Struttura e funzione dei carboidrati: monosaccaridi e loro derivati di importanza biologica,
oligosaccaridi, polisaccaridi. Cenni su mucopolisaccaridi, proteoglicani e glicoproteine.
Struttura e funzione dei lipidi: acidi grassi, acilgliceroli, fosfogliceridi; sfingolipidi; colesterolo
e steroidi; eicosanoidi. Vitamine liposolubili. Trasporto dei lipidi nel sangue: le lipoproteine.
Struttura degli amminoacidi. Il legame peptidico. Struttura e funzione delle proteine.
Emoglobina. Collageno. Catalisi enzimatica. Attività enzimatica. Inibizione enzimatica.
Regolazione allosterica e covalente dell’attività enzimatica. Coenzimi. Vitamine idrosolubili.
Isoenzimi. Catabolismo e anabolismo. Le vie metaboliche. Principi di bioenergetica: reazioni
accoppiate e ruolo dell’ATP. Regolazione del metabolismo. Descrizione qualitativa delle
principali vie metaboliche: glicolisi e gluconeogenesi, via dei pentosofosfati, produzione e
degradazione del glicogeno con regolazione della glicemia; βossidazione e biosintesi degli
acidi grassi, biosintesi del colesterolo, ruolo dei corpi chetonici; deaminazione degli
amminoacidi e transaminazione, ciclo dell'urea; ciclo di Krebs. La catena respiratoria.
Fosforilazione ossidativa. Meccanismo d’azione degli ormoni.
I CARBOIDRATI
Aspetti generali e classificazione
I carboidrati sono un gruppo molto vasto di sostanze organiche, particolarmente
rappresentate nella biosfera. La maggior parte è costituita da tre soli elementi chimici:
carbonio, idrogeno e ossigeno.
I carboidrati hanno una grande importanza biologica, assolvono infatti vari ruoli:
riserva energetica (amido nelle piante, glicogeno nell’uomo)
funzione strutturale (cellulosa nelle piante, carboidrati nell’uomo)
meccanismi di segnalazione e trasmissione di segnali
Si possono classificare in base alla loro complessità chimica:
1. monosaccaridi: le molecole più semplici che possono esistere in forma libera oppure
associarsi a formare polimeri più o meno complessi;
2. oligosaccaridi: molecole costituite dall’associazione di due o più unità di monosaccaridi;
3. polisaccaridi: polimeri costituiti da decine di unità di monosaccaridiche a centinaia di
migliaia delle stesse.
1. Monosaccaridi
I monosaccaridi sono le molecole di carboidrati più semplici e in natura ponno esistere liberi
o, più spesso, legati l’uno all’altro a formare molecole più grandi.
Hanno formula generale (CH₂ O) , con un numero di atomi di carbonio mai minore di 3 e
raramente maggiore di 6.
Sono chimicamente definiti come poliidrossialdeidi o poliidrossichetoni, poichè le loro
molecole sono costituite da una catena di atomi di carbonio tutti legati ad atomi di idrogeno e
a gruppi ossidrilici (OH) tranne uno, che si presenta sotto forma di funzione aldeidica,
sottogruppo degli aldosi (CHO) , o chetonica, sottogruppo dei chetosi (C=O).
A seconda del numero di atomi di carbonio si possono avere:
triosi (3 atomi di carbonio: Gliceraldeide e Diidrossiacetone)
pentosi (5 atomi di carbonio: Ribosio)
esosi ( 6 atomi di carbonio: Glucosio; Fruttosio; Galattosio; Mannosio)
Osservando la formula dei due monosaccaridi più semplici, la Gliceraldeide e il
Diidrossiacetone, due triosi, possiamo vedere che la prima presenta un atomi di carbonio,
quello centrale contrassegnato con un asterisco, legato a quattro sostituenti diversi. Un
atomo di carbonio che si trovi in questa condizione viene detto asimmetrico, e le molecole in
cui è presente possono esistere in due orme diverse, speculari, dette isomeri ottici in quanto
le loro soluzioni possono ruotare il piano su cui vibra un raggio di luce polarizzata che le
attraversi. Gli isomeri ottici della Gliceraldeide vengono distinti facendo precedere il loro
nome da una lettera D o L a seconda che il gruppo OH si trovi a destra o a sinistra
dell’atomo di carbonio dal punto di vista dell’osservatore. Il Diidrossiacetone non ha atomi di
carbonio asimmetrici e quindi non presenta isomeri ottici. Le molecole D e L sono l’una
l’immagine speculare dell’altra, solamente le D hanno importanza biologica.
L’atomo di carbonio asimmetrico che definisce l’appartenenza di una molecola di
monosaccaride alla serie D o L è quello più lontano dal gruppo aldeidico/chetonico.
Si definiscono epimeri due molecole con più centri chirali che differiscono tra loro per uno
solo di questi; nel caso degli zuccheri sono epimeri due molecole che differiscono per la
posizione di un solo gruppo OH. Per esempio il Dglucosio e il Dgalattosio sono epimeri
per la posizione del solo gruppo OH legato all’atomo di carbonio in posizione 4. Il
Dmannosio è invece epimero del Dglucosio in
C2. Glucosio, Mannosio e Galattosio sono tra
loro isomeri.
I monosaccaridi solitamente sono presenti
disciolti in acqua o in un liquido. Nelle soluzioni
molti monosaccaridi non si trovano in forma
lineare o a catena aperta ma sono
prevalentemente sotto forma di molecole
cicliche originate dalla reazione intramolecolare
tra il gruppo aldeidico o chetonico e uno dei
gruppi OH della molecola. Negli esosi ad
esempio, in virtù della geometria dei legami, la
molecola si ripiega. il C1 aldeidico andrà a
trovarsi vicino all’ OH del C5. I due gruppi
reagiscono e si formerà un ciclo.
Poichè la reazione tra un gruppo aldeidico e
uno alcolico produce composti detti
semiacetali, le forme cicliche dei
monosaccaridi in soluzione sono dette
semiacetaliche.
Per effetto di questo processo anche il primo atomo di carbonio della catena diventa
asimmetrico perchè legato a 4 sostituenti diversi. Ogni molecola ciclizzando produce perciò
due nuovi isomeri, detti anomeri, e indicati come α e β.
Le due forme sono in equilibrio tra loro. L’esistenza di due forme anomeriche del Dglucosio
è
un particolare di grande importanza biologica.
Derivati importanti dei monosaccaridi
I monosaccaridi sono importanti, oltre che come costituenti di oligosaccaridi, polisaccaridi,
acidi nucleici ecc, anche come precursori di derivati a loro volta di grande importanza
biologica.
Acidi uronici: il gruppo alcolico in posizione 6 si ossida (COOH, da alcol primario si passa
ad aldeide e poi a ac. carbossilico).Nel caso del Glucosio si ha la formazione di ac.
glucuronico. nelle cellule del fegato l’acido glucuronico viene legato (coniugazione) a
sostanze scarsamente idrosolubili, quali farmaci, ormoni steroidei e bilirubina, per facilitarne
l’eliminazione dall’organismo per via biliare o urinaria. Entrano anche nella costituzione delle
glicoproteine.
Acidi aldonici: modificazione chimica degli aldosi presenti nelle cellule che riguarda
l’ossidazione del gruppo aldeidico. Glucosio → Ac. gluconico.
Amminozuccheri: un gruppo OH è sostituito da una funzione amminica. Esempi più
rappresentati nel mondo vivente sono la Dglucosammina, la cui forma acetilata
(NacetilDglucosammina) è un costituente di numerosi polisaccaridi, fra cui la chitina degli
insetti e dei crostacei, e la Dgalattosammina, presente in alcuni lipidi complessi e nei
polisaccaridi del tessuto cartilagineo.
Deossizuccheri: un gruppo OH è rimpiazzato da un idrogeno. Sebbene la deossigenazione
sia possibile in qualsiasi posizione all'interno della molecola glucidica, risultano maggiormente
diffusi i 6deossizuccheri. Il più diffuso è il deossiribosio.
Fosfozuccheri: un gruppo OH è esterificato da una molecola di acido fosforico. I
carboidrati possono essere usati dalle cellule solo in questa forma; per esempio il glucosio
per poter essere utilizzato dalle cellule, una volta che vi sia penetrato, deve essere
trasformato nell’estere fosforico in posizione 6
2.Oligosaccaridi
Quando due molecole di monosaccaride reagiscono, si ha la formazione di un legame
covalente fra il gruppo OH legato all’atomo di carbonio anomerico della prima (il più
reattivo) e uno dei gruppi alcolici della seconda con perdita di una molecola di acqua.
Il legame covalente che si forma dalla reazione di condensazione viene detto Legame
OGlicosidico ed è quello che tiene unite le unità di monosaccaride negli oligosaccaridi e nei
polisaccaridi. La differenze fra oligosaccaridi e polisaccaridi è puramente quantitativa, i primi
sono costituiti da poche unità di monosaccaridi legate da legami glicosidici, mentre nei
secondi queste sono numerosissime.
Gli Oligosaccaridi più abbondanti in natura sono i Disaccaridi, che sono costituiti da due
unità monosaccaridiche unite da un legame Glicosidico. Particolarmente importanti sono:
Maltosio: (αglucosio 1→4 αglucosio); è uno dei prodotti della digestione dell’amido. lo si
ritrova anche nel malto e nei cereali.
Lattosio:
(βgalattosio 1→ 4 αglucosio); presente esclusivamente nel latte, cui conferisce il
sapore dolciastro.
Saccarosio: (βfruttosio 2→ 1 αglucosio); detto anche zucchero di canna, è un composto
assai abbondante nel regno vegetale e rappresenta il comune zucchero da tavola.
3.Polisaccaridi
→ Omopolisaccaridi: molecole costituite dal ripetersi di numerosissime unità di un solo tipo
→ Eteopolisaccaridi:molecole costituite dal ripetersi di numerosissime unità di più tipi
Funzioni:
→ Riserva energetica (amido e glicogeno)
→ Strutturale ( cellulosa e chitina)
→ Lubrificante (mucopolisaccaridi dei proteoglicani)
→ accrescimento cellulare
Amido: è il più importante polisaccaride di riserva delle cellule vegetali. E’ formato da due
catene diverse: l’amilosio e l’amilopectina.
L’amilosio è costituito da molecole di lunghezza variabile, lineari, che in soluzione assumono
una forma elicoidale, in cui le molecole di αglucosio sono legate da legami 1→ 4.
L’amilopectina presenta oltre ai legami 1→ 4 anche legami 1 → 6, in corrispondenza dei
quali risulta ramificata. Le ramificazioni sono presenti circa ogni 30 residui.
Glicogeno: polisaccaride di riserva delle cellule animali. Le molecole assomigliano molto a
quelle dell’amilopectina, da cui differiscono solo per il maggior numero di ramificiazioni e per
la maggiore compattezza, sono infatti presenti ogni 10 residui di glucosio. Nei mammiferi, il
glicogeno è abbondante sopratutto nelle cellule del fegato, dove è presente sotto forma di
grossi granuli, e, in misura minore, in quelle del muscolo scheletrico. Il glicogeno epatico,
grazie alla possibilità per la cellula di liberare da esso (o unire a esso) molecole di
glucosio,ha una grandissima importanza per il mantenimento del corretto valore di glicemia.
Cellulosa: E’ tra i più importanti polisaccaridi strutturali. E’ il principale costituente della
parete delle cellule vegetali. E’ costituita da lunghe molecole lineari formate dall’unione di
unità di βglucosio tramite legami 1→ 4, questi legami creano dei fasci rettilinei molto robusti.
Per la sua abbondanza nelle pareti delle cellule vegetali, la cellulosa può essere considerata
la sostanza organica più abbondante nella biosfera. Può essere impiegata come fonte di
energia solo da microorganismi (batteri e funghi) e da una strettissima minoranza di
organismi superiori. Ruminanti e termiti possono usare la cellulosa solo grazie alla presenza
di batteri nel tratto digerente, che possiedono un enzima: la cellulasi, che catalizza la rottura
idrolitica delle molecole di cellulosa liberando β glucosio, immediatamente trasformata nella
forma α.
Glicosamminoglicani (GAG o Eteropolisaccaridi): Definiti anche come mucopolisaccaridi
acidi perchè contengono spesso derivati acidi. Sono una famiglia di eteropolisaccaridi lineari
formati dalla ripetizione di unità disaccaridiche in cui uno dei costituenti è sempre
Nacetilglucosammina o Nacetilgalattosammina mentre l’altro è in genere un
monosaccaride acido, spesso acido glucuronico. Oltre ai gruppi carbossilici, in alcuni GAG
possono essere presenti gruppi solfato esterificati alle funzioni ossidriliche degli zuccheri.
Uno dei più importanti GAG acidi è l’acido ialuronico, una macromolecola a elevato peso
molecolare che si trova sia nei rivestimenti cellulari sia nella sostanza fondamentale di tutti i
tessuti connettivi dei vertebrati, nel liquido sinoviale di numerose articolazioni e nel cordone
ombelicale.
Altro importante GAG è l’eparina che si trova all’interno dei mastociti presenti lungo la parete
delle arterie, in particolare di fegato, polmoni e cute. L’eparina è una sostanza
particolarmente importante per il suo potere anticoagulante e viene utilizzato come farmaco.
Proteoglicani e Glicoproteine: carboidrato+ proteina, sono molecole coniugate. I
proteoglicani sono costituiti da GAG associati a proteine della matrice extracellulare e a uno
scheletro di ac. ialuronico. Le glicoproteine sono proteine coniugate con una porzione
glicidica legata a residui di serina, treonina o asparagina. La differenza tra le due classi di
molecole risiede nelle proporzioni relative della parte proteica di quella saccaridica. nei
proteoglicani prevale la porzione glicidica, che può arrivare fino al 95% del peso totale; nelle
glicoproteine, la parte zuccherina è invece rappresenta in quantità inferiori rispetto alla
porzione proteica. La maggior parte delle glicoproteine entra nella costituzione della
membrana cellulare, posizionando la porzione glicidica verso l’esterno della cellula, oppure è
destinata a svolgere le proprie funzioni al di fuori delle cellule da cui le glicoproteine sono
prodotte. Fra le glicoproteine di membrana sono particolarmente importanti quelle presenti
nella superficie dei globuli rossi, che determinano in parte la specificità dei gruppi sanguigni,
e quelle localizzate nelle cellule dell’epitelio assorbente intestinale, la cui porzione glicidica
costituisce la struttura nota come glicocalice che, tra l’altro, contribuisce alla protezione della
superficie cellulare. Infine le porzioni glicidiche delle glicoproteine sono molto importanti nel
fenomeno dell’inibizione da contatto, cioè l’arresto della proliferazione cellulare che si
produce quando le cellule giungo a reciproco contatto.
I LIPIDI
Gruppo eterogeneo di sostanze organiche, sono insolubili in acqua ma solubili in solventi
organici.
Funzioni :
Riserva energetica
Isolante termico
Isolante elettrico (guaine degli assoni)
Strutturale (membrana cellulare)
Trasmissione segnali chimici
Classificazione:
→ Semplici (o non saponificabili); non contengono ac. grassi.
terpeni
steroidi
prostaglandine o elicosanoidi
→ Complessi (o saponificabili); contengono ac. gassi, possono perciò reagire in soluzione
alcalina liberando molecole di ac. grassi sotto forma dei sali corrispondenti (saponi)
acilgliceroli = glicerolo+ ac. grassi
fosfogliceridi = glicerolo+ac. grassi+fosfato+”x”
sfingolipidi = sfingosina+ac. grassi+ “x”
cere = alcoli polari ad alto pH+ acidi grassi
Acidi Grassi
Acidi carbossilici a lunga catena. RCOOH (R è una catena carboniosa di lunghezza
variabile).
La lunga catena alifatica conferisce loro una marcata idrofobicità.
In acqua tendono a ionizzare:
RCOOH → RCOO ̄ +H﹢
NB:
Se si numera con le lettere dell’alfabeto greco si parte dal carbonio adiacente a quello
carbossilico. L’ultimo metile (CH3) è sempre omega, indipendentemente dalla lunghezza.
N° Carboni < 12 → catena breve
N° Carboni 812 → catena media
N° Carboni >12 → catena lunga
Classificazione
→ Saturi: gli atomi di carbonio della catena sono legati da legami semplici
→ Insaturi: nella catena è presente almeno un doppio legame. Si definiscono polinsaturi se i
doppi legami sono più di uno. In tutti i principali ac.grassi insaturi presenti negli esseri viventi
il doppio legame si trova in configurazione cis,
cioè i due gruppi uguali legati ai due atomi di
carbonio sono dalla stessa parte rispetto al piano del doppio legame.
Le molecole di ac. grassi si impacchettano, a parità di peso molecolare quelli saturi, che
posso impacchettarsi più “strettamente”, hanno un punto di fusione più elevato.
A temperatura e pressione ambiente i saturi risultano solidi mentre gli insaturi liquidi.
→ Saturi:
Il primo numero indica il numero di atomi di carbonio, il secondo il numero di doppi legami;
ad esempio 12:0 significa 12 atomi di carbonio e 0 doppi legami.
→ Insaturi:
Il delta indica la posizione del doppio legame. Dall’acido arachidonico vi derivano gli
eicosanoidi.
Gli acidi grassi omega3 e omega6 sono essenziali, non sono sintetizzabili dalle cellule del
nostro organismo. Sono molto importanti perché abbassano il livello di trigliceridi nel sangue.
Gli acidi grassi sono molto abbondanti negli esseri viventi come costituenti dei lipidi
complessi, mentre sono assai poco rappresentati in forma libera, come acidi grassi non
esterificati. Questi ultimi sono abbondanti soprattutto all’interno delle cellule, dove vendono
utilizzati a scopo energetico o per sintetizzare lipidi complessi, mentre alcuni acidi grassi
polinsaturi hanno funzioni di regolazione del metabolismo o sono precursori di sostanze a
elevata attività biologica, come le prostaglandine.
In generale, gli acidi grassi liberi si ritrovano prevalentemente nel sangue, veicolati da
sostanze idrosolubili, sopratutto le albumine, come espressione degli scambi tra il tessuto
adiposo, in cui si trovano accumulati sotto forma di trigliceridi, e il fegato, l’organo più
importante in cui sono utilizzati.
Acilgliceroli
Sono lipidi complessi e neutri, sono esteri degli acidi grassi.
Il gruppo carbossilico di un acido grasso (COOH), può legarsi a un gruppo alcolico (OH),
eliminando una molecola di acqua e formando un legame estere. Il glicerolo, un alcol
trivalente, è una molecola che si lega frequentemente con gli acidi grassi.
Gli acilgliceroli sono suddivisi in monoacilgliceroli, diacilgliceroli o triacilgliceroli (o trigliceridi)
a seconda che le tre funzioni alcoliche del glicerolo sono esterificate con uno, due o tre acidi
grassi.
I trigliceridi sono la forma con la quale vengono immagazzinati i grassi nel tessuto adiposo.
I lipidi che a temperatura ambiente sono liquidi si chiamano oli, mentre se sono solidi o
semisolidi si chiamano grassi.
Fosfogliceridi
Sono i principali costituenti delle membrane biologiche, hanno infatti una funzione
strutturale. Sono anche una riserva di colina, precursore dell’ acetilcolina (fosfatidilcolina).
Dalla colina si ricava il corrispondente neurotrasmettitore. Hanno un ruolo di tensioattivi
(surfactante polmonare) e sono precursori di secondi messaggeri.
Come i trigliceridi, anche i fosfogliceridi contengono uno scheletro costituito da una molecola
di glicerolo ma, a differenze di questi, oltre agli acidi grassi presentano gruppi polari.
La struttura di base dei fosfogliceridi è quella dell’acido fosfatidico, una molecola in cui due
funzioni alcoliche del glicerolo sono esterificate da altrettante molecole di acido gasso,
mentre la terza è esterificata da una molecola di acido fosforico. A sua volta, l’acido fosforico
presente nella molecola di acido fosfatico può essere esterificato con il gruppo alcolico di
alcune molecole organiche; ciò produce i vari tipi di fosfogliceridi , che differiscono quindi
solo per la natura chimica della molecola legata all’acido fosforico.
X:
colina = fosfatidilcolina
etanolammina =fosfatidiletanolammina
colina = fosfatidilserina
inositolo = fosfatidilinositolo
In virtù della presenza dell’acido fosforico e della molecola organica polare, una parte della
molecola dei fosfolipidi è nettamente polare e idrofila (testa polare), al contrario della parte
rimanente che, presentando la stessa struttra dei trigliceridi, risulta nettamente apolare e
quindi idrofoba (cosa idrofoba). Per questa ragione le molecole dei fosfogliceridi sono
anfipatiche e in acqua presentano un comportamento caratteristico: le molecole tendono
spontaneamente a orientarsi in modo da esporre al solvente le teste polari facendo
interagire tra loro le porzioni apolari. Si formano così aggregati molecolari più o meno
rotondeggianti o cilindrici, detti micelle, di dimensioni microscopiche in cui le teste si trovano
in superficie e le cose idrocarburiche sono presenti all’interno, escluse dal contatto con le
molecole di acqua.
Esse possono anche aggregarsi in modo da formare foglietti costituiti da un doppio strato di
molecole.
Sfingolipidi
Sono costituenti delle membrane biologiche, sono abbondanti nel cervello e nel tessuto
nervoso. Anche questo sono molecole anfipatiche.
Insieme ai fosfogliceridi costituiscono la classe dei fosfolipidi. Al contrario dei fosfogliceri non
contengono glicerolo. In base alla loro costituzione chimica vengono suddivisi in varie classi,
accomunate dalla presenza di due unità caratterisitche:
una molecola di sfingosina (amminoalcol a catena lunga)
una molecola di acido grasso.
Gli sfingolipidi sono di due tipi: le sfingomieline e i glicosfingolipidi.
X
Sfingomieline= acido fosforico+ colina
Ceramidi= idrogeno
(Le ceramidi sono presenti in piccole quantità nei tessuti vegetali e animali e hanno
importanza come precursori delle sfingomieline. Le sfingomieline sono fosfolipidi impiegati
nella formazione della guaina mielinica)
Glicolipidi= carboidrati, soprattutto glucosio o galattosio, se vi sono legati più molecole di
zucchero sono chiamati gangliosidi. Sono particolarmente abbondanti nel tessuto nervoso.
Steroidi
Sono un gruppo di lipidi che presentano la struttura base dell’idrocarburo policiclico
ciclopentanoperidrofentantrene. In natura esistono moltissimi steroidi diversi che possono
differire chimicamente tra loro ma derivano tutti dall’idrocarburo terpenico squalene, che può
facilmente ciclizzare.
Lo steroide più abbondante nei tessuti animali è il colesterolo, un composto a 27 atomi di
carbonio la cui molecola presenta un gruppo alcolico, un doppio legame, una catena alifatica
a 8 atomi di carbonio e due sostituenti metilici.
Il colesterolo è uno dei principali costituenti delle membrane cellulari e della sostanza bianca
del tessuto nervoso. E’ assunto con gli alimenti, ma è anche prodotto dal fegato in modo
controllato al fine di assicurarne la disponibilità e la distribuzione nella quantità ottimale ai
vari tessuti.
Ha funzione strutturale, precursore della vit. D3, degli ormoni steroidei, degli acidi biliari.
La complessità strutturale del colesterolo giustifica la presenza di questa molecola all’interno
delle membrane cellulari dove svolge un ruolo fondamentale di modulatore della fluidità delle
stesse: la struttura ciclica, rigida, del colesterolo conferisce alla membrana cellulare
un’adeguata compattezza; d’altra parte, alle basse temperature, il colesterolo impedisce che
la membrana cristallizzi perdendo la propria funzionalità.
Non esiste una via metabolica di demolizione del colesterolo.
Terpeni
Hanno una strutta di base costituita dal ripetersi di più unità di un idrocarburo a cinque atomi
di carbonio, l’isoprene, per formare molecole lineari, cicliche o di entrambi i tipi, in cui le unità
di isoprene possono essere unite testacosa o testatesta.
Sono delle molecole idrofobe.
Sono diffusi soprattutto nel mondo vegetale, ove ne esiste una grandissima varietà; essi
sono particolarmente abbondanti negli oli essenziali ottenuti da varie piante. Altri terpene di
grande importanza sono:
lL squalene, dal quale si ottiene il colesterolo
I carotenoidi, molto importante è il βcarotene precursore della vitamina A.
Vitamina E
Vitamina K
Ubichinone, trasportatore di elettroni nella catena respiratoria.
GLI AMMINOACIDI
Sono le unità elementari delle proteine. Hanno almeno un gruppo amminico (NH ) e un
2
gruppo carbossilico (COOH).
In tutti un gruppo amminico e uno carbossilico si trovano legati allo stesso atomo di carbonio
in posizione α (adiacente al gruppo carbossile) : essi quindi sono detti αamminoacidi.
Gli amminoacidi differiscono tra loro per la natura chimica del gruppo R, detto catena
laterale.
Tutti gli amminoacidi (tranne la glicina) possiedono quattro sostituenti diversi legati all’atomo
di carbonio α (asimmetrico) : ciò fa sì che ogni amminoacido esista in due isomeri diversi (L
e D), quelli presenti nelle proteine appartengono sempre alla serie L.
Il codice genetico sintetizza soltanto 20αLamminoacidi.
A causa della presenza nella molecola di gruppi acidi e basici deboli, gli amminoacidi sono
molecole ionizzabili, il cui grado e tipo di ionizzazione dipendono dal pH. In una soluzione
neutra, gli amminoacidi si comportano prevalentemente come ioni dipolari, presentando
+
ionizzato sia il gruppo amminico (NH 3) sia quello carbossilico (COO) legati al carbonio α
mentre, a pH diverso da 8, il tipo e il grado di ionizzazione cambiano. Il punto isoelettrico di
una proteina è il valore di pH a cui le cariche positive e negative della molecola si
equivalgono. La forma a pH neutro è detta forma zwitterionica.
Gli amminoacidi si classificano sulla base della catena laterale.
La glicina (gly) è l’unico AA a non avere il carbonio chirale ed è difficile stabilire se sia polare
o apolare.
→ catena laterale ( R ) apolare
alifatica=
Alanina, Valina, Leucina, Isoleucina, Metionina, Prolina
aromatica= Fenilalanina,
Tirosina; Triptofano
→ catena laterale polare
non ionizzabile= Serina,
Treonina ,
Cisteina, Asparagina, Glutammina
ionizzabile acida = Aspartato ,
Glutammato
ionizzabile basica= Lisina,
Arginina ; Istidina
8 amminoacidi (valina, leucina, isoleucina, metionina, fenilalanina, triptofano, treonina, lisina)
sono considerati amminoacidi essenziali; l’uomo non può sintetizzarli utilizzando i
meccanismi del proprio metabolismo e deve perciò introdurli nel proprio organismo
attraverso gli alimenti. Due AA, l’istidina e l’arginina, si ritiene che siano essenziali nei
bambini molto piccoli in quanto la produzione endogena di queste molecole non è in grado di
coprire completamente i bisogni di un organismo in crescita.
Proteine
Sono polimeri di AA, sintetizzati sui ribosomi e sono strettamente legati al DNA.
Nonostante siano costituiti da una serie di amminoacidi legati in sequenza uno all’altro,
generalmente le proteine non sono molecole filamentose ma si ripiegano assumendo una
struttura tridimensionale globulare con una conformazione precisa e caratteristica per
ognuna di esse. In una proteina si distinguono più livelli di struttura.
Struttura primaria
E’ fondamentale in quanto tutti i livelli stutturali superiori della proteina, che ne determinano
la forma tridimensionale, derivano da essa, che contiene l’informazione che li specifica.
Si ha la formazione del legame peptidico: un legame ammidico derivante dalle reazione di
condensazione tra due amminoacidi. In particolare reagiscono il gruppo carbossilico in α di
un AA e il gruppo amminico in α di un altro AA con la perdita di una molecola di acqua. Si
forma un dipeptide.
Il legame peptidico è rigido e planare, tutti gli atomi giacciono sullo stesso piano e ha parziali
caratteristiche di doppio legame.
In una catena polipeptidica si riconoscono:
lo scheletro covalente o backbone
i residui amminoacidici (le catene laterali)
l’estremità amminoterminale (il primo AA)
l’estermità carbossiterminale (l’ultimo AA)
La torsione della catena è permessa soltanto a livello dei carboni α.
proteine n° AA >50
polipeptide n° AA <50
Struttura secondaria
Ripiegamento spaziale ordinato di brevi tratti di catena polipeptidica.
La struttura ad αelica è uno degli arrangiamenti più comuni della catena polipeptidica.
Comprende normalmente dai 4 ai 15 AA, tuttavia si sono osservate anche eliche
particolarmente lunghe >30 AA.
La struttura ad αelica consiste in un ripiegamento elicoidale dello scheletro peptidico della
proteina che si presenta fortemente spiralizzato attorno all’asse longitudinale, con le catene
proiettate verso l’esterno. Il ripiegamento, quasi sempre destrogiro, è stabilizzato da legami
a idrogeno formati tra il gruppo NH di un legame peptidico e il gruppo C=O del legame
presente 4 residui più avanti nella catena polipeptidica, che viene a trovarsi immediatamente
soprastante a causa del ripiegamento della catena stessa. L’unità ripetitiva dell’αelica è
rappresentata da un singolo giro, che contiene 3,6 residui amminoacidici e si estende per
una lunghezza di 0.54 nm lungo l’asse dell’elica (passo).
Il βfoglietto è un altro possibile arrangiamento comune della catena polipeptidica. Con
questo ripiegamento la catena polipeptidica si trova molto più distesa che nell’alfaelica (la
distanza assiale tra due residui adiacenti passa da 0,15 nm a 0,35 nm), assumendo un
andamento a zigzag che prende il nome di filamento beta; In questo, i gruppi R risultano
proiettati perpendicolarmente al piano dei legami peptidici con direzione alternativamente
opposta. Generalmente più filamenti beta, originati dal ripiegamento di tratti diversi della
stessa catena polipeptidica o appartenenti a catene polipeptidche diverse, si associano
longitudinalmente formando una super struttura secondaria che ricorda un foglietto ripiegato
(foglietto beta).
In un βfoglietto i filamenti hanno due possibilità di associazione: parallelo o antiparallelo.
I βturn sono brevi tratti di catena polipeptidica (4 residui AA) in cui si ha un cambio di
direzione di 180°; esistono più tipi di βturn, spesso contengono residui di Prolina e Glicina e
sono spesso elementi di connessione di filamenti β.
I loop (o anse) sono porzioni della catena polipetidica che collegano elementi ordinati di
struttura secondaria, hanno lunghezza variabile e sono in conformazioni disordinata.
Struttura terziaria
Ripiegamento spaziale dell’intera catena polipeptidica.
Importanti caratteristiche:
Coinvolgono delle catene laterali degli AA.
Importanza fondamentale dell’interazione idrofoba nella formazione del nucleo centrale “core
idrofobo”.
Formazione di legami ionici, legami a idrogeno, ponti disolfuro.
Flessibilità della struttura.
La struttura terziaria di una proteina è la conformazioni tridimensionale che la natura dà ad
essa per consentirle di svolgere specifiche funzioni biologiche. Le proteine globulari
presentano sempre una struttura tridimensionale complessa risultante dalla combinazione di
più motivi strutturali uniti da anse di lunghezza variabile a formare struttura compatte di
forma definita dette domini, che rappresentano le unità strutturali strutturali e funzionali delle
molecole proteiche. Le proteine più grandi sono organizzate in più domini anche quando
sono costituite da una sola catena polipeptidica ripiegata.
In generale, il ripiegamento della catena polipeptidica porta alla segregazione dei residui
idrofobi all’interno della molecola, lontani dall’interazione con le molecole del solvente e
all’avvicinamento di residui carichi positivamente e negativamente e di residui di cisteina,
Tra i gruppi SH di questi ultimi possono formarsi legami disolfuro (SS) che rappresentano
l’unico tipo di interazione covalente possibile tra catene laterali. Tutte queste interazioni
stabilizzano fortemente la conformazione che la proteina viene ad assumete; essa viene
persa solo trattando la proteina in modo da destabilizzare le interazioni intramolecolari. In
questo caso i livelli strutturali superiori vengono destabilizzati e la proteina si denatura
rimanendo soltanto la struttura primaria della catena polipetidica priva di conformazione
definita.
Ogni tipo di proteina tende a ripiegarsi sempre allo stesso modo, determinato dalla
sequenza amminoacidica. Tale ripiegamento, in cui si realizza il massimo di interazioni
all’interno della catena polipeptidica, risulta il più favorito dal punto di vista termodinamico:
per questo tutte le molecole di un certo tipo di proteina assumono sempre la stessa struttura
e, se denaturate, tornano nuovamente alla conformazioni originaria una volta allontanato
l’agente denaturante.
Nella struttura della mioglobina i residui apolari sono all’interno, i residui polari all’esterno.
Struttura quaternaria
Associazione di 2 o più catene polipeptidiche dette anche subunità.
Le catene possono essere:
Identiche = Omomultimero (omodimero, omotrimeto, omotetramero ecc)
Diverse= Eteromultimero (eterodimero, eterotrimero, eterotetramero ecc)
A causa della possibilità di interazione tra subunità, le proteine con struttura quaternaria
presentano proprietà funzionali diverse da quelle di proteine con la sola struttura terziaria;
queste proprietà vengono globalmente indicate con il termine allosterismo.
La funzionalità di una proteina è associata alla sua strutta tridimensionale che viene anche
detta stato nativo.
Le proteine sono le molecole funzionali della cellula; ogni tipo di proteina svolge nella cellula
un proprio lavoro, integrato nella dinamica cellulare e regolato in base alle mutevoli esigenze
della cellula stessa. In base alla funzione sono state individuate delle classi funzionali:
→ proteine catalitiche
→ proteine di regolazione
→ proteine di trasporto
→ proteine di riserva
→ proteine contrattili
→ proteine strutturali
→ proteine con funzione di riserva e di offesa
→ proteine adattatrici
→ proteine esotiche
Le proteine possono essere semplici se sono formate dalla sola catena polipeptidica, oppure
coniugate se presentano anche un gruppo prostetico indispensabile per lo svolgimento della
loro funzione biologica, può essere legato covalentemente o con legami deboli. A seconda
della natura chimica di tale gruppo si distinguono:
Glicoproteine (zucchero)
Lipoproteine (trigliceridi, fosfolipidi, colesterolo)
Nucleoproteine ( DNA, RNA)
Fosfoproteina (gruppi fosfato)
Metalloproteine (Fe, Cu, Zn, Mn)
Flavoproteine (FAD, FMN)
Emoglobina (Hb)
Proteina che trasporta l’ossigeno nel sangue. Si trova nei globuli rossi (Hb 1216g/100ml
sangue). E’ un classico esempio di proteina allosterica.
Nell’adulto (HbA) essa è costituita da quattro subunità globulari, due a due uguali, dette
catena α e catene β, unite da interazioni non covalenti in una struttura compatta di forma
quasi sferica. Ogni subunità contiene al suo interno, legata covalentemente in una tasca
idrofobica generata dal ripiegamento della catena polipetidica, una molecola non proteica,
2+
l’eme. Questa è costituita da un anello tetrapirrolico al centro del quale si trova uno ione Fe
legato con quattro legami di coordinazione a ognuno dei quattro atomi di azoto delle unità
pirroliche e con un quinto legame alla catena laterale di uno specifico residuo di istidina della
catena polipeptidica.
Lo ione ferro dell’eme può legare reversibilmente una molecola di ossigeno formando il
sesto legame di coordinazione della struttura.
La funzione dell’emoglobina nei globuli rossi è quella di trasportare nei tessuti l’ossigeno
legato a livello degli alveoli polmonari. Questa funzione è il risultato delle interazioni delle
quattro subunità dell’emoglobina, sia reciproche sia con l’ambiente intorno ai globuli rossi.
La caratteristica principale delle proteine allosteriche consiste infatti nel comportamento di
ogni subunità, la cui attività risente dello stato funzionale delle altre subunità. Nel caso
dell’emoglobina questo determina un progressivo aumento dell’affinità delle subunità per
l’ossigeno (considerato un effetto allosterico positivo). Infatti il legame della prima molecola
di ossigeno all’eme di una subunità determina su questa modificazioni conformazionali che
si trasmettono a distanza alle subunità vicina; ciò favorisce il legame della seconda molecola
di ossigeno all’eme di un’altra subunità e questo facilita il legame di una terza molecola di
ossigeno e quindi della quarta. Più è alta la concentrazione di ossigeno più l’emoglobina la
lega.
2+
Per il corretto funzionamento dell’emoglobina il ferro deve essere in forma: Fe . Se diventa
3+
Fe, Hb diventa metemoglobina e non svolge più la sua funzione.
Anche la mioglobina è una proteina legante l’ossigeno, è presente nei muscoli, è molto
simile all’emoglobina ma è costituita da una sola subunità e quindi priva di comportamento
allosterico.
Effetto Bohr
+
Azione degli ioni H e quindi l’effetto del pH sull’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno.
(nH+
)Hb + O2 HbO2
+nH+
L’aumento dell’acidità sposta l’equilibrio verso sinistra, talchè Hb risulta meno affine
all’ossigeno.
Nel sangue periferico (pH leggermente più acido per la produzione di CO ), l’emoglobina
2
rilascia più facilmente l’ossigeno.
Nel sangue polmonare (pH leggermente meno acido), l’emoglobina lega più facilmente
l’ossigeno.
Il principale effettore allosterico negativo dell’Hb è il
2,3bisfosfoglicerato (BPG), fa rilasciare l’ossigeno. Ha un ruolo
importante nell’emoglobina fetale. Nell'emoglobina fetale la
subunità β viene sostituita con la subunità γ che ha meno siti di
legame per il 2,3BPG, per questo motivo l'emoglobina fetale ha una
minore affinità per il 2,3BPG e quindi una maggiore affinità per l'ossigeno rispetto a quella
materna permettendo così al feto di poter sottrarre al sangue materno l'ossigeno di cui ha
bisogno.
Enzimi
Sono proteine che svogono un’attività catalitica nei sistemi biologici.
Senza enzima: A → B
Nelle cellule le reazioni sarebbero tanto lente da non avvenire, senza gli enzimi la vita non
potrebbe esistere.
Con enzima: S → P
Il reagente viene chiamato substrato. Questo si lega al sito attivo dell’enzima e viene
trasformato in prodotto.
Gli enzimi per funzionare come catalizzatori devono avere le seguenti caratteristiche:
Al termine della reazione la loro struttura deve risultare immodificata
Devono essere efficaci in piccole quantità
Aumentano la velocità di una reazione chimica senza influenzarne l’equilibrio
Caratteristiche peculiari degli enzimi:
14
Accelerano la reazione fino a 10 volte
Hanno un’elevata specificità per il proprio substrato e per il tipo di reazione
Agiscono in condizioni fisiologiche di pH, temperatura e pressione
La loro funzione può essere finemente regolata.
Possono essere suddivisi in 6 classi distinte a seconda del tipo di reazione catalizzata:
1. ossidoreduttasi ossidoriduzione (reazioni con scambio di elettroni)
2. tranferasi trasferimento di un gruppo chimico
3. idrolasi idrolisi (rottura legami covalenti con H O)
2
4. liasi rottura di legami senza H O
2
5. isomerasi isomerizzazioni
6. ligasi formazione di nuovi legami chimici
Ogni classe è poi suddivisa in sottoclassi a loro volta suddivise in sotto sotto classi che
vanno ad individuare il singolo enzima.
1. Ossidoreduttasi
principali sottoclassi:
→ deidrogenasi: agiscono sottraendo 2H da un substrato ossidandolo. ad es: ac malico
diventa ac. ossalacetico. I 2 idrogeni finiscono sull’agente ossidante ovvero un coenzima
NAD.
Le piridiniche sono NAD dipendenti mentre le filaminiche sono FAD dipendenti.
→ ossidasi: utilizzano O come ossidante e producono H
2 O
2 2
→ ossigenasi: fra cui le idrossilasi che introducono un gruppo OH nel substrato
2.Transferasi
→ Amminotransferasi (transaminasi): trasferiscono gruppi NH . Il donatore è un
2
amminoacido mentre l’accettore è solitamente un alfachetoacido il quale si trasforma
nell’amminoacido corrispondente. Ad esempio l’αchetoglutarato diventerà glutammato.
→ Fosfotransferasi (cinasi) trasferiscono gruppi fosfato
→ Glicotransferasi trasferiscono unità monosaccaridiche
3.Idrolasi
Derivano dal legame che viene rotto:
→ Esterasi idrolizzano legame estere
→ Glicossidasi idrolizzano legame glicosidico
→ Peptidasi idrolizzano legame peptidico
→ Fosfatasi idrolizzano legame estere fosforico
4. Liasi
→ Decarbossilasi: rimozione di CO ; substrato viene decarbossilato
2
→ Deidratasi: rimozione di H O
2
→ Aldolasi: rimozione di frammenti carboniosi
5.Isomerasi
→ Epimerasi: isomerizzano una molecola nel suo epimero, ad esempio il glucosio nel
galattosio o viceversa.
→ Mutasi: isomerizzano una molecola nel suo isomero strutturale, ad esempio 3PG (3
fosfoglicerato) in 2PG (2 fosfoglicerato)
6.Ligasi
→ Sintetasi: reazione di sintesi con consumo di energia, solitamente di atp
→ Carbossilasi: addizione di CO ad un substrato
2
Gli enzimi agiscono abbassando l’energia di attivazione della reazione catalizzata. Ogni
reazione chimica procede attraverso la formazione di uno specifico complesso attivato la cui
energia corrisponde all’energia di attivazione della reazione stessa. In presenza di un
catalizzatore, si forma un complesso attivato diverso, a minore energia; di conseguenza
l’energia di attivazione della reazione si
riduce. Un catalizzatore permette quindi a
una reazione chimica di procedere a
velocità considerevole a temperature
nettamente inferiori a quelle necessarie in
assenza del catalizzatore stesso. Nel caso
degli enzimi, l’energia di attivazione delle
reazioni catalizzate viene abbassata al
punto che queste possono verificarsi con
velocità sufficientemente elevata già alla
temperatura del corpo umano.
Non viene modificata la termodinamica della
reazione!
Teorie sul funzionamento degli enzimi
Teoria chiaveserratura, fa emergere la specificità dell’enzima, la complementarietà tra
enzima e sito attivo. Fu proposta da Fischer ma è stata abbandonata perché troppo statica.
Teoria dell’adattamento indotto: l’enzima e il substrato sono solo parzialmente compatibili
inizialmente. Quando il substrato viene a contatto col sito attivo avviene un riadattamento
reciproco per una maggiore compatibilità.
Le interazioni tra enzima e substrato possono essere interazioni idrofobe, legami a idrogeno
o legami ionici. Non si stabiliscono mai dei legami covalenti.
Coenzimi
Oloenzimi: enzima+cofattore
Apoenzimi: porzione proteica nel caso di enzimi che siano proteine coniugate, rimane
inattiva senza il cofattore.
Cofattori= Qualsiasi molecola non proteica o ione organico o inorganico la cui presenza è
indispensabile perché l’enzima possa svolgere la sua funziona catalitica.
I cofattori possono essere di natura organica = Coenzimi o di origine inorganica= Attivatori.
Se i coenzimi sono legati covalentemente sono definiti come gruppi prostetici, se sono legati
attraverso altre interazioni secondarie sono chiamati cosubstrati.
I coenzimi vengono modificati nella struttura e consumati e quindi devono essere ricreati a
differenze degli enzimi.
Numero di turnover
K1 Kcat:
E + S ⇌ ES →
k2 E + P
Il numero di turnover di enzima (Kcat) è definito come il numero di molecole di substrato che
vengono trasformate in prodotto in un secondo da una molecola di enzima. Indica quanto è
efficiente un enzima. E’ caratteristica di ogni enzima.
Enzima Substrato Kcat
7
catalasi H O
2 2 4x10
5
anidrasi carbonica HCO 3 4x10
5
aceticolina esterasi acetilcolina 1.4x10
3
βlattamasi benzilpenicillina 2x10
fumarasi fumarato 8000
RecA(ATPasi) ATP 0.4
Attività enzimatica
è definita come “il numero di substrato che vengono trasformate in prodotto nell’unità di
tempo”. Dipende quindi dalla quantità di enzima. Serve anche per rilevare la presenza di un
enzima nel campione biologico (misura indiretta).
L’unità di misura dell’attività enzimatica :
1 µmol / min = definita come la quantità di un enzima che catalizza la conversione di 1 micro
mole di substrato in un minuto
Poiché il minuto non è un'unità del SI, il suo uso è stato scoraggiato in favore del katal. Un
katal è la quantità di un enzima che converte 1 mole di substrato in un secondo, quindi:
1mol/sec .
L’attività enzimatica è influenzata da vari fattori: la temperatura, il pH, la concentrazione del
substrato, la presenza di inibitori.
Temperatura
Sappiamo che la velocità delle reazioni chimiche è influenzata sia dall’aumento sia dalla
diminuzione della temperatura e ciò
vale anche per le reazioni catalizzate
da enzimi. Gli enzimi però sono
proteine e un eccessivo aumento
della temperatura (oltre i 60°c)
provoca la loro denaturazione con
una modificazione, il più delle volte
irreversibile, del sito attivo ed una
drastica riduzione dell’attività
catalitica.
Mentre a temperature superiori
l’inattivazione può essere
irreversibile, a basse temperature gli
enzimi di solito non vengono
denaturati e possono aumentare la
propria attività aumentando di nuovo la temperatura.
pH
Oltre a influenzare la struttura terziaria degli enzimi, come quella di tutte le proteine, il pH
influenza anche l’attività enzimatica modificando la geometria del sito attivo e la distribuzione
delle cariche elettriche dei gruppi coinvolti nel legame della molecola del substrato o del
processo catalitico stesso. Il pH inoltre influenza il grado di dissociazione di eventuali gruppi
acidi e basici presenti sulle molecole di substrato che, di solito, devono presentare una ben
definita distribuzione di cariche elettriche per potersi combinare con l’enzima. Per la maggior
parte degli enzimi esiste un intervallo di valori di pH, in genere abbastanza ristretto, in cui la
relazione viene catalizzata con la massima efficienza; questo intervallo, detto pH ottimale
dell’enzima, può essere anche molto diverso da un enzima all’altro; ad esempio la pepsina
ha un pH ottimale di 2, l’arginina di 10 e l’amilasi salivare di 7.
Concentrazione del substrato
La velocità della maggior parte delle reazioni chimiche aumenta all’aumentare della
concentrazione dei reagenti con una dipendenza dettata dal meccanismo di reazione. le
reazioni catalizzate non fanno eccezione, con la differenza che, in questo caso, la velocità
della reazione tende a un valore massimo, di solito indicato con la sigla V che viene
max
raggiunto a concentrazioni di substrato tali da “saturare” in ogni istante le molecole di
enzima presenti, talché quasi nessuna di queste si trovi non legata al substrato. In generale,
quanto più la velocità con cui un enzima catalizza la reazione si approssima al valore V ,
max
tanto più saturante risulta la concentrazione del substrato rispetto alle molecole di enzima
presenti in soluzione in base all’affinità con cui l’enzima lega il substrato stesso, espressa da
una costante detta: Costante di MichaelisMenten o K . E’ possibile dimostrare che il valore
m
della Km corrisponde alla concentrazione di substrato che satura metà dei siti attivi
dell’enzima, talchè questo catalizza la reazione con velocità pari a metà di quella massima
possibile in quelle condizioni. In questo caso la dipendenza tra concentrazione del substrato
e velocità della reazione catalizzata è di tipo iperbolico.
Quanto minore è il valore della K m di un
enzima per il suo substrato, tanto maggiore
è la sua affinità per esso. Il valore della K è
m
indipendente dalla quantità di enzima
presente ed è caratteristico di ogni enzima
per un determinato substrato in condizioni di
reazione definite. Ovviamente, in condizioni
di substrato “saturante”, il fattore limitante la
velocità di reazione è la quantità di enzima
presente.
Aumentando la concentrazione di substrato
aumenta la velocità, la soluzione tende a
raggiungere Vmax per valori di
concentrazione e velocità tendenti all’infinito.
La reazione diventa di ordine zero, non dipende più dalla concentrazione del substrato
perché siamo giunti alla saturazione.
Inibizione
Un inibitore enzimatico è una molecola che impedisce all’enzima di funzionare
correttamente.
Gli inibitori vengono divisi in due classi
→ inibitori irreversibili: inibiscono l’enzima legandosi a questo in modo stabile, spesso con
interazioni covalenti, quindi irreversibilmente. Si parla anche di inattivatori. Agiscono
modificando chimicamente la atena laterale di un particolare amminoacido presente nel sito
attivo dell’enzima, che così perde la capacità di legare il substrato o di catalizzare la
trasformazione. (es. i gas nevini)
→ inibitori reversibili: si combinano con l’enzima per mezzo di legami deboli e possono
quindi venirne allontanati lasciandolo nuovamente attivo. Si distinguono tre tipi di inibitori con
caratteristiche reversibili:
competitivi: l’inibitore ha una forma simile a quella del substrato, ciò significa
che spesso inibitore e substrato hanno una struttura chimicamente
simile.L’inibitore competitivo si lega all’enzima nel sito attivo occupando lo
spazio che era disponibile per il substrato, il substrato non potendosi più
legare non si trasformerà in prodotto. Questo tipo di inibizione si chiama
competitiva perchè sia l’inibitore sia il substrato competono per lo stesso sito
attivo in una vera a propria competizione.
non competitivi: modificano le condizioni necessarie affinché un enzima
possa funzionare come catalizzatore. Questa azione si realizza in seguito ad
un legame che si instaura fra inibitore ed enzima, non sul sito attiva, ma in
un’altra regione della molecola. Tale legame, che può essere covalente o non
covalente, modifica sostanzialmente la struttura secondaria e terziaria
dell’enzima deformando, indirettamente, anche il sito attivo che, anche se può
ancora ricevere il substrato, non è però più in grado di trasformarlo in
prodotto. In praticala parte di molecola di enzima che è inibita non
competitivamente è inattiva.
Incompetitiva: l’inibitore si lega soltanto al complesso enzimasubstrato (ES)
e di differenzia da quello non competitivo che si lega anche all’enzima libro.
Regolazione attività enzimatica
In un organismo non tutte le vie metaboliche procedono al massimo dell’attività possibile,
anzi è importante che alcuni cicli metabolici siano depressi in certe fasi del ciclo vitale di una
cellula o dell’organismo.
L’attività enzimatica può essere regolata attraverso due modalità principali: regolazione
allosterica e regolazione covalente.
Gli enzimi allosterici sono caratterizzati da una struttura quaternaria e in essi esistono più siti
chimicamente attivi: quello per il vero e proprio substrato e almeno un altro sito allosterico (o
sito regolatore) al quale si può legare un effettore con legami non covalenti. Un effettore,
chiamato anche modulatore, è una molecola che esercita un effetto regolatore sull’attività
enzimatica interagendo con uno specifico sito proteico. Una volta legato l’effettore l’enzima
modifica la propria conformazione. La conseguenza di questa modificazione è una
variazione di attività: in positivo (attivazione) o in negativo (inibizione) a seconda dei casi e
degli effettori.
nella regolazione covalente alcuni enzimi cambiano la propria conformazione quando sono
oggetto di una modificazione data da un legame covalente ( di solito a seguito di una
fosforilazione). La conseguenza della modificazione conformazionale è una variazione di
attività in positivo o in negativo a seconda dei casi. La fosforilazione è catalizzata da un
enzima noto come proteina chinasi e avviene a spese di ATP. La reazione è reversibile, la
reazione inversa è catalizzata dalla protein fosfatasi.
Isoenzimi
Nelle cellule possono essere presenti forme molecolari diverse di uno stesso enzima,
indicate come isoenzimi, che catalizzano la medesima reazione sullo stesso substrato,
anche se talvolta con modalità, affinità e velocità diverse. Spesso gli isoenzimi di un
determinato enzima sono proteine oligomeriche che differiscono tra loro per la diversa
composizione in subunità nonchè per l’organo, il tessuto o il compartimento cellulare in cui
sono localizzati e per l’affinità per determinati substrati.
VITAMINE
Sostanze di natura organica non sintetizzabili dal nostro organismo. Le vitamine hanno una
struttura talmente varia che non è possibile confrontarle chimicamente, perciò una prima
classificazione che le possa raggruppare è esclusivamente fisica: vitamine liposolubili, quelle
che si sciolgono facilmente in solventi apolari, e vitamine idrosolubili, quelle che si sciolgono
facilmente in acqua o, più generalmente, in solventi polari.
Vitamine idrosolubili
B= danno origine a coenzimi
B o tiamina; fonti: lievito di birra,cuticola di cereali, legumi
1
fabbisogno: circa 2mg/die
coenzima derivante: TTP tiaminpirofosfato
reazioni: decarbossilazione di alfachetoacidi
sindrome carenziale: beriberi
B o riboflavina; fonti: lievito di birra,cuticola di cereali, fegato, rene, latte, uova
2
fabbisogno: circa 510mg/die
coenzima derivante: FMN E FAD
reazioni: deidrogenazioni, FAD agisce come agente ossidante → FADH 2
sindrome carenziale: non è specifica
PP o niacina o nicotinammide;
fonti: cereali, carni, pesci e altri alimenti
fabbisogno: circa 5mg/die
coenzima derivante: NAD e NADP
reazioni: deidrogenazione (NAD); riduzione (NADP)
sindrome carenziale: pellagra (diarrea, dermatite, demenza)
B o piridossina
6
fonti: Lievito di birra, cuticola dei cereali, carni rosse, latte, uova
fabbisogno: circa 2mg/die
coenzima derivante:PALP
reazioni: transaminazione,
decarbossilazione di amminoacidi (produzione di ammine biogene)
sindrome carenziale: in pratica non esiste
B o acido pantotenico
5
fonti: Lievito di birra, cuticola dei cereali, fegato, rene, molti altri alimenti
fabbisogno: circa 5mg/die
coenzima derivante: Coenzima A
reazioni: attivazione di grupppi carbossilici
ac. grasso+ ATP+ CoA → AcilCoA + AMP + PP i
sindrome carenziale: in pratica non esiste
B o H o Biotina
8
fonti: fegato, uova, latte, rene, cioccolato
fabbisogno: circa 0.51mg/die
coenzima derivante: Biocitina
reazioni: carbossilasi
sindrome carenziale: in pratica non esiste
Acido folico
fonti:fegato, rene, formaggio, legumi, verdure a foglie scure
fabbisogno: circa 0.30.4mg/die , aumenta sensibilmente in gravidanza
coenzima derivante: THFA (acido tetraidrofolico)
reazioni: trasferiento del frammento monocarbonioso, importanza metabolica
sindrome carenziale: anemia megablastica perniciosiforme
B o cobalammina
12
fonti: carne, latte
fabbisogno: circa 34mg/die necessita del fattore intrinseco per
l’assorbimento
coenzima derivante:ì Metilcobalammina e 5’desossiadenosilcobalammina
reazioni: Metilmalonil CoA mutasi (metabolismo ac. grassi)
Formazione della Sadenosilmetionina (reazioni di metilazione)
sindrome carenziale: anemia perniciosa
C o acido ascorbico
Possiede spiccate proprietà antiossidanti e riducenti, e come tale ha importanza pari a
quella della vitamina E e di altre sostanze con azione simile.
Come agente riducente la vitamina C partecipa a numerose
reazioni di idrossilazione, in primo luogo a quelle che
trasformano nei derivati idrossilati alcuni dei residui di prolina
e lisina nel collageno, la proteina strutturale dei tessuti
connettivi. Questa reazione è indispensabile perchè il
collageno venga sintetizzato in forma biologicamente attiva;
ciò spiega la sindrome da carenza di questa vitamina, lo
scorbuto (alterazioni ossee, sindrome emorragica,
osteoporosi ecc.) tutte riconducibili a un’alterata e ridotta
sintesi di collageno e quindi di tessuti connettivi.
Il fabbisogno giornaliero di vitamina C è controverso, si giudica sufficiente un apporto di circa
60 mg/die, sebbene autorevoli studiosi raccomandino assunzioni molto maggiori. E’ inoltre
molto importante nell’adattamento allo stess, nell’assorbimento del ferro e nella resistenza
alle infezioni virali.
Vitamine liposolubili A D E K
Esse prendono parte a processi diversi con meccanismi che, in alcuni casi, sono ancora da
chiarire; inoltre possono accumularsi nell’organismo, in particolare nel fegato e nel tessuto
adiposo, talché per queste vitamine, accanto alle sindromi da carenza, sono note anche
patologie da iperdosaggio.
A o retinolo
E’ una molecola di natura terpenica che deriva da un pigmento vegetale: il βcarotene, che
nel nostro organismo viene scisso in due molecole di vitamina A.
E’ presente in due forme attive: il Retinale, un pigmento della visione, il L’acido retinoico,
implicato nell’accrescimento di cute e mucose.
E’ accumulata nel fegato, cirrcola nel sangue legata a una proteina chiamata retinol binding
protein.
deficit: cecità notturna o nictalopia, secchezza di cute mucose e occhi (xeroftalmia).
La vitamina A è abbondante in alcuni estratti oleosi, in particolare di pesci (olio di fegato di
merluzzo.
D o calcitriolo
Deriva da uno steroide presente nella cute: 7deidrocolesterolo.
La trasformazione del precursore nella forma attiva è indotta dalla luce uv e prosegue nel
fegato e nei reni mediante reazioni di idrossilazione.
Forma attiva: 1,25diidrossicolecalciferolo. E’ implicata nella regolazione della calcemia e
agisce in sinergia con l’ormone paratinoideo e la calcitonina assicurando un corretto
assorbimento del calcio alimentare.
2+
Azioni: umenta l’arrbimento del Ca a livello intestinale, favorisce la corretta formazione
dell’osso.
Deficit: rachitismo nel bambino, osteomalocia nell’adulto. Consistono in una ridotta
calcificazione e rammollimento osseo
E o tocoferolo
Comprende una serie di sostanze aromatiche dette tocoferoli di natura terpenica.
E’ particolarmente abbondante nel germe di grano ma anche nelle uova e negli oli vegetali.
Azione: si associa alle membrane cellulari svolgendo azione antiossidante.
K
K → origine vegetale, fillochinone
1
K → origine batterica, menochinone
2
Azione: cofattore essenziale nell’attivazione della protrombina a trombina, proteina chiave
nel processo della coagulazione del sangue. Esistono farmaci che bloccano la vit K =
anticoagulanti
Deficit: raro nell’adulto; frequente nei neonati ed è caratterizzato da emorragie.
METABOLISMO
Il metabolismo è l’insieme delle reazioni chimiche che avvengono all’interno del nostro
organismo.
Le reazioni chimiche che fanno parte del metabolismo sono organizzate a formare delle vie
metaboliche. Ogni reazione è catalizzata da un enzima.
enzima 1 enzima2 enzima 3 enzima 4
A → B → C → D → (ecc)
Questo è un esempio di una catena di reazioni ovvero delle vie metaboliche dove si
evidenziano degli intermedi metabolici.Una via metabolica è una sequenza di reazioni
chimiche catalizzate da specifici enzimi e spesso con una comune organizzazione spaziale
in cui il prodotto della prima è il reagente della seconda, il prodotto di questa è il reagente
della terza, e così via fino al prodotto ultimo.
Il metabolismo si può dividere in due grandi processi:
→ degradativo = catabolismo dove sostanze complesse come i carboidrati, grassi e
proteine, quindi sostanze ricche di energia, vengono degradate. Si producono molecole più
semplici e l’energia passa in molecole che l’accumulano ad esempio l’ATP. Si formano
anche coenzimi ridotti. Reazioni esoergoniche
→ sintetico = anabolismo dove molecole precursori di piccole dimensioni vengono
assembate per formare proteine, polisaccaridi, lipidi, acidi nucleici ecc. Il tutto richiede un
contributo energetico dato dall’ATP. Reazioni endoergoniche.
Le vie cataboliche sono di tipo convergenti: da una molteplicità di molecole diverse si ottiene
l’acetil CoA attraverso una sistematica degradazione. Le vie anaboliche sono invece
divergenti.
Esiste un terzo tipo di via: via metabolica terminale che solitamente è ciclica.
Aspetti energetici delle reazioni biochimiche
ΔG <0 = reazione spontanea, esoergonica
ΔG >0= reazione sfavorita, endoergonica
La differenza di energia libera di Gibbs, ΔG, tra stato iniziale e stato finale, è il prarametro
termodinamico che ci suggerisce la spontaneità di un processo.
Nel catabolismo prevalgono le reazioni esoergoniche, nell’anabolismo quelle endoergoniche
dove l’energia deriva dall’atp.
L’atp è la fonte di energia chimica all’interno delle cellule; La molecola di ATP è, tuttavia,
molto stabile per l’alta energia di attivazione della reazione di idrolisi, infatti questa avviene
soltanto in presenza di enzimi.
L’ATP fornisce energia tramite il trasferimento di gruppi fosfato, piuttosto che semplice
idrolisi.
Regolazione del metabolismo
Avviene attraverso il controllo di una sola reazione, solitamente la reazione più lenta, che è
definita reazione chiave.
Livelli di controllo:
1. controllo allosterico e covalente dell’attività enzimatica; rapido
2. controllo della quantità di enzima; lento. si realizza modulando il livello intracellulare
dei vari enzimi attraverso la regolazione dell’espressione genica che modificano
enzimi regolatori delle vie metaboliche, oppure controllando la degradazione
intracellulare di questi ultimi.
3. compartimentazione delle vie metaboliche e trasferimento di substrati. Ad esempio
alcune vie metaboliche si realizzano nel citosol, altre nel reticolo endoplasmatico
liscio oppure nei mitocondri o più di un distretto. In questo modo gli intermedi di vie
metaboliche diverse vengono a essere fisicamente separati da barrire rappresentate
dalle membrane degli organelli cellulari, limitando al minimo possibili interferenze con
altre vie metaboliche.
Composti ad alta energia libera di idrolisi
Fosfoenolpiruvato, si forma nella glicolisi
1,3bisfosfoglicerato, si forma nella glicolisi
fosfocreatina, riserva energetica dei muscoli
tioesteri, succinilCoA
Sono composti che possono donare fosfato all’ADP. Tutte queste molecole sono
accomunate dalla presenza al loro interno di un gruppo fosfato legato mediante un legame
ad alta energia.
I composti che sonno in grado di generare ATP attraverso una singola reazione sono definiti
composti a elevata energia libera di idrolisi. E’ proprio grazie alla formazione di questi
composti che la glicolisi determina la produzione netta di due molecole di ATP anche in
assenza di ossigeno, consentendo alle cellule muscolari di compiere lavoro quando l’apporto
ematico di O non è sufficiente a soddisfare il fabbisogno cellulare.
2
METABOLISMO DEI CARBOIDRATI
Il glucosio è la principale fonte di energia, il cervello ne consuma fino a 120g al giorno.
La glicolisi è la più importante di un gruppo di vie metaboliche, indicate come fermentazioni
anaerobie, attraverso cui la maggior parte degli organismi trae energia dall’ossidazione di
vari tipi di substrati in assenza di ossigeno. L’ubiquitarietà in tutto il mondo vivente e la
possibilità di realizzarsi in assenza di ossigeno suggeriscono che queste vie siano comparse
molto precocemente e che fossero attive già nei primi esseri viventi, in un’epoca in cui si
ritiene che l’atmosfera fosse ancora povera di ossigeno.
Attraverso la glicolisi, il glucosio viene parzialmente ossidato con la produzione di molecole
organiche che rappresentano prodotti di rifiuto per le specie anaerobie, cioè incapaci di
utilizzare l’ossigeno atmosferico per scopi metabolici. Le stesse molecole organiche
costituiscono invece intermedi delle vie biosintetiche o delle vie che portano alla loro
ossidazione completa a CO e H
2 O in tutti gli organismi in grado di utilizzare l’ossigeno.
2
L’unica reazione ossidativa della glicolisi avviene in assenza di ossigeno ed è catalizzata da
un enzima che trasferisce due atomi di idrogeno da un intermedio della via a una molecola
+ +
di NAD , che si riduce a NADH+ H . L’energia liberata in questa reazione viene utilizzata per
produrre direttamente una molecola di ATP da ADP e fosfato nella reazione successiva.
+
Dato che il NAD presente in una cellula è limitato, affinchè la glicolisi possa mantenersi
attiva è necessario che questa molecola venga continuamente rigenerata attraverso il
trasferimento degli atomi di idrogeno dal NADH a un altro accettore. Gli organismi aerobi
possono utilizzare per questo scopo l’ossigeno atmosferico.
+ +
La rigenerazione delle molecole di NAD da quelle di NADH +H non può realizzarsi nelle
specie anaerobie, che non possiedono mitocondri o altre formazioni equivalenti. Spesso
questi organismi utilizzano come accettori degli atomi di idrogeno il prodotto ultimo della
glicolisi, l’acido piruvico, oppure in altri casi il prodotto della decarbossilazione di questo,
l’aldeide acetica. In tal modo si generano, rispettivamente, acido lattico ed etanolo, che la
cellula elimina come sostanze di rifiuto. Questi due processi noti come fermentazione lattica
e fermentazione alcolica, hanno grande importanza industriale; essi sono alla base delle
industrie delle bevande alcoliche, della produzione di yogurt e della panificazione, processi
che richiedono la presenza di lieviti e di batteri in grado di utilizzare il glucosio per compiere
processi fermentativi. In questi processi vengono prodotti alcol etilico e CO .
2
Glicolisi
La glicolisi è una sequenza di reazioni catalizzate da 11 enzimi che si trovano nel citosol non
associati fisicamente tra loro, sebbene alcuni siano legati alla membrana cellulare o alle
cisterne del reticolo endoplasmatico. Come il glucosio,che entra nella glicolisi sotto forma di
glucosio 6fosfato, anche tutti gli altri intermedi della via sono fosforilati; questo impedisce la
loro fuoriuscita dalla cellula attraverso la membrana cellulare e permette ad alcuni di essi di
trasferire il fosfato stesso su molecole di ADP nelle reazioni in cui viene prodotto ATP.
La glicolisi può essere suddivisa in due fasi: le prime cinque tappe fanno parte della fase
preparatoria dove una molecola di glucosio viene attivata con il consumo di due molecole di
ATP e trasformata in due molecole di triosi fosfati. Nella seconda fase, detta di recupero
energetico, ognuna di queste due molecole viene convertita a piruvato e si ha la formazione
contemporanea di ATP e NADH. La logica molecolare che muove il processo della glicolisi è
la necessità di trasformare una molecola stabile, come il glucosio, in una molecola ancora
più stabile e semplice come il piruvato, ricavando tutta l’energia che è possibile ottenere da
questa conversione.
prima tappa
La prima reazione cui va incontro il glucosio quando entra in una cellula è la fosforilazione
per opera dell’ATP. L’esochinasi e la glucochinasi sono gli enzimi responsabili della
fosforilazione del glucosio a glucosio6P. L’esochinasi si trova nei tessuti, ha una alevata
affinità per il glucosio e gli esosi e si satura facilmente. E’ inibita dal suo prodotto di reazione
che, aumentando sensibilmente la propria concentrazione regola l’afflusso di altro glucosio
nella cellula con un meccanismo di inibizione da prodotto. Non funziona bene dopo i pasti
ma a digiuno. La glucochinasi è presente soprattutto nelle cellule epatiche, è un enzima
specifico per il solo glucosio ed ha una bassa affinità per il suo substrato per cui, in
condizioni fisiologiche non è inibita dal suo prodotto di reazione, lavora in fare post tranviale
ad alti livelli di glucosio.
2+
La reazione consuma una molecola di ATP richiede la presenza di ioni Mg .
Quindi in questa prima reazione si ha: fosforilazione del glucosio a glucosio6p e consumo
di una molecola di atp.
seconda tappa
Isomerizzazione del glucosio6p in fruttosio6p che differiscono per la presenza di un
gruppo chetonico anzichè un gruppo aldeidico. Per la conversione è necessaria una
isomerasi: fosfoesoso isomerasi. In questo passaggio l’anello piranosico è ristretto ad un
anello runaosico e ciò comincia a creare una certa tensione all’interno della molecola. E’ una
reazione reversibile e non si ha consumo di ATP.
terza tappa
Seconda fosforilazione. I siti più reattivi dei chetosi sono sul C1 e sul C6; per questo motivo
il secondo fosfato si addiziona sul C1 e ciò dà origine al fruttosio 16difosfato. Per questa
fosforilazione l’energia e il gruppo fosfato sono forniti da una molecola di ATP. L’enzima di
questa reazione è la fosfofrutto chinasi. E’ la reazione più lenta della glicolisi per questo
motivo la fosfofruttochinasi è l’enzima chiave.
La fosfofruttochinasi è un enzima allosterico, gli effettori allosterici sono: atp, amp, adp,
citrato, fruttosio 2,6pp .
Quando il glucagone scende il fruttosio 2,6pp inibisce la glicolisi. Quando l’insulina sale il
fruttosio 2,6bifosfato attiva la glicolisi.
Quarta tappa
Il fruttosio16difosfato si rompe tra il C3 e il Ca per formare due molecole più semplici: il
diidrossiacetone fosfato e la gliceraldeide3fosfato. E’ una idrolisi ed è una reazione
reversibile. La molecola si scinde. L’enzima della reazione è l’aldolasi, una liasi.
Quinta tappa
Le due molecole prodotte nella reazione precedente sono isomeri molecolari. L’aldolasi
produce prevalentemente il diidrossiacetone fosfato (96%) in equilibrio con la
gliceraldeide3fosfato (4%). La glicolisi utilizza, per le reazioni successive, la
gliceraldeide3fosfato e ciò rende indispensabile la conversione del diidrossiacetone fosfato
in questa molecola. Ciò è possibile in seguito all’intervento di un enzima specifico: una
triosofosfato isomerasi, che converte reversibilmente i due isomeri.
L’aspetto più rilevante di questi due ultimi passaggi è che, in pratica, si ottengono due
molecole di gliceraldeide3p da una molecola di esoso. Per questo motivo, nelle reazioni
che seguiranno, dovremo tener conto di questo fatto e moltiplicare tutti i coefficienti di
reazione per 2.
Inizio recupero energetico.
Sesta tappa
E’ uno stadio importante della glicolisi perchè qui il processo comincia a produrre energia.
La reazione consiste nell’ossidazione del gruppo aldeidico della gliceraldeide3fosfato a
gruppo carbossilico e la contemporanea addizione di un gruppo fosfato per formare
+
l’1,3difosfoglicerato, molecola ad alta energia libera di idrolisi. L’agente ossidante è il NAD
e l’enzima richiesto è la gliceraldeide3fosfato deidrogenasi. E’ l’unica ossidazione della
glicolisi.
Parte dell’energia liberata in questa reazione d’ossidazione è trattenuta dal legame che si
forma tra il gruppo fosfato e il gruppo carbossilico appena formato.
Settima tappa
Il fosfato in posizione 1 ad alta energia è rimosso dall’1,3difosfoglicerato e addizionato ad
un ADP per formare ATP. In questo modo la glicolisi produce la sua prima molecola di ATP
(x2=2 ATP). L’enzima richiesto in questo trasferimento del gruppo fosfato è una
fosfoglicerato chinasi. Si ha una fosforilazione a livello del substrato.
Ottava tappa
Questa reazione trasferisce semplicemente il gruppo fosfato dal C3 al C2 del glicerato. Il
nuovo posizionamento è necessario per l’azione enzimatica successiva.
L’enzima responsabile di questa isomerizzazione è una mutasi in particolare la
fosfogliceromutasi. E’ una reazione reversibile.
L’avvicinamento del gruppo fosfato, carico negativamente, al gruppo carbossilato rende il
primo instabile.
Nona tappa
Avviene una deidratazione che genera un doppio legame con conseguente ridistribuzione
d’energia all’interno della molecola. Ciò crea un gruppo fosfato ad alta energia. L’enzima
2+
enolasi catalizza la disidratazione e ciò richiede la presenza di ioni metallici bivalenti (Mg o
2+
n).
La reazione permette la formazione di 2fosfoenolpiruvato, una molecola instabile ad elevata
energia libera di idrolisi.
Decima tappa
Il gruppo fosfato ad alta energia del fosfoenolpiruvato è trasferito all’ADP per formare una
molecola di ATP. L’enzima responsabile di questo trasferimento è la piruvato chinasi. Si ha
un’altra fosforilazione a livello del substrato.
Il bilancio energetico dalla glicolisi è:
+ +
glucosio + 2 ADP + 2NAD +2Pi → 2piruvato + ADP + 2 ATP + NADH +2H
Gluconeogenesi
La gluconeogenesi è la via metabolica che porta alla biosintesi del glucosio a partire da
precursori non glucidici. Le uniche riserve di carboidrati dell’organismo si trovano depositate
nel fegato e nei muscoli sotto forma di glicogeno.
Le riserve epatiche di glicogeno sono sufficienti a rifornire l’organismo di glucosio solo per
brevi periodi di digiuno; quando questo si protrae nel tempo occorre che il fegato trasformi in
glucosio altre sostanze. Gli amminoacidi delle proteine rappresentano praticamente le
uniche sostanze trasformabili in glucosio da parte dell’organismo in misura
quantitativamente rilevante. In queste condizioni, il catabolismo degli amminoacidi
glucogenetici e glucochetogenetici fornisce alle cellule epatiche acido piruvico, acido
ossalacetico o altri intermedi che possono essere trasformati in quello che può essere
considerato, insieme all’acido piruvico, il punto di partenza della via. Potremmo pensare che
la gluconeogenesi, avendo come substrato iniziale l’acido piruvico e come prodotto ultimo il
glucosio, possa identificarsi con la glicolisi percorsa a ritroso, ma non è così. Soltanto alcune
reazioni reversibili sono comuni e catalizzate dal medesimo enzima nei due processi, tutte le
altre, per essendo l’una l’opposta dell’altra, sono catalizzate da enzimi diversi e decorrono
con differenti meccanismi. Infine, in una di queste reazioni, il passaggio a ritroso da un
intermedio all’altro può avvenire solo attraverso una serie di trasformazioni che
rappresentano una specie di deviazione rispetto alla via glicolitica. Tutto ciò fa sì che glicolisi
e gluconeogenesi abbiano localizzazione intracellulare e meccanismi di regolazione
differenti, talché quando è attiva l’una sia bloccata l’altra e viceversa; ciò evita un ciclo inutile
in cui il glucosio verrebbe continuamente sintetizzato e demolito con dispendio di energia e
senza alcun vantaggio per la cellula.
Le reazioni differenti tra glicolisi e gluconeogenesi sono quelle che, nella glicolisi, decorrono
con una forte liberazione di energia e quindi sono praticamente irreversibili .
Nell’economia di un organismo, dove niente deve essere sprecato, sono i metaboliti
potenzialmente tossici, come il lattato, e quelli che non possono essere accumulati, come gli
amminoacidi, che più di altri sono convogliati verso questo processo. Ma la gluconeogensi
può partire anche dal piruvato e dal glicerato.
La cellula, se ha necessità di sintetizzare glucosio, utilizza il piruvato formato dagli
aminoacidi e non quello proveniente dalla glicolisi, perché non avrebbe senso sintetizzare
glucosio dopo averlo appena demolito. Il piruvato si trasforma in ossalacetato consumando
una molecola di atp. In questa reazione si utilizza uno specifico enzima mitocondriale, la
piruvato carbossilasi, che contiene biotina come coenzima.
L’ossalacetato viene trasformato in fosfoenolpiruvato dalla pep carbossilasi. Dalla
fosfoenolpiruvato si ripercorre la glicolisi a ritroso fino al fruttosio1,6pp . Il gruppo fosfato
viene idrolizzato e liberato come fosfato inorganico
La glucosio6fosfatasi catalizza un’altra reazione di idrolisi. Si ottiene infine il glucosio.
Il consumo totale di enegia è di 6 atp.
Produzione e degradazione del glicogeno con regolazione della glicemia
l glicogeno è il polisaccaride di riserva negli animali e in alcuni gruppi di organismi
unicellulari. Le riserve di questo zucchero, localizzate prevalentemente nel fegato, nei
muscoli e, in misura minore, nel rene, assicurano all’organismo un continuo rifornimento di
glucosio e permettono il mantenimento della glicemia entro valori normali anche in
condizioni di digiuno. Al contrario, il deposito del glucosio in questo polisaccaride è uno dei
meccanismi che impediscono alla glicemia di aumentare eccessivamente dopo un pasto,
soprattutto se ricco di carboidrati, mantenendo nel contempo entro i limiti fisiologici
l’osmolarità cellulare.
E’ essenziale che la concentrazione ematica di glucosio si mantenga costante per il corretto
funzionamento delle cellule, in particolare di quelle nervose e degli eritrociti; perciò le vie
metaboliche implicate nella biosintesi del glicogeno o nella sua degradazione hanno grande
importanza nell’economia dell’intero organismo e sono sottoposte a sistemi di regolazione di
grande efficienza.
Il glicogeno è presente nelle cellule sotto forma di granuli cui si trovano associati gli enzimi
responsabili della sua sintesi e demolizione. Il glicogeno non viene mai completamente
demolito anche in condizioni di digiuno protratto; infatti è necessaria la presenza di un
nucleo di questo polisaccaride perchè le unità di glucosio vi possano essere legate nel
processo di biosintesi. Per questo il glicogeno è definito una molecola “immortale”.
Nuove molecole di glicogeno possono tuttavia formarsi grazie alla presenza di una proteina,
detta glicogenina, che può agire da iniziatore legando il primo residuo di glucosio di una
nuova molecola di glicogeno a uno specifico residuo di tirosina e catalizzando la sintesi di
una catena contenente fino a otto residui di glucosio.
La glicogenosintesi è un processo anabolico che permette di ottenere glicogeno dal
glucosio. Il glicogeno si forma nella maggior parte delle cellule, ma soprattutto nel fegato e
nel muscolo.
La concentrazione del glicogeno nel fegato è circa il 5% del suo peso, ma può facilmente
diminuire a zero dopo dieci o quindici ore dai pasti.
La maggior parte del glicogeno nel fegato è demolito per rifornire di glucosio il sangue, per
aiutarlo a mantenere un livello di glucosio normale (80÷100 mg/100 mL ).
Il glicogeno nel muscolo serve, invece, come fonte di glucosio rapidamente utilizzabile
durante l’ossidazione anaerobia, necessaria dopo un’improvvisa contrazione muscolare;
provvede, in altre parole, a produrre ATP e per far questo si attiva la glicogenolisi.
Sebbene la sintesi del glicogeno coinvolga molti stadi, possiamo schematizzarla in 5 punti.
1.Iisomerizzazione del glucosio 6P in glucosio 1P
2. Attivazione del glucosio1P trasformandolo in una molecola ricca di energia (UDPG), in
seguito alla reazione con uridintrifosfato (UTP), un analogo dell’ATP.
3.Ttrasferimento di una molecola di glucosio1P attivata (UDPG) all’estremità non riducente
(C4) di una struttura primitiva di glicogeno preformata. L’idrolisi del legame ricco d’energia
consente la formazione di un legame α1→ 4 glicosidico con conseguente allungamento
della catena. L’enzima coinvolto in questa fase è la glicogeno sintetasi, un enzima a
regolazione allosterica che esiste in due forme a b
e con funzioni tra loro contrapposte.
4. inserimento, per ora di uno specifico enzima ramificante, di unità di glucosio che formano
legami α1→6 creano, in questo modo, innesti di ramificazione.
5. Allungamento della catena lineare e delle ramificazioni fino alla formazione della molecola
finale di glicogeno.
La glicogenolisi consiste nel distacco progressivo di unità monosaccaridiche a parte
dall’estremità non riducente (quella che presenta libero il gruppo OH in posizione 4 delle
catene lineari). La reazione è una fosforolisi catalizzata dall’enzima glicogeno fosforilasi che
libera molecole di glucosio 1fosfato, le quali successivamente possono essere isomerizzate
a glucosio 6fosfato ed entrare nella via glicolitica.
La glicogeno fosforilasi è l’enzima regolatore della glicogenolisi; esso si trova associato
assieme all’enzima che catalizza l’idrolisi dei legami 1→ 6 , detto deramificante, ai granuli di
glicogeno presenti nel citoplasma cellulare.
L’enzima deramificante fa delle idrolisi non fosforolisi!
La fosforilasi funziona solo se si trova in forma fosforilata/attivata. Il glucagone favorisce
questa forma. L’insulina invece favorisce la forma non fosforilata. Per questo motivo la
glucogenolisi non avviene dopo i pasti.
La glicemia, ovvero la concentrazione ematica del glucosio, è sotto stretto controllo da parte
di numerosi ormoni che agiscono stimolando o inibendo le vie metaboliche deputate alla
produzione o all’utilizzazione del glucosio.
A seconda del loro effetto ultimo sulla glicemia, questi ormoni vengono indicati come
iperglicemizzanti (se causano un aumento del tasso ematico di glucosio) o ipoglicemizzanti
(se ne determinano un abbassamento). Ai primi appartengono il glucagone, l’adrenalina e
alcuni ormoni steroidi, di cui il più rilevante è il cortisolo. Mentre il più rilevante ormone
ipoglicemizzante è l’insulina.
Gli organi più importanti ai fini del controllo della glicemia sono il fegato e, in misura minore, i
reni.
Quando il tasso ematico tende a calare o c’è un improvviso bisogno di un afflusso
accessorio di questo zucchero nel sangue, come accade per esempio quando si deve
affrontare un pericolo inatteso oppure una situazione di stress, vengono riversati in circolo gli
ormoni iperglicemizzanti, sopratutto il glucagone e l’adrenalina. L’azione di questi ormoni sul
fegato e, limitatamente al secondo, sui muscoli stimola la liberazione del glucosio dai
depositi di glicogeno e blocca il processo della glicogenosintesi.
Un calo della glicemia ha anche un altro effetto: quello di ridurre l’utilizzo del glucosio da
parte della maggioranza delle cellule dell’organismo (fatta eccezione per le cellule nervose);
il glucosio viene sostituito come carburante cellulare dagli acidi gassi liberati dai depositi del
tessuto adiposo per azione degli stessi ormoni che causano un aumento della glicemia.
Quando la glicemia tende ad aumentare, come dopo un pasto, l’organismo risponde
secernendo insulina, un ormone che ha effetti opposti a quelli del glucagone e stimola anche
altri processi metabolici. L’azione metabolica complessiva dell’insulina ha come
conseguenza la rimozione del glucosio dal sangue e la sua trasformazione in altre sostanze.
Questo ormone favorisce così l’ingresso del glucosio nelle cellule e la sua utilizzazione
stimolando la glicolisi e la glicogenosintesi; esso inibisce altresì la glucogenogenesi e blocca
la liberazione dal tessuto adiposo di acidi grassi, un combustibile alternativo al glucosio.
Il cortisolo e il corticosterone entrano in questo quadro con tempi di azione più lunghi
stimolando la liberazione di glucagone e l’attività di tutti gli enzimi regolatori delle vie
metaboliche che portano alla produzione di glucosio e alla sua deposizione nelle molecole di
glicogeno. Essi determinano inoltre un rallentamento dell’utilizzazione del glucosio
attraverso l’inibizione degli enzimi regolatori della glicolisi.
L’organismo produce tutti questi ormoni in risposta al variare dei livelli ematici di glucosio.
Tale regolazione è sempre finalizzata all’utilizzazione ottimale dei carburanti a disposizione
dell’organismo: glucosio, acidi grassi e amminoacidi.
La glicemia risulta oltre i valori della normalità in tutti i casi che si accompagnano alla rottura
di questo delicato equilibrio ormonale. Per esempio, le persone affette da diabete mellito
hanno una ridotta capacità di produrre e liberare in circolo l’insulina, di conseguenza la
glicemia di questi soggetti non è più controllata efficacemente verso l’alto e presenta valori
assai più elevati del normale, in particolare dopo un pasto, quando tenderebbe a
raggiungere valori letali per il s. nervoso. Per questo è necessario che i diabetici, dopo ogni
pasto, si iniettino insulina in una forma che sia assorbita lentamente, nell’arco di qualche
ora, per assicurare un’azione prolungata e per evitare che un improvviso afflusso
dell’ormone provochi un brusco abbassamento della glicemia con i conseguenti danni al
sistema nervoso.
Via del pentoso fosfato
Via alternativa dell’utilizzo del glucosio. Le reazioni si svolgono nella parte solubile del
citoplasma cellulare.
Attraverso questa via, un atomo di carbonio del glucosio 6fosfato viene ossidato a CO con
2
+
la formazione di due molecole di NADPH +H (il coenzima utilizzato nelle reazioni di
riduzioni presenti in alcune vie biosintetiche), mentre il resto della molecola di glucosio è
trasformata in una molecola di uno zucchero a 5 atomi di carbonio. La formazione del
+
NADPH + H è particolarmente importante in organi o tessuti come fegato, tessuto adiposo,
ghiandola mammaria e quella surrenale, dove sono attive le biosintesi riduttive che ne
richiedono la presenza, per esempio la biosintesi degli acidi grassi e del colesterolo.
La via del pentosofosfato può essere suddivisa in due fasi:
la prima fase, ossidativa ed essenzialmente irreversibile, comprende le reazioni iniziali che
trasformano il glucosio 6fosfato (G6P) in ribulosio 5fosfato con liberazione di una molecola
+
di CO e produzione di due molecole di NADP + H
2 .
La seconda fase procede attraverso l’isomerizzazione di una parte del ribulosio 5fosfato in
ribosio 5fosfato e l’epimerizzazione del rimanente in xilulosio 5fosfato. La successiva
reazione di due molecole di xilulosio 5fosfato e una di ribosio 5fosfato attraverso il
trasporto di frammenti a due e a tre atomi di carbonio da una molecola all’altra porta alla
formazione dei prodotti finali della via: due molecole di fruttosio 6fosfato (F6P) e una di
gliceraldeide 3fosfato (GAP) che possono venire utilizzate nella via glicolitica.
E’ come se, attraverso questa via, ogni sei molecole di glucosio una venisse eliminata
completamente ossidata come CO ; per questa ragione la via viene anche indicata come
2
via dell’ossidazione diretta del glucosio.
+
Nei globuli rossi, questa via è l’unica fonte di NADPH + H , importnate per mantenere in
forma ridotta lo ione ferroso dell’emoglobina, che a causa della presenza dell’ossigeno
3+ +
tenderebbe a ossidarsi a Fe . La presenza del NADPH + H impedisce anche l’ossidazione
dei doppi legami presenti nei lipidi insaturi di membrana, che causerebbe una maggiore
suscettibilità di questa alla lisi.
BIOSINTESI ACIDI GRASSI
degradazione biosintesi
avviene in tutte le cellule nel mitocondri nel citosol delle cellule del fegato e del
tessuto adiposo
digiuno fase post tranviale
solo singoli enzimi complesso multienzimatico
+
utilizza NAD e FAD come agenti ossidanti NADPH +H come agente riducente
produce Acetil CoA produce malonilCoA
Tra le varie classi di lipidi, quelli complessi, in particolare i trigliceridi, hanno la maggiore
importanza dal punto di vista del metabolismo energetico a causa della presenza, in essi,
degli acidi grassi. La molteplice serie di trasformazioni cui vanno incontro questi lipidi e gli
acidi grassi in essi contenuti conduce alla loro completa ossidazione a CO e H
2 O
2
accoppiata alla sintesi di grandi quantità di ATP. L’importanza energetica degli acidi grassi è
confermata dal fatto che, anche se la loro percentuale in peso è piuttosto limitata, i lipidi
alimentari forniscono all’organismo circa il 25% delle calorie necessarie giornalmente e per
molti organi e tessuti rappresentano normalmente la fonte primaria di energia.
Come per tutte le altre molecole, anche per gli acidi grassi esiste un equilibri tra la velocità in
produzione e quella di demolizione; quindi in condizioni normali, nel medio periodo la
quantità di queste sostanze rimane piuttosto costante in un organismo, salvo oscillazioni di
breve durata. Come per il glucosio, anche nel caso degli acidi grassi la biosintesi richiede
una quantità di energia maggiore di quella liberata dalla demolizione, pertanto i due processi
sono regolati in modo che quando l’organismo ha necessità di energia è attivata la
demolizione e bloccata la biosintesi, mentre in presenza di un eccesso di energia metabolica
come ATP o carboidrati deve essere bloccata la demolizione e attivata la biosintesi.
La possibilità di immagazzinare energia sotto forma di acidi grassi (e quindi trigliceridi) è
molto importante per l’economia degli animali, data la scarsità delle riserve di carboidrati che
essi possono accumulare.
La biosintesi degli ac. grassi è una via costosa dal punto di vista energetico, che si verifica
nel citsol soprattutto delle cellule epatiche e del tessuto adiposo nonchè della ghiandola
mammaria primaria e per alcuni mesi dopo il parto fintanto che dura l’allattamento. Essa
+
richiede la disponibilità di potere riducente sotto forma di molecole di NADPH + H e
consiste in una sequenza ciclica di reazioni in cui ogni ciclo porta all’allungamento della
catena idrocarburica di un frammento bicarbonioso fornito da una molecola di acetil CoA,
formato da una molecola di acido acetico legata al coenzima A con un legame tioestere ad
alta energia.
Il CoA, che lega anche intermedi di altre vie metaboliche, è una molecola complessa
costituita da adenosina, acido pantotenico e tioetanolammina il cui gruppo SH terminale
può reagire con il gruppo carbossilico della molecola di un acido formando un intermedio
attivato. Subiscono questo tipo di attivazione numerosi acidi carbossilici, fra cui l’acido
acetico, l’acido acetacetico e gli ac. grassi a catena più lunga.
L’acetil CoA è un intermedio chiave del metabolismo perché è il prodotto comune del
catabolismo di carboidrati , lipidi e amminoacidi e a partire da esso vengono sintetizzati acidi
grassi, colesterolo e corpi chetonici, mentre viene degradato nel ciclo dell’acido citrico.
L’acetil CoA utilizzato per la biosintesi degli acidi grassi proviene principalmente dalla
decarbossilazione ossidativa mitocondriale dell’acido piruvico. Dunque se è vero che i grassi
non possono essere trasformati in carboidrati non è vero il contrario.
Negli animali la biosintesi è catalizzata da sette proteine strettamente associate a formare
un complesso multienzimatico indicato come acido grasso sintasi.
Considerando che la maggior parte dell’acetil CoA viene prodotto nei mitocondri e che la
membrana mitocondriale interna è permeabile all’acetil AoA si pone il problema di come
esso possa uscire dai mitocondri per essere utilizzato nella biosintesi degli acidi grassi e del
colesterolo, entrambe citosoliche.
L’acetil CoA fuoriesce dai mitocondri sotto forma di un suo derivato, l’acido
citrico,combinandosi con l’ossalacetato, il primo prodotto dell’utilizzazione dell’acetil CoA
nelle vie ossidative terminali. Attraverso un trasportatore specifico raggiunge il citosol. Qui
un enzima, la citrato liasi, scinde il citrato rigenerando l’Acetil CoA con il consumo di ATP.
L’ossalacetato viene ridotto a malato, in seguito poi alla decarbossilazione ossidativa
catalizzata dalla malato deidrogenasi viene trasformato in piruvato, che nei mitocondri viene
trasfromato in Acetil CoA, e NADP, che serve nella biosintesi degli acidi grassi.
Questo complesso di reazioni deve verificarsi solo quando la cellula dispone di un eccesso
di energia metabolica, sotto forma di citrato e di ATP. Questo processo è stimolato
dall’insulina mentre è inibito dal glucagone e dall’adrenalina che mobilizzato i grassi del
tessuto adiposo favorendone il consumo.
La biosintesi degli acidi grassi è una via metabolica in cui una serie di reazioni si ripetono
ciclicamente costruendo la molecola dell’acido grasso a partire da unità elementari
bicarbioniose di acetil CoA. Tuttavia, delle molecole di acetil CoA che forniscono gli atomi di
carbonio alla molecola di acido grasso in via di costruzione solo una entra nel processo
come tale, mentre tutte le rimanenti vi partecipano previa trasformazione in malonil CoA
attraverso una reazione catalizzata dall’enzima Acetil CoA carbossilasi, il principale enzima
regolatore dell’intera via, che utilizza come coenzima la biotina, una vitamina idrosolubile e
richiede il consumo di una molecola di ATP.
Il malonil CoA è il substrato di partenza, si lega al
complesso multienzimatico dell’acido grasso
sintasi il quale possiede un gruppo acetilico. Si ha
una reazione di condensazione tra il gruppo
malonilico e il gruppo acetilico con liberazione di
una molecola di CO . Il gruppo malonilico si
2
trasforma in una catena a 4 atomi di carbonio con
un nuovo gruppo chetonico in posizione beta.
In seguito si ha una riduzione del gruppo
carbonile in posizione beta, questa reazione è
+
NADPH dipendente, viene liberato NADP .
Il terzo passaggio è una reazione di
condensazione dalla quale si forma un doppio
legame tra il carbonio alfa e il carbonio beta.
L’ultima reazione è una riduzione NADPH
dipendente che elimina i doppi legami, si hanno
solo CH .
2
A questo punto può iniziare un altro ciclo di
reazioni: una nuova molecola di malonil CoA si
lega alla molecola. In questo modo la catena si
allunga.
La sintesi si arresta dopo sette cicli, quando è
stata prodotta una molecola di palmitoil CoA (a
16 atomi di carbonio), che si stacca dal
complesso per permettere a questo di iniziare la
biosintesi di una nuova molecola.
L’acido palmitico prodotto può essere
successivamente modificato attraverso reazioni
catalizzate da sistemi enzimatici localizzati sulle
membrane del reticolo endoplasmatico liscio che
portano al suo allungamento ad acido stearico e,
in alcuni casi, all’introduzione di uno o due doppi
legami non oltre l’atomo di carbonio in posizione
nove. Per questo l’acido linoleico, arachidonico e
soprattutto linolenico, contenenti doppi legami
oltre il C9 non possono essere sintetizzati
dall’organismo. L’insaturazione avviene nei
mitocondri.
Esiste un importante coordinamento tra sintesi e degradazione di acidi grassi. Il malonil CoA
(substrato degli acidi grassi) inibisce la carnitina aciltransferasi bloccando il trasferimento
degli acidi grassi neosintetizzati dal citosol all’interno del mitocondrio dove verrebbero
degradati.
Biosintesi corpi chetonici
Acetone, acetoacetale, βidrossibutirrato.
Si formano nel fegato in livelli molto bassi (<3mg/100mL), la
loro sintesi è accentuata in corso di digiuno o nel diabete. Se
il loro livello aumenta si ha una chetoacidosi.
Possono essere utilizzati come energia dal cuore, muscolo
scheletrico e dal cervello.
La loro sintesi inizia con un eccesso di Ac. CoA.
Due molecole di Ac. CoA condensano formando Acetoacetil
CoA, questo a sua volta reaziosce con una terza molecola di
acetil CoA formando il 3idrossi3metilglutaril CoA il quale
si scinde in acido acetoacetico e acetil CoA. L’acido
acetoacetico libero, il principale corpo chetonico, viene in
parte risotto ad acido βidrossibutirrato oppure
decarbossilato ad acetone, una sostanza volatile eliminata
con la respirazione.
Il fegato li produce ma non li utilizza! Li riversa nel sangue
dove vengono captati dalle cellule dei tessuti periferici, in
particolare del miocardio, e utilizzati come combustibili
previa attivazione dell’acido acetoacetico ad acetoacetil
CoA.
Biosintesi colesterolo
E’ molto simile a quello dei corpi chetonici, inizia però nel citosol e non nel mitocondrio.
L’acetil CoA si trasforma sempre in βidrossiβmetil glutaril CoA il quale si trasforma poi in
+
mevalonato con l’intervento di due molecole di NADPH + H e grazie all’enzima
HMGCoAreduttasi. Questo enzima è l’enzima regolatore dell’intera via biosintetica. La sua
attività è inibita da concentrazioni alte di colesterolo. Dopo una serie di reazioni con
consumo di ATP si forma un isoprene attivato a 5 atomi di carbonio presente in due forme
isomeriche: isopentenil pirofosfato e dimetilallil pirofosfato. Queste due unità reagiscono tra
loro producendo una molecola a 10 atomi di carbonio: geranil pirofosfato che, per reazione
con una terza molecola di dimetilallil pirofosfato si trasforma in farnesil pirofosfato a 15 atomi
di carbonio. Due di queste molecole si uniscono testatesta formando lo squalene a 30 atomi
di carbonio. Infine si ha un riarrangiamento strutturale che lo trasforma in colesterolo a 27
atomi di carbonio.
Avviene sempre nel fegato ed è fortemente regolata. L’insulina stimola questa sintesi mentre
il glucagone la inibisce. Chi soffre di ipercolesterolemia assume farmaci “statine” i quali
inibiscono l’enzima HMGCoAriduttasi.
METABOLISMO AMMINOACIDI
Sono preferenzialmente usati per la biosintesi delle proteine. Solo in piccola parte vengono
degradati per l’energia (15% del fabbisogno energetico complessivo di un adulto)
Classificazione metabolica degli amminoacidi:
→ glucogenetici: molecole adatte per sintetizzare glucosio
→ chetogenetici: molecole adatte per la produzione dei corpi chetonici
→ gluco e chetogenetici : entrambi
Tutto ciò concerne la catena laterale degli amminoacidi.
Tuttavia gli amminoacidi hanno anche una parte in comune. Molto importante è il gruppo
amminico, emerge infatti il problema del metabolismo azotato.
+
L’eliminazione del gruppo amminico in alfa sottoforma di ione ammonio: NH 4 + scheletrici
carboniosi.
L’eliminazione del gruppo amminico può avvenire secondo 3 modalità ed è un passaggio
obbligato.
1. Deamminazione ossidativa : avviene nei mitocondri e coinvolge solo il glutammato.
il catalizzatore è la glutammato deidrogenasi. E’ l’enzima mitocondriale più
rappresentato nonostante sia specifico per un solo amminoacido.
2. Deamminazione non ossidativa : riguarda Ser, Thr; Cys; His.
3. Transaminazione: è catalizzata dalla transaminasi. Si ha un trasferimento del
gruppo amminico da una molecola donatrice a una accettrice. La molecola donatrice
è un amminoacido mentre quella accettrice un alfa cheto acido, solitamente l’alfa
cheto glutarato. I prodotti sono: l’alfa cheto acido corrispondente all’amminoacido di
partenza e l’amminoacido corrispondente all’alfa cheto acido di partenza, spesso il
glutammato. Il gruppo amminico viene solo trasferito!
Ciclo dell’urea
La prima tappa del metabolismo degli amminoacidi consiste nel distacco del gruppo
amminico come ammoniaca; questa è un composto tossico per le cellule anche a basse
concentrazioni, quindi gli organismi devono neutralizzarla non appena essa è stata prodotta.
Nell’uomo l’ammoniaca prodotta viene inattivata in vari modi, per esempio attraverso la
sintesi della glutammina per reazione con l’acido glutammico catalizzata dall’enzima
glutammina sintetasi. Questa reazione è molto importante perchè rifornisce l’organismo di
glutammina, l’amminoacido maggiormente utilizzato a scopi biosintetici; inoltre, nei reni,
nella pelle e nel fegato la glutamminaca così formata libera nuovamente ammoniaca e acido
glutammmico per azione dell’enzima glutamminasi. L’ammoniaca presente nelle urine
contribuisce a ridurne l’acidità. Tuttavia la maggior parte dell’ammoniaca liberata nel
catabolismo degli amminoacidi viene neutralizzata per trasformazione in urea, che
rappresenta il principale prodotto finale del metabolismo azotato. DAta la notevole tossicità
dell’ammoniaca, la conversione di questa in urea, che avviene nel fegato, rappresenta un
processo biochimico di estrema importanza e assai dispendioso in termini energetici.
La trasformazione dell’ammoniaca in urea avviene attraverso una serie ciclica di reazioni in
cui il primo reagente e il prodotto ultimo sono rappresentati dalla stessa molecola. Per poter
entrare nel ciclo dell’urea, l’ammoniaca deve essere attivata per trasformazione in un
composto ad alta energia di idrolisi: il carbamilfosfato, un intermedio metabolico essenziale
in quanto partecipa anche alla biosintesi delle basi azotate pirimidiniche. Il carbamil fosfato
reagisce dentro i mitocondri con una molecola di ornitina, l’accettore che viene rigenerato al
termine di ogni ciclo, per dare citrullina; quest’ultima passa nel citoplasma dove subisce
ulteriori trasfromazioni del ciclo.
Il secondo azoto per la formazione dell’urea perviene alla citrullina dal Laspartato che si è
formato con una reazione di transaminazione. Si ottiene Larginina e fumarato attraverso
l’intermedio argininsuccinato. L’ultimo stadio consiste nella liberazione dell’Urea dal
Larginina per intervento dell’enzima arginasi. Si libera urea e ornitina.
manca ciclo di Krebs. La catena respiratoria. Fosforilazione ossidativa. Meccanismo
d’azione degli ormoni. (libro)