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HARVARD LAW LIBRARY

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HARVARD LAW LIBRARY.

Received Nov. 28, 1900.


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CARRARA

PROGRAMMA

PARTE SPECIALE

Vol. III.

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PROGRAMMA

DEL

CORSO DI DIRITTO CRIMINALE


DETTATO
NELLA R. UNIVERSITÀ DI PISA
dal Professore
FRANCESCO CARRARA
MEMBRO ONORARIO DELL' ACCADEMIA DI LEGISLAZIONE DI TOLOSA
E DELLA SOCIETÀ DEGLI AMICI DELLA EDUCAZIONE DEL POPOLO DI BELLINZONA
MEMBRO TITOLARE DELLA SOCIETÀ DI LEGISLAZIONE COMPARATA DI PARIGI,
SOCIO CORRISPONDENTE DELL' ACCADEMIA REALE DEL BELGIO,
DEL REALE ISTITUTO LOMBARDO DI SCIENZE E LETTERE
DELL' ISTITUTO VENETO E DELL' ISTITUTO DEGLI AVVOCATI DEL BRASILE
SOCIO DELL' ATENEO DI BRESCIA
E DELLE REALI ACCADEMIE DI LUCCA, DI MODENA, DI MACERATA, DI URBINO,
DI PALERMO E DEI LINCEI DI ROMA
SOCIO ONORARIO DELLA SOCIETÀ DEI GIURECONSULTI DI MOSCA E DI ATENE
MEMBRO D'ONORE DELLA SOCIETÀ GIURIDICA DI BERLINO
CITTADINO SVIZZERO
MEMBRO DELLA COMMISSIONE INCARICATA DEL PROGETTO DI CODICE PENALE ITALIANO
MEMBRO DEL CONSIGLIO SUPERIORE DI PUBBLICA ISTRUZIONE
MEMBRO ONORARIO DELLA UNIVERSITÀ IMPERIALE DI PIETROBURGO
E SENATORE DEL REGNO

PARTE SPECIALE
OSSIA

ESPOSIZIONE DEI DELITTI IN SPECIE


CON NOTE PER USO DELLA PRATICA FORENSE

SESTA EDIZIONE

VOL. III.

FIRENZE
CASA EDITRICE LIBRARIA FRATELLI CAMMELLI „
RAFFAELLO CONTI, (Proprietario)
Piazza della Signoria, 5.

1897
8

Cri

C31341
ed a

L'autore pone questa opera sotto la protezione delle


veglianti leggi sulla proprietà letteraria .

Wec, Nov. 28 ,92

Prato, Tip. Giachetti , Figlio e C.


PARTE SPECIALE

(Segue) SEZIONE PRIMA

DELITTI NATURALI

CLASSE QUARTA

DELITTI CONTRO L'ONORE

CAPITOLO I.

Idea, e contenuto della classe.

§. 1702.

Sarebbe
Darebbe un vano dilungarci nella dimostrazione
di cosa intuitiva se si facesse dimora a giustifi
care che l'uomo ha il diritto di vedere rispettato
l'onore suo, e che anche le ingiuste offese dirette
contro questa parte nobilissima del suo patrimonio
naturale possono e debbono, nelle congrue condi
zioni, perseguitarsi come delitti . Ella è cosa questa
che da ogni uomo, per poco che sia culto, si sente
nell'anima ; ed anzi anche i selvaggi stessi, se
fuorviano talvolta nello apprezzarne le vere con
dizioni, tengono per altro essi pure carissimo l'onore
loro, e contro chi l'oltraggia vivamente reagiscono .
È dunque intuitivo che nell'ordine delle azioni , le
quali vogliono essere perseguitate come malefizi ,
- 6 -

deve trovarsi una classe specialmente destinata ai


reati contro l'onore ; ed è intuitivo che cotesta
classe deve riferirsi ai delitti naturali : a quei de
litti cioè che noi designamo con questo nome, non
perchè nei medesimi non occorra il concorso del
carattere politico resultante dal danno mediato (che
questa è condizione assoluta e costante da noi pre
stabilita come indefettibile requisito di ogni male
fizio affinchè possa l'autorità sociale legittima
mente perseguitarlo) ma perchè il bene che da
cotesto ordine di delitti si toglie all' uomo non è
a lui derivato dalla consociazione, ma veramente
dalla stessa legge di natura ( 1) : ed a lui spetta e
da lui si gode come individuo, indipendentemente
dalla sua condizione di cittadino. Per affermare

che vi è una giustizia pubblica a cui si è recato


offesa, che vi è un'autorità dello Stato da taluno

aggredita o minacciata, bisogna presupporre uno


Stato ed una società civile costituita ; bisogna poter
dire io sono cittadino . Per affermare che il nostro
onore è l'oggetto di un diritto inerente alla nostra
personalità, e che tale diritto non deve impune
mente manomettersi, basta potersi mostrare indi
viduo appartenente al genere umano.

(1) Sono concordi i pubblicisti nel riconoscere fra i diritti


originarii dell' uomo il diritto al rispetto della propria di
gnità : Grotius , de I. B. l. 2, cap. 17, §. 22 ― Haus ,
Elementa juris naturalis, §. 104 - Baroli , Diritto natu
rale, col. 1, §. 86 ――― Zeiller , Jus naturae privatum, §. 43
Geertsema , Fundamenta de juris, pag. 8 et 17. Al

congresso internazionale tenuto in Amsterdam nel 1864 i
delitti che noi chiamiamo naturali furono da un oratore
chiamati delitti umanitarii. Il concetto a cui s'inspira que
-7 -----
sta denominazione è l'identico di quello al quale s'inspira
la nostra ; e noi l'accetteremmo senza difficoltà. È il concetto
esplicativo di quel sommo principio di metodologia penale
per cui le classi dei diversi reati debbono ordinarsi secondo
il danno immediato prevalente che resulta dal delitto. Tale
concetto non fu bene compreso da chi volle criticare la no
stra nomenclatura, e la critica per ciò non fu che uno equi
voco. Si dice erroneo chiamare delitto naturale l'omicidio,
il furto, e simili, e delitto sociale la perduellione , la resi
stenza alla forza, la falsa moneta , e simili : e se ne addusse
per tutta ragione che anche in quelli che noi chiamiamo de
litti naturali vi è qualche cosa di sociale. Ma cosi ragionando
si dimentica essere regola universale del metodo che gli og
getti sui quali cade uno studio debbano avere dei caratteri di
somiglianza senza dei quali non potrebbero appartenere al
medesimo genere ; ma debbano altresi avere dei caratteri di
dissomiglianza, senza di che sarebbe vanità costruire una
divisione di classi. È dunque necessità logica in qualunque
argomento che fra classe e classe s'incontrino caratteri di
somiglianza : ma questi non danno la ragione del distinguere,
e danno invece la ragione cardinale di richiamare le classi
al medesimo genere. Tutti i delitti hanno qualche cosa di
comune, e questo qualche cosa, è (per usare le parole del no
stro critico) un qualche cosa di sociale ; è nè più nè meno
il danno mediato in cui sta il fondamento della punibilità
civile ; poichè per virtù di lui il vizio, il peccato, e l'atto
individualmente dannoso , diviene appunto delitto. Ma su que
sto qualche cosa non può costruirsi certamente una classa
zione, si perchè appunto è comune a tutti i delitti, si perchè
il danno mediato se è suscettibile di diverso grado o quantità
non è suscettibile di diverse qualità. La classazione dei reati
bisogna dunque desumerla dal danno immediato , che è ap
punto suscettibile di diverse qualità : le quali si rappresen
tano precisamente dalla diversità del diritto leso. La esatta
classazione dei reati non può essere dunque che un contenuto
della classazione dei diritti. Ora la prima e grande classa
8
zione dei diritti , e la più antica nella storia giuridica , è ap
punto quella di diritti naturali e diritti sociali ; secondo che
tali diritti hanno la loro causa nel primigenio essere dell'uo
mo, e così nella legge di natura, oppure a lui sono dati dalla
società ed hanno la loro causa nel fatto della consociazione.
La divisione da noi adottata non è dunque una creazione
nostra ; altro non è che una applicazione della vieta divisione
dei diritti, insegnata dai più classici fra i pubblicisti. Nè può
dirsi che se non è difetto nella classificazione è difetto nella
nomenclatura, quasi con la parola naturale si volesse esclu
dere ogni carattere sociale : avvegnachè il carattere sociale
emergente dal danno mediato sia già contenuto nella parola
delitto dalla quale è inseparabile. Quando si divise il regno
organico nelle due grandi classi di regno animale, e regno
vegetale, s'intese forse con quella nomenclatura di negare
che gli esseri ascritti al regno animale vegetassero essi pure?
La censura sarebbe identica a quella diretta contro di noi,
ma identica sarebbe la risposta. Tanto vale il dire voi avete
negato che l'animale vegeti perchè col nome di vegetabili
avete specializzato le piante ; quanto vale il dire voi negate
che nell'omicidio e nel furto vi sia niente di sociale perchè
il nome di delitti sociali date a diverse categorie.

§. 1703.

Bensi questa oggettività dei reati contro l'onore


si è dai criminalisti generalmente contemplata in
un modo confuso, e senza una esatta analisi de

gli elementi e delle forme nelle quali si estrin


seca codesto diritto . Lo che ha portato ad oscu
rità e dubbiezze, cosi nel riconoscimento dei cri
terii essenziali, come rispetto ai criterii misuratori
di simile malefizio . Quando si è detto offesa al
l'onore si è detto una formula che promiscuamente
può contenere il toglimento di più e diversi beni
― 9
differentissimi tra di loro, tutti connessi e conte

nuti in questa generica idea dell'onore , ma pure


eventualmente non in tutte le contingenze dei casi
manomessi del pari. Bisogna dunque decomporre
siffatta idea, e rintracciando quei beni diversi che
ne sono il contenuto venire a riconoscere le sva

riate forme che può assumere il delitto contro


l'onore sotto il punto di vista della sua più intima
oggettività . Ora alla idea dell' onore si possono
connettere tre distinti subalterni concetti : 1º il

sentimento della propria dignità ( 1 ) : -- 2º la stima


o buona opinione che gli altri hanno di noi : --
3º la potenza inerente ad una buona riputazione
di procurare certi materiali vantaggi. Questi tre
concetti sono distintissimi, quantunque non sempre
sufficientemente avvertiti.

(1 ) Non aderisco alla opinione dello Stefano ( De cri


mine lesae majestatis, §. 7, Lipsia, 1842), che afferma il di
ritto perfetto all'onore essere nell'uomo per dono della società
civile. Questa proposizione riproduce un vecchio equivoco
generatore sempre di false dottrine circa la genesi dei di
ritti. Che l'uomo non possa dire di avere un diritto perfetto
all'onore quando viva (per ipotesi) in uno stato di completo
isolamento, ella è cosa che nasce dalla natura stessa del
diritto è un fatto ; non un principio giuridico, perchè ogni
diritto soggettivo non può concepirsi se non come corri
spondente all'oggettivo di altri uomini nei quali stia il do
vere di rispettare quel diritto. Cosi anche il patrimonio del
l'onore in quanto esiste nella opinione dei nostri simili non
è concepibile dove non siamo circondati da altri uomini che
ci stimino. Ma è falso che a noi lo attribuisca la società.
Esso è un diritto connato nell'uomo, e la società col difen
derio non lo crea. Anche l'uomo isolato ha il sentimento
della propria dignità, ed il correlativo diritto , che si viola
――― 10
da chi venga ad ingiuriarlo. Supposto un uomo solo in una
isola disabitata, quando un marinaio sceso in quell'isola pren
desse a vituperarlo con parole, costui offenderebbe un diritto
perfetto di quel solitario, e questo diritto avrebbe il suo og
gettivo nello stesso ingiuriante, sebbene nessun altro uomo
esistesse colà : e sarebbe diritto perfetto, perchè vi risponde
una obbligazione negativa, la quale basta a tale uopo.

S. 1704.

1.° Il sentimento della nostra dignità è il con


tenuto primario della idea di onore. Esso è l'aspi
razione di ogni animo per poco gentile che sia,
istintiva ed indipendente da qualunque calcolo di
beni esteriori, ma dipendente esclusivamente dal
l'amore di noi stessi , e da quel godimento inef
fabile che in noi genera senza bisogno di plauso
altrui, o di vedute ulteriori , la sola coscienza dei
meriti nostri, delle nostre abilità, delle nostre virtù .
L'opposto di tale sentimento è la vergogna e la
deiezione che in noi si genera dal conoscimento
di qualche deficienza nostra indipendentemente dalle
censure altrui . La offesa a questo sentimento della
nostra dignità è dessa sufficiente a costituire il
delitto contro l'onore? Ossia affinchè il fatto pre
senti tale oggettività giuridica da renderlo meri
tevole di politica imputabilità, basta egli che ab
bia recato all'offeso una ferita nel sentimento della

propria dignità , quantunque non ne sia conseguita


la diminuzione della riputazione di lui appo gli
1
altri, nè la probabile perdita di materiali vantaggi ?
Certamente io affermo che basta : e la risoluzione 1

di tale quesito diviene decisiva in moltissime ipo 4


tesi nelle quali l'azione ingiuriosa si può configu
- 11 ―

rare. Se taluno (non per fine di correggermi ma


per mostrarmi disprezzo) m'ingiuria senza che nes
sun altro siavi presente, se la ingiuria si contiene
in una lettera a me stesso diretta, quando io me
ne lagni si potrà dire che l'onore mio non è stato
ferito perchè l'offensore avendo fatto me stesso
padrone del segreto e nessuno avendo udito e co
nosciuto quella ingiuria (per fatto almeno dell'of
fensore) non si volle con ciò menomare il patri
monio del mio buon nome nè recarmi discredito.
appo altri, e molto meno dispogliarmi di materiali
vantaggi che dal mio buon nome fossero dipen
denti. Ciò si potrà dire ; ma non per questo ne

avverrà che sparisca la oggettività giuridica del


fatto malvagio. Dessa rimane, indipendentemente
dal toglimento degli altri due beni sovraccennati,
nella sola offesa al sentimento della mia dignità,
per la quale io risento dolore allo intendere che
altri mi tiene a vile, e che audacemente in faccia
a me stesso fa professione di disprezzarmi . E que
sto vero è convalidato dalla comune dottrina giu
risprudenziale che riconobbe criminosità anche in
una lettera ingiuriosa direttamente consegnata al

l'offeso dall'offensore, senza che questi ne avesse
fatto propalazione nessuna : appunto perchè quan
tunque la propalazione successiva fosse derivata
dal fatto volontario dell'offeso medesimo, nè po
tesse all'offensore darsene debito, eravi bastante
oggettività al reato e vera lesione del diritto nella
lesione recata al sentimento della propria dignità .
È per questo che sebbene io medesimo col recla

mare rendessi palese ad altri l'oltraggio che l'of


fensore voleva occulto, non si può trarre argo
- 12 ―

mento da ciò per negarmi la richiesta soddisfazione ,


perchè era nel mio diritto di non sottostare alla
umiliazione di essere vilipeso da lui. La parola
fu data all'uomo da Dio ( 1 ) perché fosse strumento
di reciproco amore, di progresso morale, e di quella
consociazione alla quale era la umanità destinata :
chi se ne vale per recare ad altri dolore abusa
sempre di questo dono divino (2) .

(1) Tre sono i sistemi che le diverse scuole filosofiche pro


pugnano intorno alla origine del linguaggio. L'uno è quello
del Dio macchina che abbia materialmente erudito l'uomo
a parlare. L'altro è quello sostenuto da Condillac, della
cosi detta coscienza creatrice, cioè lento sviluppo per pro
gressiva conquista della umana ragione, che dai segni e dai
gridi inarticolati pervenne gradatamente alla formazione di
un linguaggio completo. Ma se il primo sistema porge una
idea troppo meschina della divinità, il secondo non può non
essere storicamente falso . Semplice e più rispondente alla on
nipotenza divina, è il terzo sistema dello sviluppo istantaneo
coevo all ' uomo per legge impostagli dal Creatore. Come le
facoltà dell'animo furono e sono usate dall ' uomo al suo na
scere per uno slancio di forza interna compartitagli da Dio
senza bisogno di ammaestramento esteriore, e senza calcolo
preventivo di ragione o tentativi sperimentali ; come l'uomo
si serve immediatamente della vista, dell'udito, del tatto, per
vedere, udire, toccare, senza che nessuno gli abbia detto che
con gli occhi si vede, e con gli orecchi si ascolta ; così si serve
della lingua a parlare. La origine del linguaggio trova la
sua spiegazione in una formula identica a quella della ori
gine delle idee, della origine della società, e del diritto pe
nale. Può concepirsi un perfezionamento progressivo dei
linguaggi. Ma il primo getto di una lingua non può essere
che istantaneo e completo. Supporre un periodo primitivo di
vita umanitaria durante il quale gli uomini fossero muti ; è
- 13 ――――
un errore analogo a quello di chi suppone uno stato primi
tivo estrasociale.
(2) Volle sostenersi che un offeso per ingiuria, la quale non
potesse portare nè detrimento di stima, nẻ danno patrimo
niale, non avesse licenza di costituirsi parte civile nel pro
cesso di ingiuria. Si disse che i dolori morali non si valutano
a lira e danaro, e che per conseguenza non avendo l'offeso
occasione di chiedere indennità non ha azione per perse
guitare il delitto. Ma qui sta lo errore ; perchè anche il do
lore morale ha la sua riparazione nello ottenere la condanna
dall'offensore ; e ciò basta al diritto di intervento. Non am
metto che ad ogni interveniente in un giudizio penale si op
ponga la eccezione pregiudiciale onde giustifichi che ha di
ritto ad una indennità valutabile in pecunia prima di essere
accolto interveniente. Ciò sarebbe nuovissimo ed inusitato in
pratica. Vedasi in questo senso la Temi Zanclea, anno II,
n. 15.

§. 1705.

2. Lesione nella stima o riputazione appo gli


altri. Generalmente i criminalisti stringono qui le
loro considerazioni, poco occupandosi , nella gene
rale descrizione di questo reato, del primo effetto
emergente dalla offesa all'onore , del quale ho detto
testè, e poco del terzo del quale a momenti dirò .
La buona riputazione, che Shakespeare nel
l'Otello chiamò poeticamente il gioiello dell'anima
si definisce comunemente la opinione che gli altri
hanno delle nostre buone qualità sia dell'anima
sia del corpo. Il patrimonio del buon nome, os
servano comunemente i nostri maestri , non esistere
in noi, ma nella mente degli altri . Non è cosa che
si detenga da noi come ogni altro oggetto di pro
-- 14 —

prietà nostra, ma si detiene da altri quantunque


noi ne abbiamo tutto il benefizio. La osservazione
è giustissima. Essa è feconda di esatta deduzione
quando se ne inferisce che il soggetto passivo di
questi reati non è sempre il paziente stesso come
nei delitti contro la vita, o contro la integrità per

sonale, ma lo possono essere terze persone ; rima


nendo allora nell'offeso la semplice figura di pa

ziente senza nessuna partecipazione alla soggettività


materiale del malefizio . Essa è feconda di utile
applicazione quando se ne deduce che il maggior
numero delle persone alle quali fu comunicato l'at
tacco contro l'onore, aumenta la quantità naturale
del malefizio ; alla guisa stessa nè più nè meno
che il maggior numero delle monete rubate au
menta la quantità naturale del delitto di furto ;
perchè il patrimonio dei buon nome costituendosi
dalla stima che hanno di noi i nostri simili , esso
si allarga quanto più si estende il numero di co
loro che hanno buona opinione di noi ; e viceversa
tanto più si lede quanti più sono coloro nei quali
malignamente s'ingenera disistima di noi. Tuttociò
è verissimo : ed è pur vero che nella generalità
dei casi la contemplazione dei reati contro l'onore
vorrà esser fatta sotto questo punto di vista. Ma
è incompleto coartare la nozione a questo solo
punto di vista intralasciando affatto il primo, che
ho accennato di sopra, e l'altro che vado ad esporre.

§. 1706.

3.º Toglimento di vantaggi consequenziali al


buon nome. Questa terza considerazione può pre
--- 15 -

sentarsi come mera potenza e come realtà verifi


cata. Come potenza essa è inerente a tutte quelle
forme di reati contro l'onore, nelle quali si svi
luppa il secondo effetto anzidetto, perchè nelle sva
riatissime combinazioni dei casi umani la perduta
riputazione può sempre con più o meno larga misura
essere cagione che il discredito recato a noi ci
torni fecondo di gravi perdite successive in altri
beni da noi desiderati. Ma vi possono essere delle
contingenze nelle quali questa valutazione non ri
manga al punto di vista di mera potenzialità, e
si abbia invece la positiva giustificazione di un
detrimento materiale prodotto a noi per il discre
dito arrecatoci : e inoltre può verificarsi talvolta
che il fine del colpevole sia stato precisamente
quello di arrecarci cotesto pregiudizio : come (a
modo di esempio) impedirci un matrimonio, un im
prestito, un collocamento in impiego, e simili . Al
lora questa terza considerazione esce dalla gene
ralità , ed assume una specialità ulteriore , per cui
ne avviene che il diritto leso non più sia sempli
cemente quello dell'onore, ma vi si congiunga ezian
dio la lesione voluta ed ottenuta di altri diritti :
nè la valutazione di ciò può essere pretermessa
nel calcolo del malefizio. Bisogna però esaminare
il dubbio che nasce quando la ingiuria sia stata
appositamente diretta dal colpevole ai danni del
patrimonio dell'offeso ; potrà allora dubitarsi se
questo fine più pravo aggravi il delitto d'ingiuria
lasciandolo nella sua classe ; o se faccia eziandio
mutar classe al reato trasportandolo fra i delitti
contro la proprietà per avventura più gravemente
puniti. Questo problema io crederei si dovesse scio
16 -

gliere con una distinzione : o il danno patrimoniale


dell'offeso voluto come conseguenza dell'oltraggio

all'onore dal colpevole non arrecava a costui lucro


nessuno ; ed allora non sembra possibile fare il
passaggio da classe a classe ( 1 ) , e il danno patri
moniale non può considerarsi che come un aggra
vante della ingiuria : o invece il danno patrimoniale
dell'offeso tornava ad indebito lucro del colpevole,
ed allora io crederei che l'azione potesse nei con
grui termini rientrare nella classe dei reati contro
la proprietà, e più probabilmente punirsi come
frode nella quale la ingiuria si assorbirebbe come
mezzo al delitto più grave.

(1) Recentemente in Francia si pretese sostenere che il ti


tolo di ingiuria scomparisse quando si era denigrato la ri
putazione di un antagonista per fine politico. Ma lo errore
fu presto respinto da quei tribunali. Vedasi Morin, art. 9367,
e la nota 2 al §. 1762 .

S. 1707.

Debbo inoltre avvertire su tale proposito che la


osservazione da me fatta refluisce ancora sulla de
finizione della essenzialità del reato nel vario svol
gimento dei casi pratici. Cosi potè la Cassazione di
Francia (Dalloz, mot outrage , vol. 22 , pag. 102)
rettamente decidere nel di 8 settembre 1809 , che

non costituiva ingiuria punibile lo aver detto di


un tal sacerdote che fuori dell'ufficio del suo mi

nistero era un ignorante ; perchè non si denigra


l'onore di un uomo negandogli sapienza in cose
che non è obbligato a sapere, quando a lui si con
――― 17

cedono le occorrenti cognizioni in ciò che è suo


debito di sapere . Ma poniamo che quel sacerdote
concorresse ad un qualche ufficio d'insegnamento :
poniamo che la taccia d'ignorante fosse stata di
retta contro di lui per il fine di dissuadere altri
dal conferirgli cotesto ufficio . In tali condizioni
parrebbemi si esaurissero gli estremi della ingiuria
punibile, perchè quantunque non oltraggi il mio
buon nome colui che mi dica essere io ignorante
nella lingua ebraica, in faccia alla situazione ec
cezionale di me che aspirassi ad una cattedra di
quella lingua, e dell' intendimento dell'offensore di
impedirmi d'ottenerla, quelle parole assumerebbero
il carattere di atto maligno, e la oggettività del
malefizio in siffatti termini non tanto si troverebbe

nella offesa al buon nome, quanto nel detrimento


patrimoniale che a me si vorrebbe malvagiamente
arrecare .

§. 1708 .

Adesso che abbiamo riconosciuto i caratteri ge


nerali di questa quarta classe, avviciniamoci alle
specie che vogliono essere richiamate nella mede
sima. La parola ingiuria ebbe un tempo signifi
cazione latissima , dicendosi ingiuria quidquid non
jure fit. I giureconsulti romani usavano di ricor
rere a certe formule generali per trovar modo di
dar corso alla giustizia nelle fattispecie ove non
trovavano adattabile un'azione speciale nominata
e destinata dalla legge . Per codesto rimedio giovò
loro spesso lo stellionato, come a suo luogo ve
dremo : giovò l'actio in factum con la quale col
VOL. III. 2
18

pivano civilmente quei fatti ingiusti ai quali non


si adattava una delle azioni legittimamente defi
nite ; e similmente giovò per la persecuzione pe
nale l'actio injuriarum alla quale ricorrevano
quando non trovavano un delitto nominato in un
fatto che loro sembrava meritevole di repressio
ne ( 1) . Cosi vedemmo (§. 1394 nota) che le leg
giere lesioni si punivano dai romani come ingiurie :
cosi vedemmo (§ . 1659) che anche per la viola
zione di domicilio davano l'actio injuriarum : ed
altri esempi se ne potrebbero recare innanzi .

(1 ) Dissentirono da ciò fra gli antichi romanisti Olden


dorpio, De actionibus, pag. 1113, ed altri ; i quali pensa
rono che l'actio injuriarum fosse veramente un'azione ordi
naria nascente da legge speciale. Il contrario peraltro dot
tamente dimostrò Platner, (De extraordin. crim. pag. 460)
alla cui dottrina mi attengo . Vedasi nello stesso senso Wal
ter, Storia del diritto di Roma, vol. 2, lib . 5, cap. 2, §. 760 ;
e Schiecke, De actione injuriarum , §. 2. Altri però distin
sero assegnando un'azione civile alle ingiurie , reali, ed un'a
zione meramente pretoria alle ingiurie verbali.

S. 1709.

Ma nei tempi di mezzo la parola ingiuria si


circoscrisse dai pratici ad un concetto specializ

zato, e propriamente ad esprimere gli atti offen


sivi l'onore del cittadino ( 1 ) . E in questo senso

venne comunemente definita, dictum vel factum


in alterius contemptum prolatum (2) . Subordina
tamente a tale definizione la ingiuria si distinse
in ingiuria reale e ingiuria rerbale : alla verbale
si riferi quella eseguita col mezzo di parola o detta

1
- 19

o scritta ; alla reale si riferi quella espressa con


altri segni abili a manifestare un concetto oltrag
giante. E qui s'impegno vivacissima disputa per
definire se la ingiuria commessa mediante pittura
o scultura dovesse noverarsi fra le verbali , o fra
le reali ; e vi fu su tal proposito una divergenza
fra i criminalisti che si protrasse fino ai di nostri.
Della qual disputa e respettivi argomenti, avve
gnachè più specialmente interessino alla materia
del libello famoso, terrò parola nella trattazione
di quel titolo.

(1) BIBLIOGRAFIA - Angelo, De delictis, cap. 32, 79, 80,


84 Aretino, De maleficiis, pag. 463, et 471 Feld, Ele
menta juris, pag. 323 - Vervelst, Diss. de injuriis et
famosis libellis - Boehmero, Exercitatio de iniquitate et
injustitia actionis injuriarum ; in ejus exercitationes, exerc. 96
- Bocero, Disputatio de injuriis, vol. 1, clas. 4, disput. 4
Van Vryhoff, Observationum, cap. 7, § 9. pag. 24 — Brun
nemann, Exercit. justinianeae, exercit. 25 -- Jacob, De
injuriis realibus - Censalio, In l . unica Cod. si quis Im
peratori maledixerit — Ha a rt, De injuriis - Sarno, Pra
xis, pag. 335 - Barnefeldt, De injuriis - Colero, De
cisiones Germaniae, decis. 161 - Vouglans, Les loix dans
leur ordre naturel, liv . 3, tit. 7 — Bonifacio , Instit. crimin.
lib. 2, tit. 8- Zuffio, Institut. crimin. lib. 2, tit. 10 , 12 -
Holt, Diss. de injuriis — Tho ma sio, Dissert., tom. 5, dis
sert. 3, de actione injuriarum - Diemerbroeck, Diss
de injuriis et famosis libellis — Leyser, Medit. in pandect.
spec. 562 - Bergero, Electa jurispr. crim. pars 2, obser
rat. 13 et segg. Matthaei , De criminib . lib . 47, tit. 4
- Cantera, Quaestiones criminales, cap. 7 n. 60 et seqq. -

Ciazzi, Disceptatio, 27- Harpprecht, decis. 26 A1


derwerelt, Diss. de injuriis ――――― Carrard, Jurisprudence
criminelle, tom . 2, sect. 5, cap. 1 pag. 87 — Wynants, Decis.
- 20 -
Brabantiae, dec. 89, 90 - Manzi et Martini, De eo quod
interest, pars 3, cap. 3 -— Cara vita, Instit. , lib. 1, §. 3, cap. 22
- Pao
Roosendael, De injuriis et famosis libellis
letti, Institut ., vol 2, pag 136 Gioja, Della ingiuria
-
Walter, Negli scritti germanici del Mori, vol. 1, pag. 329
Rousseaud de la Combe, Matières criminelles, part. 1,
chap. 2, sect. 6 - Drejer, De injuriis realibus, Havniae 1823
Rauter, Traité du droit crim. §. 424 — Carmignani ,
Elementa §. 1013 et seqq. ――――― Tissot, Droit pénal, vol. 2,
pag. 89 Bu u y n, La liberté de la parole, Amsterdam , 1867
Petit , Des injures et de la diffamation, Paris, 1868.
(2) Questa definizione è incensurabile perchè oggettiva. In
fatti l'essenzialità del suo concetto sta nella parola contem
ptum , disprezzo, che rappresenta qualunque offesa all'onore
senza nessun riguardo alla materialità o forma soggettiva che
si scelse dallo ingiuriante alla offesa altrui, al modo stesso
che la formula lesione personale (§ . 1403) rappresenta ogni
offesa recata alla umana personalità con qualunque siasi
mezzo . Fu del pari incensurabile la definizione che del genere
ingiuria diede all ' art. 368 il Codice toscano dicendo chiunque
abbia fatto contumelia. E poichè la parola contumelia, come
la parola contemptum, deriva dal verbo contemnere non vi ha
forma materiale di fatto esprimente disprezzo di altri la quale
possa sfuggire da siffatta definizione. Al contrario le leggi
francesi caddero anche qui nel perpetuo loro vizio delle de
finizioni soggettive o materiali : e cosi dettero come criterio
del fatto punibile le condizioni di certe forme esecutive della
intenzione di disprezzare ; e da tale errore derivarono anche
qui perniciose conseguenze nella pratica del magistero puni
tivo. Il Codice francese all'art. 471 usa la formula proferito
ingiurie, e all'art. 372 usa la formula espressioni oltraggianti.
È chiaro che così il criterio essenziale della criminosità del
fatto viene a circoscriversi nella forma soggettiva scelta per
la ingiuria. E poichè le due parole proferire ed espressioni
non possono adattarsi che ad atti eseguiti con le labbra (pro
ferire) o ad atti coi quali la mano verghi una parola cosi ne
21
consegui che la giurisprudenza di Francia dovette decidere
che le ingiurie fatte con gesti, quantunque coi medesimi si
manifesti nel modo più chiaro e più crudele un sentimento
di disprezzo, non incontrano sanzione penale. Carnot, Com
mentaire au code pénal, art. 471, n . 34. Ecco anche una volta
le conseguenze pericolose alle quali inevitabilmente conduce
il pessimo sistema delle definizioni soggettive o materiali. Que
ste portano sempre a comprendere o più del definito o meno
del definito, e cosi tradiscono lo intendimento del legislatore.
Le definizioni oggettive riescono sempre esatte. Così in Fran
cia può farsi liberamente ad un ammogliato il gesto desi
gnativo della infedeltà della moglie ; ad onesta femmina il
gesto designativo del meretricio ; a qualunque galantuomo
il gesto designativo del furto od anche peggio e il tutto senza
pericolo di pena. Non si punisce la ingiuria, ma il mezzo della
parola usato per ingiuriare. Cosi qualche criminalista fran
cese dovendo trattare delle ingiurie intitolò il suo trattato,
dei delitti della parola. Eppure queste verità non si vogliono
intendere ; ed avvi tuttora chi per gallomania si mantiene ido
latra di quel pessimo modo di definire.

S. 1710 .

Si distinse ancora fra ingiuria individuale e in


giuria collettiva : dando il primo nome all'oltraggio
diretto contro una o più persone considerate come
individui ; e dando il secondo nome all' oltraggio
che feriva un ceto od un ordine di persone, o un
corpo morale : per esempio i magistrati, i profes
sori di una università, gli scolari , un'accademia e
simili . Di questa distinzione si volle far caso come
criterio misuratore, dicendo più grave il reato nel
secondo caso che non nel primo : ma veramente la
importanza vitale di questa distinzione sorge in pro
22 --

posito dell'azione penale e della sua esperibilità ,


come vedremo a suo luogo .

S. 1711 .

Ma simili distinzioni , e varie altre che ci ver


ranno innanzi nel corso della nostra esposizione,
non mi sembrano adattate a porgere linee oppor
tune per dividere la trattazione dello argomento .
A tal uopo abbisognano dei caratteri che oltre ad
influire sulla gravità e respettiva penalità, più in
timamente pertengono alle condizioni essenziali
delle diverse forme del malefizio . Preferisco pren
dere a guida della partizione la distinzione fra
contumelia (o ingiuria in senso strettissimo) dif
famazione, e libello famoso . A ciascuna di tali
forme assegnerò una sede apposita abbandonando
affatto l'uso della parola ingiuria come denomi
nativa di una specie di questi reati ; e adoperan
dola invece per amore di chiarezza e semplicità
come sinonimo di delitto contro l'onore, e come
il generale denominatore della classe. Prima di
scendere allo esame di quelle tre configurazioni
speciali l'ordine che ho seguito fin qui mi impor
rebbe di premettere la esposizione generica dei cri
terii essenziali della ingiuria . Ma il bisogno di evi
tare ripetizioni mi consiglia invece di procedere
nella presente materia con ordine diverso, e in
certo modo prepostero, descrivendo prima le tre
singole specie che io ho accennato, perchè la espo
sizione dei criterii generali richiede spesso che già
si siano conosciute. Poscia riprenderò il mio me
todo, e allora mi sarà opportuno esaminare in di
23 ―――

stinti successivi capitoli i criterii cosi essenziali


come misuratori della ingiuria : indi mi tratterrò
un istante ad esaminare lo influsso della verità

sul convicio e scenderò poscia alla dottrina del


grado in questo malefizio ; esporrò in fine la teo
rica dell'azione penale con cui vogliono essere per
seguitate le offese all'onore, alla quale ultima si
connette la dottrina della compensazione delle in
giurie.

CAPITOLO II.

Descrizione delle specie contenute in questa classe .

§. 1712.

Nelle scuole, nella pratica, e nelle legislazioni


contemporanee, si è venuta pronunziando la divi
sione dei delitti d'ingiuria in tre specie, cioè la
diffamazione, la contumelia, e il libello famoso.
Esaminiamo dunque innanzi tutto queste tre specie.
Ma anche qui occorre pronunciarsi in faccia a qual
che divergenza che trovasi nelle respettive nozioni
appo le scuole e legislazioni contemporanee. Io
terrò dunque il sistema di accettare le tre nozioni
con quei caratteri che sono stati respettivamente
attribuiti loro dal Codice toscano, nel quale rico
nosco l'ultimo pronunciato della scienza ; notando,
come è mio stile, di mano a mano le divergenze
di altre scuole o di altre legislazioni quando mi
se ne porga occasione, e ne vegga l'importanza .
Intesi su ciò , potremo allora più rapidamente esa
minare le generalità dei delitti contro l'onore , che
- 24 ―

esprimeremo con la parola ingiuria, la quale sarà


cosi comprensiva in tale senso ed a tale fine delle
tre specialità .

TITOLO I.

Diffamazione.

§. 1713.

Il primo criterio che distingue la diffamazione (1 )


dalla contumelia, secondo il linguaggio più comune
mente ricevuto nelle scuole, è quello che si desume
dalla presenza dello ingiuriato . Quando le parole
offensive furono dette alla presenza della persona

contro la quale erano dirette, la ingiuria si distin


gue col nome di contumelia : quando invece sono
state proferite assente lui può assumere il nome
di diffamazione. Tale è il significato di questi due
vocaboli nella esattezza rigorosa del linguaggio
scientifico . E siffatta distinzione, e la idea sulla
quale s' informa, ha un cardine razionale ; inquan
tochè la presenza o l'assenza dello ingiuriato non
sia un'accidentalità indifferente sul reato d'ingiu
ria, ma si compenetri coi criterii della sua quan
tità naturale per il maggiore danno immediato che
ne deriva, e coi criterii della sua quantità politica.
per l'aumento che ne riceve il danno mediato .
Quando la ingiuria è diretta contro persona che
sia presente (2), questa può immediatamente ritor
cerla, confutarla, smentire la vituperosa asserzione,
giustificarsi in una parola appo coloro che udirono
la ingiuria ; e la verità della sua discolpa conqui
- 25

dere siflattamente la nequizia dello offensore che


del fatto non resti macchia sul nome dell'offeso ,
ed invece ne ricada disdoro e discredito sull' of
fensore nell'animo di tutti coloro che furono testi
moni. Per tal guisa il danno immediato può esser
minimo nella ingiuria se diretta contro persona
presente ; e lo allarme dei buoni avverso questa
forma di reato sarà minore per la fiducia nella
gagliardia della privata difesa . Al contrario se la
ingiuria fu lanciata dal terzo contro persona as
sente, le velenose asserzioni possono più facilmente
prendere radice nella credulità di chi le ascoltó :
perchè quelle ragioni e dimostrazioni con le quali
l'offeso poteva immediatamente smentirle, egli è
impotente a presentare essendo lontano ed ignaro
del fatto ; e quando ne venga poscia in cognizione
più assai difficile gli riescirà dileguare le sinistre
impressioni, e distruggere gli effetti della ingiuria
già divulgatasi . Perloché anche il danno mediato ,
nel malefizio che si estrinsechi sotto cotesta forma,

è assai più inteso e diffondibile per la coscienza


dei maggiori ostacoli alla difesa privata. Dunque
a cotesta distinzione risponde una conseguenza che
le toglie il carattere di puramente tecnologica, ed
è quella appunto che debbasi una penalità più se
vera contro la diffamazione, e una penalità meno
severa contro la semplice contumelia.

(1 ) La parola diffamare nella sua etimologia desunta dal


greco non esprime già la idea che oggi comunemente le si
attribuisce, cioè di togliere la fama; ma significa semplice
mente divulgare una qualche cosa, ed anzi gli eruditi ci in
segnano che il suo senso naturale è in buona parte, e solo
26
per eccezione accenna a divulgazione di cosa disonorante ;
Fabro , Thesaur, erudition. mihi col. 803 Du Cange ,
Glossarium mediae latinitatis, col. 1405. In sostanza sareb
besi presa la parola diffamare nel senso stesso in cui oggi
si prende la parola famoso ; della quale alla sua volta pre
valse in antico il senso cattivo sul senso buono, come oggi
prevale il senso buono sul senso cattivo ; mentre della parola
diffamare oggidì non si accetterebbe davvero l'uso nel senso
buono. Altra etimologia ne ha dato il Grellet Dum
zeau , De la diffamation, tom . 1, pag. 6. Non bisogna peral
tro dimenticare che se si cerca il senso di cotesta parola ne
gli scrittori che commentarono la celebre L. diffamari C. de
ingen. manum, si risica di cadere in equivoci, poichè la dif
famazione che dava luogo al rimedio civile non aveva nessun
concetto offensivo ma designava soltanto la millantazione di
un qualche diritto . Vedasi Blarero, Contardo , Olden
dorpio, Bergero e Cagnolo, nei respettivi trattati
in commento di quella legge, e la dissertazione di Conrado,
sulla stessa legge, che trovasi la sesta nella collezione Bre
mense. In proposito del quale rimedio si disputò se in base
a quella legge io possa provocare a giudizio chi vada iattando
di essere stato ingiuriato da me , e costringerlo a presentare
querela di ingiuria : Hartmanno Pistor , observ. 204.
(2) Questa osservazione, che sotto un punto di vista generale
riposa sopra una verità incontrastabile, offre difficoltà in un
caso speciale. In Francia sul proposito delle ingiurie contro
i Magistrati si pensò che fosse più grave la ingiuria diretta
al Magistrato in sua presenza, o emessa con lo intendimento
che a lui fosse riferita ; e si pensò che fosse meno grave la
ingiuria emessa appo terze persone nella fiducia che non fosse
da quello risaputa. Questo sottile pensiero produsse gravi
discussioni ad occasione della riforma che sul Codice del 1810
fu portata in Francia il 13 maggio 1883 ; la quale correg
gendo l'antico articolo 222 , alle parole chi oltraggerà un
Magistrato ; sostitui la formula chi indirizzerà un oltray
gio al Magistrato : e così la pena più severa dell'art. 222 venne
- 27
a serbarsi ai casi della ingiuria proferita in presenza dell'of
jeso. Questa specialità potrebbe credersi che contradicesse il
criterio di proporzione che qui sostengo. Ma non è vero . Nella
ipotesi dell'oltraggio al Magistrato non si considera il solo
criterio della offesa all'onore : ma esercita un influsso preva
lente la contemplazione della mancata reverenza alla dignità
ed autorità dello ufficio. Ed allora ognuno comprende che la
presenza dell'offeso, mostrando maggiore audacia ed intem
peranza nell'offensore, e maggiore vilipendio dell'ufficio, au
menti anzichè diminuire la quantità del reato.

S. 1714.

Ma questa differenza di penalità richiesta dalle


difformi condizioni dei fatti è quella precisamente
che ha condotto le legislazioni ad impropriare il
significato di quella distinzione e di quei vocaboli,
dando della diffamazione una nozione più ristretta
e condizionata. Avvegnachè siasi avvertito che sif
fatta gravità maggiore della diffamazione subisce
l'influsso del numero delle persone che ricevettero
la comunicazione ingiuriosa ; e l'influsso del con
cetto stesso ingiurioso, secondochè nel medesimo
si contenga una semplice manifestazione di dispre
gio o piuttosto la imputazione di un fatto immorale
o criminoso . La necessità di tenere a calcolo queste
circostanze condusse, come ho detto, a restringere
il concetto della diffamazione : e nelle legislazioni
contemporanee non si diede questo titolo a qual
sisia contumelia purchè proferita fuori della pre
senza dell'offeso, ma a quelle soltanto che nell'as
senza dell' offeso si proferivano comunicando con
più persone, e che inoltre contenevano in loro la
imputazione di un fatto o criminoso o immorale.
- 28 ―――――――

E da ciò nacquero gli altri due criterii che com


pletano la nozione di questo reato. Può dunque
esso definirsi con i seguenti termini - la impu
tazione di un fatto criminoso od immorale di
retta dolosamente contro un assente e comunicata
a più persone separate o riunite . Laonde gli
estremi di questo reato speciale sono i seguenti :
1° dolo : - 2º l'assenza : -3° la imputazione :
-4° la comunicazione.

§. 1715.

PRIMO ESTREMO - Dolo. Il dolo è condizione co

mune a tutti i delitti, laonde quando nella defini


zione di un qualche speciale malefizio si aggiunge
esplicitamente cotesta condizione , ciò significa che
in quel tal malefizio , o si esige un dolo di certa
forma particolare , o una particolare funzione giu
ridica si esercita in quello dal dolo . Questo av
viene appunto nel reato che adesso ci occupa. Ma
poichè le funzioni speciali del dolo nei reati contro
l'onore , sotto un punto di vista comune, offrono
argomento di interessanti osservazioni che si ri
chiamano ai criterii essenziali della ingiuria (e
precisamente al suo elemento intenzionale) cosi non
dimoro adesso su questo primo estremo.

§. 1716 .

SECONDO ESTREMO - Assenza. Ho già detto che


l'assenza dello ingiuriato è il criterio per cui la
scuola distingue la diffamazione della ingiuria, ed
ho pure accennato le ragioni solide e gravissime
29 -

dalle quali scaturisce siffatto modo di distinzione.


Ne questa differenziale può essere meno vera e
meno valutabile perchè alcuni scrittori l'abbiano
dimenticata, nè perché alcuni Codici abbiano in
lettera parificato la ingiuria contro lo assente alla
ingiuria contro il presente. Ciò che può essere pia
ciuto ad uno o ad altro legislatore non muta la
nozione scientifica di un reato . Se cosi fosse non

si avrebbe più nella scienza penale nessuna nozione


costante ; non vi sarebbe più reato che potesse de
finirsi con caratteri stabili e determinati, ed una
trattazione teoretica dei delitti in specie divenendo
cosa impossibile, non si potrebbe far altro che dei
lavori di commento sui diritti costituiti. Sia pure
che il Codice estense (art. 446 ) e il Codice sardo
(art. 570) parifichino la presenza all'assenza . La
diversa nozione e il diverso criterio piaciuto a qual
che legislatore non muta la dottrina. Questi le
gislatori hanno preferito (ed erano padroni di farlo)
il criterio della pubblicità , indistintamente ravvi
sando diffamazione in quelle imputazioni che furono
proferite in luogo pubblico, od in pubblica riunione
ancorché presente l'offeso . In una parola con la di
stinzione fra diffamazione e contumelia hanno ripro
dotto la classica distinzione d'ingiuria con convicio,
ed ingiuria senza convicio , della quale dirò in ap
presso ; e la ingiuria con convicio quando contenga
la imputazione di certi fatti, hanno identificato alla.
diffamazione. Ma vi ha ragione di distinguere caso
da caso come fecero i più accurati fra i nostri mae
stri. La contumelia che si commetta con convicio

è certamente più grave di quella sine convicio. Ma


non è diffamazione quando anche contenga la impu
30
tazione di un fatto determinato. E con cotesto si
stema si viene ad escludere la più severa repres
sione e il titolo di diffamazione dal fatto di colui

che malignamente sia andato raccontando a qualche


centinaia di cittadini che io (a modo di esempio)
gli ho rubato l'orologio, purchè abbia avuto la
cautela di non dirlo in luogo pubblico od in una
riunione di gente. Questo fatto mi nuoce assai più
per l'effetto che produce la rivelazione confiden
ziale, e per la impotenza di giustificarmi nella quale
mi pone l'assenza mia, di quello che non mi nuoc
cia la stessa imputazione lanciata contro di me in
una contesa in presenza mia sia pure davanti ad
un numero di persone ed in pubblico luogo ; si
perchè la circostanza del diverbio toglie fede allo
asserto, rivelando lo sdegno di chi lo proferisce ;
si perchè io posso immediatamente contradire.

S. 1717.

Il Codice toscano (art. 366) evitò simile incon


veniente sanzionando la indifferenza del convicio.

nella diffamazione ; la quale per lui ricorre tanto


se a due persone riunite, quanto se a due persone
separatamente e in segreto siasi comunicata la im
putazione. Avendo esso pertanto declinato ogni con
siderazione di pubblicità, di luogo, o di riunione
nel definire questo reato , mi indussi a ritenere che
avesse richiesto come estremo l'assenza dello in

giuriato. Ed io la penso cosi , salvo il debito ri


spetto al compianto Puccioni ; il quale (senza
sottoporre il dubbio a matura discussione) enunció

il contrario, tratto forse in tale pensiero dal silen


31 -

zio di quell'articolo . Ma la taciuta condizione del


l'assenza è agli occhi miei bastantemente supplita
dalla parola comunicando : la quale, vogliasi o no,
descrivere il fatto di chi dice male di me parlando
con altri, ed esclude il fatto di chi m'insulta par
lando con me; perchè costui non comunica con
altre persone, ma con me. Tutto al più può dirsi
che la presenza accidentale non esclude il reato
quando (a modo di esempio) in una sala ove io pure
mi trovo, il mio nemico parla di me con altre per
sone in un angolo di quella sala senza che io possa
udire. Allora vi sarà identità di ragione, e l' ac
cidentalità della mia presenza non sarà valutabile,
o a meglio dire non si costituirà la presenza giu
ridica per la mera presenza materiale dell' offeso
che non intende, e non può rispondere ad un di
scorso ignoto. In sostanza i soggetti passivi della
diffamazione dovranno sempre essere i soli estranei ;
se lo sono gli estranei ed il paziente non è più dif
famazione : è contumelia con pubblicità , contumelia
con convicio, contumelia, secondo i casi , atroce o
qualificata, ma non diffamazione . Nella mia pratica
non ebbi mai un caso in cui si volesse applicare
il titolo di diffamazione alle asseverazioni di fatti
disonorati lanciate contro alcuno in un diverbio,
solo perchè vi fossero due persone presenti . Në
conosco alcun giudicato in cotesti termini puri di
fatto : e quando la questione in termini semplici
si presentasse parrebbemi doversi risolvere secondo
il pensiero mio . Questo io riduco ad una sola pro
posizione. La legge, per distinguere dalla contu
melia la diffamazione, o bisogna che pigli il cri
terio della pubblicità o bisogna che pigli il criterio
- 32 -

della assenza. Il criterio della pubblicità non si è


accettato dal Codice toscano : ciò è positivo ; non
una parola sul luogo ; non una parola sulla riu
nione ; anzi apertamente si appaga che la comuni
cazione sia stata fatta da SOLO A SOLO e IN LUOGO

PRIVATO ; si appaga di questo, poichè non fa di


stinzione di luogo ; si appaga di quello perchè usa
la formula anche separate. Supplire coteste due
condizioni sarebbe lo stesso che aggiungere al Co
dice toscano la lettera di altri Codici che esso non

usa, e chiudere gli occhi alla lettera che usa . Dun


que se il Codice toscano niente si è curato del cri
terio della pubblicità è manifesto che ha adottato
il criterio dell'assenza . Altrimenti si anderebbe al
l'assurdo che due contumelie lanciate contro di me
in due diverbi in luogo solitario ed in presenza di
una sola persona con imputazione di qualche fatto,
diverrebbero diffamazioni per l'accidentalità che al
secondo alterco si trovò presente una persona di
versa da quella che si trovò presente al primo . Cosi
non solo si introdurrebbe il singolare concetto che
la reiterazione facesse mutare specie al reato, ma
anche l'altro ben più antigiuridico che il reato si
definisse secondo le qualità personali dei testimoni.
Tizio è venuto in casa mia a molestarmi : io l'ho

cacciato dicendogli , vanne fuori, che altra volta mi


rubasti un libro : vi era presente il mio domestico :
Tizio, anche dopo lungo intervallo, è tornato a mo
lestarmi in mia casa, ed io ho ripetuto contro di
lui la stessa inventiva : ma questa volta vi era pre
sente la fantesca. Ecco : Tizio potrà querelarmi di
diffamazione, e secondo la opinione che io combatto,
non potrò ridurre la mia colpa alla sua vera mi
- 33

sura sostenendola duplice contumelia. La imputa


zione di fatto determinato è irrecusabile : se la pre
senza di due persone diverse basta ad affermare
che io ho comunicato con due persone separate,
sarà la reiterazione ed il caso che mi avranno ren

duto diffamatore. Ma no ; l'articolo 366 non volle


appagarsi del solo ascoltare due persone, perchè se
ciò avesse voluto avrebbe fatte sue le definizioni di

altri Codici ed avrebbe per la più semplice detto


in presenza di due persone o separate o riunite.
No, la legge volle che io comunicassi coi terzi e
non con l'offeso, e le sue parole non debbono im
propriarsi a fine odioso : quando io litigo col nemico
non comunico con altri. E chiara si scorge anche
la differenziale della proeresi criminosa, perchè lo
intendimento di diffamare bene si avrà quando io

narri il fatto a terze persone : laddove quando allo


stesso nemico dirigo le parole mie altro non voglio
se non che mortificarlo, recargli oltraggio o dolore ,
dare in una parola uno sfogo alla rabbia che mi
invade : nè a tale stato di animo si adatta la figura
insidiosa del diffamatore . Tale almeno è la mia ferma

opinione cosi in faccia all'articolo toscano come in


faccia al diritto costituendo ( 1 ) .

(1) Queste idee ben lungi dallo essere contradette dalla


giurisprudenza toscana trovano invece conforto nella deci
sione della Corte di cassazione del di 28 marzo 1855 : Annali,
anno 17, part. I, col. 274. L'antica pratica di giudicare to
scana non ammetteva dubbio per questa caratteristica della
diffamazione. Vedasi Puccioni, Commento, vol. 4, pag. 652
-Carmignani, Elementa, §. 1015 -- Cerretelli, alla
parola ingiuria, nn. 11, 25 ; e il decreto della Cassazione del

VOL. III . 3
――― 31 -

22 settembre 1848 (Annali, anno 10, part. I. col. 402), dove si,
proclama essere l'assenza dello ingiuriato estremo indispen
sabile della diffamazione per la dottrina comune : Ursaya,
Instit. crim. lib . 2, tit. 9, n . 98 Creman i, De jure crimin.
lib. 2, cap. 7, art. 7, §. 3 - Contoli, Dei delitti e delle pene,
vol. 5, pag. 182 Giuliani, Istituzioni, vol. 2, pag. 460
- Puccioni, Saggio, pag. 486. Avversò in radice cotesta

dottrina l'Angelo (De delictis, pars 1, cap. 79, n. 26),


insinuando come regola generale non potersi commettere
ingiuria contro gli assenti ; ed espresse ciò con la formula
contra absentes et mortuos non fit injuria. Il contrario però ,
sull'autorità del Saliceto, sostenne Bossi Tit. de in
juriis, n. 35 ; ed esplicito era il testo nella l. 15, §. 7 ff. de
injuriis ; ma forse lo stesso Angelo, non espresse chia
ramente il suo concetto, o forse fu male compreso dai suc
cessivi dottori che lo criticarono ; inquantochè probabilmente
volle esprimere appunto un criterio esclusivo della contumelia
nell'assenza dell' ingiuriato e non negare assolutamente ogni
imputabilità. Non fit injuria : cioè non sorge il titolo di in
giuria in senso stretto ; ma ciò non esclude che possa sorgere
altro titolo : e come sorge il titolo di violato sepolcro nelle
offese ai cadaveri a confessione dello stesso Angelo (pars 1,
cap. 117), cosi può sorgere per lui il titolo di diffamazione
contro gli assenti.

§. 1718.

TERZO ESTREMO Imputazione . Se peraltro l'as

senza dello ingiuriato può di per sè aumentare la


gravità della ingiuria non basta a convertirla in
diffamazione , se con la proposizione offensiva non
s'imputa un qualche fatto determinato, o crimi
noso o immorale . Non basta che s'imputi un vizio,
genericamente dicendo Sejo è un ladro , Caio un
――― 35 -

lenone, per quanto questi due addebiti abbiano


implicito l'obietto della criminosità e della immo
ralità, perchè non esprimendo un fatto determinato
si risolvono in una vaga asserzione che niente ha
di positivo. Questo criterio che secondo la nostra
giurisprudenza è uno degli estremi della diffama
zione, ne costitui la essenza principale secondo la
legge francese del 17 maggio 1819 ; la quale al
l'art. 13 nettamente segnò in questo la distinzione
fra diffamazione ed ingiuria, affermando essere diffa
mazione qualunque imputazione di un fatto che
porti detrimento all'onore ; ed essere invece ingiuria
qualunque espressione oltraggiosa o dispregiante
che non contenga imputazione di alcun fatto ( 1) .
In generale la differenza che passa fra lo impu
tare un vizio e lo imputare un fatto è rilevata
come importante dagli scrittori e Codici contem
poranei, sebbene alcuni non ne desumano una di
versità di titolo ma soltanto una differenza di
quantità . Ripeto però anche una volta che se vo
lesse in certi reati elastici tenersi dietro alle di
vergenti opinioni non si arriverebbe mai a costruire
una definizione. Bisogna scegliere quella nozione
che più persuade l'animo e più si avvalora per
numero dei dotti che l'accettarono. Tengasi dun
que la imputazione di un fatto come uno degli
estremi della diffamazione senza però riconoscere
in lui solo l'abilità di costituirla. Alcuni nella de

scrizione di questo estremo aggiunsero ancora che


il fatto imputato dovesse essere tale da esporre
al disprezzo o all'odio dei cittadini : ma questo
a me parve sempre un pleonasmo essendo che niente

altro esprima tranne la necessaria conseguenza della


36 -
immoralità o criminosità del fatto . Questa adiezione
potè essere utile quando nella nozione del reato si
stimò bastare la imputazione di un vizio perchè
de'vizi ve ne possono essere che non espongano
all'odio o al disprezzo comune : poscia si ripetė
l'adiezione senza avvertire al cambiamento che la
rendeva superflua .

(1 ) Il codice penale francese del 1810, all'art . 367 e se


guenti, era anche in questo argomento caduto nelle più strane
confusioni, dando il titolo di calunnia alla diffamazione, e
sovvertendo i più sensibili criterii nella misura della repres
sione . Presto si senti il bisogno di correggere siffatti errori,
ed a tal fine con la legge del 1819 si stabili nel giure fran
cese la nozione della diffamazione. Se ne prese a criterio de
terminante la imputazione di un fatto preciso, e si puni
quando era commessa contro i privati col carcere da cinque
giorni ad un anno, o con la multa da 25 a 2000 franchi . Dove
non era imputazione di un fatto preciso si ritenne il titolo
d'ingiuria ; e questa (art. 19), quando contenesse la impu.
tazione di un vizio determinato ed avesse pubblicità, si puni
con la multa da 16 a 500 franchi : e quando (art. 20) le man
casse il carattere della pubblicità o quello di contenere la
imputazione di un vizio determinato si puni con pene di sem
plice polizia. Vedasi Eloy, Code d'Audience, pag. 91 — Li
gnon, De la diffamation envers les particuliers, Toulouse 1869,
-- Grellet Dumazeau, Traité de la diffa
pay. 86
mation, vol. 1, pag. 184. Cosi in obbedienza a questo cri
terio fu deciso (Morin, art. 8135) che tacciare alcuno di
falsario non è diffamazione ma ingiuria. E la importanza
della natura del fatto obiettato fu tale che quando questo
avesse i caratteri di diffamatorio se ne volle desumere per
presunzione la intenzione colpevole in chi l'obiettò quantun
que non dichiarata nella sentenza : Corte di cassazione di
Francia, 11 novembre 1865 : Morin, art. 8203 : massima
37
assai grave e pericolosa . Ma anche con questa legge e con
queste definizioni non si raggiunse la esattezza necessaria
per ben discernere caso da caso in tali reati.

§. 1719 .

QUARTO ESTREMO - Comunicazione . La condi

zione della pubblicità del luogo e della riunione


di persone, che da alcune ( 1 ) legislazioni (come
quella di Francia) si richiese a costituire la dif
famazione, forse per una modificazione dell'antico
convicio (del quale ad altro luogo diremo) si espresse
invece dalle scuole moderne e dai Codici che le

seguitarono, con la formula comunicando con più


persone. E bene fu esatto il pensiero al quale ispi
rossi codesta emenda ; avvegnachè nella nozione dei
malefizi non è alle accidentalità ma alla sostanza
che si deve tener fisa la mente. La sostanza della
diffamazione si trova nel fatto di andare divul
gando un'imputazione disonorante contro di alcuno.
Può accadere che un discorso fatto in luogo pub
blico ed anche in presenza di più persone non siasi
udito, e cosi la divulgazione non sia avvenuta. Per
lochè col definire la diffamazione sul criterio di
tali circostanze esteriori si corre rischio di trovare.

diffamazione in un fatto, nel quale sebbene ricor


rano quelle accidentalità esteriori che la defini
zione descrive, non s'incontri ciò che nella sostanza
costituisce la vera causa della gravità maggiore
del titolo . E per lo contrario, come già ho detto,
può avvenire che siasi fatta malignamente larghis
sima divulgazione dello addebito, e cosi siasi posto
in essere ciò che costituisce la ragione del più grave
―― 38 -

titolo, e nonostante non possa il più grave titolo


applicarsi perchè fu evitata la condizione esteriore
del luogo pubblico o della riunione . Controsensi
sono questi che si rivelano nelle pratiche applica
zioni all'occhio dell'osservatore : e per tali osser
vazioni si elabora e si perfeziona la scienza . E fu
appunto una elaborazione della scienza sostituire

alle vecchie inadequate formule la nuova formula


della comunicazione. Perchè questa nettamente de
scrive un fatto che non può avvenire senza che ne
seguiti la divulgazione, nel tempo stesso che la
divulgazione non può avvenire senza quel fatto,
laonde non vi è pericolo che la nuova formula col
pisca giammai nè più del definito, nè meno del
definito . Dicendo poi con più persone si viene ad
esprimere che può costituire diffamazione in ordine
a questo estremo anche la comunicazione fatta a
due sole persone, le quali è indifferente che fossero
riunite o separate. Ridicola cautela della vecchia
formula, quasichè un fatto si venisse a conoscere
meno quando vien detto a molti da solo a solo di
quello che quando ci vien detto mentre siamo in
più di uno. Del rimanente la formula comunica
zione è generica, e non esprime limiti in quanto
al modo ; cosicchè tanto vale che si sia comunicato
a più persone parlando con loro, quanto narrando
loro la cosa per lettera (2) .

(1) Calcando le orme del Codice francese del 1810 parec


chi legislatori moderni hanno affatto smarrito la distinzione
fra diffamazione e libello famoso. L'una e l'altra figura com
prendendo sotto la denominazione di calunnia, e cosi alterando
il significato anche di questo vocabolo che più propriamente
nel linguaggio scientifico designa una falsa imputazione pre
39 ―
sentata alla giustizia. Cosi ha fatto il Codice spagnolo del 1848
(art. 375 e segg.) che dà il nome di calunnia verbale alla
diffamazione, e di calunnia scritta al libello famoso. Cosi
il Codice bavaro del 1813 (art. 286) distinse la calunnia in
giudiciale e stragiudiciale, e distinse di più nella pena il caso
in cui sia imputato un fatto criminoso punibile almeno con
la casa di lavoro o di forza ; e il caso (art. 393) in cui la im
putazione cada sopra delitto minore. Così il codice del Bra
sile ( art. 229) il quale pure denomina calunnia la imputazione
stragiudiziale di un grave delitto, qualificando tutti gli altri
casi come semplice ingiuria. Così designò la diffamazione col
nome di calunnia il Codice di Friburgo (art. 359) allargan
done il concetto. Ma siffatta nomenclatura, oltre a confon
dere la nozione giuridica della calunnia con la sua nozione
volgare e con quella della diffamazione, presenta repugnanza
in quanto viene possibilmente a dirsi calunniosa un'asser
zione che contiene la verità. Non si impacciò in alcuna de
nominazione il Codice di Vaud, nè il Codice austriaco, usando
la formula generale offese allo onore. Più singolare è il Codice
dei Grigioni ( art. 203 ) che rilascia all'arbitrio dei giudici cosi
la definizione come la punizione dei reati contro l'onore. Il
Codice maltese ( art. 240) niente distingue fra ingiuria e dif
famazione. Il codice di Neuchâtel (art. 192 ) desunse il cri
terio della diffamazione dalle semplici condizioni intrinseche
dichiarando tale qualunque imputazione di un fatto disono
rante. Il progetto portoghese (art. 258) desunse il criterio
delimitativo della diffamazione e della ingiuria dallo essere
imputato un fatto delittuoso o un fatto soltanto immorale
o denigrante.
(2) Anche quando si divulga il fatto disonorante col mezzo
di lettere scritte a più persone si trova evidente la comu
nicazione intenzionale. Bisogna però che la comunicazione a
più persone provenga direttamente dallo accusato . E sarebbe
errore il credere equivalente la circostanza che la comuni
cazione fatta ad una sola persona fosse stata da questa ri
petuta ad altre molte.
40 -

§. 1720 .

Il complesso di questi criterii ( 1 ) costituisce la


nozione giuridica della diffamazione. Dico nozione
giuridica, perchè tale io la sostengo ; e tale la ri
tenne la Cassazione di Francia (31 decembre 1863 ;
Morin, art. 1762) la quale decise che il giudi
care se certe circostanze costituiscano o no diffa

mazione è questione di diritto, e perciò la Corte


Suprema è competente a conoscere se l'apprezza
zione fu o no conforme alla volontà della legge.
Tali estremi, oltre le generalità comuni ai delitti
d'ingiuria, la circoscrivono in guisa, che se alcuno
di loro difetti si scende al titolo inferiore della
contumelia, e se alcun altro se ne aggiunga si
può salire al titolo di libello famoso .

(1 ) Al momento che le enumerate circostanze costituiscono


i criterii essenziali della diffamazione , è manifesto che di tutti
e di ciascuno di loro si debba fare precisa e specifica con
testazione nel libello accusatorio. Se io venni accusato di
avere diffamato Cajo per avergli imputato un furto, non po
trà nel giudizio orale assumere Cajo la prova che lo diffa
mai imputandogli uno stupro se io fui accusato di avere
diffamato Cajo a Livorno non potrà assumere la prova che
lo diffamai a Pisa , e cosi pretendere di ottenere la mia con
danna per un fatto diverso da quello che mi fu contestato :
contradire questa verità non parmi si possa senza conculcare
il sacro diritto della difesa . Trovo ciò non ostante che un
giudicato di Francia del 1 ° giugno 1866 (Morin, art. 8326)
ha deciso che il Tribunale di appello sull'accusa di diffama
P

zione può prendere in esame altre parti dello scritto incri


minato oltre quelle denunziate ai primi giudici, ed anche altri
–A
41 ――――
scritti diffamatorii oltre quello incriminato. Con tali massime
non rimane che condannare i cittadini senza partecipazione
di accusa ; e la libertà della difesa è completa !

TITOLO II .

Libello famoso.

§. 1721 .

Il delitto di libello famoso (1 ) non è altro che


una diffamazione qualificata dal modo . E il modo
che la qualifica è quello della scrittura, scelta
come organo alla comunicazione dell'addebito di
sonorante. La ragione della maggiore gravità di
questo titolo sta appunto nella maggiore perma
nenza della parola offensiva quando è consegnata
allo scritto. Non sempre basta peraltro la scrit
tura a costituire lo estremo che fa degenerare la
diffamazione in libello famoso, ma bisogna che oltre
la scrittura ricorrano quelle condizioni che com
pletano la ragione dello aggravamento. Vale a dire
che vi concorra in potenza od in atto la divul
gazione.

(1 ) Molti scrittori danno al libello famoso il nome di pasqui


nata che però non coincide esattamente alla nozione giuri
dica. Questa parola derivata dalla celebre statua del Pasquino
in Roma è divenuta classica nei criminalisti specialmente ale
manni, i quali si dilettano a designare col nome di Pasquilli
i libelli famosi. Trovo nel Carpzovio (Practica, pars 2,
quaest. 98, n. 3), la storia della origine di questa statua detta
del Pasquino, che egli dice essere stato un sartore celebre
per le sue arguzie in derisione dei cardinali, al quale dopo
la sua morte i romani avrebbero eretto quella statua ritraen
――――――――――― 42 -

dolo in abito di gladiatore, e quindi (quasi a perpetuare la


sua vita oltre la tomba e farlo parlare dopo morte) avrebbero
messo su la usanza di affiggere satire a quella statua : la quale
istoria, che ripetono l'un dopo l'altro i criminalisti alemanni,
se sia o no veritiera lo giudichino gli eruditi. Ho detto che
non risponde esattamente alla nozione giuridica del libello
famoso, potendo aversi una pasquinata che non sia libello
perchè metta in ridicolo qualcuno senza imputargli un fatto
criminoso o immorale.

§. 1722.

Dico in potenza od in atto, poichè bene si di


stingue secondo la natura dello scritto. O trattasi
di scritture autentiche o pubbliche, e la sola in
serzione nelle medesime della imputazione in un
qualche fatto determinato criminoso o immorale,
esaurisce la condizione della pubblicità per causa
della mera potenza, quantunque la divulgazione
effettiva non sia per anco avvenuta . Infatti scrit
ture di codesto genere essendo destinate a cadere
sotto gli occhi di chiunque abbia interesse o brama
di consultarle, il colpevole che abbia colà inserito
un'accusa denigrante a danno della persona odiata,
ha certezza che la divulgazione o presto o tardi
avverrà . È questo uno dei casi nei quali il danno
potenziale equivale al danno effettivo . Non può dire
che non diede pubblicità all'oltraggio colui che
l'oltraggio inseri in un pubblico documento ( 1) .

(1) È indubitato che la parola documento pubblico nel reato


di libello famoso si prende in un senso più largo di quello
nel quale si accoglie in tema di delitto di falso ; come a suo
luogo vedremo.
43

S. 1723.

O invece la imputazione del fatto determinato


si consegnò in una privata scrittura redatta a
mano o stampata , o si atlidò ad altro segno rap
presentativo del pensiero ; ed allora non essendo
simili scritti per natura loro necessariamente de
stinati a cadere sotto gli occhi del pubblico, oc
corre ad esaurire gli estremi del libello famoso
che sussegua un fatto ulteriore : occorre cioè che
tali scritti o segni siano stati affissi, diffusi, espo
sti, od in altra guisa portati a notizia comune :
occorre in una parola che abbia avuto luogo quella
che nelle scuole si chiama divulgazione del libello .
Non è che nella categoria degli autentici si pre
scinda dallo estremo della divulgazione del libello ,
che tutte le scuole esigono come condizione inde
clinabile : no ; la divulgazione si esige anche in
quelli , ma già si tiene come bastantemente ese
guita col solo inserimento nell'atto pubblico. Ecco
perchè dissi esigersi la divulgazione in atto o in
potenza. Ma quando la scrittura, anche impressa a
stampa, non ha il carattere di documento pubblico
destinato a lunga e pubblica vita, la divulgazione
del libello è necessario che si verifichi come fatto

successivo allo scrivere ed allo stampare. Anzi vuole


essere notato che per comune consenso di tutti i
criminalisti, il momento della consumazione di
questo reato non sta nello scrivere o nello stam
pare, ma nel divulgare : cosicché il vero autore
del reato non è già chi scrisse il libello, ma chi
lo divulgò e mentre chi lo scrisse può ancora di
44

chiararsi innocente, non lo può chi scientemente


lo diffuse. Regola notabilissima in proposito della
teorica della complicità e del tentativo, come avremo
luogo di spiegare quando parleremo del grado in
questo malefizio.

S. 1724 .

Ma oltre il modo della scrittura può sorgere il


titolo di libello famoso quando la imputazione sia
espressa con altri segni rappresentativi del pen
siero, purché abbiano il carattere della perma
nenza . Perciò anche la imputazione di un fatto de
terminato espressa mediante pittura o scultura
esaurisce le condizioni del delitto di libello famoso .

Fu su questo proposito grandissima la divergenza


dei dottori : avvegnachè molti insegnassero (1 ) che
la ingiuria mediante dipinto o scultura dovesse re
ferirsi alle ingiurie reali ; mentre molti altri non
meno autorevoli criminalisti sostenevano doversi
referire alle ingiurie scritte, argomentando dalla
1. 5, §. 10 ff. de injuriis. La quale disputa, che
poteva nei casi semplici apparire meramente no
minale, assumeva importanza grandissima in pro
posito del libello famoso ; al qual titolo trovandosi
apposta negli antichi dettati come condizione la
scrittura, ne avveniva che l'autore di una pittura
mai non potesse soggettarsi alla pena del libello
famoso se la pittura non cadeva fra le ingiurie
scritte quantunque ogni altro estremo del malefizio
potesse ricorrere. E la importanza della questione
cresceva a dismisura rimpetto alle più esorbitanti
penalità che le antiche leggi minacciavano contro
45 ―――――

il libello famoso . Ma se vi fu ragione di dubitare


su ciò negli antichi tempi quando nella difficile
moltiplicazione delle pitture scorgevasi un motivo
di meno temerne la divulgazione, tale ragione di
dubitare, che già veniva diminuendo dopo la in
venzione delle stampe e della litografia, affatto cessò
in faccia al ritrovato della fotografia : con la quale
può farsi rapidissimamente la diffusione di un ri
tratto in migliaia di esemplari. E poichè anche
mediante un ritratto abilmente delineato può de
scriversi una persona per guisa che ognuno age
volmente lo riconosca, e descriversi in tale attitu
dine che aperta esprima la imputazione di un fatto
determinato o criminoso o immorale, le antiche
dubitazioni dovettero cessare. Cosicchè più non si
controverte oggidi che ne possa emergere il reato
di libello famoso ; e per conseguenza nella moderna
definizione di tale reato si accolse la generica for
mula, qualunque segno rappresentante il pen
siero (2).

(1) Fra coloro che sostenevano non potersi adeguare alle


ingiurie scritte quelle commesse mediante pittura figurano
Anton Matteo, De crimin. lib. 47, tit. 4, cap. 1, n. 1 --

Carmignani, Elementa, §. 1024 - Kemmerich, Syno


psis lib. 2, tit. 5, n. 15. Fra coloro invece che volevano ade
guata la pittura allo scritto noterò Claro , §. finale quaest. 68
-Bergero, Electa jurisprud. vol. 1, pag. 86 - Raynaldo,
Observat. crim. cap. 11, §. 1, n. 3 Sarno , Praxis, pars 2,
form. 10, n. 12 - Muscatello , Praxis crimin. tit. de in
juriis, n. 12 --- Farinaccio, cons. 30, n. 10 - Puttmann,
Elementa, §. 414 Koch, Institut. §. 371 Giuliani,
Istituzioni, vol. 2, pag. 461 Cremani, De jure criminali,
lib. 2, cap. 7, art. 7, §. 8 - Puccioni, Saggio, pag. 487:
- 46 -
sono a vedersi su questa specialità Brunquell , Dissert.
de pictura famosa, e Kluber, De pictura contumeliosa. In
questa disputa esercitò un gran giuoco la deferenza alla let
tera della legge piuttosto che allo spirito della medesima ed
alla sostanza della cosa. In faccia al più esatto significato
delle parole è giustissima la osservazione che fece Ambro
soli, nella nota aggiunta al §. 1024 del Carmignani , av
vertendo essere un singolare abuso di parole riferite al libello
famoso la pittura . Ma la obbedienza allo stretto significato
di un vocabolo se può essere decisiva nella interpetrazione
del diritto costituito, non deve influire sul diritto costituendo,
il quale determina i fatti criminosi secondo i principii e la
natura delle cose : che se ad un fatto esattamente determi
nato viene applicata una denominazione inesatta, questa è
buona ragione per mutare la denominazione, ma non per mo
dificare la regola . Ad occasione delle pitture infamanti si
dilettarono i giuristi a raccogliere varii aneddoti. Curiosis
simo è quello che ricorda Thomas io, nelle sue adnotatio
nes ad Strauchium, pag. 258.
(2) Parrebbe che le monete e le medaglie male si prestas
sero a convertirsi a strumento di libelli famosi : ma le storie
delle antiche guerre ci ricordano come fosse costumanza dei
capitani belligeranti di coniare monete sotto le città assediate
o in dispregio dei vinti. Quest'uso si imitò dai privati (e sono
celebri le medaglie coniate contro l'Aretino) ; e trovasi che
gli antichi previdero siffatto caso, ed insegnarono che anche
mediante il conio di una moneta si potea commettere libello
famoso. Speciale su cotesto argomento è la dissertazione del
Klotz, De nummis contumeliosis et satyricis : in opusc. num
mar.p. 1 et seqq. Vedasi anche Eberhard, De famosis li
bellis, Lipsia, 1799, pag. 11.

§. 1725.

Tale è la nozione odierna del delitto di libello

famoso ; la quale peraltro bisogna notare che venne


――――――――― 47

sempre di mano a mano allargandosi nel tempo


stesso che se ne addolcivano le penalità . In antico
ad avere il libello famoso si richiedeva che il fatto

imputato costituisse non solo un delitto, ma di più


un delitto infamante, onde venne il nome di li
bello famoso. Poscia si tenne bastevole la impu
tazione di un delitto quantunque non infamato :
Puccioni, Commentario, vol. 1, pag. 657 e 66 1.
Da ultimo si estese la nozione per guisa che anche
la imputazione di un fatto immorale quantunque
non criminoso si accettò come sufficiente a costi

tuire questo reato purché non si avesse il solo ge


nerico rinfaccio di un vizio ; ma la imputazione di
un fatto determinato (1 ).

(1) Ritengono sufficiente a costituire il libello famoso qua


lunque imputazione disonorevole, Puttmann, Elementa,
§. 414 Clasen , ad art. 110 , C. C. C. Bocero , De
famosis libellis, lib. 1, n . 3, pag. 8. Esigono invece come estremo
del libello famoso la imputazione di delitto infamante : Hahn ,
Ad Wesembecium , tit. de injuriis, n . 29 — Boehmero, ad
art. 110, C. C. C. §. 2 Bergero, pars 1, pag. 87 - Pe
guera, decis. 77, n . 7 - Vogler, De homicidio linguae,
§. 7 Cramer, obser. 890 Kress, ad art. 110, C. C. C.
Renazzi , Elementa, lib. 4, pars 4, cap. 10 - Cremani,
lib. 2, cap. 7, art. 7, §. 7 - Paoletti, Institut. lib. 5, tit. 1·

§. 1726.

Del resto non è questa sola la variazione che


il volgere del tempo e il mutare di opinioni recó
nella nozione del presente titolo di reato. Altra
oscillazione importante si trova in proposito della
condizione dell'anonimo . Generalmente si tenne
- 48 -

dietro al concetto che appariva espresso da Ul


piano alla leg . 5, §. 9 ff. de injuriis ; dal quale
frammento si indusse che niente tolga alla essenza .
di questo reato lo essersi dall'autore apposta la
firma col vero nome allo scritto ; e la maggior
parte dei criminalisti ( 1 ) vollero punito come reo
di libello famoso tanto chi avesse occultato il suo
nome quanto chi lo avesse audacemente palesato :
Puccioni , Commentario, vol. 4, pag . 658. Altri
al contrario opinarono che quando lo scritto fosse
firmato col vero nome dell'autore il reato dege
nerasse in ingiuria, e più non potesse punirsi come
famoso libello . A tale pensiero furono codesti cri
minalisti condotti per diversa ragione ; gli scrit
tori alemanni trovarono per un certo tempo suffi
ciente motivo di cosi decidere per la disposizione
dell' articolo 110 della Nemesi Carolina , dove
espressamente al titolo di libello famoso si esige
come condizione lo anonimo : altri invece partirono
da considerazioni giuridiche ; e ravvisando che lo
anonimo accresceva il danno immediato perchè igno
randosi il nome dell'autore poteva acquistar mag
gior credenza il libello, mentre all'opposto la firma
dello scrittore poteva talvolta essere bastevole a
screditarlo ; e trovando che lo anonimo accresceva
ancora il danno mediato perchè più facile a pre
vedersi la ripetizione di un libello anonimo e più
difficile a purgarsi in faccia al medesimo, insegna
rono che soltanto lo anonimo dovesse costituire

libello famoso . A questa seconda opinione assenti


il dotto Giuliani (vol. 2 , pag. 475) seguitando
le osservazioni che parvero influire sul Carmi
gnani, Elementa, §. 1025. Ma ai criminalisti
49 _______

alemanni mancò il primo argomento quando la ri


forma imperiale dell'anno 1577 ebbe corretto l'ar
ticolo 110 della Carolina : e quanto alle conside
razioni degli altri, se verissimo è che per lo
anonimo si aumenti cosi il danno immediato come
il mediato in questo malefizio , ciò porta a guar
dare lo anonimo come un criterio misuratore della
quantità del reato, ed io convengo che sia criterio
gagliardo ; ma di necessità non porta alla immu
tazione del titolo ; nè vi è motivo per cui debbasi
uguagliare ad una diffamazione, e molto meno ad
una semplice contumelia la divulgazione di un li
bello che contenga la imputazione di un fatto de
terminato criminoso o immorale, solo perchè firmato
dall'autore suo. Uniformandomi dunque, oltre alla
nozione del Codice toscano (art. 367), ancora a
quella opinione che trovo più generalmente accolta,
e che più mi par vera, io non ho collocato lo ano
nimo fra gli estremi costitutivi di questo delitto .

(1) Pare che per le Dodici tavole si esigesse al contrario


la firma dell'autore perchè potesse agirsi per libello famoso.
Almeno questo dubbio nasce dalla l. 5 , §. 9 ff. de injuriis,
per quello che osserva Scipione Gentile, parerga 8, 30
nel Tesoro dell'Ottone, vol. 4, col. 13-49. Insegnarono essere
estremo necessario del libello famoso lo anonimo Carpzo
vio, Practica, pars 2, quaest. 98, n . 28 — Clasen, ad art. 110,
C. C. C. -- Kress, ad art. 110, C. C. C. -- Bergero, Electa
crim. pars 1, pay. 87 Walch, Glossarium germanicum,
pag. 123 - Leyser, spec. 552, med. 2 ― Paoletti, In
stit. lib. 5, tit. 1. Andò tanto oltre l'affetto per cotesta idea
che l'Hartmann Pistor (observat. 187, n. 5), sostenne
che quando lo scrittore di un libello anonimo se ne sia po
scia dichiarato autore, evada con ciò la pena del famoso li
VOL. III. 4
50 ―――――
bello e non sia punibile che per ingiuria. Al contrario riten
nero che il titolo di libello famoso non si evitasse dall'autore
suo col facile mezzo di apporvi il proprio nome : Boehmero,
ad art. 110, C. C. C. -- Meister, Elementa, §. 149 - - Putt
mann, §. 415 ――― Renazzi, Elementa, lib. 4, pars 4, cap. 10.

S. 1727.

Finalmente deve notarsi in che consista l'estremo

della divulgazione, nel quale ho già detto confi


gurarsi il momento consumativo di questo reato.
La idea di tale estremo sta in ciò che l'autore
dello scritto infamante siasi in qualche modo spo
gliato del possesso dello scritto ; o perchè essendo
questo un pubblico documento per natura propria
non rimanga sotto la sua mano ; o perchè lo abbia
affisso od esposto agli occhi del pubblico ; o in
qualsivoglia altro modo abbia agito per guisa che
venisse o fosse in condizione di poter venire a co
gnizione del pubblico : cioè di una o più determi
nate persone da lui prescelte, ma indefinitamente

di qualsisia cittadino. Fra il pubblico e le più


persone esiste differenza notevole : ed in cotesti
due concetti sta la sottilissima linea che separa in
certi casi il reato di libello famoso della diffama
zione, e della contumelia . Esemplifichiamone il pro
cesso . Un maligno ha composto uno scritto nel
quale viene imputando a Sempronio un fatto de
terminato o criminoso o immorale. Fino a questo
momento, e fino a che tiene occulto lo scritto egli
non ha consumato nessun reato, salvo a vedere se
ed a quali condizioni possa eccezionalmente dirsi
responsabile di tentativo. Andiamo innanzi . Costui
51

invia cotesto scritto allo stesso Sempronio senza


però darne copia o lettura ad altri . Ed in questo ul
teriore momento si è renduto responsabile di con
tumelie e niente di più . Costui, o abbia inviato lo
scritto a Sempronio o non lo abbia, ha inoltre letto
a più e diverse persone lo scritto medesimo : ecco
che con questo fatto ulteriore si è renduto colpe
vole di diffamazione. Ma niente più che diffama
zione ; perchè tanto vale che si comunichi ad altri
la imputazione leggendo uno scritto, tanto vale che
si comunichi ad altri recitandola a memoria, o co
munque narrando il fatto a parole . Facilmente s'in
tende che l'essere la proposizione oltraggiante ver
gata sopra ad un foglio o vergata soltanto nella

mente del colpevole, non modifica la oggettività


del malefizio ; nè al danno o al pericolo del me
desimo porta incremento finchè lo scritto non esce
dalle mani del diffamatore . Procedasi oltre : il col

pevole o abbia o non abbia inviato a Sempronio


lo scritto, o lo abbia o non abbia letto ad altre
persone, lo affigge, e ne fa delle copie e le di
stribuisce, o lo consegna ad altri perchè lo dif
fonda. In questo ultimo momento il reato ha fatto
il suo terzo passaggio ed è trascorso il libello fa
moso. La comunicazione dell' addebito infamante.
non è più limitata a certi determinati individui :
la medesima verrà possibilmente a notizia forse di
tutti quanti gli abitatori della città, ed oltre an
cora ai più remoti o nello spazio, o nel tempo ; e
non sarà più in balia del colpevole d'impedire che
quella imputazione vadasi ogni giorno più divul
gando nè ora nè poi . In questo indefinito ed illi
mitato della divulgazione sta la ragione che ingi
――― 52 -

gantisce oltre misura il reato, e ne è sorto il titolo


di libello famoso .

§. 1728.

Stabilito una volta che il momento della consu


mazione nel delitto di libello famoso stia nella di

vulgazione è evidente che il dolo in questo delitto


deve ricorrere come concomitante della divulga
zione stessa . Chi avesse composto per suo diporto
una satira contro di alcuno con animo di divulgarla,
potrà essere questione se sia già responsabile di
tentativo (e di ciò parleremo a suo luogo) ma cer
tamente non sarebbe reo di consumato delitto . Non
potrebbe poi punirsi come reo di libello famoso ,
nè consumato nè tentato, chi avesse composto la
satira senz'animo di divulgarla ma poscia l'avesse
accidentalmente smarrita ( 1 ), e per tale smarri
mento ne fosse avvenuta la diffusione del libello.

Potrebbe questionarsi se costui fosse responsabile


di contumelia, inquantochè scrivendo in tal guisa
in oltraggio di altri mostrasse animo di fare in
giuria ; ma anche in faccia al semplice titolo con
tumelia i nostri tribunali hanno sempre in cotesti
termini deciso per la negativa ed hanno assoluto .
Ma pongasi che la satira si dimostri composta
per farla vedere a qualcuno, e non con animo di
divulgarla. Vi sarà l'animo d'ingiuriare, non però
l'animo di divulgare. E perciò non potrà obiettarsi
mai il titolo di libello famoso ; nè come tentato,
perchè mancò l'animo di divulgare (cioè di consu
mare il delitto ) quando si scriveva ; nè come con
sumato, perchè mancò il dolo in quella divulga
53 ____

zione, che avvenne contro nostra volontà e per la


combinazione del caso con la malizia altrui.

( 1 ) Il Bonifacio (Instit. crim. pag. 106), contemplò la


ipotesi di colui che avesse trovato un libello famoso acciden
talmente smarrito ; e bene insegnò che, qualora chi per tal
guisa trovatolo ne avesse fatto divulgazione, sebbene non
fosse in colpa nel ritrovare era in colpa nello spargere, e do
veva perciò punirsi come autore di libello famoso. Conforme
è la opinione dell'Angelo (De delictis, pars 1, cap. 84, n . 22),
del Puttmann (Elementa , §. 418 ), del Renazzi (Elementa,
lib. 4, pars 4, cap. 10, §. 1), del Poggi (Elementa, lib. 5.
cap. 7, §. 51), e del Ludwell , Exercitationes, pag. 274
in fine.

§. 1729 .

Rimane adesso ad esaminare in proposito della


divulgazione una ultima ipotesi facilissima ad in
contrarsi nel foro. La divulgazione di un libello fa
moso è dessa imputabile in perpetuo o soltanto nei
suoi primi momenti? In massima sembrerebbe do
versi dire che quando si possa giustificare che un
libello era già stato divulgato e reso notorio (per
esempio per mezzo di stampa) coloro che abbiano
comunicato ad altri un esemplare di detto libello
capitato nelle loro mani, quantunque tale comuni
cazione isolatamente guardata costituisca un fatto
divulgatorio, non possono peraltro tenersi respon
sabili di libello famoso . Tale almeno è la dottrina
che trovasi sostenuta da insigni pratici ( 1 ) . Bisogna
per altro esser cauti nel valutare le ragioni di co
desta dottrina e nel segnarne i confini . È assai pro
blematica la ragione che se ne allega quando si
- 54

dice che il delitto era già consumato all'istante in


cui avvenne quest'ultimo fatto di divulgazione. Que
sto argomento può provar troppo perchè se già
una grave lesione all'onore è stata recata con la
prima divulgazione del libello non è perciò che il
diritto non possa ricevere ulteriori lesioni anche
più gravi delle prime: come se (a modo di esem
pio) si fosse riprodotto lo scritto, oppure se uno
scritto già divulgato a Firenze si fosse comunicato
ad altri a Milano o a Torino, o anche si fosse co

municato ad una o più persone che non lo cono


scevano. La dottrina della consumazione compiuta
è pericolosa e fallace quando trattasi di reati nei
quali la offesa al diritto è reiterabile, o per suc
cessivi fatti suscettibile d'incremento . Che si di
rebbe di colui che versasse sostanze nocevoli sopra
una ferita già recata da altri , al fine di accre
scerne i dolori o prolungarne gli effetti ? Meglio
accettabile è dunque l'altro argomento sul quale
si costruisce la dottrina che vuole scriminate le di

vulgazioni successive : ed è quello desunto dalla


buona fede che ragionevolmente allega l'ultimo di
vulgatore dicendo che egli credette non commettere
delitto stante la pubblicità già data allo scritto e
stante il silenzio delle autorità rispetto a cotesta co
nosciuta circolazione . Laonde se questa è la ragione

della regola bene si comprende che per necessità


logica è da cotesta ragione che debbono rilevarsi
i confini entro i quali la regola stessa vuol essere
applicata. Tuttociò che escluda simile buona fede
lascerà aperta la persecuzione penale anche contro
l'ultimo divulgatore. Egli sarà punibile certamente
quando abbia agito di concerto con l'autore del
55

libello , o coi primi maliziosi divulgatori, ma anche


senza ciò egli rimarrà imputabile tutte le volte che
per qualsiasi modo o cagione si chiarisca aver egli
agito con animo maligno verso l'ingiuriato, o quando
già si conoscesse essersi iniziato processo contro i
primi autori ; o quando il fatto della successiva
divulgazione abbia tali proporzioni da rendere inac
cettabile la tesi della buona fede, e la innocenza
.
del disegno.

(1) Questo caso trovasi latamente discusso dal Dolfio ,


nelle sue allegazioni , vol. 2, allegat. 153, n . 16, pag. 216. Lo
estremo della divulgazione dolosa ha portato pure i pratici
ad insegnare che quando il libello sia stato inviato ad un
amico con lettera facendogli preghiera di non divulgarlo, non
si è colpevoli di libello famoso quantunque lo amico impru
dente abbialo poi divulgato : Vermigliolo, cons. 86, n. 12.

§. 1730 .

Un'altra conseguenza del principio che il mo


mento consumativo del reato di libello famoso stia

nella divulgazione si presenta in un caso speciale


che quantunque non tanto facile a verificarsi pure
si è veduto nella pratica, ed apre l'adito a que
stione interessantissima . Parlo del caso di un li
bello famoso scritto (a modo di esempio ) in Italia
in onta di un italiano e divulgato in Francia senza
che consti di uguale divulgazione in Italia. Avranno
i tribunali nostri balia di giudicare cotesto fatto
come delitto commesso in Italia ? Una questione
analoga si presentò alla Cassazione di Francia che
la decise in senso della condanna il 26 gennaio 1865,
e può vedersi nel Morin (Journal criminel, n.8002)
56

insieme con le deduzioni defensionali : ma vera

mente furono in quel caso valutate circostanze spe


ciali che non sarebbero a spendersi quando la que
stione si presentasse in termini semplici ( 1 ) .

(1) La ingiuria fatta per lettera si novera fra le ingiurie


verbali : Hartmann Pistor , Observationum, observ. 9.
Ma bene si comprende che può secondo le circostanze che
l'accompagnano nella sua divulgazione degenerare in diffa
mazione, ed anche trascendere in libello famoso . Ma in tutti
i casi è sempre interessante la questione relativa alla loca
lità che determina sia la competenza, sia la penalità . Tale que
stione si toccò da Thomasio, nella sua dissertazione in
titolata De aexistimatione fama et infamia, vol. 3, dissert. 28.
Sulla medesima ha interloquito la Suprema Corte di giustizia
in Vienna, la quale con rescritto 5 ottobre 1871 ha giudicato
che il delitto si abbia come commesso nel luogo dove fu im
postata la lettera, e che quivi soltanto si radichi la compe
tenza a conoscere del reato. Questo giudicato, per quanto
autorevole, non mi toglie ogni dubbio. Per ben decidere la
questione bisogna prestabilire dove avvenga la consumazione
del reato, ed a prestabilire ciò bisogna cercare se quando dopo
impostata la lettera contumeliosa io salutarmente pentito
giunga ad intercettarne il corso per via e la distrugga per
guisa che mai nessuno la vegga , io debba essere tenuto re
sponsabile di un delitto consumato che il pentimento succes
sivo non sana : o piuttosto di un semplice tentativo, la reità
del quale si cancella per l'utile pentimento. Quella decisione
trovasi nella Gazzetta dei Tribunali di Trieste, anno 5, n. 22.
Vedasi anche avanti il §. 1858 : e Morin, art. 6028 e 7386.

§. 1731 .

Per ultimo è a dimandarsi se del libello famoso

costituisca estremo indispensabile lo avere designato


57

col suo proprio nome la persona che si volea dif


famare, o se basti averla in altra guisa descritta
sicché possa con facilità riconoscersi. La leg. 6
ff. de injuriis contemplò questo caso ; ma al nome
taciuto non diede influenza in altro che sull'azione :

poichè dispone non competere l'azione privata inju


riarum, ma doversi agire con giudizio pubblico .
La ragione di ciò sembra essere questa : che non
essendovi il nome dello ingiuriato ognuno potrebbe
a sè attribuire il libello, e recar pregiudizio al
l'azione che voglia esercitare colui contro il quale
fosse veramente diretto. Ma ciò può importare sol
tanto alla materia dell'azione, la quale anche oggi
si allargherebbe se per la reticenza del nome potesse
darsi all'oltraggio il carattere di collettivo . In or
dine però alla essenza del reato la reticenza del
nome non vale ad escluderlo quando sia facilmente
riconoscibile la persona che si volea diffamare : e
tale è ( 1 ) lo insegnamento comune de' dottori.

(1) Opinano non essere estremo indispensabile nel libello


famoso che esso contenga il nome del diffamato, ma bastare
che vi sia descritto in guisa che possa facilmente riconoscersi
Clasen, ad art. 110, C. C. C. pag. 323 - Heigio, lib . 2,
quaest. 39, n. 32, 33 ― Puttmann, Elementa, §. 415
Raynaldo , Observat. tom. 1, cap. 11, §. 1 ad 12 -Bertaz
zolo, cons. 237, n. 6- Cremani, De jure crim. lib. 2,
cap. 7, art. 7, §. 8 Carmignani, Elementa, §. 1024 -
Giuliani, Istituzioni, vol. 2, pag. 477. Stimano doversi però
in questo ultimo caso mitigare la pena : Ursaya, Instit.
crim. lib. 2, tit. 10, n. 88, e Panimolle , dec. 52, anno
tat. 1, n. 34. La quale opinione non può peraltro appoggiarsi
che sopra un pensiero, ed è quello che la diffamazione sia
meno duratura ; inquantochè se lo infamato potè essere ri
――― 58 ―――――

conosciuto dai contemporanei pei connotati che se ne diedero ,


non potrà esserlo ugualmente dai posteri : e se è riconosciuto
dai concittadini non lo sarà ugualmente in altre regioni. Lad
dove il libello che porti espresso il mio nome mi infama oggi
e da qui ad un secolo, mi infama in Italia e per tutta la
terra. Analogo al contegno di chi adombri maliziosamente il
nome della persona presa di mira è l'artifizio di colui che
nel libello famoso non esprima a chiare lettere il fatto che
vuole imputare ; ma questo faccia mostra di velare con equi
voci modi, tali però che bene rivelino quello che vuolsi rim
proverare. Ed anco qui comunemente si ritiene non essere
necessario che la imputazione si trovi esplicita e manifesta
nello scritto . In qualunque modo siavi adombrata, sotto forma
di ironia o di altra figura rettorica, torna allo stesso, purchè
possa accertarsi il concetto infamante e il disegno diretto al
pravo fine. A me parve dunque superflua la ordinanza di
Cristiano VII re di Danimarca del 1779, la quale all'art. 13
previde appunto il caso della imputazione larvata e la ugua
gliò nella pena. Che se rimane incerto chi siasi ingiuriato non
vi è delitto : Bartolo , in l. item §. cui non sine ff. de in
juriis Riminaldo Jun , cons. 118 - Menochio,
cons. 107, n. 10 - Boehmero, Decisiones, tom. 3, pars 3,
decis. 810.

TITOLO III .

Contumelia.

§. 1732 .

Dalle cose dette fin qui già comprendesi che il


titolo di contumelia non può definirsi tranne con
formula negativa, o per via di eliminazione. Questo
è il metodo a cui dovette appigliarsi anche il Codice
toscano, art. 368. La contumelia non può trarre una
lucida nozione della sua etimologia ; la quale sulla
- 59 ――――

scorta di Ulpiano nella legge 1 ff. de injuriis si


desume da contemnendo, poichè (come ognuno
comprende) la idea di disprezzo può tanto connet
tersi con un fatto esteriore, quanto con uno stato
intimo dell'animo. Essa , appartenendo alla famiglia
dei delitti contro l'onore, ha necessità, sotto il punto
di vista positivo, del concorso delle condizioni es
senziali comuni a tutti i tali delitti, e che vedremo

nel seguente capitolo. Ma perchè l' oltraggio al


l'onore rimanga contumelia ha bisogno eziandio di
condizioni negative, cioè che manchi almeno una
di quelle due circostanze, della imputazione di fatto
determinato, e della comunicazione a più di uno,
che la fanno degenerare in diffamazione ; e della
mancanza di una scrittura divulgata che la fa ul
teriormente degenerare in libello famoso . Certa
mente in faccia alla comune dottrina della scuola
la definizione della contumelia sarebbe stata facile

a darsi anche in termini positivi . Bastava dirla
una ingiuria inferita ad alcuno alla di lui pre
senza . Ma poichè modernamente si è allargata la
nozione della contumelia estendendola ancora ad

alcuni casi di ingiurie lanciate contro l'assente,


ed io ho preferito attenermi alle più moderne no
zioni, e prendere a tipo in questo argomento il Co
dice toscano, così non posso dare la nozione della
contumelia tranne descrivendola con formula ne

gativa ( 1). Poichè oggi si ammette che non tutte


le ingiurie contro gli assenti siano diffamazioni , e
che non tutte le contumelie per essere tali debbano
proferirsi contro i presenti, il criterio della presenza
o non presenza dello ingiuriato rimane insignificante
per dare la definizione esatta della contumelia.
―――― 60

(1) È una necessità che quando per poco si devia dalle esi
genze dell'ordine ontologico s'incontrino sempre confusioni e
difficoltà. Tutto l'impaccio in proposito della definizione della
contumelia nasce da questo ; che sotto il nome di contumelia
si sono voluti dare i caratteri di una specie a ciò che altra
non era se non il genere. La contumelia restando ingiuria
innominata avrebbe la sua definizione nella ingiuria in ge
nere. Se ne volle fare una ingiuria nominata senza avvertire
che veniva a comprendere tutte le ingiurie che non avevano
le qualità odiose della diffamazione o del libello famoso. Ed
io mi sono impigliato in queste difficoltà per ossequenza al
Codice toscano. Del resto la contumelia nel comune linguaggio
non è soltanto quella che s'inferisce a parole ma è un con
tenuto di qualsisia percossa o violenza contro le persone, come
acutamente osservò Saturnino , nella leg. 16, §. 6 ff. de
poenis - Non enim plaga repraesentat contumeliam sed de
decoratio : neque verberari liberis est malum, quamvis est ma
lum si in contumeliam. La sentenza di Saturnino , con
tiene una grande verità morale. Pure la scienza e pratica
penale odierna nella classazione dei reati non tiene special
conto della ingiuria contenuta nella percossa, e ciò per due
ragioni --- 10 Perchè è invalsa nei costumi odierni la pre
ferenza alla difesa del corpo sulla difesa dell'onore : ― 2.0 Più
specialmente perchè chi percuote non sempre ha l'animo d'in
giuriare il quale è costitutivo della essenzialità della ingiuria;
laonde non potrebbe classarsi la percossa fra i delitti contro
l'onore perchè l'elemento costitutivo di questa classe sarebbe
problematico ed eccezionale. Anche la parola insulto può dare
argomento di studi etimologici. Vedasi Catalano , Trac
tatus criminalis, n. 10 et 11, pag. 216. Molti esempi di con
tumelia estratti dai frammenti romani raccolse Ludwell,
Exercitationes , disputatio 15, §. 6, pag. 273.

§. 1733 .

Su ciò mi piace notare che non trovo giusta la


censura mossa contro alcune definizioni , le quali
61

vennero accusate (come quella del Codice tosca no


art. 368) di cadere in un circolo vizioso per aver
detto che la contumelia era una ingiuria. Tutte
le volte che un genere ha un nome, e una specie
ha un altro nome, quando si vuole definire la spe
cie bisogna o ripetere nella specie tutta la defini
zione del genere o riportarvela implicita ripeten
dovi il nome del genere, e delimitando la specie
con l'adiezione appunto di quelle circostanze che
la specializzano. Cosi tutti definirono il latrocinio
essere un omicidio a fine di lucro, e nessuno si
mosse a dire che questo era un litem lite solvere.
Del pari si dice che la contumelia (nome della spe
cie) è una ingiuria (nome del genere) eseguita con
modi diversi da quelli che costituiscono diffama
zione o libello, senza che con ciò si definisca un
idem per idem, perchè la sostanzialità definiente
non sta nella indicazione del nome del genere ma
nella indicazione di ciò che ne stacca la specie.
Tutta la differenza sta in questo , che nelle defini
zioni ordinarie la circostanza specializzante si de
signa con una formula positiva, e qui è necessità
indicarla con una formula negativa.

§. 1734.

Del resto nel dare la definizione della ingiuria


piacque ad alcuni dottori di vagare per diverse for
mule ; altri in una, altri in altra guisa circoscri
vendola : Voet ad lib. 17, tit. 10, § 1, de inju
riis ―――――― Westenberg in Pandectas ad tit. de inju
riis § 4. Più innovatore degli altri fu Domat
(les loix civiles, vol . 2 , lib . 3, tit. 11, § I) , che
62 -

vi aggiunse la premeditazione (à dessein prémé


ditée) come carattere costitutivo, con ciò introdu
cendo alla prima un errore nella definizione. Altri
come Jousse (Justice criminelle, vol. 3, tit. 24,
sect. 1, art. 1) e Blackstone (Commentaires on
the laws of England, book 3, chap. 8, § 5) sti
marono opportuno aggiungervi la espressione della
intenzione di offendere, la quale certamente per
comune dottrina attiene alla essenza del reato senza
che per ciò stimisi necessario farne menzione nel
definirlo. Altri finalmente (e fra questi furono an
cora illustri criminalisti contemporanei) accettarono
la comune definizione che ho recato di sopra, fa
ctum vel dictum in alterius contemptum , ma alla
parola dictum aggiunsero vel scriptum . Questi coe
rentemente diedero alle ingiurie una triplice divi
sione, in reali, verbali, e scritte. A me sembrò
inutile ( 1 ) la divisione triplice , perchè la classe delle
verbali includendo qualsisia manifestazione di un
pensiero ingiurioso fatta mercè la parola com
prende cosi la parola uscita dal labbro, quanto
quella vergata dalla mano : non è la carta nè lo
inchiostro quello che offende, è la parola segnata
sulla carta. In quanto poi alla definizione si evadono
tutte le dispute dicendo che è ingiuria - qualun

que manifestazione di un pensiero oltraggiante


altri. Ciò basti a delineare la fisonomia di queste
tre distinte figure ; e proseguiamo nella esposizione
delle regole relative alla ingiuria considerata sotto
un punto di vista generale e complessivo .

(1) Piacque la divisione triplice all'Aretino (De malefi


cis, p. 464) al Carmignani (Elementa, §. 1014), e al
― 63
Puccioni (Commentario, vol. 4, pag. 651). Invece preferi
rono la duplice divisione : Hartmann Pistor , observat. 9
- Kemmerich, Synopsis,
lib . 2, tit. 5, n. 13 ― Meister,
------ Puttmann, Elementa, § . 396 — Hun
Principia, §. 145
nius, Ad Treutlerum, disputat. 30, thes. 4, quaest. 36 - Koch,
Institut. §. 371 - Contoli , Dei delitti e delle pene, vol. 5,
pag. 175. Anche tra i filosofi si trova divergenza intorno alla
significazione dei termini usati a questo luogo : a modo di
esempio, Seneca, (De const. sap. cap. 4) disse essere con
tumelia quella inferità con le parole, ed ingiuria quella re
cata col fatto. In punto di tecnologia bisogna determinarsi ;
e quello che si sceglie sarà sempre buono a farci intendere
purchè vi si aderisca.

CAPITOLO III.

Criterii essenziali della ingiuria.

§. 1735.

Quali siano le circostanze di fatto che costitui

scono (oltre i criterii essenziali della ingiuria in


genere) le due specialità della diffamazione e del
libello famoso , lo abbiamo accennato di sopra e
più non fa mestieri dirne parola. Rimane adesso
a compiere la esposizione del delitto d'ingiuria
nella sua generalità e prima di tutto bisogna de
terminare le condizioni che ne compongono la es
senza di fatto . In questo esame ci troviamo in de
bito di bipartire le nostre ispezioni : la combinazione
della natura delle cose con la indole giuridica di
tale reato attribuisce nel medesimo al dolo una fun
zione tutta speciale, qual' è quella di completare
il corpus criminis ed esserne anzi il principale
――――― 64

fattore, mentre negli altri reati il corpo del delitto


esiste indipendentemente affatto da quello. Perciò
la ricerca su criterii essenziali della ingiuria con
ducendoci a non trovarli completi nella sola ma
terialità, ci obbliga a trattare distintamente dello
elemento materiale, e dello elemento intenzionale
come di due condizioni ( 1 ) ugualmente indispensa
bili a costituire la ingiuria.

(1) È universale, cosi nei teorici come nei pratici, la re


cognizione di questo duplice elemento, e nessuno vorrebbe
mostrarsi cosi ignorante dei primi rudimenti del giure pe
nale da negare che alla criminalità della ingiuria non basti
la materialità di una parola oltraggiante ma occorra di più
la prova in chi la emise dello animo diretto ad offendere. Ma

1114
mentre un giudicante si vergognerebbe a negare questa pro
posizione che l'animo d'ingiuriare pertenga al corpus crimi
nis, e del reato costituisca un criterio essenziale in sè distinto,
non si esita però troppo spesso di conculcare praticamente
la regola stessa, mostrando col fatto o d'impugnarla o di
non comprenderla. In tale imperdonabile allucinazione (volli
dire allucinazione per non dire ignoranza) io vidi cadere as
sai spesso giudici d'altronde dottissimi. L'accusato deduceva
di non avere avuto animo d'ingiuriare : e la difesa, col mezzo
di tutti quelli argomenti pei quali si chiarisce la più vera
intenzione di un agente, aveva sostenuto la esclusione di tale
animo ; o per lo meno la dubbiezza del medesimo , lo che tor
nava allo stesso pel fine dell'assoluzione. Si attendeva allora
che se il giudice voleva condannare dovesse farsi carico di
siffatti argomenti esclusivi della intenzione maligna. Ma in
vece si udi la sentenza uscirne per la più lesta mercè la nuda
replica che l'animo d'ingiuriare risultava dalle parole. Questa
formula troppo spesso prediletta contiene in sè un acervo di
vizi logici e di vizi giuridici. È un motivare senza motiva
zione. È un affermare che la sola ingiuriosità della parola
――――― 65

basta a costituire il delitto. È un rinnegare la universale dot


trina che la essenza della ingiuria insegna doversi cercare
non nella corteccia dei vocaboli, ma nella intenzione di chi
li proferi . Che si direbbe di un giudice al quale proposta a
difesa di un omicida la questione sull'animo di uccidere ri
spondesse che l'animo di uccidere risulta dallo avere ucciso !!!!
Alla questione intenzionale si suppone sempre come pream
bula la prova del materiale : se il giudicabile non ha ucciso
sarà inutile , in faccia all'accusa di omicidio consumato, in
dagare se avesse l'animo di uccidere : se la parola non con
tiene contumelia, nè può tradursi contumelia, sarà ridicolo
discutere sulla intenzione colpevole. Dicendo dunque vi è
animo d'ingiuriare perchè si è detta parola ingiuriosa si cal
pesta inavvedutamente una regola elementare non suscetti
bile di controversia. Il giureconsulto non si appaga di reci
tare la regoletta ; esso vuole comprenderne ancora lo spirito,
e secondo questo farne l'applicazione . Il leguleio crede di
essere giureconsulto perchè ha imparato a memoria la rego
letta quantunque non giunga a capire il suo concetto giuri
dico secondo il quale vuole essere religiosamente adattata
ai singoli casi.

ARTICOLO I.

Elemento materiale.

§. 1736 .

Una nozione esattamente circoscritta della ma


terialità della ingiuria, sia che ella assuma la forma
di reale (o simbolica, come talvolta fu detta dagli
alemanni ) sia dessa scritta o verbale, non è pos
sibile a darsi. Bisogna esprimerla con un concetto
generico, ed illustrare poscia e chiarire simile con
cetto per via di esemplificazioni , e di questioni par
VOL. III. 5
66 ――――

ticolari. Il concetto col quale si può designare ciò


che è necessario ad avere un materiale d'ingiuria
è il seguente : bisogna che sia un atto nel quale
si venga ad estrinsecare un pensiero offensivo al
l'onore altrui, fosse anche la semplice manifestazione
di disprezzo o di vilipendio verso la persona. Ma
quale e di quale natura dovrà egli essere codesto
atto ? Non vi è condizione da segnare : qualunque egli

sia, qualunque la forma che assuma , esso potrà


sempre tenersi come bastevole a dare l'elemento
materiale della ingiuria, sempre che abbia valore
di manifestare ai sensi altrui il pensiero oltrag
giante. La ingiuria non ha condizioni soggettive
nella sua forza fisica, tranne quella comune a tutti
i delitti della esteriorità dell'atto, specializzata nella
sua abilità ad offendere l'onore altrui . Condizioni
estrinseche all' atto, che si vuole ravvisare come
costituente la ingiuria, non ve ne ha alcuna ; av
vegnachè le circostanze di tempo e di località non
abbiano valore giuridico che come criterii misu
ratori , e la circostanza della presenza di terze per
sone non sia essenzialità in questo reato, per le ra
gioni che sopra (§ 1704) accennammo, e per lo
insegnamento comune (1 ) : e le condizioni intrin
seche del fatto vengono sufficientemente a descriversi
col suindicato concetto. Pure giovi a chiarirlo una
succinta escursione sopra diversi casi nei quali ap
parve dubbia l'applicazione.

(1) Discordò Raudensis (De analogis, univocis, et equi


vocis, cap. 31, n. 86, pag. 280) , sostenendo che ingiuriare
alcuno in lettera scritta a lui stesso da consegnarsi in pro
pria mano non costituisce ingiuria. Io penso diversamente
per le ragioni addotte sopra al § . 1704. E difatti anche il
- 67 -

Supremo tribunale di revisione di Parma ritenne la ingiuria


nel giudicato del 21 luglio 1823, che trovasi nella raccolta
Melegari , vol. 1, pag. 298. È vero che nell' Eco dei Tri
bunali del 21 gennaio 1866 n. 1612, riportasi un giudicato
della Corte Suprema di Vienna del di 22 agosto 1865 col quale
fu assoluto l'autore di una lettera ingiuriosa da lui spedita
allo ingiuriato col mezzo della posta, e ciò per il motivo che
mancava l'estremo della pubblicità alla ingiuria. Ma deve
osservarsi che questo giudicato procedette in faccia all'ob
bietto dei §§ . 488 e 496 del Codice penale austriaco ; il primo
dei quali prevede il caso della comunicazione, ed il secondo
esige in lettera la presenza dei terzi : laonde da quel giudi
cato non può trarsi argomento per contradire la mia tesi nella
ipotesi di ingiuria semplice : se si ammette la punibilità della
ingiuria da solo a solo bisogna bene ammetterla nella ingiu
ria per lettera diretta all'offeso. I termini ne sono identici,
salvo che nel primo caso sarà più difficile la prova, la quale
soltanto potrà costruirsi per le confessioni dello ingiuriante
e per le sue millantazioni . Che se queste avvengano ed altri
vada vantando (a modo di esempio) di avermi tacciato di in
fame, non si renderà colpevole col narrar ciò, perchè narrerà
il delitto proprio, ma fornirà la prova della ingiuria già da
lui commessa a mio danno.

§. 1737,

In primo luogo si domandò se poteva ammet


tersi ( 1 ) una ingiuria per omissione : Ludwell,
Exercitationes, pag. 273, lit. e. I pubblicisti , men
tre nel diritto originario inerente all' uomo a ri
spetto della sua personalità, e cosi ancora al ri
spetto della sua dignità, riconoscono la qualità di
diritto perfetto , osservano però che a tale diritto

non risponde negli altri una obbligazione positiva


(ad agendum) ma una semplice obbligazione ne
68

gativa (ad non faciendum) : che è quanto dire non


aver noi il diritto di esigere da altri che ci lodino
o ci prestino reverenza od omaggio, indipendente
mente da diritti acquisiti per convinzioni o con
dizioni eccezionali, ma soltanto aver diritto di esi
gere che non ci rechino oltraggio . Questa regola
porterebbe a dubitare se possa aversi un delitto
d' ingiuria commesso per semplice omissione. E ve
ramente quando si configuri nell' uomo uno stato
di completa inazione, apparisce difficile a conce
pire che egli con la sola inazione si renda colpe
vole di ingiuria. Ciò è più facilè a configurarsi
quando s'immagina un' azione la quale dovrebbe
essere accompagnata da certe condizioni od atti,
e questi da chi la fa si omettano a bella posta per
dar segno di disprezzo ad altri . Chi guardi il de
litto come contumelia trova maggiore repugnanza
ad ammettere il reato dove non scorga un'azione
offensiva ma una sola omissione : chi invece lo

guarda come ingiuria si forma la idea della sua


consumazione nella negazione del diritto, e più
agevolmente si adatta a ravvisare il reato in una
mera omissione. Perciò la disputa relativa alle in
giurie per omissione si agitò vivamente fra noi
pratici in proposito di svariatissime fattispecie. La
ipotesi su cui versa siffatto problema non può dun
que configurarsi in uno stato di cose puramente
negativo : bisogna sempre supporre un qualche fatto
positivo al quale dovesse per certe sue condizioni
accompagnarsi, per parte dell'accusato, un atto
qualunque che da lui siasi omesso malignamente ;
ed è allora che si cerca se ciò valga a costituire
una ingiuria : lo che spiega la formula d'ingiuria
per omissione e la sua pratica importanza.
――――――――― 69 ――――

(1 ) Quanto qui si osserva in proposito delle difficoltà di


definire il materiale della ingiuria richiama quella perpetua
questione, che tanto agita la pratica moderna, intorno allo
stabilire se il carattere ingiurioso di un detto o di un fatto
presenti questione di fatto o questione di diritto . Tale ricerca
è vitale per duplice scopo : 1.0 per determinare la competenza
della Corte di Cassazione nella revisione di un giudicato che
dichiari il titolo d'ingiuria : 2.0 per determinare se la que
stione sulla criminosità della parola, guardata nel suo ma
teriale, debba decidersi dai giurati o dalla Corte di Assise.
Ogni giorno si presentano nel fôro gravi controversie su que
sto argomento. La mia particolare opinione si è che quando
si disputa sulla intenzione maligna (animus injuriandi) i giu
rati siano sovrani nell'apprezzazione della proeresi ; e finqui
sono chiaro. Del pari i giurati sono sovrani in quanto al di
chiarare se il fatto fu eseguito o la parola fu detta : ma quando
si cerca se quel fatto o quella parola incontri l'obiettivo della
legge che punisce la ingiuria, simile dubbio non può risol
versi senza l'aiuto della logica giuridica che instituisca il
confronto. Parrebbe dunque che su ciò fosse competente la
Corte. Ma se d'altronde si riflette che la indole ingiuriosa o
no di certe parole o di certi atti subisce necessariamente lo
influsso delle costumanze locali dei dialetti, e simili, si torna
ad essere perplessi in questo spinoso problema. La Corte di
Cassazione di Francia (Morin , art. 8465 ) affermò la pro
pria competenza sulla ingiuriosità della parola, quando an
nullò un giudicato che puniva per ingiuria senza avere rife
rito testualmente le parole nelle quali si era preteso trovare
la ingiuria. La Corte di cassazione di Firenze nel giudicato
del 12 decembre 1863, altrove citato , affermò ugualmente la
propria competenza.
La Corte di Cassazione di Palermo il 5 marzo 1866, decise
ancora che era questione di diritto la atrocità o non atrocità
della ingiuria, lo che a mio giudizio porta a ritenere que
stione di diritto anche la condizione o no d'ingiuriosa. Io non
saprò persuadermi mai di questa distinzione cerebrina per
— 70
cui sembra si voglia ritenere questione di fatto quella che
cade sul titolo, e questione di diritto quella che cade sulla qua
lifica. Simile distinzione direbbesi dai Dottori sine lege et sine
ratione. Se è questione di fatto dichiarare la provocazione od
ingiuria, quantunque nel primo pronunciato s' includa il giu
dizio che quello è un fatto ammesso dalla legge come scusa,
e nel secondo pronunciato s'includa il giudizio giuridico che
quello è un fatto a cui la legge annette il titolo d'ingiuria,
non capirò mai come possa operarsi la metamorfosi della que
stione di fatto in questione di diritto quando si cerca se la
ingiuria o la provocazione abbiano condizione di gravità. La
gravità emerge da un confronto tra il fatto e la legge rela
tiva, nel modo stesso che da un confronto tra il fatto e la
legge relativa emerge la definizione del titolo principale. Mal
grado la evidenza di questa parità la distinzione che a me
non quadra pare accolta nella nostra pratica. Da lato alla
sentenza di Palermo testè ricordata sta il decreto della Cas
sazione di Torino del 31 gennaio 1868 (Annali di giurispru
denza italiana, vol. 2, 1, 2, 9) che decise essere giudizio di
fatto di competenza dei giurati dichiarare se la parola ine
ducato costituisca o non costituisca una ingiuria. Ed io credo
che la Corte di Torino giudicasse benissimo, perchè le parole
1
non hanno un senso assoluto che possa definirsi dalla legge ,
ma la loro offensività dipende da circostanze di persone, di
luogo, di causa, di modo e di tempo, insomma da circostanze
di fatto : ma per la stessa ragione io ripeto che da circostanze
My
pe

di fatto dipende il decidere se una ingiuria è grave, come ne


dipende il decidere se è o no ingiuria.

§. 1738 .

Svolsero siffatta ipotesi i dottori nella fattispecie


di chi avesse indirizzato una lettera a persona fre
giata di titoli e dignità, ed avesse a fine di spregio
appositamente tralasciato i dovuti titoli nello in
71

dirizzo della lettera . Non è questa una causistica


ideale si formò di siffatta omissione argomento di

serio esame ( 1 ) ; e la facoltà giuridica di Vittem


berga consultata sopra una querela consimile, con
responso dell'anno 1695 (riferito dal Bergero,
observ. 64) giudicò esservi ingiuria punibile , ed
applicò una multa di 10 talleri . Certamente io non
censuro siffatto giudizio . In punto astratto di dot
trina non è criticabile, dove risulti che il titolo
fu omesso appositamente per fare onta e dispetto
alla persona a cui si mandava la lettera. Soltanto
veggo assai difficile in pratica giungere alla dimo
strazione dello intendimento maligno.

(1) Leyser, spec. 549, medit. 4 et 5 - Hommel, Rha


psodiae, obser. 284.

§. 1739.

Si svolse pure il suddetto problema nelle ipotesi


della maliziosa omissione del saluto ( 1 ) ; e stretta
mente aderendo al rigore del principio costituente
la ingiuria si decise per l'affermativa della puni
bilità . Molti pratici ebbero occasione di proporsi
cotesto problema. L'Hommel (Rapsodiae, vol . 2,
observ. 284) il Puttmann (Elementa, §. 399)
il Leyser (spec. 519, medit. 2) opinarono aversi
ingiuria ogni qual volta si omettesse malignamente
il saluto verso persona alla quale si debba singo
lare reverenza . E qui pure ripeterò la osservazione
fatta testė. Verità del principio, difficoltà nell'ap
plicazione.

(1 ) Sulla origine del saluto e sulla importanza che vi si


annetteva presso i romani, non solo negli ordinarii incontri
――― 72 ――――
-
della vita, ma anche in certe particolari concorrenze (come
quella a modo di esempio dello starnuto) è a vedersi l'eru
dito opuscolo del Claudio, De salutationibus, edito a Utrecht
l'anno 1702 - Besser, De salutatione, Lipsia , 1575 — Stuck,
Conviviis romanorum, cap. 31, 32 - Alexandro, Dierum
genialium , lib. 5, cap. 24- Fabro, Thesaurum eruditionis,
pag. 209- Dempster, Ad Rosinum, antiquit. rom., pag. 537,
col. 2 ― Pancirolo, De rebus deperditis, pars 1, tit. 63,
pag. 344.

§. 1740 .

Si fece poi la questione della ingiuria per via di


negazione che fu detta ingiuria obliqua ( 1 ) esem
plificata in colui che garrendo con altri gli dicesse,
io non sono stato prigione per ladro, io non ho la
moglie adultera, e simili ; intendendo per tal modo
di rinfacciare al nemico che quelle torpitudini, ne
gate quanto a sè medesimo, esistessero in lui . Si

dubitò che ingiuria non fosse perché in sostanza


niente si era con esplicite parole affermato in onta
dell'avversario : ma pur si decise che fosse ingiuria
perché vi si riconobbe la sufficiente manifestazione
del pensiero oltraggiante ; e niente parmi obietta
bile contro cotesta dottrina. La stessa soluzione

ritorna nella ipotesi che siasi detto anche senza


garrire, io non voglio andar teco perchè sono un
galantuomo, e simile. Questa ipotesi io la guarderei
sotto un punto di vista più generale, e la proporrei
con la formula se si ammetta la ingiuria implicita;
e nuovamente sotto questa formula applicherei la
regola per la quale non vi può essere forma che
respinga la imputabilità della ingiuria quando vi
fu il pensiero ingiurioso congiunto ad una spon
73 ---

tanea manifestazione capace di farlo percipere dagli


altri. D'altronde abbiamo classici esempi di questo

principio che l'implicito non esclude la ingiuria :


leg. 20 ff. de iniuriis (2).

(1 ) Matthae o, De crim., lib. 47, tit. 4, n. 3.


(2) Ingiuria implicita fu dalla Cassazione di Francia il
13 aprile 1853 ravvisata in chi parlando di un giudizio crimi
nale aveva detto gli accusati sono già condannati, è inutile
che si difendano ; ed altra fu dalla stessa Corte ravvisata il
13 agosto 1854 nello aver detto che la sentenza resa meri .
tava una cornice .

S. 1741 .

La formula della sufficienza dello implicito nella


ingiuria da ragione di molte altre forme, e spiega
come essa possa trovarsi in un discorso che nella
sua materialità non offre nessuna parola vituperosa .

È implicita la ingiuria quando il discorso presup


pone che quello al quale si dirige sia capace di una
cattiva azione. Cosi è implicità la ingiuria in chi
offra danaro ad un magistrato ; o diriga ad onesta
donna una escena domanda. Questo carattere im
plicitamente ingiurioso può trovarsi non solo in certe
proposte, ma anche in certi atti, come è quello di
tenere dietro ad una donna per la via : atto che i ro
mani ebbero in particolare odio e designarono col
nome di adsectatio ( 1 ) . È implicita pure nel sibilo
con cui si chiami una donna, non meno che nello
appellarla a nome quando va per la sua strada :
caso anche questo appositamente previsto dai ro
mani sotto il nome di appellatio ; l. 1, § . 2 et 3
ff. de injuriis.
- 74 --
(1 ) I romani col nome di adsectatio designavano il fatto
di accompagnare una donna o tenerle dietro per la via con
tro la sua volontà : in cotesto atto ravvisavano una ingiuria,
perchè implicitamente veniva a supporre od a far credere
agli altri la disonestà della femmina ; l. 15 , § . 22 ff. de inju
riis. L'adsectatio e l'appellatio non era peraltro in Roma pu
nibile come ingiuria quando avesse avuto luogo verso fem
mina onesta che si aggirasse in abito meretricio. Vedasi
Pancirolo, Variar. quaest. lib. 2, cap. 117, pag. 296 ; e
Langlaeus, Semestrium, lib . 8, cap. 7, pag. 525. Taluno
dubiterà forse che negli odierni costumi in un fatto di que
sta natura non possa ravvisarsi il materiale d'ingiuria ; e
cosi la pensò il primo giudice in un caso che in questi pre
cisi termini si presentò a Vienna il 16 ottobre 1865. Ma di
versamente giudicò il tribunale di appello che con decisione
del 21 novembre 1865 irrogò la pena di otto giorni di arresti
inaspriti, dichiarando essere ingiuria lo accompagnarsi a donna
onesta contro sua voglia. E questa sentenza fu confermata
dalla Corte Suprema di giustizia in Vienna col suo decreto
del 28 decembre 1865, che tenuta ferma la massima ridusse
la pena a tre giorni attese le buone qualità dell'accusato
vedasi l'Eco dei Tribunali, n. 1623. Identica massima si era
già dottamente sanzionata dal giudice di mandamento di One
glia il 18 dicembre 1857 con condanna a due giorni di arresti
ed alle indennità pei motivi che si leggono nell'Eco dei Tribu
nali, n. 850, anno 9, pag. 223. Un esempio notevole del come
anche le parole le più innocenti possano essere convertite
in ingiuria ce le mostra il giudicato della Corte di Riom
del 14 novembre 1866 (Morin, articolo 8322) che dichiarò
colpevole d'ingiuria chi aveva chiamato femmina una donna :
non so peraltro se la parola femmina in italiano trovasse in
un caso pratico lo equivalente alla parola femme del francese.
Altra volta erasi in una lista di candidati per una elezione
pubblicato un nome rispettabile in compagnia di altri can-.
didati notoriamente disonorati, quel galantuomo si querelò
d'ingiuria perchè implicitamente con ciò si erano volute ap
_________ 75 ――――

porre a lui le male qualità notorie dei candidati che gli si


erano dati per compagni : ma questa volta i tribunali di Fran
cia ( Morin, art. 8341 ) dissero il 9 gennaio 1866 che quella .
era una cattiva facezia e non una ingiuria. Nel Responsa
Tubingensia , (vol. 9, resp. 67), si propose ancora l'ap
plicabilità del titolo d'ingiuria (per cagione dello implicito)
al fatto di mancare ad una promessa di nozze.

S. 1742.

Alla formula della ingiuria implicita, in quanto


contiene un tacito rinfaccio di inferiorità , può richia
marsi il caso della violata precedenza. I pratici
lo configurarono in colui che per atto di disprezzo
ad un suo superiore gli fosse passato innanzi nello
entrare in chiesa, od altra simile occasione ( 1 ) ; e
qui pure, ritenuta la intenzione diretta a recare
oltraggio, si decise che vi fosse sufficiente materiale
d'ingiuria, perchè l'atto in sè stesso detraeva al ri
spetto dovuto a quella persona.

(1 ) Leyser, spec. 546, med. 12 - Carpzovio, pars 2 ,


dec. 110 ――――― Mevio, pars 5, dec. 258, n . 4. E quanta fosse
la importanza che a questo diritto di precedenza annetteva
la frivolezza degli antichi magnati ce la insegna con molti
aneddoti Carpzovio, nella sua singolare dissertazione de
eo quod in jure proaedriae ridiculum est, Vittemberga, 1753.

§. 1743.

Parimente dovrebbe dirsi implicita la ingiuria


che volle trovarsi nel caso di coloro che girando
nelle chiese allo accatto passino davanti ad alcuno
76 -

e appositamente non presentino a lui la cassetta


delle limosine o il bajulum saeculi ( 1 ) secondo le
costumanze, per indicare con ciò che si giudica po
vero e neppure possessore di un obolo. E qui pa
rimente si tornò ad affermare che si avesse mate
riale d'ingiuria .

(1 ) Leyser, spec. 549, med. 2 -Ludero Menckenio,


Diss. de probat, animi inferendi injur. pag. 49 - Strykio,
diss. vol. 3, disp. 5 , cap. 5 , n. 63 ―· Lairiz, Dissertatio de
oblationibus quae fiunt per sacculum sonantem, Jenae, 1704.

S. 1744.

Ne ad avere il materiale della ingiuria è neces


sario che le parole esprimano un rinfaccio diretto
alla persona che si vuole oltraggiare . È comune
nelle scuole la distinzione fra ingiuria diretta e in
giuria indiretta . È diretta la ingiuria quando con
tiene un rimprovero di mala qualità inerente al
l'offeso . Dicesi invece indiretta (e da qualcuno a
parer mio meno esattamente dicesi obliqua) la in
giuria che obietta un vizio di persona a noi cara,
o a noi legata per vincoli di parentela ; e secondo
alcuni anche la ingiuria recata al domestico si
disse ingiuria indiretta contro il padrone ( 1 ) . Gli
alemanni usano invece le formule ingiuria mediata
e immediata le quali esprimono l'identico concetto :
nè saprei preferire l'una all'altra, poichè mi sem
brano esatte ambedue : Koch, Institutiones, §. 371.
È qui da notarsi che la vera ingiuria indiretta non
si ha in quei casi nei quali il vizio obiettato alla
persona congiunta a noi venga ad esser causa di di
77 -

sonore a noi stessi ; come nel caso di chi obiettasse


garrendo con un uomo ammogliato le impudicizie
della moglie di lui : no, questa sarebbe ingiuria di
retta, o almeno vi sarebbe mistione della diretta

con la indiretta (2). La ipotesi vera della ingiuria


indiretta si ha quando il vizio rimproverato alla
persona a noi cara non arreca a noi discredito o

vergogna alcuna. Ma pur nonostante generalmente


s'insegna che anche in cotesti termini siavi mate
riale d'ingiuria per quel sentimento di dolore che
ci viene inferito.

(1 ) Stryckio, diss. vol. 6, disp. 1, cap. 3, n. 6. Sulla


questione se nel giure romano potesse farsi ingiuria al servo
comune dissertò Cramer, Opuscula, tom . 3, opusc. 15.
(2) La costituzione 45 elettorale sassonica punisce col car
cere o con la relegazione e fustigazione ad arbitrio del giu
dice colui che vantasse avere ottenuto i favori di moglie
altrui ; Carpzovio, Practica, pars 2, quaest. 96, n. 45 :
ed in ciò concorda la dottrina : Marsilio, In l. de minore
in princ. n. 51 ff. de quaest. — Menochio, De arbitr. lib. 2,
cent. 4, cas. 331, n. 2 - Foller, Pract. crim . , pars 2, n. 23
-- Mascard, De probat., vol. 1, concl. 550, n. 56. Il
Carpzovio, al n. 51 sostiene doversi a ciò parificare il
caso di donna che vanti avere avuto commercio con uomo
ammogliato, e riporta un giudicato conforme degli scabini
di Dresda del marzo 1605. La quale opinione è combattuta
dal Puttmann (Elementa, §. 403), sul riflesso che tale
addebito nuoce molto meno agli uomini che alle donne, alle
quali è dote principale la pudicizia. Ora in questa disputa
gioca precisamente la distinzione fra ingiuria diretta (o im
mediata) e ingiuria indiretta (o mediata). Avvegnachè quando
anche volesse ritenersi la opinione del Puttmann, e, per
chè alla moglie non recano disdoro le infedeltà del marito, re
spingersi quella donna che per tale rinfaccio muovesse que
78
rela di ingiuria ; cotesta reiezione sarebbe giusta in quanto
colei si lagnasse di una ingiuria immediata o diretta. Ma
pur nonostante avrebbe sempre ragione di insistere sulla
querela per ingiuria indiretta o mediata, in quanto con quelle
parole sarebbe stato oltraggiato il marito suo mediante rim
provero di azione inonesta. Deve poi avvertirsi in proposito
di questa distinzione che sebbene, guardate nella loro mate
rialità, certe ingiurie debbano dirsi indirette, nell'animo di
chi le proferisce saranno quasi sempre dirette, perchè egli
ebbe lo intendimento di offendere la persona con cui parlava
rinfacciandogli i vizi del suo congiunto : Anderwerelt,
De injuriis, § . 6, pag. 30.

§. 1745 .

Niente poi toglie alla essenza della ingiuria l'es


sersi obiettato un mero vizio del corpo per quanto
visibile a tutti : Hertius, Decisiones , vol. 2,
decis. 234. Niente le toglie, si per quanto saremo
a dire in seguito circa la verità del convicio, si
perchè quando i difetti del nostro corpo, per quanto
visibili e noti a tutti, ci vengono obiettati a fine di
oltraggio e di dispregio, se ne genera in noi un
senso di dolore e di avvilimento , ed effettivamente
l'ingiuriante ottiene il suo scopo maligno : Strykio,
De jure sensuum, diss. 2, cap. 5, n . 4.

§. 1746 .

Una forma meritevole di speciale considerazione


.
è quella della usurpazione dei titoli. Questa forma
può ricevere tre diverse configurazioni ; - 1º può
essere strumento di frode per arricchirsi a danno
altrui, quando taluno si spacci conte o marchese
---- 79 -

onde ottenere roba a fido e deludere i venditori :


nessun dubbio sulla criminosità di questa prima ipo
tesi : ma essa rientra tutta diritta nei delitti contro
la proprietà, e la ritroveremo a quel luogo : -
2º può essere eseguita per vana boria senza ve
duta di lucrare a danno di alcuno, nè di nuocere
ad altri ; e solo per una vanità sciocca. Grave dub
bio sorge sulla criminosità di questa seconda ipo
tesi . Non per i principii generali della scienza ; in
faccia ai quali io davvero non saprei come imma
ginare la configurazione di un delitto in una fan
ciullaggine degna di riso, eseguita senza intenzione
di nuocere, e che non presenta nessuna possibile
oggettività giuridica. Ma pure bisogna dir dubbia
cotesta ipotesi, perchè la rigidità francese ha sa
puto trovarvi un delitto, ed ha applicato niente
meno che il titolo di falso a quelli sciocchi che
avevano aggiunto la particella de o du innanzi al
loro casato, firmandosi, a modo di esempio, du
Drome invece di Drome (vero casato) . E solo hanno
distinto se il de si era posto attaccato (Dedrome)
o distaccato (de Drome) con la maiuscola alla suc
cessiva parola : decidendo non esservi nel primo
caso delitto, ed esservi nel secondo, perchè la par
ticella de proposta al casato indica nei costumi di
Francia una dignità od un possesso. Lo che a me
parve sempre un vero abuso della giustizia, tolle
rabile soltanto in paesi eminentemente aristocratici,
ma sconveniente alla Francia che dicesi liberale .

Pure se ne è formato il delitto di usurpazione di


titoli ; delitto senza danno nè privato ne pubblico ;
e si è severamente punito ( 1 ) . Ma anche questa ipo
tesi non pertiene alla materia delle ingiurie, a meno
80 ――――――

che non si volesse considerare come una ingiuria


collettiva recata al ceto nobilissimo di quei signori
che hanno soli l'alta prerogativa di far precedere
da un de il loro casato ; ―― 3° finalmente la terza
ipotesi è quella in cui siasi assunto un titolo ve
ramente appartenente ad alcuno, e sia pure un ca
sato anche senza titoli (Christineo, Decisiones
Belgicae, decis. 299 , n . 24) . E qui nei congrui casi
potrà bene trovarsi la ingiuria quando persona vile
o disonorata faccia ciò per darsi a credere appar
tenente ad onesta famiglia, o congiunta di sangue
con persone rispettabili per purità di nome e di
gnità loro. Ciò potrà dipendere dalle circostanze ;
ma in genere non repugna la possibile ammissione
del titolo d'ingiuria . Vedi Thomasius, Disserta
tiones, vol. 2, dissert. 18.

( 1 ) Vedasi Morin, Journal de droit criminel, art. 7146,


ed i molti giudicati che riporta in nota, e al n. 7511 ; e l'ar
ticolo di Macarel, nella Themis, vol. 3, pag. 131, e l'altro
di Chemera ult, nella Revue critique, tom . 27, pag. 172.
Questa giurisprudenza gotica fu giustamente censurata col
suo solito acume da Franck , Philosophie du droit pénal,
part. 2, cap. 1, pag. 134. Chi voglia comporre cotesta dottrina
ad una formula giuridica si troverà bene impacciato, a meno
che non ricorra al concetto di una ingiuria collettiva : qua
siche in simili fatti il diritto leso indispensabile a trovarsi
in tutto ciò che si vuol chiamare delitto, stia nella offesa alla
onoranza dovuta a quel ceto che veramente ha il diritto di
fregiare i propri casati con la invidiata particella. Ma anche
questa è una idea diafana, perchè non sa trovarsi una realtà
di danno che derivi a quel ceto per la vanità di quello sciocco.
Si dice che costui vuole imporre al pubblico e scroccare re
verenze più profonde di quelle che merita . Ma egli è questo
un danno politicamente apprezzabile quando la usurpazione
81 -
della particella si ispiri a semplice boria senza veduta di farne
strumento ad una effettiva scroccheria ? Perchè non si pu
nisce ugualmente l'artigiano che favorito dalla fortuna ama
fregiare il suo servo di gallonata livrea, e la donna volgare
che si adorna di vesti sfarzose e di gemme ? Perchè non si
punisce la donna che si acconcia di falsi capelli, o di falsi
denti, o colorisce le smorte guance ? Costei, potrebbe dirsi
con più ragione, mira a sedurre qualche giovane illuso , ed
a torre qualche partito alle giovinette che godono i meriti
reali della bellezza. Ed io vedrei forse in ciò una intenzione
più rea ed una probabilità maggiore di danno che non nella
particella usurpata. Ma col punire simili leggerezze non si
punisce che la vanità. E per una strana antitesi vi vuole un
eccesso di vanità a persuadersi che la vanità sia delitto . Se
per sola boria un imbecille si firma Du Bois invece di Du
bois, sia il ridicolo la sua punizione e non si abbassi la giu
stizia penale a simili piati, se non vuolsi sostituire il governo
di polizia al regime giuridico.

§. 1747.

Per questa enumerazione già si è veduto che nelle


ingiurie reali la indefinibilità del materiale si ac
cresce a dismisura. E chi volle apporre dei limiti
in tale elemento del delitto non potè trovar plauso .
Cosi il Raudense (De analogis, cap. 31 , n. 102 ,
pag. 281) pretese distinguere le offese fatte alle
vesti da quelle fatte alla persona ; e insegnare che
deturpare le vesti non fosse ingiuria. Ma chi non
vede la repugnanza di tale concetto ? Sarà veris
simo che in simile forma entri ancora la idea del

danneggiamento alla roba ; ma l'atto di chi sporca


i miei abiti , mentre li indosso, non può scompa
gnarsi dalla idea di oltraggio alla persona . Nè po
trà sorgere il titolo (che a suo luogo, §. 2449, tro
VOL. III. 6
-82 ――――

veremo) di danno dato con ingiuria : potrà il reato


assumere una certa indole complessiva per la dupli
cità del diritto leso : potrà da qualche legislazione
ed in alcuni casi considerarsi come prevalente la
deteriorazione patrimoniale alla offesa dell ' onore.
Ma negare ogni vilipendio in quel fatto, e così ne
gare il titolo d'ingiuria è un contradire la verità
delle cose ( 1 ) . Cosi fu fatta la questione del ghi
gno (2) : cosi la questione delle storielle (3) can
tate per le vie : cosi studiossi il caso dell'oltraggio
alla statua (4) cosi altre infinite configurazioni (5)
discussero i pratici, che troppo lungo sarebbe lo
enumerare . Questioni tutte che si risolvono con una
sola formula .

(1) Vedasi Strykio , Diss. vol. 2, disp. 10, cap. 6, De jure


vestiario circa delicta, n. 35.
(2 ) Leyser , Specimen, 545 - Strykio , Diss. vol. 2,
disp. 7, cap. 7, n . 3. Il ghigno derisorio chiamossi da qualche
pratico sanna : ma veramente lo irridere e il subsannare non
esprimono lo stesso, congiungendosi in questa ultima parola
alla idea del ghigno derisorio lo accompagnamento ancora di
qualche gesto parimente derisorio. Vedasi Fabro, Thesaur.
erudit. verbo sanna, col. 2016 — Vossio , Etimologicon , verbo
sanna, pag. 446 _______ Du Cange , Glossarium, tom. 6, verbo
sanna, col. 122. Può ancora concepirsi una ingiuria commessa
col solo moto degli occhi. Che gli occhi umani abbiano una
loquela speciale non può impugnarsi : di ciò fece argomento
Deumer, nella sua amena ed erudita dissertazione, De ocu
liloquio, Altdorf 1702 : e le storie anedottiche danno ricordo
di nimistà e duelli occasionati da uno sguardo esprimente di
sprezzo . Ma difficile in pratica sarà costruire la prova del
materiale di siffatto modo di ingiuria .
(3) Angelo , De delictis, pars 1, cap. 84, n. 19 ―――― Ca.
ballo , cas. 235, n. 26. Sull'uso di deridere i novelli sposi
83 -
con scampanate e getto di fave esiste una elegante disser

Jul
tazione pubblica a Quedlimburgo nel 1702 col titolo De inju
riis quae haud raro novis nuptis inferri solent. Queste scam

.
panate nella pratica napoletana si chiamarono Ciambellaria.
Broya, Practica criminalis, cap. 5, pag. 115, Napoli 1698,
ove ricorda la Pragmatica 1 de injuriis che le contempla. Ivi
pure pag. 87 si ricorda in che differissero le Ciambellarie
dalle Macriate.
(4) Leg. si statua ff. de injuriis - Ursa y a, Instit. lib. 2,
tit. 9, n. 11 et 27.
(5) Cosi è indubitatamente reale la ingiuria fatta con un
gesto nel quale si simboleggi , per l'uso comune, un pensiero
oltraggiante, come nella flessione del medio e dell' anulare
della mano, nel moto semicircolare procedente dal minimo al
pollice impresso a tutte le cinque dita, nella sovrapposizione
della destra aperta sul pugno chiuso della sinistra, ed altri
simili trivialissimi atti che esprimono ad intelligenza di tutti
dei concetti vituperosi : Anderwerelt, De injuriis, §. 2,
5 et 6. Cosi insegnò che fosse ingiuria il travestirsi da mo
naco, Manzio , De eo quod interest, pars 3, cap. 3. Così
Puccioni (Commento, vol. 4, pag. 651) esemplifica la in
giuria reale nello sputare o gettare immondezze sopra di al
cuno, nell'ubbriacare altri malignamente per farlo ridicolo,
affiggere all'altrui uscio un simbolo ingiurioso : Dolfio ,
allegationes, pag. 45, vol. 2 Caballo , cas. 71. Così lo
Harpprecht, nella sua dissertazione De eo quod justum
est circa nivem (Dissertationes Academicae, vol. 1, disput. 26,
n. 289), dichiarò delitto di ingiuria il gettare contro di al
cuno una palla di neve. Vi sono ancora dei modi particolari
d'ingiuria che possono dirsi relativi, in quanto un atto od
una parola può essere ingiuriosa quando sia diretta contro
persona appartenente ad un dato ceto o esercente una data
professione, mentre non sarebbe tale se fosse rivolta contro
persone poste in diversa condizione. Cosi Morin (art. 8354),
potè con dissertazione speciale descrivere le ingiurie com
messe contro i notari. Ugualmente si ritenne ingiuria get
- 84 -
tare il cappello in terra ad alcuno ; ma se ciò si faccia da un
ufficiale per richiamare colui alla debita reverenza (Giurba,
Consilia criminalia, cons. 38) può sparire la ingiuria per la
relatività delle persone e per la perpetua influenza dell'animo
su questo reato. Cosi l'Aretino (De maleficiis, pag. 465,
n. 26), disse ingiuria apporre il proprio segno alla casa o ai
mobili altrui per farli apparire nostri. E lo Strykio (Diss.
vol. 4, disput. 7, cap. 3, n. 39) , disse ingiuria la ricusa di
stringere la mano che altri in segno di amicizia ci abbia
proferto, e (vol. 4, disp. 7, cap. 3, n . 43) la ricusa per parte
di donna di danzare con alcuno . Sul che mi piace notare, a
.testimonianza del variare dei costumi, che lo Chassan
(tom. 1, n. 582), ha per lo contrario insegnato doversi nella
querela mossa per una ricusa di ballo riconoscere una ingiu
ria contro la reverenza dovuta al tribunale. Fu pure notata
come ingiuria (Leyser , specim. 549, medit. 2 ) , la ricusa
del brindisi. Si disse pure ingiuria lo accedere ad un convito
non chiamato, Fischer, De convivis non invitatis, Lipsia 1727
§. 18 ed il mancare senza giusta scusa alle feste natalizie ,
Schoen, De veterum solemnibus nataliciis, Alberstad 1832.
Ben più seriamente si guardò il fatto di munirsi di scettro :
vedasi Hermann , De sceptri regi antiquitate et origine,
Gottinga, 1851, poichè la ingiuria al Principe in ciò ravvisata
si fece degenerare in lesa maestà. Si disse ancora com
mettersi ingiuria contro il giudice competente con il por
tare denunzia ad un giudice incompetente per mostrare cosi
che non si aveva fiducia nel primo : Modestinus Pi
stor , Quaestionum illustrium, pars 4, quaest. 143. Ma chi
potrebbe tener dietro alle escursioni dei pratici in questo ar
gomento ? Basti ricordare che Mattia Abele , pubblicò
un libro intitolato : Metamorphosin telae judiciariae, dove rac
colse trecento casi d'ingiuria narrandoli aneddoticamente, e
dandone la soluzione giuridica. In quanto allo schiaffo vedasi
la speciale dissertazione di Velasquez , cons. 142, lib. 2,
pag. 216, e quanto dicemmo sopra a §. 1394 segg.
- 85 --

S. 1748 .

Vuole ancora notarsi che la ingiuria si può com


mettere tanto dal colpevole direttamente, quanto
col mezzo di una forza che egli abbia posto in
movimento e che proceda da un essere irrespon
sabile privo d' intelligenza . Colui che spinga dei
bambini a fare oltraggio ad alcuno non potrà dirsi
complice od istigatore d' ingiuria : perché mancando
il principale del delitto, attesa la irresponsabilità
dell'autore fisico , egli stesso ne viene ad essere
necessariamente l'unico autore ; ed il bambino od
il mentecatto o l'animale ( 1 ) da lui spinto all'azione
non sarà che uno strumento del suo delitto , stru

mento meramente passivo ; nè più nè meno come


lo sarebbe lo inchiostro, la immondezza, o qualun
que altra materia di cui si fece uso al fine di recare.
oltraggio ed avvilire un nemico . La responsabilità
tutta intera del fatto cade sull'essere intelligente
che con pravo intendimento diede impulso allo es
sere irresponsabile, anche questo modo d'ingiuriare
si disse da taluno indiretto , ma meno esattamente .

(1) Trovo ricordato un esempio singolare di ciò . Nel n . 1618


dell' Eco dei Tribunali, si racconta che un tribunale nel 1865
condannò a sedici franchi di multa come colpevole d' ingiu
ria il proprietario di un pappagallo, che aveva istruito que
sto animale a proferire parole vituperevoli contro un suo
vicino tutte le volte che lo vedeva passare dinanzi la sua
casa; considerando che l'animale non era altro che uno stru
mento fatto agire dolosamente dal padrone a danno del suo
vicino. Io non so se sia vera questa sentenza , o se piutto
sto sia una faceta invenzione del giornalista. Parmi però che
--- 86 —

niente sia repugnante ai principii della scienza, la quale ci


vuole responsabili dei fatti dannosi volontariamente cagio
nati da noi, tanto se immediatamente si cagionino col mezzo
degli organi nostri, quanto se si procaccino per virtù di forze
esteriori alle quali noi abbiamo dato l'impulso .

§. 1749 .

Questi esempi io non ricordo per sollevare mo


mentaneamente l'animo dei giovani nella gravità
dei loro studi , ma perchè sembrami che per essi
si chiarisca più lucidamente la verità di ciò che
ho detto di sopra intorno alla impossibilità di dare
una definizione materiale dello elemento materiale
della ingiuria ; e meglio si apra la via a compren
dere quanto sarò a dire tra poco, cioè che la vera
essenza della ingiuria è tutta posta nell'animo dello
ingiuriante. Perciò i legislatori nei loro statuti pe
nali o hanno affatto taciuto ogni definizione di tale
materialità , o se sonosi accinti a darla non hanno
potuto porgerla tranne per una relazione ad uno
stato tutto intellettuale sia dell'animo dello agente,
sia dell'animo dei cittadini . Cosi il Codice badese

al § . 291 disse che la ingiuria si costituiva da qua


lunque atto di dispregio, e da qualunque parola che
secondo i costumi dominanti, e la opinione del po

polo o della respettiva classe si prendono per ol


traggio . Nella quale nozione voglio notare la esat
tezza di quel pensiero che dà valore nel presente
argomento alla classe a cui appartiene l'offensore ,
e l'offeso . Non è questa una tradizione aristocra
tica ; è obbedienza logica al sommo principio che la
materialità della ingiuria sta tutta nella opinione
(che per conseguenza è relativa) e che nel calcolo e
4
―――― 87

del relativo non possono pretermettersi i riguardi


ai costumi del luogo e alle condizioni personali .
Questa verità fu portata al suo ultimo svolgimento
dal Dechamps (Projet belge pag. 15 et 16) che
manifestò la opinione doversi tutti i processi d' in
giuria deferire ai giurati come i più genuini in
terpetri della pubblica opinione. La Corte Suprema
di giustizia in Vienna con sua sentenza del
24 marzo 1863 n. 2044, annullando due prece
denti giudicati contrari decretò che l'avere un gio
vine detto vatti a far f.... a una donna che lo
importunava, non presenta materiale di ingiuria,
esprimendo più spontanea la idea di dire in modo
basso escimi dattorno. Vedasi questo giudicato nel
l'Eco dei Tribunali n . 1687.

§. 1750 .

Prima di chiudere questa escursione bisogna che


io prevenga una critica. Mi si dimanderà se ve

ramente io creda che negli odierni costumi tutte


le svariate forme di oltraggio nelle quali sono ve
nuto mostrando come i pratici riconoscessero ele
mento d'ingiuria criminosa, possano seriamente
proporsi a fondamento di una querela con proba
bilità di ottenere una condanna penale. Rispondo
francamente che di alcuna dubiterei ; e se taluno
mi consultasse come avvocato per instaurare una
querela d'ingiuria a causa di un ghigno, di una
violata precedenza, o di un negato saluto, lo con
siglierei a desistere, preconizzando quella sentenza
di Orazio, solvuntur risu tabulae, tu missus abibis.
La democrazia che fa passi di gigante verso il suo
88

avvenire non permetterebbe forse oggi al giudice


una condanna per simili inurbanità ( 1) . Ma non per
questo si può darmi taccia di avere voluto far
pompa di una inutile erudizione se ho posto in
nanzi con la scorta della dottrina fino a qual punto
spingessero i pratici il concetto della ingiuria pu
nibile. La utilità grandissima di questa cognizione
non tanto si svolge nello accusare quanto nel di
fendere . Perchè se il ghigno , la contorsione di
bocca, o il negato saluto esauriscono gli estremi
materiali della ingiuria, ne avviene che qualora
il cittadino contro il quale furono diretti quegli
atti beffardi abbia erotto in villane parole, e trovisi
in pericolo di essere condannato per le medesime,
trarrà un vantaggio vitale dalla natura ingiuriosa
di quegli atti , potendo allegarli al fine di soste
nere la compensazione ed ottenere la assoluzione.
Questa osservazione io credo importantissima e da
tenersi sempre presente dai difensori di accusati

per ingiuria. La utilità della scusa della provoca


zione (sotto qualunque forma si estrinsechi) è im
mensa e non bisogna perderne il benefizio per
vani timori di antiquati rigorismi . Ormai nella no
stra pratica innumerevoli monumenti hanno san
zionato il salutare principio che al fine di scusare
una ingiuria non è sempre necessario che l'offeso
la eccitasse con atti che a tutto rigore di termini
esaurissero gli estremi della punibilità come de
litti di ingiuria. Basta che l'imputato potesse ra
gionevolmente ravvisare in tali atti un oltraggio
diretto contro di lui : fosse pur questo figlio di
mera imprudenza e scevro di ogni spirito maligno,
ciò a nulla monta . Le scuse (non si dimentichi
- 89 -

mai) esauriscono tutte le loro condizioni nella con


.
templazione soggettiva . Siamo sempre nella teorica
cardinale dello errore scusante (2).

(1) Appella allo elemento materiale della ingiuria la que


stione se una proporzione condizionale porga elemento di tale
reato. Sono a vedersi su ciò Carpzovio, decis. 35, e Ri
naldo , lib. 2, cons. 118 : oltre quanto dirò e noterò al
§. 1757 nota.
(2) Non bisogna confondere la teorica dello errore di·per
sona con la teorica dello errore di causa. Corra pure fra i
pratici il precetto che l'errore nella persona dello ingiuriato
non scusa la ingiuria : Werner, Observationum, tom. 1,
pars 2, observat. 486, pag. 478. Siavi pure tra i moderni giu.
risti chi, trattando in un punto di vista generale degli ef
fetti che lo errore nel soggetto passivo può produrre sulla
imputazione, abbia unificato la soluzione del problema con
obbedienza alla leg. 18, § . 3 ff. de injuriis, così nel tema del
l'omicidio, come nel tema della ingiuria. Tutte le generalità
sono pericolose. Lo errore nella persona dell ' offeso non scusa
finchè si reca inuanzi nel mero punto di vista della diffe
renza materiale che corre tra persona e persona . Ma se a
quella differenza materiale corrisponde una differenzialità
giuridica lo equivoco diventa errore essenziale sia in quanto
alla imputazione sia in quanto alla scusa, secondo i casi. Pas
sando di sotto la mia casa veggo alla finestra una giovi
netta. La credo mia figlia e le grido, statti in casa civetta .
Era invece una vicina visitatrice. Sarò io punibile per in
giuria ? Guardiamoci sempre dalle generalità nelle massime
rigorose. Di massime assolute nel giure penale non avvene
che una, ed è quella che la imputazione deve sempre contem
perarsi con il dolo individuale. Vedasi ciò che scrivo a §. 1825.
90

ARTICOLO II.

Elemento intenzionale.

§. 1751 .

La forza fisica del reato d'ingiuria non si estrin


seca oggettivamente in un attacco alla vita di altri,
o in una macerazione o contaminazione del corpo
altrui . Essa agisce direttamente sull'animo altrui
in quanto nel medesimo si eccita o la cognizione
dei difetti di alcuno, o la cognizione di essere noi
stessi tenuti a vile, ed in questo consiste la ogget
tività materiale del malefizio ; del quale per conse
guenza anche il danno immediato è principalmente
morale a differenza degli altri reati . L'occhio vede
il gesto o lo scritto, l'orecchio ascolta la parola
oltraggiante, ma l'occhio e l'orecchio non ne pati
scono dolore ; e soltanto i sensi dell'anima se ne
commuovono, perchè l'azione di questo delitto sta
tutta in una idea e nasce dal contatto delle anime,
dall' una all'altra delle quali la idea si comunica.
È questa la prima ragione per cui nel reato d'in

giuria si ravvisa nella intenzione maligna dell'ol


traggiante, non una condizione soltanto della sua
imputabilità, od un mero criterio misuratore di que
sta, ma sibbene un elemento che ne completa la
forza fisica soggettiva : nè basta a ciò il solo ele
mento materiale consistente in un atto o detto che

abbia in sè idoneità di denigrare l'onore altrui .


Cosi l'animus injurandi (1 ) si riconosce come prin
cipalissimo a costituire la essenza di fatto di questo
maleficio, perchè tutto si svolge nella comunica
--
-91

zione di una idea ; e la cognizione che altri mi tenga


a vile non può nascere in me conformemente al
vero se prima altri non ha concepito questo pen
siero di tenermi a vile, e volermi offendere con
la manifestazione di quello. E questo è un pre
cetto che risale ad Ulpiano alla l . 3 , § . 1 ff. de
injuriis injuria ex affectu facientis consistit.

(1) La teorica dell'animus injuriandi si esprime dai crimi


nalisti francesi con la formula intention de nuire : Morin,
art. 8636. Ma non è completamente esatta per la troppa ela
sticità del verbo nuire. Trovasi nei pratici frequentemente
insegnata la regola quando verba sunt per se injuriosa ani
mus injuriandi praesumitur : Brunnemann, cons. 105,
n. 12 - Farinaccio, quaest. 105, n. 118 - Menochio ,
Praesumptionibus, lib. 5, praesumpt. 3, n. 47 - Mascardo,
concl. 902, n. 4, 8, 10 ; et conclus. 903, n. 6 Gaill, Ob
servationum, lib. 2, observ. 106, n. 1- Carpzovio, Pract.
crim. quaest. 97, n. 3. Ma questa regola sarebbe esorbitante
se s'intendesse di una presunzione juris et de iure, perchè
in criminale non se ne può mai ammettere di tali deve in
tendersi soltanto di una presunzione che influisca sull'onere
della prova. Bisogna riassumere la dottrina cosi : o le parole
sono equivoche, e possono prestarsi anche al senso non in
giurioso, ed allora dell'animo ingiurioso si deve fare prova
rigorosa dell'accusa, bastando al giudicabile dedurre che usò
le parole nel senso buono, finchè non venga smentito. O le
parole hanno un senso assolutamente ingiurioso per loro
stesse o per il comune usus loquendi ; ed allora incombe alla
difesa lo escludere per circostanze speciali lo animus inju
riandi : e quando ciò si faccia anche per mezzo di conget
ture valevoli, il giudice può assolvere malgrado la natura
ingiuriosa delle parole purchè ritenga deficiente l'animo d'in
giuriare. Sarebbe gravissimo errore asserire che la indole
ingiuriosa delle parole perpetuamente impedisca di dedurre
― 92 -
la mancanza dell'animo colpevole. Questa è la formula nella
quale io credo si debba riassumere la dottrina pratica odierna
sulla perplessità che genera il conflitto fra la ingiuriosità
naturale della parola o dell'atto e la impugnativa dell'animo
di oltraggiare. La presunzione desunta dalla leg. si non con
viti 5 C. de injuriis fu qualche tempo oscillante nelle sue
concrete applicazioni. Si osservò che nessuno può dare una
prova esteriore dell'intendimento dell'animo suo, e si venne
al vecchio rimedio di ordinare al giudicabile che si purgasse
dagli effetti della ingiuriosità dell'atto, prestando giuramento
di non avere voluto offendere. Ma i giuramenti purgatorii
andarono in desuetudine . Ed allora ammettendo la regola che
le presunzioni si possono vincere con presunzioni opposte, i
dottori si dettero studio di enumerare le congetture valevoli
ad escludere l'animo di ingiuriare a fronte di un fatto in
giurioso. E qui si venne enumerando la congiunzione di san
gue, per argomento della leg. unica, C. de emendatione pro
pinquorum, e l'amicizia, e la buona fama, ed altre simili :
-
Hunnius, Ad Treutlerum , disputat. 30, thes. 4, quaest. 35 —
Mevio , Decisiones, pars 1, decis. 51, n. 5 et 7 ; et pars 7,
decis. 112 Boehmero , Decisiones, tom. 3, pars 3, de
cis. 804 - Arumaeus, Disputationes, disp. 26, thes. 16
Stuck, Exercitationes Justinianeae, pars 1, decas 13, asser
tio 8, lit. e. Dispute che sempre finirono con la solita con
clusione che in qualunque dubbio dovesse escludersi l'animo
ingiurioso : lo che in fin dei conti molto assennatamente ri
dusse al minimo valore la formula del dolo presunto. E si
andò fino a stabilire la regola ( che con altri venne insegnata
da Fabro, In Codicem, lib. 9, tit. 20, definit. 10 et 11) che
dovesse assolversi lo ingiuriante quando innanzi al giudice,
confessando il fatto ingiurioso, soggiungesse di avere agito
per impeto ed irriflettutamente , e professare invece tutto il
rispetto e tutta la stima verso il dolente. La quale regola
anderebbe all'assurdo se la si portasse a fare della ritratta
zione o del pentimento una dirimente del delitto consumato.
La ritrattazione non è che una circostanza per la quale il
93
giudice si può più facilmente convincere che mancasse lo
animo di ingiuriare : ed allora egli assolve non perchè per
doni un delitto commesso, ma perchè giudica non essersi com
messo delitto, argomentando dal contegno posteriore dello
imputato la deficienza dello estremo essenziale della ingiu
ria. Difficilmente però si possono dettare precetti scolastici
in cosa che dipende dalle speciali apprezzazioni del fatto ,
consegnate sempre alla prudenza del giudicante. Basta che
egli non pronunzi lo errore di ritenere l'animo per la sola
ingiuriosità delle parole ; basta che desuma l'animo reo da
congetture accessorie : e sarà insindacabile.

§. 1752 .

Ma di questa regola importantissima che l'ani


mus injuriandi attenga alla essenza di fatto della
ingiuria avvi un'altra ragione più sensibile, ed
ugualmente vera : e questa deriva dalla natura delle
cose, perchè una ingiuria non è come una percossa
la quale reca dolore sensibile tanto se da malvagio
animo quanto se da colpa proceda. La sua indole
offensiva non può stare per modo assoluto nè nella
parola nè nel gesto, l'uno e l'altra offensivo o non
offensivo secondo che tale lo volle o non lo volle

colui che parlava od agiva. Il gesto e la parola


niente altro dicono oltre ciò che loro volle far dire.

colui dal quale emanarono. A tutte le parole, a


tutti i gesti può darsi una doppia significazione,
ora oltraggiosa, ora di onoranza, o per lo meno
indifferente. La ironia cambia il senso di una pa
rola o di un gesto : una riverenza affettata può
essere un atto di derisione, una parola di encomio
può lanciarsi come un insulto. Ed a ciò si presta,
oltre il modo di agire o di dire, anche la variabile
94

significazione che le parole ricevono nel comune


linguaggio. Non può affermarsi (a modo di esem
pio) se colui che disse cara ad una donzella venne
a proclamare la sua amabilità, o se venne invece
affermando che ad alto prezzo vendesse i favori
suoi . Per decidere il dubbio è sempre inevitabile
indagare la intenzione dell'agente. Il motto è bef
fardo se con animo beffardo, è onorevole o indif
ferente, se con animo diverso si proferi. Senza la
intenzione la parola è spesso lettera muta ( 1 ) .

(1) In materia d'ingiurie mi fu presentato un dubbio sin


golarissimo. Mi si domandò se la intenzione di provocare ad
un duello fosse esclusiva dello animus injuriandį. Io (dice
vasi) non volli denigrare la fama del mio avversario, volli
solo costringerlo a battersi meco : ben lungi con ciò di at
taccarne l'onore io gli faceva testimonianza onorifica, perchè
se lo avessi stimato persona vile avrei esitato a battermi se
colui. Questa argomentazione mi parve speciosa, ma non so
lida, perchè sempre restava la intenzione di ferire l'avversario
nell'onore, quantunque ciò nel disegno dello agente non fosse
fine all'azione, ma mezzo. Quanto io scriveva in questa nota
nel 1868 trova correzione e modificazione in quanto poscia
scrissi al §. 2906 e 2907. Ma se oggi mi si domanda il mio
ultimo pensiero risponderò senza esitazione che scientifica
mente io tengo per migliore la opinione da me adottata nel
testo al §. 2906 anzichè l'altra che nella presente nota io aveva
fugacemente accennata. E ciò che vi ha di più singolare si
è che lo errore da me incorso nella presente nota mi si è
fatto chiaro per lo elogio che di questa stessa nota io trovai
in un giornale, ove un mio dotto collega pienamente aderiva
al contenuto nella medesima. Leggendo che il mio ragiona
mento si voleva convertire in una massima generale assoluta,
io dovetti accorgermi che il mio ragionamento era falso . Se
si aderisce al principio cardinale della nozione della ingiuria,
- 95 ―――

quello cioè che la essenzialità dei reati aggressivi dell'onore


tutta consista nella intenzione di offendere l'onore altrui, bi
sogna per logica necessità venire a quella conseguenza che
quantunque per provocare a duello siasi scelto il mezzo della
ingiuria pure il titolo d'ingiuria non può sorgere perchè le
manca il criterio essenziale dell'animo d'ingiuriare : e sorge
invece come titolo non dirò principale, ma unico di reato, la
provocazione a duello. Sempre ragionando scientificamente è
sofistico l'argomento che mi abbagliò quando scrissi questa
prima nota. È sofistico perchè pecca di petizione di principio.
Io dissi là che lo avere scelto la ingiuria come mezzo per con
sumare un altro delitto non esclude che siasi sempre com
messo e voluto commettere il delitto d'ingiuria. Questa osser
vazione come generalità è giustissima ; repugnando che un
delitto si scusi perchè abbia servito di mezzo ad un secondo
delitto. Ma la generalità stessa presuppone un postulato, man
cando il quale l'argomento diviene sofistico : presuppone cioè
(notisi bene) che il fine criminoso speciale non denaturi il
delitto servito come mezzo. Allora col delitto fine concorre
il delitto mezzo con tutti i caratteri dello esser suo, ed am
bedue i titoli restando vivi, dovrà applicarsi quello che abbia
maggiore gravità, giusta la teorica della prevalenza. Così non
vi ha dubbio che l'omicidio servito di mezzo al furto , rimane
sempre omicidio perchè sempre si volle uccidere ; e lo avere
ucciso per fine di furto non fa sparire la volontà di uccidere.
Ma quando invece l'ulteriore fine delittuoso denatura il fatto
che ha servito di mezzo è una pretta petizione di principio
ritenere come consumato mediante il mezzo quel delitto che
in ragione del fine speciale è venuto a perdere i caratteri di
quel delitto che altrimenti avrebbe rappresentato. Se pertanto
si ammette che il fine di provocare a duello elimini affatto
l'animo d'ingiuriare ; e se è vero che la mancanza dell'animo
d'ingiuriare elimini il delitto d'ingiuria : è evidente il sofi
sma nel quale si cade applicando qui quella generalità che
la criminosità del fine non elimina la criminosità del mezzo.
Verissima sempre è questa regola, tranne quando il fine spe
96 ―――
ciale, benchè criminoso, denatura la indole giuridica del mezzo
perchè ne fa sparire un criterio essenziale. Un esempio illu
mina questo ragionamento. Il furto consiste nel pigliare cosa
altrui col fine di arricchirsi. Or bene, se io rubi il metallo
altrui per farne falsa moneta, questo fine criminoso non eli
mina la criminosità del mezzo e rimangono obiettabili am
bedue i titoli di falso nummario e di furto. Ma suppongasi
un creditore che frodolentemente o violentemente pigli la cosa
dal debitore per pagarsi del suo credito. Questo fine è crimi
noso perchè fa sorgere la offesa alla pubblica giustizia e il
titolo di ragion fattasi. Ma obietterete voi il titolo di furto
congiuntamente al titolo di ragion fattasi in ossequio alla
vostra regola che la criminosità del fine non esclude la crimi
nosità del mezzo ? Se ciò tenterete voi agirete malissimo, e
troverete contro simile tentativo la costante giurisprudenza
dei nostri tribunali, la quale in ipotesi siffatte giudicò sempre
che la ragion fattasi era inconciliabile col titolo di furto, e
che quella escludeva questo. (Vedasi i miei Opuscoli, vol. VI,
opuscolo 36) . E per qual motivo si è giudicato sempre così ?
Per la ragione che ho detto, cioè che lo speciale fine crimi
noso di esercitare il proprio diritto elimina la intenzione di
arricchirsi ingiustamente a danno altrui : laonde poichè non
è più furto il pigliare invito domino cosa altrui senza animo
di locupletarsi, il fine speciale toglie al mezzo la sua crimi
nosità ordinaria, e lo spoglia di quel titolo che altrimenti sa
rebbe stato inerente al medesimo. Non è pertanto che la cri
minosità del fine escluda la criminosità del mezzo ; ma invece
la denatura, la modifica, e la compenetra in tal guisa col
delitto fine che rimane imputabile unicamente il delitto fine,
perchè al mezzo sono mancate le condizioni per obiettarlo
come delitto di per sẻ stante. Ecco quello che io credo vero
scientificamente. Ed anche praticamente io credo che quando
la legge locale elevi a delitto la provocazione a duello si do
vrà sempre obiettare questo solo titolo, e non più la contu
melia, perchè le mancherà lo estremo indispensabile dell'animo
di offendere l'altrui onore ; sebbene dove la legge locale non
97 -
dia il carattere di delitto alla provocazione a delinquere possa
incontrarsi difficoltà pratica nel lasciare il fatto esente da
ogni imputazione : e questo è ciò che io volli dire al §. 2907.
La proposizione che la criminosità del fine non influisca sulla
criminosità del mezzo è paradossale e fallace. Sono cento i
casi nei quali v' influisce. Quando mai si videro i tribunali
chiamati a condannare un ladro, che penetrato in mia casa
vi rubò una lira, infliggere a quel ladro non il mese di car
cere minacciato al furto di una lira ; ma i due anni di carcere
minacciati alla violazione di domicilio ? Mai si vide ciò . E per
qual motivo ciò mai si vide ? Per la solita ragione da me
addotta cioè che la criminosità del fine di furto toglieva allo
ingresso arbitrario nel mio domicilio il carattere essenziale
costitutivo del titolo di violazione di domicilio, vale a dire la
intenzione diretta ad offendere l'altrui libertà, invadendo i lari
domestici del cittadino per turbare la sua privata tranquillità.
Sempre in gravi errori si cade quando si vogliono costruire
certi reati col solo elemento di una data materialità, senza
tenere il debito conto dello elemento intenzionale che completa
la respettiva essenzialità giuridica. Vedasi anche la nota a
§. 1839 .

§. 1753.

Di qui prima di tutto nasce la regola che non si


ammette ingiuria colposa. Questo principio risale
al testo delle leggi romane : leg. 3, §. 1 et 2 ff. de
injuriis ; l. 1, § . 38 ff. depositi ; l. 34 pr. ff. de
oblig. et act.; l . 41 princ. ff. ad leg. Aquil.; bel
lissima è la l . 1, §. ff. de insp. ventre ; ed espli
cita la 1. 5 , C. de injuriis . Onde non è meravi
glia se la massima che nega la ingiuria colposa
è comunemente insegnata in tutte le scuole ( 1 ) . A
molti però piacque di cotesta regola addurre la
VOL. III. 7
- 98 --

empirica ragione che se si ammettessero le querele


per ingiuria colposa si assorderebbe il foro di
pianti giornalieri ; e bisognerebbe fuggire l'umano
consorzio. Ma questa argomentazione, sebbene pre
diletta da molti, non soddisfa al mio modo di guar

dare le questioni . La ragione di non imputare le


ingiurie colpose sta nella mancanza di materiale,
e cosi sta nelle intime condizioni del fatto . E ciò
appunto perchè attesa la naturale elasticità dei
motti e dei gesti, non avvene uno che possa dirsi
in sè assolutamente ingiurioso , se tale non lo rende
la intenzione di chi lo proferiva o lo eseguiva.
Laonde quando si suppone che un gesto od un detto
siasi posto in essere inavvertentemente o senza
animo di fare ingiuria, si pone una ipotesi nella
quale manca veramente il materiale del reato. Un
colpo sulla persona può ledere il diritto quantun
que recato inavvertentemente ; ma non è possibile
altrettanto in una offesa all'onore . Corollario di
questa proposizione è l'altra regola che nelle in
giurie lo errore (anche vincibile) produce l'effetto
di una dirimente quando è errore di fatto . E ciò
tanto se l'errore è caduto sulla persona, perché
siasi diretto un motteggio confidenziale a persona

rispettabile per averla scambiata con un intimo


amico, quanto se l'errore sia caduto sulla cosa
perchè (a modo di esempio) siasi per disavver
tenza (2) vergata una parola oltraggiosa dove si
aveva in animo di vergarla rispettosa .

(1) Renazzi, Elementajur. crim. liv. 4, pars 4, cap. 9, n. 5—


Cremani, De jure criminali, vol. 2, lib. 2 , cap. 7, art. 7, §. 4
- Voet, In tit. de injuriis, n. 20 ·- Matthaeo, De crim.
99
lib. 47, tit. 4, cap. 1, §. 7 ――― Perez, In praelect. in cod. in
lib. 9, tit. 35, n. 1 de injuriis Carpzovio , In prax.
pars 2, quaest. 97, n. 25 - Meister, §. 188 - Ludero
Menckenio, De probatione animi inferendi injuriam, in
ejus Dissertat. n. 2. La possibilità della ingiuria colposa si
negò senza esitazione anche da Feuerbach, Grollman,
Weber, ed altri luminari della scuola germanica. Soltanto
parve dissentire l'acutissimo Kleinschrodt insegnando
che anche per mera colpa poteva benissimo recarsi danno
all' onore altrui senza nessuno intendimento ostile. Ma le
esemplificazioni con cui volle confortare il suo assunto sono
casi di violazione di segreto , o di propalazione di lettere, nei
quali sorge una specialità propria tutta differente dal titolo
d'ingiuria. Potrà dubitarsi
4 se nei termini di mera colpa si
faccia mai luogo ad azione civile per le riparazioni, quando
per avventura taluno con un suo discorso imprudente abbia
ad altri recato un grave danno patrimoniale : ma tale que
stione esce dai limiti del mio compito. La tesi della ingiuria
colposa si sostenne dal Vogler, Dissert. de homicidio lin
guae, §. 11 : fra le dissertazioni del Thomasio, vol. 2.
Ma esso non procede da altro criterio tranne quello dell'ana
logia con l'omicidio, senza ponderare se fra caso e caso vi
è ragione di distinguere. E la ragione sta appunto in questo:
che chi uccide altri senza prevederlo uccide quantunque non
preveda di uccidere ; 'mentre chi vuolsi che abbia ingiuriato
altri senza prevederlo non ha ingiuriato, perchè non ingiuria
chi non vuole ingiuriare . Si tenga fiso l'animo al pensiero
che ogni ingiuria prima di aver vita esteriore deve neces
sariamente per essere tale avere avuto un'antecedente vita
interiore nella mente di colui che la emise : e questa disputa
che si volle intricare apparirà lucida alle nostre intelligenze.
(2) Leyser, Meditationes in pandectas specimen 550 : de
exceptione erroris in injuriis dove nota che l'errore simulato
e affettato ben lungi dallo essere scusa aggrava la imputa
zione. E di tali simulazioni ne reca esempi. Uno è quello di
un mercante francese che scrivendo ad un suo emulo appose
―――― 100
sopra la lettera il seguente indirizzo ―― A Monsieur N. Mar
chand bien ruiné. Pretendeva di avere voluto scrivere bien
renomé. Ma non fu creduto. Altro esempio ricorda in un ti
pografo che invitato a stampare una poesia in onore di un
cittadino che a lui era antipatico simulò un errore di stampa :
e dove il verso diceva, grande decus patriae, egli stampo grande
pecus patriae. Non si trattava che di un rovescio della let
tera d. In quanto poi allo errore di persona avverte Ley
ser che scusa soltanto quando lo agente versava in re licita ;
leg. 18, §. 3 ff. de injuriis. E ciò a buona ragione, perchè se si
aveva l'animo di ingiuriare è indifferente siasi offeso Cajo o
Sejo, la giovine o la maritata e simili. Ma vi sono dei casi
nei quali la familiarità esclude la intenzione ostile ; ed allora
bisogna bene scusare a cagione dello errore di persona che
elimina l'estremo intenzionale del delitto. Si vedano le ulte
riori osservazioni che faccio al §. 1825 e la nota 2 a §. 1750.

§. 1754 .

Nè io credo che questa regola possa restringersi


ai soli termini di mera contumelia , negandola nelle
più gravi specie della diffamazione e del libello
famoso ( 1 ) . Tutto sta nello intendersi intorno al
dolo che si richiede. Sicuramente se si esigesse

la prova che veramente siasi sparso il libello , o


ripetuta la imputazione con l'apposito fine di uc
cidere l'altrui fama, ciò sarebbe troppo pretendere .
Ma non bisogna in questi reati confondere l'ani
mus nocendi col dolo . Questo è il fatale equivoco
al quale conduce troppo spesso la infelice locu
zione francese intention de nuire. Il dolo speciale
dei medesimi consiste nella coscienza di divulgare
uno scritto o una proposizione infamante, ancorché
si faccia per semplice leggerezza, e per dar mo
101 -

stra di bello spirito ; il dolo sta nel sapere che con


quell'atto si viene a ferire la riputazione di umana
creatura, benchè non si proceda con esplicita ma
lignità ; ciò basta ; sicuramente la maldicenza è un
vizio che ha del satanico, perchè chi ne ha con
tratto la trista abitudine (e sono troppi costoro)
trova una depravata soddisfazione nel dir male del
prossimo ancorchè si tratti di sconosciuti , rispetto
ai quali certamente non potrebbe assodarsi contro
di lui la prova della intenzione di nuocere: quasi
pare che a tale genia sia cagione di esultanza la
corruzione del genere umano ; tanta è la alacrità
con la quale venuti in cognizione di un reo fatto
di alcuno vanno in giro a far pompa della pere
grina notizia, ingrandendola spesso e rendendone
più foschi i colori . È perciò che io ripeto essere
questo reato il più delle volte satanico. Chi volesse
patrocinare cosi brutto contegno sotto il velame
della mera imprudenza errerebbe a partito. Ma
ammettere i termini della colpa condurrebbe a ren
der punibili anche tutti i casi nei quali mancò ogni
scienza ed ogni previsione attuale del discredito
che il fatto nostro poteva recare all'onore altrui ;
e in questo senso la punibilità della mera colpa
anche nella diffamazione e nel libello famoso, non
è sostenibile, poichè guardato il fatto nella sua in
dividualità e nei rapporti con l'autore suo, quel
fatto che si esegui senza cognizione del disonore
altrui che poteva derivarne non ha nel suo mate
riale gli elementi della ingiuria. Nè codesto ma
teriale può accattarsi dall'animo del primo autore
del libello, perché allora si entrerebbe nei termini
della complicità : e già sappiamo che non si può
- 102 -

essere complice di altri (§ . 432) senza concorso


di volontà ; e che nei fatti colposi non può aversi
vera e propria complicità. Laonde, come notava
di sopra, appositamente nella definizione di questi
due reati si aggiunge la parola dolosamente, per
ricordare che anche nei medesimi sta nel dolo la

condizione principale del corpo del delitto .

(1) Diversamente opinò il Mundio, (De diffamationibus,


cap. 1, n. 51) il quale credette insegnare (pag. 29) che su
questo proposito intercedesse differenza fra la ingiuria e la
diffamazione, sicchè per mero errore o disavvertenza non po
tesse commettersi la prima, ma bene la seconda : la quale
distinzione se può ammettersi agli effetti civili io non la credo
accettabile agli effetti penali . In proposito di questa opera
del Mundio , trovo che Grellet Dumazeau, (vol. 1,
pag. 6, nota 4) narra di avere fatto lunghe ed ansiose ricerche
di questo libro, ed averlo finalmente trovato alla Biblioteca
del Re di Francia al catalogo 2, foglio 133. Se per altro qual
cuno desiderasse di consultarlo , visitando la mia Biblioteca
può risparmiarsi di andare alla Reale di Francia . Del resto
sembra che ad alcuni moderni codici, come quello di Olanda
e il Badese (§. 294) sia piaciuto di convertire questa regola
in un articolo di legge : ma non vedo la necessità che il le
gislatore ne impacci la prudenza del giudice.

§. 1755.

Anche la indagine dello elemento intenzionale


apre l'adito ad una illustrazione che giova a chia
rire il principio ( 1 ). Ma questo si illustra non per
via di enumerazione di casi che presentino la es
senza del reato : s'illustra all'opposto per via di
enumerazione di casi ove cessa ogni carattere cri
-- - 103 --

minoso per virtù di uno speciale stato di animo


onde s'informava l'azione, e per virtù del quale
viene ad eliminarsi l'animo d'ingiuriare (2) . Un
primo esempio di cotesta intenzione innocente si
trova nell'animo di correggere ; Menckenio, dis
sert. de probat. animi inferendae injuriae, thes. 20 ,
pag. 59. Uno dei precipui benefizii della umana
consociazione è quello del sindacato morale che
l'uomo esercita sovra l'altro uomo, e che mira
bilmente serve ad emendare le nostre viziose ten
denze ed a spingerci nella via del nostro morale
perfezionamento. Interdire codesto sindacato nel
civile consorzio sarebbe contrario ad uno dei fini

primitivi della consociazione ; se ne darebbe argo


mento al male di crescere, impaccio al migliora
mento dello individuo : nessuno, che ragionevole
sia, può dirsi offeso se altri a buon fine cerca
emendarlo di un suo difetto, e per quanto l'amor
proprio ferito possa fargli a prima vista apparire
aspra la reprensione, quando vi torni a riflettere
deve sentirne gratitudine e non rancore. Il diritto
d'istruire gli altri ed avvertirli dei loro difetti è
da tutti i pubblicisti (3) enumerato fra i diritti ori
ginarii all'uomo concessi dalla legge di natura.
E chi esercita codesto diritto, purchè convenien
temente il faccia e senza passione ostile, non può
essere dichiarato colpevole, se non vuolsi che alla
suprema legge giuridica osteggi la legge morale.

(1 ) In ultima analisi questa teorica porta alla conclusione


che non solo in un'accusa di ingiuria basti interpretare la
parola secondo le regole grammaticali. No vario, Decisio
nes Lucanae, decis. 229 ; ma che di più bisogni costantemente
- 104 ――――――
procedere per via di interpretazione concreta anteponendo.
sempre alla significazione grammaticale il significato che ebbe
in mente colui che parlava . Ed oltre a ciò quando pure si
giunga a stabilire che chi parlava usò la parola piuttosto nel
senso che suona censura anzichè nel senso indifferente, resta
a provare che questo egli fece pel fine preciso di recare ol
traggio. E così può costituire contumelia la parola in sè non
ingiuriosa ; e non costituirla una parola ingiuriosa.
(2) Questa è quella che i pratici chiamano exceptio beni
gnioris interpretationis. Leyser, spec. 550, med. 8.
(3) Ha u s, Elementa juris naturalis, §. 1113 — Zeiller,
Jus naturae privatum, § . 44. Questa sentenza volle esprimere
Terenzio in quel celebre detto - homo sum, nihil a me
humani alienum puto : il qual passo benchè inteso da molti
come una scusa di debolezza propria, non ha niente affatto
in bocca dello interlocutore di Terenzio cotesto signifi
cato ; ma, come bene mostrarono i meglio eruditi , sta ad
esprimere sono uomo e come tale ho diritto di interes
sarmi in ciò che fanno gli altri uomini.

§. 1756 .

Corre dunque senza difficoltà la regola che non


possa imputarsi come ingiuria un detto od un atto,
per quanto eventualmente se ne deteriori l'onore
altrui, quando procedette dallo intendimento di ri
chiamare alla emenda colui verso il quale si indi
rizzava, anzichè dalla veduta di offenderlo . E co
desta regola non presenta argomento disputabile
finchè si adatta alla ipotesi di un superiore (1 )
che corregga un suo inferiore . Può dubitarsi nella
diversa ipotesi che la passata ingiuria parta dallo
eguale verso l'eguale, e dallo inferiore verso il su
periore; essendochè se tosto si scorge che il su
periore lecitamente esercita il suo diritto di cor
- 105 ――――

rézione, non è altrettanto sensibile lo esercizio di


tale diritto nello inferiore o nello uguale . Ma il
dubbio dileguasi se si riflette che lo jus corrigendi
et instruendi alios non è un diritto che nasca dalle
condizioni sociali, o da una speciale posizione,
da eccezionali rapporti fra gli individui . Esso è
un diritto umanitario nascente dal vincolo primi
tivo della umanitaria fratellanza . Laonde come in

noi esiste quel diritto che ci è rivelato dalla spon


tanea aspirazione dell'anima nostra di correre al
soccorso del nostro simile quando lo veggiamo in
qualche pericolo, cosi è in noi il diritto di ammo
nire altri che veggiamo nel pericolo di mal fare
senza bisogno che una legge umana o una dignità.
nostra ce ne abbia investito . Tutta la difficoltà in

contrerassi nella pratica applicazione del principio ;


perchè con grande facilità correremo a riconoscere
l'animo di correggere nel superiore , e potremo esi
tare ad ammetterlo e chiederne più chiara dimo
strazione nello uguale o nello inferiore. Ma quando
la intenzione di correggere sia chiarita anche in
costoro, il principio non può incontrare contesta
zione (2) : ed anzi è da consigliarsi nella pratica
una certa larghezza su tale argomento affinchè non
involgasi in persecuzioni criminali l'onesto citta
dino che agiva a fine di bene quantunque per av
ventura nel suo ufficio di aristarco possa avere in
qualche modo ecceduto .

(1) Vollero alcuni pratici stabilire come regola assoluta che


contro certe persone non si ammettesse l'accusa di ingiuria, e
vollero esemplificare questa regola in tutti coloro che eserci
tavano autorità gerarchica o domestica, come il marito, il pa
――― 106 -

drone, il precettore , il magistrato ; argomentando ciò dal titolo


De emendatione propinquorum nel Codice giustinianeo : Gaill,
Observationum, pars 2, observ. 106 - Schradero, De feu
dis, pars 9, cap. 4, n. 121 - Claro , Sententiarum, lib. 5,
§. injuriam, n. 1. Ma poichè dovettero ammettere che anche
contro costoro potesse agirsi per titolo di ingiuria quando
avessero
ro abusato della propria potestà, così è manifesto non
potersi accettare quella regola come apodittica e costituente
un privilegio personale, ma tutto ridursi alla presunzione del
mancato animo di ingiuriare, la quale emerge dalla respettiva
situazione delle parti. È notevole un caso che in faccia ai
Tribunali austriaci percorse tre gradi di giurisdizione. Trat
tavasi di un maestro ginnasiale che volendo rimproverare
ad un discepolo la sua mala condotta nella scuola lo aveva
tacciato di mascalzone . Lo scolaro se ne adontò, e querelò
per ingiuria il maestro ; ed alla Prima Istanza ne ottenne la
condanna. Ma ricorso il maestro all'Imperiale e Reale Tri
bunale di Appello in Trieste fu completamente assoluto sul
principio che l'animo di correggere escludeva l'animo di in
giuriare. Ricorse lo scolaro al supremo Senato di giustizia
in Vienna, ma questo con decreto del 12 aprile 1871 confermò
la sentenza dell'appello adottandone i motivi e condannò il
querelante nelle spese. Questo caso trovasi raccolto dalla Gaz
zetta dei Tribunali di Trieste n . 18, anno 5, pag. 145. Fino
a qual punto esagerassero i Romani la teorica dell'animus
corrigendi lo mostra la leg. 5, §. fin . ff. ad legem Aquiliam.
(2 ) Che si direbbe di un servo che portasse querela contro
il suo signore perchè lo tacciò di asino o di poltrone ! Si ve
dano i due titoli del Codice De emendatione servorum e De
emendatione propinquorum. Il Leyser dapprima aveva opi
nato diversamente, e sull'autorità del Mevio, (In jus Lu
bec. pars 3, tit. 8, art. 10, n . 16) condannò parecchie padrone
che avevano tacciato male le proprie serve per causa delle
loro disonestà. Ma poscia atterrito dalla pioggia delle que
rele (spec. 546, med. 15, si ricredette da questa severa opi
nione e desistè dal condannare i padroni. Lo che peraltro si
107
deve intendere quando siavi ragionevolezza nella causa e non
eccesso nel modo. È conforme la opinione del Puttmann,
Elementa, § . 398 ; dell' Aretino , De maleficiis, pag. 465,
n. 33. Ma anche fra eguali e per parte d' inferiori si deve
ammettere come scriminatrice una intenzione diretta a cor
reggere. E la presunzione per ritenerla sorge dalla circostanza
che la parola materialmente offensiva si emettesse contro chi
stava facendo qualche cosa di male. All'ombra di questo prin
cipio volle taluno dichiarare in modo assoluto incensurabili
le parole offensive che si dicano da un sacerdote parlando al
popolo dal pulpito o dall'altare ; Lauterbach , disp. 1,
thes. 13, n . 6. Ma neppure cotesta regola, per quanto si ri
spetti la religione e i diritti dei suoi ministri, può darsi come
assoluta ; perchè quando il predicatore esca dalla generalità.
o dalla semplice censura di una classe ma designi l'indivi
duo, potrà benissimo essere imputabile di ingiuria, ed anzi
la solennità della occasione la renderà più atroce . Vedasi in
questo senso, Leyser, spec. 548, de convitiis concionatorum,
med . 7et seqq. - Meister, Principia , §. 146 — Puttmann,
Elementa, §. 411 Titius , disp. 6, de officio concionan
tium - Simon, De actione injur. sacerdot. concernent.
Horn, Addit. ad Schilt , Instit. jur. canon . pag. 187 ―

Stryckio, Diss. vol. 3, disp. 8, cap. 4, n. 41 Vogler,
--
De homic. linguae, §. 19 Carpzovio, Jurisprud. eccles.
lib. 3, tit. 9, def. 98 -- Brunnemann, Jur. eccles. lib. 1,
cap. 6, n. 1, §. 5.

§. 1757.

La seconda forma nella quale si configura una


proeresi che direttamente contradice ed esclude
l'animus injuriandi, e cosi distrugge la essenzia
lità del malefizio, è quella dell' animus jocandi.
Non si dimentichi mai in questo argomento che
per inconcusso canone di diritto essendo sempre
- 108 ―――

a tutto carico dello accusatore la prova specifica


e completa del corpo del delitto, il quale per ogni
dubbio si esclude, non può mai l'accusa vantare
la prova del materiale della ingiuria che afferma
finchè non ha dimostrato che la parola proferita
lo fu con animo d'ingiuriare. Questa prova si sarà
fatta a sufficienza dall'accusa quando essa mostri
che la parola proferita non può nel suo senso na
turale esprimere che un oltraggio, o esclude ogni
possibilità di scherzo. Ma quando la parola sia
equivoca le sarà forza assodare il corpo del delitto
mostrando per altra via il concorso della inten
zione maligna. Ed anche quando la parola sarà
univoca in senso di oltraggio, essa non fornirà al
l'accusa che una presunzione e niente di più . Sic
che dove l'accusato dimostri verosimile un animo
diverso avrà costantemente distrutto il fondamento
dell'accusa, e dovrà anche trionfare nel dubbio la

presunzione d'innocenza : verità che in pratica non


è sempre convenientemente avvertita. Lo ammet
tere o no l'animus jocandi come criterio che
elimini la ingiuria dipende molto da circostanze
che male possono definirsi a priori, e più parti
colarmente dipende dalle relazioni personali : do
vendosi con facilità maggiore ammettere quando
cade fra amici, ed in un trattamento confidenziale.
In ciò farà gran giuoco la prudenza del giudice.
Ma nel principio la regola è positiva ( 1 ) ; e quando
il giudice si convinca che si ebbe soltanto la vo
lontà di scherzare egli non può pronunciare con
danna per questo solo che l'altro non abbia voluto
accettare lo scherzo e ne abbia mostrato risenti
mento.
109 --
(1) La regola è testuale : l. 3, § . 3 ff. de injuriis Holt,
De injuriis, cap. 2, pag. 6 - Angelo, De delictis, pars 1,
cap. 79, n. 24 - Aretino , De maleficiis, pag. 465, n. 33
- Puccioni, Commen
to, vol. 4, pag. 654. Si valuta come
argomento sufficiente per ritenere l'animo di scherzare, o
qualunque altra foggia di intenzione innocente, la immediata
ritrattazione dell' ingiuriante. Questa regola potrebbe sem
brare una eccezione al principio factum infectum fieri nequit,
per il quale è sempre indifferente alla essenzialità dei crimini
quanto dal colpevole si faccia posteriormente alla loro con
sumazione ma non lo è ; perchè la ritrattazione non si va
luta come circostanza che distrugga un delitto già consumato ,
si valuta bensi come circostanza che mostra non aversi avuto
l'animo di ingiuriare, e così non essersi mai consumato de
litto. Analogo ma non identico è il caso della condizione o
della protesta aggiunta alla ingiuria. La condizione può fa
cilmente escludere la criminosità, come quando si dicesse ad
alcuno se ha fatto questo sarebbe un birbo. La stessa ap
posizione della condizione esclude la credenza del fatto in
chi parla ; e converte la proposizione in una sentenza astratta
della quale nessuno può offendersi senza affermare la propria
turpitudine. Tale è la mia opinione : debbo però confessare
che fra i pratici il problema trovasi diversamente risoluto.
Lauterbach, (disp. 89, n . 6 et 7) e Carpzovio , (lib. 1,
decis. 65) distinguono tra condizione riguardante il passato
e condizione riguardante il futuro, e insegnano che quando
la condizione riguarda il passato deve cercarsi se è vera o
falsa. Se è vera accordano l'azione d'ingiuria : se poi è falsa
la negano : quando riguarda il futuro dicono che pendente
la condizione non vi è ingiuria ; ma quando siasi verificata
può benissimo agirsi criminalmente . Per esempio, se Tizio
sposa la tale è un pazzo . Tizio non può querelarsi finchè non
l'ha sposata, ma dove poi l'ha sposata lo può. Analoga è la
dottrina di Carpzovio, Responsa electoralia, lib. 2, re
spons. 62, n. 3 - Harpprecht ; in §. 1, instit. de injuriis,
n. 147 -- Berlichio , Pract. conclus. pars 5, concl. 59, n. 3.
- 110 -

In ordine poi alla protesta io non la credo giuridicamente


valutabile. Niente mi curo che chi mi fa del male protesti
di non volermelo fare quando me lo fa. Nè può dirsi che la
protesta escluda l'animo di ingiuriare, mentre invece per
la medesima si rivela la conoscenza che ciò che va a dirsi
sarà offensivo. Troppo facile mezzo sarebbe cotesto per in
sultare tutti senza rischio di pena . Vedasi Holt, De inju
riis, cap. 4, §. 4 ·―――― Anton Matte o, lib . 47, tit. 4, n. 10 –
Strykio, Diss . vol. 3, disp. 3, cap. 2, n . 51 - Claro , Sentent.
lib. 5, §. de injuriis, n. 13 - Ghysen, Dissert. de injuriis
et famosis libellis, cap. 2, §. 9 - Carpzovio , Responsa,
―― -
lib. 2. resp. 62, n. 2 Guido Papa , dec. 465 in fin.
Wesembecio , In paratit. ff. de injuriis, n. 8 - Coc
cejo, Exercitationes curiosae, disputatio 43, de silentio §. 6 —
Hunnius, Ad Treutlerum, disputat. 30, thes. 5, quaest. 38,
---
pag. 344, tomo 2, pars 2 Giuliani , Istituzioni, vol. 2,
pag. 467 : e la mia nota al §. 1750.

§. 1758.

La terza forma che esclude l'animo d'ingiuriare


si ha nell' animus retorquendi. Quando alcuno si
sente da altri ingiuriare, se trascenda tosto an
ch'egli ad ingiuriare il suo offenditore, nasce quella
che dicesi compensazione della ingiuria ; la quale
estingue ogni azione penale per ambo i lati . Ciò
peraltro procede da diverso principio. In quanto a
colui che ritorse la ingiuria cessa il delitto ( 1 ) per
mancanza dell' animo, avvegnachè si ritenga che
lo facesse non per denigrare il suo offenso. ? ma

per ributtar da sè la ingiuria patita. In quanto al


primo che ingiuriò non potrebbe dirsi che la ri
torsione patita perimesse il delitto da lui com
messo. Ma perime l'azione, perchè perseguitan
―――― 111

dosi (come vedremo) la ingiuria a querela di parte,


colui che della ingiuria patita si è reso immedia
tamente giustizia da sè medesimo col ritorcerla sul
l'ingiuriante, si presume aver rinunziato all'azione
penale, ed aver voluto procacciare coi propri mezzi
la riparazione della propria offesa (2) . Sicchè la
compensazione che esonera il primo ingiuriante in
faccia alla querela di chi ritorse la ingiuria non è
niente affatto una minorante della imputazione ma
un modo di estinguere la pena.

(1) A questo duplice principio e duplice effetto non si uni


formano bastantemente quei Codici che si limitano a stabi
lire la non punibilità della ingiuria quando fu provocata. Ciò
si detto dal Codice francese all'art. 471 , n. 11 per le sole in
giurie semplici, e la giurisprudenza ne fece larga applicazione
in questo tema ; non però ( Morin, art. 8465 et art. 8510)
nel tema di diffamazione. Ma la sola disposizione che esonera
da pena il provocato della ingiuria non basterebbe ad eso
nerare da pena il provocante se non si ricorresse al principio
diverso della tacita remissione. Vedasi nella nota del § . 1838
il riassunto della teorica della provocazione, ritorsione e com
pensazione delle ingiurie.
(2) Questa è la idea che i più esatti giuristi espressero col
broccardo retorsio tollit injuriam et injuriarum actionem :
Hertius , Responsorum et decis. vol. 2, dec. 570, n. 2
quoniam qui ipse sibi judex extitit auxilio magistratus postea
indignus est - Mevio, Ad jus Lubecens. lib. 4, tit. 4, art. 10 ,
n. 7 - Carpzovio, Jurisprud. pars 4, constit . 9, defin. 4.
et constit. 46, def. 10 -- Fabro, In codicem lib. 9, tit. 20,
def. 8, n . E argomentano dalla 1. 37, in fine ff. de mino
ribus, e dalla l. 1 ff. quod legat. Sull'argomento della ritor
sione della ingiuria sono a vedersi ancora la l. 17, de vi et
vi armata ; e la l. 12, §. 1 ff. quod metus causa Gaill,
u rmser, Observationum, tit. 47, observ. 15 —
Observ. 101 - W u
- 112 --

Carpzovio , decis. 247 - Klock, cons. 184, lib. 3


Stuck, Exercitationes Justinianeae, decas 13, assertio 9, lit. f
- Oldekops , Contra Carpzorium, decas 4, quaest. 3 -
Arumaeus, Disputationes, disp. 24, thes. 12 : et decis. 13,
pag. 384, lib. 2 Menochius, consil. 47, n. 2 - Stru
vio, De vindicta privata, cap. 19 THE Renneman, De jure
retorsionis, pars 3, th. 47 - Volta er, observ. 15, vol. 1
Mynsinger , Observationum, lib. 5, observ. 17 - Mode
stinus Pistor, vol. 2, cons. 4, n. 36 - Berlichius,
-
Practicarum conclus. pars 5, concl. 64, n . 1 et seqq. — Cra
mer , Observationum, vol. 4, observ. 1155.

§. 1759.

Perchè la compensazione si ammetta occorre,


per l'insegnamento dei dottori , una certa propor
zione fra le ingiurie respettive. Ma sul rigore di
questo requisito bisogna peraltro procedere con de
bita cautela . Non devesi confondere del tutto la

compensazione con l'animus retorquendi. La que


stione della compensazione è vitale per il primo
ingiuriante : non lo è ugualmente per colui che
ritorse la ingiuria . Anche negata quella deve la
ritorsione spogliarsi del carattere criminoso per la
stessa natura della ritorsione ( 1 ) quando la ingiu
ria patita era eguale o più grave ; e soltanto valere
come minorante quando la ingiuria ritorta era di
assai più grave della patita . Altrimenti si va nel
l'assurdo ; mi spiego ; io ho ritorto contro il mio
offensore con una ingiuria leggera, mentre anche
l'offensore non avea proferito che una ingiuria leg
giera : si ammette la compensazione, e non vi è
difficoltà, poichè si dice, le due colpe sono eguali
113
e mutuamente si elidono . Ma se invece il mio of
fensore mi oltraggiò con una ingiuria atroce, si nega
(ed è ben giusto) la compensazione. Ma a quale ef
fetto ? All'effetto forse che ancora io debba essere

punito ? Ciò vidi talvolta avvenire in pratica, ma


fu errore solenne. Se la ingiuria che mi spinse a
ritorcere era semplice, io non sono reo : se quella
è atroce io dovrò essere colpevole ! Dunque io sarò
reo o non reo secondo la misura della reità altrui .
Dunque la mia reità nascerà dal fatto altrui . Dun
que perchè la offesa recata a me da altri è più
grave io dovrò subire la pena da cui mi avreste
esonerato se io avessi patito una ingiuria più leg
giera. Questi sono gli assurdi nei quali s'illaqueano
coloro che prendono alla lettera la regoletta o la
dottrina dei pratici, e che guardano la compensa
zione delle ingiurie sotto un punto di vista mate
riale senza addentrarsi nel doppio principio al quale
s'inspirò cotesta teoria. Lo stesso ripetesi nel caso
rovescio. Io ho trasceso ad una ingiuria semplice
a danno altrui : condotto in giudizio, deduco e provo
che il mio emulo si fece giustizia da sè, ed ot
tenne sufficiente riparazione ritorcendo la ingiuria
contro di me e deduco la compensazione . Il giu
dice esamina la ingiuria che io patii ; se la trova
leggera corre pronto ad ammettere la compensa
zione ; ma se vede che l'avversario mio non si limitò
a ribattere la mia lieve ingiuria con ingiuria altret
tanto lieve, e trascese ad ingiuria atroce, od anche a
peggio, egli s'impaccia nella teoria della compen
sazione, e trovando della compensazione mancare
i termini per la disparità delle offese condanna
me per la reità maggiore dell'altro, e perchè io
VOL. III . 8
―――― 114

ho patito reazione più grave. Che se poi colui che


fu ingiuriato leggermente da me non si limitó a ri
torcere parole di vilipendio, ma trascese a darmi un
carico di bastonate, sparisce anche la proponibilità
della compensazione : e sparita questa il giudice
che si sommerge nella regoletta trova inevitabile.
la mia condanna. Nè avverte che la compensazione
è una gretta formula la quale esprime lo svolgi
mento di principii superiori : e che il principio ra
zionale per cuí io ingiuriante ho acquistato il di
ritto di non esser più punito della ingiuria da me
commessa per la ritorsione dello ingiuriato sta nella
presunta renunzia all'azione penale, renunzia che
apparisce evidente dal fatto spontaneo dell'ingiu
riato che si procacció immediata riparazione a suo
modo. Lo che se si fosse avvertito si sarebbe com

preso che un ingiuriato esercita privata giustizia,


e sceglie la via della riparazione privata non solo
quando ingiuria il suo ingiuriatore, ma ugualmente
ed anche più quando lo bastona. Sicchè se non ri
corre la teoria della compensazione per scriminare
il secondo fatto, ricorre però la ragione della teoria
per mettere il primo fatto al coperto della penale
persecuzione alla quale l'offeso ha rinunziato fa
cendosi privata giustizia . Ma di ciò troveremo più
largo richiamo quando (§ . 1839) svolgendo la teo
rica dell'azione persecutoria della ingiuria dovremo
occuparci dei modi di estinguerla. Al presente luogo
.
bastino queste osservazioni al fine di comprendere
la speciale indole giuridica della cosi detta ritor
sione della ingiuria. Si avverta per ora che tutte
le difficoltà senza fine nelle quali si involve dai
pratici questa materia derivano dal non avere ,
115 -

come dovevasi, mantenuta la radicale distinzione.


che separa la provocazione, la ritorsione e la com
pensazione ; tre figure differentissime come chia
risco nella nota al § . 1838 : e dal non avere com
preso questa verità che in faccia a due che si in

giuriarono reciprocamente non è sempre necessario


unificare la formula della scusa . Può per uno degli
ingiurianti invocarsi la compensazione quantunque
per lui non ricorrano i termini della ritorsione nè
della provocazione; e può per l'altro ricorrere la
scusa o della ritorsione o della provocazione quan
tunque a lui non possa profittare la compensazione.
Questa verità indubitata, che è un mero svolgi
mento del sommo principio della individualità (o
personalità) del dolo , fuggi spesso dall'occhio dei
patroni e dei giudicanti, e di qui nacque la con
fusione delle idee, e la fluttuanza delle opinioni.
Stabilita nettamente, come vedremo al detto luogo,
la differenziale di quelle tre figure e riconosciuto
che a ciascuno dei giudicabili deve applicarsi quella
configurazione di scusa che a lui specialmente ap
partiene tutto diventa chiaro.

(1 ) La regola che l'animo di ritorcere esclude la ingiuria


si ripete comunemente dai pratici : ma nel ricercare la in
tima ragione della regola oscillano per diverse vie . Alcuni
vanno dietro al mero senso morale, e considerano la provo
cazione come causa di escludere la imputazione , in tal guisa
riconducendo questa teorica sotto la generale dottrina del
grado : Coth m a n, Responsa juris, vol. 2, resp. 59 n. 204;
et vol. 6, resp. 9, n. 20. Ed in questo senso la guardò Ul
piano, l. 14, §. 6 ff. de bonis libertorum ――――― ignoscendum si
voluit se ulcisci provocatus. Ed in pari equivoco caddero Ei
sembac, (De compensatione circa maleficia, Tubinga 1778,
116 -
§. 7, 8, 13, 14, 16) e Maestertius, (quaest. 16, n. 4 et seq.)
mentre la considerazione delle degradanti del dolo non è la
vera radice della teorica della compensazione nè di quella
della ritorsione. Altri confondono la dottrina della ritorsione
con quella della compensazione ; senza avvertire che la ritor
sione giova a quello che ingiuria chi lo ha ingiuriato, men
tre la compensazione giova ad entrambo : per lo che è evi
dente che il principio ne deve essere diverso . Altri ancora
identificò in modo assoluto l'animo di ritorcere con l'animo
di difendersi, fermandosi alla esemplificazione di chi risponde
tu mentisci : e fin qui starà bene che si ritorca per difen
dersi in quanto tacciando di mentitore chi appone a noi
brutte cose venghiamo a dire che tali cose non sono vere.
Ma se si esce da tale esemplificazione o da altre simili lo
animo di difendersi è esplicato tutte le volte che non esista
una correlatività fra la repulsa e l'ingiuria patita sicchè
possa dirsi essere quella (o direttamente o indirettamente)
una confutazione di questa. Male però osservò Boehmero,
(exercitat. 96, cap. 3, §. 39 et 40) che quando si ritorce la
ingiuria essa è già patita e più non vi occorre difesa ; per
chè (meglio meditata questa osservazione, che altra volta
troppo inconsultamente lodai ) la medesima è fallace tutte le
volte che il danno della ingiuria patita sia permanente, per
la impressione negli animi dei terzi che ha bisogno di essere
dileguata. Ma il principio della ritorsione essendo generale
bisogna aggiungervi una ulteriore ragione che trovi termini
abili in tutti i casi . La indefettibile ragione per cui la in
giuria del ritorquente non è delitto, è che le manca l'ele
mento essenziale dell'animo di ingiuriare. Il Raynaldo,
(observat. tom. 1, cap. 11, §. 1, n. 30) credette aver trovato
una buona ragione quando mostrò che negli scritti dei Santi
Padri si trovano spesso le più virulenti ingiurie contro i
loro detrattori . Peraltro anche i Santi talvolta peccarono.
Laonde bisogna trovare una ragione per dire che quei Santi
Padri non peccassero quando svillaneggiavano i loro contra
dittori. E la ragione vi è ed è tutta giuridica , perche chi
- 117 -
ritorce la ingiuria sotto la pressione di un oltraggio ricevuto
non pensa ad offendere altri, ma erompe in uno sfogo coman
dato dal sentimento della propria offesa. Sicchè andando a
cercare la ultima ragione di questa regola (quando non siasi
ritorto per legittimo fine di difesa a mera confutazione della
ingiuria patita) si trova nel giusto dolore, come al suo luogo
dirò. È notabile in proposito di ritorsione che la medesima
si ammette dai pratici anche per una ingiuria non vera ma
putativa. È questo un ulteriore svolgimento del principio
da me già sotto varie forme sviluppato, vale a dire che certe
minoranti e certe dirimenti debbono contemplarsi nel loro
modo di essere soggettivo. Lo Strykio, (De jure sensuum
dissert. 4, cap. 5, n . 13) ne fa applicazione alla ipotesi di un
sordo che inveisca contro taluno credendo che lo avesse in
giuriato. È chiaro che cotesto errore invincibile nel sordo
assume il carattere di essenziale. Frivolo poi fu l'obietto
elevato contro la compensazione, allegando che non possa
per il delitto privato spogliarsi la società della pena che
aspetta. Ciò avrebbe valore in tema di delitti di azione pub
blica ; niente conclude in quelli di azione privata. E neppure
sullo ammettere o no la compensazione può essere decisivo
il calcolo della eguaglianza o disuguaglianza di rango dei
contendenti : Leucht, Responsa Altdorfina, vol. 2 , respons. 19,
n. 20 et seq. pag. 174. Possono ancora vedersi : Pistor, ob
serv. 43 et 181 - Lyclama, Membranarum , lib. 7, eglog. 42
- Boehmero, dec. 805, tom . 3, pars 3 ; et dec. 817 et 818
- Ottone, Consilia, pag. 692 -- Ludwell, Exercitatio
nes, pag. 274 -- Van Eck, Theses controversae, pag. 204.
E più in largo della compensazione dei delitti scrive Or
tega, Pithanon Labeonis, pag. 174, n. 5 et seqq.

§. 1760.

Escludesi in quarto luogo l'animo d'ingiuriare


per virtù dell'animus defendendi. Questo non solo
.
118 -

giova a scusare la taccia di bugiardo e mentitore


data a chi andò spargendo male voci contro di
noi ma giova ancora a chi abbia attaccato l'of
fensore in altro lato fuori della sua veridicità ;
poichè anche in questo caso può ritenersi (nei de
biti termini) che l'animo fosse diretto a screditare
il nostro accusatore, per l'implicito argomento che
i suoi mali costumi lo rendano immeritevole di
credenza (1 ).

(1 ) Klock, cons. 184, n. 25 — Cramer, observat. 833.


Questa teorica è fondata sui principii del moderame e sul
precetto della l. 2, §. 9 ff. de aqua et aquae pluviae arcendae
――― culpa caret qui non eo animo quid facit ut alteri noceat,

sed ne sibi noceat : ed è ovvia nei pratici , che in generale


insegnano non doversi presumere l'animus injuriandi in chi
agiva per conservare un proprio diritto : Hertius, Deci
siones, vol. 2 , decis. 418. Trovasi anche applicata in Francia ;
ed è notabile il caso deciso dalla Corte di Cassazione il 21
aprile 1864. Ivi trattavasi di un creditore che intervenuto
ad una riunione avanti al giudice commissario di un falli
mento aveva opposto la falsità dei titoli prodotti da altro
creditore ; del che questi erasi querelato come di una dif
famazione alla quale certamente il materiale non faceva di
fetto. Ma la Corte di Lione giudicò che quella imputazione
era stata emessa al solo fine di tutelare i proprii diritti e
non già avec intention de nuire, e la Cassazione a cui ricorse
l'ingiuriato rispettò l'assoluzione : vedasi Morin, Journal
du droit criminel, n. 7902. All'animo di difendersi si riferisce
la innocuità della intenzione di chi rimproveri ad altri le
sue male qualità per esimersi dallo aderire ad un contratto
al quale questi voleva condurlo. In termini precisi il Geert
sema, Fundamenta de injuriis, pag. 48 - — si quis enim
me ad commercia secum invitaret, quem esse furem aut homi
nem falsa parare solitum, ex certa scientia cognovissem, huic
- 119 -
petitionem certe denegare possum, et eidem rationem ex me
quaerenti, sine periculo respondere, hanc esse rationem, quod
scirem eum esse hominem nequam. Del resto nei limiti di una
semplice mentita la proposizione non è disputabile . Tutti i
dottori convengono che il tacciare di mentitore costituisca
ingiuria grave, ma soggiungono altresi che siffatta ingiuria
non è imputabile quando si emetta in replica ad una pro
posizione ingiuriosa contro noi stessi : Baldo, consil. lib. 1,
cons. 45, n. 1 - Socino Jun, vol. 2, cons. 122, n. 11 -
Claro, §. De injur. in princ. - Farinaccio, quaest. 105,
n. 311 - Crispolto, casus 12 - Burgers, Singul. ob
serv. Centuria 3, observ. 71 — Panimolle, dec. 16, adnot. 1,
n. 26 - Zaulo, Observationes in statutum, lib. 4, rubr. 24,
n. 7. È universale lo insegnamento che, o sotto una formula
o sotto un'altra, il moderame della difesa può rendere legit
tima anche la ingiuria ugualmente che altri delitti e sa
rebbe temerità pretendere di rovesciare questa dottrina o
per la falsa osservazione di Boehmero, che ho confutato
testé (§. 1759 nota) o per l'altra ridicola osservazione che
ciò riconduce al taglione !

S. 1761 .

Più specialmente codesta deduzione giova ai pa


troni delle cause per esimerli da ogni responsabilità
d'ingiuria per quello che possono aver detto con
tro l'avversario, contro i testimoni , od anche contro
lo stesso giudice, dei decreti del quale chiedono
pei loro clienti la riparazione. Questa, che i pratici
chiamano libertas conviciandi, si determina giusta
dettato della leg. 6, C. de postulando nelle due
―――
condizioni ; - 1 ° che ciò poscat utilitas litis ;
2º che non vi sia eccesso nel modo (1 ). Su ciò è
da notarsi che la nullità della causa non vuole es
sere giudicata ex post facto, ed in modo assoluto,
120 -

ma secondo la probabile credulità del difensore


purchè non affettata nè irragionevole . Non po
trebbe ammettersi una regola contraria , la quale
facesse dipendere la carcerazione dell' avvocato
dalla vittoria o dalla perdita nella lite civile . È
una questione assai delicata non meno che fre
quente quella che porta a decidere se in materia
di scritti prodotti in faccia ad un tribunale civile
possa il giudice criminale ritenerli ingiuriosi quando
tali non li dichiarò il giudice civile ; e viceversa
se quello possa dichiararli innocenti quando il giu
dice civile ne ordinò la soppressione come ingiu
riosi . Nella quale ricerca viene a riprodursi la que
stione della influenza di una rejudicata in giudizio
civile sul giudizio penale. Tale argomento esce
per altro dalla trattazione del delitto, e passa nel
l'ordine delle materie procedurali . Mi limiterò
dunque a dire che in Francia ha prevalso la idea
del vincolo imposto al giudice criminale dalla sen
tenza civile la quale abbia dichiarato che uno scritto
defensionale era diffamatorio . Vedasi il giudicato
della Corte di Cassazione di Francia del 4 mag

gio 1865 ; e Morin, Journal criminel, art. 3102.


Ma salvo il debito rispetto alla venerata autorità
dei francesi , non mi persuade che diasi potestà di
decidere irretrattabilmente sopra un corpo di de
litto ad un tribunale che non ha giurisdizione per

fare processi criminali, che molto meno l'ha per


condannare, e che procede senza quelle guarentigie
e solennità che sono dalla legge richieste tutte le
volte che vien posto a pericolo l'onore e la libertà
di un cittadino.
121 -----
(1) Trattarono diffusamente dei limiti della facultas convi
tiandi che ad tramites della l. 6, §. 1, C. de postulando do
vevano imporsi agli avvocati nelle loro difese : il Bossio,
De inquisit. n. 126 ; lo Strikio, Dissert. vol. 2, disput. 13,
cap. 3, n. 45 et seqq.; il Leyser, spec. 547. Vedasi pure il
Puttmann, Elementa, §. 411 ―― M anzi, De advocatis,
procuratoribus etc. pag. 26 - Boehmero, Decisiones, tom. 3,
pars 3, resp. 819 - Schoepffer, Commentatio de advo
cato injuriante, 1741 - Puccioni, Commento, vol. 4, pag. 654.
L'apprezzazione dell'eccesso dipende dalla prudenza del giu
dice ; ma questo eccesso, a parer mio, deve risultare dalle
condizioni intrinseche dello scritto. In Francia però si è vo
luto trovare eziandio nella sola circostanza di aver fatto
stampare una memoria a difesa in un numero di copie mag
giore di quello occorrente alle comunicazioni necessarie per
le parti e pei magistrati : e si è punita la pubblicazione e
divulgazione straordinaria degli esemplari di una memoria le
gale contenente fatti diffamatori : Morin, Répertoire n. 23, 29;
et Journal de droit criminel n. 2460, 3359, 3551, 3612, 5775,
5903, 6885, 7650 et 7980. Già sappiamo che i francesi par
lano molto di libertà, ma sono poi sempre renitenti nello
accordarla. Non è dunque meraviglia che in Francia si ac
colga senza esitazioni la regola che restringe all'avvocato
la libertà di pubblicare della sua memoria defensionale, in
cui si contengono obietti contro i testimoni o contro la parte ,
un numero maggiore di esemplari di quello che è richiesto
per la comunicazione ai giudici ed agli ufficiali del Pubblico
Ministero. Ma se si ponesse mente, com'è dovere, alla ragione
fondamentale della scriminazione, che sta nel debito di giu
stificare il cliente ; e se si ricordasse che nello stato di
odierna civiltà la opinione pubblica si occupa moltissimo delle
liti che pendono in faccia ai tribunali, si capirebbe che l'av
vocato ha il debito di difendere il suo cliente così in faccia
ai giudici come in faccia alla pubblica opinione : nella quale
la conoscenza che un contratto (a modo di esempio) di cui
io chiedeva la esecuzione è stato attaccato nel giudizio ci
122
vile, asserendolo estorto per frode, ingenera grave sospetto
e discredito alla mia fama. Laonde è sempre nel mero inten
dimento di difendere l'onore mio, se do ampia pubblicità alle
mie difese ; quantunque queste abbisognino che sieno date
delle mentite e delle recriminazioni offensive per avventura
l'onore altrui. Non possono ammettersi restrizioni alla pro
pria difesa oltre quelle che vi appone il bisogno della situa
zione sia in faccia ai giudici , sia in faccia al paese. Capisco
che il giudice criminale dichiarando in fatto che pel numero
degli esemplari si è convinto dell'animo d'ingiuriare sarà
al coperto da ogni censura : ma prima di gettarsi in codesta
convinzione è suo dovere di ricordare i sacri diritti della
difesa. L'errore della contraria opinione risale ad un prin
cipio più alto e da me altra volta osservato ; risale a que
sto che i francesi non vollero riconoscere come causa suf
ficiente di provocazione il semplice attacco all'onore. Stabi
lito questo cardine, era logico in loro che si scusasse la
ingiuria nella memoria defensionale presentata al giudice,
perchè mirava a salvare qualche cento di lire, e non la scu
sassero nella memoria presentata al pubblico perchè diretta
a salvare il litigante dalla infamia, la quale non vuota la
borsa, nè rompe le ossa . Ma il vero principio della scuola
si è che la intenzione di difendere i propri diritti abbia forza
scriminatrice della ingiuria tanto se si agi per tutelare i
diritti patrimoniali, quanto se si agi per sola tutela del
l'onore : Ciaz z i, Disceptationes, disc. 27, n. 91 Socino
Jun, Consilia, cons. 184, n. 45. Nè può dirsi che lo aver
tirato dugento esemplari della memoria in una lite dove era
in giuoco l'onore, mentre si aveva costume di tirarne sole
trenta dove non era in giuoco che lo interesse, riveli un
animo maligno. Anche qui si asconde un sofisma palpabile.
Il maggior numero degli esemplari rivela l'animo diretto ad
una più ampia divulgazione ; ma è parologismo equiparare
la più ampia divulgazione al fine maligno. Nella causa fa
mosa si volle appunto la più ampia divulgazione perchè vi
era il bisogno di difendere l'onor proprio in faccia al pub.
_______ 123

blico nella causa meramente pecuniaria bastò divulgazione


minore perchè volevamo difenderci unicamente in faccia ai
giudici ed all'avversario. Sempre però si agi per lo intendi
mento della propria difesa ; e così per un fine legittimo . Espli
cito era in conformità della scienza l'art. 580 del Codice
sardo, quando in termini assoluti ordinava ivi - Non ha

luogo l'azione penale qualora si tratti d'imputazioni o d'in


giurie contenute nelle arringhe, o negli scritti o nelle stampe
prodotte in giudizio e relative alla contestazione sia in mate
ria civile che in materia penale. Questo dettato era quello
che richiedevasi dalle nuove condizioni politiche dell ' Italia,
perchè male si sarebbe chiamato libero uno Stato dove non
si fosse dato il più largo campo alla libertà della difesa dei
propri diritti in faccia ai tribunali. Ma quell'articolo parve
troppo liberale al Relatore della decisione del 13 novembre 1866
inserita negli Annali di Giurisprudenza Italiana (1, 2 , 118)
al quale piacque introdurre nell'articolo 580 una distinzione
che a noi parve singolarissima ; volendo limitare la im
munità di quell'articolo alle difese che ai tribunali fossero
presentate dai causidici od avvocati, e negarla alle parti che
di per loro stesse patrocinassero la causa propria nei casi
in cui la legge ne accorda loro la facoltà. Io non ho mai im
parato che in materia penale si debba distinguere dove non
distingue la legge, e limitare per fine odioso una immunità
che la legge senza limitazione concede. So bensi che se quella
immunità voglia guardarsi come una scusa benignamente
concessa al calore della difesa, questo calore è assai più ap
prezzabile in chi vede a pericolo i suoi propri diritti, che in
uno estraneo e so ancora che sotto questo punto di vista
le mal castigate parole saranno sempre più perdonabili ad
un privato che non ad un giurista esercente, al quale può
dimandarsi, per le abitudini sue, modi di dire forbiti a tem
peranza maggiore. Ma ciò che sopratutto io credo si è che
con tale distinzione si sbaglia affatto il criterio fondamen
tale della regola, poichè una immunità concessa dalla legge
alla cosa si converte, con un volo di fantasia, in una immu
- 124 ―――
nità concessa alla persona. Non è un privilegio della toga
quello che permette al difensore legale di proferire concetti
ingiuriosi quando il bisogno della difesa lo esiga : è invece
una estrinsecazione del sacro diritto della difesa : e se questo
esige che libertà di dire senza tema quanto occorre al bi
sogno si conceda a chi difende me od i diritti miei, esso esige
non meno che libertà uguale si accordi a me quando difendo
me stesso. Nė vale argomentare dalla successiva disposizione
dell'art. 580 dove si avverte che l'avvocato e causidico pos
sono in tali casi incontrare pene disciplinari. Questo non
è che un provvedimento relativo al decoro dell'ordine, ma
niente modificativo nè esplicativo della regola prestabilita.
Che anzi dal medesimo e dallo inoltre che là si adopera sorge
evidente una discretiva, la quale mostra che la legge dove
volle parlare dei soli giuristi avendo saputo dirlo, dove nol
disse nol volle : non volle cioè che la regola generale sotto
stasse a limitazione nessuna. Il movente della contraria opi
nione fu il solito vizio della giudaica adesione alle parole
della legge. La legge parla di avvocati dunque non può esten
dersi a chi non è Avvocato. Ma non si vide che quando il
Regolamento di Procedura Civile concede alla parte il diritto
di fare da Arvocato a sè medesima, essa, investita così di
tale funzione, deve godere tutti quei privilegi inerenti alla
funzione stessa, i quali non emanano da un rispetto alla toga
ma da un rispetto alla libertà di difendere i propri diritti.
Aderendo in tal guisa alla lettera della legge se ne conculcò
evidentemente lo spirito. Di più la interpetrazione limitativa
condurrebbe all'assurdo : perchè ritenuto che tutto l'art. 580
contemplasse tassativamente i soli difensori legali e non le
parti che, autorizzate dalla legge, si difendono da se mede
sime, verrebbesi a questa conseguenza, che i giudici non po
trebbero decretare la soppressione di nessun brano di me
- moria defensionale per quanto esorbitantemente ingiurioso
quando la memoria si presentasse dalla parte medesima e
non dall'Avvocato : e questo è un assurdo. E non a caso io
dissi che quella interpretazione era del Relatore di quel giu
- 125 -

dicato, e non della Corte di Cassazione di Torino : avvegna


chè nel caso colà deciso le ingiurie si proferissero dalla parte
dopo esaurita la discussione della causa, e siffatta circostanza
si notasse in quella decisione come motivo determinante.
Non furono dunque ragioni di diritto quelle che tolsero il
caso dalla sanzione dell'art. 580, furono circostanze peren .
torie di fatto che rendevano repugnante applicare la immu
nità concessa pendente lite al bisogno della difesa, alle in
giurie lanciate dopo che la difesa aveva compiuto il suo ter
mine. La decisione della Corte in fatto fu giustissima. Il di
più fu detto ad esuberanza dal Relatore.

§. 1762 .

Ad escludere l'animo d'ingiuriare giova in quinto


luogo, l'animus consulendi (1 ) . Il sindacato mo
rale dell'uomo sull'uomo è uno dei tanti vantaggi
del consorzio sociale. Freno e correttivo del mal

costume, esso è al tempo stesso protettore del di


ritto e dei buoni . È dovere che gli onesti siano
rispettati ; ma è dovere altresi che i disonesti siano
conosciuti. E un avviso che diasi ad un amico o

conoscente per avvertirlo dei pericoli che corre fre


quentando (a modo di esempio) persona immorale
o screditata, purchè senza animo maligno si faccia ,
è atto di cristiana pietà, non delitto. Nè solo questa
osservazione pone al coperto di un'accusa di dif
famazione coloro che per particolarità della situa
zione vengano richiesti di consiglio sul conto di
alcuno (come il notaro che consultato sopra un
cambio ne dissuada il capitalista, mostrandogli che
il richiedente è fallito) ma tutela eziandio chiunque,
benchè non richiesto e a solo fine di avvertire un

incauto, lo erudisca sulla malvagità di persona alla


126 ―――――

quale egli apre fidente le braccia. Certamente se


io sono consultato da un cliente sulla probita e sol
ventezza di un tale con cui è per legarsi con un
contratto, io non sarò debitore di ingiuria se in os
sequio al dovere mio lo ammonisco della insolvenza
o poca delicatezza di quello ; nè colui cui vengono
chieste informazioni sul conto del servo infedele
che ha congedato, vorrà porsi tra il bivio di andare
in carcere come reo di ingiuria se palesa il vero ;
o di mentire e tradire l'amico, e illuderlo col ta
cere, si che riceva un ladro o un dissoluto nella
sua famiglia. Ma anche prescindendo dal caso del
consiglio chiesto (il quale è ovvio e non disputabile)
si sdebita dalla incolpazione di ingiuria anche colui
che spontaneo avverte un conoscente del pericolo
che corre col frequentare un dato individuo. Non
può essere delitto fare agli altri ciò che vorremmo
fosse fatto a noi stessi . Chi è disonesto deve star

sene a sè: ma se vuol porsi a contatto con gli


onesti si sottopone al sindacato della propria mo
ralità . E se questo sindacato non dà resultati a suo
favore, ne incolpi il proprio malfatto ; e non esiga
dagli altri un silenzio che in certi casi sarebbe con
nivenza colpevole. In queste materie bisogna pro
cedere con delicata distinzione di casi : ma sempre

avere innanzi agli occhi il sommo principio che il


materiale della ingiuria si costituisce dall' animo
maligno ; e che escluso questo, o posto in dubbio
per le circostanze del detto, la pietà della inten
zione rende impossibile applicare la nozione del
delitto ad un discorso per quanto ingiurioso e no
civo . Io ebbi in pratica a lottare per la difesa di
alcuni padroni che, dopo essere stati indulgenti
_____ 127 -

verso di un servo colto dal loro in flagrante furto ,


ne ricolsero per frutto della loro misericordia una
querela ed un processo criminale, perché poscia av
vertirono sommessamente un amico a non essere
cosi fidente verso colui . Tutta la questione in tale
argomento si deve ridurre all'animo ; altrimenti si
risica di rendere il magistrato penale una guaren
tigia pei nemici sociali ad esercitare la loro guerra
sistematica a danno dei galantuomini (2) .

(1) È unicamente per la mancanza del dolo speciale della


ingiuria, cioè dell'animo diretto ad offendere l'onore altrui,
che si ritenne non essere colpevole d'ingiuria colui che con
sultato nell'arte sua rispondesse cosa che suonava disonore
ed obbrobrio del consulente. Questa regola risale alla leg. 15,
§. 15, de injuriis , ove Ulpiano , decise che un astrologo
il quale a chi lo consultava sull'esser suo avesse risposto
lui essere un ladro, non era tenuto d'ingiuria ; Lauter
bach, diss. 1, thes. 13, n . 7 ; et diss. 89, thes. 26, n. 4. E il
Leyser, (specimen. 551, medit. 6, n. 8) ne fece applicazione
al caso di un medico che consultato da una fanciulla le avesse
risposto lei esser gravida quantunque fosse onestissima . Ana
loga applicazione se ne è fatta nella giurisprudenza inglese
nel caso di un medico che per servizio di professione aveva
rilasciato un certificato di pazzia : vedasi Fischer, Digest.
of decision, 1864, pag. 65, verbo defamation. Ma il principio
si trova insegnato anche indipendentemente da qualunque
considerazione di esercizio professionale, ed anche quando il
consiglio proceda da un moto ultroneo di privata benevolenza
verso il consigliato : Geertsema, Fundamenta de injuriis,
pag. 48 --- excusatur si manifeste probari possit eum tale quid
amico forte monuisse ; ut huic contra hominem periculosum
satis esse queat.
(2) Alla scusa desunta dall'animus consulendi fanno capo
le dispute che si elevano ad occasione di una lotta elettorale
- 128

per querele mosse contro pubblicazioni ingiuriose divulgate


al fine di screditare un candidato . Fondamento della scrimi
nazione in questo delicato tema è la verità, ma non sempre
si corre alla impunità . Vedi Morin , art. 8958, e la nota
al §. 1706.

§. 1763 .

Parve a taluno che facesse mestieri di un prov


vedimento speciale a riguardo del caso di un nego
ziante che richiesto di informazioni sul conto di
altro negoziante le avesse date cattive. Si dubitò
in primo luogo se qui si avesse l'elemento mate
riale della ingiuria, e per la negativa si osservò
che la povertà non recando disonore non può tro
varsi ingiuria nel dire di alcuno che è povero.
Questo è un errore manifesto : è una falsa appli
cazione di un principio morale che non è vero as
solutamente perchè diviene relativamente falso.
L'esser povero non reca disonore : nobile massima.
Ma quando chi è povero si dà al commercio ; quando
chi non ha mezzi assume degl ' impegni e imprende
delle speculazioni alle quali non può corrispondere,
a torto si afferma che la sua riputazione non ne
soffra: per lo meno ne verrà a lui la taccia di av
ventato e poco delicato. Il credito del negoziante
e la riputazione dell'uomo hanno in certe situazioni
dei punti di contatto ; e non saprei davvero accet
tare la idea che non sia ingiuria lo andare as
serendo che un negoziante è fallito. Non riconosco
pertanto la necessità di provvedere a questa ipo
tesi come caso speciale, regolato da principii spe
ciali ; sebbene ciò sia parso buono ad alcuni le
gislatori alemanni ( 1 ) . Tutta la questione si riduce
allo stato dell' animo . Se le sinistre informazioni
――――― 129
furono date fine di nuocere e con divisamento
maligno io sostengo che vi è quanto occorre al
reato d'ingiuria, nè fa mestieri di alcuna provvi
sione speciale . Se poi si suppone che le sinistre
informazioni siano state date a buona fede e col

fine di giovare all'amico che le dimanda, sicura


mente il reato d'ingiuria sparirà , non per difetto
di elemento materiale, ma per difetto di elemento
intenzionale. Ed allora se si vorrà punire codesto
fatto, benchè mancante di dolo, esulando i carat
teri della ingiuria per questa cagione, dovrà prov
vedersi come ad un caso speciale . Cosi piacque ai
compilatori del Codice di Brunswick, i quali vol
lero punire come fatto speciale anche le cattive
informazioni date in pienissima buona fede sul conto
di un negoziante quando avessero a lui cagionato
un danno considerevole. Io ho ammesso come pos

sibile un'azione a riparazioni civili. Ma non posso


riconoscere in tali termini la giustizia e neppure
la convenienza di una repressione penale. Il nego
ziante richiesto da un corrispondente di tali infor
mazioni è nella necessità di agire : egli dunque o
deve mentire e ingannare il corrispondente, o bi
sogna che gli riveli le voci che corrono alla piazza.
Guai al commercio se il consulente si pone nel
bivio o di mentire ingannando l'amico, e incorrer
forse nel pericolo di una responsabilità civile, o di
rischiare un processo criminale dicendo la verità .
Data la lealtà della intenzione non può esservi im
putabilità : supposta la pravità dello intendimento
vi sono netti gli estremi della ingiuria. Dunque
non vi è bisogno di una disposizione speciale ; ed
il dettarla o è superfluo, o inopportuno ed ingiusto .
VOL. III. 9
――― 130
(1 ) Codice di Neuchatel, articolo 192 Codice prussiano,
§. 154 - Codice di Vallese, art. 278 .

S. 1764.

È sempre per cagione della mancanza di animo

di ingiuriare che non può ammettersi una querela


contro un testimone (1 ) per fatti disonoranti che
egli abbia narrato del giudicabile, e nemmeno per
un giudizio d'improbità che egli abbia emesso a
suo danno. Nel primo caso potrà unicamente rin
facciarsi la falsa testimonianza , quando ne ricor
rano i termini di fatto . Nel secondo caso sarà im

possibile obiettare neppure la falsa testimonianza ;


perchè quando il testimone persiste a dire che ha
cattiva stima di quello, nessuno potrà smentirlo ;
e la opinione essendo libera, ed essendo il testi
mone chiamato per debito della funzione sua ad
esternare la propria convinzione quale la sente ,
sarebbe sempre improponibile una querela d'in
giuria, perchè il testimone a questa seconda accusa
risponderà che ebbe l'animo di non spergiurare,
come naturalmente avrebbe fatto, esternando un giu
dizio contrario a quello che sentiva nell'animo suo.

(1 ) Lo accusato che sentasi offeso dalle osservazioni di un


testimone sarà sempre scusabile se ritorce contro di lui qual
che addebito al fine di screditarlo : Ghisen, Dissert. de in
juriis et famos. libell. cap. 2, § . 2, Il giudice potrà frenare
la eccessività dei modi , ad impedire il vilipendio troppo spinto
di un testimone, sempre però ricordando che l'accusato, con
allegare la immoralità del testimone che lo aggrava, esercita
un mezzo di propria difesa. Ma giammai potrà l'accusato
dare contro il testimone la querela di ingiuria : Ludero
131 ―――
Menckenio, Dissert. de probatione animi inferendae in
juriae thes. 20, pag. 59 - Mevio, Decisiones , pars 4,
dec. 20. È questa la differenza che intercede fra la situa
zione di chi narra per dovere di uffizio o per qualsiasi ne
cessità sua, e chi narra per ultroneo suo desiderio. Richia
masi qui ciò che sopra accennai in proposito della non im
putabilità delle ingiurie colpose (§. 1753). Ma si ricordi che
la colpa consiste nel non aver preveduto le conseguenze del
proprio operato. Perchè il narratore possa dire essere scu
sabile, in quanto fu in mera colpa, bisogna che egli possa af
fermare di non aver preveduto che le sue parole fossero atte
a recare nocumento alla fama altrui. Ma chi narra un fatto
per sua natura disonorante, se non è uno stolido, non può
non prevedere la conseguenza del suo detto. Dunque è sem
pre in dolo, benchè non parlasse per inimicizia speciale. Si
dirà forse che male si configuri in questo senso la ipotesi
della ingiuria colposa ? Niente affatto. Essa certamente non
può configurarsi dove il fatto narrato sia in modo assoluto
disonorante : ma può essere tale per circostanze relative che
il narratore abbia ignorato, ed allora non conoscendo l'effetto
oltraggioso del suo discorso egli sarà scusabile appunto per
la mancanza del dolo .

S. 1765 .

Ciò che ho detto in proposito del testimone ha


la sua ragione vitale nella necessitas agendi in
cui versa il medesimo . Non potrebbe dunque cote
sta soluzione allargarsi ove tale necessità non ri
corra. L'animo di narrare senza fine perverso è
la frequente scusa alla quale si appigliano i dif
famatori. Ma (come dirò a §. 1803 nota 2) assai
pallida è la efficacia di simile mezzo, e poco giova
allo accusato di ingiurie lo allegare a propria di
scolpa che usò la formula si dice, o volle soltanto
ripetere il già udito da altri ; e nemmeno gli giova
- 132 ―――――

nominare ( 1 ) l'autore della storia che è venuto


narrando, e fornire eziandio lucida prova che ciò
gli era stato raccontato. Non è criterio essenziale

della ingiuria la originalità ; ho già detto che il


dolo speciale della ingiuria consiste nel sapere che
si viene ad infamare un proprio simile : nè vi è bi
sogno della dimostrazione del movente dell'odio.
nell'accusato ; prova difficile a farsi in molti casi
e sfuggevole. Ammettere l'animus narrandi (2)
come sufficiente per modo assoluto a scriminare la
ingiuria alla pari dello animo di difendere, di cor
reggere , o di consigliare, sarebbe pericolosissimo,
e procederebbe sopra una equiparazione inesatta ;
perchè la coscienza del proprio diritto nella di
fesa, e lo scopo di impedire un male nella corre
zione e nel consiglio, non hanno equivalente nel
garrulo narratore che non ha alcuna necessità di
parlare, e parlando obbedisce alla sola mania di
burlare e far ridere la brigata ed ottenere pla uso
dall'altrui malignità.

(1 ) I pratici si occuparono in vario senso della questione


relativa alla influenza della nominatio auctoris sulla puni
bilità della ingiuria. Fuvvi chi volle scorgervi una ragione
di assolvere, chi una ragione di mitigare : chi nessuna im
portanza . Si vedano Weittenau , Consilia criminalia,
cons. 37 Carpzovio, Jurisprud. pars 4, constit. 42,
def. 5 ―――― Burgers, Observationes, centuria 3, observ. 70
Lauterbach, disp. 89, thes. 27, n . 5 ; disp. 1, thes. 24,
n. 8 - Harpprecht, §. 1, Instit. de injuriis, n. 129 -
Menochio, De arbitrar . lib. 2, cas. 321, n. 20 - Ber
lichio, pars 5, concl. 65, n. ultimo ―― Hertius , Decisio
nes, vol. 2, decis. 80 ; et decis . 397, dove recisamente si in
segna non excusat se ab alio audivisse. Vedasi anche
Morin, n. 8767 e 8769.
――――― 133

(2) Un caso speciale in cui si estrinseca questa dottrina


nel senso favorevole all'accusato è stato deciso dalla Corte
Imperiale di Nimes con decreto del 25 gennaio 1866. Un tale
aveva chiesto a Senas se fosse vero che Bonafoux a lui
avesse detto che esso interrogante era un ladro. Senas ri
spose di si, e per questo monosillabo Bonafoux lo querelò
di diffamazione. La Corte decise con molto senno che Senas
non aveva agito con intenzione di nuocere, ma soltanto aveva
narrato un fatto sul quale esso era stato interrogato : ve
dasi Morin, n. 8198.

§. 1766 .

A corona di questo articolo rimangono a farsi


alcune osservazioni . La prima si è che in alcuni
casi è il solo animo quello che fa tutte le parti
del materiale della ingiuria . Quando si obiettò un
vizio di corpo apparente agli occhi di tutti (1 ) ,
una deformità non ignorabile da nessuno che guar
dasse l'offeso , sembrerebbe doversi dire che non
vi è ingiuria, si perchè l'obbietto non reca discre
dito, si perché il fatto è palpabile. Ma pure la
pratica costante, come ho già notato di sopra, trovò
ingiuria nell'obbietto di un vizio corporeo , quan
tunque visibilissimo, appunto perchè (come osservò
acutamente Holt, De injuriis, cap. 1, §. 4) la in
giuria consiste nell'animo. Laonde se il rinfaccio
di vizio corporeo si emise come sola enunciativa
di un fatto o per designar la persona, o per com
miserazione della infelicità altrui, sarà stoltezza
cercarvi una ingiuria; ma se si emise al fine di
avvilire quello infelice e per recargli afflizione bi
sognerà ravvisarvi il delitto. E questo torni a mo
strare quanto sia vero ciò che permetteva nel
-- 134 -

§. 1704, cioè che alla oggettività giuridica della


ingiuria basta il solo dolore morale (2) che recasi
allo ingiuriato .

(1 ) Identità di ragioni incontrasi nella ipotesi che lo in


giuriante deduca a sua scusa la notorietà del vizio morale
obiettato : vedasi Morin, art. 8487.
(2) La dottrina da noi accettata, che la semplice afflizione
morale costituisca sufficientemente la obiettività giuridica del
reato di ingiuria, sembra rigettarsi assolutamente dai più
illustri criminalisti napoletani. Pessina ed Arabia la
pongono affatto da banda, e questo ultimo insegna che una
ingiuria contenuta in lettera suggellata e fatta consegnare
allo stesso ingiuriato non esaurisce gli estremi del delitto ,
perchè se la ingiuria si divulgò lo fu per opera dello stesso
offeso, mentre il solo fatto dello accusato non avrebbe po
tuto niente menomarne la riputazione nella opinione altrui.
Ma qui bisogna che anche una volta avverta i giovani a non
accettare come opinioni scientifiche certi insegnamenti che
dai criminalisti, per quanto rispettabili , si danno con refe
renza e subordinazione ad un Codice speciale. Le leggi pe
nali napoletane del 1819 all'articolo 365 esigono come estremo
indispensabile al delitto di ingiuria ― ivi ―― che abbia per
oggetto di far perdere o diminuire la stima di colui contro il
quale è diretta. In faccia ad un testo cosi esplicito di legge
doveano bene i criminalisti partenopei professare quella dot
trina. Ma essi non avrebbero al certo insegnato altrettanto
in faccia al testo del Codice toscano ; nè credo che sarebbe
stata tale la opinione loro se guardavano il problema in
punto astratto di scienza ; come tale non è stata la opinione
adottata dalla Cassazione di Torino ai termini del Codice
sardo, come si ha dalla decisione 23 luglio 1866 : Annali di
Giurisprudenza Italiana, I, 1, 2 , 44. Del resto la massima
che la ingiuria fosse punibile anche quando era commessa
mediante lettera indirizzata allo stesso ingiuriato era paci
fica nella nostra giurisprudenza : Cerretelli, parola in
giuria, n. 6.
- 135 -

S. 1767.

L'altra osservazione si è questa che in mezzo a


tante ambagi , in mezzo a tante possibilità di tra
visamento di animo reo nella forma innocente, o
di scambio di animo innocente con l'apparente
reità non è possibile determinare i criterii concreti
definiti a priori dalla dottrina, intorno al concorso
o no dell'animo di ingiuriare. Da ciò la conse
guenza che bisogna costituire arbitra del giudizio
la prudenza del giudice . E di qui la ultima con
seguenza che questo è giudizio di mero fatto, e
perciò non sindacabile dalle Corti di Cassazione,
a differenza di quello che possa dirsi in alcuni
casi circa il giudizio sugli altri elementi giuridici
della ingiuria ( 1 ).

(1 ) Ciò fu deciso dalla Cassazione di Francia ; e dalla Cas


sazione di Torino nel 31 gennaio 1868 : Annali di Giurispru
denza Italiana, II, 1, 2, 8. Questa regola è giustissima poichè
la ricerca delle più vere intenzioni dello agente è questione
di puro fatto ; e conseguentemente non potranno denunciarsi
alla Corte Regolatrice gli argomenti più o meno concludenti
pei quali un giudice inferiore decise concorrere l'animo d'in
giuriare. Ma diversamente dovrebbe decidersi quando il giu
dice inferiore avesse detto che la indole ingiuriosa delle pa
role esonerava da ogni ricerca sull'animo. Con questa o con
analoghe formule il giudice non avrebbe deciso una questione
di fatto, ma avrebbe pronunziato un asserto di diritto affer
mando la ingiuria essere punibile anche senza il concorso del
l'animo d'ingiuriare quando le parole suonano ingiuria e
siccome quello asserto è falso falsissimo in diritto, cosi la
Corte Suprema alla quale esso venisse denunciato avrebbe
piena giurisdizione per censurarlo.
136

§. 1768.

Questa enumerazione d'ipotesi basti a chiarire


quale e quanto sia il significato della regola che
l'animo d'ingiuriare costituisce il principale ele
mento della essenza di fatto nel delitto d'ingiuria ;
e mostri ad un tempo la importanza che codesta
regola si abbia sempre presente cosi dai patroni
come dai giudici, e si proceda con una benigna lar
ghezza nello applicarla ; onde le penalità riserbate
ai malvagi non vengano a cadere sopra cittadini
probi ed inoffensivi, e non si dia l'aspetto di ma
lefizio ad atti onesti od indifferenti o legittimi .
Rimane solo ad avvertire che questa teorica del
l'animo d'ingiuriare appartiene alla ingiuria con
siderata come genere, e che perciò nei congrui
termini è applicabile ugualmente cosi alla diffa
mazione come anche al libello famoso . Errerebbe

colui che credesse non potersi adattare codesta


teorica scriminatrice ad un fatto che presentasse
l'elemento materiale della diflamazione , o l'ele

mento materiale del libello famoso, quando (a modo


di esempio) la comunicazione oltraggiante fatta a
più persone con imputazione di un fatto previso,
fosse proceduta dall'animo di dar consiglio a due
amici sul conto di persona il cui contatto poteva
esporli a pericoli ; o quando la imputazione stessa,
consegnata allo scritto o alla stampa, si fosse di
vulgata pel solo fine della difesa e dentro i limiti
del bisogno della medesima . Tutta la differenziale.
può consistere nella maggiore o minore difficoltà
di applicare la teorica a codeste specie ; ma dove
137

ne ricorrono le condizioni la teorica è indubita

tamente applicabile anche alle medesime, perché


nessun fatto può adattarsi ad una specie senza su
bire le condizioni del genere a cui quella specie
appartiene. Senza il presidio di cotesta regola le
querele d'ingiuria sarebbero un'arme terribile in
mano agli speculatori ed ai perversi, e diverreb
bero uno strumento di disordine, di rappresaglie
e di ricatti, che renderebbero impossibile ogni con
versare tra gli uomini . Ripeterò che il sindacato
morale dell' uomo sull' uomo è voluto dalla legge

suprema dell'ordine, la quale impose alla creatura


la sociabilità come condizione della natura sua,
tra gli altri fini anche perchè il timore dell'altrui
censura fosse impulso per l'uomo a moderare le
prave inclinazioni e fattore di miglioramento mo
rale. Perlochè entro i convenienti limiti codesto
sindacato, come connaturale all' uomo e come estrin
secazione di un affetto e di una simpatia nella quale
sta il germe sublime della fratellanza umanitaria,
non può precipitosamente convertirsi a delitto dove
non sia chiarita la pravità del fine . Tutto il punto
cardinale nelle dispute pratiche sul concorso o no
dell'animo di ingiuriare riducesi ad una prelimi
nare condizione . Si adduce una causa onesta del

dire ? Il giudice aprirà la via alle congetture escu


santi e le valuterà con benigna larghezza . Non si
adduce una causa onesta del dire, ma si è detto
o scritto per mero diporto ? Il giudice ricordi che
in questi fatti la colpa è dolo ; giacchè non si
esige al dolo la nimistà, la intenzione diretta a
nuocere, e il calcolo maligno ; ma basta la coscienza
che ciò che si dice o si scrive può lacerare l'al
― 138 -

trui riputazione ; e fermo in questo pensiero si guar


derà dallo accogliere il troppo facile ripiego di
chi deduce non avere avuto intenzione maligna. La
malignità ingenita nel vituperare altri per il solo
piacere di vituperare. Rigore nel trovare l'elemento
materiale ; benignità nel valutare l'elemento inten
zionale ; ecco la formula in cui si riassume tutta
la dottrina della ingiuria in ordine ai suoi criterii
essenziali .

CAPITOLO IV.

Criterii misuratori della ingiuria

§. 1769 .

Già esponemmo (cap. II) quelle circostanze per


le quali la ingiuria oltre ad aumentare nella sua
quantità naturale e politica, viene ad assumere un
nome speciale. Vi sono però molte altre circo
stanze, che senza operare lo effetto di attribuire
un nome diverso alla ingiuria e farne un titolo
distinto, producono la stessa sostanziale conseguenza
di accrescerne con più o meno estesa misura la
quantità. Alla enumerazione ed illustrazione di tali
circostanze noi consacriamo il presente capitolo .
Anche nel delitto d'ingiuria i criterii misuratori
possono eseguire un giuoco diverso : ora influendo
sulla sua quantità naturale ora sulla quantità po
litica soltanto, senza modificazione del danno im
mediato e di più i medesimi ora possono funzio
- 139 -

nare come cagioni di aumento, ora come cagioni


di decremento, e ciò sempre nel mero rapporto
della quantità senza nessuna contemplazione del
grado (1 ). Queste varietà verranno a chiarirsi per la
descrizione delle singole circostanze principalmente
apprezzabili come criterii misuratori del delitto
d'ingiuria ; e le medesime sono - 1.° il dolo ; -
2.º il modo ; - 3. il luogo ; - 4. ° il tempo ; ―――――
5.º le persone.

(1) È nota la mesta istoria di Archiloco e di Licambe ; il


primo dei quali siffattamente perseguitò l'altro con i suoi
versi storici che condusse il povero Licambe ad appiccarsi
per disperazione ; onde poscia con figura rettorica e con modo
poetico si diede alla satira il nome di saetta licambea. Ar
chiloco non si sarebbe potuto punire come reo di omicidio
doloso, perchè in lui mancava la volontà diretta ad uccidere
il suo nemico : non si sarebbe potuto punire come reo di omi
cidio colposo, perchè la morte non erasi materialmente pro
dotta dalla sua mano. Ma della ingiuria di cui era respon
sabile aumentava la quantità naturale quel tristissimo evento
che era la conseguenza della sua malvagità. In generale tutte
le conseguenze dannose che straordinariamente derivano da
un delitto, non possono mutarne la specie o modificarne il
titolo ed il nome se non si congiungono alla persona del
l'agente per un nesso ideologico o per un nesso strettamente
ontologico. Ma ciò non ostante possono nei casi più frequenti
prendersi in considerazione dal legislatore come ragione di
aumento della quantità del malefizio, e nei casi più insoliti
valutarsi pure dal giudice come circostanze che lo autoriz
zano ad esercitare maggiore severità entro i limiti della pena
relativamente determinata. Il giudice che avesse applicato
ad Archiloco il massimo della pena minacciata contro i libelli
famosi sarebbe stato incensurabile, cosi sotto il punto di vista
morale come sotto il punto di vista giuridico, avendone suf
- 140 ---
ficiente motivo nella calamità occasionata dal delitto, benchè In

non fosse nè voluta nè preveduta e appena prevedibile dal 25.1


l'autore suo. È questo il senso in cui procede il principio Slant
generale che chi versa in cosa illecita può risentire le con an
seguenze anche del caso fortuito. GARO
བཞུས་ པ།སྐུ
S. 1770. NAMA
. ‫ادمة‬

Con tale circoscrizione non s'intende di esclu


110
dere la valutabilità di altre circostanze più intrin

RTE
seche al delitto d'ingiuria ed influenti sulla sua
quantità naturale. Facilmente si comprende che
l'aumento di danno immediato per cui si eleva la
quantità naturale di ogni delitto dipendentemente
dalle diverse condizioni relative che producono tale
effetto, può bene verificarsi anche nella ingiuria.
Cosi entra nel calcolo della quantità naturale il

Jeto
maggiore o minore vituperio che si annette alla
parola o gesto oltraggiante, lo essersi obbiettato
un delitto grave anziché leggero, o un delitto an
zichè un vizio, o un vizio di animo anzichè un
mero vizio innocente di corpo : cosi il maggiore o
minor numero delle persone ingiuriate ; cosi il mag
giore o minor numero di persone con le quali fu
ALN

comunicato, se trattasi di diffamazione, o la più


o meno larga divulgazione dello scritto . Avvegnachè
sebbene la contumelia, che ha completi i suoi cri
terii essenziali per la sua comunicazione anche ad
un solo individuo e con raccomandazione di segreto
(Bergero, Elect. jur. crim . suppl. 1, observ. 24),
degeneri in diffamazione per la comunicazione a
due persone ; pure la diffamazione, senza mutare
come l'altra di nome aumenta di quantità qualora
non a due soltanto ma a dieci o venti persone la
141

comunicazione sia stata fatta . Ugualmente richia


masi ai criterii della quantità naturale lo essersi
soltanto offeso il sentimento della nostra dignità,
od anche deteriorato il nostro buon nome nella

opinione altrui, od anche arrecato a noi un danno


patrimoniale più o o meno intenso e durevole, spe
cialmente se l'attacco all'onore ebbe esplicitamente
questo pravo fine di farci perdere un'occasione di
nozze o d'impiego, od una eredità, od altro simile.
Tutte queste sono circostanze per le quali scor
gendosi una ragione di aumento del male inferito
alla persona ingiuriata, intuitiva si manifesta la
loro efficacia ad accrescere la gravità del malefizio .
Ma di simili circostanze basta un semplice accenno
perchè se ne comprenda il valore ; nè d'altronde
potrebbero in questo reato ordinarsi ad una teo
rica per la indefinita loro variabilità. A questo
luogo pertanto dimoreremo su quelle sole condi
zioni esteriori che prescindendo da un aumento
effettivo di risultato dannoso, influiscono sulla quan
tità politica del reato stesso perchè da loro scatu
risce o una determinata modificazione sotto il rapporto
di diritti accessoriamente lesi, o una potenzialità
di nocumento maggiore, e di minore reparabilità
per cui viene a crescere il danno mediato e la
quantità politica del delitto .

S. 1771 .

Queste circostanze delle quali andiamo a tener


parola si valutarono più o meno dai criminalisti
nei vari tempi : e per alcune delle medesime venne
ad introdursi la distinzione fra ingiuria semplice
- 142

e ingiuria atroce ( 1 ) ; nomenclatura che per lunga


stagione signoreggio nelle scuole e nel fôro. Ma
la definizione di ciò che costituiva l'atrocità nella

ingiuria variò secondo le scuole e le opinioni : e


modernamente, quantunque si conservasse la for
mula d'ingiuria atroce, non si circoscrissero per
altro tutte le qualifiche possibili della ingiuria
sotto tale denominazione. Laonde non potrebbe og
gidi, sulla semplice scorta di siffatta nomenclatura
costruirsi completa la teorica dei criterii misura
tori . Senza abbandonare pertanto la vecchia for
mula noi procediamo nella esposizione nostra in
dipendentemente dalla medesima.

(1) Questa denominazione di atroci, data alle ingiurie per


indicare una qualità aggravante delle medesime, risale ai
giureconsulti romani. Trovasi infatti usata da Ulpiano
alla 1. 7, §. atrocem 8 ff. de injuriis, e alla l. 9 et 35 ff. de
injur. e dagli imperatori alla l . 4, 8, C. De injur. e Ca
ballo, Resolutiones, cas. 71 , n . 2 -- Bajardo, Ad Clarum
§. injuria, n. 3 ――― Menochio, De arbitrariis, cas. 263
Beroo, cons. 76, n. 25 et 98, vol. 1 - - Cot gman, cons. 53,
n. 14, vol. 2 ; che insegnò divenire atroce la ingiuria sem
plice per la sola circostanza della continuazione ――― Boeh
mero, tomo 3, pars 3, decis. 821 ― Muller, Dissertatio
de injuriantibus, cap. 4, Erfurt 1697 - Raevardus, Va
riarum, lib. 1, cap. 9 -1 Hertius, Decisiones, vol. 2, de
cis. 282 ; et vol. 1, decis. 149 ― Panimolle, decisio 16,
adnotatio 1, per tot. Bonfino, Ad bannimenta, cap. 32,
n. 1 ― Farinaccio, Practica crim . quaest. 105, n. 177
et 469 ― Nevio, Systema, vol. 3, p. 289 ; e in generale
tutti i pratici continuarono questa nomenclatura : non senza
spesso insegnare che la dichiarazione di atrocità dipendesse
dal prudente arbitrio del giudice : Wernher, Observatio
num, vol. 3, pars 3, obs. 16, n. 4, pag. 35.
- 143

§. 1772.

Dolo - A questo punto io vengo ad esporre

alcune mie idee , le quali benchè non abbiano il


conforto di una dottrina prevalente nelle scuole,
e nel foro , a me sembrano di tale importanza da
non doverle passare sotto silenzio. Nei delitti di
'sangue largamente mostrammo lo influsso della
distinzione fra dolo d'impeto e dolo premeditato :
e trovammo con quale intensità il secondo aumen
tasse il danno mediato, e cosi la quantità politica
del malefizio per la minorata potenza della difesa
privata in faccia ad un nemico che viene ad ag
gredirci con maturo e deliberato disegno, e dopo
avere freddamente calcolato i modi più opportuni
a procacciare probabilità maggiore di effetto . Co
desto notevole risultamento è riconosciuto per con
senso universale dei criminalisti e dei legislatori
in quei malefizi , sebbene, per la natura dei me
desimi , niente si accresca in ragione del dolo il
danno immediato della lesione o dell'omicidio . Nel
delitto d'ingiuria sembra a noi che la premedita
zione oltre a riprodurre identica ragione di au
mento nel danno mediato, possa eziandio guardarsi
come ragione d'incremento nel danno immediato
perchè la parola procedente da chi ragiona con
calma genera impressione più profonda nell'animo
di chi ascolta, che non la parola erotta precipi
tosamente dal labbro di un forsennato che si agita
nel parossismo dello sdegno. Ma questa distinzione
del dolo se si cerca alla materia delle ingiurie
negli scrittori e nelle legislazioni, o vedesi affatto
-- 144 -

pretermessa, o tutto al più perfuntoriamente ac


cennata ; nè trovasi accordata a lei quella princi
pale influenza che parrebbemi meritare.

§. 1773 .

Sembrò a taluno che le offese contro l'onore


fossero di cosi lieve interesse da dover mendicare
quasi dirò delle scuse se si punivano con pena
afflittiva, e allegarne come ragione il pericolo delle
private vendette ; della quale ragione dirò ad altro
momento il pensiero mio . Io sarei invece di oppo
sta sentenza. Larghissimo d'indulgenze verso fu
gaci parole cadute dal labbro nel bollore di uno
sdegno istantaneo ; facile sempre a disarmare la
punitiva giustizia a riguardo di tali delinquenze ,
ove l'offeso dimetta ogni desiderio di persecuzione,
io vorrei che le ferite premeditate e sistematiche
contro l'onore altrui divulgate per animo maligno
e vessatorio , ove se ne chiedesse istantemente dal
l'offeso la persecuzione penale, dovessero reprimersi
con assai più di energia che non se ne usi contro
un miserabile furto. Già troppo spesso alla diffa
mazione tengono dietro i danni effettivi del patri
monio ; gravi assai che non è il toglimento di pochi
cenci : occasioni di nozze, d' impieghi, di guadagni
perduti per una maligna impostura ; clientele de
serte ; benevolenze e protezioni offuscate ; amicizie
rotte; famiglie scompigliate ; e quanti mai non pos
sono essere i danni reali (1 ) di una diffamazione
calcolati appositamente dal diffamatore ? Qual'è
l'anima, per poco che sia nodrita a sentimenti gen
tili, che nello offuscamento di un affetto calcola
145 --

tamente cagionato dalle venefiche insinuazioni di


un nemico, non vegga la perdita di un tesoro sovra
di ogni altra cosa preziosissimo ? Ma oltre a ciò
il dolore morale della infamazione sparsa a pro

prio carico è in un animo gentile più gagliardo


assai che nol sia l'afflizione cagionata da un pugno
o dalla sottrazione di un orologio .

(1) Questo delicato punto di vista si apprezza meritamente


dal Codice svedese , cap. 16, § . 8 ; dove si è dato della diffa
mazione il concetto forse più largo che siasi adottato da ogni
altro Codice contemporaneo, ravvisando come sufficiente ele
mento del malefizio qualsiasi nocumento che con la sparsa
voce possa essersi recato all'avvenire dell' offeso , al suo me
stiero, o alla sua professione, purché proceda da animo ma
ligno. Si è disputato se il dolore morale patito dallo ingiu
riato debba entrare nei calcoli della gravità della ingiuria
sia per gli effetti della penalità sia per gli effetti delle in
dennità. L'affermativa si è recentemente sostenuta dal Ta
ranto, in una monografia che ha per titolo dei danni delle
ingiurie e basi relative di stima ; Palermo 1873.

§. 1774.

Aggiungasi che il ladro e il percussore corrono


pericolo della persona ; il diffamatore è carezzato
con sorrisi dai maligni, che sono troppi, ai quali
sembra la maldicenza l'aroma indispensabile della
pietanza sociale . La distinzione normale nella scienza
primitiva fra dolo d'impeto e dolo di proposito
(distinzione che non è creata dalla sottigliezza dei
giuristi, ma nasce dalla natura delle cose, distin
zione che in certi reati spinse la sua influenza fino
a decidere del capo di un uomo) si è disconosciuta.
VOL. III. 10
――――― 146

o dimenticata affatto (1 ) dai legislatori nelle in


giurie contro l'uomo. Se n'è tenuto conto nelle
ingiurie proferite contro la divinità , ed a buona
ragione; ma eravi a mio parere uguale (e forse
più energica) ragione per tenerne conto anche nelle
ingiurie contro i nostri simili . Prescindendo, come
voglio sempre prescindere, da ogni considerazione
di morale pura, egli è certo che anche in faccia
al mero punto di vista politico la gravità del reato
se ne differenzia sostanzialmente . Tiene ai principii
fondamentali della imputazione che la minorata
forza morale soggettiva del delitto ne diminuisce
l'addebito, e ciò condurrebbe la questione nel mero
campo della dottrina del grado. A me peraltro
non sembra sufficientemente esaurito lo influsso del
diverso stato d'animo se unicamente si guardi lo
sdegno istantaneo come una degradante, senza at
tribuire alla premeditazione il carattere di circo
stanza che aumenti la quantità della ingiuria. Nella
offesa contro l'onore vi è, anche nelle altre, un
aumento di forza oggettiva tanto fisica quanto mo
rale in ragione del dolo di proposito. Quando mi
è dato un colpo di mano il danno immediato che
ne consegue è identico, sia che quel colpo si scagli
a sangue freddo, sia che muova da bollore di sde
gno . Ma nelle offese contro l'onore non è cosi ; ed
ognuno lo sente. Nelle offese contro l'onore il danno
immediato (oltre al dolore morale che si cagiona
all'offeso) consiste nel discredito a cui si reca la
vittima nella opinione altrui ; onde è positivo che
in tali reati il danno immediato si aumenta in ra
gione della credenza che i terzi daranno alla af
fermazione oltraggiosa. Ciò posto, bene si com
- 147 -
-

prende che un detto ispirato dallo sdegno contro


di alcuno (sia desso assente o presente) non acquista
grande fede appo le persone ragionevoli che lo
ascoltino ; sapendosi troppo come lo sdegno spinga
di facile ad esagerazioni e mendaci. Laddove la
parola tranquilla di un nemico che calcola i mezzi
più sicuri di straziare l'onore altrui, acquista cre
dito maggiore appo chi l'ascolta ; poichè la calma
apparente del narratore non dà occasione di so
spetto sulla veridicità sua, e se ne genera cosi un
danno immediato incalcolabilmente superiore . Di
qui la maggior forza fisica oggettiva dei reati con
tro l'onore che siano premeditati : e da questa il
relativo aumento della forza morale oggettiva, poi
chè il danno mediato aumenta sempre secondochè
si prevedano più gravi e meno reparabili i resul
tati di un'azione o di un certo modo di azione ;
e notisi che questo aumento di danno mediato sta
tutto nella mera potenzialità indipendentemente
dalla effettività realmente verificatasi , la quale pro
durrebbe ancora l'aumento del danno immediato .

L'oltraggio nell' impeto, a parer mio , sta all'ol


traggio premeditato , come nelle offese contro il
corpo la lesione personale semplice sta alla lesione
con deliberato animo di uccidere. Per queste con
siderazioni io guarderò sempre come una lacuna
censurabile nelle odierne legislazioni lo avere pei
delitti contro l'onore pretermesso affatto l'appli
cazione della radicale differenza tra dolo d'impeto
e dolo di proposito ; o non averle dato tutta quella
importanza che sarebbe, a mio credere, conveniente .
―― 148 --

(1) Questa idea degli speciali caratteri della premeditazione


nella ingiuria fu bene veduta da Gioja , (Dell' ingiuria,
pag. 44) che se ne valse per mostrare che la ingiuria me
diante pittura o scultura (da lui chiamata simbolica) era più
grave della ingiuria verbale ed anche della scritta ivi

In generale tutte le circostanze che dimostrano premeditazione,


sangue freddo, appostamento, sono indizi di maggiore inten
sità e maggior durata nella voglia d' ingiuriare. Confrontando
la ingiuria simbolica colla scritta si scorge che la prima, in
parità di circostanze, è più offensiva e di più gravi conse
guenze sorgente che la seconda ; - 1.0 perchè esprimendo il
pensiero tutto ad un tratto, può essere gustata anche da quelli
cui mancherebbe il tempo per leggere un libello ; - 2.º perchè
parlando agli occhi, è adattata alla capacità anche di coloro
che non sanno leggere ; ――― 3.0 perchè potendo servire d'orna
mento ad una bottega, e ad una stanza, ferma più facilmente
l'attenzione altrui. Le leggi inglesi, come dissi di sopra, ca
stigando il libellista e lasciando impunito l' incisore, dicono in
poche parole, che uno è maggiore di tre.

§. 1775 .

-
Modo Al modo d'ingiuriare richiamasi l'uso
di mezzi che rendano più duratura la offesa al
l'onore o rendano maggiore la possibilità del suo
allargarsi : onde il mezzo dello scritto può con
siderarsi come più grave della parola ; e il mezzo
della stampa e della pittura come più grave dello
scritto ; e più specialmente nei termini della in
giuria verbale la vociferazione o, come si esprime
con parola classica e più generale , il Convicio.
Convicio ( 1 ) , come già fu insegnato da Ulpiano
alla leg. 15, §. 4 ff. de injuriis, deriva da con
vocium , concorso di molte voci ; sicchè nella sua
――――――― 149 ―

origine questa parola avrebbe designato il caso di


più persone contemporaneamente acclamanti, ossia
di più persone che contemporaneamente inveiscono
contro di alcuno. Ma nell'uso venne cotesta pa
rola a rovesciarsi dalla configurazione attiva alla
configurazione passiva , e valse a designare non
più il caso dei molti che preferivano, ma il caso
dei molti che ascoltavano le parole ingiuriose. In
sostanza il convicio è quello che chiamasi nel co
mune linguaggio vociferazione ; e di facile si com
prende il perchè tengasi come più grave la ingiu
ria proferita ad alta voce, e con grida abili ad
essere udite anche da lunge ed a convocare il po
polo, che non la ingiuria detta a voce sommessa .
Del resto la parola convicium e convitiare viene
spesso adoperata anche nel testo delle leggi ro
mane come designativa in genere di qualunque
contumelia fatta a parole, ed anche mediante scritto,
poichè troviamo che scrittori di buona lega usano
la formula facultas conritiandi per indicare le pa
role offensive emesse da un avvocato anche nelle
memorie defensionali . Sicchè causa ogni equivoco

l'adoperare la parola vociferazione anzichè quella


classica, ma più variabile, di convicio.

(1) La primitiva idea del convicio, inteso come convocium,


parve essersi riprodotta nel Codice toscano all ' art. 368, §. 3,
dove si aumenta la pena contro la ingiuria quando sia stata
commessa con pubbliche manifestazioni da più persone riu
nite. Puccioni, (vol. 4, pag. 667) intese cosi quell' arti
colo ; laonde venne a stabilire che tutte le volte in un luogo
aperto al pubblico più di una persona avesse concorso ad in
giuriare altri, sempre si avesse la qualifica dell ' art. 368, § . 3.
Io mi permetto di dissentire dallo illustre criminalista per
- 150 ――――
chè simile interpetrazione porterebbe a render me responsa
bile dell' accidentalità che altri uniscasi meco ad ingiuriare
un comune nemico : e per questa sola accidentalità conduce
a sottoporre inflessibilmente alla carcere non minore di quin
dici giorni anche una semplice parola che rinfacci un vizio
di corpo, proferita per moto istantaneo. Per me il senso del
l'art. 368, § . 3 deve cercarsi in quelle due parole manifesta
zioni e persone riunite. Agli occhi miei esso prevede il caso
di una riunione APPOSITAMENTE fatta al fine di una dimo
strazione ingiuriosa al privato. Questo fatto , se la riunione ol
trepassi il numero di dieci persone, è previsto dall'art. 206, §. 2 ;
quando si componga di un numero inferiore cade sotto
l'art. 368, § . 3. Tale almeno è la opinione mia.

§. 1776 .

A questo momento mi cade in acconcio di esa


minare alcune nuove ed eleganti questioni in pro
posito del telegrafo. Non già che sia disputabile
la politica imputabilità di una ingiuria emessa in
un telegramma . È intuitivo che se nel medesimo
s ' inseriscono parole contumeliose a danno di altri,
sia che il telegramma dirigasi allo stesso ingiu
riato, sia che dirigasi ad un terzo, potranno sempre

trovarvisi completi gli elementi della criminosità .


Ma se disputa non può sorgere sulla essenzialità
del reato, gravi questioni si possono presentare in
ordine alle condizioni misuratrici della sua quan

tità e primieramente, poichè la legge riconosce il


titolo di libello famoso nella imputazione di un fatto
criminoso ed immorale quando siasi dolosamente
inserita in un pubblico documento, si dubiterà se
in un telegramma ricorra codesto carattere ; secon
dariamente si può dubitare se la contumelia inserita
- 151

in un dispaccio telegrafico abbia a dirsi aggravata


in ragione della pubblicità del luogo . Finalmente
sarà a cercarsi se la imputazione di un fatto cri
minoso od immorale degeneri in diffamazione per
che comunicata ai due ufficiali del telegrafo.

§. 1777.

Sulla prima questione io non esito a negare nel


telegramma le condizioni di pubblico documento .
Prescindendo da quanto può essere osservato in
ordine alla forza probatoria di un telegramma rap
porto agli effetti civili (che ciò non riguarda l'as
sunto ( 1 ) mio) certo è che manca affatto la ragione
di applicare il titolo di libello famoso . Questo ti
tolo si è adattato alle imputazioni inserite in un
documento pubblico, perchè siffatta inserzione
esaurisce i termini della divulgazione, almeno in
potenza ; e basta. E li esaurisce perchè è proprio
del documento pubblico che ogni cittadino possa
eventualmente chiederne comunicazione, e cosi ve
nire al conoscimento della imputazione. Ora ciò
non può avvenire dei telegrammi, gli originali dei
quali se rimangono per un determinato tempo al
l'ufficio non sono però ostensibili a tutti, e sol
tanto accidentalmente possono richiedersi per un
bisogno di giustizia, come si perquisirebbe qual
sisia documento privato. Laonde la imputazione,
quantunque inserita in un telegramma, non si può
dire divulgata nè in potenza nè in atto, e cosi le
manca il carattere essenziale del libello famoso .

(1) Sulle questioni civili relative al telegrafo è a vedersi il


libro che appositamente vi ha consacrato l'insigne Prof. Fi
- 152 ―――
lippo Serafini di Pavia , ora mio riverito collega nel
l'Ateneo pisano ; scritto che meritò l'onore di essere voltato
anche nell'idioma francese . Serafini, Droit télégraphique,
Paris, 1863.

§. 1778.

In ordine alla seconda questione io risponderei


per la negativa. Non impugno che gli uffizi del
telegrafo si possano, sotto un punto di vista, cen
siderare come luoghi pubblici, essendone aperto l'ac
cesso a chiunque abbia bisogno di recarsi colà, e
potendo a certe occasioni trovarvisi riunito gran
numero di cittadini. Ma l'aggravante della pubbli
cità del luogo vuole essere intesa secondo ragione.
sua, e non in un senso rabinico. Chi vorrebbe (a
modo di esempio) dichiarare atroce la ingiuria con
tenuta in una lettera solo perchè questa fu conse
gnata in una pubblica strada ? La ingiuria scritta.
non si consuma con lo scrivere, ma col consegnar
ad altri lo scritto ; sicchè il reato di ingiuria, nella
suddetta ipotesi, sarebbe evidentemente consumato
in una pubblica strada, e potrebbe esserlo in una
chiesa, in un teatro , o in un tribunale. Ma a chi
pretendesse per ciò che il luogo della consegna ren
desse atroce la ingiuria, direi che egli intende le
leggi secondo la lettera che uccide e non secondo
lo spirito che vivifica. La ragione della qualifica,
sia che desumasi dalla reverenza dovuta al luogo,
sia che desumasi dalla probabilità di una più estesa
divulgazione, certo è che non trova ragioni nella
muta consegna di un foglio . E ciò tanto è vero
che i più cauti fra i criminalisti non si appaga
rono, per qualificare la ingiuria, della sola pub
- 153 -

blicità del luogo ( 1 ) se non ricorreva eziandio la


vociferazione, o convicio. Ora tornando al proposto
quesito non saprebbe prevedersi come concomitante
ordinaria la vociferazione nella consegna che al te
legrafista mittente si faccia della minuta di un di
spaccio. Per le quali considerazioni, tranne il con
corso di eccezionali circostanze , io in questa seconda
questione non concorderei che l'atrocità della ingiu
ria potesse desumersi dal mezzo telegrafico della
sua comunicazione.

(1) In più forti termini nel tema di ingiurie commesse in


chiesa fu esclusa la qualifica per difetto di clamore e di scan
dalo dalla Cassazione di Firenze col giudicato del 19 set
tembre 1842, relatore Pezzella, (Annali di giurisprudenza
toscana, IV, I, 568).

§. 1779.

Esiterei per altro ad accettare la soluzione be


nigna nel terzo problema. La contumelia che con
tenga imputazione di fatto determinato degenera in
diffamazione o per l'assenza dello ingiuriato , che è
intuitiva nella ipotesi nostra, o per la comunica
zione a due persone insieme riunite od anco sepa
rate. Ora dove pure si ammetta che un solo uf
ficiale assistesse alla spedizione ed un solo alla
recezione del telegramma si avrebbe pur sempre
questo risultamento, che almeno due persone ine
vitabilmente ebbero conoscenza della imputazione
infamante, poichè due dovettero leggere il tele
gramma, e leggerlo con scienza del mittente e per
sua volontà, che scelse codesto mezzo anzichè tra
smettere la ingiuria per lettera . Laonde se la co
DE
- 154 ―

municazione a due persone ebbe luogo, e lo ebbe


perchè cosi volle lo ingiuriante, non saprei come
eliminare dal fatto i caratteri della diffamazione .

Non manca però chi ne dubiti per la speciale ra


gione che gli ufficiali del telegrafo sono astretti
al segreto per dovere del ministero loro, in virtù

di apposita disposizione di legge che li sottopone


a punizioni se rivelino il contenuto dei telegrammi .
E questa osservazione fa nuovamente esitare sulla
risoluzione del caso, poichè la difficoltà della di
vulgazione (la quale non può accadere senza de
litto altrui ) può nell' animo di taluno prevalere
sulla materialità del comunicato a due persone ;
e condurre ad escludere il titolo di diffamazione :

laddove nel senso opposto può riflettersi che la


partecipazione a due esaurisce la nozione giuri
dica di questo più grave reato. La gravità di questo
problema tutta sta nel conflitto che può sorgere fra
la lettera del precetto, e lo spirito del medesimo.

§. 1780.

Un altro problema ci presenta la specialità del


telegramma ; quello cioè tendente a stabilire se il
reato di ingiuria si consumi dove si spedisce il te
legramma, oppure dove si riceve. Io ebbi un caso
analogo che piacemi ricordare. Desideroso un tale
di troncare una lite che contro lui erasi portata
alla Cassazione di Milano si recò ad un uffizio te

legrafico della provincia toscana ; e là , assumendo


il nome del suo avversario, all'avvocato di questo
telegrafo che lasciasse deserta la lite perchè tran
satta. E la lite per siffatta frode restò deserta ed
-- 155 -

il colpevole ottenne l'intento suo . Processato po


scia criminalmente si trovarono agevoli le condi
zioni del falso istrumentale nel fatto incriminato .
Ma il primo dubbio nasceva se il falso dovesse dirsi
commesso in documento pubblico oppure privato ;
e questo fu sciolto nel senso del documento pri
vato : lo che conferma quanto ho detto di sopra
(§. 1777) in risposta al primo quesito. L'altro dubbio
.
cadeva sul luogo della consumazione ; ed era dubbio
gravissimo , perchè in Milano, retta dal Codice sardo
il falso in documento privato incontrava la pena
di sette anni di reclusione, laddove la relativa penal
in Toscana non poteva eccedere i quattro anni di
carcere. Fu deciso dalla camera delle accuse, che
il delitto si era consumato nella provincia toscana,
cioè allo uffizio mittente, e non all'uffizio ricevente
il telegramma ; e il Procuratore del Re non fece re
clamo, e la causa fu giudicata al tribunale corre
zionale di Lucca. Ciò che fu deciso (a parer mio
rettamente) nella ipotesi del falso, crederei dovesse
ugualmente decidersi nella ipotesi della ingiuria.
Potrebbe però trovarsi ragione di distinguere, per
chè se il falso è definitivamente consumato tostochè
fu fabbricato il documento mendace, la ingiuria per
lettera potrebbe dirsi non essere che tentata finchè
la lettera non è giunta al destino suo : ed il dubbio
mi parrebbe assai grave.

S. 1781 .

Luogo -- La solita considerazione che il nocu

mento della ingiuria si proporziona al numero delle


persone dalle quali si udi, rende valutabile come
IND— YON THE
―――― 156

criterio misuratore del reato ogni circostanza per


la quale si accresca la potenzialità che da molti sia
udita. E fra tali circostanze non poteva rimanere
inosservato il luogo, il quale se sia pubblico rende
appunto più facile che l'oltraggio giunga a cogni
zione di molti ; e cosi, aumentando quella potenzia
lità accresce la quantità del reato, sebbene nello
effettivo risultamento, per una combinazione che
in quello istante rendeva solitario anche il luogo
pubblico, non ne conseguisse in realtà l'aumento
del danno immediato. E qui mi cade opportuno di
avvertire i giovani sullo influsso pratico che eser
citano nelle dottrine certe ragioni e certe distribu
zioni. Se la circostanza aggravante del luogo pub
blico seccamente si connettesse alla considerazione
del danno immediato, vorrebbe la logica che l'ag
gravante esulasse quando l'accusato venisse a
chiarire che sebbene il luogo fosse pubblico pure
la ingiuria non fu udita da alcuno. Ma così non è :
e non lo è appunto per la diversa cagione anzidetta .
Qui deve peraltro evitarsi la confusione tra la man
cata potenza, e la mancata realtà . Niente toglie alla
qualifica del luogo la mancata realtà se rimaneva
la potenza. Ma quando invece mancava anche la
potenza, perchè ad un dato momento il luogo ordi
nariamente aperto al pubblico a lui fosse interdetto,
allora sparisce la realtà e la potenza , e il luogo si
considera come privato (1 ).

(1) Il tribunale di Nimes, con un giudicato del 15 decem


bre 1865, ha deciso che la sala in cui si tengono le riunioni
del Consiglio municipale non può considerarsi come luogo
pubblico in quello intervallo di tempo durante il quale i
―――――― 157 -

membri della municipalità vi stanno riuniti . Ha pure deciso


che l'adunanza del Consiglio municipale non è riunione pub
blica : cosicché la ingiuria proferita in siffatte circostanze
non può considerarsi come qualificata. È evidente che la ra
gione di ciò sta negli ordinamenti municipali di Francia,
pei quali è interdetto al pubblico l'accesso nelle sale comu
nali durante la riunione del municipio. Coerentemente a ciò
la Corte di Bourges il 31 luglio 1874 (Godin, suite à Mo
rin, art. 9702) ha deciso, nel caso rovescio, che la sala mu
nicipale era a considerarsi come luogo pubblico qualificante
le ingiurie quando queste erano proferite dopo che la seduta
era sciolta, e cosi restituito al pubblico il libero accesso nella
sala. Ma ciò che è notabile nella giurisprudenza di Francia
si è un cambiamento testè avvenuto sul proposito della po
tenzialità. Una decisione della Corte di Cassazione del 29 de
cembre 1865 ha stabilito che la potenzialità , che basta a co
stituire il convicio nelle ingiurie tenute in luogo pubblico ,
possa essere esclusa dal giudice che dichiari in fatto che nel
luogo pubblico non vi era nessuno, e che così nel caso con
creto non esisteva la pubblicità neppure in potenza . Altro è
che vi fossero persone e a caso non abbiano udito ; altro è
che non vi fosse alcuno . Nel primo caso vi è la potenza e
basta all'ingiuria grave, nel secondo non vi è neppure la
potenza, e la ingiuria è semplice. Questo giudicato è tanto
più notabile in quanto avversa la giurisprudenza precedente
confermata da una decisione della stessa Corte Suprema del
26 novembre 1864, e per la quale la sola potenzialità dell'in
tervento era stato detto bastare a costituire la pubblicità .
Quest'ultimo giudicato richiede invece l'attualità dell'inter
vento del pubblico, limitando la dottrina della potenzialità
soltanto all' udito. E identica massima sembra essersi di
nuovo stabilita in Francia col decreto della Cassazione del
23 novembre 1871 : Morin, art. 9292.
- 158 -

§. 1782.

Del resto questa circostanza del luogo subisce


ancora in certe condizioni l'influsso di un'altra con
siderazione tutta distinta, ed è quella di uno spe
ciale rispetto che debbasi a certi luoghi ; laonde
un oltraggio eseguito colà oltre la offesa privata
presentando una irriverenza al luogo che doveva
pure rispettarsi, faccia sorgere una accessoria le
sione di altri diritti . Per tal guisa le ingiurie com
messe in chiesa o nel foro presentano una raddop
piata causa di aggravamento. Non solo la ingiuria
commessa in simili luoghi offre quella potenzialità
di danno maggiore che si ha in ogni altro luogo
pubblico ; ma di più ferisce ulteriormente un di
ritto universale ; il diritto cioè che hanno tutti i
cittadini affinchè il tempio destinato alla preghiera ,
e l'aula della giustizia non divengano teatro di
scandalo .

§. 1783 .

Tanto è vera questa differenziale che nella vec


chia pratica toscana ( 1 ) non si usò di qualificare 1
come atroce la ingiuria per la sola circostanza che
fosse proferita in luogo pubblico ; e neppure si ac
cettò in modo assoluto il precetto della leg. 7, §. 8
ff. de injuriis, che l'atrocità ravvisa nel semplice
cospetto del pretore. Ed invece si puni come atroce
la ingiuria commessa nella chiesa o nel foro. Tro
vossi dichiarata atroce la ingiuria commessa nei
teatri per la ragione dell'accessorio disturbo alla
pubblica tranquillità . In generale l'atrocità nacque
- 159 --

nella pratica nostra dall'accessoria lesione di qual


che ulteriore diritto ; presso i romani si ebbe pure
come più grave la ingiuria commessa nei pubblici
bagni.

(1) Quantunque nella pratica non si elevasse al grado di


atroce la ingiuria per la sola circostanza della pubblicità del
luogo, questa peraltro si teneva a calcolo come un'aggravante
della ingiuria semplice quando di fatto vi fosse stata la pre
senza di parecchie persone : Farinaccio , Quaest. 105,
n. 289 .- Menochio , De arbitr. lib. 2, cas. 263, n. 24.
Il riguardo ai luoghi isolatamente considerati in loro stessi
non estendevasi indistintamente tra noi ad ogni località dove
potesse avere accesso il pubblico : ma soltanto colpiva alcuni
determinati luoghi che avevano una speciale destinazione.
I teatri erano guardati come meritevoli di questo favore :
Pruckmann, vol. 2, cons. 15, n. 147 Gomez, De de
lictis, cap. 6, n. 4- Chartario , De criminibus, cap. 37
n. 15, 16 - Hottomann, Enunciat. 2. E la regola risale
al testo nella l. 9, § . 1 ff. de injuriis. Quanto al foro alcuni
restrinsero l'atrocità al solo caso della ingiuria proferita in
nanzi al pretore : Zaulo , Ad statut. faventinum, tom. 1,
lib. 4, rubr. 24, n. 6. Ma anche fuori della presenza del giu
dice tennesi come qualificata la ingiuria del fôro per la mera
ragione del luogo. E difatti la l. 9, § 1 ff. de injuriis non
distingue : Klok, cons. 184, n. 3 ― Anton Matteo, De
criminibus, lib. 47 , tit. 4, n. 6 - Menochio , De arbitr.
-
cap. 363 Poggi, Elementa, lib. 5, pag. 79.
Quanto ai bagni pubblici è notevolissima la cura speciale
e la protezione che ne ebbero gli antichi romani. Avremo
luogo di parlare di questa alla materia del furto quando
tratteremo (§. 2179 ) del fures balneari.
Quanto finalmente alle chiese la dottrina è comune ; The
saurus , dec. 224, n. 2 ― Giuliani , Istituzioni, vol. 2,
pag. 462 -- Carmignani , Elementa, §. 1017 ; il quale
estende la qualifica anche alle piazze senza addurne però al
- 160 ―――――
cun documento . Ma non bisogna confondere la causale pel
rispetto al luogo con la causale della più probabile pubbli
cità procedendo sul riguardo di questa sarebbe insulso di
stinguere fra le piazze e le strade. La scuola francese infatti
non ha distinto , e tutte le qualifiche relative ha riunite sotto
la formula luogo pubblico : ma quando veggo che altre leggi
tassativamente designano il teatro, il fôro, e la chiesa come
luoghi che rendono atroce la ingiuria, ne concludo che la
disposizione speciale giuridicamente avversa la disposizione
generale. In quanto poi alla giurisprudenza toscana era in
convertibile il principio che la sola circostanza di luogo pub
blico (salvi i luoghi eccezionalmente privilegiati ) non bastava
a rendere la ingiuria nè atroce, nè perseguitabile a pubblica
azione. Cassazione di Firenze 19 gennaio 1841 , relatore Bu o
narroti .

S. 1784.

A molti parve che in ragione del luogo dovesse


ancora considerarsi come qualificata la ingiuria
quando era commessa nel domicilio dell'ingiuriato:
Harpprecht, dec. 83 , n.38.— Gioia (Dell'ingiu
ria, pag. 15) trovò che gli statuti di Crema, Cre
mona e Ferrara avevano contemplato siffatto caso,
aggravando la pena contro le ingiurie commesse
nel domicilio dell'offeso e nelle sue adiacenze . Ma

a me non arride codesto pensiero, salvo quando lo


ingiuriante abbia invaso il domicilio altrui appo
sitamente per offenderne l'abitatore. Ove ciò non
ricorre è una strana confusione d'idee cercare
l'aggravante nel domicilio dell'offeso, per il quale
si diminuisce anzichè accrescersi la pubblicità della
ingiuria. D'altronde tale regola cosi genericamente
stabilita qualificherebbe tutti gli alterchi che con
facilità nascono tra persone che vivono sotto il me
desimo tetto ; e questo è un assurdo .
- 161

§. 1785.

Tempo ――――――― La circostanza del tempo si ricon


giunge con la circostanza del luogo. Il tempo in
modo assoluto non può essere di per sè abile a
qualificare la ingiuria se non in quanto a certi
periodi del giorno od a certe occasioni un dato.
luogo sia più frequentato che di ordinario : come
la piazza in tempo di mercato , la strada in occa
sione di religiose funzioni, e simili . Anche per que
sta cagione del tempo siffattamente circostanziato
trovasi nella pratica dichiarata la atrocità ( 1 ) . Ma
il tempo di per sè stesso non da ragione di au
mento alla ingiuria , sia desso diurno o notturno .
E di qui nasce occasione di ripetere ciò che altra
volta osservammo circa la inesattezza del metodo
di fare nelle leggi penali una preambula enume
razione di circostanze aggravanti od attenuanti
generale e comune per tutti i delitti. Delle circo
stanze attenuanti ve ne possono essere senza dubbio
di generali e comuni , come, a modo di esempio,
le buone qualità morali dell'accusato ; ma preten
dere che tutte sieno tali è un pensiero al quale
frequentemente non corrisponde la realtà . Se (a modo
di esempio) si stabilisce che il tempo notturno sia
sempre una circostanza aggravante dei malefizi , la
disposizione trova tutta la ragionevolezza quando
si applica al furto, ma non ne può trovare nes
suna quando si applichi alla ingiuria .

- Puc
(1) Cremani, De jure crim. vol. 2, pag. 435
cioni, Saggio, pag. 487.
VOL. III. 11
-- 162 _ _ _ _ _ _ _

S. 1786 .

Persone Le qualità personali dello ingiuriato


possono agire sulla quantità politica del reato come
diminuenti della medesima, e possono agirvi come
aggravanti: inoltre tali qualità possono essere guar
date sotto un punto di vista assoluto, e sotto un
punto di vista relativo . Agisce come circostanza
diminuente relativa la qualità personale dello in
giurato quando questi era in qualche modo sotto
posto allo ingiuriante per rapporto di domesticità
o gerarchia : siflatta relazione farà spesso nascere
una causa esclusiva di ogni penale responsabilità
dove se ne possa dedurre l'animo di correggere,
del quale ho già mostrato (§ . 1755 e segg .) la im
portanza giuridica, e che più facilmente si presu
merà quando sia il superiore quello che diresse
parole oltraggianti al sottoposto . E qui noterò che
valutasi a questo proposito dagli scrittori anche
la mera superiorità degli anni . Laonde lo Schopffer
(De jure senum , pars 2, memb. 2 , cap. 4, n . 23)
insegnò che la ingiuria proferita da un vecchio
contro un giovane si presume fatta per animo di
correggere, quia senes habentur loco parentum .
Ma prescindendo anche da cotesto prominente ri
sultato della relazione anzidetta, e supposto che
l'animo di correggere rimanga escluso, o che si
ravvisi eccesso nel modo, sarà però sempre vero

che la superiorità debba valutarsi come circostanza


che attenua la quantità politica della ingiuria, per
chè ne minora il danno mediato ; pensandosi fa
cilmente da ognuno che chi ha vilipeso un subal
- 163 -

terno non farebbe forse altrettanto contro un suo

pari : mentre per lo contrario chi ha vilipeso un


suo maggiore då ragione di credere che più facil
mente vilipenderebbe un suo pari (1 ) .

(1) Nel calcolo dei rapporti personali non trova luogo la


ricchezza dello ingiuriato : Boehmero, Decisiones, tom . 3,
pars 3, decis. 807. Ve lo trova però nella opinione di molti
la qualità di certe professioni, come per esempio quella del
medico ; in ordine alla quale si ricorda la sentenza di Era
smo, honoris denegatio in caeteros benemeritos ingratitudo
est, in medicum impietas.

§. 1787.

Dalle qualità personali dello ingiuriato sorge una


circostanza diminuente assoluta quando questi sia
persona vilissima, o esercente mercimonii disonesti,
o per altra guisa notoriamente diffamata ( 1) . È evi
dente che qui si ripete lo effetto che ho notato testè
sul danno mediato, il quale se ne minora assai per
chè ognuno pensa che se colui trascese ad insul
tare persona abbietta non avrebbe fatto altrettanto
verso persona meritevole di rispetto . I giureconsulti
romani spinsero tanto oltre la considerazione di
questa circostanza che alla leg. 15, §. 15 ff. de
injuriis le diedero forza scriminatrice. E non solo
ammisero simile effetto quando la viltà della per
sona ingiuriata era vera, ma eziandio quando per
non irragionevoli cause era opinata dallo ingiuriato .
È noto che pei romani l' adsectatio e l'appellatio
erano gravissime ingiurie se usate verso donna one
sta : ma se la matrona erasi fatta vedere in abito

meretricio o di ancella , si considerava il fatto come


- 164 ―――――――――

meno reo (2). Non credo che negli odierni costumi


possa in modo assoluto insegnarsi che tacciando di
meretrice una meretrice non si commetta delitto,
checchè sia piaciuto d'insegnare all' Ursaya (In
stit. crim. lib. 2, tit. 9) e al Brissonio (Select.
antiquit. lib. 1, cap. 4) ammenochè non possa dirsi
che manca l'animo d'ingiuriare perchè altri fini
osceni movessero all' atto . Ma indubitatamente il
maleficio è di minore gravità.

(1) Questa regola fu spinta forse troppo oltre da coloro che


la massima assoluta, qui famam non habet ipsi non fit in
juria (leg. 29, C. ad leg. Jul . de adult. - l. 15, §. 15 ff. de
injuriis) applicarono ai tempi cristiani per esimere la ingiu
ria da ogni repressione penale ; come parve volersi dall' A n
derwerelt, De injuriis, §. 6, pag. 29 ―――――― Haarte, Dis
sert. de injuris, §. 10. Ma che la vile condizione dell'ingiu
riato sia circostanza che alleggerisca la quantità del delitto
è regola fondata sulla minoranza del danno mediato, e gene
ralmente consentita: Anton Matteo, De criminibus, lib . 47,
tit. 4, n. 6 Carpzovio, Practica, pars 2, quaest. 94,
Gomez,
n. 19 Farinaccio , quaest. 105, n. 176 ――――
var. resol. cap. 6, n. 19 - Paoletti, Instit. vol. 2, pag. 194.
Quali poi fossero le ragioni per le quali appo i romani si
avessero come persone vili coloro che servivano al teatro lo
insegna Pagenstecker, Jus Pegasianum, cap. 3, pag. 8.
(2) Il senso della leg. 15, §. 15 porterebbe anzi a ritenere
che assolutamente i romani negassero nel proposto caso l'a
zione d'ingiurie, ed a me persuade cotesta intelligenza quan
tunque la lettera del frammento suoni il contrario . E siffatto
pensiero arrise a moltissimi interpetri di gran polso, i quali
non trovando logico nesso tra i due periodi di quel fram
mento supposero che la lezione ne fosse sbagliata, e sugge
rirono più e diverse emendazioni del testo per condurlo a
concludere la negazione dell' actio injuriarum. Si vedano in
165
questo senso : Jauchius, De negation . pag. 330 - Voet,
ad pandect. lib. 48, tit. 10 , §. 13 Vonck, Obs. cap. 32,
- Ti
pag. 124 Pothier, Pandect. lib. 48, tit. 10, n. 13
tius, Disputatio 1 - Brissonio, Selectae antiquitates,
lib. 1, cap. 4. Bynckershoeck, Obs. 4, 25 - Van
Dorp, Obs. cap. 4, pag. 32 Heraldo , Obs. cap. 12 ; in
Thes. Otton. tom . 2, pag. 1325.

S. 1788.

All'argomento dei criterii diminuenti che deri


vano dalla persona dell'offeso si richiama il pro
blema relativo al consenso dello ingiuriato. Sulla
applicazione alle materie penali del broccardo in
giuria non fit volenti largamente dissertarono ( 1 )
i dottori . In proposito del delitto d'ingiuria più
specialmente la questione si agitò a causa della
disponibilità del diritto . Lo Strykio (De cautelis
contractum , sect. 2 , cap. 6, §. 17 ) la configurò
nella obbligazione assunta da un debitore di resti
tuire il danaro ad un dato termine autorizzando il
creditore a svillaneggiarlo, in caso di mora, con
la taccia di ladro e d'infame ; e domandò se ve
rificata la mora si fosse potuto punire come reo
di contumelia il creditore che aveva esercitato

quella facoltà a lui concessa . È singolare il modo


con cui lo Strykio scioglie tale questione : egli dice
inattendibile il patto perchè inviterebbe a delin
quere. Ma il sofisma è un nemico tanto insidioso
che spesso inganna anche i dottissimi . Cosi questo
sommo giurista non si avvide della petizione di
principio che si cela nella sua soluzione : si cerca
se nella fatta ipotesi la ingiuria sia punibile, che
è quanto dire si cerca se sia delitto, e lo Strykio
- 166 -

risponde che lo è perchè è delitto. Pare a me che


la questione si debba sciogliere con la teorica della
remissione. Trattandosi di reato che si estingue
per la quietanza dell'offeso la unica forma che do
veva darsi alla questione parmi fosse questa : se
la quietanza dell'offeso data prima dell'ingiuria -
abbia lo stesso valore della quietanza data dopo .
Ad ogni modo non può controvertersi che in sif
fatti casi la quantità politica del reato si riduca ai
minimi termini. Chi vorrebbe allarmarsi per una
parola offensiva diretta contro uno che erasi per
contratto obbligato a riceverla ?

(1) Trattarono questa elegante questione sotto un punto


di vista generale : De Gavere, An injuria fiat volenti -
Boehmert, Dissert. volenti fit injuria. Più specialmente
in proposito della ingiuria la esaminarono : Vogler, De ho
-
micidio linguae, §. 23 — Meister, Principia §. 147 — R o o
sendael, Dissert. de injur. et fam. libell. §. 9- Bossio,
Tractat. varii, tit. de injuriis n. 14 Lauterbach, Dis
sert. disput. 89, thes. 15 ――――――― Puttmann, Elementa, §. 401.
Certo è che in questa disputa, nella quale si è molto andato
per la sottile, non parmi che la l. 1. § . 5 ff. de iniuriis si
invochi rettamente da coloro che sostengono la punibilità
della ingiuria diretta contro il consenziente. Ivi si contempla
in caso di una ingiuria fatta ad un figlio consenziente, e si
dice che al padre competa pur sempre l'azione. Ma questa
altro non è se non la esplicazione della nota teorica della
ingiuria indiretta. Quando la ingiuria fatta al figlio che ha
consentito riverbera sopra il padre che non vi ha consentito ,
è evidente che il padre ha un'azione per la onta fatta a sẻ
stesso, quia nostrum pudorem pertingit (come dice Ulpiano)
ed a questa certamente non può recare pregiudizio il con
senso del figlio. Ma invece cotesto frammento può appog
giare la opinione opposta, perchè Ulpiano mentre dà
167 --
l'azione al padre, la nega al figlio : filii nomine non competit,
quia nulla injuria est quae in volentem fiat. Del resto te
nendo fermo il pensiero alla regola che nell ' animo di ingiu
riare sta la essenzialità della ingiuria, io non saprei confi
gurarmi la ipotesi di un animo di ingiuriare nella ingiuria
diretta contro il consenziente. Certamente se il consenso fu
estorto per frode la ingiuria sarà punibile come se avrà con
sentito persona incapace di consenso, perchè allora il con
senso prestato è giuridicamente nullo.

§. 1789.

Si è fatta pure la questione se per le condizioni


della persona ingiuriata possa rendersi inammissi
bile il concetto giuridico della ingiuria. Vogler
(De homicidio linguae, §. 22) esemplifica la que
stione nella ingiuria diretta contro il pazzo e contro
l'infante ; e desume la ragione di dubitare dall'os
servazione che costoro non soffrono per l'oltraggio
dolore morale, e non possono scapitare nella ripu
tazione . Ammette peraltro la possibilità della in
giuria in certe specialità. La quale più recisamente
si afferma da Boehmero (Elementa, sect. 2 , § . 91)
e dal Kock (Instit. § . 373) . E davvero una tale
questione può difficilmente proporsi , tranne in cir
costanze eccezionali ; male sapendo immaginarsi in
simili termini l'animo d'ingiuriare . Si presta alla
ipotesi il concetto di recare mediante la ingiuria
un danno patrimoniale (come se si tacciasse di ba
stardo un infante o un demente per dissuadere il

suo congiunto dallo istituirlo erede) e dove ciò ri


corra non avvi ragione per negare la politica im
putabilità, essendochè la inconsapevolezza dell'of
feso non sia motivo di non proteggere i suoi diritti,
168 -―――

per i principii generali che altrove (§. 48) espo


nemmo. E neppure ci sembra che tale inconsape
volezza possa tenersi a calcolo come criterio di
minuente la quantità politica del malefizio . Anzi
può dirsi che da colui che brutalmente scese ad in
sultare un essere irresponsabile può apprendersi
come più facile lo insulto contro persona che per
essere nella pienezza dello intelletto può avergliene
dato cagione. Sicchè prescindendo dallo influsso
che tali condizioni personali dello ingiuriato pos
sono avere sulla ricerca dell'animus injuriandi,
le medesime per loro propria virtù non mi sembrano
valutabili come criterii misuratori.

S. 1790 .

Sorge dalle qualità personali dello ingiuriato una


circostanza aggravante relativa quando esso stia
verso lo ingiuriante in una situazione rovescia di
quella notata di sopra. Vale a dire che la persona
ingiuriata goda un titolo di superiorità domestica
o gerarchica sopra l'offensore, come il padre verso
il figlio, lo zio verso il nipote, o l'impiegato su
periore verso l'inferiore . Anzi questa idea si spinse
dai pratici fino al punto che, coltivando quell'aureo
dettato delle sacre pagine coram cano capite con
surge, insegnarono che la ingiuria lanciata da un
giovine contro un vecchio sempre dovesse punirsi
come atroce (1 ) e tale non fosse se proferita da
un vecchio contro l'altro vecchio ; lo che pone in
chiaro risalto la indole relativa di questa aggra

vante. La ragione della medesima non è già nel


l'aumento di danno immediato ma unicamente nello
-- 169 ______

influsso che esercita sul danno mediato, il pensiero

che chi ingiuria un suo maggiore molto più sarà


pronto ad insultare un eguale ; perloché si accresce
la forza morale oggettiva del delitto , e cosi la sua
quantità politica.

(1) Carmignani , Elementa, § 1017 - Giuliani ,


Istituz. vol. 2, pag. 462 - Buon fanti, Manuale, pag. 326.
La qualifica relativa desunta dalla inferiorità gerarchica del
l'offensore fu notata da Cramer , Observationum, vol. 3,
observ. 890. Fu pure comune fra i pratici la dottrina che in
ragione dei rapporti personali si punisce come atroce la in
giuria diretta da un ebreo contro un cristiano e come sem
plice quella diretta da un cristiano contro un ebreo : Beck,
De jurib. Judaeor. cap. 13, §. 3 Thiel , Principia juri
sprudentiae judaicae, pars specialis, lib . 3, membr. 1, tit. 2,
§. 258.

§. 1791 .

Le qualità personali dell'offeso presentano una cir


costanza aggravante assoluta della ingiuria quando
esso sia tale che da ogni cittadino, per la posizione
che
cuopre, a lui si debba rispetto. In tali condi
zioni sono i sacerdoti ed i pubblici ufficiali, e fra
questi particolarmente i magistrati ( 1 ) che si riten
nero meritevoli di più energica protezione . Di questa
aggravante fu fatto dalla pratica, ed anche dalle
Osservanze giudiciali toscane, un uso larghissimo nel
senso del rigore. Prevalse lo insegnamento di quei
dottori che ogni ingiuria commessa contro un impie
gato qualunque dichiaravano atroce (2), e per con
seguenza punibile sempre col carcere ,
persegui
tabile ad azione pubblica e non quietanzabile . La
- 170

esperienza mostrò quanto fosse esorbitante cotesta


massima poichè si videro uomini rispettabili con
dannati alla prigionia perchè alle vessazioni inur
bane di qualche gabelliere, o facchino od infimo
manuale di un uffizio, si erano permessi dei poco

misurati rimproveri . Che si valuti l'audacia mag


giore di un insolente, e si stenda protezione speciale
verso persone più degne, è ben giusto ; ma prodi
gare una cieca protezione verso tutti i manuali
(spesso rozzi e inurbani perchè, attesa la umiltà
dell'ufficio loro , è stato duopo toglierli dalle infime
classi) e prodigarla loro solo perchè impiegati del
governo, è un resto di quella tradizione aristocra
tica che considerava come recata al signore la in
giuria fatta alla sua livrea. In faccia alla civiltà
odierna ed al progresso della scienza non poteva
una esorbitanza simile mantenersi in vigore . E
difatti oggimai si è reietto da tutte le buone le
gislazioni il pensiero di riconoscere nella sola qua
lità di impiegato la cagione aggravante ; essendosi
questa tolta via per gl' impiegati di un ordine in
feriore, e serbata soltanto ai pubblici ufficiali ed ai
sacerdoti .

(1 ) In Francia si elevò la questione se per il fine di qua


lificare le ingiurie i Deputati alle Camere dovessero consi
derarsi come Magistrati, ma i tribunali si pronunziarono co
stantemente per la negativa : Corte di Cassazione 20 ottobre
1820. Lo che dette occasione ad uno speciale provvedimento
nella legge del 25 marzo 1822. Si elevò pure la questione se
dovesse applicarsi la qualifica alle ingiurie dirette contro un
pubblico ufficiale che non avesse ancora prestato il giura
mento richiesto al suo uffizio quantunque di fatto ne avesse
intrapreso lo esercizio, e la Corte di Cassazione di Francia
171 -
il 26 giugno 1851 , e di nuovo il 5 aprile 1860 stabili l'affer
mativa. Viva questione pure si è impegnata circa le ingiurie
dirette contro i pubblici ufficiali mentre non erano rivestiti
delle proprie divise. La Cassazione di Francia ha ritenuto la
qualifica malgrado tale circostanza il 5 settembre 1812, e il
26 marzo 1813, a condizione però che sia provato avere lo
ingiuriante conosciuto la qualità dell'offeso . Si è pure dichia
rato il concorso della qualifica nella ingiuria commessa
contro il soldato, mentre era in fazione militare : Morin ,
art. 8678.
(2) Leyser, Medit. spec. 560, med. 29 - Armellini,
Istituzioni, vol. 4, pag. 76 - Harpprecht, Exercitat. 66.
In quanto alle ingiurie dirette contro i periti giudiciali è
a vedersi Morin , Journal de droit criminel, art. 7999 et
art. 8945. La Corte di Cassazione di Palermo con decreto
del 2 maggio 1865 ha deciso che lo stabilire se una ingiuria
abbia o no i caratteri di atroce è un definito di legge e non
di fatto. Perciò ai giurati non può proporsi la questione
sull'atrocità della ingiuria, ma soltanto devono interrogarsi
sulle condizioni materiali della medesima, affinchè i giudici
del diritto possano poscia conoscere se concorse o no l'atro
cità. Quanto sono oscillanti i giudizi umani ! Mentre in Pa
lermo si decideva cosi nel 1865, il Decamps pubblicava nel
Belgio la sua critica dell'ultimo progetto di Codice penale ;
ove fra molti altri nuovissimi pensieri, figurava pur questo,
che tutte le questioni d'ingiuria dovessero deferirsi ai giu
rati perchè gli uomini del luogo conoscono il significato in
cui la parola ivi si adopera e s'intende, e sono in grado di
apprezzarne la importanza e la gravità meglio di magistrati
venuti forse da lontane provincie. Il dubbio se una questione
sia di puro fatto, o di puro diritto è sempre gravissimo ; ed
in molti casi dove il fatto è misto al diritto è assolutamente
indefinibile. Si grida e si grida che ai giurati vogliono pro
porsi soltanto questioni di puro fatto. Ma in realtà secondo
*
quello che veggo praticarsi finqui io non mi persuado che
a questo grado risponda sempre la verità. Se l'atrocità non
――――――― 172 -―――

è una nozione morale ma una vera nozione giuridica, come


può affermarsi sul serio che non sia una nozione giuridica
l'incesto, la premeditazione, la ingiuria stessa che pur com
pleta la sua nozione non dalla sola materialità della parola
oltraggiosa ma (come ho sopra mostrato nella ispezione del
l'animo) da definizioni e limitazioni meditate dalla scienza e
implicitamente adottate dai Codici ? A me pare nella mia te
nuità che siasi ancora molto addietro dal raggiungere l'ul
timo vero in questo torbidissimo punto.

§. 1792.

Ristretta l'aggravante alle sole persone pubbli


che di un ordine superiore, come magistrati , sa ་་
cerdoti, e pubblici ufficiali, sorge allora un'altra
divergenza sulla costanza od eccezionalità di tale

aggravante. Tre infatti sono le formule alle quali


possono ridursi le dissonanti opinioni dei dottori.
Alcuni indistintamente sostennero che la ingiuria
diretta contro tali persone avesse la ragione della
sua qualifica nel rispetto dovuto allo individuo per
chè rivestito di quel carattere di dignità ; e cosi
qualificarono la ingiuria ancorchè prodotta da ca
gioni private ( 1 ) . Altri pensarono invece che il sa
cerdote ed il pubblico ufficiale, in quanto agivano
come privati individui , dovessero tenersi uguali ad
altro cittadino ; e la offesa diretta contro di
loro si qualificasse solo quando era avvenuta o
durante lo esercizio della funzione , o a causa
della funzione esercitata o da esercitarsi ; durante
officio, vel extra officium sed contemplatione of
ficii (2) : cosicchè la qualifica avesse la ragione sua
nello insulto fatto allo ufficio e non nello insulto
fatto allo individuo . Altri finalmente adottarono una
- 173 -

regola ecclettica : vollero sempre qualificata la in


giuria commessa contro il sacerdote o contro il
pubblico ufficiale ; ma la qualifica considerano come
più leggiera se non aveva connessione con lo uf
ficio, e come più grave quando all'ufficio si con
netteva o in ragione del tempo o in ragione della
causa (3).

(1) Matthaeo et Sanz , De re criminali, controv. 75,


n. 9 - Berlichio , pars 5, concl. 61, n. 6 et 7. Vedasi
Harpprecht, nella dissertazione speciale de injuria ma
gistratui illata ; in ejus Dissertationes accademicae, vol. 2, di
sput. 66 — Bergero , Philocalia juris, pag. 388 - Prati,
respons. 17.
(2) Menochio , De arbitr. lib. 2, cas. 263, n. 11 et seqq.
- Puccioni , Commento , vol. 4, pag. 761 -- Hertius ,
Consilia et responsa , tom. 2, dec. 375, n. 2 Caballo , Re
solutiones crim. cas. 128, n. 1 - Carpzovio, Practica nova,
pars 2, quest. 100, observat. 1, n. 5 Mevio , Decisiones,
pars 9, dec. 4 - Bossio, Tractatus, tit. de injur. n. 38
Bergero , pars 1, respons. 179, n. 1 Leyser, Medit.
in pandect. spec. 565, med. 11.
(3) Carpzovi o, Jurisprudentia, pars 4, constit. 43, def. 2,
n. 5; il quale non contradice a quanto insegna nella practica,
al punto citato nella precedente nota, perchè qui tassativa
mente la discorre secondo il gius elettorale sassonico. Gran
tio, De defensione reorum, cap. 4, membr. 1, sect. 4, n. 236
et seqq. congiunto a quello che avverte al cap.7, membr. 2, n. 41.

§. 1793 .

Modernamente ha prevalso la seconda di queste


opinioni : e più specialmente il Codice toscano ha
avuto riguardo alla connessione della ingiuria con
l'ufficio, e , lasciando da parte per cotesto caso la
nomenclatura di atrocità, ne ha formato un'aggra
―――――― ―
174.

vante speciale subordinata però a certi limiti ed


a certe condizioni .

Si sono guardati certi limiti dettando speciali


protezioni verso alcuni impiegati che sieno in grado
più eminente e nulla curando degli altri : e preci
samente si sono protetti (Codice toscano, art. 369)
quei soli impiegati che per le funzioni loro si con
siderano come pubblici ufficiali ( 1 ) , e (art. 140) i
sacerdoti.

(1) La determinazion dei caratteri che distinguono il pub


blico ufficiale è stata mai sempre importante nelle varie le
gislazioni ma lo è divenuta ancora più in faccia ai moderni
provvedimenti liberali che , ammettendo nel popolo il sinda
cato delle operazioni degli agenti governativi, hanno procla
mato la impunità della ingiuria diretta contro pubblici uffi
ciali per mezzo di scritti, purchè contenente rimprovero di
fatti veri. A questo fine si disputò se fosse pubblico funzio
nario un perito giudiciale eletto in un processo criminale :
Morin, art. 9028. Si disputò se fosse pubblico ufficiale un
sacerdote : Morin, art. 9330 et note. Su questo argomento
l'avvocato Luigi Sartorio ha pubblicato una monografia
nel 1872 in Palermo col titolo ― esami in ordine ai reati di
stampa : la quale benchè fatta intuitu propriae defensionis
resta però un libro utile agli studiosi per le dottrine che rac
coglie intorno alle dieci principali questioni che egli tratta
in materia di ingiuria . Ivi al sesto esame sostiene la tesi che
ai fini suddetti un sacerdote addetto al servizio della par
rocchia debba riguardarsi come funzionario pubblico. Questo
lavoro ebbe plauso dal giudicato della Corte di Appello di
Palermo del 1.0 agosto 1872.

S. 1794.

Si sono poi opposte certe condizioni, disponendo


che anche le ingiurie contro i sacerdoti o i pub
- 175 -――――

blici ufficiali si abbiano come qualificate allora sol


tanto quando siano state inferite loro mentre erano
nello esercizio delle loro funzioni, o a causa di
quello esercizio . In sostanza si venne a negare la
protezione più energica all'individuo per la sola
accidentalità dell' ufficio, e la protezione si accordó
soltanto all'ufficio quando fosse stato offeso nello
individuo . E l'ufficio si ritenne offeso nello indi
viduo quando l'oltraggio erasi recato allo ufficiale
anche per cagione privata mentre sedeva ( 1 ) in uf
fizio, oppure anche quando colà non sedeva, ma fu
mossa da cagioni relative all' uffizio . Non è l'in
dividuo che si protegge con la pena più severa,
e con azione più larga . Si protegge il diritto uni
versale residente in tutti i consociati che si tenga
in rispetto la dignità dell' uffizio . Quando il sacer
dote o il magistrato sono nell'attualità dello eser
cizio non può avvenire mai che si rechi loro un
affronto senza che in questo concorra l'oltraggio
al sacerdozio o allo impiego, perchè naturalmente
la ingiuria, quantunque procedente da causa indi
viduale e diretta a solo dispregio dello individuo
come individuo , oltre offendere l'uomo viene a
profanare od a disturbare la funzione che si eser
citava e nel libero adempimento della quale pos
sono avere interesse un numero indefinito di citta
dini. Da codesto interesse nasce spontaneo l'aumento
della quantità del reato, e la convenienza di non
tener conto del perdono dell' offeso ; perchè assu
mendo il delitto la indole di complesso, l'offeso può
rinunziare efficacemente in quanto alla lesione del
diritto proprio, e non in quanto alla lesione del
diritto altrui.
- 176
(1) La ipotesi della ingiuria recata al magistrato mentre
siede in ufficio eccitò la speciale questione se il magistrato
passivo di simile oltraggio potesse egli medesimo giudicare
del reato ed infliggere la pena al proprio offensore . Esami
narono questo dubbio : Prati, resp. 17 Lapeyrere ,
Decisions notables, let. T, n. 53 Caldero, Decisiones Ca
thaloniae, decis. 69 ; e i giureconsulti Tubingensi nei Re
sponsa Tubingensia, vol. 2, respons. 71. Pare che fra
i pratici prevalesse una distinzione : o la ingiuria fatta al
magistrato sedente in tribunale ebbe una cagione privata,
ed il magistrato offeso non può giudicarne senza farsi giu
dice in causa propria : o ebbe causa dallo stesso ufficio che
egli esercitava, e può immediatamente giudicarne egli mede
simo. E questa è la soluzione che si propugna da Bonfino,
In bannimenta, cap. 45, n. 5.

§. 1795.

Ma quando il sacerdote o il pubblico ufficiale non


sono propriamente nell'attualità speciale del loro
ministero, pretendere che qualsiasi ingiuria diretta
contro di loro come individui debba ritenersi qua
lificata, punirsi col carcere, e perseguitarsi a pub
blica azione, non può avere altra base tranne la
presunzione arbitraria dello esercizio continuo ;
nella quale presunzione si confonde la potenza dello
esercizio con lo esercizio attuale. È vero che i ro
mani sembra accogliessero siffatto pensiero, poichè
il frammento 7, §. 8 ff. de injuriis dichiara atroce
la ingiuria contro il magistrato senza distinguere
se in essa fosse stata connessione o no con l'uffizio :

ma è da avvertire che in Roma potè aversi di ciò


una ragione speciale, essendo là costumanza ( 1 )
che i magistrati incedessero per la città costante
- 177 -

mente fregiati delle divise dello ufficio loro o di


abiti speciali , di guisa che l'ufficio era in certo
modo sempre immanente sulla persona, e cosi po
teva contemperarsi il rigore della regola ad una
sembianza di verità (2). Ma oggidi, come ho detto
non si riconosce la qualifica nelle ingiurie com
messe contro il pubblico funzionario od il sacerdote
fuori dell'attualità dell'uffizio qualunque sia l'abito
che egli rivesta ; se non quando la ingiuria stessa
si connetta altrimenti con l'uffizio medesimo per
chè abbia avuto causa da una relativa funzione o
esercitata o da esercitarsi .

(1) L'uso che i giudici Professori e Dottori incedessero


per le Città continuamente abbigliati in toga e con i distin
tivi delle funzioni loro, si protrasse in Italia oltre al medio
evo, e fino ai tempi di Galileo : ed è lo stesso Galileo (nel
suo capitolo in biasimo della toga) che accenna il motivo per
il quale dovette abbandonarsi siffatta consuetudine : Gali
leo, Opere, Edizione Fiorentina del 1856, vol. 15, pag. 296.
(2) I romani ebbero una cura speciale degli abiti che ve
nivano regolati con apposite leggi. L'abito servile, l'abito
patrizio, l'abito senatorio, l'abito tribunizio, l'abito vergi
nale, l'abito meretricio, l'abito matronale, l'abito luttuario,
l'abito trionfale, ed altri molti, erano tutti oggetto di spe
ciali regolamenti. Vedasi Alessandro, Dierum genialium,
lib. 5, cap. 18, pag. 716 ; et ibi Tiraquello , In semestria,
Lugduni, 1851, pag. 531 İ Dempster, Ad Rosinum an
tiquitat. roman. lib . 5, cap. 31, p. 424 et seqq. Stuch ,
- Guther, De officiis do
Antiquitat. convivialium, p. 125
mus augustae, pag. 542 ―――― Strykio, Dissertat. de jure ve
stiario, cap. 8, n. 32. La questione relativa allo effetto giuri
dico che sulla imputazione d'ingiuria per esercizio di funzioni
pubbliche sviluppa la irregolarità degli atti ai quali proce
VOL. III . 12
―――― 178 -

deva il pubblico ufficiale, non vuole essere posta nei termini


di scusa ad un delitto del quale si riconoscono gli estremi.
La questione vuol essere posta nei ben diversi termini se la
irregolarità dell'atto escluda gli estremi del delitto in quanto
che un atto irregolare non è un esercizio di funzione. In que
sto senso la scusa bisogna ammetterla ; e lo fu anche nelle
giurisprudenze più rigorose : Corte di Cassazione di Francia
25 marzo 1852 : vedasi il giudicato della Corte di Cassazione
di Napoli in questo senso emanato il 10 luglio 1872, e ri
cordato nel giornale dell' Avv. Pio Morbio ( troppo presto
cessato) che aveva per titolo Rivista dei Dibattimenti, a
pag. 455. Ma come si è egli potuto, da lato a questa con
clusione logicamente irrecusabile, negare la scusa della pro
vocazione in questa sorta d'ingiuria ? A me pare che corra
lo stesso ragionamento. Quando io insulto un pubblico uffi
ciale che per il primo m'ingiuria (cioè commette un delitto)
io non attacco la persona dell' ufficiale ma quella di un col
pevole; non reagisco contro un esercizio di ufficio, ma con
tro un abuso di ufficio. E in questo senso si pronuncia C a r
not, Code pénal, art. 471, n . 11. E Corte di Grenoble 21
aprile 1825 - ivi Les injures verbales adressées à un
agent de l'autorité, dans l'exercice de ses fonctions, ne sont
point punissables, si les agens les ont provoquées en se per
mettant les premiers des injures semblables. Soltanto segui
tando l'autorità della Corte di Cassazione di Torino ( 5 mar
zo 1866) potrà distinguersi fra la ingiuria che tendeva ad
impedire l'atto illegittimo ed a resistere ad un arbitrio del
pubblico ufficiale ; e la ingiuria che ebbe il ben diverso fine
di usare villania contro il pubblico ufficiale, ed attaccarne
l'onore. In questo secondo caso la intenzione maligna man
terrà la punibilità ; ma nel primo caso non vi sarà che lo
esercizio legittimo della tutela dei propri diritti ; e così la
provocazione desunta dalla illegittimità dell'atto sarà una
dirimente nel primo caso , e dovrà valutarsi solo come mi.
norante nel secondo caso.
- · 179

§. 1796.

E qui vuolsi avvertire che siffatta connessione


deve essere quella di causa ; nè basta quella di
semplice occasione (1 ) che è ben diversa. Lo che,
per la più breve, mostrerò con due esempi che vidi
in pratica. Un parroco mentre benediva una casa
nella ricorrenza pasquale fermossi nello scrittoio
del padrone a fiutare in alcune carte che stavano
colà : il padrone lo riseppe, e mosso a collera lo
feri con parole di vilipendio per quel suo conte
gno da esploratore. Un altro a chi lo richiedeva
di un ufficio del suo ministero rispose con modi
grossolani e ne ebbe taccia d' incivile. In ambo i
casi dolenti pretendevano che la ingiuria, ai ter
mini del Codice toscano, fosse qualificata perchè
commessa a causa dell'esercizio delle funzioni sa
cerdotali . Ma il tribunale di prima istanza nel primo
caso, e la Corte di Cassazione di Firenze nel se
condo (2) decisero che non poteva dirsi quelle in
giurie avere avuto causa dalle funzioni sacerdotali,
quantunque gli atti che avevano eccitato a profe
rirle fossero stati posti in essere dal sacerdote nello
esercizio del suo ministero, perché gli atti mede
simi essendo estranei alla funzione sacerdotale,
questa era stata occasione ma non causa delle in
giurie medesime.

(1 ) In termini il Leyser, (Medit. in Pandectas, speci


men 546, medit. 4) ricorda un giudicato della facoltà di Vit
temberga, il quale decise non essere perseguitabile a pubblica
azione la ingiuria diretta contro un cancelliere al quale si
era rinfacciata la falsificazione di un processo ; e, per la ra
180

gione che tale ingiuria quantunque fosse occasione officii, non


erat vero intuitu officii, non avendo l'offeso inoltrata querela ,
giudicò non potersi procedere criminalmente.
(2) Vedasi la mia Teorica della ingiuria qualificata pubbli
cata fra i miei opuscoli, vol. 3, n. 41. Questo concetto si è
espresso diversamente dai diversi legislatori. Il Codice toscano
(art. 369 e 142) usa la formula per relazione alle funzioni .
Il Codice modenese (art . 110, §. 3) usava la formula in odio
del carattere ecclesiastico, la quale per altra via ribadiva il
concetto che la causa di ingiuriare deve essere nell'ufficio
sacerdotale e non in altro qualsiasi atto che il sacerdote
abbia posto in essere durante un esercizio di sua funzione
ma indipendentemente da quella. In questi termini potrà
sorgere la qualifica del luogo se era sacro ; potrà sorgere la
qualifica del tempo se la ingiuria avvenne durante l'esercizio ;
ma quando la ingiuria contro il sacerdote, od altro pubblico
funzionario, avvenga posteriormente a causa di un atto che
quello abbia posto in essere durante la funzione ma estraneo
alla medesima, non potrà aversi qualifica nessuna, e molto
meno quella speciale della persona ; perchè non è alla per
sona privilegiata ma all'individuo che si dirige la ingiuria,
e questi come individuo non ha diritti maggiori di ogni altro
concittadino. Più chiara era la locuzione del Codice par
mense (art. 231 ) e del Codice sardo (art. 258, 260) a causa
della funzione. La idea di imprimere una dignità perpetua
a certi individui per ragione dell ' ufficio loro, sicchè, in qua
lunque luogo e per qualsivoglia occasione vengano ingiuriati,
il delitto sia sempre qualificato, è una ubbia di vecchi di
spotismi ; e se qualche giurista la volle insegnare in un modo
assoluto, come fece a modo di esempio, l'Harpprecht,
(Instit. lib. 1, tit. 3, pag. 64, n. 23) che volle estenderla a
tutti i dottori , certamente non ha trionfato nella pratica
odierna. Questa verità si è recisamente insegnata dal chia
rissimo prof. Francesco Arabia, (Principii del diritto
penale, vol. 3, pag. 55) il quale propostosi il dubbio se possa
mai considerarsi come qualificata la ingiuria emessa contro
181

un magistrato che abbia per il primo provocato l'ingiuriante


cosi si esprime ; è evidente che non vi sarebbe luogo ad ap
plicare questo articolo, poichè esso richiede per estremo essen
ziale che la ingiuria o la minaccia abbia per cAGIONE la fun
zione del magistrato : onde non potendo mai supporsi che
questi faccia un atto delle sue funzioni quando provoca una
ingiuria, mancherebbe l'estremo più importante voluto dal le
gislatore e ricorda che se la legge debitamente concede alla
nobile divisa una protezione più energica, lo abusarne per
compromettere i privati è per parte loro soverchieria e viltà.
Tale insegnamento emanato da uno esimio giureconsulto e
Procuratore del Re deve fare avvertiti i pubblici ufficiali a
dare i primi l'esempio di moderazione nelle loro parole e nei
loro atti. Con liberale prudenza il Codice badese al §. 298
adeguò completamente nella pena la ingiuria commessa dal
privato contro il pubblico ufficiale e quella commessa dal pub
blico ufficiale contro il privato, dichiarandole entrambe qua
lificate. È noto quanto si disputasse in Francia in proposito
di questa qualifica nella occasione della riforma fatta nel
l'anno 1863 : vedasi su ciò Pellerin , Commentaire de la
loi des 18 avril : 13 mai 1863, pag. 109, 130 : e Blanche,
Quatrième étude, pag. 105 et suiv.: ma qui unicamente giovi
notare che da quella riforma l'aggravante, che per lo innanzi
era ristretta ai soli titolari, venne a buona ragione renduta
comune ancora ai giurati. Molti furono i punti corretti nel
l'art. 222 del vecchio Codice penale da questa riforma. Me
ritevole di osservazione è quella che cadde sulla materialità.
Il vecchio articolo contemplava gli oltraggi fatti ai magi
strati con parole : quindi si dubitò se cadessero sotto quel
l'articolo le ingiurie scritte. La Corte di Cassazione aveva più
volte deciso che la parola scritta era pur sempre una parola:
e coi decreti 8 settembre 1837 ; 2 giugno 1838 ; e 21 settem
bre 1838 aveva parificato i due casi. Ma questa giurispru
denza fu rovesciata l'11 febbraio 1839 dalla stessa Corte di
Cassazione in Camere riunite, che stabili non essere oltraggio
con parole quello contenuto in una lettera diretta al giudice
182
offeso. Nuova conferma della distinzione fra ingiuria orale e
ingiuria scritta dette quella Corte Suprema l'8 maggio 1856.
La vecchia giurisprudenza aveva obbedito allo spirito della
legge ; la nuova aderiva strettamente alla lettera. La riforma
del 1863 sanzionò espressamente la parificazione.

S. 1797 .

Può nascere il dubbio a questo proposito intorno


alla specialità di una ingiuria inferita ad un ma
gistrato post depositum officium ma a causa di una
funzione già da lui esercitata quando era pubblico
ufficiale ; e il dubbio può derivare da questo che
nell'attualità la persona offesa non è che un pri
cato. Ma il dubbio si dilegua a chiunque rifletta
che la protezione speciale non si accorda qui allo
individuo, ma al pubblico ufficio ; e questo può
ferirsi anche quando, per cagione di un atto ad
esso inerente, il funzionario venga offeso dopo es
sersi restituito alla vita privata : ed anche allora
se ne commuovono i magistrati che stanno in at
tualità di servizio per timore che a danno loro
possa avvenire altrettanto quando avranno dimessa
la carica, e ciò li rende più timidi nello esercitarla.
Non vi è dunque ragione di distinguere.

§. 1798.

Fra le qualità personali dell'offeso che aumen


tano il reato d' ingiuria avvene una specialmente
notabile in quella di sovrano. La importanza di co
desta qualità ora si esagerò fino allo estremo, de
sumendone il titolo di maestà ( 1) : ora si disprezzo
183 -

affatto per magnanimità di Principi, come nella


celebre leg. un. C. si quis imperatori maledixerit,
e nel Codice leopoldino del 22 novembre 1786 ,
articolo 62 e 63 ; ora si considerò con moderate
proporzioni . Ma poichè questa specialità richiama
ad un altro ordine d'idee che hanno la loro sede.
nei delitti sociali , cosi ne serberemo la trattativa
a codesto luogo, e precisamente alla classe dei
reati contro la vita politica dello Stato ; con la
quale (piacendo a Dio) chiuderemo il presente lavoro.

(1) Possono intanto vedersi su questa specialità Jonge,


De delictis contra rempublic. vol. 2, quaest. 2, pag. 29
Angelo, De delictis, pars 1, cap. 83 - - Natta, cons. 595
- Mascardo, concl. 462 Deciano, Tractatus crimi
nalis, lib. 7, cap. 29, n. 10 Klock, lib . 3, cons. 192
Pistor, Observationes singulares, observ. 187 — Hertius,
Responsa, tom. 1, cons. 497 - Tullingh, Ad legem Juliam
majestatis, pag. 16 Van Riemsdyk, De crimine lesae
majestatis, cap. 2.

S. 1799 .

Resta solo da avvertirsi a questo luogo una spe


cialità relativa allo aumento di quantità ricono
sciuto nella continuazione. La continuazione , della
quale (§. 514 e 528) già conoscemmo (sotto un
punto di vista generale comune a tutti i malefizi)
come essa sia da tenersi in conto di minorante la
imputazione ed aggravante la pena, non trova sem
pre i suoi termini abili nella presente classe di
malefizi . Esigendosi come criterio essenziale nella
diffamazione la comunicazione fatta a due o più
persone, e nel libello famoso la divulgazione , bi
- 184 ――
sogna guardarsi dal tornare a considerare come

criterio misuratore quello che già si è valutato


come criterio essenziale, cioè la moltiplicità delle
azioni poichè con ciò si verrebbe allo assurdo di
duplicare la imputazione per la identica circostanza .
Io già non dico che la continuazione non possa aver
luogo in questo genere di reati : dico soltanto che
non bisogna nella ripetizione degli atti trovare una
ragione di aumento quando la moltiplicità degli
atti già si è valutata come ragione costitutiva del
più grave titolo ( 1) , perchè ne forma un estremo
essenziale.

(1) Vedasi Sartorio, Esami sui reati di stampa, esame


primo, Palermo 1872.

CAPITOLO V.

Influsso della verità sul convicio .

S. 1800 .

Stimo opportuno destinare un capitolo a parte a


questo problema perchè la verità del convicio può
volersi considerare, o come influente sui criterii
essenziali della ingiuria, o come influente sui cri
terii misuratori della medesima, o non tenersi in
conto nessuno, secondochè per la verità del rin
faccio o piaccia togliere del tutto ogni rimprovero,
o modificarlo soltanto, o niente valutarlo ( 1 ) . E la
specialità della trattazione viene anche consigliata
dalla gravità dell'argomento, e dalla fluttuanza re
lativa delle opinioni . La quale fluttuanza , che con
dusse legislatori e scrittori a dei sistemi diametral
- 185 ――――

mente opposti (che si frazionarono e si moltiplica


rono senza misura) è da ascriversi a doppia cagione.
La prima causa se ne trova nella diversità degli
ordinamenti politici, i quali quanto più sono liberi
tanto più permettono il predominio del senso mo
rale, nel tempo stesso che fanno sorgere un nuovo
ordine di bisogni politici, i quali coadiuvati da
quello portano a declinare dal rigore giuridico , e
dare, nei congrui casi, un valore alla verità nella
imputazione della ingiuria ; laddove quanto meno
sono liberi tanto più conducono alla stretta ade
renza al rigore giuridico. L'altra cagione di tale
fluttuanza (che in ultima analisi ne è la più ra
dicale) sta appunto nello antagonismo sorto in co
desta ricerca tra il senso morale ed il rigore del
diritto . In faccia al primo è spontaneo il pensiero
che dove non intervenne nella ingiuria falsità d'im
putazione, gli uomini che giudicano con la mera
scorta della ragione naturale o non ravvisino de
litto o lo trovino minore di assai ; e la esperienza
della vita conferma tuttodi questo vero . In faccia
al rigore del principio giuridico prevale invece il
pensiero che ogni lesione dell'onore altrui debba
indistintamente perseguitarsi, ancorché con tale
lesione non siasi fatto che rendere omaggio alla
verità. Di qui la necessità che lo insegnamento
proceda con distinzione di tempi , e con distinzione
di casi .

(1) La regola severa che niente in qualunque caso do


vesse valutarsi la verità del convicio, neppure come scusa, ha
avuto numerosi sostenitori e risale alla leg. 18, ff. de inju
ris : Goed deus, Cons. Marpurg. vol. 4, cons. 52, n. 72 ; il
quale riassume nei più semplici ed esatti termini quella che
186

a me sembra la vera soluzione del problema ivi - secus


si animo injuriandi et aculeo quodam malitioso ex proposito
et deliberato animo crimen pandatur, etiamsi verum sit et
probari possit ; cum tamen ex affectu facientis injuria con
sistat, actio tenebit neque veritatis existentia relevabit ―――― Aru
maeus, Disputationes, disp. 24, thes. 14 et 15 - Opten

Noorth, Disputatio de veritate convicii, Trajecti 1737
- My singer,
Treutler, vol. 2, disp. 30, thes. 5, lit. G
cent. 4, observat. 4, n. 4 - Gail, Observat. lib. 2, obser
vat. 99 ― - Covarruvio, Var . resolut. lib. 1, cap. 11, n. 6
Hommel, Rhaps. observat. 388 - Boehmero , Ad
Carpzovium, quaest. 96, observat. 3 - Puttmann, Ele
menta, §. 405 Cremani, lib. 2, cap. 7, art. 7, §. 4 et 5
-
-Carmignani, Elementa, §. 119 Arabia, Principii
del diritto penale, parte 3, pag. 284. Vedasi anche Berner,
-
Lehrbuch, §. 152, pag. 336 e seg. Schütze, Lehrbuch,
§. 78, pag. 367 e seq. i quali niente lasciano a desiderare
sullo argomento, quantunque sembrino discordi fra loro in
quanto al criterio desunto dalla forma della ingiuria . La san
zionò in lettera l'art. 110 della costituzione criminale Caro
lina ; sul quale articolo peraltro non è tanto positiva la
reiezione assoluta di ogni scusa. Che la verità del rinfaccio
non perima la imputazione, pel testo di quell ' articolo è in
dubitato ma che non debba neppure valutarsi come dimi
nuente la imputazione è assai questionabile, stante la frase
di quell'articolo aestimatione judicis adfligatur. E così di fatto
- Clasen, ad
la pensano : Leyser, spec. 551, medit. 3
-
art. 110, C. C. C. pag. 324 Kress, ad art. 110 C. C. C.
§. 9 Meister, Principia, §. 154. La questione relativa
all'ammissione della prova della verità ed allo influsso della
medesima sull'accusa di diffamazione fu già trattata nel
senso favorevole alla prova da Faustin Hélie in una
dissertazione intitolata De la diffamation de son caractère et
de sa preuve, inserita nella Revue Wolowski, tom . 20, pag. 120:
e si è modernamente riassunta da Lignon, Des injures et
de la diffamation : Toulouse 1869 in principio.
-- 187 ―-―――

S. 1801 .

Due sono le considerazioni che spingono a va


lutare la verità del convicio o come dirimente , o
almeno come diminuente. L'una è tratta dal mero

ordine giuridico. Essendo principio inconcusso che


l'animo d'ingiuriare sia condizione indispensabile
alla essenzialità di questo malefizio, con facilità se
ne deduce che dove non s'imputò cosa falsa si
procedesse con fine buono e non con intenzione
maligna. L'altra considerazione spetta all'ordine
dei principii sociali . Essendo uno dei precipui fini •

della umana consociazione, procedente dalla su


prema legge naturale, quello del sindacato morale
dell' uomo sull'uomo, potentissimo stromento del
perfezionamento reciproco, diviene illogico ricono
scere codesto sindacato come uno dei fini della

umana consociazione confessandone la grandissima


utilità moralizzatrice , e contemporaneamente inter
dirne l'esercizio come delitto. Ambedue queste con

siderazioni non vogliono mai essere dimenticate


da chiunque, sotto un punto di vista meramente
scientifico, cerchi la soluzione del problema : e per
le medesime incominciano ad eliminarsi dal dispu
tabile tutti quei casi nei quali o non abbia senso
il concetto del sindacato morale (come nel rinfaccio
d'imperfezioni di corpo) ( 1 ) o l'animo maligno non
possa per modo alcuno adombrarsi sotto l'appa
renza di un fine lodevole, o di emenda, o di av
vertimento e cautela . E vuole parimente essere
ricordato che la questione sulla verità del convicio
si prende qui ad esaminare come questione isolata
188 --

e di per sé stante, senza niente deflettere da quei


sommi principii che sopra esponemmo in proposito
dello animus injuriandi. Intendasi bene ciò . Altro
è dire, la verità del convicio è di per sè sola un
ostacolo alla perseguibilità delle ingiurie (lo che
conduce a scriminare il fatto quantunque apparisca
commesso malignamente e per moto di animo ne
mico o vendicativo, termini puri della presente
questione) altro invece è dire che un ingiuriante
possa venire assolto ad occasione della verità del
detto, inquantochè codesta verità escluda da lui
l'animus injuriandi, conducendo cosi l'azione sotto
il criterio o della intenzione di correggere, o di

ammonire, o di tutelare il proprio diritto, od altra


simile, per cui si escluda una delle condizioni es
senziali della delinquenza. È questo il senso in cui
vuole intendersi la l. 5 , C. de injuriis, malamente
considerata da alcuno come relativa al problema
della verità nel convicio : e dico malamente per
chè la lettera di quella legge mostrando la equi
valenza della credulità alla verità, chiarisce cotesto
equivoco. Confondere i due termini della ricerca
vale renderne impossibile ogni retta soluzione . Sul
terreno della mancanza dell'animo d'ingiuriare non
solo la verità, ma anche la giusta e la ragionevole
credulità potranno essere fondamento di scrimina
zione (2) . Ma questa è regola diversa già larga
mente svolta di sopra, alla quale niente vuolsi nė
togliere nè aggiungere per ciò che va a dirsi in
torno la questione presente .

(1 ) Che nel rinfaccio di vizi corporei la verità dell'obietto


non influisca niente sulla imputazione della ingiuria è cosa
}

189 ――――
che ognuno facilmente comprende, e che non può mettersi
in disputa sotto colore nessuno. È inutile svolgere la dot
trina su ciò, poichè tutti li scrittori sono concordi. Identica
proposizione deve affermarsi in tutti quei casi nei quali il
rinfaccio cada sopra una situazione esente da ogni colpa per
parte dell ' offeso : come se si rimproveri la illegittimità dei
natali, i delitti dei genitori, e simili .
(2) Cosi Fabro in codicem lib. 9, tit. 20, definit. 5.

§ 1802.

Qual fosse la teorica prevalente appo i romani


giureconsulti ce lo insegna Paolo alla l. 18 princ.
ff. de injuriis (1 ). Distinsero i romani tra rinfaccio
di cosa punibile, e rinfaccio di cosa non punibile :
o secondo alcuni interpreti fra rinfaccio di cosa che
(sia o no delittuosa) interessa ai cittadini cono
scere, e rinfaccio di cosa che a nessuno importa
sapere (2). In ordine a questo dichiaravano la verità
.
della ingiuria inconcludente ad escluderne la cri
minosità : in nessuno riconobbero il diritto di scher
nire un cittadino per un vizio o difetto quantunque
vero. Ma nell'obietto di fatto punibile (o di fatto
che interessi al pubblico di conoscere) ritennero
non potersi ravvisare delitto quando l'accusato si
offriva pronto a giustificare la verità del rinfaccio.
Mossero a ciò ragioni di utilità pubblica : peccata
nocentium (disse Paolo) nota esse oportet ―――――― Non

est aequum (ripetè l'Imperatore) condemnari eum


qui nocentem infumavit. E questa dottrina è stata
mantenuta anche da parecchi criminalisti moderni .

(1 ) Concorda la l. un. C. de famosis libellis ; l. 33 ; 13, §. 6 ;


l. 15, §. 38 ff. de injuriis Sarno, Praxis, pars. 2, form. 10,
- 190 ---
n. 10 -- Fabricius , in Gailio enucleato, lib. 2, observat. 99
Anton Mattheo, De criminib. lib. 27, tit. 4, n. 8 ---
Ghisen, Dissert. de injur. et famos. libell. pag. 12 1 - Roo .
sendael, De injur. et famos. libell. §. 12 - Holt, De
injur. cap. 4, §. 3 Renazzi, Elementa, pars 4, cap. 9,
§. 3, n. 2 - De Simoni, Delitti di mero effetto, parte 2,
cap. 9, §. 8 - Giuliani, Instituzioni, vol. 2, pag. 464
Puccioni, Saggio, pag. 490. Fra i sostenitori della dot
trina escusante per la verità del convicio si segnalò Fila n
gieri, Scienza della legislazione lib. 3, parte 2, cap. 53.
Studiando nei pratici la teoria della limitazione alla regola
che la verità del convicio non scusa, può la medesima rias .
sumersi in questi termini : 1.0 che siasi obiettato un delitto
del quale la punizione interessa allo Stato : 2.0 che siasi

obiettato a nome proprio e non occultamente e per anonimo :


- 3.0 che l'obietto siasi portato avanti l'autorità e non
soltanto divulgato ai privati : -- 4.0 che siasi agito per zelo
di pubblico bene e non per privata vendetta : - 50 che
l'obietto sia vero : Me v io , Decisiones, pars 3, decis. 357 --
Brunnemann , Respons. 105, n. 25 - Covarruvio ,

l. 1, resolut. variarum cap. 11, n . 6, in fin . Questa teorica


non può dirsi esattamente riprodotta nelle legislazioni e giu
risprudenze moderne ; le quali in generale l'applicano sol
tanto alle diffamazioni dirette contro pubblici Ufficiali per
atti relativi all'ufficio loro : ma subordinatamente a questa
ulteriore condizione quelle dottrine possono servire nei con
grui termini anche nella odierna pratica.
(2) Essendo indubitato che non tuttociò che è nocevole co
stituisce delitto, è manifesta la diversità delle conseguenze
che scaturiscono dallo interpretare il nocentem di Paolo nel
senso di criminoso, o interpetrarlo nel senso di nocevole. I
pratici posero in chiaro questa diversità con la ipotesi di
chi avesse rivelato una malattia contagiosa dalla quale altri
era affetto questo non era un delitto ma un infortunio ; e
pure oportet reipublicae che si conosca per prevenire la dif
fusione del contagio. Ma non si vede che la scriminazione,
191 -
in tale ipotesi, si assodava bastantemente per la sola spe
cialità della intenzione non già diretta a nuocere allo infermo
ma ad impedire il malanno altrui.

§ 1803 .

Altri invece osservarono cotesta teorica essere

figlia delle procedure romane per le quali si dava


balia ad ognuno del popolo d'instaurare pubblica
accusa contro i delinquenti : e dovere perciò te
nersi come assoluta la regola che la verità della
ingiuria niente scusa la ingiuria, quantunque il

fatto rimproverato costituisca delitto colpito dalla


legge, e non sia stato ancora punito . Se di questo
fatto (si disse) lo ingiuriato già ne era stato pu
nito, non può tollerarsi dopo che egli ha pagato
il suo debito alla società che ogni suo nemico ne
tragga a talento della propria malignità perpetuo
argomento di vilipendio . Se poi l'autore di quel
fatto criminoso non anco era stato conosciuto, e

giudicato, sarà utile che di ciò si avvertano gli uf


ficiali della giustizia, affinchè promuovano l'oppor
tuno corso della medesima contro il delinquente :
ma è sempre indoveroso che un privato anzichè
correre per cotesta via legale ne tragga occasione
di oltraggio . Questa seconda dottrina piacque ad
altra rispettabile schiera di criminalisti e ( 1 ) legi
slatori. Ma anche dove siffatta regola voglia ac
cettarsi, sempre bisogna ricordare che ciò che si
dice intorno allo elemento materiale della ingiuria
per quanto sia vero sotto cotesto rispetto, può
riescir falso sotto il diverso rispetto dello elemento
intenzionale, in quanto la verità del convicio ben
chè nulla tolga alla materialità della ingiuria può
- 192 -

in certe contingenze portare ad escludere l'animo


d'ingiuriare, che è pur necessario a completare la
essenza di fatto del malefizio . Questa dichiarazione
dovette ammettersi anche da coloro che più stret
tamente sostennero la regola più dura che niente.
valuta la verità come scusa alla ingiuria. Non ne
valutarono l'azione diretta come esclusiva dello
elemento materiale : ma dovettero bene in certe

contingenze valutarne l'azione come esclusiva dello.


animo maligno, senza il quale il corpo del delitto
resta incompleto in questo malefizio . Altro in una
parola è che l'accusato d' ingiuria dica al suo giu
dice, tu non mi puoi condannare perchè ciò che
dissi era vero, ed io aveva perciò il diritto d'in
famare il mio nemico : altro è che l'accusato dica

al suo giudice, io era in buona fede (2) perchè


aveva ragione di creder vero quello che dissi e lo
dissi a buon fine, e non con animo di nuocere ad
alcuno, e perciò non mi puoi condannare perchè
al delitto che mi obietti manca lo estremo della
intenzione maligna .

(1) La regola che la verità del convicio non scusa fu te


nuta molto cara dalla pratica e legislazione inglese. Divenne
celebre la sentenza di lord Mansfield, che quanto più una
diffamazione era vera tanto più grande era il nocumento re
cato all'offeso, e cosi tanto più grave il delitto. Coke, Hal
lame Blackstone e in generale tutti i giuristi inglesi
negarono qualunque scusa che si volesse desumere dalla ve
rità del convicio. E sebbene lord Brougham nel 1816 pro
ponesse un bill tendente a modificare sotto limitatissime
condizioni il rigore di cotesto principio, non riusci ad ot
tenere la riforma. È però da notarsi che in Inghilterra
per le semplici ingiurie non si dà azione criminale ; ed è pure
―――――――― 193

da notarsi , che al seguito degli scritti di Philips e di


Cobbett, che virilmente presero a sostenere come condi
zione indispensabile del libello famoso la falsità della impu
tazione, la pratica della giuria ha molto modificata la vecchia
severità. I giurati inglesi non curano molto che si modifi- .
chino le leggi : quando queste a loro sembrano dure assol
vono ; e così il vero legislatore d'Inghilterra è la giuria. E
tale veramente è lo spirito giuridico della sua istoria : perchè
consegnata la giustizia penale in mano del popolo se questo
ha una coscienza illuminata non può prestarsi ad applicare
una legge che sente ingiusta. In specie quando trattasi di
rimprovero diretto ad un pubblico ufficiale la odierna pra
tica inglese è venuta ad ammettere la prova della verità :
Fischer, Digest of decisions, 1864, pag. 65, verbo defa
mation. La Corte di Cassazione di Francia con decreto del
15 decembre 1859 decise essere colpevole d'ingiuria un giovine
che aveva letto in pubblico certe lettere amorose scrittegli
da una fanciulla quantunque fossero vere, mentre la stessa
Corte ritenne il titolo di falsità, in un caso identico nel quale
le lettere pubblicate erano false.
(2) Su questa linea ho spesso ottenuto in pratica la esclu
sione del dolo nelle accuse d'ingiuria : e specialmente in caso
di un giovane che aveva avvertito un suo amico intorno a
certe voci che correvano sul conto di una ragazza con cui
stava per ammogliarsi. Giustificata la esistenza di codesta
pubblica voce fu bene necessità escludere il dolo ed assol
vere. È con siffatto criterio, solo abile a condurre ad una
soluzione pratica conforme al grande principio di giustizia
per cui la pena deve essere costante freno dei malvagi e
giammai flagello dei buoni, che vuole essere risoluta la ce
lebre e controversa questione del si dice ; fatale si dice che
tanto spesso scegliesi dai maligni come mezzo di ferire con
pericolo minore, e con effetto maggiore i nemici loro . R a u
densis (De analogis, cap. 31, pag. 179) sostenne che lo af
fermare intorno ad alcuno cosa ingiuriosa con la formula si
dice non costituisse ingiuria punibile. Lo stesso sostenne
VOL. III. 13
194
Ruino (lib. 4, cons. 21, n . 3) e parve non discordarne il
Matthaeo, De criminibus, lib. 47, tit. 4, cap. 1, n. 3. Ma
elegantemente rispose Crema ni (vol. 2, lib. 2 , cap. 7, art. 7
§. 5) che chi nomina l'autore della ingiuria da lui ripetuta non
nomina un difensore, ma un socio nel malefizio : Boehmero,
Ad Carpzovium , quaest. 96 , observ. 3- Voet, Ad Pandectas,
tit. de injuriis, n. 9 - Lauterbach, In Pandectas, lib_47,
tit. 10, §. 22. Se il mezzo di difesa desunto dalla notorietà
o dalla manifestazione dell' autore si accettasse come regola
assoluta, troppo facile sarebbe diffamare impunemente un
nemico. Tutta la questione dipende dal concorso O no
dell'animo d'ingiuriare, che è la grande chiave con cui la
prudenza del giudice deve sciogliere siffatti problemi nel
presente argomento.

§. 1804.

Tali furono le regole dominatrici del problema


della verità del convicio fino al presente secolo .

Ma quando vennero ad allargarsi in Europa le li


bere istituzioni ; quando nei governanti si riconob
bero limiti allo esercizio della autorità loro , e nel
popolo il diritto di sindacare le operazioni di chi
sedeva al governo della cosa pubblica, naturalmente
dovette salutarsi come gagliarda tutrice della li
bertà dei popoli, del pubblico bene e della giusti
zia, questa potentissima voce che dicesi opinione
pubblica . E poichè nella pubblica opinione venne
a sorgere un'arcana potenza frenatrice di tutti gli
abusi , in tutte le classi dei cittadini, dovette bene
a questa nobile signora accordarsi entro certi li
miti la indipendente facoltà di manifestarli ( 1). E
l'organo di tale manifestazione fu la stampa, e nella
stampa il giornalismo : e si proclamò che dall'one
195 ――――

sto sindacato della stampa e del giornalismo nessun


cittadino potesse tenersi esente, e meno di tutti ne
fossero esenti i pubblici funzionari che al popolo
dovevano dar conto delle operazioni loro, e dello
esercizio di quei poteri che loro si affidavano, non
a vantaggio proprio, nè a servigio di altro indi
viduo, ma a vantaggio e servigio dei cittadini . Di
qui il grande principio della libertà della stampa ,
cardine di ogni politica istituzione che non sia di
spotica, nè voglia a dispotici modi foggiarsi . Con
seguenza della novella dottrina doveva essere, e fu ,
che per la medesima si modificasse anche la teorica
della verità del convicio, che le idee di Roma libera
si restituissero a vita, e che le dottrine intermedie
si contemperassero come volevano i nuovi ordina
menti della cosa pubblica. Di questo grande argo
mento della libertà della stampa non è mio istituto
tener parola, e non dovendo parlarne per largo mi
asterrò da ogni osservazione. Devo però dire delle
modificazioni che per virtù della medesima și ope
rano nella materia delle ingiurie, e più specialmente
nella questione che qui vado esaminando dello in
flusso giuridico della verità sul convicio.

(1) In questo senso sono a vedersi le severe censure che


Decamps (Contre projet de code pénal, pag. 13) mosse
contro il nuovo progetto belga e contro la legislazione fran
cese alla quale questo si era ispirato, accusandone i principii
come deplorabili ed antinazionali. Secondo la opinione di
questo scrittore dovrebbe nei processi di diffamazione darsi
più largo campo alla prova della verità. I suoi argomenti
procedono principalmente da riguardi verso il diffamato, il
quale (non aprendo il campo alla prova) rimane sempre in
faccia alla pubblica opinione sotto il sospetto che il fatto
- 196 --
imputatogli fosse vero. Anche Dormand nel suo dotto la
voro intitolato Etude sur la diffamation (pag. 5 et pag. 46,
Paris, Durand 1867 ) sembra inclinare a quella che nel pre
sente argomento dicono scuola progressiva, ed esprime il de
siderio che si vengano moderatamente allargando i benefizii
della verità nella diffamazione.

S. 1805 .

I delitti di diffamazione per mezzo di stampa


sono sicuramente più gravi che nol siano quelli
fatti per altro modo : e ciò non solo per la ra
gione che leggesi nella Pisauren. injuriarum ,
4 martii 1833 cor. Marini §. 2, che cioè siasi
a danno dei nostri simili abusato di un mezzo che
la Provvidenza concesse agli uomini per la dif
fusione dei lumi e per il progresso umanitario ;
ma più specialmente per la maggiore perpetuità
e per la maggiore diffondibilità della ingiuria. Ciò
nonostante si incontra questa singolarità che dove
più grave è il delitto ivi si trovi più facilmente
il mezzo di esimersi da ogni pena, riuscendo pro
ficua la dimostrazione della verità del convicio.

Questa apparente contradizione ha la ragione sua


nella speciale destinazione della stampa, che è di
retta a servire alla storia, alla comunicazione ra
pida di notizie, alla tutela di diritti, e simili, per
cui le leggi odierne hanno creduto conveniente di
accoppiare con un maggior rigore nella pena av
verso le imputazioni maligne, una maggiore beni
gnità verso le imputazioni che hanno il presidio
della sincerità .
- 197 ――――――
-

S. 1806 .

Cosi avvenne in Toscana il singolare fenomeno


che sul proposito della verità del convicio la legge
generale e la legge speciale si trovassero in com
pleto antagonismo. Il Codice penale toscano, tanto
in proposito della contumelia, quanto della diffa
mazione, quanto del libello famoso procede ineso
rabilmente sul principio della non valutabilità . Ciò
non è controverso nella pratica nostra : Puccioni ,
Commentario, vol. 4, pag. 653. Ma invece la legge
sarda sulla stampa del 28 marzo 1848 divenuta
legge toscana il 30 giugno 1860, all'articolo 29
proclama la opposta regola, ed ammette l'accusato
di diffamazione per via di stampa a fare la prova
della verità dei rinfacci da lui lanciati contro un
pubblico funzionario per fatti relativi all'ufficio
suo, senza distinguere se tale rinfaccio proceda da
vedute di pubblico bene o da animosità e spirito
maligno. Questo palpabile controsenso non può tro
vare spiegazione tranne risalendo alle fonti delle
due leggi . Il Codice penale toscano del 1853 , per
quanto in generale lodevole come monumento scien
tifico, s'inspirò in certe materie alle vedute retrive
che si coltivavano dalla signoria di quel tempo,
la quale non poteva ammettere che i fatti dei suoi
impiegati si sindacassero da privati cittadini. La
legge sulla stampa al contrario si è inspirata alle
franchigie costituzionali di cui è fondamento la li
bera stampa : nè la stampa si può dir libera dove
a lei si neghi la propalazione del vero in cose che
riguardano il pubblico interesse.
- 198

§. 1807 .

Ma questa è una situazione eccezionale e tran


sitoria della Toscana. Il principio o deve essere
per intero reietto o per intero accettato. E quando
si accetti deve procedere ugualmente tanto se la
ingiuria sia propalata per mezzo di stampa, quanto
se sia propalata per mezzo di scritto : non essen
dovi ragioni di aumentare il rigore dov'è minore
il pericolo. Di più quando si accetti il principio, il
medesimo deve procedere tanto nel caso d' ingiurie
contro depositari od agenti dell'autorità pubblica,
quanto nel caso d'ingiurie contro privati. Dove si
abbia un rimprovero di difetti di corpo o di meri
vizi morali , non costituenti delitto, la prova della

verità della imputazione deve essere sempre incon


cludente nella costruzione dell'elemento materiale
del malefizio . Ma dove si abbia il rimprovero di
fatti che costituiscono delitto o che si connettono

col pubblico interesse, la prova della verità se scusa


in un caso ed in una forma, deve scusare in tutti
ed in tutte.

§. 1808.

Coerente a questo ordine d'idee è stato il Co


dice sardo, il quale, dopo avere all' articolo 575
stabilito indistintamente il canone che la verità
della imputazione quando anche risulti da docu
menti non serva di scusa al reato, limita indistin
tamente del pari cotesta regola nei successivi ar
ticoli 576 e 578 per il caso in cui la imputazione
199 ――――

che vorrebbe punirsi obietti un fatto che sia per


seguitabile in via penale . In simile ipotesi rico
nosce come possibile la utilità della prova del vero.
Salvo che in quanto ad ammettere l'ingiuriante
a codesta prova procede con una distinzione. Se
l'ingiuriato era persona pubblica ed il rinfaccio
imputò a questa una mancanza caduta nello eser
cizio del suo ufficio, è libero a quello di assumere
come mezzo di sua difesa la prova della verità
del fatto imputato, senza bisogno (cosi l'art. 585)
di aspettare se il pubblico ministero vorrà o no
esercitare l'azione penale contro l'impiegato per
la mancanza suddetta . Ma se invece lo ingiuriato
era persona privata, o essendo persona pubblica
la imputazione non cadde sopra fatti relativi allo
ufficio suo, ma sopra fatti estranei quantunque de
littuosi ; allora mentre si rispetta il principio della
utilità del vero se ne limita però il mezzo di prova ,
perchè questa si fa dipendere o dallo avere il dif
famato stesso domandato l'appuramento dei fatti,
o dallo avere il pubblico ministero esercitato al se
guito della imputazione l'azione penale contro lo
ingiuriato per causa di quel fatto come sopra rim
proverato. Cosi gli articoli 576, 577 e 578 ; l'ul
timo dei quali concede ancora allo ingiuriante il
diritto d'intervenire nel procedimento che si faccia
a carico dello ingiuriato, per il fine di sostenere
la verità della imputazione.

§. 1809.

In tal guisa il Codice sardo ha riordinato la


teorica della verità del convicio in conformità dei
200

bisogni dei tempi. Rimane però sempre assai pro


blematica la convenienza della regola scriminatrice
accettata cosi senza nessun riguardo alla inten
zione dello agente. Più cauto il Codice prussiano
del 1851 ( 1 ) mentre in sostanza ha in punto astratto
riconosciuto la utilità del vero, ne ha limitato l'ap
plicazione (§. 158) in tutti quei casi nei quali ap
parisca che il diffamante agi a solo fine d'ingiuria
e per animo maligno . Ecco la formula di questo
――
articolo La preuve de la vérité des faits im
putés, n'exclut pas l'offense quand l'intention
d'offenser résulte de la forme ou des circonstances
――
dans les quelles l'imputation a été faite lo che
se può rendere elastica la dottrina , vale dall'altro
lato ad evitare il trionfo di brutali vendette . Ana

loga ma non identica limitazione si è preveduta


dal Codice sardo all'art. 585 pei casi nei quali la
ingiuria contro il depositario della autorità pub
blica assuma, per la forma con la quale venne
consumata, i caratteri di oltraggio contro l'uffizio.
Ma nel rimanente questo codice, e gli altri che
procedono sulla medesima linea, non hanno preso
per guida né il puro senso morale, nè il rigore
dei principii giuridici, ma soltanto una veduta po
litica del tutto simile a quella che suggeri i dettati
di Paolo , e dell' Imperatore Valentiniano . Non
cancella la indole criminosa del fatto, e perciò non
si cura della intenzione più o meno maligna; non
assolve il fatto per un riguardo al buon fine ; il
delitto di ingiuria, di diffamazione , o di libello
famoso vi è, ma se ne accorda la impunità in
premio del benefizio recato al pubblico mercè la
procacciata scoperta di un delinquente. Lo che
-- 201 -

porta a concludere che se il fatto imputato (seb


bene delittuoso e vero) già aveva formato argo
mento di un'accusa e di una condanna, il delitto
di diffamazione o di libello famoso rimane in tutte
le sue condizioni ordinarie.

(1) Il Codice boliviano del 1831 all'art. 666 stabilisce per


massima che la verità del convicio niente influisca sulla pu
nizione della ingiuria. Ma qualora questa sia consistita nella
imputazione di un fatto determinato capace di portare diso
nore od odiosità all'offeso il reato assume per l'art. 655 il
titolo di calunnia ; al quale è richiesto come estremo la fal
sità dello asserto . E all'art. 666 ammette l'accusato a fare
la prova del fatto asserito tutte le volte che contro di lui
dirigasi l'accusa non per solo titolo d'ingiuria ma per titolo
di calunnia : e dispone che dove egli riesca a codesta prova
il colpevole debba essere esentato dalla pena della calunnia,
ma debba però sempre restare soggetto alla pena della
ingiuria.

§. 1810 .

Con criterio affatto diverso procedeva il Codice


penale francese del 1810 all'art. 367 , e gli altri
Codici che lo avevano imitato . Esso deviando dalla

significazione tecnica delle parole aveva chiamato


calunnia la ingiuria quando conteneva la imputa
zione di un fatto determinato capace di esporre a
procedure penali ed anche soltanto all'odio ed al
disprezzo dei cittadini, tostochè tale imputazione
fosse stata emessa per via di stampe o scritti di
vulgati, od in un atto autentico , od in luoghi o
riunioni pubbliche ; e la puniva nei casi più gravi
con la prigione fino a cinque anni : ma faceva
eccezione a questa severità con un eccesso di be
202

nignità opposta tutte le volte che il fatto imputato


(art. 370) risultasse da un pubblico documento o
da una sentenza condennatoria . L'antitesi dei due

sistemi non poteva essere più palpabile ; perchè


mentre nel sistema francese ad ottenere la impu
nità era necessario che il delitto imputato avesse
già dato luogo ad una sentenza condennatoria, nel
sistema romano ad ottenere la impunità è invece
necessario che il delitto rinfacciato non abbia ancora
dato occasione ad un processo criminale, ma questo
venga a sorgere in grazia della diffamazione. Ma
il sistema francese del 1810 ebbe corta vita, perchè
fu interamente corretto dalla legge del 17 e 26 mag
gio 1819 che in parte servi di testo al Codice
sardo (1 ).

(1) In proposito di questa legge è da vedersi l'opera eru


ditissima di Chassan, Des délits et contraventions de la
parole.

S. 1811 .

In altra via non meno difforme andò il Codice


badese. Esso con molto acume distinse fra ingiu
ria consistente nella sola (§. 294) sostanza della
proposizione, e la ingiuria consistente anche nella
(S. 291) forma. È ingiuria consistente nella sola
sostanza lo affermare un fatto disonorante, per
esempio Caio mi rubò un libro ; è ingiuria consi
stente anche nella forma lo aggiungere alla affer
mazione del fatto disonorante parole vituperose
o modi oltraggiosi, per esempio Caio mi rubỏ un
libro, è un ladro, è un birbante ; o acclamare e
reiterare la vituperazione . Sulla base di questa di
―――― 203 ――

stinzione il Codice badese stabilisce al §. 307 la


regola assoluta che la verità del convicio non esima
.
giammai dalla pena della contumelia, in quanto
alla ingiuria consistente nella forma. Ma invece
in quanto alla ingiuria consistente nella sola so
stanza esso (ai §§. 305 e 306) ammette indistin
tamente la utilità della prova del vero, tanto se
siasi rinfacciato un fatto semplicemente immorale
od una mala qualità, quanto se siasi rinfacciato
un fatto delittuoso. Finqui è evidente che questo
Codice mentre serba un giustissimo rigore contro
la contumelia, dalla quale più difficilmente si eli
mina l'animo d'ingiuriare, è poi largo di conve
niente benignità verso la diffamazione, la quale
può più facilmente avvenire sulla fede del vero ,
e senz'animo maligno . E in tale larghezza si man
tiene fino al punto di stabilire che la giusta cre
dulità equivale, pel fine della scusa, alla verità
dimostrata questo rilevasi a contrario senso dal
§ . 310, ed in ciò il Codice badese altro non fa
che riconoscere un principio che deve ammettersi
come assoluto nella dottrina della imputabilità :
parlo del principio da me tante volte riprodotto
in diverse occasioni , che in fatto di scuse il pu
tativo equivale al vero. Il qual principio si fa chia
rissimo ed irrecusabile a chiunque rifletta che dove
la verità esclude il delitto la giusta credulità
esclude il dolo , e dove la verità minora il de
litto la credulità minora il dolo. Ma vi è un punto
nel quale il Codice badese diverge dalle altre le
gislazioni, non per benignità ma per rigore ; e
questo è in proposito della ingiuria commessa col
mezzo di stampa : in questo caso al §. 309 non
204 --――――

ammette la utilità del vero se non quando al mezzo


di stampa siasi rinfacciato un delitto, e di più il
delitto non sia ancora punito, e di più esige che
il delitto abbia una determinata gravità, o che il
divulgante avesse un interesse a vederlo punito
o come privato o come cittadino. Non può negarsi
che la economia di quel Codice in cosi scabro ar
gomento sia gravida di senno e riveli maturi studii .

S. 1812 .

In tanta varietà di opinioni (1 ) e di precetti le


gislativi è assai difficile ridurre ad una formula
scientifica positiva la contrastata teorica della ve
rità del convicio . A parer mio il principio domi
natore del problema deve essere quello desunto F
dall'animo dell'accusato. In tutti quei casi nei quali
la natura del rinfaccio e le sue condizioni non si

prestano a ritenere che l'ingiuriante procedesse


per fine onesto, la verità del rinfaccio non potrà
avere valutazione giuridica . Ma quando la natura
del rinfaccio o le circostanze del caso mostrino che

la parola oltraggiante procedette dall' intendimento


di far cosa buona, non solo dovrà ammettersi come
scusa la verità ma ancora la giusta e ragionevole
credulità per il principio da me altra volta notato
(S. 1753 nota, e §. 1764 nota) che non si può am
mettere punibilità d'ingiuria colposa .

(1 ) Si vedano, oltre i citati di sopra, Chassaigne, De


injuriis, et fum . libell. pag. 83 Gefken, De exceptione
veritatis convicii, Amstelodami 1832 - Mittermaier, Della
prova della verità di una incolpazione (nel Mori, Scritti
germanici, vol. 2, pag. 354, 355).
―――――――――― 205

CAPITOLO VI .

Ingiurie contro i morti.

S. 1813 .

La materia delle ingiurie contro i defunti ed il


problema della relativa punibilità potevano benis
simo trattarsi nella esposizione dei criterii essen
ziali di questo malefizio, concatenando ciò alla ri
cerca del soggetto passivo. Ma anche a questo ho
preferito destinare un capitolo apposito a cagione
delle più larghe proporzioni che ha preso nei giorni
contemporanei la disputa relativa alla tutela giu
ridica dell' onore dei trapassati . E dico nei giorni
contemporanei ; avvegnachè appo gli antichi sif
fatta disputa o non sorgesse, o non desse occasione
a serie polemiche ( 1 ).

(1) Estesissimi sono i provvedimenti del Codice per l'Im


pero tedesco alla materia delle ingiurie, e spesso anco mi
nuziosi. In quanto alle ingiurie contro i defunti ne ammette
in genere la persecuzione al §. 189, ma limita l'esercizio
della querela ai soli genitori , figli e coniuge del defunto in
giuriato, e limita la punibilità ai soli fatti non veri : al qual
punto non dettando condizioni intorno alla prova di questa
verità in antitesi a ciò che prescrive al §. 186 circa la ve
rità del convicio nei casi ordinari, a me pare doversene in
durre che in quanto alle ingiurie contro i defunti sta libero
ed aperto il campo a giustificarne la verità con ogni mezzo
di prova. Due sembrano essere le idee che hanno prevalso
nel Codice tedesco, l'una quella già consigliata dagli scrit
tori (Berner, Lehrbuch, §. 150, pag. 325) di riconoscere un
tempo oltre il quale sia pienamente libera la censura dei
trapassati, e cosi restringere il diritto di accusa alla sola
- 206
generazione vivente al tempo della morte. L'altra è quella
di restringere il diritto di accusa ai più stretti congiunti di
sangue e negarla agli eredi estranei, in opposizione a quanto
era piaciuto all' Hannover, al Wurttemberg, e ad altri Co
dici della moderna Germania. Questa restrizione connette
la persecuzione alla idea di una ingiuria personale dei su
perstiti ; personalità che negli eredi estranei o nei congiunti
lontani non può ammettersi che per una finzione, non fa
cendo costoro parte, a rigore di termini della famiglia che
è stata ingiuriata nella persona del suo capo . Anche Schutze,
(Lehrbuch, §. 76, pag. 355 ; e §. 77, pag. 361) insegna che
nella diffamazione dei defunti non può ravvisarsi una ingiu
ria impropria, e pone come estremo in genere del reato
d'ingiuria la condizione nell'offeso di vivente al tempo di
quella. Ristretto il diritto di querela al solo coniuge, geni
tori, e figli, parmi siasi concesso alla libertà della storia il
più largo campo possibile : più oltre non poteva andarsi senza
conculcare diritti incontrastabili in persone viventi. Merita
però di essere apprezzata la osservazione di Goltdammer,
Materiali, vol. 2, 170) che ove trattisi di ingiuria contro un
defunto che era in pubblico ufficio, e relativa a questo , do
vrebbe l'oltraggio considerarsi fatto all'ufficio , e perciò darsi
la persecuzione anche al successore nell' ufficio stesso o ad
altro interessato in quello. Questa osservazione è gravida di
conseguenze in quei paesi dove le ingiurie contro i funzionarii
non si perseguitano a pubblica azione.

S. 1814.

E innanzi tutto giovi notare che qui non si tratta


di offese reali commesse per brutale vendetta con
tro un cadavere ; e neppure si tratta di oltraggi
recati ad una sepoltura o ad un monumento. In
tali fattispecie la questione è affatto diversa : non
nasce dubbio sulla punibilità ; ma poichè in quel
- 207 -

fatto materiale si mescola la religione, si mescola


l'interesse della salute pubblica, si mescola l'amore
verso i pubblici monumenti, cosi il dubbio che non

cade sulla punibilità sorge delicato e gravissimo


intorno alla più esatta classazione del reato . In
questo diverso ordine di fatti la difficoltà consiste
nel definire se la materialità criminosa sviluppi un
delitto contro la pubblica salute, o un delitto con
tro il pubblico ornato ; ma di ciò dovremo occu
parci quando terremo parola degli speciali titoli
di violato sepolcro, di esumazione di cadaveri, di
guasto di monumenti, ed altri simili, che tutti
spettano all'ordine dei delitti sociali. Per ora basti
aver dato cenno di ciò per eliminare dalla presente
ricerca tutti quei fatti che più o meno direttamente
offendono le spoglie corporee di un defunto, e re
stringere la medesima a quelle sole ipotesi che ne
feriscono l'onore, e la memoria ne vituperano in
faccia ai superstiti ( 1 ).

(1) Deve però notarsi che su questo proposito trovasi gran


dissima confusione negli antichi scrittori. Gli stessi giure
consulti romani spessissimo confondevano le offese materiali
al cadavere, alla sepoltura, o alla statua con le ingiurie
contro i defunti : leg. 1, §. 4 ; e l. 27 ff. de injuriis. Non è
perciò maraviglia se anche i culti ed i pratici procedettero
spesso senza la debita discriminazione di casi : Mullero,
Ad Struvium syntagma, exercit. 48, nota m — Hoch, Instit.
---
§. 373 Willemberg, De injuria mortuis illata ----- Ghi
sen, De injuriis, cap. 4, §. 4 - Wernher, Observationum
tom. 2, pars 6, obser. 419, pag. 80 : et pars 10, observ. 342 ,
-
pag. 654 Mylii, De injuriis mortuis illatis ―― Anton
Mattheo, De crimin. lib. 44, tit. 4, cap. 1, n. 13. Cosicchè
il Farinaccio ( Quaest. 105, n . 85), distinse negli oltraggi
-
-208 -

contro un defunto la ingiuria secondochè era commessa facto


vel verbis: facto quando illata cadaveri, verbis quando fama
mortui lacessatur. Ma le ingiurie reali contro il cadavere ap
pellano ad un altro ordine d'idee e trovano la oggettività
giuridica del malefizio in altro criterio indipendente dal
l'onore del morto, e però deve esserne tutta distinta la trat
tazione : vedasi Osserwaard, De jure circa cadavera,
Trajecti ad Rhenum 1767. La questione presente deve ri
dursi ai semplici termini di un fatto che senza ledere alcun
diritto universale trova tutto il suo obietto nella reputazione
del defunto.

§. 1815 .

La filosofia platonica che riconosceva il domma


della immortalità dell'anima condusse il suo fon

datore a proclamare nei viventi dei doveri che di


rettamente li legavano verso i defunti. L'uomo,
diceva Platone ( 1 ) ha tre serie di doveri : verso
Dio, verso i suoi simili, verso i trapassati . Tutta
la poesia e la simbolica greca venne costruendosi
su questo pensiero. Agamennone e Tieste che dalla
tomba loro chiedono ai propri figli la vendetta
dello eccidio patito, si connettono a tale pensiero :
l'aborrimento contro le seconde nozze per le quali
si prese a dire che le ceneri dello estinto marito
si turbavano nel sepolcro, fu una emanazione del
pensiero medesimo ; il quale, per quanto le scuole
filosofiche si modificassero, mai si spense del tutto,
fino a che nel medio evo si personificò nella ter
ribile dottrina della vendetta ereditaria . Sotto l' in

flusso delle idee platoniche non poteva elevarsi


serio dubbio intorno al riconoscimento di una de
linquenza negli oltraggi recati ai defunti ; nè potè
osjetlj
*****
gđaj
209
sorgere il dubbio sotto l'influsso delle idee del
medio evo, tanto più quando il giure penale non
ancora riconosceva, nel pieno suo svolgimento , la
distinzione fra doveri morali e doveri giuridici . I
giureconsulti romani, quantunque possa disputarsi
se e fino a quanto subissero le influenze della filo
sofia greca, certo è che non dubitarono della pu
nibilità delle ingiurie contro i morti. Ciò è mani
festo per diversi frammenti che si leggono nelle
Pandette; . 1 ff. de his quae ut indignis aufe
runtur; l. 1, §. 4 ff. de injuriis. E soltanto per
aderire al principio sanzionato dalla 1. injuriar.
13 princ. ff. de injur. — injuriarum actio hae
redi non datur, alla regola della non trasmissi
bilità dell'azione penale riparavano col dichiarare
che la ingiuria fatta al defunto consideravasi come
fatta allo erede stesso (l. 1, §. quoties; 6 ff. de
injur.) e coerentemente nel caso che più fossero
gli eredi del defunto oltraggiato davano a ciascuno
di loro l'azione solidale : Guthero , De jure ma

nium , pag. 551. Ciò è insegnato comunemente dai


culti , ed in generale (2) da tutti i pratici .

(1) Plutarco nella vita di Solone disse, esservi della re


ligione nel tenere per sacri i morti ; esservi della giustizia
nel risparmiare quelli che non sono più ; esservi della poli
tica nello impedire la perpetuazione degli odii.
(2) Zigler, Disceptationes, them. 11, de eo quod justum
est circa mortuos, cap. 4, thes. 43 - Sande, Decis. fri
sicae, lib. 5, tit. 8, def. 2 Carpzovio, Practica, pars 2,
quaest. 96, n. 29 - Schneidewino , Ad §. non autem
Instit. de perpet, et tempor, actionib. n. 1 Brunnemann,

Comment. in pandect. ad leg. 1, §. 4 ff. de injuriis - Mor


VOL. III. 14
- 210 -
na c, Observat. in pandect. vol. 2, col. 591. I più esatti però
condussero la teorica della persecuzione delle ingiurie contro
i defunti sotto il criterio delle ingiurie indirette (§. 1744)
considerando che per la solidarietà della famiglia la obiet
tività giuridica dell'oltraggio allo estinto trovasi nel diritto
all'onore della propria persona che ha l'erede , il figlio, o il
congiunto del morto, e che per quella rimane leso : Berli
chio, Decisiones, pars 2, dec. 188, n. 11 --- Hartmann
Pistor, Questiones juris, lib. 4, quaest. 21, n. 3 ――― - Berli
chio, pars 4, conclus. 70, n. 10 et 11. Ma poichè molti con
siderarono come pertinente allo erede anche l'azione per la
ingiuria inferita al suo autore mentre era vivo , il Ley ser
(Medit. in pandectas, spec. 546, medit. 1) censurò la costu
manza dei pratici, dicendo che non intendevano la leg. 13
princ. ff. de injuriis, quando nome degli eredi promuove
vano querele per le ingiurie recate ai loro autori mentre
erano in vita : l'azione d' ingiuria peri con la morte dello
ingiuriato. Ma invece se la ingiuria fu diretta contro l'au
tore quando questi già era mancato ai vivi , l'azione compete
all'erede magis ex propria quam ex aliena offensione. Io com
prendo benissimo che nella ingiuria recata al nome del de
funto dopo la sua morte si ravvisi una ingiuria fatta alla
persona dello erede, ma non comprendo come la teorica della
ingiuria indiretta non debba applicarsi, nei congrui casi ,
anche agli oltraggi recati all'autore quando era vivo. Al
meno parrebbemi che dovesse procedersi con opportuna
distinzione, e l'azione non dovesse in tal caso negarsi per
regola assoluta, ma soltanto nella fattispecie di erede stra
niero. Quando l'erede era uno della famiglia la ingiuria re
cata al congiunto poteva , nei congrui casi, sviluppare due
azioni : l'una per la ingiuria diretta o immediata, spettante
alla stessa persona vilipesa : l'altra per la ingiuria indiretta
o mediata, e spettante al congiunto del vilipeso. Ora in sif
fatta ipotesi sta benissimo che l'azione per la ingiuria di
retta sia perita con la morte dell' offeso, e non possa tra
smetterla al suo erede ; ma l'azione per la ingiuria indiretta
211 ――――
pertinente al congiunto, e che questi (anche in vita dell'altro)
poteva esercitare indipendentemente dalla volontà di lui, non
può dirsi certamente perita ; e come si sarebbe potuta pro
muovere vivente quello, non può dirsi perenta per la morte
di lui e per la qualità ereditaria. Tutto dunque, a parer mio,
è questione di casi e di formula. Ma a questo luogo noi non
ci occupiamo della trasmissione dell'azione per ingiuria fatta
al vivo.

§. 1816 .

Modernamente il caso portò che in Francia si


movesse querela contro un celebre dignitario ec
clesiastico per ragioni di uno scritto da lui pubbli
cato, e che denigrava la fama del suo predecessore :
laonde gli eredi di questo, che pure appartenevano
all'alto ceto, procedettero per le vie criminali ; e
poichè la materialità del fatto non dava argomento
di difesa, tutta la disputa s' impegno sul terreno
della proponibilità dell' accusa. Ciò bastó perché
della questione giuridica s'impadronissero i diversi
partiti, ed un problema che nudamente appartiene
alla scienza si convertisse in una questione politica
ed anche in una questione religiosa . Piovvero al
lora da ogni lato monografie ed articoli di giornali,
e tutti o criminalisti o non criminalisti, ebbero ra
gione di dire il pensiero loro ( 1 ) su tale argomento .
Divenuta cosi la questione presente un articolo di
moda ai giorni nostri nella vicina Francia, non può
passarsi oltre senza esporre succintamente le re
spettive argomentazioni .

(1) Vedasi la requisitoria del di 24 maggio 1860 di Dupin


procuratore imperiale alla Corte di Cassazione, nella causa
- 212

fra gli eredi Rousseau e M. Dupanloup, inserita nel n. 156


del Moniteur Universel ann. 1860 - Coquille, nell' arti
colo inserito nel n. 106 del giornale le Monde ann. 1860 —
Fontette nei tre articoli pubblicati nel giornale l'Ami
de la religion, ann. 1860, nn. 92, 95, 98 -- Anderwerelt ,
De injuriis et fam. libell. pag . 33 - Grellet Dumazeau ,
De la diffamation, vol. 1, n . 61, pag. 39 et 40 Chassan,
Delits de la parole, vol. 1, pag. 353 --- Franck, Philosophie
du droit pénal, pars 2, chap. 4- Valette nell' articolo
che leggesi nel Droit del 26 e 27 decembre 1862 - Bat
bie, Traité de droit public et administratif, tom. 2, pag. 439
et suiv. ――― Bonnier, Des preuves, tom. 1, pag. 92 ; e nel
l'articolo che trovasi nel vol. 22 della Revue critique a
pag. 108 —- Grand, Diffamation envers les morts - Chas

saigne, De la diffamation, pag. 131 Paringault,


De la diffamation envers les morts Morin, Journal de
droit criminel, art. 6997 et 7050 : et art. 8412 ; e i giudicati
di Francia che si raccolsero dal medesimo nel suo giornale 1
agli art. 8128, 8146 et 8212, ove riporta un giudicato della
Corte di Cassazione di Francia del 23 marzo 1866 che nei
più larghi termini è tornata a sanzionare il principio della
perseguibilità delle ingiurie contro l'onore dei trapassati,
massima ribadita dalla stessa Corte nel decreto 5 giugno 1869 :
Morin, art. 8874. Nel qual senso erasi pronunciata la Corte
di Parigi già fino dal 7 luglio 1836 con la sentenza ripor
tata nel Journal du Palais sotto la sua data, prima che gli
spiriti partigiani dessero novella importanza a questo pro
blema .

§. 1817 .

Tutta la forza di coloro che si opponevano alla

proponibilità della querela d'ingiuria si concentrỏ


nel contrapporre al diritto dell'onore i diritti della
storia. Non si nega (almeno dai più ) che la fami
glia abbia diritto a far rispettare la fama del suo
- 213 -

antenato : non si sostiene recisamente che si possa


correre le vie gridando infamia contro un defunto
mentre i congiunti suoi in mezzo alle lacrime tri
butano alla sua salma gli ultimi onori . I diritti della
famiglia privata si riconoscono ; ma a questi si con
trappongono i diritti di una famiglia più vasta ; vo
glio dire della famiglia umanitaria la quale si con
templa non solo nei presenti ma anche nei posteri :
e questo diritto poziore vuolsi che faccia tacere i
diritti della famiglia privata. Se ammettete che
possa da un discendente darsi querela per ingiuria
detta contro a un suo antenato, o da chi nel de
scrivere avvenimenti del secolo passato venne ri
petendo le male azioni di quello, voi uccidete la
libertà della storia. Il sindacato dei fatti di un

uomo è libero dopo la sua morte. È questo il giu


dizio dei posteri, eco sulla terra del giudizio di Dio ;
che serve di freno salutare alle malvagità dei po
tenti ( 1 ) e concreta quel sindacato morale che è uno
dei fini precipui della umana consociazione. L'esem
pio delle censure lanciate sopra una tomba, è stru
mento moralizzatore dei vivi ; e molti che nei prin
cipii della onestà non trovarono ragione bastante
per moderare le rie passioni lo troveranno nel
timore delle maledizioni dei superstiti . Non può
presumersi l'odio contro un cadavere, poiché in
faccia ad un sepolcro ogni passione ammutisce. La
reverenza e gli elogi dei superstiti sono il premio
delle buone azioni fatte vivendo : il biasimo ed il
vituperio ne sono la punizione . Quello esorta a ben
fare questo rattiene dalle male opere. Cosa entrano
i discendenti e la famiglia in simile resoconto tra
il defunto e la società ? Ognuno è figlio delle pro
- 214 -

prie azioni . Studino i figli con le virtù loro a fare


obliare i vizi dei genitori : non pretendano d'im
pedire questo atto di giustizia, nè di occultare la
verità . Tale è la somma degli argomenti sui quali
modernamente si volle adagiare la regola assoluta
della non imputabilità delle ingiurie ai defunti : e
bene si scorge che alcuni di tali argomenti vanno
oltre i limiti della difesa dei diritti della storia,
e che la tesi nel modo con cui si sostenne da Fon
tette e da Coquille, cuopre anche le contumelie
con le quali il popolaccio risponde alle salmodie
intuonate in un funerale.

(1) Certamente la perseguibilità delle ingiurie contro i de


funti non poteva essere argomento di dubbio nell' antica
Francia ; poichè sotto lo impero delle ordinanze si trovava
nei defunti la obiettività sufficiente anche di un processo
criminale. Era stato un grandioso pensiero quello degli an
tichi egiziani che prescrivevano si facesse ad ognuno dei loro
re un processo dopo la sua morte, per mostrare in tal guisa
che se i regnanti non possono essere in vita loro tradotti
in giudizio dai cittadini che tiranneggiano, li aspetta però
tremendo ed inevitabile il giudizio della posterità. Ma cote
sta idea applicata ai privati ed ai delinquenti comuni si rim
piccolisce, diventa ridicola, e perdendo ogni interesse poli
tico lascia al nudo l'aberrazione giuridica che in sẻ contiene.
Pothier, ( Oeuvres posthumes, de la procedure criminelle,
sect. 6, art. 2, §. 3) prescrive che quando per causa di certi
speciali delitti commessi da un cittadino faccia mestieri pro
seguire il processo anche dopo la sua morte si debba salare
o imbalsamare il cadavere. Berriat Saint Prix (Les
trib. corr. introduct. pag. 48) ricorda un processo fatto in tal
guisa nel 1737 a Orleans contro il cadavere di un tal Martin
accusato di furto, che si era strangolato in carcere. Ser
pillon (Code criminel, pag. 972), e Jousse (Justice cri
- 215

minelle, tom. 2, pag. 712) riportano altra sentenza della Corte


di Parigi del 31 gennaio 1749 che condannò la memoria di
un tale Fortier come reo di omicidio volontario ; e insegnano
che quando il cadavere non si poteva conservare doveva
farsi una figura in cera che lo rappresentasse. È vero che
in quel periodo non ammettendosi in alcun caso per le leggi
di Francia la difesa degli accusati non vi era l'imbarazzo
dello esercizio di un diritto del morto fatto a nome del
morto : ma ciò non ostante quella pratica riconosceva per
logica necessità la perseveranza di un rapporto giuridico tra
i defunti e la società ; laonde vi era minore ostacolo a tro
vare un rapporto giuridico fra i defunti ed i concittadini su
perstiti che ne ingiuriassero la memoria.

S. 1818 .

Altri invece posero innanzi considerazioni gene


rali sull' interesse di proteggere la memoria dei
trapassati ; considerazioni speciali sul discredito e
danni effettivi che in certi casi la infamia di un
defunto può far ricadere sulla sua famiglia : e quindi
stabilirono alla loro volta come regola generale la
imputabilità delle ingiurie contro i morti . Ma anche
questa regola va incontro a non lievi difficoltà nella

sua pratica applicazione. Non guardo però come


difficoltà grave quella che obietta lo Chassaigne
(De la diffamation, pag. 130) vale a dire la in
certezza nel determinare a chi spetti l'azione per
la ingiuria contro il defunto. Questi può avere la
sciato una vedova, un padre, figli, fratelli , un erede
estraneo . A chi di costoro darete voi il diritto di

portar querela ? Chi di costoro nella ipotesi di di


scordia avrà balia di chiudere il processo con una
quietanza ? Tale obiezione però prova troppo, per
- 216 ―――

chè si estende in generale a tutte le ingiurie che


si dicono collettive nelle quali vale la regola della
solidarietà dell'azione e della consecutiva inefficacia
della quietanza parziale (1).

( 1) Callenfels, Dissertatio de violata mortuorum exi


stimatione, Gand 1830 -- Pagani, Delle ingiurie secondo
il diritto penale comune e l' austriaco, Milano 1853, pagina 30.
Spinse la dottrina della persecuzione della ingiuria al suo
estremo Modestino Pistor , Quaestionum illustrium,
pars 1, quaest. 35, dove disse tenuto di ingiuria chi ripete
con la condizione furtiva una cosa da alcuno, asserendola
sottratta dall'autore del convenuto. Ma qui non è questione
soltanto di morto e di vivo : è questione di esercizio del di
ritto di proprietà che non può essere mai incatenato : e con
seguentemente è questione di verità e di ragione o torto
nel merito della domanda.

§. 1819 .

Io credo che questo problema non voglia essere


sciolto con declamazioni e generalità ; ma sibbene
con opportune distinzioni, e ricercandone la solu
zione nei principii .
1. Innanzi tutto vuol essere ricordata la distin

zione fra ingiuria immediata e mediata . È imme


diata quella che apertamente rinfaccia a noi un
vizio nostro ; è mediata quella che esteriormente
obietta un vizio altrui, ma tale che nella sostanza
esso riverberi nella opinione pubblica un disonore
o discredito a noi personale . Cosi rinfacciare ad
alcuno il mal costume della sua moglie è ingiuria
mediata contro il marito : perché sebbene si rim
proveri un vizio altrui, pure da questo ne deriva
―――― 217 ―

nel comune pregiudizio un discredito alla persona


del marito. Ma nei termini di ingiuria mediata,
.
quantunque implicita, la questione della ingiuria
ai defunti non ha neppure condizioni per essere
proposta ; e quegli scrittori che la portarono su
questo terreno si fecero un letto troppo facile per
sostenere l'affermativa ; la quale però logicamente
non discende come regola generale dalle premesse.
Cosi quando si osservò che chi tacci di impotente
un defunto rimprovera illegittimi natali al suo figlio ,
che chi al trapassato rinfaccia la usurpazione di
beni altrui afferma nel suo erede la illegittima de
tenzione di cosa altrui ; non dissero niente che
avesse valore a risolvere la questione nella ingiuria
al defunto : perchè in questi e simili casi non trat
tasi più d'insultare il morto , ma si disonora il vivo
per un vizio a lui personale. L'essere io un ba
stardo, il ritenere scientemente cose rubate dal
mio autore, sono vizi miei: la ingiuria contro di
me (sebbene implicita a ragione della forma del
concetto) è immediata. Cosi la impudicizia della
moglie defunta può essere una ingiuria immediata
contro il marito se si aggiunge che egli annuisse ;
rimane immediata se dicesi che egli ignorasse il
mal costume di quella. In tali termini proporre
e discutere la questione è un travisarla, anzi un
vero travolgerla : perchè nel rinfaccio obiettandosi
un vizio mio personale non più si viene a cercare
se io posso muovere querela per la ingiuria che
ferisce il defunto ; ma invece si pretende di soste
nere che io non possa muovere querela per il rin
faccio fattomi di un vizio mio, per l'accidentalità
che il rinfaccio del vizio mio conteneva ancora un
218

rinfaccio di vizio (sia pure maggiore, come la diso


nestà di mia madre) attribuito a persona defunta.
Comprende ognuno che il dubbio sotto cotesta forma
diviene assurdo. Laonde Trebutien, Helic , Mo
rin, e la Corte di Parigi nel suo decreto del 19 mar
zo 1860, procedendo con questa distinzione vennero
nella sostanza a negare la imputabilità della diffa
mazione dei defunti. E infatti Trebutien nella
sua esattezza trovossi condotto a sostenere la propo
sizione negativa per la logica conseguenza della
distinzione accettata.

§. 1820 .

2. La questione bisogna dunque porla nei ter


mini puri : cioè di rimprovero contro un defunto,
che non induca vizio personale nei superstiti della
sua famiglia ; come chi dicesse che quell' estinto
era un vile, un mentitore , un traditore della pa
tria. E qui innanzi tutto deve cercarsi nei principii
se in ciò si abbiano o no gli elementi del delitto .
Nella memoria del defunto non si ha che uno dei

soggetti passivi del delitto ; il paziente del delitto


non è il defunto , il quale non ha più diritti perchè
la sua personalità è spenta : ma è il suo figlio o
congiunto superstite. E questo ne è paziente in
quantochè si viola il suo diritto a vedere rispet
tato il buon nome dei suoi antenati per l'affetto
religioso che conserva verso la loro memoria. Non
è una ingiuria immediata contro un vivo, poichè
si suppone tale rimprovero che non accusi neppure
implicitamente di vizio personale i successori . È
una ingiuria immediata contro il solo defunto, ma
"

――― 219 ―――――

che viola il diritto dei superstiti . L'oggetto di questo


reato non è il diritto del morto ; bisogna trovarlo
in un diritto dei vivi. Tutto il momento del di
sputabile sta qui : per sostenere la imputabilità bi
sogna trovare un diritto violato, perchè senza lesione
di un diritto non vi è reato. È dunque necessità
poter sostenere che con lo ingiuriare il defunto si
offese il diritto di un vivente, o in ragione del
l'affetto, o in ragione di un discredito mediato . Ed
allora può benissimo aversi l'ente giuridico del
malefizio, poichè al suo soggetto attivo e passivo
sta dicontro un diritto vero ed incontrastabile per
tinente ad un vivo, che ne costituisce l'oggetto, e
cosi lo completa . Certamente se non potesse con
cepirsi la idea di un diritto violato, sarebbe va
nità configurare delitto nel fatto della ingiuria, per
quanto immorale e biasimevole . La legge religiosa
e morale ci lega anche verso gli estinti : e in questo
senso potè Platone descrivere un ordine speciale
di doveri nell'uomo che chiamò doveri verso gli
estinti : ma doveri religiosi e morali soltanto . Il
vincolo della legge giuridica fra i vivi ed il morto
è bensi dalla morte spezzato, perchè la persona di
questo è cessata e non è più capace di diritti ; ma
tostochè può concepirsi e deve riconoscersi in per
sone vive un diritto speciale al rispetto della me
moria dei loro cari, diritto costruito sulla base
del dolore morale che reca loro udirne lacerare
il nome, bisogna bene ammettere in tali fatti come
possibile la nozione del delitto . E cosi anche i giu
reconsulti latini riconobbero non solo la solidarietà

della famiglia per concedere al padre ed al marito.


l'azione d'ingiurie per gli oltraggi recati al figlio
- 220 ――――――――

o alla moglie (Leg. 2, §. ultimo ; l . 5, §. ult.; l . 10 ,


§. 2 ff. de injuriis) ma dichiararono espressamente
suscettibili di repressione penale le ingiurie ai tra
passati, come sopra (§. 1815 ) ho mostrato, fino al
punto di dichiarare indegno della successione l'erede
che non avesse rivendicato la memoria del suo au
tore dalle diffamazioni dirette contro di questo ; e
invalse nella pratica il dettato - atrocissima est
injuria talem post mortem ledere qui vivus nullum
defensorem exigisset : Leyser, Meditationes in
Pandectas, spec. 546. E Valdes on fa merita
mente elogio del Codice spagnolo del 1847 che
all'art. 388 in lettera accorda l'azione all'erede per
perseguitare le diffamazioni dirette contro il suo
autore (1 ).

(1) Nella discussione del nuovo progetto di Codice penale


per il Belgio, che si agitò nel marzo del 1860, fu argomento
di grave disputa la proposta di un articolo analogo . Il Co
dice spagnolo ha riprodotto i principii già sanzionati dalle
Partidas (leg. 13 y 23, tit. 9, p. 7) se alcuno ingiustamente
dice male di qualche uomo morto, possono i suoi eredi doman
darne punizione come se fosse detto contro loro medesimi. Il
sentimento dell' onore, che domina fino all'entusiasmo quella
cavalleresca nazione, non ha mai permesso ai giuristi spa ++

gnoli di dubitare di codesto principio. Anzi le Partidas


(ley 23) negano l'azione all'erede quando la ingiuria fu prof
ferita contro il vivo senza che questo ne portasse doglianza,
per la regola della presunta remissione per parte di colui
il diritto del quale fu violato. Ma poichè l'uomo è morto
più non si parla dei suoi diritti , ma dei diritti del succes .
sore e della famiglia.
221

S. 1821 .

3.º Ammessa in generale la possibilità giuridica


del delitto di diffamazione nelle contumelie lan
ciate contro il buon nome di un defunto , deve
allora cercarsi quale influenza eserciti sulla appli
cazione di questo postulato il rispetto alla libertà
della storia. E qui innanzi tutto vuol essere ri
cordata la distinzione fra le ingiurie a parola e
le ingiurie per iscritto ; suddivisione delle verbali

che a questo luogo è importante. Imperocchè sa


rebbe ridicolo perorare a favore delle diffamazioni
a parola la loro impunità sotto il pretesto della
indipendenza della storia. La questione dunque non
è neppure proponibile in proposito della prima ca
tegoria, delle contumelie cioè commesse coi gesti
o con la voce .

S. 1822 .

4.º Restringendosi la questione alle ingiurie scritte


sorge veramente in tutta la sua gravità il conflitto
fra i diritti della famiglia e i diritti della storia.
Ma qui viene innanzi una ulteriore distinzione fra
atti della vita privata e atti della vita pubblica,
molto acutamente considerata come culminante da

Franck. Quanto agli atti della vita privata iso


latamente guardati , non può estendersi su quelli
il dominio della storia e il sindacato dei posteri .
Cosa importa alla storia se un tale fu un parasita
o un cattivo marito ? Qual diritto hanno i super
stiti di invadere le pareti domestiche, e propalare
le brutture di una famiglia sotto il pretesto che
- 222 --

un di lei membro è defunto ? Vale qui la sen


tenza di Royer Gollard divenuta proverbiale in
Francia - la vie privée doit être murée aux

yeux d'autrui. Non vi è ragione escogitabile di


pubblico interesse, che valga a coprire di un'egida
la malignità di chi infama un defunto che si ag
girò nel cerchio della vita privata , per quanto
male ei si conducesse . Anche questa categoria esce
pertanto dai termini nei quali deve stringersi il
senso della eccezione desunta dalla libertà della

storia. Vedasi Paillard , Les franchises de l'histo


rien, et de la diffamation envers la mémoire des
morts. Paris, 1866.

§. 1823 .

5. Il problema dunque e la lotta fra i diritti


della famiglia e i diritti della storia si stringe nei
soli termini di defunti che vissero vita pubblica .
Costoro per il solo fatto di darsi a vita pubblica
si sottoposero al sindacato dei concittadini e della
storia dopo la loro morte. È di pubblico interesse
che si appuri e si conosca quanto attiene a co
storo : e può talvolta essere interessante , rapporto
a loro , che se ne conoscano eziandio entro certi
confini i fatti della vita domestica , in quanto pos

sono servire di lume a giudicare i fatti della vita


pubblica od abbiano refluito su questi . Qui vera
mente io ammetterei con difficoltà la querela di
ingiuria ; a meno che (notisi bene) non si trattasse
di una diffamazione apertamente calunniosa o ma
ligna ; di un vero libello lanciato per vile vendetta
contro il nome onorato di chi fu reso impotente
B
- 223 ―――

a giustificarsi dalla forza di colei che tutti adegua


i mortali , ma non sempre spenge le basse animo
sità dei superstiti . Tranne questo caso la libertà.
leale della storia deve essere sacra. Non deve uno

scrittore palpitare del proprio pericolo mentre serve


la patria registrando le gesta o buone o rie dei
suoi duci, dei suoi magistrati, dei suoi amministra
tori predecessi . La posizione dell'uomo che assume
pubbliche funzioni è eccezionale : chi sale in bi
goncia come avvocato o professore bisogna che
si adatti alla taccia di ignoranza per parte di chi
contradica alle sue opinioni, o confuti le sue dot
trine : chi amministra la cosa pubblica deve ren
dere pubblico conto di sè. Dorrà alla famiglia che
quel suo caro operasse male : cerchi se può di
rivendicarne la memoria dalle accuse che crede
ingiuste : ma non si quereli di diffamazione . Ad
eliminare cotesta querela, e tor via l'elemento es
senziale del delitto, basta in siffatti termini la man
canza dell'animo d
' ingiuriare. Principio fecondis
simo di conseguenze molteplici ; tutte logiche e tutte
vere, come sopra mostrai : fra le quali non è meno
vera questa che chiunque narra pubblici fatti senza
malvagio proposito, e non per isfogo di nimistà ma
per servigio del vero, e narrandoli riferisce le cose
in quel modo che alla sua critica o secondo le sue
informazioni gli apparve più conforme alla verità,
non può essere incriminato se biasima chi male .
agi in danno della patria. Cosi (a parer mio con
molta esattezza) si è sciolto il problema da Pa
cecho, Comentario, art. 388. Il Codice penale
toscano, all'art. 371 , ha nettamente accordato la
querela per le ingiurie contro un defunto non solo
- 224 ―

agli eredi ma anche agli ascendenti, figli, nepoti ,


fratelli e coniuge . Sicchè la unica questione pro
ponibile fra noi nello interesse della libertà della
storia è quella dell'animo . Il Codice sardo , come
molti altri Codici contemporanei ( 1 ) non contiene
nessuno speciale provvedimento in proposito della
diffamazione contro i defunti .

(1 ) Il Codice badese al §. 321 ha combinato la teorica


della ingiuria contro i defunti con la teorica della verità del
convicio. Il Codice di Portogallo dell'anno 1852 all'art. 417
precisamente dispone che le ingiurie contro i trapassati siano
punibili sulla querela dello ascendente, del discendente , del
coniuge, del fratello, o dello erede. Il Codice austriaco al
§. 495 ammette a querelare per ingiuria contro i morti an
che gli educati rispetto agli allevatori ; gli adottati rispetto
agli adottanti, i minori rispetto ai loro tutori. Il Codice fri
burghese all'art. 362 limita espressamente il diritto di que
rela quando apparisca che il defunto abbia rinunziato al
l'azione. Ma questa limitazione dovrebbe alla sua volta
restringersi rispetto alle ingiurie che per la loro indole me
diata o indiretta feriscano la persona stessa dell'erede o
congiunto che vuol portare querela. Dovrebbe pure restrin
gersi quando la ingiuria perdonata già dai defunto torni a
ripetersi dopo la sua morte ; se io ho perdonato una volta
a chi osò tacciarmi di ladro non per questo ho accordato a
colui il diritto di tacciarmi di ladro fino a che vive. In
Prussia nella compilazione del Codice del 1851 erasi proposto
un articolo speciale su questo argomento : ma la proposta
fu reietta.
―――― 225

CAPITOLO VII.

Del grado nella ingiuria.

S. 1824.

In proposito del grado nella forza morale del


delitto d'ingiuria non s'incontrano specialità o que
stioni di grave importanza . Soltanto è da avver
tirsi che alcune circostanze dalle quali in altri più
gravi reati scaturisce, sotto questo punto di vista
una semplice minorante saranno spesso cagione di
togliere affatto ogni imputazione nella contumelia
ed anco nella diffamazione. La minore età, la ubria
chezza , ed il limitato intelletto possono facilmente
condurre il giudice a ritenere che non siasi ba
stantemente apprezzato il valore delle parole che
si proferivano dall'accusato : l'impeto dello sdegno
può condurre a ritenere l'animo di ritorcere : come
il giusto dolore (1 ) può mostrare l'animo di sfo
gare il medesimo e di manifestare le proprie ra
gioni : e per coteste fasi dell'animo escludersi da
una parola l'elemento essenziale del malefizio con
sistente nell'animo d'ingiuriare. Chi vorrebbe pu
nirmi come colpevole di contumelia se inseguissi
con parole e grida vituperose colui che mi ha re
cato una ferita, o che mi ha sottratto le cose mie ?
Chi vorrebbe punire come un delinquente il marito
od il fidanzato che erompesse in vituperose parole
contro la donna sua, e contro il drudo da lui sor
presi in flagrante oscenità ? In una parola quelle
condizioni dell'animo che in altri reati servono sol
tanto di scusa, perchè lasciano d'ordinario la co
VOL. III. 15
226

scienza di delinquere, divengono spesso nella in


giuria cause dirimenti perchè escludono l'animo
d'ingiuriare .

(1) Sono molteplici e frequentissime nei pratici le applica


zioni del principio che il giusto dolore nel delitto d'ingiuria pro
duce spesso l'effetto della totale scriminazione. Lo Strykio
(vol. 9, pars 1, cap. 4, §. 20) lo esemplifica nel credi
tore che rimproveri il debitore insolvente della somma per
duta, e si pronuncia per la punibilità se il debitore divenne
insolvente senza sua colpa, e per la non punibilità se questo
fu malizioso . Ciò peraltro che dicesi in proposito dello sfogo
e del giusto dolore vale se alla ingiuria si corra immedia
tamente. Ma se vi sia interceduto un intervallo di tempo si
rientra nei termini ordinari della provocazione che si valuta
come semplice scusa, e non come dirimente : Klock, vol. 3 ,
cons. 184, n. 31 -- Wesembecius , Cons. 48, n. 47
Gaill, vol. 2, observat. 101, n. 5. Vedasi § . 1838 alla nota
ove riassumo tutta la teorica della ritorsione, della provo
cazione e della compensazione. Lo Strykio (vol. 3, dissert. 6,
cap. 4, n. 26) tratta la questione speciale se lo schiaffo dato
per collera amorosa possa punirsi come ingiuria. Negarono
invece recisamente che l'ira dovesse mai ammettersi nep
pure come scusa nel delitto d'ingiuria il Voglier, De ho
micidio linguae, § . 10, pag. 12 (in Thomasio, vol. 2) ; il
Carpzovio, Praxis crim. quaest. 6, n. 9 ; lo Strykio,
vol. 2, disput. 7, cap. 8, n . 5 : i quali la negazione della scusa
argomentano a contrario sensu della l. 5, C. de injur. E in
proposito del marito vedasi Tiraquello, Leges connubia
les, pars 1, 22. Vedasi anche lo Struvio, De vindicta pri
vata, cap. 10, aph. 1. pag. 70 — Grantz, De defensione reorum,
vol. 2, cap. 6, n. 360 - Ma Wernher ( Observationum ,
vol. 3, pars 2, observ. 468, pag. 330) nega alla moglie l'azione
di ingiuria contro il marito che abbiala sospettata di adul
terio. Bisognerà però sempre che la offesa da cui vuolsi de
sumere la provocazione o il giusto dolore, o come scusa o
227 ――――
come dirimente, sia illegittima. Cosi la Cassazione di Francia
(20 marzo 1864) ha deciso che un inquisito al quale il pub
blico ufficiale diriga delle interpellazioni esprimenti il con
cetto che egli lo ritiene colpevole di un delitto, per quanto
infamante, non può dedurre a suo discarico che egli fu pro
vocato per quell'ingiurioso e immeritato sospetto .

§. 1825.

Circa l'errore di persona ( 1) è da notarsi che,


per il generale principio che l'errore scusa quando
cada nel fatto e sia sostanziale, può nella ingiu
ria, con maggiore facilità che negli altri delitti ,
valere ad escludere la imputazione anche l'errore
di persona. Quando (a modo di esempio) siasi cre
duto dirigere la parola ad un figlio, ad un servo
o ad altra persona verso la quale si aveva una
autorità o un debito di correzione, è evidente che
se la persona a cui la parola si diresse era in
vece un estraneo, la equivocata condizione dell'of
feso deve escludere ogni responsabilità perchè viene
a togliere l'animo d'ingiuriare. Non è più cotesto
errore un'accidentalità indifferente , come se si fosse
ferito Pietro invece di Luigi ; l'errore viene a le
garsi con la sostanzialità del reato, e la sua va
lutabilità deriva dallo spontaneo svolgimento dei
principii generali . La questione dell' errore po
trebbe però in questa materia trattarsi sotto un
punto di vista anche più sottile e dedurne sempre
la non imputabilità, per la ragione che l'animo
tiene alla essenza di questo maleficio, combinata
con la regola della perseguibilità ad azione privata .
Pietro che si rese dolente non può dirsi ingiuriato
da me perché io non ebbi l'animo di offendere lui
――― 228 ――

ma Luigi ; e considerato il delitto come ingiuria a


Pietro, gli manca l'elemento essenziale. Luigi non
si è querelato, e perciò il delitto come ingiuria a
Luigi non può essere punito per mancanza di le
gittimo esercizio dell'azione penale ; con siffatto ra
gionamento l'assoluzione dello accusato verrebbe
ad essere la conseguenza ordinaria dell' errore di
persona. Ma prescindendo dai dubbi che fa sorgere
la natura privata dell'azione penale contro l'in
giuria valgono circa l'errore le regole che ho ac
cennato al §. 1753 nel testo e nella nota 2.

(1 ) Sull'errore di persona e sua influenza speciale nel de


litto d'ingiuria, vedasi Lauterbach, Dissert. 89, thes. 13,
n. 4 ―― Stryki o, vol. 3, disput. 6, cap. 4, n. 31 - Leyser,
Medit. in pandectas, spec. 550, medit. 4, e vedasi addietro
a §. 1751 , nota 2.

§. 1826 .

Considerato il grado nella forza fisica del delitto


sorgono più importanti specialità. E primieramente
ammesso che il mandato e la istigazione possano
costituire elemento di complicità anche nella in
giuria che siasi consumata dal mandatario o isti
gato, è a vedersi se a tal fine sia necessaria la
esecuzione dell' atto ; o se lo istigatore in questo
reato possa punirsi, quantunque lo istigato niente
abbia fatto, quasi che quello già col solo istigare
abbia commesso una ingiuria . A questo dubbio
porse occasione la leg. 15, §. 8 ff. de injuriis
Fecisse convicium non tantum is videtur qui voci
feratus est, verum is quoque qui concitavit ad co
ciferationem alios, vel qui summisit ut vociferen
tur. Ma sembra che il giureconsulto non volesse
- 229

già ammettere in quel frammento un tentativo di


complicità, e supponesse invece il convicio avve
nuto. Ciò dimostrasi da quanto s'insegna alla
stessa leg. 15, §. 10 — Si curaverit quis convi
cium alicui fieri non tamen factum sit : non te
nebitur . Sicchè la istigazione ad ingiuriare potrà
costituire complicità quando la ingiuria sia stata
inferita, ma senza ciò non potrà punirsi che sotto
il titolo di istigazione non accolta, dove il Codice
locale sia tanto rigoroso da punire la istigazione
non accolta sebbene diretta a leggerissimi malefizi .

§. 1827.

Quanto alle altre forme di complicità difficilmente


potrà sorgere la figura dell'ausilio nelle ingiurie
.
verbali : avvegnaché la natura delle cose male per
metta di concepire in queste un coadiuvamento che
non si estrinsechi in atti di correità (1 ). Parimente
si convertiranno in atti di correità molti fatti che
in altri reati potrebbero costituire un semplice fa
voreggiamento perchè avvenuti dopo la consuma
zione del delitto. La offesa all'onore si ripete e si
riproduce in infinito tutte le volte che si ripeta o
si riproduca la ingiuria : e con rinnovarsi non offre
già i termini di un semplice favore al primo de
linquente, ma i completi caratteri di una nuova le
sione al diritto. Anzi nella ingiuria scritta e nel
libello famoso si ha questa particolarità, già avver
tita a suo luogo, che chi compilò lo scritto oltrag
gioso (§. 1723) sia un mero complice del malefizio
in quanto abbia scritto (salvo il caso di partecipa
zione nel divulgamento) e lo autore principale del
230 -
medesimo si trovi soltanto in colui o coloro che
operarono la divulgazione dello scritto, nella quale
sta il momento consumativo .

(1) È da notarsi che nel delitto d'ingiuria la indagine della


correità di parecchi nel . malefizio non solo è importante per
graduare la imputazione respettiva dei partecipi, ma può
divenire ragione di aumento della quantità del malefizio a
danno di tutti i partecipi. Avvertono infatti gli scrittori
(Lauterbach, disp. 1, thes. 24, n. 6 ; et disp. 89, thes. 12,
n. 4) che il delitto d'ingiuria si moltiplica per il numero degli
ingiurianti. Ma veramente procede essa costante la regola
della correità nella ingiuria ? Procederà certamente quando
si tratti di delitto deliberato. Ma se alle contumelie si corse
per un subitaneo calore di sdegno, io credo che nei congrui
termini debba applicarsi alla contumelia la regola che si os
serva in tutti i fatti rissosi in ordine ai delitti contro la
personalità fisica, e data la disparità nelle contumelie rispet
tivamente commesse, ciascuno debba essere giudicato secondo
il proprio fatto, come se parecchi avessero contemporanea
mente arrecato ferite diverse . Io non ho trovato la questione
specialmente trattata sotto questo punto di vista, ma mi
sembra meritevole di esame. Dallo uniuscujusque ictus unius
cujusque verba spectanda sunt, la illazione non può incon
trare ostacolo finchè il delitto si obbietta come contumelia.

S. 1828 .

In questo tema sorge una elegante questione sul


proposito di quelli avvocati i quali abbiano fatto
adesione o data la firma ad una memoria legale
contenente espressioni ingiuriose criminalmente per
seguitabili nasce il dubbio se costoro siano par
tecipi del delitto , e con qual grado di partecipazione
possano essere responsabili quando l'avvocato scri
- 231

vente firmò la memoria qualificandosene estensore ;


nasce il dubbio se e fino a quanto possa esserne
responsabile il cliente che volle la memoria, che
ne pagò la stampa, o che ne procurò la diffusione.
La questione è assai delicata, ma naturalmente
presuppone che gli altri avvocati o il cliente ab
biano preso cognizione del contenuto nella memoria,
poichè se non si prova che avessero scienza speci
fica delle ingiurie cadute in quella il dubbio della
corresponsabilità non è neppure proponibile, sor
gendone la figura di un concorso di fatto senza
concorso di volontà. La prima questione mi cadde
tra mano in un caso pratico da me difeso innanzi
alla Corte Regia di Lucca nel 1851 , dalla quale
ottenni l'assoluzione del defunto dottore Morgantini
di Livorno imputato d'ingiuria al mezzo di stampa,
per avere apposto la firma ad una memoria difen
siva scritta da illustre giureconsulto, e dichiarata
ingiuriosa con condanna dello estensore. Ma forse
la Regia Corte in quel caso procedette per motivi
di fatto, ritenendo non resultare che l'aderente
avesse letto la memoria alla quale (per una cor
rentezza pur troppo frequente) aveva prestato la
propria firma. Era ancora a disputarsi se a costi
tuire il materiale del delitto bastasse leggere sulla
stampa il nome dell' aderente quando non produ
cevasi la firma originale del medesimo. La se
conda questione trovo pure risoluta nel senso della
assoluzione del cliente dalla Romana injuriarum
5 junii 1840, coram Alberghini : nel qual caso
vi era di più che il cliente aveva egli stesso cor
retto le prove di stampa . È chiaro però che questi

giudicati possono avere un valore nel caso sem


232 -

plice. Diversamente opinerei nel caso misto ; quando


cioè resultasse dal processo che il condifensore o il
cliente avessero usato particolare istigazione affin
chè l'estensore della memoria procedesse alle in
giurie contenute nella medesima . Del resto in ter
mini generali di libello famoso non mi parrebbe
potersi dubitare che chi abbia corretto il testo della
satira, o fatto postille ed aggiunte allo scritto in
giurioso, debba considerarsi (data la scienza della
destinazione dello scritto) come partecipe del reato
che poscia si consumò.

§. 1829 .

In ordine al conato in questo genere di malefizi


vuol essere innanzi tutto ricordato che la ingiuria
è un delitto formale, nel senso che non esige alla
propria consumazione che sia di fatto avvenuto il
discredito e il disonore dello ingiuriato . Puccioni
(Commentario, vol. 4, pag. 662) ammette che la
niuna impressione avvenuta nell'animo degli
ascoltanti possa rendere minore la quantità natu
rale del malefizio . Ma il delitto dovrà sempre pu
nirsi come consumato e non come tentato ; perchè
nelle ingiurie, sotto il punto di vista della consu
mazione, il danno potenziale si equipara al danno
effettivo . Sia pure che nessuno abbia creduto vere
le ingiurie vomitate da un maligno contro di me,
e cosi sia rimasto invulnerato il patrimonio del
l'onore mio : il delitto o di contumelia o di diffa
mazione o di libello famoso è sempre perfetto . Che
se ricordisi quello che ho notato in principio, che
cioè alla obiettività giuridica dei reati contro l'onore
basta il solo dolore morale dell' offeso , si vedrà
- 233 ―

non essere neppure esatta, a tutto rigore di ter


mini, la forma che la ingiuria sia delitto formale
e che alla sua perfezione basti il danno in potenza.
Il dolore morale dell'offeso è un evento sicuramente

ottenuto per qualsivoglia ingiuria quantunque di


sprezzata dai terzi ; perchè non può esservi uomo
tanto stoico da rimanere insensibile al proprio vi
lipendio.

S. 1830 .

Del resto non si argomenti già da tale premessa


che il tentativo sia assolutamente inconcepibile in
tutti i reati d'ingiuria. Lo sarà per la indole del
La fatto (§. 371 ) nelle ingiurie verbali, perché è na
turalmente impossibile immaginare nelle medesime
un principio di esecuzione preambulo alla consuma
zione, e sussistente senza di lei : ciò è comune a
tutti i delitti che si commettono con la voce : o la

parola è detta, e il delitto è perfetto : o non è an


cora detta, e non vi è tentativo punibile, sia per
ché non ancora si estrinsecò la intenzione in un

sufficiente atto esecutivo, sia perchè lo arresta


mento procedette dalla stessa volontà dell'agente.
Ma nel libello famoso, ed in generale in tutte le
ingiurie che si commettono mediante scrittura, ed
anche nelle ingiurie reali, il tentativo punibile può
benissimo concepirsi. Posta la regola che la in
giuria mediante scrittura si consuma soltanto con
la divulgazione dello scritto, potrà ravvisarsi un
tentativo nella formazione del medesimo quando sia
bene accertata nello scrivente la intenzione di di
vulgare quello scritto . Cosi almeno trovasi inse
gnato da molti ( 1 ), quantunque possa forse con più
234 —

verità sostenersi che la compilazione dello scritto


sia un atto meramente preparatorio, e perciò possa
evadere dalla nozione del conato. Ma prescindendo
da questa sottile ipotesi, la soluzione della quale
potrà molto dipendere dalle circostanze, certo è che
la nozione del conato punibile può senza difficoltà,
immaginando altre ipotesi, riconoscersi in quest'or
dine di malefizi . Pongasi che il libello fosse conse
gnato alla posta a fine di divulgarlo, dato ad un
messo, inviato ad amico ; e sia stato intercettato
o smarrito, o non divulgato dal ricevente. Certa
mente il delitto non potrà dirsi perfetto perchè
mancó la divulgazione : ma pure si avrà quanto ba
sta a costituire un principio di esecuzione della me
desima, e cosi un tentativo . Difficilmente però vi si
potrà trovare il delitto mancato perchè il non suc
cesso sarà il più delle volte dipendente dai mezzi
scelti per la esecuzione.

( 1 ) Cremani , lib. 2, cap. 7, art. 7, §. 8. Sembra però che


opposta dottrina prevalesse appo gli scrittori alemanni, poichè
trovasi fatta da loro la questione se la pena ordinaria del
libello famoso debba colpire solo colui che lo compose od anche
chi ne operò la divulgazione ; ed alcuni opinarono per la pena
straordinaria contro il secondo : Carpzovi o, Praxis crim.
pars 2, quaest. 98, n. 20 et seqq. Scorgesi che tale opinione
rovescerebbe tutta la dottrina comunemente insegnata nelle
scuole italiane. Il compilatore del libello diverrebbe autore
principale ed il divulgatore un mero complice. La compila
zione non potrebbe allora più dirsi un tentativo ma un de
litto consumato. È però da avvertire che quella speciale
dottrina ragionasi dagli alemanni sulla lettera dell'art. 110
della C. C. C. che tassativamente colpisce il compilatore del
libello. Laonde anche qui bisogna guardarsi dal convertire
ciò che da qualche scrittore, per quanto autorevole , viene
-- 235 -

insegnato per obbedienza ad un dirittò speciale positivo,


in un insegnamento assoluto procedente dai principii della
scienza. In faccia a questa la più vera dottrina si è che la
compilazione del libello sia soltanto principio di esecuzione
di un delitto che aspetta la divulgazione per potersi dire con
sumato Poggi, Jurisprudentia crim. lib. 5, cap. 7, §. 51 --
Contoli, Diritto criminale, vol. 5, cap. un. art. 3, n. 5 nota —
Carmignani, Elementa , § . 1027. Bisogna ancora osservare
che il Carpzovio identificò al caso del libello perduto il
caso del libello gettato in piazza. Non converrei di tale ade
quazione. In alcune circostanze gettare in piazza un numero
di esemplari della satira non è già desso un divulgarla? E
tale divulgazione anche sotto cotesta forma non consuma essa
il delitto ? A me parrebbe.

CAPITOLO VIII.

Azione penale contro la ingiuria.

§. 1831 .

L'argomento dell'azione penale esperibile contro


la ingiuria desidera una speciale trattazione , si per
la varietà delle regole che governano la materia ,
si per certi eccezionali effetti di grande interesse
.
che la pratica ne dedusse. In generale può dirsi
che la maggior parte dei reati contro l'onore so
nosi considerati cosi dagli antichi come dai moderni
criminalisti e legislatori ( 1 ) non suscettibili di per
secuzione nel pubblico interesse e per uffizio di
magistrato ; ma la persecuzione loro si è creduto
bene di consegnarla alla balia della persona offesa .
A tutto rigore di termini viene giustamente osser
vato che anche l'azione penale contro la ingiuria
è essenzialmente pubblica, perchè oggimai la pena
si chiede sempre nello interesse sociale e non per
236

soddisfare la vendetta privata. Ma il movimento


dell'azione nelle mani del pubblico ministero è su
bordinato alla volontà dell'offeso . Cosicchè oggidi
quando dicesi che un reato si persegue ad azione
privata si usa per amore di brevità un linguaggio
improprio più esattamente dovrebbe dirsi ad
istanza e volontà del privato. Più e diverse furono
le considerazioni che guidarono a simile opinione,
e tutte vogliono essere particolarmente ricordate.
La prima ragione fu tratta dal mero ordine giu
ridico, perchè si riconobbe che in simili reati la
offesa alla società era quasi nulla, e lo allarme
dei cittadini cosi leggiero che a quietarlo bastava
si consegnasse alla persona oltraggiata la potestà
di ottenere la pena dell' offensore, senza bisogno
che l'autorità con solenne apparato spontaneo muo
vesse alla repressione. La seconda ragione fu tratta
da riguardi di convenienza : fu giustamente avver
tito che ogni cittadino doveva essere giudice su
premo di ciò che meglio tornava opportuno alla
tutela dei propri pericoli ; e, se egli stesso per sue
buone ragioni desiderava di evitare il clamore di
un pubblico giudizio intorno all'oltraggio a lui in
ferito, non doveva la giustizia a dispetto suo al
largare (2) con lo scandalo di un processo la ferita
dell' onore suo. La esperienza, che mostra come
spesso coloro che corrono a muovere querele d'in
giuria niente guadagnino con ciò nella loro ripu
tazione, giustifica siffatto pensiero (3) .

(1) Presso i romani si davano per la ingiuria principalmente


due azioni. L'una civile e straordinaria per ottenere la con
danna dell'ingiuriante, era in sostanza l'accusa criminale,
- 237 ――――
non data come per altri delitti cuivis e populo, ma al solo
ingiuriato. L'altra era poi azione pretoria tendente alla mera
riparazione dei danni. Di qui nacque l'apparente confusione
che ora l'actio injuriam si dicesse civile ed ora pretoria :
Lauterbach, disp. 89, th. 30 - Ghysen, De injuriis,
cap. 4, §. 3 et 5. Avevano pure l'actio injuriarium ex lege
Cornelia, la quale però non riguardava che le cosi dette in
giurie fatte con la mano, cioè le percosse e i colpi. L'actio
injuriarum era pure distinta dall'azione della legge Aquilia
che aveva la sua causa in un danno materiale, ed entrambo
potevano cumularsi quando (a modo di esempio) nel medesimo
fatto si fosse danneggiata la persona ed offeso l'onore : ve
dasi Anton Matteo, De crimin . lib. 47, tit. 4, cap. 4. Nei
tempi di mezzo venne poi in uso un'altra azione che fu detta
recantatoria o ad palinodiam, la quale aveva per suo speciale
scopo di costringere l'ingiuriante a ritrattare, o sotto una o
sotto altra forma, la ingiuria. Cotesta azione è oggi andata
in dissuetudine quasi generalmente, perchè allo scopo della
4
medesima si supplisce col procurare venga ordinata la in
serzione della sentenza condennatoria a spese del colpevole
in un dato numero di giornali. E dico quasi generalmente ,
perchè la trovo conservata nel Codice penale ticinese del 1816
all'art. 18. Anche qui per altro verrà a sparire quando abbia
definitiva approvazione il nuovo progetto del 1868 il quale
all'art. 8 non conserva questa forma di pena. Chi voglia eru
dirsi su cotesta azione recantatoria veda Leyser, spec. 543,
-
medit. 1 — Kock, Istitutiones jur crim. §. 379 — Bergero,
Electa juris crim. pars 1, cap. 2, memb. 3, pag. 77 -- Ber
lichio, pars 5, conclus. 62, n. 16 Carpzovio , Juri
sprud. pars 4, constit. 42, def. 13, n. 3 -- Cramer , Ob
servat. jur. tom . 2, pars 1, observat. 516. Anche nelle antiche
leggi spagnole , per esempio nel Fuero Juzgo di Toledo
del 1085, la persecuzione della ingiuria si considerava come
fatta nel solo interesse dell'offeso, ed il fisco non aveva par
tecipazione nell ' ammenda. Lo stesso era nelle pratiche na
poletane (Sanfelice, vol. 2, decis. 259) ed in altre : Char
- 238

thario , Decisiones criminales, pars 1, decis. 69. Posta in


mano al privato la persecuzione della offesa all'onore era
naturale che a lui si aprissero tutte le vie tanto ordinarie
quanto straordinarie . Così i tribunali di Francia hanno de
ciso (Morin, art. 8170) che l'offeso possa ricorrere in cas
sazione anche per la errata definizione del titolo ; come se
fu dichiarata ingiuria quella che secondo lui doveva dirsi
diffamazione. Già la negazione dell'azione pubblica erasi al
largata dai Codici e dalla giurisprudenza italiana ; Codice di
procedura parmense, art. 92, 93 - Melegari , Decisioni
del supremo Tribunale di revisione di Parma, vol. 1, pag. 324.
Ma alle ragioni che ho riferito, per le quali viene consigliato
di lasciare a querela privata i delitti contro l'onore , il legi
slatore toscano ne aggiunse un'altra che è tutta la sua. Egli
pose come principio che le ingiurie si perseguitassero per il
solo ed unico fine politico d'impedire i duelli e le vendette
private, al qual fine indistintamente prescrive di cuoprire
di un velo tutte le offese all' onore quando è venuta la pace
fra le parti. Questa considerazione non è del tutto disprez
zabile. Ma intorno al soverchio peso che si è voluto dare
alla medesima dirò il mio pensiero al principio del Capitolo
nono. In pratica peraltro si diedero all'azione d'ingiurie dei
privilegi e favori speciali per esempio, dove si nega ai figli
l'azione contro i genitori si accorda loro la querela d'in
giuria Carpzovio, decis. 248. La questione se possa per
un'ingiuria cumularsi l'azione civile pei danni e l'azione
penale trattasi da Leucht , Responsa Altdorfina, vol. 1,
pag. 8201dekops, contra Carpzovium, decas 3,
quaest. 4, 6 et 7.
(2) Questo fatto sensibile che la riputazione di un ingiuriato
riceve tavolta lacerazione maggiore dal pubblico dibatti
mento, che non abbia ricevuto dalla ingiuria o dalla diffa
mazione, richiamò l'attenzione dei pubblicisti. Il professore
Lodovico Bosellini esternò il pensiero che forse si do
vesse (almeno in certi casi) interdire la pubblicità nei giu
dizi per ingiuria o per diffamazione. Io non divido la opi
239 ___
nione del mio ottimo amico e collega, perchè ho veduto che
la chiusura degli usci nei giudizi penali serve soltanto ad
eccitare maggiormente la pubblica curiosità. La chiusura
degli usci è utilissima quando si vuole tutelare la pubblica
morale in certi processi d'indole oscena : ma è infruttuosa
pel fine di tener segreto il processo orale ( che certamente
si vuol mantenere) il quale esige che un numero indefinito
di persone assistano al processo. In Francia questo stesso
pensiero suggeri l'art. 11 della legge del 27 luglio 1849 , dove
si riprodusse una disposizione della legge del 1819 diretta a
vietare ai giornalisti i resoconti dei processi d'ingiuria e di
diffamazione. Può lodarsi tale provvedimento : ma quando lo
stesso diffamato voglia esso medesimo dare col mezzo dei
giornali tutta pubblicità ad ogni circostanza emergente dal
giudizio da lui provocato, ciò non può venirgli interdetto.
Questa disposizione ha suscitato in Francia diverse questioni
applicative che possono vedersi in Morin, art. 8685 et 8705.
(3) Non mancò peraltro anche fra i vecchi dottori chi di
malo occhio vedesse ristretta ad azione privata la perse
cuzione delle ingiurie : Pistor , Observationes singulares,
observ. 121 : e Boehmero , che nella sua exercitatio 96 lata
mente trattò la materia della azione per ingiuria descrivendone
i limiti al cap. 11, prese a sostenere nel cap. 4 che la querela
d'ingiuria era contraria ai principii cristiani : e quindi al
cap. 9, diffusamente mostrò quanto fosse imprudente e peri
coloso il correre precipitosamente ad eccitare le gare del
rabbioso fôro per una ingiuria. Ai pensieri di questo giure
ulto dovrebbero qualche volta ispirarsi i legisti che troppo
ansiosi fomentano le ire delle parti spingendole alla querela
criminale ; nè dovrebbero, per la smania di sostenere una
parte civile, dimenticare che la nostra missione è quella di
sacerdoti di pace . Io vado superbo di poter dire che in cin
quant'anni di patronato legale non ho mai vergato una querela
contro persona privata tranne per furti o danni alla proprietà .
Non è però vera in senso assoluto la proposizione sulla quale
Boehmero adagiò o con tanto calore sostenne questa sua
- 240 -

tesi che il dar querela per ingiurie fosse contrario alla legge
cristiana e conseguentemente peccaminoso. Se vi querelate
(osservò Boehmero) per un furto voi avete il fine di ricu
perare la roba vostra e questo desiderio è giustissimo. Ma
nella ingiuria il danno è ormai patito, e la vostra persecu
zione non può tendere che alla vendetta ; e la vendetta è
peccato gravissimo. Da questa seconda premessa egli trasse
la duplice conseguenza che la ritorsione non dovesse mai tol
lerarsi ; e che fosse a vituperarsi anche la persecuzione giu
diciale per la ingiuria. Ma prescindendo dall' osservare che
tutta questa dottrina si informa ad un soverchio puritanismo
e fa prevalere la considerazione ascetica alla giuridica ; certo
è che la anzidetta premessa è fallace come ho già corretto
sopra a §. 1759 nella nota. Non è vero in tutte le ingiurie
che alla ritorsione ed alla persecuzione giudiciale non possa
darsi altro movente tranne quello riprovevole della vendetta,
per essere ormai patito il danno. Ciò sarà vero nel caso di
uno schiaffo od altra ingiuria reale di effetti transitorii ; ma
non è vero dove il danno è permanente come in una ingiuria
verbale (e molto meno se scritta) che rechi ferita alla ripu
tazione . Allora il ritorcere confutando l'asserto disonorante,
come il ricorrere al giudice, non procede da rabbiosa ven
detta : procede invece dal doveroso impulso di purgare il
proprio onore. Potrà dunque, come ho detto testè, essere
prudente nell'offeso il tralasciare la querela, e prudente nello
Avvocato il dissuaderla, ma non può dirsi assolutamente
vizioso lo agire diversamente.

§. 1832 .

Ma a queste due ragioni se ne deve aggiungere


una terza la quale serve a spiegare eziandio alcune
altre particolarità proprie di questa azione penale .
La terza ragione a cui accenno è tratta dalla con
siderazione politica di promuovere la pace fra le
- 211

famiglie. Un processo criminale e una condanna ra


ramente sopiscono le animosità e le discordie . Ma
quando l'offeso ha in suo libero potere di togliere
dal capo dell'offensore la condanna che lo minaccia ;
sia col non darne querela, sia con lo spengerla
mediante quietanza ; i buoni amici hanno opportu
nità d'interporsi, e inducendo l'offensore a scusarsi
e chiedere la quietanza possono con facilità far na
scere una riconciliazione, la quale, procedendo al
seguito della scusa da una parte e del perdono
dall'altra, può sperarsi durevole. Questa considera
zione di promuovere la pace ho detto essere feconda
eziandio di altri risultamenti : quali sono i modi
speciali di estinguere quest'azione (che esaminerò
fra poco) e la prescrizione della medesima (1 ) ri
dotta a brevissimo termine .

(1 ) Carpzovio, Jurisprud. for. pars 4, constit. 46, def. 3


- - Ludero Menkenio , disp. 18 - Puccioni, vol. 2,

pag. 347 e 351 ; vol. 4, pag. 656. Questa idea di non perpe
tuare la nimistà si ebbe grandemente a cuore dalla giurispru
denza toscana. Da ciò nacque il precetto della pratica nostra
che ingiunse al giudice, al quale viene presentata la querela
per un delitto perseguitabile ad istanza privata, di chiamare
a sé il querelato, notiziarlo dell'accusa mossa contro di lui,
ed eccitarlo a procacciare il perdono del querelante per libe
rarsi da ogni molestia. Dallo stesso riguardo era nata pure
la costumanza toscana che, mentre anche alle doglianze per
delitti privati si dava seguito a spese del pubblico erario per
non privare della debita riparazione il povero che era stato
vittima di un delitto, se poi avveniva la quietanza, anche a
processo già inoltrato, tutte le spese rimanevano a carico del
pubblico erario. Ciò veniva censurato da molti perchè faci
litava le querele private e recava aggravio alla finanza ; e

VOL. III. 16
242 ―――――
veramente tali difetti non si potevano negare : ma appo noi
si considerava come prevalente l'interesse della pubblica pacé.
Un offeso che desidera soddisfazione se deve spendere onde
ottenerla per le vie di giustizia se ne ristà, e piuttosto ricorre
alla vendetta privata ; le spese di un processo che siasi fatto,
difficultano di troppo le transazioni se devono cadere sull'una
o sull'altra parte : cosi si rispondeva all'obietto dello aggravio
della finanza, e procedevasi oltre. Il nuovo Codice di proce
dura penale italiano ha posto da banda quelle paterne con
siderazioni ed ha mirato a tutelare anche questa volta il
pubblico erario ; perchè la fiscalità è il Dio regolatore di tutte
le leggi pubblicate novellamente nel reame d'Italia. Tor
nando alla prescrizione deve però avvertirsi che se fu gene
rale il principio di favorire con brevissimo termine la pre
scrizione della ingiuria (Van Eck, Theses juris, pag. 204 –
Pistor, Observationes singulares, observ. 9) invalse in qualche
luogo un opposto spirito in quanto alla prescrizione del libello
famoso la Costituzione sassonica (constit. 46, pars 4) ordi
nava che l'azione persecutoria di codesto delitto non si estin
guesse tranne col decorso di trentuno anni e un giorno :
Puttmann, Elementa, §. 416. È però ragionevole che la
ingiuria essendo di azione privata, e cosi la prescrizione della
medesima potendo offrire dei criterii speciali , si adotti la
regola che il tempo a prescrivere questo delitto, decorra non
dal giorno della proferita ingiuria ma dal giorno in cui l'of
feso ne acquistò notizia. Tale almeno è la massima di qualche
giurisprudenza : Christina e o, In leges municipales Mechli
nenses, tit. 2, art. 4, n . 4. E chiunque avverta che le più atroci
diffamazioni possono spargersi da un nemico nel pubblico
senza che ne giunga notizia al diffamato , sente la necessità
di una disposizione limitativa. Questa non occorrerà dove la
prescrizione dell'azione penale per ingiuria si rilasci ai ter
mini ordinarii . Ma quando per veduta di tranquillità privata
si detti come misura eccezionale un termine eccezionale, è ben
conveniente che si adotti una regola eccezionale anche per il
cominciamento del termine. D'altronde ciò si connette con
- 243
un principio giuridico, perchè in base al più breve termine
vi sta la presunzione del perdono, e il perdono non può mai
concepirsi finchè l'offeso non ebbe scienza della offesa patita:
vedasi inoltre sulla prescrizione dell'azione d'ingiuria Za
charia, Liber quaestionum , quaest. 31.

S. 1833.

E tanto si considerò come personale e quasi ine


rente alle ossa dell'offeso la querela d'ingiuria che
anche nel caso d'interdetta amministrazione dei

propri beni prevalse la opinione che la querela


d'ingiuria rimanesse sempre in mano dello inter
detto, e non potesse il curatore o l'amministratore
darla nè impedirla : appunto perchè se altri può
essere miglior giudice di me sulle mie convenienze
economiche, nessuno può esser miglior giudice di
me stesso su ciò che conviene all'onor mio. Questa
massima si è applicata senza contrasto in propo
sito del fallito, al quale solo si accorda la facoltà
di querelarsi per ingiuria patita , quantunque sia
spogliato dell'esercizio di ogni altra azione a lui
competente: Renouard, Faillites, tom. 1, pag. 993
- Lann, Faillites, pag. 17 - Bedarride, tom.1,
n. 84 bis- M orin, Journal de droit criminel,
art. 8151 - Massé, Droit commercial, tom. 2,
n. 1199. Anche in tema di curatore dato ad un

interdetto per prodigalità, crederei dovesse acco


gliersi la medesima soluzione ( 1 ). Ma il dubbio è
più grave in proposito del minore. Generalmente
i dottori sul fondamento della leg. 2, §. pupillus
ff. de accusationibus ammettono che il pupillo mag
giore di anni quattordici possa perseguitare cri
minalmente suas suorumque injurias (Montano,
― 244

De tutelis, cap. 30 , n . 147 — Maulio , De tulelis ,

tit. 13, pag. 442) e soltanto disputano se il tutore


debba intervenire con mero consiglio o con inter
posizione di vera autorità, mossi al dubbio da Paolo
sent. 5, tit. 12 : sul che è da vedersi Cujacio, Re
citationes in lib. 9, Cod. tit. qui accusare non
poss. tom. 9, col. 1286, lit. e. Più grave dubbio
nasce nel caso di conflitto che sopravvenga fra
pupillo e tutore sul proposito di dare o non dare
la quietanza . Alla efficacia della quietanza basterà
che la dia il pupillo quantunque renuente tutore?
basterà che la dia il tutore quantunque renuente
pupillo ? o bisognerà che concorra l'adesione di
entrambo ? Per un lato sta la considerazione della

inettitudine del giudizio : ma per l'altro lato sta la


ragione della personalità della ingiuria, e la du
rezza che vi sarebbe sia nel far prevalere il de
siderio di vendetta del tutore sul perdono e sulla
riconciliazione del vero offeso, sia nel far prevalere
(in opposta ipotesi) l'apatia del tutore sul giusto
desiderio che mantenga il giovine di ottenere do
vuta riparazione al proprio onore ferito. Parrebbe
dunque che l'arbitro dell'azione e della quietanza
dovesse essere il minore e non il tutore (2).

(1 ) Nei delitti che non possono perseguitarsi senza querela


della parte offesa la querela deve farsi da lei medesima o da
un suo incaricato per mandato speciale. Non basta a tal fine
un mandato generale ad amministrare, come non basta il
mandato presunto di un Procuratore legale Le Graverend
――
Traité de législation criminelle, vol. 1, pag. 190, §. il faut
Carnot, Cod. instruct. art. 7, add. n. 1, pag. 168 — M a n
gin, De l'action publique, §. 70, pag. 56, vol. 2, n. 3, verso
il faut - Corte di Luxembourg, 9 ottobre 1828.
----- 245 ―――

(2) I pratici non confortano questa opinione. Essi andarono


tanto innanzi nel rigore che si accese vivissima disputa fra
di loro sul punto di sapere se la pace accordata dal minore
con l'autorizzazione tutoria fosse valida senza decreto di giu
dice ; o se invece oltre il concorso del minore e del tutore
fosse necessaria la sanzione del magistrato . La non necessità
del decreto si sostenne da Ruino , lib . 4, cons. 11, col. 2
Rolando , lib. 1, cons. 15, n. 44 -
- Menochio, De arbitr.
centur. 2, cas. 171, n. 74 - Ludovico, In dec. Perusinis,
dec. 35, n. 8 Lambertengo, De contractibus, glossa 1,
n. 347 Jovio, De contract. minor. gl. 15, §. 7, n . 239 -
Claro, Sententiar. §. fin. quaest. 58, n. 27 ; ove attesta che
per consuetudine del Ducato milanese si ammetteva anche
senza decreto di giudice la quietanza data dal tutore, purché
peraltro vi consentisse anche il pupillo se era doli capax.
Sostennero invece virilmente che fosse indispensabile il de
creto alla validità della pace : Simoncello , De decretis ,
lib. 2, tit. 6, inspect. 16, n. 138 Speculator, De homi
cidio, n. 6 Chassaneus , In consuetud. Burgundiae tit.
des justices, §. 5, n. 164 — Nonius, cons. 108, n . 4 ---
—Cara
vita, In ritu magnae curiae 175, n. 19 - Damhouder,
De pupillor. patrocinio, tit. de tutor, et curator. cap. 10, n. 75.
Questa disputa parrebbe che rendesse inaccettabile affatto
la opinione alla quale ho mostrato inclinare nel testo, perchè
se è dubbio il valore della quietanza data dal pupillo anche
con l'autorità tutoria quando manchi di decreto giudiciale,
molto più sembra doversi tenere di niun valore la quietanza
del minore che manchi eziandio dell'autorizzazione tutoria .
Ma però nei pratici stessi si trova un raggio di luce che
può sostenere la mia opinione : avvegnachè generalmente si
insegni, che quando il minore accompagnò la quietanza col
suo giuramento , la irretrattabilità della medesima , sia certa
sebbene il tutore non vi aderisse. Laonde ognuno comprende
che la questione si riduce ad una formula , e che in sostanza
il principio della prevalente volontà dell'offeso si rispettò
anche dalla pratica, e che cotesta limitazione può bene con
246 ―――――
vertirsi in una regola. La irretrattabilità della quietanza
data dal solo minore quando è munita di giuramento si
insegnò comunemente : Simoncello, De decretis, lib. 2,
tit. 6, inspect. 16, n. 140 ; in Tractatus magni, vol. 6, pars 2,
pag. 315 ――― Ferretti, De feris, n. 51 - Herculano,
De cautione de non offendendo, cap. 38, n. 6 -- Oddo, De
restitutione in integrum, pars 2, quaest. 85, art. 7, n. 59 -
Deciano, lib . 1, cons. 35, n. 9 --- Galganetti , De tutela
et cura, lib. 3, quaest. 47, n. 18 Gutierrez, De tutelis,
cap. 7, n. 23.

§. 1834.

Dissi però che il carattere di privata nell'azione


per ingiurie era universalmente riconosciuto nella
maggior parte dei reati contro l'onore, in tutti
no : avvegnachè a vari criminalisti ed a molti le

gislatori piacesse stabilire dei limiti a codesta re


gola. Siffatti limiti si desunsero da diverse consi
derazioni. Taluno prese a guardare la gravità del
fatto, e dalla subiettività del malefizio rilevò delle
cause di eccezione : cosi fu da molti dichiarato di

azione pubblica il libello famoso ( 1 ) . Altri invece


desunsero la eccezione della oggettività del reato,
dichiarando di azione pubblica quelle ingiurie che
oltre il diritto all'onore del privato avessero leso
un diritto universale : cosi le ingiurie atroci per
chè commesse nella chiesa o nel fòro si vollero
da molti di azione pubblica, per la onta recata
alla reverenza del luogo ; come pure le ingiurie
commesse in teatro per il disturbo recato alla quiete
pubblica.

(1) Dagl'interpreti del diritto romano ( sebbene ammettano


che per tutte le altre ingiurie l'azione penale fosse straor
- 247 --

dinaria e spettante solo all'offeso) l'azione speciale de famosis


libellis generalmente si ritenne che fosse pubblica : Anton
Mattheo, De crimin. lib. 47, tit. 4, cap . 3, n. 6 Cre
spi , Observat. 4, n. 20 Mattheu et Sanz , De re
criminali, controv. 75, n . 8 Ghysen, De injur. et fam.
libell. cap. 4, §. 9 : vedi però Duareno, Disputationum, lib. 1,
disput. 37. Ma è da notarsi che dalla l. 6 in fin. verso simi
liter ex diverso ff. de injur. e da altri frammenti risulta che
qualora l'offeso mediante famoso libello avesse eletto di muo
vere piuttosto l'actio injuriarium anzichè l'actio de famosis
libellis, questa rimaneva pregiudicata e chiusa per sempre.
Lo che presentando una singolare eccezionalità contro la
regola generale che le azioni pubbliche non restano mai
pregiudicate dall'esercizio dell'azione privata (per la ragione
che avendo in quelle un interesse la società , non può la me
desima venire danneggiata dall' arbitrio del leso ) sudarono
gl'interpreti a sciogliere cotesto nodo correndo per diverse
vie di ragionamento : vedasi Cujacio, Observationum, lib. 24,
observat. 16 — Diemerbroeck, De injur. et fam. libell.
§. 24. Senza invadere il campo degli eruditi su cotesta di
sputa, a me sembra assai facile di sciorre il nodo e trovare
la ragione di quella specialità romana, purchè si convenga
che il pensiero modernamente prevalso in parecchi codici
contemporanei di concedere balia all'offeso di impedire un
pubblico giudizio per un libello famoso esarato in onta sua,
non è (come parve a taluno) un ritrovato modernissimo della
scienza penale, ma è bensi la riproduzione di un giustissimo
dettato della sapienza romana dimenticato nei tempi di mezzo .
E questa opinione si conforta dalla autorevole dottrina dello
Harpprecht (In instituta, lib. 4. tit. 4. n. 211 et seqq.),
il quale non attentis aliorum erroneis traditionibus sostiene
con solidi argomenti che anche l'azione de famosis libellis era
presso i romani privata. Ai commentatori che scrivevano in
tempi nei quali rigorosissime leggi e rigorosissime pene ful
minate contro il libello famoso facevano apparire strano che
tanta severità rimanesse vana a piacimento dell'offeso , potè
- 248 ――

sembrare inestricabile nodo quella pratica romana : a noi che


viviamo sotto idee totalmente diverse in quanto ai delitti
contro l'onore, non può essere la medesima occasione di me
raviglia. Ma sia che a tale idea già si ispirassero i legislatori
di Roma, sia che essa abbia origine nella moderna filosofia
penale, è però a mio credere incontrastabile la sua giustizia.
Giustissima infatti è la idea di generalizzare il rispetto a
quelle considerazioni per le quali nei delitti contro l'onore
si tiene come prevalente l'interesse del leso sullo interesse
sociale. Logica conseguenza di tale principio, una volta ac
cettato, era quella che non vi fossero ragioni di distinguere
per la maggiore o minore gravità della forma con cui venisse
estrinsecato l'oltraggio al buon nome del privato cittadino.
E il Codice toscano corse senza esitanza sulla via che gli
segnava siffatta deduzione, quando stabili che anche il delitto
di libello fosse di azione privata. Lo stesso erasi sanzionato
dal Codice spagnuolo del 1848 (art. 391 ) dal Codice prussiano
del 1851 (§. 160) dal portoghese del 1852 (art. 416 ) e da altri.

S. 1835 .

Fu per cotesto riguardo alla più larga oggetti


vità del malefizio che in generale s'insegnò e si
stabili doversi a pubblica azione perseguitare le
ingiurie commesse contro un pubblico ufficiale, od
un magistrato (1 ) sia che l'oltraggio venga com
messo in presenza del magistrato, oppure nell'as
senza sua (2); specialmente quando le cause o le
circostanze del fatto svolgano una offesa diretta
più contro l'uffizio che contro l'individuo, o al
pubblico uffizio sia per risultarne discredito . Mal
grado ciò non mancarono legislatori che la pen
sassero diversamente, e che stimassero prudenziale
di lasciare allo ufficiale ingiuriato la balia di evitare
!

- 249

mediante quietanza lo scandalo di un processo ,


quando egli avesse avuto buone ragioni per desi
derarlo. E chi ponga mente come troppo spesso
da un giudizio pubblico per ingiurie l'onore del
l'offeso, ad onta della ottenuta condanna, possa

restarne adombrato, comprenderà le ragioni di du


bitare che tengono divise le opinioni dei crimina
listi su tale argomento .

(1) Ho già notato di sopra come si fosse dalle leggi e giu


risprudenza toscana, con disapprovazione generale, esteso fino
agli ultimi gradi il principio della perseguibilità a pubblica
azione delle ingiurie inferite agl'impiegati e pubblici ufficiali.
Altrove si è proceduto con maggiore moderazione, e special
mente in Germania. Rilevasi ciò dal vedere che i criminalisti
alemanni si occupano con molto interesse della questione
se, quando l'ufficiale oltraggiato non dette querela, possa
muoversi la medesima dal suo compagno nell'ufficio e più
specialmente dal suo successore nel medesimo : Leyser ,
specimen 546, meditat. 4 Carpzovio, lib. 2, responsum 65.
È manifesto che dove l'oltraggio fosse perseguitabile d'uf
fizio dal giudice, siffatta questione relativa alla proponibilità
della querela malgrado il silenzio o forse il perdono del
l'offeso, non troverebbe termini abili per essere proposta. E
difatti la dottrina che anche le ingiurie recate ai pubblici
ufficiali e magistrati non possano criminalmente persegui
tarsi, tranne al seguito di particolare querela dell'offeso, può
dirsi prevalente fra i criminalisti della Germania ( Me vi o ,
Decisiones, pars 1, dec. 57 ; et pars 6, dec . 2. n. 1 - Harp
precht, Dissertationes academicae, disp. 66, de injuria ma
gistratui illata, §. 45) ed ha prevalso anche in Francia dopo
la legge del 1819 : Morin , art. 8494. Più generale fu la
idea di dichiarare perseguitabili a pubblica azione le ingiurie
commesse in chiesa (alle quali si equiparò quella commessa
nell'atrio della chiesa : Mastrillo, decis. 22) poichè siffatta
- 250 -
dottrina appoggiavasi al rescritto di Arcadio ed Onorio,
in l. 10, C. de episcop. et cleric. Ghysen, De injur. et
fam. libell. cap. 4, §. 9.
(2) Questa circostanza della presenza od assenza dell'uf
ficiale ingiuriato è indifferente alla qualifica. Ciò è pacifico
nella opinione dei giuristi, ed è stato in termini deciso in
Francia così rimpetto al Codice penale del 1810 come rim
petto alla legge 13 maggio 1863 ; Cassazione 17 marzo 1866
- Morin, art. 8211. Invece sorge anche qui il disputabile
intorno la perpetua questione sulla competenza del giudizio.
Dichiarare che un offeso era pubblico ufficiale o rivestito di
pubblica autorità è dessa questione di fatto o questione di
diritto La Corte di Cassazione di Firenze ad occasione di
altro titolo di reato decise il 1. aprile 1868 (Annali di giuri
sprudenza italiana 1, 2, 34) che la era questione di diritto .
Concordo che decidere se (a modo di esempio) un Sindaco
od un Consigliere comunale rivestano pubblica autorità è
questione di diritto : ma decidere se l'offeso era Sindaco o
Consigliere comunale, è questione di fatto ; e la Corte non
potrà pronunciare sulla questione di diritto se prima non si
sono interrogati i giurati sulla questione di fatto ; perchè
senza ciò la Corte che applichi la qualifica invade alla sua
volta l'ufficio della giuria emettendo una pronunzia di fatto.

§. 1836 .

Finchè si tratta di decidere se l'azione penale


nelle ingiurie debba commettersi al solo offeso od
anche al pubblico ministero, la questione si presenta
nel caso semplice di un unico offeso, e può essere
di facile soluzione . Il dubbio sorge quando si faccia
la ipotesi di una ingiuria che abbia colpito più per
sone, e suppongasi discordia fra loro sul proposito
di perseguitare o no l'offensore ( 1 ) . Anche qui la
cosa è facile se s'immaginano due o più ingiuriati
--- 251 -

che ciascuno lo sia personalmente nel proprio in


dividuo : come se (a modo d'esempio) fu detto Cajo
è un ladro e Sejo una spia, oppure Cajo e Sejo
sono due ladri . È evidente che qui due sono i de
litti , la ingiuria a Cajo, e la ingiuria a Sejo ; due
sono le azioni, indipendenti l'una dall'altra, cosi
nella nascita come nella vita e nella morte ; laonde,
salva la modificazione che può nascere nei congrui
termini dalla continuazione , non vi è fra i due de
litti e le due azioni alcun nesso giuridico. La quie
tanza data da Sejo non influisce sull'azione di Cajo ;
nè la condanna o la riparazione ottenuta da Cajo
può arrestare i diritti nati a favore di Sejo per la
offesa a lui individuale . Ma il problema si presenta
in quelle ingiurie che assumono il carattere di col
lettive; e già sappiamo essere quelle dove si è offeso
un ceto, un corpo, un collegio, come se siasi detto.
che i procuratori della tale città sono una fitta di
bindoli, i magistrati di quel tribunale si lasciano
soverchiare dai vezzi di un leggiadra femmina ,
quella tale accademia è un sinedrio d'ignoranti .
In questa ben diversa ipotesi l'individuo non è
oltraggiato se non in quanto egli fa parte di quel
corpo. Il delitto può essere maggiore nella sua
quantità, ma è un delitto unico : per conseguenza
non può nascere che una sola azione. Perciò non
potrebbe tollerarsi che tutti i membri di quel ceto
o collegio dessero ad uno ad uno querela, e lo
ingiuriante dovesse subire altrettanti processi e
altrettante condanne. Questa è la prima conseguenza
della solidarietà attiva dell'azione penale.

( 1 ) Il Bergero ( Electa jur, crim. obs. 66 ) , con molta


esattezza insegna che nel caso d'ingiuria mediata nascono
- 252 -
due azioni distinte ed indipendenti , l'una competente a colui
che fu ingiuriato immediatamente, l'altra a colui che lo fu
mediatamente. È per ciò che il Klock, (cons. 184, n. 8) non
mette dubbio che il padre possa proprio nomine istituire
l'azione per le ingiurie recate al figlio ; regola che il Giurba
(In consuetudines Messanae, cap. 1, glos. 3, n. 27 ), estende
anche al caso d'ingiuria fatta alla figlia già maritata, e
l'Haart (De injur. §. 12 ), che il marito possa suo nomine
agire per le ingiurie inferite alla moglie. Soggiunge poi il
Bergero, che nella ingiuria collettiva l'azione compete a
tutti gl' individui che fanno parte del ceto offeso ; ma non
propone la ricerca relativa alla forma, che io prendo in esame
al § . 1837 in fine. Ivi pure si arresta Lauterbach, disp. 19,
thes. 75.

§. 1837 .

Parimente da cotesto principio della solidarietà


ne scende che la quietanza data al colpevole da
uno o da parecchi membri del corpo offeso non
può estinguere l'azione che dagli altri membri del
collegio si voglia sperimentare : ne scende eziandio.
l'altra conseguenza che l'assoluzione ottenuta in
faccia ad uno degli offesi metta l'imputato al co
perto da ogni ulteriore persecuzione. Ma chi sarà
che potrà sperimentare l'azione ? Dovrà essa con
cedersi ad ogni membro ? dovrà concedersi al solo
presidente o rappresentante il collegio ? o dovrà
concedersi alla sola persona morale, cioè al collegio
che nelle debite forme riunito deliberi d'istituire

la persecuzione penale ? La questione è delicata .


Quando si trattasse di un vero e proprio collegio,
costituente una persona morale, parrebbe doversi
dire che l'azione spettasse a cotesta persona giu
- 253

ridica, e in di lei nome soltanto e per il voto re


golare di lei, potesse istituirsi l'accusa. Ma quando
trattisi di una collettività che non è riconosciuta

come corpo morale, per esempio gli avvocati di una


provincia, i soldati di una compagnia, e simili , non
mi parrebbe che le persone appartenenti a quel
ceto le quali desiderassero ottenere una riparazione,
dovessero dipendere dal parere dei colleghi, e non
avessero in loro, ed in ciascun di loro, tutta intera
e libera la facoltà di promuovere l'azione. Certa
mente in pratica quando si è trattato di offese re
cate ad una famiglia non si è mai cercato il voto
collegiale della famiglia medesima, nè mai si è
ristretto al solo capo di quella il diritto di otte
nere riparazione. A me parrebbe che dovesse pro
cedersi con una distinzione in questa problema che
non trovo discusso da alcuno scrittore. La ingiuria
collettiva può essere tale che ferisca ogni membro
componente il collegio nel suo stesso individuo : si
è detto che un'accademia è composta di ignoranti ;
ció vale come se si fosse detto di ciascuno acca
demico, che è un ignorante ; ora suppongasi che
il corpo accademico convocato a tale scopo deliberi
di non dare querela per la ingiuria o di farne
quietanza. Come potrà sostenersi che tale delibe
rato leghi quell'accademico che voglia ottenere ri
parazione del proprio oltraggio dandone querela?
La ingiuria certamente nella forma sarà collettiva ;
ina quantunque esteriormente sembri ferire il col
legio, ferisce sostanzialmente ciascun individuo nel
suo particolare : la qualità di accademico non è
che una dimostrazione della persona, e ogni in
dividuo che compone il collegio ha ragione di dirsi
J
- 254 -

personalmente offeso e di ribellarsi in ciò che ri


guarda il proprio buon nome ai decreti accademici.
Ma pongasi invece che con la espressione ingiuriosa
si fosse attaccato un atto del collegio da lui posto

in essere come persona giuridica : si è detto (a modo


di esempio) che un deliberato di quell'accademia è
immorale, è sedizioso, o simile. Qui nessun indi
viduo può dirsi offeso nel suo buon nome : l'oltraggio
colpisce soltanto la persona morale : e la persona
morale è la sola che possa muovere querela o rila
sciare utilmente quietanza ( 1 ) .

(1) Ma quando sarà che l'offeso per ingiuria possa dirsi


avere presentato doglianza capace ad eccitare l'azione penale?
Pareva che questo punto fosse agevole e piano : ma pure porse
argomento ad una grave questione. In un processo correzio
nale per estorsione il dolente raccontò nel suo esame che il
giudicabile si era altra volta permesso di diffamarlo. Nessuna
istanza egli inoltrò ; nessuna interpellanza a lui venne diretta
per sapere se intendeva chiedere soddisfazione anche per la
offesa all' onore. Malgrado ciò il pubblico ministero pretese
che con aver narrato quel fatto la vittima della estorsione
chiamata a deporre contro l'accusato avesse bastantemente
mostrato la volontà di eccitare l'autorità all'esercizio della
repressione anche per la diffamazione. Questo sistema non
incontrò oppugnativa dalla trascurata difesa, e il Tribunale
lo accolse condannando per diffamazione : ma la Corte d'Aix
con decreto del 3 maggio 1867 chiamata a conoscere di questo 7
giudicato in grado di appello revocò la condanna annullan I
dola per difetto di competenza : Morin, art. 8578. La cosa
era chiara, e lo abuso dei primi giudici inescusabile : ma
giova ricordare quel giudicato perchè la Corte non credette.
fosse ostacolo all'appello il silenzio tenuto dal giudicabile e
suo difensore in faccia alla illegittima contestazione ; e per
la notabile ma esattissima ragione per cui respinse questo
―― 255

obietto pregiudiciale . Disse la Corte che i delitti contro l'onore


si subordinavano, per la loro repressione, alla istanza privata
non per un favore verso l'offensore, ma per un rispetto ai
diritti dell' offeso .

S. 1838 .

Rimane adesso che teniamo parola della specia


lità che l'azione penale contro la ingiuria presenta
sotto il rapporto della sua estinzione ; e queste
sono la ritorsione, la compensazione (1 ), e la re
missione. Le dico specialità della ingiuria, perchè
non trovo che negli altri delitti perseguitati ad
azione privata (truffa, danno dato, lesioni leggere)
si siano dalla pratica accolti come principio gene
rale tutti cotesti modi di estinzione con quella co
Istanza di beneficio che vediamo accordata loro nei

reati contro l'onore . Melitando sulle cagioni di ciò


non saprei trovarle in altro che nella indole re
lativa delle offese contro l'onore : un nocumento al

patrimonio pecuniario o alla integrità delle mem


bra è quello che è per natura sua, indipendente
mente da qualsisia giudizio che possa formarne la
parte lesa : nelle offese contro l'onore codesto ca
rattere assoluto può non esservi, e la indifferenza
dell'offeso può condurre a guardare come merite
vole di disprezzo il danno derivante dall'oltraggio .
Io non saprei trovare altra ragione che questa di
siflatta specialità : il solo desiderio di promuovere
le paci non basta a spiegarla perchè tale desiderio.
dovrebbe portare ad uguale risultamento in tutti i
reati di azione privata : ad ogni modo la specialità
è certa.
- 256

(1) In proposito della compensazione delle ingiurie è in


teressante a vedersi la nota apposta al § . 1916 ove riassumo
tutta la vecchia dottrina. Ma non è inopportuno che qui rias
suma più specialmente tutta la teorica delle degradanti in
materia di ingiuria : giacchè nelle pratiche e antiche e mo
derne se vi è in generale concordia nei principii fondamen
tali e nelle deduzioni pratiche ; avvi peraltro frequente con
fusione e promiscuità inesatta nella terminologia. Già diffu
samente mostrai alla materia dell'omicidio come i vecchi
pratici scambiassero frequentemente la difesa legittima, la
difesa eccedente e la provocazione : e come fosse necessario
alla esattezza del linguaggio (la quale è stromento indispen
sabile di ogni scienza) che, tenute ferme le regole sostan
ziali, si rettificasse la teorica nelle denominazioni speciali
da applicarsi ai singoli casi. Uguale osservazione si ripete per
le pratiche antiche e moderne nelle scuse della ingiuria. Con
cordia in generale nelle idee ; confusione e promiscuità ine
satta nei nomi. Bisogna distinguere la provocazione, la ri
torsione e la compensazione. Queste sono tre formule che
hanno a comune il precedente della reciprocanza di ingiurie
fra due o più persone . Ma differiscono nel principio razio
nale della scusa, e negli effetti giuridici della medesima :
10 La provocazione (come il giusto dolore che è suo fratello
germano) si invoca da chi ingiuriò persona che già lo aveva
offeso ; ma il suo principio fondamentale e la ragione escu
sante sta tutto nell'impeto ( sdegno o dolore) in quanto il moto
dell'animo soverchiò la ragione e con veemenza sospinse alla
determinazione criminosa. Questo essendo il principio giuri
dico che attribuisce forza scusante alla ingiuria precedente
mente patita rispetto alla imputazione del secondo ingiuriante,
la conseguenza giuridica si è che gli effetti di questa forma
debbano nei casi ordinarii limitarsi ad una degradazione della
imputazione di chi ingiuriò il proprio offensore. Dico nei casi
ordinarii perchè quando la ingiuria patita abbia siffattamente
perturbato la mente del giudicabile da torgli la coscienza dei
propri atti o la libertà di elezione allora si entra in una sfera
257 -
di idee tutta diversa : si entra nella mancanza di dolo, e bi
sogna assolvere. Questa è la forma alla quale esattamente
pertiene la formula, scusa della provocazione : -20 La ritor
sione procede da principii radicalmente diversi. Questa non
è che uno svolgimento della dottrina del moderame dell' in
colpata difesa. La dottrina del moderame si tratta principal
mente alla materia dei reati di sangue perchè sono quelli nei
quali la pratica applicazione della medesima riesce più fre
quente, e più interessante. Ma sarebbe un errore supporre
che quella dottrina pertenga esclusivamente ai reati di sangue.
Errore gravissimo sarebbe cotesto : perchè il fondamento di
quella dottrina è un principio universale che deve rendersi
operativo in tutti i casi nei quali ne ricorrono i termini,
indipendentemente da una o da altra forma di malefizio. Ed
il fondamento universale sta in questo che ogni diritto umano
avendo in sè il necessario contenuto della potestà nel pos
sessore del diritto di tutelarlo colle forze private, la reazione
diretta al solo fine di tutelare il proprio diritto ingiustamente
aggredito diviene legittima quando anche si estrinsechi in una
lesione del diritto altrui purchè non ecceda il bisogno ed i
limiti di proporzione fra il pericolo minacciato e la reazione
violatrice dei diritti altrui. Come si può impunemente ucci
dere l'aggressore che mette a pericolo la integrità del nostro
corpo, cosi deve potersi per difesa dell'onor nostro impune
mente offendere nell' onore colui che per il primo ingiusta
mente mette in pericolo il nostro onore. Tale è il principio
giuridico sul quale si fonda la ritorsione della ingiuria. Non
basta dunque una scusa, una minorante, perchè non si im
plora venia a riguardo di moti passionati che turbarono la
mente del giudicabile. Quando non si agi per vendetta, ma
per difesa del proprio onore si deduce l'esercizio di un diritto
e così si deduce la legittimità del proprio fatto, e bisogna
andare alla impunità. Tutta la questione è di fatto. Verificare
la causa, il movente della reazione ; e verificare se si trascese
oltre i bisogni della difesa. Ma quando le circostanze del fatto
escludano il fine della difesa sarà un errore il dire che in
VOL. III. 17
258
simile caso la ritorsione ha effetti semplicemente scusanti.
Questo è inesatto. In simile caso bisogna dire che non con
corre la dirimente della ritorsione, ma invece concorre la
provocazione, e dare alla situazione del fatto la sua vera de
nominazione giuridica . La prima conseguenza dunque che
deriva dal distinguere la ritorsione dalla provocazione sta nella
diversità degli effetti, dirimenti in quella, e semplicemente
minoranti in questa. L'altra conseguenza non meno impor
tante di quella differenziale trovasi nella condizione dello
intervallo. Dove la eccezione del giudicabile fondasi sull'im
peto della passione è ben naturale che la reazione non sia
scusabile quando si viene alla medesima dopoche trascorse
dalla cognizione della ingiuria patita un tempo che faccia
presumere cessata la foga della passione. Dove per lo con
trario la eccezione si fonda sul bisogno della difesa del pro
prio onore lo intervallo non ha più senso giuridico. La causa
di assolvere stando nella legittimità della difesa la reazione
si mantiene legittima anche per lungo tempo finchè dura il pe
ricolo del proprio onore e il bisogno di difenderlo ritorcendo la
-
ingiuria : 30 Finalmente la compensazione (§ . 1758 e §. 1916
nota 1) si fonda sopra principii del tutto diversi e speciali
alla ingiuria ; ed opera speciali effetti . Non procede la com
pensazione delle ingiurie da un improvviso turbamento del
l'animo : non procede da esercizio legittimo di un diritto.
Procede soltanto dalla natura privata dell'azione penale
contro l'ingiuria. È una estinzione reciproca di un mutuo
debito la quale si proclama dalla legge e che si opera ipso
jure estinguendo entrambo i debiti a favore di ambedue co
loro che mutuamente si cambiarono ingiurie anche dopo
qualsiasi intervallo di tempo. Pronunciatissimi dunque sono
i caratteri che distinguono nelle ingiurie queste tre figure.
della provocazione, della ritorsione e della compensazione. È
vero che nella pratica tavolta si usurpò un nome invece
dell' altro perchè dove nel caso concreto non importava di
stinguere non si ebbe cura di aderire alla rigorosa esattezza
del linguaggio, mentre si aderiva però alla regola sostan
1
――――――― 259

ziale conveniente al fatto. Ma sarebbe in grande abbaglio


chi da qualche inesatta locuzione pretendesse di argomen
tarne la unificazione di quelle tre forme , ed insensato sarebbe
governarle tutte con regole generali comuni. Cosi la regola
dello incontinenti che è verissima nel tema di provocazione
è una scempiaggine in faccia alla compensazione ; e come il
debito di cento da me contratto verso Cajo nel 1874 la legge
lo compensa col credito di cento che acquistai su Cajo il 1875 ;
così la querela di Cajo per ingiuria a lui fatta da me nel
gennaio, si elide con la querela che io muovo contro Cajo
per ingiuria che egli mi fece nel marzo : e quanto alla ritor
sione non è il criterio numerico quello che può farne cessare
il diritto, ma il criterio della cessazione del bisogno . Boe h
mero, Ad Carpzovium practica nova, pars 2, quaest. 98,
observ. 5 - Bonfino, Ad bannimenta, appendix 3, cap. 27,
n. 6 - Stryki o, De ritorsionis jure, vol. 6, disputat. 20,
cap. 1, n. 13 Arumeaus , Discept. 24, thes. 11
Carpzovio, Decisiones, decis. 227, n . 1 et seq. E l'animo di
ritorcere per difesa si deve presumere in caso di dubbio .
Klock, cons. 187, tom. 3, n. 268. E la legittimità della ri
torsione a difesa sottrae da pena anche le ingiurie ritorte
contro pubblici ufficiali . Corte di Grenoble 21 aprile 1825. E
non è necessario che la prima ingiuria fosse punibile. Ca r
not, Commentaire au code penal, art. 471 ; circostanza che
nuovamente mostra la necessità di distinguere la compensa
zione della ritorsione. Ciò che costituisce l'estremo cardinale
della ritorsione e della compensazione è il mero nesso ideo
logico fra la prima ingiuria e la seconda. In faccia al nesso
ideologico esce affatto di scena la considerazione dell' impeto,
come affatto di scena (eventualmente secondo i casi) può
uscire ogni considerazione cronologica . Questa specializza
zione dei caratteri della ritorsione, che la distinguono dalle
altre due formule, scusante cosi nella causa giuridica come
nelle condizioni e negli effetti, io la trovo lucidamente svolta
dal Meyer nel suo Collegium Argentoratense, vol. 3, pag. 479
dove in appendice al suo titolo de injuriis, aggiunge un par
260 -
ticolare trattato de jure retorsionis che è completo sulla ma
teria, e che in modo chiarissimo ne fa risalire la distinta
nozione, a diversi frammenti del giure romano.

§. 1839 .

In ordine alla ritorsione ne ho già detto di so


pra (§. 1758 e segg. ) quanto faceva mestieri : ed
anzi la connessione delle idee mi obbligò ad an
ticipare allora parecchie osservazioni intorno alla
compensazione, che avrebbero trovato la propria
sede al presente luogo. Ripeterò che la massima
paria cum paria compensantur è stata a mio cre
dere intesa con troppo rabinismo quando se n'è
concluso che fra due ingiurie disuguali non sia per
regola ammissibile la compensazione, e si è cre
duto perciò che la reciprocanza delle ingiurie non
dovesse mai accogliersi (neppure entro certi limiti)
come circostanza scriminatrice, quando esisteva di
suguaglianza di gravità fra i rispettivi oltraggi .
Quella massima è tratta dal giure civile ; ma nel
giure civile essa si intende e si applica col debito
riguardo alla concorrenza . I due debiti si compen
sano e si estinguono (mutua actione tolluntur)
fino a quanto è possibile la reciproca elisione. Chi
ha un debito maggiore allega utilmente la com
pensazione contro l'avversario che ha il debito mi
nore, e quella si opera fino a concorrenza del de
bito minore . Ciò è indubitato. Perchè agli effetti
penali (dove è ammessa in principio la utilità della
compensazione) non deve egli procedersi con iden
tica economia ? Forse il dubbio nasce da questo che
l'azione penale si consideri come individua , men
261 -

tre è sicuramente dividua l'azione al credito. Ma


se l'azione penale è veramente individua sotto un
punto di vista astratto, non diviene essa dividua
nell'ultimo resultato della condanna ? Ad ogni modo
cotesta regola come la vidi accogliere in pratica mi
apparve sempre repugnante al senso morale . Se io
tacciai di birbante chi mi aveva di uguale taccia
colpito andrò esente da pena ; e dovrò invece es
sere inesorabilmente punito se tacciai di birbante
chi mi aveva atrocemente ingiuriato o flagellato di
colpi ? Se non piace per una sottigliezza rigorosa
adottare la formula della compensazione, si adotti
la formula della ritorsione, del giusto dolore , od
altra consimile ( 1 ) ; ma non si venga allo intolle
rabile risultamento che io debba incontrare la pena
per la singolare ragione che il delitto dell'altro è
più grave .

(1 ) La vecchia Rota Fiorentina usò talvolta la formula


della punibilità dell'eccesso quando trovò a fronte due ingiu
rie reciproche che le apparvero disuguali di gravità ; vale a
dire esentò da pena la ingiuria minore ; esentò la ingiuria
maggiore da una parte di pena fino a quella che reputò
estinta per la concorrenza compensatrice ; e puni il di più
come eccesso ed in ragione soltanto della differenziale. Que
sta formula in un caso in cui deducevasi compensazione fra
uno schiaffo ed ingiurie verbali la trovo nettamente stabilita
da una sentenza della Rota Fiorentina del 13 agosto 1829
in affare di Campiglia contro Giuseppe Santi, riferita da C a
tellacci, nel suo repertorio alla parola ingiuria. Dove la
legislazione penale dichiara le ingiurie perseguitabili soltanto
a querela di parte, e mantiene l'azione pubblica indistinta
mente contro tutte le percosse quantunque leggiere, diviene
importantissima la questione se lo schiaffo debba conside
― 262 -

rarsi come una contumelia e così come delitto quietanzabile,


o piuttosto come una lesione o colpo inesorabilmente perse
guitabile ad azione pubblica. La corte di Cassazione di To
rino con giudicato del 18 gennaio 1866 ha molto saviamente
deciso che l'art. 583 del Codice sardo che punisce la contu
melia e la ingiuria reale , sia applicabile anche al fatto di
uno schiaffo quando le circostanze di causa e di persona
mostrino che fu ammenato non con intenzione di recare un
male fisico ma a fine di vilipendio. Anche in Francia si agitò
con divergenza di opinioni siffatta questione. La giurispru
denza anteriore al 1810 aveva colà seguitato la massima più
severa con diversi giudicati dichiarando indeclinabile dallo
schiaffo la indole di percossa e le sue conseguenze giuridi
che cosi in ordine all'azione come in ordine alla penalità :
Cassazione 27 nevoso an . X ; 26 brumaio an. XII ; 19 otto
bre 1809 ; 25 gennaio 1810 ; 16 agosto 1810. Il gretto ri
guardo ad ogni piccola differenziale fra le ingiurie recipro
cate, pel fine di escluderne la compensazione fu portato da
alcune pratiche al massimo rigorismo. Così il Bergero ,
(pars 2, resp. 194) , negò la compensazione fra le ingiurie
atroci e le leggiere vedi anche Carpzovio, quaest. 97,
n. 44. Così l' Harpprecht (dec. 105, n . 58) insegna non
doversi ammettere compensazione se uno tacciò l'altro di
ladro e questi rispose, sei un omicida e un adultero : lo stesso
aveva insegnato Giovanni Harpprecht , nel commen
tario alle Instituta tit. de injur. §. 1, n. 87. Cosi Lengau
(pars 3, dec. 81, n. 2) , nega la compensazione fra la ingiuria
verbale e la reale. Ma più filosofo sempre di tutti gli altri
criminalisti dei suoi tempi il Le y ser ( spec. 573, medit. 1, 3),
riprovò coteste difficoltà nello ammettere la compensazione
I
delle ingiurie, dicendo che le medesime non erano buone ad I
altro che ad aumentare le sportule dei giudicanti ; e sostenne
non doversi avere rigoroso riguardo ad una ineguaglianza ,
la quale se si fosse strettamente obbedita avrebbe renduto
quasi sempre impossibile la compensazione che è rimedio uti
lissimo e favorevole : ed assodò la propria opinione sull'ar
263
gomento desunto dalla l. 47 ff. soluto matrimonio, dove si
ordina la compensazione fra il lenocinio e l'adulterio quan
tunque siano delitti tanto disuguali. Il Codice di Bolivia
dell'anno 1831 (art. 670) ammette la compensazione indistin
tamente per le ingiurie reciproche qualunque sia la loro re
spettiva natura ; ma prevede la ipotesi che la contesa abbia
cagionato scandalo, ed in ragione di questo dà facoltà al
giudice di punire ambedue con un arresto non maggiore di
quindici giorni. Ma è necessario che io torni su quanto ho
detto di sopra in ordine alla questione se lo schiaffo sia a
punirsi come percossa anche quando è stato ammenato col
solo animo di arrecare ingiuria. In questi termini la Cassa
zione di Torino nel 1866 ha detto costituirsi la ingiuria e non
la percossa : io elogiai questa giurisprudenza. Ora il Profes
sore Turbiglio in apposito discorso , inserto nell'Eco dei
Tribunali, n. 2354, ha vivamente censurato il giudizio di
quella Corte Suprema e la mia adesione. Il giudizio della
Corte Suprema egli censura per argomenti tratti dalla lettera
e dalle sanzioni del Codice sardo : ma ormai ho detto più
volte che le questioni scientifiche non si debbono sciogliere
col testo di uno o di un altro Codice, mentre quel testo non
dà alla scienza una ragione di decidere, ma vale soltanto come
opinione di un Dottore. Io non scendo dunque su questo
terreno, il quale niente mi riguarda. Che se con argomenti
tratti dal giure positivo io volessi discutere la questione mi
sarebbe agevole ritorcere ad uno ad uno i principali argo
menti del Turbiglio richiamando la mia opinione al Co
dice toscano. Infatti il Turbiglio fa gran forza sullo in
conveniente della troppo leggiera pena che incontrerebbe lo
schiaffo se si considerasse come ingiuria, e ne tragge una
ragione determinante per doverlo punire come percossa, giac.
chè egli dice che se la ingiuria offende soltanto l'onore, lo
schiaffo offende l'onore e più offende il corpo. E bene : tutto
questo ragionamento si ritorce dal Codice toscano contro il
Turbiglio . Appo noi per l'art . 331 se lo schiaffo è una
percossa si prosegue a sola azione privata, e non incontra
261 ―――――
altra pena che il carcere da sei a trenta giorni. Al contrario
se lo schiaffo appo noi si punisce non come percossa ma come
ingiuria esso per l'art. 368 , § . 2 , lett. b incontra la pena del
carcere da quindici giorni a sei mesi quando sia ammenato
in pubblico o a persona meritevole di rispetto : vedasi Puc
cioni, Commentario al codice penale, vol. 4, pag. 652. Sicchè
le considerazioni stesse del Turbiglio della duplice offesa
dell'onore e del corpo derivante dallo schiaffo sarebbero per
noi concludentissime per dire che lo schiaffo è una ingiuria
e non una percossa, se la questione io volessi discutere sulla
norma del nostro diritto costituito. E ciò mostra agli studiosi
quanto sia vizioso modo di argomentare quello di chi pretende
combattere la opinione di un cattedratico col testo del Codice
penale sotto il quale vive il censore. Ma la questione scien
tifica vuole essere esaminata secondo i principii fondamentali
di ragione, astrazione fatta sempre dai dettati del giure po
sitivo. Ora il Turbiglio scendendo su questo campo cri
tica la mia adesione al giudicato della Corte Suprema, con
futandomi con ciò che io stesso aveva scritto alla nota al
§. 1752 ; e se le mie parole a quel luogo servirono a condurre
in errore il Turbiglio io devo ringraziarlo della troppa
deferenza che ha mostrato verso di me, e chiamarmi solo in
colpa dello errore nel quale egli è caduto; giacchè veramente
in quella prima nota del §. 1752 (come lo dimostro con l'ag
giunta fattavi di sopra) io era veramente caduto in errore
dando troppa generalità ad una osservazione la quale in certe
applicazioni diviene viziosa e sofistica. Leggendo la mia cor
rezione alla nota del §. 1752 si comprende agevolmente che
anche nella questione dello schiaffo la condizione dell'animo
dello agente deve essere prevalente per la determinazione del
titolo . Sia pure che colui il quale ammenò lo schiaffo per solo
fine d'ingiuriare abbia ancora voluto percuotere. Nè io nè la
Corte Suprema impugnammo che lo schiaffo materialmente
fosse una percossa. Inutile dunque è tutta la erudizione con
la quale Turbiglio si affatica a mostrare che nella voce
percossa rientra lo schiaffo. Ciò non s'impugna da noi, perchè
―――― 265 -

non neghiamo che lo schiaffo offra lo elemento materiale della


percossa. Ma un delitto non si costruisce col solo elemento
materiale. Esso si differenzia da titolo a titolo mercè lo ele
mento intenzionale ; e ad ogni piè sospinto nello studio delle
specialità criminose si trovano esempi di una identica mate
rialità che, sebbene identica, sempre può presentare molti
titoli diversi di reato sostanzialmente difformi secondo la
varietà del fine. Cosi chi tagliò il mio albero è responsabile
di danno dato se lo tagliò a fine di vendetta ; responsabile
di ragion fattasi se lo tagliò per riconquistare il possesso ;
responsabile di furto se lo tagliò per asportarlo e farlo suo.
Col ragionamento dell' avversario nostro dovrebbe dirsi al
ladro dell'albero ; sia pure che tu lo tagliassi a fine di furto,
ma pure volesti tagliarlo, e volontariamente danneggiare l'al
trui proprietà : dunque ti applico la pena del danno dato e
non quella del furto o della ragion fattasi : lo che sarebbe un
errore non ammesso mai da nessuna pratica. Non è vero che
per noi si pretenda che la criminosità del fine escluda la cri
minosità del mezzo. Tale rimprovero è ingiusto. Noi sosteniamo
che la criminosità del fine determina la criminosità del mezzo,
cioè attribuisce al reato la sua più vera nozione. Cosi la cri
minosità del fine di lucro modifica la criminosità della ucci
sione servita di mezzo, convertendo il titolo di omicidio in
quello di latrocinio, perchè si suppone che siasi ucciso con
volontà di togliere la vita . Ma se la volontà e la previsione
della morte sparissero, si avrebbe un furto qualificato dalle
violenze ; e non un latrocinio, perchè quella azione s'infor
merebbe dal fine di rubare e non dalla intenzione di uccidere
come mezzo a rubare. Cosi se con lo schiaffo si fosse cagio
nata grave contusione alla faccia o fiaccato un dente, sarebbe
audace pretendere che colui avesse agito con sola intenzione
di ledere l'onore e non con la intenzione di ledere il corpo.
Ma quando -le circostanze dimostrano che lo schiaffo si am
menò a solo fine di ledere l'onore ; e questa dimostrazione
si conforta dal nessun danno recato al corpo ; niente giova
lo opporre che la percossa è percossa ancorché non rechi danno
266
al corpo, mentre con ciò si falsa la questione, perchè quello
che da noi si nega nello schiaffo non è la materialità della
percossa ma è la intenzione diretta a recare dolore fisico . La
questione è di puro fatto, e non di diritto : tutto dipende dallo
accertare che non si volle recare dolore fisico, ma soltanto ol
traggiare l'onore . Accertato ciò sparisce il titolo di lesione
personale e non rimane che il titolo d'ingiuria. Nel modo
stesso è elementare nelle scuole, e concordato da tutte le
odierne legislazioni , che il ladro sacrilego non è responsabile
di sacrilegio, ma di furto qualificato. E perchè ciò ? Per la
già addotta ragione, non compresa bastantemente dagli av
versari nostri, vale a dire che il fine di locupletarsi esclude
la intenzione di vilipendere la religione, intenzione essenziale
al sacrilegio come a tutti i delitti che si determinano per
l'oggettivo della religione . Anche qui potrebbe ripetersi il
sofisma che da noi si pretenda escludere la criminosità del
I
mezzo mercè la criminosità del fine : ma anche qui tutti ri
spondono con noi che il fine non esclude ma modifica la cri
minosità del mezzo, inquantochè quel fine speciale togliendo
al delitto mezzo il particolare elemento intenzionale che ne
farebbe una figura principale e di per sé stante, lo toglie da
quel titolo al quale parrebbe riferirlo la sua materialità, e ne
riduce la criminosità alla forma di appendice al delitto fine
che rimane principale determinatore del titolo. Se la donzella
rapita pati per parte dei suoi rapitori qualche offesa nel corpo,
il fine speciale informa tutta l'azione ; e dove la rapita dia
la quietanza per il ratto sarebbe assurdo sperimentare l'a
zione per le violenze recate al corpo sotto il pretesto che
quelle violenze si vollero recare. È vero che si arrecarono
volontariamente , ma come mezzo a rapire, e al titolo di lesione
mancò la intenzione diretta a ledere il corpo. Quando il So
vrano ha coperto con un' amnistia tutte le resistenze alla
forza pubblica, potrà egli permettersi che il carabiniere insista
perchè s'infligga la pena per gli urti e percosse arrecate a
lui per resistere ? Si era percosso il carabiniere , e volonta
riamente percosso : il mezzo era criminoso ; ma la crimino
-- 267

sità del fine lo assorbiva, e determinava una volta per sempre


il titolo del reato. Non è una specialità della teorica dello
schiaffo quella che noi sosteniamo : è un cardine universale
regolatore della classazione e della nozione dei singoli delitti :
cardine pacificamente accettato da tutte le odierne scuole , ed
applicato in mille diverse ipotesi in tutte le pratiche.

S. 1840.

Quello che vi ha di certo nella materia della

compensazione delle ingiurie si è che questo modo


di perenzione deve decretarsi dal giudice di uffizio
anco a dispetto della parte che ricusi di compen
sare la compensazione si opera ministerio legis.
A questa massima ottenni sanzione da un giudi
cato della Corte di Cassazione ( 1 ) di Firenze . Una
donna, ostinata e vendicativa, quanto è di natura
il suo sesso, si opponeva col mezzo del suo abilis
simo difensore alla compensazione delle ingiurie che
si erano fra lei ed altra donna reciprocate. Non
m' importa, diceva essa, di andare in carcere pur
chè vi vada anche la mia avversaria . La Corte
parve esitare un momento, ma poi gettandosi sulla
massima, nemo auditor perire volens ammise la
compensazione .

(1 ) Si veda nel volume 3 dei mei Opuscoli, la Teorica della


compensazione delle ingiurie, opusc. XL.

§. 1841 .

Un'altra regola che vidi pure accogliersi in pra


tica, e che formò sempre argomento dei miei ri
spettosi dubbi, si fu quella che per ammettere la
268 -

compensazione fosse necessaria la querela di ambe


le parti. Chi m ' impedisce di proporre in exce
ptione quei diritti che potrei proporre in actione?
Sia pure che se io querelato per ingiuria non ho
dato alla mia volta querela per le ingiurie infe
ritemi dal mio avversario, la giurisdizione del giu
dice a conoscere di queste ingiurie non possa dirsi
da me eccitata . Ciò sarà vero ad finem punitionis,
ma non lo credo vero ad finem defensionis. Del
fatto delle ingiurie recatemi dall' avversario non
potrà il giudice conoscere per dichiararlo delitto
punibile, e sottoporlo a condanna, stante la man
canza di querela per parte mia ; ma della esistenza
del fatto, e di ogni altro suo effetto giuridico il
giudice è competente a conoscerne in quanto se ne
modifichi il delitto mio, perchè è competente a co
noscere tutti quei fatti pei quali il delitto mio si
modifica. La giurisdizione su questo induce per giu
ridica necessità la giurisdizione su tutti quelli, ed
anzi a lui corre il preciso dovere di prenderne co
gnizione (1 ) .

(1 ) Falsano lo spirito di questa dottrina quei giudici che


si mostrano schifiltosi ad ammettere la compensazione fra le
ingiurie reciproche, creando difficoltà in una materia che in
vece dovrebbe aversi come favorevole perchè in fin dei conti
è sempre una pena ai garruli competitori il vedere assoluti
i loro avversari . I più accorti fra i pratici appianarono sempre,
invece di crearli, gli ostacoli alla compensazione : e non è
nuovo che per ammetterla a favore di un ingiuriante si valuti
ancora una offesa a lui recata non nell'onore ma nella pro
prietà. Cosi l'Hertius (Decisiones, vol. 2, devis. 760), ricorda
un giudicato che valutò a tal uopo un guasto di chiusura ed
un ingresso violento nel domicilio, a cui si era risposto con
- 269 Senticin
ingiurie. Il materialismo di chi cerca la parità delle offese
avrebbe detto che quel primo fatto non era una ingiuria nel
senso di offesa all'onore, e perciò avrebbe condannato. Ma o
si usi la formula della compensazione, o si usi quella della
ritorsione, o si dica che la provocazione è in questi reati una
dirimente, certo è che il giudice filosofo al quale si denunzino
due delitti reciprocatisi che sono entrambo di azione privata
dovrà usare ogni studio per sopprimere un processo emu
latorio.

S. 1842.

Accettasi pure senza contrasto dai pratici la re


gola della non cessibilità dell' azione penale. La
facoltà di muovere od arrestare a piacimento no
stro il corso della giustizia punitiva per le ingiurie
a noi recate , non può estendersi fino al punto di
darci balia di speculare sulla vendetta, e negoziare
l'azione ed i danni come farebbesi di ogni altro
nostro diritto . Ciò si ricongiunge al principio ge
nerale della non trasmissibilità delle azioni penali
di cui l. 15, §. 14 ff. de injur. et fam. libell. (1 ).
Altra regola non controversa in proposito della
compensazione delle ingiurie si è quella che le of
fese di cui s ' invoca la compensazione sieno ante
riori alla data querela . Se per un'ingiuria infe
ritami io invocai la giustizia dei tribunali, io mi
chiusi l'adito ad ogni privata soddisfazione : e se
dopo la mossa querela io trascendo alla mia volta
ad ingiurie contro l'avversario mio, non potrò (salvo
lo invocare altre scuse ) ricorrere alla compensa
zione per evitare la pena di queste . Tale regola
s'insegna in termini dallo Strykio (De jure sen
――― 270 -

suum, 9, 4, 8) nè trovo che abbia incontrato oppo


sizione, e mi sembra ragionevole.

(1) Questa regola risale ai più antichi pratici : De Grassis,


De cessione juris, §. 3, n. 1, vers. nunquid actio injuriarium
cedi possit Jacobus De Arena, De cessione actionum,
n. 34, vers. item et alia ratione Belviso , Praxis crimin.
lib. 1, cap. 3, n. 79 ― ― ― ― ― Marco, Dec. delphin. pars 2, quaest. 72,
n. 1 Schneidewino , in §. 1, instit. de public. judic.
n. 6 - Lauterbach, Dissert. disput. 111, thes. 39 — Sande,
Decis. frisicae, tom . 8, lib . 5, dec. 4 : e pienamente Lenzio
(De nominibus cessis, cap. 20, memb. 9, pag. 227), il quale
conforta la regola con la l. 1, § . haeredem ff. de privatis de
lictis. E la regola fu estesa fino al punto di negare la tra
smissibilità non solo dell'azione ad poenam ma anche del
l'azione ad palinodiam : M e vi o, pars 2, dec. 136 Brun
nemann, Commentar. in l. 13 ff. de injur. n. 3.

S. 1843 .

La remissione può essere o espressa, o tacita.


Niente è da osservare circa la remissione espressa.
O abbia la forma unilaterale, o la forma di con
tratto bilaterale, o sia gratuita o correspettiva, o
per atto pubblico o per atto privato, od anche sem
plicemente a parola, ciò niente influisce purchè si
trovi seriamente accordato il perdono. La disputa
può nascere soltanto in proposito della persona alla
quale debba darsi o negarsi la facoltà di quietan
zare. In genere rispondesi che spetta all'offeso , e
questo senza difficoltà s'intende nel caso semplice.
Ma quando siamo in un caso misto, perchè l'of
feso sia sottoposto all'altrui potestà o patria o ma
ritale, nasce allora una questione delicatissima . Il
271

marito potrà egli dare all'offensore della moglie


utilmente quietanza a dispetto della donna oltrag
giata che vorrebbe insistere nella querela, lo potrà
il padre a dispetto della figlia ? Io ebbi il caso in
questi ultimi termini nel 1860. Una giovine di di
ciotto anni era stata ingiuriata sul conto della sua
pudicizia rendutasi querelante si vide opporre alla
udienza una quietanza accordata dal padre di lei.
Io diceva inattendibile quella quietanza, perchè
nella patria potestà non riconosceva la balia di di
sporre dell'onore della figlia. Si obiettava la re

gola pratica indubitata che il padre può dare querela


per le ingiurie recate alla figlia, come il marito ( 1 )
per le ingiurie recate alla moglie, ed anche contro
la volontà respettivamente del figlio e della mo
glie ; e per l'ordine dei contrari se ne desumeva
che dalla potestà di dar querela emergeva la po
testà di dar quietanza . Io rispondeva che codesta
regola aveva sua ragione nella teorica delle ingiurie
indirette. Laonde al padre o al marito doveva bene
darsi facoltà di querelare, in quanto la ingiuria
riverberava sopra di lui ; ma che diversa ragione
procedeva in proposito dell'onore direttamente ol "
traggiato nella moglie o nel figlio . La causa fu
portata da altro avvocato alla Corte di Cassazione
di Firenze, la quale giudicò per la efficacia della
quietanza, movendo dal principio della patria po
testà . Ho trovato poscia che la questione sembra
risolversi nel medesimo senso dal Lauterbach,
dissert. 1, thes. 16 ; vedasi però anche la dissert.89,
thes. 13, n . 2 , e Ludvell, Exercitat .pag . 272, lit. c.
- 272 ―

(1 ) Comunemente s'insegna che il marito può dare querela


per le ingiurie recate alla moglie, ma la moglie non può dare
querela per la ingiuria recata al marito : Puccioni, Com
mento, vol. 4, pag. 655 - Mundius , De diffamationibus,
cap. 4, n. 12 Sorge, Enucleationes, tom. 9, cap. 9, n. 9 ·-
Farinaccio, De var. et extraord. crim. quaest. 105, n. 169.
Fondamento di codesta dottrina è il responso di Paolo ,
alla leg. 2 ff. de injuriis - quod si viro injuria facta sit uxor
non agit, quia defendi uxores a viris, non viros ab uxore ae
quum est. È però evidente per la stessa ragione allegata in
questo frammento che il medesimo non potrebbe obiettarsi
quando la moglie querelante si facesse a sostenere che nella
ingiuria si contiene una offesa indiretta contro l'onore di lei .
È grave disputa però se possa l'azione concedersi al fratello
e cognato per la ingiuria recata al loro congiunto. La nega
tiva fu recisamente sostenuta da Lauterbach, disp. 19,
thes. 76, e dall ' Anton Mattheo , lib. 47, tit. 4, cap. 1,
n. 11; i quali , esaminando la questione sotto il punto di vista
del giure romano, addussero come ragione sicuramente ga
gliarda della dottrina loro l'argomento desunto dal §. patitur
Instit. de injur. che per contrario senso dimostra non darsi
al padre l'actio injuriarum per gli oltraggi recati al figlio
emancipato. Laonde se ne concluse che i romani non des
sero la querela di ingiurie in ragione del solo affetto verso
l'ingiuriato, ma in ragione soltanto della potestà o patria o
maritale o dominicale : e qui cade l'esame della l. 15 , §. 24 ff.
de injuriis e della l. 1, §. 3 ff. eodem titulo. Generalmente
però si ammette che quando la ingiuria offende tutta la fa
miglia, i membri della medesima possono promuoverne la
persecuzione anche a dispetto di colui che sarebbe stato in
giuriato : Gregorio, Syntagma, pars 2, lib. 38, cap. 3,
n. 12. Cosi il Brunnemann (Responsa, consil. 22, n . 11),
insegnò che la ingiuria recata alla famiglia poteva persegui
tarsi ancorché il capo di famiglia fosse venuto a morte senza
muoverne querela. Sulla trasmissibilità agli eredi e cessibi
lità ai terzi dell'azione di ingiuria dissertò Forti, Conclu
273 ―――――
sioni, pag. 279 - Melchiorri, Miscellanee volgari, cap. 22,
n. 10 - Boehmero, exercitatio 96, cap. 3, §. 7. Il re
sponso di Paolo, e le analoghe regole vogliono essere intese
sempre subordinatamente alla teorica della ingiuria mediata.

S. 1844.

Può ella ammettersi una remissione condizio

nata, per esempio, rinunzio alla querela purchè tu


non torni ad ingiuriarmi ? E se la condizione manca
per rinnovata ingiuria riviverà essa la prima que
rela ? In faccia alla giurisprudenza comune io cre
derei che no, per il grande favore in che si ten
gono le paci ; e perchè i pratici ( 1 ) trovano una
certa difficoltà a far rivivere l'azione penale, sem
pre odiosa, dopo estinta una volta. Ciò nonostante
il Codice sardo ha ammesso anche la condizione
implicita, quando all'art. 130 ha stabilito per re
gola che in caso di recidiva risorgano le azioni pe
nali pei delitti precedenti quantunque utilmente
quietanzati.

(1) Vedi Mastrillo , decis . 38. E comunemente si inse


gna che rimessa una volta la ingiuria non può più tornarsi
alla querela contro quella neppure per nuove quantunque
gravissime ingiurie ripetute dopo la pace : Fabro, In codi
cem, lib. 9, tit. 20, def. 12.

S. 1845.

La remissione tacita vuole essere studiata nel


suo principio fondamentale subordinatamente alla
regola che la remissione incontra il favore della
legge, il principio fondamentale si è che ogni
VOL. III. 18
- 274 -

qualvolta uno ingiuriato abbia posto in essere po


steriormente alla ingiuria patita tali atti che siano
incompatibili con la perseveranza dello sdegno , del
risentimento per la ingiuria, e della intenzione di
ottenerne riparazione , questo suo contegno induce
per necessità logica la volontà di rimettere la of
fesa : ed il perdono una volta fermato nell'animo
non può più revocarsi . Coerentemente a tali prin
cipii i pratici sono scesi in esemplificazioni svaria
tissime che troppo lungo sarebbe lo enumerare .
Cosi il saluto che lo ingiuriato dopo la ingiuria
abbia allo ingiuriante restituito anche col semplice
torsi il cappello ; gli atti di benevolenza, i discorsi
confidenziali ( 1 ) ed altri simili , sono generalmente
riconosciuti come irretrattabili manifestazioni del
l'animo di condonare la ingiuria. Non occorre no

tare che la remissione tacita risulta dall'avere pro


mosso l'azione civile per chiedere la refezione dei
danni cagionati con la ingiuria. Vale il broccardo
electa una ria non datur altera: e fra le forme

di remissione tacita questa può dirsi la più recisa


ed esplicita (2) . Vi è incompatibilità fra il chie
dere i danni dal tribunale civile per causa di un
dato fatto, e mantenere la volontà di eccitare la
giurisdizione punitiva per ottenere cotesta ripara
zione insieme alla pena. Nel modo stesso che chi
fece se medesimo giudice della riparazione ritor
cendo la ingiuria, con avere eletto la via della
riparazione privata si presume avere rinunziato alla
riparazione pubblica : cosi colui che invocó la giu
risdizione limitata del giudice civile mostrò con
tentarsi della riparazione che questi era competente
a dargli e di rinunziare alle ulteriori riparazioni
- 275 --

che eccedevano la competenza di lui . È questo un


principio generale in tutti i delitti di azione pri
vata, come vedremo in proposito della truffa , ed
altrove . Questa presunzione della legge forse non
sarà sempre del tutto conforme alla volontà vera
dell' offeso, perchè potrà benissimo accadere che
egli elegga la via civile con animo di ricorrere
alla via penale dipoi, non avvertendo al pregiudi
zio che quella gli reca. Ma ciò nonostante cotesta
presunzione si considera come juris et de jure, e
non si ammette prova in contrario. Ciò non è di
sputabile in faccia alla dottrina universale che si
occupa non solo di studiare l'effetto che l'azione
civile promossa dall'offeso può esercitare sul giu
dizio criminale (3), ma determina ancora l'irrepa
rabile pregiudizio che nei delitti privati essa fa
sorgere contro la querela penale . Può peraltro
nascere questione su due emergenti : → 1.º sul
l'ampliazione della regola per causa di analogia : -
2.° sulla specialità della protesta da cui sia stata
accompagnata l'azione civile .

(1) Cosi i pratici valutarono come causa di remissione ta


cita il semplice saluto (Carpzovio, Jurisprudentia, pars 4,
constit. 46, n. 5 — Damhouder, Praxis rer. crim. cap. 138,
n. 21 - Christianeo, In leges Municipales Mechlinien
ses, tit. 2, art. 4, n. 5 -- Purpurato, consil. 366, n. 10),
anche consistente nel solo cavarsi il berretto : Baldo ,
Imola e Castrense, In l . filio quem ff. de liber. et posth.
I Bergero, però (electa jurisprud. obs. 65, §. 2) riporta
un giudicato del 1698 nel quale fu mantenuto il corso alla
querela di ingiuria quantunque si fosse giustificato che l'of
feso dopo l'arrecato oltraggio aveva continuato a salutare ur
banamente il proprio offensore. Cosi la blanda conversatio :
―――― 276 ―――――

Menckenio, Systema juris civilis, lib. 47, tit. 10, §. 18,


-
pag. 810 ―― Strykio, vol. 2, dissert. 7, cap. 6, n. 16
Wernher, Observation. forens. tom . 1, pars 1, observat. 137,
pag. 119 : i quali però limitano la regola quando la conver
sazione siasi fatta per una qualche propria necessità : e ciò
è ben ragionevole, poichè la remissione desunta dalla fami
gliarità successiva alla ingiuria non ha una base di diritto
assoluta ma una semplice presunzione, la quale perde ogni
vigore in faccia a cause urgenti di dissimulare la ingiuria.
Cosi il porgere la mano : Strykio, vol. 4, dissert. 7, cap. 3,
n. 26 - Matteo Wesembecio, In paratit. in l. 11,
§. 1 ff. de injuriis, n. 13 - Deciano, Tract. crim. lib. 3,
cap. 25, n. 87 - Ruino , vol. 5, cons. 12, n. 12 - Ma
scardo , De probat. concl. 902, n. 23 Vivio , lib. 2,
dec. 330, n. 2. Così lo scherzare o giuocare con l'offensore
od invitarlo a mensa : Diemerbroeck , De injuriis et
fam. libell. §. 20 Ghysen, De injur. et fam. libell. cap. 5,
§. 3. Cosi lo scrivere amichevolmente all'ingiuriante : Fa
rinaccio, De divers. crim. quaest. 105, n. 353. Così il
bacio : Mattheus de Afflicto, De pac. injuriam firm.
§. injuria, n. 118. È osservabile ancora che i dottori trova
rono una analogia fra la teorica della remissione della in
giuria ai fini penali e la teorica della remissione della in
gratitudine e delle cause di diseredazione ai fini civili : Ot
tone, resp. 190, col. 1502, e gli autori ivi citati.
(2) Nè varrebbe ad impedire la rinunzia all'azione penale
la circostanza che l'offeso avesse ricorso alle vie civili dopo
avere proposto la querela criminale ; perchè la rinuncia ad
una azione tanto può emettersi prima di averla sperimen
tata quanto può emettersi dopo averla proposta, e mentre
era tuttora pendente. In questo preciso senso si è pronun
ciato il Tribunale correzionale di Lucca col giudicato in
tema di scrocchio del 20 marzo 1880, proferito sotto la pre
sidenza del dotto giureconsulto Baudana-Vaccolini, che no
mino a cagione di onore.
(3) Mejer, De civilis et criminalis causae praejudicio —
―――――― 277 -
Muller, De civilis et criminalis causae praejudicio. La que.
stione se la remissione della querela criminale induca anche
rinunzia alla ripetizione dei danni trattasi da Novario,
Decisiones Lucanae, decis. 10.

S. 1846 .

La prima questione si risolve generalmente per


la negativa cosicchè la regola si restringe nei puri
termini assoluti di vera e propria petizione di
danni inoltrata avanti al tribunale civile. Un atto

anche giudiciale di mera protesta non indurrebbe


rinunzia ; come non la induce un ricorso che siasi
inoltrato alla potestà economica ( 1 ) .

(1) Questo dubbio si presentò in un caso singolare in Roma


a proposito di una ingiuria fatta contro un frate, per la
quale questi aveva ricorso a Monsignor Vicario, che aveva
ordinato procedersi ad un monito contro l'ingiuriante. Por
tato poscia l'affare innanzi ai Tribunali criminali di Roma
l'accusato dedusse la eccezione della remissione e del non
bis in idem. La disputa sali fino alla sacra Consulta, ma
questa con sua decisione del di 23 marzo 1847 giudicò che
il Vicario non aveva fatto uso che di una potestà econo
mica, e che perciò l'azione penale non era pregiudicata. Que
sta decisione si trova riportata per intero nel Belli , (Gior
nale del foro Romano, anno 1847-48, vol. 1, pag. 160). Diver
samente però dovrebbe decidersi quando nel caso di più
ingiurie patite si fosse proposta formale querela per una sola
delle medesime. Tanto è falso lo assunto di chi vorrebbe
trovare una ingiuria continuata (anzichè un delitto unico)
nel fatto di chi in uno stesso contesto di azione avesse pro
ferito più e diverse ingiurie a danno altrui, quanto è certo
che i Dottori prevedendo il caso che l'offeso avesse mosso
querela per una sola di tali ingiurie (per esempio per la
violazione di domicilio, e non per le contumelie, o per le
- 278

ingiurie reali insegnarono più non essergli lecito di muovere


una seconda querela per le altre ingiurie taciute. E questo
insegnarono sul fondamento della leg. 7, §. si mihi plures ff.
de injuriis, purchè lo ingiuriante fosse la stessa persona, e
la stessa persona fosse lo ingiuriato. Vedi Tabor, Race
mationes criminales, pag. 284, Argentorati, 1651.

S. 1847.

La seconda questione può essere più controversa


e dipende dal valutare l'applicazione della regola
protestatio contra factum non valet. Deve avver
tirsi che vi sono certi reati nei quali per loro spe
cialità la consumazione criminosa ha bisogno ap
punto per completarsi della instaurazione di una
domanda civile . Tali sono (a modo di esempio) la
frodata amministrazione e la truffa ; non potendo
mai dirsi consumato il primo delitto finchè l'am
ministratore non è citato al resoconto, nè potendo
dirsi (almeno in parecchi casi) consumato il secondo
finchè il preteso truffatore non è stato inutilmente
intimato alla restituzione della cosa fidatagli . Cer
tamente in coteste e simili ipotesi non potrà soste
nersi che la intimazione civile fatta per fine di
preparare l'esercizio dell'azione penale, all'azione
penale pregiudichi con manifesta contradizione . Ma
diversa conclusione crederei doversi adottare nel

delitto di ingiuria : e perciò quando l'offeso avesse


chiesto riparazione pecuniaria ai tribunali civili,
per quanto avesse energicamente protestato di voler
poscia ricorrere alla giustizia criminale per otte
nere la pena, opinerei che non dovesse ascoltarsi

e che la protesta fosse atto vano ad impedire la


tacita remissione .
――――― 279

§. 1848 .

Anzi anche senza atti positivi di benevolenza si


è riconosciuta come valevole ad indurre remissione

tacita della querela d'ingiuria non anche data, la


semplice dissimulazione delle ingiurie ; la teorica.
della quale si desume dalla 1. 11, §. 1 ff. de injur.
Cosi fu detto ( 1 ) che colui che avendo ricevuto una
contumelia ad un pranzo continui a sedere a desco
col suo offensore , non può poi per una recrude
scenza di sdegno muovere querela di quella ingiuria .
Dissi però la querela non anche data, perchè sa
rebbe soverchio pretendere che il querelante do
vesse sempre continuare a guardare in cagnesco
il suo offensore o fare atti ostili contro di lui, a
risico altrimenti di veder morta la sua querela.
La coscienza del suo buon diritto lo rende tran

quillo ed ha calmato il suo sdegno. Ma perchè siasi


calmato lo sdegno non è venuto meno il diritto
nè cessata la volontà di esercitarlo, quando questa
volontà siasi manifestata con un atto solenne . L'of
feso che ha posto i suoi diritti in mano della giu
stizia attende che questa faccia il suo debito corso ;
può non serbare odio per cristiana virtů ; può tor
nare nella obbedienza dei precetti di civiltà ; ma
non per questo rinunzia al diritto che ha legittima
mente esercitato, nè a quelle riparazioni che ha
dimandato. L'espresso ha sempre maggior valore
del tacito. È per queste considerazioni che io cre
derei doversi andare con molta cautela nello am
mettere la dissimulazione come remissione tacita
―――――― 280 ―

della ingiuria per atti che sopravvengano dopo la


presentata doglianza.

(1 ) Come argomento di remissione tacita per la dissimu


lazione della ingiuria valutarono i pratici il rimanere al con
vito dopo l'oltraggio ricevuto : Hertius, Decisiones, vol. 2,
decis. 868. Lo Strykio (vol. 5, disp. 7, cap. 3, n. 16)
esprime peraltro dei dubbi su cotesta regola, osservando che
il non avere l'offeso espresso immediato risentimento può
essere derivato da riguardo ai commensali e dal timore di
far nascere grossa lite ; per lo che (sebbene concluda tutius
tamen forte agit injuratus si dolorem suum aperte in prae
sentia reliquorum significet, eoque significato discedat) am
mette la disputabilità di siffatta remissione. Cotesto dubbio
vuol essere guardato sotto un punto di vista più generale
e ridursi alla formula che quando vi fu ragione sufficiente
di dissimulare senza intenzione di disprezzare la ingiuria,
cotesta rinunzia al proprio diritto potrà benissimo eliminarsi
dalla prudenza del giudice. Cosi tutti ad una voce i dottori
enumerano come indizio potente di remissione il bacio dato
all'ingiuriante : e bene a ragione : ma il Tuschio (concl. 146,
n. 24, tit. 1), avverte che se il bacio fu dato in chiesa (na
turalmente in occasione di certi riti cristiani) non si induce
dal medesimo la rinunzia all'azione della ingiuria . In quanto
al silenzio e perseveranza al convito il Carpzovio , nel
suo commentario alla Costituzione sassonica (costit. 46, def. 8,
n. 8) volle si distinguesse se l'ingiuriato era a mensa in
casa terza o no. Se l'ingiuriante e l'ingiuriato erano ambe
due convitati, la dissimulazione si spiega per un riguardo
di civiltà altrimenti sarebbe se si trovassero a mensa in
una taberna od in casa dello stesso ingiuriante ; e riporta
un giudicato in questo senso dell'anno 1630. Lo stesso ri
pete Bechmann, Tractatus juridicus de amore, cap. 9,
pag. 44.
- 281

CAPITOLO IX .

Penalità delle ingiurie.

§. 1849.

L'argomento della penalità nei delitti contro


l'onore richiama ad una ispezione preambula, ed
è quella se nel calcolo della quantità della pena
da infliggersi contro chi commetta ingiuria deb
bano entrare considerazioni estrinseche al fatto

personale del delinquente . Il Mori sostenne aper


tamente la dottrina che la penalità contro le of
fese all'onore dovesse elevarsi ad un grado di se
verità maggiore di quello che sarebbe sembrato
conveniente alla quantità del reato, per la veduta
puramente politica di dare mediante la più grave
pena una soddisfazione sufficiente all'amor proprio
dell'offeso, onde evitare che egli proceda a private

vendette. Modernamente codesto pensiero ha in


contrato plauso appo rispettabili criminalisti. Più
specialmente fra i moltissimi che oggi si vennero
occupando dell'argomento in voga (voglio dire della
repressione del duello) ne incontro parecchi (1 ) che
suggeriscono come mezzo di prevenire le battaglie
private una rigorosa elevazione di pena contro la
ingiuria. La causa per cui si corre spesso al duello
a riparazione dell'onore oltraggiato, è (dicono essi)
la meschinità delle pene che l'offeso otterrebbe,
ove in luogo di farsi giustizia da sè invocasse la
mano del magistrato. L'oltraggiato in codeste pu
nizioni , troppo sovente mitissime, non vede una
282 -

soddisfazione che appaghi il suo risentimento, e


perciò corre alle armi ; promettetegli una penalità
più rigorosa, ed egli si asterrà dalla privata ven
detta. La ragione che si addusse per elevare la
pena contro le ingiurie nel Codice toscano fu uni
camente codesta. In quanto a me, salvo il debito
rispetto verso chi la professa, non saprei trovarmi
tranquillo in tale opinione.

(1) La idea che la elevazione della pena contro la ingiuria


e certe forme nei suoi procedimenti sia da accogliersi per
un fine tutto politico come mezzo di evitare i duelli ; si è
presa recentemente in esame in tre dissertazioni successi
vamente pubblicate in Italia sull'argomento del duello : l'una
dal sig. Alberto Nunes Franco, l'altra dal professore
Emilio Brus a, e l'altra dal prof. Pietro Ellero de
corata questa ultima del premio conferitole dall'Accademia
scientifica di Modena. Di questi tre lavori dette conto Fi
lippo Ambrosoli, nel Monitore dei Tribunali di Milano,
n. 13 del 1866. È ancora a consultarsi il pregevole scritto
dello stesso Ambrosoli , intitolato : Osservazioni sul Co
dice penale del 1859, pag. 334-340.

§. 1850.

Non è questo il luogo in cui io debba esprimere


i miei pensieri intorno alle dolorose cagioni del
.
duello, ed ai modi di prevenirlo : ma intanto mi
piace osservare che io non credo gran fatto alla
influenza che vuolsi trovare nella maggiore o mi
nore penalità minacciata contro la offesa all'onore.
Chi corre alla spada piuttosto che alla querela non
già procede a tale scelta perchè sia ito ad infor
283 ―――

marsi al suo legale, ed abbia saputo che querelan


dosi espone il suo avversario a cinque giorni an

zichè a due mesi di prigionia. Simile supposizione


che può balenare nella mente di un filosofo, il
quale contempla il mondo della criminalità dalla
propria cella , non può accertarsi come una verità
pratica da chi nelle carceri e nei frequenti con
tatti coi rei abbia studiato la dinamica delle pas

sioni che più spingono l'uomo alla violazione del


diritto. La querela si sprezza e si corre alle armi,
non per il calcolo della penalità minacciata al pro
prio offensore, poichè in cotesto calcolo dovrebbe
pure entrare la penalità che s'incontra col proprio
fatto. La querela si sprezza perchè paiono lunghi
all'ira i ritardi della giustizia ( 1 ) e se per la ve

duta di prevenire i duelli mi si dicesse non già di


minacciare pene esorbitanti contro la ingiuria, ma
di ordinare una procedura veloce e quasi istan
tanea che da un'ora all'altra facesse susseguire la
repressione alla offesa, io loderei con tutto il con
vincimento della esperienza il consiglio. Ma più

particolarmente al duello si corre perchè il pre


giudizio della opinione rappresenta come una viltà
querelarsi ed aspettare dal giudice quella soddisfa
zione che l'onore di un cavaliere impone si procacci
da se medesimo. Ecco la vera cagione per cui nella
scelta fra la querela e la vendetta prepondera spesso
il mezzo colpevole al mezzo legittimo di riparazione.
Col rispondere alla querela mediante la condanna
di sei mesi anzichè di sei giorni di carcere voi
non diradicate dagli animi il pregiudizio che sia
atto di viltà querelarsi. Sicchè il criterio che si
vorrebbe aggiungere alla misura della quantità
―――― 284 ―

della pena non ha neppure una realtà sotto il punto


di vista politico .

(1) È singolare in proposito di cotesto pensiero il fenomeno


che viene ricordato dagli storici del diritto penale porto
ghese. Negli antichi tempi non si conoscevano in quel regno
querele d'ingiurie, avvegnachè prevalesse la opinione che
quando un uomo era offeso nell'onor proprio non doveva
chiedere riparazione dal giudice, ma procacciarsela da se
medesimo . La moltitudine dei duelli e private vendette che
conseguiva da tale stato di cose indusse i legislatori di quel
regno, profittando del risorgente culto del diritto romano, a
dettare opportune provvisioni onde si desistesse dai soddi
sfacimenti privati e si pigliasse in amore la riparazione giu
diciale. Sembra davvero che cotesti provvedimenti fossero
efficaci, ma pare altresi che il rimedio soverchiasse il desi
derio di chi lo aveva adoperato . Infatti troviamo che nel se
colo decimoquarto la consuetudine di dar querela per le in
giurie erasi cosi caldamente abbracciata nel Portogallo da con
durre i tribunali alla disperazione per la crescente moltitu
dine di tali querele. A tal segno che Alfonso IV se ne
commosse, e con l'editto del 13 marzo 1393, che è ripro
dotto nelle Ordinanze Alfonsine, lib . 5, tit. 59, §. 1, senti
il bisogno di frenare le querele d'ingiuria, disponendo che
ogni querelante dovesse dare un mallevadore e restare egli
medesimo sottoposto ad una pena se non fosse riuscito
nella prova. Così mostra la storia avvenire tutte le volte che
il giure penale si adopera come una terapeutica senza stretta
aderenza ai sommi cardini scientifici. Si vuol rimediare ad
un male e se ne cagiona un altro al quale presto bisogna
apporre riparo : e così le legislazioni ondeggiano sempre in
certe perchè manca loro la bussola, la quale non è già il
riguardo a convenienze passeggiere, ma è unicamente la
somma verità giuridica che è fondamento del diritto penale
e guida sicura di ogni suo svolgimento.
-- 285 -

S. 1851 .

Ma prescindendo da siffatte elastiche ( 1 ) consi


derazioni, i principii che noi professammo (§. 694
e segg.) intorno al giusto criterio della quantità
della pena, non ci permettono di riconoscere come
giusto qualunque calcolo che proceda da vedute
estrinseche alla quantità del delitto . Le stesse ra
gioni per le quali noi riprovammo col Carmignani
come viziosa la dottrina che consiglia un aumento
di pena o per la difficoltà della prova o per la fre
quenza di un delitto o per altre empiriche consi
derazioni, ci portano a rigettare come ingiusta la
dottrina che vorrebbe si aumentasse la pena contro

di me per motivo delle delinquenze che altri potrà


commettere. Ci si faccia pure rimprovero di essere
logici, noi accettiamo con fronte serena il rimpro
vero. I seguaci della scuola materialista ed utili

taria debbono bene per esser logici mettere in cal


colo ogni speculazione di futuro vantaggio in quella
che essi chiamano terapeutica penale. Noi nel
l'aula legislativa e nel foro vediamo il tempio della
giustizia e non una farmacia ; seguaci della scuola
ontologica che nella suprema legge giuridica e nel
bisogno di tutelare ravvisa la ragione di punire,
non possiamo accettare come misura di quella ra
gione niente che sia procedente da altre conside
razioni fuori di quella della giusta proporzione tra
il fatto reo e la pena da minacciarsi . Il diritto
leso dà al fatto malvagio le condizioni per le quali
in lui si ravvisa l'ente giuridico che dicesi male
fizio ; e questo ente giuridico aumenta o decresce
286

nel suo valore secondo che aumenta o decresce la


importanza del diritto leso, sia immediatamente
per la forza fisica oggettiva, sia mediatamente per
la forza morale oggettiva del delitto. Il violatore
del diritto deve punirsi perchè violò il diritto, e
secondo quel tanto che alla difesa del diritto ri
sponde : la sua imputabilità e la sua punizione de
vono adeguarsi a ciò che ha fatto egli, non a ciò
che si suppone potersi fare da altri . La esperienza
mostra che i contadini si pongono spesso a guardia
delle loro raccolte armati di fucili, e spesso feri
scono ed uccidono i danneggiatori. Si dirà dunque
che ad impedire tali stragi bisogna minacciare la
galera contro chi entra nel campo altrui a cogliere
un frutto ? Con strano travolgimento d'idee si pu
nirebbe allora il colpevole, non per punirlo, ma per
difendere la sua persona . Quando il danneggiatore
domandasse al suo giudice, perchè mandi me in ga
lera mentre mandasti in carcere chi rubò nella casa
vicina ? il giudice seriamente gli risponderebbe ti
mando in galera per proteggere la vita tua e
quella dei simili tuoi ; che se altrimenti facessi
sareste tutti ammazzati nei campi. La possibile
vendetta altrui è un nuovo delitto che si teme per
parte di altri ed io devo corrispondere delle altrui
malvagie inclinazioni ? Ciò non è buona giustizia .

(1) Ogniqualvolta si viene a ragionare nel diritto penale


non sui cardini della giustizia, ma sui calcoli del torna
conto , la dottrina (non cesserò mai di ripeterlo) diviene ela
stica . Cosi nel presente argomento non mancano eminenti
scrittori (per esempio lo Stryki o , vol . 14, dissert. 15 , §. 17,
pag. 189) i quali si sono dilungati a mostrare come sia ca
gione feconda di gravissimi mali alla repubblica la troppa
facilità di ammettere le querele d'ingiuria.
- 287

§. 1852 .

Per punire severamente i delitti che offendono


l'onore qual bisogno vi è egli di ricorrere a co
teste false argomentazioni , e mettere sulla bilancia
della giustizia condizioni e fatti che non sono at
tribuibili al giudicabile ? Basta tenere il diritto al
l'onore a quell'altezza che merita e tenere in cal
colo anche il dolore morale ( 1 ) che allo ingiuriato
si arreca col vituperarlo ; ed in ciò ci può essere
guida sicura la coscienza universale degli onesti , i
quali valutano come più grave danno la perdita
dell'onore che non la perdita di qualche centinaio
di lire, e più l'offesa al sentimento della propria
dignità che non un transitorio dolore corporeo .
Chi dunque offese l'onore offese un diritto assai
importante ed assai caro per trovare nella delin
quenza un danno, cosi immediato come mediato,
che nei congrui casi offra giusta ragione di ele
vare la quantità della pena senza conculcare il
principio fondamentale della proporzione fra la
quantità della pena e la quantità del delitto . Basta
ció per riprovare la soverchia rilassatezza usata da

certi Codici nella punizione dei delitti contro l'onore,


senza bisogno di andare calcolando i pericoli delle
vendette che possono essere un argomento accomo
dabile a molte delinquenze, e che divaga la giustizia
dal suo retto cammino . Nella obiettività giuridica
della ingiuria (quando specialmente accompagnasi
da certe condizioni aggravanti) trovasi quanto basta
a mostrar giusta una penalità di qualche rigore .
――――――――― 288 -

(1 ) Che nella valutazione della gravità delle ingiurie debba


tenersi a calcolo anche il dolore morale che produce l'offesa
al sentimento della propria dignità lo ha esplicitamente in
segnato di nuovo la Cassazione di Torino col suo decreto
10 decembre 1879 sul ricorso Berard - ivi - Sia pure che
per effetto delle ingiurie patite non siasi punto scossa e tur
bata la riputazione dello offeso, sussiste però sempre il danno
morale prodotto da quei patemi e sofferenze che ne ha dovuto
subire necessariamente l'animo dell' offeso.

§. 1853 .

Il pregio in cui si tenne il patrimonio dell'onore


bastò, anche in quei luoghi in cui non eravi il ti
more dei duelli, ad elevare ad altissima misura (e
)
spesso soverchiante ed atroce) la punizione . Ele
vatissime furono le pene contro la ingiuria presso
gli Egizi ed i Greci . Presso i Romani la pena della
ingiuria per la legge decemvirale era pecuniaria ;
poscia i Pretori accordarono l'azione estimatoria
onde chiedere la condanna dello ingiuriante ad una
indennità (1 ) . Dal §. 10 Instit. de injur. sembra
però che oltre la pena pecuniaria si infliggesse una
pena straordinaria ad arbitrio del giudice : non si
conosce per autorità di qual legge ciò si facesse :
a meno che non si voglia ritenere con Cremani

(De jure crimin . lib, 2 , cap. 7, art. 7, §. 11)


e con gli altri da esso citati, che lo fosse per la
legge Cornelia. Ma quella mitezza verso le mere
ingiurie era ben compensata da eccessiva severità
contro il libello famoso. La pena comminata dalla
legge decemvirale contro questo reato (2 ) era di
morte qualora il fatto imputato costituisse delitto
capitale : posteriormente essa fu ridotta da un se
- 289

natusconsulto alla deportazione ; e finalmente dagli


imperatori Valentiniano e Valente (l. un. C. de
ite fam. libell.) fu ristabilita la pena capitale esten
dendola anche al caso meno grave di imputazione
a
di un fatto soltanto infamante.

(1 ) È celebre quanto notissima la storia di Lucio Nerazio,


della quale ha fatto una erudita illustrazione Glandorp,


Onomasticon historiae Romanae, col. 624. Disputano gli eruditi
se in Roma la cognizione delle ingiurie atroci e la loro pu
nizione si deferisse al Pretore ovvero al Preside della provin
cia. Vedasi su ciò Waechtler, Opuscula juridica, pag. 207 ;
e Lacointa, Le Préteur romain, pag. 79.
(2) In quanto alla punizione dettata contro il carmen fa
mosum dalle Dodici Tavole è da vedersi Scipione Gen
tile (Parerga, 2, 30, nel Tesoro dell'Ottone, vol. 4, col. 1348;,
il quale fa tutta la storia di questa penalità ; e Raevardus ,
Duodecim tabularum, cap. 25. Quanto alla penalità greca ve
dasi Meursi o, Themis attica, lib. 2, cap. 7. La opinione del
Gentile in quanto all'antica pena romana è conforme a
quella del Pittheus , Collactio legum Mosaicarum et Ro
manarum, pag. 739. Ne discordò Gothofredo , Probationes
in leges XII, tabularum (in Thesauro Ottonis, vol. 3, col. 118)
e l'Estornella sua erudita dissertazione De jurisprudentia
Q. Horatii Flacci, §. 6.

§. 1854.

Nei tempi di mezzo la penalità delle ingiurie oscillo


dall'uno all'altro estremo ; ora limitandosi ad una
semplice ammenda o ad una ritrattazione ; ora esten
dendosi ai più severi castighi : fluttuanza che più
specialmente si verificò dove la penalità rilascia
vasi all'arbitrio dei magistrati ( 1 ) .

VOL. III. 19
― 290 -

(1 ) Non bisogna scambiare con le penalità minacciate alla


ingiuria quei castighi che nei vari tempi furono inflitti contro
i delatori mendaci. Le varie leggi degl ' Imperatori in propo
sito, l'editto di Teodorico (riferito nel Codex legum antiqua
rum, vol. 1, pag. 249) ed altri simili, male a proposito da alcuni
scrittori si richiamano alla materia della diffamazione. Quando
la imputazione ha sotto qualsisia forma assunto la figura di
denuncia giudiciaria scomparisce la offesa all'onore privato
assorbita in una obiettività di maggiore importanza. Alla le
sione del diritto particolare si congiunge le lesione del diritto
universale, ed il reato esce dalla presente classe per fare
passaggio nei delitti contro la pubblica giustizia. Le leggi
barbariche generalmente si limitarono a minacciare la sola.
pena pecuniaria così contro la ingiuria come contro il libello
famoso la legge salica de conviciis, tit. 32, e le leggi longo
bardiche, legge di Rotario, n. 198 e 384, ed altre, mostrano
quanto fosse erronea l'asserzione del Du maze au quando
(Revue de législation, 1845) annunziò che nessuna delle leggi
barbariche si occupava delle ingiurie. È vero che nella maggior
parte dei monumenti che ce ne restano non si trovano dispo
sizioni speciali contro questo delitto : ma forse le sanzioni di
minore importanza di quelle leggi poterono andare smarrite,
come ci danno ragione di congetturare i succitati testi che
direttamente si occuparono di questo reato, e che mostrano
non essere nei costumi germanici la assoluta tolleranza ed
impunità della maldicenza. Alla multa o veregildo andava
congiunto l'obbligo della ritrattazione. Quando il giure cano
nico venne a dominare le leggi civili il principio religioso,
che non tollera in modo alcuno la maldicenza, rese indifferente
nella imputazione della ingiuria la prova della verità del con
vicio, della quale generalmente si riconosceva la utilità nei
costumi germanici . E venne altresi ad introdurre penalità più
severe, come quella della fustigazione , congiunta sempre alla
ricantazione, ritrattazione o palinodia, la quale formava parte
delle pene canoniche. Gli statuti di Alfredo, di Edgar e di
Canuto Re di Inghilterra minacciarono contro le offese al
- 291 ----
l'onore severissime punizioni. Secondo le consuetudini di
Francia e la ordinanza del 1539 nella punizione della ingiuria
si aveva il maggiore riguardo alle varie condizioni delle per
sone, lo che portò a rendere la pena arbitraria ; ed i giudici
ed i parlamenti oscillarono tra la pena della multa e quella
del carcere : vedasi Jousse, Justice criminelle, tom. 3, liv. 24;
dove largamente tesse la storia della influenza che ebbe nel
l'antica Francia la verità del convicio sulla sua punizione.

§. 1855 .

Nella Germania tentò ricondurre il libello famoso


sotto una penalità fissa la costituzione criminale di
Carlo V ; la quale all'art . 110 decretò la pena del
taglione, vale a dire che a colui che aveva ad al
trui rinfacciato un delitto col mezzo di un libello.

dovesse irrogarsi quella pena stessa che era minac


ciata al delitto obiettato : sul che è però da ricor
dare che per la Costituzione Carolina come anche
per la Costituzione elettorale sassonica (art. 44) al
delitto di libello famoso richiedevasi come estremo

la falsità della imputazione. Ma queste costituzioni


non furono neppure esse bastanti a condurre ad
un ordine fisso la penalità delle offese all'onore ;
la quale malgrado le loro precise sanzioni divenne
presto ed universalmente in Germania arbitraria ( 1 ) .
In quanto alle ingiurie ed alla diffamazione sem
bra che in Germania prima dei moderni Codici si
lasciassero affatto impunite. Onde la pratica vi
suppli con quattro azioni distinte ; cioè la recan
tatoria, la deprecatoria, la declaratoria, e la esti

matoria (2) (Koch § . 377 ) le quali però non mi


sembrano veramente azioni penali, tendendo uni
camente alla riparazione del danno .
――――――――― 292 -

(1) L'articolo 110 della costituzione Carolina che prescriveva


contro il libello famoso la pena del taglione, fu elogiato da
Leyser (spec. 532, medit. 3) ; ma è un fatto che cotesto
criterio di penalità non fu mantenuto dalla pratica alemanna,
la quale generalmente venne sostituendo una punizione ar
bitraria. Ciò si rileva dal Muller , Promptuarium verbo
libellus famosus, n. 6, e dal Puttmann, Elementa, §. 416,
il quale insegna doversi applicare o la multa o la carcere o
l'ergastolo secondo la condizione delle persone ; dal Boe h
mero, Meditationes in C. C. C. ad art. 110, §. 8, dal Kress,
Commentatio in C. C. C. notae ad art. 110, §. 3, nota 3, dal
l'Hertius, decisio 153, e dal Koch, Institutiones, §. 391.
Quanto alla pena del libello famoso nella pratica sassonica
può vedersi Colero, decisio 154.
(2) Sulle differenze fra palinodia, deprecatio, recantatio e
declaratio vedasi Boehmero, exercit. 66, cap. 3, §. 31
Heineccio , Opera omnia in supplemento, pag. 174 -e
Kettler , Decisionum ostfrisicarum, decis. 66 et 69. Nei
moderni ordinamenti giudiciari dopo la divisione del giudizio
del fatto dal giudizio del diritto si è disputato se quando il
giudicabile per diffamazione condotto in Corte di Assise a
cagione delle qualità personali dell'offeso abbia ottenuto un
verodetto negativo della propria colpevolezza, la Corte obbli
gata ad assolverlo possa contemporaneamente condannarlo
alle riparazioni ed ai danni. Vedasi su questo problema (già
sciolto in senso affermativo in tema di duello ) Morin ,
art. 9322.

S. 1856.

Fu generalmente arbitraria la punizione delle


offese all'onore negli antichi statuti delle varie .
città d'Italia : lo che dette ai giudici una balia pe
ricolosissima sempre, ma assai più pericolosa in
una materia variabile siccome questa. E veramente
- 293 ―――

bisogna dire che se avvi delinquenza che subisca


l'influsso delle circostanze di modo, di luogo , di
persona e simili, tale è per fermo la offesa all'onore,
ed ognuno lo comprende. Fra una coltellata vi
brata ad un uomo in un dato tempo, ed una col
tellata vibrata ad un altro uomo in altro luogo
ed in altro tempo, non vi sarà differenza merite
vole di essere apprezzata sotto il rapporto del danno
immediato, se non influi sulla durata della malat
tia, che è di per sè facilmente calcolabile. Ma non
è così nelle offese all'onore . La variabilità del loro
danno immediato è massima, e difficilmente deter
minabile con previsioni a priori. Ma questa non
è ragione perchè in siffatti reati debba allargarsi
la mano all'arbitrio del giudice ; anzi è ragione di
restringerla perchè appunto quella grande inco
stanza del danno materiale lo può rendere mag
giormente pericoloso. Ciò che può osservarsi su
tale proposito in ordine alla punizione delle ingiurie
negli statuti e pratiche italiane dei tempi passati (1 )
si è che sali ad un- supremo grado di valore il ri
guardo alla condizione delle persone . Dove per un
rispetto alla dominazione del principio aristocra
tico ; dove per tenacità di tutelare il potere, si vi
dero anche contro lievi ingiurie fulminate pene

gravissime se l'offeso sedeva alto in dignità od in


potere, e si videro disprezzati gli oltraggi fatti a
gente plebea. Questo che era lo spirito prevalente
di tali legislazioni non poteva non influire nella
presente materia e divenirne quasi l'unico criterio
regolatore .

(1) Pena pecuniaria minacciava lo Statuto di Faenza (lib. 4,


rubr. 24) contro la ingiuria non meno che contro il libello
- 294
famoso, in somma maggiore o minore secondo la condizione
´dell' offeso ed è notabile che per una disposizione speciale
infliggeva, come pena suppletoria al non pagamento della
multa, cinque anni di esilio il taglio di un orecchio nel
caso di rottura del bando contro chi avesse appeso le corna
all'altrui domicilio. Questa specialità dello appiccare le corna
aveva già formato argomento di apposite sanzioni nello Sta
tuto della città di Roma (cap. 68, lib. 2) e nei bandi generali
dello stato ecclesiastico (cap. 28) dove contro simile fatto si
comminava la galera perpetua ed anco la morte ad arbitrio
di sua eccellenza ; coordinandosi questa severità a quella usata
contro il libello famoso , che al cap. 27 punivano con la pena
di morte e confisca dei beni o almeno con la galera ad ar
bitrio di sua eccellenza . Entro la sfera delle pene pecuniarie
restringeva l'arbitrio del giudice in quanto alla ingiuria lo
Statuto penale di Bologna (lib . 5, rubr. 23) come pure lo Sta
tuto di Firenze (lib. 3, rubr. 116, 117, 168) dove faceva una
minutissima descrizione dei differenti modi d'ingiuriare, tas
sando la respettiva misura della multa secondo tali varietà ;
ma non trovasi che nelle antiche leggi fiorentine esistesse
alcuno speciale provvedimento contro i libelli famosi, come
nota il Sabelli nella sua pratica universale, §. libelli, n. 14,
e per conseguenza si punivano ad arbitrio del giudice sulle
norme del gius comune.

S. 1857.

La penalità dettata dal Codice toscano contro


questo reato è la multa nella contumelia semplice;
la carcere fino a sei mesi contro la contumelia.

atroce ; la carcere fino ad un anno nella diffama


zione : articolo 366 e 368. Riproduce inoltre al
l'articolo 368, §. 3 il concetto dell'antico convo
cium parificandolo nella pena alla diffamazione ; sul
che ho già detto (§. 1775 nota) la opinione mia.
295 -

Contro il libello famoso commina all'art . 367 la


carcere da due mesi a due anni. Alle suddette
pene respettivamente si aggiunge per l'art. 369 un
incremento di carcere da quindici giorni a sci
mesi se la ingiuria fu commessa contro un pub
blico ufficiale nell' esercizio o per relazione all'eser
cizio di sue funzioni. Il Codice sardo all'art . 572

punisce la ingiuria semplice con gli arresti se è


verbale, e con la carcere fino ad un mese se è scritta
o stampata. Contro la diffamazione minaccia al
l'art . 570 la carcere estensibile a sei mesi , e contro
il libello famoso all'art. 571 il carcere da sei mesi
ad un anno ; aggiungendo sempre in tutti i casi alle
respettive pene afflittive la pena pecuniaria, come
è generale sistema di questo Codice ad imitazione
di quello di Francia.

§. 1858 .

A chiudere l'argomento della penalità delle in


giurie, e cosi la presente materia , rimane ad esa
minare la questione relativa ad una lettera diffa
matoria scritta in un luogo e divulgata in un altro
.
luogo . Simile questione ha una sua prima impor
tanza sotto il punto di vista della competenza, ed
in questo aspetto già ne diedi cenno al suo luogo.
Ma una seconda importanza può avere nel caso di
differenza fra le penalità minacciate dalla legge
del luogo dove fu scritta la lettera e le penalità
minacciate dalla legge del luogo dove fu diretta e
divulgata . Quale sarà la pena applicabile ? Il dub
bio lo esaminò Lauterbach, (disc. 68. thes. 25,
n. 4) e Morin, che ho citato al §. 1730 : recen
___ 296

temente Bonfils (nel suo trattato della compétence,


pag. 282) sostenne con l'appoggio di diversi giu
dicati di Francia non solo essere competente il
giudice del luogo dove fu scritta la lettera, ma
doversi eziandio applicare la penalità ivi minac
ciata quantunque la ingiuria fosse diretta contro
uno straniero dimorante all'estero, e cosi la lettera
fosse destinata ad essere divulgata all'estero . Ho
già detto (§. 1780) che siffatta soluzione mi sem
bra incriticabile in quanto al titolo di falsità , che
si consuma con la fabbricazione dello scritto. La
diffamazione però non si consuma con lo scrivere,
ma col divulgare ; e cosi nella ipotesi di Bon fils
non si sarebbe commesso in Francia che un ten
tativo di delitto da consumarsi all'estero . Ammet
terei la competenza per quel tanto di fatto crimi
noso avvenuto nel territorio, ma la penalità del
delitto consumato esiterei ad applicarla in quel
luogo dove non avvenne che un tentativo . Av

verto però che simile distinzione non era possibile


si valutasse in Francia dove i misfatti consumati

e tentati sono puniti alla pari . Questa osservazione


renderebbe eccezionabile la giurisprudenza francese
quando volesse applicarsi in tutto il suo rigore fra
noi . È però un fatto che la giurisprudenza italiana
è andata in un senso del tutto opposto, fermando
in diversi casi che della ingiuria per lettera è com
petente a conoscere il giudice del luogo dove la
lettera era stata diretta e non il giudice del luogo
dove era stata vergata e da dove era spedita. E
questa regola ha avuto nuova conferma in un giu
dicato della Suprema Corte di Cassazione di Torino
del 28 luglio 1866 in affare Bartoletti (1 ).
f

- 297 -
(1) In Francia si è pure sollevata la questione di compe
tenza in proposito d'ingiuria nei giornali, ed è stato deciso
(Morin, art. 8107 ) che può darsi querela in Francia per
una ingiuria pubblicata in un giornale estero quando una
copia del medesimo fu distribuita in Francia, quantunque il
giornalista non vi avesse speciale uffizio di distribuzione. An
che questa massima può riuscire assai esorbitante nelle pra
tiche applicazioni ; nè saprei come coordinarla ai buoni prin
cipii. Lo scritto ingiurioso pubblicato in Italia non si vuole
punire in Francia con il principio della estratérritorialità.
No : si pretende punire il fatto avvenuto in Francia della
divulgazione di un esemplare di quello scritto. Ma questo
fatto di divulgazione in chi lo punite ? Se nel divulgatore
malizioso, non vi è bisogno a questo fine di sforzi : esiste
il reato commesso in Francia nel suo elemento materiale e
nel suo elemento intenzionale. Ma se volete punire anche lo
scrittore italiano per quella divulgazione accaduta senza sua
scienza e volontà in Francia, e tenerlo come autore di un
delitto commesso in Francia, questo mi pare un eccesso.
(Segue) SEZIONE PRIMA

DELITTI NATURALI

CLASSE QUINTA

REATI CONTRO I DIRITTI DI FAMIGLIA

CAPITOLO I.

Idea e contenuto della classe.

§. 1859 .

La famiglia è la prima estrinsecazione di quel


l'istinto umanitario che ci spinge a vivere nel con
sorzio dei nostri simili anche innanzi che nessuna
legge umana ce lo abbia imposto, e innanzi che
la ragione o la esperienza ce ne abbia fatte ma
nifeste le necessità ed i vantaggi ; perchè codesta
legge suprema dell'ordine nella razza umana non
poteva commettersi dalla sapienza creatrice alla
eventualità dei nostri capricci, o alla lentezza dei
nostri sperimenti . Assai innanzi che le società ci
vili si costituissero, e che lo stato e l'impero si
identificassero con la vita della umanità, gli uomini
si formarono in piccoli gruppi nei quali apparve
l'embrione dei futuri stati come nei capi loro l'em
brione dei futuri governanti. Questa è verità po
sitiva che la ragione dimostra come fatto neces
sario, e le tradizioni confermano come evoluzione
300

storica della umanità . Tutto dunque può seriamente.


affermarsi dai vaneggiamenti di qualche filosofo,
tranne che la famiglia sia una istituzione sociale.

§. 1860 .

Nata la famiglia per impulso spontaneo della


natura nostra, in lei veniva a rappresentarsi un
soggetto sul quale doveva svolgersi con una forma
speciale la suprema legge giuridica ; ed era bene
necessità che oltre ai diritti conferiti all'uomo nel
suo modo di essere individuale, sorgesse pure una
serie ulteriore di diritti derivati dagli speciali rap
porti che fra lui ed altri suoi simili generava il
vincolo di famiglia, al quale i membri della mede
sima si trovavano respettivamente legati. Una spe
ciale serie di diritti dà naturalmente occasione ad

una speciale serie di lesioni che possono venire ar


recate ai medesimi per lo influsso delle malvagie
passioni. E di qui una classe speciale di malefizi
necessaria a riconoscersi in tutte quelle offese che
ledono l'uomo, non in quanto si considera soltanto
nel suo essere di individuo isolato, ma in quanto
di più si considera come legato ad un determinato
numero di suoi simili per i vincoli di famiglia.
Ecco la idea della presente classe, la quale evi
dentemente pertiene all'ordine dei delitti naturali;
si perchè i diritti, la lesione dei quali richiama
certi fatti a questa classe, provengono dalla pri
mitiva legge di natura e non da istituzioni sociali ;
si perchè le lesioni di tali diritti nel loro danno
immediato (che è il solo tipo ed il criterio deter
minante secondo cui devono classarsi i malefizi)
301 - -

sono sempre diritti spettanti ad un determinato


individuo, o ad un limitato numero d'individui ;
ne mai può considerarsi l'effetto loro come imme
diatamente lesivo di tutti i cittadini . Certamente

anche per cotesti fatti in certe loro condizioni nasce


in tutti i cittadini (benchè non offesi direttamente
dall'azione criminosa) quel danno universale della
minorata opinione della propria sicurezza che co
stituisce il danno mediato, e sorge in questo l'ele

mento politico che dà ragione di erigere i fatti


medesimi in delitti civili . Ma già sappiamo che il
danno mediato non può fornire alla scuola il cri
terio della classazione dei reati, per la ragione che
il medesimo sebbene possa essere nei varii fatti
di diversissima quantità, è però sempre d'identica
natura; e questa identità di natura lo rende as
solutamente disadatto a dare un criterio signifi
cante di una classazione di specie. Il danno me
diato è sempre l'allarme dei buoni, e il malo esempio
dei cattivi, maggiore o minore a seconda dei casi
ma sempre lo stesso nei caratteri suoi : impossibile
dunque desumere da questo un criterio differen
ziale che serva di base ad una classazione . Il danno
mediato è il criterio che distingue i peccati, i de
litti canonici , i vizi , ed ogni prava azione dal de
litto civile , perchè questo desume da quello i suoi
caratteri politici : ma qui cessano le funzioni del
danno mediato nell'ordinamento della materia no

stra. La radicale partizione dei reati non può più


desumersi dal danno mediato, che è comune a tutti
e d'indole sempre uniforme. Bisogna desumerla dal
danno immediato ; e quando questo è universale,
la offesa immediata a tutta la società rende il de
――――――― 302

litto sociale ; quando è particolare, la offesa im


mediata ristretta solo ad alcuni individui lo lascia
nella classe dei naturali. Può sembrare ad alcuno
meno propria, o meno esatta la nostra nomencla
tura : ma la verità del concetto è incontrastabile,
e sia che i delitti di danno universale si vogliano
chiamare politici, sia che si vogliano con noi de
nominare sociali, la realtà della distinzione è posi
tivamente vera, e si asside non sulla accidentalità
di un nome, ma sulla sostanziale differenza fra
danno immediato universale, e danno immediato
particolare. Se pertanto i malefizi che offendono
l'uomo nei suoi diritti di famiglia non danno ra
gione agli altri cittadini di dirsi direttamente offesi
da tali fatti (perchè nessuno può asserire di aver
diritto che la moglie altrui sia fedele, di aver di
ritto che la prole altrui si battezzi a nome dei ge
nitori, di aver diritto che l'altrui figlia non sia
sottratta dalla casa paterna) è intuitivo che questa
classe non può trovar sede altrove tranne fra i
delitti naturali.

S. 1861 .

La esistenza di questa classe speciale di male


fizi, come posta fuori dell'ordine dei reati mera
mente sociali, fu riconosciuta dai nostri istitutisti,

e segnata dal grande riordinatore della scienza


Giovanni Carmignani . Ma questi e coloro che
lo seguirono si lasciarono dominare dalla idea che
il matrimonio è la base della famiglia , proposi
zione in un senso verissima , ma non assoluta ; e

da ciò nacque la logica conseguenza che assumendo


- 303

tale proposizione come unica norma per circoscri


vere la presente classe si allargarono troppo da
un lato, e troppo dall'altro lato si restrinsero i
confini della classe medesima. Si allargò la classe
in questione includendovi i titoli di stupro e di
violenza carnale , la oggettività dei quali esiste
tutta completa nello individuo indipendentemente
da ogni suo rapporto di famiglia : si restrinse la
classe perchè non vi trovarono sede che quei soli
reati coi quali si offendeva nei rapporti di fami
glia il diritto del coniuge, ma si dimenticò quella
serie di azioni che offendono i diritti nascenti dalla

società parentale, che è pure una evoluzione della


società di famiglia. Cosi questa classe venne de
lineata con idee confuse , e quasi restò un surro
gato alla vecchia classe dei così detti delitti di
carne ; perchè fu abbandonato inavvedutamente il
criterio della oggettività che doveva esserne il solo
regolatore, e fu seguito invece il criterio della
passione movente ; il quale se può esser buona
guida nella suddivisione di qualche classe parti
colare, non può essere mai la norma radicale della
delimitazione delle classi .

§. 1862 .

Noi dunque mentre, calcando le orme del nostro


maestro, riconosciamo nella lesione dei diritti di

famiglia la linea che ci segna una classe speciale


di malefizi, crediamo seguitare con più completa
esattezza siffatta linea richiamando alla presente
classe tutti quei reati che vi sono portati dalla re
spettiva loro oggettività . Distinguendo nella società
―――― 304 -

di famiglia due inferiori rapporti che costituiscono


il consorzio coniugale, e il consorzio parentale,
veniamo a trovarvi tre categorie distinte di diritti ;
voglio dire i diritti del coniuge sul coniuge, i di
ritti della prole sui genitori, e i diritti dei genitori
sulla prole: e secondochè questi possano da certe
azioni malvagie venire feriti, procediamo alla di
stribuzione delle diverse specie criminose che ci
sorgono innanzi. Cosi adottiamo la suddivisione

della presente classe dei reati in tre serie ( 1 ) di


verse ; abbandonando per sempre la falsa idea che
i reati contro i diritti di famiglia debbano avere
come carattere essenziale comune quello di proce
dere da appetito carnale.

(1 ) Accetto questa triplice divisione per dare un ordine


alle materie contenute nella presente classe. Ma la divisione
stessa non riesce costantemente esatta nelle sue pratiche ap
plicazioni , perchè le respettive oggettività giuridiche talvolta
si congiungono e talvolta si avvicendano. Cosi nell'adulterio
può valutarsi, ad aumento del danno immediato, la offesa
recata ai diritti dei figli legittimi ; cosi nella soppressione
di stato al diritto leso nella prole può aggiungersi la offesa
al diritto dei genitori, quando quella commettasi non per
conto di questi, ma contro loro volontà ; cosi nella sottra
zione di donna, sebbene più di frequente commettasi in onta
dei genitori e tutori, può talvolta avverarsi la lesione dei
diritti coniugali anzichè dei diritti parentali quando trattisi
di femmina fuggita al marito. Ma nella partizione delle ma
terie bisogna tener dietro a ciò che più di ordinario avviene,
e formare i gruppi su questa norma senza riguardo a qual
che piccola anomalia. Altrimenti procedendo bisognerebbe
2
moltiplicare senza fine, e senza utile dello insegnamento, la
1
trattazione di parecchie specialità : quando è osservata la
esattezza nella principale divisione delle classi , che può es
- 305 -
sere di grandissimo e vitale interesse per la giustizia pra
tica, le particolari suddivisioni non sono che questioni di
metodo e di facilitazione ad esporre le singole specialità.

§. 1863 .

Alla prima serie, nella quale contempliamo i


malefizi che ledono i diritti del coniuge, sul co
niuge, fanno capo naturalmente l'adulterio e la
bigamia, e vi richiamiamo ancora per nozione sto
rica il concubinato. Alla seconda serie poniamo i
reati che ledono i diritti della prole verso i ge

nitori ; e vi fanno capo la soppressione di stato e


tutti gli altri analoghi fatti coi quali si spoglia un
fanciullo di quei diritti che la legge naturale gli
accorda e la legge civile in lui riconosce come
conseguenza del fatto della procreazione, come pure
vi si potrebbe richiamare il delitto di corruzione
di minori quando avviene per parte dei genitori,
se non assumesse piuttosto il carattere di leno
cinio qualificato . Alla terza serie, quella cioè dei
reati che offendono nei genitori la potestà perti
nente loro entro certi limiti sui figli, fa capo la
sottrazione di minori, ed i fatti analoghi. Per ul
timo, poichè comunemente gl' istitutisti tennero a
questo luogo parola dello incesto, chiuderemo la
trattazione della presente classe con un capitolo nel
quale a modo di appendice raccoglieremo ciò che
su tale argomento può riferirsi al giure penale ( 1 ) .

(1 ) Ai delitti contro l'ordine delle famiglie dovrebbe refe


rirsi il fatto del figlio che negasse di alimentare la madre
vedova, quando questo fatto fosse elevato a delitto come
già lo fu in Atene. In Atene questa offesa perseguitavasi ad
VOL. III. 20
306 -
azione pubblica e qualunque cittadino poteva farsene accu
satore, ed incontrava pene pecuniarie e perdite di diritti ci
vili importantissimi per le condizioni dei tempi : Caille
mer, Etudes sur les antiquités juridiques d'Athénes, pag. 19.
A questa classe parimente si riferirebbe il fatto di non aver
dato istruzione ai figli, che pure esso fu nella Grecia elevato
a delitto ma i moderni costumi per queste colpevoli viola
zioni dei doveri naturali si appagano di quella tutela giuri
dica che porge il magistero civile, il magistero di buon go
verno e il sindacato della pubblica opinione .

§. 1864.

Data cosi ragione dell' ordine, osserverò che se


nella società di famiglia si compenetrano in un co
mune principio di ordine la società coniugale e la
società parentale, non è però a credersi alla es
senza di quella società sia necessario estremo il
concorso copulativo di ambedue : questo sarebbe
un equivoco. Società di famiglia, inteso nel suo
vero e proprio senso come causatrice di diritti per
manenti e uniformi nella persona, non può vera
mente esistere se ella non si appoggia o all'una od
all'altra di quelle due società, ciascuna delle quali
ha base in un fatto materiale che dà vita ai re

lativi diritti ; voglio dire o alla società coniugale,


o alla società parentale. Nel linguaggio volgare
si può dare il nome di famiglia ad una consocia
zione che tragga origine da un'accidentale conven
zione di uomini scompagnata da un fatto che ir
retrattabilmente unifichi e congiunga le loro per
sonalità ; come la consociazione di più uomini che
si stringano ad una speculazione comune o ad un
sodalizio e si dicano in linguaggio figurato fratelli,
307 ―――――

o si leghino con un rapporto respettivo di supe


riorità e di subiezione, onde l'uno si chiami pa
drone degli altri, e questi servi di quello. Quei
piccoli gruppi che in siffatte guise, per virtù me
ramente contrattuale si formano, non costituiscono
la famiglia nel senso nel quale contemplasi al pre
sente luogo. Simili situazioni e simili rapporti sa
ranno generativi pur essi di diritti patrimoniali ;
ma non di diritti che modifichino la personalità ,
e che quando siano violati possano presentare oltre
lo infrangimento ordinario del patto, una offesa
tale alla persona che ne sorga un vero e proprio
delitto sui generis. Questo vincolo speciale che
unisce tra loro le personalità di diverse creature
non può nascere che da un fatto materiale intimo
alle persone stesse, che non soltanto alle cose loro
ma allo stesso individuo imprima una permanente
modificazione ; quale appunto è il fatto o del ma
trimonio nella società coniugale, o della procrea

zione nella società parentale ( 1 ) . Ma non è però che


a costituire la famiglia ed a far nascere i diritti
che andiamo ad esaminare occorra sempre il con

corso di entrambo quelle due società ; una di loro


bisogna che vi sia ; ma può bastare una sola a co
stituire la famiglia con effetti giuridici . Infatti com
prende ognuno che quando un uomo si è ammo
gliato ha costituito con la sua donna una vera e
propria famiglia anche prima che dalla loro unione
venga in luce la prole : non si avrà in quella una
società parentale, ma vi sarà una società coniu
gale, ed i relativi diritti saranno irrecusabili quan
tunque da codesta società non siano sorti nè diritti
parentali nė diritti filiali ; la cosa è intuitiva. Vi
- 308

ceyersa può esistere una società di famiglia con


pienezza di effetto in quanto allo svolgimento dei
diritti parentali, senza che in quella si trovi so
cietà coniugale. Pongasi che una femmina ottenga
da commerci venturieri una figliuolanza ; e questa
allevi ed educhi e la tenga per sua in un costante
convitto ; cotesta società presenterà al certo una
famiglia cosi in faccia alla legge naturale come in
faccia alla legge civile ; la quale (vogliasi o no)
riconosce fra quella madre e quei figli un rap
porto obbligatorio per rispetto al quale essa detta
precetti speciali, come un particolare rapporto ri
conosce fra quei figli per cui detta apposite san
zioni come la inibizione delle nozze, e simili . I di
ritti e doveri di maternità sono nati ; lo sono i
diritti e doveri della filiazione quantunque non pro
ceduti da diritti e doveri coniugali . Negare che
questa sia una famiglia, è impossibile, come è im
possibile nel contemplare certe offese che violino
tali diritti non trovare la oggettività loro nei di
ritti di famiglia . Negare che da cotesta consocia
zione derivata da causa naturale procedano dei
diritti reciproci e dei reciproci doveri giuridici,
non si potrebbe senza cancellare le disposizioni che
si leggono in tutti i Codici in proposito della filia
zione naturale e sue conseguenze. Non è dunque
vero che il matrimonio sia la base assoluta ed in

dispensabile della famiglia, ammenochè con quella


parola non si voglia esprimere il mero congiun
gimento brutale . Esso ne sarà la causa efficiente
nella pluralità dei casi ; ne sarà la causa la più
legittima, la più regolare, la più salda ; ma non
ne è la causa esclusiva ed indispensabile, poichè
309 -

può esistere famiglia in vero senso giuridico anche


dove non fu mai società coniugale. In tale consorzio
sarà impossibile una serie dei delitti che qui pren
diamo a considerare, ma saranno possibili le altre
serie che traggono origine dalla violazione dei di
ritti nascenti dalla società parentale, come verrà
meglio chiarito a suo luogo.

(1) Non può considerarsi come argomento di un diritto


speciale il rapporto di domesticità, perchè tra padrone e servo
non vi è associazione propriamente detta, ma solo una loca
zione di opere. Il servo può dirsi che faccia parte materiale
della famiglia ma non della società famigliare. Esso intende
ad un fine tutto suo privato, intende alla mercede : non par
tecipa se non di rimbalzo e in modo contingente delle vicende
della famiglia, e può egli stesso esser capo e membro di una
famiglia sua propria, di una famiglia diversa da quella a cui
presta i suoi servigi, ed alla quale ha associato la sua per
sonalità ed i suoi diritti. Che se la posizione respettiva di
servo e padrone fa nascere dei particolari doveri etici, questi
doveri sono conseguenze del contatto degli individui, ma non
di un rapporto sociale che possa immaginarsi tra servo e
padrone. Le relazioni dominicali e servili sono accidentalità
che possono influire nella quantità di certe delinquenze, come
avviene ( a modo di esempio) nel furto e nello stupro, o dare
alle medesime una qualche forma meritevole di essere no
tata ; ma non possono fornire un tipo speciale su cui si co
struisca una classe distinta di malefizi.
-- 310

CAPITOLO II.

Concubinato.

S. 1865.

Tutti i vecchi istitutisti ( 1 ) dedicarono un titolo


apposito al reato che essi chiamarono concubinato.
Carmignani e i moderni lo intralasciarono . Retti
ficati i principii fondamentali della ragione punitiva,
molti Codici contemporanei hanno cancellato co
testo fatto dal novero dei delitti , lasciandone la
riprovazione alle leggi morali e religiose. Ma quale
è la differenza che separa il matrimonio, che è
cosa buona, dal concubinato che è cosa biasime
vole ; e qual è il criterio che distingue il concu
binato dalla mera fornicazione ? Alla prima richiesta
se la s'istituisce nel senso religioso o nel senso
politico la risposta è semplice e facilissima . Il con
cubinato (vi dicono) è un matrimonio a cui man
cano le forme sanzionatrici prescritte nel primo
senso dalla religione dei due individui, o imposte
nel secondo senso dalle leggi dello Stato. Ma in
faccia al diritto filosofico ed al giure penale scien
tificamente guardato, che deve essere cosmopolita
e procedere da principii, applicabili a tutti i popoli
ed a tutti i tempi , forse per rispondere a quel primo
quesito bisogna risalire più in alto. Al secondo
quesito si può dare una risposta che desuma il ri
cercato criterio da una idea più facile a concepirsi
che ad esprimersi con formula netta , perchè in sè
contiene sempre un qualche cosa di vago ed inde
terminabile. La nozione ontologica del concubinato
311 --

non si costituisce nè dal mero convitto (2) del


l'amasio con l'amasia, nè dal solo commercio car
nale ; ma da questo come fine e da quello come
mezzo, accompagnato da una certa destinazione di

lunga durata e possibilmente perpetua. La donna


libera che si rechi a precaria dimora nella casa
dell'amasio per fine di mutuo diletto non è una
concubina, e il fatto non trascende i limiti di una
semplice fornicazione ; nè il commercio carnale che
eventualmente accada fra padrone e fantesca se
colui convivente converte questa in una concubina .
Coteste due sottilissime delimitazioni non si pos-

sono desumere da altro se non che dal fine del


convitto il quale dev'essere il commercio consue
tudinario fra l'uomo e la donna, ma non quello
della unificazione completa delle due personalità .
Bisogna in una parola che vi sia il fine materiale
del matrimonio senza che vi sia il fine spirituale
del medesimo ; cosicchè il concubinato riproduca
tutte le condizioni materiali del matrimonio senza

rappresentarne le condizioni spirituali (3). La unione


dei corpi non è la unione delle anime, ossia la in
tima ed illimitata congiunzione delle due persona
lità. Sicchė, riducendo queste idee alla più semplice
espressione, può concludersi che la fornicazione è
il congiungimento dei corpi senza nessun congiun
gimento di personalità : il concubinato è il congiun
gimento della personalità fisica senza congiungi
mento della personalità morale : il matrimonio è il
congiungimento della personalità fisica e della per
sonalità morale. La unificazione delle due perso
nalità nel matrimonio si esprime mirabilmente con
la parola consorte e consorzio, che indicano dover
― 312 -

essere tra i coniugi tutto comune per la vita, cosi


nei godimenti materiali come nelle gioie, nei do
lori e negli affetti .

(1) Zuffio , Instit. criminales, lib. 2, tit. 27, lit. C - Bo


nifacio, Institut. crim. lib. 3, tit. 5, n. 12 et seqq. - Al
phani, Juris criminalis, lib . 2 , tit. de concub. pag. 290
Ursa y a, Instit. crimin. lib. 3, tit. 5, n. 52 et seqq. - Ga
sparro, Instit. crim. pars 3, tit. 9 Caravita, Instit.
crim. lib. 4, cap. 49 - Kemmerich, Synopsis, lib. 2,
-- Grupen, De uxore Romana , Hannover, 1727
tit. 11, §. 10 —
-Hubero, Digressiones justinianae, pars 2, lib. 1, pag. 478
Cortiada, tomo 4, decis . 264 Hertius, Consilia,
vol. 1, cons. 19 -— Muyart de Vouglans, Les lois cri
minelles, lib. 3, tit. 4, §. 2 ; et traité des crimes et leurs pei
nes, tit. 3, cap. 5 - Meister, Elementa juris crim. sect. 2,
pars 2, cap. 27 - - Contoli, Dei delitti e delle pene, vol. 4,
pag. 209 ―― Antonini, De concubinatu, Argentorati, 1714
Du Bois, Dissertatio de concubinatu apud Romanos,
Trajecti ad Rhenum, 1837 ――――――― Wieschnik, De tolerantia
exculpata, Praga, 1732, quaest. 10 — Puttmann, Elementa,
lib. 1, cap. 42 , §. 600 et seqq. - Kooh, Institutiones jur.
crim . §. 296 et seqq. - - Thomasio, De concubinatu, tom. 3,
diss. 100, ediz. Magdeburg. - Esbach, Ad Carpzovium ,
pars 4, const. 28 - Ramos del Manzano, De concubinis,
nel tesoro Meermann, vol. 5, pag. 553 -- Schmidt, De
concubinatu - Valli, Istituzioni criminali, cap. 30, lib. 1
---
Ludewig, Opuscula miscellanea, vol. 1, lib. 3, opusc. 5,
col titolo differentiae juris Romani et Germanici in dignitate
uxoris, Halae, 1720, pag. 1147.
(2) Anche il convitto nel linguaggio volgare si prende in
un senso figurato ed assimilativo : e dicesi concubina an
che quella donna che dall ' uomo coniugato si tiene a sua
balia in un domicilio separato e senza comunione di mensa . Ed
anzi neppure è condizione di questa figura che l'uomo prov
- 313

vegga del proprio ai bisogni pecuniarii della donna . La idea


del concubinato bisogna dunque propriamente trovarla nello
intendimento di ambo le parti a darsi reciprocamente copia
di sè per un vincolo di consenso che non guarda il solo com
mercio del momento ma ne fa una destinazione da durare
indefinitamente nel seguito della vita. L'abitudine di fre
quentare anche giornalmente una meretrice a preferenza
delle altre non fa dell'uomo un concubinario, nè della fem
mina una concubina . Questo modo di prescindere dal con
vitto, nella nozione della concubina ha una sanzione anche
nel linguaggio legislativo : perchè le leggi le quali provveg
gono al caso della concubina tenuta nella casa coniugale am
mettono per necessità che vi possa essere una concubina
tenuta altrove e cosi separata di domicilio : e resta dubbio
se quella parola tenuta richieda come estremo il manteni
mento pecuniario.
(3) La differenza fra le nozze e il concubinato è svolta dal
Maestertio, lib . 2, dubit. 9, pag. 231.

§. 1866 .

Con formula generale, considerato in faccia ai


diritti costituiti, il concubinato si può definire il
convitto di un uomo con una donna al fine del re
ciproco godimento carnale, e con destinazione di
prolungamento indefinito, ma senza il fine di uni
ficare le due personalità, e trascurate le forme che
sono imposte dalle leggi sul matrimonio ( 1 ) . Non
so perchè i criminalisti (Boch, §. 202, pag. 163.
Puttmann, §. 600 , pag. 288) generalmente ag
giungessero alla definizione del concubinato la con
dizione che l'uomo sia celibe e la donna sia innutta .
Sta bene che aderendo al rigoroso linguaggio del
l'antico diritto romano alla donna tenuta da uomo

coniugato si desse il nome di pellice, avuto più a


――――――――― 314 -

vile che quello di concubina (Valla, Elegantia


rum, lib. 6, cap. 28) od anche quello di pallace
derivato dal greco (S vetonio in Vespasiano) ; ma
poscia venne a perdersi questa distinzione , e col

nome di concubine si designarono anche coteste


femmine. Sicchè una definizione dettata per gli usi
odierni non sembra possa riprodurre questo rigore
di tecnicismo . È certo che anche un uomo ammo

gliato può tener donna a sua posta nella propria


dimora, ed a questa si dà il nome di concubina
anche dal testo delle leggi contemporanee ; come
pure può un celibe prender seco donna ad altri co
niugata, e tenerla qual concubina. Per spiegar ciò
bisogna dire che gli scrittori riportano il lor pen
siero al giure romano, e ad altre leggi che tolle
ravano e tollerano il concubinato come una forma

inferiore di matrimonio, ma pur sempre produt


trice di certi effetti giuridici (2) . Sotto questo punto
di vista sta bene che a costituire il vero e proprio
concubinaggio produttivo di quei tali effetti i due
debbano entrambo essere liberi da ogni vincolo
matrimoniale. Ma in faccia a leggi e costumi che
indistintamente riprovano il concubinaggio, la con
dizione di libertà dell'uno e dell'altra non è più
estremo necessario a costituirlo . Si avrà un con
cubinato congiunto con l'adulterio, e questo potrà
assorbire quello per la sua maggiore gravità,
quello divenire una qualità aggravante di questo ,
ma vi sarà sempre il vero e proprio concubinato .

(1 ) Più intricate sono le definizioni che ce ne lasciarono


i nostri vecchi criminalisti. Per esempio l' Ursa y a, cosi lo
descrive est unius tantum viri soluti cum una tantum foe
- 315 -
mina soluta, domi retenta, carnalis consuetudo cum quadam
societate vitae, maritali societati similis, absque ullo religionis
ritu et connubiali lege sed solo naturali affectu et inclinatione
procreandae sobolis inter ipsos inita. Ma è facile vedere la
inesattezza di questa definizione. Cosa ha che fare la incli
natio procreandae sobolis col concubinato ? Lo absque nullo
religionis ritu rende incompleta la definizione dove vige il
matrimonio civile ; cosicchè dessa è buona per il giure ca
nonico, non per il giure penale scientifico. E poi lo una tan
tum è desso vero per la essenza del concubinato ? Le sexa
ginta concubine di Salomone non erano desse concubine
perchè erano più di una ? In modo più svelto se ne sbrigò
Vouglans, Le crime de deux personnes de different sexe,
qui vivent ensemble comme s'ils étaient mariées. Errata, a
mio parere, è la nozione che ne porge Mullero (Prom
ptuarium, verbo concubinatus, n. 2) dicendolo omnis coitio
sine benedictione sacerdotali.
(2 ) Costalio, Adversar. pars 4, lib. 25, pag. 644 — T 0
masio , Dissert. de concubinatu, respondente Kiechel ,
vol. 3, dissert. 100, § . 11 et seqq. edit. Halae Magdeburgicae,
an. 1777 W Mangano , Diritto penale, vol. 1, pag. 75 -
Mattheu et Sanz , Controv. 58- Leyser , Medit. in
pandect. spec. 585 , medit. 26 — Gregorio, Syntagma, pars 2,
lib. 10, cap. 1, n. 4 → Hunnius ad Treutler u m, vol. 2,
disput. 15, thes. 3, quaest. 25 Meier, Collegium argen
toratense, lib. 25, tit. 7, vol. 2, pag. 143. Che i romani tolle
rassero, ed anche in certo senso favorissero il concubinato è
fuori di disputa. Ma presenta argomento di grave questione fra
i legisti l'influsso giudirico che esercitò sul concubinato la
legge Giulia Papia e Poppea e specialmente sorge dissidio
sul punto di sapere se le penalità contro gli orbi ed i celibi
e respettivamente i privilegi dei padri di molti figli si in
corressero, o respettivamente si godessero, dai concubinarii.
Vedasi su tale proposito in confutazione delle dottrine di
Heineccio e di Lauterbach, comunemente accettate ,
la dotta dissertazione di Pilette , Sur le concubinat chez
316 ―――――
les romains ; nella Revue historique, vol. 11, pag. 209, 321
et 433. Una qualche analogia col concubinato romano sem
brano presentarlo le nozze cosi dette barragagne che furono
in grande uso nella Spagna fino al secolo XV, e che si con
traevano da un uomo e da una donna liberi mediante di
chiarazione di voler vivere uniti, emessa in presenza di con
giunti e di testimoni senz'altro rito nè civile nè religioso .
Le nozze barragagne producevano un vincolo più stretto del
concubinato romano perchè non si potevano avere più bar
ragagne ; ma per molti altri effetti, ed anche per tutte le
conseguenze dell'adulterio la donna barragagna era ben lungi
dallo essere considerata come moglie. È certo però che il
concubinato romano, la morganatica degli alemanni, e la
barragagna degli spagnoli hanno fisonomie affatto diffe
renti dal concubinaggio dei tempi odierni. Coccejo ,
Exercitationes, vol. 1, disput. 93, de lege morganatica, pag. 1541.

§. 1867 .

Ai fini penali pertanto bisogna distinguere il con


cubinato semplice ( 1 ) dal concubinato qualificato ;
il quale si ravvisa appunto nel caso che uno dei
due amanti sia stretto ad altra persona per legit

timo nodo coniugale. Nel concubinato qualificato


la figura che primeggia nel malefizio e che ne as
sorbisce il titolo è quella dell'adulterio . Il concu
binato in alcuni casi crea (come vedremo a suo
luogo) la imputabilità dell'adulterio del marito ; in
altri può aggravare l'adulterio della donna per ra
gione della continuazione. La oggettività giuridica
del malefizio non si stenta a trovarla in siffatti ter
mini. I diritti del coniuge tradito porgono indubi

tatamente elemento bastevole perché la legge dello


Stato debba assumerne entro certi limiti la pro
tezione . E tutta la questione si riduce a decidere
317 -

se debba darglisi il nome di concubinato, o piut


tosto (come a me parrebbe) quello di adulterio .

(1 ) Nel concubinato semplice (quello cioè che passa fra uomo


e donna ambedue nubili) resta difficile a definire il criterio
col quale distinguevasi in Roma la donna libera che convi
veva con un uomo come concubina, dalla donna che viveva
secolui come moglie fatta tale per usum . A sciogliere questo
dubbio si prese a guida il Responso di Modestino , alla
leg. 24 ff. de ritu nuptiarum ove osserva che se la donna
era stata questuaria dovesse presumersi concubina : se onesta
presumersi moglie. Vedasi Ma estertius , De justitia ro
manarum legum, pag. 231, dubitatio IX.

S. 1868 .

Ma quando trattasi di concubinato semplice è


impossibile trovare alla sua forza fisica la corri
spondenza di un oggetto nel quale si rappresenti
un diritto violato. Un diritto particolare no certo
quando la unione avviene tra persone che hanno
la libera disponibilità di loro medesime, e che agi
scono spontaneamente e con piena cognizione di
causa laonde non può immaginarsi nel concubi
nato un reato che alla classe dei delitti naturali si

riferisca ( 1 ) . Potrà prendersi a sostenere l'assunto


che col medesimo si violi un diritto universale. Ma
per insistere seriamente su tale assunto bisogna
poter dimostrare che in tutti i cittadini, o per ri
guardo ai costumi o per rispetto alla religione o
per interesse politico, esiste un diritto tale che dia

loro ragione d' impedire a due persone libere di


vivere sotto lo stesso tetto in consuetudine fami

Fiare e peccaminosa . Ciò farebbe nascere un reato


- 318 ---

d' indole puramente sociale. Ma sostenere siffatta


dimostrazione mi sembra più che arduo ; ammeno
chè il concubinaggio non si estrinsechi con atti di
tale pubblicità che cagionando gravissimo scandalo
degenerino in altro titolo . Nella quale ipotesi non
sarà più a punirsi il mero concubinato, ma quel
fatto speciale che assunse i caratteri di oltraggio
pubblico al pudore, titolo speciale di malefizio che
troveremo a suo luogo nell'ordine dei delitti sociali.

(1) Tralasciando tutte le pene canoniche e le disposizioni


di parecchi concilii relative ai chierici concubinari, le repres
sioni temporali contro i laici anche dove si ebbe in odio
questo fatto furono generalmente assai miti, limitandosi a
pene pecuniarie o all' esilio. In Francia la dichiarazione di
Luigi XIII del 26 novembre 1639 articolo 6 esauri tutto il
suo rigore sopra i figli nati dal concubinaggio negando loro
i diritti di famiglia e di filiazione. In Portogallo nessuno dei
Codici penali si occupò di questo fatto, ed anzi nelle Alfon
sine (lib. 5, tit. 24, §. 1) se ne prescrive appositamente la
tolleranza fra persone innutte, dicendo essere in ciò minor
danno che nell' approfittarsi delle donne altrui : Mellio ,
Institut. juris Lusitani, vol. 5, pag. 135 in nota. La legge sas
sonica dell'8 febbraio 1834, che porse occasione al dotto com
mentario dell'illustre W a echter da noi altre volte citato ,
abbandonò affatto ogni punizione del concubinato, come aveva
fatto dello stupro e del quasi adulterio : Waechter , De
lege saxonica, pag. 30. In Germania nel secolo passato il con
cubinaggio si puniva secondo l'Hommel (Rhapsodiae, obs. 78),
con due anni di relegazione : secondo il Men chenio (Sy
stema, lib. 35, tit. 7, §. 3), e secondo la pratica della facoltà
giuridica lipsiense con pena pecuniaria, o al più nel concorso
di aggravanti con quattro settimane di carcere: secondo Boeh
mero (Ad Carpzovium, quaest. 70, observ . 3) , con pena arbi
traria. Anche gli antichi criminalisti furono discordi sul punto
- 319 -――――

di sapere se il concubinato potesse considerarsi come delitto


civile e punirsi con pene temporali. La negativa si insegnò
da Claro, in §. fornicatio, n. 6 - De Franchis, decis. 240,
n. 17 - De Marini s, lib. 1, res. 254, n. 8 ―― Carpzovio,
Praxis quaest . 70 , n. 38 Muscatello , De cognit. delict.
tit. de adulteriis, n. 34. L'affermativa invece sostenne : Ba
4 jardo, Ad Clarum, §. fornicatio, lit. h - Tuschio, tom. 2 ,
conclus. 566, n. 4 - Cancerio , Variarum resolut. lib. 3 ,
cap. 15, n. 13 - Marzario , cons. 9 ――― Mantica, De
conjecturis, lib. 11, tit. 9 - Deciano, cons. 5, n. 94 _____
Cravetta, cons. 229, n. 11 Reyger, Thesaurus juris,
verbo concubina, n . 7. Altri distinsero fra il concubinato del
l'uomo coniugato e quello dell' uomo libero : Bossio, In
tit. de coitu damnato, n . 22 et seqq. ―――― - Sanfelice, dec. 255,
n. 1 in addit. - Gregorio, Syntagma, lib. 10, cap. 1, per
argomento dalla 1. si qua illustris 5 C. ad S. C. Orphitianum,
e per il testo in l. ultima Cod. de communi servo manumisso.

S. 1869.

Sicché riepilogando queste rapide osservazioni


si viene a concludere che a buona ragione molte
scuole e Codici moderni hanno cancellato il concu

binaggio semplice dal novero dei delitti, perchè


come fatto di per sé stante non evvi ragione poli
tica di perseguitarlo se non voglionsi confondere
le ispirazioni dell'ascetismo coi dettati del giure.
I Codici sardo (art. 486) e toscano (art. 292, §. 1 )
come molti altri ( 1 ) non si occupano del concubi
nato tranne in proposito dello ammogliato il quale
tenga concubina nella casa maritale. Per codesto
caso ed in codeste condizioni conservano quei due
Codici il titolo di concubinato fra i delitti, punen
dolo con la carcere da due anni a quattro il toscano,
e da tre mesi a due anni il sardo , cosi nell'uomo
― 320 -

come nella correa, sempre però così l' uno come


l'altro a querela della moglie (2) . Ma se bene si
considera , l'obietto della imputazione è l'adulterio
e non il concubinato : questo non fa che qualificare
lo adulterio del marito e renderlo politicamente

imputabile , mentre nel caso semplice non lo sa


rebbe. Chiamando il delitto in tali condizioni con
cubinato anzichè adulterio qualificato , si è desunto
il titolo del malefizio dalla circostanza aggravante
come non di rado si pratica nella scienza nostra.
Tanto è ciò vero che, anche a senso di quei Codici,
non basta a punire il marito che egli tenga una con
cubina e dimori talora presso di lei ; bisogna che
egli tenga l'amasia nella casa coniugale : condi
zione che risale alla Novella 117, cap. 9 di Giu
stiniano, e le ragioni della quale sono facili a
percepirsi da ognuno .

(1) Adottando la regola della non punibilità del concubinato


derogandovi nel solo caso del marito con la solita condizione
che egli tenga la concubina nella casa coniugale : il Codice
boliviano del 1831 che all'art . 641 punisce il marito con l'ar
resto da due a otto mesi, e la concubina (manceba) con lo
esilio dal circondario di venti leghe ; il Codice delle provincie
peruviane del 1836, che all'art. 565 si limita ad infliggere il
bando alla concubina finchè duri la vita della moglie.
Contemplano invece il concubinato del marito, ancorché la
donna sia praticata da lui fuori della casa coniugale, il Co
dice spagnolo dell'anno 1848, che all ' art. 362 punisce il
marito con la prigione correzionale, e col bando (destierro)
la donna ; il Codice brasiliano del 1830 che all'art. 251 pu
nisce il marito con la prigione da uno a tre anni. Più retrivo
il Codice ticinese dell'anno 1816 all'art. 318 punisce con la
detenzione il concubinato anche fra persone libere. La teorica
del concubinato qualificato sembra abbia la sua origine dal
321
Codice penale francese del 1810, che all'art. 339 lo punisce
di una multa. In quella giurisprudenza procede tranquilla la
regola che un fatto isolato di commercio carnale di un co
niugato con donna estranea nella casa di lui non costituisce
il concubinato. Il doit être un commerce suivi, Blanche,
cinquième étude, n . 201. Ma ciò che avvi di singolare in quella
legislazione combinata con la relativa giurisprudenza, si è che
mentre essa punisce il drudo complice della moglie adultera
con pena minore di quella irrogata alla moglie nel concubi
nato, mantenendo la esosa regola della parificazione dei com
plici, punisce la concubina alla pari del marito concubinario .
(2) Merita osservazione il giudicato della Cassazione di
Francia 23 marzo 1865 in affare Bouranet, ove si stabili che
la moglie poteva ottenere la condanna del marito come col
pevole di avere tenuto una concubina nella casa coniugale
quantunque ella medesima fosse condannata per adulterio.
La negazione della reciprocità di scusa in questo caso si ra
gionò da quel giudicato sopra considerazioni tutte desunte
dalla lettera della legge positiva : in faccia alla scienza mi
parrebbe assai disputabile questo privilegio di vendetta accor
dato alla femmina pel quale mentre al marito concubinario
si vieta di muovere querela contro la moglie adultera, si ac
corda a questa la balia di insistere per la condanna di quello .
Analoga osservazione è a farsi in proposito di ciò che insegna
Blanche, cinquième étude, n. 211, vale a dire che mentre
la riconciliazione fra i coniugi esonera la moglie adultera dalla
pena incorsa non debba produrre uguale effetto a favore del
marito condannato per concubinaggio. Sono idee di disparità
che non capono nelle nostre menti. Sulla questione se la con
cubina maritata possa essere condannata senza querela del di
lei marito vi è una decisione della Cassazione di Francia del
28 febbraio 1868 in senso affermativo : Blanche, cinquième
étude, pag. 248. Negasi però in Francia il diritto di querela
quando la moglie sia separata di corpo dal marito concubi
nario ; Morin , art. 9309 ___ Brousse, De l'adultère,
pag. 167 : e vedasi §. 1882, e nota 2 a § . 1911 .
VOL. III . 21
322

S. 1870.

Contemplando più davvicino il caso unico al quale


si è ridotta nello stato attuale della scienza e nella

maggior parte delle legislazioni contemporanee la


punibilità dello adulterio del marito, ed al quale
è piaciuto dare il nome di concubinato, chiaro si
scorge che la sua oggettività giuridica assuma una
forma più vasta per la triplice condizione che deve
accompagnarlo. Non si protegge soltanto il diritto
alla fedeltà del marito che può essere in altre con
dizioni impunemente offeso nella moglie : bisogna
che la infedeltà abbia nel marito assunto ancora
il carattere di abituale : bisogna che l'abitudine
siasi estrinsecata con la stessa donna : e bisogna
infine che cotesta donna sia stata intrusa nella casa
coniugale e vi abbia preso dimora. Cosicchè il di
ritto che più specialmente sembra essersi voluto
proteggere nella moglie sia la padronanza di casa
sua, ed il danno che si è voluto impedire sia il di
sordine nascente per la presenza delle due rivali
in seno di quella famiglia della quale soltanto la
moglie legittima deve essere donna e madonna.
Per conseguenza un marito che abbia consuetudine
carnale con donna non sua, ed anche la tenga a

sua posta in casa di propria pertinenza ( 1 ) non


cade sotto la sanzione penale ; come non vi cade
colui che brutalmente meni in sua casa femmine
di mal costume consumando l'oltraggio della con
sorte sotto gli occhi della medesima . In questo
punto di vista può forse trovarsi una ragione non
disprezzabile per conservare a questa specialità il
323 -

titolo di concubinato, anzichè quello di adulterio :


con ciò si aderisce forse più rigorosamente alla
regola per la quale la classe ed il nome dei ma
lefizi si deve desumere dalla oggettività loro più
prominente nelle vedute del legislatore e determi
nante le condizioni d'imputabilità . Trovata la og
gettività principale del reato nella offesa al diritto
di padronanza anzichè al diritto di fedeltà , può
ravvisarsi come più esatta la nomenclatura di con
cubinato, quantunque poi nella sostanza la base
della imputazione sia lo adulterio. Ma poichè tanto
nell'uno quanto nell'altro modo di vedere sta sem
pre bene che il fatto si riferisca ai diritti di fa
miglia, su tale questione (che è puramente di nome)
io mi dichiaro remissivo. Del resto le condizioni

che troveremo apposte alla perseguibilità del correo


della moglie adultera (§. 1904) non si riproducono
in ordine alla perseguibilità della correa del ma
rito concubinario. Questa può esser tratta in ac
cusa ancorché non si abbia una prova scritta (2)
di mano di lei , perchè qui non osta il principio
che vieta le indagini sulla paternità .

(1) Si è però sostenuto che alla casa coniugale debba equi


pararsi una casa adiacente nella quale il marito tenga la
concubina : vedasi Morin, Journal du droit criminel, n . 8023.
Tale soluzione non può essere dubbiosa quando fra la casa
coniugale e l'adiacente siavi comunicazione interna : ma vi
possono essere ragioni per accettarla in certe circostanze
anche senza di ciò . Notabile è la ipotesi che fa Brousse
(De l'adultère, pag. 163 ), di un marito che tenga la concu
bina nella casa coniugale ma in quella casa non abbia mai
avuto commercio con lei, e ne prenda piacere in altri luoghi .
Esso dice che ciò nonostante quel marito deve punirsi come
324
concubinario. E parmi a buona ragione, perchè se il concubito
stabilisce il fine del mantenimento e la qualità personale
della donna, non rappresenta peraltro la ultima obiettività
giuridica del reato, la quale si estrinseca nella invasione do
mestica e nella offesa al diritto che ha la moglie di essere
donna e madonna in sua casa. È stato poi deciso dalla Corte •
di Catania col giudicato del 29 gennaio 1874 (Giurisprudenza
di Catania, anno 4, dispensa 4, pag. 61) che si ritiene casa
coniugale quella dove abita il marito ancorché da lungo
tempo se ne sia allontanata la moglie. E ciò a buona ragione
perchè la moglie ha sempre il diritto di ritornarvi quando
le piace. Del resto quando la legge stabilisca la punibilità
del marito concubinario senza parlare della donna, le regole
generali della complicità involvono in quella anche la donna:
Corte di Parigi, 2 marzo 1866, affare Douchet : Corte di
Rouen, 1 febbraio 1867, affare Gambo.
(2) Corte di appello di Catania, 13 maggio 1872, nella Giu
risprudenza di Catania, anno 2, pag. 157.

CAPITOLO III.

Adulterio.

ARTICOLO I.

Nozione.

S. 1871 .

La etimologia che gli scrittori comunemente ci


danno della parola adulterio , quantunque sotto il
punto di vista storico grammaticale ( 1 ) sia assai
meno che esatta (ad alterius thorum ire) esprime
abbastanza il concetto generale del fatto in un modo
figurativo, vale a dire la violazione del talamo co

niugale. Non vi ha dubbio che prescindendo da


qualsisia precetto religioso, e da qualunque legge
- 325 -

positiva imposta alla città, i coniugi acquistino


.
l'uno verso l'altro un diritto alla fede reciproca,
il diritto cioè che nessuno dei due faccia copia ad
altri del proprio corpo : il concetto essenziale del
matrimonio (astrazione fatta da qualunque rispetto
formale) non è appunto che in questo ; nella fede
cioè datasi reciprocamente dai coniugi di consa
crare in modo esclusivo e perpetuo l'uno all'altro
durante la respettiva vita la propria personalità .
La idea del matrimonio secondo la legge naturale
è rivelata all'uomo da quella congenita aspirazione
dell'anima che chiamasi amore, e che spinge le
creature ragionevoli allo istintivo desiderio di con
giungere alla propria persona la personalità di un
altro suo simile. Tale congiungimento ha la sua
prima e la sua più pura radice nello affetto del
l'anima e cosi nel legame delle due personalità mo
rali che potrebbe esaurirsi anche nel mero vincolo
di amicizia tra persone di sesso uguale ; ma questo
non basta al completo soddisfacimento dei respet
tivi bisogni se la persona a sè congiunta non è di
sesso diverso, sicchè avvenga dopo la congiunzione
degli animi la congiunzione dei corpi , e se ne ot
tenga la integrale unificazione delle due persona
lità in guisa che l'una possa trovare nell'altra
tutto quanto le occorre nel terreno pellegrinaggio
a conforto cosi del cuore come dei sensi . L'amore
purificato nella sua più sublime idea, come lo sente
ognuno che ne cerchi il tipo nelle aspirazioni del
l'anima e non nella mera brutalità dei sensi , tende
al possesso della persona amata, e non è soddisfatto
se non è corrisposto di uguale affetto ; e non è
soddisfatto e tranquillo se tale reciprocanza non
―――――― 326 -

presenta la idea della perpetuità , almeno come un


probabile subordinato alle accidentalità della vita ;
e non è soddisfatto se tale reciprocanza non sia
esclusiva, cosicchè la persona amata diasi tutta a
noi, come noi ci diamo tutti a lei. Laonde la for

mula nella quale si estrinseca il più puro concetto


dell'amore è quella che il volgo istintivamente ri
pete, sei mia , tutta mia, sempre mia; sono tuo,
tutto tuo , sempre tuo. In cotesta formula che

ognuno ha sentito spontanea nel proprio cuore,


dove gli affetti che Dio ha impresso nell'anima
umana non siano stati pervertiti dalla corruttela,
sta la rivelazione della suprema legge di natura
in ordine al matrimonio. Per codesta legge adun
que, e non per placito di umani legislatori, è nella
essenza del matrimonio la perpetuità in previsione,
e la esclusività assoluta. Che se la storia ci mo

stra alcuni popoli aver prediletto la precarietà, ed


altri la pluralità, ed altri la promiscuità delle mo
gli, ciò deve tenersi o come una necessità subita.
per lo intento di moltiplicare le genti (e tale ne
fu la ragione appo i popoli primitivi ) ; o come una
aberrazione prodotta dall'impero dei sensi ( e tale
n'è il carattere nell' Oriente moderno) : ma non può
mai accettarsi come un effato della legge di na
tura, poichè alle genuine aspirazioni dell' anima
nella purezza loro non corrisponde. La storia ci
ricorda esempi di costumanze irragionevoli e bar
bare di ogni foggia . Se nella storia e non nelle
intime rivelazioni del nostro cuore e della nostra
ragione dovesse cercarsi il testo della legge di
natura bisognerebbe concludere la negazione di
cotesta legge, come pur troppo fecero alcuni pseudo
- 327 ――――――――

filosofi oppure bisognerebbe dire che la legge di


natura tutta si stringe nel precetto dello egoismo ,
conservare se stesso e soddisfare ogni proprio
bisogno.

(1 ) Sembra assai arduo trovare la radice della parola adul


terio nella voce thorum. Festo (De verborum significatione),
aveva spiegato tale etimologia semplicemente cosi : quia ille
ad alteram et haec ad alterum sese conferunt ; e il Dacer,
nelle sue note a questo luogo censura l'altra. Godde u s,
(De verbor. signif. ad princ. l. 101, n. 8) andò per più torta
via quasi propter partum ex altero conceptum, quod alte
rius partus substituatur : vel quod ex adulterio conceptus ab
uno ad alterius haereditatem nascatur - Calvino , Lexicon
juridicum, verbo adulterium. Il Vossio (Etymologicon lin
guae latinae, verbo adulterium), le rigetta tutte dicendo vo
lervi poco a comprendere che adulterium deriva da adulter
come magisterium da magister !

§. 1872.

Il dovere della fede coniugale è dunque incon


trastabile, ed è dovere giuridico perchè a lui cor
risponde il diritto nell'altro coniuge ad esigerne
la osservanza. La violazione di cotesto diritto è
dunque riprovevole cosi in faccia alla legge mo
rale come in faccia alla legge giuridica : ed è adul
terio (1 ) tanto se la infedeltà si commetta dalla
moglie in onta dei diritti maritali, quanto se si
commetta dal marito in onta della consorte. Da
questa verità giuridica pensarono alcuni scaturirne
la conseguenza che dovesse clevarsi a delitto ci

vile così l'adulterio del marito come quello della


moglie, e che entrambo fossero meritevoli di uguale
repressione penale. Generalmente però e i pubbli
――― 328 ―

cisti e i legislatori dissentirono da tale pensiero ;


e molti che riconobbero nell'adulterio della donna.

un delitto, ed un delitto gravissimo, non ammisero


la punibilità dello.adulterio del marito : sulla quale
divergenza è necessario dimorare un istante prima
di descrivere la nozione dell'adulterio come delitto .

( 1) BIBLIOGRAFIA Damhouder, Practica rerum crimi


nalium, cap. 89 - Choveronio, De publicis concubinariis
rubr. de adulterio (in tractatus magni, vol. 11, pars 1, fòl. 147)
- Claro, Sententiarum , lib. 5, §. adulterium ----- Zuffio ,
Instit. crimin. lib. 2, tit. 27 - Bossio, De effectibus matri
monii, cap. 1, §. 17 ―――― Farinaccio , Praxis criminalis,
pars 2, tom. 2, tit. 4, quaest. 140 - Ursaya, Instit. crim.
lib. 3, tit. 5, n. 4 et seqq. - Menochio , De praesumptio
nibus, lib. 5, praesumptio 41 Caravita, Instit. crim.
lib. 1, cap. 3, §. 29 -- Carpzovio, Praxis crim. pars 2,
quaest. 51 ad 55 - Leyser , Meditat. in pandect. speci
men 576 ad 580 ― Goyer, Ad legem Juliam de adulteriis
- Royards , Ad poenas perjurii et adulterii Pagen
stecher, Dissertatio de cornibus et cornutis - Nevi
zano , Sylva nuptialis , edit. 1521 - Bocero , De adulte
rio et adulteris - Harpprecht, Instit . lib. 4, tit. 18,
§. item lex Julia 4, n. 7 et seqq. - Rubeo, De adulteriis
- Christineo, Decis. belgicae, vol. 5, decis. 218 — Bris
sonius, Liber singularis ad leg. Jul. de adulteriis - Ba
ver, De veritate criminis perpetrati, corpus delicti vocari so
lita in adulterio ――――――― Tesmarus, De adulterio impunito ―――――
Rittersbutio, Expositio novellarum, pars 12, cap. 5, e
nei responsi dec. 1, resp. 6, (a ) -— Brokes, observat. 152 -
Esbach, Ad Carpzovium, pars 4, costit. 19 - Vouglans,
Lois criminelles, tit. 3, chap. 5, §. 1, - Seigneux, Système
abrégé dejurisprudence criminelle, pag. 251- Richerio, Uni
versajurisprudentia, lib. 4, tit. 49, cap. 9, sect. 2, §. 1452 et seqq.
- Bedel, De l'adultère ―― Puttmann, Elementa jur.
――― 329 -

crim. §. 606 et seqq. - Koch, Instit. jur. crim. §. 305 et


seqq. - Fabro, De erroribus, error 3, decas 51 Leh
mann, Dissertatio de causis nonnullis adulterii poenam mi
tigandi spuriis, Lipsia 1775, Preside Puttmanno - Haupt,
De poena adulterii ex lege Julia, Lipsia, 1797 Ottone ,
Consilia, resp. 52, col. 236 et 241 ; resp. 56, col. 250 et 252 ;
resp. 50, col. 265 ; resp. 71, col. 328 ; resp. 190, col. 1489
et 1496 ― Niese, Quatenus actiones quae vulgo delicta car
nis dicuntur sint coercendae , Vittemberga , 1793 - Unge
pauer, Tractatio de delictis carnis, Halae, 1724 - Hell
feld, Jurisprudentia forensis, vol. 2, pag. 781 ― Cocceio,
Exercitationem, exerc. 90, cap. 4, pag. 1469 ― Hoffmann ,
Commentatio de notabilioribus delictorum matrimonialium tem
poribus, Regiomonti, 1726 Ludewig, Dissert. de origine .
atque progressu poenae adulterarum apud romanos ; in ejus
dissertat. vol. 3, dissertat. 5 - Carmignani, Elementa,
§. 1172 et seqq·· - Rauter, Droit criminel, tom. 2, n. 473
-Fournel, Traité de l'adultère ― Chauveau et He
lie, Théorie du code pénal, tom. 6, pag. 209 Giuliani ,
Istituzioni, vol. 2, pag. 349 Mori, Teorica, lib. 2, tit. 6,
cap. 2, pag. 234 Puccioni, Saggio, lib. 4, tit. 9, §. 4.

§. 1873 .

Può ammettersi che sotto un punto di vista giu


ridico meramente astratto non siavi differenza tra
la infedeltà della moglie e la infedeltà del marito ,
quantunque anche per gli effetti di giure privato
sia notissima e ricevuta da molti canonisti la dot
trina del Decio, il quale insegnò che la legge ci
vile, inabilitante a succedere i figli adulterini, debba
intendersi soltanto degli adulterini ex parte ma
tris e non degli adulterini ex parte patris. Ma
quando si cerca se una violazione del diritto possa
dal legislatore elevarsi a reato non basta trovare
330 -

che il diritto esiste, che il diritto fu violato con


nocumento di colui al quale spettava, nè che la
violazione procedette da animo pravo. Se ciò ba
stasse tutte le violazioni dei patti sarebbero de
litti. Bisogna che vi concorra qualche cosa di più,
e precisamente ciò che al fatto pravo dà il carattere
politico, vale a dire un danno universale almeno me
diato che si congiunga al danno immediato partico
lare. Io non voglio dunque porre sulla bilancia i
diritti dei due coniugi nella famiglia e da ciò far
dipendere la soluzione del presente problema. Dispu
tano è vero gli scrittori di diritto naturale se la
società coniugale debba dirsi costituita sull'ordine
democratico, o sull'ordine aristocratico, o sull'ordine

monarchico (1 ), nè ancora si accordarono in ció ; nè si


accorderanno forse giammai nel trovare una for
mula assoluta in cosa che per natura sua è relativa
e variabile, cosi per virtù di costumanze generali
appo un popolo come per virtù di condizioni speciali
nelle attitudini relative dei coniugi a guidare la
famiglia. Ma sia che vuolsi di tale questione ten
dente a decidere in chi risieda nella società sud
detta l'autorità gerarchica, ciò nulla monta per
quanto attiene ai rapporti obbligatorii giuridici
sulla respettiva persona. È indubitato che sotto il
punto di vista dei diritti pertinenti ad un coniuge
sul corpo dell'altro coniuge la società coniugale si
adagia sul principio assoluto della uguaglianza. Ma
che perciò ? Si ingannano coloro che dalla dimostra
zione di codesto principio credono poterne dedurre
la proposizione che l'adulterio debba essere ugual
mente delitto nel marito come nella moglie perchè
si l'uno come l'altro hanno uguale diritto alla fe
――― 331 -

deltå del coniuge. Questa tesi si è modernamente


propugnata con particolare caldezza da taluno e

non senza risparmiare gli epigrammi e le usate


invettive. La legge della disparità (si è detto) fu
dettata sotto le tende militari ed ispirata dalla
prepotenza della forza. Al che fu replicato che la
opposta tesi si era troppo spesso studiata nella
camera della consorte e sotto le ispirazioni del
l'amore. Ma bando alle declamazioni che mai non

fanno fare un passo alla scienza . L'errore di co


desto ragionamento nasce dal confondere il diritto
con la punibilità della sua violazione . Il ragiona
mento correrebbe gagliardo se per regola generale
tutte le violazioni del diritto fossero impreteribil
mente delitti civili . Ma ognuno sa ed ognuno con
corda che vi sono centinaia di violazioni di diritto
alle quali il legislatore non potrebbe, senza pec
care di tirannide, applicare il magistero penale,
perchè a tali violazioni può bastantemente prov
vedersi col magistero civile. Ognuno sa che una
violazione del diritto non può elevarsi a reato, se
dalla medesima non conseguita un tale danno che
renda necessaria e conseguentemente legittima la
repressione . Ora se dalla infedeltà della moglie de
riva un danno di gran lunga superiore a quello
che nasce dalla infedeltà del marito, la differen
ziale fra caso e caso è positiva, e nasce non dal
l'arbitrio o prepotenza del sesso forte ma dalla
natura inalterabile delle cose. Non basta dunque
dimostrare che il diritto alla fedeltà esiste ugual

mente in entrambo i coniugi per concluderne che,


se identica è la indole giuridica della violazione ,
identica ne debba essere pure la indole politica .
-- 332 ――――

Male si argomenta sempre nel giure penale quando


vi si trasportano le idee del giure civile. Nessuno
vorrà elevare a delitto la negata restituzione dello
imprestito come vi si eleva la truffa, quantunque il
diritto di proprietà sulla cosa prestata sia uguale
in me al diritto di proprietà sulla cosa involata. Non
basta guardare astrattamente la uguaglianza del di
ritto quando sono diversi secondo le forme gli effetti
della violazione.

(1) Bensa, Summa juris naturalis, lib. 7, art. 6, pag. 75


---- Fleischer, Institutiones juris naturalis, lib. 3, cap. 3
―― Zeil
§. 22 - Haus, Doctrina juris naturalis, §. 257
ler, Jus naturae privatum, §. 159 --- Wernher, Analecta
juris naturae, dissert. 10, §. 8 - Achenwall, Prolego
mena juris naturalis, lib. 2, sect. 2, tit. 1, §. 47 - Puffen
dorf, De jure naturae et gentium, lib. 6, cap. 1 - Burla
-
machi, Principii del diritto naturale, part. 4, cap. 14
Tolomei, Corso di diritto naturale, §. 479 ---- De - Fo
resta, Adulterio del marito.

S. 1874 .

La donna ha diritto alla fedeltà del marito come.


ha diritto ad essere da lui alimentata. Da ciò se ne

trarrà egli che sia da elevarsi a reato criminal


mente perseguitabile il fatto di quel marito che
per avarizia o scialacquo faccia languire nella inopia
la propria moglie ! L'argomento del diritto alla fe
deltà, che illuse qualche civilista, non ha dunque
solido valore nella presente questione. Per risol
vere la medesima bisogna risalire ai fondamenti
della punibilità dell'adulterio nella donna, ed esa
minare se cotesto fondamento ricorra del pari nel
333 ――――――

l'adulterio del marito . Se si, dovrà confessarsi che la


diversa misura penale è una ingiustizia degli uo
mini ; se no, dovrà condannarsi questo pensiero
come una utopia. Fermandoci pertanto su questo
fondamento troviamo essersi da diversi scrittori e

legislatori variato nella contemplazione del mede


simo ( 1 ) . Alcuni hanno anche qui posto innanzi una
idea tutta preventiva ed empirica, insegnando che
era buono punire la moglie adultera e severamente
punirla, al fine di evitare le maritali vendette. Io
già ad altre occasioni ho professato il poco cre
dito in cui tengo questa considerazione , mercè la
quale la punizione di me si adagerebbe sopra la
idea di proteggere me stesso contro il delitto di
altri . Pure al presente luogo volendo esaurire lo
esame del proposto problema dirò che anche va
lutata siffatta considerazione, ne sorge non una pa

rità d'importanza politica, ma una differenziale fra


la infedeltà dell' uno e dell'altro coniuge : poichè
la esperienza mostra non essere ugualmente temi
bili ad occasione di una infedeltà coniugale le fe
roci vendette private per parte della moglie come
lo sono per parte dell'uomo . Nella generalità dei
casi la donna tradita cerca di vendicarsi in altro.

modo che col pugnale ; e la statistica dei viricidii


ci mostra essere questi frequentemente avvenuti per
la opposta cagione della indiscretezza maritale ad

esigere fedeltà dalla moglie anzichè per cagione


d'infedeltà del marito .

(1) In proposito della punibilità dello adulterio espose sin


golari argomentazioni Tissot, Droit criminel, tom. 2, pag. 216
et suiv.: dove in sostanza con la sua consueta filosofia,
334 --
sempre originale e sempre acuta, intende negare che nella
infedeltà coniugale ( anche della donna) possa mai ravvisarsi
la violazione di un dovere giuridico e farne un delitto . I
principali suoi argomenti sono : - 1. la storia : non vi è
fatto umano intorno al quale siasi tanto variato nei diversi
popoli quanto questo della infedeltà coniugale : prova certa
che la punizione di questa non ha un principio giuridico
costante sul quale possa appoggiarsi. Rispondo anche una
volta, che la storia registra fatti buoni e fatti cattivi, fatti
ragionevoli e fatti irragionevoli : dunque non riconosco nella
storia l'autorità di decidere nessuna questione giuridica :
--- 2. la società non entra come parte nel contratto di ma
trimonio neppure dove vige il matrimonio civile. Ne con
vengo ed appunto per ciò non trovo nell'adulterio un de
litto sociale ; ma soltanto un delitto naturale : — 3. il dolore
morale del marito tradito è uguale per la infedeltà morale
come per la infedeltà fisica ; ed è forse più infelice il ma
rito di una donna fedele , ma dura, insensibile, egoista e
perpetuamente nemica, che non lo sia il marito di una
donna che si permetta qualche galanteria, ma la compensi
con un tesoro di atti amorevoli verso il consorte e di cure
verso la famiglia : se voi non potete punire la infedeltà mo
rale, o lo ingrato ricambio di una osticità permanente nella
moglie fedele fisicamente, voi non dovete neppure punire la
infedeltà fisica che è cagione di assai minore martirio. Con
cordo la verità pratica di questa osservazione : ma noi non
diciamo che l'adulterio della donna si debba punire per
riguardo ai dolori morali del marito ; bensi per riguardo ai
suoi danni patrimoniali. Questi argomenti sono buonissimi
per respingere la punizione dell'adulterio del marito ; ma non
rispondono al cardine della punibilità della donna che con
siste nel danno pecuniario e nella incertezza del vincolo pa
rentale che turba la concordia della famiglia. Ad altri è pia
ciuto dire che vi è una grande differenza fra il ladro e lo
adultero. In quanto a me fra colui che creando una falsa
obbligazione a mio nome mi obbliga a pagare mille scudi
335
ad una figlia sua, e colui che intrudendo una figlia sua nella
mia famiglia crea l'obbligo a carico mio di pagarle mille
scudi a titolo di dote, non so vedere differenza giuridica ; e
sento il bisogno ed il diritto che la società mi protegga
contro ambedue quelle aggressioni del mio patrimonio ; alla
seconda delle quali vi è per giunta la turbazione della mia
pace domestica, e questa analogia che io trovo fra l'adul
terio della donna ed il furto mi sembra più logica della ana
logia che trovò Mantica (singular. 117, n. 2) e Vela z
quez (cons. 28, n. 38, pag. 165, lib. 1) fra l'adulterio e il
delitto di lesa maestà. Vede ognuno che in questa guisa io
non confondo la morale con la politica, che certamente non
è il mio difetto. Il concetto finale di Tissot era questo ,
che la pena dell'adulterio dovrebbe essere il divorzio : e tale
concetto lo illustre filosofo di Digione ha svolto più larga
mente di poi nel suo erudito libro intitolato : Le mariage,
la séparation et le divorce consideré aux points de droit na
turel, Paris, 1868. Di questo libro ha dato conto quel veloce
ingegno di Emilio Brusa in un suo articolo inserito nel
Monitore dei Tribunali di Milano, n. 43, 44, 1868. Ma la que
stione del divorzio non mi riguarda , e l'adulterio può essere
punibile cosi dove si ammette come dove non si ammette
il divorzio. Soltanto dirò che il giovine criminalista milanese
ha creduto rispondere all'obietto dell'aggressione patrimo
niale mostrandosi amante delle dottrine sociali di Girar
din, secondo le quali il centro della famiglia dovrebbe es
sere la madre che è certa, e non il padre che non è mai
certo. Ma anche questo concetto di ricostituzione della so;
cietà di famiglia secondo natura esce dal mio compito . Fatto
è però che tale ricostituzione per quanto si appoggi su ra
gionevoli desiderii non è finqui che un desiderio. Onde dirò
che quando il medesimo siasi convertito in realtà, rimanendo
allora l'obiettivo dell'adulterio della donna nel suo dolore
morale, andrò d'accordo ancor io che si cancelli dal novero .
dei delitti.
――――- 336

§ 1875.

Altri considerarono l'adulterio sotto il punto di


vista della prosperità nazionale, e locando questa
nella moltiplicazione dei matrimoni osservarono che
l'adulterio delle maritate mentre da un lato offriva
all'uomo facile occasione di evitare le nozze, dal
l'altro lato lo atterriva dal contrarle. Cosicchè nella
scostumatezza delle femmine ravvisarono un danno

diretto che patia la Repubblica, e quindi ne istitui


rono pubblica la persecuzione e le pene gravissime.
Questo fu il pensiero romano al quale s ' ispirarono
le celebri leggi Giulie (1 ) quando la statolatria era
il supremo motore degli ordinamenti di quel popolo.

Neppure questo pensiero io accetto come primario


fondamento della punibilità dell'adulterio, ma pure
facendomi qui carico anche del medesimo dirò che
seguendo siffatta idea essa ne conduce diritti alla
differenziale, e non alla parificazione, come ap
punto condusse alla differenziale i legislatori ro
mani. Infatti non fu, non è, e non sarà mai che i
matrimonii si diradino nella città per mancanza di
donne che vogliano ire a marito, ma bensi per
mancanza di uomini che vogliano condurre moglie .
Non giova trattenerci sulle diverse cause o morali
o economiche o fisiologiche di questo fatto, ma il
fatto è positivo tanto che la storia ci mostra che
le leggi matrimoniali si sono sempre dettate con
la veduta d' incoraggiare al matrimonio piuttosto
gli uomini che le femmine, alle quali si riputarono
sempre bastevoli gl'incitamenti naturali . Ove per
tanto la punibilità dello adulterio volesse costituirsi
- 337 ――――

su questo fondamento anche il medesimo condur


rebbe ad una differenziale fra l'adulterio della mo
glie e quello del marito.

(1 ) Anche prima delle leggi Giulie esisteva in Roma una


legge che puniva l'adulterio (come si ha da Tito Livio
hist. lib. 10 ab urbe condita) ma con pene mitissime. Le leggi
Giulie occuparono specialmente l'animo di Augusto che, dopo
la sconfitta di Antonio, vi diede opera particolare, dettandole
dall'anno 726 in seguito con successiva persistenza, nella
veduta di porre un freno alla scostumatezza romana. Sulla
storia di queste leggi può consultarsi Ramos de Man
zano, Ad legem Juliam et Papiam Poppeam, lib. 1, cap. 1 ;
in Thesauro Meermanni, vol. 5, pag. 58 Arniseo , De
jure connubiorum, cap. 5, n. 20. Quello che sembra indubitato
si è che tutte le leggi Giulie, la sumptuaria, la de adulteriis,
la de pudicitia, la de maritandis ordinibus, e la Papia Pop
pea promulgata nel 761 , tutte s'ispirarono alla veduta di
promuovere i matrimonii divenuti ogni giorno più invisi ai
patrizi romani. Osservò Cannegieter , Hermann 0,
(Observationum juris Romani, pag. 438) che anche in Roma
pagana la religione servi di comodità alle adultere, poichè
quelle matrone si valevano spesso delle feste religiose come
occasione di darsi più liberamente in braccio ai loro amatori.
È comune opinione che i Romani non punissero l'adulterio
delle ancelle. Ricorda però Thomasio un passo di V o
pisco dal quale apparirebbe l'imperatore Aureliano avere
condannato a morte un'ancella come colpevole di adulterio :
Thomasio, Notae ad pandectas, pag. 356. Sembrami però
molto ardua la combinazione dell'adulterio con il contubernio.

§. 1876 .

Ma il vero fondamento della punibilità di una


azione qualunque si deve cercare sempre nella im
VOL. III. 22
338 ――――――

portanza e nelle condizioni del diritto leso . È cioè


necessario incontrare nella violazione del diritto ca
ratteri tali che al bisogno di proteggere questo non
possano adeguare nè il semplice magistero civile
né i provvedimenti di buon governo . È soltanto in
simili condizioni che il legislatore usa legittima
mente dei poteri suoi mettendo in moto contro
quei fatti il magistero di repressione. Ora sia pure
eguale il diritto astratto e sia pur sacro egual
mente il dovere violato cosi dal marito come dalla

moglie mediante l'adulterio . Negare non si può


la immensa sproporzione di gravità nei resultati,
e la consequenziale difformità della intrinseca im
portanza del fatto nella sua forza oggettiva cosi
fisica come morale. Spontanea è la difformità delle
conseguenze quanto alla incertezza della prole ;
quanto all'ingiusto carico di alimentare i figli altrui
a detrimento di sè stesso e dei figli propri, e quanto
ancora al disonore che il pregiudizio universale
tiene nell'un caso gravissimo, e nell'altro caso in
significante. Non è dunque parzialità della legge
verso il sesso più forte il proclamare la impunità
dell' adulterio del marito ed usare rigore contro
la moglie è una derivazione del supremo princi
pio che vuole si desuma la condizione di delitto
ed il calcolo delle sua misura dal danno cosi im
mediato come mediato che da una prava azione
discende ( 1 ).

(1) Sul tema dell' adulterio del marito possono vedersi


Struvio , Evolutiones, pag. 672 ――――― Ludwell , Exercita
tiones, pag. 338, lit. d - Textor, Praxis judiciaria, pars 2,
cap. 9, n. 117 ― Priori, Pratica criminale, Venezia, 1695,
pag. 175. La differenziale che passa fra le infedeltà della
― 339
moglie e le infedeltà del marito si è dipinta e quasi mate
rializzata nel modo più sensibile da Dumas nel suo libro
intitolato homme et femme, Paris, 1872. Riproduco così il
suo concetto. La moglie di Catone ha dalla legge il diritto
di mettere al mondo quanti Catoni può, ed il nome illustre
perpetuare nella loro discendenza quantunque del sangue di
Catone non sia in loro una goccia. Ma Catone non può met
tere al mondo un Catone se non col mezzo della moglie. I
generati dalla moglie quantunque bastardi godranno essi e
la progenie loro, il nome e lo stemma e tutti gli onori della
illustre famiglia. Ma i figli del marito altrove ottenuti sa
ranno in faccia alla legge avviliti come adulterini ; ed essi
e tutta la loro posterità, reietti ed inabilitati a portare il
nome del vero loro genitore. Questa osservazione mostra che
in faccia ai figli procreati dall'adulterio il marito reca loro
grave danno mentre la moglie reca ai suoi grandissimo bene.
Ma questo bene è una ladreria ed una usurpazione. L'obiet
tivo del reato di adulterio non sta nei diritti della prole che
ne nasce ma nei diritti della famiglia. Il Codice dell'Impero
tedesco al §. 172 punisce ugualmente cosi l'adulterio del
marito come l'adulterio della moglie. Ma ( riproducendo il
concetto del Codice prussiano) li punisce entrambo alla con
dizione che siano stati causa di divorzio. Berner (Lehrbuch ,
§. 192, pag. 475 e 476) svolge per largo le ragioni che hanno
indotto gli Alemanni a tale parificazione. Ma in quanto a
me ne trovo una sola che basta per tutte le altre assai pro
blematiche. Ed è che punendo l'adulterio soltanto quando
fu causa di divorzio se ne muta radicalmente l'obiettivo
giuridico. Non più si punisce la fede violata, non la lesione
dei diritti del coniuge : ma la famiglia scompaginata : obiet
tivo che si ferisce ugualmente da ambedue gli adulterii,
poichè l' uno e l'altro sono indistintamente causa di divor
zio. Qui osserva Schutze (Lehrbuch, §. 72, pag. 325) che
avvenuto una volta il divorzio lo adulterio è punibile quan
tunque il divorzio sia stato decretato anche per altre cause
differenti dall' adulterio. È evidente che in faccia a questo
6
340 --
sistema la morte del coniuge prima del pronunziato divor
zio estingue ogni persecuzione di adulterio, perchè rende
impossibile decretare il divorzio. La questione pertanto re
lativa agli effetti della morte di uno dei coniugi sulla per
secuzione dello adulterio (questione che troveremo più avanti)
non può per tale ragione ricever lume od aiuto dalla Giu
risprudenza tedesca. Del resto cambiato cosi l'obiettivo di
questo reato a me parrebbe che l'adulterio assumesse il ca
rattere di reato sociale ; lo che condurrebbe a dichiararlo
perseguitabile a pubblica azione. D'altronde il coniuge era
libero di non muovere il divorzio, ma quando provocando il
divorzio egli ha volontariamente cagionato lo scandalo e il
disonore della famiglia, non può più lamentarsi che la pub
blica accusa cagioni scandalo e disonore .

S. 1877.

A queste considerazioni coloro ( 1 ) che posero


studio a dimostrare non doversi punire l'adulterio
del marito ne aggiunsero anche altre ; osservando
quanta mole di perpetui dissidii nelle famiglie sa
rebbe sorta se alle femmine, per natura sospettose
e leggere, si fosse data balia di querelare i mariti
loro per ogni ombra di gelosia : come se ne sa
rebbe troppo spesso rovesciata la gerarchia e distur
bata la economia domestica, per la soggezione a
cui per una momentanea debolezza sarebbesi tro
vato condotto il marito verso la moglie : come

finalmente sarebbe il più delle volte riuscita la


querela ad inutili clamori e vani dispendii per la
difficoltà di provare l'adulterio dell'uomo. Anche
queste avvertenze non le dirò disprezzabili . Ma per
mantenere la differenziale della punibilità è ragione
bastante la differenziale del danno. La moglie per
―― 341 -

la infedeltà del marito non ha perduto che un mo


mentaneo diletto ; niente scapitò nell'onore, niente
nel patrimonio ; e donna di casa sua continua ad
abbracciare i suoi figli con la sicurezza di esserne
madre. Il marito per la infedeltà della moglie scade
nel sentimento della propria dignità, è deriso dai
conoscenti, risica di alimentare prole non sua , ed
il gelo del sospetto lo rende schivo agli amplessi
di quei figli che testè formavano la sua delizia ; ed
il torto patito lascia nella piaga un veleno che forse
lo turberà per tutto il restante della sua vita : in
una parola i vincoli di famiglia si rallentano per
petuamente, se pur non si rompono ; onde è che
anche la società (che pure ha grande interesse nella
saldezza delle famiglie) ne può temere un detri
mento ; e ad ogni modo il danno del marito è tale
e tanto che tutti gli altri giustamente si allarmano
al pensiero di potere alla lor volta essere vittime di
pari offesa per opera delle donne loro . Parmi dun
que che a tutta ragione la generalità degli scrit
tori (2) moderni riguardi come eccentrica la dottrina
di chi vorrebbe vedere inflitta a tutti i mariti infe
deli una pena corporale uguale a quella che s'in
fligge alle mogli, e che a tutta ragione le mi
gliori (3) legislazioni penali non si occupino della
infedeltà del marito tranne in caso di concubinaggio ,
come sopra (§ . 1869) vedemmo .

(1) Filangieri ( Scienza della legislazione, vol. 3, pag. 341


edit. Conti) andò anche più oltre, e sostenne non doversi pu
nire neppure l'adulterio della donna, ravvisando inutile la
pena in faccia alla pubblica opinione che copre di ridicolo il
marito. Sembra discordare dalla comune opinione il dottis
342 ―――――――
simo Arabia nel suo diritto penale (vol. 3, pag. 221) ove
riprodusse gli argomenti già posti innanzi da Bousquet
(Dictionnaire de droit, mot adultère) e dagli altri che parteg
giano per la più rigida opinione. Egli specialmente obietta
che se l'adulterio nella femmina si punisce soltanto per la
incertezza della prole, la buona logica porta a non punirlo
neppure nella donna quando non rimase fecondata o quando
è in condizione da non poterlo essere. Ma in primo luogo
non è questa la sola ragione della differenziale . In secondo
luogo l'obietto non può farsi in cosi larghi termini : per avere
la incertezza della prole non è necessario che moglie sia
rimasta incinta nel concubito adulterino . Tale non è il con
cetto del nostro argomento. Una donna che abbia senza frutto
adulterato una volta, dà giusto sospetto al marito di credere
adulterini anche i figli legittimi che ne ebbe precedentemente
o che può averne dipoi : ecco il vero senso nel quale si valuta
la incertezza della prole. Sicchè la impunità della donna che
pone innanzi l'Arabia come argomento ab absurdo dovrebbe
per buona logica restringersi alla sola donna che mai non
ebbe figli e che mai non è in grado di averne . Ed allora
quando riuscisse ad una moglie di dimostrare se stessa in
simile condizione io dico, in terzo luogo , che varrebbe meglio
non punire costei o mitigarne la pena (come prescrivevano
le antiche leggi napoletane) anzi che trarne ragione di punire
l'adulterio semplice dei mariti. Anche Ferra o (Theoria do
dereito penal portuguez, Lisboa, 1857, vol. 7, pag. 266) ripro
dusse la dottrina canonica nel tempo stesso che lamentò la
mitezza delle pene moderne contro l'adulterio .
(2) Lauterbach, disput. 69, thes. 19, n. 11. Il Gund
lingio (vol. 1, exercit. 6, pag. 231) elegantemente distingue
la castità filosofica e la castità giuridica, e ponendo il prin
cipio che la repubblica non punisce gli atti osceni per la loro
viziosità ma per il danno che può derivarne, segna i confini
entro i quali in generale deve circoscriversi l'autorità del
legislatore nel punire i delitti di carne : Brouwer , De
343 -
jure connubior. lib. 2, cap. ult. n. 35 ― Giuliani, Istitu
zioni, vol. 2, pag. 350.
(3) Alla regola della non punibilità dell'adulterio semplice
del marito continuano a fare eccezione fra i Codici contem
poranei, il ticinese (art. 315) ; il neuchatellese (art. 150) ; il
vaudese (art. 207) ; il friburghese (art. 429) ; il portoghese
del 1852 (art. 415). Il Codice prussiano (§. 140) lo punisce.
soltanto quando la moglie sul fondamento dell'adulterio ab .
bia ottenuto il divorzio. Altri Codici hanno usato invece lar
ghezza maggiore, come quello di Brunswick, quello di Prussia
e quello di Baviera del 1861 , i quali hanno riconosciuto pu
nibilità nell'adulterio cosi del marito come della moglie uni
camente nel caso in cui sul fondamento del medesimo il
coniuge offeso abbia ottenuto il divorzio. Cosicchè nella ve
duta di questi legislatori sembra siavi trovata la oggettività
criminosa non tanto nel diritto coniugale offeso quanto nel
l'interesse che ha la società onde non si sciolgano i matri
moni e si disgreghino le famiglie. È allora soltanto che la
lubricità del coniuge assume un carattere politico e diviene
delitto perchè ha dato causa al divorzio. Tanto è ciò vero
che si ammette la persecuzione di uffizio quantunque il co
niuge offeso abbia facoltà di troncarla con un atto positivo
dando il perdono . Questo delicato argomento si è trattato
per largo dal dotto ed eruditissimo Berner nel suo pre
gevole libro intitolato Lehrbuch, 3.a ediz. pag. 428. Ivi passa
in rivista su ciò i moderni Codici della Lamagna, e riassume
gli argomenti che si conflittano per le diverse opinioni.

S. 1878.

Ciò posto è evidente che alla parola adulterio ri


spondono due diverse significazioni . L'una più ge
nerale che guarda l' adulterio come fatto vizioso.
e peccaminoso (e cosi in senso morale e canonico)
e designa qualsisia violazione della coniugale me
― 344 ――――

diante concubito con estranea persona : l'altro più


speciale (e che guarda l'adulterio come delitto) e
come tale bisogna definirlo - il concubito dolo
samente commesso fra la donna maritata e un
uomo estraneo, o fra l'ammogliato e la concu
bina tenuta nella casa coniugale.

ARTICOLO II .

Criterii essenziali.

S. 1879 .

La contemplazione della essenza di fatto nel de


litto di adulterio richiama a due distinti elementi
della medesima, vale a dire la persona e l'atto
materiale. Quanto alla persona è necessario che
la donna sia maritata . E quando si dice maritata
s'intende che all' uomo tradito sia stretta per nodo
legittimo, formato cioè secondo i riti prescritti dalla
legge che governa le nozze. La infedeltà della con
cubina e della barragagna non costituisce adul
terio (1) . Neppure lo costituisce il commercio con
la sposa altrui, checchè a taluno diversamente pia
cesse (2) . In quelle regioni però dove costumano
certe forme di matrimonii più umili ma ugualmente
stringenti nel rapporto del vincolo, detti matri
monii della mano sinistra, questi si adeguano ai
matrimonii solenni per gli effetti dell'adulterio . Cosi
presso gli alemanni non è questione che la donna
di condizione inferiore maritata ad un Barone me
diante le nozze cosi dette alla morganatica (3) com
metta adulterio.
i

!
- 345
(1 ) Aretino, de maleficiis, verbo che hai adulterato, n. 48
- Farinaccio , Practica crim. pars 4, tit. 16, quaest. 141,
n. 94 ―― Berlichio, Conclusiones practicae, pars 4, con
clus. 27, n. 91. Perciò i dottori insisterono sulla necessità
della prova rigorosa del matrimonio : No vario, Decisiones
Lucanae, decis. 55.
(2) Per il noto rescritto di Severo ed Antonino (l. 13, § 3
ff. ad leg. Jul. de adulterio) i romani punivano come adul
terio anche la fornicazione della sposa : Van Eck, Theses
juris controversi, lib. 48, thes. 494, pag. 206. Ma quella regola
non fu accolta nè dal giure canonico, nè dalla Carolina
(art. 120) nè dalla maggior parte delli statuti penali : Marco ,
lib. 2, decis. 722, n. 8 ____ Claro, Practica, verbo adulterium,
versic. sed haec omnia Rubeus, De adulteriis, cap. 5
Grantz, De defensione reorum, pars 2, pag. 330, n. 138
- Melker, De adulterio desponsatorum, Lipsia 1692
Giuliani, Istituzioni, vol. 2, pag. 354. In Germania la or
dinanza ecclesiastica sassonica del 1580 applicò a questo
caso il titolo di quasi adulterio comminando la pena della
fustigazione e relegazione perpetua : Wa echter, De lege
saxonica, pag. 33 - Philippi , Dissert. de adulterio de
sponsatarum - Puttmann, Elementa, §. 633.
(3) Il matrimonio alla morganatica (sulla etimologia del
quale nome non sono chiari i dottori è antichissimo nella
Germania : lo statuto di Federigo lo regolò con appositi prov
vedimenti : Coccejo, De lege morgan. in ejusd. exercitat.
vol. 1, exercit. 93 ――― Leyser , spec. 299, medit. 2 - Felt
m a n n, Opera juridica, tom. 7, dissert. de impari matrimonio,
pars 2 ――― Hertius , Responsa et consilia, vol. 1, respons. 506
- Bergero , Responsa , pars 2, respons. 91 ― Morillot,

nella Revue historique, vol. 12, pag. 532. Ma anche in Ger


mania questo parto della vecchia aristocrazia venne a ca
dere sotto gli anatemi delle facoltà giuridiche di Lipsia e
di Jena : Brillon , Dictionnaire des arréts, mot mariage,
n. 2. In Francia al contrario non fu mai ammessa questa
sorte di matrimonii , e lo statuto imperiale del 1806 ne rin
novò l'apposita proibizione .
346 --

§. 1880 .

Una elegante questione può elevarsi a questo


punto appo noi dopochè per il Codice civile del
25 giugno 1865 all'art. 53 e segg. è stato intro
dotto il matrimonio civile. La donna cattolica che

siasi congiunta sotto lo impero del Codice ad un


uomo cattolico secondo le forme del matrimonio
civile ma senza la benedizione della chiesa, se faccia
copia ad altri del proprio corpo (quantunque il
giure canonico la guardi come concubina) commet
terà senza dubbio adulterio in faccia alla legge
civile che riconosce come perfette a tutti i fini
giuridici le nozze contratte secondo le sue prescri
zioni . Ma il dubbio può elevarsi nel caso rovescio :
quando cioè le nozze si siano strette con tutti i
riti della chiesa ma senza le forme del contratto

civile. Potrà dirsi che in questo caso la infedeltà


della donna non costituisce che un peccato, e che
il Codice non dando valore e sanzione al matri

monio puramente religioso non può attribuirgliela


per gli effetti penali . Quando la legge non vuole
considerare come fatto giuridico il matrimonio ec
clesiastico a nessun fine civile, potrà ella dargli
valore ai fini penali ? Ciò che non vale in favo
rabilibus varrà in odiosis ?

S. 1881.

Ad avere l'adulterio è egli necessario che la


donna non solo sia congiunta in legittimo matri
monio, ma occorre egli di più che il matrimonio
――――― 347 -

a cui si rende infedele sia consumato? Non sem


bra nei casi ordinarii che al marito sia necessario
aver consumato il matrimonio per poter accusare
la moglie adultera . Pure nei frammenti delle leggi
Romane trovasi un caso speciale che per eccezione
porterebbe ad una soluzione diversa . La leg. si
uxor 13, §. si minor 8 ff. ad legem Juliam de
adulteriis contempla il caso di una donna che sia
maritata prima dei dodici anni , e che faccia ad
altri copia di sè prima di essere viripotente : e de
cide che non possa accusarsi di adulterio come
moglie perchè il matrimonio non era ancora con
sumato, ma lo possa come sposa in forza del re
scritto Divi Severi che leggesi al frammento 13,
§. 3, ff. ad legem Juliam de adulteriis : Gomez
in 1. 80 Tauri n. 12. Ma questa specialità non
può convertirsi in una regola generale per dedurne
che all'adulterio sia estremo necessario la consu

mazione del matrimonio : e poichè per le odierne


leggi non è permesso il matrimonio alla ragazza
minore degli anni dodici (non valendo neppure, per
l'art. 68 del Codice italiano, la dispensa del Re)
cosi può dettarsi come generale ed assoluta la re
gola opposta .

§. 1882.

Una controversa questione importantissima nella


pratica è quella relativa a decidere se la donna ma
ritata dopo avere nelle valide forme ottenuto con
tro il marito sentenza definitiva che la autorizza a
vivere separata di toro e di mensa possa ancora
rendersi colpevole di adulterio. Che questa sia una
348 -

circostanza attenuante il reato non mi pare dispu


tabile, e come tale ce la da Carpzovio, Praxis
quaest. 61, n . 53 ; et decis. 180 e 187. Ma il
dubbio nasce se la medesima operi la scrimina
zione e faccia cessare il carattere politico dell'adul
terio ( 1 ) . A sostenere l'affermativa si argomenta
dalla considerazione che la punibilità dello adulte
rio ha il suo principale fondamento nella incertezza
della prole, nel pericolo che al marito sovrasta di
alimentare figli non suoi, nel pregiudizio dei le
gittimi, e nel rallentamento dei vincoli di famiglia ;
laonde tutti codesti pericoli essendo eliminati mercè
la legale separazione sembra cessare ogni ragione
della punibilità . Si aggiunge che anche l'onore del
marito non viene in certa guisa a vulnerarsi per
le sregolatezze di quella donna che più non è sotto
il suo governo, e della condotta della quale è in
lui cessata ogni responsabilità in faccia al pub
blico . Si aggiunge ancora che in molti casi la se
parazione può essere stata decretata per cause de
rivanti da colpa del marito , onde parrebbe barbaro
se la femmina che la giustizia ha creduto dover
sottrarre alla sua brutalità si lasciasse perpetuo
bersaglio della medesima, a lui dando balia di re
carle continua molestia con querele per ogni so
spetto, o di spingerla al carcere per una debo
lezza che a lui non nuoce, e della quale fu egli
medesimo in sostanza la prima causa colpevole .
Queste considerazioni indussero il dotto Giuliani

nelle sue Istituzioni, vol. 2 , pag. 352 (al quale


volentieri aderisco) a propendere per la regola che
nega in questo caso la querela, argomentandolo da
ciò che è stabilito dove si ammette il divorzio , e
- 349

da ciò che in proposito decidevano le leggi romane ;


ma subordinandola alla condizione, alquanto espi
cata, che il marito più non abbia con la moglie
avuto commercio dopo la separazione. Malgrado
ciò io vidi in pratica risolvere la questione nel
senso opposto. Questa circostanza si presentava in
una causa agitata in Pisa nel 1861 , e quantunque
il difensore (che era un mio valente collega) ele
vasse la pregiudiciale della separazione sostenen
dola con grande calore , i tribunali non l'accolsero
e la donna fu condannata a diciotto mesi di car

cere ; e dovette accorgersi che il Tribunale dopo


averla separata, la considerava come non separa
ta (2) . Ma posto che la separazione di corpo non
dia alla moglie una eccezione pregiudiciale contro
l'accusa di adulterio vi sarà egli ragione per de
cidere diversamente quando la eccezione si proponga
dal marito ? La ragione di distinguere viene som
ministrata da quei Codici (3) che non puniscono
lo adulterio del marito tranne quando egli abbia
tenuto la concubina nella casa coniugale : e forse
il problema può essere diversamente risoluto se
condoché la legge speciale usa la formula casa
coniugale, o la formula casa comune: formule che
sebbene da molti credute identiche, a me pare che
in tutto non lo siano. È vero che i tribunali fran
cesi hanno deciso che debba considerarsi come casa
coniugale quella dove risiede la famiglia quantun
que la moglie non vi abiti : Corte di Douai, 24 lu
glio 1812 - Corte di Cassazione, 21 dicembre 1818;
27 gennaio 1819 ; 9 maggio 1821 e 17 agosto 1825
- Corte di Agen, 27 gennaio 1824 -- Corte d'Or
leans, 16 agosto 1820 -- Corte di Bruxelles , 14 ot
- 350

tobre 1830 ― Corte di Lione, 6 febbraio 1833 ;

sebbene la Corte di Limoges decidesse il 2 lu


glio 1810 e 21 maggio 1835 non essere casa co
niugale quella dove il marito, abbandonata la fa
miglia si fosse recato a vivere con la druda. Ma
a me sembra che la separazione tolga al domicilio
del marito la qualità di casa coniugale che è con
dizione richiesta alla imputabilità del fatto rispetto
a lui. Se la legge dicesse casa comune la que
stione non avrebbe termini : la donna legalmente
separata non ha più nulla a comune col marito.
Se la legge dicesse casa propria la questione non
avrebbe termini nel senso opposto ; la casa del ma
rito è propria rispetto a lui quantunque egli sia
legalmente separato. Ma la formula casa coniugale
presenta dubbio, perchè resta incerto se stia a de
signare la casa di entrambo i coniugi, o piuttosto
quella del coniuge accusato. La disputa non può
sciogliersi con la lettera di siffatta legge che è am
bigua. Bisogna risalire alla ragione della legge.
Se la punizione procede da riguardo alla violata
padronanza della donna, questa non è più dopo la
separazione. Se procede per rispetto al malo esem
pio dei figli, questo persevera anche dopo di quella .
Vedasi da ciò quanto sia difficile e pericolosa la
formazione di un Codice penale .

(1 ) Sulla importante questione se la maritata giudicial


mente separata di corpo possa condannarsi per adulterio
sono a vedersi ancora il giudicato di Caen del 13 gennaio
1842 affare Godifrey, e della Corte di Parigi 13 marzo 1826
affare Cairon : Brousse, De l'adultère, pag. 107 et 108
Eco dei Tribunali, n. 761 - Leoni , Giornale dei Tribu
nali di Milano, anno 4, n. 215. In quanto alla divorziata è
-――――――― 351 ――――

a vedersi Kin d, Quaestiones forenses, lib. 4, cap. 17, pag. 140


- Melchiori , Miscellanee volgari, p. 167 , n. 5 -- Gott

schalk, Selecta disceptationum forensium, vol. 1, c. 13,


pag. 348, in proposito delle pene civili.
(2) Analoga questione potrebbe elevarsi in proposito di
donna maritata ad un condannato allo ergastolo o alla ga
lera a vita. I pratici proposero il dubbio nei termini della
moglie di un bandito , il quale per gli statuti di quei tempi
poteva impune offendi da chiunque ; ma bene alla moglie di
lui mantennero l'obbligo della fedeltà coniugale : Rubeo,
De adulteriis, cap. 22. In Francia finchè si persistè a man
tenere fra le pene la morte civile con tutta la pienezza dei
suoi effetti (e dopo prevalsa la opinione che alla moglie del
condannato dava la facoltà di rimaritarsi : M arcadé, vol. 1,
pag. 130, n. 5 - Zacaria , Droit civil, § . 474, nota 2 ) si
decise che il morto civilmente quando fosse stato graziato
dalla pena non poteva tornare ad esercitare i diritti matri
moniali sulla moglie primitiva congiuntasi ad altri, senza
incorrere nella pena dell'adulterio.
(3) Il Codice napoletano (art. 219) puniva il marito che
tenesse una concubina anche fuori della cosa maritale. Del
resto non è necessario che l'adulterio sia consumato nella
stessa casa maritale . Se il marito che tiene in casa la druda
conviene altrove con lei per le occasioni di piacere è puni
bile egualmente sebbene mai non abbia commesso adulterio
fra le mura domestiche. È pure speciosa la questione che
esamina Merlin (Questions de droit, mot adultère, §. 7,
n. 3) circa il marito che abiti con la moglie sulla locanda
e tenga la concubina in un quartiere separato della locanda
stessa.

§. 1883.

Essendo estremo indispensabile all'accusa di adul


terio che la donna sia congiunta in legittimo ma
trimonio, la conseguenza che ne discende si è che
――――― 352 ―

qualora la querelata istituisca giudizio apposito di


nanzi ai competenti tribunali per far dichiarare nullo
il suo matrimonio, l'accusa deve restare sospesa
fino al termine di cotesto giudizio (Cassazione di
1
Francia, 13 aprile 1867 affare Mirecourt) e deve
cadere quando il matrimonio sia definitivamente
dichiarato nullo. Ne possono utilmente invocarsi a
rimuovere da siffatta conclusione gli opposti fram
menti del diritto romano. Sembra per la leg. 13
in princ. ff. ad leg. Jul. de adulteriis che i ro
mani ammettessero l'uomo a querelare anche la
concubina non jure mariti, quia uxor non fuit,
sed jure extranei. Di più alla stessa legge §. 1
la questione è risoluta in termini nel senso con
trario, insegnandosi che la donna è responsabile
di adulterio tanto se risulti esser moglie giusta,
quanto se ingiusta . Sudarono gl' interpetri ( 1 ) in
torno a questo frammento per decidere quale fosse
la moglie ingiusta ; ma lasciando da parte cotesta
disputa estranea al mio compito, certo è che tali
disposizioni tutte figlie delle costumanze romane
non possono aver valore oggidi. Laonde il vizio
del precedente (2) matrimonio deve essere opera
tivo di discolpa non solo in faccia all'accusa di
bigamia (come a suo luogo vedremo) ma anche in
faccia all'accusa di adulterio. Piacque a taluno di
stinguere fra nullità assoluta e nullità relativa (3) .
Il matrimonio nullo di nullità assoluta non esiste
agli occhi della legge ; non può per conseguenza
produrre l'effetto dello adulterio ; ma il matrimonio
nullo di nullità relativa sussiste valido finchè quello
tra i coniugi che ne aveva il diritto non lo abbia
fatto rescindere, e fino a questo momento il co
353 ――

niuge è legato dal debito di fedeltà . Per quanto


però possa apparire seducente questa distinzione,
dubito si possa ammettere, per la ragione che la
nullità del matrimonio (una volta dichiarata) to
gliendo al coniuge offeso il diritto di dare util
mente quietanza, ne avverrebbe l'assurdo di con
durre a peggior condizione il coniuge adultero le
cui nozze erano viziose .

(1 ) Pancirolo, Thesaurus variar. lectionum, lib. 2, cap. 126


-Perrenonio, Animadversiones, lib. 1, cap. 9 - Ramos,
In schediasma de concubinis, cap. 1, §. 12 - Hubero , Di
gressiones justinianae, par. 2, lib. 1, cap. 17 - Grupen ,
De uxore romana, cap. 7, §. 4 et 10 Hoffman , Ad leg.
Jul. de adult. cap. 6, §. 5 ; in Fellemberghi , tom. 1,
- Kemmerer, Observationes juris, part. 1,
pag. 236, 237
§. 16 Lycla ma, Membranorum, lib. 6, eglog. 18.
(2) È notabile che per la opinione dei criminalisti francesi
il marito la cui moglie nella sua prolungata assenza ha con
tratto in buona fede un secondo matrimonio non può senza
incorrere la pena dell'adulterio ricomparendo in patria tor
nare ad esercitare i diritti maritali, se prima non attacca
giudicialmente il secondo matrimonio per nullità : non può
(dicesi) il primo marito riassumere i diritti maritali notturni
se prima non si offre giudicialmente a sopportare i doveri
maritali diurni. Questa soluzione si ragiona sulla leg. 128
ff. de reg. jur. - In pari causa possessor potior haberi debet.
Il secondo marito che in buona fede sposò la creduta vedova
è nel possesso del matrimonio : Bedel, De l'adultère, §. 4,
pag. 8.
(3) Brousse, De l'adultère, pag. 196 et suiv.

§. 1884.

In quanto all'atto materiale i criterii essenziali


dell'adulterio presentano speciali difficoltà . In ge
VOL. III. 23
- 354

nere è certo esigersi alla sua consumazione la vera


e propria copula nei modi naturali : cosicchè i baci,
le mollizie, e la stessa venere nefanda ( 1 ) non co
stituiscono adulterio . Ma la difficoltà sorge intorno
alla consumazione della copula. Anche qui può dirsi
certo sotto un punto di vista astratto che al fine
di affermare l'adulterio consumato anzichè sempli
cemente tentato è necessaria la copula completa in
tutte le sue condizioni ontologiche. Cosicchè il mo
mento consumativo del reato ci viene descritto da
tutti i criminalisti, nella seminatio intra vas. Senza
ciò, l'atto è incompleto, cosi secondo il linguaggio
dei moralisti come secondo quello dei fisiologi , dei
giuristi, e del volgo : e un'azione incompleta , nelle
sue condizioni ontologiche non può dirsi completa
ai fini penali . Non trattasi qui della deficienza di
un fine speciale a cui si dirigeva l'agente e che
si raggiunga con atti successivi dopo che l'azione
è in se stessa esaurita, come lo spendimento della
falsa moneta, e simili ; nelle quali ipotesi la scuola
o il legislatore ha bene potuto decidere che la fab
bricazione sia delitto di falso di per sè consumato
quantunque il colpevole non abbia progredito agli
atti successivi pei quali soltanto egli giungeva al
suo fine. Lo ha potuto decidere senza repugnanza ;
poichè ha trovato un'azione (fabbricazione del falso)
perfetta e completa nel suo modo di essere quando
la moneta o il documento ha raggiunto la propria
perfezione. Ma nel caso presente non potrebbe senza
repugnanza decidere altrettanto , poichè l'azione
che vorrebbe dichiarare delitto consumato non sa

rebbe completa nel suo modo di essere : sarebbe


un toccamento , un contatto, non una copula.
355
(1) In ordine ai baci nessuno può sostenere sul serio che
coi medesimi si consumi il delitto di che ragiono : ed anzi
generalmente si considerano come indizio leggerissimo in un
processo di adulterio, specialmente ai fini penali : Ne viz
zano, Sylva nuptialis, lib. 4, n. 26 ――― Blanco, De indi
ciis, n. 69, fol. 157 -- Capycio Galeota, Controv, lib. 2,
controv. 61, n. 15 Kempius, De osculis dissert. 14, §. 8.
In quanto alle mollizie è esplicito Bedel, De l'adultère, §. 5,
pag. 9. In quanto finalmente alla venere nefanda sulla que
stione proposta dal Sanchez, An vir cum viro, mulier cum
muliere adulterium committat, sono a vedersi Afflicto, In
constit. regni, lib. 3, rubr. 43, n. 10 -- Puttmann, Proba
bilium, vol. 2, pag. 130 - Caballo, Resolut. crim . cas. 300,
n. 32 : i quali però, come in generale tutti i pratici , contem
plando il caso in faccia a statuti che punivano la sodomia
(e naturalmente con pena più grave dell'adulterio) non pote
vano trovare utilità nella questione . Sembra che il Codice
dal quale era governata la Prussia prima del 1851 (part. 2 ,
tit. 1, art. 672, e tit. 20, art. 1065) vi riconoscesse adulterio,
per quanto trovo affermato dal Bedel , §. 6, pag. 10, e da
Brousse, De l'adultère, pag. 104. Del resto io penso che
in coteste turpitudini debba bene ravvisarsi un'atrocissima
ingiuria contro il marito per lo avvilimento ( forse maggiore)
in cui scade la donna, la quale egli ha diritto che serbi in
tegra la propria dignità. Ma per quanto dichiararne la non
punibilità, neppure sui reclami del marito, ecciti repugnanza,
pure a rigore di lettera non oserei far cadere cotesto fatto
sotto la denominazione di adulterio : nè a rigore di principii
potrei ravvisarvi una vera e propria violazione del diritto
maritale trattandosi di atto a cui davvero non può vantare
diritto neppure il marito .

§. 1885 .

Ma se in punto astratto bisogna dire che nella


seminatio intra vas stia veramente il momento
- 356 ―

consumativo dello adulterio devesi però esitare in


quanto alle conseguenze che da questo principio ge
nerale se ne potrebbero indurre. Alcuni conclu
dendo da ciò che nel suddetto momento consista
il corpus criminis dello adulterio (1 ) credettero
potervi applicare le regole generali che vigono in 1

proposito del corpo del delitto sotto il punto di


vista della prova . E
È regola importantissima sul conto
della prova del materiale o del cosi detto corpus
criminis che di questo debba alla giustizia pre
sentarsi la verificazione con modi diretti e con cri
terii fisici (dove siano possibili) che facciano sicuri
della esistenza dello ingenere criminoso . Applicata
siffatta regola al tema presente facile si scorge che
la prova della consumazione dell'adulterio diver
rebbe difficilissima . Non potendo constatarsi per
mezzi chimici la esistenza dello zoosperma se non
si faccia la verificazione quasi immediatamente dopo
il congresso, perchè la vita di quello non dura che
corti momenti, si viene alla conclusione che la cer
tezza fisica della consumazione in questo reato non
potrebbe aversi se non nel caso di fecondazione
della donna ; e che la certezza morale non potrebbe
ottenersi tranne mediante la confessione (2) dei rei,
perchè nessun altro testimone può avere scienza
di quella perfezione dell'atto che si desidera veri
ficare. Di qui nasce la grande divergenza che si
trova nei pratici su questo tema, perchè molti con
fusero ciò che in punto astratto deve costituire il
momento consumativo dell'adulterio con le regole
da osservarsi intorno alla sua verificazione . La

questione dello estremo di un malefizio e la que


stione della prova di siffatto estremo vogliono es
357

sere in molti casi prudentemente distinte. Nè a ciò


basta per lo scopo presente la divisione dei reati in
delitti di fatto permanente, e delitti di fatto tran
seunte, appunto perchè l'adulterio può essere tal
volta delitto di fatto permanente, e più spesso di
fatto transeunte .

(1) Riporterò le parole testuali del Puttmann (§. 608).


Perfici hoc delictum vulgo existimatur seminis immissione : ita
ut nisi de ea per utriusque delinquentis confessionem omni ex
parte conspirantem constet poena adulterii ordinaria locum haud
inveniat. Lo stesso insegnarono comunemente i pratici : Ray
naldo, Observat. crim. tom. 2, cap. 21, §. 1, n . 147 -— Bas
sano, Praxis criminalis, lib. 1, cap. 16, n . 83 ――― Carpzovio,
Praxis crim. quaest. 61, n. 2 et seqq. ―――― Cramer, Observa
tionum, vol. 4, observ. 1140 Hommel , Rhaps. osser. 125
Wernher , tom. 1, pars 1, obser. 47, n . 7 ――― Baver ,
De corpore delicti in adulterio ; in ejus Opusc. tom. 1, pag. 329.
E fra i moderni lo ripete anche K o c k, Instit. §. 309. Vedasi
però Wernher, De cerebrina certitudine corporis delicti -
Panimolle , decis. 52 -
— Chartario , Decis. crim. decis. 43
-Velasque z, Consil. 28, lib. 1, pag. 163 - Boehmero
ad Carpzovium , Quaest. 61, observat. 1 -- Zoutmatt
Earret, De corpore delicti - Mejan, De corpore delicti.
La vecchia regola della seminatio intra vas male però si con
cilia con la regola moderna che riconosce adulterio completo
anche nella copula esercitata dalla donna con un giovinetto
impubere Bedel, De l'adultère, §. 5, pag. 9 et suiv. Ar

mellini, Istituzioni del diritto penale, § . 513.


(2) L'occultamento al marito della gravidanza e del parto
sono una confessione tacita del delitto, più concludente forse
che non siano le dichiarazioni espresse, che in molti casi pos
sono provenire da jattanza o dispetto. Qui però alcuni distin
sero fra il semplice silenzio intorno allo stato di gravidanza,
e le malizie usate per celarla. Può vedersi ad ornato anche
- 358
Puttmann , De partu undecimestri ; sylloge opusculorum
dissert. 12, pag. 361 - Boehmero, Decisiones, pars 3, tom. 3,
decis. 837 Vignoli , Practica, cap. 13. Largamente la
prova dell'adulterio per congetture si esorna da Brousse,
De l'adultère, pag. 229. La confessione della donna supplisce
essa alla prova del materiale dell'adulterio ? Su questa que
stione, che già in faccia al diritto comune trattò il Colero,
Decis. Saxon. decis. 235 , si ideò dai moderni una distinzione :
in quanto a lei si affermò ; in quanto al suo correo si negò:
Fournel, De l'adultère, part. 1, chap. 7. Vi fu ancora chi
distinse fra confessione del marito e confessione della moglie
negando fede a quello ed accordandola a questa. Ma tuttociò
tiene oggi meramente alla critica del fatto, ed è assai diffi
cile ricavarne dei precetti giuridici. A modo di esempio, trovo
che il Manga n o (Diritto penale, trattato 1, §. 39) proclama
aversi prova non dubbia dell'adulterio della donna quando
sia trovata in una casa di prostituzione ; ora certamente sarà
questa una prova non dubbia del tentativo, ma per cavarne
subito la prova della consumazione bisognerebbe supporre che
in cotesti luoghi non vi fosse mai nec mora nec requies. È
ancora a notarsi che la vecchia pratica non ammetteva la
tortura applicata alla donna per estorcere la confessione del
l'adulterio . Baldo, Consilia, lib. 5, cons. 6, n. 6.

§. 1886 .

Alcuni correndo sulla deduzione logica del prin


cipio testé accennato vennero alle conseguenze che
erano richieste dalla regola generale sul corpus
criminis ; e cosi videro dileguarsi la pena dello
adulterio consumato in tutti quei casi nei quali
mancava o la confessione, o la fecondazione della
donna in assenza del marito . Altri invece insegna
rono che la prova del materiale in questo delitto
doversi stabilirsi mediante presunzioni; e qui sor
- 359

sero le dispute senza fine intorno alla presunzione


nascente dai baci, dalla condormizione, dai tocca
menti, dal solus cum sola, dal nudus cum nuda, e
simili ( 1 ). Le quali circostanze, elevate al grado di
presunzione, portarono alla loro volta alla opposta
conseguenza (ugualmente eccessiva) che, giustificate
simili circostanze, dovesse senza più proclamarsi
constare del materiale dello adulterio . La verità

sta nel mezzo . Non si potrà esigere la rigorosa di


mostrazione fisica o la confessione legittima per di
chiarare provata la consumazione di questo male
fizio : ma neppure potranno i preludii convertirsi
nel momento consumativo, perchè può sovente ac
cadere che di preludii non sia susseguita altrimenti
la vera consumazione del reato per varie cagioni
o volontarie o casuali inutili ad enumerarsi . Lascisi

dunque da parte la parola presunzione, la quale urta


i nervi di chiunque conosce l'orribile abuso che di
tale parola si è fatto nei vecchi processi, pel vizio
appunto di identificare il materiale della cosi detta
presunzione col materiale criminoso che si doveva
cercare ; e soprattutto non si dimentichi mai il pre
cetto che respinge perpetuamente tutte le presun
zioni juris et de jure ai fini penali . Parlisi di in
dizii ; e ammettendo in genere che il materiale
dell'adulterio possa farsi certo alla convinzione del
magistrato anche per coteste vie (purchè le con
getture procedano da solida (2) base) si ricono
scano le suaccennate circostanze come indizii possi
bilmente valevoli ad assodare qui la prova del cor
pus criminis. Ma la prudenza del giudice si guardi
sempre dallo scambiare il materiale dello indizio col
materiale del reato ; e quando assodato quello voglia
- 360

costringerne la certezza di questo, esiga a tal fine


che siano molti di numero e convergenti per guisa

da rendere iperbolica una supposizione contraria.


Tranne ciò potremo per simili congetture divenire
certi che i due colpevoli volevano adulterare, ma
rimasto un dubbio se realmente adulterassero do

vremo astenerci da un verodetto di colpabilità, o do


vremo tutto al più dichiarare costante l'adulterio
tentato anzichè il consumato.

(1) Circa le presunzioni desunte dalle visite notturne, dalla


condormizione, e simili, sono a consultarsi : Mascardo,
De probation . conclus. 59, n. 4 et 5 - Moro, Pratica crim.
lib. 1, cap. 74 ――― Cramer, Observat. juris univ. tom. 3, ob
servat. 894 - Bergero, Responsa, pars 1, respons. 60. La
extravagante di Papa Alessandro III (De praesumptionibus,
cap. 12) applicò la formula di flagrante delitto alla sorpresa
non solo delle pudenda in pudendis, ma eziandio, del solum
cum sola, nudum cum nuda. Ma in pratica non accetterei come
assoluta cotesta regola ; perchè ad ogni modo dovrebbe sem
pre distinguersi fra la consumazione ed il tentativo del de
litto . L'Alcorano (cap. 4) volle invece che a provare
l'adulterio della donna si producessero almeno quattro testi
moni. Ma quando è che i testimoni possano avere acquistato
la certezza fisica dell' adulterio consumato ? Qui si avvicen
dano due idee che con grandissima facilità si scambiarono
dagli scrittori. Altro è cercare se una data circostanza (pro
vata che sia) costituisca presunzione del materiale del delitto :
altro è cercare con quali modi e con qual numero di testi
moni debba provarsi quella circostanza. Un fatto perchè venga
attestato da dodici fidefacienti anzichè da due non guadagna
un atomo nella sua intrinseca forza probatoria. È vero che
l'adulterio è fra i delitti il più facile a sospettarsi e il più
difficile a provarsi : ma non per questo può lodarsi come di
sposizione legislativa l'art . 673 del vecchio Codice prussiano
―― 361
che prescriveva - doversi assimilare allo adulterio le relazioni
illecite che daranno grave sospetto di infedeltà ; nè il precetto
dei dottori ebraici ( riferito da Seldeno , Uxor haebraica,
lib. 3, cap. 13), per il quale una donna che fosse stata nasco
samente con un uomo per tutto il tempo necessario a cuocere
un uovo doveva senza più presumersi adultera. Queste idee,
che sembrano ispirarsi alla sentenza di Cicerone ( Verre,
5, 13). Nuptae uni, propositae omnibus, poterono trovar plauso
finchè la procedura penale informossi alla regola paurosa che
nei delitti difficilis probationis adeguava i sospetti alle prove :
ma oramai la critica e la scienza moderna hanno fatto ragione
di simili errori.
(2) Quanto allo indizio desunto con troppa leggerezza dalla
somiglianza di forme di un bambino col supposto drudo ve
dasi Menochio , De arbitrariis, cas. 89, n. 103, lib. 2 -
Zacchia, Quaestiones medico legales, lib. 1, tit. 5, quaest. 1.
Spetta ai fisiologi decidere se porge presunzione assoluta di
adulterio la nascita di un figlio mulatto da una negra mari
tata ad un negro o da una bianca maritata ad un bianco. E
a loro spetta del pari decidere se presunzione necessaria di
adulterio somministri la comunicazione di mal venereo : sul
che sono a vedersi Perrone, Medicina legale, part. 1, cap. 1,
§. 137 ――― Sedillot , Manuale di medicina legale, part. 2,
cap. 1 - Casper , Medicine legale, tom . 1, pag. 95. Tra i
fisiologi Johs on, nella sua singolare dissertazione intitolata
Lucina sine concubitu, si attentò a negare che potesse aversi
come presunzione necessaria neppure la gravidanza ; ma la
giustizia non si arresta per cotesti sforzi di ingegno.

§. 1887.

E qui fa mestieri ricordare, perchè lo studio dei


pratici non ci conduca ad errori e ad un abuso per
nicioso di dottrina, che comunemente si distinse
fra la prova dello adulterio richiesta ai fini civili
362 --

(divorzio, separazione (1 ), perdita di dote, presta


zioni pecuniarie , e simili ) e la prova dello adulterio
richiesta ai fini penali. Gli scrittori che se ne oc
cuparono soltanto al primo scopo furono natural
mente più larghi nello ammettere che la prova dei
preludii equivalesse alla prova della consumazione
dello adulterio . Ma incorrerebbe in gravissimo equi
voco chi trasportasse in un giudizio criminale la
dottrina di quelli scrittori, i quali alla punizione
corporale non portarono il pensiero , e che forse
avrebbero diversamente risoluto il problema se si
fosse trattato di irrogare la carcere alla donna so
spetta. Ogni uomo può avere il diritto di ripetere
la celebre sentenza di Cesare quando la condotta
della moglie sia cosi gravemente sospetta da domi
nare la pubblica opinione : ma ciò non basta ad in
fliggere una pena corporale.

(1 ) Tanto è ciò vero che si è elevata la speciale questione


se la reiudicata del tribunale ecclesiastico che decreti la se
parazione per causa di adulterio della donna faccia stato nel
giudizio criminale sicchè possa il marito sostenere l'accusa
senza bisogno di ulteriori giustificazioni ; e si è deciso che no,
e che è necessario un nuovo processo : Boehmero, Diss.
volenti fit injuria, pag. 14. La distinzione tra prova ai fini
civili e prova ai fini penali è notata dai più accurati scrit
tori : Menochio , lib . 5 , praesumpt. 41, n. 13 ―――――― Ma
scardo, De probat. conclus. 59, n. 10 - Mynsingero,
respons. 1, n. 28 et 35 Nicolai, De repudiis, pars 2,
cap. 1, n. 55. Il Puttmann ( §. 608, nota 1 ), spinge la
distinzione più innanzi dicendo che la prova rigorosa del
corpo del delitto non deve cercarsi neppure ai fini penali
quando trattasi di infliggere non la pena di morte ma una
pena arbitraria. Altri invece vollero mantenuto il rigore della
363

prova anche ai fini civili : Bergero, Electa processus ma


trimonialis, pag. 307 ; e guardarono con diffidenza speciale
anche la prova desunta dalla confessione, osservando che il
tedio delle nozze poteva in un processo matrimoniale con
durre a confessare l'adulterio non mai commesso : Lauter
bach, disp. 55, thes. 24, n. 3, 4 - Kind , Quaestiones fo
renses, tom. 3, cap. 30. E coloro che strettamente aderi
rono ai principii fondamentali in materia di reiudicata an
darono fino a sostenere che neppure la sentenza criminale
che abbia condannato il marito per violenza carnale possa
esonerare la donna querelantesi per adulterio dal debito
della prova. Ma neppure ai fini civili si trova concordia fra gli
scrittori. Reynoldo ad Christineum ( vol. 2, obs. 10,
decis. 113, e Kind (Quaestiones forenses, tom. 3, cap. 30) 陶
sostennero che i baci e gli amplessi non bastassero neppure
ad ottenere il divorzio. Al contrario Leyser (Specimen 577,
medit. 1 et 2) - Hommel (Rhapsodiae 135 et 487) e Putt.
mann (Elementa, §. 608), opinarono che gli scherzi con
fidenziali e le familiarità disoneste bastassero a codesto ef
fetto . Qui s'introdusse la distinzione fra adulterio vero e
adulterio presunto ; e questo nome si diede all'adulterio del
quale non fosse provato il materiale ma si argomentasse
mercè la prova dei preludii . Ma simile distinzione non può
esser buona in criminale, dove non devono ammettersi con
danne su presunzioni , tranne quando siano necessarie. Ognuno •
comprende che se niente repugna ammettere il coniuge alla
separazione per un grave sospetto, repugna irrogare per un
sospetto, quantunque gravissimo, una pena afflittiva.
- 364 -

ARTICOLO III .

Criterii misuratori.

§. 1888 .

Anche nel delitto di adulterio possono distinguersi


i criterii che influiscono sulla quantità naturale, e
quelli che influiscono sulla quantità politica del ma
lefizio . Sono valutabili come circostanze che aumen
tano la quantità naturale dello adulterio tutte quelle
che resero più grave il danno immediato dell'offeso
marito, od anche quello della famiglia, perchè au
mentano la forza fisica oggettiva del malefizio . E
qui si presentano intuitive la comunicazione di morbo
contagioso, e la fecondazione della donna (1 ). An
che la maggiore pubblicità del fatto può valutarsi
in cotesto senso perchè negli elementi del danno
immediato si novera eziandio la offesa all'onore .

Laonde torno a ripetere essere erroneo lo stabi


lire che sia circostanza aggravante in tutti i delitti
la offesa al domicilio, come parve a taluno. Per
me l'adulterio commesso nel domicilio del marito
presenta una quantità naturale minore dello adul
terio commesso in casa terza o in luogo aperto.
Veramente non può negarsi che nel comune sen
tire del volgo guardisi la moglie audace quando osi
introdurre il drudo nel talamo nuziale con ribrezzo
maggiore che non la venturiera acconciatasi se
colui in casa terza o all'aperta campagna. Ma co
testo modo di sentire parve a me sempre figlio di
un pregiudizio, e contrario al calcolo reale dei
――――――― 365 -

danni derivati dalla offesa. Forse siffatto pensiero


ebbe origine da un certo prestigio di cui si accer
chia il talamo, avanzo delle tradizioni superstiziose
di antiche religioni. Sappiamo che i Romani det
tero a quello il nome di letto geniale perchè con
sacrato ai genii (Festo, Verbo lectus genialis
Giovenale, satir . 6) : sappiamo che dicevasi con
sacrato a Giunone : sappiamo che lo serbavano con
religiosa custodia quasi ricordo di famiglia. Onde
non è da meravigliare che rimangono ancora appo
noi gli avanzi di tanta venerazione . Vedasi su que
sto proposito l' eruditissimo libro di Alstorph,
De lectis et lecticis veterum , Amstelodami, 1704,
cap. 13, pag. 64. Ma poichè in faccia alla reli
gione nostra la idea per quanto remota di sacri
legio applicata al talamo nuziale non sarebbe
accettabile che dalla fantasia di un poeta, cotesta
venerazione non può avere peso alcuno nel giure
penale per accrescere la quantità del malefizio in
ragione del luogo ; laddove la sola considerazione
veramente degna di calcolo è quella della mag
giore o minore pubblicità (sia dessa effettiva o sia
potenziale) dell'affronto al marito : e questa consi
derazione porta a riconoscere nel delitto di adul
terio commesso dalla donna entro il proprio domi
cilio non un più ma un meno di quantità naturale.
Che se alla quantità politica si volga lo sguardo
trovasi pure che dessa è minore quando l'adulterio
sia commesso nel domicilio del marito dove questi
potendo meglio vigilare la donna trova più energica
fiducia nella difesa privata. Il marito ha minore
bisogno di protezione per parte della difesa pub
blica contro le sregolatezze della sua donna in casa
- 366 -

propria, perchè qui egli può usare verso di lei tutti i

mezzi di vigilanza e custodia ; ne ha bisogno mag


giore quando la donna (come è necessità pel mag
gior numero delle famiglie) vada sola fuori dei lari
domestici, dove la sorveglianza del marito è più
debole e spesso impossibile .

(1 ) Tennesi come tale anche la concorrenza dello incesto :

all_fang
Hartmann Pistor, Observationes singulares, observ. 182.

and
S. 1889 .

La quantità naturale del delitto si aumenta per


la continuazione, sebbene questa sia una circo
stanza minorante la imputazione per l'assorbimento
parziale dei respettivi rimproveri sostituito alla
somma rigorosa di tutti i medesimi . Ma nel pre
sênte malefizio torna opportuno ricordare quella
distinzione che esposi di sopra (§. 528) sul pro
posito della continuazione in termini generali , vo
glio dire la distinzione fra plurità di atti e pluralità
di azioni. Questa formula, che a taluno parve
nuova quando in termini generali la esposi, trova
la sua implicita applicazione dalla dottrina dei pra
tici in argomento di adulterio. Si elevò la que
stione se colui che giacque una intera notte con
l'altrui donna debba dirsi colpevole di un solo adul
terio, o di parecchi adulterii quando risulti che
ebbe più volte conoscenza carnale di lei in quella
notte. E la maggioranza dei dottori ( 1 ) si pronunzio
per la unicità del delitto attesa appunto la unicità
dell'azione. E simile conclusione bisogna accettarla
tanto per il rigore dei principii , quanto ancora (se
- 367

vuolsi) per evitare con ogni possibile studio le oscene


investigazioni nei processi di questo genere. Alla

continuazione per conseguenza sarà qui necessario


si provi la pluralità dei convegni ed ottengasi la
certezza che in ciascuno di quei convegni si ripetè
la consumazione dello adulterio (2) .

(1 ) Sostennero la unicità del delitto Bartolo , cons. 222


Covarruvio , Variar. resolut. lib. 2, cap. 10, n. 8
Claro, §. adulterium , vers. sed pone - Soarez, Thesaur.
recept. sentent. verbo adulterium, n. 84 — Bossio, De coitu
damnato, n. 48 -- Rubeo, De adulteriis, cap. 18 ― Socino
Seniore, In cap. ad ea quae, n. 24, de poenis. Si applicò
qui la elegante teorica del Bortolo , in l. numquam plura
ff. de privatis delictis, n. 4, che distinse fra delitti i quali
abbiano una oggettività fisica differente (come le più ferite)
e delitti che abbiano una oggettività fisica identica (come
le più percosse o le più parole contumeliose e simili) inse
gnando che nel primo caso la ripetizione degli atti deve por
tare pluralità di pene ma non deve portarla nel secondo.
Sostennero al contrario la pluralità dei delitti : Abbas, De
testibus cap. sicut nobis, n. 3 ; ed altri canonisti.
(2) È una specialità osservabile che in questo reato molti
dottori insegnano doversi equiparare nella pena colei che
una sola volta e con un solo adulterò, e colei che adulterò
molte volte e con molti, ed anche in diversi territorii ; af
fermando sempre doversi infliggere la pena di un solo adul
terio cosicchè la teorica della continuazione non sembra
accolta dalla pratica perchè non si ammette cumulo di pene :
Mullero , Verbo adulterium, n. 55 ; e i molti responsi che
cita. Non solo i pratici italiani ed alemanni insegnarono che
qui saepius cum ancilla sua adulterium commisit, dovesse
punirsi con una sola pena ; ma inoltre previdesi il caso che
colui girovagando con quella femmina per diversi territorii
avesse più volte sotto differenti giurisdizioni commesso adul
- 368

terio secolei. E si stabili che quando colui fosse stato a ca


gione dello adulterio punito da uno di quei magistrati più
non potesse a lui infliggersi una seconda pena dai magistrati
dell'altro territorio nel quale egli aveva delinquito senza in
contrarvi punizione : Scaccia, De judiciis, lib. 1, cap. 12,
n. 86 -— Tabor , Racemationes criminalium definitionum,
Argentorati, 1651, pag. 28 - Decianus, Tractatus crimi
nalis, lib. 4, cap. 22. n. 1 -Wesembecio , Consilia, lib. 1,
cons. 22, n. 19. Rimane però a vedere se questa dottrina
corresse anche nella ipotesi di più adulterii commessi con
diverse femmine. Vedasi Priori, Pratica criminale, pag. 178.
La continuazione però opera i suoi effetti anche nello adul
terio sotto il Codice toscano, per la generalità delle dispo
sizioni con le quali il medesimo prescrive il cumulo delle
pene nei delitti concorrenti, e lo esclude nei continuati, salvo 1
in questi lo aumento dalla imputazione, entro i limiti rela
tivamente determinati.

S. 1890 .

Ai criterii misuratori della quantità naturale del


l'adulterio veniva spontaneamente a riferirsi la con
siderazione della sua duplicità che tanto influsso
esercitò sulla pena dei tempi andati. Dicevasi du
plice (1 ) l'adulterio che lo ammogliato commetteva
con una maritata . È intuitivo il concetto di questa
aggravante che sta nell'aumento di danno imme
diato perchè due sono i diritti e le persone offese,
due le famiglie turbate ; quella cioè dell'uomo , e
quella della donna . Oggi che è tornata a prevalere
la regola romana della non punibilità dello adul
terio semplice nel marito non può più dirsi che in
cotesto fatto vi siano due delitti. Vi sarà però un
delitto complesso, e se la legge non potrà più ele
vare la pena dello adulterio duplice a quelle esa
369

gerazioni alle quali sali presso alcuni antichi sta


tuti, dal giudice però nella sua prudenza può es
sere tale circostanza valutata entro i limiti della
pena prescritta dalla legge : e può ancora in tale
circostanza riconoscersi un aumento di quantità po
litica per ciò che dirò tra poco.

(1) Può dirsi quasi generale presso tutti i criminalisti ale


manni fino al termine del passato secolo lo insegnamento che
lo adulterio duplice debba punirsi più severamente dello adul
terio semplice : Hommel, Rhapsodiae, observat. 139 — Putt
mann, Elementa, 609 ; il quale avverte come per la pra
tica germanica non solo si distingua fra caso e caso in quanto
alla pena ma eziandio in quanto alla remissione ed alla pre
scrizione. Il diritto romano, come era ben naturale, non di
stingueva fra caso e caso. L'attuale Codice greco contempla
con disposizione speciale la duplicità come causa di punire
più severamente l'adulterio.

S. 1891 .

Altra circostanza esageratamente calcata dalle


leggi dei tempi di mezzo come criterio di aggra
vamento fu la diversità di religione fra l'adultero
e l'adultera ( 1 ) fino al punto di creare in tale ipo
tesi un titolo speciale al delitto, e di adeguare
l'adultero di religione diversa dalla nostra alla
bestia. Disse bene un criminalista francese contem
poraneo che le similitudini erano state esiziali nel
giure punitivo. L'infedele non ha battesimo, dun
que è una bestia ; quasichè in lui non fosse la di
vina scintilla che lo separa da queste, sebbene non
anco illuminato dalla vera credenza . Evidentemente
si confondeva con siffatta teorica la nozione del

peccato con la nozione del delitto . Io ebbi pochi


VOL. III. 24
- 370

anni addietro un caso pratico di ciò. Il signore .


Isdraelita celibe che veniva tradotto innanzi alla

Corte Regia di Lucca e minacciato (pare impos


sibile nel 1852 ! ) della galera per avere avuto di
mestichezza con una fantesca cristiana, argomen

tava assai bene dicendo ai suoi giudici --


— voi dovete
punire il cristiano che ha commercio con la ebrea,
perchè fa nascere, a giudizio vostro, nella falsa
religione quelle creature che Dio avrebbe desti
nato a nascere nella vera ; ma io che ho fatto na
scere cristiano un figlio che altrimenti sarebbe nato
miscredente, qual danno ho fatto alla vostra reli
1
gione ? Le ho accresciuto un proselite . La corte
non s'impegnò a discutere con l'Isdraelita ; ma lo
assolvette.

(1 ) Sesse, De judaeis, cap. 34 ―― Marquard , De ju


daeis, cap. 3- Christine o , decis. Belgicae, vol. 2, dec. 43.
I Codici contemporanei hanno generalmente ricondotto al
giusto le loro vedute, lasciando in dimenticanza questa pre
tesa aggravante. Vedasi la nota a §. 2926.

§. 1892 .

Sulla quantità politica di un malefizio influisce


tutto quello che senza portare variazione nel danno
immediato , ne aumenta il danno mediato sotto il
punto di vista della sua diffondibilità ; perchè certe
forme e certe concomitanti accrescono l'allarme

dei cittadini rendendo più probabile e più temibile


la ripetizione della offesa a danno di ognuno, e
meno prevenibile coi mezzi di privata difesa. Que
sto fenomeno può verificarsi anche nello adulterio
per varie combinazioni , cosi nel senso di aumento ,
-
-――――― 371

come nel senso di decremento della sua quantità


politica. Non repugna che a questa sede si referi
sca la circostanza della duplicità nello adulterio .
Ho detto testé con quanta severità i vecchi legis
latori elevassero la pena contro l'adulterio com
messo da uomo ammogliato su donna nutta. A tale
conclusione alcuni furono tratti per necessità logica
dallo avere accettato il principio della punibilità
dello adulterio del marito : altri vi furono incon

sapevolmente condotti dalla influenza del principio


ascetico per la maggior gravità del peccato . Rejetto
l'uno e l'altro di tali fondamenti non resterebbe

ragione di accettare la duplicità come aggravante


dello adulterio se non si trovasse un criterio po
litico che a ciò consigliasse . E questo può benis
simo riconoscersi nello aumento del danno mediato,
perchè ogni marito ha minore ragione di temere
il pericolo dell'onore suo per parte di altro am
mogliato, che non per parte di un celibatario. Dal
che ne avviene che meno si guardi da quello che
da questo, e dimetta verso lui la sua vigilanza e
più fidente lo accolga ai convegni domestici : co
sicché , quando la fiducia sua rimanga tradita per
fatto di colui dal quale aveva ragione minore di
temere, può benissimo dirsi che il malefizio pre
senti un danno mediato di maggiore diffondibilità .
Tranne questa considerazione io non saprei dav
vero dove trovare un saldo argomento sia nell'or
dine delle idee giuridiche, sia nell'ordine delle idee
politiche, per cui la duplicità debba tenersi come
circostanza aggravante dello adulterio. Per iden
tiche ragioni bene si considera come aggravato
l'adulterio commesso col servo, l'institutore , mae
stro, sacerdote , e simili .
-- 372

§. 1893 .

In senso di decremento della quantità politica


possono essere valutate tutte quelle circostanze che
presentano nel marito stesso la prima causa dello
adulterio della moglie, sia che derivi da colpa, o
da infortunio suo. Cosi la impotenza del marito (1 ) .
(Hertius, Responsa, tom . 1, consil. 133) le sue
sregolatezze (Puttmann, Probabilium , vol. 2,

pag. 137) le brutali sevizie usate contro la moglie,


la indigenza nella quale la lasci languire, possono
essere valutate in questo senso . Per tali circostanze
niente si modifica il danno immediato del malefi
zio . Vedremo a suo tempo (§. 1895) che le me
desime difficilmente possono accettarsi come cause
degradanti la imputazione nello adulterio. Volendo
dunque trovare in loro una ragione di calcolo senza
deflettere dai principii fondamentali della scienza,
bisogna dire che per loro si diminuisce la quantità 2
politica del delitto minorandosi la diffondibilità del
danno mediato . E difatti sente ciascuno che quando
allo adulterio sia scesa la donna dopo simili pre
cedenti, tutti i mariti gagliardi che non abbiano
tradito, bastonato, o fatto languire di fame la mo
glie hanno minor ragione di temere a proprio danno
la ripetizione di quella offesa che incolse il marito
eccezionalmente disgraziato o imprudente (2).

(1 ) Fuvvi chi spinse tant'oltre la benignità da trovare in que


sta circostanza una dirimente per la moglie : Newmann, De
jure viduidatis, sect. 3, §. 25, pag. 204. Il M e nochio (cons. 31,
n. 8) ammise a favor della donna come minorante la circo
- 373 --
stanza di urgente necessità di fame. E il Corsi (indicatio
num juris, cap. 18) si meravigliò che mentre la fame valu
tavasi come dirimente nel furto non si volesse ammettere al
pari come dirimente la necessità della fame per la maritata
che aveva venduto i propri favori. E veramente la differen
ziale non può trovarsi che nel peccato. E non potè essere
altro che la male applicata considerazione del peccato quella
che spinse taluno a non accettare come scusa all'adultera
neppure il lenocinio del marito : Leucht, Responsa Altdor
fina, respons. 103, n . 16, vol. 1, pag. 310.
(2) I vecchi criminalisti che non bene svolsero la distin
zione tra la imputazione e la pena, e meno ancora tra la
quantità ed il grado del delitto, e meno ancora tra la quan
tità naturale e la quantità politica, seguitarono anzichè una
linea di rigorosi principii giuridici, un impulso confuso del
senso morale ; e tutte queste circostanze posero innanzi con
la non sempre esatta formula excusatur. Noi la parola scusa
non possiamo accettare dove è un meno nella quantità del
reato . Scusa vuol dire condonazione ; ma dove non è debito
che fino ad una certa somma è assurdo dire che si condona
il di più. La elaborazione della scienza odierna consiste ap
punto in questo : nel ricorrere le opinioni dei vecchi crimi
nalisti ; sottoporle alla pietra del paragone dei veri principii ;
le non accettabili respingere, e le accettabili ricondurre sotto
la esatta formula giuridica, correggendo le formule vaghe ed
indefinite degli antichi . Solo con questo metodo si possono
fare utilmente le pandette del giure penale. La lunga assenza
del marito si valutò da Ley ser, specim . 580, medit. 16
――――
Cramer , Observat. juris, tom . 3, observat. 978 ― Putt
mann, Elementa, §. 619. Si valutò lo aver contratto matri
monio per coazione dei genitori : Leyser , specimen 580,
medit. 13. Si valutò la lunga carcerazione del marito : Ley
ser, specimen 580, medit. 51 et 52. Si valutò la malattia con
tagiosa da cui fosse infetto il marito : Titius , De jure pri
vato, lib. 6, tit. 8, § . 13. Si valutò la negazione del debito
coniugale per parte del coniuge innocente ; e su ciò si distinse
374 -
fra semplice astinenza (non offrirsi ) e vera denegazione : di
stinzione reietta da Leyser (spec. 580, medit. 12) in quanto
alla moglie ed accettata solo in quanto al marito : Cramer,
tom. 3, observ. 978. Tutte codeste ed altre simili circostanze
se le ponete innanzi come scuse, sollevate un problema assai
difficile se invece le guardate sotto il punto di vista del
minor danno mediato, e così dalla quantità politica, vi appa
risce in chiara luce il tema del disputabile. Eccovi una prova
dello influsso di codesto diverso modo di guardare le cose.
La folla dei dottori insegna che si debba scusare l'adultera
che ha il marito vecchio ; e con ciò non fa che rendere omaggio
alla brutalità dei sensi : ma il Puttmann piglia ad esame
(Adversariorum, lib. 2, cap. 22) codesta scusa, e la vuole am
messa soltanto quando il coniuge fu ingannato sulla età del
l'altro ; e non per colei che scientemente si congiunse ad un
vecchio. Ecco la logica che esercita il suo impero. Guardate
la vecchiaia del marito sotto la formula di scusa e vi trovate
condotti alla conclusione del Puttmann : guardatela in
vece sotto il punto di vista politico ; dite che in simile con
dizione è meno diffondibile l'allarme, perchè i più calcolano
essere colpa di lui se prese moglie vecchio, e per sè non te
mono ; ed ecco che quella distinzione suggerita da un mero
riguardo morale cessa di essere accettabile. Così anche la
maliziosa diserzione del coniuge, che universalmente si noverò
tra le cosi dette scuse dell'adultera (Responsa Tubingensia,
vol. 4, responsa 115, 169 et 51 - Puttmann, Adversario
rum , vol. 2, pag. 169, cap. 22 ―― Wernher, Observationum ,
tom. 2, pars 10, observ. 256, pag. 603 ; et pars 8, observ. 457
pag. 423 - Schede, De mitiganda adulterii poena ob de
negatum debitum conjugale, Lipsia, 1713 - Hertius, (De
cisiones, vol. 2, decis. 275 et 808) ha la sua prominente in
fluenza giuridica come circostanza diminuente il danno me
diato del malefizio, perchè i mariti non disertori del talamo
non ne traggono allarme e cosi veramente se ne diminuisce
la quantità politica del reato. Di questa viziosa inesattezza
di dare il nome di scusa a quelle circostanze che minorano
375

la quantità del delitto e peggio ancora a quelle che fanno


cessare gli estremi del delitto rigurgita da capo a fondo il
libro pubblicato da Sarrau de Boynet, Parigi, 1875 ;
ed è inesattezza che perverte il concetto giuridico dei delitti
speciali e conduce a deduzioni falsissime. Poteva tollerarsi
negli antichi pratici siffatto linguaggio quando era troppo
universale lo errore di confondere col vero delitto il vizio
ed il peccato. Ma ormai che la scienza moderna ha rettificato
simile confusione anche la denominazione di scusa deve re
stringersi entro i dovuti confini e rigettarsi in tutti quei
casi nei quali il delitto si imputa meno perchè è minore nella
sua quantità, o non si punisce perchè deficiente nelle sue
condizioni essenziali. È un vero solecismo il dire che un de
litto si scusa quando si imputa con rigoroso calcolo per quel
tanto che egli è; e peggio ancora quando non si imputa per
chè non esaurisce le condizioni di delitto.

§. 1894 .

Per ragione del riguardo alla quantità politica


è capitale nel delitto di adulterio in rapporto al
drudo la circostanza che la donna viva more me
retricio . La medesima si valutò sempre da tutti
gli scrittori . Ma alcuno (Titius , De jure privato
lib. 6, cap. 8, §. 8) scorse in ciò una semplice
diminuente della pena : altri invece (Wernaer,

tom. 2, pars 9, observ . 77) vi riconobbe una diri


mente (1 ) . E davvero pare a me che dove il me
retricio è tollerato non si possa pretendere che
l'uomo vada in prigione per non aver cercato la
fede di stato libero alla donna pubblica a cui si
accostava. Qui è da notarsi che tale criterio di
minuente non deve confondersi con la dirimente
dello errore . L'errore di fatto sulla condizione.
――― 376 -

non libera della donna opera di per sè i suoi ef


fetti giuridici in quanto allo amasio, indipenden
temente dal meretricio ; il quale invece opera i
propri effetti per altra via : non libera l'uomo per
chè egli creda non adulterare ignorando la vera
condizione della donna mentre in questo senso si
avrebbe una dirimente anzichè una scusa ; lo scusa

ancorchè si provi che egli seppe essere colei ma


ritata : per la distinta ragione puramente politica
che decidendo diversamente si contradirebbe alle
ordinanze, le quali tollerano il meretricio anche
nelle maritate , e perchè il meretricio della donna
non potendo esercitarsi senza una riprovevole tol
leranza o cecità del marito, se ne minora lo al
larme. In siffatta contingenza potrebbe dirsi senza
esagerazione essere maggiore lo allarme eccitato 1
dalla punizione che non fu quello eccitato dal delitto .

(1) La diedero come dirimente rispetto all'uomo , Caballo ,


Resolutiones criminales, cas. 123 - Claro , §. adulterium,
- Sorge, Jurisprud. 9, 40, n. 42
n. 3, vers. quaero numquid —
- Priori , Pratica criminale, pag. 175 ――― Sanfelice ,

decis. 266, n. 7 : et decis. 341, n. 8 : dove estende la diri


mente anche alla donna stessa, ma riproducendo una distin
zione che può dirsi comune fra gli antichi pratici quan
tunque sembri urtare il senso morale ; vale a dire che non
possa punirsi per adulterio la donna che esercita il mere
tricio pubblicamente, e debba punirsi quando lo esercita cau
tamente o clandestinamente. In quanto all'uomo fu anzi
ammesso come dirimente anche il semplice meretricio puta
tivo, opinione che parve una novità ardita quando io la so
stenni nel ricorso Isola (Opuscoli, vol. 3, opusc. 39) . In ter
mini Escobar , De ratiociniis administratorum, cap. 19,
n. 48 - ivi si quis fornicetur cum uxorata, quae tamen
――― 377

communiter meretrix réputatur, non potest de adulterio ac


cusari. Vedasi ancora Pistor, Observatio 32 - Mollero ,
Semestrium, lib. 2, cap. 36 — Ursini, Commentatio juridica
de quaestu meretricio, Halae, 1737. Taluno (Van Eck, Theses
juris controversi, pag. 206 ) opinò che i Romani punissero
come adultera la maritata ancorché fosse pubblica meretrice ;
e si fondarono sulla leg. 13, § . 2 ff. ad legem Juliam de adul
teriis ove la parola vulgaris intesero nel senso di meretrice.
E Brissonio (Opera minora, pag. 203, Lugduni Batavo
rum , 1749) conferma doversi punire l'adultera anche meretrice
con lo esempio di Titidia che fu punita di relegazione come
adultera. (T a c i to, Annali 2, 85) quamquam licentiam stupri
meretricium more apud Aediles professa esset. Ma certo è che
gli Imperatori alla leg. 22, Cod. ad leg. Juliam de adulteriis
rescrissero -- Si passim venalem formam exhibuit, ac pro
stitutam meretricio more vulgo se praebuit : adulterii crimen
in ea cessat. Laonde gli interpetri andarono in diverse vie
per conciliare quei due testi. L'Anton Matteo distinse
fra la donna maritata che si dava al meretricio deserto ma
rito, e vi applicò la leg. 22, riferendo la leg. 13 alla maritata
che tuttora convivente col marito andava ad adulterare nel
postribolo. Il Brunnemann o, In Cod. lib. 9, tit. 9, leg. 22,
n. 6, disse comune la conciliazione di Claro , Farina c
cio e Carpzovio che applicano la leg. 13 alla donna, e
la leg. 22 all'uomo che accede a lei nel postribolo , Il Go-
tofredo, Gravina e l'Heraldo (Observ. cap. 33 in fin.
Thesaur. Otton. vol. 2, pag. 1355, Lugduni Batavorum, 1726)
intesero la leg. 13 aderendo alla parola fuerit che esprime
tempo passato, e dissero che si puniva l'adulterio ancorché
prima del matrimonio la donna fosse stata vulgaris cioè me
retrice Fornerio (selection . 3, 21 in d. Thes. Otton. vol. 2,
pag. 608) ricorda che alcuni dottori intesero nella leg. 13 la pa
rola vulgaris nel senso di plebeja et adjectioris conditionis foe
mina ; ma sembra non aderire a questa interpretazione, e con
forta l'uso della parola vulgaris come sinonimo di mercalis con
l'autorità di parecchi classici. Osservo peraltro che la leg. 13
378 -
chiude il §. 1, con la sentenza non soli Atridae uxores suas
amant ; e comincia il §. 2 con un sed quasi voglia indurre
che anche al marito di femmina volgare (benchè non Atride,
cioè nobile) debba darsi l'azione di adulterio. Che se molti
sono i testi dei classici dove colla parola vulgaris foemina
si volle indicare la meretrice non mancano però altri esempi
dell'uso della parola vulgaris in un senso meno disonorante.
Non manca eziandio chi saviamente ricusandosi a trovare
nel meretricio una scusa per la moglie adultera vuole che
tale scusa si limiti per l'uomo ai soli effetti di una degra
dazione di pena : Boehmero , Decisiones, pars 3, tom. 3,
decis. 836 -- adulterio a soluto cum muliere meretricio more
vivente, ille extraordinaria, haec capitali poena coercetur.

ARTICOLO IV.

Grado.

§. 1895.

La dottrina del grado nello adulterio non ri


chiama che a poche osservazioni sotto il punto di
vista della forza morale, ma presenta eleganti

questioni sotto il punto di vista della forza fisica .


In quanto alla forza morale la età ( 1 ) la ubria
chezza, il sordomutismo , l'alienazione mentale,
non offrono specialità notevoli ; e quanto al sonno
la questione non è giuridica, ma di mera possi
bilità . In ordine agli affetti, oltre ciò che sul conto
dell'amore accennammo alla materia dello stupro
e della violenza carnale (§. 1538) avvertirò non
ammettersi per la opinione di molti dottori la escu
sante dell'ira (2) in questo ' reato. Sotto la forma
di provocazione le infedeltà o le sevizie maritali
- 379 -

non si vollero ammettere come scuse, perchè la


natura di questo malefizio male si presta a quel
moto d'istantanea reazione che rende tanto efficace

la provocazione nei delitti di sangue e nelle in


giurie (3). Ma ho già avvertito di sopra (§ . 1893 )
in qual guisa simili circostanze provocatrici pos
sano divenire valutabili anche nell'adulterio non

sotto la formula dell'impeto degli affetti, ma come


criterio che minori la quantità politica del male
fizio . E finalmente riguardo al sesso meglio cade
in acconcio parlarne tra poco quando avrò a trat
tenermi sulla complicità .

(1) Alla donna maritata minore di sedici anni per la pra


tica francese non si pone la questione se abbia o no agito
con discernimento in questo delitto. La sua qualità di ma
ritata ha fatto riguardare alla pratica come presunto quel
discernimento che basta a conoscere il debito di conservare
la fede coniugale. Ma come minorante io non comprendo che
possa seriamente negarsi il riguardo alla età minorile quan
tunque Pistor (Observ. 58) Meister , ed alcuni altri,
abbiano sostenuto questa rigida opinione. In quanto alla età
senile sarebbe audace davvero la tesi di chi volesse ammet
terla come minorante nei delitti di carne. Ebbesi riguardo
a tale circostanza al diverso scopo di indurre con maggiore o
minore facilità la prova della colpabilità secondochè era il giu
dicabile più o meno avanzato negli anni : e qui fu singolare
la distinzione dello Schoepffer (Gerontologia, pars 2,
membr. 2, cap. 5, n. 3 ) il quale insegnò doversi distinguere :
doversi cioè presumere la innocenza se si tratta di vecchio ;
doversi presumere la reità se si tratta di vecchia. Vedasi
anche Farinaccio, Praxis, quaest. 136, n. 215.
(2) Lauterbach , disp. 92, thes. 55. La teorica della
premeditazione presunta, che servi di base a tale opinione ,
- 380 -
è peraltro problematica come proposizione assoluta. Ed è in
certa guisa repugnante il rigore di chi volle negare in questo
delitto la scusa della provocazione emergente da sevizie, men
tre o sotto una formula o sotto l'altra si venne a valutare
nientemeno che come dirimente (in quanto agli effetti) la
provocazione nascente dalla infedeltà dell'altro coniuge. Ciò
che vi ha di più singolare nel caos delle contradittorie opi
nioni si è che ora si è negata la scusa della provocazione, ed
ora si è ammessa la scusa del giusto dolore. Scientificamente
guardata la cosa è importante definire il vero principio per
cui la infedeltà di un coniuge si valuti rispetto alla infedeltà
dell'altro coniuge. Addurrò un esempio a dimostrare questa
verità. Suppongasi che la donna quando si rese adultera igno
rasse la infedeltà del marito . Se questa circostanza si con
templa come degradante della forza morale soggettiva del
malefizio, è chiaro che nella proposta ipotesi a nulla giova:
perchè da un fatto ignorato non può nascere nė provocazione
nè giusto dolore. Chi invece guardi le scuse sotto un punto
di vista meramente oggettivo dirà che quando l'offeso fu
meritevole di rimprovero, il suo diritto violato è meritevole
di minor protezione. Questo problema non è eliminato dalle
odierne legislazioni rispetto alla donna, la quale è messa al
coperto dalle accuse maritali solo quando il marito tenga con
cubina. Ma se al marito adultero e non concubinario non si
nega l'azione, dovrà almeno ammettersi ciò come una mino
rante favore della moglie ? Ecco la importanza pratica della
questione. Alcuni ammisero come scusa alla donna il meto
reverenziale, per cui dissero doversi punir meno la fantesca
che adulterò col padrone : Leyser, specimen 580, medit. 14
- Hommel , Rhapsodiae, observat. 475, n . 1 ; ma ne dis
senti Puttmann, Adversar. lib . 2, cap. 22. Ammise la se
duzione rispetto alla donna, e la procacità della femmina ri
spetto al drudo : Crell , Dissert. 72, §. 3, pag. 1397. Sul che
è singolare la procacità presunta che si valutava dallo Statuto
lucchese (lib. 4, cap. 99) dove la pena del drudo si diminuiva
di due terzi quando la donna si fosse recata nella casa di lui.
- 381 ――――
È a vedersi la dissertazione del Puttmann , An et qua
tenus occasio delinquendi minuat delictum. In quanto all'amore
parve che Carpzovio (Praxis, pars 2, quaest. 61, n. 61)
tentasse la distinzione fra adulterio premeditato, e adulterio
d'impeto. Tutti problemi delicatissimi nei quali molto è da
rimettersi al prudente giudizio concreto del magistrato.
(3) La Cassazione di Francia il 7 aprile 1849 nello affare -
Humon decise che le violenze, sevizie, ed ingiurie gravi del
marito contro la moglie, quantunque fossero tali da autoriz
zare una ordinanza di separazione di corpo, non valgono a
giustificare la moglie che per vendetta si rese adultera. Ma
Brousse (De l'adultère, pag. 226) ammette una degradante
a favore della moglie nei mali trattamenti e nelle sregola
tezze del marito, unificando così due condizioni radicalmente
differenti. Vedasi Fournel De l'adultère, pag. 150 - Fa
rinaccio (quaest. 121, n. 60) è inesorabile nel rigettare
tutte le scuse - Nec uxor poena adulterii excusatur propter
viri saevitiam, propter famis necessitatem, aut propter pauper
tatem. E Brousse, a cui piace lodare la teorica di Fari
naccio in ossequio alle proprie tendenze eccessivamente
severe ed alla sua poca chiarezza intorno ai principii fonda
mentali, fece mostra di benignità ricorrendo alla solita pa
nacea francese delle attenuanti. Perpetua confusione che si
durerà grande fatica a dileguare. Le attenuanti hanno rovi
nato la scienza sostituendo la benignità alla giustizia. E alla
giustizia nel reparto della imputazione non si può giungere
tranne per queste due vie : per la via del grado, calcolando
un meno nelle forze soggettive del malefizio : o per la via della
quantità, calcolando un meno nelle sue forze oggettive. Tro
vate voi nelle sevizie maritali una causa giusta di sdegno
impetuoso bollente che ha spinto la donna ad un modo di
reazione meno sanguinario di quello che le avrebbe offerto
il coltello ? Voi dovete in quella cieca passione riconoscere
una minorante della libertà di elezione : vale a dire una de
gradante. Trovate invece nelle sevizie maritali una ragione
che rende meno diffondibile il danno mediato, perchè tutti
- 382 -

i mariti che non bastonano le mogli non hanno a cagione di


quello esempio motivo di temerne la ripetizione a proprio
danno ? Voi dovete riconoscere in ciò una modificazione della
quantità del malefizio, il quale presentando un meno nelle sue
forze oggettive deve essere imputato meno, non già per mi
sericordia ma per la semplice ragione ontologica che è meno.
Dove è la possibilità di sciogliere giuridicamente una que
stione con la erba bettonica delle attenuanti, la quale conduce
i giudici ad essere miti verso una Lafarge che avvelenò il
marito, e ad essere inesorabili verso una moglie che si limitò
a sfogare con l'adulterio le proprie antipatie contro il marito?
Le attenuanti non hanno base razionale tranne quando si
cercano nella natura della pena : nella imputazione non hanno
senso. Fino a questi ultimi tempi noi avemmo in Toscana
una invidiabile giustizia punitiva, e mai sognammo di cer
carla nelle attenuanti. Si ebbe più fede nei calcoli della ra
gione che nei fascini del sentimento .

S. 1896 .

Finalmente in proposito dello errore di fatto non


può seriamente controvertersi che la ignoranza
dello stato coniugale (sia dessa comune fra i due
partecipi, o speciale ad uno di loro) operi a pro
di colui che versa nella medesima la cessazione
di ogni penale responsabilità per questo titolo ; e
soltanto può essere disputabile se la opinione er
ronea della nullità del matrimonio , quando sia ra
gionevole, agisca come dirimente o soltanto come
minorante la imputazione. E poichè ho detto di
sopra qual sia la forza del meretricio della donna
come criterio misuratore della imputazione del
l'uomo in questo reato, discende da ciò che lo er
rore dello amasio , sebbene caduto soltanto su que
- 383 ―

sta circostanza, debba esonerarlo alla pari della


verità, purchè non sia affettato o bestiale, ma fon
dato su plausibili congetture desunte dalla con
dotta della femmina. Qui ricorre tutta la teorica
che svolsi (§. 1532 e 1533) alla materia della vio
lenza carnale (1).

(1) Carpzovio, Praxis, quaest. 61, n. 42 Brissonio,


Select. antiquit. lib. 1, cap. 4 in fine - Rubeo, De adulteriis,
cap. 4 et 6 Brouwer, De jure connub. lib. 1, cap. 26,
n. 39 - Puttmann, Elementa, §. 610 ― Bergero, De
personis seu larvis, cap. 4, sect. 3, § . 15 - Priori , Pratica
criminale, pag. 176. Come per mancanza di elemento materiale
non è reo di adulterio chi credendo giacere con donna al
trui giacquesi con la propria, così per mancanza di elemento
intenzionale non lo è chi versa nel caso rovescio. La mas
sima che l'errore non giova a chi dà opera a cosa illecita
non è accettabile quando esso cade sopra circostanza di fatto
essenziale, ragionando diversamente si incontra la solita
confusione del precetto morale col precetto giuridico. Ete
rogenea del pari al diritto punitivo è la pretesa regola
enunciata da taluno che lo errore di fatto scusi nei delitti
di impeto, ma non nei deliberati, per trarne argomento a
negare siffatta scusa nei reati di carne. Questa cerebrina
distinzione renderebbe imputabile l'adulterio putativo contro
la dottrina universale. Nella pratica di alcuni tribunali quando
l'accusato deduceva l'errore, si costumava di purgarlo col
deferirgli il giuramento sulla ignoranza sua. Oggi i giura
menti purgatorii hanno esulato dalla procedura penale, perchè
nemo tenetur prodere seipsum. Subentrò invece la presunzione
d'innocenza per la quale chi allega l'errore con circostanze
che lo rendano in qualche modo verosimile, rovescia sull'ac
cusatore l'onere di provare la scienza, anche perchè la prova
della negativa è impossibile : e questo io tengo come positivo,
malgrado i contrari. Brousse fra i molti errori che ha
- 384 -

riprodotto nel suo trattato dell' adulterio ha pur questo di


insegnare a pagina 108, che chi allega la scusa (cosi a lui.
piace chiamarla ) della ignoranza, dichiarando di aver giaciuto
con donna nutta credendola nubile, debba egli fornire la prova
di tale ignoranza, allegando il solo argomento sofistico che
la copula carnale fa presumere il dolo. Ma non avverte che
il dolo emergente dal commercio carnale è il dolo diretto alla
fornicazione ; mentre per passare dalla fornicazione all'adul
terio vi è bisogno della coscienza di violare un talamo coniu
gale ; dunque la scienza di questa condizione essenziale è uno
degli elementi che fa bisogno sia provato dall'accusa ; altri
menti questa soccombe. Ammetto che essa possa provarlo a
mezzo di congetture ; ma non ammetto potersi da lei affer
mare che la scienza è presunta. Questo volo pindarico vale
quanto dire doversi presumere che chiunque si congiunga con
donna la creda maritata. In altro equivoco caddero i pratici
nel caso rovescio di chi non avesse commesso adulterio mentre
credeva di commetterlo, come la donna che supponesse vivo
il marito mentre era morto , e l'uomo che supponesse tuttavia
coniugata la donna mentre inopinatamente era rimasta ve
dova. Menochio (De arbitrariis, caso 90, n. 21) e Strikio
(De jure sensuum, dissertat. 10, cap. 6, n. 50 et seq.) dubita
rono che in questa ipotesi di adulterio putativo dovesse rav
visarsi un conato, e come tale punirsi. Ma i principii uni
versalmente prevalsi nel giure penale odierno intorno agli
elementi della punibilità del conato più non ammettono simili
dubitazioni . Dove è assoluto difetto dello elemento materiale
non può a quel difetto supplire lo elemento intenzionale.

S. 1897 .

Sotto il punto di vista della forza fisica la dot


trina del grado mi richiama a tenere parola se
paratamente delle specialità che meritano di essere
notate circa la complicità e circa il conato. E pri
- 385

mieramente in ordine alla complicità è da vedere


se l'uomo con cui la maritata commise adulterio
debba dirsi suo correo o soltanto suo complice.
Nel linguaggio usuale sembra adoperarsi più vo
lentieri la parola complice che quella di correo
o di coautore : ma volendo esser esatti , come pre
scrive la considerazione ontologica del fatto, biso
gna ben dire che l'uomo è veramente un coautore
e correo del malefizio, perchè la sua cooperazione
non solo è necessaria a consumarlo, ma propria
mente interviene nel momento consumativo del

reato. La vaghezza di molti di chiamare complice


l'uomo e chiamare la donna autrice del delitto ,

derivò forse da questo che la circostanza costitu


tiva della criminosità sta in una condizione per
sonale inerente alla donna e non al suo drudo : essa
è quella che dimentica la fede giurata, e che era
stretta personalmente dal vincolo che calpesta ;
mentre l'uomo era libero e sciolto da ogni speciale
rapporto obbligatorio . Ma qui bisogna ricordare ciò
che in termini generali osservai (Programma,
§. 509 Complicità, §. 367) sul conto della co
municabilità delle condizioni personali fra i più
partecipi di un reato. Checchè possa disputarsi o
diversamente pensarsi quando la qualità personale
fa la funzione di mera aggravante in un'azione che
sarebbe delitto anche senza di lei certo è che, dove
la qualità personale dà la essenza al delitto ren
dendo criminosa un'azione che senza di quella sa
rebbe innocente o tutto al più viziosa e peccaminosa
soltanto, la comunicabilità a tutti i partecipi è ir
recusabile : laonde la circostanza che speciali vincoli
legano la donna e non legano l'uomo non mi sembra
VOL. III. 25
- 386

buona ragione perchè alla donna sola debba darsi


il titolo di autore del delitto e all' uomo limitarsi

il rimprovero alla sola complicità in senso stretto,


ossia allo ausilio .

S. 1898 .

Posto dunque che entrambo gli adulteri debbano


dirsi coautori e correi del malefizio, resta a ve
dere se non trovandosi disparità in quanto alla
nozione vi siano ragioni di disparità in quanto alla
misura della respettiva imputazione . Qui la regola
generale porterebbe alla conseguenza assoluta che
riconosciuti i due adulteri come coautori del de
litto dovessero pienamente adeguarsi nella repres
sione. Ma poichè trovasi in tale argomento una
grande oscillanza nei legislatori e negli scrittori,
giova trattenerci un istante ad esaminare il pro
blema tanto sotto l'aspetto storico quanto sotto
l'aspetto filosofico .

S. 1899 .

Sotto il punto di vista storico, senza risalire ai


provvedimenti degli Egizi e di altri popoli dell'an
tichità ( 1 ) e senza indagare ciò che in Roma si
costumasse prima delle leggi Giulie (lo che rimane
fra gli eruditi nella più grande incertezza) troviamo
dubbio eziandio il disposto della celebre legge Giulia
de adulteriis. P'er la opinione di molti (che può
dirsi la più comune) s'insegna che la legge Giulia
de adulteriis punisse della relegazione cosi l'adul
tera come il drudo (2) . Ma non mancano scrittori
-――― 387 -―――

dottissimi i quali hanno preso a sostenere essere


cotesto un errore (3) ; e con gravi argomenti , de
sunti in principal modo dai classici , propugnano
che la relegazione fosse la pena inflitta contro
drudi, e che invece la punizione della moglie adul
tera altro non fosse che il divorzio , l'obbrobrio, e
la perdita della dote. Secondo la prima opinione
bisognerebbe dire che Augusto accettò il principio
della parificazione : secondo la opposta (che a me
sembra benchè meno dominante, la più probabile)
bisognerebbe dire che accettò invece il principio
della disparità . Ma è certo che ogni riguardo alla
donna fu dimesso da Costantino (leg. 30, C. ad
leg. Jul. de adulteriis) che la volle punita di morte,
e da Costante e Costantino che (l. 4, Cod . Theod.
tit. quor. appellat .) a spiegare maggiore severità
vollero si abbruciasse viva. Questo rigore però ,
quantunque meritasse gli elogi postumi dell ' A n
tonio Matteo, De crimin . tit. 3, cap. 2, n. 2)
che disse aurea la costituzione di Costantino si

perchè al diritto divino si avvicinava, si perchè


fosse quello il mezzo migliore per conservare le
donne nella pudicizia, certo è che ai tempi di Va
lentiniano già era caduto in completa desuetudine :
e sembra anzi revocato da un rescritto di Leone
e Majorano riferito da Seldeno, De uxore hebrai
ca, lib. 3, cap. 12. Ma Giustiniano (la ussorietà
del quale ci venne additata fino dai primi passi
del tirocinio legale) con la Novella 124, cap. 10,
mentre conservò la pena di morte contro il drudo
minacció pene assai più miti contro la donna, ri
producendo cosi quello che (come ho notato) io
ritengo fosse il vero pensiero di Augusto ; voglio
- 388 -

dire la disparità nella pena (4) . Successivamente


continuó la oscillazione intorno a questo grave ar
gomento. Fra le leggi barbariche molte lasciarono
la punizione dell'adulterio alla balia del marito
(lex Wisigothorum, lib. 3, tit. 4, lex 3) quando
non erano entrambo puniti di morte (edictum Theo
dorici regis, §, 38) : ma in generale la punizione
della donna era la rottura del matrimonio e la in

famia, e quella del drudo il weregildo : Booresco,


Traité comparatif des délits et des peines, §. 67,
pag. 128. Nel Palatinato per una legge del 1582
non si distingueva nella pena (capitale per entrambo)
ma soltanto nella forma della sua irrogazione . Nella
Sassonia una legge dell' elettore Augusto dell'an
no 1572 aveva pure comminato la pena di morte cosi
all' uomo come alla donna. La Carolina (art. 120)
puniva entrambo alla pari.

(1) Singolare fu il modo di vedere degli Ateniesi i quali,


secondo ciò che avverte Thonissen (Droit penal de la
Repub. Athénienne, pag. 314 punivano di morte l'adulterio
commesso con seduzione, e con la semplice multa l'adulterio
violento. Come lo punissero i Parti può vedersi in Bris
sonio, Opera minora, col. 5496.
( 2) Thomasi o, Dissert. de crimine bigamiae, § . 63 et seqq.
-Anton Mattheus, De crimin. tit. 3, cap. 2 ad leg. Jul.
de adulteriis - Cremani, De jure criminali, lib. 2, cap. 6,
art. 3, §. 7 ; il quale fa una lunga nota dei culti che sosten
gono tale opinione, quantunque tra la folla siagli avvenuto
di mescolarvi qualche dissenziente .
(3) Lipsius, Excurs. ad annal. Tacit. lib. 5 Noodt,
In Maxim. et Dioclet. e gli altri citati nella eruditissima dis
sertazione del Ludewig , De origine et progressu poenae
adulterarum apud romanos, cap. 3, sect. 1, § . 2 et seqq. la
389
quale a mio parere elimina ogni obietto e persuade essere
uno errore comune che la legge Giulia punisse di relega
zione la donna adultera .
(4) Variano gl'interpetri secondo il piacer loro intorno alle
vere cause che mossero Giustiniano a tale riforma ; nẻ
mancò chi accusasse Triboniano di avere interpolato i
precedenti rescritti per farsi strada alla medesima : Go e d
de us, Ad l. 101, n. 4 ff. de verborum significatione - Goyer,
Ad leg. Jul. de adulteriis, § . 11 : vedasi Puttmann, Ad
versariorum , tom . 1, pag. 246, cap. 4.

S. 1900.

Tali furono e sono ( 1 ) le divergenze legislative


intorno alla proporzione con la quale il rimprovero
deve repartirsi fra la donna adultera ed il suo
drudo ed alle medesime ne corrispondono altret
tante negli scrittori. Queste derivano da diversa
cagione. Da molti si è confuso ciò che tiene al
grado della imputazione con ciò che tiene al grado
della pena, procedendo con lo scambio troppo fre
quente tra le minoranti di quella, e le attenuanti
di questa coloro poi che credettero di vedere nel
sesso muliebre una causa generale ed assoluta,
non solo per diminuire o modificare certe pena
lità (al che noi pienamente aderiamo) per riguardo
alla condizione relativa di tali pene, ma pretesero
di conoscere nel sesso femminile una causa per
petua di proclamare meno imputabile la donna
dell' uomo nei delitti che da lei si commettono,
altro non fecero a questo luogo tranne applicare
allo adulterio una regola generale. In faccia a co
storo la questione non poteva essere discussa con
- 390 -

riguardo alle specialità dello adulterio ; ma biso


gnava contemplarla più in alto, e studiarla fra le
generalità della scienza . Ciò noi facemmo a suo
luogo (§. 233 a 237) e francamente ci pronun
ziammo (non senza incontrarne censura dai gino
morfisti) contro il privilegio che vorrebbe accor
darsi alla metà del genere umano . Posta su cote
sto terreno la questione presente , bisognerebbe per
buona dialettica mutarne la situazione. Non più
si dovrebbe cercare se per l'adulterio vi sieno spe
ciali condizioni che ne minorino la imputazione
rispetto alla donna , sia perchè meno lucido il suo
intelletto, sia perchè meno libera la sua determi
nazione ; bisognerebbe all' opposto cercare se nelle
condizioni dello adulterio speciali ragioni rendano
più grave il delitto per parte della donna che non
per parte del drudo suo . Senza trovare questa spe
ciale ragione aggravante, deve la regola generale
procedere inalterata tanto se la medesima siasi
stabilita nel senso della uguaglianza quanto se nel
senso del favore alle femmine.

(1 ) Il progetto originario del Codice di San Marino (arti


colo 550) puniva assai meno il drudo della donna ; ma il
Codice definitivo sanzionato nel 1863 (all'art. 409 ) riprodusse
la parificazione. Lo Statuto lucchese (lib. 4, cap. 99) puniva
l'adultera più severamente del drudo . Lo Statuto di Roma
(lib. 2, cap. 50) adeguava nel castigo l'adultera col suo com
plice , salvo la differenziale nella qualità della pena : ma puniva
questo delitto più severamente nei nobili che nei plebei . E
in generale può dirsi che per gli Statuti d'Italia ( ad eccezione
di pochi, come quello di Brescia ) e per le consuetudini di
altre provincie essendo stata tolta la pena di morte contro
391 ---
l'ad ulte rio ce
sempli , invalse l'uso di sottoporre a pena più
severa la donna dell'uomo , perchè in ordine a questo si venne
alla pena pecuniaria , mentre in ordine a quella si mantenne
la pena della reclusione in un monastero, o si sostitui dove
-
la fustigazione e dove l'esilio : Boerio , decis . 297, n . 13 -
-
Claro, Practica, §. adulterium , versiculo sed quaero - Ce
ino , De cautelis , caut. 6,
-――――― Tenn
polla , cons . 80, n . 8
Vivio , Communes opiniones , tom. 2, op. 9. Questo
-
n. 80
risu ltato fu piuttosto una conseguenza quasi direi accidentale
che l'effetto di un calcolo comparativo della respettiva impu
tabilità . Al momento che si voleva ridurre semplicemente
pecuniaria la pena dei drudi era una necessità che rimanesse
più grave la pena delle adultere , perchè la pena pecuniaria
contro la moglie sarebbe stata a danno della famiglia e quasi
simbolo di un controsenso . La pratica di alcuni paesi in
Germania puniva la donna più gravemente dell'uomo : Putt
mann , Elementa, §. 623. È a vedersi la dissertazione del
Benz che trovasi nel Gundlingio (rol. 1, pag. 227) sul
broccardo majorem in foeminis quam in viris requiri castita
tem : dove esamina la questione tanto nel ' confronto fra l'a
dulterio del marito e quello della moglie , quanto ancora
(pag. 239) nel confronto fra la responsabilità dell'adultera e
quella del suo drudo . Tra i Codici contemporanei usano mag
gior rigore contro la donna quello di Baden (§. 348 ) e quello

di Malta (art. 189 , 192 ).

S. 1901 .

Altri contemplarono il dubbio sotto la ispira


zione del principio ascetico : e poichè i moralisti
vi dicono che nello adulterio la donna maritata
pecca più gravemente dell' uomo che a lei si presta
non esitarono a trasportare l'aggravante nella ma
teria penale . E veramente (guardata la cosa nei
―――――― 392 ----

termini semplici e prescindendo da qualsiasi abuso


di fiducia per parte del drudo) il senso morale ad
dita una bruttura maggiore nella femmina che
tradisce uno sposo largo a lei di cure e di affetto,
accoppiando alla offesa la ipocrisia , e che si pone
in prossima occasione di deteriorare la sorte dei
figli verso i quali ostenta la più esagerata tene
rezza : essa è la sola spergiura ; essa vive in con
tinuo stato di menzogna verso la famiglia ; essa è
personalmente legata dal vincolo morale di non
tradire colui che la nutrisce , l'ama, ed a lei con
sacra la vita sua . La ipocrisia e la ingratitudine
si aggiungono nella donna a fare più vituperoso
il suo fallo. Laonde tutti coloro che non sono do
minati dalle affezioni ussorie, ma seguono la dire
zione del solo buon senso, se la prendono in simili
frangenti piuttosto contro la donna (1) che contro
l'uomo. Ma noi abbiamo ormai tante volte ripe
tuto di essere (cosi nella determinazione, come nella
misura della penalità) alieni sempre dal subire le
ispirazioni del principio ascetico, che per le sole
ragioni puramente morali non ci sapremmo piegare
a riconoscere nella materia dello adulterio un'ag
gravante a carico della donna in confronto del suo
drudo .

( 1 ) Che per alcune pratiche dell'Allemagna si avesse come


regola generale la punizione maggiore del coniuge adultero
e la minore del suo correo innutto (§. 1900 in nota) si ri
leva anche da Banniza, Delineatio juris criminalis secun
dum constitutionem Theresianam ac Carolinam, Deniponti,
1771, nota ad §. 546 , il quale ne accerta che questo principio
era costante sotto la Costituzione teresiana : art. 77, §. 6 et 7,
――― 393 ―――
dove era valutata come aggravante anche la incertezza del
concepimento. Al proposito della quale costituzione criminale,
non abbastanza conosciuta oggi in Italia, mi piace avvertire
in aggiunta a quanto dissi sopra al §. 1896 che nella giuri
sprudenza nata sotto quella legislazione ponevasi come con
dizione alla dirimente desunta dall'errore la sua invincibilità :
Banniza , Delineatio juris criminatis, §. 541 : cosicchè in
quella pratica si ammetteva la punibilità dell'adulterio col
poso ; Banniza , l. c. §. 547. Ma questa figura di reato
colposo, che ebbe la sua genesi nello speciale disposto della
Costituzione teresiana (art. 77, §. 8) , difficilmente potrebbe
accettarsi nella scienza.

S. 1902 .

Altri invece guardarono la questione sotto il


punto di vista psicologico, e dissero che l'adultera
doveva punirsi meno del drudo perchè doveva pre
sumersi in lui il seduttore ed in lei la sedotta . E
questo fu forse l'argomento più comune che passò
di bocca in bocca tra i sostenitori del favore alle
femmine. E qui pure ripeterò ciò che omai troppo
chiaro ho mostrato in tante occasioni, la mia re
pugnanza cioè ad ammettere in criminale certe pre
sunzioni come base di una regola generale. Sta
benissimo che quando un processo dimostri avere
il drudo usato le arti di una perfida seduzione
per condurre ai suoi fini la donna onesta, abu
sando della ospitalità o della fiducia altrui per di

staccarla dalle coniugali affezioni, debbasi rigore


contro costui e mitezza verso di quella. Non nego
lo influsso giuridico della seduzione ( 1 ) reale e di
mostrata : fra Egisto e Clitennestra in senso mo
rale degli spettatori erompe sempre nell'odio con
- 394 --

tro di quello e nella pietà verso questa. Ma ciò che


io non ammetto si è che dalle condizioni onde ac

compagnasi qualche fatto se ne tragga sempre la


base di una regola assoluta per costruirvi sopral
un dettato legislativo. Molti troppe volte studiarono
la questione dello stupro nella Clarissa di Ri
chardson, e la questione dell'adulterio nell'Aga
mennone di Alfieri . Ma ciò che io posi innanzi
come dubbio quando parlai dello stupro della don
zella lo ripeto adesso con più fermezza in propo
sito dello adulterio della maritata. La osservazione

che la donna maritata sia sempre sedotta e lo ama


sio sia il seduttore, è nella realtà della vita umana
piuttosto ingenua che vera. La seduzione del
l'amante rispetto alla maritata non è il più delle
volte che una forma esteriore la quale si esige dalla
donna non del tutto rotta alla scostumatezza per
salvare le apparenze, e rendere più gradito il fa
vore che desidera di accordare . Certamente gli usi
portano che il chiedere per parte dell'uomo e lo
essere richiesta per parte della donna offrano la po
sizione che deve essere osservata per salvare le con
venienze ; e molte tengono in cuore quella sentenza
di Seneca (in Ottaria) che Dio aveva fatto la
donna debole a bella posta ne inexpugnabilis esset.
Ma se l'uomo fu il primo a chiedere, la sua ri
chiesta fu raramente diretta verso matrona che
serbasse il dovuto contegno, e più raramente ri
petuta verso la rispettabile madre di famiglia che
alla prima proposizione rispose con quel severo
disprezzo ed austere parole che alla medesima si
dovevano. Nella pluralità dei casi la richiesta del
l'uomo e la sua persistenza è eccitata dalla pro
- 395 -

cacità della donna che col sorriso, con lo sguardo

appetitoso, con i liberi scherzi e parole equivoche,


ha fatto conoscere al richiedente il desiderio di

essere richiesta. Tale è nella verità della vita pri


vata la prolusione storica degli adulterii : o bisogna
essere creduli o non aver mai portato l'occhio al
di là delle domestiche mura per accettare come
presunzione giuridica la ostentata seduzione, che
altro non è se non il luogo comune a cui ricorre
la femmina quando si vede scoperta e non può ap
pigliarsi al pretesto più onorevole della violenza .

(1) Nessuno può controvertere che la seduzione operi il


doppio giuoco di essere una aggravante rispetto al seduttore,
ed una minorante rispetto al sedotto. Ma mentre vuole giu
stizia che si mantenga la reciprocità della scusa, accettandola
cosi nei termini di uomo corruttore quanto di donna procace,
codesta verità considerata sotto il punto di vista del grado
vuole essere radicata sopra un fatto speciale, e non sopra la
mera generalità del sesso. Allora ove dal fatto speciale si riveli
l'esercizio di un predominio da un lato, e di un trascinamento
dall'altro lato, la circostanza può assumere il carattere di
criterio misuratore della quantità del delitto. Cosi si aggira
vano nei criterii misuratori, e non nelle degradanti, quei
legislatori che prevedendo il caso della donna recatasi alla
casa del drudo ne costituivano una ragione di modificazione
nelle respettive penalità. Così pertengono ai criterii misura
tori rispetto all'uomo lo avere un carceriere adulterato con
una detenuta anche senza violenza ( Giurba, Consilia cri
minalia, cons. 37) o lo essersi commesso il delitto da un sol
dato nel suo quartiere o accampamento o luogo di fazione ;
vedasi Crell , Dissertatio de crimine in excubiis commisso ,
fascic. 12, pag. 1992. Ricordiamoci i principii generali : il
grado non esercita le sue funzioni che per diminuire : quando
396 ―――
si scorge il bisogno di andare al di sopra della pena ordi
naria non siamo più nella teorica del grado ma in quella
della quantità. La circostanza di fatto che in tal senso si vuole
valutare diviene un criterio misuratore perchè modifica on
tologicamente il reato, ed allora vi è necessità che sia pre
stabilito dalla legge . Senza ciò quando si adopera la parola
aggravante si adopera in un senso improprio . Non si eleva
la imputazione al di sopra della misura ordinaria, ma si
mantiene nel massimo di quella sicchè a tutta esattezza è
un negarsi a degradare e non è un aggravare.

S. 1903 .

Altri esaminarono la questione sotto il punto di


vista fisiologico, e abbandonato cosi il romanzo
come la teologia portarono gli studi loro sopra un
terreno più saldo e positivo. Si osservò che la
donna ha per legge del suo organismo uno ecci
tamento maggiore verso la palestra amorosa di
quello che la natura abbia dato all'uomo . Mulier,
diceva Celso , id est quod ulterus vult. Era per
questa considerazione che i romani con tanta se
verità proibivano alle loro donne l'uso del vino
(Gellio, Noctes acticae , lib. 10 , cap. 22) : la donna
in certi momenti subisce uno impulso fisico che
in molte costituzioni assume quasi il carattere d'ir
resistibile, e privandola della signoria di se stessa
la rende incapace a quella repulsa che il dovere
le imporrebbe, e cade, come corpo morto cade.
Questo si che può essere un argomento meri
tevole di esame ; avvertendo però che il medesimo
è precisamente in diametrale repugnanza cơn la
presunzione di seduzione ; il seduttore della donna
- 397 -

è la prepotenza dei sensi suoi. Ed io riconoscendo


la verità del fatto fisiologico non avrei difficoltà
di ammettere per cotesta ragione l'attenuante del
sesso nei delitti di carne, se il principio si potesse
accettare con tutta quella generalità che impone
la logica e che desidera la giustizia distributiva .
È indubitato esistere anche fra gli uomini taluni
che per vizio della propria costituzione subiscono
a certi periodi quello straordinario turbamento che
i medici chiamano erotismo . Ammessa la costitu
zione speciale della donna come una scusa perpetua
a di lei favore nello adulterio, bisogna ammetterla
per buona giustizia anche a favore dell' uomo nel
quale si giustifichi lo impero di un erotismo ec
cezionale . Su questa conseguenza io non ammetto
dubbio . Sicchè la questione presente una seconda
volta risale più in alto, e torna ad essere gene
rale. La soluzione della medesima dipende dalle
sorti della gran lite che si agita tuttora indecisa
fra gli scienziati intorno allo influsso da accordarsi
o no alle cosi dette tendenze irresistibili nella mi

sura della imputazione . Accolto il principio bisogna


subirne le conseguenze in tutte le fasi . Reietto una
volta non può aprirglisi l'uscio per un privilegio del
sesso . Ripetasi pure il rimprovero che mi è stato
fatto da illustre scrittore, di essere troppo schiavo
delle deduzioni logiche ; io accetto il rimprovero, e
non mi rimuovo dal mio modo di ragionare. Non
conosco verità elastiche, ed in materia di giustizia
meno che mai.
398

S. 1904 .

Ma sia che il drudo voglia tenersi punibile con


penale uguale a quella che si irroga alla donna, sia
che si voglia disugualmente colpito, qui non si fer
mano oggidi le questioni speciali che sorgono rim
petto a lui. Il principio di diritto civile accolto da
molte legislazioni contemporanee, che, per un ri
guardo di pubblico ordine, interdice ogni ricerca
della paternità , ha porto occasione nei paesi go
vernati secondo il medesimo di esaminarne lo in

flusso in proposito della punibilità . Se si ammette


(si è detto) che un uomo possa essere querelato per
avere avuto commercio con donna altrui, la inve
stigazione che si apra su cotesto commercio ed il
susseguente giudicato che lo dichiari colpevole
verranno necessariamente a far prova nel tempo
medesimo che egli ( anzichè il marito) fu il padre
della prole nata da quella femmina. Cosi indiret
tamente si vedrà elusa la assoluta interdizione di

ogni ricerca della paternità, che la legge volle


inalterabilmente osservata . Non si avrà che a co

minciare con una querela di adulterio contro l'as


serto subornatore della donna maritata, e l'accusa
porterà alla conclusione di far proclamare a suo
carico una paternità resultante o dalle dichiara
zioni interessate della donna, o da testimoni com
pri , o da altri mezzi di prova artificiale, sui quali
la legge non volle si costruisse rapporto all'uomo
il vincolo parentale ; per la grande ragione che la
paternità è un mistero, e che non si potrebbe per
metterne la investigazione senza aprire la via a di
399

sordini gravissimi nelle famiglie. Bisogna (si con


cluse da tali osservazioni ) conciliare la legge pe
nale con la legge civile perchè questa non sia da
quella manomessa e distrutta. Di qui nacque la
teorica per la quale molte legislazioni contempo
ranee (1 ) negano seguito all'accusa di adulterio
contro l'asserto drudo se la querela non si ap

poggia ad un principio di prova scritta emanato


da quello stesso al quale vorrebbe attribuirsi la
qualità di correo dell'adultera, e cosi eventualmente
la qualità di padre della prole che può nascere
dalla medesima ; eccettuando da questa restrizione
(Codice sardo art. 485) il caso della sorpresa in
flagrante (2) . Si può porre in disputa nel giure
civile se sia più conveniente ammettere la ricerca.
della paternità, come praticossi in Toscana sotto
le leggi leopoldine ; o piuttosto interdirla, come in
Francia dopo il Codice Napoleone, e in Italia dopo
il 1866. Ma quando nel giure civile si accetti la
regola del divieto di ogni ricerca della pater
nità (3) non può non dedursene per buona logica
come conseguenza il divieto di giungere a tale ri
cerca col mezzo artificioso di una querela di cor
reità in adulterio .

(1 ) Come si intenda il principio di prova scritta necessario


alla querela di adulterio contro l'uomo, lo mostra la sin
golare controversia riferita in Morin , Journal du droit
criminel, n. 8240. Ciò risulta in Francia dalla lettera espli
cita dell'art. 338 del Codice penale. Questo venne copiato
dal Codice penale portoghese del 1852 all'art. 401 , §. 2 ; ma
Ferrao , commentando quest ' articolo ( Direito penal por
tuguez, vol. 7, pag. 272, ha censurato con grande virulenza
tale disposizione. Fra le molte osservazioni che egli fa, trova
400
essere ciò incompatibile col sistema della intima convinzione
e col metodo dei giurati, perchè il legislatore invade la
coscienza del giudice del fatto. Ma le idee del Ferrao su
questo proposito vogliono essere guardate con particolare
diffidenza, poichè egli trova un elemento della punibilità
dell'adulterio nella offesa alla religione. Quello che io tengo
per certo su questo punto si è che dove si mantenga la ne
cessità del principio di prova scritta per procedere contro
il drudo dell'adultera, tocca l'assurdo la massima (ricordata
da Morin , art. 8861) che abbiano valore di principio di
prova scritta, le risposte date dal drudo agli interrogatorii
di un ufficiale giudiciario quantunque poscia ritrattate da
quello alla udienza. L'assurdo è palpabile agli occhi miei.
Se la legge pone il complice di adulterio al coperto dell'ac
cusa quando questa non proceda sopra un documento scritto .
il primo interrogatorio che il Commissario di polizia defe
riva al supposto complice era un atto illegitimo perchè era
un esercizio dell'azione penale fatto senza le condizioni che
la legge dimanda per tale esercizio. Con pari sistema nei
delitti che non possono perseguitarsi se non con azione pri
vata uno zelante ufficiale farà il processo lancerà l'accusa
citerà a giudizio, aspettando che al giorno del dibattimento
l'offeso dichiari di rendersi querelante. Ciò che è condizione
del processo criminale deve preesistere allo iniziamento del
processo. Ogni diverso sistema è prepostero . Non vi sono
dunque le leggi per il Pubblico Ministero se dove egli non
ha azione, se la può creare con un tranello ! Gli antichi pro
posero la questione in altro aspetto cercando se il drudo
potesse condannarsi sulla sola confessione della donna : Pi
stor, observatio 726. Giustissima è bensi la sentenza del
Tribunale di Cagliari del 29 settembre 1870, relatore Garzia,
che ravvisò il principio di prova scritta nello avere il drudo
fatto iscrivere il bambino a suo nome sui registri battesi
mali : Temi Italica, anno 5, n. 2.
(2) Sui termini di fatto della sorpresa in flagranti si stende
una nuvola che a mio parere rende ridicola e fatua quella
401 ―――
limitazione . Si veda Niccolini, Questioni di diritto, parte 2,
conclus. 13, pag. 391 : e la polemica che a me piacque assu
mere su questo argomento contro un mio dotto collega
nel giornale Le Leggi di Genova, diretto dal benemerito
Cassini al n. 16 dell' ann. 3. Il tema del dubbio è se per
avere la sorpresa in flagranti al fine di poter perseguitare
criminalmente il drudo basti la sorpresa in praeludiis op
pure occorra la sorpresa en ergo : e vedasi ancora l'elabo
rato scritto del mio illustre collega dal quale ebbero occa
sione quelle mie osservazioni . Ma io credo che dallo studio
di quei due scritti se ne debba trarre la sola conclusione
che anche quella disposizione fu dettata a casaccio.
(3) In Inghilterra la ricerca della paternità è permessa.
In Francia e presso di noi per il Codice civile italiano
del 1866 (art. 189) è interdetta . A vero dire non si nega
nella prole il diritto astratto di ricercare il proprio padre ;
diritto che la stessa legge di natura le accorda facendo de
bito al padre di riconoscere il figlio. Il diritto si ammette
ma con una formula derisoria si soggiunge che la prova
della paternità essendo impossibile, il diritto non può dalla
giustizia umana essere portato ai suoi effetti, e perciò è ne
cessario negargli ogni valore meno il caso eccezionale in
cui la recognizione supplisce alla prova. Non mancarono
però anche in Francia insigni giuristi che insorgessero contro
codesta dottrina : e recentemente Accollas in uno scritto "
pieno di calore ( Conditions des enfants nés hors mariage,
Paris, 1865 ) ha preso a combattere con ogni modo di ar
gomenti la massima francese. Le argomentazioni che egli trae
da considerazioni morali e politiche sono brillanti ; ma quelle
che trae dal campo giuridico non tutte sono immuni da so
fisma. A modo di esempio, in proposito della prova egli
scambia l'obietto per confutarlo. Molti sono egli dice (pag. 86)
i diritti che non danno di loro altra prova tranne una pro
babilità ; eppure si riconoscono dalla legge civile, che ne
consegna la osservanza ai magistrati. Parallelo evidente
VOL. III . 26
- 402 --

mente falso ; perchè di qualsiasi altro diritto può esistere


al mondo persona che ne sia fatta certa, mentre della pa
ternità non vi è in tutto il mondo nessuno che possa testifi
carne con certezza tranne la sola madre (la quale è testi
mone interessata) e questa non può neppur essa acquistarne
una certezza positiva, ma soltanto vi giunge per un crite
rio negativo quando è sicura di non avere avuto commercio
con altri uomini. Anche la stessa recognizione del padre na
turale non può dirsi che costituisca una certezza ; ma prova
soltanto la credenza di quell ' uomo, il quale però se può es
sere certo del commercio avuto non può mai essere certo
dei suoi effetti, e troppe volte sarà ingannato. Alla espres
sione di tale credenza la legge dà con buona ragione la forza
di verità facendone nascere un rapporto obbligatorio ; il quale
però a tutto rigore emerge dalla convenzione più che dalla
verità positiva del fatto, questa essendo sempre un arcano
anche per colui che se ne crede sicuro. Come può dunque
affermarsi che corra perfetta parità fra il diritto di filiazione
rispetto al padre e tutti gli altri diritti che la legge dichiara
esigibili ? Del resto sono a vedersi intorno a tale problema
Koeni nigswarter , Essai sur les enfants nés hors ma
riage ( nella Revue Foelix, tom. 9, pag. 181 ) Marcadé ,
Examen doctrinal de la jurisprudence (nella Revue Critique,
pag. 201) - Morillot, De la condition des enfants nés
hors mariage (nella Rerue Historique, vol. 12, pag. 149).

S. 1905.

Finqui abbiamo guardato il rapporto di parte


cipazione fra l'adultera ed il suo drudo. Ma anche
i terzi possono divenire partecipi di questo reato,
se non come correi, almeno come ausiliatori ( 1 )
o come favoreggiatori . La complicità dei terzi nel
l'adulterio viene a configurarsi in colui che abbia
coadiuvato a distrarre il marito, od a facilitare i
403 ――――

convegni, od abbia persuaso l'uno o l'altro degli


autori al malefizio . Ciò non presenta difficoltà , tranne
la incertezza che può nascere fra il titolo di leno
cinio, e il titolo di complicità in adulterio. Secondo
il vario modo di definire il lenocinio può benis
simo verificarsi l'ausilio all'adulterio senza che ri

corra quella abitualità che può esigersi (come a


suo luogo vedremo) a costituire il titolo di leno
cinio. Ma quando si riscontrino le condizioni es
senziali di questo reato (2) che noi collocheremo
nel novero dei delitti sociali, e precisamente nella
classe delle offese alla pubblica morale, allora il
reato verrà a definirsi giusta la dottrina della pre
valenza. Non potrà applicarsi la pena della com
plicità nello adulterio, e più la pena minacciata
ai lenoni ; ma soltanto quella fra le due penalità
che sarà più grave ed assorbente dell'altra .

(1 ) Il Rubeo ( De adulteriis, cap. 12) propone la questione


se colui che abbia ordinato ad altri di commettere adulterio
debba dirsi adultero : e per la teorica del Bartolo (In leg. 1,
§. ne autem col. 1, Cod. de caduc. tollen . ) la risolve per la
negativa.
(2) Voisin (De la complicité, pag. 48) tratta la speciale
questione se il marito che favorisce l'adulterio della moglie
si renda reo di lenocinio o complice di adulterio . Ivi pure
esamina se i romani considerassero il drudo come autore o
soltanto come complice dello adulterio.

S. 1906.

L'argomento del tentativo nello adulterio richiama


a diverse questioni, alcune puramente teoriche ed
assai facili, altre pratiche di più difficile soluzione .
404 -

In punto astratto non può trovarsi motivo speciale


per negare la possibilità del tentativo nello adul
terio, quantunque a mio parere resti assai mala
gevole configurarvi la ipotesi del delitto mancato.
Non vi sono ragioni giuridiche che per negare la
punibilità del tentativo in questo reato ( 1 ) . E nep
pure vi sono argomenti speciali per deflettere nel
medesimo dalla regola che il tentativo debba pu
nirsi meno del consumato delitto . Il Codice sardo

napoletano però (art. 96) avendo con una disposi


zione generale stabilito che non sia punibile il ten
tativo nei delitti che si perseguitano ad azione
privata, è venuto implicitamente a negare la pu
nibilità nell'adulterio .

(1 ) La punibilità del tentativo nei delitti di carne si accetta


comunemente : Bertando, cons. 169, n. 1, vol. 3, pars 1 ――――
Afflicto , decis. 276, n. 7- Sorge , Jurisprud. tom. 9,
cap. 40, n. 15, e nelle Enucleationes, tom. 9, cap. 40, n. 8. In
Francia il tentativo di adulterio non incontra pena : ciò però
non deriva da un riguardo speciale alla indole di questo reato,
altro non essendo che una conseguenza del principio generale
(adottato all'art. 3 del Codice del 1810) della non punibilità
del tentativo nei reati puniti con pena correzionale . I crimi
nalisti francesi però ragionano anche sopra a considerazioni
particolari per sostenere la convenienza di non punire il
tentativo dell' adulterio .

S. 1907 .

Sotto il punto di vista pratico il tentativo di adul


terio presenta peraltro particolari scabrosità per
ben delimitare il vero tentativo dagli atti mera
R AN

mente preparatorii, e stabilire fra i diversi preludii


- 405 --

amorosi quali siano quelli che veramente costitui


scono un principio di esecuzione . Entrare in questo
campo non si potrebbe senza scendere a discussioni
oscene dalle quali rifugge la penna. Vegga il giu
dice qual è il momento in cui veramente comincia
la esecuzione del congresso carnale : e ricordi sem
pre che dove non è principio di esecuzione manca
lo elemento materiale del tentativo punibile, per
quanto possa essere accertata la lubrica intenzione

degli agenti . E in proposito dello elemento inten


zionale non dimentichi che il pervertimento dei
sensi conducendo spesso a desiderare dei soddisfa
cimenti che non sono conformi al voto della na
tura, i quali (quando anche si fosse raggiunto il
fine voluto) non avrebbero offerto la consumazione
(S. 1884) dello adulterio, non sempre dalla prova
per quanto completa dei preludii amorosi se ne
può argomentare neppure la prova della intenzione
di adulterare.

S. 1908 .

Che il tentativo di adulterio non dovesse punirsi


alla pari del consumato delitto lo insegnò Paolo
alla leg. 1 ff. de extraordinariis criminibus. E
sebbene il giure canonico disponesse che l'adul
terio presunto nelle cause matrimoniali equivalesse
al vero, male da ciò s'indusse la equiparazione
del tentato al perfetto. L'adulterio presunto è un
adulterio perfetto, deficiente nella prova rigorosa
del corpo del delitto, la quale non emerge che da
indizi e congetture : ma ciò è ben differente dal
tentativo (1 ) . Laonde non mancarono scrittori di
- 406 -
-

vaglia che sostenessero insufficiente l'adulterio ten


tato anche ai soli fini civili del divorzio ed altri.
È un fatto notabile che in questo delitto, cosi presso
gli antichi come presso i moderni , prevalse la re
gola della minore imputazione del tentativo, anche
appo coloro che come massima prediligevano la
equiparazione. In codesto fatto io trovo un precor
rimento della dottrina dominante nella nostra scuo

la, che nei delitti d'impeto non riconosce possibile


la cognizione del tentativo. Lo elemento intenzio
nale del conato è sempre sfuggevole agli occhi del
giudice quando la passione movente è di tale
tura che può trovare il suo soddisfacimento anche
arrestandosi a mezza via. Come un moto di sdegno
può essere pienamente soddisfatto col solo feri
mento del nemico senza bisogno di procacciarne
la morte, cosi lo impulso erotico può acquietarsi
senza che giunga alla ultima linea di amore ; e
rimarrà spessissimo incerto se veramente la inten
zione del colpevole fosse determinata e non avesse
tocco l'estremo ; o se piuttosto nel disegno suo i
supposti preludii fossero fine a loro medesimi . Oltre
a ciò può spesso avvenire che certi atti procedano
da animo di scherzare, o da velleità capricciosa.
di sperimentare l'altrui resistenza . Insomma presso
gli antichi la non equiparazione, che da noi s'in
segna come rigorosa deduzione logica di una pro
posizione generale (vale a dire che nel tentativo
si ha quantità minore di quella che offre il con
sumato delitto) prevalse altrove propter incertitu
dinem piuttostochè propter levitatem ; e fu una
conseguenza di quella errata teorica che dal grado
di prova di un delitto ne misurava la pena, e do
--- 407 --

vunque trovava dubbio in quella riduceva questa


alla condizione di straordinaria. Noi non accet
tiamo codesta ragione ; e la regola della non equi
parazione professiamo per un principio assoluto in
materia di tentativo.

(1) Mi piace riprodurre le parole altrettanto eleganti quanto 3


decenti ed esatte con le quali si descrive il corso del tenta
tivo in questo reato da Kind, Quaestiones forenses, tom . 3,
― Is non in sola animi propositione consistit, sed ne
cap. 30
cessario requirit actum, qui ad perpetrandum adulterium ten
dit. Actus, e quibus conatus adulterii colligitur, varii sunt ge
neris. Alii sunt proximi, alii remoti, prout major minorve iis
inest probabilitas ex quo conatus adulterii aextimatur. Qui
conantur, eorum alii in extrema amoris linea consistunt tan
tummodo verbis, literis, munusculis, aliisve hujus generis rebus
sollicitantes : alii longius progrediuntur, suavia sumentes, aut
impudice attrectantes, aliave libidinis quidem praeludia fecien
tes, attamen quintam amoris lineam haud attingentes. Vedasi
Kormann, Dissertatio de linea amoris.

S. 1909 .

La linea che suggerimmo (§. 395) come criterio


probabile per delimitare il conato prossimo dal
remoto, quella cioè desunta dalla interessenza del
soggetto passivo della consumazione nel momento
esecutivo che vuol giudicarsi come conato, potrà
parere a taluno che vacilli in questo reato . Si di
manderà se una semplice proposizione amorosa di
retta a una donna maritata dovrà subito dirsi un

conato prossimo, perchè posto in essere sulla donna


destinata a divenire soggetto passivo della consu
mazione e non del mero attentato . Chi facesse
simile obietto non avrebbe bene compreso la regola
- 408 -

da me suggerita ; la quale presuppone la materia


lità di un tentativo (cioè un principio di esecu
zione) e, dato questo, ricerca se sia prossimo o
remoto. Una proposizione amorosa non è tentativo,
ma semplice preparazione ; si perchè ontologica
mente guardata non incomincia la esecuzione ; si
perchè manca di univocità per la incertezza della
intenzione. Essa costituirà una ingiuria contro il
marito e contro la stessa donna. Del resto tutto
bene considerato in questo delitto ; ponderata la
difficoltà di accertare l'animo, la perplessità nel
definire la esecuzione, e la lubricità delle indagini
che ciò promuove, e la poca entità del resultato ;
io sarei di opinione che il legislatore dovesse li
mitare l'azione di adulterio al solo delitto consu

mato, ed agli altri casi provvedere con una dispo


sizione e con una pena speciale, distinguendo il
caso in cui il supposto tentativo proceda o dal solo
uomo, o dalla sola donna, o dall'accordo di en

trambi . È vero però che nei costumi nostri la


prudenza maritale elimina ogni difficoltà perchè le
querele di adulterio consumato sono cotanto rare,
da non temere che la giustizia s' involva in gravi
difficoltà per querele di tentativo .

ARTICOLO V.

Azione.

S. 1910 .

Dissi già al §. 864 qual sia il vero concetto della


distinzione fra azione pubblica e azione privata.
Delitti di azione privata nel senso rigoroso della
409

formula più non se ne avrebbe alcuno oggidi per


chè tutti i delitti si perseguitano al fine di uno
interesse pubblico . Laonde quando si adopera la
espressione delitti di azione privata si usa in un
modo improprio per designare quei delitti dei quali
la persecuzione penale non può esercitarsi libera
mente in virtù del suo uffizio dal magistrato, ma
questi ha bisogno dello eccitamento per parte del
l'offeso ; e l'offeso ha inoltre balia di arrestare
mediante il perdono il procedimento già incoato
sulla sua stessa querela . Accade nello svolgimento
di tale concetto incontrare tre forme possibili es
senzialmente diverse. La una è quella in cui il
Pubblico Ministero per esercitare l'azione penale
ha bisogno della querela dell'offeso ; ma ottenuta
questa una volta, egli diviene padrone della per
secuzione il cui movimento più non può arrestarsi
per i pentimenti del dolente privato ; ed a questa
forma applicava la pratica la nomenclatura di azione
semipubblica ( 1 ) . L'altra forma è quella nella quale
per esercitare l'azione punitiva è necessaria la do
glianza dell'offeso, e di più anche ad azione eser
citata dal Pubblico Ministero è sempre nelle fa
coltà dell'offeso di troncarne i corso fino alla
sentenza ; ma non più oltre. La terza forma è quella
nella quale per soprappiù si dà facoltà all'offeso
d'impedire non solo il movimento dell'azione penale,
non solo il suo procedimento ulteriore, ma ben an
che i suoi effetti dopo la sentenza di condanna ,
perchè la legge gli concede la potestà di eserci
tare quasi un diritto di grazia arrestando con la
sua riconciliazione gli effetti di una sentenza con
dennatoria definitiva, ed anche di una sentenza
410 ――――――――

della quale già fosse cominciata la esecuzione (2).


Vedesi ad un primo sguardo quanto siano gravi
le differenziali fra queste tre forme. Malgrado ciò
si viene oggi applicando promiscuamente la deno
minazione di delitti di azione privata a tutte que
ste tre forme, quantunque tale denominazione (già
impropria in se medesima) confonda tre figure ef
fettivamente distinte : ed io stesso ho seguitato in
ciò la corrente, perchè la scienza non porge a quelle
tre forme altrettanti nomi diversi, e troppo nuoce
rebbe alla speditezza del dire se ad ogni occasione
si dovesse con un circolo di discorso descrivere il

senso più largo o più stretto nel quale si adopera


la formula azione privata. Giovi aver qui fatto tale
avvertenza poichè appunto nel tema presente ci oc
corre innanzi quella terza forma, dappoichè le le
gislazioni che ci governano (Codice toscano, art. 293
§. 2, Codice sardo, art. 487 , Codice sardo- napole.
tano , art. 487 ) abbiano letteralmente prescritto che
l'adultera come il concubinario, anche dopo la con
danna, possono essere liberati dalla pena, e tolti
dal carcere, se il coniuge offeso consenta a ripren
derli seco . È intuitivo il riguardo politico alla pace
delle famiglie che ha dettato questa eccezionale
disposizione. L'azione penale è sempre intrinseca
mente pubblica perchè si esercita nello interesse
sociale. Ma vi sono dei casi nei quali codesto in
teresse è tanto leggiero, e d'altronde i danni de
rivanti da un giudizio criminale all'offeso possono
essere cosi gravi da meritare che per riguardo di
questi si prescinda da quello : e vi sono dei casi
nei quali oltre a riguardo per i danni derivanti
all'offeso dalla pubblicità di un giudizio (che sa
――――― 411 ―――――――

rebbe riguardo tutto privato) sorge un altro inte


resse sociale che supera l'interesse della punizione
e lo costringe a tacere anche quando il riguardo
al privato sarebbe scomparso perchè ormai la pub
blicità del giudizio avvenne, le recriminazioni furono
esaurite , la delinquenza rimase dimostrata e la pena
renduta certa : lo interesse che ha la società nella

punizione dell'adulterio non muove da altro se non


che dal bisogno di mantenere l'ordine delle fami
glie. Quando pertanto col perdono maritale dopo la
condanna si ricostituisce una famiglia e si rende
alla pace, cessa nella società ogni ragione per in
sistere sulla pena . Qui però è notevole una diver
genza. Pel Codice toscano la riconciliazione fra i

coniugi dopo la condanna fa cessare la pena non


solo contro il coniuge colpevole ma anche contro
il correo o correa del medesimo . Pel Codice sardo

sembra invece che la pena cessi pel solo coniuge


e non pel correo. Non approverei questa limita
zione, non solo perchè può dar luogo a collusioni
colpevoli tra marito e moglie in danno del terzo,
la quale considerazione sarebbe puramente politica ;
ma principalmente perchè siffatta distinzione repu
gna ai principii fondamentali della giustizia distri
butiva. Non può ammettersi che due correi siano
trattati ad imparia : non può ammettersi che quando
due individui commisero insieme un delitto che si
credette meritevole di pena restrittiva della libertà ,
quando entrambo furono tratti al pubblico giudi
zio, entrambo convinti , entrambo condannati ; quel
giudizio e quella condanna divengano un giuoco
ed uno scherzo per uno dei correi mentre l'altro
correo (che può essere ora il più colpevole ed ora
- 412 .--

il meno colpevole) languisce nel carcere . Se piace


al marito ussorio di esercitare il suo diritto di

grazia a pro della donna, la legge per ristabilire


la uguaglianza deve esercitare il suo diritto di
grazia a favore del drudo, ed evitare in tal guisa
una disparità che sarebbe uno scandalo . Le iden
tiche ragioni giuridiche che non permettono al
marito di querelarsi contro il drudo senza che la
querela colpisca la donna, devono negargli di per
donare utilmente alla donna senza che il perdono
si estenda anche al drudo .

(1 ) Nella pratica di alcuni paesi l'adulterio era di azione


semipubblica , perchè mentre non poteva eccitarsi il processo
se non a querela del marito, quando però questa aveva avuto
luogo ed era contestata l'accusa il perdono del marito non
l'arrestava : Capycius Latro, decis. 121. Vedasi l'Hoff
mann (Questions préjudicelles, §. 19) il quale dimostra che
anche dove la regola dell'azione semipubblica vige come si
stema generale nella procedura punitiva, deve a cotesta regola
farsi eccezione nel caso di adulterio e questa dottrina pre
vale in Francia senza contrasto in quanto all'adulterio della
donna, sebbene siavi discordia in quanto al perdono che dopo
la querela per il concubinato del marito venga accordato dalla
consorte ; vedasi Chauveau et Helie, Théorie du code
pénal, tom. 4, pag. 282 - Carnot , Code pénal, tom. 2,
art. 339, §. 1. Del resto nell'antica Roma poteva dirsi che
la querela del marito fosse qualche volta coatta ( Es tor,
In praefactione ad Hambergeri dissertationes , § . 19) perchè il
marito quando avesse sorpreso la moglie in adulterio se non
accusava e portava in giudizio il drudo poteva alla sua volta
essere accusato di lenocinio.
(2) Una quarta forma singolarissima immaginò Favard.
Esso sostenne doversi riconoscere che il marito era li bero
- 413
padrone di non denunziare l'adulterio della moglie ed impe
dirne la criminale persecuzione : doversi anche riconoscere
in lui la facoltà di perdonarla dopo la condanna. Ma pretese
che data una volta la querela il marito non potesse più ri
tirarla utilmente, perchè la società aveva acquistato il diritto
di veder proferire la condanna, e il Pubblico Ministero una
volta impadronitosi dello esercizio dell'azione penale non po
teva più vedersela strappare di mano per il capriccio del
marito. Questa opinione esplicata dalla lettera della legge
francese non incontrò plauso neppure in Francia. La com
batterono Carnot, Legraverend, Merlin, Mangin,
Le Selleyer, Brousse, Dalloz, e la respinse la Su
prema Corte di Cassazione.

§. 1911 .

L'imperatore Costantino (l. 30, C. ad l. Jul. de


adult.) mentre minacciò la pena di morte contro
questo delitto, ne riservò l'accusa al solo marito
e congiunti ; facendo in tal guisa tutto il rovescio
di ciò che aveva fatto Augusto, il quale puni l'adul
terio con la relazione e dette a ciascuno balia di

promuoverne accusa ( 1 ) . Augusto era stato ragio


nevole nella pena, ma improvvido nel dilatare l'ac
cusa. Costantino fu irragionevole nella pena, e
saggio nel restringere l'accusa . La ragione da pa
recchi addotta per collocare l'adulterio fra i delitti
di azione privata è quella che con l'adulterio non
si offende che il solo marito . Ma questa ragione
a solo sarebbe assai problematica , mentre anche
il furto non offende che il solo derubato ; e pure

si perseguita oggi ad azione pubblica, perchè si


teme che il ladro incoraggiato dalla impunità diasi
ad offendere altri , e non può tollerarsi che la pietà
――――― 414

di un derubato riconduca in società un ladro im


punito e pronto a lanciarsi sulle proprietà di altri .
La vera ragione di restringere l'azione persecutoria
dello adulterio è quella che si trae da due altre
considerazioni : cioè da un riguardo al marito in
felice che desideri tenere celato il proprio scorno,
risparmiare ai figli il sospetto di essere illegittimi ,
e non distruggere in loro la venerazione verso la
madre : e da un riguardo verso l'interesse univer
sale che ha la società a promuovere il perdono ed
a tenere stretti i vincoli di famiglia. Non può tol
lerarsi che uno indiscreto agente del fisco facendosi
arme della vendetta di una fantesca o della mali
gnità di un vicino, penetri nel santuario domestico
e sollevi al cospetto del pubblico quel velo di cui
il marito prudente cuopri un fallo ormai perdonato,
e riparato dalla resipiscenza e gratitudine della
donna : non può tollerarsi che sotto il pretesto di
riparare all'onore si proclami in faccia al popolo
un disonore ignorato dai più ; e sotto il pretesto
di consolidare il vincolo di famiglia si turbi e si
distrugga per sempre la pace di una famiglia ri
verita e tranquilla. Dall'accusa pubblica sostenuta
a dispetto del marito per nimistà o soverchio zelo
di un accusatore si desta nei cittadini un allarme
maggiore di quello non siasi eccitato alla cono
scenza del delitto ; perchè molti i quali sanno e
moltissimi i quali sospettano che le mogli loro
possano avere qualche volta abbruciato incensi piut
tosto a Venere che a Pallade, vengono in timore
di vedere ad un tratto ruinata la pace domestica,
temerata la dignità delle figlie , e fatti se medesimi
ludibrio ai novellieri della città . Questi sono i solidi
―――――― 415 -

STOP
argomenti pei quali appo tutti i popoli culti si ac
cettò come regola eminentemente provvida quella
che al solo marito concede il diritto di querelarsi
dello adulterio (2).

(1) Mentre sotto la legge Giulia si dava balia a chiunque


di accusare le adultere (accordando solo nell'azione la pre
ferenza al marito ed al padre) si interdiceva però agli estranei
di accusare quella donna che fosse stata ritenuta come moglie
dal suo marito, se prima non accusavano questo di lenoci
nio : leg. 26 ff. ad leg. Jul. de adult. -- - Ludewig, dissert.
tom. 3, dissert. 4, pag. 15. Nell'impero germanico la Carolina.
aveva ristretto più ancora che non si fosse fatto da Costan
tino l'azione, limitandola al solo coniuge. Ma la legge sulla
riforma di polizia dell'anno 1577 ordinò potere il magistrato
inquisire di uffizio contro le adultere che abbandonato il ma
rito si fossero date a vivere coi loro drudi : Wa echter ,
De lege saxonica, pag. 8 et 9.
(2) Una questione elegantissima si è esaminata dal Morin
(nel suo Journal du droit criminel, art. 8582), facendone argo
mento di apposita dissertazione. Iniziato un processo contro
un marito adultero per avere tenuto una concubina nella
casa maritale si trova che questa concubina era anche essa
maritata . Si vuol procedere ancora contro di lei ; ma il ma
rito della medesima si oppone dicendo io non voglio : accu
sando mia moglie di concubinaggio voi l'accusate di adulterio ;
e l'accusa di adulterio contro la donna maritata non si può
promuovere senza la querela del marito. Vedasi anche la de
cisione della Cassazione del 28 febbraio 1863, all'articolo 8602,
del suddetto giornale , già citata sopra alla nota 2 del § . 1869 .
Altra elegante questione sollevossi in Francia . Il marito que
rela la moglie per un adulterio da lui scoperto il processo
ne rivela altri due o più commessi dalla medesima. Potrà il
Pubblico Ministero spingere innanzi la persecuzione anche
per questi ? Aderendo al rigore del principio la Corte di
416 ―
Poitiers 4 febbraio 1837 si pronunziò per la negativa. Questa
dottrina mi pare incensurabile quando gli adulterii non de
nunciati dal marito siano commessi con drudi diversi. Ma se
si trattasse di altri adulterii commessi con il medesimo drudo,
io crederei se ne potesse prendere cognizione considerandoli
come continuazioni dell'adulterio denunziato. Questa sarebbe
ragione giuridica e solida ma tale non sarebbe lo asserto
della presunzione che il marito avrebbe querelato anche gli
altri adulterii se li avesse conosciuti. La querela deve essere
un fatto, non una divinazione.
Una singolare estensione del diritto di dar querela per
adulterio si fa dal Merlino Pignattello alla consul
tazione 58, lib. 1, ove insegna potersi la donna violentata
querelare di adulterio contro il suo violentatore ; può per
altro esser dubbiosa la nullità di questa azione ove al biso
gno supplisce l'accusa di violenza carnale che si concede al
pubblico accusatore . Ed è pure notabile in tema di adulterio
violento che i pratici ammettevano alla successione della ma
dre anche il figlio adulterino nato da quel congresso violento :
e ciò come osserva Tissot , era ben giusto, perchè se in
tale congresso non vi è colpa per la madre, molto meno vi
può essere colpa nella creatura da lei concepita .

S. 1912 .

E tali considerazioni mi hanno sempre condotto


a guardare con diffidenza la limitazione che a quella
sapiente regola vollero fare i pratici e le vecchie
osservanze giudiciali toscane, insegnando che anche
l'adulterio potesse perseguitarsi ad azione pubblica
quando fosse flagrante. Questa dottrina nacque
forse dal presupposto che ogni adulterio nel lin
guaggio forense chiamato flagrante debba per ciò
essere tosto divulgato per tutta la città ; onde scom
- 417 _ _ _ _ _ _ _

parisca il pericolo di renderne pubblico a dispetto


del marito il suo disonore. Ma quel presupposto è

fallace : o la sorpresa in flagrante degli adulteri


nacque per opera di privati curiosi, ed allora vi
è più ragione di perseguitare costoro per diffama
zione se sono andati a suonare attorno la tromba,
che non di affliggere l'infelice marito : o la sor
presa in flagrante avvenne per opera degli esecu
tori di giustizia perchè (a modo di esempio) nel fare
una perquisizione domiciliare trovarono che uno
estraneo aveva preso il posto del contumace nel
talamo di lui ; ed allora è debito dei pubblici uf
ficiali di tacere, e non abusare dello ufficio loro.
divulgando cosa segreta di cui soltanto in ragione
dell'uffizio vennero in cognizione . Ad ogni modo
anche dell' adulterio flagrante la cognizione nel
pubblico è limitata sempre ; rimane coperta da una
incertezza ; vi potranno essere molti che non la
crederanno ; e dopo qualche tempo potrà con spe
ranza negarsi il fatto da coloro che avranno inte
resse a nasconderlo : ma un giudizio criminale viene
.
a notizia di tutti ; una sentenza di condanna è un
documento che rimane in perpetuo a testificare in
faccia al marito ed ai figli della donna impura la
macchia patita della loro famiglia ( 1 ) .

(1) In proposito della querela di adulterio molte eleganti


questioni ha recentemente trattato lo illustre Faranda, in
uno elaborato discorso pubblicato nella Temi Zanclea, anno 2,
n. 21 e 24; e anno 3, n . 6 : discorso meritevole di serio studio
per lo acume delle svariate argomentazioni, sebbene non
tutte le sue soluzioni mi sembrino accettabili senza ulteriore
esame.

VOL. III. 27
- 418 -

S. 1913.

D'altronde non si può transigere sulle deduzioni


logiche di un principio . Se la supposta pubblicità
nascente dalla flagranza desse balia al Pubblico
Ministero di agire di uffizio, la pubblicità reale
che concorre nel caso di notorietà e di scandalo,
condurrebbe alla medesima conseguenza , e la re

gola farebbe naufragio . E difatti i pratici condotti


da questa necessità logica insegnarono che potesse
anche senza la flagranza procedersi di uffizio con
tro gli adulteri in caso di notorietà ( 1 ) : ma chi
non vede quanto sia elastica la nozione del notorio,
e come possa da segreti nemici facilmente crearsi
la notorietà per eccitare una inquisizione di uf
fizio ? ( 2) È ben vero però che vi sono ragioni mag
giori per porre da banda i riguardi all'onore del
marito nella ipotesi di adulterio notorio che non
ve ne siano nella sorpresa in flagrante, perchè il
cessato riguardo all'onore della famiglia ha una
realtà nel notorio, mentre non è che una ipotesi
nella flagranza . Ecco perchè non persuase mai
l'animo mio la teorica della pubblicità dell'accusa
nello adulterio flagrante.

(1) Torre, De stupro argum. 17, n. 9 --


— Gramm matico,
decis. 21, n. 7 Sanfelice , decis. 551, n . 14 et 15 —
de
Rosa , Praxis criminalis, cap. 1, n. 65 - Afflicto ,
cis. 176. Ma discordavano i pratici (come è ben naturale) nel
definire il notorio . Chi lo desumeva dall'ingresso palese del
drudo nella casa della donna : chi esigeva lo ingravidamento
assente il marito ; chi lo ravvisava nella confessione che ne
- 419 -

avesse fatto la donna in giudizio : Capycius Galeota,


Controversiarum, lib. 2, controv. 61, n. 33 - - Capicelatro,
vol. 2, decis. 167 ; et decis. 121, n. 22 Caldero, Decisio
nes Cathaloniae, decis. 30, n. 24.
(2) Elastica è pure la nozione del flagrante . In Francia è
stato deciso che lo stabilire se si abbia o no flagranza nel
l'adulterio spetta all'arbitrio del giudice : Morin , Journal
du droit criminel, art. 8317.

§. 1914 .

Nel caso in cui l'adulterio sia pedissequo ad un


altro delitto , e si voglia istituire il processo per lo
adulterio sotto il pretesto di verificare l'altro de
litto può trovarsi altra limitazione più disputabile
alla regola generale sovraccennata. In questa ipo
tesi la questione non può nascere per il fine di
procedere a condanna contro gli adulteri senza que
rela : e ciò non si può mai . Ma la questione è nel
senso rovescio : non si pretende di punire l'adul
terio senza querela per la concomitanza del mede
simo ad un altro reato ; si dubita di non potere
procedere neppure alla investigazione dell' altro
reato perchè la mancanza di querela impedisce di
procedere per l'adulterio . Io penso che debba di
stinguersi secondochè il reato pedissequo è mag
giore o minore dell'adulterio . Se è maggiore potrà
senza dubbio constatarsi l'adulterio mediante il pro
cesso istituito a pubblica azione ; come se (a modo
di esempio) contro la viricida si voglia provare il
disonesto legame per farne argomento della sua
colpabilità o della complicità del suo drudo : non
mai però per irrogare la pena dell'adulterio . Nes
suno mai elevò questione in simili termini . Ma
- 420 -

quando invece il delitto pedissequo è di minore


gravità (e specialmente se minimo) io credo che
la non esperibilità dell'azione contro il delitto prin
cipale impedisca la persecuzione anche del delitto
accessorio. E lo credo per le identiche ragioni per
le quali ho sostenuto la medesima tesi in tema di
ratto improprio.

S. 1915.

Il diritto di querela è personale nel marito, per


guisa che si è proposto il dubbio se avendo egli
prima di partire per lungo viaggio confidato ad un
amico il mandato speciale di querelare la moglie
in caso di adulterio, sia ricevibile la querela data
dal mandatario (1) . Alcuno volle distinguere su
tale questione dicendo che il mandatario aveva po •
teri per promuovere il processo e far constatare
il delitto della donna, salvo ad attendere poscia il
ritorno del marito per giudicarla. Ma questo mezzo
termine antigiuridico non ebbe plauso e non poteva
averlo, si perchè nessuno può anticipatamente ri
nunziare al diritto di perdonare, si perchè la volontà
di non perdonare deve essere emessa con cogni
zione del fatto ; ed è perciò repugnante che sia
preambula non solo alla condanna, ma anche al pro
cesso ed allo stesso delitto : e valgono i principii
pei quali i civilisti negano la facoltà di rinunziare
all'eredità futura.

(1) Quando il marito sia stato interdetto per causa di pazzia


il suo curatore non può portare querela per adulterio contro
la moglie di lui neppure può insistere sulla querela che già
- 421 ―――

abbia portato il marito prima di divenir pazzo . Questa pro


posizione fu stabilita in Francia in un caso speciale che dava
adito ad una singolare argomentazione . Il marito era impaz
zato per un eccesso di gelosia : questo stato perseverante
(dicevasi) induce presunzione che il marito conservi lo sde
gno contro la moglie e non abbia perdonato . Ma ciò non valse.
Sotto un punto di vista più generale è interessantissimo il
dubbio se il tutore di un coniuge pazzo possa dare querela
per l'adulterio o per il concubinato dell'altra coniuge. Ma s
sol (De la séparation des corps) e Bedel (De l'adultère,
pag. 15, n. 9) parvero decidersi per la negativa : ma furono
combattuti da Brousse (De l'adultère, pag. 153) il quale
recisamente sostenne che il tutore del pazzo deve avere balia
di dare querela contro le infedeltà coniugali commesse a
danno del suo sottoposto, per la ragione che altrimenti si
darebbe una patente di impunità per ogni scostumatezza ai
coniugi dei pazzi. Impauriti da questa conseguenza altri giu
risti vollero si dasse la querela allo stesso pazzo. In quanto
a me non mi spavento di quel pericolo quando per evitarlo
bisogna andare incontro ad intollerabili assurdi . Per me il
coniuge del pazzo interdetto non può querelarsi da alcuno.
Le ragioni di questa mia opinione le svolsi per largo nel mio
scritto che ha per titolo Adulterio a danno di coniuge pazzo,
e pubblicato nel volume dei Lineamenti di pratica legislativa,
osservaz. 7, pag. 189.
Le conseguenze di una querela di adulterio o di una de
sistenza possono essere troppo terribili per la sorte di una
famiglia perchè si debbano consegnare alla volontà naturale
di un demente, o alla prudenza di un curatore, o allo arbitrio
di un giudice. Tutte idee spaventevoli. Il solo pater familias
deve esserne giudice, e nel grave giudizio deve essere compos
sui. Vi spaventa la impunità dell'adulterio ? Ma siate allora
logici, e condannate le private famiglie al disonore e alla
rovina perseguitandolo a pubblica azione. Ma quella impunità
voi la tollerate quando il marito tace per debolezze o ri
guardi, e questa impunità non vi spaventa benchè la donna
- 422

sia una Messalina che faccia pompa dei suoi adulterii con
scandalo di tutta la città. E le fisime vi prendono soltanto
quando il marito è pazzo ? Etiamsi omnes ego non. Se io do
vessi tenere la mia famiglia sotto una legge siffatta emigrerei
per il terrore. Mi atterrirebbe la idea che se io cadessi in
demenza la malignità di un curatore o lo zelo bigotto di un
giudice potessero per la debolezza della mia moglie spargere
il disonore, il dolore, la costernazione nella mia casa e sui
figli miei ; ed io risanato dal morbo dovessi , tornato alle
pareti domestiche, trovarle deserte della mia compagna get
tata in carcere, e di ogni sorriso dei figli miei piangenti senza
riparo la madre rapita ed il nome macchiato. Sembra impos
sibile che i vecchi pregiudizi abbiano tuttavia tanto impero
anche sopra uomini che si dicono liberali ! ...

§ 1916.

Ma neppure a tutti i mariti viene concessa fa


coltà di condurre la consorte ad un giudizio cri
minale e ad una punizione per la infedeltà da lei
consumata. Può il coniuge trovarsi in tali posizioni
che la legge riconosca conveniente negargli il di
ritto di perseguitare la moglie. Un primo esempio
di ciò si ha nel marito concubinario, come nella
moglie adultera che voglia accusare di concubi
naggio il marito . A costoro si nega l'azione (Co
dice toscano, art . 291 , §. 2, Codice sardo, arti
colo 484) mercè la quale vorrebbero punita nel
l'altro coniuge la violazione di una fede che si è
da loro medesimi conculcata. Negando di dar se
guito alla querela del marito concubinario o della
donna adultera, non è già che si accordi al co
niuge il diritto della vendetta . No : il diritto esi
ste ; la legge non dice che non sia tale ; ma uni
- 423 ――――――

camente resta impunito per mancanza di idoneo


accusatore . Ed esiterei pure a definirla una com
pensazione speciale ed impropria ( 1 ) . Tanto è ciò
vero che le veglianti leggi guardano la esperibilità
dell'azione al momento del suo tentato esercizio e

non per gli antecedenti : cosicchè non distinguendo


la legge, crederei (quantunque autorevoli pratici
sostenessero il contrario) che il coniuge dovesse
repellersi dalla querela ancorché la sua infedeltà
fosse posteriore al delitto che denuncia purchè
precedente al momento in cui volle eccitare l'azione
penale. Certamente quando la infedeltà sulla quale
si fonda la recriminazione fu anteriore al fallo
dell'accusato non sembra doversi incontrare diffi

coltà . Ma pure anche qui è sorta grave questione


nella ipotesi che la infedeltà obiettata al coniuge
querelante dal coniuge accusato sia di tanto antece
dente alla querela che per le veglianti leggi tro
visi colpita da prescrizione (2) . Se la questione si
pone nei termini di marito querelante dessa è eli
minata per una considerazione generale, o almeno
è influenzata dalla medesima. La legge esclude dal
diritto di querela il marito CHE TENGA Concubina
nella casa coniugale : questa lettera di legge potrà
essa estendersi al marito CHE ABBIA TENUTO Con
cubina, ma poi l'abbia dimessa già prima della
querela, ed anche prima dell'adulterio del quale
si lagna ? La questione è grave (3), cosi in faccia
al testo di alcuni Codici come in faccia alle con

siderazioni filosofiche. Ma ad ogni modo in quanto


all'obietto che si volle desumere dalla prescrizione
non mi sembra giuridicamente accettabile per la no
tissima regola che quae temporalia sunt in agendo
424 -

perpetua fiunt in excipiendo. Può del pari que


stionarsi se una infedeltà perdonata metta al co
perto il coniuge che perdono, in faccia all'accusa
di una infedeltà che egli abbia alla sua volta com
messo . E qui pure opinerei che la renunzia al
l'azione non dovesse convertirsi in renunzia della
eccezione. Altrimenti si farebbe plauso alla ingra
titudine : e la morale deve avere il suo conveniente

peso nella soluzione dei problemi giudiciarii . Men


tre esterno questa opinione devo però confessare
che il Christineo (ad Stat. Meclin . tit. 2, art.13,
n. 11) recisamente sostiene che il perdono dell'adul
terio precedente impedisca di opporre la compen
sazione contro il coniuge quando dopo aver dato
il perdono abbia alla sua volta commesso adulterio .
Se il dubbio si guardò sotto il punto di vista della
compensazione questa conclusione è eminentemente
logica, perchè non può dedursi in compensazione
un credito estinto . Guardata invece sotto il punto

di vista di una eccezione ostativa alla querela, la


medesima nasce dal fatto precedente ; e il fatto
sussistendo malgrado il perdono, la eccezione deve
rimanere .

(1 ) Già notai alla materia della ingiuria che certi modi


particolari di estinguere l'azione penale nei delitti privati
erano specialità del reato d'ingiuria. Questa osservazione ri
corre in proposito della compensazione . Non fu senza difficoltà
che anche nel reato di ingiuria verbale si ammise che la com
pensazione risultante dalla reciprocanza delle offese estin
guesse l'azione anche quoad poenam. Molti fra i vecchi pra
tici sull'autorità del Baldo distinsero tra gli effetti civili e
gli effetti penali ; e in ordine a questi negarono recisamente
-- 425

ogni efficacia alla compensazione, mentre per gli effetti ci


vili l'ammettevano in quasi tutti i delitti, e argomentavano
a contrario dalla 1. si ambo §. quoties ff. de compensat. -
Gaill, lib . 2, obs. 100, n. 9 -- Mynsigero, obs. 17, cent. 5,
n. 3 ―――― Bersano, De compensat. cap. 2, quaest. 25, n. 12 --
Harpprecht, Institut. lib. 4, tit. 4, §. injuria autem, n. 90,
et seqq. - Wurmser, lib. 1, observationum, tit. 47, obser
vat. 15, n. 5 Aufrerio, decis. Tholos. decis. 127, n. 3 -
Boerio, cons. 4, n. 29 Schrader, De feudis , pars 9,
cap. 4, n. 124 ―――――― Claro , sentent. lib. 5, §. fin . quaest. 60,
n . 18- Berlichio , Conclus. practicabil. pars 5, conclus. 64,
n. 51. Ma i più miti l'ammisero anche agli effetti penali nelle
ingiurie cosi reali come verbali, appoggiandosi alla conside
razione che la repubblica non ha interesse nella punizione
delle ingiurie. La quale considerazione benchè potesse ripe
tersi in ordine ad altri delitti di azione privata non si volle
però ripetere (come ho già detto di sopra) onde rimase una
specialità della ingiuria : Bossio, In tit. de injur. n. 31
Grivellio, decis. Dolanae, dec. 43, n. 30 - Guttiere z,
De compensat. lib. 5, quaest. 13, n. 26. In proposito di tale
controversia sono latissime le trattazioni del Bargaglli
(De dolo, lib. 6, regula 15) e del Pacciano (De probation.
lib. 1, cap. 59) che la disse practicabilis et fructuosa quaestio
sed difficilis et brocardica. Nell'adulterio però non incontrasi
altrettanta divergenza, ed è comune la opinione che quan
tunque per il favore del matrimonio si ammetta la compen
sazione di adulterio con adulterio al fine civile ( Costa lio,
Adversariorum , pars 4, lib. 24, lex 39, pag. 630 Gallo ,
De exceptionib. pars 2, tit. 4, except. 8, n. 20 et seqq. fol. 288
-
Pfeiffer, Collectio notabil. decisionum Hasso-Cassellana
-
rum , tom. 3, dec. 118, n. 1 Trevisano, pars 1, decis. 45,
n. 2) cioè di evitare la separazione di loro e le perdite dotali ,
la non si ammette mai ai fini penali : Bersano, De com
pensat. cap. 2, quaest. 25, n . 4 - Wurmser , Practicar.
―――
observat. lib. 1, tit. 46, observat. 15 Scultes , In addit.
- - Puf
ad Modest. Pistor. pars 3, quaest. 127, n. 20 et seqq.
- 426 ——
fendorf, Observationes, tom. obs. 123. In faccia a questo
stato di dottrina sembra che veramente la regola ammessa
oggi da tutti, per la quale si nega alla moglie adultera ed
al marito concubinario il diritto di querela, non possa guar
darsi come una vera e propria compensazione, ma piuttosto
come una eccezione pregiudiciale ; conforme più esattamente
i francesi (fin de non recevoir) la vennero denominando. La
questione non è puramente di nome ; anche questa volta sotto
la larva della diversa formula si cela una diversità di so
stanza. Se l'adultero si repellesse per il principio puro della
compensazione bisognerebbe dire che non lo repelle nè un
adulterio prescritto, nè un adulterio perdonato ; perchè non
può dedursi in compensazione un credito estinto. Ma guar
data la cosa sotto il punto di vista di una eccezione pregiu
diciale : dettata in odio del querelante , queste due questioni
possono ricevere una soluzione diversa. La compensazione di
adulterio ai fini civili si appoggia sulla leg. 39 ff. soluto ma
trimonio, et leg. 13, §. 5 ff. ad legem Juliam de adult. Ma i
Romani non la estesero ai fini penali ; e sebbene dal secondo
dei suddetti frammenti sembri a prima vista apparire che si
punisse a Roma anche l'adulterio del marito , il Bartolo ,
e generalmente tutti i repetenti, applicano la leg. 13, §. 5, al
marito lenone. E l'Alberico al Commentario su quel fram
mento pone in termini la questione -- ivi ―――――――― Quid si vir
committat adulterium cum uxore alterius, numquid repellitur
ab accusando uxorem suam ? Dic quod non. E che la leg. 13,
§. 5, non potesse contemplare il marito adultero resulta evi
dente dalla leg. 1, Cod. ad legem Juliam de adulteriis. Vedasi
su questa questione Catharini, in Meermann, vol. 6,
pag. 781.
(2) Fu una specialità della pratica argomentata dal Diritto
Romano che l'adulterio si prescrivesse in cinque anni anche
dove in generale occorreva per tutti i delitti la prescrizione
di anni venti : Priori, Pratica criminale, pag. 178. Vedasi
Brousse , De l'adultère, pag. 194.
(3) Sembra che la eccezione del concubinato debba essere
- 427
personale alla donna quando si desuma dalla considerazione
che la donna deduca essere stata tratta a mancare per lo
esempio del marito. Certo è però che dedotta dalla donna la
eccezione profitta anche al complice. Vedasi Morin (art. 9052)
intorno al caso della concubina congedata. Vedasi anche M o
rin, art. 9020. Ma se la moglie del marito concubinario que
relata da lui per adulterio non voglia dedurre la eccezione del
concubinato, potrà dedurla contro voglia di lei il complice
coaccusato ? E se la donna venne a morte senza dedurre
quella eccezione, il complice (posto che il giudizio continui
contro di lui) la potra egli dedurre ? Su questo argomento
Faranda nello scritto citato ha propugnato la tesi della
personalità della eccezione di concubinato applicandola ad
ambedue le suddette questioni. Ma le argomentazioni per
quanto sempre ingegnose dello illustre giurista non valgono
questa volta a persuadermi. Il suo principale equivoco sta
nel confondere ciò che è proprio dell'azione con ciò che è
proprio della eccezione. Finchè certi fatti si contemplano
come produttivi del diritto ad agire starà benissimo che se
condo la natura loro tali fatti limitino i propri effetti a certe
persone determinate. Ma non accade altrettanto quando certi
fatti si contemplano come spogliativi di un diritto in alcuno .
Allora quell ' uno che a causa di tale fatto è spogliato di un
dato diritto dalla legge la quale dispone per viam denega
tionis actionis, deve necessariamente essere esposto a sentirsi
dire tu non hai diritto di agire perchè la legge ti ha tolto
l'azione, e sentirselo dire da chiunque voglia da lui aggre
dirsi con l'azione che più non ha ; perchè a chiunque deve
essere sempre aperta la via di vincere per il non jus actoris.
Questo è il fondamento giuridico della opinione mia : laonde
io sostengo che se il marito concubinario abbia querelato
per adulterio la moglie ed il suo complice, e la moglie per
la speranza di perdono, o per timore , o per una vergognosa
collusione non voglia nè dare querela contro il marito , nè
opporre la eccezione del concubinato, spetti al complice la
piena facoltà di opporre contro il suo accusatore che esso
―――― 428 ―――――

non ha veste legittima per perseguitarlo perchè concubinario.


E se oltre questa ragione giuridica cardinale se ne volessero
altre di natura estrinseca, non mancano neppure queste. È
assurdo che una difesa data dalla legge ai due correi di
uno stesso delitto venga tolta ad uno dei correi dal ca
priccio, dalla vendetta, o dalla speculazione venale dell'altro
correo. È immorale che sia in volontà della moglie la pu
nizione o la impunità del drudo : ciò può dar luogo a ver
gognosi mercati. Io sono nello stesso ordine di idee sul
quale sostenni analoga tesi in proposito della compensazione
delle ingiurie. L'avversaria diceva alla mia cliente, ci ingiu
riammo reciprocamente, e sarà anche vero che le nostre in
giurie siano compensabili : ma io non voglio chiedere la com
pensazione perchè non mi duole di andare in carcere io,
purchè anche tu vada in carcere. Io non chiedo la compen
sazione, e non chiedendola io, non puoi chiederla neppur tu .
Come la Norma per ira femminile volle trarre sul rogo l'o
diato romano così colei per femminile vendetta voleva il sa
crifizio della rivale. Ma la Corte Suprema di Cassazione di
Firenze vide tutta la immoralità di questo sistema ; e , con
siderando che la compensazione data dalla legge come mezzo
perentorio della querela deve operare i suoi effetti vi dene
gati juris, indipendentemente dalla volontà delle parti, de
cretò per ambedue essere estinta l'azione. Nè si opponga
che in tema di concubinato si ha un fatto che la legge di
chiara denunciabile ai tribunali soltanto dalla moglie. La
legge dichiara ciò ma limitatamente all'azione persecutoria :
essa dice non potersi perseguitare il coniuge se non a que
rela dell'altro coniuge. Questa disposizione limitativa del
giure comune è ristretta soltanto all'azione : delle eccezioni
non parla : dunque le eccezioni rimangono sotto il giure co
mune. In ogni atto criminoso si contengono per necessità
ontologica due figure distinte. Esso deve guardarsi come de
litto ; e in questa sua forma genera la azione penale. Esso
deve guardarsi come nudo fatto ; ed in questa sua forma
genera eccezioni, argomenti, ed altre conseguenze giuridiche.
429 ―

La vita di questa seconda forma è primitiva ; la vita della


prima forma è adiettizia. Perciò non può esistere il delitto
se non esiste il fatto ; ma può esistere il fatto ancorché non
esista il delitto : e cosi può il fatto mantenere utilmente le
sue attività giuridiche anche dove e quando il delitto non
ne abbia alcuna, perché quello è indipendente da questo :
1. Cosi dopo estinta l'azione penale per prescrizione non
potrà più parlarsi nè di fuito nè di adulterio come delitti,
ma potranno bene usufruirsi come fatti, prescindendo dalla
loro qualità criminosa. Quindi se dopo cinque anni io ritrovo
l'oggetto che mi fu rubato e lo ripiglio a forza, non potrò
più muovere querela di furto perchè prescritta, ma potrò
assumere la prova del fatto della sottrazione per subire la
pena della ragione fattasi anzichè essere mandato in galera
come autore di furto e se venga accusato come colpevole
di aver gravemente ferito mia moglie potrò assumere a mia
scusa la prova che la sorpresi in adulterio quantunque per
prescrizione o rinunzia più non possa accusarla per quel
delitto. 2. Cosi quantunque l'autore di un delitto sia morto ,
e con lui sia morta la mia azione penale per querelarmi di
quel reato commesso a mio danno, io potrò sempre ai fini
civili assumere la prova di quel reato non più perseguita
bile criminalmente ; e potrò assumerne la prova anche in
un giudizio penale quando io venga accusato di altro reato
al quale il fatto del defunto somministri una scusa legale a
mio favore. Ogni volta che l'uxoricida deduce a sua scusa
la sorpresa della moglie in flagranti, egli assume la prova
di un fatto contro il quale come delitto egli più non ha l'a
zione penale . Cosi chi non ha facoltà di querelarsi (cioè
di invitare la giustizia a decretare che un fatto è delitto )
può però assumere la prova di quel fatto, quando serva a
scusare lui per un reato del quale alla sua volta è chiamato
a dar conto. Mio cugino non ha azione per querelare chi in .
giuriò me : mio fratello non ha azione per querelare la mo
glie mia come adultera. Ma se il cugino è tradotto a giu
dizio per aver ferito il diffamatore, o il fratello per avere
――――― 430 ―――

ucciso mia moglie ; essi potranno bene assumere la prova


della contumelia, o della sorpresa in adulterio per elimi
nare da sè il sospetto della premeditazione, o per profit
tare della scusa del giusto dolore , perchè il fatto che essi
deducono opera questi effetti come fatto senza bisogno che
il giudice lo dichiari delitto. Ugualmente io non potrò ac
cusare del delitto di concubinato il marito della donna con
la quale peccai, ma potrò bene dedurre il fatto del concu
binato come fatto che perime l'azione mossa contro di me
senza bisogno di cercare se esso è o no delitto. Giustizia è
verità. E non si serve alla giustizia quando si attraversano

le strade alla verità. La difesa dei rei deve essere libera
come il vento sul mare : e non è tollerabile che una pastoia
di procedura le sia bavaglio onde condannisi alla prigione
il cittadino alla quale la legge dava diritto di essere riman
dato libero.

S. 1917 .

Un altro esempio di limitazione al diritto di que


rela si ha nel caso di lenocinio del marito . Questo
caso dalle leggi testualmente ( 1 ) si designa come
una eccezione repellente il marito dalla querela di
adulterio . Alcuni lo riferirono alla remissione
espressa guardando superficialmente la cosa e non
avvertendo alla inalienabilità del diritto (almeno
in precedenza) che ha il marito alla fedeltà della
moglie ; ma veramente non è questa la ragione
della regola. Se lo fosse ne avverrebbe che il ma
rito lenone della moglie a servigio di Tizio po

trebbe querelarsi dello adulterio che la donna


avesse commesso con Cajo, perchè direbbe di aver
fatto remissione preambula a quello e non a que
sto. Ora ciò non può ammettersi . Dunque la ra
gione della regola bisogna trovarla nella indegnità
- 431 ___

di siffatto marito, e nel principio che nessuno può


dolersi di un fatto del quale sia stato egli stesso
cagione. Sia pure che il marito non consentisse al
secondo fallo della sua donna : consentendo al primo
fu egli che la spinse nella mala via. Impropria
mente ancora fu detto che ciò procedesse per virtù
della regola della compensazione : e se ne trasse
un argomento (come ho notato a §. 1839 nota) per
concludere che la compensazione era ammissibile
anche fra delitti diversi , poichè si trovava accet
tata fra lo adulterio ed il lenocinio . Non è vera
mente una compensazione di delitto con delitto ,
poichè per la medesima bisognerebbe potere af
fermare che i due reati mutua vice tolluntur ; e
qui invece il coniuge che alla querela portata senta
rispondersi essere stato lenone del coniuge proprio,
oltre a decadere dal diritto di querela può venire
perseguitato di uffizio per il delitto sociale di le
nocinio. Questa eccezione non procede dunque nè
dal principio della remissione , nè dal principio
della compensazione, nè dalla idea di una legitti
mata vendetta. Essa è inspirata dall'odio contro
i lenoni : è una penalità accessoria di questo . turpe
reato ; è una derivazione della regola malitiis non
est indulgendum ; perchè il coniuge lenone po
trebbe della querela farsi strumento ad una sor
dida speculazione, e la legge non può lasciarla in
sua mano per non rendersi complice dei suoi osceni
mercati.

(1) La legge 2, §. 4 et 7 ff. de adult. al correo dell'adultera


nega essere scusa il lenocinio del marito. La legge 47 ff. so
luto matrimonio stabilisce che all'adultera serva di scusa il
- 432

lenocinio del marito. Su questa apparente discordanza molti


interpetri passarono oltre , e molti vi sudarono attorno . Ne
vio, nei commenti alla leg. cum mulier 47 ff. soluto matrim.
ne trae la regola generale che l'approvazione avanti il fatto
equivale all'approvazione dopo il fatto; ma con ciò non toccal
il nodo. Morna c, nel commento alla stessa legge sembra
volerlo sciogliere con la distinzione tra fini civili e fini pe
nali. Ma il più vero concetto fu raggiunto da Bartolo alla
leg. 2 ff. soluto matrim. n . 2, seguitato dall ' Antonio Ma t
teo, De crimin . tit. 13, cap. 10, n. 4 ; da Brunnemanno
nel commento alla leg. 2, §. 4 ff. ad leg. Jul. de adulteriis ;
e illustrato più lucidamente di ogni altro da Barbosa, in
leg. 20 ff. soluto matrim. n. 3. La conciliazione procede dalle
formule semel delatus del citato §. 4 e postea quam reus factus
est del §. 7, combinate con la leg. 15, §. 7 ff. ad leg. Jul. de
adulteriis ; per la quale apparisce che le eccezioni pregiudi
ciali contro l'accusa di adulterio avevano un periodo fatale,
decorso il quale più non potevano proporsi : ante solent trac
tari quam quis inter reos recipiatur ; posteaquam semel recep
tus est non potest obiicere. È chiaro da ciò che questa specia
lità derivante dall'ordine procedurale romano non può essere
di alcun frutto oggidi. Impropriamente si dà oggi a questa
eccezione il titolo di pregiudiciale. Essa è veramente ecce
zione perentoria : laonde può proporsi in ogni stadio del giu
dizio, etiam in limine ferendae sententiae. La civiltà odierna
non tollera che la difesa dei rei s'involva nelle pastoie di
inutili fatali ; nè che il cittadino vada alla pena perchè le sue
difese furono meno tempestivamente proposte . Neppure sa
rebbe di uso oggidi la leg. 14, §. 1 ff. ad leg. Jul. de adult.
per la evidente ragione che quanto doveva stabilirsi dove
l'adulterio era di azione pubblica non può sempre accettarsi
dove si perseguita ad azione privata. Una elegante questione
trattò Leyser (specimen 580, medit. 9 et 10) in ordine al
coniuge che esercitasse il tristo mestiero di lenone per altri,
ma non per il proprio coniuge. E riportò un giudicato del
marzo 1735 per cui si ammise soltanto in quella circostanza
433
una minorante, ma si dette corso alla punizione. In pari ter
mini dovrebbe risolversi il dubbio in faccia al Codice toscano,
il quale all'art. 291 , facendo relazione all'art . 300 §. 1 , chiaro
dimostra che la repulsa non osta al marito che sia notoria
mente lenone, se non fu lenone anche della propria moglie.

§. 1918 .

Neppure potrebbe applicarsi la teorica della re


torsione, perchè il marito lenone non violó alcun
diritto dell'adultero che vorrebbe accusare : ed inu

tilmente perciò si rovisterebbe nella dottrina del


grado per rinvenirvi una escusante del drudo . Vo
lendo dunque trovare un principio generale giu
ridico adattabile alla nostra eccezione parmi che
la via più semplice sia quella di considerarla come
uno svolgimento della eccezione del dolo. Il ma
rito che con infame tranello, dopo essere stato le
none della moglie, perseguita lei ed il drudo per
l'adulterio, non solo fu in dolo quando si rese le
none, ma è in dolo anche quando pretende di rac
corre il frutto della propria turpitudine esercitando
l'azione sia per odio contro gli adulteri, sia per
ricavarne pecuniario profitto. Si dirà da taluno, a
qual pro conduce questa ricerca della vera radi
cale da cui procede la eccezione in discorso ? La
ricerca può essere fecondissima di resultati in faccia
a quelli statuti penali (e ne abbiamo diversi) che
non previdero con apposita disposizione il caso
del lenocinio come cagione di repulsa alla querela.
Se ciò discende dalla eccezione del dolo, questo
principio generale è assoluto perchè fondato sulla
morale universale ; e il magistrato non solo può
VOL. III. 28
- 434 -

ma deve supplire al silenzio della legge accogliendo


la eccezione medesima . Quando il marito lenone.

agisse ai fini civili la eccezione del dolo porrebbe


evidentemente al coperto i colpevoli da ogni de
bito di riparazione : perché non dovrebbe decidersi
ugualmente ai fini penali ? È questo uno dei rari
casi nei quali mi sembra potersi senza pericolo
argomentare dal giure civile al giure criminale,
perchè si argomenta in favorem non in odium .
Debbo peraltro avvertire che anche l'ammissibilità
di questa eccezione è controversa. Modernamente
il Boeresco ( Traité comparatif des délits et des
peines, S. 67, pag. 143) l'ha virilmente combat
tuta come immorale, ed ha censurato il Codice
Moldo-Valacco perchè all'art . 269 dichiara non
colpevole l'adultera, che tale si rese connivente il
marito. La connivenza maritale secondo questo scrit
tore niente diminuisce la colpabilità della donna .
Ed io in faccia al puro principio morale sarei d'ac
cordo con l'illustre scrittore, nè mai vorrei adot
tare la formula valacca della non colpabilità della
donna. Ma sotto il punto di vista politico non bi
sogna dimenticare che trattasi di delitto il quale
per somma ragione di ordine pubblico bisogna di
chiarare quietanzabile. Ed allora alla immoralità
contemplata dal Boeresco si contrappone un'altra
immoralità forse più grave, quale è quella di dare
in mano ad un marito venale un'azione ed una

quietanza da mercanteggiare per un fatto al quale


egli stesso ha dato maliziosa occasione . O bisogne
rebbe venire al reciso provvedimento di dichiarare
di azione pubblica l'adulterio che fu commesso con
nivente il marito : ed allora si andrebbe nell'eccesso
- 435 -

opposto di rendere più deteriore la condizione della


moglie che peccò per eccitamento del marito : o
altrimenti bisogna chiudere gli occhi sulla colpa
della donna per evitare il pericolo di dare un pre
mio alla più vituperevole malvagità del marito (1 ) .

(1) Alcune pratiche italiane spinsero tanto oltre le esigenze


a carico del marito da negargli il diritto a querela anche
quando senza essere lenone della moglie le aveva offerto oc
casione di adulterare : Priori, Pratica criminale, pag. 176.

S. 1919 .

Ma qui mi si affaccia un dubbio. Il linguaggio


adoperato da alcuni Codici contemporanei nel de
signare questa limitazione sembra la riferisca al
solo marito ( 1 ) . Vi sarebbe egli ragione di distin
guere ? Comprendo che nella punizione del delitto
di lenocinio si debba distinguere, e dichiarare qua
lificato il lenocinio del marito e non quello della
moglie, perchè a questo spetta la direzione di lei,
e non viceversa. Ma qui, dove non trattasi di gra
duare la pena secondo la maggiore o minore quan
tità naturale o politica del malefizio, non parmi
ricorrere uguale ragione ; e opinerei doversi ne
gare cosi alla moglie come al marito la facoltà
di sfruttare un'azione penale a danno del coniuge ,
che sarebbe stato spinto od aiutato al fallo dallo
stesso coniuge che ora lo vorrebbe punito.

(1) La questione è risoluta testualmente secondo la opinione


mia del Codice spagnuolo del 1848, che all ' art. 362, richia
mando l'art. 359, rende comune la eccezione di lenocinio cosi
436 ―――
all'accusa di adulterio promossa dal marito, come a quella
promossa dalla moglie contro il marito concubinario. Lo stesso
è a dirsi del Codice brasiliano, art. 252.

S. 1920 .

Si è disputato se il diritto di querela si trasmetta


agli eredi del marito che mori senza proporla. E
in questi termini, quantunque non manchi chi vo
glia distinguere per i fini civili, la opinione pre
valente può dirsi quella della non trasmissibilità,
opinione che si appoggia sulla regola della l. 15,
§. 12 ff. de injuriis, e sul §. 1, Instit. de per
petuis et temporalibus actionibus ( 1 ), e volle an
cora argomentarsi sulla 1. 30 , C. ad leg. Jul. de
adulteriis in virtù di quella formula maritus thori
sui vindex; senza avvertire però agli obietti che
il testo medesimo di quel rescritto potrebbe som
ministrare specialmente per la clausola in primis.
Ma la controversia è agitatissima nella ipotesi che
il marito sia venuto a morte dopo avere regolar
mente esibito la querela contro la moglie adultera :
nei quali termini vi è necessità di cercare se l'azione
regolarmente promossa si possa spingere innanzi
dal Pubblico Ministero ; se spetti agli eredi d'in
sistere sulla medesima cosicchè la sua vita dipenda
dalla volontà loro ; o se per contrario la morte del
marito querelante debba operare gli stessi effetti
della quietanza. Nel primo concetto si allega che
la società ha un interesse alla punizione dell'adul
terio : sicchè remosso una volta l'ostacolo dei ri

guardi all'onore del marito (poichè il marito si


querelo) e rimossi gli ostacoli del favore del vin
437 -

colo (poichè il vincolo fu rotto da morte) niente


vi ha più che possa trattenere il braccio del rap
presentante sociale nella persecuzione del reato.
Nel secondo concetto si allegò che gli eredi po
tevano avere un interesse proprio e vivissimo nella
prosecuzione della querela, o per la caducazione
di un legato fatto alla vedova , o per la restrizione
dei diritti di lei sul patrimonio maritale, o per re
spingere dalla usurpata successione il frutto del
l'adulterio . Sembra certa però la massima nel caso
inverso che cioè il marito non possa muover que

rela di adulterio dopo la morte della moglie :


D'Espeisses, Oeuvres, tom . 2, pag. 738.

(1) Sulle varie questioni intorno alla trasmissibilità della


querela di adulterio agli eredi vedasi Brouwer, De jure
connubiorum , lib. 2, cap. ult. n. 27 Carpzovio, Praxis
crim. quaest. 65 - Newenhan, De jure viduitatis pag.
mihi 300 - Bynkershoek, Quaestiones juris privati,
lib. 2, cap . 8 Bardelloni , cons. 177 - Lapeyrero,
Decisiones notables let. A, n. 17 ; et let. M, pag. 233 in fin.
Walter, Droit criminel des Romains , pag . 31. E moderna
mente le opinioni sonosi smisuratamente alternate e conflit
tate in Francia . Si veda Legraverend, Legislation cri .
minelle, tom. 1, pag. 44, 49 - Favard , Répertoire , verbo
adultère , §. 1, n. 3 ― Le Sellyer, Droit criminel, vol. 5,
n. 2188 Berriat S. Prix , Procedure criminelle, n. 243
- Ma ― Chaveau,
ngin, Action publique , n. 140, 146
Théorie, tom . 6, pag. 232 ―― Merlin, Questions de droit,
verbo adultère, n. 6 — Dalloz , Nouveau répertoire, verbo
adultère, n. 53 - Helie , Instruction criminelle , tom. 3 ,
pag. 101 Brousse , De l'adultère , pag. 154 et pag. 149 ;
ove opina che morto il marito querelante senza aver fatto
atti di desistenza , ben lungi dallo estinguersi si perpetua in
- 438

certa guisa il libero esercizio dell'azione penale ; e pretende


avvalorare questa tesi dalla leg. 11, §. 8 ff. ad leg. Jul. de
adult. senza avvertire alla specialità di questa azione in Roma.
Discordarono anche i tribunali : dopo il parlamento di Parigi ,
5 gennaio 1680 : Montpellier, 14 maggio 1823 e 24 giugno 1839 ;
Cassazione, 7 agosto 1823, 27 decembre 1839, 9 agosto 1840 ,
25 agosto 1818, 8 marzo 1850, 23 decembre 1862 , 25 febbraio
1863, e in senso contradittorio Morin, Journal criminel, agli
art. 7564 et 7670 ; che poi all'art. 8319 riporta un giudicato
del Tribunale di Orano del 13 settembre 1866 col quale si
dichiarò estinta l'azione di adulterio per la morte del marito
dopo la data querela. Anche qui peraltro debbo avvertire i
giovani a non essere corrivi nello accettare come regole scien
tifiche certe dottrine che si ispirano alle specialità dei diritti
costituiti nei diversi paesi. Secondo la lettera della legge di
Francia non è propriamente il marito quello che perdona ma
è la legge stessa che abolisce l'azione, mossa a ciò dal fatto
della riconciliazione. Questo diverso punto di vista cambia
affatto la situazione del problema .

§. 1921 .

Nel terzo concetto si considerò che la morte del


marito doveva tenersi come equivalente alla quie
tanza, perchè il cristiano morente si presume che
abbia perdonato ad ogni suo offensore : nè si av
vertiva con ciò che altro è il perdonare da cri
stiano altro è recedere da un diritto che non sempre

s'inspira nel suo esercizio ad un sentimento di mera


vendetta. Si aggiunse che decidendo altrimenti si
faceva vittima la donna della morte del marito , per

chè questa le rendeva impossibile con preci, umi


liazioni, e ravvedimento ottenere dal marito la con
donazione del proprio fallo : e questa è ragione
- 439 ―

gagliardissima. In tanto dissenso e conflitto di gra


vissime autorità io penso che il problema si debba
sciogliere con rigorosa obbedienza alla lettera della

legge, possibilmente diversa . Se la legge usa ter


mini che importino richiedersi alla continuazione
del giudizio la perseveranza della volontà ostile
nel marito, sicuramente la morte di lui potrà so
stenersi aver fatto cessare la condizione positiva
che la legge prescrive allo esaurimento del giudi
zio. Ma se la legge invece, dopo aver riconosciuto
il movimento vitale dell' accusa per il fatto una
volta verificatosi della data querela, procede a de
scrivere in termini positivi il fatto della quietanza
come solo fornito di potenza ad estinguere l'azione,
è chiaro che senza falsare la lettera della legge
non si può sostituire al fatto descritto da lei un
fatto diverso. La vita dell'azione dopo la querela
è la regola ; la sua cessazione per la quietanza è
la eccezione : laonde qui si applica il precetto di
ermeneutica insegnato da Bacone, che l'analogia
dal caso al caso ammissibile spesso in faccia alla
legge che detta la regola non è mai ammissibile
in faccia alla legge che stabilisce una eccezione.
Oltre di che non mi pare disprezzabile la osserva
zione che lo ammettere nella morte del marito un

equivalente della quietanza sia un incentivo troppo


forte per una moglie accusata o per il suo drudo
a procacciare la morte del marito. In fine dei conti
non è egli repugnante che la morte dell' oltrag
giato consorte partorisca tanta fortuna al coniuge
colpevole ! ( 1 ).

(1 ) Il consigliere Borsari, nel suo eccellente libro inti


tolato Dell'azione penale, ha fatto acutissime osservazioni sul
- 440 ―――――

processo di adulterio, non senza giusta critica di certe idee


francesi. Egli esamina pure la questione se la morte del ma
rito equivalga a desistenza o quietanza, e per buone ragioni
sostiene la negativa. Mi lascia dubbioso però la proposizione
che non debba ammettersi desistenza tacita . In faccia a certi
diritti costituiti ciò potrà essere vero : ma per principio scien
tifico la remissione tacita io penso che debba ad ogni effetto
equivalere alla espressa. Un giudicato della Corte di Cassa
zione di Firenze del 27 agosto 1865 ha stabilito essere regola
generale di diritto nei reati che si perseguono ad azione pri
vata che sebbene la morte dell' offeso, avvenuta prima che
egli dia querela, estingua l'azione penale, pure quando la
morte stessa accada dopo che l'offeso aveva mosso querela,
il diritto d' insistere sulla medesima e condurla all'effetto
della irrogazione della pena passa nei suoi aventi causa. Que
sto pronunciato sembrerebbe pregiudicare la presente que
stione. Ma possono però essere fatte sul medesimo due os
servazioni : 1.º Che ciò fu detto in tema d'ingiuria e non di
adulterio : laonde sarebbe sempre a discutersi se, in termini
di adulterio concorrono ragioni speciali per fare eccezione alla
regola generale come sopra enunciata : 2.° Che ciò fu detto
nei termini di morte del rappresentante di un corpo morale
querelatosi a nome di questo ; sicchè veramente la persona
dell' offeso, come indefettibile, non cessava di esistere. Per
tali specialità malgrado la reverenza grandissima verso quella
sapiente magistratura, io credo che nei termini di adulterio
la questione possa tuttavia disputarsi da chi preferisca opi
nione contraria. Più esplicita e positiva nel senso ( che a me
sembra più vero) della non estinzione dell'azione per la morte
del marito dopo data querela è la sentenza del Tribunale di
Cagliari del 20 settembre 1870, riferita nella Temi italica,
anno V, n. 2. Vedasi anche la Temi Zanclea, anno II, n. 21,
pag. 163 : e Blanche , Cinquième étude, n . 182, il quale
risolutamente sostiene la perseveranza della querela mossa
tanto contro la moglie quanto contro il drudo. La Cassazione
di Francia ha giudicato : 1.º Che la morte del marito equivale
- 441
al perdono : 27 settembre 1839 affare Moreau : 2.º Idem 29 ago
sto 1840 : 3.º Il contrario nel 23 agosto 1848 affare Dauvet,
nel qual caso peraltro la morte del marito era avvenuta dopo
la condanna della moglie : 4.° Di nuovo stabili la equipara
zione della morte alla desistenza l'8 marzo 1850 : 5.º Poi tornò
a decidere il 6 giugno 1863 , affare Malvergne, che la morte
del marito dopo la condanna della moglie non estingueva la
persecuzione dell' adulterio.

S. 1922.

Ma se agli eredi non trasmette il marito il di


ritto di querela, e se per la sua morte non si pre
sume la quietanza, potrà egli dirsi che trasmetta
agli eredi la facoltà del perdono ? Ecco un' altra
faccia della questione, non meno perplessa delle
altre . Per la negativa s'insiste sulla lettera della
legge ; la balia del perdono è data al solo marito .
Per l'affermativa starebbe la deduzione che lo erede

se è divenuto padrone dell'azione deve essere li


bero di disporre di una cosa che è sua : di più si os
serva che gli eredi possono avere un interesse
gravissimo a sopire il processo, sia per l'onore
della famiglia, sia per altri rispetti : ai figli eredi
del querelante si negherà il diritto di liberare la
madre dal carcere, le sorelle e se medesimi da una
macchia ? Dovrà comprimersi quell' effetto puris
simo che spinge i figli a spargere fiori sulla tomba
dei padri ? ( 1 )

(1) Tutta differente e dominata da diverse considerazioni


è la questione che trovo proposta dal Cabedo (Decisiones
Lusitanae, lib. 1, decis. 161) il marito possa muovere dopo
la morte della moglie adultera la querela contro il drudo di lei .
- 442

§. 1923.

Poichè al marito non si contrasta la facoltà di

far cessare gli effetti della querela mediante il per


dono ( 1 ) torna qui in campo la teorica della remis
sione. La remissione può anche questa volta divi
dersi in espressa e tacita . Leyser (specimen 580,
meditat. 36 et 38) ne disegnò una terza specie
che chiamò remissione presunta ; e la trovò nei
due casi della morte del marito dopo la querela
(e questa fu regola prevalente nella giurisprudenza
Sassonica) (2) e della sua irreperibilità per cui si
renda impossibile alla donna di procurarsi il per
dono. Ma se vedemmo testè quanto sia disputabile
la remissione presunta per la morte del coniuge,
maggior ragione di dubitare osteggia la seconda
forma . Il marito che sa di aver dato querela, col
rendersi irreperibile non manifesta egli la sua per
sistenza nell'avversione alla moglie ? Se da cotesto
fatto vuole cavarsi una presunzione a me sembra
più ragionevole indurne la perseveranza dell' ira
e del giusto dolore, anzichè il ritorno ai pristini
affetti od alla pietà. Malgrado ciò riportasi un giu
dicato della facoltà giuridica di Vitemberga del
gennaio 1732, che decise doversi considerare la
irreperibilità del marito come una remissione pre
sunta. Più logica fu la Cassazione di Firenze nel
suo giudicato del 23 febbraio 1876 (Eco dei Tri
bunali, n. 2662) dove ritenne che la non comparsa
del marito, sebbene citato, alla udienza significasse
persistenza nella querela anzichè remissione.
443 ―――――
(1 ) Non è disputabile che la remissione una volta avvenuta
liberamente per parte del marito , sia irrevocabile tanto se
espressamente quanto se tacitamente fu data : Carpzovio ,
Practica criminalis, quaest. 50, n. 79 ― Boehmero, C. C. C.
art. 120, §. 10. Ma incontrasi anche qui divergenza intorno
alla remissione condizionata, ed alla sua possibile revoca.
Alcuni ( Klein , De mitiganda poena in favore matrimonii
contracti; in collec. pag. 433, n . 137 -
— Carpzovio, Praxis,
quaest. 55, n . 76 -- Leyser, spec. 580, medit. 24) insegna
rono che la remissione condizionata equivale alla pura. Altri
al contrario ( Wernher, tom . 1, pars 3, obs. 70 ; et pars 10,
observ. 484, pag. 735 - Engau , Decis. pars 3, sect. 2,
decis. 29) dissero che la condizione vincolava giuridicamente
il perdono, cosicchè l'inadempimento della condizione faceva
risorgere nella sua pienezza il diritto alla querela. A me sor
ride questa seconda opinione, perchè veggo nell'altra un in
centivo alla immoralità ed un tranello teso al povero marito.
Il marito fu così benigno da perdonare alla donna, sotto la
espressa condizione però che (a modo di esempio) più non si
recasse in una casa sospetta, o più non frequentasse una data
persona : la ingrata moglie torna alle male pratiche in onta
al marito e questi si vorrà che debba aspettare dalla for
tuna le prove di un secondo adulterio per esercitare i diritti
coniugali ? La condizione di onesta vita è forse turpe o im
possibile perché debba aversi come non scritta ? È anzi da
notare che la vecchia pratica francese parifica in certa guisa
la condizione tacita alla condizione espressa . Infatti Jousse,
(Justice criminelle, part. 4, lib. 3, tit. 3, art. 9, n . 48) ricorda
che qualora la donna dopo avere ottenuto dal marito il per
dono per un primo adulterio ne avesse commesso un secondo
poteva processarsi e condannarsi non solo per questo secondo
ma ancora per il prino. La quale dottrina non può avere
altro fondamento giuridico tranne appunto che il perdono
del marito fosse tacitamente subordinato alla condizione di
non più peccare ; e cosi si dette alla condizione tacita la virtù
della espressa. E questa dottrina si è insegnata anche oggi
- 444
giorno da Blanche ( Cinquième étude sur le code pénal,
n. 179, 180) in tema di nuovo adulterio commesso dopo la
riconciliazione. Osservo però che (tranne dove sia influente
sulla pena la continuazione, o dove valga la dottrina del cu
mulo delle pene) siffatta questione non parini operativa di
sensibili effetti. Perchè : o nel nuovo giudizio non si è rag
giunta la prova del secondo adulterio ; ed allora questo come
non esiste per condurre alla pena, non esiste per far rivivere
la prima azione ; o il secondo adulterio è provato, ed il giu
dice ha in questo sufficiente materiale da punire, tutto al
più usando maggiore severità dietro cognizione sommaria dei
fatti precedenti. Sicchè il problema che è vitale quando si
suppone una condizione qualunque differente da un secondo
adulterio, nella ipotesi del secondo adulterio non ha grande
interesse .

(2) Wernher, tom. 1, pars 2, observ. 465, pag. 467.

S. 1924 .

La remissione espressa non incontra neppur qui


difficoltà veruna in quanto alla forma : purchè sia
forma provante, ciò basta. Un dubbio si volle ele
vare nella ipotesi che la quietanza si fosse ottenuta
dalla moglie o dal drudo, mediante sborso o pro
messa di danaro al marito : si obiettò che questo
era contratto turpe, e come tale nullo, e che come
nullo non poteva produrre effetto nessuno. Ma, pre
scindendo a questo luogo dallo esaminare se da
siffatto mercato possa o no emergere il titolo di
lenocinio, a me sembra che qualunque sia per es
sere la conseguenza di un tale contratto ai fini ci
vili, esso però debba sempre rispettarsi ai fini pe
nali, in quanto esso constata il fatto del perdono
che uccide la querela. Certamente non vi fu turpitu
--- 445 -

dine nel dante o nel promittente che volle redimere


se stesso dalla prigione eccitando l'avido marito
all'esercizio di un diritto che era nella pienezza
delle sue libere facoltà ( 1) : ignoscendum ei qui
qualiter, qualiter sanguinem suum redimere vo
luit. La turpitudine (se tale in tutti i casi può dirsi )
non è che da un lato : il marito che movesse tale

eccezione per insistere sulla querela farebbe fon


damento nella propria turpitudine avverso chi cosa
turpe non fece . Il dubbio a me sembra spoglio di
ogni base giuridica .

(1) In termini Boehmero, Meditationes ad nemesin Ca


rolinam ad art. 120, §. 10 ; contra Puffendorf , Praxis
crimin. cap. 25, §. 54 ; e vedasi Biener, Opuscula juridica,
vol. 2, opusc. 24, cap. 17 et 18, dove diffusamente esorna la
questione della transazione sull'adulterio seguitandola in tutte
le sue fasi storiche.

§. 1925 .

Una specialità è da notarsi in proposito della re


missione in questo delitto . Nello adulterio (a diffe
renza della ingiuria) vale la regola che la querela
debba muoversi contro ambo i colpevoli : e la quie
tanza debba darsi ad entrambo. La ragione di ciò
tiene ad un principio di pubblico ordine ; ed è quello
di prevenire vergognose frodi e sordide specula
zioni . Un marito che voglia liberarsi dalla noiosa
compagna potrebbe accordarsi con un amico, ed,
eccitandolo all' adulterio con la promessa del per
dono, abusare della giustizia . Altri potrebbe ac
cordarsi con la moglie per esercitare una vendetta
――― 446 -

contro un nemico, o per fare delle querele di adul


terio un fonte perenne di laide speculazioni . È di
ordine pubblico che si chiuda la via a siffatte ma
lizie ; laonde vige la regola della indivisibilità
della querela e della quietanza ; ed è comune
mente (1 ) ricevuta, per guisa che le migliori le
gislazioni suppliscono al difetto parziale della quie
tanza prescrivendo che la quietanza data ad uno
dei correi si estenda ipso jure anche all'altro co
niuge. Anche questa si volle da taluno denominare

remissione presunta , perchè la legge la presume


nel silenzio dell' offeso ; ma veramente qui non è
che la legge presuma nel marito che tacque la
volontà di perdonare anche all'altro colpevole ; è
la legge che vuole essa stessa il perdono completo.
Questa disputa non è già di parole, ma di sostanza ,
e ciò si scorge quando si configuri la ipotesi di
un marito il quale non solo abbia perdonato ad
uno dei correi tacendo sull' altro (2), ma inoltre
abbia contemporaneamente dichiarato che perdona
ad uno purchè però si condanni l'altro. Qui dav
vero non può dirsi che la remissione in favore del
secondo emerga dalla presunta volontà del marito ,
cessando ogni possibilità di presunzione in faccia
alla positiva volontà contraria in recisi termini
manifestata. Perlochè incontrasi gravissimo dub
bio. In faccia ad una quietanza cosi formulata , la
giustizia dovrà essa arrestare il suo corso rispetto
ad entrambo i correi ; o piuttosto dovrà conside
rare il perdono come subordinato ad una condi
zione impossibile, perchè vietata dalla legge, e
conseguentemente applicare il noto principio che
negli atti tra i vivi le condizioni impossibili por
――――― 447 ―――

tano presunzione di scherzo e annullano il patto?


A me pare che il rigore dei principii porti a questa
seconda conseguenza ; perchè tanto vale negare la
quietanza, quanto accordarla in un modo che si co
nosca non aver valore nessuno in faccia alla legge.
Questo dubbio non mi sembra sufficientemente eli
minato dai Codici contemporanei che genericamente
prescrivono la quietanza data ad un correo giovare
anche all'altro correo nello adulterio : avvegnaché
possa dirsi che l'articolo preveda il caso semplice
del silenzio del marito non il caso misto di una
dichiarazione contraria di lui. Per completare la
soluzione del problema nel senso benigno (quando
questo paresse accettabile) bisognerebbe aggiun
gere nell'articolo la formula malgrado la protesta
contraria dell' offeso, od altra simile. Io non mi
pronunzierò su cotesta difficoltà, ma noterò soltanto
che se il perdono dato ad un correo sotto la con
dizione di non voler perdonato l'altro correo lo
rende inefficace per ambedue, esige giustizia e pa
rità di ragione che anche la querela data contro
uno dei colpevoli con protesta di non volere agire
contro l'altro sia inefficace contro ambedue . E vi
ceversa se si stabilisce la comunicabilità del per
dono contro la volontà del marito si verrà alla
comunicabilità dell'accusa contro la volontà del ma
rito. Se i due voleri contradittori sono incompatibili
in faccia alla legge, il nodo non si può sciogliere
con una distinzione difforme di caso , a meno che
peraltro non vogliasi sostenere la difformità della
soluzione col favore del perdono, ragione che po
trebbe avere le sue giuste simpatie.
- 448 -

(1) Fece eccezione a questa generalità la Costituzione sas


sonica (constit. 19, pars 4) che accettò la utilità della quie
tanza parziale per uno dei colpevoli mantenendo la perse
cuzione contro l'altro : Carpzovio , Practica criminalis,
quaest. 55, n. 120 ; et quaest. 61, n. 65, dove tratta il caso
dello adulterio duplicato : Mollero , Semestrium, lib. 3,
cap. 13 Wernher, tom. 3, pars 3, observ. 51, pag. 422.
Ma in generale è prevalsa la regola (anche dove la remis
sione si valutò non come dirimente ma come sola dimi
nuente : Colero, decis. 176, n. 6 — Hertius , Responsa,
tom. 1, respons. 64, n. 1) che la sorte dei due adulteri debba
correre di pari cosi nell'accusa come nel perdono, salvo un
ostacolo di necessità. Se (a modo di esempio) la moglie fosse
venuta a morte, non potrebbe impedirsi al marito di que
relare il solo adultero tanto se egli avesse conosciuto la
propria offesa soltanto dopo la morte della donna, quanto
se ne avesse avuto precedente notizia senza però perdonarla.
Vedansi in Voisin (De la complicité, pag. 148) le dispute
relative al caso che dei due condannati per adulterio ne ap
pelli uno solo ; e questi ottenga poscia il perdono. L'osse
quio alla reiudicata eccitò nei formalisti opposizione come
l'ossequio alla restrizione della prova testimoniale fece nascere
il dubbio se col mezzo di testimoni si potesse fare la prova
del perdono dopo la morte del marito. In Roma l'accusa di
adulterio essendo pubblica era libero a ciascuno di accusare
o l'uno o l'altro degli adulteri. Laonde potendo avvenire
che un cittadino si facesse accusatore della donna ed un
altro accusatore del drudo, la duplicità dei giudizi ne im
pacciava i movimenti ; al che si provvide introducendo (come
si ha dalla leg. 17 , §. 6 ff. ad leg. Jul. de adulteriis) un pri
vilegio a favore della femmina, in virtù del quale doveva
prima esaurirsi il giudizio contro il drudo, e se questi ve
niva assoluto la donna ne faceva suo pro contro il proprio
accusatore : ma se invece il drudo era condannato a lei re
stava libero il campo della sua piena difesa. Da questa di
sposizione trasse la vecchia pratica la singolare eccezione
449 -
che nel delitto di adulterio dovesse torturarsi prima il drudo
e poscia la donna la quale era libera se quello resisteva ai
tormenti, in deroga alla regola generale di quei barbari
tempi per la quale in ogni delitto dovea torturarsi prima
la femmina e poscia il maschio : Leyser , spec. 633, me
ditat. 7. Se poi la rinunzia alla querela porti anche rinunzia
alle indennità ella è questione spettante al giure civile. Ve
dasi Morin, n. 9146.
(2) Della ipotesi di reticenza sul nome del complice nella
querela maritale volle farsi da Bedel una specialità per
sostenere che se il marito non denunciò il complice della
moglie (o perchè non lo conoscesse o per altra ragione) il
Pubblico Ministero dove lo avesse scoperto non potesse
trarlo a giudizio. Ma fu combattuta questa soluzione da
Chauveau, da Le Sellyer, e da Brousse. In quanto
a me non so scorgervi specialità. Tutto rientra nel prin
cipale problema : o il marito può espressamente dare il per
dono al complice negandolo alla moglie, e lo può anche
tacitamente : o espressamente non lo può, e non deve poterlo
neppure tacitamente col pretesto di ignoranza. Il §. 64 del
nuovo Codice dello Impero tedesco è esplicito nel senso di
non ammettere la dividuità della rinunzia alla querela di
adulterio.

§. 1926 .

La facoltà di perdonare viene data dal Codice


toscano (art. 293, §. 1 ) al coniuge offeso. Altri
Codici usano la formula al coniuge o al marito
senz'altro aggiungere . E
È quella una superfluità del
Codice toscano ? No : è la soluzione implicita di una
grave questione che molti leggendo il Codice non
presentono forse in modo alcuno. Dove la legge
dava al marito balia di liberare la moglie dalla
pena dell'adulterio avvenne talvolta che, morto il

VOL. III. 29
---- 450 --

marito dopo la data querela, la donna passò a se


conde nozze : allora interpose l'autorità del secondo
marito, e con la quietanza di lui alla mano so
stenne la propria liberazione ; si oppose non essere
quel marito che perdonava l'identico marito che
aveva dato querela e patito l'offesa ; si aggiunse
essere assurdo che desse il perdono chi non aveva
ricevuto l'affronto. Ma si replicò che la legge non
distingueva fra marito attuale e marito passato, e
dava il diritto di liberazione a chiunque avesse la

qualità di marito ; si soggiunse che lo scopo della


legge essendo la ricostituzione della famiglia scon
volta dall'adulterio, questo scopo si otteneva ugual
mente mercè la quietanza del secondo marito : ed
è un fatto che l'antica giurisprudenza di Francia,
alla quale piacque sempre la positiva aderenza alla
lettera della legge, procedette costantemente nel senso
di rispettare la quietanza del secondo marito per
le infedeltà commesse contro il primo ; senza av
vertire che ciò portava per assoluta identità di ra
gione a dare al nuovo marito la facoltà di muo
vere querela per i torti patiti dal primo. Il Codice
toscano ha eliminato tali assurdi aggiungendo la
parola offeso : e allo stesso effetto si può condurre
anche il Codice sardo (art. 487) argomentando dalla
parola desistere ( 1 ) da lui adoperata, quantunque
questa parola presenti una qualche perplessità che
può influire sopra altre questioni che ho testè ac
cennato. Protesto anche una volta che questo mi
nuto trattenimento sullo influsso di qualche parola
della legge, sebbene sia inutile per i dotti, io lo
faccio con cura speciale per i giovani studenti onde
di buon'ora comprendano quanto sia la importanza
451

della esattezza del linguaggio nelle disposizioni le


gislative.

(1) Il formalismo fatalmente idolatrato delle nuove leggi


italiane rende di poca utilità pratica la teorica della remis
sione finchè durano (e speriamo per poco) coteste leggi . Se
un offeso per delitto di azione privata ha dato querela inu
tilmente per le attuali leggi italiane egli fa una quietanza
anche per pubblico contratto. Bisogna che comparisca per
sonalmente alla Cancelleria e con una forma sacramentale
(articolo 117, Cod. p . p. ) dichiari di desistere . Recentemente
difensore di un accusato io composi le parti a reciproco ac
cordo. Ma il querelante per sue private cagioni non voleva
comparire alla Cancelleria a fare la desistenza : e non mi fu
possibile vincerlo. Io dovetti contentarmi di avere da lui la
regolare quietanza e la dichiarazione di ricevimento della
somma pagata per le indennità. Alla udienza esibii questo
documento. Incontrai sulle prime qualche difficoltà per il
timore di una cassazione possibilmente tratta dal valore ac
cordato ad una desistenza non fatta con forme legittime. Ma
il documento fu poi ricevuto negli atti quando io ebbi di
chiarato che non lo producevo come desistenza ma come un
fatto a difesa. Non intendo di arrestare il giudizio con
questo documento : intendo però (io dissi) che voi valutiate
questo fatto : 1.º Come una attenuante : 2. Come impeditivo
della condanna nelle indennità le quali il documento vi
mostra essere ormai pagate . E bisognò riceverlo. La parte
civile era stata di buona fede e non si era presentata alla
udienza. Ma se pentita o sleale fosse venuta alla udienza
col suo patrono a contradire il contratto avrebbe egli po
tuto il Tribunale condannare il mio cliente a mille lire di
danni, mentre nel contratto si era dichiarato saldato con
cento lire ? Avrei io potuto respingerlo osservando che le
forme procedurali sono dettate per l'azione penale e non
per la transazione civile ? Ecco le ambagi nelle quali si in
volge la pratica per una legge che trascura la sostanza del
452 -
giusto facendosi schiava della forma. Da questo insulso for
malismo seppe sciogliersi con molta sapienza la Cassazione
di Palermo col giudicato del 7 ottobre 1876 (Giornale dei
Tribunali di Milano, anno 6, n. 90) che decise essere un errore
sotto il vegliante Codice di procedura italiano pretendere
dal marito l'atto formale di desistenza alla Cancelleria in
un delitto di adulterio : bastare invece a perimere la querela
qualunque atto, che secondo il gius comune valga ad indurre
la remissione. Massima uguale si accoglie nel diritto sasso.
nico, come insegna Weiske al § . 130.

§. 1927 .

La remissione tacita resulta da qualunque fatto


provenuto dal marito dopo che egli ha avuto cogni
zione ( 1 ) della infedeltà della moglie, dal quale ap
parisca in lui la volontà di perdonare l'oltraggio
sofferto. Parecchie e diverse possono essere le for
me nelle quali si estrinseca la remissione tacita
dell'adulterio . Non è però necessario che il marito
alla scoperta fatale erompa in moti di sdegno con
tro la moglie . Un contegno prudente, la cautela
del timore, un riguardo alla famiglia possono con
sigliarlo ad un silenzio e ad una riservatezza che
sono benissimo compatibili con la determinata vo
lontà di provvedersi per le vie di giustizia . E ad
ogni modo finchè il marito pende incerto fra l'agire
e il non agire, questo suo stato negativo non equi
vale alla positiva volontà di renunziare alla perse

cuzione penale .

(1) Non occorre dimostrare la inaccettabilità del concetto


di una remissione tacita a riguardo di un adulterio ignorato .
Bensi è argomento di disputa la prova di quella scienza che
- 453 -
è indispensabile a porre in essere la remissione tacita, avve
gnachè taluno (Hertius, decis. 131) sembri contentarsi della
notorietà del fatto per presumere la scienza del marito : opi
nione che niente mi persuade, per il noto ditterio che certe
cose i mariti sono gli ultimi a saperle.

§. 1928 .

Perció i dottori (1 ) esaminando la questione, se


in convitto con la moglie dopo la cognizione del
l'adulterio importi tacita remissione, generalmente
si pronunziarono per la negativa : e questa opi
nione è accettabile specialmente ove si tratti di
modico intervallo, e si conforta della regola segnata

dalla legge 13 ff. ad senatusconsultum Turpilia


num --- destitisse eum accipimus qui
in totum
animum agendi deposuit, non qui distulit accu
sationem : nè a diversamente opinare può condurre
la legge 11 , C. ad leg. Juliam de adult.: nè le
leggi 11, §. 10, e legge 26 ff. ad leg. Juliam
de adult. perchè la prima fu corretta dalla Authen
tica sed novo jure C. eodem, e le altre non fanno
che ricordare la regola per cui non potevasi in
Roma accusare di adulterio la donna che viveva

col marito senza accusare questo di lenocinio. La


questione fu decisa in termini dalla Corte di Bor
deaux, 9 fruttidoro anno XII e dalla Cassazione
di Francia, 4 aprile 1808. Dissi dello intervallo ;
ma non credasi già che il silenzio del marito per
quanto diuturno valga ad indurre di per sè solo
la remissione. Stabilire cotesta regola varrebbe lo
stesso che indurre in questo delitto una prescri
zione eccezionale in deroga alle generali disposi
zioni della legge. Il diuturno silenzio ed il convitto
-- 454 --

potranno dunque essere valutati come argomenti


che cumulandosi con altre circostanze portino a
ritenere avvenuta la riconciliazione ; ma isolata
mente ed in modo assoluto non bastano.

(1) In generale è osservabile che l'argomento della dissi


mulazione dell' adulterio per parte del marito, considerata
come prova di remissione tacita, è assai delicato e perplesso,
e difficilmente si può ridurre ad una formula positiva ; molto
dipendendo dalle particolari circostanze dei casi , che vogliono
essere lasciate alla prudente apprezzazione del giudice, di
niente altro trattandosi in sostanza tranne di una questione
di volontà.

§. 1929.

Senza dubbio deve ammettersi però come caso


di remissione tacita il successivo concubito (1 ). Sa
rebbe immorale supporre che questo fosse avvenuto
senza previa riconciliazione dei coniugi . Qui la re
gola è certa. La difficoltà versa tutta sulla prova
degli elementi di fatto ; vale a dire della scienza
dell'adulterio , e del susseguente concubito . I dottori
trovarono esempio della prova di questo secondo
elemento nella ipotesi della donna che si facesse a
querelare il marito per concubinato , e si trovasse
rimasta incinta posteriormente alla di lei cogni
zione della infedeltà maritale. Dissero i dottori che

costei non poteva negare il concubito col marito


(e cosi la tacita remissione) senza confessare a
proprio scorno di essere essa medesima adultera.
Crederei peraltro che dovesse procedersi con de
licate esitazioni ad ammettere questa eccezione a
pro del marito concubinario ; perchè la moglie può
455 -

essersi arresa a lui anche dopo conosciuto il suo


delitto, o per meto reverenziale, o per la promessa
del licenziamento della concubina, o per la lusinga
di ricondurre agli affetti suoi l'incostante marito .

(1) Wernher , pars 9, tom. 2, observ. 76 - Leyser ,


Medit. in pandect. spec. 240, medit. ult. et spec . 313, meditat. 10
et 11 ――― Puttmann, Elementa, §. 619, nota ―――― Boeh
mero, Elementa, §. 280 ――― Priori, Pratica criminale,
pag. 176. Ma per indurne la remissione bisogna che la scienza
sia come di cosa certa, non basta un mero sospetto : nè monta
a nulla neppure che l'adulterio fosse notorio per la città.

§. 1930 .

Avverso l'accusa d'adulterio è dessa utile la


eccezione della nullità del matrimonio ? Ho detto su
ció il mio pensiero al §. 1883 , ma posteriormente
mi è caduto fra mano un giudicato del Tribunale
correzionale della Senna degli 8 agosto 1866, dal
quale sono venuto a conoscere che la distinzione
fra nullità assoluta e nullità relativa ha maggior
base di quella che a me parea meritare ; poichè
quel Tribunale ha deciso che la nullità relativa del
matrimonio non impedisce la condanna della donna
per adulterio. È vero che come ragione ulteriore
di decidere si è considerato eziandio che la donna.
non era stata debitamente autorizzata a promuo
vere la domanda di nullità : ma pure la distinzione
si è posta come certa, e non mancano giureconsulti
francesi che l'avvalorino. Riportando dunque il pen
siero su questo delicato argomento delle nullità (1 )
relative (poichè sulle assolute non vi è questione)
dirò che il problema ha bisogno di distinzioni . Nul
456

lità relative sono quelle che non procedono per mi


nistero di legge, ma per dichiarazione di volontà
della parte che si determina a volerne profittare . Cosi
l'errore, la coazione, la impotenza, e simili , sono
cause di annullamento che non giovano al coniuge
impotente, ingannatore, o violentatore, ma all'altro ;
ed a questo soltanto, qualora a lui piaccia di pro
fittarne, per disciogliere i nodi che esteriormente
lo legano. Qui dunque è intuitivo che l'obietto della
nullità non può essere proficuo contro l'accusa di
adulterio tranne a quel solo dei coniugi che è in
situazione di poterla esercitare. È in ordine a questo
che si solleva la disputa. Ma ancora qui conviene
distinguere se l'azione per nullità relativa fu pro

posta dopo l'accusa ; o prima dell'accusa, ma dopo


l'adulterio ; o prima dell'adulterio e dell'accusa. In
questo terzo caso io sarei fermo nel darle valore
(malgrado la citata decisione francese che sembra
procedere appunto in siffatti termini) perchè posta
da banda ogni considerazione di forma, penso non
potersi trovare dolo nella donna che ha fatto del
proprio corpo il piacer suo perchè aveva la co
scienza di non essere moglie, e questa sua coscienza
avea proclamato già solennemente in faccia ai tri
bunali, dai quali era stata riconosciuta non erronea.
Nel caso secondo potrà temersi di favorire la ma
lizia della donna che conscia del proprio delitto si
appiglio ad una querela di nullità per evitarne le
meritate conseguenze. E cotesto sospetto diverrà
maggiore nel caso primo, dove il più delle volte
sarà mosso il giudizio civile a comodo di difesa.
Ma che per ciò ? Basterà egli il sospetto che una
difesa sia affettata per negare ogni adito alla co
―― 457

gnizione della medesima anche quando sia solida


e vera ? Io non posso indurmi a crederlo. Il giu
dizio civile di nullità non lo potete certamente
arrestare. Dunque esso si esaurirà in conformità
del vero e della giustizia : ma voi intanto volete
che la donna vada in carcere e sia condannata per

modum provisionis. Col sospendere il giudizio cri


minale voi non rischiate che un ritardo , ed assi
curate la coscienza pubblica che la condanna sarà
proferita soltanto contro chi violò un legittimo e
saldo connubio. Nel caso inverso se sopraggiunga la
sentenza di annullamento , voi avrete sanzionato
questa mostruosità di un conflitto tra la giustizia
civile che dichiara io non essere moglie, e la giu
stizia penale che mi dichiara moglie. Potrà rispon
dersi che la sentenza di annullamento si retrotrae al

giorno della domanda: laonde se questa fu poste


riore all'adulterio (e molto più se fu posteriore
all'accusa) lasciò intatta la vita giuridica di ogni
precedente. E sotto questo aspetto la dottrina ri
gorosa apparisce gagliarda. Non trovo però che
la questione siasi guardata sotto l'altro aspetto della
legittimità di persona nell'attore . Qui le regole
procedurali sono assolute. Non può accusarmi che
il marito. Negando che ei sia marito nego all'at
tore la legittima veste . Si vuole costruire la legit
timità di persona sopra una condizione ipotetica,
sopra una condizione procedente, ma la veste nu
ziale deve essere nell'attore al momento della con
testazione della lite . Il quasi possesso di uno stato
qualunque produce tutti i suoi effetti finchè non è
controverso : sorta la legittima impugnativa esso
opera soltanto effetti possessorii e provvisionali .
- 458 -
Insistere nella mia condanna e nella mia carcera

zione sarà dunque uno esercizio provvisionale del


diritto del coniuge ? Malgrado la mia reverenza ai
criminalisti francesi persisto a non crederlo . L'ar
gomento che a sostegno della mia opinione taluno
desume dalla impossibilità del perdono, perchè data
la successiva dichiarazione di nullità del matri
monio più non vi è (dicesi) chi possa perdonare alla
donna, è di mera convenienza : ma l'argomento de
sunto dalla contrastata veste di agire, a me pare

rigorosamente giuridico (2) .

(1) Hoffmann, Questions prejudicelles, tom. 3, n. 495


Dalloz, Répertoire verb. adultère, n. 92 ; et verb. quest. pre
judicelles, n. 75 Bedel, De l'adultère, n. 17. Vedasi Mo
rin, art. 8481 et art. 8334 ; e la dissertazione speciale di
Roquemont, inserita nella Revue critique, année 1868,
tom. 32, pag. 123.
(2) Non avranno termine cosi presto i dissidii che sorgono
intorno alla azione di adulterio. Non so se ciò derivi dalla
indole eccezionale di questa azione, o dallo essere i processi
di adulterio agitati il più frequentemente dai ricchi perchè
i poveri bastonano ma raramente querelano ; certo è che que
sto argomento rigurgita di questioni più che tanti altri forse
più gravi. Si disputa oltre ai temi già accennati : 1. Se per
la morte della donna si estingua l'azione di adulterio anche
contro il drudo. La negativa con argomenti solidissimi e
senza replica sostiene Far and a al luogo citato, nella Temi
Zanclea, pag. 186, ed io sono con lui ; ed abbiamo con noi
un giudicato del Tribunale della Senna del 13 gennaio 1872;
Morin, art. 9320 et la note. Nè io vorrei distinguere fra
morte avvenuta prima della querela e morte dopo la querela.
Ma la Corte di Parigi 3 gennaio 1819 decise il contrario : e
la Cassazione con decreto del di 8 marzo 1850, in affare Du
tertre, spinse la individuità dell'accusa fino al punto di sta
― 459 -―――――
bilire che se l'adultera era morta pendente il processo se ne
arrestava la prosecuzione anche contro il drudo, del quale
ordinò il rilascio. La ragione di cosi decidere ha qualche cosa
di cavalleresco. Si osservò che la donna essendo morta sotto
la presunzione di innocenza quantunque accusata, non poteva
sotto il pretesto di perseguitare il suo complice provocarsi
una sentenza che l'avrebbe spogliata di quella presunzione
ed infamata nella tomba. Che ne pare di questi argomenti
francesi ? Ma la Corte di Cassazione di Francia sembra ormai
ferma in questa giurisprudenza, e la identica massima e le
identiche argomentazioni ha ripetuto contro il voto dei primi
giudici nel decreto dell'8 giugno 1872 in affare Seignac : Mo
rin, art. 9380. Molti però di tali argomenti partono da pre
supposti non concordati ; e molti provano troppo perchè sa
rebbero spendibili anche in altri reati. Dire, a modo di esem
pio, che quando un cittadino è morto sotto la presunzione di
innocenza non conviene attaccarne l'onore nella tomba con
un giudicato che verrebbe a dichiararlo colpevole dopo la sua
morte, è un argomento che ha evidente il vizio di provar
troppo : 2.º Si disputò se quando la donna fosse stata as
soluta ed il Pubblico Ministero non provocasse appello, potesse
il marito appellare a solo dalla assolutoria. Lo negò Brousse
(De l'adultère, pag. 119) e ne trasse argomento per sostenere
la più vera tesi che anche l'adulterio è delitto di azione
pubblica perchè si perseguita nello interesse sociale quan
tunque il movimento della medesima si subordini per motivi
di convenienza alla volontà del marito. Lo negò anche Fa
randa (Temi Zanclea , anno 3, n. 6) vittoriosamente con
futando i contrarii argomenti, mostrando quanto sia erroneo
l'asserto che nei giudizi di adulterio il marito sia la parte
principale ed il Pubblico Ministero una parte aggiunta. Ma
la Corte di Cassazione di Francia ha per due volte (19 ot
tobre e 5 agosto 1841) giudicato che il Pubblico Ministero
nei giudizi di adulterio non possa appellare se non appella
il marito ; e viceversa che il marito possa appellare anche
ai fini della condanna quantunque non abbia appellato il
460 ―――
Pubblico Ministero : 3. Se il marito quando dopo essersi
querelato per l'adulterio promuova il giudizio di separazione
di corpo pregiudichi alla querela e la sopisca. L'affermativa
si adotta da chi guarda l'adulterio come reato di azione pri
vata. Coloro che tenaci della dottrina romana mantengono
nell'adulterio un reato di azione pubblica si pronunziano per
la negativa. Vedi anche la nota a §. 568. D'altronde la di
manda in separazione di corpo propriamente non tende nè
ad una pena, nè a procacciare indennità. Tende ad un prov
vedimento per la quiete e sicurezza personale del marito
durante il processo di adulterio, e sarebbe assurdo che un
disgraziato marito dovesse tenere seco l'adultera finchè non
è esaurito il processo criminale contro di lei . Sembra dunque
a noi un vero sgarrone quello che si annunzia nel Giornale
dei Tribunali di Milano al n. 167 , anno 4, come pronunziato
da una Corte che non si nomina, senso del quale la dimanda
di separazione di corpo dovrebbe tenersi come una patente
di impunità accordata alla donna per tutti gli adulterii pas
sati e futuri : 4. Se la sentenza condennatoria della donna
nel giudizi di adulterio costituisca pregiudizio fra i coniugi
nella lite di separazione : Pistor, observ. 109. Sul quale
argomento in un punto di vista generale, è ampio, eruditis
simo, e degno di studio il trattato di Ottone Meyer ,
De civilis et criminalis causae praejudicio, Hannover 1841.

ARTICOLO VI.

Penalità.

S. 1931 .

Quantunque Plutarco narrando di Numa Pom


pilio, e le storie di antichi popoli e le relazioni di
viaggiatori intorno a remote regioni, non meno che
le tradizioni di certi diritti baronali del medio evo,
- 461 ―

sembrino fare eccezione al concetto della punibilità


dell'adulterio, questa può peraltro dirsi riconosciuta
ed accettata presso la maggior parte delle nazioni ( 1 ).
Ma non vi è forse delitto che nella storia delle sue
penalità presenti tanta incostanza ed oscillazione
quanta ne trova nello adulterio chiunque consulti
le legislazioni dei diversi popoli e dei diversi
tempi (2). Può dirsi senza esagerazione che a fre
nare questo reato siano stati esauriti tutti i modi
possibili procedendo dai più miti ai più severi e
feroci. L'annegamento, il sotterramento, la lapida
zione, la deturpazione, la flagellazione, le mutila
zioni , la infamia irrogata spesso con forme oscene,
la vivicomburione, i tormenti, la reclusione, l'am
menda, le restrizioni sontuarie, le pene puramente
civili, presentano una scala per cui si sono per
lunghi anni agitati dall'uno all'altro estremo i le
gislatori. E con qual frutto non giova ripeterlo,
perchè oramai sappiamo che ai buoni costumi non
fa di mestieri la severità delle pene, ed ai costumi
corrotti la mano del carnefice è freno impotente e
deriso (3).

(1 ) Bachofen, nel suo ingegnoso libro intitolato La ma


dre, fondandosi sulla autorità di Strabone, ha sostenuto
come fatto storico che l'adulterio fosse punito di morte anche
presso quelle tribù che vivevano nello stato di comunismo
rapporto alla donna. L'adulterio presso costoro sarebbe con
sistito per le loro femmine nello accoppiarsi ad uomini di
tribù straniere.
(2) Abbondano negli scrittori di tutti i generi le più diffuse
descrizioni delle differenti penalità che parvero buone contro
l'adulterio. Può vedersene la enumerazione in Gregorio ,
Syntagma, pars 3, lib. 36, n. 21 et seqq. — Tiraquello ,
462
De legibus connubialis, leg. 13, n. 6 et seqq. -- Baver, Opu •
scula academica, tom. 2, dissert. 30 - Schneidewino ,
Tract. de nuptiis, pars 4, n. 25 ―――― Voltaire, Dictionnaire

philosophique, mot adultère G e baver, De paucitate adul
teriorum apud veteres germanos ; in ejus vestig. juris german
-
antiqui pag. 759, n. 19 Jensio , Stricturae justinianae,
pag. 175 Meursio, Themis attica, lib. 1, cap. 4 et 5
Herodius , Rerum judicatarum, lib. 7, tit. 1, cap. 4
Seldeno, De uxore hebraica, lib. 3, cap. 12 - Arniseus ,
De jure connubiorum, cap. 5, sect. 8, n. 1 - Boehmero ,
Novum jus controversum, observ. 95 et 96 Langlaeus,
--
Semestrium, lib. 8, cap. 6, pag. 520 Puttmann, Adver
sariorum, tom. 1, cap. 3, pag. 242 et 244 Saint Edm e,

Dictionnaire de la penalité, mot adultère Ferrao, Direito
--
penal portuguez, vol. 7, pag. 264 Mangano, Diritto pe
nale, vol. 1, pag. 40. Negli ultimi secoli però invalse in molte
regioni il costume di limitare la pena degli adulteri alla sola
pecuniaria, malgrado la censura che di simile moderazione
aveva già fatto Damhouder, Praxis criminalis, cap. 94,
n. 5 Van Leuwen , Censura forensis, lib. 5, cap. 26,
―――――
n. 4 ad 8 Wynants , Decisiones Brabantiae, vol. 2,
decis. 231. Anche la Carolina aveva comminato severissime
pene contro l'adulterio : ma a poco a poco la pratica le venne
mitigando ; cosicchè il castigo si ridusse al carcere di poche
settimane o ad una multa : Melonio, Thesaurus juris feu
dalis civilis et criminalis, tit. 49, n . 62, pag. 484, Nurnberg, 1702.
In Sassonia al contrario si procedette con aumento di rigore :
una legge del 1543 decretò che la donna dovesse essere
punita di morte alla pari dell' uomo. E ciò ebbe conferma
dalla Costituzione elettorale di Augusto del 1572 , la quale
per lungo tempo rimase il Codice generale della Sassonia,
e comunemente si conosce sotto il predicato di costituzione
elettorale. Ivi la morte si minacciò non solo alla donna adul
tera ed al suo drudo, ma anche al marito che avesse concu
bito con donna libera, ed anche con meretrice. La pratica
sassonica (sempre più tenace che nelle altre parti della Ger
463
mania) mantenne a lungo la osservanza di questo rigore :
ma anche in Sassonia dopo la metà del secolo decimosettimo
lo eccesso della penalità produsse il suo naturale effetto, e
non hanno numero le limitazioni che colà si introdussero per
evitare la pena ordinaria. Bastò a ciò la compensazione, e
la remissione anche tacita ; bastò la presunta per la morte
ed anche per la pazzia del marito ; bastò la circostanza che
la donna fosse già gravida, il morbo maritale, ed altre simili :
Carpzovio , Practica, pars 2, quaest. 55 ― Waechter,
De lege saxonica, pag. 11. A tale che Federigo Elettore nel
l'anno 1783 dovette per legge sostituire la pena dello erga
stolo fino a quattro anni nei casi gravissimi, abbassandola
fino a sei mesi ed anche al carcere nei più lievi. Ma la pra
tica mantenne la tela delle attenuanti ormai accolta, e la pena
ordinaria divenne poche settimane di carcere : Hommel ,
Rapsodiae, observ. 166. La pena pecuniaria fini per essere
consigliata anche in Italia dal Panimolle, decis. 24, n. 13,
con i molti ivi citati.
(3) Tito Livio , narra (decad. 1, lib. 10) che nei primi
tempi della Repubblica le ammende inflitte alle adultere ba
starono in un anno a costruire un ricchissimo tempio dedi
cato a Venere. Ma gli storici ed i satirici dei tempi posteriori
ci mostrano che con il mutare delle pene non diradarono gli
adulterii.

§. 1932 .

Chiunque si faccia a meditare nella storia delle


diverse penalità minacciate agli adulteri questa
enorme sproporzione che corre tra epoca ed epoca,
tra razza e razza, dovrà riconoscere nella severità
micidiale mostrata da certi legislatori cristiani av
verso i colpevoli di questo malefizio lo influsso pa
tente della legge mosaica : Hottinger , Ius hae
braicum, pag. 49, §. 35. Ove cotesto vero non si
- 464 ―――――――

rivelasse spontaneo al suo pensiero per le parole


stesse di quelli editti, glielo direbbero gli scrittori
protestanti difensori di quella severità . Ma questo
fu per parte di tali legislatori un vizio di superbia,
come è un vizio di ragionamento per parte dei
criminalisti lo argomentare cosi in genere come

in specie dalla legge mosaica a favore dei crudeli


supplizi. Il popolo eletto reggevasi a forma teo
cratica o semiteocratica, ora guidato direttamente
dalla voce di Dio, ora da quella dei suoi profeti,
ora da uomini che i sacerdoti eleggevano , depo
nevano, e guidavano secondo le ispirazioni divine.
La legge del Sinai fu legge prima religiosa che
politica. Necessità quindi che la bruttura del pec
cato fosse misura preponderante delle sue penalità.
Nessuno nega che Iddio non possa abbreviare i
giorni del peccatore in pena del suo peccato. La
creatura non ha diritti in faccia al suo Dio : e se

questi non colpisce di morte l'empio che l'offende


non è già che ne manchi il merito, ma è puro
effetto della suprema misericordia che tollera gli
umani traviamenti aspettando il ravvedimento . Nella
legge che Dio stesso dettava al popolo dalla dura
cervice volle con minaccia di mali presenti far
sentire la nefandità di certi peccati e sarebbe te
merario chi osasse sindacare i fulmini lanciati da

Dio contro il peccatore con la stregua della umana


politica (1). Ma non meno temerario sarebbe colui
che sognandosi di sedere sul Sinai dicesse, poichè
per la legge di Mosè si puniva il peccato, io posso
punire il peccato ; e poichè per la legge di Mosè
anco le delinquenze politicamente leggiere si col
pirono di morte, io posso infliggere la pena di
-- 465 -

morte a quegli uomini che chiamo miei sudditi.


Io non sono di coloro che sostengono avere il van
gelo recisamente riprovato la pena di morte, non
oso entrare in teologia ; ma per quello che io sento
non parmi che la dottrina umanitaria in questo
punto poggi sul positivo. Quello peraltro che io
tengo per fermo si è che il vangelo promulgò quel
principio che forma il cardine dell'odierno giure
penale voglio dire la separazione fra i doveri
verso Dio e i doveri verso lo Stato ; la separazione
fra il peccato e il delitto .

(1) Anche giudicato sotto il punto di vista meramente po


litico il Codice ebraico non è testo che valga a sostegno
della pena di morte. La legge naturale non ha dato all' uomo
il diritto sulla vita dell'altro uomo tranne quando sia ciò
necessario alla conservazione della propria esistenza. Questo
porta ad ammettere la pena di morte tutte le volte che essa
è necessaria per i bisogni della difesa diretta. Ecco il vero
senso della opinione che io sostenni, e che non fu sempre
interamente compresa da alcuno di coloro che la combatte
rono. Io nego che l'uomo abbia diritto di imporre al suo
simile la espiazione. Io nego che l'uomo abbia diritto di
usare del corpo del suo simile come strumento ad intimorire
gli altri uomini. L'uomo che ha ricevuto dalla legge di sua
natura una serie di diritti come mezzo a lui indispensabile
per adempiere alla legge del dovere, non può togliere al suo
simile i diritti che respettivamente a lui sono concessi se
non in quanto ciò sia indispensabile alla tutela dei propri.
Ecco perchè io nego la legittimità della pena di morte in
quanto si vuole radicare sul bisogno di atterrire i non col
pevoli con lo strazio del colpevole. Ed ecco perchè io am
metto la pena di morte in certe occasioni, nei delitti mili
tari, nei delitti di mare, nel fremito della guerra civile e
VOL. III. 30
466 -
dovunque un pericolo attuale ed imminente non mi presenta
altro mezzo che valga a tutelare il diritto, tranne la distru
zione del nemico sociale. In quest'ordine d'idee, io ho detto
altre volte, che la pena di morte potè essere e può essere
legittima in popoli che versarono e versino in condizioni
differenti da quelle in cui siamo tra noi. Non parlo adesso
dell'adulterio, dove il rigore può trovare soltanto la sua ra
gione nella punizione del peccato, ma parlo di delitti che
realmente presentino un pericolo sociale. Il popolo d ' Isdraele
errante in mezzo a tribù nemiche, senza armate regolari,
senza luoghi forti per custodire i malfattori, era (come ogni
altro popolo in uguali condizioni) nella impossibilità di pre
munirsi contro i nemici interni col chiuderli perpetuamente,
e neppure temporariamente, in una cella. In tale posizione
si esercita piuttosto il diritto di guerra che il diritto penale.
Bisogna scegliere fra l'uccidere l'assassino o cadere sotto
il suo pugnale. Chi non trova in ciò i termini della difesa
diretta ? Ma quando si argomenta da codesti fatti per dare
il diritto di morte alle società odierne, fatte sicure da trat
tati internazionali, da salde alleanze, da numerosi armati,
da forti presidii , si cade in un evidente sofisma. È sofisma
dal fatto di aver Dio punito dal Sinai certi peccati con la
morte corporale concludere che un uomo perchè vestito di
porpora possa fare altrettanto. È sofisma lo allegare perchè
ai popoli deserti di ogni permanente difesa fu lecito difen
dersi con la distruzione del nemico cogliendo il momento
della vittoria sopra di lui che altrimenti sarebbe stata pas
seggera e fugace, sia lecito altrettanto a popoli che abbon
dano di ogni difesa per non più temere del nemico sociale
una volta caduto in loro balia. È sofisma sostituire il cri
terio della difesa indiretta a quello della difesa diretta, e
per dare legittimità a quella valersi di argomenti desunti
dai bisogni di questa.
467 -

§. 1933 .

E se sta fermo questo principio cardinale (senza


di cui la scienza del giure punitivo più non sarebbe
una dottrina giuridica, ma bisognerebbe abolirne
la cattedra o consegnarla ai teologi) se è vero che
la considerazione del peccato non debba entrare
nella misura del malefizio e della penalità, poco
vi vuole a comprendere come l'adulterio , quan
tunque colpa gravissima in faccia a Dio, abbia
lievissimo peso nella bilancia politica . Rispetto per
tanto lo zelo di certi moderni scrittori ( 1 ) che scan
dalizzati dal vizio, pur troppo divenuto impudente
nella odierna società, declamano contro la mitezza
dei Codici contemporanei nel punire i reati di carne ;
ma come legista non posso soscrivermi a tali cen
sure. Certo è che tutti i Codici contemporanei in
ordine all'adulterio hanno abbandonato il pensiero
di punirlo di morte (2), e neppure di pene perpetue,
e neppure di atto criminale ; perchè ne hanno cer
cato la misura nella importanza del diritto leso,
e nello allarme della pubblica opinione (3) . Il Co
dice sardo (art. 486) punisce colla carcere da tre
mesi a due anni tanto la donna che il drudo, ag
giungendo però a quest'ultimo la multa. Il Codice
toscano (art. 291 ) punisce ugualmente con la car
cere da due a cinque anni cosi l'adultera come il
drudo.

(1) Fra questi non è rimasto addietro ad alcuno nel desi


derio di rigorose penalità Brousse , Essai sur l'adultère,
Montpellier, 1869. Misere menti quelle che cieche di espe
-- 468

rienza sognano tuttavia potersi frenare le pressioni dei sensi


col timore delle pene !
(2) Da lato allo influsso della legge Mosaica che ho notato
testè ad estendere la pena capitale all'adulterio concorse l'au
torità del giure Romano. Ma qui è grande il dissidio fra i
più culti interpreti, perchè alcuni riferiscono la pena capitale
alla legge Giulia : Lyclama, Membranarum, lib. 2, eglog. 9.
Altri lo impugnano : Van Eck, Theses juris, pag. 205. Con
molto acume Daude , (De capitis poenis jure justinianeo,
pag. 75, Berlino, 1871) ha sostenuto che la pena della legge
Giulia contro gli adulteri fosse la sola relegazione, osservando
trovarsi adietta la pena di non potere più essere testimoni ;
lo che sarebbe un dettato assurdo contro chi già fosse punito
del capo : ed attribuisce quella severità a Costantino, e ritiene
un errore di Triboniano ciò che leggesi nelle Istituta. Certo
è che Giustiniano conservò contro il maschio la pena di morte,
riducendola però per la donna alla reclusione temporaria in
un monastero : lo che scandalizzò l'Anton Matteo e lo
indusse a lamentare che si convertivano i Monasteri in sen
tine di iniquità. A questo punto io sento il bisogno di porre
innanzi una osservazione da me fatta per ulteriori studi dopo
la pubblicazione ultima di questo volume ( 1873 ). La comune
dei repetenti accetta senza discussione lo asserto che Costan
tino minacciasse contro l'adulterio (punito per lo innanzi con
la relegazione) la pena di morte. Io stesso prestai fede a ciò.
Ma questa è una fiaba che non acquista autorità sebbene ri
petuta da cento sulla reciproca fede. Costantino non sognò
mai siffatta severità quantunque nella costituzione quamvis,
che è la leg. 30, ad legem Juliam de adulteriis nel Codice
giustinianeo (lib . 9, tit. 9) e che è iscritta col nome di Co
stantino si legga al §. 1, sacrilegos autem nuptiarum gladio
puniri oportet. L'origine di questa fiaba si deve ad una delle
solite imposture di Triboniano che nel trasportare dal Codice
teodosiano al giustinianeo le costituzioni imperiali le muti
lava e le interpolava a capriccio suo sempre nello intendimento
di portare le pene ad una maggiore severità. La Costituzione
469
quamvis dettata da Costantino l'anno 326 stava nel Codice
teodosiano come legge 2, al tit. 7, lib . 9, ad legem Juliam de
adulteriis ; ma vi stava pura di sangue e terminava con le
parole matrimonia deformant. Il § . 1 , che trovasi aggiunto in
calce a quella Costituzione nel Codice giustinianeo , è una ca
lunnia di Triboniano la quale accreditò nei culti la calunnia
contro Costantino che lo accusava di avere voluto mandare
a morte gli adulteri. Ed è bene che ciò si conosca perchè ne
hanno conferma le argomentazioni del Daud e, che ho rife
rito testé e perchè la osservazione speciale apre la via ad una
osservazione più generale. Quando si tratta di Costituzioni
imperiali non bisogna fidarsi alla cieca del testo che se ne
legge nel Codice giustinianeo . Bisogna attentamente confron
tarle col testo del Codice teodosiano onde non essere tratti
in inganno dalla malizia crudele di Triboniano. Con questo
esame io potei trovare alterata la Costituzione quoniam fa
cinora, e la Costituzione plagiari e la Costituzione Cruenta
spectacula tutte di Costantino che furono manipolate dal mi
nistro di Giustiniano per rendere più crudeli i dettati dello
Imperatore cristiano. Ed io ho per certo che ulteriore pro
secuzione di questo confronto condurrebbe alla scoperta di
altre consimili frodi. Lo effetto delle quali si fu di fare attri
buire ai precedenti Principi quei dettati crudeli che Giusti
niano voleva introdurre sotto il mantello dei suoi predeces
sori. Quello che certo si è che il §. 1, della leg. 30, ad leg.
Juliam de adulteriis è apocrifo .
(3) Il Codice di Bolivia (art. 639 e 642) punisce l'adultera
con la reclusione sino a sei anni ad arbitrio del marito, ed
il suo complice con la stessa pena e con l'esilio ; se poi questi
usò frodi nel commettere il reato incorre nella pena dei la
vori pubblici da due a quattro anni e nell'esilio . Perù (ar
ticolo 564) identico. Brasile (art. 250) casa di lavoro da uno
a tre anni si all'adultera che al drudo. Portoghese del 1852
(art. 481 ) esilio temporario. Spagnuolo (art. 358) prigione mi
nore. Delle Isole Jonie del 1841 ( art. 631 ) casa di disciplina
da due a tre anni . Maltese del 1854 (art. 189 e 192) prigionia
- 470

da sei mesi a due anni all'adultera e da quattro a nove mesi


al drudo. Il Codice di Baden (§. 348) punisce con la carcere
da uno a sei mesi e quando ne sia seguito il divorzio con la
carcere aggravata, tanto il marito quanto la moglie adulteri,
e con la stessa pena da quattordici giorni a tre mesi il com
plice non coniugato dell'uno o dell'altra. Neuchatel (art. 150)
carcere da tre a sei mesi e multa, indistintamente contro ma
rito, moglie e complici. Identico Vaud (art. 207) . Identico Fri
burgo (art. 249). Identico Vallese (art. 210). Prussiano ( §. 140)
carcere da quattro settimane a sei mesi contro il marito, la
moglie, ed il complice, ma nel solo caso che per l'adulterio
sia avvenuto divorzio. Il Codice austriaco (§. 502) punisce an
che esso indistintamente marito, moglie, e complici, con l'ar
resto da uno a sei mesi, aggravando la pena contro la donna
in caso di fecondazione. Francese (art. 337 e 338) carcere da
tre mesi a due anni contro l'adultera e il drudo . Ticinese
(art. 315) detenzione di terzo grado contro la moglie, e di
secondo e multa contro il drudo ; detenzione di secondo grado
contro il marito, e di primo e multa contro la sua complice.
Il Codice gregoriano (art. 176) cinque anni di galera.

S. 1934.

La questione che esaminai al §. 1858 non può


presentarsi in tema di adulterio. Ma qui invece si
contemplano dagli scrittori due altre questioni :
l'una relativa all' adulterio commesso in paese

estero ; la quale si suddivide nella ricerca se possa


punirsi, e se con la penalità del paese nostro o
dell'estero . Questa questione non ha più certa im
portanza oggi fra noi perchè i diritti costituiti
hanno sentito il bisogno di dettare regole complete
sulla estraterritorialità del giure punitivo. Gli an
tichi che dovevano sciogliere il problema secondo
- 471 -

ragione si divisero ; sostenendosi la non punibilità


da tutti coloro che strettamente aderivano al prin
cipio della territorialità nel giure punitivo . Ma la
punibilità si propugnò con acuti argomenti dal
l'Hertio (Commentat. et opuscula , vol . 1, dissert.
de collisione legum , sect. 4, §. 19) del Ziegler
(Dicasticon, conclus . 15, §. 18) e dal Coccejo
(Dissert. de fundata in territorio potestate, tit. 4,
§. 9) i quali nella questione subalterna insegna
rono doversi applicare la pena del domicilio coniu
gale ; mentre al contrario sostennero l'applicazione
della pena estera o del gius comune : Carpzovio,
Practica crim. quaest. 54, n . 49 et seqq. —
Wernher, Observat. forens. pars 2 , observat. 404
-Georgius Boehmer, Electajur. civil. tom. 3,
exercit. 20, S. 24.

§. 1935 .

L'altra questione è quella relativa al caso di più


adulterii commessi da una donna, ora sul territorio
nostro ed ora sull'estero ( 1 ) . Questo caso ha im
plicita la questione precedente in quanto all'adul
terio commesso all'estero : ma se quella è sciolta
nel senso della punibilità la questione si complette
per il concorso delle due pene, fra le quali natu
ralmente una sarà più mite e l'altra più severa :
lo che farà luogo al dubbio se quella o questa debba
essere applicata. Su ciò nuovamente si scissero i
dottori . Il Kresse (Ad art. 120 , C. C. C. §. 10)
insegnò doversi applicare la pena più severa per
chè tenacemente sostenne trattarsi di più di un
delitto. Il Tabor (Racemata juris crim. 1, § 76)
- 472 ―――――

vide invece nel caso un delitto continuato e negó


che potesse punirsi per il secondo quando fosse
stato punito per il primo. Altri suggerirono diversi
temperamenti e diverse distinzioni . Ma se queste
fluttuanze degli scrittori giovano a mostrare lo svol
gimento del principio scientifico, non hanno più
(come ho detto) valore intrinseco perchè i Codici
odierni definiscono in punto generale siffatte que
stioni , come si fece dal Codice sardo all'art. 6, e
dal Codice toscano all'art. 4 e art. 80 e 74 insieme
combinati (2).

(1 ) Vedasi Hommel , Rapsodiae observat. 249, n. 6.


(2) Capricciosissimi furono alcuni legislatori nella scelta
delle pene contro gli adulteri. Tacendo del taglio del naso,
che ordinossi nella veduta di rendere deforme la femmina ed
allontanarne i drudi ( Mylius, De jure narium) si ricorda
negli Annales de l'Académie de legislation de Toulouse 1869,
pag. 157, che per la consuetudine di Layrac gli adulteri si
multavano e si obbligavano a fare un giro per la città legati
insieme con una corda : Leucht (Responsa Altdorfina, vol. 1,
pag. 17, respon. 6) attesta che in alcuni paesi della Germania
si condannavano le adultere a portare appeso al collo un sasso
che dicevasi.sasso infame. Georgisch, nel libro che pub
blicò ad Halae Magdeburgo, 1738 sotto la direzione di Hei
neccio con il titolo Corpus juris Germanici, riproduce la legge
Bavara che al titolo 7, cap. 1, col . 283, commina la compo
sizione di dodici solidi contro chi avesse posto un piede sopra
il talamo altrui per salirvi e ne fosse stato respinto dalla
donna senz'altro fare, eo quod injuste in extraneum calcavit
thorum . Arpi, nella sua Temis Cimbrica, pag. 182, ricorda
vari strazi inflitti alle adultere, come strappar loro i capelli,
o denudate pungerle con piccole punte di ferro. Collin de
Plancy (Dictionnaire foedal, mot adultère, vol. 1, pag. 4)
risalendo ai tempi della giustizia baronale ricorda punizioni
――― 473 ―――

singolarissime immaginate dal capriccio di quei Signori , fra


le quali avvi pur quella di essere obbligate al servizio di un
pubblico casino. Si mantennero però generalmente le pene
civili accessorie che la sapienza romana aveva dettato contro
le adultere, vale a dire la perdita dei ricuperi matrimoniali
e dei diritti sulla successione maritale. Ciò si ha quanto alla
Spagna da Colon, Juzgados de Espana y sus Indias, Ma
drid, 1817, tom . 4, pag. 5 : e quanto alla Germania da Ke f
fenbuck, Ad statutum pragensem specimen 2, pag. 137
et 138) Francofurti, 1760.

CAPITOLO IV.

Poligamia.

§. 1936 .

L'uomo che prende moglie (disse Tommaso


Moro) mette la mano in un sacco dove su cento
vipere si trova un'anguilla : secondo tutte le pro
babilità egli tirerà su una vipera . Malgrado questa
verità, che (bisogna dirlo ad onore del vero) le
femmine potrebbero benissimo rovesciare per conto
loro, vi sono individui che quantunque tuttora stretti
nei risultati del primo esperimento anelano tornare
alla fruga di quel sacco, e tirano suso una seconda
vipera, e più la prigione per giunta, perchè la legge
li dichiara colpevoli di bigamia ( 1 ) . La bigamia è
il delitto di coloro che legati tuttora da un primo
matrimonio valido ne contraggono un secondo . Il
movente di questo reato non è sempre l'appetito
dei sensi, quantunque spesso lo sia. Un ammogliato
che nasconda la propria condizione per trarre a
nozze una vecchia deforme onde carpirle la ricca
―――― 474 -

dote, o la maritata che la sua condizione nasconda


per farsi moglie di un vecchio impotente onde
scroccare i doni nuziali o uscire dalla miseria e

cangiare stato, non aspirano certamente a voluttà


illecite, ma traggono lo impulso a delinquere dalla
avidità o dal bisogno. La fisonomia di questo ma
lefizio niente si modifica perchè lo eccitamento ri
ceva dallo interesse pecuniario o da speculazioni
ambiziose, anzichè da impure voglie. E questa è
una prima prova del come fossero errate le vec
chie classazioni che la bigamia noveravano fra i
delitti di carne.

(1) BIBLIOGRAFIA Montaigne, De bigamia ; in Tra


ctatus magni, vol. 9, fol. 122 - Caevallos , Speculum
practicum, quaest. 557 ――― Gomez , In l. 80 Tauri, n. 27 ;
et in l. 40, n. 31 Menochio , De arbitrar. cas. 440 -
Morass, Tractatus juridicus de poenis binubentium -――――――― Tho
masio, Dissert. de crimine bigamiae ; et dissert. de bigamiae
-
prescriptione, vol. 1, dissert. 7 et 8Titius , De polyga
mia, et incestu jure naturali, in ejus dissertat. diss. 12, Lipsia,
1729, pag. 535 ―――― Jester, Dissert. de poena bigamiae
Brookes, observ. 617 ―――――― Hein, Promptuarium, pag. 204,
§. 1. Rebuffo, responsa 88, pag. 145 Esbach, Ad
Carpzovium, pars 4, const. 20 Felde, Elementa juris uni
versi, pag. 301 - Berlichio , Conclusiones practicabiles,
pars 4, conclus. 28 - - Reinhard , Dissert, de initio prae
scriptionis in crimine bigamiae - Vehiss, Commentationes,
comment. 7 - Brunnemann , Responsa, consil. 176
Hertio, Dissertat. vol. 1, dissertat. de matrimonio putativo
- Puttmann, Elementa, §. 627 et seqq. Koch, Insti
tutiones §. 323 et seqq . ―― Hellbach, De viro una uxore
non contento ―――― Boehmero, Elementa, sect. 2, 291 et seqq.
Kemmerich, Synopsis, lib. 2, tit. 11, n. 24 -― Hen
nig, Diss. de poena bigamiae — Jousse, Justice criminelle,
- 475 ――

part. 4, tit. 43 - Vouglans , Traité des crimes, tit. 3, chap. 2


- Carnot, Code pénal, art. 340 ; et code d'instruction, tom. 1,
pag. 31 - Mangano, Diritto penale, vol. 1, pag. 107 -
Albiousse, La suppression du crime de bigamie.

§. 1937.

Lo elemento intenzionale di questo reato sta


nella volontà di contrarre un secondo matrimonio.
mentre si ha la scienza di essere vincolati dalle.
prime nozze ; e la sua oggettività è costituita dalla
offesa al primo contratto e non dalla offesa alla
pudicizia. Laonde il suo elemento materiale sta
nella perseveranza di un primo matrimonio valido,
e nella perfezione del secondo matrimonio giusta
le forme prescritte dalle leggi relative. Se il ma
trimonio anteriore non era valido, manca ( 1 ) il
primo degli elementi essenziali del reato, ancor
chè siffatta nullità non si conoscesse e si credesse
buono l'antecedente ; perchè in simili termini sa
rebbe sempre deficiente la materialità del reato ,
nè varrebbe a supplirla la intenzione per quanto
prava e recisamente determinata a delinquere, non
ammettendosi delitti putativi . Se poi il secondo
contratto non fu perfezionato nelle sue forme le
gittime sparirà l'altro dei suddetti elementi mate
riali, e l'azione potrà al più risolversi in un ten
tativo di bigamia .

(1) Questa verità ebbe una conferma singolare nel caso che
Carmignani (Elementa, § . 1179, nota 1) cosi racconta .
Un uomo convinto di avere avuto tre mogli fu in Inghilterra
assoluto dalle pene dei bigami. I motivi però di siffatta deci
sione non furono già che la legge che contemplava la sola bi
- 476 ---

gamia non fosse applicabile anche al caso di trigamia : ma che


avendo l'imputato preso la seconda moglie allorchè per proba
bile errore supponeva che la prima fosse già estinta era passato
alle terze nozze quando la prima era veramente morta ; laonde
poichè il secondo matrimonio era nullo, il terzo diveniva legit
timamente contratto. Da ciò è chiaro come cadesse in grave
equivoco Rauten quando (Droit criminel, §. 474, nota 2)
guardando superficialmente quel fatto, ne trasse argomento
di criticare la legge inglese ed elogiare la francese. Quel caso
si sarebbe dovuto risolvere per l'assoluzione in qualunque
paese, ed in faccia a qualsiasi legge. Qui si riproduce la que
stione sulla distinzione fra nullità assolute e nullità relative,
intorno alla quale già dissi il mio pensiero al §. 1883.
primo matrimonio nullo è per le regole canoniche sufficiente
a costituire la bigamia nel secondo matrimonio che si con
tragga dal marito putativo : cap. neper, X, de bigamis non
ordinandis - non propter sacramenti defectum sed propter
intentionis affectum cum opere subsecuto. Nè mancò chi cre
dette potersi estendere agli effetti penali un precetto dettato
unicamente al fine di negare la ordinazione ecclesiastica o
di regolare gli interessi pecuniari circa la dote : Tiraquello,
De legibus connubialibus, gloss. 8, n. 269. Ma appo gli odierni
criminalisti non è più disputabile il caso perchè la idea del
delitto putativo è ormai per buone ragioni reietta dal giure
penale. Come colui che non sappia di essere legato da un
primo matrimonio non è reo di bigamia per difetto dell'ele
mento intenzionale, cosi non è reo per difetto dell'elemento
materiale chi creda di essere legato e veramente non sia. È
da notarsi con l'Hoffmann (Questions préjudicelles, vol. 3,
§. 695) che quando l'accusato di bigamia promuova giudizio
per nullità del primo matrimonio, la pendenza di questo giu
dizio non fa cessare la custodia preventiva perchè rimane
sempre in presunzione la validità del primo matrimonio.
Quello però che nessuno contrasta si è che ovunque dall'ac
cusato di bigamia si promuova contro il primo coniuge giu
dizio di nullità del primo matrimonio, la causa criminale deve
- 477 ――――
sospendersi fino all'esito del giudizio matrimoniale. Qui avvi
pregiudicialità, ed in faccia a questa tace la regola della leg. 4,
C. de ordine judiciorum, che stabilisce la precedenza del cri
minale sul civile e sottentra la regola contraria della leg. 3,
C. de ord. cognitionum. Sulla interessante materia della pre
giudicialità fra il civile e il criminale eruditissima è la dis
sertazione del Mejer, De civilis et criminalis causae prae
judicio, Hannover, 1841.

§. 1938 .

È peraltro meritevole di osservazione il caso spe


ciale in cui la nullità (o meglio la non esistenza)
del matrimonio derivasse dal fatto doloso dello stesso
giudicabile. Suppongasi che il primo matrimonio o
il secondo siano stati da lui simulati. Parrà re
pugnante che profitti all'accusato il delitto stesso
da lui consumato col simulare il matrimonio ; ma
la logica inesorabile dei fatti rende impossibile di
applicare il titolo di bigamia. Se la simulazione
cadde sulle prime nozze le seconde sono valide , e
il delitto consistè nel fingere quelle, non nel cele
brare le seconde . Se invece la simulazione cade sul

secondo connubio non si ha neppure il tentativo


di bigamia, perchè il colpevole non ebbe mai la
intenzione di contrarre un secondo matrimonio va

lido . Bisognerà dunque cercare in altri titoli di


reato la repressione di questa scelleratezza, e ri
correre al titolo di stupro qualificato da simula
zione di matrimonio quando con tal mezzo sia
avvenuta la deflorazione : e mancando gli estremi
di ciò bisogna ricorrere al titolo di simulazione
di matrimonio, il quale apparterrà ai falsi dove
- 478 -

vige il matrimonio civile ; apparterrà ai delitti


contro la religione dove non si ammetta che il
matrimonio religioso ; apparterrà agli adulterii, e
potrà anche richiamarsi ai delitti contro lo stato
civile, secondo i casi e ciò oltre la ipotesi della
frode, che ho accennato a §. 1936, quale può ve
rificarsi tanto nel caso di secondo matrimonio si
mulato, quanto nel caso di secondo matrimonio
veramente contratto . Secondo la dottrina che sem

bra prevalente nella odierna scuola non appartiene


ai criterii essenziali di questo delitto la consu
mazione cosi del primo come del secondo matri
monio. Non del primo, perchè quello fu valido
quantunque non susseguito dalla consumazione . Non
del secondo, perchè il delitto di bigamia è perfello
quando è perfetto il secondo contratto ( 1 ) , e questo
è perfetto anche prima della consumazione. E ciò
porge una prova ulteriore che questo reato male
oggi si collocherebbe nella ormai dimenticata classe
dei delitti di carne. Il delitto di bigamia si defi
nisce dunque nei più semplici termini - la cele
brazione di un secondo matrimonio scientemente
commessa da chi tuttavia era legato per un pre
cedente matrimonio valido.

(1 ) Berner, Lehrbuch, §. 193, pag. 4302) si pronunzia per


la dottrina che non esige la copula carnale con la seconda
moglie alla consumazione della bigamia, osservando che tutti
i nuovi Codici della Germania sanzionano questa regola : av.
verte però che il Codice di Sassonia nel 1855 all'art. 271,
trova una diminuente della pena nel non essere susseguita
al secondo matrimonio la coabitazione col nuovo coniuge.
Questo pare a me convenientissimo ; ma non già che con ciò
si proceda dalla contemplazione di una copula presunta a
479
causa della coabitazione. Indipendentemente da qualunque
riguardo al congiungimento carnale la successiva coabitazione
è un fatto esteriore che dà un maggiore elemento politico
al delitto per lo scandalo e la notorietà che ne acquista la
bigamia.

§. 1939 .

Ho detto oggi, perchè su questo punto esiste ra


dicale antagonismo fra la universale dottrina degli
antichi e la moderna teorica . A tutto il passato
secolo la generalità dei criminalisti insegnava quasi
senza contrasto ( 1 ) che per avere il delitto perfetto
della poligamia si richiedesse che il secondo ma
trimonio fosse consumato, altrimenti non vi trova
vano che un mero tentativo. I principii si conca
tenano sempre fra di loro : e questa era una logica
conseguenza del considerare la poligamia come un
delitto di carne. Dicevano nettamente che questo
reato altro non era che una forma di adulterio ; e
perciò nel modo stesso che l'adulterio non si per
feziona se non col congiungimento carnale, lo stesso
era assolutamente a dirsi della bigamia. E da tale
proposizione ne traevano ancora l'altra che ad
avere questo malefizio fosse pur necessario provare
la consumazione anche del primo matrimonio.

(1) Puttmann, Elementa, §. 631 — Koch, Instit. §. 327,


-- Kress, ad art. 121, C. C. C. §. 4- Carpzovio, Prac
tica, quaest. 66, n . 55, et jurisprud. pars 4, constit. 20, def. 3,
―――
- De Luca, Metamorphosis, quaest. 186, n. 5 Mellii,
Institutiones juris criminalis, Lusitani, tit. 10, §. 9 ---- Mei
ster, Principia, §. 277 Crema ni, De jure criminali,
lib. 2, cap. 6, art. 4, §. 3 - Cara vita, Institutiones, lib. 4,
§. 1, cap. 50, n. 6 - Banniza , Delineatio juris criminalis
- 480 ――

secundum constitutionem Theresianam ac Carolinam, Oeni


ponti, 1771, §. 557. Questa dottrina fu senza osservazione ac
cettata tra i moderni anche da Carmignani , Elementa,
§. 1179 ―― Contoli , Dei delitti e delle pene, vol. 2, pag. 154
- Giuliani, Instituzioni, vol. 2, pag. 454. Il nostro Pu c
cioni, (Saggio, pag. 514) riconosce anch'egli che per l'antica
dottrina era prevalente la opinione che alla perfezione della
bigamia richiede la consumazione della copula, ma riconosce
altresi che molte legislazioni odierne hanno abbandonato co
desto requisito. Fra gli antichi la non necessità della copula
a consumare la bigamia, fu insegnata dal Mollero , In
constitutionem saxonicam, pars 4, constitutio 20.

S. 1940.

Modernamente però si è andati nell'opposto con


cetto che ho esposto di sopra. La maggior parte
dei Codici contemporanei ( 1 ) definiscono il delitto
di bigamia per guisa da escludere affatto come con
dizione essenziale del suo perfezionamento la con
sumazione cosi del primo come del secondo matri
monio. La oggettività di questo reato è nei diritti
di famiglia e non nella pudicizia . E i diritti di
famiglia sonosi dalla prima moglie e dal primo ma
rito quesiti mercè la perfezione del contratto, indi
pendentemente dai fatti che possono essere avvenuti
o non avvenuti nel talamo nuziale, e la investiga
zione dei quali sarebbe spesso difficile e sempre
scandalosa. E quei diritti cosi quesiti dal primo
coniuge completamente si violano dal bigamo con
la costituzione di una nuova famiglia che si con
trappone alla prima . Perciò gli scrittori contempo
ranei tralasciano volentieri questo requisito dalla
- 481 -

consumazione nel definire il reato di bigamia. Forse


anche qui influi sulla dottrina dei vecchi pratici
la esorbitanza delle penalità, per la quale lodevol
mente studiarono sempre ogni modo che valesse
ad impropriare il malefizio onde evitare la pena
ordinaria.

(1 ) Codice francese art . 340, e sul medesimo Rauter ,


Droit criminel, pag. 475 ; Codice austriaco, art. 207 ; Codice
prussiano, §. 139 ; Codice portoghese del 1852, art. 337 ; di
Neuchatel, art. 149 ; Svezia, cap. 17, §§. 4, 5 e 6 ; Malta ,
art. 186 ; Brasile, art. 249 ; Bolivia, art. 898 ; il sardo , art . 488 ;
toscano, art. 296 : sul quale debbo avvertire che il chiaris
simo Puccioni , contradicendo nel suo Commento la opi
nione che pareva avere emesso nel Saggio, persiste a ritenere
che anche sotto i Codici moderni, i quali tacciono sull'estremo
della consumazione, debba mantenersi la vecchia dottrina,
perchè secondo lui la nuova famiglia non è costituita se non
intervenne la copula . Ma salva la reverenza a tanto nome
io mi permetto a questo punto dissentirne. Non so come
possa affermarsi che il bigamo può tornare ai primi nodi
finchè non consumato con la commistione corporea le seconde
nozze. Io non voglio entrare nella questione canonica che
troppo forse influi su questo pensiero : ma dico che se la
idea della rescindibilità canonica delle seconde nozze valesse
ad escludere il titolo di bigamia, non vi sarebbe mai biga
mia consumata, ma sempre sarebbe attentata, perchè le se
conde nozze non sarebbero mai canonicamente irretrattabili
e salde, appunto per il vizio della bigamia che le informa.
Sia pur dunque canonicamente rescindibile il matrimonio
rato e non consumato, per me quando il contratto è civil
mente perfetto la sua rescindibilità non mi sembra ragione
bastante per dire imperfetto il reato. D'altronde è da consi
derarsi che la questione è importante anche sotto un altro
punto di vista ; perchè se la essenza della bigamia stesse
VOL. III . 31
- 482 -

nella copula carnale bisognerebbe ravvisare nella medesima


un delitto successivo e non un delitto istantaneo : eppure bi
sogna noverarlo fra i delitti istantanei, come bene notano
Maisonneuve, Exposé de droit pénal, pag. 28 - Ch a n
ta grel, Manuel de droit criminel, pag. 27. Questa verità
ebbe esatta e doverosa sanzione dal giudicato della Corte
di Cassazione di Torino del 27 luglio 1874 che nettamente
stabili non potersi ammettere alla bigamia la aggravante
della continuazione per la successiva coabitazione e concubito
con la seconda moglie. Laonde quel giudicato dichiarò pre
scritto un reato di bigamia commesso dieci anni addietro,
quantunque i bigami avessero per tutti i dieci anni succes
sivi alle loro nozze coabitato e notoriamente vissuto come
marito e moglie. Pongasi poi che un terzo, a matrimonio
già definitivamente contratto nelle forme civili ed ecclesia
stiche senza veruna sua partecipazione, sopravvenga, e forse
per dubbi insorti nell'animo della novella sposa scientemente
cooperi a persuaderla a prestarsi alla consumazione. Costui
agi certamente con dolo : ma sarà egli ausiliatore di stupro
soltanto, o ausiliatore anche di bigamia ? Se la bigamia si
consumò col contratto egli non può essere più complice di
un reato che raggiunse lo estremo della sua oggettività. Se
la si consuma soltanto con la copula, egli necessariamente
ne sarà complice.

S. 1941 .

Ma se la consumazione del matrimonio non può


guardarsi come criterio essenziale della bigamia (1 ),
bene peraltro essa può valutarsi come criterio mi
suratore della sua quantità naturale. Ma qui bi
sogna dimorare un istante, e contemplare la og
gettività giuridica principale di questo malefizio ,
ed enuclearne le diverse configurazioni, e le oggetti
vità giuridiche accessorie che ne possono emergere,
483

e che non sono state a sufficienza prese di mira


dalla generalità degli scrittori alla materia. Si
devono pertanto distinguere tre ipotesi sostanzial
mente differenti.

La prima ipotesi è quella che entrambo i bigami


siano scienti delle condizioni in cui versano . Questa
cognizione li rende ambedue coautori del malefizio ,
e nessuno di loro se ne può dire la vittima, nes
suno presentare un diritto che in lui sia stato leso .
L'oggetto esclusivamente della bigamia in questa
prima ipotesi bisogna trovarlo nei diritti del primo
coniuge che furono a danno suo calpestati. La con
sumazione del secondo matrimonio in questa prima

ipotesi rende il delitto complesso ; perchè alla bi


gamia (che già era perfetta col solo contratto) si
aggiunge, mercè la medesima , l'adulterio e il con
cubinato : i quali come delitti pedissequi si confon
dono nel principale, ma ne aumentano la quantità .

(1 ) È utile a vedersi la monografia di Teichmann,


L'affaire de Bauffremont, pag 39 e seq.

§. 1942 .

La seconda ipotesi ce la porge il caso di una


maritata la quale, sciente ( 1 ) del vincolo che la
lega, si unisca in nuovo matrimonio con un celibe
che ignora quel vincolo . Questo secondo caso si
complette pur esso coi titoli d'adulterio e concu
binaggio rispetto alla donna che era in dolo, e che
conoscendo di non potere divenire moglie legittima
volle assumere una posizione che in faccia alla
- ―――
481

legge era quella di concubina. Ma fin qui la og


gettività giuridica del reato non si allargherebbe
al di là del primo caso. Paziente del delitto sa
rebbe sempre il primo coniuge, i diritti del quale
furono manomessi . Vi è però la figura del nuovo
marito che come esente da dolo non può assumere
lo aspetto di correo ; assumerà egli il carattere di
altro paziente del malefizio ? Qui trattandosi di
uomo non può tenersi a calcolo la offesa alla sua
pudicizia, e sotto questo punto di vista la ogget
tività giuridica non si dilaterebbe. Il reato però si
complette ulteriormente in questo secondo caso se
il nuovo marito era ricco , e la donna estorse da
lui donativi ad occasione del supposto matrimonio.
Qui io veggo sorgere chiara e pronunziatissima la
forma di un ulteriore titolo di reato : ed è la frode
che descriveremo a suo luogo. L'inganno stette
nel fingersi innutta; agli artifizi e i raggiri nello
indurre il credulo alle supposte nozze ; la veduta
di lucro vi fu ; il lucro si ottenne : sicchè io vi
trovo tutti gli estremi del delitto di frode. Ora
questo titolo resterà accessorio e pedissequo e si
compenetrerà nel titolo di bigamia aumentandone
la quantità, finchè la somma estorta sia cosi limitata
che le penalità inflitte contro la frode in simili con
dizioni rimangono inferiori alle penalità inflitte"
contro la bigamia. Ma se siasi lucrata ingente
somma per guisa che in ragione di questa la pe
nalità della frode sovrasti a quella della bigamia ;
dovrà per mio avviso venire in campo la nota teo
rica della prevalenza, e la frode assumerà la prin
cipale figura nella definizione del titolo di cui la
485 ―――

bigamia si considererà come mezzo, e ne sarà


un'aggravante .

(1) Se la scienza della perseveranza del vincolo è estremo


di questo reato, ne discende che l'errore quantunque vinci
bile escluda ogni imputazione. Questa almeno è la dottrina
comunemente accolta fra noi quantunque vi fosse fra gli
alemanni chi per deferenza a speciali costituzioni ( C. C.
Theres, art. 78 , §. 8 ) volle ammettere la punizione della
bigamia colposa come già aveva ammesso l'adulterio col
poso. Banniza , Delineatio juris criminalis, § . 560. Il quale
per altro al precedente § . 554, esemplificando la ipotesi della
dirimente a favore della moglie del soldato la quale avesse
creduto morto il marito per averne letto il nome nello
elenco dei morti in battaglia, non si avvide che in questo
caso l'errore era vincibile con tutta facilità. Tanto è vero
che quando un giure positivo impone principii esorbitanti
dalla ragione, i giuristi costretti a venerarli come massima
generale li vulnerano poi nell'applicazione . Vedasi la nota 2
al §. 1945.

S. 1943.

La terza ipotesi è quella di un ammogliato che


conscio della sua situazione illuda una donzella
ignara, e la tragga all'altare. Qui pure per la suc
cessiva consumazione del matrimonio il reato si
complette con lo adulterio e concubinaggio rispetto
al marito bigamo ; dei quali titoli la nuova moglie
non è partecipe per mancanza di dolo . Ma qui si
allarga ancora più la oggettività giuridica rispetto
alla nuova moglie innocente. Ripetesi la possibile
concomitanza della frode, come ho detto nel se
condo caso; qualora il bigamo abbia estorto una
dote dalla tradita donzella . Ma anche senza questa
486-

circostanza contingente, il malefizio si complette


ulteriormente, tostochè accade la consumazione del

secondo matrimonio, per una costante necessità .


Infatti ai titoli di bigamia, di adulterio, ed even
tualmente di frode, si aggiunge per effetto di quella
anche il titolo di stupro per seduzione ( 1 ) ; che
davvero non può immaginarsi seduzione più grave
di quella di un matrimonio fittizio . Ad un gruppo
cosi accresciuto poco vi vuole a comprendere che
deve attribuirsi una criminosità maggiore che al
caso semplice per l'aumentata quantità naturale.
Qui le vittime, a rigore di lettera, sono due. Si
lese il diritto della prima moglie col contratto : si
lesero i suoi diritti coniugali con l'adulterio : si
lese eventualmente il diritto patrimoniale della fan
ciulla ingannata col carpirle la dote : si lese il di
ritto di questa infelice alla pudicizia deflorandola
sotto una larva di matrimonio. Qui potrà di nuovo
tornare in campo la teorica della prevalenza, da
calcolarsi nella gravità comparativa della bigamia,
della frode, dello stupro. Ma dove questo non trovi
termini e rimanga come principale il titolo di bi
gamia, questo per la sua dilatata oggettività giu
ridica dovrà salire al massimo della sua quantità
.
naturale.

(1) Questa cumulazione di lesioni giuridiche si contemplò


nella 1. 18 C. ad leg. Jul. de adulter.

S. 1944.

E qui mi è forza ripetere una osservazione generale


da me fatta altre volte, per la nuova applicazione che
presentasi al mio pensiero. Già dissi che non con
-- 487 -

cordo con alcuni moderni legislatori e progettisti


di Codici, i quali obbedienti al lodevole desiderio
di fare definire dalla legge le aggravanti e le at
tenuanti dei malefizi , credettero doverosamente rag
giunta questa loro veduta col dettare delle aggra
vanti e delle attenuanti una categoria generale
comune a tutti i reati. Non vi concordo, perchè
sebbene i principii fondamentali debbano essere
costanti ed indefettibili in tutti i reati, le speciali
contingenze di fatto dei singoli malefizi ne modi
ficano l'applicazione. Eccoci ad un altro esempio
di ciò . Si disse da molti doversi guardare come
circostanza aggravante di tutti i delitti lo essere
i medesimi commessi per concerto di due malvagi
anzichè per opera di uno solo. Ebbene : questa
generalità riesce falsa evidentemente nel tema at
tuale. Il bigamo che si concertò con la sua correa
.
vi presenta un delitto commesso congiuntamente da
due persone. Il bigamo che inganno la seconda
sposa vi presenta un delitto commesso da un solo .
Ma si vorrà dire per questo che il primo bigamo
il quale offese unicamente la prima moglie con una
onta reparabile, è meno reo del secondo che recò
pari oltraggio alla prima sua donna, e per soprappiù
rovinò la seconda ? Queste distinzioni sulle quali
mi sono trattenuto sembreranno a taluno sottigliezze
superflue, perchè i legislatori contemporanei non se
ne vennero occupando . Io penso diversamente, per
chè la differenziale mi sembra troppo importante
per essere dimenticata.
488

§. 1945.

Premesso ciò , e dopo la larga esposizione che


ho dato al tema dell'adulterio, io non reputo ne
cessario dimorare più a lungo sul presente male
fizio . Dirò solo che per consuetudine generale la
bigamia considerossi sempre come reato persegui
tabile ad azione pubblica (1 ) , e dirò che questo reato
non presenta specialità notevoli in quanto al grado
nella forza morale soggettiva (2) . In proposito del
tentativo la sua nozione dipende dalla decisione
del problema che ho accennato di sopra relativa
mente alla consumazione del matrimonio guardato
o no come essenziale alla perfezione del delitto .
E il tentativo (giusta la opinione da me preferita)
dovrà giudicarsi come prossimo o come remoto se
condo che l'atto a cui si arrestò era più o meno
prossimo al sacramento o al contratto costitutivo
del secondo matrimonio, nel quale si rappresenta
veramente il soggetto passivo del malefizio , ossia
la cosa sulla quale cade il delitto . Il suo oggetto
sta nei diritti del primo coniuge ed eventualmente
nei diritti del secondo coniuge ingannato. Questi se
sarà sciente della bigamia che contrae presenterà
in sè il soggetto attivo primario del reato, al
quale evidentemente in tali ipotesi convergono scien
temente due attività umane. Se sarà ingannato pre
senterà il soggetto attivo secondario come qualsisia
altra persona o cosa che senza responsabilità mo
rale completi l'attività per cui il fatto criminoso
procede al fine voluto dall'attore primario : ma non
può considerarsi come il soggetto passivo del de
― 489 ―――――

litto, perchè non patisce soltanto l'azione, ma egli


stesso concorre ad agire. Laonde la prossimità del
conato non si deve desumere dall'avvicinamento

del bigamo al secondo coniuge, ma dall'avvicina


mento di entrambo al sacramento che si profana
o al contratto che si simula .

(1) I pratici, sempre preoccupati dal pensiero che la bigamia.


non fosse che una forma di adulterio, insegnarono che la re
missione del primo coniuge salvasse il bigamo dalla pena :
Bergero, Electa criminalia, pag. 136 et seqq. pars 2, sup
plem. pag. 417 ―― Wernher, Observationes, pars 1, obser
vat. 133 et 189 ; pars 3, observat. 91 ―――― Boehmero , Ad
Carpzovium, quaest. 60, observatio 3 ――― Hommel, Rhapso
diae, observatio 224 : al che andò in contrario la facoltà di
Tubinga, Responsa , vol. 4, respons. 47 , n . 9. Ed altri più ge
neralmente disse che tutte le escusanti ammesse nello adul
terio dovevano estendersi alla bigamia. Ma ciò non mi per
suade per la divergenza del principio. Sarebbe poi una mo
struosità il vedere in una città un dovizioso marito condurre
tre o quattro mogli con essersi assicurata la impunità facendo
una ricca pensione alle prime. Ciò può essere logico dove si
accetta il divorzio convenzionale : dove questo è reietto la
utilità del perdono nella bigamia è inammissibile. Del resto
che appo noi la bigamia si perseguiti ad azione pubblica è
indubitato . Altro è però il pensiero di identificare il concetto
giuridico della bigamia e dell' adulterio ; altro è trovare in
certe condizioni un correlativo fra questi due reati per de
sumere dall'uno un effetto giuridico sull'altro quando si con
siderino come due fatti distinti, ma concorrenti in diverse
persone. Cosi potè con tutta giustizia decidersi ( Responsa
Tubingens i a, vol. 4, cons. 124) che l'adulterio del coniuge
fosse a valutarsi come diminuente nel delitto di bigamia com
messo dall'altro coniuge ; e potrebbe anche decidersi, a parer
mio senza errore, che la bigamia di un coniuge fosse una
490
dirimente e non soltanto una diminuente per l'adulterio del
l'altro coniuge. Ma questa stessa differenza negli effetti di un
reato considerato come scusa dell'altro, è una riprova ulte
riore della differenza radicale che esiste nel concetto giuridico
dei due reati, ossia nel principio fondamentale della respettiva
imputabilità. È singolare la dottrina sostenuta da Wernher
(tom. 3, pars 2, obs. 442 ) che pretese trovare una dirimente
all' adulterio in un primo adulterio tentato là dove questo
dava diritto a divorzio. Lo confutò Puttman n , (Adversa
riorum, lib. 2, cap. 2) perchè primo adulterio non aveva
sciolto il matrimonio ipso jure. Ma questa confutazione po
trebbe essere disputabile in tema di bigamia. Data la possi
bilità dello scioglimento del primo matrimonio per volontà
del coniuge che si rendette bigamo, la questione tutta cade
sul determinare se la dissoluzione pronunciata posteriormente
alla bigamia si possa o no retrotrarre ai fini penali.
(2) Non mancò fra i pratici chi ammettesse la possibilità
e la punibilità della bigamia colposa : Koch, §. 330 — Putt
mann, Elementa, §. 630. Questa naturalmente si configura
nel caso che il bigamo avesse creduto morto il primo co
niuge, ma non avesse fatto le debite diligenze per accertar
sene. Io non credo che possa oggi sostenersi la tesi di bi
gamia colposa. O l'errore fu maliziosamente affettato, ed allora
si ha un raffinato dolo ; o fu una vera credulità quantunque
troppo precipitata, e trattandosi di reato di danno reparabile
non ammetterei la punibilità della colpa. Altrimenti bisogne
rebbe accettare tutta teorica dell'errore vincibile ed invin
cibile come applicabile a questa materia, e ne avverrebbe che
l'errore sulla morte del primo coniuge, tranne rarissime ipo
tesi, dovrebbe sempre dirsi vincibile. Io ottenni l'assoluzione
in un caso nel quale trattavasi di un napoletano che a Ve
nezia, durante l'assedio del 1819, era corso a seconde nozze
sulla fede di un amico che gli aveva detto essere morta la
prima sua moglie e neppure mi fu obiettata la bigamia col
posa. Qui si aveva la circostanza che il bigamo continuò a
vivere con la seconda moglie anche dopo avere scoperto l'in
-― 491 ——

ganno ed aver conosciuto che vivea la prima. Ed ecco un


nuovo argomento che può valutarsi intorno la disputa sulla
consumazione. È certo che il dolo benchè per caso non ricorra
negli atti preparatorii del delitto, basta che ricorra nel mo
mento della consumazione ; ora se la bigamia si consumasse
con la copula, e non col contratto, poteva dirsi che il mio bi
gamo se non era in dolo quando si maritò era in dolo però per
tutte le successive copule che aveva lungamente continuato
con la seconda moglie dopo avere conosciuta la sopravvivenza
della prima : ma neppur questo mi fu obiettato . Del resto come
degradanti speciali della forza morale soggettiva della biga
mia può accennarsi la deserzione del primo coniuge Re
sponsa Tubingensia, vol. 4, resp. 109 et 214 - Grant
zio , Defensione inquisitorum, pars 2, pag. 343, n . 189 —
Richter, vol. 1, pars 5, cons. 2, n. 5 e trovasi anche va
lutata come scusa la mala condotta del primo coniuge : Cra
mer, Observationum, vol. 3, observ. 862. Sembra peraltro che
i Codici del Wurtemberg (art. 304) e di Annover (art. 260)
accettino il concetto della bigamia colposa, poichè infliggono
una pena straordinaria a chi si rendette bigamo nella credenza
di essere vedovo senza usare tutte le debite diligenze per
accertarsi se il primo coniuge era o no realmente deceduto.

S. 1946.

In proposito della complicità non può neppure


qui cadere contrasto sulla comunicabilità ai com
plici della condizione personale del bigamo (1 )
avvegnachè questa sia circostanza costitutiva, e
non soltanto aggravante , della criminosità . Potrà
però disputarsi se il terzo il quale scientemente
aiuti il bigamo ad illudere il secondo coniuge
ignaro del precedente vincolo, debba punirsi come
complice di bigamia, o piuttosto come colpevole di
― 492 ――

lenocinio : ma questo io nol credo perchè prosti


tuzione nel caso non può ravvisarsi .

(1) I pratici peraltro per una singolare benignità insegna


rono che il celibe contraendo matrimonio con persona coniu
gata quantunque sciente di ciò non si renda colpevole di
bigamia : Carpzovio, Practica, quest. 66, n. 69 et 74 --
Kress , ad art. 121, C. C. C. §. 4, n. 2 ―― Boehmero ,
ad dict. art. obser. 8. Laonde dove era invalsa la pratica di
punire più severamente la bigamia duplice fu fatta la speciale
ipotesi di due coniugati che vicendevolmente ignari del vin
colo dell'altro venissero a nozze fra di loro ; e fu deciso che
si trattasse di bigamia semplice e non duplice. Ma qui evi
dentemente ricorreva un'altra ragione perentoria per non
obiettare la bigamia duplice, vale a dire lo errore di fatto.
Del resto anche fra gli antichi non mancò chi obiettasse il
titolo di bigamia cosi al coniugato come al celibe che scien
temente veniva a nozze con lui : Griebner , Dissert. de
intercessione conjugum in crimine bigamiae, cap. 2, §. 54
Koch, Institutiones, §. 325, nota 2. Costoro mossero dalla
considerazione che se il celibe giacendo con coniugata si ren
deva colpevole di adulterio, doveva per analogia dirsi anche
colpevole di bigamia se si ammogliava con quella. Anche qui
esercitò il suo influsso la idea già notata che la bigamia non
fosse che una forma di adulterio. Ma per rendere partecipe
della bigamia anche il celibe basta il principio generale di
comunicabilità di quelle condizioni personali che danno la
essenza al reato.

S. 1947 .

Le penalità della bigamia furono un tempo se


verissime, e quantunque per la 1. 2 , C. de incest.
et inutil. nuptiis sembri che nella prisca Roma
si colpisse soltanto di infamia e di pena arbitraria,
Giustiniano portò il castigo mercè la Novella 117
493 -

alla morte ( 1 ) . La Carolina all'art. 121 la puni pure


di morte. Altri statuti penali minacciarono chi la
pena pecuniaria, chi la fustigazione, e chi l'estremo
supplizio. Le leggi moderne hanno ridotto anche
questa penalità a più ragionevoli proporzioni (2).
Il Codice sardo (art . 488) punisce la bigamia con
la relegazione al di sopra di sette anni. Il Codice
toscano (art. 296) la punisce con la carcere da due
a cinque anni .

(1) Sono su questo punto discordi le opinioni degli inter


petri, come avverte Hunnius, Enciclopedia juris, pars 5,
pag. 655, tit. 10. E i più opinarono che al maschio solo si
irrogasse la morte e la femmina dopo fustigata si chiudesse
in un monastero : Tiraquello, De legibus connubialibus,
leg. 7, glos. 1, pars 7, n. 24 - Alberico Gentile, De
nuptiis, lib. 6, cap. 3 in fine.
(2) Espone diffusamente le diverse penalità minacciate dalle
antiche e dalle moderne legislazioni contro la bigamia : Fer
rao, Direito penal portuguez, vol. 6, pag. 298. Vedasi ancora
Hellbach, De viro una uxore non contento, posit. 146 ―
Seigneus, Système abrégé de jurisprudence criminelle,
pag. 253 - Carpzovio, Jurisprud. pars 4, constit. 20,
defin. 1. Si ha la prova del rigore con cui guardossi questo
reato nell'essere la bigamia uno di quei delitti nei quali i
dottori trovarono ragione speciale di dubitare se fosse lecito
al principe concedere grazia : vedasi Richter, Decisiones,
pars 5, decis. 11. Della costituzione del Wurtembergh, che si
occupò con cura speciale della bigamia punendola di morte ,
si trovano esposti i requisiti nei Responsa Tubingen
sia, vol. 4, respons. 15 et respons. 39. Singolare è la pena che
Berner (Lehrbuch des Deutschen strafrechtes. 3.a edizione,
§. 193, pag. 429) ricorda essersi inflitta ai bigami pel diritto
territoriale di Glary nel medio evo : si fendeva in due la
testa del bigamo, quasi perchè ogni moglie potesse averne
la sua parte.
494 -

S. 1948 .

Noi abbiamo a questo capitolo descritto una sola


forma di bigamia perchè è la sola che nel diritto
penale odierno conservi codesto nome. Non deve
peraltro dissimularsi che i vecchi pratici presen
tarono della bigamia una più larga enumerazione
di specie. Tacendo di coloro che ne distinsero sei
specie, e dei più valenti che seppero trovarne otto,
comunemente se ne indicavano tre. La vera (che
è quella sopradescritta) la similitudinaria e la in
terpetrativa. Similitudinaria dicevano quella in
cui cadeva chi già legato da ordine sacro o da
voti solenni contraeva matrimonio. Interpetrativa
si disse quella di chi sposava donna vedova. Ma
mentre questa terza configurazione non può mai
fare argomento del giure penale ; la seconda se
dal medesimo, si prende di mira non guardasi come
bigamìa ma come delitto contro la religione . Poichè
per la comune dei pratici lo stupro della monaca
si era detto adulterio : era ben naturale che al ma
trimonio contratto con lei si desse il nome di bi

gamia (1 ). Anzi alcuni canonisti vi trovarono ancora


l'incesto per il commercio avuto con la sposa di
Dio che è padre comune : la quale idea se offra
una figura rettorica o una deduzione esatta altri
lo giudichi. Ma se la paternità indubitata di Dio
rispetto a tutti gli uomini si equipara al vincolo
del sangue costitutivo dello incesto, è chiaro che
si rendono incestuose le nozze della monaca con

la divinità, perchè dessa pure è figlia di Dio . Quante


- 495 ―――

volte il linguaggio figurato non influi sulla sorte


dei giudicabili e valse ad accendere i roghi ?

(1 ) Bassano, Praxis, lib . 1, cap. 16, n. 134 - Bossio,


De coitu damnato, n . 7, - Menochio, De arbitr. cas. 389,
n. 25 - De Ameno, Practica criminalis, pars 1, pag. 46,
n. 13 ― Caballo , Resolut. crimin. cas. 200, n. 72.

CAPITOLO V.

Reati contro lo stato civile di un fanciullo .

ARTICOLO I.

Idea e contenuto di questa specie criminosa,


e sua essenzialità generale.

S. 1949 .

Checche possa opinarsi sotto il punto di vista


dei rapporti fra il cittadino e lo Stato (lo che tocca
un'ardua questione sociale che non appartiene al
mio compito) certo è nei rapporti fra individuo ed
individuo non potersi sostenere che i diritti na
scano dai bisogni. Chi afferma trovarsi nei bisogni
la genesi del diritto getta là un ' idea diafana, la
quale può illudere gli animi che non la meditano,
ed a cui piace sentirsi dire che basta aver bisogno
di una cosa per godere il diritto di conseguirla ;
ma che è destituita di ogni base di realtà . I bisogni
dell'uomo sono la occasione della legge giuridica ;
possono definire, entro certe condizioni, i limiti e
la misura del diritto , ma non spiegarne la genesi ,
nė dargli solida base , se non si risale alla suprema
- 496 ――――――

legge morale, e questa si ricongiunge con un fatto


umano. Questo fatto può essere procedente dai soli
atti di colui che vuol vantare il diritto, quando a
codesto voglia farsi rispondere negli altri un do
vere giuridico puramente negativo, come avviene
del diritto di proprietà. Ma quando al diritto si
assevera che in altri risponde un dovere giuridico
positivo (cioè che lo costringe non solo ad aste
nersi ma a fare) cotesto diritto non può nascere
che da un fatto dell'individuo, che si vuole a
tanto obbligato. L'uomo col solo suo fatto del na
scere quesisce il diritto alla vita, al quale risponde
in tutti i suoi simili il dovere giuridico di non at
tentare a quella : ma se di più vuole rivolgersi ad
alcuno, e dirgli tu hai il dovere di nudrirmi, tu
telarmi, educarmi, e simili, non basta a ciò che egli
dica, io sono nato ed ho bisogno di codesti tuoi
offici, se al tempo stesso non può obiettare all'in
dividuo al quale si rivolge tu ponesti in essere un
fatto da cui è nato il rapporto obbligatorio che ti
vincola verso di me ( 1 ) .

(1) Sulla possibilità di ampliare la enumerazione dei fatti


riferibili alla classe dei reati che sorgono dalla società pa
rentale e dai relativi diritti e doveri, vedasi ciò che scrivo
ai §§. 2971 e 2977 .

S. 1950 .

Questo fatto e la sua virtù obbligatoria non si


stenta a trovarlo e respettivamente a riconoscerla
quando si guardano i rapporti tra generante e ge
nerato. L'uomo e la donna che diedero vita ad una
umana creatura devennero ad un atto volontario,
- 497 ―

del quale ben conoscevano potere essere conse


guenza quel nascimento, e conoscevano al tempo
stesso che la creatura alla quale davano la vita
nasceva in tale condizione da avere una serie di
bisogni ai quali era necessità che altri sopperisse
perchè ella vivesse e crescesse a tanto da potervi
supplire da per se. Col fatto della procreazione della
prole i genitori scientemente e volontariamente
crearono i bisogni di lei. Essi dunque non pote
rono non incorrere nella obbligazione di sovvenire
secondo la possibilità loro ai bisogni stessi. Il fatto
della procreazione è dunque la prima radice del
rapporto obbligatorio che lega i genitori verso i
figli : è la vera causa giuridica della società paren
tale. Questa società si estrinseca in una forma che
dicesi stato di famiglia, in cui si compendiano i
respettivi diritti e doveri dei membri di quella so
cietà. Ogni uomo che nasce (qualunque sia la sua
cuna) ha per legge di natura diritto a questo stato .
Tale diritto ha rispetto a sè una serie di doveri
giuridici corrispondenti . In quanto agli estranei che
niente fecero per creare quella vita non vi corri
sponde che un dovere giuridico negativo : gli estranei
non hanno obbligo di accertare e tutelare lo stato
civile del fanciullo ; ma hanno l'obbligo di astenersi
da qualunque atto che possa distruggere od intor
bidare lo stato suddetto. Ma nei genitori che fu
rono causa immediata del nascere del fanciullo,

alla somma dei diritti che si compendiano nel suo


stato di famiglia corrisponde di più un dovere
giuridico, positivo, cosi rispetto a ciascuno dei sin
goli suoi bisogni come rispetto al cardine primario
della guarentigia dei medesimi, che sta nello ac
VOL. III. 32
――――――― 498 -

certamento del suo stato civile . Lo inadempimento


per parte dei genitori dei loro successivi doveri giu
ridici può non esigere che ne sorga la figura di un
delitto civile in ogni suo particolare svolgimento,
perchè, quantunque malizioso e malvagio ciò possa
essere, può trovarsi sufficiente tutela giuridica nella
sola coazione senza ricorrere alla sanzione penale ; e
cosi bastare all'uopo il solo magistero civile. Ma
inutilmente si confiderebbero al magistero civile le
sorti future del fanciullo e i diritti suoi se al mo
mento della sua nascita non fosse nei modi legittimi
accertato l'essere suo, ed i suoi legami con la fami
glia alla quale veramente appartiene. In questo mo
mento, ed a tale oggetto i diritti del fanciullo hanno
bisogno di una protezione più energica e pronta ; e
il magistero punitivo è necessità che sorga con la
minaccia di grave pena a costringere i genitori a fare
quanto le costumanze del luogo stabiliscono per
la constatazione dello stato civile della creatura; e

costringere cosi i genitori stessi come gli estranei


a non far cosa che adulteri la constatazione di

quello stato, e lo renda incerto e più precario di


quello dovrebbe essere per gli ordini veglianti . Ecco
la idea generale alla quale s'informa questa serie
di malefizi che si dicono contro lo stato civile (1).

(1 ) BIBLIOGRAFIA ― Bossio, Tractatus varii, tit. de partu


supposito Farinaccio, pars 6, quaest. 150, n. 239 —
Lyncker, Dissert. de partu supposito - Carpzovio,
Practica, pars 2, quaest. 93, n. 27 et seqq. — Cantera,
Quaestiones variae, cap . 8, n. 33 et seqq. --- Werndly,
Dissertatio de origine status civilis - Rousseaud de la
Combe, Matières criminelles, part. 1, chap. 2, sect. 1, dist. 2
-Struvio, De partu supposito - Menochio, De prae
――― 499 _________

sumpt. lib. 5, praesumpt. 24, n. 1 Sarno, Praxis crim.


cap . 46 - Damhouder, Praxis crim . cap. 25, n. 22
Broya, Practica criminalis, cap. 4 — O hensen, De partu
supposito -Meerbitz, De infantibus supposititiis - Vi
gnoli, De judiciis causarum criminalium, cap. 42, pag. 214
- Hoffman n , De notabilioribus delictorum matrimonialium
temporibus, cap. 4, §. 7 et seqq. - Puttmann, Elementa,
§. 537 - Cremani, De jure crimin. lib. 2, cap. 7, art. 8,
§. 9 Jousse , Justice criminelle, part. 4, tit. 52
D'Aguesse a u, Ouvrages, tom. 2, pag. 111 Mangin ,
De l'action publique, n. 190 --- Armellini, Istituzioni del
diritto penale, §. 535 et seqq. ---- Jacobi, De crimine sta
tutus suppressi, Amstelodami, 1869 Allard, Histoire de
la justice criminelle au XVI siècle, pag. 280, §. 152.

§. 1951 .

Nei tempi di minore civiltà al bisogno della con


statazione dello stato civile di un fanciullo (istin
tivamente sentito da tutti ( 1 ) i popoli) supplirono
i ministri della religione e le istituzioni loro, nelle
quali si riscontra la origine di ogni civilizzazione.
Dovunque per poco rifulse un albore di civiltà che
ritraesse l'uomo dalla vita bestiale e selvaggia, la
religione introdusse dei riti e delle cerimonie le
quali nel loro arcano pensiero guardavano ancora
a questo fine di preparare al neonato nella futura
sua vita un'attestazione o documento qualunque
che gli mantenesse balia di affermare la tribù , la
casta, la famiglia a cui apparteneva. Ma dove gli
ordinamenti civili progredirono a svolgersi con forze
autonome, si comprese che, senza niente avversare
alle istituzioni religiose, e senza niente detrarre
ai diritti del sacerdozio , l'autorità laica doveva e
- 500 -

poteva anch'essa occuparsi di questo fatto e di


questa constatazione . Ed allora si videro nascere
appo le genti più culte i cosi detti atti dello stato
civile; nella qual formula si compendia un sistema
che sotto uno od altro metodo tende a costituire

dei documenti pei quali si dia certezza legale alle


nascite, ai matrimoni, ed alle morti sotto la vigi
lanza dell'autorità secolare, perchè questa ha di
ritto di sapere chi nasce, chi si marita, e chi muore
nella città, senza niente invadere con ciò i diritti
del sacerdozio, a cui resta libero il campo di fare
per i fini suoi altrettante constatazioni con quel
metodo che meglio alla sua legge si adatta .

(1) Sono notissimi i riti delle nazioni orientali in occasione


della nascita dei figli. Un punto oscuro ce lo porge la storia
romana. Molti da diversi frammenti del testo credettero po
tere argomentare che anche nei primi tempi di Roma vigesse
l'obbligo imposto ai genitori di denunciare all'autorità civile
la nascita dei figli. Altri però hanno dimostrato che quei
frammenti appellano o al censo o ai tributi della captazione,
e cosi a denunzie imposte per gli adulti ed ai soli fini fiscali :
e sull'autorità di Giulio Capitolino, nella vita di An
tonio hanno sostenuto che il primo ad ordinare in Roma la
professio liberorum imposita nomine, cioè la denunzia dei figli
al prefetto dell ' erario dentro i trenta giorni dalla nascita,
fosse Antonino Pio , in una Costituzione oggi perduta,
e che egli aveva dettato al fine appunto di impedire le sup
posizioni di infanti. Questo punto storico trovasi sostenuto
con una erudizione che niente lascia a desiderare dal Car
ranza, De partu naturali et legitimo, cap. 5, n. 100 et seqq.
- 501 -

S. 1952 .

Ma codeste diverse pratiche niente modificano


la dottrina che andiamo ad esaminare sotto il punto

di vista del giure punitivo. La scienza del giure


penale è cosmopolita . I delitti contro lo stato civile
non hanno la loro ragione di essere in una forma
speciale o religiosa o civile ( 1 ) adattata presso tale
o tale altro popolo alla contestazione del medesimo.
La loro oggettività giuridica è il diritto che ha
l'uomo allo accertamento di quello stato. Togliete
dal fatto il fine di pregiudicare a codesto diritto ,
ed il reato di che si parla scomparisce e dege
nera. Supponete dei genitori i quali tengano presso
di loro la prole, la riconoscano in faccia al pub
blico come tale, adempiano verso di lei a tutti i
loro doveri, in una parola le diano quello che di
cesi possesso di stato ; ma supponete che per una
miscredenza non le abbiano dato il battesimo , o
per capriccio non ne abbiano fatta la debita de
nuncia all'uffizio dello stato civile : si potrà nella
prima ipotesi cercare se costoro siano colpevoli
di un delitto religioso ; nella seconda potranno es
serlo di una contravvenzione : ma al vero concetto
del delitto contro lo stato civile del fanciullo man

cherà lo elemento intenzionale ; perchè l'azione non


fu diretta contro quella oggettività giuridica che
la legge volle proteggere creando questo titolo di
malefizio (2).

(1 ) I nuovi ordinamenti dati in Italia alla constatazione


dello stato civile con gli articoli 401 , 402 , 403 del Codice
civile, e 845 del Codice di procedura civile ; e col regola
- 502
mento del 15 novembre 1865 , sonosi con molta diligenza e
pazientemente illustrati dal cav. Perotta nel libro che ha
per titolo Stato Civile, Milano, 1872. Il Perotta è l'autore
di un manuale pei Giurati, che è libro utilissimo. Questi
nuovi ordini d'Italia sullo stato civile è a prevedersi che
potranno esercitare un influsso anche sulle materie penali ;
e daranno occasione a nuovi problemi da sciogliersi per opera
della giurisprudenza. Per esempio, potrà seriamente dubitarsi
se dopo i medesimi sia a mantenersi la qualità di pubblici
ufficiali nei parrochi ; la quale era in loro principalmente ri
conosciuta per questo appunto che erano ufficiali dello stato
civile. Ristretto oggi l'ufficio loro al puro ministero religioso
sotto un governo tollerante sembra difficile trovare la inge
renza di servigio al governo che in loro mantenga l'anzi
detta qualità eccezionale.
(2) Nella giurisprudenza, ed anche negli scrittori, si è troppo
spesso confusa la nozione della soppressione di stato con la
nozione dell'abbandono ( esposizione ) di un fanciullo. Vedasi
una dissertazione del Bertolini , inserita nell'Eco dei
Tribunali, ai nn. 961 e 962. Nella esposizione di infante può
essere implicita la soppressione di stato. Ma ciò che forma
la sua speciale essenza è il pericolo di vita derivante al neo
nato dallo abbandono. Perciò questo titolo si colloca fra i
delitti contro la integrità del corpo umano e sta nel mezzo
fra lo infanticidio ( reato contro la vita) e la soppressione di
stato (reato contro i diritti di famiglia). Questo ultimo
aspetto presentando una oggettività giuridica secondaria
scomparisce ovunque sorgano gli altri due. Ma non sempre
si richiede la prova esplicita del fine dello agente per ap
plicare in pratica questa delimitazione. È però facile rias
sumere il concetto : - 1.0 Titolo di infanticidio se fuvvi ab
bandono susseguito da morte e questo sarà doloso se chia
rito il fine micidiale : colposo se non chiarito il fine : ―――――― 2.0 Ti
tolo di infanticidio tentato se chiarito il fine micidiale ma
non seguita la morte : -- 3.0 Titolo di esposizione se mancò
tanto il fine quanto se mancò l'effetto micidiale ; ma vi era
- 503

incertezza di soccorso al bambino, e cosi pericolo alla salute :


- 4.0 Resta dunque il titolo puro di soppressione di stato
nella negazione di tutte le anzidette circostanze : non morte :
non fine micidiale ; non incertezza di pronta assistenza per
mano altrui. Negli altri casi è guida la regola insegnata
anche dai vecchi pratici (Bardelloni, cons. 33, pag. 195)
che quando una stessa azione può presentare due figure cri
minose deve scegliersi fra quelle due, e mai applicare due
titoli di delitto .

§. 1953.

Parimente è a notarsi che il soggetto passivo


del reato dev'essere sempre il fanciullo stesso , o
positivamente o negativamente che siasi operato : e
naturalmente deve essere un fanciullo vivente ( 1 ) al
momento della consumazione . Se invece l'azione

cade sopra il documento materiale, il titolo può


per altra via scomparire e degenerare. Nel fine vi
sarà la mutazione dello stato civile : ma se nel
mezzo si è commessa una alterazione o soppres
sione del registro già regolarmente compiuto, o una
falsa estrattura autentica del medesimo, nasce il
titolo di falso in pubblico documento che eventual
mente può assorbire l'altro titolo, giusta la nota
teorica della prevalenza .

(1) Era ragionevole la limitazione stabilita dalla giurispru


denza delle Corti di Francia (Chauveau, n . 2962 et suiv.)
sulla interpretazione dell'art. 345 di quel codice, per la quale
si negava la imputabilità, o a meglio dire la esistenza del
delitto di soppressione quando era caduto sopra un fanciullo
nato morto. La cosa pareva di tanta evidenza da durar fa
tica a comprendere la oscillazione che divise i giuristi di
--- 504

Francia su tale fattispecie. Ma perchè la lettera della legge


puniva il nascondimento del fanciullo senza distinguere se
morto o vivo, cosi coloro che amano strettamente aderire
alla lettera della legge anche quando essa uccide lo spirito
rifiutavano ogni distinzione . E si segnalò un giudicato in
cui la Corte di Cassazione nel 1863 in affare Molliex Mo
rin, art. 7815), stabili che il terzo il quale aveva nascosto
il cadavere di un fanciullo per il fine di occultare il parto
non poteva mettersi in accusa sotto la incolpazione di sop
pressione di stato. Vedasi anche lo stesso Morin, art. 8855,
e la dissertazione di Cabrye, De la soppression d'enfant
nella Revue de législation, ann. 1875, pag. 400 et suiv. L'art. 345
è stato conservato in Francia senza alcuna modificazione sul
testo del 1810, salvo che vi è stata aggiunta una disposi
zione per questo caso speciale. La massima prevalsa nelle
Corti di Francia che quando non constava il fanciullo essere
nato vivo negava potersi parlare di soppressione di stato,
era logica perchè stando la oggettività giuridica di questo
delitto nei diritti del fanciullo allo stato di famiglia non po
tevano trovarsi tali diritti in un fanciullo nato morto , e così
il delitto di soppressione per la non fatta presentazione ve
niva a mancare di oggetto. Nella riforma del 1863 quest'or
dine giuridico d'idee non poteva prendersi di fronte. Ma i
riformatori osservarono che spesso le donne illegittimamente
fecondate uccidevano il fanciullo e lo sotterravano : perloché
la giustizia venuta tardi in cognizione del fatto non potendo
più trovare nel cadavere corrotto le tracce della vita o della
vitalità del fanciullo, quelle donne si guadagnavano la im
punità. Ad impedire ciò i riformatori francesi intrusero al
titolo della soppressione di stato un secondo alinea nell'art. 345,
dove vennero a stabilire doversi infliggere una pena contro
coloro che avessero nascosto il cadavere di un fanciullo ,
quantunque fosse provato che il medesimo era nato morto,
o ciò fosse rimasto in dubbio. Gli autori di questo fatto
(disse il nuovo alinea ) saranno puniti col carcere da un mese
a cinque anni se non è provato che il fanciullo sia nato
- 505

vivo ; e col carcere da sei giorni a due mesi se è provato


che il fanciullo sia nato morto. Osserva giustamente Morin
(Journal du droit criminel, art. 8206) commentando ' il giu
dicato della Corte di Cassazione del 24 novembre 1863, che
questo fatto presenta una indole giuridica tutta diversa da
quella che è propria del delitto di soppressione di stato . E
difatti sotto il punto di vista della protezione dei diritti di
famiglia quella disposizione speciale non sarebbe giustifica
bile. Come si giustifica dunque ? Qual è l'oggetto del delitto
che qui si è creato ? Qual è il diritto che si è leso col non
denunciare un fanciullo nato morto ? La risposta è impos
sibile. Questa è una legge di sospetto, e niente altro. Si so
spetta che la mancata denuncia nasconda un infanticidio,
anche quando l' infanticidio è dimostrato impossibile perchè
il fanciullo è nato morto : e per un sospetto del quale non
è possibile la realtà, si punisce col carcere un mera con
travvenzione . Ciò potrà recare meraviglia a chi non abbia
familiare la storia dell'antico diritto francese. Ma chi ricorda
che per le ordinanze francesi si arrivò fino a punire di morte
la madre che essendosi sgravata di un feto morto lo avesse
sotterrato senza farne denunzia all'autorità, dovrà convin
cersi della verità di quello che ho detto altre volte , cioè che
le tradizioni delle ordinanze reali non sono ancora in Fran
cia cancellate del tutto. Sulla storia delle singolari questioni
suscitate in Francia ad occasione del nascondimento del fan
ciullo partorito morto ; vedasi Blanche, Cinquième étude,
pag. 289 et 292, n. 266 et 267. In sostanza con la nuova
legge si è venuto a creare in Francia un nuovo titolo di
reato che potrebbe denominarsi inumazione clandestina di
fanciullo nato morto : reato del quale è impossibile assodare
l'obiettivo giuridico. Del resto bene si intende che quando
il fanciullo ha vissuto non si altera il delitto per la circo
stanza che la soppressione siasi commessa dopo la morte
naturale del fanciullo : Blanche , Cinquième étude, n. 258
et 262, pag. 308. E stimo un grave errore ciò che taluno
si accinse poco fa a sostenere, vale a dire che una sop
- 506 -

pressione di stato commessa a danno di un fanciullo che


dopo aver vissuto qualche tempo era morto, non era puni
bile. Si disse che il morto non aveva più diritti, e che perciò
quella soppressione al momento in cui era nata mancava
di obietto giuridico. Ma non vi sono essi diritti dei suc
cessibili ?

S. 1954.

Soggetto attivo primario di questo reato possono


però non essere sempre i genitori del fanciullo .
Può anche commettersi da estranei i quali abbiano
un interesse all'occultamento o all'alterazione di

quello stato. Da ciò nasce che il paziente in que


sta sorte di malefizi non sempre è il solo fanciullo .
Talvolta possono esserlo anche i genitori, talvolta
anche i terzi, come quando si alteri lo stato di una
creatura per pregiudicare ad altra creatura nei
diritti che avesse ad una successione ; o ad un di
rettario nei diritti che avesse alla caducazione di

una enfiteusi per estinzione di linea ; o simili . Da


ció nasce altresi che la passione movente a questo
reato non è necessario che sempre sia l'odio con
tro il fanciullo ; può essere l'odio contro i geni
tori, e l'odio contro dei terzi : può esserlo una mera
speculazione venale senza nessuna concomitanza di
simpatie od antipatie personali ; può esserlo anche
l'amore o verso il fanciullo o verso altri, come nel
caso di una moglie che per dare una consolazione
al marito ( 1 ) simuli un parto, o per risparmiargli
un dolore occulti la morte del figlio ed operi una
sostituzione ; o il caso di chi intenda arrecare alla
creatura benefizio grandissimo facendo passare come
figlia di ricchi genitori la creatura nata da un pez
507 -

zente. Dalle quali osservazioni trasvolate dagli scrit


tori e non contemplate sufficientemente dai Codici
contemporanei, io ne traggo una conclusione che
mi pare degna di essere notata e può riuscire fe
conda di conseguenze. Quando si dice che la ogget
tività giuridica di questo malefizio è lo stato civile
.
del fanciullo, a prima giunta si considera il diritto
a quello stato come pertinente al fanciullo mede
simo ; perchè nei casi più ordinari e frequenti la
legge protegge quel diritto nel fanciullo e non in
altri . Ma ciò non deve prendersi come tassativo .
Alla constatazione del genuino stato civile di un
individuo non ha diritto esclusivamente quell'indi
viduo. Vi hanno diritto anche i genitori, anche i
congiunti, e possono eventualmente avervi diritto
ancora gli estranei . Quando la legge pertanto im
pone il genuino accertamento dello stato civile, ed
eleva a reato ogni alterazione che se ne commetta
mira a proteggere il diritto di tutti coloro che vi
abbiano interesse. Di qui la varietà infinita delle
forme che può assumere questo malefizio ; la di
versità delle quali deve essere calcolata come cri
terio misuratore della sua quantità, ma non toglie
al fatto il criterio essenziale di reato tosto che la
falsità ebbe potenza di recare nocumento a qualcuno .

(1) Cosi narrano gli storici che Eutropia supponesse Mas


senzio ut Maximianum sibi devinctum haberet.

S. 1955.

Una ultima proposizione occorre però stabilire


prima di fare passaggio allo esame delle singole
< 508 --

specie qui pertinenti . Lo stato di famiglia che la


legge penale protegge, quale deve egli essere ?
Dissi sopra che alla essenza della famiglia non è
necessario il matrimonio legittimo purchè il con
cubito abbia dato vita all'inalterabile rapporto di
filiazione . E se anche senza legittimo matrimonio
può aversi famiglia nel senso giuridico, e società
parentale almeno fra la madre naturale e la prole,
è chiaro che anche codesta famiglia benchè meno
legittima costituisce una oggettività giuridica, e
che sviluppa il diritto che sia fatta fede di quello
stato tale quale è, quantunque meno proficuo. Vi
sarà lo stesso divario che intercede fra la proprietà
della giubba lacera del pezzente ed il superbo mo
nile della duchessa. L'oggetto materiale del diritto
è assai diverso in valore ; ma il diritto di pro

prietà ugualmente completo è ugualmente sacro.


Il figlio naturale è infelice, ma meno infelice del
vulgoquesito, meno dello adulterino e dello ince
stuoso . Qualunque egli sia lo stato nel quale na
cque il fanciullo interessa a lui e può interessare
agli altri che sia conosciuto, e mantenuto nella sua
verità . Vi possono essere ragioni speciali di con
venienza ed anche riguardi politici per cui certe
forme nelle quali vedremo estrinsecarsi i reati di
che si tratta, non vogliono essere perseguitate dalla
legge penale nella madre illegittimamente fecon
data ; perchè deve rispettarsi l'ostacolo che frap
pone il pudore alla pubblicazione del vero stato
di un fanciullo . Ma questa contingenza non impedi
sce che in punto di vista astratto si ravvisi anche
nel figlio illegittimo un diritto al mantenimento
del suo stato, poichè è incontrastabile che la legge
509

ove quello sia pubblicato e debitamente stabilito,


vi annette delle utilità sostanziali con apposite
disposizioni ( 1) .

(1 ) Anche il figlio naturale ha un sacro diritto a quello


stato che gli dà la sua nascita : Accollas, Condition des
enfants nés hors mariage, pag. 55. Questo diritto è perfetto
e incondizionato rispetto alla madre : e in faccia alla verità
astratta come in faccia alla suprema legge di natura sarebbe
perfetto ed incondizionato anche rispetto al padre se la pa
ternità non fosse un mistero. Ma quando il mistero non è
più tale per le recognizioni dell'uomo che sopra tutti aveva
il mezzo di chiarire l'arcano e raggiungere intorno a questo
punto di fatto, se non la positiva certezza, una probabilità
almeno equivalente alla certezza, la condizionalità dello stato
del figlio naturale è cessata anche in faccia al padre. Sarebbe
dunque grave errore supporre che lo stato civile e i diritti
a conseguirlo e a vederlo rispettato, fossero retaggio soltanto
della prole legittima. Lo stato di filiazione naturale potrà
essere in faccia ai provvedimenti delle leggi civili fecondo
di minori e di più limitati diritti che non lo sia in faccia
alla legge di natura, ma sarà pur sempre uno stato giuridico.
Presso i romani regnava la massima partus ventrem sequitur;
perloché lo stato dei figli naturali era determinato dalla con
dizione della madre. Al contrario presso popoli di altre razze
vigeva una regola singolare tutta diversa : quella cioè che
si esprimeva col broccardo en for-mariage le pire emporte le
bon : vale a dire che il figlio naturale aveva lo stato di quello
fra i genitori che era in condizione deteriore. Da ciò derivò
nell'antica Francia la massima consuetudinaria che i bastardi
nati da persone non nobili si dichiarassero servi. Questa
costumanza fu tolta da Luigi IX ; e apparve come una no
vità la disposizione che leggesi negli stabilimenti di San Luigi
(lib. 2, cap. 31) che il figlio naturale dovesse sempre seguire
la condizione della madre senza che peraltro fosse ammesso
-- 510 -

per allora a succedergli ; che anzi neppure si aveva come ca


pace di trasmettere per successione esso medesimo , contra
standosi la successione sua fra i baroni ed il Re : Morillot,
De la condition des enfants nés hors mariage (Revue historique,
vol. 12, pag. 365) . La tesi che si commetta soppressione di
stato anche a danno di prole illegittima si è sostenuta da
Giuseppe Mangano in apposita dissertazione che ha
per titolo del reato di soppressione di stato, dove la spinge
con buone ragioni anche alla prole incestuosa ed adulterina.
La massima che si abbia il delitto di soppressione di stato
anche a danno di un figlio naturale quando si presenta la
creatura allo stato civile sotto il nome di una madre imma
ginaria, celando il nome della vera, è stata sanzionata dalla
Cassazione di Francia in affare Merlo il 29 maggio 1873.
Godin suite à Morin art. 9613.

ARTICOLO II.

Specialità differenti che cadono sotto


il presente titolo .

S. 1956 .

I Codici contemporanei (già lo accennai al §. 1389)


procedono con grande superficialità nella contem
plazione dei fatti che cadono sotto il presente titolo
di malefizio e sul calcolo della respettiva imputa
bilità . Essi non sono neppure d'accordo nella enu
merazione di tali fatti. Alcuni di questi (come il
francese art. 345 e per conseguenza il sardo (1 )
art. 506) puniscono a questa serie il rapimento o
sottrazione d'infante : fatto che già altrove ho no
tato essere del tutto aberrante dalla serie attuale .

Chi invola un figlio ai genitori non ha la veduta


P
――――――――― 511 ―――

di distruggere la prova dei diritti di famiglia spet


tanti a quello o di spogliarnelo . Esso intende a
cavare un profitto dal corpo che via conduce col
farne o strumento di proprio lucro o servigio di
propria libidine. Nel primo caso si ha un delitto
contro la libertà personale che già conoscemmo
col nome di plagio : nel secondo caso si ha un
delitto simile quando il soggetto passivo non è con
senziente (e lo conoscemmo sotto il nome di ratto)
oppure quando il soggetto passivo è consenziente
si ha un reato contro i diritti di famiglia, ma con
tro i diritti dei genitori e non già contro quelli
della prole come vedremo nel prossimo capitolo.
Sicchè se mai vi fu uno spostamento di classi ed
una confusione di titoli che per la loro diversa
oggettività volevano essere distinti, ciò avvenne
in questo viziosissimo congiungimento del ratto di
fanciullo con la soppressione di stato (2).

(1) Quam pauca sapientia regitur mundus ! I legislatori


sardi del 1839 che compilarono il Codice penale di Carlo Al
berto sul testo del Codice di Francia, ne tolsero di pianta
l'art. 345 che tradussero nel loro art. 548. Poscia i nuovi .
legislatori sardi del 1859, riprodussero l'art . 548 nell'art. 506
del Codice penale che intendevano dare alla Italia libera, e
che anche oggidi forma tuttavia gli amori di certuni. Eb
bene ! Quei legislatori cosi intenti a tradurre il Codice fran
cese dimenticarono che per ben tradurre bisogna talvolta
ricorrere al vocabolario . E cosi caddero nel grossolano equi
voco di convertire la parola francese enfant, dell'art. 345,
nella parola italiana infante. Cosi si fanno le leggi nella pa
tria di Beccaria ! E ciò ha dato occasione a parecchi giuristi
di sostenere che sotto l'impero del Codice sardo la soppressione
di stato di un fanciullo di sette anni ed un giorno nọn è pu
512 -
nibile perchè quel fanciullo non è più infante, determinandosi
l'infanzia ai sette anni !!! Non meno gallomani ma più eruditi
nel gallico idioma i legislatori di Parma nell'art. 383 del
loro Codice del 1820 avevano tradotto la parola enfant nella
parola fanciullo. E cosi il Codice napoletano (art. 346) maltese
(art. 204) e gregoriano (art. 309).
(2) Il Codice del Brasile al capitolo terzo del titolo secondo ,
che intitola contro la sicurezza dello stato civile e domestico,
contempla all'art. 255, il caso dell'uomo che si finga marito
di donna non sua contro la volontà di lei pel fine di usurpare
i diritti maritali ; e della donna che fingasi moglie di alcuno
per il medesimo fine : e minaccia la prigione da un anno a
sei. Poco vi vuole a discernere che questo fatto si avvicina
piuttosto alla frode se fu commesso per fine di lucro, e ai
delitti contro la pudicizia se per fine di libidine.

§. 1957 .

Altri Codici hanno distinto l'occultamento (1) di


fanciullo dalla soppressione di stato, presentandoli
come due titoli diversi. Ma qui di nuovo vi è con
fusione d'idee, perchè o la occultazione materiale
del fanciullo ebbe per fine di privarlo dello stato
di famiglia che a lui apparteneva ; ed allora l'oc
cultamento non essendo che uno dei mezzi condu

centi alla soppressione di stato non vi ha ragione


di costituirne un titolo differente da questo : o l'oc
cultamento si esegui nella veduta di trarre un be
nefizio qualunque dal corpo del fanciullo , ed allora
si ritorna nel titolo di plagio sostanzialmente diffe
rente dal titolo di che si parla e di gran lunga più

grave. Le quali confusioni si vogliono censurare


non solo perché deviano dalla rigorosa esattezza
della scienza, ma perchè conducono necessariamente
allo ingiusto effetto di una sproporzione nella pe
- 513 ―――――

nalità . Il legislatore presentando a se stesso come


uguali e congeneri delitti che sono difformi, si fa
naturalmente a contemplare la più prominente di
tali figure, e adattando la penalità alla gravezza
di questa, viene a minacciare una pena esorbitante
alle altre che ha inavvertentemente conglomerate .
Cosi avvenne al codice francese del 1810. Mise
alla pari il fatto di rapire un fanciullo ai genitori
col fatto di quella donna che per suoi fini avesse
simulato di essere madre. La gravità del primo
fatto lo portò a minacciare la pena della reclu
sione da 5 a 10 anni ; e cosi codesta pena si trovò
inflitta anche al secondo fatto quantunque sia in
tuitiva la differenza di gravità che fra l'uno e l'al
tro intercede.

(1) La osservazione da me fatta in ordine alla inutile su


perfetazione del titolo di occultamento, la ritrovo nel Pel
lerin (Commentaire de la loi des 18 avril, 13 mai 1863,
pag. 178 et 180) in critica all' art. 345 del Codice francese.
L'occultamento (recélé) egli dicenon può presentare una figura
criminosa di per sé stante. O si è rapito il fanciullo ; ed il
delitto sta nel ratto, e l'occultamento non è che un seguito
dell'azione criminosa rispetto all'autore, o un fatto di com
plicità rispetto ad altri : o il fanciullo è rimasto al suo luogo,
e soltanto si è tenuta nascosta la sua nascita per togliergli
lo stato di famiglia che avrebbe dovuto avere ; ed allora il
delitto sta nella soppressione di stato di cui l'occultamento
non è che un mezzo . Questa verità è cosi palpabile che il
Cosentino (Codice penale italiano annotato, pag. 348) ed
altri commentatori del Codice sardo, quando si sono accinti
a delineare i fatti che la legge designava col nome di occul
tamento non hanno saputo fare di meglio che riunirli col
rapimento, ed indicare la occultazione come un seguito o
come un mezzo della sottrazione del fanciullo.
VOL. III . 33
- 514 -

§. 1958.

Nel puro concetto di questa serie di reati si è


mantenuto a mio credere il Codice toscano . Esso

all'art. 259 riduce a tre le relative specie, e di


ciascuna di loro determina la nozione desumendone

il criterio essenziale dal fine . Esso descrive le tre


forme materiali in cui si estrinseca questo reato
con i verbi sopprimere, cambiare e supporre un
infante: abbiamo dunque tre fatti nei quali si com
pendiano tutti i possibili modi di porre in essere
la violazione del diritto allo stato di famiglia ; cioè
la soppressione d'infante, il cambiamento d'infante :
la supposizione d'infante : di ciascuno dei quali de
lineeremo tra poco le condizioni e le contingenze.
Ma questi tre fatti devono avere tutti il carattere
che costituisce la speciale oggettività giuridica del
presente titolo : vale a dire debbono eseguirsi al
fine prossimo di alterare lo stato di famiglia di
un fanciullo . Ciò può farsi tanto per procurare
uno stato di famiglia a chi non spetta, quanto
per torlo a chi spetta, lo che attiene al fine re
moto che deve aversi in vista come criterio mi

suratore, giusta quello che fra non molto svilup


però . In quel fine prossimo consiste l'elemento
intenzionale di questo malefizio ; un altro fine lo
fa degenerare in diverso titolo.

§. 1959.

In quanto allo elemento materiale non vi è cir


coscrizione di modi od atti nella nozione di questo
? ―――― 515 -

reato, purchè quelli adoperati siano idonei a rag


giungere il fine suddetto , e purchè non facciano
trascendere l'azione in un più grave malefizio : e
tale trascendimento può avvenire cosi in ragione
dei mezzi che per avventura ledano un diritto po
ziore, scegliendo (a modo di esempio, §. 1376 e
segg . ) il modo della esposizione ; quanto in ragione
del fine se siasi alterato lo stato al fine remoto di
ledere un diritto poziore, per esempio di costruire
una calunnia . È però indispensabile che lo individuo
sul quale l'azione è caduta sia un fanciullo , vale
a dire che sia nato di fresco sicchè non abbia an

cora potuto acquistare il possesso del vero suo


stato : lo che porta alla conseguenza che l'indivi
duo del quale si alterò lo stato civile non può mai
essere nè autore nè partecipe del malefizio. Se un
adulto alteri il proprio stato attribuendosi una fa
miglia, un grado, una condizione che non ha, dove
ciò faccia per fine malvagio commetterà un delitto
diverso, ma non un delitto contro i diritti di fa
miglia. Dove lo faccia per mera boria o pompa noi
diciamo per opinione nostra che non commette
delitto veruno, quantunque la giurisprudenza di
Francia ( 1 ) giudichi diversamente.

(1) Vedasi ciò che dicemmo al §. 1746 nota.

S. 1960 .

La soppressione che è la prima forma esteriore


di questo malefizio si ha tutte le volte che per
qualsivoglia modo si toglie al fanciullo lo stato vero
senza attribuirgliene un altro ; cosicchè egli si trovi.
- 516 -

nel mondo senza sapere a qual famiglia appartiene.


I genitori legittimi che gettino la prole alla ruota
(i quali già dissi al § . 1387 non potersi conside
rare come rei di esposizione d'infanti ) si rendono
responsabili di questo reato (1 ) : come pure coloro
che consegnino ad estranei il fanciullo affinchè lo
tengano perpetuamente all' oscuro della sua vera
origine e dei suoi relativi diritti. Ma a mio cre
dere potrebbe aversi la soppressione di stato anche
in una alterazione parziale ; quando, per ipotesi,
si fosse presentato un fanciullo al fonte battesimale
.
mentendone dolosamente il sesso senza niente altro.

alterare nelle sue condizioni di famiglia.

(1 ) Leggesi in Accollas (Conditions des enfants nés


hors mariage, pag. 111, Paris, 1865) che attualmente si tro
vano in Francia un milione e cinquecentomila cittadini in
stato d'illegittimità . Credesi forse che tutti costoro siano ve
ramente generati da concubito illecito, e che non ve ne sia
una parte notevole di abbandonati barbaramente dai genitori
legittimi ? Il delitto di soppressione di stato è più frequente
che non si crede , perchè la impotenza della vittima lo fa
troppo spesso rimanere nelle tenebre.

S. 1961 .

Gli estremi della soppressione ( 1 ) si esaurireb


bero, per quanto ho detto di sopra, anche nella
consegna fatta del fanciullo alla ruota per conto
della madre illegittimamente fecondata ; avvegnachè
con ciò si distrugga quello stato qualunque che da
vano al fanciullo le sue relazioni di filiazione, e gli
s'impedisca di esercitare i diritti che le leggi gli
avrebbero accordato . Ma a costituire in un fatto
517 -

di tale natura un reato punibile si oppongono gravi


riguardi politici, onde evitare l'infanticidio o la
esposizione ai quali spingerebbe il pericolo di una
pena contro la consegna alla ruota. Aggiungasi che
si oppone anco un argomento giuridico ; inquantochè
non trovasi il dolo speciale costitutivo del presente
malefizio nella fanciulla illegittimamente fecondata ,
la quale sedotta dal desiderio di nascondere il pro
prio fallo non considera nella sua prole uno stato
giuridico che voglia distruggere maliziosamente ;
e tende il più delle volte a procurarle quei pronti
e necessari soccorsi che la propria situazione le
torrebbe di porgere .

(1) Vedasi Cabbye , De la suppression d'enfant nella


Revue de législation, ann. 1875, pag. 387 ; e a pag. 394 dove
tratta la questione sorta fra i criminalisti francesi intorno
al più vero senso che le ordinanze attribuivano al titolo di
suppression de part, e sua differenza con la soppressione di
fanciullo.

S. 1962 .

Il cambiamento o sostituzione avviene quando


o per opera dei genitori respettivi, o di una nu
trice, o di chiunque altro, si barattino nella cuna ( 1 )
due fanciulli onde procurare che l'uno e l'altro
crescano come rampolli di una famiglia alla quale
veramente në l'uno nè l'altro appartiene. In questa
forma di malefizio il danno dell'individuo cambiato.
è relativo ed eventuale. Il fanciullo che dalla ricca

cuna passò nella povera pati grave ed ingiusto


danno di altrettanto di quanto incontrò ingiusto
guadagno l'altro fanciullo che dalla povera passò
- 518 ――――――――

alla ricca. Ma non può valutarsi questa indebita


compensazione per minorare la gravità del fatto,
nel modo medesimo che ugualmente sarebbe reo
di furto chi avesse tolto una somma ad un ricco
per farne largizione ad un miserabile. Soltanto può
essere valutata come criterio misuratore della quan
tità naturale di questo malefizio la circostanza della
scienza e consenso dei genitori . Se il baratto si
esegui per volontà comune dei genitori dei due
fanciulli i delitto è semplice ; e soltanto potrà
usarsi mitezza verso i genitori poveri che consenti
rono a trasportare l'amata prole in cuna dorata ;
ed esercitarsi rigore contro i genitori snaturati che
per vedute loro personali consentirono a spogliare
il proprio figlio dei diritti a lui guarentiti dal suo
nascimento . Ma quando il baratto si eseguisca alla
insaputa di alcuno dei genitori il delitto si rende
complesso, perchè oltre ai diritti del fanciullo si
ledono quelli dei genitori, che si trovano fra le
braccia una prole non loro : e da ciò se ne aumenta
la quantità naturale .

(1) Quando qui si usano da me le parole infante e cam


biamento nella culla si usano demostrativamente e non per
farne un requisito essenziale. Io professo la opinione che
questi delitti possano (in certe condizioni) verificarsi nella
loro forma ordinaria e completa anche a danno di persona
adulta. In generale corre alla mente la idea della creatura
che non conosce il suo stato e che non è in grado di cercarlo
o di reclamarlo. Convengo che questo sarà il caso più fre
quente, ma non è l'unico : 1° Può essersi commesso a danno
di un demente di dieci anni, o di un sordo muto di sedici
anni : 2º Il delitto non si esaurisce soltanto con il non fare
acquistare lo stato, ma anche con il togliere uno stato ac
――― 519 ——

quistato 3 Se un uomo provetto si assenta dalla patria e,


per lunga stagione mancandone notizia, alcuni congiunti,
per usurparne il retaggio, foggiano lettere o con altre arti
ne fanno credere la morte, non sarà qui una soppressione
di stato ? Con il far passare un vivo per morto non si sop
prime uno stato di famiglia ? Primo cardine di tutti i rap
porti di famiglia non è dessa la vita ? 4º Il Codice francese
non referi egli all'obbiettivo dei reati contro lo stato di fa
miglia i fatti che contempla agli art. 199 e 200 ( vedasi
Blanche , Quatrième étude, art. 199 et 200, pag. 26 ) quan
tunque commessi su persone adulte ? 5º Non deve egli dirsi
lo stesso dei casi contemplati da quel Codice nell'art. 192.
Io non veggo disparità di ragione in quanto al collocamento
fra questo caso e gli altri testè ricordati. Ripeto che questa
classe di reati è forse quella che più di ogni altra ha biso
gno di riordinamento e di elaborazione scientifica : 6º Stimo
erronea pure la opinione di chi vorrebbe fare di questi reati
un delitto proprio, insegnando che si commetta soltanto da
coloro che hanno l'obbligo personale di assicurare lo stato
al fanciullo. Ma se è possibile in fatto che lo stato civile di
una persona si aggredisca per opera di estranei, non dovrà
dunque essere protetto contro tali aggressioni ? 7º Equivo
cata eziandio mi sembrò la opinione di chi andando al
concetto diametralmente opposto al precedente insegnò che
la soppressione di stato non poteva verificarsi tranne dove
esisteva una precedente dichiarazione di stato ; e che, in
mancanza di questa, il reato doveva denominarsi occultazione
e non soppressione. Qui lo equivoco consiste nel confondere
il diritto con la prova del diritto . Può essere diversità nella
forma secondochè un diritto si vuole distruggere diretta
mente : oppure per giungere a questo fine se ne distrugge
la prova ; ma l'obiettivo giuridico è l'identico. Si è con
fuso ancora la occultazione di corpo con la occultazione di
nome ; ossia non si è bene distinto forma da forma . In
somma questa materia è indigesta cosi negli scrittori come
nei Codici.
520 ---

S. 1963 .

La supposizione può essere o di fanciullo, o di


parto. È supposizione di parto ( 1 ) quando una donna
simuli per privati suoi fini la gravidanza ed il parto,

presentando poi come frutto di questi fatti, che mai


hanno esistito, una creatura non sua . È supposizione

di fanciullo se la gravidanza ed il parto realmente


hanno esistito, ma, il frutto dei medesimi essendo
mancato ai viventi, si è posto in luogo di quello
un altro fanciullo . Questa diversità per altro fra
supposizione di parto, e supposizione d'infante non
può avere influsso sulla quantità del reato . Cosi
nell'uno come nell'altro modo vi è un delitto mi

nore che nel cambiamento, quando non evvi il fan


ciullo che deteriori di condizione. Ma anche qui
può essere valutabile la circostanza del consenso
o della ignoranza nei genitori ai quali si suppone
un figlio ; e la circostanza del consenso dei genitori
ai quali il figlio si è tolto per supporlo ad altri :
avvegnachè se questi ultimi ne siano dissenzienti
il reato si complica col titolo di plagio. Ma quando
questa forma si svolga nella sua massima sempli
cità e col consenso di tutti i genitori, non vi è
gravità che possa stare al confronto di quella che
si presenta nelle altre forme. Il fanciullo morto o
non nato non offre termini di lesione di diritto . Il
fanciullo supposto entrando in una famiglia più ricca
guadagna più felice avvenire. I quattro genitori sono
tutti lieti e contenti : sicchè tutto il danno colpisce
i congiunti (se ve ne ha) ai quali con ciò si è tolta
la speranza di una successione. Ora questo elemento
――― 521 ―――

di danno può essere bene valutabile quando i di


ritti dei congiunti siano in qualche modo quesiti
(legittima, fedecommesso , enfiteusi pattizia) ma è in
significante quando i congiunti abbiano una mera
speranza che può essere delusa da un testamento .
Quando io sono libero di spogliare i cugini con un
atto di ultima volontà, dove è il mio delitto se amo.

meglio pigliare il bambino illegittimo della fan


tesca e supplire alla mia orbità con il supporlo
partorito dalla infeconda mia moglie?

(1) La materia della supposizione del parto, le sue varie


penalità, ed i suoi speciali indizii, largamente si esposero
dal Caldero, Decisiones Cathaloniae, decis. 61 per totum ;
ove riferisce un giudicato del Senato di Catalogna 17 marzo
1660, che condannò allo esilio per quindici anni una matrona
che aveva supposto un parto per indurre il suo amante a
sposarla.

S. 1964.

Laonde ripeto adesso ciò che altrove (§. 1389 )


accennai. I Codici contemporanei, ponendo in un
fascio tutte queste svariatissime contingenze, non
hanno servito bastantemente alla giustizia ; perchè
hanno unificato nella pena fatti diversi cosi nelle
loro condizioni ontologiche, quanto più specialmente
nelle loro condizioni giuridiche. In primo luogo
dovrebbe distinguersi fra le azioni commesse per
impulso di odio o contro i genitori o contro il fan
ciullo, e quelle commesse per impulso di amore o
verso lui o verso altri. La supposizione di parto
o d'infante si presta più specialmente a questa os
servazione. Il reo di soppressione di stato non può
522 -

agire che per fine malvagio ; è necessariamente ca


gione di grave danno alla vittima. La supposizione
al contrario può avere un fine remoto buono in se
stesso come lo ha l'adozione : con essa certamente
s'intende a migliorare la condizione del fanciullo .
Anche quando sia fatta ad insaputa dei genitori
può procedere dal desiderio di beneficare la crea
tura , risparmiando nel tempo stesso un grave do
lore ai genitori a cui sia morta la vera próle mentre
era a nutrice . Lo stesso è a dirsi se trattasi di

supposizione di fanciullo fatta nel fine di conten


tare un avo od un marito nel desiderio che egli
ha di avere discendenza . E quando anche sia fatta
al fine di togliere ad estranei le speranze della
successione, quanto costoro non possono vantare un
diritto quesito, non vi è propriamente (come ho
detto) un danno di grande importanza, e non vi è
malvagità nell'azione . Questa verità si è intrave
duta dal Codice toscano, il quale (art. 259, §. 2)
mentre alla soppressione e sostituzione inalterabil
mente infligge la casa di forza da tre a sette anni ,
ammette che la pena possa discendere, per la sup
posizione alla carcere da sei mesi a tre anni ,
accennando in tal guisa alla differenziale che inter
cede fra i due reati nel rapporto della loro quan
tità. Ma questa diversità di misura avrebbe dovuto,
secondo il mio debole avviso , essere precettiva an
zichè meramente facoltativa, come evidentemente
lo è nell'articolo del Codice toscano, dove lascia
all'arbitrio del giudice il decidere se il caso è leg
giero senza definire la leggerezza . In una parola
io vorrei che della supposizione di parto o d'infante
si facesse una figura distinta dalla soppressione e
―――― 523 ―――――

dalla sostituzione, le quali presentano sempre danno


gravissimo ad un fanciullo innocente : vorrei che
nella supposizione si distinguesse il caso della ve
dova che tende ad usurpare la eredità di diritto
pertinente ai congiunti del marito, e si punisse più
severamente degli altri casi secondo il criterio mi
suratore dei delitti contro la proprietà, ai quali in
sostanza e per gli effetti e per la intenzione si af
fratella. Il criterio misuratore nei delitti contro la
proprietà è, come vedremo, il valore del tolto . Qui
la vedova simula una gravidanza ed un parto per
arricchirsi : perchè in questa forma speciale della
usurpazione dell'altrui dovrà affatto dimenticarsi
il criterio desunto dal valore, e porre alla pari in
faccia alla legge la vedova che con siffatta frode
usurpa poche masserizie e quella che usurpa un
patrimonio cospicuo ? Negli altri casi vorrei poi
che si distinguesse la supposizione avvenuta col
consenso di ambedue i genitori ai quali si suppone
la prole ; la supposizione avvenuta per volontà di
un solo di loro ; e la supposizione consumata alla
insaputa loro. Altro è il delitto di due coniugi orbi
che, volendo dare a credere al mondo di avere un
figlio, se lo procurano da una contadina e lo fanno
erede del loro nome e della loro fortuna senza
danno di alcuno : altro è il delitto di una moglie
che per far pago il marito nel desiderio di prole
e guadagnarsene meglio gli affetti, profitta della
sua assenza per presentargli come sua una creatura.
accattata, onde tenergli occulto lo infortunio della
ejezione immatura, o della morte di quel figlio del
quale esso partendo l'aveva lasciata incinta . Altro
è il delitto della nutrice la quale essendole morta
―――― 524 --

la creatura affidatale per allattarla riporta ai cre


duli genitori una creatura diversa o propria o
raccolta da altri. Io trovo disparità tanta fra caso
e caso che mi repugna vederli tutti unificati in un
articolo e in una pena.

§ 1965.

In secondo luogo io pongo a confronto il delitto


di adulterio susseguito da fecondazione e il caso di
supposizione di parto per opera della moglie ad in
ganno del marito. In che differiscono nel fondo della
cosa le due fattispecie ? Si nell' una come nell'altra
al credulo marito si presenta un figlio non suo
perchè egli come suo lo raccolga amoroso fra le
braccia ed a quello elargisca le sue cure e le sue
proprietà. Se non che l'adultera oltre a ciò ha tra
dito la fede coniugale ; lo che non si è fatto dal
l'altra donna. Ebbene : trovate leggi che a questa
minacciano la reclusione ed a quella che accoppiò
all' inganno la infedeltà infliggono una breve car
cerazione. lo convengo della difficoltà di bene pre
stabilire in una legge queste differenti ipotesi ma
non lo credo impossibile : e nessuno potrà negarmi
che giustizia vorrebbe lo fossero .

S 1966 .

In terzo luogo non dovrebbe egli distinguersi


il caso nel quale il delitto siasi condotto a fine
togliendo al fanciullo il possesso di stato che gli
spettava o immettendolo in un possesso indebito,
senza dar vita ad un documento che certifichi il
- 525 ―――――

falso stato; ed il caso in cui siasi spinta la frode


fino al punto di creare questo documento fallace ?
Ciò costituisce evidentemente un falso, sia pure

un mero falso personale, ma è sempre un falso .


I Codici che hanno cosi elevato la pena di questi
reati forse si sono inspirati al concetto romano
che ravvisava in loro una specie di falso in pub
blici documenti . Ma io domando se la supposizione ,

soppressione, e sostituzione che si è compita, senza


alterazione o falsità di pubblico documento, con lo
immettere il fanciullo nel possesso del falso stato,
lasciando in pace i documenti di nascita come stanno
secondo il vero, siano fatti che cadono o no sotto
questo titolo ? Se non yi cadono , si è lasciato senza
repressione fatti che possono essere di grandissimo
nocumento, perchè il possesso di stato può ad un
dato tempo essere attributivo di diritti importanti,
ed esigibili quanto se fossero assodati da un do
cumento . Se vi cadono, non è conforme a giustizia
che si adegui nella pena una frode commessa senza
il concorso di falso in documento pubblico, ad una
frode accompagnata da si grave reato . Certamente
non vorrà dirsi che in faccia al testo di quelli ar
ticoli i quali prevedono il caso speciale, si possono
obiettare come due delitti, la supposizione (a modo
di esempio) ed il falso personale negli atti dello
stato civile , e cosi infliggere due penalità.

§ 1967.

In quarto luogo bisogna considerare anche nel


delitto di supposizione se vi fu una causa radical
mente giusta che condusse a quel fatto ; cosicchè
- 526 -

esso possa prendere l'aspetto di una ragione fat


tasi . Un marito reduce da lungo viaggio trova in
cinta la moglie. Cosa fare ? Egli inclina a perdonare
alla donna : la pietà e l'affetto verso di lei, la fede
nel suo pentimento, il desiderio di non recare di
sturbo alla famiglia e non spezzare un nodo che
presenta dei vantaggi, lo distolgono dal porgere
querela di adulterio . Ma l'intruso non può assidersi
al banchetto di famiglia ; l'amor proprio del marito
non tollera di vedersi ogni giorno fra i piedi il
testimonio della onta sua : la voce di quell' inno
cente che lo chiamerà padre sarà un pugnale al
suo cuore ulcerato : giustizia non permette che il
retaggio dei figli legittimi già nati o di quelli che
nasceranno si usurpi dal frutto di un delitto . Il
marito perdona, ma a condizione che lo stato del
fanciullo sarà soppresso . Con ciò è tolto il diso
nore, restituita la quiete alla famiglia, ed obbedito
alla giustizia : la moglie sente la convenienza della
condizione, aderisce ; e tutto è fatto di comune
accordo, e l'orizzonte della famiglia torna sereno.

Ma sorge l'accusa pubblica. Ecco un delitto di sop


pressione che il Codice francese punisce con la re
clusione da cinque a dieci anni , e il Codice sardo con
la relegazione di pari tempo. Quale speranza rimane
alla coscienza pubblica in faccia ad un giudizio
che svolgasi in tali condizioni ? Quella sola di in
contrare giurati intelligenti i quali rinneghino la
verità dichiarando non constatare di soppressione .
Le sole circostanze attenuanti non bastano, perchè
queste porterebbero a tre anni di relegazione in
faccia al Codice sardo, ed al carcere da uno a

cinque anni in faccia al Codice francese ; penalità


527 ―

sempre soverchia per l' infelice marito in simili


condizioni di fatto . Un magistrato toscano all'ombra
del nostro Codice ne uscirebbe col titolo di ragione
fattasi, e condurrebbe la cosa ad uno stato di mag
giore verità giuridica e di maggiore equità. Ma
non bisogna aspettare che i giudicanti facciano uno
sforzo di coscienza od uno sforzo d' ingegno per
ridurre la legge a termini di ragione . Per quanto
è possibile, vogliono essere dalla legislazione pe
nale distintamente previste tutte quelle contingenze
che esigono speciali provvedimenti , e delimitati i
fatti che porgono sostanziali differenze di gravità
morale e politica ( 1 ) . Torno dunque a dire che
questo titolo di reato ha bisogno di ulteriori ela
borazioni nella scienza e di correzioni legislative .

(1) Non potrebbe provvedersi a questo caso (frequente


nelle famiglie più assai che non si crede) adattando qui la
teorica del falso commesso per provare un fatto vero ? Il
padre di famiglia che manda agli esposti il prodotto indu
bitato di un adulterio , sopprime uno stato falso perchè si
rispetti lo stato vero.

§ 1968 .

Resta a dire qualche cosa in ordine al tentativo,


poichè l'argomento del grado non presenta spe
cialità eccezionali in questo genere di reati : ma
il problema del conato è alquanto difficile. Trat
tasi di stabilire qual è il vero momento della con
sumazione sia nella soppressione, sia nella sosti
tuzione, sia nella supposizione d'infante. Qui si
comincia dallo stabilire che il momento della con

sumazione non può cercarsi nel raggiungimento


-- 528

dell' ultimo fine dell' agente . Questo fine è di ot


tenere che il fanciullo mai non giunga al godimento
del vero suo stato, o si mantenga in quello stato
falso che gli si volle imporre . Ora, fino a che
quel fanciullo vive, potendo scuoprirsi la frode e
restituirlo al possesso del vero suo stato, se la
consumazione si cercasse nel raggiungimento del
l'ultimo fine dell' agente si verrebbe all' assurdo
che il delitto non sarebbe mai consumato fino alla
morte di colui che ne era il soggetto passivo . Pos
siamo dunque procedere con tutta sicurezza ad af
fermare che alla consumazione di questi reati non
sia necessario il raggiungimento dell'ultimo fine.
E qui si conferma la nostra regola generale che
la consumazione dei reati non deve cercarsi nella

obiettività ideologica ma sempre nella obiettività


giuridica (1 ).

( 1 ) Vedasi la nostra dissertazione sul momento consuma


tivo del furto ; letta come prolusione al corso accademico
1870-71 , Lucca. Tip. Giusti, 1870, riprodotta nell'osserv. 11
dei miei lineamenti di pratica legislativa. Torino, Bocca, 1874.

§ 1969 .

Ma la difficoltà s' incontra nel determinare se


alla consumazione del malefizio basti siasi eseguito
quell'atto materiale del traslocamento del fanciullo,
pel quale esso viene a spogliarsi del possesso di
quello stato che gli apparteneva, e ad immettersi
nel possesso di uno stato che non era il suo , op
pure se occorra di più che siasi posto in essere
quell'atto solenne (o battesimo, o iscrizione ai re
- 529 ―――

gistri) che gli usi e leggi locali prescrivono come


testificazione dello stato civile di ogni cittadino . E
la difficoltà cresce se si contempla il dubbio rispetto
alla ipotesi della soppressione perchè questa può
estrinsecarsi soltanto in un atto negativo . Avvi
ciniamoci alle diverse ipotesi per meglio compren
dere il dubbio e concretarlo. Una nutrice aveva
un bambino ad allattare : questo essendo morto,
essa ne ha trovato un altro, e ponendoselo al seno
ha mantenuto i genitori nella illusione che il loro
figlio vivesse, ed ha mensilmente riscosso le mer
cedi . Se la frode viene scoperta essa dirà che la
sua sola intenzione era quella di scroccare le paghe,
ma che però quando le fosse stato richiesto il
bambino avrebbe palesato ai genitori l'infortunio
patito e quello sarebbe rimasto a cui spettava. Il
delitto di costei dovrà giudicarsi con le minime
proporzioni di una scroccheria di meschino valore ;
oppure qualificarsi come tentativo di sostituzione

d' infante ; oppure punirsi come sostituzione con


sumata ? Una donna che mai non fu incinta , o che

si sgravò di creatura morta, si fece recare un


bambino altrui , e lo esibi alla famiglia ed ai co
noscenti come il frutto delle sue viscere, e lo tenne
come suo figlio : ma quel bambino era già stato
battezzato od iscritto a nome dei veri suoi geni
tori ; oppure non era mai stato ne battezzato nė
iscritto, e la donna che andava dicendo di averlo
partorito non aveva ancora avuto il coraggio di
farlo iscrivere a nome suo . Costei discoperta che
sia potrà dedurre di non avere ancora consumato
il delitto, perchè l'atto solenne di registrazione a
suo nome non fu ancora eseguito ed essa era an
VOL. III. 34
530 ―――――――――
cora in tempo a pentirsi ? Una maritata ha dato

alla luce un figlio ; i coniugi lo tengono presso di


loro, o lo consegnano ad una nutrice : ma passano
i giorni ed essi non procacciano la iscrizione di
quel figlio nè sotto una falsa indicazione , ne sotto
la vera inquisiti, essi diranno che non volevano
altrimenti sopprimere lo stato di quel fanciullo ,
ma soltanto pigliavano il comodo loro per farne
la constatazione : diranno ancora, che avevano
grande tentazione di sopprimerne lo stato per sot
trarre il figlio agli oneri pubblici ; ma che tuttavia
pendevano incerti, e probabilmente si sarebbero
pentiti . Di siffatte procrastinazioni al battesimo per
sospetti maritali se ne sono vedute, che poi hanno
finito con ridurre il marito ad accettare la prole
mercè compensazioni ed accordi di famiglia . Se in
questo frangente sopraggiunge la mano della giu
stizia, dovrà egli dirsi che si ha nel ritardo un
tentativo di soppressione (principio di esecuzione
che consisterebbe nel non fare) o che si ha il de
litto consumato ? Ovvero che si hanno dei meri

momenti preparatorii che non rivelano ancora ab


bastanza la volontà di delinquere, sicchè tutto si
sciolga in una contravvenzione ? Due amiche hanno
partorito l'una una femmina e l'altra un maschio :
si sono cambiate la prole dando ciascuna di loro
a credere di avere procreato un figlio di sesso di
verso dal vero : prima che sia fatta la iscrizione
contro la verità dello stato di quei due neonati
dovrà dirsi consumato il delitto, dovrà dirsi che
fu tentato , o che fu preparato soltanto ? Su queste
ed altre simili contingenze io ho meditato lunga
mente : ed ingenuo confesso che non mi è riuscito
- 531 -

trovare una formula la quale possa servire di norma


costante e generale alla soluzione del problema
nelle diverse configurazioni dei casi.

§ 1970 .

La falsa iscrizione scioglie tutti i nodi e porta


senza dubbio alla consumazione, ma per la sua
sola mancanza non parmi che come regola assoluta
si possa stabilire che il reato rimanga sempre, per
cagione di tale difetto, nella sfera del tentativo .
Rispetto al titolo di soppressione il criterio della
consumazione si può trovare sufficiente nello ab
bandono del fanciullo ad altre mani, purché sia
certa la determinazione di far ciò col fine di to
glierli il vero suo stato. Ma prestabilire con una
regola assoluta quali saranno le circostanze che
riveleranno alla giustizia quella rea determinazione
mi pare impossibile. Sicchè può dirsi che, dato l'ab
bandono ad altre mani col fine suddetto , o vi è
delitto consumato o non vi è niente ; perchè o il
giudice si fa certo di quella intenzione , e la ese
cuzione è completa ; o non se ne accerta, e non
vi è neppure tentativo . Rispetto al titolo di sosti
tuzione (o cambiamento ) parmi altresi che il mo
mento della consumazione stia nell' abbandono re
spettivo delle creature eseguito dalle due madri .
Si dirà che desse potevano utilmente pentirsi , e
ciascuna di loro ritornare i figli al vero loro stato .
Ma il criterio della utilità del pentimento non è
sempre sicuro per escludere la perfezione del de
litto . Anche chi espose l'infante poteva pentirsi e
tornare a riprenderlo ; anche il ladro può pentirsi
532 --

e riportare la roba al padrone : ma ad onta di tale


possibilità i loro delitti si tengono per consumati ,
perchè la irretrattabilità dell'effetto non è condi
zione consumativa di pochissimi malefizi .

§ 1971 .

La ipotesi finalmente della supposizione mi tiene


anche più incerto ed esitante . Finchè il figlio sup
posto non fu coi modi legali costituito nelle appa
renze del falso stato, più volentieri inclinerei a
riconoscervi un mero atto preparatorio ; o tutto al
più un solo principio di esecuzione del reato quando
la determinazione fosse bene accertata . Prima di

quel momento la volontà criminosa non si è an


cora mostrata perseverante fino all'estremo ; la
natura del fatto esigeva un ultimo complemento.
Le dichiarazioni al marito, ai parenti, ai vicini, e
la introduzione del fanciullo nel letto della donna ,
erano atti esecutivi di un'azione che aspettava però
il perfezionamento criminoso dalla dichiarazione
officiale . A prima giunta questi pensieri mi por
terebbero ad opinare che, fino a quel momento
fossimo sempre nella sfera del prossimo conato.
Ma d'altronde bisogna riflettere che in faccia alle
leggi e alla giurisprudenza, il possesso di stato, è
operativo di effetti giuridici gagliardi e gravissimi.
E se dunque il figlio supposto non si fosse mai
inscritto a nome dei falsi genitori , ma pur ei fosse
cresciuto nel possesso del falso stato, dovrebbe egli
dirsi che il delitto non si sarebbe consumato mai
benchè il pravo fine si fosse raggiunto ? Ma il pos
sesso di stato quando si compie ? L'incoarlo equi
--- 533 -

vale al compirlo ? Una madre che ha perduto il


proprio bambino può farsi recare l' altrui per un
sollievo al suo dolore o per un bisogno fisico : la
consumazione del reato consisterà dunque in una
mera parola, nello aver detto questo è mio figlio,
ed avremo un delitto verbale ? Ecco le gravi dif
ficoltà che ho voluto accennare su questo delicato
problema, intorno al quale non trovo luce negli
scrittori, e che vorrei si sciogliesse da altri più
abile e fortunato di me.

ARTICOLO III.

Penalità.

$ 1972.

Dalle leggi romane il delitto di supposizione di


parto consideravasi come un falso, e punivasi con
la pena del falso testamentario : leg. 19 et 30 ff.

ad leg. Corn. de falsis ; et leg. 1 et 10 C. eod.


tit. Ed è notabile come per la suddetta leg. 30
§. 1 questo delitto non fosse di azione pubblica ,
ma se ne permettesse l'accusa a quei soli della
famiglia che potevano avervi interesse. Pensano
però gli eruditi che nell'antica Roma non si aves
sero provvedimenti speciali salvo la legge di Ro
molo (ricordata da Plutarco nella vita di questo
Re) che si limitava a permettere al marito di con
gedare la moglie quando gli avesse supposto un
figlio . Ed anzi alcuni colpiti dal vedere come gli
antichi comici romani ponessero in iscena cosi di
frequente storie d'infanti sostituiti o supposti , con
― 534 ―――

getturarono che ciò si facesse appunto da loro al


fine di eccitare la vigilanza dei magistrati onde
provvedessero a questo delitto . Quando poi soprag
giunsero le pene contro gli orbi ed i celibi , questo
reato dovette divenire frequentissimo in Roma ;
ciò forse eccitò la costituzione di Antonino ( 1 ) che
per il primo decretò dovervisi applicare la pena
del falso .

(1 ) È però grave divergenza negli scrittori intorno alla


pena che venne ad incorrersi in Roma per la costituzione
di Antonino ; discutendosi latamente se la poena capitis indi
casse la morte ossivvero la deportazione . Sono per la morte :
Peguera, decis. crim. 80, n . 8 -- Afflicto, decis. 21, n. 8.
Sono per la deportazione : Sarno, Praxis crim. cap. 46, n. 25
et seqq. - Farinaccio, quaest. 150, n . 242- Carpzovio ,
Practica, pars 2, quaest. 93, n . 27 ·- Menochio, De arbitr.
lib. 2, cas. 206, n. 3.

§ 1973.

La pratica andò sempre più crescendo nell'odio


sità contro questo delitto ( 1 ) e per tale cagione ,
secondo i costumi d'allora si venne insegnando
che contro il medesimo doveva farsi un processo

privilegiato ; formula bestiale che traeva seco le


conseguenze di potere esaminare i figli contro la
madre, i complici e gli interessati come testimoni,
di ammettere le ritrattazioni dei fidefacienti, di con
cedere al giudice balia di cercare le prove anche
fuori del processo in virtù di un suo potere di
screzionale , ed altre tali enormezze insegnate dal
feroce Mascardi (De probat. conclus. 1147) e
dai suoi seguaci : le quali cosi spesso lordarono le
- 525 -

procedure dei tempi passati ; ed avverso cui è me-.


stieri che la scienza opponga una barriera costante
affinchè non tornino idre novelle a far guerra alla
umanità ed alla giustizia.

(1) Per alcuni statuti consideravasi questo delitto come


capitale: Grivelli, Decisiones Dolanae, dec . 101, n. 9 - Fa
bro, In codicem lib. 9, tit. 13, def. 13 -
- Boerio, decis. 82,
n. 8. In Spagna punivasi con la deportazione o con lo esilio :
Velasquez, Consilia, lib. 1, consil. 96, n . 25 et 26 Car
ranza, De partu naturali et legitimo, cap. 5, sect. 1, n. 13,
19 et 20. Alcuni vollero costituire un gius singolare contro gli
ostetrici punendo in loro più gravemente questo delitto :
Fornerio, Rerum quotidianarum, lib. 1, cap. 20 in fin.
Gregorio, Syntagma juris, lib. 36, cap. 3, n . 5. Nelle Partidas
(ley 3, tit. 7, part. 7) si mantenne questo delitto nella serie
di quelli da perseguitarsi a sola azione privata ; escludendo
però dal diritto di accusa il figlio , in conformità della dispo
sizione generale contenuta nella leg. 11, § 1 ff. de accusatio
nibus. In Francia secondo Jousse (Justice criminelle, par. 4,
tit. 52, n. 3) si puniva di morte ; e secondo Rousseaud de
la Combe (Matières criminelles, part. 1, chap. 2, sect. 1, dist. 2)
col bando perpetuo. Nel Portogallo per le Ordinanze Alfon
sine (Mellio, Institut. juris crim . Lusitani, tit. 5, §. 5) pu
nivasi con la relegazione al Brasile . Quanto alle costumanze
di alcuni paesi di Alemagna può vedersi Leucht, Consilia
Altdorfina: consilium supernumerarium, pag. 367. Anche le
vecchie pratiche toscane sembra che ricorressero per questi
fatti alla pena del falso ; Sabello, In summa, verbo fal
sum, n. 4.

S. 1974.

La Carolina non aveva speciale disposizione per


questo reato. Cosicchè gl' interpreti ebbero ricorso
- 536 ―――

al diritto comune per applicarvi l'art . 112 della


costituzione, che contemplava il falso ; e su questa
base irrogarono la fustigazione. Puttmann, Ele
menta, §. 537 --Carpzovio, Practica, quaest. 93,
n. 29 Clasen, ad art. 112, C. C. C. pag. 347 .
I Codici contemporanei non è meraviglia che
siano stati fluttuanti nel determinare la pena di
questo reato poichè vedemmo come fluttuassero
nel determinarne la nozione . Ferisce infatti la

mente il passaggio da una estremità di rigore ad


una estremità di mitezza . Rimpetto al Codice di
Friburgo (art. 199) che spinge a dieci anni di la
vori forzati la pena della soppressione di stato :
al Codice di Vaud (art. 249) che minaccia dieci
anni di reclusione ; al Codice delle Isole Jonie (ar
ticolo 665) che minaccia la casa di disciplina sino
a dieci anni ; al Codice del Vallese che (art. 257)
minaccia la reclusione fino a dieci anni ; al Co
dice portoghese (art. 340) che minaccia la depor
tazione (degredo) fino a quindici anni : si incon
trano altre legislazioni che scendono alle infime
pene ; come il Codice peruviano (art. 575) e il bo
liviano (art. 651 ) che applicano la reclusione da
uno a tre anni ; e il Codice del Brasile (art. 254)
che infligge la prigione da quattro mesi a due anni .
Fra queste non può noverarsi il Codice toscano
che (art. 259 ) commina la casa di forza da tre a
sette anni salva la limitazione accennata di sopra ;
nè il Codice sardo (1 ) che (all' art. 506) irroga la
relegazione da cinque a dieci anni.

(1) È una specialità delle leggi sarde la disposizione del


l'art. 32 del Codice di procedura del 1866 -- ivi Nei reati
- 537 -

di soppressione di stato l'azione penale non può promuoversi


che dopo la sentenza definitiva del giudice civile sulla que
stione di stato. La quale disposizione quanto sia ridicola e
vana lo mostrai a luce meridiana in un articolo intitolato
pregiudicialità che fu per la prima volta pubblicato nel 1872
dal giornale Le Leggi di Genova . Storicamente vuole essere
notata la leg. 2, C. de testibus, la quale non ammetteva si
provasse con il mezzo di testimoni la ingenuità.

CAPITOLO VI.

Sottrazione di minori.

S. 1975 .

Quando esponemmo (§ . 1663 a § . 1701 ) i delitti


contro la libertà . individuale dovemmo tenere pro
posito del plagio e del ratt) : i quali due reati ve
demmo in sostanza avere a comune le condizioni
esteriori della loro materialità, e diversificare sol
tanto in ragione del fine : che nel ratto deve es
sere quello di libidine o di matrimonio, e nel pla
gio quello di un'altra qualsiasi utilità che si speri
trarre dal corpo della persona abdotta, o ritenuta
contro sua voglia. Questi due reati nella loro con
figurazione propria vedemmo avere come essenzia
lità comune la condizione che l'abduzione o la ri
tenzione si consumassero contro la volontà della
persona rapita, sia perchè ella fosse affatto inca
pace di consentire, o fosse ingannata, o realmente
dissentisse e resistesse alla occupazione arbitraria
della sua persona. Laonde questa prominente og
gettività del diritto alla libertà individuale violato
col malefizio, ci costrinse a collocare quei fatti
―――― 538 ―

nella classe dei delitti contro la libertà personale .


Ma fin d'allora notammo che il plagio ed il ratto
potevano assumere una forma eccezionale od im
propria quando la persona ritenuta o condotta via
fosse stata consenziente. In tale ipotesi era mani
festo che di restrizione alla libertà individuale non

poteva adombrarsi neppure la immagine, mentre


invece la persona che si diceva rapita aveva eser
citato la sua libertà seguitando spontaneamente il
sedicente suo rapitore : perlochè queste forme ec
cezionale sfuggivano da quella classe (1 ).

(1) In quanto alle altre forme criminose che potrebbero


noverarsi nella classe dei reati i quali hanno il loro obiettivo
nei diritti dei genitori sulla prole, può vedersi Thonissen ,
Étude sur l'histoire du droit criminel, vol. 2, append. A,
chap. 4, pag. 150.

§. 1976 .

m"- a
Ma vi possono essere dei casi nei quali, se il
consenso della persona che si dice rapita riduce
ad un paradosso trovare il criterio del malefizio
nel diritto alla libertà individuale, sottentrino altri
criterii i quali, porgendo una diversa oggettività
giuridica offesa dal fatto, impongano se ne costi
tuisca titoli speciali di malefizio per la violazione
verificatasi, non per violazione di diritti inerenti
alla persona via condotta, ma di diritti inerenti
ad altre persone rispetto a quella . Questi diritti
non possono radicarsi in altro che nelle relazioni

di famiglia ; e perciò quelle forme speciali che si


estrinsecano nel plagio improprio e nel ratto im
proprio (o dicendolo in genere nella sottrazione
- 539 V

di minori) vengono per necessità logica a trovare


conveniente sede nella presente classe di malefizi .
Vedemmo testé come la società parentale sviluppi
nei figli dei diritti verso i genitori, e cosi dei doveri
giuridici in questi rapporto a quelli. Il principio fon
damentale che insegna come il diritto abbia la sua
vera genesi nel dovere (essendochè se la legge su
prema impone il dovere è logica necessità che ella
compartisca il diritto a tutto ciò che è indispen
sabile per l'adempimento di quel dovere) mostra
evidente la origine dei diritti reciproci dei geni
tori sui figli, e cosi della patria potestà . Se i geni
tori hanno il dovere di nodrire , educare ed istruire
la prole debbono avere il diritto di comandarle,
di tenerla presso di loro, di vigilarne la condotta
ed interdirle tutto ciò che credono esserle di no
cumento o fisico o morale. Il diritto di patria po
testà si viola dunque dai figli che prima di quel
periodo di vita in cui per la maturità della prole
cessa la necessità costitutiva del rapporto giuri
dico (oltre il quale periodo non rimangono che
rapporti meramente morali ) si sottraggono dalla
casa e dalla vigilanza dei genitori .

§. 1977 .

A tutto rigore di principii trovando l'oggetto di


questi reati nel diritto dei genitori e di altre per
sone aventi autorità sopra i giovinetti bisognerebbe
concludere che anche il figlio che fugge è parte
cipe (o forse meglio autore principale) del male
fizio insieme con lo estraneo che lo conduce o lo

accoglie. E non mancarono statuti i quali sotto


540 ―――――――

ponessero a modiche coercezioni anche la rapita


consenziente . Ma la idea di comunicare la imputa
bilità politica anche al figlio che si sottrae dai ge
nitori o dai tutori, non poteva guadagnare signoria
nella dottrina penale : sia perchè si presume che
il giovine inesperto abbia subito la seduzione dello
estraneo : sia perchè sarebbe stato crudele ed im
politico che i genitori denunciando (1 ) il fatto
esponessero a giudizio criminale i propri figli.
Invalse dunque la regola che il minore fuggito
dalla casa paterna si considerasse come mero sog
getto passivo del reato del quale erano pazienti
i genitori, e che aveva il suo oggetto nei diritti
di questi su quello : e tutta la severità della giu
stizia punitiva si strinse sul capo degli estranei
che avessero istigato il minore a fuggire o lo
avessero aiutato o raccolto o nascosto. Il giovi
netto rimase in tal guisa in una situazione inter
media : non fu nè agente nè paziente, ma un mero
elemento indispensabile a completare la soggetti
vità del malefizio .

(1) Per la odiosità contro il ratto, Giustiniano nella leg. 1 ;


C. de raptu virginum minacciò la deportazione contro i ge
nitori che non lo avessero denunciato, o che lo avessero per
donato . E parecchi statuti mantennero siffatto rigore. Mean,
Observationes ad jus Leodiensium, obs. 681, n. 9. Ma limitossi
dalla pratica per il ratto improprio, vedi § 1991 .

§. 1978 .

In questo elemento la condizione essenziale può


variare secondo il vario modo di vedere delle scuole

o dei legislatori ; avvegnaché possano dalle leggi


- 541 -
civili venire stabiliti differenti termini alla mag

giore età ed alla patria potestà : per esempio può


la minore età finire a ventun'anni e la patria po
testà finire ai trenta. Allora può nascere il grave
dubbio se la sottrazione del figlio per essere ele
vata a delitto abbia bisogno di violare quella patria
potestà più piena che hanno i genitori sulla prole
minorenne, o quella autorità che hanno i tutori
sui loro pupilli ; oppure se le basti lo avere vio
lato quella patria potestà meno piena che i padri
conservano per un certo periodo anche sopra i
figli maggiori per certi effetti determinati dal giure
civile. E su questo proposito esaminando il pro
blema in faccia alla scienza io sarei di opinione
.
che non dovesse aversi riguardo nessuno alla pa
tria potestà eventualmente prolungata da alcune
leggi civili oltre la età maggiorenne . Negli odierni
costumi l'uomo giunto alla età maggiore, dove an
che voglia considerarsi per certi effetti patrimoniali
tuttavia subordinato alla autorità paterna, deve per
mio avviso essere libero dispositore della propria
persona. Il Codice penale toscano rispetto questa
verità nei termini di plagio, come altra volta
(§. 1671 ) notai . Ma in proposito di ratto dovrò
tornare fra poco su questo argomento.

§. 1979 .

Determinato cosi come si costituisca la impro


prietà nel plagio e nel ratto, quando assumono
il titolo comune di sottrazione di minori, rimane
a mostrare come ritornino ad aver valore le dif

ferenziali intercedenti fra quei due titoli in ragione


- 542

del diverso fine . Imperocchè se la sottrazione del


minore alla potestà patria o tutoria ( 1 ) si faccia
pel fine di libidine o di matrimonio, avremo il ti
tolo di ratto improprio ; e se si faccia per altri
fini avremo il titolo di plagio improprio. I quali
due titoli (quando si vogliono considerare come
fatti meritevoli di sanzione penale) non differiscono
soltanto nel nome, ma soggiacciono anche a re
gole diverse in quanto alle loro condizioni essen
ziali : e molto variano nella respettiva penalità .

( 1) Anche nel tutore si ravvisano dei veri diritti sopra


za evi
il pupillo, i quali non possono da questo violarsi senza
tare relativi provvedimenti. La genesi di tali diritti si trova
nel diritto connato che ha ogni uomo di esercitare la propria
attività a benefizio del suo simile quando versi in condizione
di averne bisogno ; come bene spiega l'esimio Prof. Tolo
mei, Diritto naturale, §. 212, e Baroli , Diritto naturale,
§ . 91.

S. 1980.


Il ratto improprio ha per sue condizioni :
1. l'abduzione o ritenzione: 2º. il consenso della
rapita: - 3º. la età : -4° . il dissenso dei geni
tori (1): - 5. il fine di libidine o matrimonio .

(1) La figura del ratto improprio si adattò in Italia anche


al fatto di chi avesse condotto via una schiava altrui per
fine di mescolarsi con lei o di farla sua moglie. Sui relativi
provvedimenti degli statuti italiani e sulla durata nelle varie
repubbliche d'Italia della schiavitù delle donne barbaresche
fino al secolo XVII vedasi l'erudito scritto di Salvatore
Bongi intitolato : Le schiave orientali in Italia, che trovasi
nella Nuova Antologia, vol. 2, pag. 233.
- 543

S. 1981 .

1° L'abduzione o ritenzione costituisce lo ele


mento materiale (1 ) su cui niente abbiamo da ag
giungere a quanto dicemmo al §. 1689 e seguenti .
Bensi è da notare che se nella ipotesi del ratto
proprio (violento o quasi violento ) il giudicabile
deve per necessità presentare una certa serie di
atti materiali da lui posti in essere per consu
mare la violenza o l'inganno ; nel ratto improprio -
per lo contrario la materialità criminosa può tutta
esaurirsi nel fatto della stessa ragazza, ed a questo

la imputabilità del rapitore collegarsi per un solo


vincolo morale senza nessuna sua fisica parteci
pazione. Quando (a modo di esempio) egli abbia
indotta la ragazza a fuggire, e preparato il locale
dove essa andrà a nascondersi , o fissato il punto
di riunione, la evasione dalla casa paterna si con
sumi esclusivamente dalla ragazza senza nessun
aiuto dell'altro . Ciò costituisce un materiale tutto
esaurito dal soggetto passivo del malefizio, ma non
dimeno è esclusivamente autore del malefizio (2)

chi ne fu causa morale ; appunto perchè data la


non imputabilità dello esecutore materiale del fatto ,
questi giuridicamente viene a guardarsi come un
mero strumento di chi gli diede lo impulso ; l'atto
materiale di lui si considera come fatto da quello ,
ed esso è per conseguenza l'unico e vero autore
del reato .

(1) Credette taluno trovare la origine della formula ratto


in parentes in un'antica consuetudine di Francia . Ma Leyser
544
(spec. 593, medit. 9) dimostrò con molta erudizione che il
ratto in parentes conosciuto dalla antica Francia era d'indole
ben diversa da quello che con siffatta formula si designava
appo le altre nazioni ; essendochè in Francia si punisse come
delitto il matrimonio contratto senza consenso dei genitori
sotto la dominazione di ratto in parentes ; cosicchè questo
titolo ebbe colà l'attitudine speciale di comprendere anche il
ratto dell'uomo e il ratto senza abduzione : lo che nota Leyser
essere una specialità unica, ignota presso tutte le altre na
zioni. Checchè sia di ciò, certo è che nella pratica universale
le formule ratto in parentes o vis in parentes non si appli
carono se non dove ricorreva la vera abduzione della ragazza
consenziente .
(2) Non è mancato chi abbia espresso opinione che fosse
conveniente di punire anche la ragazza per la fuga dalla casa
paterna, inquantochè anch'essa viola i diritti di famiglia.
Anche l'esimio Consigliere Martinelli nel suo Prodromo
al Codice penale vorrebbe si punisse la ragazza. Ma per
quanto io rispetti la dottrina di questo sapiente magistrato,
e trovi nel suo libro molti pensieri apprezzabili per novità,
e giustezza, non mi soscriverei in questa parte alla sua
opinione per le due ragioni che ho accennato al §. 1977.
Aggiungerò ancora che essendo (come dirò a suo luogo) ge
nerale la dottrina antica e moderna sul proposito della non
punibilità del furto commesso dal figlio a danno del padre,
facile si scorge quale analogia corra tra caso e caso ; e come
l'argomentazione che l'illustre scrittore desume dalla viola
zione del diritto paterno commessa dalla figlia non sia sem
pre buona ragione per dimenticare i riguardi che osteggiano
il procedimento penale . Una sentenza del tribunale di Spa
latro del 18 gennaio 1865, n. 2544 condannò a pena afflittiva
una donzella che aveva cooperato al proprio rapimento. Quei
giudicanti mossero dal principio che le disposizioni generali
in tema di complicità non trovavano nella legge una limita
zione nel caso del ratto : ma ciò che più dette argomento a
quel giudicato si fu che la difesa sosteneva la non punibilità,
-- 545 --

sulla regola che nessuno poteva essere al tempo stesso sog


getto attivo del reato e formarne nei diritti a lui spettanti
l'oggetto. Ora fu facile al tribunale di eliminare questa pa
radossale applicazione della regola, osservando che l'oggetto
del ratto improprio non sono i diritti della ragazza, ma i
diritti dei genitori ; e cosi tornò a capello il ragionamento
del Martinelli. Ma la Corte Suprema di giustizia in
Vienna, con sentenza del 7 giugno 1865, assolvette la fan
ciulla per la ragione che le regole generali sulla complicità
suppongono un'azione materialmente diretta a danno del
terzo ; aggiungendo ancora che la fuga dalla casa paterna
non può essere delitto perchè specialmente prevista dal §. 145
del Codice civile austriaco. Pare a me che la lettera della
legge offrisse la via più semplice per risolvere la questione
in questo secondo senso.

S. 1982 .

2.º Il consenso della rapita è il criterio che di


stingue il ratto ( 1 ) improprio dal proprio . Il con
senso estorto per violenza morale o per inganno
non è consenso giuridico. Ma quando l'assenti
mento fu spontaneo, e la ragazza fuggi per get
tarsi desiderosa nelle braccia dell'amante suo con

piena scienza di ciò che faceva e del fine per cui


fuggiva, inutilmente si porterebbero in campo le
arti amatorie e la seduzione per negare la verità
del consenso prestato . Inutilmente del pari , in faccia
a quelle legislazioni che mantengono il ratto im
proprio nel novero dei delitti, si pretenderebbe in
un senso tutto opposto distinguere fra consenso e
comando per sottrarre il rapitore alla pena . Questa

considerazione se può influire sui criterii misura


tori della quantità non altera i criterii essenziali
VOL. III. 35
- 546 -

del malefizio . Può benissimo avvenire che una ra


gazza ebbra d'amore o stanca dei rigori domestici
immagini essa medesima la propria fuga, la pro
ponga, la raccomandi, e con preghiere e lagrime
induca il rapitore a darle mano (2). Tuttoció potrà
valutarsi a discarico del giovine per attenuare il
suo fallo ; ma non denatura il delitto . Anche le se
vizie, per quanto gravi ed intollerabili, dei genitori
non possono guardarsi come circostanze che esclu
dano la criminalità . Un tribunale di giurati , che
non pronunzia mai per un dettato di ragione ma
per ispirazioni del momento, potrà forse in tale
stato di cose rispondere con un verodetto negativo
sul ratto. Ma il magistrato forza è che si limiti
ad attenuare, non potendo in faccia al precetto
della legge ammettersi che una ragazza, per quanto
stimisi malmenata, abbia il diritto non solo di porsi
in salvo , ma anche quello di gettarsi in braccio
all' amante, e che questi faccia atto legittimo col
torsela in moglie. In simile ipotesi sarebbe però
evidente che il reato non si consumerebbe con
l'abduzione ma con la ritenzione . Se si cambia il

fine dell'azione, come dirò tra poco, la cosa è di


versa .

(1) Presso molti popoli antichi il ratto fu la forma di


contrarre le nozze che si usò spesso in modo reale, come
attesta la storia delle Sabine, e delle Spartane rapite dai
Messeni, e quindi restò come simbolo nelle cerimonie nuziali
di parecchie genti. Succedette al ratto la compra delle fan
ciulle che dura ancora in Oriente. Poscia venne la dote, la
quale, benchè proibita da diversi legislatori Greci affinchè la
donna non sembrasse comprare il marito, servi a grande stru
mento di civiltà rialzando la persona della donna nella famiglia.
547 -
(2) Quanto al valore da darsi alle dichiarazioni della ra
gazza, in quanto al concorso del di lei consenso, vedasi Ma
riano Socino , Juniore, vol. 3, cons. 5.

§. 1983 .

3.º La età richiama a due distinte contempla


zioni ; vale a dire al termine a quo, e al termine
ad quem . In quanto al termine a quo, vi deve es
sere un periodo dentro al quale il consenso della
ragazza si abbia come nullo per la incapacità as
soluta in lei di emettere un consenso giuridico .
Allora il fatto cade in quella configurazione che
fu detta per assimilazione violenta , ma che me
glio (a parer mio) deve dirsi piuttosto di sedu
zione presunta ; per la grande ragione che la vio
lenza esige il dissenso, e che chi non è capace di
consentire non è neppure capace di dissentire . Ma
qualunque sia la formula che si prescelga sorge
in tal caso la configurazione del ratto proprio.
Questo termine a quo il Codice toscano (art. 286)
lo fissò ai dodici anni, distinguendo per altro un
periodo intermedio per certe modificazioni del
l'azione e della penalità . Chi per fine di libidine
o di matrimonio rapisca una fanciulla inferiore alla
età cosi determinata dalla legge, inutilmente fa
rebbe appello al consenso della giovinetta ( 1 ) per
impropriare il titolo del suo reato . In quanto al
termine ad quem la definizione del medesimo di
pende dalla soluzione del dubbio che ho accennato
di sopra. Dove le leggi civili fanno durare la pa
tria potestà oltre la maggiore età dei figliuoli,
sorge il dubbio se la fuga dalla casa paterna per
- 548

fine di matrimonio o libidine della figlia che abbia


compito gli anni ventuno (termine della minoretà)
ma non compito quegli anni ai quali la patria po
testà viene disciolta (per esempio di trenta) costi
tuisca delitto per l'amante che l'abbia seco rac
colta ai suddetti fini. In punto astratto di diritto
ho già detto che ciò non mi pare ammissibile.
Non ostante sembra che il Codice penale toscano
all'art. 287 ponga come termine ad quem della im
putabilità del ratto improprio non già la età mag
giore della ragazza, ma la sua liberazione dalla
patria potestà.

(1) Per le scuole e leggi contemporanee il delitto di ratto


improprio non cade che sopra una donna. Quando invece sia
una donna che per fine di libidine o di matrimonio sottragga
un giovinetto consenziente all'autorità dei genitori, il fatto
sfugge alla moderna nozione. Sembra però che nella pratica
siasi talvolta punito in addietro anche questo fatto per una
di quelle analogie delle quali troppo si abusò nelle materie
penali ; vedasi Brillon, Dictionnaire des arrêts, mot rapt.
pag. 677. La ragione di distinguere trovossi in questo che
il giovine sedotto non perdendo l'onore, dal ratto di lui non
ne deriva il costringimento dei genitori a consentire le nozze.

S. 1984.

O
4. Il dissenso dei genitori è il quarto estremo
del ratto improprio ; e qui è manifesto che in fac
cia ad un padre rendutosi dolente del ratto della
figliuola non è a lui che incombe di provare il dis
senso, ma è all'accusato che incombe (se lo può)
di provare il consenso : nè facilmente a lui potrà
menarsi buono il pretesto di un consenso tacito o
549 -

di un consenso presunto . Ma una difficoltà può


nascere nella ipotesi di divergenza fra i genitori (1 ).
La madre, a modo di esempio, era in accordo con
la figlia e con l'amante di lei per procacciare il
matrimonio al mezzo della fuga : il padre ne dissen
tiva. Oppure il caso era rovescio. Che dovrà
dirsi ? (2) Certamente se il diritto leso in questo
malefizio è quello della patria potestà poichè la
medesima vivente il padre concentrasi in lui , il
delitto niente perderà delle sue condizioni essen
ziali per l'annuenza materna, la quale potrà soltanto
considerarsi come una diminuente . E ad ogni modo
quando anche si volesse riconoscere in entrambo
i genitori dei diritti ugualmente gagliardi sopra
la prole, varrebbe allora la regola del testo alla
1. Sabinus ff. communi dividundo , che nelle cose
comuni la volontà di chi nega prevale a quella
di chi consente ; onde il dissenso di uno dei geni
tori renderebbe inefficace il consenso dell' altro .

(1) Può domandarsi se ad avere la vis in parentes, che


costituisce la oggettività del ratto improprio, sia necessaria
nei genitori la condizione di legittimi . Questa questione fu
esaminata in Francia dove il ratto improprio (che niente è
punito se la ragazza ha più di sedici anni) è parificato al
ratto proprio se cade sopra una donzella al disotto di sedici
anni. E fu deciso che la legittimità dei natali fosse circo
stanza indifferente, bastando alla punibilità del ratto della
consenziente inferiore ai sedici anni dissenso della madre
anche naturale quando fosse riconosciuta per tale ed avesse
la direzione della fanciulla : vedasi Morin, Journal de droit
criminel, art. 6599, 7324 et 7974, ove riporta il giudicato
della Corte di Bordeaux del 24 agosto 1864 nel senso sud
detto. La questione relativa alla figlia di madre vedova ra
- 550 ――――

pita dissenziente la madre la tratta Puttmann, Adversa


riorum, vol. 2, cap. 29, pag. 200. In pratica io ebbi il caso
della madre vedova che voleva dare querela contro il rapi
tore della figlia, mentre il tutore consentiva al matrimonio
e negava dare querela : e sotto il governo delle Leggi to
scane prevalse la volontà del tutore. Appo noi senza dubbio
il ratto non cessa di essere improprio perchè siasi usata vio
lenza vera contro i guardiani della ragazza quando era con
senziente. Ma in faccia al §. 96 del Codice austriaco ciò fu
argomento di questione : vedasi la relativa dissertazione di
Kitka nell'Eco dei Tribunali, n. 854, anno 1858.
(2) Un caso singolare si verifica nella ipotesi di una ve
dova la quale sia passata a seconde nozze mentre ha una
figlia minore del primo letto. Venuti in dissidio i nuovi co
dici, se il secondo marito conduce a coabitare secolui la figlia
della moglie che spontanea lo seguita ma contro i voleri
della madre, si dimanda se a costui serva di scusa la qualità
di patrigno e contutore della rapita. Questo caso si presentò
ai tribunali di Francia nell'affare Pillon, e fu deciso dalla
Corte di Cassazione con decreto del 14 decembre 1860 nel
senso della criminosità ; e ciò fu giustamente deciso perchè
l'obiettivo di quel ratto improprio erano i diritti della madre
sulla propria figlia niente modificati dalle seconde nozze. Se
peraltro lo stesso caso si verificasse rispetto ad una figlia
comune non dovrebbe dirsi altrettanto, perchè coesistendo
in entrambo i genitori il diritto parentale sulla minorenne
si potrebbe avere il titolo di ragion fattasi ; mai quello di
ratto, tranne il caso di coniugi separati giudicialmente con
destinazione di custodia esclusiva accordata sulla prole ad
uno di loro.

S. 1985.

5. Finalmente il fine di libidine o di matrimonio


costituisce la nota caratteristica del ratto impro
prio. Vi è differenza tra questi due fini sotto il
― 551 ―

punto di vista morale ; ma sotto il punto di vista


giuridico tanto l'uno quanto l'altro bastano a co
stituire la criminosità del fatto : e soltanto può
dirsi che il fine onesto del matrimonio meriti un
riguardo di benignità rispetto al fine pravo della
libidine . E tale benignità hanno esercitato le legis
lazioni contemporanee . Il Codice toscano (art. 287)
mentre al §. 1 minaccia la carcere da tre a di
ciotto mesi contro il ratto improprio, ammette al
§. 2 che la carcere possa discendere fino ad un
mese se il fatto accade per fine di matrimonio,
quando trovi una speciale discolpa nel contegno
di chi ha patria potestà o l'autorità tutoria so
pra la donna. Clausola elastica, che agevolmente
si presta cosi a designare le sevizie paterne, come
la troppa rilassatezza nella educazione della figlia,
ed anche una soverchia docilità nel permettere che
i due giovani amoreggiassero.

§. 1986 .

Ma gli effetti giuridici del matrimonio, fra rapi


tore e rapita, susseguito al ratto improprio, por
gono argomento di più speciale disamina ( 1 ) . Quando
lo amatore a cui fidanza erasi posta la giovinetta
per libera determinazione del proprio volere, compie
onestamente il dovere suo menandola a moglie,
questo fatto successivo certamente non distrugge
l'antecedente azione delittuosa ; e con tradizione
giuridica non consentirebbe si dicesse tal cosa .
Pure da codesto evento successivo due effetti ri
sultano che la giustizia deve pigliare in esame . Il
primo si è che la più onesta intenzione dell'agente
-―――――― 552 -

di condurre via la ragazza per farla sua moglie


non è nè una ipotesi nè un asserto, ma una verità
dimostrata ; laonde dall'azione del giudicabile ra
dicalmente si esclude ogni sospetto del pravo fine
della libidine. Il secondo si è che cosi composta

per affetto reciproco degli sposi la nuova famiglia,


il castigo che vi s'intromettesse a turbarne la pace
recherebbe un male ed un disordine, che se non

ha gagliardia giuridica a cancellare il delitto ,


ha però un valore politico meritevole di riguardi .
Per tali considerazioni nel ratto improprio assai
meglio che non nel proprio (§. 1696) il succes
sivo matrimonio ebbe a considerarsi tanto dai
pratici quanto dai legislatori come circostanza in
fluente sulla penalità . Se non che a questo propo
sito fuvvi sempre, e dura tuttavia, una divergenza
fra gli scrittori e fra i diversi legislatori : alcuni
riconoscendo nelle successive nozze valide una cir

costanza dirimente la imputazione ; altri invece


accettandola solo come diminuente. L'ammise come
semplice diminuente il Codice toscano art. 288. La
proclamarono invece dirimente assoluta il Codice
badese §. 346 , il prussiano § . 209, lo spagnuolo
art. 371 ; come già l'aveva ammessa con tale ef
fetto il Codice francese art. 357 nel ratto proprio (2).
Ed io sarei di opinione che questo secondo sistema
fosse migliore del primo, ravvisando nella puni
zione, per quanto mite, maggiore il danno che la
utilità politica.

(1) La divergenza su questo argomento fu in principio pro


nunziatissima fra i canonisti ed i civilisti. I primi ad inse
gnare che per il successivo matrimonio dovesse al rapitore
553
rimettersi ogni punizione furono i canonisti ; e ne addussero
per ragione che il motivo della severità della pena derivasse
dallo essere proibite le nozze fra il rapitore e la rapita : dal
che ne desumevano che quando fosse avvenuto nelle forme
canoniche il matrimonio, cessando la ragione della legge do
veva eziandio cessare la pena. Ma i civilisti insorsero contro
tale dottrina : dissero che la ragione della legge non era nella
proibizione delle nozze, ma nella offesa ai diritti di famiglia :
che la repubblica aveva quesito il diritto alla morte del ra
pitore, e non poteva esserle tolto questo diritto nè dal suc
cessivo matrimonio, nè dalle leggi canoniche ; le quali non
hanno influenza sulle penalità civili e scesero fino agli epi
grammi, dicendo non esservi matrimonio che non si rompa
con una buona corda : vedasi Bugnyon , Legum abrogata
rum, lib. 2, cap. 177, pag. 303, e i molti da lui citati in ambo
i sensi. Più singolare è il pensiero al quale si inspirò il Co
dice dei Grigioni al § 130 , dove, dopo aver punito con otto
mesi di carcere il ratto improprio, soggiunge che la pena
debba portarsi a due anni di ergastolo quando il matrimonio
ne sia seguito.
(2) Questo Codice non ammette i genitori a provocare la
condanna del rapitore se prima non hanno ottenuto per sen
tenza del tribunale competente lo annullamento del matri
monio : vedasi Morin, art. 8842. L'articolo 354 del Codice
stesso sembra però che oltre le condizioni essenziali gene
ralmente richieste dalla scienza e dalla pratica, esiga ezian
dio anche una speciale condizione di luogo : vedasi Morin,
art. 9315.

§. 1987.

Sul qual proposito mi piace ricordare una con


troversia, al fine di mostrare come possa l'uso di
una o di altra parola della legge penale essere
nella pratica fecondo di dispute e di conseguenze
―――― 554 ―

gravi ed importantissime. Il Codice francese al


l'art. 357 , manifestando il suo pensiero che il suc
cessivo matrimonio dovesse essere una dirimente,

usò la frase non potrà essere condannato. Questo


basto perchè nella giurisprudenza di Francia si
elevasse acerrima guerra sulla interpetrazione di
quell'articolo . I più miti e filosofi fra i crimina
listi francesi (Mangin , De l'action publique, n . 147 .
Le Sellyer, tom . 2, n. 508, 509, 510, 511.
Chauveau et Helie, Théorie n. 3022. Morin,
Répertoire, mot rapt. n. 10, Dalloz , Répertoire,
mot crimes contre les personnes, n . 303. Haus,
Cours de droit criminel, n . 484) dissero che al
rapitore, celebrato che avesse il matrimonio con
la rapita, non poteva più farsi obietto dell'azione
penale, e doveva lasciarsi in pace . Al contrario
i più rigidi e tenaci osservatori della lettera della
legge (Boitard, Leçons sur le code pénal, n. 459.
Carnot, Sur le code pénal, art. 357 , observat. 2;
Hoffmann, Questionspréjudicielles, vol. 3, §. 686)
sostennero che l'azione doveva avere libero corso ;
che il rapitore doveva essere carcerato, e sotto
posto a tutte le angustie della procedura ; doveva
esser tratto a giudizio ; e pronunciarsi contro di
lui solenne sentenza : salvo che il tribunale dopo
aver dichiarato la reità doveva pronunciare l'as
soluzione in luogo della condanna : e ciò perchè

la legge aveva detto non potrà essere condannato


in luogo di dire non potrà essere perseguitato .
Comprende ognuno le gravi conseguenze alle quali
conduce questa seconda dottrina ( 1 ) .
- 555 ---

(1) Questa difficoltà non è stata eliminata con la riforma


del 1863 che si limitò a mutare nell'art. 357 una parola in
significante. Vedasi Eloi, Code d'audience, pag. 88.

§. 1988 .

E le conseguenze si rendono ancora più gravi


quando (per ipotesi ) durante il giudizio criminale
si elevi, da chi ne ha il diritto, questione di nul
lità del matrimonio in faccia alla competente au
torità . Di tale emergente bene si scorge la indole
pregiudiciale sul criminale giudizio. Le regole ge
nerali portano di necessità che il giudice criminale
debba soprassedere nell'ufficio suo finchè il tribu
nale competente non lo abbia reso certo se quel
matrimonio, che la legge gl' impone di valutare
soltanto quando fu valido, sia realmente valido o
no. E poichè la presunzione della legge sta per
la validità , cosi la ulteriore conseguenza di simile
situazione sarebbe quella che, mentre pende la
lite sulla pretesa nullità del matrimonio, dovrebbe
il rapitore tenersi esente da ogni molestia per
parte dell'autorità penale. Ma invece nella opposta
dottrina non arrestandosi il corso della procedura
fino al giorno della sentenza, e questa non po
tendo emanarsi dal giudice criminale se non gli
consta della validità delle nozze, ne consegue che
il rapitore debba languire in carcere per mesi ed
anni finchè la lite civile non abbia ultimato tutti

i suoi giri. Avvertano a ciò i legislatori : ma se


mi è lecito ammettere su tale controversia il senti

mento mio, parmi che la opinione più mite debba


prevalere anche in faccia a quella lettera di legge.
556 -

Per me l'azione penale non ha senso giuridico se


non può raggiungere la condanna : tuttociò che osta
alla condanna osta all'azione. Un fatto per il quale
non può dal giudice proferirsi condanna non è
più un delitto ; e contro un fatto che la legge can
cella dal novero dei delitti non vi è azione penale
possibile . Il non accaduto matrimonio è la condi
zione dalla quale dipende la punibilità del fatto, e
cosi la esperibilità dell'accusa . Quando l'inquisito
oppone un matrimonio che ha presunzione di va
lidità spetta all'accusa distruggere l'ostacolo che
arresta i suoi movimenti, e le toglie la condizione
indispensabile per procedere oltre . Finché quel
l'ostacolo rimane fermo nel suo stato d' implicita
validità l'accusa deve arrestarsi. E non è a credersi
che diversa fosse la mente del legislatore quando

si limitò a dire non potrà essere condannato ; si


perchè di codesta frase è un implicito giuridico la
negazione della persecuzione, si perchè la conse
guenza di una ingiusta carcerazione sofferta per tempo
lunghissimo da chi aveva nel matrimonio (risultato
poscia valido) il palladio della sua non punibilità,
è tale esorbitanza da non potersi mai supporre
che il legislatore l'abbia voluta. Meglio è però,
a legge da fare, precludere l'adito a siffatti dubbi
con più chiaro linguaggio.

S. 1989.

Queste sono le principali regole che alla ma


teria del ratto improprio volevano essere ricordate
procedendo nella ipotesi che il medesimo debba
ravvisarsi come criminalmente perseguitabile. Que
557 -

sta però non è che una ipotesi , che la teorica .


suppone, ma che molti legislatori hanno ridotto a
niente. Infatti in questo titolo è singolare e notabi
lissimo il processo storico che dallo averlo collo
cato da prima alla sommità della scala penale, è
venuto poscia mano a mano discendendolo per
guisa da escluderlo dal novero dei delitti . Io ricor
derò tale evoluzione distinguendo in tre periodi la
storia del ratto improprio ; nel tracciare la quale
mi verrà fatta eziandio la esposizione della sua
penalità . Primo periodo, Leggi imperiali - Se

condo periodo, Pratica - Terzo periodo, Codici


contemporanei.

S. 1990 .

Primo periodo ― Giustiniano alla l. unica C.

de raptu virginum dettò disposizioni che eccedono


quanto mai possa immaginarsi di più assurdo e di
più esorbitante in ferocità. Ivi si minacciava la
pena di morte e la confisca dei beni contro i ra
pitori di donne ; e della pena capitale soltanto si
punivano i loro complici ed i ricettatori, facendo
a loro grazia unicamente della confisca : e queste
pene si minacciavano tanto contro il ratto com
messo nolentibus mulieribus, quanto volentibus .
Avresti detto che ciò derivasse da uno esagerato
rispetto alla patria potestà , per cui si adeguasse
la forza usata dai due giovani amanti per vincere
la renitenza dei genitori , alla violenza reale o
coattiva o compulsiva usata per soggiogare la re
luttante femmina . Ma la legge di Giustiniano ,
ripetuta poscia con la Novella 143 e 150, non
558 -

ispiravasi a ciò, poichè procedeva oltre a punire


della deportazione anche gli stessi genitori i quali
avessero prestato pazienza o perdonato : si patien
tiam praebuerint ac dolorem remiserint. Appo
questo torna male a formarsi una idea della og
gettività giuridica di un delitto punito di morte in
un fatto eseguito con l'adesione di tutti gl' inte
ressati. Pure in base di questa legge gli antichi
dottori corsero ad insegnare la regola che niente
cangiasse al delitto di ratto il consenso della ra
pita ( 1 ) nè riconobbero alcun valore alla costitu
zione di Leone (nov . Leonis 35) che alla foggia
di quei tempi pur mostrò di voler modificare la
eccessiva severità del marito di Teodosia.

(1 ) Si vedano i commentatori alla l. un. C. de raptu vir


ginum. Salyceto (In codicem, lib. 9, tit. 11, n. 30) e gli
altri in generale, trovarono la ragione di questo rigore nel
concetto altra volta notato della seduzione presunta, e pas
sarono ad affermare persuasio autem dolosa plus est quam
violenta coactio : Alberico de Rosate,, In 1. raptores, n. 7,
C. de episcop. et clericis - Claro , Practica, § raptus, n. 3
Baldo, In 1. un. C. de raptu virgin. n. 20 - Cujacio,
Recitat. in Cod. lib. 9, tit. 13 in fin. - Naevio, In Cod.
lib. 9, tit. 13, n. 15 ――――― Zilletti, Cons. crim. cons. 59, n. 12.
La severità dei dottori andò fino al punto di sostenere che
il ratto di donna consenziente dovesse punirsi con la pena
ordinaria, ancorché la donna fosse stata priva di genitori e
non avesse tutori, carens parentibus : Menochio, De arbitr.
in addii. cas. 291, n. 1 -- Bossio, Tract. crim. tit. de raptu
mulierum, n. 16. Ma io vorrei domandare a costoro A CHI è
rapita la femmina in condizioni siffatte ? Meno male si trat
tasse di una orfana esposta, a cui fa le veci di padre e tu
tore il direttore dell'Ospizio ! Quella tesi cotanto strana e
quasi ridicola, da non credersi se non si legge con gli occhi
559 ―
propri, fu però combattuta dall'Angelo (De delictis, pars 1,
cap. 109, n. 22) dal Sanfelice, (decis. 267 , n. 6) e poscia
dalla comune dei dottori : per la evidente ragione che man
cando i genitori niuno poteva lagnarsi di offesa al proprio
diritto. In Francia si puniva di morte per la dichiarazione
del 26 novembre 1639 ; disposizione rinnovata nell'art. 42 della
ordinanza di Blois del 1670, e di nuovo dall'art. 2 della di
chiarazione del 22 novembre 1730. Neppure sottraeva alla pena
capitale il successivo matrimonio. Avverte peraltro Chau
veau (n. 2755) che i parlamenti non applicavano questa
pena, tranne quando il rapitore si fosse valso di mezzi odiosi
o fosse stato il servo, l'institutore, il confessore od il medico
della rapita. Il rigore andò fino ad estendere a questo reato
la esosa regola, vigente in tema di maestà, che i non rive
latori si punissero come correi con la pena ordinaria : Mul
lero ad Struvium, Syntagma juris, exercitat. 49 , tit. 5,
§. 41, not. e. Le cause di tanto rigore le accenna Haus nel
suo eccellente scritto La peine de mort, son passé, son pré
sent, son avenir, Gand 1867, pag. 16. L'antico sistema di
smodata severità penale perseverò in Francia fino alla rivo
luzione : laonde bene osserva Thonissen (Marat juriscon
sulte) les hommes étrangers aux études juridiques ne sauraient
se former une idée fidèle des erreurs, des cruautés qui souil
laient encore l'administration de la justice criminelle dans la
seconde moitié du dix huitième siècle. Ma a torto Thonissen
imita Helie nel render comuni al Codice di Carlo V, le
atrocità eccitate dalla ordinanza di Francesco I. La enorme
differenza che passava nel secolo decimottavo fra la giuris
prudenza criminale francese e la giurisprudenza criminale
germanica non era tutta dovuta alla ferocità degli interpetri.
Questi erano stati spinti nelle due opposte vie dai due legi
slatori. Francesco aveva dettato precetti assoluti ed inalte
rabili, ed aveva negato la difesa dei rei : Carlo invece aveva
dato con grande studio ai giudici la facoltà (ed anzi ne aveva
imposto loro il dovere) di consultare nei casi gravi i sa
pienti ; ed aveva ammesso la difesa dei rei . Questi soli prov
560 -
vedimenti bastarono a salvare la Germania dagli orrori ai
quali fu condotta in Francia la giustizia criminale, e che
opportunamente deplora lo illustre e dottissimo professore di
Lovanio.

S. 1991 .

Secondo periodo - Ma la pratica venne poco


a poco temperando i rigidi dettati giustinianei pro
cedendo in principio con la formula della pena
straordinaria ; formula cosi frequentemente usata
e cosi benemerita della umanità . Il principio domi
natore di cotesto rimedio si fu quello che quando il
legislatore infliggeva una pena (specialmente gra
vissima) contro qualche malefizio doveva supporsi
che egli si fosse configurata alla mente la ipotesi
in cui tutte ricorressero le più gravi circostanze
del malefizio previsto . Dal che ne dedussero che,
dove alcuna di tali circostanze venisse meno, non

si fosse più nel caso tassativamente colpito dalla


legge , ma in un caso eccezionale ed improprio ; e
cosi non permettesse giustizia di estendere la pena
ordinaria oltre le previsioni del, legislatore , e im
ponesse invece di ricorrere ad una pena straor
dinaria : la quale pena rilasciata per virtù di sif
fatto ragionamento , alla prudenza del giudice si
veniva abbassando secondo lo influsso dei senti
menti umanitarii con una varietà indefinita . Con que

sto metodo i dottori moderarono l'asprezza di tanti


e tanti editti degl'Imperatori d'Oriente , e con que
sto metodo vennero a dire che anche il consenso
della rapita dovesse considerarsi come una di quelle
circostanze che obbligavano a deflettere dalla se
― 561 ―

verità della l . un. de raptu virginum . Come po


tesse senza uno slancio di cuore adattarsi cotale

sistema al consenso della rapita nel proprio ratto


in faccia al chiaro testo della legge giustinianea
è assai difficile a dimostrarsi. Però è indubitato
che la dottrina del ratto improprio venne ogni
giorno (1 ) guadagnando terreno : a tal che nelle
consuetudini giudiciali di Europa si vide una cre
scente benignità verso questa forma di reato.

(1) Voet, In pandectas, lib. 48, tit. 6, §. 6 ; che ammette


scendersi anche alla pena pecuniaria ―― Strykio , Usus
modernus pandectarum, lib. 48, tit. 5 -- Bajardo , ad
Clarum, §. raptus, n. 16 - Deciano , Tractatus crimi
nalis, lib. 8, cap. 7, n. 21 -- Groenev vegen, De legibus
abrogatis in l. un. §. 2, C. de raptu virginum - Paulus
Voet, Ad §. 8, Inst. de public. judic. n. 11 ―――― Perez , In
Codicem, lib. 9, tit. 13, n. 3 - Sande, Decis. Frisicae, lib. 5,
tit. 9, def. 10 ――――― Brunnemann , In Cod. lib. 9, tit. 13,
n. 20 - Alexandro, lib. 3, cas. 1, n. 14 - Dondeus,
Consultationes, cons. 90. Dall'ammissione dell' attenuanza
mercè la pena straordinaria si procedette a riconoscere nel
caso della volente una figura distinta cui diedesi il nome di
ratto improprio : Poggi, Elementa juris crim. lib. 5, cap. 3,
n. 27 - Paoletti , Instit. crim. lib. 2, tit. 4 - Boeh
mero, Elementa juris crim . sect. 2, cap. 11, §. 136.

§. 1992 .

Terzo periodo ―――― Ma ai giorni nostri si è pro


ceduto ancora più oltre. La maggior parte dei Co
dici contemporanei ( 1 ) conservano il ratto impro
prio nel novero dei malefizi , per un riguardo alla
violenza o pressione che si esercita sui genitori .
VOL. III. 36
562

La quale violenza non consiste già nello effetto


immediato dello allontanamento della figlia, ma
nello effetto consequenziale del costringimento a
cui si sottopone la volontà dei parenti, pel quale
per quanto avversi al matrimonio bramato dal ra

pitore, si trovano obbligati a prestarvi pazienza


per rispetto all'onore macchiato della fanciulla. E
simile considerazione parrebbe buona per mante
nere al ratto improprio il carattere di delitto ;
non tutti però i moderni legislatori l'hanno avuta
per tale, avvegnachè si trovino Codici (2) che niente
puniscono cotesto fatto . Fra i medesimi devesi no
verare il Codice sardo del 1859 : esso nella ipotesi
della ragazza al disotto dei sedici anni presume
la violenza del ratto . Ma questo termine che chiude
il periodo del ratto proprio non è a tenersi rimpetto
a quel Codice come il termine a quo del ratto
improprio, che niente trovasi dal medesimo con
templato. In ciò conferma anche l'autorità del Co

sentino (Codice penale italiano) che a pag. 311


cosi si esprime : fu deciso non esservi crimine di
ratto nel fatto di colui il quale induce una gio
vine maggiore degli anni sedici ad abbandonare
la casa in cui fu collocata : questo fatto si risolve
in semplice seduzione non punibile. Se la opinione
adottata dalla legge sarda fosse stata prevalente
nei Codici contemporanei o nella scienza, o almeno
se fosse stata universale in Italia, io avrei ben po
tuto risparmiare tutto il presente capitolo, e non
venire ad esporre come malefizio un fatto che più
non sarebbe tale. Ma poichè la criminosità del
ratto improprio, fondata sulla vis in parentes , si
continua ad insegnare nella maggior parte delle
➖➖➖➖➖ 563 ---

scuole italiane, e trovasi mantenuta nel Codice che


tuttavia governa la provincia toscana, io credetti
di non doverne omettere la descrizione.

(1 ) Fra i Codici contemporanei che hanno riprodotto la


nozione del ratto in parentes, con molta varietà peraltro in
torno alle punizioni ed alla definizione della età, possono ri
cordarsi i seguenti : il Codice toscano, art. 287 ; il Codice
prussiano, §. 208 ; il Codice di Friburgo, art. 193 ; il Codice
spagnuolo, art. 369 ; il Codice austriaco, §. 97 ; il Codice di
Baden, §. 341.
(2) Il Codice sardo abbracciando questo sistema ha eviden
temente calcato le orme del Codice francese. Ricorda Cha u
veau (Théorie, n. 3018) che alla confezione del Codice del 1810
la Commissione del corpo legislativo aveva proposto un pa
ragrafo addizionale così concepito : se la fanciulla di età su
periore agli anni sedici e inferiore ai ventuno ha consentito al
suo rapimento o seguito volontariamente il rapitore, costui sarà
condannato al carcere da due a cinque anni. Questa sarebbe
stata la nozione genuina del ratto improprio : e la Commis
sione proponeva d'introdurla nel Codice di Francia, osservando
che le fanciulle sono appunto più esposte alle passioni e alla
seduzione degli uomini nel periodo dai sedici ai ventun'anni.
Ma (soggiunge Chauveau) questa proposizione fu respinta
dal Consiglio di Stato , perchè venne considerando che la ra
gazza al di sopra di anni sedici doveva abbandonarsi alla
vigilanza dei genitori, al freno della religione, ai principii
dell'onore, alla censura della opinione. Ed a questa conside
razione, alquanto declamatoria, aggiunsero l'altra, assai più
solida e pratica, che in questo periodo della vita della donna
la sua sensibilità fisica essendo naturalmente svegliata sarebbe
riuscito malagevole, nei casi concreti, distinguere il caso in
cui la fanciulla avesse aderito a fuggire per abbandono spon
taneo, dal caso in cui vi fosse trascinata dalla seduzione del
l'amante. Bellissima quanto vera è la sentenza con cui con
564 -

cluse l'oratore Monseignat : quando i colpi portati al


cuore sono reciproci come distinguere il colpo feritore ? e come
riconoscere l'aggressore in un combattimento nel quale il vin
citore ed il vinto sono più complici che nemici ? Queste con
siderazioni, e la difficoltà di definire la seduzione, hanno con
sigliato parecchi altri Codici contemporanei ad abbandonare
affatto la punizione del ratto improprio ; come quello di Neu
chatel, delle due Sicilie, ed altri.

S. 1993.
1

Il Codice sardo è dunque più mite degli altri


Codici nel definire la punibilità del ratto . È più
mite quando la donna è maggiore degli anni ven
tuno, perchè all'art. 493 esige la violenza e non
si contenta della frode . È più mite quando la donna
versa fra gli anni sedici e gli anni ventuno, per
chè all'art. 494 esige per la punibilità la violenza
o la frode, e non si contenta della seduzione . È

più mite quando la donna è al disotto degli anni


sedici, perchè all'art. 495 non si contenta, come
il Codice francese all' art. 356, della presunzione
nascente dalla età, ma per punire il ratto esige
di più che sia accompagnato da seduzione (1 ) .

(1) In proposito dell'art. 495 del Codice sardo è sorta una


viva polemica fra l'Aloisio e l'Ambrosoli , la quale
ha occupato parecchi numeri di giornali, sul punto di sapere
se l'abduzione di una minore di sedici anni consentita da lei,
sia sempre punibile per seduzione presunta o se invece occorra
la prova specifica della frode che costituisce la seduzione.
L' Aloisio pretende che quando la ragazza ha meno di
sedici anni , ancorchè sia stata essa la seduttrice al ratto, il
giovine che ha contentato i suoi desiderii sia punibile. L'Am
565 -
brosoli invece sostiene che oltre la età minore deve dal
l'accusa darsi la prova specifica della seduzione. In faccia al
testo dell'articolo sardo ha ragione palpabile l'Ambrosoli :
ed io penso che la sua opinione sia la migliore anche sotto
l'astratto punto di vista scientifico .

S. 1994.

Ho già diverse volte emesso il lamento che que


sta parola seduzione si circondi dalle nuvole dello
indefinito ; ed al §. 1503 manifestai il mio pensiero
sulla intelligenza giuridica della medesima. Nono
stante credo opportuno a questo luogo di spen
dervi qualche altra parola riassumendo i concetti
già espressi . In primo luogo io dico che la nozione
della seduzione non può desumersi da un criterio
oggettivo. Il ladro è sedotto dall'aspetto di una
bella gemma e dal pensiero di poterla prendere
senza essere scoperto ; il giovine è sedotto dalle
celesti sembianze d'una femmina . Ma il seduttore
Į

è quello stesso che volgarmente si dice sedotto .


Senza dubbio questo primo senso volgare della pa
rola seduzione deve eliminarsi nel presente tema,
e porsi la proposizione che la seduzione deve pre
sentare un elemento soggettivo . Ma questo elemento
deve egli riconoscersi nell'animo o nei modi usati
dal preteso seduttore ? Ecco a mio parere la dif
ficoltà . I modi coi quali si guadagna l'affetto di
una donzella (blandizie, assiduità, lettere, proteste
e simili) sono cosi connaturali ad ogni amoreggia
mento che non mi sembra possibile se ne costi
tuisca elemento di seduzione . Questi modi saranno

tanto più calzanti quanto più il giovine sarà dispe


566

ratamente innamorato : io non sosterrò che l'amore


debba accettarsi in senso assoluto come scusa : ma

mi sembra repugnante che debba guardarsi come


un'aggravante o come un elemento di criminosità .
Dunque io vengo a concludere che la soggettività
della seduzione deve trovarsi nell'animo del pre
teso seduttore, e precisamente nel disegno d' in
gannare. Quando si è simulato buone intenzioni
dove non erano : assunto qualità o condizioni che
non esistevano ; in una parola mentito per indurre
la donzella alla fuga, vi sarà seduzione : altrimenti
no, per quanto calde ed appassionate siano state le
assiduità dell'amatore . Più delicata è la questione
dell' oro. L'uomo che ha comprato con vistoso
prezzo l'adesione della femmina, dicesi dal volgo
seduttore. Ma in senso giuridico sarà ella questa
la seduzione criminosa ? Riflettasi che rispondendo
per l'affermativa si accorda maggior protezione
alla femmina che è la più vile di tutte quelle cioè
che vendesi per denaro. Tranne la ipotesi di spe
ciali artifizi maligni diretti a far nascere nella
femmina le urgenze di pecuniarii bisogni io non
saprei indurmi a ravvisare seduzione nello aperto
mercanteggiare del ricco a cui la donna abbia ala
cremente aderito ( 1 ) . Essa è sedotta, non vi è
dubbio, ma sedotta da se medesima ; sedotta dalla
sua avidità, come un'altra è sedotta dai sensi, un'al
tra dall'ambizione di divenire una signora, e via
cosi discorrendo. Seduzione giuridica senza men

zogna non mi sembra formula accettabile, special


mente nel ratto improprio, dove le future nozze
(che sono l'effetto sperato dalla fuga) stanno nel
cuore della femmina desiderate spesso con energia
- 567 -

di gran lunga più viva che non stiano nel cuore


dell'uomo .

(1) Io sarei dunque lontano dallo accettare la regola dei


vecchi pratici - - dicitur violentiam quis fecisse puellae et per
vim eam cognovisse, si pro auri munere induxit ad consen
tiendum ― Mascardo , De probationibus, conclus. 1409,
n. 28 — Harpprecht , In instit. lib. 4, tit. 18, §. 8 item
lex Julia, n. 33 ―――― Royzius, decis. 5, n. 290 w Vivio ,
lib. 1, decis. 160. È singolare la ragione che si ripetè a so
stegno di tale dottrina argomentando dalla sentenza del Deu
teronomio ―――― quia aurum excoecat oculos sapientum et mutat
verba justorum. Da ciò ne trassero il broccardo aurum facit
nolentem velle, e cosi procedendo oltre conclusero : che la ra
gazza la quale volle fuggire allettata dal denaro promesso era
nolente, perchè senza il denaro non avrebbe voluto . Con que
sta squisita dialettica io vi dimostro che il ladro non è mai
imputabile perchè la vista dell'oro lo indusse a volere il furto
quantunque nolente : e vi dimostro che il giudice il quale
vende per oro la sua sentenza non è imputabile quia aurum
mutat verba justorum.

S. 1995.

Passando adesso al secondo titolo preso in esame


nel capitolo presente, ricordisi che il carattere co
stitutivo del ratto improprio è il fine di matrimonio
o di libidine . Quando nè uno nè l'altro di quei fini
ricorrono non è più a parlarsi di ratto improprio.
Se la fuga avvenne per fine di evitare ingiusti
maltrattamenti, chi aiutò il figlio ad evadere non
trova il titolo di reato che a lui si possa obiet
tare. Se procedette da altro fine di lucrosa specu
lazione potrà trovarvisi la nozione del plagio im
proprio. Il plagio improprio si commette dunque
- 568 -

da ― chi al padre o tutore renuenti sottrae un


giovine soggetto alla loro potestà e consenziente
per un fine di utile del sottrattore, escluso il
fine di libidine o di matrimonio. Per avere que
sta nozione si esige innanzi tutto che il giovine
abbia raggiunto gli anni della pubertà ai quali
soltanto può riguardarsi come capace di consenso.
Prima di questo giorno egli non ha abilità di con
senso giuridico e si hanno sempre i termini di
plagio vero e proprio come dicemmo al §. 1671 .
Ma se la nozione del plagio improprio si stringe
cosi alla sola ipotesi di un eccitamento o di un aiuto
alla fuga porto da un estraneo per veduta di pro
prio lucro al giovine di età superiore ai quattor
dici anni ma non ancora sciolto sia dall'autorità
tutoria sia dalla potestà patria, il quale abbia li
beramente consentito, dovrà egli a cotesta nozione
corrispondere un titolo di delitto ? Nelle antiche
legislazioni , finchè la patria potestà, quantunque
non più tenuta a quell'apogeo di durezza a cui la
elevò il severo concetto della famiglia romana ( 1), -
pure si mantenne ad un valore giuridico di grave
importanza, poterono i dottori ed alcuni legislatori
ravvisare nel plagio improprio i caratteri di un
delitto civile. Ma dappoichè la patria potestà è
venuta ogni giorno più ad impallidire per i mu
tati costumi, si è dubitato se dovesse mantenersi
il plagio improprio nella condizione di reato . Molti
legislatori contemporanei sono venuti sempre più
riconoscendo nel figlio che ha passato quattordici
anni la libera facoltà d'impiegarsi dove e come più
gli talenta. Ai genitori e tutori è rimasta aperta la
via d'invocare la potestà economica perchè giudi
―――― 569 ―

chi fra le esigenze loro ed i desiderii del figlio ,


e provvegga come più crede opportuno. Cotesti
legislatori hanno conseguentemente abbandonato (2)
la idea di punire come colpevole chi abbia insti
gato, aiutato, o raccolto il figlio fuggitivo . Cosi il
titolo di plagio improprio va esulando dalle scuole
ed è tralasciato da molte legislazioni contempo
ranee ; ma noi ne dovevamo far cenno non solo

come ricordo storico ma anche perchè tuttavia esi


stono Codici (3 ) che mantengono l'antica dottrina .

(1) È cosa a tutti nota come appo gli antichi greci e romani
ed anche appo i germani ( Tacito, De moribus germanorum,
§. 24) ed i galli ( Caesar, De bello gallico, lib. 6, cap. 13)
l'uomo si tenesse come cosa venale. Laonde il figlio in mano
del padre rappresentava un valore pecuniario : vedasi Char
pentier, Le droit pajen et chretien, chap. 4 et 5. Di qui la
importanza del titolo di plagio. Come poi si distinguesse l'actio
furti dall'azione del plagio e da altre azioni speciali dirette
a tutelare la potestà patria e dominicale, lo esaminano i com
mentatori. Vedasi M e je r, Collegium argentoratense ad lib . 48,
tit. 15 in fin. - Ayblinger, In Pandectas, lib. 48, tit. 15 -
Leyser, Meditationes in pandectas, spec. 624 : e i citati alla
nota a §. 1669.
(2) Seguitano tale sistema di scriminazione il Codice to
scano art. 358, quando trattasi di un giovine al di sopra di
14 anni, e tutti gli altri Codici superiormente citati, i quali
non puniscono neppure il ratto improprio. Ma per cotesti la
scriminazione del plagio improprio è una conseguenza logica
della scriminazione del ratto improprio ; per il Codice toscano
e altri che distinguono ella è invece una conseguenza del
l'apprezzazione del diverso fine dell' agente.
(3) Codice dei Grigioni, §. 126 ; Codice di Baden, §. 269 ;
Codice di S. Marino, art . 430 - ivi - Chiunque senza fine
570 ----

di libidine o di matrimonio rapisca, o in qualunque modo sot


tragga alla famiglia, una persona minore di anni ventuno an
corchè consenziente, è punito colla prigionia da sei mesi ad
un anno.

§ 1996 .

La opinione prevalente nelle moderne scuole ri


getta però questo titolo di delitto. Se il figlio fu
abdotto mentre era tuttavia impubere, o fu abdotto
l'uomo contro sua volontà, nell' una o nell' altra
ipotesi si hanno i termini di plagio proprio, o
per la seduzione , o per l'inganno, o per la vio
lenza . Ma se il figlio evase dalla casa paterna

quando era già pubere, la responsabilità è tutta


sua, e la legge penale non tiene a calcolo l'estraneo
che lo abbia istigato o aiutato, a meno che questi
non agisca per fine di mal costume, o di matrimonio.

S. 1997.

Una forma analoga forse più al plagio che al


ratto improprio, si ha nel caso di fuga della donna
maritata dalla casa coniugale : il marito invochi
l'autorità coattiva per ricondurre la moglie al suo
domicilio se giuste cause non le danno ragione di
allontanarsi ; ma non pretenda chiamare in faccia
alla giustizia punitiva coloro che la soccorsero o
di opera o di consiglio . La legge presume in co
storo un fine onesto ; presume che essi abbiano
agito nello intendimento di aiutare il loro simile a
liberarsi da uno stato di sofferenze, e non vuole
farli giudici di questo stato, nè mettere a loro ri
- 571 ――――――

schio e pericolo la sua veridicità . Ma quando è


palese al contrario il fine disonesto dei terzi, allora
sorge la criminosità del loro operato . Cosi tanto
la moglie quanto il suo complice sentiranno obiet
tarsi nella fuga dalla casa coniugale un reato del
quale ambedue saranno puniti quando la fuga avrå
avuto il fine dell' adulterio ; nella quale ipotesi
viene a sorgere una forma speciale ( 1 ) di ratto.
improprio, quando non si abbiano i termini di reato
più grave. Se la moglie fu rapita al marito con
inganno o violenza avremo le condizioni del ratto
proprio, o quelle della violenza carnale dove l'abuso
si ottenne. Se la moglie fu consenziente e l'adul
terio si consumo, il titolo di adulterio assorbirà
l'altro che ne potrà costituire un'aggravante come
mezzo più odioso, del pari che il concubinato o la
bigamia dove sia susseguita. Ma quando la donna
consenziente fu allontanata dalla casa maritale per
fine di libidine e non ancora avvenne l'adulterio ,
quel fatto che potrebbe rappresentare un tentativo
di questo delitto si configura invece (come ho detto)
in una forma di ratto improprio contemplato da
speciali disposizioni punitive tanto a carico della
donna quanto del suo complice e di tutti i parte
cipi. Il Codice toscano all'art. 289 punisce a que
rela del marito con la pena del carcere da uno a
quattro anni tanto la moglie fuggita quanto colui
che per fine di libidine l'abbia ritenuta o sottratta
al marito. Quest' articolo non distingue se l'adul
terio sia avvenuto o no ; ma poichè lo stesso Co
dice all' art. 291 minaccia contro gli adulteri la
pena del carcere da due a cinque anni, bisogna
dire che l'art . 289 procede nel supposto che non
572

risulti l'adulterio consumato. Dato questo, il titolo


dell'art. 289 viene assorbito nel titolo dell'art. 291 ,

nel quale deve cercarsi la sola penalità applicabile


tanto contro gli autori principali, quanto contro i
terzi che se ne fossero renduti ausiliatori . Il Codice
sardo sembra non avere contemplato neppure questa

specialità ; cosicchè la medesima non può in faccia


a quello colpirsi che col carcere da tre mesi a due
anni a forma dell'art. 486 quando l'adulterio sia
consumato, o considerarsi come tentativo di questo
delitto quando ricorrano i termini della sua puni
bilità sotto tale figura giuridica .

(1) Questa forma speciale di malefizio di cui si avevano


traccie ancora nei vecchi pratici ( Castillo , dec. 183, n. 2
Farinaccio , quaest. 145, n. 172 - Sanchez , De ma
trim. lib. 7, disp. 12, n. 23) l'attinse il Codice toscano da
quello di Baden §. 342. Venne però censurato (e non a torto
a mio credere) dal Prof. Puccioni nel suo Commento al
l'art. 289. Fra le antiche legislazioni trovo meritevoli di os
servazione le Costituzioni Egidiane (lib. 4, cap. 69) che l'ab
duzione della moglie altrui consenziente punivano con la multa
di venticinque fiorini se dopo averla carnalmente conosciuta
si era restituita al marito, e con la multa di cento fiorini se
si era ritenuta presso di sè.

§ 1998 .

Tutte le altre ricerche relative ai criterii misu

ratori ed al grado nei titoli di reato che adesso


espongo, possono tralasciarsi , rimettendoci alle os

servazioni già fatte in tema di stupro , di ratto, e


di adulterio , in quanto siano applicabili. Soltanto
mi piace notare una differenza importante relativa
573 -

alla materialità costituente il tentativo punibile.


Dissi (§. 1699 nota) che il ratto era consumato to
stochè per fine disonesto si era violentemente tolta
la donna dal suo domicilio, senza aspettare che ella
fosse trasportata ad una certa distanza, e molto
meno che fosse giunta al luogo dove il suo rapi
tore destinava condurla . Ciò mi parve una logica
conseguenza delle premesse per le quali io consi
dero il ratto, come un delitto contro la libertà in
dividuale di cui certamente è completa la violazione
quando una persona è tratta a forza (quantunque
per brevissimo spazio o di luogo o di tempo fuori
del suo domicilio : e vi persisto. Ma questa regola
non può procedere nel ratto improprio. Il ratto
proprio è perfetto nella sua specie ancorché il ra
pitore abbia pensiero di restituire la donna alla
sua libertà dopo averne abusato : non così il ratto
improprio, il quale deve avere per sua condizione
il disegno di abbandonare la casa maritale o pa
terna. Spessissimo una moglie od una ragazza si
allontaneranno dal domicilio, e andranno ancora in

case remote, ed anco per dimorarvi qualche ora al


fine di darsi piacere con i loro amatori . Ma que
sto non sarà ratto, perchè nel ratto improprio la
oggettività giuridica stando nel diritto inerente alla
potestà patria o maritale di costringere alla coa
bitazione, la violazione di questo diritto non può
trovarsi in un precario allontanamento , dove non
interviene il disegno di abbandonare il convitto.
Si avrà nei congrui termini uno stupro od un adul
terio, ma non un ratto improprio nè consumato nè
tentato . Non è già che io dica che ad avere il ratto
improprio sia necessario il disegno di abbando
- 574 -

nare per sempre il domicilio coniugale o paterno :


non dico per sempre ; ma il disegno dovrà essere
diretto ad un tempo indeterminato, o tale almeno
che rappresenti la violazione dell'obbligo del con
vitto; forse potrà bastare la pernottazione anche
di una sola notte : ciò dipende dalla prudenza pra
tica. Ma quello che tengo per fermo si è che non
basti un allontanamento precario limitato a quel
breve tempo che è necessario per la soddisfazione
delle reciproche voluttà.

S. 1999 .

Una osservazione generale colpisce tutti i diversi


fatti dei quali ho tenuto parola nel presente ca
pitolo, ed è che i medesimi da quei Codici che li
hanno creduti meritevoli di punizione si noverano
fra i delitti perseguitabili soltanto a querela di
parte : della qual cosa sono tanto evidenti i motivi
da non meritare di farvi dimora. Conseguenza di
questo si è che la non data querela contro l'autore
principale porti all'effetto della impunità dei suoi
complici (1 ). Ma dovrà egli dirsi lo stesso nel caso
inverso ? Alla materia dello adulterio (§. 1925) ve
demmo non ammettersi per le odierne leggi (chec
chè piacesse agli antichi) la querela ristretta contro
uno solo dei correi, ma volersi invece costante
mente comuni le sorti sia della pace sia della
guerra fra tutti i partecipi di quel delitto . Dove
peraltro i Codici non ripetono consimile prescri
zione, in tema della persecuzione del ratto, a me
sembra evidente che quel precetto non si possa sup

plire dagl' interpetri . Cosicchè non dovendo am


575 -

mettersi un limite alle umane libertà che la legge


non abbia espressamente dettato, ne consegue che
l'offeso , libero dispositore dei suoi diritti, potrà
muovere querela contro il rapitore della figlia e
concedere pace ai suoi ausiliatori. La questione è
grave non meno che interessante ; e più seria si
presenta in faccia al Codice toscano nell'argomento
del ratto della moglie , perchè l'articolo 293 dettato
tassativamente per il caso di adulterio non trovasi
ripetuto dopo l'art. 289 che, in sede antecedente
e diversa, contempla la fuga della maritata . Ca
pisco tutto ciò che vi sarebbe di contradittorio in
questo sistema di interpetrazione, per il quale al
marito a cui fu rapita la moglie si concederebbe
larghezza maggiore di arbitrio che non a quello
al quale fu soltanto contaminata. Ma d'altronde
parrebbemi ardito l'argomento di analogia che vo
lesse estendere quella restrizione dal caso previsto
al caso non previsto dalla legge (2).

(1 ) È il dissenso dei genitori quello che dà il carattere di


offesa giuridica al ratto della ragazza pubere consenziente,
indipendentemente da qualsisia violenza sulla persona. Ma se,
quantunque consenta la ragazza, è stato però mestieri al fine
di abdurla di usare vera e propria violenza contro i genitori
o contro i custodi di quella , quale sarà il risultamento giu
ridico di siffatta combinazione ? Tre proposizioni diverse pos
sono farsi avanti : 1.0 può pretendersi che invece di un ratto
improprio abbiasi un ratto proprio : ma questa tesi repugna
alla nozione del ratto proprio, al quale per essenza sua occorre
che la violenza (almeno presunta) sia caduta sulla ragazza
stessa e non sopra di altre persone : 2.º può affermarsi che
sorgano due titoli di malefizio, cioè ratto improprio e la
violenza privata ; e che questi due titoli siano indipendenti
- 576 -

l'uno dall'altro : 3.º può sostenersi che questi due titoli siano
connessi per guisa da rendere la violenza privata pedissequa
al ratto improprio ; cosicchè dove non si abbia querela per
il ratto non possa neppure procedersi per la violenza privata.
Questa terza tesi fu da me propugnata avanti la Corte di
Cassazione di Firenze, ed accolta col decreto del di 7 set
tembre 1861.
(2) Devo peraltro avvertire che questa conclusione stretta
mente logica in faccia ad una legge che sia caduta in tale
dimenticanza non sembra accettata in pratica. I criminalisti
in generale riguardano come incontrastabile canone che (qua
lunque siasi la forma assunta da questo malefizio) la non
perseguibilità del ratto contro l'autore principale porta seco
di necessaria conseguenza la non perseguibilità dei suoi com
plici : Chauveau , n. 3023 -- Haus , Cours, n. 485 -
Dalloz, Répertoire, mot crim. contre les personnes, n. 304
- Hoffmann, Questions préjudicelles, §. 688 Cassazione
2 ottobre 1852. La qual massima se prevale in Francia nei
termini di ratto proprio, deve a più forte ragione accettarsi
nello improprio .

CAPITOLO VII.

Incesto.

S. 2000.

Ai delitti contro l'ordine delle famiglie riferirono


i moderni istituti il titolo d'incesto ( 1 ) che si defi
-
nisce il congresso carnale fra due persone
di sesso differente congiunte per vincoli tali di
parentela (2) da impedirne le nozze. Nessun dub
bio che lo incesto sia vituperevole fallo, e che
pel medesimo si turbi l'ordine della famiglia ; sia
perchè in un senso ne capovolge la gerarchia, sia
577 ―――――

perchè in un altro senso ne tramuta gli affetti che


dalla loro primitiva indole di santi e purissimi de
generarono in un pervertimento bestiale . Perciò è
del pari incontrastabile che quando lo incesto si
congiunga ad un altro fatto che per la sua speciale
oggettività giuridica costituisca un titolo di reato,
questo se ne qualifichi aumentandosi la sua quan
tità, se non naturale, certamente politica . E la ra
gione politica di tale aumento non si stenta a tro
varla nel cardine fondamentale della minorata
potenza della difesa privata : avvegnachè sia intui
tivo che la parentela dell'offensore minorando le
diffidenze ed accrescendo la familiarità, rendono
più difficile all'offeso (per esempio dalla violenza
carnale, o dallo adulterio) di tutelare avverso colui
il proprio diritto. Tutto questo è chiarissimo .

(1) BIBLIOGRAFIA -- Farinaccio, quaest. 149 - Claro,


Practica, §. incestus - Hubero, Observat. rer. judicat. ob
servat. 99 - Hellbach, Selecta criminalia, posit . 30, n . 10
w w w Carpzovio, Jurisprudentia, pars 4, constit. 22, def. 1

Esbach, Ad Carpzovium, pars 4, constit. 22, 23, 24 – P aa


nimolle, decis. 61 Titi u s, disputat. jurid. 12, cap. 2
Ottone, cons. 1798, 1799 - Pistor, observat. 192 - P i
stor Modestinus , Quaest. illustr. pars 2, qu. 92 ―――
Leyser, Medit. ad pandect. spec. 586 de incestu - Ram,
Dissert. de incestu - Hommel , Rapsodiae, observ. 227
Otto , Dissert. de vetitis affinium nuptris (in thesaur. nov .
Oelrichs , volume 3, tom. 2, dissert. 6) - Meister ,
Principia, sect. 2, pars 2, cap. 16, §. 4 -- Seigneux, Sy
stème abregé de jurisprudence criminelle, pag. 230 Koch,
Institutiones, §. 334 et seqq. - Jousse, Justice criminelle,
part. 4, tit. 263 - Carmignani, Elementa, §. 1166 — Cre
mani , De jure crim . lib. 2, cap. 6, art. 5 - Renazzi ,
VOL. III. 37
- 578 ―――
Elementa, lib. 4, pars 2. cap. 5 - Giuliani , Istituzioni,
vol. 2, pag. 409 ― Schütze, Lehrbuch, §. 73, pag. 331 e seqq.
Berner, Lehrbuch, §. 188, pag. 458 e seqq . Lipsia, 1871.
(2) Questionarono i pratici se si contragga affinità mediante
copula illecita sicché possa averne occasione il titolo di in
cesto. Buccaroni , differ. 94.

S. 2001.

Ma quando trattasi di riconoscere in un fatto


i caratteri di vero delitto di per sé stante non
basta che il medesimo sia vizioso o gravemente

peccaminoso, se non si trova un diritto o parti


colare o universale che dal medesimo venga fe
rito . Senza ciò il legislatore scambia l'ufficio suo.
Ora il diritto particolare che ledasi con lo incesto
(disgiunto da altro malefizio) mi sembra assai dif
ficile rintracciarlo . Lo isolamento dello incesto ( 1 )
presuppone che non siavi stato adulterio, non vio
lenza, non stupro con seduzione criminosa . Ed al
lora la donna consenziente che dovrebbe essere

correa non può dirsi paziente del preteso reato,


come non può esserlo il coniuge che si suppone
non esistere ; laonde è bene arduo lo indicare qual
sia la persona che i due voluttuosi hanno leso nel
suo diritto .

(1 ) Sulla etimologia della parola incesto discordano gli


scrittori alcuno ( Festo, De verb. signif. lib. 9) la fa deri
vare dal greco anacestos (insanabile) quasi delitto inespiabile :
altri ( Calvino, Lexicon juridicum, verbo incestus - Da
cer, ad Festum, de verb.. signif. lib . 9, verbo incestus) da
in e castus, cioè non casto : altri da incestare (contaminare):
altri infine da cesto (zona nuziale) per la mancanza di esso
nelle illegittime unioni.
- - 579

§. 2002 .

Per mantenere l'incesto al grado di delitto civile


rimane dunque a cercare il suo oggetto in un di
ritto universale. Ciò lo farebbe cambiare di classe,

e lo porterebbe fra i delitti sociali ; ma prescindiamo


da questa considerazione . Coloro che vollero mante
nere lo incesto nel novero dei delitti di per sé stanti
cercarono la sua oggettività giuridica o negl' in
ciampi che recava ai matrimonii, e perciò lo po
sero tra i reati contro l'ordine delle famiglie : 0
nella offesa alla religione, e cosi lo portarono nella
serie dei delitti religiosi ; e nello scandalo, e ciò
lo avrebbe portato fra i reati contro la pubblica
morale o contro il buon costume, secondochè piace
chiamarli . Ma tutte queste formule sono a mio cre
dere assai disputabili .

§. 2003.

Sussiste in fatto la idea che piacque al Carmi


gnani, vale a dire che lo incesto, coltivando fra
le persone di sesso differente un affetto che non
può avere il suo termine nel matrimonio, è osta
tivo di altri affetti , i quali (fossero pur viziosi in
principio) potrebbero nel matrimonio trovare con
tutta probabilità il loro ultimo compimento. Sussi
ste del pari come fatto che la repubblica abbia uno
interesse a promuovere i legittimi connubii, e cosi
un interesse a rimuovere qualunque ostacolo che
valga a diradare le nozze. Ma io dubito che que
- 580

ste sole ragioni non bastino a dare all'autorità il


diritto di servirsi del magistero penale per la pro
mozione dei connubii, e che la sola ragione dello
essere un fatto ostativo alla frequenza delle nozze
non sia sufficiente a rendere legittima la penalità
che contro il fatto medesimo piaccia al legislatore
di minacciare. E ne dubito perchè l'argomento
proverebbe troppo (lo che è difetto grandissimo di
ogni argomento) ed ammesso in un caso non po
trebbe più negarsi la sua efficacia in tutti i casi
ai quali fosse adattabile. Laonde essendo molti i
vizi, molte le relazioni carnali che oltre alla loro
turpitudine producono indirettamente questo risul
tato di rendere più rari i matrimoni, se codesto argo
mento si accettasse come buona ragione politica di
statuire la criminosità dello incesto, necessità lo
gica porterebbe a statuire altrettanto contro tutti
quei vizi e contro tutte quelle relazioni : nè occorre
dire quanto ciò sarebbe repugnante alle regole
universalmente accettate nella odierna scienza pe
nale. Non vale argomentare da ciò che fu fatto in
Roma pagana (1 ) con la celebre legge Papia Pop
pea . Quei tempi si considerarono come eccezionali,
e si stimò in pericolo la Repubblica se ogni coa
zione possibile non ponevasi in opera onde spin
gere al matrimonio i corrotti cittadini : e ciò bastó
dove la statolatria era al suo apogèo, e la per

sonalità umana era niente appo quella. Ma nella


repubblica cristiana l'utile dello stato non ha più
quella magica potenza che dette un giorno balia
d'incatenare le libertà individuali : nè siamo in

tempi cosi deficienti di popolazione da dovere ri


correre a mezzi straordinari ed antigiuridici .
581
(1 ) Molti pensarono che anche in Roma fosse sotto gl'im
peratori punito di morte l'incesto, almeno in linea ascenden
tale altri però presero a combattere questa opinione soste
nendo che si punisse con pena inferiore. Vedi Ram , De
incestu, pag. 80 ―――― Cujacio , observationum 21, cap. 18 ; et
in expos. novellarum, novell. 12 - Voorda, Interpretationum
juris, lib. 3, cap. 14. Sulla questione se gli antichi romani
considerassero come incestuose le nozze fra zio e nepote
vedasi Reynoldo , Opuscola, pag. 152.

§. 2004.

La offesa alla religione è grave nello incesto


come in ogni altro peccato : ma non ogni peccato
è delitto se non lo accompagna il carattere poli
tico della offesa al diritto. Quando parleremo dei
reati contro la religione vedremo come la indole
giuridica del delitto religioso si sviluppi in una
offesa recata al diritto di alcuno . È un errore sup

porre che ogni offesa alla religione (cioè ogni pec


cato) sia per ciò solo un reato civile. La obbiet
tività dei delitti religiosi è in un diritto univer
sale, cioè nel diritto che hanno tutti i cittadini

di vedere rispettata la loro religione . Ma perchè


ciò sia, vi è d'uopo di un atto esteriore che at
tacchi la religione nelle sue estrinsecazioni mate
riali ; non basta un atto che meramente ne violi
i precetti per quanto santissimi . Chi pubblicamente
rechi oltraggio alle sacre immagini sarà punito
non per il peccato che egli ha commesso, ma perchè
quelle immagini sono l'oggetto di un diritto incon
trastabile e caro a tutti coloro che le venerano.
Ma questa offesa al diritto dei cultori della reli
- 582 -

gione non si verifica nel fatto dei due congiunti


che si permettono illecite voluttà . Sul che bisogna
avvertire essere spesso accaduto si confondesse lo
incesto con le nozze incestuose, i quali sono due
casi differentissimi. Le nozze incestuose sono il
fatto di coloro che artificiosamente occultati i loro

rapporti attentarono di dare al loro congiungimento


la forma di matrimonio legittimo, imponendo alla
società una famiglia che per leggi religiose e ci
vili era impossibile. In simile fatto vi è la vera
offesa politica alla religione per l'insulto al sacra
mento ; vi è la offesa all'autorità civile per il falso
contratto ; e cosi niente repugna che vi si trovi
un delitto . Ma dell'accidentale congiungimento vo
luttuoso non può dirsi altrettanto ; vi è la viola
zione al precetto religioso, ma la pubblica religione
non è in niente attaccata ( 1 ).

(1) La differenza che intercede fra il giure canonico ed il


giure civile intorno alla computazione dei gradi di parentela,
diede origine al dubbio se in faccia ad una legge penale che
punisca lo incesto senza determinare le condizioni debba in
terpetrarsi la volontà del legislatore in quanto alla materia
lità del reato secondo le leggi civili o secondo le leggi cano
niche. La idea che la punibilità di questo fatto abbia la sua
radice nella impossibilità del matrimonio parrebbe che desse
prevalenza alle leggi canoniche. Ma appo gli scrittori che
esaminarono tale questione sembra invece accolta la opinione
contraria. Vedasi Wieschnik , Tolerantia exculpata, dis
1 sertatio 1, cap. 2, n. 7, pag. 183 : dove conclude che sarebbe
una iniquità ricorrere ai Canoni per irrogare non le pene
canoniche ma le pene civili . Tale questione parmi non trovi
termini abili dove si adotta il matrimonio civile .
―――――― 583 -

§. 2005.

Resta dunque la idea dello scandalo, e questa


idea fu quella che prevalse nel Senato italiano ,
quando nel 1865, prendendo in esame il progetto
di legge presentatogli dal Ministero sulla esten
sione del Codice penale sardo alle provincie toscane,
posto fra l'antico testo del Codice sardo che (ar
ticolo 481 ) punisce l'incesto, e il Codice sardo-na
poletano che aveva affatto abolito questo titolo, amò
prendere una via di mezzo dichiarando punibile
l'incesto quando fosse accompagnato da scandalo.
Ma qui mi si permetta ripetere ciò che altra volta
notai ; questa parola scandalo è troppo diafana , e
ripetesi spesso da molti senza che chi la usa con
cepisca nettamente la realtà che per la medesima
si vorrebbe rappresentare. Avviciniamoci a questa
realtà. Lo scandalo ( 1 ) è una diceria romorosa corsa
.
attorno per un dato fatto ; è una commozione del
senso morale di gran numero di cittadini suscitato
per un avvenimento. Ma questo scandalo è nato
esso direttamente dallo incesto o è nato dal fatto
di altri che vi si sia intromesso ? Se è nato di
rettamente dallo incesto perchè la coppia impura
abbia fatto spettacolo delle sue oscenità (2) io dico.
che il fatto deve essere punito ; ma dico altresi
che per punirlo non vi è bisogno di porre nel Co
dice penale il titolo dello incesto , essendovi quello
dell'oltraggio pubblico al pudore (che troveremo
a suo luogo) e del quale la incestuosità può co
stituire un'aggravante . Se poi lo scandalo nacque
―――― 584 ―――

dalla malignità degli oziosi e dalle commari che


andarono empiendo il vicinato dei loro sospetti,
ripeto anche una volta che è più meritevole di
punizione la malignità di costoro, quantunque cuo
prano le loro diffamazioni sotto il mantello di un
ipocrita zelo, che non sia conveniente spingere una
inquisizione nelle domestiche pareti per soddisfare
il mal animo di un garrulo vicinato : e dico che
lo scandalo maggiore sarà il processo criminale.
Processi di siffatta natura, i quali non si assodano
se non si costruisce la prova della consumazione
del reato, non vidi mai che recassero grandi van
taggi alla pubblica moralità ; e non è conveniente
promuoverli tranne quando un diritto veramente
oltraggiato dimandi imperioso la dovuta ripara
zione. Lo scandalo inteso in cotesta guisa è un'arme
somministrata dalla legge ai malevoli . L'essere o
non essere punito dipende dall'avere o non avere
un perfido nemico nel vicinato.

( 1 ) Sulla etimologia della parola scandalo vedasi Fabro,


Thesaurus eruditionis, verbo scandalum Marchi, Dizio
nario etimologico, parola scandalo .
(2) È questo il senso nel quale si prende la parola scandalo
dalla giurisprudenza. Non è però necessario che il fatto siasi
commesso in luogo pubblico, ma basta che potesse vedersi
da luogo a tutti accessibile : Cassazione di Torino 18 giu
gno 1866. Questa dottrina però bisogna congiungerla con la
massima stabilita dalla Corte di Cassazione di Firenze nel
decreto del 29 settembre 1860 (Annali 22, 1, 686) ove decise
che le oscenità commesse in luogo privato, ancorchè siano
state eventualmente vedute da terzi, non sono punibili quando
non ne sia derivato pubblico scandalo. Bisogna di più con
giungerla con le decisioni della Corte di Cassazione di Fi
585

renze del 28 Luglio 1860 (Annali 22, 1, 478) e del 22 ago


sto 1863 (Annali 25, 1, 635) nelle quali fu stabilito che le
oscenità commesse in luogo aperto che sebbene privato po
teva accidentalmente trovarsi esposto alla vista di terzi,
sono punibili se di fatto furono vedute e ne consegui pub
blico scandalo. E la teorica si completa con le quattro deci
sioni dei tribunali di Francia che citai alla nota sotto il
§. 1550 e con le osservazioni che colà feci . Alle quali osser
vazioni ed ai giudicati di Francia non è altrimenti vero che
si opponga la giurisprudenza nostra coi giudicati anzidetti.
Questo è un errore nel quale può cadere soltanto chi non
bene comprese il concetto di quelle mie osservazioni . Quando
io dissi dovrei distinguere fra l'essere causa dello scandalo
e lo esserne soltanto occasione, io adoperai queste due pa
role nel senso giuridico , e credeva di dovere esser compreso.
Per essere causa di un evento nel senso giuridico bisogna
che il medesimo possa riferirsi all'agente come essere mo
ralmente libero ; che è quanto dire dover l'evento risalire
alla malvagità (dolo) o alla imprudenza (colpa) dell'agente
stesso. Dove non fu nẻ dolo nè imprudenza ciò che accade
è un fortuito del quale l'agente non fu che mera occasione.
Bene giudicarono le corti di Francia che quando l'uomo a
sfogare con femmina i propri appetiti si era chiuso entro
la propria camera, se altri aveva rotto le persiane per
guardare là dentro e cagionato una pubblicità, quell ' uomo
non era responsabile di questa pubblicità, perchè a lui nes
suna imprudenza era obiettabile ; e, non potendo obiettarsi
ad alcuno mero peccato, si facevano su lui ricadere le
conseguenze del fatto maligno ed illecito del terzo . È evi
dente che se quell' uomo si fosse posto là dentro a finestre
aperte sicchè i passeggieri lo avessero accidentamente ve
duto, egli sarebbe stato la causa e non la mera occasione
dello scandalo avvenuto. Gli otto giudicati che qui ricordo
niente si contradicono, ma si coordinano in una teorica com
pleta e giustissima, la cui ultima formula è questa : che
onde lo scandalo possa valutarsi a carico di alcuno o come
586
costituente o come aggravante un malefizio è necessario
che il medesimo sia derivato, o da una temerità cinica, o
almeno da una imprudenza di lui medesimo : senza ciò nes
suno potrà mai ammettere responsabilità penale . Tuttavia
questa teorica conduce a concludere la seguente proposizione
che svolgerò alla sua sede, ma che frattanto mi piace ac
cennare ; cioè : che un buon Codice penale nel definire l'ol
traggio al pubblico pudore deve astenersi da qualunque ac
cenno a quella vaga idea dello scandalo. Chiunque fa atti
osceni in luogo dove possano esser veduti da estranei è colpe
vole di oltraggio al pubblico pudore. Ecco la vera nozione
tutta soggettiva di questo reato. L'essere stato reduto è una
necessità di fatto, perchè altrimenti non se ne avrebbe la
prova. Ma il delitto è giuridicamente perfetto tostochè vi è
la potenza ; perchè è regola cardinale che in tutti i reati
sociali il danno potenziale equivale al danno effettivo ai fini
della consumazione del malefizio. Lo avere coloro che videro,
mosso o no sul reato dicerie e lamenti, è un accidentalità.
Dalla prudenza od imprudenza di costoro non può nascere la
criminosità di un fatto qualunque esso sia , perchè la essen
zialità criminosa deve dal legislatore cercarsi nel fatto del
l'agente, e non già ( checchè possa dirsi in certe forme quanto
alla misura) nel fatto dei terzi, che è una mera eventualità.

S. 2006 .

Per siffatte considerazioni i Codici contempo


ranei si sono divisi in due schiere sul proposito
della punibilità dello incesto . Alcuni cancellandolo
dal novero dei delitti : altri (1 ) serbandolo caro ed
alcuni allargandone anche la nozione.

(1) Molti sono i Codici contemporanei che hanno cancellato


l'incesto dal novero dei delitti. Lo conservano però il Codice
sardo, art. 481 ; il Codice toscano, art. 294, 295 ; il Codice di
- -
587 -
Baden, §. 365 e segg.; il Codice di Friburgo, art. 436 ; il Co
dice di Prussia, §. 141 ; il Codice dei Grigioni, §. 136 e 137 ;
il Codice del Vallese , art. 202 ; il Codice svedese, cap. 18, §. 1
e seg.; il Codice austriaco, §. 131. Il Codice spagnuolo arti
colo 366 sembra aver pure preso di mira lo incesto nel solo
caso del vincolo ascendentale o fraterno : ma a giusto vedere
esso non ne fa che un'aggravante dello stupro ; cosicchè ces
sando la punibilità dove non concorre lo stupro, è evidente
che non contempla l'incesto come titolo di per sè stante. Dove
si punisce l'incesto come delitto sui generis, confondendo
(come bene osserva Pacecho al commentario al predetto
articolo) l'ufficio del confessionario con quello della giustizia ,
la onestà o verginità della donna non è più condizione essen
ziale al reato. Eppure questo peccato convertito in delitto
civile si puni generalmente nelle antiche legislazioni con la
morte e col fuoco in entrambo i correi. Anche nella Inghil
terra le leggi repubblicane del 1650 che affettavano, come
osserva Blackstone (Commentaries, book 4, chapter 4) un
grande zelo per la religione, punirono di morte l'incesto :
ma dopo la restaurazione la legge fu abolita, e la cognizione
ne fu rilasciata ai tribunali ecclesiastici. Anche fra i moderni
scrittori non manca chi accarezzi la vecchia ruggine . Fer
rao (che altra volta vedemmo mostrare simpatie maggiori
per le tradizioni della santa inquisizione che per le buone
regole di criminale diritto ) nel suo Direito penal portuguez
(vol. 7, pag. 249) ha combattuto con aspri modi Pacecho ,
e vorrebbe che ogni atto di lascivia fosse criminalmente pu
nito come offesa alla religione. Thonissen nello eruditis
simo scritto intitolato La peine de mort dans le Talmud
(Bruxelles, 1866, pag. 14) giustamente osserva che queste
esorbitanti pene applicate all' incesto ebbero causa dall' in
flusso che fatalmente esercitò nei secoli passati la legge mo
saica sul giure penale. Ma anche egli giustamente osserva
che la legge mosaica, come legge emanata direttamente da
Dio, puniva il peccato come peccato : e da una legge che fu
nel tempo stesso legge politica, legge civile, e legge religiosa,
588
non possono trarre argomento le leggi penali dei popoli cri
stiani. Sulle penalità ebraiche dell'incesto , vedasi Selde no
Uxor. haebraica, lib. 1, cap. 4, 5, 6 ; e lo stesso Thonissen
nell'opera Études sur l'histoire du droit criminel, vol. 2,
append. A, chap. 4, §. 5, pag. 167.

S. 2007.

Fra questi il Codice toscano (art. 295) andò più


innanzi, e creò il titolo del quasi incesto, trovan
dolo nel commercio avuto dal tutore con la pu
pilla . E sebbene il Mori non ponesse questo nome,
che accattava dagli scrittori alemanni ( 1 ) , nel testo
del Codice e si contentasse di metterlo nell' indice,
pure vi pose il fatto come delitto, e lo volle pu
nito col carcere da uno a tre anni.

(1) Veramente gli scrittori germanici non applicarono la


formula di quasi incesto al concubinato del tutore con la pu
pilla ; ma bensi a quello intervenuto fra lo sposo e una con
giunta della sposa o viceversa, dopochè i pubblici sponsali
erano stati celebrati : in sostanza si estendeva il titolo d'in
cesto là dove non interveniva la vera affinità nascente dal
matrimonio, ma un rapporto anomalo nascente dagli sponsali ;
e come la infedeltà della sposa dicevano quasi adulterio cosi
dissero quasi incesto il concubito suaccennato : Hommel ,
Rapsodiae, observat. 227, n . 13 - Bergero , Electa crimi
nalia in supplem. pars 2, observatio 162. Ma il Caballo
(Resolutiones criminales, cas . 200, n. 63) censurò questa illa
zione, e sull'autorità del Salyceto (in leg. fin. n. 41, C. de
interdicto matrimonio inter pupilla et tutore) sostenne non
potersi mai ravvisare incesto dove non intercedeva un im
pedimento dirimente il matrimonio. Ed è noto che quantun
que le leggi civili interdicessero le nozze fra tutore e pupilla,
il giure canonico le permise ; e questa opinione prevalse nella
- 589 -
pratica universale. D'altronde anche nel giure civile la proi
bizione non era assoluta , e non derivava da un vincolo che
si ravvisasse fra tutore e pupilla, ma da un mero riguardo
agl'interessi patrimoniali ; laonde la 1. 6 , C. de interdicto ma
trimonio espressamente permetteva codeste nozze dopochè il
tutore avesse regolarmente reso i conti della sua ammini
strazione : Brouwer, De jure connubiorum, lib. 2, cap. 20,
n. 9. In quanto allo stupro commesso dal tutore sulla pupilla
lo previde la 1. unica C. si quis eam cujus tutor fuerit, che
lo puni con la deportazione e la pratica toscana considerò
sempre lo stupro in codeste condizioni come qualificato. Ma
vi è grandissima differenza fra lo aggiungere per le condi
zioni personali un'aggravante ad un delitto che già esiste
come tale, ed il creare un delitto dove non è, ed applicarvi
con un volo poetico la nozione dell' incesto dove non è nè
vincolo di sangue nè vincolo di affinità. Noi crediamo pertanto
che a miglior partito si sieno appresi tutti gli altri Codici
che non hanno contemplata questa specialità. Nell'antico
giure romano il matrimonio sembra s'interdicesse ancora
fra l'educatore e l'alunna: Ma Giustiniano volendo con
apposita disposizione togliere via le vetuste ambiguità , alla
1. 26, C. de nuptiis liberamente lo permise : Wies and ,
Opuscula, spec. 4, §. 1, educator cum alumna justum con
trahit matrimonium.

S. 2008.

Ora in proposito di questo quasi incesto io cer


tamente non negherò che lo stupro della pupilla
commesso dal tutore sia cosa bruttissima, e che
lo abuso dell'autorità e la maggiore difficoltà della
difesa privata esigano se ne faccia una speciale
aggravante dello stupro quando esso sia per le
sue condizioni essenziali per sè stesso punibile .
Ma che in modo assoluto le qualità personali
590

suppliscano alle condizioni essenziali del reato non


mi pare da ammettersi . Lo stupro semplice (già
lo vedemmo al §. 1489) non è più oggi dai buoni
Codici perseguitato come delitto . A renderlo tale
occorre la seduzione nel rigore giuridico della pa
rola. Ed io concederò che quando lo stupro si operò
dal tutore, possano i giudici più facilmente accet
tare in fatto la ipotesi della seduzione purchè in
fatto ve ne siano elementi. Ma che codesta sedu
zione stabiliscasi come presunzione juris et de jure
per le semplici relazioni personali, mi sembra so
verchio e pieno di pericolo d'ingiustizie. La pos
sibilità delle nozze fra tutore e pupilla porta ad
ammettere uno innamoramento reciproco col fine
legittimo di matrimonio ; e dove ciò sia , comprende
ognuno che la seduzione rimane una figura poetica
perchè si l'uno come l'altra sonosi sedotti recipro
camente . Nė vale il dire che il tutore può abusare
della sua posizione per ottenere la mano di una
ricca pupilla, perchè questo argomento proverebbe
troppo. Esso infatti porterebbe a proibire il ma
trimonio del tutore con la pupilla ; e di più por
terebbe a vietare eziandio che la pupilla si mari
tasse col figlio o col fratello del proprio tutore.
Io non vorrei mai la impunità del delitto, ma
però mai applaudirò alle punizioni fondate sopra
una ipotesi.

FINE

DEL TERZO VOLUME , E DELLA QUINTA CLASSE


INDICE DELLE RUBRICHE

segue SEZIONE PRIMA

DELITTI NATURALI

CLASSE QUARTA
DELITTI CONTRO L'ONORE

CAP. I. IDEA E CONTENUTO DELLA CLASSE. § 1702 a 1711


II. DESCRIZIONE DELLE SPECIE CON
TENUTE IN QUESTA CLASSE. § 1712
TIT. I. Diffamazione. § 1713 a 1720
II. Libello famoso . . § 1721 a 1731
III. Contumelia . • § 1732 a 1734
CAP. III. CRITERI ESSENZIALI DELLA IN
GIURIA § 1735
Art. I. Elemento materiale . § 1736 a 1750
» II. Elemento intenzionale * § 1751 a 1768
CAP. IV. CRITERI MISURATORI DELLA IN
GIURIA . § 1769 a 1799
» V. INFLUSSO DELLA VERITÀ SUL
CONVICIO • § 1800 a 1812
» VI. INGIURIE CONTRO I MORTI . § 1813 a 1823
VII. DEL GRADO NELLA INGIURIA. § 1824 a 1830
VIII. AZIONE PENALE CONTRO LA IN
GIURIA • •. § 1831 a 1848
» IX. PENALITÀ DELLE INGIURIE • § 1849 a 1858
592 ――――

CLASSE QUINTA
REATI CONTRO I DIRITTI DI FAMIGLIA

CAP. I. IDEA E CONTENUTO DELLA CLASSE. § 1859 a 1864


II. CONCUBINATO § 1865 a 1870
III. ADULTERIO
Art. I. Nozione. § 1871 a 1878
II. Criteri essenziali § 1879 a 1887
» III. Criterii misuratori. § 1888 a 1894
IV. Grado § 1895 a 1909
V. Azione . § 1910 a 1930
VI. Penalità § 1931 a 1935
CAP. IV . POLIGAMIA . § 1936 a 1948
» V. REATI CONTRO LO STATO CIVILE
DI UN FANCIULLO.
Art. I. Idea e contenuto di questa spe
cie criminosa, e sua essenzia
lità generale § 1949 a 1955
» II.
II. Specialità differenti che cadono
sotto il presente titolo. • § 1956 a 1971
III. Penalità • . § 1972 a 1974
CAP. VI. SOTTRAZIONE DI MINORI . § 1975 a 1999
» VII. INCESTO . § 2000 ad fin .
..


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