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ALTRUISMO

Gli atteggiamenti pro-sociali sono quei modi di pensare e di rapportarsi agli altri che favoriscono la
socialità e aumentano i legami sociali: insomma, rendono una persona “più simpatica” agli altri.

Tra i più importanti troviamo:


 l’empatia è una caratteristica della personalità che dipende dall’intelligenza emotiva e che
ci rende disponibili a comprendere gli altri
 l’altruismo è la capacità di preoccuparci degli altri e di fare qualcosa in loro favore senza
ricercare una ricompensa, cioè in maniera disinteressata

Trattare dell’altruismo richiede, però, parecchie riflessioni: alcune riguardano il campo della
psicologia sociale, altre quello delle motivazioni e delle intenzioni del nostro comportamento

Intanto possiamo dire che altruismo ed egoismo sono opposti. Una persona altruista fa qualcosa
per gli altri senza pretendere qualcosa in cambio; una persona egoista si preoccupa di se stesso e
le sue azioni sono motivate dall’interesse personale.

Se cerchiamo di giudicarci, potremmo ritenere che in noi prevalga un istinto egoistico, utile a
garantirci la sopravvivenza e, possibilmente la sopravvivenza “migliore possibile”. Probabilmente
questa è la conseguenza di un modo di pensare diffuso nella nostra società che ci porta a voler
ottenere sempre il “meglio” per noi stessi, che ci rende “egoisti”.

Ma, probabilmente, nessuno di noi è mai completamente egoista o altruista: le circostanze, le


persone che abbiamo di fronte e i legami che ci legano a loro ci possono rendere più o meno
disponibili all’aiuto. Anche l’educazione e le regole sociali che apprendiamo all’interno della
nostra cultura influenzano i nostri comportamenti altruistici.

Infatti, la vita quotidiana è piena di piccoli atti altruistici:


 il ragazzo al supermercato che tiene gentilmente la porta aperta a qualcuno carico di borse
 chi cede il posto sui mezzi pubblici a persone più anziane
 chi dona 1 euro a un senzatetto.

Non tutti questi comportamenti sono rigorosamente altruistici (cedere il posto sugli autobus a chi
è in difficoltà, è una regola sociale, e il gesto potrebbe essere dettato dal timore di un rimprovero
o dal desiderio di un’approvazione).

Le notizie dei giornali o dei telegiornali, poi, spesso si concentrano sui casi eclatanti:
 l’uomo che si tuffa in un fiume ghiacciato per salvare uno sconosciuto dall’annegamento
 il personaggio misterioso che dona centinaia di migliaia di euro a un ente di beneficenza
locale
 l’infermiere che sceglie volontariamente di lavorare nei reparti “covid” degli ospedali nelle
regioni più colpite
 chi mette a disposizione il suo tempo per aiutare gli altri
Anche fra questi esempi, certamente, possiamo trovare azioni che forse non sono del tutto
disinteressate e quindi non altruistiche (il personaggio misterioso che fa una donazione potrebbe
pensare alla possibilità di detrarre quella cifra dalle tasse e quindi ottenerne un vantaggio; altre
volte, il “vantaggio” può essere ricompensato dalla società – un premio, una medaglia, una foto
sul giornale).

Allora, il significato vero dell’altruismo qual è? L’altruismo comporta una preoccupazione


disinteressata per le altre persone. Si tratta di fare cose semplicemente per il desiderio di aiutare.
Nessun obbligo dettato dal dovere, dalla lealtà o da motivi religiosi.

Ma, gli psicologi sociali vogliono saperne di più. Si sono interessati a capire il motivo per cui si
verifica.
Cosa ispira i più semplici atti di gentilezza? Che cosa motiva le persone a rischiare la propria vita
per salvare un perfetto sconosciuto? Che cosa induce le persone a mettere in pericolo la loro
salute e il loro benessere per aiutare altre persone? Che cosa spinge la gente a donare il proprio
tempo, energia e denaro per aiutare a migliorare le condizioni degli altri, anche quando sa di non
poter ricevere nulla di tangibile in cambio?

L’altruismo è un aspetto di ciò che gli psicologi sociali chiamano comportamento pro-sociale. Il
comportamento pro-sociale si riferisce a qualsiasi azione che avvantaggi altre persone, senza che il
donatore dell’azione abbia alcun motivo o beneficio.

Dobbiamo però distinguere il comportamento di chi compie un’azione di aiuto agli altri, dalla
motivazione che lo spinge a farlo.

Infatti, come abbiamo visto dagli esempi precedenti, mentre tutti gli atti altruistici sono pro-
sociali (nel senso che favoriscono la sopravvivenza e il buon funzionamento di una società), non
tutti i comportamenti pro-sociali sono altruistici (perché nascono da motivazioni “egoistiche”)
Ad esempio: possiamo aiutare qualcuno:
 per non sentirci in colpa e per sentirci soddisfatti di noi stessi
 perché ci sentiamo in colpa e vogliamo liberarci dal senso di colpa
 perché è un dovere legato alla nostra professione (infermiere)
 un obbligo dettato dalle regole della nostra cultura
 per ricevere un “premio”, un “riconoscimento morale”, un vantaggio
 per ottenere la stima e la considerazione degli altri

La psicologia suggerisce diverse spiegazioni sul perché esista l’altruismo, alcune nascono dal
confronto con il comportamento degli animali che, a differenza del nostro, è più correlato
all’istinto e al patrimonio genetico. Ci sono, dunque:

Ragioni biologiche:
 gli animali mostrano numerosi comportamenti “altruistici”, a base innata, legati
all’allevamento e alla protezione della prole, della specie – però sono frequenti anche i casi
in cui l’animale si prende cura del cucciolo di un’altra specie e perfino dell’uomo
 noi, allora, dovremmo essere più altruisti nei confronti dei nostri simili, poiché aumentano
le probabilità di sopravvivenza dei nostri geni da trasmettere alle generazioni future
(selezione parentale) – ma anche noi siamo capaci di altruismo nei confronti di persone
sconosciute

Motivi neurologici:
 l’altruismo attiva nel cervello i centri della ricompensa (che ci dà piacere). I neurobiologi
hanno scoperto che quando si è impegnati in un atto altruistico, i centri del piacere del
cervello diventano attivi.

Motivi cognitivi:
 dipendono dal sistema cognitivo con cui giudichiamo noi stessi. Secondo la definizione,
l’altruismo si aziona senza necessità che il donatore si aspetti alcuna ricompensa, ma dietro
a questi atti si nasconde un incentivo cognitivo: il giudizio positivo che noi diamo su noi
stessi e sul nostro comportamento quando compiamo un’azione “buona”, di aiuto agli altri.
Ad esempio, potremmo spiegare l’aiuto che diamo gli altri per alleviare le loro sofferenze,
perché essere gentili con gli altri sorregge la visione che abbiamo di noi stessi. In altre
parole, essere empatico fa sentire bene.

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