Quella voce
solenne con la quale si inaugurò la Giuria avver
tendo i giudici cittadini ( art. 498 ) -- la legge non
vi chiede conto dei mezzi pei quali vi siete con
vinti • Essa vi propone questa sola dimanda
che RINCHIUDE TUTTA LA MISURA DEI VOSTRI DOVERI :
avete voi l'intima convinzione della reità od inno
cenza dell' accusato --- non sarà dunque che una

ipocrita derisione ? I Giurati, che hanno cercato la


misura dei loro doveri nel prescritto della legge ,
vedranno conturbata la quiete delle loro coscienze
pei rimproveri di un uomo che sollevandosi al di
sopra della legge , e convertendo la tribuna in un
trono, la toga in una clamide, e in un diadema il
berretto bigallonato sorge ad accusarli di scandalosa
colpa perchè non hanno sacrificato fede e coscienza
ai voleri ed alle credenze altrui . Questa pare a
me una contradizione, una tracotanza, una terribile
usurpazione di non concessi poteri. E parmi che
coloro i quali fanno pur parte del sacerdozio della
giustizia dovrebbero essere i primi a dare l'esem
J 412 -

pio della reverenza alle rejudicate , anzichè educare


il popolo a disprezzarle ed a gettarle nel fango.
La confessione ed i testimoni di viso e di udito
hanno noverato nei passati secoli già troppe vittime
di errori giudiciarii, perchè possa loro concedersi di
riassumere la sovranità dei giudizi penali , e tornare
a chiamarsi prove regine. Questa tirannide delle
materialità esteriori sopra le coscienze dei giudi
canti erasi omai scossa per lunga stagione dai giu
dici Magistrati ; e la opinione concorde di tutti i
giuristi e di tutti i popoli culti , aveva benedetto
questa innovazione come strumento di guarentigia
della pubblica sicurezza ; e di guarentigia al tempo
medesimo della innocenza. Ed oggi che il pronun
ciato della intima convinzione si è pei novelli ordi
namenti chiesto ai giudici cittadini, si dovranno i
rappresentanti della giustizia popolare costringere
nel disusato letto di procuste ! Io non arrivo a com
prendere come possano a buona fede gittarsi fuori
coteste lamentazioni come massime assolute. Io vo
glio considerarle come irriflettute espansioni di
qualche resto di malumore per una causa perduta.
Se dovessi considerarle come lo insegnamento di
una dottrina, o come un conato per insinuare nel
l'animo dei giudici popolari la credenza del dovere
impreteribile di condannare nel concorso di certi
dati di prova, non avrei forse parole sufficienti per
riprovare simile assunto quanto esso merita. No :
il dovere di condannare sempre nel concorso di certi
dati di prova, non esiste più per i giudici Magistrati ;
e non ha mai esistito per i giudici cittadini.
Non è alcuno fra noi che non abbia moltissimi
esempi di assoluzioni ottenute in addietro nei giu
413 ---

dizi criminali, ed ottenute anche oggidì nei giudizi


correzionali dall' oracolo dei giudici Magistrati a
malgrado delle confessioni dei rei e di numerose
testimonianze congiurate ai danni di un accusato .
E da questi fatti ne trasse gagliardo conforto la
fede del pubblico nella giustizia, e la credenza che
i Magistrati non condannassero per abitudine o per
mestiero, ma per religiosa obbedienza alla verità.
Il cardine fondamentale della giustizia punitiva
nel secolo presente si è la regola assoluta che il
giudicante ( o Magistrato o cittadino che sia ) gode
pienissima libertà di credere mendace una confes
sione, o di dubitare che si ingannino o ci vogliano
ingannare i due od i quattro testimoni secondo le
ciscostanze ; al modo stesso che gode pienissima
libertà di condannare un giudicabile che è pertinace
a negare e che da parecchi testimoni si vorrebbe
affermare innocente , quando nell' animo suo altri
elementi di prova esercitino influsso più energico
di quelle negative e di quelle testimonianze. Sareb
be iniquo, assolutamente iniquo il sistema della
intima convinzione se fosse altrimenti. Sarebbe ini
quo che si fossero stabiliti due pesi e due misure ;
da un lato nessun limite per condannare, e dall' al
tro rigorosi limiti per assolvere. Se questo è il so
gno nel quale si beano certi accusatori non si lu
singhino di vederlo attuato nel secolo presente e
in Italia.
Se il Collegio dei Giurati presta fede ad un solo
perito che trova la infermità mentale nell' accusato
piuttostochè a due periti che lo affermano sano di
mente, voi gridate allo scandalo. Ma non gridaste
allo scandalo quando i Giurati di Bergamo presta
- 414

rono fede ad un solo perito che sosteneva la inte


grità di mente dell' Agnoletti, negandola ad otto
rispettabili professori che giuravano sulle inferme
condizioni di quello intelletto . Io rispetto ambedue
quei giudizi , perchè rispetto la libertà di coscienza
dei giudici, o cittadini, o Giurati. Ma voi (lo ripeto)
avete due pesi e due misure. La prevalenza del
numero, gli argomenti critici, la voce della coscienza
sono per voi cose buone finchè avvalorano l'assunto
fiscale. Quando lo avversano sono cose da disprez
zarsi e da gettarsi nel fango ; ed allora i Giurati
debbono convertirsi in altrettante grotte, buone
soltanto a servire da eco al sì dei testimoni del
l'accusa qualunque siano, o ad un si disperato del
giudicabile. Se così era non dovevate ammonire i
signori Giurati soltanto a non pensare alla pena :
dovevate ammonirli a dimenticare il lume della ra
gione. Io non fui di coloro che gridarono ben venga
la Giuria. Ma poichè dessa è venuta come istituzione
dello Stato, io dico che se nei giudici popolari si ebbe
tanta fede da consegnare alla loro balìa la vita dei
propri simili, bisogna averne in loro altrettanta per
farne il palladio della innocenza. Non è questione
soltanto di umanità : non è questione soltanto di
politica è questione di logica . Rispettateli quando
assolvono, se volete che il popolo li rispetti quando
condannano . Diversamente demolite voi stessi l'al

tare della giustizia. Quale è il concetto di queste


individualità tracotanti, le quali evidentemente si
arrogano il sindacato personale delle sentenze quan
do non hanno più mezzi legali per farle correggere
e spogliarle della autorità di rejudicate ? Il loro
concetto è palpabile . Essi dicono al popolo , accettate
415 -

come oracoli i pronunciati di questi uomini finchè


dicono a modo mio : se no, no. Lo che in ultima
analisi è la ripetizione della pretesa dei despoti :
come quelli già dissero lo Stato sono io, così questi
dicono la giustizia sono io .
D'altronde, anche prescindendo dal credere o non
credere alle confessioni ed ai testimoni, non vi sono
egli circostanze giuridiche nelle quali è assoluto do
vere di giustizia lo assolvere a dispetto della con
fessione e dei testimoni ? E se queste vi sono (come
indubitatamente vi sono ) con qual buona fede si
viene insegnando ai giudici popolari che a loro corra
l'obbligo di condannare ovunque trovano un con
fesso , o delle testimonianze a carico . Di tali situa
zioni ve ne ha mille, e non è difficile trovarne
molteplici esempi ( 1 ) .

(1 ) Che se nella storia dei criminali giudizi rimane qual


che esempio di assoluzioni pronunziate dalla Giurìa malgrado
la piena certezza di assolvere un colpevole , erra a partito chi
da questo fatto argomenti immoralità nei Giurati o vizi nella
istituzione. Il sapiente legislatore deve invece riconoscere in
questi fatti un ammaestramento : deve pigliarli come rivela
zione della opinione pubblica , la quale si ribella contro la
eccessiva durezza di certe pene minacciate a certi delitti . Ed
allora deve comprendere che la misura delle giuste penalità
non è il suo capriccio o la sua ostinata adesione a tradizioni
erronee , ma la consonanza con la coscienza universale , che
si manifesta dalla opinione pubblica mediante l'organo dei
giudici cittadini . E deve non solo per politica ma anche per
giustizia abbassare le pene; perchè ritornino ad essere sim
patiche al popolo . Questo io più volte ho scritto con vivissi
ma fede , ed oggi torno a ripeterlo con fede uguale e con mag
giore coraggio ; poichè trovo accolto siffatto pensiero da quello
- 416 __

Come può egli dimenticarsi da un giurista che


non esiste delitto punibile se non dove concorrano
tutti gli elementi della punibilità !
Come può dimenticarsi che i testimoni e la con
fessione, per quanto espliciti e positivi, possono tal
volta essere insufficienti ad accertare anche l'ele
mento materiale del reato ; perchè questo non emer
ge dal solo fatto soggettivo ma dal resultato oggetti
vo, che non sempre si può giudicare dai testimoni nè
dallo stesso colpevole , come ( a modo di esempio )
la morte per conseguenza della ferita !
Come può dimenticarsi che lo elemento forma
le ( 1 ) il più delle volte non cade sotto il giudizio

eminente giurista e sommo politico che è il Comm. Vacca ,


nel suo discorso inaugurale alla Corte di Cassazione di Na
poli del dì 8 gennajo 1874 , al § . 10. E cito un nome abbastan
za conosciuto , non solo per la dottrina ma anche per opi
nioni piuttosto severe.
(1 ) È deplorabile la perseveranza ( e meglio direi la te
merità ) con la quale ovunque si emetta dai Giurati un ver
detto mite, il partito retrivo , il quale mantiene sistematica
guerra contro una istituzione che è il baluardo delle civili
libertà , dà fiato a tutte le sue trombe maligne per denigrare
i giudici cittadini . Questo sì che è uno scandalo ; che uo
mini i quali non conoscono i fatti osino censurare la coscien
ziosa apprezzazione che dei fatti emise un numero di cittadini
integerrimi, dichiarati dalla legge i soli competenti a giudi
carne. Nulla avvi di tanto insano quanto pronunziare giudi
zio di quello che non si conosce . Quanto non si è declamato
testè contro il verdetto dei Giurati di Alessandria , che con
dusse alla sola pena di un anno di carcere Guido Men
ghini uccisore dello scellerato frate Plebani , carnefice della so
rella di lui ! ... Ebbene fuvvi occasione nella quale fosse
- 417 ――――――

dei testimoni i quali non possono fornirne che sem


plici congetture ?

ro gratuiti , partigiani ed insensati i lamenti , tale certamente fu


quella del processo Menghini . Avvegnachè il medesimo si com
piesse , per riguardo alla decenza, a porte chiuse . La riprova
zione pertanto non può risalire ad altra fonte che alla parte ci
vile od allo accusatore : il giudizio del pubblico è vano cer
carlo in questo caso , perchè il pubblico non potè assistere
allo svolgimento del vituperevole dramma . Se i cittadini aves
sero dalla viva voce dei testimoni apprese le orribili nefan
dità ripetutamente consumate da quel vitupero del 'chiostro
a rovina della infelice Amalia Menghini , la coscienza popolare
avrebbe precorso la pronunzia dei Giurati , ed avrebbe impo
sto silenzio ai maligni declamatori . Ma il pubblico ha dovuto
fare un salto dall' atto di accusa al verdetto , e tutto il dram
ma intermedio rimanendo a lui sconosciuto , ne è sorto un
movimento di sorpresa che lo svolgimento progressivo della
storia processuale avrebbe convertito in un movimento di
approvazione il quale forse avrebbe posto un freno allo
erompere della bile dei detrattori. In quanto a me rispetto
sempre le rejudicate , o favorevoli o avverse ai giudicabili , e
vorrei che gli ufficiali della giustizia dessero i primi l'esem
pio di tale rispetto . Nel caso Menghini poi a far tranquilla
la mia coscienza bastano le parole con le quali il Presidente
di quelle Assise chiudeva il suo riassunto ; parole concise ,
ma eloquentissime : e tanto più eloquenti se si avverte alle
venerande labbra dalle quali partivano , ed al nome autore
vole di quella perla fra i Magistrati . Ma poi vi sono o non
vi sono nella legge ( o meglio che nella legge nei supremi
principii di giustizia ) le escusanti e le attenuanti ? Vi sono .
Dispone o non dispone il vegliante codice che quando ricor
rono certe escusanti o certe attenuanti la pena dell'omicidio
possa discendere fino ad un anno di carcere ? Lo dispone.
Or dunque con quale autorità fate le mostre di una ipocrita
VOL. V. 27


418

Come può dimenticarsi che lo elemento giuridico


del reato sfugge sovente ancora esso parecchie fiate
al giudizio dei testimoni e dello stesso imputato ,
tutte le volte che essi cadano in equivoco sulla sus
sistenza del diritto che si crede violato !

meraviglia , per ingannare il pubblico ignaro , e dargli a cre


dere che la combinazione di quella pena con quel titolo sia
una novità paurosa creata dalla giuria ? lo ebbi dai giudici
Magistrali una condanna a sei mesi di carcere contro una
infelice fanciulla che aveva premeditatamente ucciso in Marcia
na il suo seduttore : gli aveva confitto nel cuore un pugnale da
lunga mano preparato : lo aveva ucciso in Chiesa a piè del
l'altare, dove il Ciangherotti consumava con altra fanciulla
il suo tradimento . Tutti gli intelligenti applaudirono a quella
mite sentenza , perchè emanava da Magistrati . Dai Giurati non
avrei forse ottenuto altrettanto ; ma se lo avessi ottenuto i
soliti nebuloni avrebbero gridato la croce addosso alla isti
tuzione . Se a voi non piace questa larga ammissione di scu
se allo omicidio , chiudete tutte le scuole di ragione penale ,
chiudete tutti i cuori ad ogni sentimento di umanità e di giu
stizia , e resuscitate Dracone dal suo maledetto sepolcro . Ma
qual colpa hanno i Giurati se il codice Sardo , per quanto esu
berantemente severo , ha pur dovuto rendere omaggio ai pro
nunciati della scienza ed alle esigenze della giustizia distribu
tiva ? I Giurati non hanno fatto che dichiarare la esistenza
materiale delle circostanze che la legge imponeva loro di
verificare. Potete voi negare la dolorosa leggenda di vessa
zioni e rovine che trascinò il Menghini a quello attentato ?
Sareste imprudenti se lo negaste, quando attraverso di que
gli usci chiusi si è ormai renduta palese la terribile storia .
E se i Giurati dichiararono il concorso di quelle cause verti
ginose , essi obbedirono alla verità , obbedirono alla propria
coscienza : profani ! rispettatene il santuario .
419 -

E se una semplice materialità di fatto puramente


soggettiva non basta a costituire un delitto puni
bile, ove non si congiunga a lei l'elemento formale
della volontarietà intelligente, e la oggettività giu
ridica del diritto violato, è gravissimo errore sta
bilire come apoftegma assoluto che il Giurato debba
sempre dare risposta affermativa in obbedienza alle
confessioni ed alle testimonianze, finchè risponde ,
secondo il nostro sistema, ad un quesito che non lo
richiama ad un fatto materiale, ma anche agli effetti
di quel fatto, ed alla colpevolezza del giudicabile.
1. Una fanciulla dichiara che sgravatasi di un
figlio illegittimo gettò la creatura in luogo solitario
.
affinchè con quella perisse la testimonianza del
suo fallo . Ma i Magistrati l'assolvono perchè con
cordi perizie assicurano che quella creatura era
morta nell' utero materno, e il delitto non era che
putativo . I Giurati dovranno condannare perchè vi
è la confessione ?

2.º Un capitalista era possessore di una cambiale


firmata da due negozianti. Uno di questi falli ; ed
il capitalista temendo perdere la metà del suo cre
dito cercò di un abile calligrafo , e con lui aggiunse
alla cambiale la clausula insieme ed in solidum.
Scoperta la falsità si resero confessi entrambi i
colpevoli. Ma i Magistrati di Lucca assolvettero per
chè la solidarietà tra i più firmatari di una cam
biale nascendo dalla legge commerciale , quel falso
era destituito di ogni possibile danno. I Giurati
avrebbero dovuto condannare perchè avevano due
confessi ?

3. Un uomo esplode un archibugio petto a petto


contro il proprio nemico e lo stende cadavere . Lar
――――― 420 -

ga mano di testimoni comprovano il fatto . Ma i Ma


gistrati di Pisa assolvono perchè l'ucciso armato di
una forca di ferro stava per configgerla nel ventre
dell' uccisore. I Giurati avrebbero dunque dovuto
condannare perchè vi erano i testimoni ?
4. Un giovine assale sulla pubblica via successi
vamente una dopo l'altra tre donne reduci dalla
messa, e consuma violenza carnale sopra di loro.
Il fatto è largamente testimoniato. Ma i Magistrati di
Lucca assolvono, perchè è resultato evidente che quel
giovine agi sotto un accesso di furore che lo privava
di ogni coscienza. Se fosse stato tradotto avanti ai
Giurati si sarebbe detto uno scandalo la sua asso
luzione perchè abbondavano le testimonianze !
5. Una donna aiutata dal suo colono ha rubato
col mezzo di falsa chiave una quantità di granaglie
dal deposito del suo vicino. Essa ed il colono con
cordemente confessano ; ma i Magistrati di Lucca
l'assolvono perchè, creditrice del proprietario , quella
donna volle procurarsi indennizzo dal suo debitore.
Una fantesca ruba l'argenteria del padrone . Il furto
è manifesto. La ragazza è confessa. Ma i Magistrati
di Firenze l'assolvono perchè essa sedotta ed in
cinta per opera del padrone volle provvedere al
sostentamento di sè e della sua prole. I Giurati se
condo il nuovo catechista avrebbero dovuto ineso
rabilmente condannare quelle due disgraziate per
chè avevano la confessione dei rei.
6. Un contadino dei nostri monti ha dato una
forma rotonda e le dimensioni di un soldo a delle
lamine di rame, ed ha tentato spenderle come soldi .
Tradotto come colpevole di fabbricazione di falsa
moneta e di tentato spendimento, i Magistrati di
421 -

Lucca lo assolvono perchè quei pezzi di rame non


presentavano segno alcuno che imitasse la moneta
corrente, nè può aversi falso nummario dove man
cano le condizioni della moneta. Questa assoluzione
sarebbe stata uno scandalo se pronunziavasi dai
Giurati !
Non sono rari nè lontani gli esempi di Magistrati
che hanno assoluto a dispetto dei due e dei quattro
testimoni concordi, perchè hanno avuto motivi nella
loro religione di sospettare che quei testimoni fos
sero o menzogneri od illusi ; o perchè altro numero
di fidefacienti illibati sostenevano l'alibi dell' accu
sato. Ma i Giurati di Francia a dispetto della coar
tata condannarono a morte l'infelice Lesurques,
perchè la ostessa ed il suo garzone tenacemente
riconoscevano in quello infelice uno degli uccisori
del corriere di Lione . Così fu evitato lo scandalo di
una assoluzione a ritroso dei testimoni, e non fu
scandalo l'assassinio giudiciario di un innocente.
E qui mi permetto una digressione. Tra i fiori
dei quali il giardino della scienza venne abbellito
mercè i discorsi inaugurali dell' anno 1873 vuole
essere notato quello del Conte Adolfo De Fo
resta reggente la Procura di Ancona. Quel sa
piente gentiluomo, degno rappresentante di un no
me già illustre , benemerito, e venerato , scelse per
suo tema il sistema penitenziario, e ne prese oc
casione di nuove manifestazioni della sua somma
dottrina e del suo spirito progressivo ed umanita
rio. Ma non è di ciò che io voglio dire a questo
luogo . Io voglio dargli la meritata lode per la lealtà
e la pietà che lo spinse a lamentare dall' alto del
suo scanno la ingiusta condanna a perpetua galera
--- 422

che i Giurati di Ancona avevano proferito contro


l'infelice Antonio Cappelletti di Polverigi nel 14
maggio 1868 riconosciuto poscia innocente. Confor
ta l'animo il vedere che in mezzo a tante voci , le
quali da troppi lati altro non fanno che rimprove
rare ai Giurati le assoluzioni, se ne ascolti una che
richiami i Giurati a piangere sulle precipitate con
danne. Ed io vorrei che di simili esempi di impar
zialità si onorasse più spesso la tribuna del Pub
blico Ministero . Ma torno al mio argomento.
Io non sono ito in traccia di ipotesi immaginate
a comodo di ragionamento . Prendo a caso negli
annali criminali gli esempi delle più celebri vittime
degli errori giudiciarii ; e trovo che tutte caddero
sotto la scure in obbedienza ad una confessione od
a positive testimonianze : sono ritornato col pensiero
sulle reminiscenze del mio lungo esercizio ed ho ac
cennato alcuno fra i cento casi di assoluzioni ot
tenute dai Magistrati contro il deposto dei testimoni
e contro le confessioni dei giudicabili : e dimando
se la storia e li esempi di siffatti errori da un la
to , e di simili atti di giustizia dall'altro lato , deb
bano essere cancellati ed annientati per la istitu
zione della Giuria. In faccia ai Giurati più non
dovranno esistere le necessità e le condizioni co
stitutive del delitto : più non dovranno esistere le
sane regole della critica ; dicasi in una parola, più
non dovranno i giudici cittadini obbedire alla co
scienza loro. Automi inceppati in un catechismo di
ferro, essi, quantunque certi della innocenza del giu
dicabile, o per lo meno incerti sulla colpevolezza di
lui, od anco convinti della insussistenza del delitto ,
dovranno sempre condannare per non essere accu
―――― 423 ―――

sati del gravissimo scandalo di non avere accettato


come dogmi le parole sospette del giudicabile o
dei testimoni ; ed avere invece renduto omaggio
alla verità !
Se queste novelle dottrine si andranno allargando
in Italia, se esse prenderanno radice nell' animo di
Giurati inesperti, non vi è più sicurezza per gli
onesti ; e la giustizia giuratesca diviene un flagel
lo universale.
Chiuderò questo mio discorso con una osserva
zione sensatissima di Wladimirow ( Étude sur
l'institution du Jury ) . Quando i Giurati ( dice
questo illustre scrittore ) assolvono malgrado la evi
denza del fatto materiale, ciò mostra che in quel
fatto il collegio NON VI HA TROVATO DELITTO . Potrà
essere colpa della legge di non avere parlato chia
ro. Ma la legge deve essere la regola di condotta
di tutti i cittadini e non dei soli giuristi. E quando
in quel fatto i Giurati non vi hanno trovato la
ingiusta offesa della legge, non permette nè la equità
nè la giustizia che si faccia cadere sull' accusato
una pena severa perchè fu reo di avere inteso la
legge come l'hanno intesa i Giurati. I Giurati

( conclude egli ) dichiarando che quell'uomo è COL


PEVOLE giudicano che quel fatto è CONTRARIO AL
LA LEGGE, e giudicano il contrario dichiarando
l'opposto. È una illusione affermare che questo sia
un giudizio di puro fatto.
Di questa osservazione piacquemi pigliare ricor
do, parendomi rigurgitante di senno, perchè ricon
giunge la istituzione della Giurìa col supremo fine
del giudizio criminale , e rivela il prominente pregio
della istituzione medesima ; che è quello di rendere
― 424 -

simpatica la giustizia punitiva, presentando nei suoi


effati l'eco fedele della pubblica opinione. Pur trop
po i peggiori interpreti della pubblica opinione sono
quelli uomini i quali ( quantunque probi e sapienti )
chiusero la loro vita nello ambiente di un uffizio,
dove nutricandosi di abitudini dommatiche smarri
rono nella fede di queste la conoscenza della realtà
della vita. Di qui nasce troppo spesso il fenomeno
che mentre lo accusatore si morde le labbra per
un verdetto contrario, il popolo applaude, ed intuo
na l'osanna al misero liberato dal carcere. Singo
lare contrasto ! il quale dovrebbe non obliarsi quan
do si vuole giudicare se lo scandalo stia nelle as
soluzioni, o piuttosto nelle accuse precipitate e nelle
intemperanti censure.
Cessino dunque i Pubblici Ministeri di inveire
contro i Giurati col pretesto di scandali immagina
rii; ed invece imitino la imparzialità di un loro
Collega, il quale ha denunciato scandali reali dolo
rosi e spaventevoli, come adesso vado a ricordare.

Pisa 1 luglio 1873.

DAR Yor

V.

Scandali reali

I discorsi di apertura dei Pubblici Ministeri per


l'anno 1874, che ho potuto vedere fino ad ora, mi
rallegrano l'animo perchè in generale trovo che da
- 425 -

diverse parti si annunzia questo fatto consolantissimo


di una notabile diminuzione di delinquenze riscontra
ta nel 1873 nelle provincie di Italia. Ciò mi rallegra
l'animo per l'amore che porto alla mia patria ed al
la umanità : mi conforta, perchè mi porge ragionata
speranza che più facilmente se ne appiani la via alla
desiderata abolizione del patibolo : e ( bisogna pure
che io lo confessi ) mi desta nell' animo un senti
mento di compiacenza di me medesimo, ricordando
come in questa guisa i fatti con eloquente riprova
diano conferma alle previsioni che con viva fede
emetteva varii anni addietro, quando scriveva non
dovere essere causa di ragionato timore quella re
crudescenza di criminalità che per qualche tempo
si lamentò nella maggior parte delle provincie ita
liane, perchè io la considerava come effetto di mo
menti eccezionali e non duraturi . Troppo esagerava

i suoi timori, troppo calunniava la libertà , chi si


abbandonava al pensiero che quella recrudescenza
fosse segnale di un triste avviamento preso dalle
popolazioni italiane . Non era, no, nè poteva essere,
quello aumento di delinquenze lo effetto di vizi
profondi e crescenti nella moralità delle nostre
popolazioni. Era lo effetto necessario degli sposta
menti delle famiglie cagionati dai nuovi ordini ; delle
ire e dei partiti politici , e delle reazioni che ne sono
la conseguenza ; e soprattutto delle agitazioni ne
faste che al fine di cagionare disordini si tenevano
vive dai sognatori di restaurazioni impossibili. Ma
tutto questo doveva essere passeggiero ; e già si
vede e si tocca con mano che lo era. E lo avve
nire risponderà favorevolmente a queste conforte
voli espettative .
426

Ma non è soltanto di questa generalità che io vo


leva dire come argomento di sperare più facile il
trionfo della dottrina abolizionista in Italia. Fra i
discorsi inaugurali a me pervenuti io mi sono spe
cialmente fermato su quello del Cav. Francesco
Arabia, già mio benevolo compagno nella Com
missione per il progetto di nuovo codice penale italia
no, ed oggi sostituto Procuratore generale alla Corte
di Appello di Napoli ; e piacemi di prendere nota di
una pagina di quel discorso , nel tempo stesso che io
faccio allo illustre criminalista un omaggio di reve
renza. E tanto più volentieri io faccio questo omaggio
all' Arabia affinchè egli conosca che se anni ad
dietro, intorno ad una questione secondaria di diritto
penale, si impegnò tra noi una polemica nella quale
la opinione dello illustre professore fu da me com
battuta forse con troppa vivacità, questo non fu se
gno davvero che fosse in me venuta meno quella
reverenza e quella stima che io sempre nei miei
scritti aveva professata verso l'insigne criminali
sta napoletano .
Ecco dunque la pagina alla quale alludo : pagi
na 20 -- ivi ―――

<< Fra le condanne pronunziate dal giurì, meri


<< tano speciale attenzione le 11 di morte. Le re
<< sidenze dove furono pronunziate, luoghi infestati
<< da un avanzo di brigantaggio di cui l'autorità
<< civile e il valore del nostro glorioso esercito ci
<< hanno liberato, indurrebbe a credere che ormai
<< questa pena è divenuta per lo meno straordinaria
<< nella nostra giurisprudenza. Ed è riserbata per
<< quei casi ben rari in cui la giustizia, anzi che
<< decidere con la solenne serenità del giudice, im
- 427 -

« pugna la spada , e scende a guerreggiare per la


<< difesa dell' ordine sociale . Se non che, dei tre con
<< dannati in Salerno , uno fu per uccisione del co
«< niuge, e i Giurati negarono le attenuanti chieste
<< dal Pubblico Ministero ; l'altro per omicidio di un
<< Segretario municipale : e de ' due condannati a
<< Campobasso , l'uno fu per tentata grassazione con
<< omicidio , l' altro per assassinio, ed in uno il Pub
«< blico
< Ministero chiese , e i giurati negarono le
<< attenuanti : nè questi sono casi di brigantaggio .
<< La inesauribile clemenza di un Re bravo, e però
<< generoso, è sempre aiutata in far grazia della vita
« dai Ministri guardasigilli, questi dai Procuratori
« Generali, uomini designati al pubblico spavento
<< come accusatori di mestiere , pieni di iracondia e
<< di fiele, e che pure si trova che domandano at
<< tenuanti che sono loro negate ; e aiutata dagli stes
<< si Presidenti delle Assise , il che non può farsi ed
<< avvenire che sotto l'impulso della ormai pubblica
<< riprovazione di questa pena. Nondimeno, o signo
< ri, è un gran dire, ed è cosa che meglio di tutto
«
<< rivela la gravezza del dubbio, che se da una parte,
<< anche quando la pubblica tranquillità era seria
<< mente minacciata, non si è smesso presso di noi
<< di attaccare la legittimità e la utilità di questa
« pena, dall' altra, per lo contrario, in tanta mitezza
<< d'idee e di costumi , nello stato in cui trovasi la
<< scienza della ragion penale, e fra tanti sforzi di
<< ingegni elettissimi, un ' altra corrente della pub
< blica opinione preme in sì fatto modo, che di raro,
<< ma pur si vegga or qua or là sorgere dall' om
« bra e aprire le sue ferali braccia l'orrida figura
<< del patibolo . Ne sia dato sperare che presto
―――――― 428 -

<< l'egregia ed illuminata operosità del Ministro di


<< Grazia e Giustizia, col progetto del nuovo codice
<< penale faccia risolvere, legalmente almeno , l' an
<< tica controversia a quei poteri dello Stato che ne
<< hanno diritto ».
Queste parole autorevoli rivelano un fatto dolo
rosissimo : ed è su questo fatto che io voglio richia
mare le meditazioni dei nostri giuristi ed anche dei
nostri legislatori . Il fatto spaventevole è questo che
in Italia si incontrano dei Giurati i quali condan
nano a morte un accusato quando il Procuratore
del Re ha chiesto una pena minore.
Si mediti freddamente questo fatto pauroso : si
congiunga con le condizioni dei nostri ordinamenti
giudiciari, che non ammettono giudizio di revisione
neppure contro le condanne capitali. E poi si dica
se con animo tranquillo si possa consegnare la vita
dei cittadini ad un' onda che con tanta facilità si
atteggia a tempesta.
Certo è che anni addietro un illustre Ministro si
sforzava di incoraggiare i nostri legislatori al man
tenimento della signoria del carnefice, facendo loro
intravedere la speranza che la pena di morte sa
rebbe rimasta lettera inane nel codice , attesa la
balia delle attenuanti della quale avrebbe fatto uso
frequentissimo la conosciuta umanità dei Giurati.
Gli annali giudiciarii del 1873 hanno pur troppo
mostrato che questo argomento era una lusinga fal
lace. Sono i Giurati di Salerno e di Campobasso
quelli che si sono assunti lo incarico di rispondere
a quello argomento ministeriale : e vi hanno risposto
in un modo ferocissimo , ma perentorio .
- 429 ---

Per fermo, dopo questo fatto , il canefice ha un


argomento di meno ; ossia una insidia di meno per
sedurre le coscienze dei creduli a ribadire il suo

trono, insinuando che egli terrà la spada nel fodero .


E per altro lato hanno gli abolizionisti un argomento
di più per sostenere la necessità di abolire una
pena irreparabile, quando la irrogazione della me
desima deve consegnarsi ad uomini che si mostrano
talvolta più feroci dello stesso pubblico accusatore ;
il quale , per sua natura e per sua abitudine , deve
sempre ritenersi inclinato a severità, cosicchè quan
do scende alla opinione più mite possa la pubblica
coscienza dichiararsi tranquilla che tale mitezza era
comandata da una imperiosa necessità di giustizia.
E questo deve ritenersi per buona logica quando
l'Arabia ci narra che negli altri nove casi il Pub
blico Ministero non aveva chiesto le attenuanti.
Dunque quell' ufficio non le chiedea per sistema :
non per principii di avversione al supplizio capitale :
e se in questi due casi le aveva chieste, egli più
sapiente e più illuminato dei giurati, non poteva
avere abbandonato il suo ufficio di costante seve
rità tranne per la obbedienza di un religioso do
vere. Dunque vi è presunzione che in quei due casi
almeno la condanna di morte fu un errore giudi
ciario. Errore sempre deplorabile tanto se si con
danni un innocente, quanto se un colpevole si dan
ni a pena tremendamente superiore a quella che
avrebbe richiesto la rigorosa ma giusta applicazione
della legge .
Non ci illudiamo di vane speranze, non apriamo
l'uscio al male nella lusinga che esso non avrà il
'governo dei fatti, non dimettiamo le armi per la
- 430

fiducia di una tregua illusoria. I Magistrati, che han


no convinzioni scientifiche ragionate, potranno im
porre a sè medesimi come sistema la relegazione
della pena di morte allo stato perpetuo di semplice
ninaccia. Ma i giudici cittadini, che pronunziano per
sentimento, cioè per le occasionali impressioni che
ha suscitato nell'animo loro la truce fisonomia di
un giudicabile, non hanno sistema ; obbediranno al
l'impeto della passione , e daranno un verdetto di
morte dove questa pena è riconosciuta ingiusta ed
esorbitante dallo stesso ufficiale che sostiene l'ac
cusa a nome del Re . Abolizionisti di fede sincera
guardatevi dalle transazioni !.
XXV.

PROGRESSI

DELLA LIBERTÀ CIVILE


·
PROGRESSI

DELLA LIBERTÀ CIVILE

I.

L'obi ettiv
obiett ivo delle fugaci osservazioni che pubblico
sotto questa rubrica è la libertà della Curia nello
esercizio del patrocinio. I nuovi ordini hanno isti
tuito un sistema di oppressione a danno delle Curie,
che non era a tempo dei governi dispotici . Piccole
restrizioni, minuzie in apparenza ; ma tutte conver
genti a mettere il patronato sotto la mano di ferro
dei Procuratori del Re, ed a spogliare le Curie dei
loro più belli attributi . Oggi dirò una parola della
consultazione gratuita. L'ufficio di consultazione
gratuita sotto il dispotismo Toscano si esercitava
dalle Camere degli Avvocati presso le respettive
Corti del Granducato. Questo ufficio serviva a dare
ai poveri gratuitamente pareri sui diritti che essi
credevano potere esercitare , ed i pareri si davano
con maturo studio nelle sessioni settimanali rego
larmente tenute da un collegio di Avvocati eletti
VOL. V. 28
――――― 434 ―――

dalla Camera a costituire l'ufficio . Questo ufficio


deliberava inoltre sulla ammissione dei poveri al
benefizio del patrocinio gratuito nelle liti che vo
levano proporre . Mai si elevarono reclami o la
gnanze contro l'operato delle vecchie Camere di
consultazione.
La libertà, che tutto innovò, ha portato riforma
anche in questo ufficio ; ed anche questa riforma
ebbe per suo cardine principale il perpetuo sonetto
a rime obbligate di mettere l'ufficio di consulta
zione gratuita sotto la mano di ferro del Pubblico
Ministero. Il nuovo ufficio si compose del Procura
tore del Re , di un Avvocato e di un giudice . E sic
come è nella natura del Procuratore del Re che
dovunque egli interviene divenga assorbente per
l'influsso che gli danno i suoi mezzi ed i suoi po
teri, così oggi nella realtà dei fatti le decisioni sulla
ammissione del povero al patrocinio gratuito sono
sempre tali quali si desiderano dal Pubblico Mini
stero. Quali sono state le conseguenze di questo
nuovo sistema ? Lagnanze continue e mormorazioni
senza fine : decreti di ammissione al patrocinio gra
tuito emessi dalla Camera di consultazione presso
le Corti ; i quali poi si dovettero revocare dal mi
glior senno della Corte di Cassazione , cosa inaudita
nella vecchia Toscana. Che più ? Narro fatti avve
nuti in quest' anno , e non una sola volta. Si è ve
duto respingere un miserabile dallo implorato be
nefizio allegando che la lite da lui desiderata non
aveva fondamento di ragione, mentre quel disgra
ziato voleva instaurare un giudizio di liquidazione
di danni in esecuzione di una sentenza passata in
cosa giudicata la quale definitivamente aveva con
―――――― 435 ―――――

dannato alle indennità in genere da liquidarsi come


di ragione ! . . . . Il vecchio ufficio nostro di con
sultazione gratuita non avrebbe avuto la temerità
di dire siffatte cose. Ma oggi bisogna ripetere pur
troppo così si fa colà dove si puote ciò che si vuo
le, e più non domandare.
D'altronde come pretendere che un Pubblico Mi
nistero abbia reverenza per le rejudicate, quando
alcuni di questi ufficiali non sanno parlare al pub
blico senza declamare contro la ingiustizia delle
sentenze proferite nell' anno, e sembra che abbiano
.
per loro istituto non solo l'avvilimento della Curia
ma anche quello della magistratura !
Ho tardato a denunciare al pubblico questo ar
gomento, perchè sperava che la nuova legge sugli
avvocati si sarebbe occupata anche di questa inte
ressante materia, ed avrebbe emancipato le Camere
di consultazioni dal Briareo che soffoca ogni movi
mento della giustizia. Ma i compilatori del nuovo
progetto di quella legge ( in molte parti saggia e
lodevolissima ) non hanno portato il pensiero sullo
interessantissimo tema delle consultazioni gratuite ,
le quali dovrebbero essere l' attributo esclusivo del
la libera Curia. Deploriamo questa dimenticanza ; e
frattanto tolleriamo i disordini.

Pisa 18 decembre 1873.

II.

Quando reduce dai miei studi nella Toscana, cir


costanze di famiglia mi condussero nel 1831 ad
436 --

intraprendere lo esercizio del patronato criminale


nella mia nativa città, Lucca composta a piccolo
Ducato era governata da Carlo Lodovico di Borbone ,
ottimo principe tranne che tenacissimo della sovrana
autocrazia. Era quello un reggimento dispotico sen
za limite alcuno , ma amplissimo largitore di libertà
civili per la temperanza del governo e per la os
servanza delle leggi . Postomi per lo assunto ufficio
in comunicazione con i detenuti delle carceri giu
diziarie, dei quali mi veniva affidato il patrocinio o
per libera scelta o per destinazione presidenziale ,
trovai non solo mantenuta ai difensori la più ampia
libertà di colloquio con i detenuti , ma trovai di più
che a questi si dava pienissima libertà di carteggio
con i loro difensori senza che le respettive lettere
si dischiudessero nè soggiacessero ad alcuna visita
per parte delle autorità giudiciarie od amministra
tive. La cosa mi parve per sedici anni così sponta
nea e naturale che mai mi cadde in pensiero di
ravvisarvi una singolarità lodevole di quel governo .
Non abbiamo noi patroni il sacro diritto di colloquire
segretamente col nostro raccomandato e ricevere
confidenziali comunicazioni, chiarimenti e istruzioni
sul fatto, ed a lui porgere opportuni consigli ? Ciò
che liberamente può ricambiarsi a viva vocé fra
noi perchè non potrà egli da lui a me o da me a
lui dirsi con una parola scritta, e consegnarsi ad
un foglio ? Qual differenziale può esservi fra la liber
tà di parlare e la libertà di scrivere ? Si teme forse
che il patrono si renda procaccia , del detenuto , e
nella lettera a sè diretta riceva fogli per diramarli
agli estranei ? Ma questo sospetto è ridicolo quando
cade sopra coloro che per ore ed ore si trattengono
______ 437 -

da solo a solo a segreto colloquio e con immediato


contatto durante il quale, se vi cada slealtà, possono
vicendevolmente ricambiarsi ben assai più che una
lettera. Ridicolo , ho detto, sarebbe il timore per
questo lato, e lo ripeto. Nessuna sorpresa pertanto
mi recava quel costume, e credeva alla buona di
Dio che la cosa non dovesse andare altrimenti.
Col 12 settembre 1847 passò Lucca a far parte
del Granducato Toscano ; e col 15 del successivo
aprile ebbe compimento la unificazione legislativa
ed amministrativa. Allora cominciai a vedere che
le lettere dei carcerati mi pervenivano aperte e con
in testa il visto del direttore delle carceri . Interpe
trai questo come lo effetto di un regolamento ge
nerale di disciplina interna . Avrei pensato che forse
potesse farsene a meno per le lettere che indiriz
zate ai patroni si aveva certezza che non pervenis
sero ad altre mani , sia che all' ufficio postale si con
segnassero, sia che la consegna se ne facesse dalle
guardie dello Stabilimento : ma non ne sentii grave
rincrescimento come di libertà violata, perchè in
fatto non era quella che una semplice formalità ; e
gli impiegati delle carceri d'allora mai spinsero lo
zelo fino ad intercettare le lettere fra patrono e
accusato per farne elemento di prova in processo
o di informative all' accusa . È però vero che anche
in questo primo passo le libertà della difesa anzi
chè progredire di conserva con le allargate libertà
politiche avevano retroceduto.

I movimenti iniziati col 27 aprile 1859 aprirono


la strada a farci divenire di toscani italiani , come
prima eravamo divenuti di lucchesi toscani, e parve
allora che una pioggia d'oro di libertà non mai
438

godute nè sognate dovesse rovesciarsi sovra di noi


come un torrente di inesauste benedizioni . In qual
guisa queste libertà sieno venute altri lo cerchi : io
mi tengo stretto allo argomento mio.
Coi nuovi ordinamenti italiani il carteggio fra gli
accusati e gli avvocati difensori deve essere aperto ,
ispezionato, letto , bollato e vidimato dal Pubblico
Ministero. Oh ! quale immenso dilatamento di li
bertà defensionali ! Non è più un libero passo co
me nella dispotica Lucca ; non è più una semplice
formalità amministrativa come nella temperata To
scana. È una completa inquisizione che si istituisce
nello interesse del fisco sulle confidenziali comuni
cazioni fra patrono e accusato. È una inquisizione
che si pone in mano a colui che esercitò l'azione
penale contro il detenuto ; a colui che ne procurò
lo arresto ; a colui che contribui a mantenerlo in
istato di detenzione ; a colui che regolò il processo ;
a colui che ebbe balia (se così gli piacque ) di fare
egli stesso gli interrogatorii ; a colui che usò ogni
sua pressione sulle camere d' invio per ispingere
il detenuto alle Assise ; a colui che lanciò l'atto di
accusa a colui che regolerà a sua posta il giudizio
orale ; a colui che spiegherà veemente parola con
tro il giudicabile, che avrà potestà di appellare e
ricorrere da ogni pronunziato che a lui non piaccia ;
che vigilerà la esecuzione della sentenza ; e che se
io sono condannato a cinque anni di pena deciderà
fra tre anni col suo voto preponderante nel santua
rio della sovrana clemenza sull' accordarmi si o no
una grazia che implori. Tutte queste mani del gran
de Briareo parvero poche pei liberi italiani . Bisognò
dargliene ancora un'altra fornita del diritto di aper
- 439

tura di lettere perchè potesse conoscere le comu


nicazioni confidenziali fra il giudicabile ammesso
alla libera difesa ed il suo legittimo e riconosciu
to patrono .
La cosa guardata praticamente è una frivolezza ,
perchè è in sè stesso insulso imporre remore affin
chè non si scrivano reciprocamente i loro pensieri
due persone che possono a tutte le ore senza rite
gno parlarsi ; e perchè detenuti e patroni non sono
sì gonzi da far cadere nello uffizio dello accusatore
documenti e notizie che amino tenere segrete, con
la certezza di vedere quei documenti comparire in
processo a sostegno dell' accusa. Praticamente , ri
peto, il male è minimo ; e tutto si riduce allo inco
modo pei difensori di dover fare qualche viaggio
di più alle prigioni per ricevere quelli schiarimenti
che avrebbero potuto ottenere mediante un biglietto.
Ma se il male pratico è niente nel corso ordinario
degli eventi, non è peraltro impossibile che alla oc
casione di un detenuto soverchiamente incauto si
vegga lo scandalo di un giudicabile condannato in
base ad una lettera confidenziale da lui scritta al
proprio difensore, ed intercettata per zelo di accusa.
Ad ogni modo anche questa piccola vessazione se
gna una pagina non disprezzabile nella storia del
progresso delle nostre libertà civili .

Pisa, 22 decembre 1871 .


―――――― 440

III.

Per tutti i tempi ed in tutti i luoghi , dove si è


rispettata la suprema legge morale, furono unanimi
le riprovazioni lanciate dai buoni scrittori di cose
penali contro le frodi e le perfide arti che di tratto
in tratto si venivano introducendo nei procedimenti
criminali dalla ferocia degli inquisitori onde rag
giungere per via di inganni e di tradimenti i mezzi
più atti a strappare da un inquisito una confessione
od a costruire a suo carico un ' apparenza di prova
che bastasse a condurlo al capestro.
Queste arti, che da certi inquisitori udii designarsi
nella espansione di barbara compiacenza, col noto
-
gergo ――――― sto filando una corda furono portate
a conseguenze terribili, sicchè tutti gli onesti se ne
dovettero spaventare e sentirne ribrezzo, sì per i
pericoli della innocenza, si per la brutta immoralità
del fatto. E tutti i governi, che ambirono al vanto
di serbarsi giusti anche nel dispotismo , fulminarono
l'anatema contro siffatti riprovevoli abusi , con i quali
sotto il falso colore di zelo per la giustizia si sfogava
da certe anime pervertite una vergognosa libidine
di sangue e di onori.
Volgendo lo sguardo sugli ordinamenti della pro
cedura penale appo le culte nazioni si trovano in
numerevoli monumenti dell' ossequio che anche i
governi dispotici mantennero religiosamente verso
il debito loro incombente di proteggere la innocenza
dalle maligne persecuzioni degli inquisitori e della
birraglia.
441 ―――

Io mi limiterò a ricordarne due esempi a noi più


vicini. Sotto il Pontificato di Pio VI pubblicavasi
per gli Stati Romani una Enciclica del seguente
tenore - ivi ――― È giunto a notizia di Nostro Si
gnore l'abuso introdotto in qualche Tribunale di
collocare nelle carceri persone, col mezzo delle qua
li si procura estorcere dai carcerati confessioni
estragiudiziali, o altre notizie relative alle prove
dei delitti, per i quali si trovano detenuti, pallian
dole poi con diversi pretesti, e con quello special
mente di una volontaria manifestazione dei car
cerati stessi. Considerando pertanto la Santità Sua
esser questo un contegno riprovato da tutte le leg
gi, e sempre sospetto di suggestione e di altri vizii
direttamente opposti all' integrità dei giudizii cri
minali, vuole che resti assolutamente proscritto dai
suoi Tribunali, e comanda per tale effetto, che per
l'avvenire non si ricevano nei processi, nè si faccia
il menomo conto delle confessioni stragiudiziali o
notizie dedotte dalla bocca degli inquisiti ristretti
nelle carceri, col mezzo di carcerati o di qualsivo
glia altra persona estranea, dichiarandole fino da
ora nulle ed irrite con quanto da esse ne deriverà,
e riserbando a sè la pena contro quelli che ardisse
ro contravvenire a questa sua sovrana disposizione.
Uguale riprovazione di siffatte nefandità legge
vasi nel celebre chirografo promulgato da Benedet
to XIV nel 1743.
E l'ultimo regolamento Pontificio sul procedi
mento penale conteneva all' art. 668 la seguente
disposizione - ivi ―――― È vietato ai custodi delle car
ceri di entrare in colloquio coi detenuti, sulle ma
terie che abbiano relazione al delitto imputato :
――― 442 —

disposizione evidentemente inspirata dal desiderio di


osteggiare le male arti dei birri e dei carcerieri onde
non si facessero belli di confessioni estorte con vi

tuperosi inganni ai miseri detenuti, e spesso ancora


calunniosamente inventate.
In Toscana si svolse un concetto ugualmente
provvido nell' ordinamento procedurale che sotto il
nome di dichiarazioni e istruzioni si pubblicava
colà il 9 novembre 1838 ; e così in epoca nella quale
quel Principe mantenevasi Sovrano assoluto ; ove
all' art. 537 , n. 2 leggesi quanto segue - ivi -

Resta proibito . . . di sentire in esame come testi


moni tanto nelle procedure scritte che nei pubblici
giudizi in aggravio degli imputati o accusati, ec
cettochè nelle cause di evasione dalle carceri come
luogo di custodia , i condetenuti nelle carceri mede
sime per rivelazioni dagl' imputati od accusati stessi
ai medesimi condetenuti fatte durante la indicata
custodia.
Le popolazioni cresciute all' ombra di siffatti prov
vedimenti erano in pienissima buona fede quando
salutavano la inaugurazione di una era novella di
libertà nella fiducia che le guarentigie della inno
cenza perseguitata dai birri si sarebbero fatte più
gagliarde ; e gli abusi , le perfidie e le prepotenze
della burocrazia criminale sarebbero completamente
scomparse dal bel terreno là dove il sì suona.
Il fatto per altro ha tradito tali speranze. E chiun
que esercita in certe provincie il patronato degli
accusati ha dovuto troppo spesso rabbrividire ve
dendo e toccando con mano come a certi giudici
istruttori per condurre a termine i loro processi
piacciano tutti i mezzi fuorchè gli onesti . E così
―――――― 443 ――――

doveva essere, e così continuerà ad essere , e così


dovrà essere in perpetuo se mancano provvide leggi
che frenino le corrotte abitudini di una turba la
quale nei delitti altrui trova elemento di lucro , di
promozioni, e di onorificenze .
Ma queste leggi protettrici degli onesti, dopo do
dici anni di così detta libertà, non si sono ancora
vedute in Italia. I provvedimenti che rassicuravano
i galantuomini nelle varie provincie sonosi ad un
tratto aboliti senza neppure far loro l'onore di stu
diarli o di leggerli . E i nuovi codici di procedimento
penale imposti all'Italia hanno provveduto a tutto
fuorchè a dare alla innocenza le necessarie gua
rentigie, mentre le vecchie guarentigie da loro si
demolivano, od a fronte scoperta ed esplicitamente ,
o implicitamente con arti e strattagemmi ipocriti e
menzogneri . Laonde è un fatto il quale si deve
confessare da chiunque porti uno studio imparziale
sulla legislazione comparata che gl' Italiani liberi
sono, nel tema del procedimento penale, a condizione
peggiore di tutto il resto di Europa. Qual'è stata
la cagione di cio ? Vi vuol poco ad apprenderlo
dalla storia della nostra legislazione .
Non vi è Sultano in Oriente che abbia tanta sete
di dispotismo quanto ne sono avidi certi Ministri
costituzionali che talvolta vengono sventuratamente
elevati al potere . E ciò non sorprende, poichè da
Adamo in poi la natura umana si accende al desi
derio delle cose vietate. Ma oggidi il dispotismo non
più si esercita, nè si può esercitare, con la rozza
forma dei tempi antichi. Non più si possono inva
dere le case dei privati a rapirne l'oro del quale
abbisogna il Governo : non più si possono dettare
- 444

liste di proscritti al fine di spengere gli inimici :


non più si può con una lettera sigillata chiudere
nel fondo di una torre una persona mal veduta, nè
con un firmano condannarla al cordino. Non più
i cittadini si terrebbero muti e tremanti, leggendo
il truce motto Laissez passer la justice du Roi so
pra di un sacco contenente un cadavere che un
gruppo di sgherri va a gettare nella Senna . Il dis
potismo civilizzato ha dunque bisogno di sostituire .
nuovi modi e nuove forme alle brame sue ; ed il
suo istrumento a cotesto fine è la giustizia penale .
Circondarsi di una lunghissima schiera di organi
del potere esecutivo , i quali o per tema di espul
sioni o per sete di paghe , di onorificenze e di pre
mii, siano sempre ossequenti alle velleità ministe
riali ; e col mezzo di questi ciechi e moltiplicati stru
menti soddisfare gli impulsi o della paura o del
l'odio : ecco il dispotismo civilizzato . Ma per ottenere
ciò è necessario che questa lunga fila di organi del
potere esecutivo, la quale incomincia dal Pubblico
Ministero e finisce coll' ultimo birro , abbiano le brac
cia libere . Ma un buon codice e buone leggi di
procedura penale infrenerebbero sicuramente gli
abusi di quei servitori . E bene è a prevedersi che
se un codice penale , e più specialmente un codice
di procedura penale , si presentasse alla discussione
ed alle critiche dei rappresentanti della nazione,
questi non tarderebbero a suggerire disposizioni
tutelatrici della civile libertà, ed a respingere tutto
quanto infelicemente la osteggia. Il grande obiettivo
pertanto di certi Ministeri costituzionali è troppo
spesso quello di armarsi di codici penali, e più spe
cialmente di codici di procedura penale i quali al
--- 445 ―

larghino a dismisura i poteri dei loro satelliti : e


per raggiungere questo obiettivo è necessità evi
tare gli occhi e la vigilanza del Parlamento , degno
custode delle libertà della nazione : è necessario
temporeggiare, promettere , ed aspettare l'occasione
propizia ad un colpo di mano. Allora potrassi far
piombare sui cittadini come fulmine a ciel sereno
un codice di procedura penale che soddisfaccia non
ai bisogni della giustizia nè ai desiderii degli uo
mini onesti, ma ad altri desiderii e ad altri bisogni .
Queste cose non sono io che le dico ; è la storia
che a me le insegna. La Italia libera ha visto per
due volte riformarsi il procedimento penale con i
due codici del 1859 e del 1865 , cattivi ambedue ,
ma il secondo peggiore del primo ; ed ambedue
questi codici si è vista imporre per un colpo di ma
no, improvvisati dal Ministero ad occasione dei po
teri eccezionali a lui conceduti per fine di guerra,
quasichè la guerra non dovesse combattersi contro
gli Austriaci, ma contro tutte le libertà civili : op
pure ad occasione di un mandato fiducioso confe
rito dal Parlamento , certamente senza previsione di
ciò che sarebbesi fatto dal Ministero. Notabilissimo
sarà questo fatto nella storia della legislazione con
temporanea ; che i rappresentanti della nazione sono
stati chiamati a dissertare e discutere sul punto di
sapere se io poteva essere obbligato o no a pagare
una tassa di 5 centesimi, ma mai sono stati invi
tati a discutere se io potessi o no esser posto in
prigione per una bazzecola ; o se tutte le più in
teressanti forme del rito penale potessero o no ma
nomettersi a beneplacito di un pubblico funzionario.
senza pena di nullità.
--- 446 →

Non è dunque meraviglia se noi abbiamo veduto


moltiplicarsi a dismisura le carcerazioni preventi
ve, fino al punto di farne tremare le stesse mura
delle prigioni : non è meraviglia se il codice del 1865
ha convertito in consigli risibili i più interessanti
ordini del rito penale, gettando polvere negli occhi
agli illusi : non è meraviglia se per serbare le ap
parenze sonosi mantenute le sanzioni di nullità con
tro certe forme insignificanti, mentre sonosi conver
tite in semplici irregolarità le più paurose viola
zioni dei sacri diritti della difesa e del rito protet
tore degli onesti : non è meraviglia se ciò che prima
era assolutamente precettivo si è con bei giri di
parole convertito in facoltativo nei pubblici funzio
narii . Tutto questo non è che lo effetto di un si
.
stema meditato, studiato, e con finissimo artificio
raggiunto . Il sistema con linee mirabilmente con
vergenti aveva per suo ultimo fine questo solo
obiettivo : comporre leggi che avessero l'apparenza ·
di proteggere le libertà civili e la sicurezza della
innocenza contro i soprusi degli organi del potere ;
ma che nel tempo stesso lasciassero a questi la più
illimitata balia di fare di libito lecito .
Questa verità ferisce gli occhi di ogni imparziale
che legga il novello codice di procedura ; ed è di
mostrata da una serie lunghissima di rigetti che
le supreme Corti hanno dovuto pronunziare, non
perchè non si fosse fatto male dagli ufficiali infe
riori, ma perchè il mal fatto sebbene contrario alla
legge non incontrava sanzione di nullità. Mi per
metterò un esempio fra i molti che potrei recare
innanzi. L'art. 85 dispone - Sono vietate le di

mande suggestive. Ed avvi chi pensa che quell' ar


――――― 447

ticolo colpisca qualunque modo di tortura, benchè


in guanti gialli , consistente nell' arbitrio di un istrut
tore che prolunghi per mesi la detenzione di un
inquisito in una lurida e oscura segreta per indur
lo a confessare ; o che per tal fine si diletti impor
gli la dieta per una ventina di giorni . Ed io rispet
terò questa opinione, e ammetterò che l' art. 85
contenga il divieto di qualunque coazione esercitata
sull' inquisito allo scopo di condurlo al disperato
consiglio di proclamarsi colpevole quantunque in
nocente. Ma ripeto anche qui che quel vantato di
vieto non è che un consiglio : vizio generale del
nuovo codice . Laonde se alcuno denuncierà alla
Corte regolatrice un processo rigurgitante dei più
vituperosi suggesti , e delle più esose violenze eser
citate sul detenuto dal caloroso zelo di un proces
sante, la Corte regolatrice dovrà limitarsi a dichia
rare che simile contegno era contrario alla legge :
ma non trovando nell' art. 85 la sanzione di nullità ,
non avrà potestà di annullare l' iniquo procedimento.
E tornando all' argomento dal quale ho esordito
non è meraviglia se oggi in Italia un birro può gua
dagnarsi una croce col travestirsi da colpevole e
introdursi nella cella di un detenuto per poi denun
ciarne le supposte confessioni : non è meraviglia se
un carceriere può guadagnarsi promozioni col ve
nir narrando confidenze che asserisce fattegli da
un inquisito : non è meraviglia se si appostano te
stimoni cortinati : non è meraviglia se un galeotto
si guadagna la impunità spacciando confessioni dei
condetenuti : non è meraviglia se qualche guardiano
somministra al giudicabile carta ed inchiostro per
poi sorprendere i biglietti scritti da quell' incauto,
- 448

e farsene merito coi superiori : non è meraviglia se


qualche giudice istruttore usa violenze ed intimida
zioni e minaccie contro i poveri inquisiti ; e se con
plauso incoraggia simili nequizie, e se poi la giu
stizia è costretta a bevere a questi fonti impuris
simi. Queste ed altre nefandità quando si veggano
fra noi, saranno senza riparo, ed avranno la loro
causa nel nostro codice di procedura penale. E la
malizia birresca le verrà ( per necessità dell' umana
natura ) viepiù moltiplicando ogni giorno, finchè si
giunga ai più intollerabili eccessi . Che se oggi si
rinnovasse il luttuoso caso riferito dal Renazzi

( Elementa juris criminalis lib. 3, cap . 10 , tit. 10,


§. 2, nota ) bisognerebbe applaudire a quel giudice
istruttore, ed i Tribunali supremi richiamati alla
riparazione dovrebbero starsene come Napoleone a
sant' Elena, le braccia al sen conserte , con voce
pietosa esclamando, non posso cassare, non posso
annullare perchè non vi è legge la quale me ne
dia facoltà. E così si vive nella libera Italia ! Ripro
duco il testo del citato autore , e con questo finisco
per ora - Refert Paris De Puteo matronam oc
cisi mariti caussa in jus raptam facinus initio
perfricta fronte negasse, nec primum confessa esse
viricidium, quam judex ei in secretius cubiculum
revocatae multis simulatisque blandiciis non solum
impunitatis sed etiam matrimonii spem fecerit. Ita
ne fallitur fides ? Ita sanctitas violatur criminalis
judicii ? Et tamen idem Paris adeo impudens est
ut non erubescat hujusmodi confessionem eliciendi
rationem comprobare atque laudare. E ricordisi
che il Renazzi fu scrittore moderatissimo, Pro
fessore in Roma, interamente ortodosso, e coprì per
- 449 ――――――

lunghi anni onorevoli cariche sotto i Pontefici . Nè


temette però, stigmatizzando siffatti abusi , di incor
rere la taccia di protettore dei birbanti, perchè sa
peva benissimo che i birbanti si proteggono con
procedimenti penali che rendano più facile la con
danna di un innocente. Un assassino non discoperto
o non convinto sarà un pericolo per la società ; ma
spesso il timore della scoperta gli sarà freno a
nuovi delitti per tema di richiamare sopra di sè
l'occhio della giustizia. Ma quando la giustizia stes
sa col far cadere la scure sopra un capo innocente
ha posto una pietra sepolcrale sulle indagini rela
tive a quel delitto , l' assassino, il ladro , il colpevole
qualunque sia, solleva il petto a più libero respiro,
e la esperienza per lui fortunata scioglie da ogni
freno le sue malvagie passioni . Le cautele del rito
penale non proteggono i colpevoli ma gli onesti .

Pisa 9 aprile 1872.

IV .

La storia delle lotte secolari agitate presso i po

poli civilizzati fra la libertà e la tirannide, dai tempi


di Papiniano fino ai di nostri, ricorda come la classe
dei Giuristi abbia sempre coraggiosamente pugnato
per la libertà ; e quali e quanto grandi servigi abbia
a varie occasioni renduto alla santa causa. Se i Giu
risti di Francia si allearono ai Reali contro i Baroni,
essi avevano lo intendimento di sottrarre il popolo
alle soverchierie feudali. Quando i Reali sostituirono
VOL. V. 29
- 450 ---

la tirannide di uno alla tirannia dei molti , i Giuristi


di Francia furono la sola forza che osasse far segno
di resistenza, e talvolta con fortuna. Se all'epoca
della rivoluzione francese i Giuristi parvero osteg
giarla, fu sempre per lo spirito di tutelare le libertà
civili che si manomettevano da quei sedicenti re
pubblicani, più tiranni dei Re caduti. Napoleone
primo, che con tanto accorgimento seppe tramutare
le promesse libertà in un ferreo dispotismo militare,
manifestò sempre specialissimo odio contro gli Av
vocati : ed era logico . Questo è l' insegnamento del
la storia.
Ed è legge naturale che sia così, perchè la libertà
è il diritto : e chi coltiva la scienza del diritto bi
sogna che riconosca la sovranità di questo sopra
tutte le sovranità della terra. Laonde è necessità
che i Giuristi siano liberali quando non sono igno
ranti o vilmente alleati al potere .
Sembrava dunque che quando in Italia si voleva
in buona fede istituire un reggimento liberale do
vessero aumentarsi e consolidarsi le guarentigie
degli Avvocati . Ma avvenne il contrario . Io non so
di altre Curie : parlo della Curia Toscana, che an
che essa aveva così belle pagine di resistenza alle
improntitudini granducali da vantarsi benemerita
della causa della libertà. Avvenne il contrario, perchè
noi ad ogni nuovo ordinamento , e ad ogni nuova
legge che si promulga ci troviamo un meno di po
testà ed un più di pastoje che ci incatenano. E come
ciò ? La cagione è evidente.
Non si pubblica una legge in Italia dove non
metta mano il Pubblico Ministero. Questo ha per
suo istinto di tarpare le ali agli Avvocati, e prose
- 451

gue questo suo obiettivo con la tenacità costante


con la quale Filippo di Francia procedeva a com
primere i Baroni . Così le cesoje del Procuratore del
Re ci vengono giornalmente tagliando le penne .
E ciò si fa socchetamente e con arte finissima,
mediante incisi insinuati qua e là nei nuovi rego
lamenti, e che passano inavvertiti ; mediante inter
pretazioni e dichiarazioni più o meno ufficiali ; e con
altri simili artifizi , minuziosi e frivoli in apparenza ,
ma che poi sommano a grandi risultamenti. Di tal
guisa ogni giorno ci siamo trovati ristretti e im
pacciati nelle comunicazioni defensionali con i pri
gionieri ; angustiati e difficultati nell' esame dei
processi e nello studio della giurisprudenza ; stran
golati con i termini fatali ; ed a quelle larghezze ,
che un tempo davano il più vivace elaterio ai nostri
polmoni, hanno succeduto provvedimenti ortopedici
che rendono difficile la nostra respirazione. Così è
stato ritolto alla Curia il santo privilegio di assistere
i poveri con l'ufficio di consultazione gratuita, della
quale è divenuto arbitro il Procuratore del Re , men
tre al tempo medesimo, con una logica da Tiberio ,
si è a noi conservato l'obbligo di difendere i po
veri. Obbligo che alacremente accetteremmo quando
l'esercizio ne dipendesse dalla coscienza dei nostri
confratelli, perchè i rappresentanti della Curia aves
sero ( come prima ) giudicato della bontà della causa ;
e tale giudizio non fosse invece una parola auto
cratica del Procuratore del Re . Cosi si è fatta pic
cola e meschina guerra anche alla nostra dignità
esteriore, deprimendo sulle nostre teste la corona
del pileo ; obbligandoci a deporla parlando ; caccian
doci agli imi sussellii ; e strappandoci dagli omeri
- 452 ――

il venerato batolo , santa divisa dell' ordine ; e in una


parola conculcando poco a poco tutte le tradizioni
che rialzavano in noi il sentimento della nostra in
dipendenza e della nostra dignità.
Quando si annunziava la presentazione al Par
lamento di una nuova legge sugli Avvocati, i nostri
cuori palpitarono nella espettativa. E la nostra espet
tativa era dolce e lusinghiera a buona ragione .
Perchè sapevamo che il progetto doveva farsi dal
Guardasigilli Vigliani : e sappiamo come questo
sommo giureconsulto abbia aspirazioni sinceramente
liberali, e come nel suo finissimo ingegno egli abbia
compreso questa grande verità che per consolidare
e rendere prospero il reame di Italia bisogna con
durlo innanzi sotto la bandiera che diede impulso
al suo meraviglioso risorgimento .
E difatti il nuovo progetto di legge (affrettiamoci
a dirlo) è nel suo generale concetto, liberalissimo.
Ma disgraziatamente in Italia un Ministro non
sempre può fare ciò che vuole ; non sempre può
schermirsi dalle insidie di chi lo aiuta, e sotto sem
bianza di lavorare in modo convergente ai suoi fini
obbedisce invece agli abituali suoi istinti, e così
vengono nei progetti quelli incisi che inavvertiti ne
tramuterebbero la sostanza ; e di una legge progres
siva darebbero agio poscia agli esecutori di fare
strumento a pernicioso regresso .
Di tali incisi caduti nel progetto di legge sugli
Avvocati io non voglio dare una completa enume
razione, perchè con molto accorgimento ne ha fatto
razzia la Giunta parlamentare , che ad uno ad uno
li cancellò negli articoli 1 , 3, 6 , 8 , 10, 11 , 16 , 30, 33 ;
ed ha fatto benissimo . E voglio sperare che l' istesso
- 453 ――――

Ministro, fatto accorto dei pericoli che in quelli in


cisi stavano latenti sicut anguis in herba, non vorrà
insistere ; e che il Parlamento adotterà le modifi
cazioni della Giunta.

Solo su due punti mi piace fermarmi un istante :


l'uno già avvertito e corretto dalla Giunta ; l' altro
non ancora avvertito .
1.º Sarebbe esiziale se si adottasse la prima for
mula dell' articolo primo del progetto Ministeriale
-
— ivi — L'esercizio delle professioni di Avvocato
e di Procuratore è un PUBBLICO UFFIZIO . Dio be
nedica la Giunta che tolse via quel velenoso inciso.
Esso altro non era se non che il compimento delle
ghiglie che poco gradevolmente ci misero sulle brac
cia, quasi preludiando al militarismo , al quale , nel
segreto pensiero di alcuni Briarei, saremmo desti
nati. Una vera disciplina militare sovrasterebbe alla
Curia se il libero esercizio della nobile professione
si coartasse nelle condizioni di un pubblico ufficio .
Odasi ciò che su questo argomento scrive Chas
san délits de la parole vol. 2, pag. 460 - ivi -
Pour qui connait la susceptibilité de l'ordre pour
tout ce qui touche à son indépendance, il est evi
dent que ce serait s'exposer à toutes les foudres de
son indignation, que de donner le nom de FONCTION
PUBLIQUE à l'exercice de la profession d'avocat.
E Chassan era un retrivo ; uno dei più re
trivi fra i criminalisti francesi , come rilevasi da tutti
i suoi scritti. A lui sarebbe piaciuto (e vi vuol poco
a comprenderlo ) a lui, come membro del Pubblico
Ministero , sarebbe piaciuto di affibbiare la qualifica
di pubblici ufficiali agli Avvocati , perchè con quella
brevissima parola l' intero corpo della Curia sarebbe
- 454 -

caduto sotto la disciplina della sentinella avanzata


del potere esecutivo : come ciò piacerebbe a qual
cuno dei suoi confratelli fra noi . Ma egli trovasi co
stretto a confessare, con evidente dolore, che questo
colpo di mano non è cosa da potersi tentare in
Francia, perchè sarebbe occasione di una terribile
reazione per parte degli Avvocati. E se vi è tanta
repugnanza negli Avvocati della Francia, dove il
dispotismo ha così estese simpatie, sia questo un
esempio agli Avvocati di Italia che siedono in Par
lamento onde salvarci da così enorme flagello , ed
agli Avvocati che non sono in Parlamento sia av
viso che li ecciti ad usare di ogni influenza loro
onde stornarlo dal nostro capo.
2.º L'altro punto che io dissi non ancora avver
tito, ma che non voglio passare sotto silenzio, ri
guarda le disposizioni relative al Presidente del
la Camera.
Liberalissimo è il progetto del Ministro Viglia
ni in quanto consegna al suffragio universale degli
Avvocati la elezione dei loro rappresentanti. Ma do
ve io non mi sento tranquillo è sulla durata in ca
rica del Presidente per un solo anno .
La Camera di disciplina ha la duplice missione
del sindacato e della protezione dell' intero corpo
degli Avvocati . E se l'una di queste missioni è
grave, l'altra non è meno grave , difficile ed inte
ressante. Sindacare, vigilare cioè che gli esercenti
serbino la dignità della professione e non trascen
dano ad indelicatezze, le quali quantunque non de
littuose portano pur sempre il discredito dell' ordi
ne; proteggere, cioè assumere la difesa di un Av
vocato che venuto a conflitto col potere esecutivo
- 455

si trovi minacciato di prepotente oppressione . Il


sindacato si esercita coi moniti, con le censure , e

con le sospensioni nei casi più gravi : la protezione


si esercita col protestare in faccia al Governo ( e
quando occorre anche in faccia al Parlamento ) av
verso i soprusi inferiti ad un membro dell' ordine ,
e quando ei sia dalla parte della ragione mostra
re che tutta la Curia è solidale con lui. Splendidi
esempi ne dette la Francia antica e moderna di
siffatta solidarietà.
Queste due missioni delicatissime non possono
riuscire a bene se non si governano subordinata
mente a certi principii prestabiliti , ed a massime
razionali, assunte come regole del magistero della
Camera, e non figlie di personalità, di foghe momen
tanee, o di altre variabili condizioni . La fermezza in
certe norme fondamentali della propria condotta co
stituisce la virtù di ogni autorità, ed è ciò che le
concilia venerazione e rispetto.
Ora io mi permetto di dubitare se la variabilità
annuale del Presidente dia ragione di sperare que
sta costanza di tradizioni : mi permetto di dubitare
se la necessaria fermezza si potrà spiegare, in oc
casione di un conflitto, da un Presidente che sa di
dovere uscire di carica dopo due mesi, e che pre
vede che l'affare avrà la sua ultima risoluzione nel
successivo anno sotto la presidenza altrui : mi per
metto di dubitare se la dignità , la quale deve neces
sariamente essere l' aureola che circonda il supremo
rappresentante della Curia , possa mantenersi a quel
la elevatezza autorevole che le abbisogna , quando
l'ufficio va balzellando di testa in testa al volgere
di ogni anno. La dignità della Camera è quella che
- 456 -

mantiene la dignità dell' ordine : la dignità del Pre


sidente è quella che mantiene la dignità della Ca
mera. Dio fece un sole, e non alternò l'ufficio di
sole fra Venere, Marte e Saturno.
Io vorrei dunque che l'ufficio di Presidente fosse
almeno quinquennale ; e che dopo il quinquennio si
procedesse col voto di conferma, e non col voto di
rielezione. Ricordino gli Avvocati che siedono al par
lamento come possono emergere circostanze diffi
cilissime nelle quali faccia mestieri di grande fer
mezza nella Camera degli Avvocati per sostenere
il decoro dell' ordine ; circostanze facili a prevedersi
in faccia allo spirito invasore e oppressivo che pur
troppo manifestano ( sia pur di rado ) i Pubblici Mi
nisteri. Ricordino che la emergenza di tali conflitti
esige che la Curia abbia un capo ugualmente sce
vro da partigiana avventatezza come da debolezza
ed apatia. Certamente questa previsione è previ
sione di indebolimento nella Curia : e se ciò non
dispiace a chi agogna di comprimere anche la Curia
sotto la sua mano di ferro , deve spiacere a chi ama
la gloria del paese, la pubblica quiete, ed il trionfo
perenne della giustizia.
Il dubbio che io sollevo, a me sembra molto gra
ve . Forse parrà una visione, e mi si darà il torto.
Ma io traggo il mio dubbio da una lunga espe
rienza, e non vorrei che troppo tardi nuove es
perienze mi dessero ragione.
Non dicano i maligni che io parlo così perchè
oggi sono Presidente a vita di una Camera. So
bene che le presidenze a vita devono cessare , ed
approvo ciò : so che il rinnuovamento della legge mi
farà scendere per cedere il luogo ad un migliore
---- 457 ----

di me nè certamente le mie condizioni di età e di


salute possono far desiderare un ufficio di tanta
responsabilità a me che mai peccai di ambizione .
Mia sola ambizione fu quella di meritare l'amore
dei miei connazionali. Ormai io scrivo dall'orlo del

sepolcro. Non scrivo per me mai : scrivo per quello


che io credo il bene di tutti.

Pisa 28 decembre 1873.

•α

V.

Incaricato della difesa di un giudicabile, che com


parirà ad una Corte di Assise delle antiche Pro
vincie a suo tempo e luogo, tengo frattanto presso
di me la copia della sentenza della Corte che de
cretò l'invio alle Assise ed il successivo atto di
accusa della Procura Generale, documenti regolar
mente notificati all' accusato, ed a me comunicati
da lui.
Il decreto della Corte fu emanato il giorno VEN
TOTTO GIUGNO 1873. Il relativo atto d'accusa porta
la data del DICIANNOVE SETTEMBRE 1873. Ambedue
questi documenti furono notificati al detenuto il
giorno SEI OTTOBRE 1873.
Tutto questo è in perfetta regola, ed in armonia
con la legge di procedura. Infatti :
L'art. 429 del nostro codice di procedura stran
gola i Magistrati della Corte, imponendo loro di de
cidere l'affare nel termine perentorio di TRE GIORNI
AL PIÙ TARDI dopo il rapporto del Procuratore Ge
- 458 -----

nerale : ei Magistrati di quella Corte religiosamente


obbedirono al precetto della legge.
Ma l'art. 442 dello stesso codice, che dopo la sen
tenza di invio fa precetto al Regio Procuratore di
formare l'atto d
' accusa, NON ASSEGNA A LUI TER
MINE ALCUNO. Obbedì dunque anche il Regio Pro
curatore religiosamente alla legge se dilazionò per
ottanta buoni giorni la esibizione dell' atto di ac
cusa, che poscia si notificò dopo altri sedici giorni.
Obbedi religiosamente alla legge, perchè l' art . 442
gli ordinava di fare il suo comodo.
Che se qualche ingenuo dimanda : perchè i ter
mini rigorosi di là, e nessun termine di qua ? Non
è forse interessante ugualmente che la giustizia pro
ceda con la maggior possibile velocità per tutti i
gradini che deve percorrere ? Forse si richiede tem
po minore a giudici che sono nuovi al processo ; e
si richiede tempo maggiore allo accusatore, sotto le
cui mani aveva germogliato il processo, e che già
ne aveva fatto studio prima di presentare la sua
requisitoria alla Corte ? Forse non è di maggiore
importanza, e meritevole di maggiore maturità di
studio , la sentenza che decide sulle sorti del giudi
zio ; anzichè la formalità dell' atto di accusa, il quale
(tranne la storia ) non è che il fac simile della sen
tenza ? Perchè (continuerà l'ingenuo) perchè .... ?
E vi vuol tanto a trovare questo perchè ? Esso è
un perchè generale , generalissimo , che informa da
capo a fondo tutto il nostro codice di procedura pe
nale ed è così perchè deve essere così : ed il per
chè è questo . Si devono legare le braccia con ter
mini angustissimi alla difesa ; si devono legare le
braccia con i termini ai Magistrati : mai devono
459

stabilirsi termini, limiti o restrizioni al comodo agi


tarsi del Pubblico Ministero . Ed è così perchè le
leggi italiane hanno sotto certi Ministri finito sem
pre con esser fatte quali le volevano i Pubblici
Ministeri, burlando le Commissioni proponenti, no
minate per gettare polvere negli occhi . Peccaverunt
et non sunt; et nos iniquitates eorum portavimus.
Ma torno alla mia piccola storia. Ricevuto io quel
mandato dal cliente , e divenuto possessore di quei
documenti, lessi l'art . 817 , e vi lessi così - dopo
la notificazione dell' atto di accusa, o della citazio
ne, il difensore è AMMESSO LIBERAMENTE a confe
rire coll' accusato od imputato, manifestando la sua
qualità al custode.
E letto quell' articolo fui alla mia volta cotanto inge
nuo da credere che l'articolo stesso fosse una verità.
Calde e premurose erano le preghiere dell' accu
sato e della sua famiglia perchè andassi a visitarlo
alle carceri, e consolarlo di una parola. E , quantun
que mi fosse disagiato il viaggio e non propizia la
stagione, non volli por tempo in mezzo, e partii ne
gli ultimi del caduto ottobre per quella visita.
Giunsi a quella prigione dove l'infelice sospirava
per udire una mia parola. Ma il custode, con modi
a vero dire gentilissimi ed urbani , mi rispose non
potere permettere che io ci parlassi, perchè ordine
preciso in contrario gli era stato dato dal Procu
ratore del Re . Ma io sono il difensore : ecco qua i
documenti ; le lettere di invito ; e poi lo dimandi
al detenuto . Poveretto ( soggiunse il pietoso custode )
lo so, ed anche egli me lo ha detto : ma l'ordine
che ho ricevuto dal sig. Procuratore del Re è pre
cisamente quello di NON PERMETTERE CHE IL DI
- 460 ―――

FENSORE CI PARLI : mi comprometterebbe se ella


insistesse.

Ed io, per non compromettere quel galantuomo ,


parti come i cavalieri del Tasso dopo la insecu
zione di Erminia, e stanco e fradicio dalla pioggia
me ne tornai la sera a Pisa. Ed a tutt' oggi ( 10
gennaio 1874 ) non ho ancora potuto parlare con
quel mio cliente, perchè le cose sono tuttora nello
statu quo : e perchè non voglio sottopormi a chie
dere un permesso al Procuratore del Re per eser
citare un diritto che credo spettarmi per legge ; e
non voglio espormi a ricevere una licenza di col
loquire con la vigilanza dei birri : e perchè non
voglio far nascere occasioni di rifiuti o contestazioni
personali che mi obbligherebbero a reclami e cla
mori, i quali forse ( attesa la giustizia imparziale
dell'attuale Ministro Guardasigilli ) tornerebbero a
nocumento di alcuno. Io faccio guerra alle inique
leggi, non a coloro che interpetrano a seconda del
loro zelo e del loro piacimento i risibili ordinamenti
delle medesime. E per non compromettere alcuno
ho posto questa storia sotto il velo dell' anonimo .
Ma le date sono quelle, e sono quelli i fatti.
Ed a questi fatti, ed a questi inciampi, ed a que
ste derisioni della legge, ed a queste inutili e per
sonali vessazioni, si trovano troppo frequentemente
esposti i difensori criminali nella Italia così detta
libera. E questi sono quelli che ironicamente io
chiamo progressi della libertà civile.
Officiate, raccomandatevi , e chiedete per grazia :
otterrete tutto dalla cortesia dei Pubblici Ministeri :
ma guardatevi dallo esprimere la coscienza che la
difesa abbia dei diritti in faccia ai Procuratori del
461 -

Re. Questo temerario pensiero scatenerà sul vostro


capo tutti i fulmini dell' Olimpo. E chi è nato e
cresciuto con questa coscienza, ed in quella si man
tiene, difficilmente otterrà buon viso dai Pubblici
Ministeri. Opposizioni sistematiche sempre. Guai al
patrono che invecchiò sotto il regime dei despoti .
Egli contrasse l'abitudine di credere che le leggi
parlassero sul serio e comandassero a tutti. A costui
non toccano oggi che disinganni : oggi siamo in
tempi di libertà : ed è strettamente logico che prima
di tutte le altre agli esecutori delle leggi competa
la libertà di eseguirle o non eseguirle, come meglio
a loro talenta.

Pisa 10 gennaio 1874.


1
XXVI.

CASSAZIONE

IMPOSSIBILITÀ DI PENA PIÙ GRAVE


8

I
1
1
CASSAZIONE

IMPOSSIBILITÀ DI PENA PIÙ GRAVE

50000

Dall' alto di una sublime tribuna tornammo non


ha guari ad ascoltare la voce , sempre gratissima e
sempre ammirata, di uno dei più splendidi ingegni ( 1 )
dei quali vada oggi Italia nostra meritamente su
perba. Noi applaudimmo da capo a fondo alla dot
trina ed al senno umanitario che scaturiva da ogni
parola di quel discorso. Ma ad un momento di quel
discorso eccitossi nell' animo nostro una paurosa
impressione. L'illustre oratore venne a dire ( come
richiedeva l'argomento suo ) della regola, oggi pre
valsa appo noi come in tutte le più civili legisla
zioni , mercè la quale il condannato che implora la
cassazione e la ottiene non si tollera che al nuovo

giudizio possa incontrare una pena più grave di


quella che a lui aveva inflitto la prima sentenza
annullata e ricordando come altre legislazioni fos

(1 ) S. E. il Commendatore Raffaele Conforti.


VOL. V. 30
466

sero andate in opposto sentiero narrò la lacrime


vole istoria di un infelice, il quale non pago di una
prima condanna a dieci anni di relegazione aveva
ottenuto che quella fosse cassata ; ma poi condan
nato a morte nel nuovo giudizio aveva dovuto pa
tire effettivamente la decapitazione. Egli concluse
che non sapeva disapprovare le benefiche disposi
zioni delle leggi nostre.
Certamente noi non attendevamo dalla sapienza
e dal cuore di quell' ottimo giureconsulto una con
clusione contraria. Ma poichè nelle convinzioni no
stre noi non ci limitiamo a non disapprovare simile
disposizione ; e poichè la medesima noi non consi
deriamo come un benefizio misericordiosamente con
cesso dalla nostra legge , ma come un dettato di
pura, assoluta, e rigorosa giustizia ; così ne piace
cogliere questa occasione onde ricondurre il salu
tare dettato della nostra legislazione su quelle so
lide basi sulle quali deve adagiarsi ogni precetto
che non sia un benefizio ma un effato di stretta
giustizia.
L'autorità della rejudicata è la grande formula
mercè la quale la pubblica opinione si coordina alla
presunta veridicità degli oracoli definitivi dei Tri
bunali. In materia penale lo spettacolo di un seve
ro castigo inflitto ad un cittadino ecciterebbe ter
rore e costernazione nell' animo di tutti se rima
nesse un sospetto intorno alla ingiustizia di quella
pena. La pena in siffatte condizioni tradirebbe il suo
vero fine, che è quello di ricondurre gli animi alla
tranquillità, e rafforzare in tutti e singoli i cittadini
la opinione della propria sicurezza, scossa e meno
mata per l'avvenuto delitto . In siffatte condizioni
- 467 -

la pena anzichè rendere più gagliarda la opinione


della individuale sicurezza nell' animo dei cittadini,
ne raddoppierebbe la perplessità, dividendoli fra il
timore del delitto ed il timore che la pena possa

cadere sopra un capo innocente, o cadendo sul


capo colpevole percuoterlo oltre la misura che giu
stizia vorrebbe. La pena sarebbe allora impolitica
e conseguentemente ingiusta. A tali pericoli è saldo
riparo ( e l'unico riparo possibile ) mantenere nel
popolo vivissima la fede nella infallibilità della rejudi
cata. Ed una logica rigorosa ed inflessibile trarrebbe
.
da queste incontrastabili verità la durissima conclu
sione che fosse perpetuamente a proscriversi qualun
que metodo correttorio di una sentenza criminale .
Ma da altro lato la previsione della troppa facilità
di errori giudiciarii , e più ancora la possibilità di
vizi di forma che rendano illegittima una prima
pronunzia, convergono a respingere quello inesora
bile corollario ed a fare accogliere in ogni buona
legislazione uno od altro sistema correttorio delle
criminali sentenze . Ed allora è inevitabile la conse
guenza che nel pubblico si affievolisca d' alquanto
la fede nella infallibilità dei giudicanti. Avvegnachè
se quella prima sentenza avrebbe avuto la presun
zione di verità, ove non fosse stata impugnata dal
condannato e riconosciuta poi difettosa intrinseca
mente in qualche forma esteriore , spessissimo insi
gnificante, tutto il prestigio di quella presunzione
sparisce quando un nuovo collegio di giudicanti
viene solennemente a proclamare come verità ri
conosciuta una proposizione totalmente contraria alla
prima. Due verità opposte non possono coesistere .
La legge che aveva dato la presunzione di verità
- 468

alla prima sentenza è costretta oggi a spogliarla di


un tale privilegio, e proclamare con l'organo dei
suoi magistrati che quello fu invece un errore. Que
sta è una necessità impreteribile per la legge. Ma
non sempre lo universale dei cittadini si adatta a
convertire in un domma il volgare proverbio pel
quale si dà ragione all'ultimo che parla : non sem
pre la pubblica opinione si adatta a tener proprio
come verità apodittica la seconda pronunzia quando
è in aperta contradizione ad una prima pronunzia,
che egli avrebbe dovuto accettare, ed avrebbe ac
cettato come verità apodittica se non vi fosse ca
duto un vizio esteriore di forma . Agli occhi del po
polo quel difetto esteriore della prima sentenza non
ne muta la sostanza intrinseca , nè quello che più
importa al pubblico di sapere ; vuolsi dire il giudi
zio sul fatto. Volere o no fu egual numero di giu
dici quello che al primo esperimento dichiarò col
pevole l'accusato, e quello che al secondo esperi
mento lo dichiarò non colpevole. E sarà sempre im
possibile a qualunque legislatore lo impedire che
una folla maggiore o minore di cittadini serbi nel
l'animo suo il più profondo convincimento che lo
errore abbia trionfato nella seconda anzichè nella

prima sentenza . Già il giureconsulto romano aveva


detto che i giudici revisori saepe in pejus reformant
sententiam: e Cesare aveva repudiato la moglie
benchè dichiarata innocente dello adulterio del quale
era stata accusata ; ed ogni giorno vediamo giudica
bili fortunati, ad onta di una sentenza che li ha pro
clamati innocenti, essere universalmente respinti dai
consorzi che per lo innanzi gli ebbero cari, e da
tutti disprezzati e fuggiti.
xx 469

Non sempre dunque nella realtà della vita può


affermarsi che il precetto giuridico della infallibi
lità della rejudicata sia effettivamente in tutti i casi
donno e signore della pubblica opinione, rimpetto
al fatto pur troppo serio e frequente di due sen
tenze contradittorie .

Ma quando il primo giudicato era condennatorio,


ed il secondo fu assolutorio ; oppure il primo con
dannava ad acerbissima pena, ed il secondo riuscì
più mite, avvenga pure che l'animo di parecchi cit
tadini rimanga perplesso nello aggiustar fede fra i
primi od i secondi giudicanti, non è a temersi nes
sun serio disordine . Il popolo è assuefatto a rico
noscere troppo spesso che vi ha una fortuna anche
per i colpevoli ; e rispetta per un istinto umano e
ragionevole la santa regola che il dubbio deve star
sempre a favore dell'accusato . Rimanga pure negli
animi quel dubbio che sempre nasce dove è discor
dia nei pareri dei giudicanti ; se in siffatto dubbio
si fa prevalere la opinione più mite non se ne turba,
nè se ne accresce il timore dei propri pericoli in
faccia alla eventualità di possibili errori giudiciari.
Un resto di rispetto, che la opinione avrà pur sem
pre verso il primo giudicato condennatorio , quando
anche spingasi al punto che molti credano più giu
sta e più vicina al vero la prima sentenza giuridi
camente annientata, non sarà causa di serio spa
vento , e i cittadini non avranno ribrezzo a sotto
mettersi a quel ditterio che la ragione appartiene
sempre a chi parla l'ultimo.
Ma ben diversa è la cosa nella ipotesi rovescia.
Quando un giudicato pronunziò che io non era me
ritevole della pena di morte ma soltanto di una
―― 470 --

temporanea reclusione, o che io era innocente ri


spetto a tale o a tale altra circostanza aggravante
erroneamente obiettatami ; se avviene che per im
prudenza mia provocato lo annullamento di quella
sentenza un nuovo collegio venga a dichiararmi col
pevole di quell' aggravante , o a giudicarmi merite
vole di morte, la esecuzione che voglia farsi della
seconda sentenza a dispetto della prima non può
vedersi senza turbamento della pubblica coscienza,
senza ribrezzo e spavento dei cittadini. Posto una
volta per sempre che due verdetti l'uno all' al
tro contradittorii lasciano sempre dubbiosa la pub
blica opinione sulla colpevolezza del giudicabile o sul
più vero grado della sua colpevolezza ( verità incon
trastabile) la conseguenza di siffatta verità ella è pur
questa, che vuolsi eseguire una severa condanna
mentre la pubblica opinione sta in dubbio sulla giu
stizia della condanna : che è quanto dire che vuolsi
applicare una pena la quale diviene politicamente
ingiusta. Vanità sarebbe pretendere che si tenesse
conto dei dubbi eventualmente insorti in un nume
ro di cittadini per private loro cagioni ; siffatti dubbi
niente hanno di giuridico , nè può loro accordarsi un
valore nel calcolo della pena. Ma qui i dubbi hanno
essi stessi un fonte giuridico : essi emergono dal fatto
solenne di un giudicato e da una contraria pronun
zia emessa da quei medesimi organi di giustizia i
quali la legge c' impone di rispettare come fonti pre
sunti di verità. Il dubbio popolare in questa ipotesi
muove da un che di solenne e di santo : nè può ne
garglisi una efficacia politica.
Oltre a ciò il contrario sistema porta all' ulteriore
assurdo di far prevalere nella irrogazione della pe
471 ---

na la minoranza alla maggioranza. Forse nel primo


.
collegio furono unanimi dodici giurati a riconoscere
che io quantunque colpevole di omicidio era però
innocente della premeditazione a torto rimprovera
tami. Forse anche nel nuovo Collegio altri cinque
giurati furono nella coscienza loro convinti che io
fossi innocente rispetto alla premeditazione. Ma per
chè a sette giurati del nuovo Collegio piacque con
vincersi che io avessi agito con disegno premedi
tato, io dovrò salire il patibolo ; e la mia testa sarà
recisa dalla fatale mannaja per la opinione di sette
contro diciassette . E il pubblico non dovrà egli ri
manere dubbioso e perplesso, e di siffatta perples
sità non dovrà tener calcolo il legislatore ? Evvi
forse fra quei sette e quei diciassette una differen
ziale di autorità o di valentia che possa contrapporsi
alla prevalenza del numero ? Mai no. Identico è il
paludamento che cuopre le membra di tutti loro ;
raggiante di uguale splendore l' aureola che cinge
le loro fronti : non può nemmeno invocarsi la trop
po accreditata teorica dei galloni . Tutti uguali nella
presunzione di senno e di probità ; tutti uguali in
autorità e poteri, i sette nuovi giurati che mi dan
nano a morte vincono i primi soltanto perchè i loro
nomi non sortirono alla prima estrazione , ma furono
gettati fuori dall' urna alla seconda estrazione . In
tal guisa si fa una lotteria delle teste umane. L'ora
colo della giustizia è nella necessità di contradire
a sè stesso, ed imporre oggi al popolo di non più
aggiustare la fede sua alla verità di quel pronun
ciato sulla fede del quale ieri gli imponeva di cre
dermi meno colpevole . Ed un supplizio severo non
potrà mai ottenere il plauso della popolare coscien
472 --

za quando per un fatto solenne della stessa giusti


zia si è renduta vacillante nel popolo la credenza
nella colpevolezza . Certi spiriti severi hanno anche
recentemente combattuto di là dalle Alpi con uno
zelo feroce ogni metodo di riparazione che si chie
da al nome di un innocente caduto per un fa
tale errore sotto la scure del manigoldo : ed hanno
propugnato la irretrattabilità dello errore quantun
que riconosciuto, per un esagerato ossequio alla po
litica necessità di mantenere negli animi dei citta
dini inalterata la fede nei pronunciati della giustizia :
ma poi quei severi spiriti disprezzano il vacillare di
quella fede quando il medesimo li condurrebbe per
buona logica a conclusioni più miti. Le sentenze ,
quantunque annullate, sono sempre un fatto ema
nato dall' autorità : sono un fatto al quale la pub
blica opinione attribuisce sempre un valore : e que
sto fatto, che non può dall' autorità sociale cancel
larsi nella reminiscenza dei cittadini , deve imporre
anche a lei dei doveri.

No : io lo ripeto con quella franchezza che porge


ad ogni cultore della scienza un profondo convinci
mento. No : la regola della non aumentabilità della
pena, proclamata nel codice del procedimento italiano,
non è un benefizio accordato da un legislatore pie
toso. Essa è un dettato di suprema giustizia ; men
tre la opposta regola è feconda d' iniquità, ed un
rudere dell' antica barbarie.

Pisa, marzo 1871.


XXVII .

CONSUMAZIONE

DELL' APPROPRIAZIONE DI COSA TROVATA


I
CONSUMAZIONE

DELL' APPROPRIAZIONE DELLA COSA TROVATA ( 1)

---

Difficile tesi, e più che difficile assurda , propugna


va il 2 decembre 1873 avanti il Tribunale Corre
zionale di Firenze il Pubblico Ministero quando te
nacemente insisteva che dovesse applicarsi il titolo
di furto ad Alessandro Tedeschi , e come ladro pu
nirsi. Il Tedeschi , specchiatissimo negoziante fioren
tino, aveva nel giorno 22 giugno 1873 raccolto un
portamonete da lui veduto per terra nella via Val
fonda ; lo aveva portato in una sua bottega ; non
aveva tolto un centesimo da quel portamonete, ma
intatto lo aveva colà nascosto nelle pieghe di una
pezzata di tela ; poscia, dopo poche ore, lo aveva
spontaneamente restituito al proprietario Odoardo
Allevi. In questo stato di fatto a me pareva impos
sibile si recasse innanzi il titolo di furto, e soltanto

(1 ) Memoria alla Corte di Appello di Firenze per Ales


sandro Tedeschi .
- 476 ――――

ammetteva la disputabilità del titolo di appropria


zione di cosa trovata. Noi non comprendevamo come
potesse sostenersi una accusa di furto contro il Te
deschi ; pure a quella udienza il Procuratore del Re
dissertò lungamente e calorosamente per dimostra
re lo assunto suo. Ma ingenuamente confessiamo
che, per quanto ci affaticassimo la mente prestando
la più assidua attenzione a quel lungo dissertare ed
argomentare, noi non arrivammo a capire neppure
una delle tante e svariate ragioni di diritto , arric
chite anche da citazioni di autori , che si addussero
dal nostro avversario ( 1 ) onde persuadere che l'ar

(1 ) Frivolo ed inconcludente era discutere in fatto se lo


Allevi avesse smarrito il portamonete perchè uscitogli di ta
sca per la via , o perchè avendolo posato sul banco della os
teria lo avesse colà dimenticato . Il Tribunale ritenne la pri
ma ipotesi ma anche ammessa la seconda ciò non variava
il titolo, perchè tanto è smarrito un oggetto che cade di ta
sca in luogo pubblico quanto è smarrito un oggetto che per
dimenticanza si lascia in un luogo pubblico . Sempre rimane
nella cosa la qualità di smarrita, perchè sempre rimane il
fatto cardinale che l'oggetto è uscito dal possesso del pro
prietario per sua trascuraggine ; e mai si ha furto . E se.qual
che Tribunale inferiore è caduto talvolta nel cerebrino er
rore di credere che quando l'oggetto è lasciato per dimen
ticanza in luogo terzo si abbia il furto proprio ; tale equivo
co è stato sempre corretto dalle Corti superiori . Lo fu dalla
R. Corte di Lucca , sezione degli appelli , col decreto del 4 gen
naio 1868 nel caso di un portafogli lasciato in una osteria
e preso dalla ostessa Assunta Manfredini , che ne aveva tolto
i danari . Lo fu dalla Suprema Corte di Cassazione di Torino
col decreto del 7 settembre 1870 (Annali di Giurispruden
za Italiana 1870, 1 , 2 , 342 ) nel caso di un mantello la
-- 477 ――――――

ticolo 402 del codice penale Toscano non era adat


tabile al caso . Laonde se oggi lo ufficio nostro ci
imponesse di confutare quella perorazione , noi dav
vero non sapremmo da qual parte pigliare le mosse ,
perchè confutare ciò che non si è capito è uma
namente impossibile . Fortunatamente però questa
erculea fatica ci fu risparmiata dal senno e dalla
giustizia del Tribunale giudicante, che respinse la
tesi cardinale dell' accusa ; cosicchè oggi tornare su
questo punto sarebbe un combattere i fantasmi.
La sentenza appellata assoda ormai questo po
stulato che la punibilità o non punibilità del Tede
schi deve guardarsi unicamente rispetto al titolo di
appropriazione di cosa trovata, ed in faccia al dis
posto dell' art. 402 del codice Toscano . Ciò che era
anche prima evidente agli occhi di chi imparzial
mente guardava il fatto con la scorta dei più sicuri
principii di diritto, dei pronunciati della giurispru
denza, e del testo delle leggi veglianti, oggi è di
venuta verità apodittica dopo il giudicato del 2 de
cembre. Il titolo da esaminarsi è ormai concordato.
La presente disputa e le osservazioni nostre si
riducono dunque ai più semplici termini della ap
plicabilità di quel titolo.
Noi sostenemmo nelle difese orali che gli estremi
di appropriazione consumata di cosa trovata non

sciato in una carrozza e preso dal vetturino . Lo fu dalla Su


prema Corte di Cassazione di Firenze col decreto del 25 lu
glio 1873 , nel caso di un portamonete lasciato in una trat
toria. Vi vuol poco a capire che la ragione di impropriare il
titolo ed eliminare il furto , sta unicamente nella perdita del
possesso materiale .
B 478 -

ricorrevano nel fatto di Alessandro Tedeschi, e che


a lui era dovuta una dichiarazione di non luogo a
procedere. Il Tribunale pensò diversamente : e di
chiarando il Tedeschi colpevole di appropriazione
consumata di cosa trovata, lo condannò alla pena.
di un mese di carcere. Il Tedeschi , per consiglio
nostro, appellò alla superiore giustizia della R. Corte
di Firenze, ed oggi veniamo a sottoporre ai lumi di
questo eccelso consesso le ragioni nostre , con lieta
fidanza di averne plauso.
Quanto erasi conservata lucida la mente dei dot
tissimi giudici del Tribunale sulla definizione del
titolo, altrettanto lo intelletto loro si intorbidò nella
seconda questione : e ( fosse per l' ora tarda, per il
prolungato dibattimento , o per il torrente dei para
logismi sostenuti dalla accusa e che avevano stan
cato ancor noi ) si illaqueò per guisa da condurre
quei giudici meritissimi ad un pronunciato che con
tiene ( oltre la esorbitanza della pena non compa
tibile con l'art. 416 del codice vegliante ) due gra
vissimi errori . E di vero errarono i primi giudici
1.° nella apprezzazione del fatto - 2.° nelle regole
di diritto.
I.

Errarono i primi giudici nella apprezzazione del


fatto quando asserirono che il Tedeschi aveva avuto
la intenzione di appropriarsi quel portamonete .
Questa intenzione noi la impugnammo, e persistiamo
ad impugnarla col più fermo convincimento. Ci si
permetta di ricordare quale è ai fini penali il si
gnificato giuridico della parola intenzione usata in
modo assoluto .
479

Un giurato volgare, un uomo di comune accor


gimento, può accettare come intenzione anche un
pensiero fuggitivo, un desiderio, la vaga previsione
di un fatto che si potrà o non si potrà eseguire
secondo le circostanze . Costui dirà che parecchie
volte ebbe la intenzione di fare un viaggio in Fran
cia quantunque mai avesse dato mano a preparare
i mezzi, i bagagli ed il passaporto. Cento persone
morenti diranno che ebbero ripetutamente inten
zione di fare testamento quantunque mai facessero
scelta del notaro, nè destinassero il giorno e l'ora
di quella operazione, e muoiono intestati. Ma il giu
rista non la intende, e non la deve intendere cosi,
specialmente ai fini penali .
Il giurista sa che la intenzione non si rappre
senta da una semplice funzione dello intelletto, nè
da un atto di volizione limitato al semplice deside
rio, ma esige una ferma determinazione della vo
lontà. Il giurista sa come finchè all' uomo ( lo di
remo con Dante ) fra il si e il no, il capo gli ten
zona, l'uomo non ancora può dirsi avere una inten
zione criminale, perchè non ancora si determinò il
suo proposito al fine criminoso . E se il giurista co
nosce nella intenzione due fasi , che le scuole nostre
chiamano diretta ed indiretta, e che conducono al
dolo determinato ed al dolo indeterminato , egli sa
ancora che della intenzione indiretta, e del dolo in
determinato non si risponde se non in quanto ne
conseguì lo evento violatore del diritto. E queste
sono verità elementari che non avevamo bisogno
di rammentare ai giudici della Corte di Appello.
Ora donde trassero i primi giudici gli argomenti
speciali per pronunciare che il Tedeschi ebbe inten
480 -

zione di appropriarsi il portamonete di Odoardo


Allevi ?
Certamente non vorrà dirsi che ogni uomo il
quale raccolga una gemma trovata per terra e la
intaschi e la porti in sua casa, chiarisca con questo
la propria intenzione di appropriarsi la gemma. Que
sta idea sarebbe tanto assurda, cosi ideologicamente
come giuridicamente , che ne diverrebbe indecorosa
la confutazione. Vi vogliono argomenti speciali ; oc
corrono, oltre il raccogliere e portar seco, ulteriori
circostanze esterne, le quali chiariscano nello inven
tore il proposito formato di pigliare quell' oggetto
per farlo suo incondizionatamente, e non soltanto
la volontà di conservarlo , custodirlo , e quindi resti
tuirlo al proprietario se si rinviene : oppure farlo
suo quando il proprietario non si rinvenga.
Questa necessità riconobbero anche i giudici del
Tribunale, ma parve loro che gli speciali indizi della
volontà di appropriarsi incondizionatamente il por
tamonete emergesse a carico dei Tedeschi da tre
circostanze -- 1.º del nascondimento del portamo

nete ――― 2.º della negazione - 3.º della minacciata


Questura. Esaminiamo partitamente questi tre ar
gomenti, e sarà facile toccarne con mano la per
plessità e la frivolezza.
1.° Nascondimento ― Il Tedeschi, che dava ope
ra al suo solito giro di chincagliere ambulante per
le vie di Firenze , dopo trovato quel portamonete ,
venuto a passare in prossimità della sua bottega,
pensò depositarlo nella medesima , e lo collocò nelle
pieghe di una pezzata di tela. Tuttociò è indubita
to , ma tuttociò non prova davvero una intenzione
colpevole. E che ? Doveva forse il Tedeschi lasciare
481 --

quel portamonete allo aperto sul banco della bot


tega perchè il primo avventore capitato colà se lo
pigliasse ? Custodirlo era necessario tanto se si vo
leva farne la debita dichiarazione e restituzione ,

quanto se si voleva usurpare per sè. Dunque il fatto


è equivoco ; e ciò basta a denudarlo di ogni valore .
Anzi quel modo di custodia era tutto precario e
provvisorio, e così rispondeva più al fine onesto che
disonesto : non lo mise sotto chiave ; non lo ripose
con i propri valori . . . . . che dico io ? Trattavasi
di carta moneta : l'animo di appropriarsela condu
ceva direttamente ad aprire il portamonete, toglier
ne i valori, mescolarli con i propri ; e gettato il
portafogli in una latrina tutto era fatto. Dunque il
nascondimento era al solo fine onesto di conservare
intatto e sicuro quel portamonete per tutte le even
tualità lecite e giuste. Io debbo conservarlo e cu
stodirlo per farne denuncia e guadagnare il premio
dal proprietario. Ecco il calcolo spontaneo che deve
fare il galantuomo in simile emergente . Chi ha la
determinazione di usurpare l' altrui moneta non
agisce in tal guisa.
Ma poi, come si è egli saputa quella circostanza ?
Forse il portamonete fu trovato colà da una giu
diciale perquisizione o fu denunciato da terzi ? No.
Fu il Tedeschi medesimo che condusse seco l'Al
levi per restituirgli il portamonete, e glie lo fece
vedere fra le pieghe di quella tela . Dunque il Te
deschi non aveva la coscienza di avere eseguito
quel collocamento a fini pravi e inonesti : altrimenti
avrebbe agito diversamente , dicendo all' Allevi aspet
tate dae minuti e vi riporto ciò che cercate. Il Te
deschi apertamente manifestò quel collocamento ,
VOL. V. 31
482

perchè aveva coscienza di aver fatto buona cosa e


prudente, come cosa prudente e buona egli aveva
fatto in realtà salvando quell' oggetto dai pericoli
di una sottrazione.
2.º Negativa - È del pari verissimo che alla
prima interpellanza dell' Allevi il Tedeschi negò :
ma è del pari irrilevante e frivolo questo fatto . Il
Tedeschi fino dalle sue prime interpellazioni dette
ragione di quella negativa, allegando che egli aveva
trovato un portamonete, e che a lui chiedevasi un
portafogli: laonde alla richiesta di un portafogli
doveva negare come negò, perchè un portafogli
non l'aveva trovato ; ma quando per gli ulteriori
chiarimenti datigli dall' Allevi e dalle sue lagnanze
del denaro perduto, venne a comprendere che trat
tavasi di un portabiglietti, immediatamente ne fece
la restituzione. In questa deduzione ha persistito il
Tedeschi in tutto il corso del procedimento, e vi
persiste tuttora. E questa deduzione è per ogni lato
convalidata dalle più certe risultanze di fatto, per
chè : a) è indubitato che l'oggetto smarrito era un
portabiglietti - b) è del pari indubitato che l' Allevi
faceva ricerca al Tedeschi di un portafogli ; che di
un portafogli parlò nella denuncia scritta e nello
scritto processo : che di un portafogli continuò a
parlare nell' orale giudizio, mentre però concordava
alla pubblica udienza che l'oggetto smarrito era
un portamonete od un portabiglietti .
Ma i giudici di prima istanza non si vollero per
suadere della lealtà di questa deduzione , perchè
dimenticarono che a bene giudicare le cose non
bisogna esaminarle con i soli criterii astratti, ma
bensi con i criterii concreti ; e non apprezzarono
-- 483

che il Tedeschi era un merciajo - chincagliere che ap


punto negozia in portafogli e portamonete ; e così
appartiene ad una classe la quale è aderente al tecni
cismo del suo mestiere, il quale da noi profani troppo
spesso si manomette. Credete voi che se il Tedeschi
dà commissione al suo grossista per una dozzina di
portafogli ne abbia la spedizione di una dozzina di
portabiglietti ? Credete voi che se vi presentate ad
un bottegaio e chiedete un portafogli, vi offra un
portabiglietti per udirsi trattare di imbecille ? No :
egli vi risponderà che portafogli non ne ha, quan
tunque tenga piena la vetrina di portamonete : per
chè se al bisogno può un portafogli servire a con
tenere monete, un portamonete non può mai servire.
a contenere fogli : al modo stesso che se ordinate
al calzolajo un paio di tronchi non vi farà un paio
di stivaletti, nè viceversa. E chi è che nel corso
della vita non siasi trovato a simili equivoci quando
si e presentato ad un negoziante per chiedere un
oggetto non indicandolo col nome tecnico ? Il dizio
nario del negoziante e dell' artigiano è la parte più
elevata della sua erudizione : egli vi aderisce ; ne
fa un privilegio, una sua specialità, e quando l'av
ventore si presenta a cercare un oggetto concul
cando il tecnicismo sacramentale ne riceve (così a
me avvenne parecchie volte) un monito di correzione .
Troppo dunque i primi giudici si lasciarono so
verchiare la mente dalla diffidenza quando qualifi
carono come puerile ripiego questa deduzione del
l'accusato.
3.º Minaccia della Questura - Qui i primi giu .
dici seguitarono troppo ciecamente le maligne sug
gestioni dello ingrato Allevi . E lo chiamiamo in
484 ____________

grato senza esitazione , perchè al benefizio della


spontanea conservazione e restituzione del suo da

naro, anzichè corrispondere con un premio , rispose


con una querela criminale, e con accanitissime de
posizioni. Temeva forse di essere costretto ad una
retribuzione verso l'inventore se non convertiva il
benefattore in un ladro ? Fatto è che su questo
punto, divenuto oggi capitale, l' Allevi mutò linguag
gio ; e preghiamo l' accorgimento dei giudici della
Corte a ben valutare queste varianti del nostro ac
cusatore . Trascriviamo la denuncia presentata nel
giorno stesso dall' Allevi alle autorità e confermata
da lui col suo giuramento. Ecco quali furono le di
chiarazioni spontanee e immediate del denuncia
tore. La Corte apprezzerà poi le metamorfosi suc
cessive - ivi ―――――――― Io col Bonaccini incontrato il
Tedeschi in via dei Banchi lo invitai a presen
tarsi meco all' Uffizio di Pubblica Sicurezza ; ma
esso VIA FACENDO insisteva a dire di non aver vi
sto il PORTAFOGLI ; poi in seguito a PROPOSTA FAT
TAGLI DI ACCOMODAMENTO , SPONTANEAMENTE rispose
che il portafogli l'aveva, ma che non l'aveva ru
bato, ma rinvenuto in via Valfonda . In queste non
studiate, e genuine dichiarazioni dell' Allevi, sta ma
nifesta la favola così magnificata da lui nella de
posizione orale , e che tanto prestigio esercitò sulla
mente dei primi giudici ; la favola voglio dire che
il Tedeschi si inducesse alla restituzione soltanto
quando fu minacciato di essere condotto alla Que
stura, e perchè si intimorì di questa minaccia. Fa
vola questa : protestò e protesta il Tedeschi ; favola
protestarono e protestano i suoi difensori : e che
sia favola lo dimostra la denuncia dello stesso Al
485

levi ove narra che la intimazione di venire alla


Questura fu l'esordio e non il termine della in
terpellanza ; che anche posteriormente a quella mi
naccia il Tedeschi insistè a dire di non avere
portafogli : e che soltanto al seguito di ulteriori
schiarimenti amichevoli il Tedeschi operò sponta
neamente (questo era il primo giudizio dell' Allevi )
la restituzione.
Piacque , è vero , per i suoi fini all' Allevi di emet
tere nella orale deposizione autocratico giudizio che
il Tedeschi avesse restituito per timore della Que
stura : ma i maligni giudizi di un querelante che
agisce al solo fine di non pagare un piccolo premio
equitativamente dovuto e impostogli dalla legge ,
non possono nè debbono accettarsi dai giudicanti
come valide presunzioni a danno di un accusato.
Giustizia vuole che io sia condannato per il giudi
zio dei Magistrati , e non per il giudizio appassio
nato di un avversario : ed il loro giudizio i Magi
strati non devono accattarlo dalla malignità di una
parte la quale trova buono di presumere il peggio ,
ma dalle sane regole di critica, le quali screditano
chiunque contradice al proprio detto a comodo di
causa ; e comandano doversi sempre presumere
non il peggio ma il meglio, fino a prova lumino
sa contraria.
Ma poi se il Tedeschi avesse avuto animo di ap
propriarsi quel denaro che neppure aveva toccato,
che aveva egli a temere dalla sua comparsa alla
Questura? Testimoni che lo avessero veduto racco
gliere il portamonete non ve ne era, e mai ve ne
fu : egli non aveva indosso il portamonete : persiste
re a negare, presentarsi intrepido alla Questura ;
486 -

sottoporsi ad una perquisizione personale infrut


tuosa, era dunque il complemento del pravo disegno,
era la assicurazione del bottino.
Ecco tutto : o, per dir meglio , ecco i tre nienti
che nell'animo dei primi giudici si convertirono nella
prova dell' intenzione malvagia del giudicabile.
Ma questi tre nienti dovevano inoltre valutarsi
al confronto della sperimentata probità ed illibatezza
del giudicabile .
Il Tedeschi ha consumato 53 anni nello esercizio
di negoziante chincagliere : nessuna macchia sul suo
nome ; nessuna azione indelicata ; riputazione inte
merata presso tutti coloro che ebbero a trattare con
lui. E questo è già molto .
Ma vi è di più. Ai criterii negativi si aggiungono
i positivi e speciali . I rispettabili negozianti di Fi
renze Samuele Capua di anni 54 — Luigi Paci di
anni 56 ▬▬▬▬▬▬ e Carcogni Carlo di anni 66 ebbero
lunga pratica col Tedeschi ed occasioni speciali di
esperimento della sua probità. Il Capua narrò molte
fidanze da lui fatte a parola al Tedeschi e retribuite
con fedeltà inappuntabile , e disse come avendolo
spedito talvolta a vendere merci fuori di Toscana
esso Capua avesse registrate sul suo libro quantità
minori di quelle veramente consegnate , ed il Tede
schi al suo ritorno lo avesse fatto accorto dello er
rore, e gli avesse riportato danaro in somma supe
riore a quella da lui aspettata.
Tutti e tre poi deposero concordemente essere a
loro certa notizia che anni addietro il Tedeschi
avendo trovato nella trattoria del Giappone a Li
vorno una borsa con monete d'oro e fogli di banca
ne fece immediata e spontanea consegna al padrone
――――― 487 --

dell' albergo. E chi non conosce quanto sia grande


il peso della moralità e della vita anteatta del giu
dicabile nelle questioni intenzionali ? Ciò che sven-
turatamente dimenticossi dai primi giudici siamo
certi che non sarà dimenticato dai Magistrati della
Corte di Appello .

II.

Errarono ( e gravemente errarono ) in diritto i


primi giudici, e qui non è più questione di convin
zione , di modo di sentire o di intendere , o di ap
prezzazioni critiche ; ma è questione di precetti apo
dittici ed elementari.
Errarono i primi giudici in diritto, quando (mal
grado le ripetute avvertenze della difesa) seguita
rono le orme fallaci dello accusatore , identificando
ai fini penali nel delitto di appropriazione indebita,
la INTENZIONE di appropriarsi con la APPROPRIA
ZIONE CONSUMATA.
Questo era il vero terreno giuridico della contro
versia. Ripetutamente tentammo di condurre l'ac
cusatore a combattere su questo terreno, ma non
ci riuscimmo. Sperammo di condurre i giudici ad
esaminare la questione su questo terreno, ma non
ci riuscimmo. Siamo però certi che su questo ter
reno scenderanno i Magistrati della Corte ; e ciò ba
sterà per assicurare a noi la vittoria.
Ammettiamo per ipotesi ( e ce lo perdoni il Te
deschi ) che egli , quando nella via Valfonda rac
colse quel portamonete, cedesse ad uno impulso di
bisogno che era fuori affatto dalle sue prospere for
tune, o cedesse ad un impulso di malvagità che mai
-- 488 ――――

lo aveva signoreggiato nel corso di mezzo secolo,


suppongasi che tosto si determinasse a far suo il
contenuto di quel portamonete, e con questo pravo
fine lo portasse alla sua bottega, e lo collocasse fra
le pieghe di quella pezzata di tela.
Sia pure così : ebbene. Quegli atti esteriori ac
compagnati da quella intenzione, esauriscono essi la
MATERIALE CONSUMAZIONE della appropriazione in
debita : oppure sono soltanto ( a tutto concedere ) un
tentativo, ossia un mero principio di esecuzione del
la appropriazione ?
Ecco il problema.
E le conseguenze giuridiche della soluzione del

problema nel secondo senso sono intuitive quanto


perentorie : la desistenza volontaria dello attentante,
operata prima che si fosse consumata la violazio
ne del diritto aggredito, elimina ogni punibilità del
fatto : configurano un tentativo rimasto tale per pen
timento dello agente, e il Tedeschi deve anche in
questa ipotesi venire assoluto .
Ora noi sostenemmo che il fatto di raccogliere un
oggetto trovato, portarselo a casa e occultarlo, è un
semplice principio di esecuzione della appropriazio
ne, ma non può dirsi, senza gravissimo errore, una
appropriazione consumata. Lo sostenemmo e tor
niamo a sostenerlo con la più profonda convinzio
ne giuridica.
Risalgasi ai criterii fondamentali che distinguono il
titolo di furto dal titolo di appropriazione indebita .
Il diritto aggredito dal furto , che costituisce il suo
obiettivo giuridico e la sua essenzialità , è primaria
mente il POSSESSO . Verità riconosciuta ormai dalle
scuole e dalla pratica.
- 489

Di qui le conseguenze .
1.º Che il derubato non ha l'obbligo di giustificare
il dominio, e tutto ha provato quando ha provato che
la cosa sottratta era nel suo pacifico possesso .
2. Che il ladro ha consumato il furto quando si
è posto in possesso della cosa involata col contret
tarla, quantunque non l'abbia mai ridotta nella sua
proprietà, o gli sia stata immediatamente ritolta, o
l'abbia volontariamente restituita.
La violazione del possesso, e così la semplice
contrettazione, esaurisce la consumazione mate
riale del furto .
Nel titolo di appropriazione indebita è certa la
regola diametralmente opposta.
L'obiettivo giuridico di questo delitto non è il
possesso. Esso non si consuma con lo spogliare il
proprietario della detenzione della cosa sua. Sareb
be assurdo ( proprio assurdo ) il dirlo , mentre il ti
tolo stesso presuppone come sua condizione sostan
ziale che il fatto avvenga in un momento nel quale
il proprietario non gode il materiale possesso della
cosa usurpata.
Nel titolo di appropriazione indebita il diritto vio
lato, che ne costituisce la oggettività giuridica e la
essenzialità, è unicamente la proprietà. Dunque il
momento consumativo di questo reato non può tro
varsi in un atto nel quale si estrinsechi il solo pos
sesso, ma ha bisogno di un atto nel quale si estrin
sechi l'esercizio della proprietà .
Gli atti di possesso dello inventore potranno va
lutarsi come avviamento ad usurpare la proprietà,
ma non come esercizio o acquisto attuale della pro
490 ――――

prietà se non sono accompagnati da atti che siano


pertinenti esclusivamente al gius di dominio.
Ontologicamente e scientificamente è così : e di
qui nacque la necessità giuridica nelle pratiche e
nelle legislazioni moderne di creare la figura della
appropriazione presunta, determinandola nel pos
sesso prolungato per tre giorni ( art. 402 ) come fra
poco vedremo ; perchè altrimenti lo inventore di
cosa smarrita avrebbe potuto tenersi l'oggetto tro
vato anche per un anno e dieci, e purchè mai vi
avesse esercitato atti di dominio avrebbe potuto
sempre dire, pigliatevi la roba vostra e lasciatemi
in pace : voi non potete punirmi perchè io non me
la era peranche appropriata, e col tenerla non ho
violato il possesso altrui perchè il possesso di quel
l'oggetto più non era in alcuno.
Ad evitare questo pericoloso effetto, i giuristi
crearono la appropriazione presunta ; stabilirono
cioè che il solo possesso, benchè disgiunto da ogni
atto di appropriazione, facesse le veci di vera ap
propriazione quando aveva perseverato tre giorni.
Ma i giuristi e i legislatori col creare questa nuo
va figura dell' appropriazione presunta, per servire
al bisogno politico della repressione, non distrussero
per fermo la verità ontologica, nè cancellarono la re
gola giuridica che la sola apprensione e detenzione
di una cosa ( quando non viene come modo esecuto
rio di un titolo attribuente dominio ) non è atto di
proprietà, se altri veri atti di proprietà non l'accom
pagnano. Anzi la prescrizione dei tre giorni fu la con
ferma ed il riconoscimento dei principii fondamentali .
E di vero repugna stabilire per principio che il
possesso e la detenzione isolatamente siano atti di
- 491 ――――

dominio quando essi perpetuamente accompagnano


il pegno, il comodato, il deposito , la conduzione , il
mandato ; cause tutte che non contengono ombra
di dominio .
Colui pertanto che trovato un oggetto lo racco
glie e lo porta in sua casa, fa un atto esteriore col
quale manifesterà nei congrui casi la intenzione di
appropriarsi poi quell' oggetto, ma non ancora se lo
è appropriato .
Per potere a costui obiettare l'appropriazione bi
sogna che abbia proceduto ad altri atti univoci di do
minio sopra l'oggetto trovato ; ne abbia disposto ;
o lo abbia distrutto o modificato ; o ne abbia usato
come cosa propria, secondo la relativa destinazione .
Senza ciò avremo una intenzione, un progetto di
appropriazione, ma non la materiale appropriazio
ne. E alle condizioni materiali necessarie a dar
vita ad un fatto giuridico non si supplisce con la
sola intenzione . Il giureconsulto Romano che esa
minò la ipotesi del depositario di un anello, savia
mente decise che costui non si macchiava di furto

col solo riporre o nascondere o portare in giro


l'anello con sè, ma se ne macchiava quando se lo
fosse posto in dito per farne pompa, perchè con ciò
ne usava come padrone ; e quando lo avesse col
locato fra i suoi gioielli nella dactyliotheca ( serba
nelli ) per farne pompa come di sua proprietà.
La esattezza delle scuole moderne direbbe que
sta una truffa d'uso ; ma il nome poco monta. Il
delitto vi è, perchè vi è l'uso della cosa secondo la
sua speciale destinazione, nel che consiste un vero
esercizio di dominio. E sebbene le anella non siano
tra quelle cose che usu consumuntur, nè tra quelle
―― 492 ――――

che usu atteruntur, pure poichè la loro destinazio


ne è quella appunto del lusso , dell' ornamento della
persona, e del far credito di ricchezza, così chi ado
pera a cotesti fini un anello fa atto di padrone . Ma
atto di padrone non fa chi ripone , custodisce , ed oc
culta una cosa, perchè con ciò della cosa non si
usa, ma si serba pel fine di farne poscia uso se
piacerà, e quando e come piacerà . Così quella fem
mina che avendo trovato uno scialle se lo fosse ac
conciato sugli omeri, e fosse ita in giro ornata di
quello, avrebbe fatto uso dell' oggetto trovato se
condo la sua destinazione , e così atto di dominio .
Ma non potrebbe dirsi altrettanto di quella femmi
na che si fosse gettata alle spalle, pel fine di re
carlo a casa, un sacco vuoto da lei trovato, e colà
lo avesse riposto in un armadio ; perchè l'uso dei
sacchi non essendo tale non avrebbe fin qui posto
in essere un atto di appropriazione vera : ed a pu
nirla bisognerebbe aspettare lo avvenimento di que
sta, o almeno aspettare l' appropriazione presunta .
Vedasi quanto aberrarono dal senso giuridico i
primi giudici. Il giureconsulto Celso non avrebbe
obiettato la appropriazione al Tedeschi per un atto
di mera custodia ; ma gli avrebbe obiettato la ap
propriazione se lo avesse posto nella sua cesta di
merciaio ambulante insieme con gli oggetti che il
merciaio ambulante portava in giro, perchè in ciò
avrebbe scorto un atto di esposizione in vendita di
quel portabiglietti ; e così un atto di appropriazio
ne. Vedi giudizio uman come spesso erra ! . . . Il
povero Tedeschi credeva che le massime del giu
re Romano non si fossero capovolte dai nostri giu
dici. Non tolse i denari dal portamonete , nè questo
_ _ _ _ _ _ _ 493

collocò fra le merci esposte in vendita nella sua


cesta, perchè ciò era atto di appropriazione. Lo de
positò invece nella bottega, ed ivi , senza toglierne
i denari, lo collocò dove più a lui sembrava sicuro
dalla rapacità altrui, perchè sapeva che gli atti di
custodia non sono atti di appropriazione. Ma per
sua disgrazia incontrò giudicanti i quali la pensa
vano tutto l'opposto di Cels o . Per giure comune
quando non è criminosa la apprensione del posses
so non può essere criminosa la contrettazione della
cosa ( e non lo è davvero la contrettazione di cosa
trovata ) in qualunque modo o luogo sia fatta ; sol
tanto l'uso, la disposizione, in una parola la vera
appropriazione materiale della cosa , può nei con
grui casi divenire criminosa.
Ma nella mente dei giudici Fiorentini apparve
gigante la circostanza che alla prima ricerca del
l'Allevi il Tedeschi negasse il reperimento ; ed an
che qui senza addarsene dimenticarono uno dei più
certi principii di ragione comune, e conculcarono
il testo espresso delle leggi Romane che assolutamen
te ricusano di riconoscere un atto di proprietà nelle
sole parole esprimenti la negazione del possesso .
È letterale in questo senso la leg. 67 ff. de fur
tis ― ivi INFICIANDO DEPOSITUM, NEMO FACIT

FURTUM : nec enim furtum est IPSA INFICIATIO .


E queste massime si accettarono e si accet
tano dai più insigni giuristi fino ai di nostri . Odasi
Jonas ( de interversionis natura et consumma
tione - Lipsia 1847 ) pag. 49 - ivi ______ Quam
quam enim certis sub conditionibus statuere liceat,
eum , qui injuste detentionem INFICIETUR , rem in
custodia constitutam esse intercepturum, tamen nisi
―――― 494 -

iste DE IPSA RE ACTU CORPOREO DISPOSUERIT, in


terversionis absolutae non est reus ; sed solummodo
in conatum delinquendi incidit. E Jonas parla
appunto nel tema di un inventore che abbia negato
il reperimento.
La inventio è un modo di acquistare il dominio ;
modo condizionale perchè subordinato al non ritro
vamento del proprietario ; ma pure modo legittimo.
Laonde i dottori dicono che lo inventore detiene
.
legittimamente la cosa trovata finchè la detiene
causa inventionis. Perchè il suo possesso divenga
illegittimo bisogna che egli muti la causa posses
sionis suae : che faccia un atto cioè col quale in
verta il possesso causa inventionis in un possesso
civile causa dominii.
Ora è parimente testuale la regola che nemo po
test SOLO ANIMO sibi mutare causam possessionis
suae. La inversione della causa possidendi ha bi
sogno di una materialità che più non risponda alla
prima causa, ma estrinsechi una diversa causa pos
sidendi, come il fatto del depositario che porta in
dito l'anello depositato . È necessario un atto ma
teriale che non sia compatibile col mero possesso
causa inventionis, ma abbia per suo giuridico con
tenuto la possessio causa dominii ; la possessio jure
proprietatis.
Dunque non solo le dichiarazioni verbali ; ma
anche gli atti materiali di mera custodia dell' og
getto sono inabili ad operare la inversione della
causa possidendi ; perchè il custodire un oggetto
onde non venga danneggiato o sottratto non è atto
che risalga unicamente alla causa dominii ; ma bene
.
risponde al possesso jure inventionis che è legittimo
495

nell' inventore, il quale ha pur sempre certi diritti


eventuali sulla cosa trovata.
È l'art. 715 del codice civile Italiano quello che
conferisce allo inventore di un oggetto non una
sola ma due ragioni saldissime di possedere l'og
getto trovato, causa inventionis, nell' intervallo che
corre dal reperimento fino alla consegna dell' og
getto al pubblico depositario : due ragioni , cioè :
1.º La ragione della proprietà eventuale dell' og
getto, perchè l' art. 715 guarentisce allo inventore
che adempie le debite formalità ( e il Tedeschi era
sempre in tempo utile ad adempirle ) la piena ed
assoluta proprietà dell' oggetto trovato se dentro
due anni non si presenta il proprietario a richie
derlo. Laonde oggi , come nel mondo Romano, la
invenzione è un modo di acquistare il dominio :
2.º La ragione del pegno legale, perchè l' art. 715
guarentisce all' inventore il premio del dieci per
cento sul valore dell' oggetto trovato.
E come ( dice il Tedeschi ) io col trovare quel
portafogli aveva acquistato la certezza di una for
tuna ; il diritto alternativo o di far miei legittima
mente tutti quei centosessanta franchi dopo due
anni se il proprietario non si fosse presentato ; o
di far miei anche alla dimane sedici franchi di
quella somma se il proprietario la reclamava ; e
mi si ascriverà a reato di avere usato le misure
cautelative di quei miei diritti, perchè quell' oggetto ,
a denunciare il quale la legge mi accordava tre
giorni di tempo, io collocai nell' intervallo in luogo
sicuro onde non fosse da mano rapace sottratto a
detrimento comune ?
― 496 --

Inaudito che dove la custodia ed il possesso di


una cosa hanno una causa giuridica, legittima e
giusta, riconosciuta dalla legge , il giudice criminale
attribuisca a talento proprio a quel possesso ed a
quella custodia una causa giuridica colpevole, per
irrogare una pena. È veramente inconcepibile come
dopo il disposto dell' art. 715 si sia potuto dissot
terrare dottrine eccentriche , obsolete, ed ormai rejet
te da tutte le buone scuole ; e ravvisare la consu
mazione del reato nella apprensione della cosa smar
rita. L'art. 715 ha detto all' inventore ―― piglia l'og
getto che tu hai trovato, ed io ti guarentisco il pre
mio del decimo sul valore del medesimo . E con
ciò ha interdetto una volta per sempre di ravvisare
un fatto criminoso in quell' atto .
L'art. 715 del codice civile fu par troppo la ca
gione della disgrazia dell' onorato Tedeschi, perchè
all' Allevi ( che troppo conosceva il disposto del
l'art. 715 ) pesava il sacrifizio di sedici franchi ; ai
quali ormai aveva il Tedeschi acquistato sacrosanto
diritto . Perciò, con una frode non invidiabile, ricorse
al pretesto di avere lasciato il portamonete nella
osteria ; pretesto frivolo ed inetto giuridicamente,
perchè l'effetto dell' art. 715 era sempre il mede
simo ; pretesto poi evidentemente falso, perchè non
seppe lo stesso Allevi sostenerlo nei suoi interro
gatorii ; e non poterono i primi giudici accettarlo
per buono. Credasi pure, perchè è così : se l'art . 715
del codice civile non dava diritto al Tedeschi di
chiedere giudicialmente all' Allevi sedici franchi per
il decimo di invenzione , l' Allevi che aveva ricupe
rato intatto il suo portafogli non avrebbe avuto nè
interesse nè voglia di perder tempo ad affibbiare
- 497 ――――

la giornea di ladro al povero Alessandro . Ma ad


Odoardo Allevi scottava forte il pericolo dei sedici
franchi. Hinc illae irae.
Oh ! quante, e quante volte la giustizia umana
porge inconsapevole mantello alle frodi a pregiudi
zio della innocenza !
Le regole di ragione comune ebbero novella ri
prova e conferma dall' art. 402 del codice Toscano.
Il paragrafo primo determina la pena, e definisce il
reato, con la parola appropriazione e non con la
parola si impossessa che il legislatore usò nel de
finire il furto all' art. 374.
Dunque l'art. 402 non ravvisa delitto nello im
possessarsi della cosa trovata ; e conseguentemente
non lo ravvisa nel mantenersi in possesso ; perchè
quando il possesso non fu criminoso ab initio, non
può divenire criminosa la sua continuazione. Qui
continuat non attentat.
Ma l'art. 402 volle creare un momento nel quale
la continuazione di un possesso incoato senza de
litto divenisse criminosa anche indipendentemente
da qualunque atto di inversione della causa possi
dendi ; e facendo con ciò una limitazione al diritto.
comune, confermò la regola generale , al §. 2 dispo 1
nendo così ――――― Si presume che l'inventore siasi ap
propriata la cosa trovata, quando non l'abbia de
positata dentro tre giorni in Tribunale. Ecco l'unico
caso tassativamente definito dalla legge, nel quale
la continuazione del possesso della cosa trovata fa
presumere la appropriazione .
Quale è la ipotesi di fatto che qui suppone il §. 2
del nostro articolo ? Necessariamente quella che lo
inventore abbia raccolto la cosa trovata, e l'abbia
VOL. V. 32
- 498

portata in sua casa . Senza ammettere ciò bisogne


rebbe dire che la legge ha supposto il caso che lo
inventore sia stato li immobile per tre giorni a con
templare la cosa trovata, come un cane da fermo
.
che abbia puntato una quaglia. Ridicolo !
Se dunque per necessità logica il § . 2 ammette
che per il corso di tre giorni lo aver preso e por
tato a casa l'oggetto trovato non costituisca appro
priazione neppure presunta, è indifferente la loca
lità dove l'inventore collocò in sua casa l'ogget
to trovato .
Ma i primi giudici fecero senza avvedersene una
giunta al §. 2 : e mentre quello aveva per la neces
sità del contrario promesso all' inventore di non
punirlo quantunque avesse raccolto e portato a casa
Toggetto reperito, i primi giudici vi aggiunsero la
condizione ulteriore -- purchè però tu non abbia
collocato l'oggetto in una pezzata di tela.
In tal guisa di uno speciale collocamento, che non
è atto di appropriazione vera ma semplice atto di
custodia legittima, fecero i primi giudici un atto
di appropriazione presunta.
In tal guisa lo inventore di buona fede, che sa
pendo di non essersi appropriato l'oggetto ne fa
dichiarazione e restituzione dentro tre giorni , per
chè la legge gli ha promesso il perdono delle sini
stre tentazioni che eventualmente possono averlo in
quel periodo signoreggiato, si trova inattesamente
tradito ; e la provvida legge si converte in un ' arte
dei tempi di Covarruvio , quando ai rei pro
mettevasi la impunità per indurli a confessare e
poscia appiccarli.
499

In faccia al disposto dell' art. 402 , § . 2 è mani


festo quanto la luce meridiana che cade in un abuso
intollerabile di dottrina chi avventatamente vuole
applicare in toscana sotto il codice del 1853 auto
rità o giudicati che si emisero sotto leggi diverse .
Fatale errore è questo, che troppo spesso si beve
nelle materie criminali quando le parole di uno
scrittore si pigliano come insegnamento di ragione
generale ed assoluta , mentre quelle parole si ispi
rarono alle specialità di un diritto positivo.
Parecchie leggi e regolamenti speciali dettarono
apposite prescrizioni che ordinavano allo inventore
di fare IMMEDIATA DENUNCIA della cosa trovata alle
autorità locali : altrimenti lo sottoposero a pena.
In faccia a simili statuti potè bene opinarsi che
lo inventore il quale invece di deferire immedia
tamente alle autorità locali l'oggetto trovato lo
nascondeva, si avesse tosto come colpevole. Non già
perchè la occultazione fosse atto di appropriazione :
nè perchè il reato consistesse nello occultamento ;
ma perchè il delitto consisteva nel non avere im
mediatamente denunciato il reperimento .
Ma poichè il codice Toscano dichiarò colpevole la
omessa denuncia soltanto allora quando l' inventore
avesse in tale omissione perseverato per tre interi
giorni, doveva per buona logica e per identità di
ragione ravvisarsi inadattabile al nostro foro ogni
opinione che pigliava le mosse, dal precetto statu
tario della denuncia immediata . Facendo altrimenti
si viene a giudicare il caso non con le leggi che
ci governano, ma con le leggi di altri paesi.
E finalmente in tal guisa siamo venuti a que
st'ultimo risultamento che sia punita la sola INTEN
- 500

ZIONE. Si : bisogna pure confessarlo : il processo


logico dei primi giudici tutto si strinse in questo
entimema Siamo convinti che Tedeschi prima

di restituire il portamonete EBBE INTENZIONE di


appropriarselo : dunque SE LO APPROPRIÒ ; e così
assunsero ad un tempo il triplice ufficio di indovini ,
di sacerdoti e di legislatori : di indovini, asserendo
le intenzioni non manifestate dal Tedeschi ; di sa
cerdoti, infliggendo castigo contro quelle peccami
nose intenzioni ; di legislatori, postillando in modo
estensivo l'art. 402 del codice penale.
Questo non è giudizio che possa augurarsi con
ferma dalla rettitudine dei Magistrati della Corte di
Appello , ed anche troppo dicemmo in cosa si chiara.

Pisa 26 decembre 1873.


XXVIII.

CAUSE

DI SCRIMINAZIONE DELL' INGIURIA


CAUSE

DI

SCRIMINAZIONE DELL' INGIURIA

I.

Verità del concicio.

I1 principio proclamato da Paolo alla leg. 18, ff

de injuriis - eum, qui nocentem infamavit, non


esse bonum aequum ob eam rem condemnari ; pec
cata enim nocentium nota esse, et oportere et expe
dire, portava recisamente ad esaminare da ogni pe
nale responsabilità la diffamazione, purchè il rinfac
cio contenuto nella medesima avesse fondamento
sul vero, e purchè colpisse fatti la cognizione dei
quali interessasse al bene della repubblica , sia che
si fossero obiettati a persona pubblica, sia che si
fossero obiettati a persona privata . Questo principio
( che scioglieva il problema col criterio dei fatti
obiettati, non col criterio delle persone offese ) era
una emanazione spontanea delle generose libertà.
che si godevano dalla prisca Roma, come già iden
--- 504 -

tico precetto aveva dettato Solone alla libera

Atene. E generose davvero potevano dirsi quelle


libertà se gli ordini della repubblica si guardavano
nello interesse dei privilegiati ai quali era dato pro
ferire il motto solenne civis Romanus sum ; quan

tunque fossero per ogni altro intollerabilmente op


pressivi. Ma il civis Romanus, che aveva in quella
sua qualità il contenuto della potestà legislativa,
della inquisitoria, della accusatoria, e della giudica
trice, non avrebbe saputo di buon grado rinunziare
al sindacato morale dei fatti altrui i quali fossero
malvagi e dannevoli al pubblico bene.
Ma la pianta del dispotismo, che tutto aduggia,
ben lungi dal conservare la venerazione del vero ,
è della verità perpetua ed implacabile nemica. Essa
adagia la sua potenza sul privilegio e sulla invul
nerabilità degli agenti suoi ; nè può tollerare che un
cittadino privato , destinato , secondo lei, alla obbe
dienza passiva, osi spingere il guardo profano fino
alla temerità di sindacare i fatti dei suoi ufficiali .
Il dispotismo ha per suo vizio costante la idolatria
del principio di autorità ; e lo errore che questo si
sostenga con la protezione dei suoi ufficiali quan
tunque colpevoli , ed anche nelle colpe loro. Nè si
avvede che per siffatta allucinazione indebolisce essa
medesima le sue forze demoralizzando da un lato
i propri strumenti, le piaghe dei quali ( che avreb
bero bisogno di cura efficace ) si dilatano mercè la
dissimulazione ; e moltiplicando dall' altro lato per
la iniqua compressione gli elementi di reazione che
prima o poscia scoppieranno terribili a rovina di
lui. Ma pure è così . Ed è allora che nascono quelle
leggi avverso le quali Montesquieu lanciò
505

quel celebre rimprovero - che se la servitù stessa


fosse venuta a personificarsi sopra la terra non
avrebbe usato un diverso linguaggio . Ed è facile il
comprendere che l'autorità dispotica, ferma nello
intendimento di cuoprire li agenti del potere col
velo di un ipocrita rispetto, interdicendo ai sudditi
ogni censura delle opere loro quantunque nefaste ,
non poteva, senza confessare la propria turpitudine,
lasciare ai sudditi la sindacabilità dei fatti privati
quantunque scellerati e dannosi , dopo aver loro re
cisamente interdetta la sindacabilità dei pubblici
fatti. E questa fu la ragione per la quale la sentenza
di Paolo si venne a poco a poco dimenticando nei
tempi di mezzo, e dovette cedere il luogo alla mas
sima opposta che negava alla verità del convicio
ogni virtù escusatrice del medesimo ; e questa mas
sima si rendette appo molte genti signora della dot
trina nelle legislazioni , nelle scuole, e nel foro .
È questa la vicenda che la storia rivela essersi
subita attraverso i secoli dalla teorica della verità
del convicio , secondo il variare degli ordinamenti
politici delle nazioni. Laonde è ben naturale che
come la verità è tutto negli ordini completamente
liberi, ed è niente negli ordini opposti, così essa
debba trovarsi in uno stato medio fra la onnipo
tenza e la impotenza in quei reggimenti che il pro
gresso civile condusse a libertà temperate.
E difatti la storia contemporanea ne porge no
vella riprova di questo necessario coordinamento
delle cose penali con le cose politiche ; mostrando
che ovunque si accettarono le libertà costituzionali
ivi le leggi punitive adottarono disposizioni eclet

1
---- 506 ――――――

tiche intorno allo scusare la diffamazione per virtù


della sua verità.
E lo eclettismo recato innanzi dalle libertà tem
perate si estrinsecò generalmente nel seguente con
cetto. Non giovi al diffamatore la verità della dif
famazione quando questa aggredì il cittadino nella
sua vita privata : e qui si respinga la prova della
verità del convicio, ed ogni speranza di utilità mer
cè la medesima. Giovi al contrario al diffamatore
la sua veridicità quando la diffamazione aggrediva
il cittadino nella sua vita pubblica , od in quello che
alla sua vita pubblica si connette col rapporto di
mezzo o col rapporto di effetto . E qui si ammetta
la prova della verità del convicio, e se ne spinga
la utilità fino alla completa esonerazione del diffa
matore da ogni penale e civile responsabilità.
Due furono le ragioni cardinali sulle quali ada
giossi questa moderna teorica.
La prima fu quella del pubblico interesse e della
necessità logica che ogni libero ordinamento debba
⚫ avere per sua pietra angolare la libertà della stam
pa, e la libertà in ogni cittadino di sindacare quan
to si faccia intorno alle cose di pubblico generale
interesse da chi vi ha posto la mano , ed ogni uso
che illegittimamente si faccia della pubblica auto
rità. La seconda ragione si è quella che non de
vonsi ascoltare i reclami di chi non vorrebbe ve
dersi censurato in quanto fece nelle pubbliche cose
nelle quali esso era padrone di non immischiarsi ,
o al mezzo di poteri pubblici che volontariamente
accettò; e se egli volontariamente vi si mischiò bene
è dovere che egli subisca le conseguenze del fatto
proprio, e si trovi soggetto al libero sindacato dei
507 ――

suoi concittadini , poichè egli volle ingerirsi in quei


fatti che interessavano la intera città, e indossare
una veste che lo poneva in diretto rapporto con la
intera consociazione .
Tale è lo spirito della dottrina generalmente pre
valsa nelle scuole contemporanee. Tale è lo spirito
al quale si informano tutte le legislazioni dei po
poli odierni che prosperano sotto il sole di una li
bertà temperata, quantunque il concetto siasi for
mulato ed espresso con linguaggio più o meno fe
lice nelle diverse Nazioni.
E se tale è lo spirito della odierna dottrina, io ne
traggo un postulato irrecusabile ; il quale pongo co
me pietra angolare di questo mio ragionamento : ed
il postulato è il seguente. Che le diverse disposizioni
relative alla prova della verità del convicio e degli
effetti suoi debbono ovunque interpetrarsi nel modo
più favorevole e più estensivo del libero sindacato ;
perchè sotto la varia corteccia delle parole tutte
hanno a comune un pensiero identico, il pensiero
cioè che sia di ordine pubblico il libero sindacato
di atti malvagi i quali possa essere di interesse
universale che siano rivelati, scoperti e repressi,
perchè refluiscono sul buono andamento delle pub
bliche amministrazioni.
Come si formulò questo pensiero dalle veglianti
leggi italiane ? Vediamolo nella legge 26 marzo 1848
- ---
all' art. 29 ivi Nei casi di offesa contro i de
positarii o gli agenti della autorità pubblica per
fatti relativi all' esercizio delle loro funzioni, l' au
tore della stampa incriminata sarà ammesso a
somministrare la prova dei fatti da esso imputati.
Questa prova libera l'accusato di offesa da ogni
-- 508 ――――

pena, salvo da quelle per le ingiurie che non fossero


necessariamente dipendenti dai fatti medesimi.
In faccia a questo testo di legge ecco il quesito
che a me si propone .

Un rispettabile personaggio venne a conoscere


che in un collegio governativo della Toscana , si
commettevano, non senza connivenza del Direttore ,
oscenità turpissime sui giovani alunni , con deplo
rabile loro demoralizzazione . Denunciò al pubblico
il fatto. Fu querelato dal Direttore. Assunse la pro
va della verità dei fatti da lui divulgati ; e ( a quan
to si afferma ) sembra che la verità di quei fatti
sia emersa luminosa ed irrecusabile dalla relativa
procedura.
Ma ora si eleva il dubbio se quella prova fosse
ammissibile : e se anche riuscita sia valutabile ed
utile al fine di dichiarare non essere luogo a pro
cedimento contro il preteso diffamatore. E su que
sto dubbio si desidera il mio parere.
Prima di emetterlo era necessario che io mi in
formassi sulla natura di quel collegio, e degli ufficii
che si esercitano dai superiori del medesimo.
Sottopostami la relativa legge organica ne rilevo
le seguenti circostanze :
1.º Il Collegio è sussidiato dal Governo.
2. Gli esami dati colà equivalgono ( a tutti gli
effetti legali ) a quelli dati nelle scuole Governative .
3. Finalmente si dispone - ivi - Il Governo
del Re eserciterà l'autorità tutoria sul Collegio ,
sorveglierà l'andamento degli studj, NOMINERÀ IL
DIRETTORE e i Professori, e due membri del Con
siglio dirigente.
- 509 ―――――――

In faccia a queste disposizioni mi sembra incon


trastabile che il Collegio in questione offra in tutto
il suo organamento i caratteri di un Collegio go
vernativo. Non si può infatti contrastare la massima
che l'autorità governativa sia assorbente, voglio
dire che ovunque interviene in una amministrazione
l'autorità del Governo, così a priori come a po
steriori, quella Amministrazione debba dirsi gover
nativa ; quantunque per avventura abbiano anche
i privati qualche secondaria ingerenza in quella Am
ministrazione. Tale accidentalità non denatura il
carattere governamentale che ha la istituzione , per
la indole della autorità pubblica che è sempre so
vrastante all' autorità privata, dove questa concorra.
In faccia alla legge del 1848 il problema deve
dunque esser posto nei seguenti termini - 1.º I su
periori di un Collegio governativo cadono essi nella
―――
categoria dei depositarii della autorità pubblica ?
2. Le turpitudini di che si parla cadono esse tra
i fatti relativi all'esercizio delle loro funzioni ?
Esordisco dal secondo dubbio , perchè di più fa
cile eliminazione.
La locuzione della legge non è certamente la più
felice, perchè invece di quella parola relativi poteva
sostituirsene una più lucida. Ma se è poco felice la
lettera non è perplesso peraltro lo spirito della di
sposizione.
Inutilmente si obietterebbe che la corruzione fisica
e morale degli alunni non è un atto relativo alle pub
bliche funzioni, le quali hanno per obiettivo loro lo
istruirli ed educarli alle opere buone ed alle virtù .
cittadine. Inutilmente si direbbe che un delitto ed una
turpitudine non è esercizio di pubbliche funzioni.
510 ———

La obiezione sarebbe assurda , perchè avrebbe il


vizio di provar troppo. La legge evidentemente sup
pone non l'esercizio legittimo della funzione , ma una
deviazione dai doveri imposti da quella. Altrimenti
non avrebbbe senso nè possibilità di applicazione.
Dunque la formula - relativa alle loro funzioni,
bisogna intenderla nel senso di fatti commessi ad
occasione, o con abuso della pubblica funzione. È il
senso comune che impone così.
La funzione che la pubblica autorità delega ai
superiori di un Istituto di educazione è quella di
vigilare, istruire , ed educare i giovani sovra i quali
il Governo accorda a quelli il comando. Dove essi
pertanto di questo comando si valgano per indurre
gli alunni al male, il male che ne nasce non può
non considerarsi come relativo alla funzione che
ha servito di mezzo a procacciarlo.
Torniamo dunque sul primo dubbio , che parmi
l'unico proponibile senza evidente assurdo. I supe
riori di un Collegio governativo sono essi o no de
positarii della autorità pubblica a senso dell' art. 29
della legge 26 marzo 1848 ?
Gli istitutori di giovanetti sono tutti indistinta
mente e sempre depositarii di una autorità : ciò
non ammette disputa, perchè sarebbe effimero l'uf
ficio loro se non fossero forniti della autorità indis
pensabile a compierlo.
Questa autorità sarà privata quando allo istitu
tore è conferita dal piacimento di persona privata :
dai genitori, dai tutori od altre simili persone i cui
diritti sul giovinetto nascono dai rapporti di fami
glia ; che delegano l'esercizio di questi loro poteri
al fiduciario che hanno scelto .
— 511

Ma quando gli istitutori sono eletti dal Governo,


sono dal Governo vigilati ; sono pagati dal Governo
che può a talento suo revocarli, il deposito di au
torità fatto nelle loro mani, è deposito di autorità
pubblica. Quando anche un giovinetto sia orfano ,
straniero e sprovvisto di tutela, cosicchè a lui non
sovrasti alcuna autorità di individuo privato, essi
tostochè sono accolti nel Collegio soggiacciono alla
autorità di quei superiori . Questi ne sono investiti
dal Governo : è dunque autorità pubblica
Non vale obiettare che ai superiori di un Colle
gio delegano la loro autorità anche i genitori e
tutori i quali consegnano i figli e pupilli al Colle
gio ; e che questa è autorità privata . Non vale la
obiezione, per la perentoria risposta che dove è un
deposito di autorità pubblica , la concomitanza ac
cidentale di un deposito di autorità privata non
neutralizza e non fa scomparire la prima. Il meno
che si aggiunga al più non fa cessare il più. Certi
ufficiali sono investiti dalla pubblica autorità dei
poteri di far sequestri e perquisizioni . Ma se avvie
ne che un privato inviti quelli ufficiali a perquisire
o sequestrare nello interesse del richiedente , e per
esercizio e tutela dei diritti privati del richiedente ,
si dirà forse che in tali operazioni venga meno la
qualità di depositarii di pubblica autorità ? Assurdo
ció mi parrebbe . Il mandato privato interviene per
la operazione speciale ; ma il mandato privato non
delega allo ufficiale un nuovo potere che si stacchi
da lui. Il mandato speciale lo invita ad esercitare in
quel caso concreto ed in quella forma il mandato
generale conferitogli dalla pubblica Autorità. Nel
caso della consegna di un figlio al Collegio la pre
- 512 ―――

valenza della autorità pubblica sulla privata è an


che più eloquente che in un sequestro. Perchè se
in questo il pubblico ufficiale non può ricusarsi alla
volontà del privato non eseguendo il sequestro che
gli viene comandato ( lo che rende in certa guisa
l'autorità privata sovrastante alla autorità pubblica )
nel caso della consegna al Collegio avviene il ro
vescio, perchè il superiore può per buone ragioni
ricusare di ricevere l'alunno , o di espellerlo , quan
tunque i genitori persistano nella più tenace vo
lontà di conferire o mantenere in lui la delega dei
loro poteri .
Come dunque dubitare seriamente che la lettera
dell' articolo 29 non si adatti ai superiori di un Col
legio governativo i quali abbiano volto i poteri ad
essi conferiti alla nefanda corruzione degli alunni !
E se la lettera della legge si adatta spontanea
mente alla tesi che io credo vera, meglio corri
sponde alla medesima lo spirito e la ragione del
la legge .
Il criterio della moderna teorica ha per suo punto
di partenza lo interesse universale ; ossia un diritto
sociale che siasi offeso dal fatto denunciato dal pre
teso diffamatore : diritto che venga a proteggersi
mercè la scoperta e verificazione di quel fatto . E
quando dicesi diritto sociale già s'intende un di
ritto che non spetta esclusivamente ad uno o più
individui determinati, ma che eventualmente com
peta ad un numero indeterminato di cittadini, e
così eventualmente a tutti. Di guisa che la lesione
di quel diritto in un individuo abbia in sè la po
tenza di offendere direttamente il diritto di tutti.
Ora è facile comprendere che ogni cittadino, poichè
- 513 -

il Governo ha istituito e posto sotto la propria vi


gilanza un Collegio, ha il diritto di collocare in
quello ( ove lo comportino le sue condizioni ) i pro
pri figli . Ed è ugualmente facile a comprendersi
che il contagio della corruzione, infiltrato una volta
in un Collegio , ha in sè la potenza di dilatarsi a
tutti quei giovinetti che sono o potranno essere
collocati in quello stabilimento. Laonde io tengo co
me proposizione scientificamente incontrastabile che
il fatto pravo della corruzione fisica o morale di un
giovinetto ( e molto più se di più di uno ) accolto
in un Collegio pubblico, sia uno di quei delitti che
presentano un danno universale non solo nel punto
di vista del danno mediato, ma ben anco nel punto
di vista del danno immediato e diretto : il quale
appunto è danno universale quando ha la potenza
di colpire un numero indeterminato di cittadini .
Ora se lo spirito della nostra legge è indubitata
mente quello di lasciare aperta e libera la via alla
scoperta dei fatti pravi, la repressione dei quali in
teressa direttamente la società : se il suo spirito
è quello di mai tollerare che la protezione sociale
divenga strumento di disordine e di turbamento
nell' ordine giuridico universale : non è possibile
interpretare la legge con un sistema che, mentre
va a ritroso della sua lettera, ne conculcherebbe
lo spirito . Certo è che i padri di famiglia hanno
scelto precisamente quel Collegio perchè ebbero fi
ducia nella vigilanza governativa , e perchè lo sape
vano retto e governato da uomini i quali avevano
ricevuto la loro missione dai Ministri del Re. Nè
questa fiducia può essere tradita da un interprete
il quale pretenda interdire ai singoli cittadini il
VOL. V. 33
- 514 --

sindacato del modo col quale li ufficiali rispondono


alla ricevuta missione.

Ripeto ciò che ho detto in principio, cioè che la


nostra legge deve essere interpretata lato sensu.
Questo principio di ermeneutica si riconosce an
che da Grellet Dumazeau al §. 600 nella
sua opera sur la diffamation. Ed è tutto dire : poi
chè i francesi sono anche in questo argomento molto
( anzi moltissimo ) addietro a noi nella protezione
delle libertà civili ; cosicchè in generale sia inaccet
tabile qualunque illazione che volesse farsi dalla
loro giurisprudenza e dalla opinione di scrittori e
magistrati che continuarono guerra accanita contro
l'art. 20 della legge del 26 maggio 1819, e gli fe
cero subire le vicende che la storia della legisla
zione di Francia ricorda. Ma di interpretazione in
lato sensu parmi non abbia davvero bisogno la let
tera della legge Italiana per qualificare come auto
rità pubblica quella che si esercita sugli alunni di
un Collegio dai superiori eletti dal Governo , pa
gati dal Governo, forti del braccio governativo , e
consegnati sotto questa veste alla fiducia del pub
blico. Basta alla tesi che io propugno che non si ro
vesci il metodo critico angustiando la legge con una
interpretazione restrittiva, quasichè fosse legge odio
sa : lo che davvero a me parrebbe una esorbitanza.
Tale è la mia opinione.

Pisa 28 decembre 1873.


- 515

II.

Difesa propria.

Lettera all' Avvocato LUIGI SARTORIO - Palermo

Pisa 27 aprile 1872.

Ella m'inviò il suo scritto intitolato Esami in or


dine a reati di stampa, pubblicato in Palermo coi
tipi De Natale 1872 , chiedendomi al tempo stesso
la mia qualunque opinione sull'argomento da Lei
trattato.
Io non credetti allora di aderire al suo desiderio
per una ragione altrettanto semplice quanto evi
dente. Quale doveva essere l'obiettivo del mio pa
rere ? Il fatto che a Lei si ascriveva a delitto, op
pure il suo libro ?

Se da me aspettava un giudizio sul fatto, era im


possibile che io potessi emetterlo senza conoscere
per intero i fondamenti dell' accusa ed il processo .
Se da me aspettava un giudizio sul libro, pare
vami inutile il darlo, perchè le massime da lei svol
te sono altrettanto apodittiche quanto elementari
in diritto .
Ma ora ella torna con la sua lettera del 22 aprile
a narrarmi esser piombata sopra Lei una condanna
516 ―――

a 6 mesi di carcere oltre al rinfaccio di massime


perverse ; averne ella interposto appello : e deside
rare che io le dia un parere per farne pubblica
zione in un giornale a sua difesa.
La mia situazione rimane però sempre l'istessa ;
e perciò non posso darle un parere sul preteso de
litto, ma soltanto una opinione sul libro .
In questo libro Ella prende a sostenere le se
guenti distinte proposizioni : ed io per non essere
scortese al desiderio di un Collega le piglierò par
titamente, ma succintamente in esame.
1. L'imputato d'ingiuria o libello famoso ha egli
lo illimitato diritto di difendersi, come lo ha qua
lunque imputato di ogni altro anco più grave reato ?
Sì : e sarebbe bestemmia, riproduttrice della esosa
teorica dei delitti eccettuati, il negarlo .
2. Nella difesa che si assuma di un imputato di
ingiuria può egli adoperarsi il mezzo della stampa ?
Si : anche sotto quei Governi che negarono la l
bertà di stampa si apposero limiti alle restrizioni
quando trattavasi della difesa di un accusato .
3.º Quel diritto che spetta allo avvocato chiamato
a difendere uno imputato di ingiuria, spetta esso
ugualmente allo imputato medesimo quando voglia
far uso della propria abilità a patrocinare da sè me
desimo la propria causa ?
Si : quod mandatario licet et mandanti licet.
4. Chi si difende da un' accusa di ingiuria potrà
egli rendersi colpevole di nuova ingiuria , se nel di
fendersi ripete il tenore delle parole che furono de
nunciate come ingiuriose ?
No : e basta il senso comune a mostrarlo . Sia che
la difesa versi sul sostenere che le parole non con
- 517 --

tengono ingiuria ; sia che versi sul sostenere che non


vi fu animo d' ingiuriare ; sia che versi sul soste
nere che l'ingiuria non è punibile per la verità
del convicio ; sempre è necessità riporre sotto gli
occhi del giudice le parole costituenti il preteso cor
po del delitto. Stolto sarebbe chiamare il giudice a
giudicare dello ignoto .
5. Sostenere la verità del convicio per togliere
dalla ingiuria la qualità di reato costituisce esso un
nuovo delitto di ingiuria?
No : ed in nessun caso. Non è nuovo delitto se
si versa nei termini nei quali la legge permette
allo accusato di provare efficacemente la verità del
convicio, perchè sarebbe assurdo ravvisare delitto
nel far quello che è autorizzato dalla legge . Non è
nuovo delitto se si versa in un caso nel quale la
prova della verità del convicio sia per legge ineffi
cace quando il difensore ebbe giusta ragione di
credere che fosse efficace. Non è nuovo delitto quan
do anche la prova assunta non sia riuscita, perchè
in tal caso rimarrà punibile il primo delitto , ma non
ne sarà sorto un nuovo nei conati della difesa quan
do specialmente è l'accusato che difende sè stesso .
Chi mai osò processare un accusato per ingiuria se
dalla sua panca avvertì i giudici a non credere ad
un testimone perchè era un birbante ? Ignoscendum
ei qui qualiter qualiter sanguinem suum redime
re voluit.
6. La verità del convicio è dessa una circostanza
dirimente quando trattasi di ingiurie lanciate con
tro un pubblico funzionario ?
Si e lo dice la legge.
--- 518

7. La scusa della verità scrimina essa tutte le


ingiurie dirette contro un pubblico funzionario ben
chè relative alla vita privata?
Si : quando i fatti della vita privata possono in
qualche modo refluire sulle pubbliche funzioni : e
questo dipende dalla apprezzazione del fatto .
8.º Gli asserti, quantunque ingiuriosi , contro l' al
trui onoratezza, possono essi punirsi come reato
d'ingiuria quando sono emessi per il bisogno e
per il solo fine della propria difesa ?
- No: dummodo id causae utilitas poscat, perchè
l'animo di difendersi esclude l' animo di ingiuria
re ; e senz' animo di ingiuriare non vi è ingiuria
punibile.
9. Possono punirsi come costituenti reato d' in
giuria le rivelazioni di fatti turpi altrui quando
siano emesse al solo fine di porre altri in guardia
contro nuovi fatti turpi che si vorrebbero commet
tere ; o di salvare altri da un imminente ed ingiu
sto pericolo che a lui sovrasta ?
No : e rispondo no, non già perchè io accetti la
massima infernale che il fine giustifica il mezzo :
ma perchè rispetto il principio cardinale del giure
punitivo che senza dolo non vi è delitto : e perchè
il fine di impedire un più grave ed ingiusto male
esclude necessariamente il dolo. Non è lecito fare
il male per ottenere un bene : ma è lecito per legge
di natura fare un male per lo stato di necessità di
impedire altro male più grave ed ingiusto.
Sono queste, Collega pregiatissimo , le proposizioni
di diritto che io trovo illustrate in quel suo scritto .
E tali massime sono così giuste, così certe e così
universalmente riconosciute nella scuola e nel foro,
519 ――――――――

che se io dovessi fare una critica a quel suo lavoro


le dirigerei la censura di avere speso troppo lusso
di ragionamento e di dottrina per dimostrare la
luce del sole.
Inetto dunque sarebbe per mia parte il fare ade
sione in puncto juris a quella sua dottissima ed
eruditissima dissertazione . In puncto facti, ripeto
che non posso giudicare della applicazione più o
meno retta delle massime stesse al caso concreto ,
perchè totalmente ignaro del fatto.
Soltanto poichè V. S. nella sua lettera del 22
aprile mi annunzia che il suo scritto è stato accu
sato come contenente massime massoniche, repub
blicane e comuniste ( triade la quale non so come
possa unificarsi ) e poichè ella mi richiama a dirle
il mio pensiero anche su tale rimprovero, mi affretto
con tranquilla coscienza a risponderle che in quel
suo lavoro puramente scientifico niente io trovo
che non sia puramente ortodosso, così in religione ,
come in politica , come in scienza . Tali accuse a
me paiono un sogno, nè so comprendere come si
siano potute lanciare contro quella sua dissertazione ,
ammenochè non partano da chi appartiene alla setta
di Le Maistre e di Capece Minutolo.
XXIX .

UN DUBBIO

SULLA RIVELAZIONE DI SEGRETI


I
1
UN DUBBIO

SULLA RIVELAZIONE DI SEGRETI

Sulle condizioni generali del reato di rivelazione


di segreto può dirsi che siano ormai concordi i cri
minalisti delle moderne scuole.
Si intende che la ' obiettività giuridica di questo
malefizio debba ravvisarsi nella libertà individuale,
perchè il timore che un nostro segreto si divulghi
da colui al quale vorremmo affidarlo ci trattiene e
ci impedisce dallo affidarlo ; e così veniamo a tro
varci meno liberi in questo fatto che noi vorrem
mo eseguire.
Ora poichè lo affidare ad altri il segreto nostro
può essere talvolta un effetto di nostra velleità ca
pricciosa, ma tal' altra volta può essere a noi co
mandato da una imperiosa necessità attenente alle
eventualità del nostro patrimonio o ad uno stato
morboso che ci affligge, così dovette riconoscersi
che nel primo caso il cittadino non aveva ragione
di chiedere la protezione della legge penale per un
―――― 524

disturbo che pativa in conseguenza di un suo ca


priccio imprudente ; ma che invece saldissima ra
gione aveva di esigere quella protezione dalla legge
penale nella necessità che lo aveva condotto a con
fidare ad altri il segreto suo . Nel primo caso vale il
celebre motteggio del filosofo greco . Se con l'amico
tuo tu non sapesti serbare il segreto che tanto a
te interessava, a torto ti lagni di lui perchè non
abbia alla sua volta serbato con l'amico proprio
il tuo segreto che niente a lui interessava . Quando
la confidenza fu volontaria, per quanto possa essere
indelicato il tradirla, la legge penale non può ascol
tarne i lamenti ; ed a chi se ne lagna risponde,
rimprovera te medesimo che dovevi esser più cauto.
Ma quando a confidare il segreto fummo costretti
da imperiosa necessità, ed il segreto affidammo a
persone che dall' ufficio o professione loro hanno
appunto la missione di ricevere siffatti segreti onde
soccorrere ai relativi bisogni, la necessità che co
manda a noi tale fiducia e lo stato professionale
che a sè la richiama, ci danno un diritto esigibile
anche per le vie criminali affinchè reprimasi il tra
dimento consumato a nostro danno. La libertà no
stra sarebbe menomata nel suo esercizio, non in un
atto di semplice nostro piacere, ma in un atto che
tiene alle necessità della vita nostra, se la legge
penale non ci facesse sicuri che non potrà rivelarsi
senza castigo il segreto da noi affidato al giurista
od al medico di nostra fiducia per provvedere alle
emergenze dei nostri interessi o della nostra salute .
Di qui la conseguenza universalmente ricevuta
nelle scuole e nelle legislazioni penali che il delitto
di rivelazione di segreti sia un delitto proprio : vale
―― 525

a dire non un delitto che possa venire consumato


da tutti gli uomini qualunque sia la loro situazione
sociale ( e per ciò detto comune ) ma uno di quei
delitti che richiedono nel principale agente una qua
lità o condizione eccezionale di persona, come la
iscrizione alla milizia, il sacerdozio , e simili ; e nel
tema nostro lo esercizio di una di quelle profes
sioni che impongono la fiducia.
Dallo essere riconosciuto in questo malefizio il
carattere di delitto proprio ne deriva che quella
condizione eccezionale dell' autore sia un criterio
essenziale della criminosità e non una semplice ag
gravante. E da questa deduzione se ne è tratta la
ulteriore conseguenza che la qualità meramente
personale dell' autore professionista possa portarsi
a carico anche dei partecipanti non professionisti
che lo istigarono al reato o in altro modo vi par
teciparono al modo stesso che il cittadino non sol
dato viene tenuto a calcolo per la deserzione del
soldato alla quale egli ( ope aut consilio ) coadiuvò.
Fin qui tutto procede senza difficoltà. E giuristi
e legislatori sonosi parimente accordati nel circo
scrivere le professioni speciali alle quali è imposto
l'obbligo giuridico della conservazione del segreto .
Esistono tuttavia alcune divergenze, che noterò di
volo, e sono relative :
1.º Alla causa della scienza. Avvegnachè i due
codici veglianti oggi in Italia sembrino limitare l'ob
bligo giuridico del professionista alla conservazione
del segreto a quei soli segreti dei quali essi siano
stati costituiti depositarii : laddove nel giure fran
cese, ed anche nella maggior parte delle scuole ita
liane, si vuole imposto al medico l'obbligo del sc
――― 526 -

greto non solo in ciò che a lui venne confidato per


i bisogni della cura implorata, ma eziandio per qual
sivoglia altra notizia che egli sia venuto racco
gliendo in quella casa dove esso era chiamato in
qualità di medico .
2. Alla natura formale del malefizio. Poichè seb
bene generalmente si riconosca la consumazione di
questo reato nella sola propalazione del segreto sen
za cercare se, e quali, e quanti danni ne siano av
venuti, pure avvi qualcuno che fraintende la vera
indole di questo malefizio ; e confondendolo fra i
reati contro l'onore o fra i reati contro la pro
prietà, pretende cercarne la consumazione in un
danno avvenuto .
3.º Allo elemento intenzionale. Avvegnachè , seb
bene per la più comune dottrina tengasi la rivela
zione di segreto come un reato il cui dolo speciale
consiste nella coscienza e volontà di rivelare il se
greto senza bisogno di alcuna intenzione ostile ,
pure sonovi tuttavia alcuni pochi che alla subietti
vità di questo reato esigono l'animo di nuocere,
senza accorgersi che in tal guisa denaturano affatto
questo malefizio ed anzi ne distruggono radical
mente la nozione speciale , tramutandolo in una ag
gravante della diffamazione.
4. Alle scuse. Avvegnachè siavi dissenso fra noi
in quanto alla maggiore o minore larghezza da ac
cordarsi alla scusa desunta dalla veduta di evitare
mali gravissimi, dei quali a remuovere il pericolo
fosse il professionista condotto alla rivelazione , o il
suo istigatore a procurarsela.
Queste, ed altre poche consimili divergenze ap
plicative, può dirsi che formino tuttora occasione di
527

disputa fra i criminalisti : ma poichè delle medesime


è stato diffusamente discorso nei varii sensi da giu
risti abilissimi , io non intendo farne argomento di
questo mio scritto .
Oggi io prendo a considerare un solo quesito .
Quesito che mi sembra di altissimo interesse altret
tanto quanto difficile : e che, malgrado lunghe ricer
che, io non sono riuscito a trovare discusso da alcuno
di coloro che trattarono l'argomento del presen
te malefizio.
Quid juris dell' erede del professionista ?
Non cerco già della ipotesi di un segreto rive
lato dal professionista medesimo. Sono elementari
le regole che dopo la morte del professionista col
pevole impediscono da un lato la punizione del suo
erede, e dall' altro lato lo mantengono responsabile
della refezione dei danni verso l'offeso . Qui non
avvi occasione di disputa.

Io cerco il quid juris dell' erede del professioni


sta per sapere con quali criterii debba giudicarsi
la rivelazione del segreto professionale affidato al
suo autore , quando la rivelazione siasi fatta dallo
stesso erede dopo la morte di quello .
Certamente la configurazione di siffatta ipotesi
sembrerà impossibile quando si cerchi nel caso sem
plice di una confidenza fatta a parola al professio
nista. In questo caso se il professionista non parlò,
il segreto scese con lui nella tomba, e ne è dive
nuta impossibile ogni rivelazione : e se il professio
nista parlò, ed il suo erede lo raccolse dalle sue
labbra, e poscia lo divulgò, costui rimane nella si
tuazione ordinaria di tutti coloro che riseppero il
segreto dal professionista e che se ne fecero dopo
528 ―

la sua morte maliziosamente divulgatori ; i quali


tutti rientrano nel giure comune relativo ai reati
di diffamazione o di estorsione , secondo la diversità
delle forme e condizioni del fatto loro.
Ma vi sono dei casi misti nei quali la consegna
del segreto fu accompagnata dalla consegna fidu
ciosa di un qualche oggetto ( più specialmente di
un qualche scritto ) nel quale appunto consisteva il
segreto. Trattasi ( a modo di esempio ) di un car
teggio confidenziale fra cliente ed avvocato : trattasi
di un documento fiduciosamente consegnato al no
taro trattasi della lettera di una fanciulla che invit
la levatrice a venire ad assisterla : trattasi di un
biglietto col quale un uomo chiede una prepara
zione al farmacista, od al medico una assistenza che
implicitamente contiene la confessione di malattia
vergognosa. Il professionista conservò religiosamen
te il segreto per tutta sua vita ; ma conservò ancora
quel foglio fatale. Il suo erede lo trova : ed invece
di restituirlo a chi apparteneva o distruggerlo, lo
propala, e si fa divulgatore del segreto . Quid juris
di questo fatto !
Non mi si risponda alla lesta ( per evadere la que
stione ) che quello erede sarà tenuto a calcolo con
la repressione ordinaria delle diffamazioni. Non tan-
ta furia a rispondere . Gli estremi della diffamazione
possono mancare nel caso per difetto dell' animo ;
possono più specialmente mancare per la natura
del segreto, in quanto esso niente appelli all'onore,
ma soltanto ad interessi patrimoniali. La dottrina
della diffamazione non è un porto sicuro nel quale
possano ricoverarsi coloro che non vorrebbero af
frontare il problema.
529 -

Ora il problema proposto conduce a doppia ispe


zione, cioè : 1. obblighi dell' erede ai fini civili
2.° obblighi dell' erede ai fini penali.
1. Non mi sembra ardua la soluzione del que
sito nella sua prima ispezione. Una sanzione penale
non distrugge la esistenza della obbligazione civile
preambula, e che da quella si volle più efficacemente
guarentita. L'azione civile che nasce da questa è
nella sua genesi, nella sua vita, e nella sua morte,
indipendente da quella, e sopravvive alla morte del
l'azione penale avvenuta per decesso del colpevole ,
per amnistia, o per prescrizione. Ma la obbligazione
civile alle indennità, che grava il professionista in
caso di fatta rivelazione , procede da un' altra ob
bligazione civile preliminare e principale, che è quel
la di non rivelare il segreto . Anzi dalla sola obbli
gazione non faciendi scaturisce la obbligazione delle
indennità quando sia fatto il contrario .
E se è certo che tutte le obbligazioni civili del
defunto passano con uguale valore ed effetto nello
erede di lui che ne continua la persona, bisogna ri
tenere come altrettanto certo che la obbligazione di
non rivelare, incombente al professionista , trapassa
con valore ed effetto inalterato ai fini civili anche

nello erede di quello , sebbene non professionista .


Questa io credo una verità giuridica inoppugna
bile , e ne concludo che l'erede del professionista il
quale per siffatta sua qualità venga a trovarsi in
possesso di carte che contengano un segreto di
terzi , confidato al suo autore ad occasione dello
stato e professione di lui , qualora faccia rivelazione
di quel segreto o manifestazione di quelle carte , si
rende passibile dei danni verso gli interessati . E ciò
34
VOL. V.
――― 530 -

non solo quando esso erede proceda a siffatta ri


velazione o manifestazione per animo ostile o ve
nale ; ma eziandio quando faccia ciò per sola im
prudenza. Non è dubbio infatti che anche le azioni
imprudenti espongono civilmente alla refezione dei
danni prodotti da quella imprudenza.
Mi sembra dunque di potere essere tranquillo
sulla soluzione del quesito nella sua prima ispezione.
2.º Non così nella seconda.
Lasciando da parte le fattispecie eccezionali che
possono dar luogo all' accusa per diffamazione o ad
altro titolo criminoso in sè stesso , il quale emerga
dalle cause, dai fini o dalle concomitanze del fatto ,
dimandasi se il titolo di rivelazione di segreto come
speciale delitto possa mai essere obiettato all' erede
del professionista per la rivelazione da lui perso
nalmente fatta dei segreti confidati all' autore suo
in ragione del suo stato, e dal defunto suo autore
non rivelati.
E questa dimanda io propongo ( notisi bene ) non
in faccia al testo dei diversi diritti costituiti sulla
materia, ma soltanto in faccia alla scienza e nel
punto di vista speculativo .
La negativa assoluta si presenta come più spon
tanea per deduzione dalle generalità della relativa
dottrina. Vien fatto facilmente di dire che se questo
è un delitto proprio il medesimo mai possa obiet
tarsi a chi non trovasi in quello stato e condizione
eccezionale che dà al fatto la essenzialità crimino

sa. Che io sia l'erede del professionista non produce


lo effetto che io divenga professionista. La perso
nalità dell'autore mio, che da me si continua, è la
mera personalità civile ; non è la personalità pro
- 531 ―――

fessionale od in qualunque modo eccezionale e pro


pria del defunto. Lo erede del soldato non può
rendersi colpevole di deserzione , nè lo erede del
sacerdote può commettere un abuso di funzioni re
ligiose, come la fanciulla erede della femmina co
niugata non può commettere adulterio.
D'altronde quello erede non ebbe la fiducia del
cliente, nè alcuna fede ha violato verso di lui ; e
se lo erede di un notaro o di un avvocato provvede
ai suoi interessi ricavando qualche migliaio col ven
dere le carte dell' autore suo agli avversari del clien
te già patrocinato da quello, commetterà un' azione
indelicata ma non potrà dirsi che abbia violato un
diritto che meriti di essere protetto con una san
zione penale .
Queste ragioni a prima vista trascinano , e sem
brano obbligarci à pronunziare anche scientifica
mente la non punibilità dello erede rivelatore. Mal
grado ciò non cessano le mie perplessità .
In primo luogo lo esempio dello erede del soldato
e del sacerdote non quadra, poichè in questo non
passa nè la obbligazione di servire sotto le armi,
nè la obbligazione di servire il culto : laddove nello
erede del professionista ho già prestabilito ( ed in
questo mi sento tranquillo ) che passa l'obbligo di
serbare il segreto . Ma se in lui è quest' obbligo bi
sogna bene riconoscere nel cliente il diritto corre
lativo. Non è dunque vero che nella rivelazione del
l'erede manchi il diritto violato . Potrà disputarsi
se questo diritto sia protetto abbastanza con l'azione
civile o se abbisogni ancora della protezione penale .
Ma negare che l' erede rivelatore violi un diritto,
assolutamente non si può.
532 -

In secondo luogo si ammetta pure che il cliente


ebbe fiducia nel patrono e non nello erede di que
sto . Ma tale argomento claudica , perchè prova troppo.
Anche colui che partendo per un viaggio affidò a
me la sua argenteria ebbe fiducia soltanto in me
e non nel futuro mio erede. Ma che perciò ? Se io
muoio, ed il mio erede conoscendo la pertinenza di
quegli argenti e la causa per la quale vennero in
mio possesso, colpevolmente se li appropria, non lo
punirete voi per truffa ?
E per tenere a calcolo con le sanzioni dell'art . 398
lettera C del codice Toscano, la violazione di un
sequestro dolosamente eseguita dallo erede del se
questratario, si pretenderà forse che il creditore.
faccia un nuovo sequestro in mano dello erede ?
In terzo luogo la ragione di essere di questo de
litto sta o no nel bisogno di proteggere il cittadino
il quale avendo necessità del medico o del giurista
si troverebbe costretto a farne a meno con pre
giudizio di sua salute o di sua fortuna se temesse
che il medico od il giurista propalassero il suo se
greto ? È ella questa o no la ragione unica e fon
damentale per cui tutti i codici moderni più pro
gressivi hanno fatto un titolo speciale di malefizio
della rivelazione del segreto , che dai più si è colpito
anche di pena afflittiva ? Ciò è positivo . Col creare
questa figura criminosa si è voluto dare al cittadino.
la più ampia libertà di provvedere alle sue più ur
genti necessità anche col mezzo della consegna di
un segreto a lui carissimo ed interessante . Ora io
dico che la legge sarebbe inetta se quando si crede
in debito di provvedere con sanzioni penali alla tu
tela dei diritti dei cittadini affidati alla sua prote
533

zione, vi provvedesse in un modo inetto, monco , ed


incompleto. E che gioverebbe che la legge mi avesse
detto ―― vai pure tranquillamente all' avvocato e al

notaio, manifesta senza reticenza a lui i più reconditi


arcani delle tue carte di famiglia , se ciò ti è neces
sario ad informarti sulla misura delle tue ragioni
e sui modi più sicuri di farle valere o di procac
ciarne lo svolgimento . Vai pure tranquillo ; e senza
tema che quell' arcano si sveli per opera del giu
rista che tu consulti . Da siffatto pericolo io ti ho di
feso con minaccia di severe pene che impediranno
il tradimento .
A che varrebbe ciò ( io dimando ) se una repen
tina morte del mio fiduciario annientasse quella pro

tezione penale ; e se mentre la legge autorizza il


trapasso di quelle carte nello erede del mio fidu
ciario non le accompagnasse anche nelle mani di
costui con una sanzione punitiva che mi preservasse
da un tradimento ? Non basterà dunque quando ho
necessità di affidare ad un giurista documenti che
contengono arcani , preziosi per me più della stessa
.
vita, non basterà che io prenda le più caute infor
mazioni sulla probità di lui ? Bisognerà che io mi
informi ancora sul suo stato di salute , sulla sua età,
sulle probabilità maggiori o minori di un prolunga
mento della sua vita : bisognerà che io mi informi
sulla persona del suo presunto erede ; sulla moralità
di costui , sulle sue finanze : bisognerà che tutto
questo io cerchi per sapere se qualora il mio fidu
ciario manchi ai vivi prima che la natura dell' af
fare o abiliti a restituirmi quelle carte, avrò almeno
nella moralità dell' erede e nella sua solventezza
- 534 -

quelle guarentie che rispetto a lui la legge penale


mi nega ?
Se voi credete che il mio diritto rispetto al fidu
ciario abbia necessità di una sanzione penale, e per
questa necessità vi credete giustificato ed autoriz
zato a creare un titolo di malefizio nella rivelazione

del segreto, come potete non riconoscere uguale


necessità rispetto all' erede del fiduciario ?
Gli obblighi della professione qui non entrano in
calcolo tranne per rendere legittima e giusta ( an
zichè capricciosa ) la mia fiducia ; e cosi mostrarla
meritevole di esser protetta dal magistero penale .
Gli obblighi professionali qui non entrano in cal
colo per altro motivo tranne cotesto . Perchè non si
tratta mai nel magistero punitivo di fare espiare
un fallo ( idea obsoleta e semibarbara ) ma di pro
teggere un diritto. E quando questo diritto credeste
bisognevole di protezione penale per la necessità in
cui io versava di aprire il mio segreto a quel pro
fessionista, voi dovete per buona logica trovare
identica ragione di mantenere la sanzione penale in
faccia alla successiva necessità del passaggio del
mio segreto dal fiduciario nel suo erede . Anzi qui
ve ne corre forse obbligazione maggiore , perchè voi
stesso con le leggi vostre creaste, mercè le regole
dell'ordine successorio, questa seconda necessità. Voi
stesso, col divieto della ragion fattasi, mi impedite
di correr tosto alla casa del fiduciario appena avuta
notizia della sua morte a ricuperare di forza privata
le carte mie. Che se pretendete che io intimi lo
erède giudicialmente alla restituzione delle carte,
voi obbligate me stesso alla propalazione del segreto.
Cosicchè la opera vostra si è intromessa in questa
535 ―

balia che gode l'erede del professionista di mer


canteggiare impunemente tutti i segreti di studio
coi clienti o coi terzi . Questo io direi al legislatore
quando si rifiutasse alla mia proposta di una san
zione penale contro lo erede rivelatore.
Nè dicasi che lo erede può essere in buona fede,
o non conoscere la importanza di quelle carte, o
altrimenti meritare scusa per difetto di prava in
tenzione. Questo è un discorso vano, sofistico , ed
anzi ridicolo : perchè è vanità giudicare i casi dove
si suppone il pieno concorso di un dolo maligno, col
criterio che regola i casi di intenzione innocente :
è sofisma argomentare sopra ipotesi differenti da
quella che si propone a discutere : è ridicolo il dire
he la falsa moneta potendo spendersi senza cono
scerne la falsità si deve cancellare dal codice il de
litto di spendimento di falsa moneta.
In quarto ed ultimo luogo dimanderò cosa manchi
nel fatto dello erede maliziosamente rivelatore, cosa
manchi a costituire i caratteri ed i requisiti di una
criminosità politicamente imputabile ? Dal lato sog
gettivo io suppongo la pravità della intenzione nello
erede sia vendetta, sia avidità di guadagno la sua
passione movente, sempre vi sarà pravità di fine e
coscienza di nuocere ad altri con un atto illecito .
Dal lato obiettivo vi è indubitatamente la lesione di
un diritto ; ed in questa vi è quanto basta a pre
sentare un danno immediato eventualmente gravis
simo che talvolta può estrinsecarsi nella rovina di
una intera famiglia o dello avvenire di una inno
cente creatura. Pongasi che avessi consultato un
notaro per lettera onde conoscere i modi più sicuri
per dettare disposizioni di beneficenza a vantaggio
536 ――――

di un bambino del quale in quel foglio io rivelava


la generazione adulterina. Le disposizioni suggerite
a me da quel notaro non possono esse venire ro
vesciate dalla improntitudine del suo erede ; e quello
innocente esser condannato alla miseria per la ve
nalità di colui e per le arti dei miei remoti ? Evvi
di più il danno mediato, perchè ogni cittadino deve
allarmarsi al pensiero che se dimani il suo farma
cista od il suo notaro vengono a morte , lo erede di
quel galantuomo , altrettanto disonesto quanto era
probo il suo autore potrà divulgare il libro dei conti
ed i ricordi delle ricette spedite a ciascuno degli
avventori, o far mercato dei documenti affidati . E
questo danno mediato sarà di tanto maggiore e
tanto più diffondibile, quanto meno è potente la
difesa privata e la nostra cautela a premunirci
contro simili eventi . Se vi è caso nel quale la im
potenza della difesa privata chieda imperiosamente
il soccorso della difesa pubblica , tale è senza dub
bio quello che io configuro. Più facile è che io mi
difenda in una rissa mercè la mia forza, la mia
agilità, o l'ajuto di amici contro la mano che
muove a ferirmi , di quello non sia facile che io mi
difenda dalla sordida venalità dello erede del mio
notaro o del mio causidico , se al patrocinio mio non
si desta la legge penale minacciando al traditore un
castigo della irrogazione del quale sarà assai ma
lagevole trovare chi si commuova a pietà, poichè,
il senso morale e la viltà dell' azione siffatta pie
tà interdiranno.
Tali considerazioni morali , giuridiche , e politiche,
io non recherei innanzi per interpretare in questo
senso alcuno dei diritti penali già costituiti fra noi ;
―― 537 ―――――

perchè so benissimo che in materia penale non può


dallo interpetre farsi a fine odioso estensione da
caso a caso, o da persona a persona ; nè traspor
tarsi la sanzione scritta un codice dal caso sem

plice al caso misto, dal caso proprio al caso impro


prio . Ma quelle considerazioni io presenterei in un
aula legislativa per provocare un dettato che alle
medesime rispondesse ; e le proporrei con la co
scienza di servire la causa del giusto e del buono,
e non senza fiducia di venire esaudito .
La questione mi è parsa nuova. Attendo lumi da
gli amatori della scienza penale .

Il dubbio che qui ho preso in esame mi conduce


ad una ulteriore ricerca, che mi sembra singolare ,
nuova, ed interessante. E quantunque più veramente
questa ricerca invada il campo del diritto civile , in
quanto contempli gli effetti puramente civili di un
segreto indebitamente rivelato, pur nondimeno mi
piace dirne qualche cosa al presente luogo . E ciò
tanto più volentieri faccio , perchè la ricerca che io
mi propongo viene ad estrinsecarsi in certa guisa
con effetti civili, i quali possono assumere il caratte
re di un favoreggiamento : e così anche la medesima
si trova a contatto del giure penale nei suoi pre
cedenti e nei suoi susseguenti .
Il favoreggiamento si commette , per lo insegna
mento concorde delle moderne scuole, non solo col
procacciare la impunità del colpevole, ma anche con
assicurare a lui il criminoso profitto.
- 538 --

A questa seconda forma di favoreggiamento può


avvenire che si invochi l'ajuto dei tribunali civili.
Concretiamone alcune ipotesi .
Tizio ha mosso lite contro Cajo per un suo cre
dito. Ma i documenti che ne assoderebbero la prova
sono in mano del reo convenuto . L'attore ha esau
rito ogni mezzo del procedimento civile per otte
nere il trasporto di quei documenti nel processo
per le vie legittime : ma inutilmente. Interrogatorii,
azione ad exhibendum , dimande di prova testimo
niale, tutto è riusciuto vano . Per disperato consiglio
Tizio associatosi dei satelliti ha invaso il domicilio

di Cajo : e violentando la sua persona, o rompendo


chiusure, si è impossessato dei documenti deside
rati. Ecco Cajo che si querela del furto e delle vio
lenze patite, e Tizio viene condannato criminalmente
alla casa di forza od al carcere, secondo i casi . Ma
Tizio espiando la pena tiene a cuore la sua lite ci
vile, ed in questa produce i documenti conquistati
mediante il delitto. Potrà Cajo dedurre la inatten
dibilità di quei documenti nel giudizio civile, per
chè lo apprezzarne il valore sarebbe un assicurare
a Tizio il profitto che appunto sperava dal suo
reato ? Dovrà invece il giudice interdirsi la valuta
zione di quei documenti, e così pronunziare contro
la verità da lui conosciuta ? Ecco l'alternativa.
Altra ipotesi. Un coniuge promuove giudizio di
separazione di corpo contro l'altro coniuge. Le cause
giuridiche di tale separazione sono cognite al me
dico del coniuge reo convenuto : suppongasi che quel
medico possieda un biglietto autografo il quale fa
non dubbia prova della causa legittima della invo
cata separazione. L'attore nel giudizio civile va per
539

la più corta. Offre duemila franchi al medico perchè


gli venda il biglietto, ed il medico cede . Ecco una
querela criminale per rivelazione di segreti . Il me
dico ed il suo correo sono per questo titolo di reato
condannati alla prigionia. Ma il coniuge che preferì
la prigione temporaria alla galera perpetua del ma
trimonio, non se ne accuora. Tutto lieto corre alla
carcere, e di là spinge innanzi il suo giudizio di
separazione che mercè l'aiuto del documento otte
nuto ha acquisito una base di fatto irrecusabile .
Ma il coniuge reo convenuto si oppone all'accetta
zione di quel documento in processo, obiettando al
giudice che egli va a farsi favoreggiatore del de
linquente se in tal guisa scientemente l' aiuta a
conseguire il criminoso profitto . Ecco di nuovo l' al
ternativa che ho proposto di sopra.
Bastino queste esemplificazioni , e veniamo al me
rito della questione .
Sotto il punto di vista morale ci troviamo a fron
te due principii . L'uno insegna che la giustizia non
deve mai pronunziare contro la verità conosciuta .
L'altro insegna che la giustizia non deve mai fare
suo pro di mezzi immorali e criminosi, e molto
meno ratificare in certa guisa il delitto col dargli
un premio.
Questi due principii parlano al cuore, ed a prima
giunta parrebbe che sì l' uno come l'altro doves
sero tenersi come costantemente veri, che è quanto
dire come assoluti. Ma pure bisogna riconoscere
che assoluti entrambo non sono : e ciò è incontra
stabile una volta che vengono a conflitto fra loro:
perchè dato il conflitto non è più possibile che en
trambo si mantengano veri, per la contradizione che
540

nol consente : dunque è necessità che l' uno dei due


perda il carattere di assoluto, e divenendo relativo.
ceda il campo al suo antagonista.
Moralmente guardata la cosa , quale sarà degli
anzidetti due precetti quello che dovrà cedere il
campo al suo antagonista ? Parmi debba essere
quello che vorrebbe assoluto e costante il trionfo
della verità ; perchè la verità che deve trionfare nel
tempio della giustizia è soltanto la verità giuridi
ca, vale a dire la verità conosciuta con le forme
legittime. Ma quando il modo di rendere giuridica
una verità fu immorale e criminoso , la verità che
esso vorrebbe porre in luce non può più essere
legittimamente acquisita. Dunque il giudice non
può darle fede . Dunque il principio che proscrive
la immoralità dei mezzi è preambulo e quasi pre
giudiciale al principio che vorrebbe il perpetuo
trionfo del vero. Dunque questo è costretto a ce
dere il campo , non perchè esso abbia perduto in
sè stesso il suo carattere di verità, ma perchè un
ostacolo preambulo gli impedisce di spendere la
propria forza. Il giudice non può dire che è una
verità conosciuta da lui quella che non può arri
vare a conoscere se non col mezzo di una immo
ralità o di un delitto.
Sotto il punto di vista giuridico non mancano
argomenti di analogia che afforzino la mia tesi.
E li abbiamo nel titolo di ragion fattasi , e nella
perdita del diritto, che come pena adietta a simile
reato minacciossi nel giure Romano (leg. 7, ff. ad
leg. Juliam de vi privata : et leg. 13 ff. quod metus
causa ) e poscia quasi universalmente nella pratica .
Se dunque gli Imperatori Romani ed i giureconsulti
541 ―

non trovavano immorale che i giudici pronuncias


sero contro il diritto vero di una parte, quando la
parte stessa aveva voluto rafforzare quel suo diritto
con un mezzo criminoso , non può esservi repugnanza
nè morale nè giuridica nello estendere da caso a
caso ove ricorre identità di ragione un precetto che
tende a defraudare i colpevoli dei benefizi sperati
dal loro delitto .
Nè si obietti che con questo ragionamento si
aggiungerebbe una pena non indetta dalla legge
alle pene che sole minaccia la legge . Guardato il
problema praticamente è facile dimostrare che la
inattendibilità del documento rubato o carpito rien
tra spontaneamente nella sanzione delle indennità
di ragione, che ogni legge penale ad ogni colpevole
infligge. I danni che a me recò il delitto di estor
sione, di rivelazione di segreto , di violazione di let
tere, o di furto, nei respettivi casi consisterebbero
precisamente nel farmi perdere col delitto commesso
a mio danno quella lite la quale nella legittima
condizione esteriore delle cose io avrei dovuto vin
cere. Ammettendo la utilità del delitto nella lite ci

vile si sottrarrebbe il colpevole all' obbligo delle


indennità. Sarebbe un vano circuito il condannarmi
oggi a pagar cento a Tizio per aggiudicarmi poi
dimani il pagamento di cento sopra Tizio per ricu
pero di danni.
Comunque sciolgasi il nodo, la vittoria sarà sem
pre tale da fare arrossire l'uomo onesto . O la parte
vincitrice dirà che si sottrasse al debito suo perchè
fu tenace a negare : o dirà che ottenne sanzione

al suo diritto perchè fu audace e non esitò a com


- 542

mettere un reato. La giustizia sarà sempre costretta


a dare un premio o al delitto o alla immoralità.
Ma non è questo il destino fatale della giustizia
umana ? Non è dessa la sua condizione costante che
mentre vantasi di essere istituita per assicurare il
trionfo della verità trovisi spesso costretta a respin
gerla se a lei la santa Diva non si presenta per
certe vie prestabilite, ed assistita da certi ausiliari
di modo, di tempo , e di rito ?
È desso morale il debitore che delude il suo
avversario invocando la prescrizione ? Esso cinica
mente dice ――――――――― non pago quantunque sia debitore :
e la giustizia umana lo esaudisce .
È desso certo il trionfo del vero quando il reo
convenuto si ripara mediante una nullità di atti?
È desso certo quando la parte con una eccezione
di inammissibilità respinge dall' aula della giustizia
un numero di testimoni onorati che sarebbero
pronti a smentire le sue temerarie impugnative ?
Il rito giudiciale diviene troppo spesso un avver
sario potente del vero ; ma pure il rito è una ne
cessità della giustizia sociale, una guarentigia dei
privati diritti, fino al punto che ogni dì si ripete
quella profonda sentenza di Ayrault che giustizia
umana non è che forma.
Malgrado queste ragioni io non posso nascondere
una certa perplessità dell' animo mio nella soluzione
di un problema altrettanto delicato quanto grave
ed interessante.

Pisa 2 novembre 1872.


XXX.

FRODE -- PRODIGALITÀ
PRODIGALIT A SIMULAZIONE
———
FRODE PRODIGALITÀ SIMULAZIONE

Frequentissimo è il lamento che muovesi da cre


ditori delusi con perfide arti dai loro debitori . Essi
fidarono i loro denari incoraggiati dallo stato florido
del richiedente, dai palazzi , dalle ville, dai poderi che
quello possedeva e sfruttava . Ma giunto il giorno
della scadenza , la fantasmagoria si è dileguata, il
debitore è ridotto alla penuria, le ville ed i poderi
venduti. E il più delle volte questo disparimento non
è che fittizio. O si è fatta una vendita simulata in
nome di un amico ; o si è venduto al figlio, alla mo
glie, o ad altro stretto congiunto , perchè i beni ri
mangano in famiglia e si sottraggano alle micidiali
esecuzioni dei creditori : ai quali non rimane che un
tardo e vano pentimento.
Questi fatti possono essi esaurire gli estremi di
una criminosità che valga a renderli in certe con
dizioni passibili di una pena ? oppure deve il magi
stero penale starsene indifferente ed ozioso , lascian
VOL. V. 35
546

do le riparazioni al magistero civile, troppo spesso


impotente ? La frequenza di tali fatti , che ogni giorno
empiono di lacrime famiglie onorate, rende merite
vole di serio esame siffatto problema. Ed io ne darò
un rapido cenno per additare ad altri il cammino,
non già per farne una trattazione completa. E il
problema esaminerò, 1.° in punto astratto di ragio
ne, 2.º in faccia alle vecchie giurisprudenze penali ,
3.º in faccia alle moderne legislazioni .

I.

La contemplazione del problema sotto il punto di


vista astratto ci richiama a considerazioni morali,
a considerazioni giuridiche, ed a considerazioni
politiche.
La morale, ben lungi dall' opporsi alla punizione
di simili furfanterie, le riprova come arti malvagie
dirette ad arricchire sè stessi con danno del proprio
simile. Quando un uomo ha ricevuto ad imprestito
una somma di danaro, o per altra qualsisia cagione
ha contratto un impegno verso persona che one
stamente lo ha favorito del credito, ha la coscienza
della obbligazione morale e civile assunta da lui e
del dovere che lo stringe ad usare ogni modo oppor
tuno al fine di mantenersi abile a corrispondere agli
impegni contratti. Già non può non ravvisarsi una
riprovevole imprudenza anche nel solo disperdere
spensieratariente il proprio patrimonio, dimentican
do che con la rovina propria si produce eziandio
la rovina di terzi innocenti : ed è questa la verità
che ha indotto generalmente a riconoscere come
ragionevole e giusto il titolo di bancarotta colposa,
547 ――――――

che appunto si costituisce anche dalle inconsulte di


lapidazioni. Ma può ella esservi pei commercianti
una morale che sia diversa dalla morale di ogni
galantuomo ? Io non giunsi mai a capire quel trop
po ripetuto ditterio che proclama dominante la buo
na fede nelle transazioni commerciali, quasichè le
contrattazioni civili fossero in balia della mala fede.
Ma quando alla vece di una scioperataggine ruinosa
si incontra una raffinata malizia, mercè la quale
dopo avere ricevuto il danaro si cerca di trafugare
le proprie sostanze affinchè l' onesto creditore ri
manga deluso , darebbe davvero una triste opinione
di sè chi osasse negare la immoralità di simili fatti.
Sotto il punto di vista giuridico parmi del pari
nulla mancare, nei fatti che qui considero, a costi
tuire nel loro completo le condizioni ontologiche di
un delitto civile . Ivi infatti ricorrono tutte le forze
così fisiche come morali , così soggettive come og
gettive, che si richiedono a rendere legittima la
opera del legislatore quando si determina a met
tere in moto contro un fatto umano il magistero
punitivo. Vi è infatti la malvagia volontà che si di
rige a procacciare un lucro ingiusto con detrimento
altrui ; vi ha il fatto materiale idoneo a raggiun
gere il pravo intento : vi ha il danno immediato
per la violazione dei diritti del creditore : vi ha il
danno mediato del malo esempio, e del timore dei
buoni che paventano la ripetizione di consimili arti
a pregiudizio proprio. Nulla dunque sembra che ri
manga a desiderare nel rapporto degli elementi
giuridici del malefizio .
La più comune ragione di dubitare della proposta
tesi sorge dal punto di vista politico. Sappiamo che
―――――――― 548

non basta trovare in un fatto del cittadino le sole


condizioni di essere malvagiamente diretto a danno
altrui ed effettivamente lesivo degli altrui diritti,
perchè tosto se ne debba consegnare la repressione
al magistero penale . Occorre di più quello che di
cesi elemento politico del malefizio, ossia la forza
morale oggettiva, consistente in una certa gravità
di danno mediato . E questa gravità ha per suo ne
cessario fattore la insufficienza del privato a difen
dersi con i soli privati mezzi contro quella aggres
sione del suo diritto. La deficienza di questo estre
mo è quella che per universale consenso esclude il
carattere di malefizio punibile dal fatto semplice
di chi non paga un debito, di chi non consegna la
cosa venduta, di chi non eseguisce spontaneamente
ciò che gli è imposto da un suo contratto o da un
testamento o da una sentenza di giudice , ed altri
atti consimili, ai quali non manca l'estremo di un
ingiusto danno, e spesso anco quello di una prava
volontà ; ma soltanto si considera non esservi biso
gno della suppletiva protezione del giure penale,
perchè il magistero civile, e la cautela e prudenza
del privato bastando a tutelare il diritto, non nasce
allarme nei cittadini, fatti tranquilli per la protezione
di questo. Qui sta il delicatissimo punto di confine
fra l'obbligo sociale di prestare protezione al diritto
col mezzo del magistero punitivo, o di prestarla sol
tanto col mezzo del magistero civile. E qui stanno
le divergenze fra le opinioni dei pubblicisti ; le di
vergenze fra i dettami delle diverse legislazioni, e
fra gli effati delle varie giurisprudenze . Si è corso
senza certa esitazione a riconoscere l'elemento po
litico di reato nelle frodi che assumono certe con
549 _____

dizioni di gravità, perchè si è considerato esservi


alcune forme d'inganno in faccia alle quali il pri
vato è impotente a difendersi non meno che contro
atti violenti ; e il titolo di stellionato ha percorso
venti secoli nelle legislazioni penali senza che mai
siasi pensato di cancellarlo . Ugualmente si è con
una costante generalità accettato il titolo di truffa,
od abuso di fiducia, laddove il cittadino, benchè non
fosse vittima di un raffinato artifizio , era vittima di
una fiducia non suscettibile di cautele giuridiche .
Ma anche qui si è fatta sentire la differenza del
modo di vedere dei diversi legislatori . Alcuni avendo
limitato questo titolo di malefizio ( a modo di esem
pio ) all' abuso di un deposito o di un commodato,
perchè chi presta all'amico il cavallo o gli dà pre
cariamente a custodire la propria argenteria, non
può pretendere un mallevadore nè una ipoteca, od
altra simile guarentigia civile, e perciò non può a
lui farglisi rinfaccio di essere stato incauto : ed altri
invece avendo esteso il reato di truffa anche alla
fiducia violata nel contratto di pegno , di mandato
o di locazione . Fermandomi per lo esame del caso.
proposto sulla figura della frode ( giacchè della truf
fa in senso proprio non può parlarsi nella ipotesi
di un contratto di mutuo, nel quale de meo fit tuum)
vuol essere notata la differenza, che si è fatta ge
neralmente nei tempi odierni da alcune scuole , fra
gli artifizi e raggiri antecedenti al contratto, ed
usati per indurre la parte al contratto ; e gli arti
fizi e raggiri susseguenti al contratto , e diretti a
rendere inefficace una convenzione con lucida e
libera volontà stipulata. Nel primo caso nessuno
esitò a riconoscere ammissibili i termini del delitto
________ 550 -

di stellionato nel secondo caso si è opinato diver


samente. Mi spiego. Se taluno mi ha indotto a pre
stargli denaro, o a dargli fido, dichiarando che un
dato stabile era sua proprietà ; o che i suoi fondi
erano liberi da ogni gravame ; o che egli era un
signore fornito di buone rendite mentre le cose
stavano in termini del tutto opposti, io posso chia
marlo al giudice criminale, e farlo sottoporre a pena
afflittiva di corpo come reo di uno stellionato ; oggi
frode. Ma se invece un altro che realmente aveva
quella proprietà, o realmente l' aveva libera da ogni
gravame, o quelle rendite effettivamente godeva al
giorno nel quale mi indusse a dargli denaro sulla
fede in me generata da quelle sue condizioni , ven
ga poscia ad alterarle, sicchè io rimanga con le
mani vuote, si è detto non esservi delitto ; ed io non
ho aperta la via criminale, quantunque io provi che
quei beni sono stati dal mio debitore distratti od
oppignorati al preciso maliziosissimo fine di delu
dere i miei diritti e le mie speranze , o quantunque
io provi che quelle oppignorazioni o distrazioni fu
rono simulate al fine di crearmi impaccio nel ri
cupero del mio denaro. E perchè ciò ? Non evvi
forse uguale danno nel primo come nel secondo
caso ? non evvi uguale malizia e dolo ?
Qui non sembra decisiva la considerazione del
soccorso dei rimedii civili . Perchè al modo stesso
col quale io posso nella seconda ipotesi in un giu
dizio civile giungere al ricupero del mio credito
mercè l'azione paulliana revocatoria delle aliena
zioni fatte in frode dei creditori ; o mercè la que
rela civile di simulazione di contratto ; così io posso
nella prima ipotesi ricorrere all' azione del dolo per
-- 551 ――

fare annullare il contratto da me stipulato al se


guito di inganni . Nè varrebbe osservare che quanto
al dolo antecedente il riparo dello annullamento del
contratto, passato fra me ed il mio debitore, a niente.
serve se le cose da me fidate furono dal mio av

versario disperse ; mentre nella ipotesi del dolo sus


seguente l'azione revocatoria od annullatoria del
contratto passato fra il mio avversario ed i terzi è
fornita di utilità sufficiente, perchè mi dà balia di
ricuperare le cose mie dai terzi con i quali il mio
debitore in frode mia contrattò. Ciò secondo il mio
debole parere non basterebbe ad eliminare la pa
rificazione ; si perchè in molte fattispecie il ricupero
potrebbe ottenersi utilmente per le vie civili anche
nelle ipotesi di dolo antecedente ; si perchè spessis
simo il rimedio civile riesce infruttuoso anche nei
casi di dolo susseguente, ora perchè trattasi di ca
pitali od altri mobili dissipati o simulatamente ce
duti per rendere frustranei i miei atti esecutivi ,
ora perchè il compratore frodolento dello stabile.
può averlo fatto passare in mano di terzi che l'acqui
starono a buona fede , ora perchè il mio debitore
non vendè ma cuoprì i suoi stabili di ipoteche per
cambi a lui somministrati da capitalisti a buona
fede, ed intanto si gode tranquillo il loro denaro
dopo essersi goduto il mio. In una parola sono mille
le combinazioni nelle quali anche contro il dolo sus
seguente riescono inefficaci a riparare il diritto vio
lato i provvedimenti del magistero civile .
Si è detto che in faccia ai danni patiti per dolo
susseguente al contratto traslativo di proprietà, si
può sempre rimproverare alla vittima una sua ne
gligenza. Tu non dovevi fidarti di colui al solo ve
552 -

derlo padrone di vasti poderi ; dovevi cautelarti con


una ipoteca infissa su quei poderi e regolarmente
inscritta : dovevi prevedere che alla dimane colui
avrebbe potuto vendere quei poderi e lasciarti in
secco. Tu non dovevi fidarti di colui al vederlo pos
sessore di una abitazione riccamente fornita di
mobili ; dovevi prevedere che il giorno dopo egli
poteva far vendita di tutti quei mobili e lasciarti in
secco ; dovevi chiedere ti dasse in pegno alcuni di
quei mobili e saresti stato sicuro. Se ciò non fa
cesti fu colpa tua, ed il magistero penale non deve
mettersi in moto per proteggere gli incauti . Questo
ragionamento a prima vista par concludente : ma
ha il vizio di provar troppo . Ed ha il vizio di pro
var troppo perchè identiche obiezioni possono farsi
anche a chi fa vittima di dolo antecedente. Anche
a lui può spessissimo dirsi che egli fu incauto, e
che la sua trascuraggine fu prima causa del danno
che oggi lamenta. A darne un esempio sensibile
basti il caso della mendace asserzione di proprietà
o libertà di un fondo a me venduto od . a me ipo
tecato. Certamente poco mi costava il non fidarmi
delle nude dichiarazioni del mutuatario o del ven

ditore, e chiedergli che della proprietà mi facesse


constare con la fede dell' estimo, e della libertà col
certificato negativo delle ipoteche : se questo omisi ,
ed ebbi fede in una nuda parola dove poteva chie
dere documenti , io fui senza dubbio trascurato ed
incauto. Eppure la legge mi soccorre con l'azione
penale, e manda colui per assai tempo in un car
cere per la mendace dichiarazione come colpevole
di stellionato . Dunque non può essere questa la
553

buona ragione della differenziale che adesso vado


studiando .
Ma risalendo alle origini di quella differenziale
trovo che la medesima si appoggia ad un concetto
giuridico, che per quanto sottile è però rigorosa
mente coerente alla dottrina ontologica. Si osservò
che il consenso estorto con inganno non è consenso
valido ed efficace, dunque colui che si è fatta con
segnare una qualche cosa da me, inducendomi a
ciò con artifizi * ingannevoli , non potrà dire di avere
acquistato un diritto giuridicamente rispettabile .
Il consenso strappato per violenza o per fraude,
non è traslativo di diritti . Dunque delle cose da me
consegnate allo ingannatore io non ho in lui trasfe
rito il dominio. Dunque quando egli ne fa suo pro
contretta la cosa altrui invito domino. È dunque
per una stretta adesione ai principii cardinali che
la frode antecedente al contratto debba parificarsi
al furto. Ma quando al contratto io non venni in
dotto per inganno, il dominio della cosa ceduta a
fido da me passò nel cessionario. Se vendetti mo
bili, sono suoi ; se vendetti stabili, sono suoi ; se
prestai denaro, ei lo fece suo. Sia pur dunque che
posteriormente egli disperda ciò che era già in sua
proprietà, o che disperda le cose da me fidate, egli
è sempre nell' esercizio del suo diritto : unusquisque
rerum suarum moderator et arbiter. Se così fa
cendo egli rende a sè medesimo impossibile lo
adempire agli obblighi assunti verso di me , ed im
possibile a me di costringervelo giudicialmente ,
questo evento benchè dannoso non è contra jus quia
suo jure utitur . Si abbia dunque il titolo di truffa
criminalmente perseguitabile avverso chi usurpò
- 554

cose a lui consegnate per un titolo non traslativo


di proprietà : si abbia il titolo di stellionato o frode
quando l'inganno precedette il contratto, perchè il
dolo antecedente lo rende inetto a trasferire la pro
prietà in ambo i casi si ha sempre l'uomo che
colpevolmente dispone di cose altrui contro la vo
lontà del padrone , e sempre può trovarvisi con tutta
esattezza una aggressione al diritto di proprietà.
Ma quando le cose di cui il debitore dispone sono
nel legittimo dominio di lui , egli non viola la pro
prietà di alcuno, quando le disperde per crapule , o
quando le aliena in qualunque modo, sia pure col
pravo fine di esimersi dagli impegni contratti con
i suoi creditori . Egli usa del suo diritto di proprie
tario, anzichè violare la proprietà altrui : e nel suo
fatto, quantunque malizioso e dannoso, non può
ravvisarsi un delitto.
È questo il ragionamento sul quale si adagia la
differenziale fra le fraudi antecedenti e le fraudi
susseguenti dalla più moderna scuola italiana : e
tale ragionamento è esatto nelle sue basi. E tanto
è ciò vero che quando le fraudi susseguenti si vol
lero elevare a delitto nei commercianti creando il
titolo di bancarotta, non potè darsi a questo titolo
l'obiettivo della proprietà, ma la sua obiettività
giuridica dovette cercarsi nella pubblica fede. Ora
se questa pubblica fede rappresenta un diritto reale
e vero nelle transazioni fra negozianti, per le ne
cessità e rapidità del commercio, sarebbe una fin
zione affermare altrettanto nei contratti che passano
fra i non negozianti . E così quella differenziale viene
ad adagiarsi sopra una verità ontologica. Malgrado
ciò non furono unanimi i vecchi dottori nello ac
555 -

coglierne le conseguenze, come non sono unanimi


in ciò i codici contemporanei .

II.

Nelle vecchie pratiche è indubitato che si rico


nobbe la punibilità della simulazione illecita inter
venuta in un contratto ; e illecita si disse quando
era in frode della legge, come quando si tramutava
la vera indole del contratto per palliare una usura ;
oppure in frode del terzo, come quando si simulava
di vendere pel fine di sottrarre le proprie sostanze
alle esecuzioni dei creditori, o quando si facevano
apparire debiti fittizi per diminuire il reparto dei
creditori veri sulle sostanze del debitore.
La relativa teorica della pratica può riassumersi
in due concetti. Quando la simulazione erasi fatta
per nascondere un contratto usurario di quella for
ma che la legge criminale colpiva di pena, si ap
plicava la pena della usura. E qui la dottrina niente
aveva di speciale, e correva per le vie logiche ed
ordinarie ; perchè il delitto stava nella usura e non
nella simulazione, la quale altro non era che un
mezzo per occultare il fatto criminoso già come tale
colpito dallo statuto penale, e che sarebbe stato pu
nibile di per sè stesso quando anche apertamente
e senza sotterfugi si fosse stipulato .
Quando poi la simulazione era maliziosamente
ordita al fine di danneggiare un terzo rendendone
deteriori i diritti, o rendendo a lui più difficili i
modi di realizzarli , i dottori applicavano il titolo del
falso, al qual titolo volentieri e spesso ricorsero i
pratici nei casi perplessi . E qui si argomentò dalla
556 -

legge falsus ff. de furtis e dalla legge si creditor,


Cod. ad legem Corneliam de falsis. In questo senso
sono espliciti Tuschio lit. S, conclus. 271 , n. 4;
et conclus. 259, n. 27 - Vermiglioli consil.
crim. 55, n. 14 Guazzino de defensione reo
-
rum def. 28, cap. 3, n. 15 — Gratiano discepta
tiones cap. 924, n. 8 ; et cap. 950, n . 46 Fari
naccio quaest. 162, pars 1, n. 12 - Marco
decisiones delphinales vol. 1, decis. 300 , ed altri
moltissimi. E Vulpello ( consil. 1 , n. 16 ) ricorda
qualche statuto di Italia che con apposita sanzione
puniva le convenzioni simulate al pravo intendi
mento di sottrarre ai creditori tutto od in parte il
patrimonio del debitore . Ed anche fra i meno an
tichi si mantenne questa pratica : Melchiori
trattato del falso e dello spergiuro cap. 14, pag. 282
--- ivi — Dubitare pur si potrebbe, se la simula

zione cada in osservazione delle leggi, e se meriti


pena chi un istrumento simulato compone . La si
mulazione è così prossima alla falsità che falsità
chiamar si può in senso men proprio. Essa si com
mette in scrittura, quando per qualche oggetto si
stipula un istrumento, o si compone altra carta,
ma con intelligenza fra le parti, che non abbia a
valere, nè a produrre azione immaginabile rispetto
ad alcuno. Se tal carta non sia nociva , neppure la
simulazione è punibile ; ma se tenda all'inganno
di uno dei contraenti o di terza persona, la simu
lazione con cui fu concepita diviene fraudolente, e
però chiama sopra dei suoi autori una pena se non
della Cornelia de falsis, al certo quella arbitraria
dello stellionato .
―――― 557

III.

Quale è intorno al proposto dubbio lo stato della


dottrina nei moderni codici, e nelle giurisprudenze
contemporanee ? Ecco ciò che mi resta ad esaminare.
Nei codici contemporanei signoreggia generalmen
te il pensiero che prevalse nella Francia nel 1810
(e probabilmente non senza una veduta fiscale) che
in quel primo slancio condusse i compilatori del
codice penale Francese a restringere anche la pu
nibilità della frode antecedente al contratto, e dei
titoli di scroccheria, o di abuso di fiducia ; che po
scia furono dagli stessi Francesi ricondotti a più
larghe proporzioni, come è chiaro dal testo dell' ar
ticolo 408 dell' originario codice del 1810, confron
tato col testo dello stesso codice dopo le riforme
del 1863 , e dalle relative discussioni . Prevalse, io
dico, il pensiero che il magistero penale non dovesse
spiegare la sua protezione quante volte al danno
lamentato dal cittadino poteva porgere sufficiente
riparo il magistero civile, o quante volte la vittima
di quel danno se lo era chiamato addosso con la
trascuraggine propria per non avere usato le cau
tele che la legge civile gli avrebbe offerto a pro
pria sicurezza. Questo pensiero conduceva diritto a
cancellare dalle leggi penali il titolo di contratto si
mulato , di vendita fittizia, di stipulazioni ordite in
frode dei creditori. A queste malizie, che le nuove
leggi penali colpirono con severissimi castighi nei
negozianti , si tenne indifferente quel codice penale
quando intervenivano fra cittadini non negozianti ,
dai quali non poteva dirsi violata la pubblica fede .
558 ―――

E per l'influsso , più o meno diretto, che il codice


di Francia esercitò sulle altre codicizzazioni di Eu
ropa, può dirsi che il pensiero suddetto avesse in
queste generale accoglienza .
Ho detto generale ma non universale, perchè non
mancano codici contemporanei che mantengano la
punizione all'antica larghezza conferitale dalle pra
tiche forensi.
Così il codice Portoghese del 1852, all' art. 449 ,
col titolo d'insolvenza colpisce di pena corporale il
cittadino ( anche non negoziante ) che abbia mali
ziosamente alienato i suoi beni per sottrarli alle
esecuzioni dei creditori.

Così il codice Austriaco, al §. 199 lett. f, ha creato


il delitto di prodigalità, sottoponendolo a pena in
sieme con ogni occultamento delle sostanze proprie
in fraude dei creditori, senza subordinare la colpe
volezza alla condizione di negoziante .
Queste disposizioni non esprimono in sostanza al
tro concetto tranne quello di parificare ai commer
cianti anche i non commercianti nella responsabi
lità penale per la bancarotta o decozione dolosa
o colposa.
Ma dove gli statuti locali hanno accolta nel novero
dei fatti criminalmente perseguitabili , anche la in
solvenza, o la prodigalità, quando il debitore con lo
scialacquo delle proprie sostanze abbia ridotto i suoi
creditori alla impossibilità di ricuperare i loro di
ritti ; poco vi vuole a comprendere che in faccia a
simile stato giuridico le giurisprudenze si trovino
costrette a ripristinare la persecuzione penale con
tro i contratti simulati, o in qualsivoglia modo ar
chitettati al pravo fine di deludere i creditori .
559 -

Niente dunque ci ha recato sorpresa la giuris-.


prudenza recentissima dell' Impero Austro-Ungarico,
che correndo questa linea sotto l'influsso del citato
art. 199, si è fermata in quella massima. Essa è una
necessità logica, e morale ad un tempo. Repugne
rebbe infatti al senso morale che mentre il codice
letteralmente mi chiama responsabile di delitto, o
contravvenzione, e criminalmente mi perseguita, e
mi punisce quando per mera colpa o imprudenza ·
dissipai le mie sostanze con danno dei creditori ,
non debba essere ugualmente, e più severamente
punito chi quelle sostanze disperde o finge disper
dere col pravo intendimento, ed al preciso e deli
berato fine di defraudare i suoi creditori . Con obiet
tività identiche sarebbe assurdo lanciare una pena
dove la forza morale subiettiva del fatto rappre
senta la mera disavvertenza ; e sanzionarne la in
vulnerabilità, e quasi rispondervi con una speranza
di premio, quando la subiettività morale si rappre
senta da una malizia premeditata ed iniqua .
Questo è ciò che non ha guari dovette ricono
scersi, ed insegnarsi dalla Suprema Corte Imperiale
di giustizia in Vienna, nel caso che per disteso si
riproduce nella Gazzetta dei Tribunali di Trieste
anno 6 , n . 20 .
Trattavasi di un possidente che dopo avere per
parecchi anni sostenuto acerrima lite contro un suo
creditore per sottrarsi al pagamento di un debito
di cento fiorini , era finalmente rimasto succombente .
Imminenti erano le esecuzioni per parte del credi
tore : ma colui pensò schermirsene facendo per atto
pubblico donazione universale di tutto il suo patri
monio a favore dei propri figli . Al creditore doleva
- 560 -

di dovere ricominciare un lungo e dispendioso giu


dizio civile contro l' ostinato avversario. Egli si
provvide pertanto nelle vie criminali, denunziando
il fatto come reato di truffa, ed ebbe repulsa dal
Tribunale provinciale di Trieste che mediante con
chiuso del giorno 16 settembre 1871 disse non es
sere reato in quel fatto perchè ognuno è libero dis
positore delle cose proprie, e non reca danno chi
usa del suo diritto.

Ne appellò il creditore , e l'Imperiale e Reale


Tribunale d'appello di Trieste , con pronunzia del 5
ottobre 1871 , accolse il reclamo, e disse essere luogo
a procedere criminalmente. Da tale pronunzia il fro
datore alla sua volta ricorse alla eccelsa Suprema
Corte di Giustizia in Vienna ; la quale però con suo
decreto del 18 novembre 1871 tornò a dire che il
fatto rappresentava una truffa ( frode o stellionato
nel linguaggio nostro ) e che doveva farsi luogo a
procedimento criminale. Tornata così l'accusa avanti
il Tribunale provinciale di Trieste, questo, con sen
tenza 12 gennaio 1872, condannò l' imputato a 14
giorni di prigionia. Egli ne appellò al Tribunale
d'appello di Trieste il quale con sentenza del 1 feb
braio 1872 respinse l'appello, ma al tempo stesso
facendo ragione sul reclamo della Regia Procura
di Stato portò la pena dai 14 giorni a 42 giorni di
carcere, cioè da due settimane a sei, giusta l'antico
costume Alemanno di distribuire le pene inferiori
non a mesi ma a settimane . Tornò il condannato ad

implorare riparo dalla Suprema Corte di Vienna :


ma questa con suo decreto del 22 maggio 1872 ha
confermato la seconda più severa condanna. Di tale
guisa la pratica criminale dello Impero Austro - Un
――――――― 561 -

garico ha nel modo più solenne stabilito la crimi


nosità dei contratti fraudolentemente fatti in danno
dei creditori . Vuole essere notata la motivazione
che determinò quella Corte Suprema nel rapporto
del diritto – ivi - Osservato infatti che la stipu
lazione del contratto di vitalizio in un' epoca che
rendeva ai suoi creditori impossibile l'assicurazione
ipotecaria, non serve che a mascherare la mala arte
e l'artificio messo in opera per pregiudicare i suoi
creditori. Osservato che ciò facendo Antonio Zupin
padre, anzichè far uso del suo diritto di disporre
a piacimento delle proprie sostanze abusò del mede
simo in danno altrui . Massima precisamente uguale
si ripetè dalla Corte suprema di giustizia in Vienna
nel giudicato in affare Cicutin e De Vescovi, che
trovasi riprodotto nella Gazzetta dei Tribunali di
Trieste anno 8, n. 4.
I Giornali dell' Impero hanno veduto in questo
giudicato lo avveramento di una profezia. Ricordasi
che quando in Austria si spinse innanzi la abolizione.
dell' arresto personale per debiti civili, uno eminente
giureconsulto, che erasi sempre opposto con ogni
forza a quella riforma, finì con lo esclamare se abo
lile lo arresto personale per debiti civili prepara
tevi ad aggiungere ben presto un nuovo titolo al
codice penale.
È incontrastabile che su quella giurisprudenza
Austriaca esercita grande influsso il linguaggio
speciale del codice dello Impero. Ma spetta adesso
allo accorgimento pratico dei giuristi di altre Pro
vincie lo esaminare se negli statuti penali che go
vernano le medesime possa trovarsi un addentellato
che autorizzi i giudicanti ad imitare la prudenza
VOL. V. 36
562 ---

delle Corti Austriache, e porre un freno a tante


immoralità che tutto di si commettono con profa
nazione di pubblici documenti, e del sacro ufficio
notarile. Capisco che le contrattazioni simulate, e
fraudolente porgono un ricco elemento agli introiti
fiscali. Ma non posso credere che una veduta finan
ziaria sia predominante sulla moralità, e sull' inte
resse e su i diritti dei patrimoni privati .

Pisa 2 decembre 1872.


XXXI.

BIBLIOGRAFIE
|

1
.
BIBLIOGRAFIE

***e

I.

Istituzioni di Procedura Penale, del cav. Giu


seppe Madi a professore pareggiato di diritto
e Procedura Penale nella R. Università di Na

poli, già professore ordinario della stessa facoltà


nella R. Università di Siena - Napoli Tipogra

fia Margheri 1872. Due volumi in 8.º il primo di


pag. 314 ed il secondo di pag. 315.

Gli angusti limiti di un articolo bibliografico ( 1 ) non


permettono l'analisi di un' opera seria, qual' è un
corso di procedura penale dettato da illustre Pro
fessore. Me ne starò dunque a dare un semplice
cenno di questa interessante pubblicazione , e mi
fermerò sulle generalità del lavoro, più specialmen
te rilevando ―――― 1. lo scopo della pubblicazione ---
2.º il metodo della esposizione — 3.º lo spirito al
quale si informa lo insegnamento del mio esimio
collega. D'altronde una escursione sulle singole que
stioni trattate dal dotto Professore nella palpitante

(1 ) Inserito nel n. 9, dell ' anno 3, del giornale La Temi


Zanclea di Messina .
―――― 566

materia del procedimento penale mi esporrebbe al


pericolo che alcune volte ( e siano pure pochissime )
l'analisi degenerasse in una polemica. Ora io de
cisamente aborro da qualunque polemica. Ogni in
segnante deve dalla sua Cattedra professare la pro
pria fede giuridica, e promulgare quelle dottrine che
alla sua coscienza sembrano le più vere, senza cu
rare ciò che da altro cattedratico si venga insegnan
do, tranne in quanto creda che ciò gli giovi ad eru
dire sè stesso . Dalle sostanze eterogenee della selce
e del ferro nasce la scintilla : in pari modo la luce
della verità viene a scaturire per virtù propria dallo
attrito delle opposte opinioni appunto perchè sono
opposte. Il tempo e la legge del progresso fanno
poscia l'opera loro . Gli studiosi , senza preoccupa
zione e senza affetto di paternità, scelgono la dot
trina che meglio persuade le intelligenze loro ; e tal
volta dallo antagonismo di due opinioni discordi
fanno sorgere una terza opinione che forse sarà
la vera. Le generalità ed i principii fondamentali
costituendo la base della scienza, e segnando la li
nea del suo avvenire , sono nel dominio , e per con
seguenza nel sindacato di tutti . Sulle speciali appli
cazioni dei principii, sulle soluzioni delle infinite e
sempre variabili questioni pratiche, ragioni ciascuno
a talento suo. Trovandomi pertanto sulle generalità
in perfettissimo accordo col Professore Napoletano,
ho assunto con lieto animo l'incarico di richiamare
l'attenzione del pubblico sopra un'opera che è me
ritevole delle più serie meditazioni .
- Santo, anzi santissimo , è lo scopo
1. ° Lo scopo
al quale intese l'autore con questa sua pubblicazio
ne, come egli medesimo ci manifesta. Quello cioè di
567 -

porre in mano dei suoi alunni nel tirocinio del pro


cedimento penale un libro italiano, onde finirla con
questo eterno supplizio di una Cattedra che profes
sando una scienza in Italia è costretta a rinviare
perpetuamente gli studenti ad autori francesi . In
questo rinvio necessario sta doppio pericolo. Il pri
mo ( facilissimo a convertirsi in realtà dolorosa )
che un giovine inesperto bevendo ai fonti stranieri
pigli come dettato scientifico ciò che un autore in
segna per obbedienza al giure positivo del proprio
paese, e che forse lo scrittore medesimo rinneghe
rebbe se potesse sedere in un ' aula legislativa . Il
secondo che nella gioventù italiana, per troppo fa
miliarizzarsi coi libri francesi, viepiù si imbastar
disca la purità dell' idioma natio . Noi abbiamo fatto
l'Italia, ma rimangono a fare gli Italiani ; e per
fare gli Italiani ( scriveva un dotto Ministro ) biso
gna richiamare la lingua alla sua pristina purezza,
ed all' amore di questa purezza riaccendere l'ani
mo di tutti i cittadini del nuovo reame. Splendido
pensiero ed altamente lodevole. Ma, se io avessi
avuto l'onore di avvicinare quel sapiente Ministro ,
avrei osato sussurrargli all' orecchio che innanzi
tutto chiamasse il suo Governo a fare sulla tomba
del Poliziano ammenda onorevole delle colpe
commesse con le leggi penali pubblicate fra noi , con
segnandole tutte in un fascio ad un maestro di lin
gua perchè le traducesse in buono italiano . Cosa può
egli fare un Professore di procedimento penale, co
sa può egli fare per insinuare nell' animo dei suoi
alunni l'amore del puro idioma natio , se ogni volta
che gli vien fatta necessità di citare un articolo
delle nuove leggi penali date all' Italia , gli è forza
568

ripetere egli stesso un barbarismo od un solecismo ?


Lode dunque al pensiero che mosse il nostro au
tore , e che lo determinò ad accelerare la sua pub
blicazione. Ho accelerato ( così l'autore nella sua
lettera dedicatoria ) la pubblicazione del lavoro che
mi aveva servito di guida nell' insegnamento orale ,
perchè convinto ( sono sue parole) del grave danno
che la gioventù risentiva, prendendo a guida dei
suoi primi studii libri di origine straniera che mi
è stato talvolta forza indicare ai medesimi. Più
nobile e patriottico non può essere lo scopo di
un libro.
2.º Il metodo ―――――― Cresciuto alla buona scuola del
diritto filosofico , il M adi a riconosce l'ordinamento
della procedura penale come l'obietto di una scien
za ; vale a dire un corpo di principii assoluti di
sovrana ragione che si mantengono veri indipen
dentemente dai placiti degli umani legislatori ed
anche a dispetto dei loro capricci . E la importanza
di questa dottrina filosofica del procedimento penale
il Cav. Madia solleva alla sua vera altezza, af
fermandola più assai interessante che non lo sia la
stessa scienza del giure punitivo . Ed anche qui noi
siamo interamente d' accordo, perchè se il giure
punitivo insegna a non essere ingiusti verso i col
pevoli, il giure procedurale insegna a non essere
iniqui verso gli onesti . Laonde il rimprovero bef
fardo, che a noi si dirige , di sentire troppe simpatie
verso gli scellerati, può avere una base di verità
finchè volge a censurare il consiglio di mitezza
nelle punizioni , ma è un' allucinazione mentale, o
un' ardita calunnia quando si volge avverso chi
predica rispetto alla libertà del cittadino non an
―――― 569 ―

cora chiarito colpevole, e rigida osservanza del rito


per tutela della innocenza. Esposto con siffatto me
todo , ed ispirato da tali pensieri , il libro del sig. M a
dia merita una seconda volta parole di encomio.
3.° Lo spirito ― A qual concetto si inspiri il
Professore Napoletano lo dice egli stesso a pag. 5
della sua introduzione, dove ripete quella grande
verità che la legge di procedura è ( ossia deve es
sere ) il complemento necessario delle libertà pub
bliche. Quando un Professore , che insegna materie
penali, ha solennemente rinnegato l'infausto errore
delle vecchie scuole dommatiche che il giure penale
sia una forza restrittiva delle individuali libertà ;
quando ha solennemente proclamato che nel diritto
punitivo e nel rito penale sta la protezione delle
medesime, noi possiamo essere tranquilli che il suo
insegnamento correrà sulla retta linea, servirà al
progresso civile ed allo incremento delle glorie e
della prosperità della patria, purchè lo insegnante
tenacemente aderisca a questo programma, e non
lasci ottenebrare la lucidità della sua mente, da una
soverchia reverenza per le infelicissime leggi pro
cedurali che ultimamente condussero in tempestoso
mare la giustizia italiana.
Noi auguriamo allo esimio collega un rapido
spaccio di questa sua prima pubblicazione , perchè
presto possa trovarsi costretto ad arricchire la scien
za di una seconda edizione dell' opera, nella quale
( come egli promette ) egli abbia avuto l' agio ed
il tempo di dare più largo svolgimento alle proprie
idee ; e ci permettiamo di raccomandargli la più
perseverante adesione ai tre cardini del suo pro
gramma, che qui sopra ci è piaciuto notare ; vale
―― 570 --

a dire originalità italiana ; prevalenza delle verità


filosofiche sui diritti positivi, prevalenza del rispetto
alla libertà umana sopra il fantasma della statolatria.
E qui ci permettiamo ancor più : ci permettiamo
di protestare contro un asserto che l'autore pro
clama come una verità storica ma che infelice
mente non è, per ora, che una utopia teorica. Per
tal modo avviene ( così l'autore a pag . V ) che in
generale le garanzie degli accusati si accrescono
e s'indeboliscono nei diversi paesi, secondo il prin
cipio del loro Governo : larghe e tutelari negli Stati
liberi, incerte e ristrette in quelli ove regna il di
spotismo • · • In questi ultimi, i limiti del di
ritto di arresto e dei poteri dei Tribunali sono
generalmente indecisi e vaghi, la procedura è scrit
ta in luogo di essere orale, segreta invece di essere
pubblica, ed i giudici permanenti sono in certo
modo dipendenti dal potere.
Or bene qui fra lo illustre autore e noi non è
che un leggerissimo svario : è lo svario del tempo
di un verbo . Dove egli dice avviene si sostituisca
dovrebbe avvenire, e l'autore dice benissimo . Ma la
prevalenza delle libertà civili sotto i Governi liberi
e lo inceppamento loro sotto i Governi dispotici se
potè come fatto reale asseverarsi ai tempi di Bec
caria, di Pagano , ed anche di Rossi , non lo
si può davvero dopo lo esempio del Reame d'Italia.
In questo la verità storica è che nel Lombardo Ve
neto le guarentigie delle libertà civili sono dimi
nuite di un terzo ; e nella Provincia Toscana di
minuite ben di due terzi, mercè la sostituzione che
si è fatta del nuovo codice di procedura del 1865
nel Veneto al regolamento Austriaco , e nella To
-- 571 -

scana alle dichiarazioni ed ordini del nostro ante

riore procedimento penale. Mi perdoni lo illustre


collega se al tocco di una piaga tuttora sangui
nante nel cuore dei giuristi Toscani , noi siamo co
stretti a gridare essere stato un sogno dei padri
nostri il credere che le libertà civili acquistassero
larghezza dalle libertà politiche. Noi Veneti e noi
Toscani sperimentiamo precisamente il fenomeno
opposto ; il fatto è così : ed i fatti che si consumano
sotto gli occhi nostri non è possibile in modo al
cuno negarli. Che i limiti dei poteri di arresto
siano indecisi e vaghi, e vaghi ed indecisi i poteri
dei Tribunali, debbono dirlo pur troppo i cittadini
della libera Italia dopo il codice del 1866. Ma non
lo dicevamo davvero noi Toscani sotto gli ordini
precedentemente istituiti dal Granduca dispotico .
Che allora la balia degli arresti preventivi strin
gevasi per solenne disposizione di legge nei limiti
più angusti possibili, imposti per sanzioni imprete
ribili ai pubblici funzionarii : e mantenevasi nel suo
pieno vigore lo spotestamento dei birri che era stata
una delle grandi opere del despota riformatore Leo
poldo primo. Nè vedevasi un processo capitale con
segnato alla inesperienza di un vice - Pretore ; nè
confusa la informazione preliminare e la informa
zione ordinaria ; nè miseramente disprezzato il co
stituto obiettivo ; nè chiamati i Magistrati a giudi
care delle proprie operazioni ; nè alternate nello
stesso individuo le funzioni di accusatore e di istrut
tore ; le funzioni di istruttore e di sindaco della re
golarità e della incompletezza dell' istruzione nello
stesso procedimento . Nè si vedevano le più impor
tanti guarentigie del rito prescritte con enfatiche
- 572 --

parole per gettar polvere negli occhi ai creduli , ma


senza sanzione di nullità , sicchè ognuno potesse far
sene beffa : nè in una parola vedevamo detronizzata
la legge per dare il suo scettro agli arbitrii della
burocrazia : e peggio ancora alle velleità degli agenti
di polizia. Tutte queste brutture , che ci fa vedere
il Governo libero, noi Toscani non eravamo usi a
vederle sotto i vecchi despoti .

Del pari che i giudici permanenti siano in certo


modo dipendenti dal potere possono a fronte aperta
negarlo tutti i Magistrati che con la più sfrenata
autonomia di coscienza rendettero costantemente
giustizia senza tema di traslocamenti o riposi sotto
la dispotica Toscana, e poterono negarlo quei Pub
blici Ministeri che furono sempre parte della libera
Magistratura. Se altrettanto possano impugnare i
Magistrati ed i Pubblici Ministeri della libera Italia
infeudati al potere esecutivo, lo dica Giovanni
Carcano nel suo aureo libro sul pubblico Mini
stero ; lo dica Molinari nel suo scritto, il mio
congedo dalla Magistratura ; lo dica la storia della
Magistratura sotto alcuni dei Ministeri che prece
dettero quello dell' illustre De Falco .
E quanto alle guarentigie per la innocenza, io
sfido qualunque più ardente liberale a trovarne di
più larghe e di migliori di quelle che il regolamento
Austriaco concedeva ai Veneti fino al momento della
sventurata unificazione delle leggi procedurali.
Non si faccia bieco viso a queste parole. Io fui
liberale ed avverso al Signorato Austriaco quanto
altri mai lo fosse , e lo fui quando altri forse ba
ciava il fango. Ma i fatti sono fatti. E come crimi
nalista io resi in ogni tempo omaggio alle leggi dei
- 573 —

despoti che governarono Lombardia, Venezia e To


scana nella materia penale , perchè le trovai più miti,
più giuste e più umane che nol fossero i monumenti
legislativi delle ultra liberali Repubbliche di Fran
cia e di altre regioni. Io non discuto il meglio od
il peggio . Ricordo i fatti , perchè sono fatti incontra
stabili . I vaticinii di Filangieri e di Mario Pa
gano che predicavano doversi attendere larga mes
se di libertà e di guarentigie dalla caduta del dispoti
smo e dal sole della libertà sono stati completamente
smentiti dalla storia della legislazione criminale del
Reame d'Italia. Si disputi sulle cagioni di siffatto fe
nomeno, ma il fenomeno si vede e si tocca con mano .
Bensi io credo che le cagioni respettive di quel
fenomeno non siano difficili a rintracciarsi .
Come avvenne che il Lombardo Veneto e la
Toscana avessero ottime leggi penali e larghezza di
libertà civile nei criminali giudizii ? Poco vi vuole
a comprenderlo. Fu arte finissima dei Governanti ,
che ritrosi a concedere libertà politiche cercavano
cattivarsi le simpatie dei sudditi , e schivare il rim
provero di tirannide, largheggiando nelle libertà
civili, e guadagnandosi fama di giusti.
Come avviene che un riordinamento di rito pe
nale, germogliato nella libera Italia, abbia invece
cotanto retroceduto nell' opposto sentiero ? Ancor
questo non è difficile a spiegarsi. È il frutto di una
massima erronea recentemente posta in voga da
alcuni onorevoli rappresentanti l'ultra liberalismo
Italiano, i quali ( cosa singolare ) per esagerato
amore di libertà hanno condotto all' atrofia le nostre
libertà civili . È la falsa massima che un Governo

liberale non debba prevenire i delitti ma soltanto


- 574 -

reprimerli, quasi che per insegnamento di tutti i più


liberi pubblicisti lo jus praeventionis non si noveras
se fra i diritti connati ed originarii, concessi al
l'uomo dalla suprema legge di natura. Fu quella
massima che proclamata calorosamente dalle Tri
bune Parlamentari produsse ( altro fenomeno sin
golarissimo ) la caduta di un Ministero decisamente
liberale e progressivo, e schiuse le porte ad un altro
Ministero le tendenze del quale io non sono in grado
di giudicare. Per quella erronea dottrina tutto ciò
che si è voluto togliere di forza alla prevenzione dei
reati si è dovuto accordare alla repressione. L'uf
ficio di Polizia, cacciato dal suo naturale terreno ,
non poteva arrendersi ad essere esautorato, e volle
procacciarsi uguali e più pericolosi poteri conqui
stando la signoria del procedimento penale. Ecco
la storia genuina delle riforme retrive che abbiamo
veduto compiersi sotto gli occhi nostri col codice
di procedura penale del 1865 e leggi accessorie.
La confusione dei poteri di polizia coi poteri giudi
ciari è la peste peggiore che distrugge ogni armonia
negli ordini sociali. E siffatta peste, per conseguenza
inevitabile di quella falsa massima , si viene accli
matando nel Reame d' Italia. Dirassi forse da taluno
che io sogno od esagero : e lo si dica pure da chi
ha interesse di dirlo. I posteri, che potranno impar
zialmente giudicare i tempi nostri, diranno che io
fui veridico così nel deplorare gli effetti come nello
indagare le cause.
E forte in questa mia convinzione io spingo più
oltre la mia temerità ; e volgo una preghiera al
riverito collega, allo esimio Professore Napoletano.
- 575 -

È costumanza generale in tutti coloro i quali


portano i propri studi sulla legislazione comparata
di fermarsi al confronto delle leggi vigenti nei di
versi Stati civili , senza curarsi punto nè poco delle
legislazioni abolite . E tale a vero dire è il concetto
di quella che chiamasi oggidì legislazione compa
rata. Ma è dessa veramente utile alla scienza questa
dimenticanza di leggi e consuetudini che ebbero
spesso lunga e prospera vita ? Naturalmente si pre
sume che una legge fosse abolita perchè era cattiva .
Ma a questa presunzione non sempre risponde la
verità . Spesso avviene che una legge si cambi per
rivolgimenti politici, come avvenne testè a parecchi
codici della Germania : spesso una legge si abolisce
per ambizione di qualche ardito novatore ; spesso
per odio contro gli autori suoi e per reazione di
partito e non sempre avviene che al cattivo suc
ceda il buono, ed al buono il meglio. Io vorrei dun
que che nello studio del procedimento penale non
sempre si procedesse col consueto salto da Roma
al Medio Evo , e dal Medio Evo a noi . Più special
mente io credo che fra i riti penali piaciuti ai padri
nostri nelle varie Provincie d'Italia, e senza esame

rejetti testè per lo spirito di unificazione e per un


odio cieco contro tutto ciò che erasi fatto dai Go
verni dispotici , potessero rintracciarsi provvedimenti
e cautele non tanto spregevoli quanto è sembrato
ai nuovi nostri legislatori. Uno sguardo imparziale
sui varii ordinamenti del rito penale, che si sono
cancellati per la maggior parte per una cieca pre
sunzione di erroneità, darebbe agio a raccogliere
molte gemme se volesse rinnuovarsi lo studio pa
ziente del classico latino, il quale gloriavasi di avere
- 576 -

rintracciato gemme nello sterco di Ennio e Pacuvio.


Mio divisamento un tempo si fu di intraprendere
questo lavoro dopo che avessi ultimato la pubblica
zione del mio Programma. Ma gli anni con troppa
velocità stremarono le mie già deboli forze , e non
mi resta che a ripetere lo exoriare aliquis del
Mantovano Poeta.

Pisa 20 settembre 1872.

II.

Tissot , J. Principes du droit public, 2, vol. Pa


ris, edit. Maresq 1872.

Chi conosce ( 1 ) le molte pubblicazioni delle quali


questo illustre ed instancabile veterano J. Tissot
viene da lunga stagione locupletando le scienze fi
losofiche, le scienze penali, e le scienze politiche,
può facilmente preconizzare che anche i due vo
lumi nei quali esso ha riassunto la dottrina del di
ritto pubblico, siano , come i suoi precedenti lavori,
ricchissimi per profondità di vedute , vastità di eru
dizione, e costante esattezza logica nelle deduzioni
dei principii, non meno che splendidi per coraggiosa
aderenza alle dottrine progressive ed umanitarie .
Ricordare il nome dell'autore vale per molti un
elogio del libro. Ma ciò che è buono a sapersi è che

( 1 ) Notizia bibliografica inserita nel giornale La Nazione,


del 1871 .
-―― 577 ――

in questa opera il Tissot , sempre intrepido nel


sacerdozio della verità, ha largamente trattato la
questione Romana, affrontandola con la più ener
gica simpatia verso di noi non senza risparmiare
rimproveri e censure al governo Francese ; e con
sacrando a questo argomento tutto il libro sesto
della sua opera, da pag. 300 a pag. 486 del secondo
volume. E questo è buono a sapersi dal nostro go
verno come dai nostri concittadini. Dal Governo,
perchè vegga se conviene lasciare inosservato e
senza un segno di riconoscenza il Professore Digio
nese che ha avuto il coraggio di pubblicare in Fran
cia così belle e calorose pagine a difesa del Reame
di Italia, anche a risico di offendere le suscettività
dei suoi connazionali .
Dai nostri concittadini, perchè qualcuno di loro
dia opera onde sia fatta una versione italiana di
questo importantissimo libro . Non come speculazione
libraria, che pure noi crediamo darebbe immanche
vole lucro, ma come adempimento di un dovere di
gratitudine nazionale questo sarebbe a farsi , e nel
tempo stesso ne acquisterebbe dovizia la gioventù
italiana che coltiva lo studio delle scienze politiche .

VOL. V. 37
--
- 578

III.

Giusiana Filiberto - Il patibolo e la Scien


za penale, Torino Tip. Bocca 1872.

Lodiamo (1 ) questo lavoro e per lo intendimento


e per la esecuzione, la quale mostra un senno ma
turo e sobrio da non trovarsi con tanta facilità in un
giovane ventenne. Già ci sembra vedere un amaro
sorriso che scaturisce dal labbro di certi aristarchi
allo udire che questo è lavoro di così giovane penna.
Ma noi alla nostra volta ridiamo a questa vecchia
esclamazione, sono idee da ragazzi : e ne ridiamo
perchè or sono otto lustri udimmo gente di analoga
tempra gridare che la idea della unità italica era
una utopia di ragazzi. Ma i ragazzi divennero uo
mini, e le screditate utopie divennero fatti .

IV.

Zincone Raffaele - Dello aumento dei rea


ti, Caserta 1871 , Tip. Nobile e C.

Da questo libro ( piccolo di mole , ma ricco di sagaci


pensieri ) ne piace togliere la sentenza che leggesi a
pag. 11 , e che di un solo tratto dilegua il fascino di
certe pompose declamazioni che si sono andate fa

(1) Questo ed i seguenti cenni bibliografici di n . IV , V ,


VI, VII. e VIII furono inseriti nel Bollettino della sottoscri
zione nazionale per un monumento a G. Carmignani.
--- 579 -

cendo attorno alla giuria sulla fallace scorta dei nu


meri. L'autore, dopo avere acutamente osservato
quanto siano incomplete ed inconcludenti le osser
vazioni statistiche sul numero comparativo delle as
soluzioni e delle condanne emanate dai giurati nelle
diverse Provincie d' Italia, epiloga il suo pensiero
dicendo ―――― La bontà del verdetto non sta nell' essere

affermativo o negativo, ma nello essere giustamente


affermativo o giustamente negativo : la qual cosa
non si può giudicare con le statistiche ma con lo
esame dei singoli casi. Eppure un pensiero cotanto
semplice e vero che quasi potrebbe dirsi d'intui
zione, sfugge frequentemente a coloro che per la
mania di sostenere una tesi prediletta immaginano
di trovare nei numeri la prova di tutto. Le idee
preconcette fanno perpetuo velo agl' intelletti che le
subiscono. Dagli uni si predica come buono il giu
dice che spesso assolve ; dagli altri si predica come
bravo il giudice che spesso condanna. Criterio er
roneo in ambo i sensi, ma certamente più deplora
bile nel secondo senso che non lo sia nel primo.
Le frequenti assoluzioni potranno dar coraggio ai
male inclinati i quali credono che siasi assoluto un
colpevole. E per evitare questo pericolo si dovrebbe
andare più cauti nel decretare certi invii alle Corti
di Assise di processi vacillanti ed atrofici . Ma se
per un primo errore si è troppo corso dalle Camere
delle accuse, dovrà egli per riparare le conseguenze
di quel primo errore commettersene un secondo as
sai più grave, condannando senza prove bastanti ?
Certamente prudenza consiglicrebbe a non inviare
a giudizio dove non si hanno tutte le probabilità
di una condanna. Un processo sospeso fino a so
- 580

pravvenienza dei nuovi indizi è sempre un elemento


di forza sociale ; perchè lascia in tutta la sua po
tenza il freno della possibile punizione ; laddove il
processo stracciato dalla assolutoria annienta quella
forza, e genera o timore o dolore : timore in chi
crede alla colpevolezza , dolore pei patimenti inferiti
alla innocenza in chi crede a questa. Ma ripeto che
i mali derivanti da un invio precipitato non deb
bono portarsi a debito dei giurati che assolvono :
devono portarsi a debito degli accusatori i quali cal
colano sulla eventualità della giuria, nella speranza
troppo spesso di trascinar questa ad una condanna
che forse non avrebbero essi medesimi osato chie
dere ad un consesso di Magistrati, per la fragilità
degl' indizi. I numeri sono numeri, e niente più :
essi accennano ad un problema, ma non danno cri
terii per risolverlo convenientemente, ed il problema
bastantemente serio è il seguente : furono desse
troppo frequenti le accuse senza base sufficiente ;
o furono troppo frequenti le assoluzioni contro suf
ficiente prova ? E chi vorrà sciogliere questo pro
blema non potrà davvero trovarne il mezzo nei
numeri.
Ad altro luogo lo Zincone torna a muovere
guerra al dommatismo dei numeri, e sempre con
osservazioni giustissime. Quando i numeri vi di
cono che ad un certo periodo sonosi in una con
trada rendute più fitte certe specialità criminose ,
voi andate errati se credete che i numeri vi ab
biano chiarito essere troppo miti le pene per quei
tali reati, e doversene conseguentemente aumentare
il rigore. Verità santissima, che lo Zincone ha
fatto molto bene a ripetere per la milleunesima
―― 581 ―

volta, perchè quando certe verità proclamate mille


volte da mille bocche non si vogliono capire fa buona
opera chi le ripete una volta ancora nella speranza
(quantunque vana ) di miglior frutto. I nostri legis
latori hanno testè creduto di aver salvato la patria
con la nuova legge di pubblica sicurezza rincarando
oltremisura le pene contro la delazione delle armi ;
ed anche il loro calcolo si è puntellato col prestigio
dei numeri. Il ragionamento è stato logico nel suo
primordio. I delitti di sangue si aumentano, dunque
evvi soverchia abitudine di portare armi ; dunque bi
sogna portare il pensiero ad estirpare questa vi
ziosa abitudine del nostro popolo . Logica perfetta .
Ma la conclusione di questo primo argomentare con
duceva ad una succedanea ricerca : da che nasce
essa questa frequenza del portar armi in Italia ?
Nasce essa da soverchia mitezza delle vecchie pe
nalità ; o nasce essa dallo essere le vecchie pena
lità troppo raramente irrogate ? La sapienza Greca
ci lasciò il precetto ; mai doversi nuove leggi pro
porre, se prima non era evidentemente chiarita la
insufficienza delle vecchie. Qui dunque prima di
gridare che le vecchie pene contro i delatori di ar
me erano insufficienti, bisognava guardare me si
fossero quelle pene applicate . E qui faceva mestieri
interrogare i numeri. E se ciò si fosse fatto, i nu
meri avrebbero risposto mostrando una quantità di
condanne per delazione meravigliosamente meschi
na e quasi iperbolica rimpetto alla concordata fre
quenza ( e potrebbe dirsi generalità ) della viziosa
abitudine . Ed allora la Greca sapienza avrebbe ris
posto, doversi trovar modo di eseguire le vecchie
leggi prima di por mente a dettarne di nuove. Ma
――― 582 ――――――

no : si credette che l'aumento della pena facilitasse la


scoperta del malefizio . Si credette che quelle guardie
di sicurezza , le quali precedentemente si astennero
dal cercare l'armi indosso ai facinorosi per paura
di sentirsele cacciare nel ventre , acquistassero ad
un tratto caldissimo zelo e coraggio quando sape
vano che al delatore sovrastava la carcere non per
quindici giorni ma per un anno. Se mi si fosse detto
giovare allo scopo una larga partecipazione nelle
multe concessa ai ritrovatori e denunciatori delle

armi, io avrei risposto che il rimedio era in conso


nanza con la vera natura del male ; e quantunque
potesse lamentarsi come immorale sotto un certo.
aspetto il rimedio, io avrei passato sopra ai riguardi
di delicatezza per le supreme necessità della sicu
rezza pubblica . Ma la vera piaga d' Italia, non vuolsi
vedere, non si vuol confessare ; non si vuol vedere.
o non si vuol confessare che i reati si fanno più
fitti in Italia perchè la polizia dorme. Mai no che
questo non si vuol dire dall' alto, ed anzi non si deve
dire neppure dal basso, e chi si arrisica a dirlo è
punito col carcere, come avvenne testè al Direttore
della Gazzetta della Università edita in Pisa. Ma
non dorme soltanto la Polizia, dormono anche i le
gislatori, o se non dormono fanno un sogno veglian
do quando s'immaginano d'intimidire con le pene,
mentre non vi è chi ne procuri la irrogazione . Da
temi la cifra delle condanne pronunziate negli ul
timi anni in Italia contro le semplici delazioni di
armi. E dico le semplici, perchè le condanne profe
rite contro i colpevoli di ferimento con arme niente
provano contro la mia tesi, essendo manifesto che
il feritore palesò da per sè stesso la delazione sua
―― 583 ―――――

col ferire, e non fu già scoperto dagli agenti di pub


blica sicurezza . Datemi questa cifra, e forse avrete
allora trovata la vera radice del male.

V.

De Mauro Mario - Progetto di riforma sulla


istituzione del Giurì in Italia, Catania Tipografia
Bellini 1872.

Da una dissertazione sulle riforme della giuria


presentata al concorso Ravizza in Milano, e che
non ebbe esito fortunato per la solita eventualità
dei concorsi, vale a dire trovarsi in faccia emuli
che sono giudicati migliori, l'Avv. De Mauro
già benemerito delle scienze penali per altri suoi
scritti, ha estratto i principali pensieri che forma
vano la sostanza di quella dissertazione ; e ne ha
composto questo libercolo di pagine 56 , e lo ha
consegnato al pubblico. Ed ha fatto cosa utilissima,
avvegnachè l'argomento sia forse oggidì il più in
teressante nelle discipline legali, tanto per ciò che
attiene al problema fondamentale della istituzione ,
quanto per le infinite e svariate difficoltà delle for
me. E su queste non è certo a sperarsi che la età
presente vegga pronunziato il definitivo giudizio
dei criminalisti italiani. Troppo ancora ci manca di
studj , e troppo di osservazioni sperimentali per no
drire questa audace speranza. Ai posteri l'ardua
sentenza. Ma intanto è necessità che i dotti elabo
rino indefessamente questa materia, e che ogni loro
- 584 ―――――――――

pensiero sia fatto di pubblica ragione perchè più


presto possa venire il giorno di un assetto defini
tivo, e più presto si possano cammin , facendo ripa
rare gli sconci della giuria, che pur troppo sono
gravissimi nel nostro ordinamento presente. Io dun
que addito questo volumetto del De Mauro, pic
colo di mole ma ricco di idee, agli studi ed alle me
ditazioni di tutti coloro che si occupano di un ar
gomento altrettanto controverso quanto interessante.
Nè con ciò intendo di fare adesione a tutti i pro
getti del giureconsulto Siculo ; che anzi troppi ve
ne ha dai quali sarebbe decisamente aliena la mia
convinzione . Ma la ultima sillaba della scienza non
essendo ancora pronunziata, e la Dio mercè essendo
ancora molto lontana a pronunciarsi la ultima sil
laba della legislazione, è utile che l'attrito della
discussione mantengasi per quanto si può vivace
e continuo.

VI.

Crivellari Avv . Giulio Procuratore del


Re - La Giuria in Italia, Mantova Tipografia
eredi Segna 1872.

Più coraggioso del De Mauro il Crivel


lari ha pubblicato per intero la dissertazione che
egli pure presentò al concorso Ravizza, e che fu
per la solita ragione sfortunata ancor essa. Così
la scienza penale ha fatto un bello acquisto di un
bellissimo libro sopra una materia intorno la quale
siamo ben lungi dal poter dire essersi scritto ab
― 585 -

bastanza. Ed anche di ciò diasi lode alla istitu


zione Ravizza, ed ai sapienti che governandone
con gran senno la gestione mostrarono così fino
accorgimento sia nella scelta del tema, sia nel ri
trovato di duplicare il concorso. Il libro del Cri
vellari è un volume di 486 pagine, delle quali
circa 80 destinate a prospetti statistici . Ma questo
non è foglio adatto a dare un cenno per quanto
rapido di un lavoro così vasto . Soltanto diremo che
in quanto ai quadri statistici che oggi si fanno nelle
materie penali non ci persuade il sistema comune
mente adottato del ragguaglio per centi ad ogni
titolo di reato. Se ( a modo di esempio ) alle Assise
di Pavia fu presentato in un anno un solo imputato
di violenza pubblica, il sistema suddetto vi porta a
dire che i Giurati Pavesi sulle accuse di violenza
pubblica hanno assoluto il cento per cento oppure
hanno condannato il cento per cento. Se ne caverà
egli il criterio che quei giurati o tutti condannano
o tutti assolvono gli imputati di quel delitto perchè
ne hanno assoluto uno o condannato uno !!! Il me
todo è fallace e vizioso in radice, ma non è colpa
del Crivellari se ha riprodotto quei calcoli che
ha trovato nei libri ufficiali . Quanto alle sue opinioni
in generale , possiamo dire che ci sono apparse as
sai liberali per quanto emanate da un Pubblico Mi
nistero. Ci sembra un poco vivacemente irritato
contro gli Avvocati difensori per il troppo tempo
che usurpano con le loro difese. Ma questo noi vo
gliamo perdonarglielo a riguardo della fotografia
esattissima che a pag. 251 egli ci dà del giudice
Istruttore e delle camere di Consiglio, e per quanto
scrive a pag. 242 con queste parole ―― ivi -- Non
-- 586 ――――

deesi per altro disconoscere che in Italia siamo


costretti ad assistere a processi avanti le Corti di
Assise, nei quali ben debole è la prova di reità. Se
le sezioni di accusa procurassero di andare più a
rilento nel decretare lo invio avanti le Assise, forse
la cifra delle assoluzioni, sebbene tutt'altro che
sconfortante, troverebbesi presso noi ad un livello
più basso. Con quel che segue a pag. 243, 244 ; vere
pagine d'oro . Che a tutto torto si vadano lamen
tando le troppo frequenti assoluzioni dei Giurati ,
mentre invece dovrebbesi deplorare la troppa faci
lità degli invii , è una verità che si è da noi ripe
tuta parecchie volte , e da molti colleghi nostri con
noi . Ma conforta l'animo il vederla riconosciuta anco
da un ufficiale del Pubblico Ministero, perchè infin
dei conti la colpa non è tutta delle Sezioni di invio ;
ma in gran parte del sistema che condanna a giu
dicare senza leggere, ed in gran parte degli ufficiali
dell' accusa che hanno sempre paura di chiedere
troppo poco. Chi vorrà leggere il libro del Cri-.
vellari se ne troverà istruito e soddisfatto , quan
tunque (come è naturale) non voglia integralmente
aderire a tutte le sue opinioni .
587 ----

VII.

Perotta Cav. Avv. Raimondo di Parma,


Procuratore del Re presso il Tribunale di Pe
saro ____ I Giurati alle Corti di Assise, Piacenza ,
Tipografia Francesco Solari 1871.

Le due condizioni indispensabili alle leggi per


chè riescano buone ai propri fini , sono la unità di
concetto e la lucidità della sua manifestazione . Bi

sogna che, in primo luogo, il legislatore sappia


cosa vuole egli stesso ; e bisogna che quanto egli
vuole lo dica in modo che altri possa compren
derlo ed uniformarsi alle sue volontà. In ambe
due queste condizioni difettano tutte le leggi di
procedimento e rito penale novellamente date al
Reame d'Italia ; nelle quali cinquanta volte su
cento il legislatore non seppe egli medesimo co
sa voleva, ed altre quaranta lo disse in tal forma
che parve appositamente scelta perchè nessuno lo
intendesse. Le cagioni di ciò non sono difficili a
rintracciarsi. Leggi composte nella loro origine a
forma di centoni, per articoli raccolti qua e là, e
posteriormente regalate di nuovi rammendi da nu
merosi revisori, non possono presentare unità di
concetto e quella logica aderenza al medesimo che
è la suprema beltà di una legge : nè può esser
chiara una legge quando ciò che si pensa non vuolsi
dire, o si vuol dire in modo che apparisca il con
trario di ciò che si pensa ; quando in una parola si
vogliono fare leggi retrive e spacciarle al popolo
come leggi liberali . Fra le nuove leggi italiane di
- 588 -

rito penale non è la meno pessima quella sulla Giu


ria. Persuaso di ciò io non avrei davvero osato con

sigliare ad alcuno di porsi sugli omeri l'arduo com


pito di illustrare quella legge . Il Cavaliere Perot
ta ebbe peraltro la virtù di sottoporsi a questo far
dello, e deve lodarsi il pio ed utilissimo fine che si
propose, come deve lodarsi la opera sua , la quale
è riuscita quel più di meglio che potesse riuscire.
Il Cav. Perotta aveva già dato prova della sua
speciale e meravigliosa attitudine alla paziente e
leale analisi di una legge positiva , mediante il li
bro che fino dal 1868 pubblicava in Parma inti
tolato gli Atti dello Stato Civile che fu accolto dal
pubblico come una guida utilissima in questa intri
cata materia. Egli era dunque uomo adattatissimo
a soddisfare al desiderio di quei cittadini che chia
mati a sedere come Giurati giravano attorno lo
sguardo cercando un libro che servisse loro di mae
stro a comprendere ciò che le veglianti leggi ordi
navano a loro nelle difficili operazioni alle quali
venivano destinati. Il libro del sig. Perotta non
doveva nè poteva chiamare i lettori ai voli delle
speculazioni scientifiche ; bisognava scordare sè stes
so, scordare le proprie opinioni ed i propri desiderii
nelle volontà più o meno conosciute del Legislatore
Italiano ; bisognava in una parola dirigere i Giurati,
non a fare il meglio , ma a fare ciò che la legge
imponeva loro. A questa missione ha religiosamente
adempito il nostro autore , e merita sincero elogio
per la costante fedeltà con la quale ha avuto la Virtù
di mantenersi nel cerchio che egli aveva imposto
a sè medesimo. A leggi come stanno il suo libro è
di utilità pratica, che rende desiderabile di vederlo
589 -

in mano a tutti i Giurati onde porli in guardia dalle


false vie nelle quali eventualmente li voglia spin
gere lo zelo di un difensore , di un accusatore , di
un presidente. Certamente il Perotta , e per la
sua posizione officiale, e per la stessa indole e de
stinazione del suo lavoro, non poteva metter fuori
parola di critica contro l'ordinamento vegliante. Un
libro fatto per ammaestrare i Giurati alla puntuale
osservanza della legge non può aver parola che
suoni censura contro la legge . Il Cav. Perotta
ha compreso questa sua missione , e non solo vi si
è uniformato scrupolosamente, ma ha fatto ancora
di più . Ha usato arte mirabile per occultare i vizi
della legge che aveva preso ad esporre. Ha coperto
di un velo le sue perplessità, come a modo di esem
pio a pag. 433. Ha supplito alle sue lacune senza
far mostra che vi fossero, come a pag. 429. Ha ten
tato conciliare le contradizioni e le antinomie senza
metterle in vista, come a pag. 442 , a pag. 445, a
pag. 450 ed a pag. 289. È un lavoro pietoso, un la
voro coscenzioso , un lavoro rigurgitante di senno
―――――
pratico. E può ripetersi di lui la facezia del Rosa
il ritratto è fedele e bellissimo : se l'originale era
deforme non è colpa del pittore . Acutissimo (e come
tale mi piace notarlo ) è il consiglio che dassi ai
Giurati a pag. 451 ; quello cioè di aver rispetto alla
pubblica opinione nel votare le circostanze attenuan
ti . Qui sta, per chi sappia intenderla , tutta la segreta
virtù dell' istituto della Giuria inserviente al su
pre fine di rendere la giustizia penale simpatica
al popolo, e mercè tale simpatia centuplicarne le
forze. Il principio
è santo, e mi gode l'animo di
vederlo promulgato da un Procuratore del Re. Che
590

se talvolta per la istintiva obbedienza a questo prin


cipio i Giurati non si fermano a pronunziare le at
tenuanti ma trascendono ad un verdetto negativo
per timore della insufficienza di quelle, come testè
avvenne in Udine nella ricordevole assoluzione del
Nottola, io dirò essere un male minore che si abusi
di una verità per troppo amore verso la medesima
di quello che la verità stessa si dimentichi e si con
culchi. La celebre facezia del Marchese Colombi,
sotto l'apparenza di una scempiaggine , cela anche
essa una verità. I Giurati si fanno o non si fanno :
si vogliono o non si vogliono . Se non li volete , abo
liteli, e finite la piccola guerra. Se li volete , adatta
tevi lealmente a questa esigenza del secolo, piglia
teli come sono per loro natura, e cessate di volerli
mascherare con la parrucca di Magistrati. Loro na
tura è di rappresentare la giustizia popolare ; di
essere gli organi e gli araldi della pubblica opinione ,
perchè questa col mezzo loro si riveli al legislatore
e gli additi i bisogni dei tempi . Quando una popo
lazione ha applaudito ad un verdetto assolutorio non
sospinta da spirito di parte o di setta, ma per un
impeto istintivo della coscienza di un bene, l' ora
colo ha parlato : i Giurati hanno fatto il debito loro.
Tacciano gli aristarchi, che dai loro seggioloni vor
rebbero soggetta al proprio sindacato la giustizia
popolare. Tacquero per varii secoli i Francesi quan
do troppo spesso vedevano per le pubbliche vie uo
mini caricati di un sacco sul quale era scritta la
tremenda parola, lasciate passare la giustizia del
Re ; e quel sacco conteneva un cadavere che si an
dava a gettare nella Senna. Tacciasi anche oggi, e
si lasci passare la giustizia del popolo. Vi innamo
1

1
A
- 591

raste della giuria Inglese ? Imparate dagl' Inglesi


a rispettarne l'autorità.

VIII.

Bennati Avv . Oreste Pretore di Rieti


Della premeditazione nei delitti di sangue , Tipo
grafia Trinchi 1872.

Di questa interessante monografia ci limitiano.


ad un semplice accenno, perchè una completa ana
lisi ne è stata data dall' Avvocato Cesare Fa
ni nel Corriere dell' Umbria anno 3, n. 150 ; che
nitidamente riassume tutte le vitali questioni trat
tate dall' autore e le bene aggiustate soluzioni delle
medesime. Soltanto mi limiterò a fare due voti.
È a desiderarsi che il Bennati sia preso in
considerazione dal Ministero, e presto possa ve
dersi sollevato nella Magistratura superiore un giu
rista che mostrasi nodrito ai buoni principii del
giure penale, e forte nei più sani principii che
servono al tempo stesso alla giustizia ed alla uma
nità. E sarebbe ancora a desiderarsi che il libercolo
del Bennati corresse per le mani di quei citta
dini che sono chiamati a far parte della Giuria, ad
evitare che troppo spesso sfugga alle loro menti il
vero concetto giuridico della premeditazione. La na
tura delle cose non si muta con una legge : e quan
tunque la premeditazione siasi dovuta noverare fra
le questioni di fatto serbate alla decisione dei Giurati ,
non può esservi giurista che in buona fede si illuda, e
――― 592 -

seriamente persista a negare che in moltissime com


binazioni di fatto la medesima abbia necessità di
nozioni giuridiche per essere risoluta conforme
mente a giustizia. E se così è, e se così ne avviene
che i giurati si chiamano incensurabilmente ad af
fermare o negare il concorso della premeditazione
nei reati di sangue, ognuno che rifletta come sif
fatta aggravante porti alla conseguenza di un uomo
mandato all'ergastolo nella provincia Toscana, e
dannato a morte nel rimanente d'Italia, non può
non tremare riflettendo alle difficoltà di così sottile

argomento sul quale si trovano esitanti e perplessi


anche i più provetti Magistrati. Io non scorderò mai
le parole che udii da un giurato . Egli aveva con
la maggioranza dei suoi colleghi affermata la preme
ditazione di un omicidio dove tutte le condizioni del
fatto portavano alla necessità di escluderla. Inter
pellato da quali elementi egli desumesse cosi severa
convinzione, ingenuamente rispose che le cautele
adoperate dopo l'uccisione e le arti con le quali
aveva colui tentato d'ingannare la giustizia dopo il
commesso delitto mostravano evidente che egli agi
va a sangue freddo. Per ciò che mi ha dimostrato
la pratica è la premeditazione l'argomento sul quale
più spesso i giurati ruinino a fatalissimi errori, ora
confondendola con l'odio, ora con la causa a de
linquere, ora con le malizie posteriori al delitto, e
spesso non tenendo calcolo della veemenza della
passione.

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