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BIOETICA SENZA DOGMI

I°- PER UNA BIOETICA LIBERALE.


1)RILEGGENDO JOHN STUART MILL ALLA LUCE DEL DIBATTITO BIOETICO CONTEMPORANEO
La lezione milliana.
Mill visse nell’800 e fu protagonista del dibattito politico e intellettuale, difendeva i diritti civili,
combatté per il voto delle donne, difendeva i diritti dei cittadini contro la tirannia della
maggioranza, difendendo quindi la minoranza e la libertà individuale: “libertà concepita non in
modo astratto ma da concretizzare sul piano economico/sociale,civile,politico,culturale” (On
Liberty).
Occorre tenere conto del contesto sociale in cui sorgono
Lecaldano riconosce il “diritto alla vita” formulata da Mill, diritto sia al benessere sia all’autonomia
individuale.
Occorre tenere conto del contesto sociale in cui sorgono i problemi in bioetica, in una società
liberale,per esempio, l’autonomia individuale è il valore supremo.
Charleswoth sostiene che l’autonomia individuale sia al centro del dibattito sulle nuove tecnologie
riproduttive, dei modi di formazione della famiglia,sui limiti del trattamento terapeutico,
sull’esistenza o meno di un “diritto alla morte”.
La grammatica di una bioetica liberale.
“La Libertà” è un’opera scritta da Mill che dedicò alla moglie Taylor, sua ispiratrice, e viene definita
la <<grammatica di una bioetica liberale>>. Si concentra su una libertà civile e sociale, quindi i limiti
imposti agli individui dalla società attraverso le leggi. Denuncia la tirannia della maggioranza che è
la tendenza della società di imporsi sugli individui attraverso mezzi non previsti dalla legge(la
società impone idee e abitudini crea un conformismo che “incatena le anime; secondo Mill
“l’abitudine diventa quasi la natura stessa dell’individuo”). Dichiara: “ciò che ci permette di dare
valore alle nostre esperienze è dovuto alle limitazioni delle azioni altrui”. Occorrerebbe trovare
regole che si fondano sull’opinione pubblica, ma è questo il problema delle relazioni umane. Le
norme le seguiamo per fora dell’abitudine, quindi non ci poniamo domande su queste; ci sembra
superfluo dare spiegazioni a ciò che consideriamo ovvio.
Quando si parla della procreazione assistita ci concentriamo sulle tecniche che vengono utilizzate:
<<determinismo tecnologico>> ( concezione che attribuisce alla tecnologia il potere assoluto di
condizionamento sulla vita umana, non concentrandosi sulla politica, sulla famiglia, sulla scuola ).
La natura tutti i giorni rovina, uccide devasta quindi non può essere considerata maestra di
moralità, non può essere un fondamento. Queste azioni se compiute dall’uomo vengono ritenute
le peggiori enormità. L’artificiale viene considerato come l’opposto del naturale; il naturale è visto
come qualcosa di buono e giusto, l’artificiale come qualcosa di negativo e sbagliato. Per l’uomo è
naturale essere artificiale: la sua “natura” è di non avere natura. Il mondo artificiale è il mondo che
l’uomo stesso si è creato, è per l’uomo qualcosa di spontaneo e naturale, pertanto il rifiuto della
tecnologia equivale al rifiuto della naturalità.
Le tecnologie riproduttive che i naturalisti giudicano lesive sono equiparabili alle tecniche usate
dalla medicina per aiutare la natura, ad esempio riabilitare l’uomo a determinate funzioni.
Nussbaum sostiene che la capacità di generare è fondamentale e deve essere garantita; si deve
essere liberi di scegliere se, quando e quanto spesso godere di questo diritto.
Nascere in modo naturale o in modo artificiale non ha importanza: ci si può riprodurre
naturalmente in modo irresponsabile, o artificialmente ma in modo responsabile. Non importa le
tecniche che vengono utilizzate, ma in che modo i genitori accolgono e offrono amore al bambino.
Occorrerebbe intendere la genitorialità non come un fatto puramente biologico ma culturale e
quindi propriamente umano, frutto di una consapevole decisione e un progetto di vita condiviso, in
questo modo non si può attribuire all’artificiale di snaturare, rovinare e impedire questo progetto.
Nella società liberale i problemi privati sono ora problemi pubblici, lo Stato prende decisioni che
riguardano il nascere o i morire. La scienza può diventare un’alleata dell’individuo, non un
avversario da combattere.
Il principio del danno.
Per Mill lo Stato deve intervenire con la forza solo quando il singolo nuoce gli altri. Secondo il
principio del danno:
 la coazione è giustificata quando il singolo nuoce agli altri;
 il singolo non deve rispondere alla società se non delle azioni che danneggiano gli altri.
La società non dunque il diritto di definire cosa sia il “bene” sia morale che fisico di un individuo,
che non deve quindi essere costretto a non fare qualcosa in base ai principi: “sarebbe meglio per
lui…., sarebbe più felice se…, sarrebbe più saggio se….. , sarebbe più giusto se….”
Si andrebbe verso la direzione di uno <<stato etico>>, il quale si prefigge il raggiungimento di certi
valori che devono essere rispettati dall’individuo a differenza di uno <<stato di diritto>> dove ogni
cittadino è libero di scegliere il proprio piano di vita in base a valori scelti spontaneamente.
L’autonomia è un diritto del cittadino, il diritto all’indipendenza, in quanto l’individuo è il solo
sovrano sul proprio spirito e sul proprio corpo. Ha diritto ad una vita libera. Nessuna volontà si può
sostituire a quella della propria coscienza. Inoltre ognuno ha il diritto di scegliere del proprio
destino: diritto al rifiuto delle cure e dichiarazioni anticipate di trattamento. Una persona può
danneggiarne un’altra non solo attraverso gli atti ma anche attraverso le omissioni e in entrambi i
casi risponde del danno causato. Ritenere responsabile qualcuno del male che ha fatto è la regola.
Ritenere qualcuno responsabile del male che non ha saputo prevenire è l’eccezione.
Autonomia e beneficienza. Per un’etica della responsabilità.
Il principio bioetico della beneficenza è caratterizzato da altruismo, solidarietà e non da egoismo
col pensiero rivolto a se stessi.
L’uomo nella società ha dei ruoli quindi delle responsabilità (posso compiere un’azione autonoma
rivolta al bene altrui e assumere una decisione morale in piena autonomia nella consapevolezza
delle relazioni che ho con il prossimo). Mill parla in particolare di responsabilità procreativa per
prevenire disagi e malattie, per garantire condizioni migliori di benessere, l’individuo aveva
l’esigenza etica di assicurare una decente qualità della vita.
L’autonomia si fonda sull’autodeterminazione di ciascuno, la beneficienza prescrive di fare agli altri
il loro bene.
Jonas sostiene che bisogna rispettare il diritto di ogni vita umana, questo però non significa che
non si possa non attuare una diagnosi pre-impianto per conoscere in anticipo eventuali malattie
dell’embrione. Perché non ritenere un preciso impegno dei genitori garantire la qualità della vita di
quanti mettono al mondo anche grazie alle informazioni che la scienza ha fornito?
Per costruire un’etica della compassione fondata sulla percezione della propria e dell’altrui
vulnerabilità occorre immaginare in maniera simpatetica al fine di “mettersi nei panni degli altri, e
di soffrire allo stesso modo”. Occorre inoltre chiedersi perché i critici della diagnosi pre-impianto
parlano di un diritto di libertà dei genitori quello di conoscere lo stato di salute dei figli, e non
anche di un dovere dei genitori nei confronti dei figli in un ottica di etica della responsabilità.
La diagnosi non è un programma per arrivare allo sterminio (spettro del nazismo e dell’eugenetica),
ma un possibilità per diagnosticare eventuali malattie in un embrione. Oggi con la biotecnologia si
può individuare il gene difettoso prima del suo trasferimento nell’utero per evitare l’impianto di un
embrione malato. E’ un metodo vietato in Italia, infatti molti si recano all’estero per avere figli sani.
I genitori devono assicurare una vita degna di essere vissuta ai propri figli, anche nella salute
(procedimenti giudiziari relativi al cosiddetto torto da procreazione, intentati negli Stati Uniti da
portatori di handicap contro i genitori colpevoli di “averli messi al mondo”e di non avergli quindi
garantito una buona qualità della vita.
Si può arrivare all’incertezza, che non significa rinunciare alla ragione (ragionevolezza
argomentativa), convivere con essa fino a farla diventare una forma adulta di educazione (antidoto
contro il fanatismo e l’intolleranza).
La sfera di liceità e le scelte procreative.
Mill sostiene la libertà individuale e un “diritto mite”, che dia ampio spazio alla coscienza del
soggetto più che alla responsabilità forzata da parte della legge, e comprende:
 la libertà di coscienza : libertà di pensiero, opinioni, sentimenti;
 la libertà di tendenze e di occupazioni: possibilità di sistemare la nostra vita in base alle
nostre aspirazioni,di agire come meglio ci aggrada senza danneggiare gli altri;
 la libertà di associazione: possibilità di unirsi in aggregazioni per qualsiasi scopo, senza
danneggiare gli altri.
“La libertà che sola merita questo nome è la libertà di cercare il nostro bene personale come
meglio crediamo , finché non priviamo agli altri il loro, o non ne ostacoliamo gli sforzi per
procurarselo”.
Il genere umano ne guadagna se l’individuo vive come meglio crede, piuttosto che vivere come
vogliono gli altri. Con la legge della procreazione assistita (legge 40) si scatenò un forte dibattito
perché l’autorità pubblica ha la possibilità di intromettersi nella sfera più intima del cittadino. Se
non vogliamo vivere in uno stato paternalista che decide per noi, bisogna assumersi le proprie
responsabilità.
“La tolleranza rende possibile la differenza, ma la differenza rende necessaria la tolleranza”
( Michael Walzer)
L’ adozione (forma di artificialità) permette di dare una famiglia ad un bambino che già c’è. E’ una
famiglia artificiale che si basa su legami sociali e non vincoli di sangue. Non è buono solo ciò che è
naturale e biologico.
La sfera di liceità è lo spazio delle azioni permissibili ridotto dalla legge 40 (la più restrittiva e livello
europeo), tra ciò che è obbligatorio e ciò che è vietato, sfera che consente al cittadino di prendere
decisioni che corrispondono alla sua idea di buona vita. Secondo Mill bisogna ampliare questa
sfera verso una moralità del benessere.
L’individualità è la capacità di autodeterminazione, la capacità di costruirsi una propria vita
compiendo scelte (anche discordanti) liberamente in base al proprio progetto di vita; è un bene
intrinseco che la società deve favorire. E’ incluso anche il diritto ad essere diversi.
Il pluralismo culturale è segno di vitalità da cui deriva felicità e progresso individuale e sociale, e si
collega anche alla richiesta di un riscatto della classe operaia e alla lotta per l’emancipazione delle
donne.
La “tirannia della maggioranza” e l’importanza del pensiero eretico.
Il parere della maggioranza in campo etico e bioetico non è garanzia di verità, è solo rilevante, da
un punto di vista sociologico perché largamente condivisa.
Il fallibilismo è un abito metodologico che raccomanda la discussione delle opinioni perché
nessuno può imporre il proprio pensiero come verità; non si deve privare nessuno della possibilità
di giudicare.
Secondo Bedeschi, l’unanimità non è mai utile, non è un valore; la DIVERSITA’ è sempre
auspicabile, è un valore. La capacità di correggere i propri errori è una qualità dello spirito.
Occorrono sia la discussione sia l’esperienza: la discussione mostra come interpretare l’esperienza.
L’uomo sa più cose su un argomento se conosce i diversi punti di vista,
ecco perché è importante la discussione e fondamentale la libertà di contraddire e disapprovare,
condicio sine qua non per affermare la solidità di un’idea.
L’argomentazione assume considerevole importanza in bioetica intesa come campo di ricerca in cui
si è continuamente impegnati a dare ragioni a sostegno di determinati comportamenti e a
confutare altre ragioni, al sostegno di altre scelte. Come importante diventa la dialettica (intesa in
senso aristotelico)come tecnica di discussione:capacità di obiettare,confutare,criticare,giustificare.
Rilevanti diventano le eresie sono opinioni invise alla maggioranza che anche se non comportano
più il rogo, portano alla persecuzione legale.
Mill discute sull’ateismo: chi non crede in Dio e in una vita futura non è degno di fede e non può
prestare giuramento; è una concezione errata secondo Mill perché mancanza di fede non significa
mancanza di onestà e integrità (da questa concezione ne deriva la possibilità di un’etica non
religiosa, laica).
Ci sono parole che oggi non vogliamo pronunciare, come eugenetica, ma finiscono per diventare
dogmi morti anziché verità vive; non dobbiamo soffocare nessuna discussione.
Il ruolo dell’argomentazione in bioetica. La “feconda antinomia delle opinioni”.
Secondo Mill dobbiamo conoscere i punti di vista altrui per avere maggiori conoscenze su un
argomento. Fa riferimento a Cicerone,oratore molto più attento alla causa dell’avversario piuttosto
che alla propria causa, per scoprire tutta la verità. Non è sufficiente saper argomentare in modo
brillante il proprio pensiero. La verità è la conciliazione tra i contrari. Deve essere incoraggiata la
minoranza per combattere la tirannia della maggioranza che vuole imporsi. “Si deve rendere onore
ad ogni persona qualunque idea essa abbracci, che sa riconoscere e apprezzare con lealtà e onestà
i propri avversari e le opinioni da queste professate”.
La “fioritura” umana. Un’etica del carattere.
Libertà d’azione: secondo Mill le azioni non devono usufruire della stessa libertà delle opinioni, ma
le opinioni possono. per la natura delle circostanze, indurre ad azioni nocive.
Principio del danno: l’unico che circoscrive la libertà individuale, l’individuo non deve recar danno
a terzi. L’uomo può manifestare liberamente la propria personalità, non bisogna uniformarsi a
modelli ( “individui diversi non possono vivere sotto la stessa atmosfera morale come molteplici
varietà di piante non possono fiorire sotto lo stesso clima”); questo lo porta alla felicità, diritto di
entrambi i sessi: la fioritura umana.
La spontaneità individuale, secondo Mill non ha abbastanza valore. Il riferimento va verso
Humboldt secondo cui il fine dell’uomo è lo sviluppo più esteso di tutte le facoltà. Sviluppare una
propria individualità rende originali ed è possibile solo se si è liberi di compiere delle scelte. La
tradizione tramanda i costumi e l’individuo deve essere capace di prenderne atto e agire come
meglio crede. Chi si adatta passivamente ai costumi non ha il desiderio di ricercare il meglio per sé.
Se una persona compie un’azione senza esserne convinto rimarrà debole e indeciso.
Ecco che si procede verso un’etica del carattere: non importa cosa fa l’uomo, l’importante è ciò
che è. L’uomo deve coltivare le proprie attitudini, l’uomo deve “fiorire”, compiersi, è un albero
rigoglioso che si sviluppa in tutti i suoi rami. Il liberalismo milliano è stato definito non a caso come
una <<filosofia della personalità>> proprio per la valorizzazione dell’individualità come forza
creatrice.
La felicità e la buona vita.
Mill non è lontano dall’idea di eudaimonia, o vita buona, che ha sostenuto Kant. E’ importante
permettere lo sviluppo delle facoltà umane, sia delle capacità mentali sia di quelle fisiche,
attraverso la libertà che è un diritto di tutti, facoltà che se non usate si indeboliscono, in una
società senza liberta le facoltà umane si inaridiscono e deperiscono.
Con il termine felicità si intende un genere di vita attiva; per Aristotele è un insieme di attività
dotate di valore, unite dall’amore e dall’amicizia; per Wordsworth è felice l’uomo che nonostante la
sofferenza riesce a compiere le molteplici attività della vita. Piacere e felicità non sono sinonimi,
anche se entrambi fanno riferimento alla vita buona e alla fioritura delle capacità.
Secondo Nussbaum , Mill condivide in parte la concezione utilitaristica di Bentham e in parte la
concezione di Aristotele e Wordsworth. Secondo Nussbaum i piaceri si dividono per qualità e per
quantità. Mill difende, anche se non le condivide, le teorie di Bentham: il fatto che il piacere sia
identico alla felicità, e il fatto che l’azione buona consiste nel produrre la maggiore felicità per il più
grande numero. Nel periodo di crisi spirituale, Mill riflette sul concetto di felicità e capisce che
costituisce il fine della vita, lo scopo che tutti gli uomini vogliono raggiungere (come ricorda
Bedeschi). Secondo Berlin la felicità si tramuta in pienezza di vita, in spontaneità e unicità di un
uomo.
Quando Mill parla di piaceri si riferisce ai piaceri connessi all’intelletto,ai sentimenti,
all’immaginazione, piaceri a cui attribuisce più valore rispetto ai piaceri sensuali. Con questa idea si
scontra con il riduzionismo di Bentham secondo il quale è meglio essere un individuo insoddisfatto
piuttosto che un maiale soddisfatto.
La filosofia di Mill è connessa ad alcune idee di Hume, come il fatto che la simpatia sia un
sentimento che unisce gli uomini. Occorre tener conto sia sia dell’intelletto sia dei sentimenti e
delle passioni degli uomini. Le passioni possono diventare pericolose per l’individuo, quando non
sono correttamente bilanciate. L’educazione sia da parte della famiglia sia da parte della società è
fondamentale per la formazione dell’individuo, anche per far comprendere l’importanza sia dei
sentimenti sia dell’intelletto. “Non sono le passioni ardenti che trscinano gli uomini al male, bensì
le coscienze deboli”.
“Avere carattere” per Mill significa sviluppare una propria personalità e avere desideri e aspirazioni
( occorre, senza rinnegare la “cultura dell’intelletto”, rafforzare e coltivare la “cultura dei
sentimenti”). Chi non ha desideri e aspirazioni non ha carattere. La società ha bisogno di individui
forti, robusti, coraggiosi, con carattere, non ha assolutamente bisogno invece di persone passive
che non hanno iniziativa. Parla di “liberalismo perfezionista”, parla di individualismo, ma non
perché l’individuo deve diventare egoista e pensare solo a se stesso, ma perché deve sviluppare
una propria personalità, affinché non diventi “uomo di massa”, vittima della “tirannia del
costume”. L’uomo non deve essere sottomesso dalla società, la società no deve controllare in
maniera subdola le scelte dell’uomo. Oggi “l’ideale di carattere è di non avere alcun carattere”.
Dei limiti del potere della società sull’individuo. La “polizia morale”.
Convivere significa anche rispettare determinate regole che per Mill sono:
 non ledere gli interessi e i diritti altrui;
 assumersi la propria responsabilità e difendere in caso di bisogno la società, anche a costo
di sacrifici.
La società deve intervenire solo quando l’individuo interferisce con i diritti altrui, se invece agisce
entro la propria sfera di interessi non dovrebbe intervenire. La bioetica liberale difende sia la
posizione di coloro che considerano la vita come un bene conferitogli da Dio sia la posizione di
colore che invece scelgono la morte (testamento biologico). Come esiste il diritto alla vita,
dovrebbe esistere anche il diritto alla morte (diritto paradossale), talvolta si pensa alla vita come
un bene e alla morte come un male, ecco perché si cerca di fare sempre di tutto pur di mantenere
una persona in vita. Diritto alla propria morte se riconosciamo la mortalità come caratteristica
integrale della vita: “la vita è mortale proprio perché è vita”.
Jonas sostiene che non dobbiamo privare l’individuo di una sua scelta se questo vuole morire. Mill
ricorda che non possiamo scegliere noi della vita di altre persone, in quanto è l’individuo stesso il
miglior custode dei suoi interessi. Kymlicka sostiene che la vita migliore è condotta dal diretto
interessato, secondo le proprie idee e valori.
“Polizia morale” è la società che cerca di indirizzare l’individuo su una determinata strada, che
però non si basa sui valori dell’individuo stesso; secondo Mill questo non è corretto perché ognuno
deve scegliere in base alle proprie idee, ai propri valori. La “condanna a vita alla vita” può essere
considerato come un ergastolo, siccome si arriva a parlare di accanimento terapeutico, ci si ostina
alle cure pur sapendo di non arrivare ad un miglioramento (onnipotenza della medicina,impotenza
della persona). Si arriva quindi ad una “rivoluzione liberale” scatenata dalla bioetica in quanto la
medicina non può continuare a scegliere per un individuo, che rimane sottomesso dallo Stato privo
di libertà di scelta(polizia morale da parte di uno Stato paternalista).
Si arriva a parlare anche di principio di autonomia secondo il quale l’individuo deve avere la
possibilità di scegliere della propria vita. La dottrina del “consenso informato” (diritto di scegliere
se essere curato o no) rinvia alle dichiarazioni anticipate di trattamento, in cui l’individuo
dovrebbe esprimere le proprie volontà sul trattamento che vorrà avere nel caso in cui si trovi in
una situazione di malattia: sono pianificazioni anticipate di cure ( permettono di creare un
rapporto personale tra medico e paziente in quelle situazioni in cui si incontra la solitudine di chi
non può più decidere), hanno carattere pubblico (forma scritta), vengono scritte di fronte ad una
medico che le controfirma, devono essere scritte da maggiorenni informati che non abbiano subito
pressioni famigliari o sociali. Inoltre vi è un fiduciario il quale avrà il compito di verificare
l’esecuzione corretta di ciò che è stato richiesto. Assicurano inoltre la dignità all’individuo, in
quanto viene rispettata la sua scelta. Il fatto che si confonda l’eutanasia con la consapevole
rinuncia del paziente all’ “accanimento terapeutico”complica il discorso sul cosiddetto
“testamento biologico”che è un documento su cui l’individuo riporta la sua volontà di accettare o
rifiutare pratiche terapeutiche in condizioni di incapacità (diritto morale e giuridico). Inoltre il
testamento biologico non appare in contrasto col principio della sacralità della vita (perché mai un
credente non dovrebbe preoccuparsi della modalità della sua morte come allo stesso modo si
preoccupa della salute quando è in vita?). La difesa della propria autonomia e il dovere di non
danneggiare gli altri si accompagna all’assunzione di responsabilità nei confronti del prossimo.
Talvolta si può parlare di un’etica minimalista (riferendoci a Mill) in quanto l’unico standard morale
è quello di non arrecare danno agli altri.
Nella riflessione contemporanea assume sempre piu valore l’etica della cura che non vuole solo
curare ma anche prendersi cura, ovvero, farsi carico responsabilmente dei bisogni e delle
sofferenze della persona (in particolare dei malati incurabili e terminali). In questo quadro, anche
nel nostro Paese c’è la diffusione degli hospices che sono luoghi che mirano ad accompagnare il
malato alla “buona morte”.
Mill cerca di combattere l’indifferenza egoistica; affronta la questione individuo-società: gli
individui devono aiutarsi l’un l’altro a ricercare il bene e ad evitare il male, a migliorarsi ma non
decidere sulla vita di un altro. Ci si orienta verso un liberalismo perfezionista e si condanna ogni
forma di paternalismo.
La bioetica liberale tra i diritti e la cura.
I contributi di Mill alla bioetica liberale:
 il discorso sul metodo, in cui si valorizza l’argomentazione e la discussione libera;
 l’individuazione dei principi guida, come l’autonomia e il danno insieme ai doveri di
solidarietà e benevolenza;
 coinvolge una visione complessiva della vita e dell’uomo ispirata ad una morale del
benessere e della simpatia e ad un’etica del carattere (ideale di perfettibilità).
Vennero fatte diverse critiche. La società viene accusata di “individualismo atomistico” che astrae
l’individuo dal contesto sociale. Inoltre ponendo l’accento sull’autonomia si arriva ad un approccio
etico auto-referenziale, nel quale sono centrali i diritti degli individui nei confronti della società,
ma perdono d’importanza la responsabilità e gli obblighi. Si arrivò a sostenere che essere autonomi
significasse non aiutare gli altri, essere anti-sociali; Mill dice che gli uomini sono autonomi nel
senso che possono prendere decisioni proprie in base alla propria responsabilità riconoscendo
comunque i vincoli nei confronti del prossimo. Oltremodo un’azione autonoma non deve essere
obbligatoriamente rivolta a sé ma anche verso l’interesse di altri.
L’etica liberale si fonda sulla difesa dei diritti e della cura. Il prendersi cura del prossimo è una
dimensione fondamentale dell’esistenza umana, un’inclinazione spontanea e naturale nell’uomo
(“spontanea naturalezza”). Mill dimostra che la società liberale offre lo spazio per molteplici forme
di vita comunitaria in quanto promuove la diversità culturale intendendola come un segno di
vitalità personale e collettiva. Ciò che nega è che i valori comunitari vengano sanciti dallo Stato.
Un’educazione liberale.
Mill si rende conto che l’ideale liberale, incentrato sulle idee di libertà individuale, diversità sociale
e pluralismo culturale sia difficile da mantenere perché va verso certe inclinazioni della natura
umano che tendono a conformarsi all’opinione della maggioranza, a fuggire al peso della libertà, e
quindi dalla responsabilità di assumere decisioni in prima persona (ricerca di un consenso morale
della maggioranza e paura del suo giudizio.Il paradosso della società liberale consisterebbe nel
fatto che il bene comune dell’intera società in verità non esiste. Per Mill la società si fonda su
principi come l’autonomia, la libertà e la diversità morale. Mill cerca una saggezza pratica che ci
aiuti a superare i problemi della vita.
La bioetica affronta problemi che si possono risolvere dall’interno, attraverso discussioni, non
formulando regole da seguire; i Comitati etici non emettono sentenze come i tribunali, ma invitano
alla discussione, al confronto.
Tolleranza non significa essere indifferenti. La tolleranza ci permette di sostenere idee e principi
ma di accettare anche idee e principi differenti dai nostri e in questo direzione si può parlare di
“società aperta”. Grazie alla tolleranza si può vivere pacificamente in uno Stato. Mill
sostiene la possibilità di compiere scelte e questa possibilità porta ad un giudizio più obiettivo
basato su fatti reali. La bioetica liberale deve rispondere a delle sfide, conoscenze fornite dalle
scienze della vita che condizionano la nostra visione del mondo. Mill parla di “fallibilismo
epistemologico” in quanto non possiamo essere sicuri che la nostra opinione sia vera o che
l’opinione di qualcun altro sia falsa. La ragione è importante, può fallire ma dobbiamo comunque
avere fiducia in questa perché è l’unica nostra guida che deve essere sostenuta e rafforzata.
2) IL CONFLITTO COME SCUOLA DELL’IO. LA LEZIONE DI GEORGE SIMMEL.
Nel pensiero filosofico ci sono due tradizioni relative al conflitto : una (Platone) che vede in esso il
male principale e il nemico dell’armonia della giustizia, l’altra (Eraclito) dove il conflitto viene visto
come “scuola dell’io”, in cui si mettono in evidenza gli aspetti costruttivi per l’individuo e la società
che danno origine alla giustizia. Simmel ritiene che il conflitto sia necessario per la vita, è un
processo di interazione tra gli individui.
Il conflitto dei doveri.
Il conflitto era per Lorenz un istinto innato aggressivo; per Freud era legato alla società in quanto
non permetteva all’uomo il libero sfogo dei suoi istinti; per Simmel è parte costitutiva della vita
stessa, è un elemento fisiologico sia degli individui che della società ed ha carattere ambivalente. Si
pone attenzione al conflitto dei doveri visto come risultato dell’evoluzione sociale e della
partecipazione del singolo all’interno della società. Il conflitto è percepito come uno squilibrio
momentaneo seguito poi da un equilibrio, in realtà è frutto di un forte sviluppo sociale.
Le stratificazioni della coscienza.
Quando due doveri entrano in collisione vi è sempre un dovere più vicino al nostro cuore e uno più
distante, più oggettivo. Questo perché, secondo Simmel, le obbligazioni in noi sorgono in base alle
sfere di doveri che si sviluppano l’una dopo l’altra, nel tempo, in contesti diversi; costituiscono
strati sovrapposti come la terra è costituita da più strati e generano lacerazioni della coscienza,
opposizioni, disarmonie (stratificazione della coscienza). Il conflitto si genera tra i doveri degli
strati primordiali (biologici, trasmessi ereditariamente), come l’istinto di sopravvivenza, e i doveri
più recenti, come il le visioni del bene e del male che danno un “senso” al nostro esistere. Si
genera quindi il conflitto tra le pretese dell’anima (biologici) e le esigenze del sapere (doveri
recenti). Si parla di “discrepanze dell’adattamento” tra ciò che valeva in passato e ciò che vale ora.
In questo modo in bioetica si offre una spiegazione al fenomeno dell’ atavismo etico che manifesta
le asimmetrie tra le nostre conoscenze e le nostre credenze più profonde, tra ciò che sappiamo
della realtà e il nostri atteggiamenti rispetto ad essa.
Secondo Simmel ogni gradino della cultura si trova tra il cosciente e l’inconscio.
La “tragedia” dell’individuo.
L’uomo è circondato da moltissime cose, cose che a lui non interessano ma che non può respingere
e generano in lui un conflitto. Questo conflitto è qualcosa che l’uomo deve da una parte superare
ma diventa anche significativo dal momento che influenza la sua autonomia individuale. Il conflitto
è anche la scuola in cui l’io si forma (formazione e sviluppo della personalità-scuola dell’io); più
conflitti sorgeranno e più l’uomo si sentirà unità. Simmel parla di conflitti tra
doveri, e facendo riferimento alla tragedia, dice che la morte dell’eroe dimostra l’insolubilità del
conflitto che rappresenta l’aspetto tragico del dramma. La “tragedia” dell’individuo è legata alla
sua unità interiore, ricca di conflitti, di cui l’uomo non riuscirà mai a trovare soluzione. Nel conflitto
dei doveri assume forte evidenza il rapporto tra l’unità, che è l’uomo, e la pluralità irriducibile dei
suoi compiti e dei suoi doveri.
La vita mostra due parte in opposizione: la parte positiva (felicità, virtù) e la parte negativa
(sofferenza, vizio); noi pensiamo che è solo una parte a rappresentarci, l’altra la vediamo come
qualcosa di estraneo, distaccato da noi, ma in verità le possediamo entrambe. La vita è sempre
caratterizzata da integrazione e conflitto, unificazione e disgregazione. Per Simmel tensioni e
contraddizioni, che non si potranno risolvere in una definitiva armonia, sono l’espressione di una
dialettica che arricchisce l’esistenza umana (dualismo).
I conflitti sono importanti per gli uomini perché permettono loro di rafforzare il proprio sentimento
dell’io, attraverso gli scontri vengono a conoscenza di realtà diverse. Nella comunità primitiva
l’individuo vive in funzione del gruppo, soggetto agli imperativi imposti da una collettività unitaria,
mentre in una società complessa egli si trova al punto di incontro di numerose sfere, indipendenti
l’una dall’altra, ciascuna impone degli imperativi, dei doveri, delle richieste, talvolta in conflitto. In
questo contesto l’individuo ricopre dei ruoli,ma in verità. il commerciante non è solo un
commerciante, l’impiegato non è solo un impiegato, è anche un essere extra-sociale. Occorre
guardare oltre la semplice posizione sociale di un individuo altrimenti non favorirebbe la
formazione di rapporti sociali reali.
Per Simmel nella società moderna l’uomo appartiene a più famiglie: prima di tutto alla famiglia
parentale, poi alla famiglia che l’ha procreato, quindi alla famiglia del coniuge; in seguito al suo
gruppo professionale; seguono altre appartenenze tra cui l’essere cittadino, membro di una
particolare classe sociale, iscritto a partiti ,associazioni ecc. Le varie appartenenze hanno in ambito
bioetico un riflesso sia su gli obblighi/doveri che sui diritti degli individui che i vari gruppi possono
rivendicare nel campo delicatissimo della vita, della salute e della morte. Basti pensare, ad
esempio, alle decisioni relative all’espianto di organi o alle cure o al loro eventuale rifiuto.
L’autonomia individuale si alimenta della possibilità di muoversi nel tessuto mutevole di una
società sempre più differenziata. Quando Simmel parla di autonomia parla di solitudine: l’uomo
inteso nella sua totalità, pur inserito in un numero enorme di associazioni, appare infatti più isolato
che mai proprio in proporzione alla molteplicità delle socializzazioni. Secondo il suo punto di vista
non si può sapere la verità sull’unità dell’anima, ma sappiamo che è ciò in cui ha luogo la lotta e la
pace.
Il dialogo e il riconoscimento dell’altro.
La nostra identità si costruisce mantenendo le alterità*, non negandole né assimilandole, ma
facendosi carico delle contraddizioni di una cultura sempre più diversificata. Come l’universo ha
bisogno di amore e di odio, anche la società ha bisogno di armonia e disarmonia (Simmel). Il
conflitto è una forma di associazione anche se ciò che lo provoca sono caratteristiche dissociative.
Proprio attraverso questo dualismo si raggiunge un’unità anche annullando una di queste parti. La
rivalutazione del ruolo del conflitto non significa il rifiuto del confronto. L’argomentazione, intesa
come arte del discorso (competizione intrinseca nel dialogo), usa la parola come strumento ed è il
mezzo attraverso cui si arriva al consenso . Se non ci fossero contraddizioni la società non
evolverebbe . Il conflitto non è inimicizia, è confronto tra diverse parti in cui si riconosce e si
accetta il pensiero di un altro anche se differente cosicché non si portino “maschere etniche”,
ovvero non ci si senta prigionieri di etichette. Di fronte ai problemi della vita i sistemi elaborati
dagli uomini si dimostrano necessari ma incompleti. Necessari perché deve avvenire il confronto e
incompleti perché ciascuno offre la visione di una sola parte della totalità. Non si parla quindi di
relativismo ma di prospettivismo, in quanto non si dà un punto di vista assoluto ma fondamentale
è la pluralità delle prospettive complementari.
*Alterità, concetto filosofico che nel linguaggio scolastico si oppone a quello di ‘identita’. Già Platone,
specialmente nei dialoghi dialettici (➔per es. il Sofista), muovendo dall’opposizione eleatica* dell’essere e
del non essere o, più esattamente, di «quel che è» a «quel che non è», riconosce come, in questo secondo
termine dell’antitesi, il «non essere» si risolva nell’«essere altro». Viene così risolta la mera negatività di
ciascuna idea rispetto alle altre, e fondata la possibilità della predicazione e partecipazione reciproca delle
idee. In Aristotele il concetto di a. si presenta solo come una delle forme possibili dell’«antitesi» o
«opposizione», accanto, per es., alla «contrarietà» e alla «contraddizione»: rispetto a «bianco», «altro» è
«verde», o qualsiasi altra cosa; «contraddittorio» è «non bianco», «contrario» è «nero». Il concetto di a. torna
in primo piano quando, con Hegel, riacquistano importanza primaria i problemi logico-dialettici e
metafisico-dialettici: il problema dell’«essere altro» (Anderssein) torna a presentarsi connesso con quello del
«non essere» (Nichtsein): come dall’antitesi del «non essere» all’«essere» si genera il «divenire», così dal
reciproco e indefinito convertirsi dell’«alcunché» (Etwas) in «altro» (Anderes) nasce il processo all’infinito,
della «cattiva infinità». Da Hegel in poi il problema dell’a. e del suo rapporto con la negazione è rimasto tra
le questioni capitali della dialettica. Diverso il problema dell’a. in quanto problema dell’«altro soggetto»,
ossia della molteplicità delle coscienze.
Eleatismo, Dottrina filosofica fondata ad Elea da Senofane di Colofone nel sec. VI a.C., secondo la quale la
conoscenza sensibile, che fa apparire le cose mutevoli, deve essere superata a favore della conoscenza
razionale, che permette all'uomo di conoscere la realtà nella sua vera essenza, unica, immobile e immutabile
Il conflitto tra i valori. Dalla “sacralità” alla “eccellenza”
Secondo Agazzi un dato valore è intangibile, assoluto, la sacralità di un valore gli conferisce un
peso infinito e diventa incommensurabile. In un altro caso un dato valore viene considerato come
un bene di straordinario rilievo che deve essere tutelato e promosso con tutti i mezzi necessari,
ma ha comunque dei limiti, non può essere quindi infinito.
L’impostazione sacrale dei valori porta a regole certe, che consistono in determinati divieti ma
porta all’insolubilità (che non si può risolvere) dei conflitti tra i valori. La concezione dell’eccellenza
dei valori sembra offrire una base troppo debole al giudizio morale. Ma in una riflessione più
profonda è moralmente doveroso promuovere un valore di cui sia stata riconosciuta l’eccellenza
che soddisfa a sua volta altri valori eccellenti coinvolti in una data situazione.
In questa prospettiva di “eccellenza”, in termini di ragionevolezza si si possono ricercare soluzioni
concrete e argomentate. La morale ha il compito di un’ottimizzazione di tutti i valori in gioco in
una situazione, ma non significa “massimizzazione dei beni”. Occorrerebbe individuare i valori
“eccellenti” presenti nell’uomo e cercare di capire la gerarchia che vi è tra di loro (dimensione etica
dentro la bioetica). Questi valori insieme permettono di arrivare alla formulazione di un giudizio
complessivo che portano al “dover essere” da promuovere. Si persegue quindi il “meglio possibile”
piuttosto che il “bene assoluto”.
La democrazia come confronto di idee.
Hampshire sostiene che i valori e le virtù che riconsideriamo nella nostra mente e di cui
discutiamo con altri dovrebbero vedersi come valori comparativi, inseriti in un ordine di priorità;
definiamo i valori e le virtù facendo riferimento al male comparativo rappresentato dalla loro
negazione. Quando noi prendiamo una decisione dobbiamo creare un ordine di priorità tra i mali
da evitare. Il problema non è stabilire una graduatoria di importanza dei valori, il problema è che
bisogna assicurare un riconoscimento e un grado di sviluppo adeguato ad ognuno.
Ross sostiene che non ci sono valori più importanti o valori meno importanti. Non ci può essere un
valore che viene soddisfatto completamente e uno che non verrà soddisfatto, ma bisogna trovare
una via di mezzo; la scelta compiuta secondo coscienza è la migliore possibile.
La giustizia e la democrazia non si nutrono soltanto di mediazione ma di una continua tensione
generata dal conflitto (Hampshire). Il valore di una costituzione democratica risiede nella difesa
delle minoranze e non delle maggioranze e in nome della giustizia occorre che le minoranze siano
ascoltate e abbiano un ruolo nel processo sociale (Mill).
3) QUALE ETICA PER L’INGEGNERIA GENETICA. IL CONTRIBUTO DI JURGEN HABERMAS
La sfida dell’ambivalenza e l’immagine creativa.
Il protagonista del romanzo di Stevenson narra la scoperta del suo “secondo se stesso”, il suo
contrario che gli incute terrore: abbiamo due nature che lottano all’interno della nostra coscienza
e anche se possiammo dire di essere una o l’altra apparteniamo radicalmente a entrambe.“Dottor
Jekyll e Mister Hyde”, come “l’apprendista stregone”, “Frankenstein, mettono in scena il tema
dell’ambivalenza del progresso tecnico e scientifico”. Il messaggio che vogliono trasmettere è
antiscientifico: invitano al richiamo della prudenza, alla saggezza, alla rinuncia, alla virtù della
paura. L’intervento umano sul processo riproduttivo allarga la nostra libertà e la nostra
responsabilità. Le nuove tecnologie riproduttive invitano i genitori a riflettere maggiormente su
determinate decisioni. Secondo Jonas, la tecnologia rischia di diventare padrona assoluta
dell’uomo, rischia di decidere per l’uomo e l’uomo rimane passivo a tutto ciò. Si parla del pericolo
della mercificazione del corpo a causa della tecnologia. In letteratura femminile si arriva a parlare
della riproduzione tecnologica come una forma di prostituzione in cui la donna fa parte del
“bordello procreativo”.
Come reagire al venir meno della fede nel progresso? Vennero date due risposte:
 neo-fondamentalista: occorre ancorarsi a certezze, a verità eterne;
 nichilista: ha totale sfiducia nelle garanzie su cui poggiano i valori.
Ci si deve impegnare ad un’etica della responsabilità intesa come sistema aperto.
Un’etica della responsabilità attiva.
Habermas è consapevole delle implicazioni che possono essere generate dall’ingegneria genetica
sulla nostra visione del mondo e sulle nostre categorie concettuali ed etiche. Fondamentale è il
riferimento all’antropologia filosofica alla comprensione dell’uomo della sua natura, senza sterili
semplificazioni ma esaminando categorie legate ai valori ai doveri,alla responsabilità, alla cura
(basti pensare al titolo di una delle sue opere: “Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica
liberale”).
L’ingegneria genetica cancella la differenza di categorie tra soggettivo-oggettivo, naturale-
artificiale. Sapere che il nostro genoma è stato programmato può portarci a disturbi legati al nostro
corpo, non lo sentiremmo più come nostro. Tra i nuovi diritti dell’era biotecnologica vi è il diritto ad
un’identità genetica non manipolata in quanto può influenzare la vita sociale dell’individuo e anche
la sua coscienza e morale: se un giovane viene a sapere di una sua programmazione prenatale,
potrebbe non identificarsi con le intenzioni che hanno avuto i suoi genitori, potrebbe, quindi,
sussistere il pericolo di non sentirsi l’autore della sua vita ma dipendente dalle decisioni di altri. In
questo senso occorre ripensare una nuova visione di morale: Arendt in “Vita activa” dice che la
nascita di un bambino non rappresenta un’ “altra storia di vita” ma una “nuova storia” , noi siamo
tutti eguali in quanto tutti uomini, ma non identici ad alcun altro che visse, vive e vivrà. La
nascita costituisce un cominciamento, Habermas parla di “luce escatologica” in quanto la Arendt
getterebbe un elemento di novità su ogni nascita.
Egli afferma il nostro dovere, come agenti morali, di evitare sempre i mali estremi ecco perché si
parla di un’etica della responsabilità attiva (a differenza dell’etica della responsabilità difensiva di
Jonas che arriva fino al rifiuto della stessa terapia genetica) . Occorre anche distinguere gli
interventi: quelli che hanno una finalità terapeutica (prevengono un male) e quelli che hanno una
finalità migliorativa.
Jonas sostiene che bisogna porre dei limiti al potere manipolativo dell’uomo, alle tecnologie.
Bisogna rispettare e tutelare la dignità della persona. Non è a favore degli interventi migliorativi
perché la tecnologia può causare rischi (“euristica** della paura”).
Engelhardt è a favore dell’intervento umano sul vivente in quanto lo si può perfezionare e di
conseguenza ne trarrà vantaggio anche la società(“morale del benessere”).
Entrambi cercano di elaborare un modello di etica della scienza; per Jonas c’è chiusura verso lo
sviluppo delle tecniche migliorative a causa dei rischi potenziali per chi verrà dopo di noi, per
Engelhardt, invece è favorevole al progresso tecnologico, in quanto l’ingegneria genetica ci dà il
potere di essere gli artefici della nostra natura. Entrambe le teorie presentano degli elementi
problematici: la prima ha un risultato paralizzante nel senso di una logica proibizionistica e
repressiva; la seconda perché pone troppo l’accento sugli aspetti positivi ed emancipatori del
progresso scientifico e che possa garantire il destino dell’uomo (due modelli di etica della
responsabilità).
*Escatologia, insieme di concezioni sul fine ultimo dell'umanità e dell'universo.
**Euristica, (dalla lingua greca εὑρίσκω, letteralmente "scopro" o "trovo") è una parte
dell'epistemologia*** e del metodo scientifico.metodo di approccio alla soluzione dei problemi che non
segue un percorso rigoroso ma, affidandosi all'intuito e allo stato temporaneo delle circostanze, consente di
prevedere un risultato che resta da convalidare.
***Epistemologia è quella branca della filosofia che si occupa delle condizioni sotto le quali si può avere
conoscenza scientifica e dei metodi per raggiungere tale conoscenza, come suggerisce peraltro l'etimologia
del termine, il quale deriva dall'unione delle parole greche episteme ("conoscenza certa", ossia "scienza") e
logos (discorso). In un'accezione più ristretta l'epistemologia può essere identificata con la filosofia della
scienza, la disciplina che si occupa dei fondamenti delle diverse discipline scientifiche.
La “terza via” di Habermas.
E’ fondata:
 sul principio del rispetto verso le seconde persone che esige un trattamento non
strumentalizzante;
 sul vincolo alla logica terapeutica del guarire che rifiuta la logica migliorativa;
 sulla responsabilità di una differenziazione tra gli interventi genetici per stabilire i confini
tra i due tipi di eugenetica.
Noi siamo obbligati a risparmiare agli altri la sofferenza se possiamo, ma non sappiamo le nostre
interferenze come potranno influenzare la vita futura della persona. Si va verso un’etica della
responsabilità ragionevole con apertura al fallibilismo (la responsabilità è una tipica categoria di
relazione - si è responsabili di qualcosa di fronte a qualcuno – e conferisce importanza all’impegno
morale nei rapporti interpersonali).
Abbiamo la responsabilità di prendere una decisione la più giusta possibile per la persona. Si parla
di “presupposizione del consenso” quando si decidono interventi terapeutici che pensiamo che
l’interessato condivida, per evitare ad esempio mali estremi, o per evitare menomazioni gravi.
Molta è la responsabilità che ricade su ciascuno di noi, alla discussione pubblica che è la via più
democratica per creare una consapevolezza comune sulle grandi questioni della vita. In questa
direzione l’intervento genetico migliorativo dovrebbe configurarsi come un diritto che dovrebbe
essere di tutti (nuovo diritto di quarta generazione).
Il ruolo della ragione argomentativa.
Principi e norme è meglio se vengono proposti dalla popolazione, dopo un’attenta discussione
attraverso uno scambio di argomentazioni tra esseri informati e ragionevoli (ragione
argomentativa). L’idea regolativa poggia su due condizioni:
 l’obiettivo clinico deve essere la guarigione o la prevenzione;
 si deve instaurare un’interazione che permetta l’incontro tra le persone.
Gli interventi modificatori delle caratteristiche genetiche si configurano come “eugenetica positiva”
in quanto oltrepassano la logica terapeutica del curare e guarire per prevenire mali. L’embrione
deve essere trattato come se fosse una persona e i genitori prendono determinate decisioni per
curarlo.
I due significati di genetica liberale.
L’eugenetica positiva rappresenta un pericolo o un’opportunità? Habermas sostiene che bisogna
agire in modo da avvantaggiare il bambino.
Il termine “genetica liberale” può essere inteso in due differenti modi:
 “eugenica liberale” ispirata ad un’ideologia liberale-liberista del mercato libero, in cui non vi
sono regole e valori ma ci si concentra sul profitto; minaccia la libertà dell’individuo;
 “genetica liberale” ispirata a valori fondamentali come l’autonomia, la libertà individuale e il
rifiuto del paternalismo; favorisce uno sviluppo della libertà.
Per una bioetica liberale.
Habermas si chiede come l’intervento genetico può non assumere l’aspetto di “oggettivazione
tecnica” della natura umana. Riporta, come esempio, il rapporto tra embrione e genetista e quello
tra paziente e medico (rapporto retto dalla fiducia e fondato dal consenso). L’embrione non
appartiene ancora alla nostra comunità morale, ma in futuro si, quindi non si può parlare di lui
come se fosse uno strumento. Il giovane manipolato può sentire in seguito il proprio corpo come
qualcosa che non gli appartiene, può avere problemi esistenziali, per colpa dei genitori che hanno
deciso senza consenso. E’ visto come un cosa, un oggetto, ma in verità è una persona.
La scienza ci dà la possibilità di avere alternativa, ci permette di conoscere e valutare le situazione,
e la bioetica non deve ignorarli. Si parla di dinamicità della bioetica, in quanto deve essere aperta e
flessibile e deve saper rispondere alle sfide prodotte dalla scienza.
II°- LA BIOETICA IN UNA PROSPETTIVA DI GENERE.

1) PERCORSI TEORICI E ORIENTAMENTI NORMATIVI.


Voci di donne.
Occorre distinguere una bioetica al femminile che si concentra sulla valorizzazione delle capacità,
delle attitudini, delle abilità della donna, e una bioetica femminista che si concentra su come far
acquisire potere alle donne e liberarle dall’oppressione maschile. Si deve distinguere anche la
ricerca svolta dalle donne in cui le donne sono soggetti, protagoniste del discorso morale, e la
ricerca svolta sulle donne in cui ci si concentra sui bisogni e sugli interessi femminili. Esiste davvero
una voce morale delle donne?
Dare voce alle donne non significa che le donne debbano avere una voce unica, ma significa dare la
possibilità di rappresentarsi nella sua differenza di esprimere il proprio parere e di entrare in
discussione con gli uomini, ma anche con le altre donne. E' opportuno, perciò, parlare di voci di
donne in una dimensione di di una bioetica globale, o pluridimensionale, accanto alla bioetica
medica (affronta le questioni di entrata e uscita dalla vita), bioetica ambientale ( si interessa del
rapporto uomo – natura) e bioetica animale ( si occupa degli aspetti morali delle relazioni
dell’uomo con gli altri animali).
Pensiero della differenza ed etica di genere.
E' il complesso scambio tra vita e morale. Secondo Rosemary Tong ci sono due approcci
femministi: uno basato sulla cura, uno basato sul potere; entrambi hanno lo stesso fine: creare le
condizioni attraverso le cure per dare potere a tutte le donne in modo che assieme assicurino
giustizia.
Secondo Carol Gilligan, che scrisse “Con voce di donna”, occorre recuperare la specificità della
voce femminile in campo etico.
Secondo Freud la donna dimostra meno senso di giustizia rispetto all’uomo, troppo spesso si lascia
guidare nelle scelte da sentimenti di tenerezza e ostilità. Sono per Freud indice di inferiorità e
insufficienza.
Nancy Chodorow compì studi sulla costruzione dell’identità sessuale: la bambina riconosce la sua
somiglianza con la madre, il maschio si distingue dalla madre e rinuncia al legame empatico
originario. La femminilità si definisce attraverso l’attaccamento, la mascolinità attraverso la
separazione. La formazione della mascolinità avverrebbe in termini negativi (psicologia della
conquista)
Secondo Simone de Beauvoir la disgrazia delle donne è che sono biologicamente destinate a
riprodurre la vita: “la futura madre è pianta e bestia, è un essere umano ma anche strumento
passivo della vita”. Con il suo rifiuto della maternità voleva aprire le porte alla via
dell'emancipazione.
Le differenze prese sul serio.
Le donne non sono ancora rappresentate sufficientemente. Susan Wolf sottolinea come la
medicina spesso prenda decisioni senza riferimento ad un paziente specifico (“paziente generico”);
è qui la differenza: il genere merita un’analisi più approfondita. Nella società americana è elevata
la percentuale di donne rispetto agli uomini che muoiono per suicidio assistito e eutanasia, a causa
di depressione, povertà, mancanza di cure. Le richieste di eutanasia femminili possono essere in
realtà una richiesta di aiuto, un tentativo di uscire da una condizione opprimente piuttosto che una
richiesta letterale di morire. Inoltre di fronte al paziente il medico non sa come comportarsi,
perché segue i suoi stereotipi. Secondo Wolf, che appoggia le ricerche di Gilligan, non viene tenuta
in considerazione la vita sociale della donna, la situazione vissuta (contesto). Propone un’etica
della cura ispirata a principi e ad un’interazione tra diritti e cura (diritto all'eguaglianza si identifica
con il diritto alle identità differenti). Solo così uomini e donne sono eguali.
Bioetica e femminismo.
Secondo Susan Sherwin lo scopo della bioetica femminista è quello di porre in evidenza la
questione del “genere”, denunciare e combattere ogni forma di oppressione contro le donne. Si
occupa delle questioni di entrata e di uscita dalla vita, quindi nascita e morte sono i suoi temi
fondamentali (Bioetica). “Mettere al mondo”, “dare alla luce”, il neonato proviene da un’altra
realtà, rappresenta una nuova vita, a cui è connesso anche il sentimento di amore (Etica della
cura). Arendt disse: “Ogni nuovo nato non sarà mai identico a qualcuno che già vive o vivrà, anche
se gli uomini sono eguali tra di loro”, la natalità non condanna al ciclo ricorrente del divenire (tutti
eguali ma nessuno identico). Gli uomini anche se muoiono, sono nati per generare per
incominciare; la natalità è un miracolo, è fonte di fede e di speranza. Si generarono discussioni in
quanto c’è chi sosteneva che la maternità fosse qualcosa di naturale, di stupendo e di totalmente
libero per la donna, e chi vedeva nella maternità uno strumento di oppressione per la figura
femminile, come se fosse una “macchina da riproduzione”. Come ricorda Rich, la madre ha una
potenza unificatrice perché tutti siamo accomunati da una cosa: prima di nascere siamo stati per
un certo periodo di tempo nel grembo della madre. La bioetica femminista critica le istituzioni,
causa di oppressione delle donne. La bioetica al femminile invece mira al riconoscimento e alla
valorizzazione delle esperienze e delle pratiche proprie delle donne.
Viene riformulato il concetto di autonomia che ora si basa sul rifiuto dell’individualismo. Baier
critica la visione dell’individuo come entità astratta, autosufficiente; introduce il concetto di
“persone seconda” come prodotto della società, grazie alla socializzazione con altre persone.
Secondo Iris Marion Young il concetto di autonomia serve a coloro che detengono il potere e che
sono definite razionali e la razionalità è una caratteristica esclusiva degli uomini, quindi sono
esclusi donne, bambini e oppressi.
Le lotte delle donne hanno molti aspetti in comune con le lotte di altri soggetti: l’affermazione di
nuovi diritti, la promozione della dignità e dell’integrità. Le questioni di giustizia dovrebbero
riguardare entrambi i sessi e tutte le età, quindi si dovrebbero superare quelle differenze legate al
sesso, all’età, alla specie.
Bioetica medica.
a)La nascita.
Aristotele identifica nel fluido mestruale la causa materiale e nello sperma la causa motrice: la
donna cede al figlio la materia, il padre la vita. Il sangue mestruale è sperma non puro, dà la vita
solo grazie allo sperma.
Fino a qualche decennio fa, dopo i quaranta giorni di puerperio la donna doveva sottoporsi ad una
purificazione per potersi riaccostare ai sacramenti.
Held critica de Beauvoir che ritiene la nascita come semplice fatto biologico. Secondo Held
generare è una delle attività umane più innovative, dare la vita e crescere un figlio attraverso la
cura (attività femminile/materna ma anche costitutiva della nostra umanità), per farlo diventare un
individuo sociale.
Con le tecnologie riproduttive, l’abbassamento della mortalità della popolazione, il controllo delle
nascite, si arriva alla possibilità di intervento sulla dimensione biologica.
Sono le madri coloro che trasmettono la cultura attraverso le cure, come gli parlano, come lo
guardano, come lo lavano, come lo nutrono. Diventare madri è per alcune donne traumatico
(solitudine che porta alla depressione) e questo problema può essere tramandato da una
generazione all’altra.
b) Le nuove tecnologie riproduttive nel dibattito femminista.
Particolare attenzione è stata dedicata dal femminismo al tema della procreazione. Negli anni ’70
ci fu una discussione sulle nuove tecnologie della riproduzione, tecniche differenti, ma accomunate
dalla manipolazione del vivente, ne conseguono una serie di problematiche di diversa complessità
dal punto di vista giuridico, morale e sociale. La sfida alla naturalità ampia il campo della nostra
libertà ma di conseguenza aumenta quello della responsabilità. Sulla scia del pensiero di Simone
de Beauvoir, la maternità è vista come destino biologico da cui emanciparsi e le nuove tecnologie
possono essere la possibilità per un riscatto dalla “tirannia della riproduzione”. La madre è vista
come figura che genera e alleva i figli, mentre il padre come colui che si dedica al lavoro, agli affari
e alla vita al di fuori della casa (Shulamite Firestone). Le donne rivendicano questa loro situazione,
in questa prospettiva dominare la natura significa realizzare la giustizia: occorre liberare l’umanità
dalla tirannia della biologia. L’etica della cura è qui contrapposta all’etica maschile dei diritti. Nasce
l’ecofemminismo in America, dall’unione del femminismo e dell’ecologia. Le nuove tecnologie, che
permettono alle donne sterili di avere figli, si traducono in una perdita di potere per le donne. La
“teoria della congiura” porterebbe gli uomini a rendere le donne “carne da riproduzione”. Si finisce
per vanificare il ruolo e il potere decisionale delle donne, negando la loro capacità di scegliere e di
agire autonomamente. Occorre per cui avere un approccio critico, volto a problematizzare la
nozione stessa di maternità e analizzare in termini razionali e pragmatici il significato e la funzione
delle nuove tecnologie, ed evitare di cadere da una parte verso l’utopia della liberazione
(maternità vista come un destino biologico da rifiutare) e dall’altra, verso una teoria della congiura,
che rivendica la maternità come ruolo storico.

c) Il rapporto medico/paziente.
Si parla del “fenomeno della medicalizzazione” in quanto i medici si sono impadroniti del controllo
della vita riproduttiva della donna incoraggiandola a sentire il proprio corpo come un oggetto.
Inoltre le molestie, gli abusi sessuali di cui subiscono le donne da parte dei dottori durante le visite
non se ne parla mai. Le strutture hanno sempre un’élite maschile al vertice, sotto ai quali vi sono
figure femminili meno importanti. Sherwin sostiene che i medici non sempre danno ascolto alla
voce dei pazienti. Il femminismo vuole eliminare questa oppressione da parte dei medici, anche
con l’introduzione di strutture di sostegno per favorire i soggetti deboli. Occorrerebbe passare dal
punto di vista del medico a quello del paziente., e considerazi modelli relazionali alternativi come
l’ <<amicalismo>> inteso come relazione basata sulla fiducia.

Il termine responsabilità deriva dal latino respònsus, participio passato del verbo respòndere,
rispondere cioè, in un significato filosofico generale, impegnarsi a rispondere, a qualcuno o a se
stessi, delle proprie azioni e delle conseguenze che ne derivano.
Bioetica ambientale.
Shiva sostiene che in particolare le donne debbano difendere l’ambiente. Le donne sono state
private del loro corpo e i contadini del loro sapere perché sono stati sostituiti dall’introduzione
delle biotecnologie. Come Gandhi riprende la visione di una scienza non finalizzata al dominio ma
attenta a ritrovare l’armonia con la natura nel quadro di un’etica della responsabilità cosmica. Le
esperienze riproduttive della donna danno origine in lei un sentimento di cura e protezione, infatti
le donne più degli uomini risultano avere maggiore interesse nei confronti dell’ambiente (ecologia:
dal greco “scienza della casa”).
Si parla di molteplici femminismi (radicale, marxista, liberale) ma si può anche parlare di molteplici
eco femminismi, in particolare di tre: filosofia classica, dal mondo moderno a quello pre-moderno,
il terzo fa riferimento al pensiero della differenza. L’ecofemminismo affronta due grandi temi:
l’identificazione tra donna e natura e l’aspirazione dell’uomo di soggiogare entrambe. La violenza
di cui le donne sono state vittime si collegano al disprezzo verso la natura e le altre forme di vita.
Secondo Rich le donne sono sempre state trattate come pura natura; è frequente la
contrapposizione tra il sesso femminile che dà vita e il sesso maschile che dà la morte. La
maternità e sinonimo di amore, dolcezza, tranquillità, cura; la paternità è sinonimo di separazione,
conflitto, confronto. Secondo Elshtain la donna può essere definita la “creatura del futuro”, un
essere benefico capace di apportare salvezza e rigenerazione, portatrice di valori e di forme etiche.
Bioetica animale.
Androcentrismo: termine che indica la mascolinità della nostra cultura, in quanto la figura
femminile non è tenuta in considerazione o è comunque sottovalutata. Secondo la Ruether
l’universalizzazione degli atteggiamenti e delle categorie maschili ha condotto nei millenni a
pratiche e atteggiamenti che sono responsabili del dominio della natura e della donna.
Ruether definisce il “dualismo trascendentale” come quella visione che svaluta l’esistenza
materiale e corporea come inferiore alla spirituale; il dualismo è caratterizzato dalla
contrapposizione di diverse sfere come umano e non umano, maschile e femminile, ragione ed
emozione, spirito e materia; siccome è stata la sfera maschile a prevalere, le femmine sono ora
costrette a subirne le amoconseguenze.

a)L’etica liberazionista.
Femminismo e animalismo sono entrambi movimenti di liberazione, soggetti ad una forte
discriminazione. Secondo Gena Corea non è corretto che animali e donne vengano viste come due
categorie nettamente differenti dagli uomini. Secondo Adams lo sfruttamento e il maltrattamento
che sta avvenendo sugli animali è lo stesso, o comunque molto simile, all’oppressione che è stata
subita dalle donne.
I principali capi di accusa rivolti alla morale dominante:
-androcentrica:la concezione dell’essere umano è basata sull’esperienza maschile ed esclude
quella femminile;
-dualistica: distinzione tra umani (razionali, con diritti) e non umani(non razionali,privi di diritti);
-gerarchica: viene preferita l’esperienza maschile, e considera gli umani più importanti di ogni altra
specie;
-atomistica: la visione degli esseri umani come individui separati è coerente con la metafisica
atomistica della scienza moderna;
-astratta: i conflitti tra i valori vengono risolti in modo impersonale, ignorando sentimenti e bisogni
degli individui coinvolti.
Marti Khell “nell’etica ambientale e nell’etica in generale non possiamo neppure iniziare a parlare
delle questioni morali finché non riconosciamo di provare un sentimento di cura per qualcosa”.
L’ecofemminismo mette in discussione la visione troppo ristretta della dell’emancipazionismo
liberale preoccupato che l’impegno a favore dell’animalismo potesse distogliere l’attenzione da
obiettivi di interesse primario delle donne, la loro salute, il loro benessere.
Secondo Lynda Birke, infatti, la paura delle donne di essere assimilate al mondo non umano, di
essere considerate più vicino alla natura (vissuto come simbolo di degradazione),porterebbe a non
dare la giusta importanza al mondo ambietale.
Secondo Taylor occorrerebbe riconoscere i diritti alle donne, ma anche i diritti agli animali.
Ricordiamo Henry Salt, studioso di Thoreau,e amico di Gandhi fondò la Humanitarian League per
combattere la disuguaglianza e l'ingiustizia verso gli esseri umani, attivista politico per l'abolizione
della pena di morte e per la riforma del sistema carcerario), ma anche per combattere le crudeltà
commesse ai danni delle altre specie.
b) L’etica della cura.
L’etica della cura si differenzia dall’etica dei diritti, in quanto l’etica della cura riguarda i rapporti con
gli altri, l’etica dei diritti è connessa al singolo. La cura comporta un immagine relazionale
dell’esistenza umana. Un approccio ispirato a un etica di cura comporta una riconsiderazione dei
nostri rapporti con gli esseri viventi non umani e il riconoscimento del nostro dovere di proteggere
le altre creature. Solo perché gli animali non possono reciprocare con noi non possiamo eliminarli
dal nostro universo morale, entrambi abitiamo nello stesso mondo etico,fondamentale è la nostra
coscienza in quanto agenti morali. L’etica della cura insiste sui bisogni (e non solo sugli
interessi) , attribuisce valore alla compassione, al centro pone la dedizione(rispetto a quello della
prestazione), fa leva sul concetto di responsabilità (e non su quello di diritto) e non
comporta reciprocità (al posto della correlazione diritti/doveri). Occorre elaborare un concetto di
cura non come appello ai buoni sentimenti ma come impegno responsabile per la riduzione della
sofferenza di altri esseri, umani e non umani e per la promozione del loro benessere, stabilire,
inoltre, i limiti etici, atti ad orientare e a regolare il nostro rapporto col mondo vivente.
c) L’etica della comunicazione interspecifica.
Nelle relazioni vi sono principi che si stabiliscono da sé, come il rispetto per l’altro. Secondo Vicki
Hearne il riconoscimento dell’alterità animale, come di ogni altra alterità (il diverso da sé) deve
poggiare su attenzione rispettosa capace di consolidare le relazioni interspecifiche, al centro c’è il
concetto di relazione che emancipa: nel corso delle relazioni umani e animali costruiscono dei
diritti gli uni verso gli altri,i quali, anziché essere “naturali”, trovano la loro radice nelliinterscambio
relazionale. Secondo Donna Haraway l’animale(il cane per l’uomo) è visto come un compagno di
vita per l’uomo, perché le loro storie si intrecciano e i loro sensi si completano a vicenda. C’è un
piacere profondo nel condividere la vita con un essere diverso, i cui pensieri,sentimenti, reazioni
sono differenti dai nostri. Si parla di una “famiglia multispecifica” in cui i diritti, le esigenze, le
particolarità di entrambi i soggetti siano riconosciuti. Martha Nussbaum vede la persona come un
essere animale dotato di linguaggio e di bisogni che è capace di convertire in funzionamenti, non
vuole considerare animali e umani come dimensioni separate (“approccio delle capacità”).

Una relazione interespecifica è la interazione che ha luogo in una comunità tra individui di specie
differenti, dentro un ecosistema. Le relazioni interespecifiche sono relazioni ambientali che si
stabiliscono tra gli organismi di quel sistema.
Tra femminismo umanistico e femminismo differenzialista.
Nel femminismo umanistico, secondo Warren Reich uno dei fattori che influenza la bioetica è “la
voce morale delle donne” VS “la voce del filosofo uomo” che presume di parlare universalmente.
Simone De Beauvoir aveva come obiettivo quello di lottare per garantire alle donne l’accesso al
mondo dei valori creato dagli uomini. Nel femminismo differenzialista si affronta un dualismo:
dalla parte del valore stanno la vita, la natura, dalla parte del disvalore stanno la cultura, la scienza,
la razionalità. Il femminismo differenzialista intende riallacciare quei legami che il femminismo
umanistico aveva spezzato.
Uno sguardo conclusivo.
Grazie alla bioetica si data la possibilità alle voci di farsi sentire:
-sono emerse tematiche trascurate nella filosofia morale accademica;
-si sono ripensate questioni classiche (nascita,morte, nuove tecnologie riproduttive ecc..)
-si è data importanza alla pluralità delle differenti voci, da intendersi come elemento di ricchezza,
non di confusione , di contro alla unilateralità di una voce unica e asessuata;
- si è criticata la pretesa neutralità di una bioetica che “nel provare a parlare a ognuno, non ha
parlato a nessuno” (Susan Wolf);
-si è ritornati a valutare concetti fondamentali come autonomia, giustizia,consenso informato, di
cui si evidenzia la complessità e la polisemia;
-si è rivalutati l’io come soggetto in relazione, cui è sempre necessario l’altro;
-si è intesa fondamentale la relazionalità tra le diverse persone,”il sé è costituito in misura notevole
dalle relazioni con gli altri” (Virginia Held);
-si è riflettuto sul concetto di alterità. Chi è l’altro? Non una categoria generale, ma un’individualità
unica e irripetibile, un altro <<concreto>>;
- si è data importanza al contesto, alla situazione esistenziale e storica in cui l’azione si colloca:
- si sono approfondite le relazioni di cura, di responsabilità, superando il paradigma del “contratto”
e favorendo quello relazionale.
Viene messo in evidenza soprattutto il problema dell’oppressione delle donne e il potere, di cui
abusano gli uomini, viene posta una costante attenzione per la specificità(la realtà particolare ed
esistenziale dei soggetti coinvolti), un forte interesse per il concreto(il vissuto delle donne e la
quotidianità dei loro bisogni) ma anche per la dimensione simbolica (la corporeità, il valore della
sfera affettiva, ecc..), una riflessione critica sulla scienza,la tecnologia e l’impatto sul sociale
incentrata sul concetto di limite. Vengono rivisti il “consenso informato” e si verifica una spinta
verso l’umanizzazione della medicina. La prospettiva relazionale parte dal rifiuto della concezione
solipsistica* del soggetto verso un’idea del soggetto che entra in relazione con altri soggetti.
Vengono valorizzati i sentimenti. Le differenze di genere, età, sesso, razza, vanno riconosciute,
dimostrando responsabilità.
Il femminismo liberale ha sottolineato l’importanza dei diritti. Il femminismo radicale ha studiato i
pericoli connessi con l’impiego delle tecnologie per la libertà delle donne. Il femminismo culturale
ha introdotto il paradigma del “prendersi cura”.
*solipsismo, teoria secondo la quale il soggetto pensante si pone come la sola realtà, per cui il
mondo esterno appare solo come una sua momentanea percezione/concezione etica che fonda
l'agire dell'uomo sul principio dell'egoismo e del tornaconto individuale/ estens. Individualismo
assoluto; egoismo
2) LA GIUSTIZIA E LA CURA
Paradigmi etici a confronto.
Gilligan scrisse “Con voce di donna” in cui sottolinea l’attitudine del prendersi cura che possiede
una donna rispetto alla figura maschile. Occorrono competenze intellettuali e affettive legate
all’esperienza della maternità. Secondo Gilligan bisognerebbe dare maggiore voce alle donne, ma
soprattutto tenere in considerazione ciò che le donne hanno da dire, come si tiene in
considerazione il pensiero maschile. Secondo lei la società svaluta la cura. La giustizia e i diritti
sono modi maschili di riflettere, le donne aderiscono invece all’etica della cura. Secondo Warren
Reich l’etica tradizionale non ha mai preso sufficientemente in considerazione un numero
sufficiente di voci morali, la voce che si è usata principalmente è quella del filosofo uomo. La
valorizzazione dei ruoli femminili è diventata, nell’etica femminile, la base per un progetto di
umanizzazione della cultura e della politica.
Nell’ecofemminismo , ad esempio, la maternità sembra conferire una speciale capacità di
proteggere la vita e la natura(valori minacciati dalla società patriarcale).Nella società
contemporanea è ormai palese una crisi della giustizia che deriva soprattutto da questioni di
genere, basti pensare alle problematiche derivanti dalla discriminazione sessuale, dalle molestie,
dalle nuove tecnologie riproduttive, dai temi di giustizia familiare,dalla custodia dei figli in caso di
divorzio, dalle violenze fisiche e sessuali consumate ai danni di donne e bambini.
La donna outsider nella cultura maschile.
Secondo Woolf nonostante vediamo lo stesso mondo, lo vediamo con occhi diversi. Questa
diversità deve essere superata. Simmel è stato uno dei primi sociologi a occuparsi della
problematicità dei sessi, ha intuito l’importanza del concetto di genere, sottolineando come le
donne siano state rese estranee dalla società, dalla cultura e dalla politica da un processo storico;
sostiene che uomini e donne abbiano due forme di esistenza differenti e danno origine a differenti
mondi della vita, quello maschile orientato dualisticamente verso l’esterno e tendente a
oggettivarsi; quello femminile orientato verso il proprio centro e tendente ad un armonico sviluppo
unitario. La diversità secondo Simmel deve, da una parte recuperare il significato pieno e positivo
di autonomia, anziché di inferiorità di dipendenza, di carenza, e dall’altro mostrarne la rilevanza e
l’irrinunciabilità.
Studioso della socievolezza, dell’intimità e della marginalità, pone l’accento sulla condizione di
outsider della donna nella cultura maschile.
L’estraneità come relazione positiva.
Lo straniero è colui che nonostante si sia fermato, non ha ancora smesso di andare e venire;
rappresenta una sintesi di vicinanza e lontananza. L’estraneità è una forma particolare di
interazione, è una relazione positiva (Simmel). Con il termine straniero si indica una situazione
sociale, con il termine estraneo si indica una situazione psicologica.
Oggettività non significa non partecipazione, è una libertà perché l’individuo obiettivo non è
condizionato da legami che possono pregiudicare la sua comprensione,percezione e valutazione di
dati reali.
Una digressione. La figura di Porzia nel “Mercante di Venezia”.
Shakespeare illustra la complessità di una donna nel rapporto con la morale e il diritto,
esemplificativo del concetto di estraneità della donna.L’azione si svolge in due località: Venezia,
città del traffico(città reale), e Belmonte dove la verità vale più di ciò che appare (città ideale). Al
centro della vicenda vi è il contratto stipulato da Antonio, ricco mercante, e Shylock, ebreo usuraio.
Antonio vuole aiutare l’amico Bassanio che vuole sposare una ricca donna di Belmonte: Porzia, e
per aiutarlo chiede un prestito all’usuraio e firmano un contratto in cui l’usuraio chiede una libbra
di carne dal suo petto nel caso in cui Antonio non restituisse il denaro. Questo contratto viene
stipulato quasi per scherzo, ma alla fine ci si troverà di fronte ad un problema serio. La scena si
sposta a Belmonte dove Porzia si trova tra 3 pretendenti. Andrà a chi prenderà lo scrigno giusto,
una prova: il principe del Marocco prende lo scrigno d’oro e fallisce, il principe di Aragona sceglie lo
scrigno d’argento e fallisce, Bassanio sceglie lo scrigno di piombo e dentro trova il ritratto di Porzia.
Durante il matrimonio arriva la notizia che le navi di Antonio sono naufragate e non potrà pagare il
suo debito. La scena si sposta a Venezia dove Porzia và con la sua ancella nei panni di un avvocato.
Cerca di convincere Shylock a rinunciare al contratto anche leggendogli un elogio della clemenza,
ma lui non cede. Alla fine però vince Bassanio perché nel contratto non è prevista la perdita di
nessuna goccia di sangue altrimenti i suoi beni vengono divisi tra Bassanio e lo Stato. A quel punto
Shylock cede e non fa uccidere Bassanio.
Il travestimento come luogo di dissonanza.
Porzia, nonostante figura femminile, grazie al travestimento riesce a risolvere il dilemma e la
situazione. Se non si fosse travestita non avrebbe potuto fare ciò che ha fatto. Perché una donna?
Per riprendere le teorie di Simmel, una donna, proprio perché estranea al mondo del diritto, sia più
in grado di coglierne le contraddizioni, facendo emergere i problemi laddove tutti gli altri vedono le
evidenze, e di aprirlo a nuove istanze di natura etica.
Diversità e marginalità.
Lo straniero non è colui che appartiene ad un’altra cultura, essere stranieri è una forma
d’interazione (relazione). Chi si trova al centro avrà più potere ma sarà anche più controllato, chi è
in periferia ha meno potere, è in una situazione di svantaggio ma è più libero. Vedendo la società
dall’esterno “studia” l’ambiente sociale e ne riesce a cogliere e contraddizioni e le ipocrisie, inoltre
lo straniero reagisce all’estraneità con la creatività e l’innovazione.
Porzia e il mondo del diritto. Giustizia ed equità.
Porzia risolve l’enigma della legge introducendo valenze bibliche opponendo al principio di
giustizia il principio della clemenza e della misericordia. Secondo Simmel le donne hanno vissuto
per troppo tempo ai margini della società così che ora conoscono i punti deboli. Quando si parla di
qualcosa di positivo, di qualche problema che si risolve si fa sempre riferimento ad una figura
femminile, la figura maschile è invece connessa ai litigi, alle oppressioni e alle disgregazioni.
Secondo Nussbaum l’uomo deve applicare alla legge i sentimenti, le emozioni, così sarà anche più
giusto.
In conclusione i contributi femminili proprio perché portano i segni della estraneità portano alla
luce molti aspetti: quello dello straniero si potrebbe definire una particolare qualità dello sguardo,
la sua è la faccia della nostra vera identità. Porzia ne “Il mercante di Venezia” svela il nostro non
visto, mostra l’altra faccia delle cose già guardate: vestita con abiti maschili entra nei meandri del
diritto per smontarne i meccanismi, rovesciarne il significato, al fine di recuperarlo a una
dimensione di umana ragionevolezza. Il diritto astratto e formale usato contro se stesso, guardati
con chiarezza dagli occhi limpidi dello straniero, ritrova il volto dell’equità, riconciliandosi con la
cura. In questo senso la marginalità può rappresentare un prezioso punto di osservazione della
realtà ma occorre rivendicare il valore della cura come valore centrale nella vita umana e riflettere
su fatto che esso può mettere in discussione la struttura stessa dei valori su cui è fondata la nostra
società e rimodellarne le istituzioni.
Il rapporto tra cura e diritti.
La cura rende i cittadini più attenti e più disponibili nei confronti del prossimo, ed è un valore
capace di informare la politica al fine di produrre un processo più ampio di democratizzazione.
Secondo Mary Ann Glendon cura e giustizia non possono essere connesse in quanto ambiti
differenti; Toronto invece sostiene che cura e giustizia sono strettamente legate tra di loro, occorre
superare questa dicotomia. Secondo lei si vede la cura come connessa alla compassione e la
giustizia come connessa alla razionalità. Questa dicotomia deve essere superata in quanto cura e
giustizia sono teorie incomplete se non interagiscono e si completano tra di esse.
Autonomia e interdipendenza nel modello liberale.
Secondo Toronto siamo talora autonomi, talora dipendenti, talora accudenti e possiamo essere
descritti come individui inter-dipendenti; il processo della cura si articola in quattro fasi:
 l’ “interessarsi a” (percepire un bisogno e valutare la possibilità di soddisfarlo)
 il “prendersi cura di” (responsabilità e impegno nel rispondere al bisogno)
 il “prestare cura” (prendere un contatto diretto per cercare di soddisfare il bisogno)
 il “ricevere cura”
Secondo Okin non c’è nulla nella nostra natura che stabilisce che la donna si debba occupare della
cura dei figli e il padre si debba occupare del lavoro. Un bambino cresce più completo se vi sono
entrambi i genitori come riferimento. Inoltre la condivisione dei ruoli tra uomini e donne, invece
che la loro suddivisione, potrebbe avere un effetto positivo ulteriore: l’esperienza del “prendersi
cura” fisicamente o psicologicamente” di qualcuno crescerebbe quella capacità, significativa del
senso di giustizia, di identificarsi con gli altri e di comprenderne pienamente i punti di vista.
Diritti sbagliati o diritti imperfetti?
Elizabeth Wolgast sostiene che i diritti sbagliati sono quei diritti posseduti dalle persone che non
possono rivendicare la loro posizione perché troppo deboli. Anche se il linguaggio dei diritti ci
permette di affrontare le ingiustizie, Wolgast ne “La grammatica della giustizia” parla di diritti
sbagliati, intendendo quei diritti che sono destinati a rimanere inoperanti per la debolezza
strutturale di chi dovrebbe rivendicarli(malati, anziani,bambini, disabili). Quando un malato si trova
in ospedale si trova al di sotto del potere dei medici, torna ad avere i suoi diritti nel momento in cui
non è più paziente, solo, paradossalmente, quando sarà uscito proprio da quella situazione di
debolezza in cui aveva maggiore bisogno di tutela e minore capacità contrattuale. Assegnare diritti
a soggetti più deboli equivale a una mistificazione che tranquillizza la nostra coscienza ma lascia
sostanzialmente inalterata la loro situazione di disagio.
Occorrerebbe, oltre a riconsiderale il concetto di responsabilità a cui il medico deve essere
richiamato, riflettere sulla funzione dinamica e propositiva del diritto, come strumento di denuncia
dell’oppressione: affermare un diritto equivale a segnalare un’ingiustizia. I diritti, in tale
prospettiva non sono sbagliati in senso assoluto né risultano facilmente sostituibili con altre
categorie (ad es. responsabilità, doveri): devono, piuttosto, essere integrati, sono per così dire,
diritti imperfetti.
Curare e prendersi cura.
Warren Reich distingue tra due accezioni di cura:
a) quella di aver cura dei pazienti, eseguendo tutte le operazioni che li riguardando con la
necessaria competenza clinica;
b) quella di prendersi cura di loro, mostrando un interesse personale, anche affettivo, per il loro
benessere.
Rispetto a queste due modalità di cura si danno due modelli di etica interni alla medicina:
1) l’etica medica di una cura competente;
2) l’etica medica dell’empatia e della compassione.
Nel primo modello, la competenza, ovvero l’eccellenza tecnica, è considerata come la virtù
essenziale, e si pone l’accento sulla conoscenza scientifica e l’abilità clinica.
Secondo la Reich a questo orientamento possono aver contribuito una serie di eventi tra i quali:
-il desiderio del medico di allontanarsi dal coinvolgimento emotivo;
-i progressi tecnico-scientifici che inducono una crescente professionalizzazione;
-la definizione sempre più precisa, in termini etici e giuridici, dei criteri più appropriati della cura
con una decisa spinta verso la formalizzazione;
-la progressiva perdita di importanza delle cosiddette “virtù altruistiche”(ospitalità, filantropia, la
carità,la simpatia).
Nel secondo modello, ci si concentra sul significato morale della pratica di cura in medicina,
riferendosi a un’etica della cura:
-la denuncia degli elementi spersonalizzanti della pratica ospedaliera;
-il rifiuto della visione della malattia come puro fatto organico;
-attenzione alla dimensione personale del rapporto col paziente: ambiente, richieste,
preferenze,bisogni.

Secondo Francis Peabody “il segreto di una <<buona cura>> sta nel <<prendersi cura del
paziente>>.
Secondo Daniel Callahan (studiosi tra i più autorevoli di bioetica) la cura può essere intesa come
una risposta positiva e di sostegno alle condizioni critiche di altri, una risposta il cui proposito è di
affermare l’impegno prioritario nei confronti del loro benessere.
La cura può essere una risposta a malattie incurabili,terminali,per cui non esiste una terapia. Solo
una medicina che ha come fine non la guarigione ma il benessere globale del paziente potrà
rispondere al suo bisogno di ascolto, protezione, rassicurazione: “oggi è necessaria una medicina
della cura piuttosto che una pura tecnica della guarigione”. Da qui un ideale di “medicina
sostenibile” in alternativa alle “false speranze” de sistema che gira intorno al progresso
tecnologico e alle logiche di mercato. Nella sua visione, occorre sviluppare quelle capacità
propriamente umane come l’immaginazione e l’empatia che riconducono al riconoscimento della
proprie vulnerabilità e mortalità: <<noi siamo pazienti prossimi o potenziali-scrive->>; “prendersi
cura” di qualcuno è dargli il nostro tempo, attenzione,simpatia e qualunque aiuto sociale per
rendere sopportabile la sua situazione o, almeno, non condannarlo all’abbandono, il più grande dei
mali medici.
Autonomia relazionale.
Per guardare in modo diverso il rapporto medico/paziente occorre tenere conto del concetto di
fiducia e del ruolo attivo che i medici e gli operatori della salute possono avere nel rafforzamento
dell’autonomia per quanto riguarda il consenso informato. Autonomia che è spesso intesa come
una nozione statica, una capacità che si ha o non sia ha, mentre potrebbe essere intesa come una
facoltà che si sviluppa nel tempo, influenzata da diversi fattori (relazioni con gli altri, scambi
emotivi e verbali, al riconoscimento ricevuto), capacità, quindi, che può indebolirsi o rafforzarsi,
mantenersi o spegnersi. Ne consegue che chi si trova in una posizione di potere dovrebbe avere la
responsabilità di rafforzare chi è in una posizione di debolezza, per far sì che diventi davvero
autonomo. Questa visione dinamica porta a riconsiderare la relazione di cura asimmetrica tra
medico e paziente.
Secondo Marianna Ginsabella il paziente di oggi più informato e insieme più confuso vuole
riappropriarsi delle decisioni sulla propri salute, a partire dalla sua concezione dei valori fino alla
sua personale valutazione della vita stessa.
Secondo Engelhardt nonostante medico e paziente si trattino come individui autonomi, uno è
bisognoso di cura e l’altro è in grado di prestare cura, l’uno padroneggia una lingua che l’altro, “uno
straniero in una terra sconosciuta”, non conosce.
Secondo Annet Baier riconoscere l’autonomia di un altro potrebbe significare qualcosa di più che
lasciarlo da solo a decidere e implicare, invece, il rafforzamento della sua capacità di scegliere. Non
si tratta unicamente di informare ma di trovare il modo migliore per comunicare con i diversi
pazienti nella differenza delle loro situazioni ed esperienze di vita. È questa “la parte sommersa del
consenso”, quella che non si vede ma che conta di più: il mondo della vita. Occorre pensare a una
relazione in cui cercare insieme le migliori strategie per il fine comune della cura usando tutte le
energie delle persone in relazione.
Secondo la Sherwin la fiducia non può essere presupposta, dev’essere guadagnata.
Secondo Pappworth bisognerebbe chiedere al medico di impegnarsi a dire se sottoporrebbe se
stesso e i suoi cari a un trattamento, o a una sperimentazione, analogo a quello che sta
proponendo al paziente.
Relazione di fiducia ed etica del carattere.
La relazione di fiducia è una relazione che si instaura tra il medico e gli operatori sanitari. Occorre
un’educazione all’ascolto, alla disponibilità da parte dei dottori a comprendere le opinioni e le
esigenze dei pazienti,stabilire dialoghi autentici. Per etica della responsabilità si intende la
capacità che devono avere i medici nel saper instaurare un dialogo con il paziente affinché questo
si fidi.
L’etica del carattere elaborata dalla Baier presuppone uno sviluppo dei caratteri più che limitarsi a
offrire delle regole, dal momento che è necessario un cuore umano, oltreché la ragione, che è
capace a rispondere a persone particolari e non solo a principi assoluti e universali. E’ importante
una costante riflessione critica (medici e operatori) sulle proprie convinzioni, credenze, sentimenti
al fine di coniugare la cura insieme al dialogo, l’empatia insieme alla coscienze critica. Come
importante è la relazione che si instaura tra pazienti che sono affetti da una stessa malattia,
possono sostenersi e aiutarsi a vicenda, condividere lo stesso problema, i più consapevoli possono
aiutare i meno consapevoli (gruppi di autocoscienza self-help).
Vengono introdotti due nuovi modelli:
-interpretativo: il ruolo del medico è anche quello di ascoltare e aiutare il paziente,
-deliberativo: si deve instaurare una relazione tra dottore e paziente per decidere insieme cosa è
meglio fare, il paziente deve potersi fidare del dottore che deve essere in grado mettere in gioco le
proprie convinzioni e i propri valori.
Il paradosso della cura.
La cura come valore che può assumere realisticamente una centralità nella nostra costellazione di
interessi etico - politici. Il paradosso della cura è che pur essendo essenziale per l’uomo
(è un ‘opera che sostiene la vita), viene anche considerata una parte marginale dell’esistenza
dell’uomo (le sue pratiche sono svalutate se non ignorate). Si parla della cura connessa alla sfera
emozionale , ma anche della cura connessa alla sfera razionale, di cura come caratteristica propria
delle donne Oggi si cerca di dare voce alle donna, ma questo è possibile solo se si riesce a
superare l’idea dell’etica della cura come una moralità solo femminile, fondata su qualità e
attitudini proprie delle donne, e non si ritenga tale etica antagonista a quella dei diritti, ma ad essa
complementare.
3)IL DONO E LO SCAMBIO
Una lettura femminista del dono.
Il donare crea legami perché riconosciamo la presenza dell’altro. L’opposto del dono è lo scambio,
che è simmetrico e si basa sugli interessi personali di entrambe le persone in questione. Vaughan
sostiene che la pratica del dono sia un aspetto prettamente femminile, quindi sono le donne le
portatrici di questa pratica, riportando il donare alla “logica della pratica materna” secondo cui chi
nutre dà attenzione ai bisogni dell’altra persona: la sua ricompensa è il benessere dell’altro. La
Vaughan in Per-donare sostiene:
-il carattere radicalmente alternativo del dono rispetto allo scambio: l’uno è l’opposto dell’altro;
-la natura rivoluzionaria del dono nella società contemporanea, il suo proporsi come pratica
alternativa al modus operandi della società capitalista;
-il suo essere di natura femminile e materna,legato a pratiche di cura propria delle donne, viste
come le “fonti del donare”.
Il dono e lo scambio.
Secondo gli antropologi il dono rappresenta il momento etico, in quanto non si pensa al denaro,
alla fatica, ma si fanno determinate cose per il piacere di farle senza volere nulla in cambio; lo
scambio è il momento economico.

Occorrerebbe a differenza della Vaughan distinguere la relazione di scambio con la relazione di


reciprocità:
-nella prima siamo in presenza di un vincolo di natura giuridica, un contratto che risponde alla
logica del do ut des in cui ognuno rivendica diritti e persegue un interesse
-nella seconda c’è un impegno di natura etica basato su un rapporto di fiducia e basato su
an’aspettativa.
Secondo Godbout occorre pensare al dono come un sistema dei rapporti sociali che non si basa
sull’interesse. Il dono apre alla rete universale, apre alla società.
L’ethos del dono.
Secondo Seneca il dono è cosa di ordine spirituale e sta nella volontà dell’individuo e quindi
nell’esperienza umana , è gratuito e l’autenticità, nel suo significato più profondo, è legata alla
libertà del donatore. Ciò che conta è lo scambio che si realizza attraverso un gesto che è per
definizione altruistico asimmetrico.. Oggi con la tecnologia moderna si parla di dono di tessuti,
sangue,cellule, fuori da un contesto di dono tradizionale, lontani da un rapporto di tipo
comunitario: è l’artificio dell’ignoranza poiché esula il rapporto tra chi dona e chi riceve, rimane
l’anonimato tra donatore e donatario e non si riconosce nessun ruolo all’etica personale che il
dono per sua natura tenderebbe a creare, inoltre, chi dona spera di non aver mai bisogno di
ricevere, ma ha fiducia che altri farebbero come lui se un giorno ne dovesse aver bisogno.L’evento
della nascita intesa come dono originario, ovvero come dono di sé, dono della vita, fa emergere il
sentimento della cura come preoccupazione per la sorte di un altro essere, l’apprensione per la sua
vulnerabilità, l’ansia per la sua esistenza minacciata: “non è tanto la bellezza del neonato che lo fa
riconoscere come parte di sé quanto la sua debolezza, l’assoluta vulnerabilità e dipendenza” (Silvia
Vegetti Finzi). Si parla delle “cellule della speranza”, sono quelle cellule che danno possibilità di
guarigione a determinate malattie, ad esempio queste cellule possono salvare la vita a persone con
leucemia e linfomi, se si è prelevato il sangue dal cordone ombelicale (ricco di cellule staminali)le o
dai tessuti fetali alla nascita. E’ proprio qui, che il dono inserito in un’etica della speranza , dò ad
un altro qualcosa non di irrilevante, ma un bene prezioso, a cui attribuisco valore, diventa
l’elemento fondamentale del prendersi cura di un altro, in senso solidale e altruistico.
La reciprocità. Il paradigma relazionale in bioetica.
Aristotele che è il teorico del dono per eccellenza può aiutarci a riflettere sulla reciprocità,sulla
capacità di donare e restituire su cui si fonda l’amicizia: grazie ad essa esiste la comunità e
quell’ordine politico e quell’ordine politico che si prefigge di consentire a ciascun cittadino di vivere
insieme e realizzare compiutamente la sua umanità, nel riconoscimento reciproco dei propri valori.
Occorre fidarsi dell’altro, fidarsi, può considerarsi l’atto fondatore di ogni società che si realizza
attraverso il gesto del dono. Secondo Luhman senza la fiducia non può esistere una società ed è il
prerequisito di ogni forma di interazione sociale. Si tratta pertanto di identificare un paradigma
relazionale capace di superare le logiche di quello individualistico e di integrare in sé il valore della
cura. Al centro dell’attenzione c’è la relazione intersoggettiva e il ruolo che essa svolge nella
spiegazione della realtà sociale. La maggior parte delle questioni di cui si occupa la bioetica
(questioni di entrata e uscita dalla vita) riguardano le relazioni tra uomini e donne che vivono in
società che, ai margini del mercato e della burocrazia centralizzata, continuano a vivere, a soffrire e
ad amare; continua in altri termini a vivere la società, la comunità, le reti sociali che sono un misto
di egoismo e di altruismo. Ciò vale in particolare per il tema della donazione, che fondandosi sulla
gratuità, oppone la logica dell’eccedenza alla logica dell’equivalenza propria del contratto.

La bioetica tra dono e mercato.


Il corpo non può essere in vendita e questo è uno dei pericoli di oggi, in particolare modo nel terzo
mondo che vendono commercializzati organi. Chi dona, lo fa per scelta propria, può anche non
ricevere nulla in cambio.
Convenzione internazionale di Oviedo (1997) proclama che il corpo è fuori del mercato, nel senso
che è proibita ogni sua commercializzazione, ogni remunerazione per cessione di sue parti o
prodotti.

III°- BIOETICA E APPROCCIO DELLE QUALITA’.


1) I DIRITTI DI TERZA E QUARTA GENERAZIONE
Molti diritti sanciti nel 1948 dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo attendono di essere
concretamente attuati.
Diritti di prima generazione: diritti civili e politici (alla vita, alla libertà, alla dignità)
Diritti di seconda generazione: diritti sociali (alla salute, al lavoro, all’istruzione)
Diritti di terza generazione: dirittir relativi alla tematica dello sviluppo( collegati all’ambiente, alla
pace, alla solidarietà).
Diritti di quarta generazione: collegati alla bioetica quindi diritti alla nascita, alla salute, alla cura e
al morire.
La bioetica è un’etica della scienza e controlla che i diritti vengano rispettati e si preservi la dignità
dell’uomo.
Lo scenario creato dalla rivoluzione biologica si fa ancora più complesso:
1) i diritti legati alla nascita;
2) i diritti legati alla cura;
3) i diritti legati al morire.
1) Le nuove tecnologie riproduttive hanno imposto una ridefinizione dei soggetti e dei ruoli
parentali. Appaiono nuove figure come la madre sostitutiva, la donatrice di ovuli il donatore di
sperma. Quali i diritti e i doveri rispettivi? Esiste un diritto procreativo? A quali condizioni? Emerge
un nuovo soggetto(l’embrione) sulla cui identità ed eventuali diritti, il dibattito rimane aperto.
L’ingegneria genetica col progetto genoma*, propone ulteriori sfide all’idea di dignità umana.
2) Si afferma il diritto alla salute aprendo le porte al principio di libertà terapeutica, con i relativi
problemi etici e giuridici legati al consenso informato. Accanto al diritto di non sapere (avere
un’adeguata informazione sul proprio stato di salute) nasce il diritto di non sapere ( di poter
rifiutare le informazioni sulle proprie prospettive di vita e di ottenere una più efficace protezione
della privacy).
3) La crescente possibilità di prolungare la durata della propria vita, con le connesse questioni
riguardanti l’accanimento terapeutico e alle dichiarazioni anticipate del trattamento hanno messo
in discussione quello che è forse il più paradossale dei diritti umani: il diritto di morire, o, per
meglio dire il diritto di ciascuno alla propria morte.

*Progetto genoma umano Progetto di ricerca, in sigla HGP (Human genome project), iniziato
negli Stati Uniti nel 1990 e concluso nel 2000, con obiettivo di conoscere la sequenza dei geni della
specie umana e la loro posizione sui vari cromosomi, costruendo così una mappa del genoma. Il
genoma è l'insieme di tutte le informazioni genetiche depositate nella sequenza del DNA ottenuto
nel nucleo delle cellule sotto forma di cromosomi.

Il bene salute tra bioetica e biodiritto


Art. 2: riconosce e garantisce i diritti inviolabili dei cittadini sia come singoli individui, sia come
persone costituenti una società.
Art. 3: tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, indipendentemente dal sesso, dalla razza,
dalla cultura.
Art. 13: la libertà personale è inviolabile. Comprende il diritto all’integrità alle cure e al rifiuto delle
cure. L ‘integrità si riferisce sia alla corporeità,sottratta ad ogni possibile commercializzazione,sia ai
caratteri che definiscono l’identità biografica del singolo, così come si esprime nelle sue scelte e
nella sua storia. “L’integrità, si legge nella Dichiarazione di Barcellona(1998) è la condizione
dell’espressione di una vita degna, nella sua dimensione mentale e fisica, non soggetta ad un
intervento esterno”;pertanto riguarda la coerenza della vita di esseri a cui si riconosce una dignità
irriducibile a cui non si può arrecare offesa alle cure e al rifiuto delle cure. In questo modo
l’integrità si configura come rispetto per il diritto soggettivo e per la percezione di ogni singolo
paziente ne confronti della sua malattia e della pertinenza della cura che gli viene proposta e che
ne fanno il solo giudice di eventuali rifiuti terapeutici o della sua qualità di vita. La libertà di cura
diventa così un diritto proprio di ogni cittadino, contro ogni forma di paternalismo medico.
Art. 32: la salute è tutelata come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività;
il proseguo dell’articolo 32 riguarda le cure; sono garantite le cure gratuite e nessuno può
costringere un altro a sottomettersi a cure sanitarie se non per disposizione di legge, la legge in
ogni caso non può violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Occorre evidenziare
che l’articolo 32 non obbliga a curarsi.
Ogni cittadino ha il diritto di esprimere le proprie scelte anche in maniera anticipata con il
testamento biologico.
Età dei diritti o età della responsabilità?
Dai diritti umani si è passati al diritto comune dell’umanità, intesa ormai come una comunità di
destino. In questa prospettiva diritti e responsabilità sono due ambiti strettamente connessi, da
ripensare in relazione ai nuovi poteri acquisiti grazie alle nuove tecnologie e che hanno fatto
entrare nell’ambito delle libere scelte ciò che un tempo apparteneva alla natura e al destino. Il
problema di oggi non è tanto stabilire una legge quanto farla valere, far si che questa venga attuata
e rispettata. I diritti crescono man mano che la società si sviluppa.
-Convenzione sui diritti politici delle donne (1952);
- Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne (1979);
-Dichiarazione di Helsenki (1964);
- Convenzione internazionale dei diritti dell’infanzia (1989).
Oltre le frontiere della specie.
Ci si deve concentrare anche sugli animali, occorre preservare anche la loro dignità inserendoli
nella Costituzione,nella riflessione giuri dicasi sono discusse alcune rivisitazioni dell’art. 9, volte a
introdurre, oltre al concetto di ambiente, anche un esplicito riferimento agli animali. In Germania e
in Svizzera sono stati giudicati esseri senzienti. La Dichiarazione di Barcellona afferma nella sua
parte conclusiva, che la nozione di dignità può essere considerata “come base di riflessione per la
regolamentazione concernente gli animali, le piante e l’ambiente”.
Art. 9 La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il
paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

2) DAI DIRITTI ALLE CAPACITA’


Nussbaum afferma che il linguaggio dei diritti sia fondamentale soprattutto per le donne perché
attraverso questo possono farsi sentire e far valere la propria giustizia. Si richiama all’approccio
delle capacità, ciò che l’uomo sa fare e essere, avendo come modello l’idea di una vita che sia
degna della dignità di un essere umano. In tale prospettiva si va verso un ‘etica delle capacità
intesa come una teoria normativa impegnata a definire i criteri morali atti a orientare le scelte
pubbliche e a stabilire la giustezza di azioni e attività che abbiano una rilevanza sociale. Al suo
centro c’è una concezione del bene, basata sulle capacità considerate come oggetti meritevoli di
apprezzamento e ispirata all’idea che la società e la politica saranno tanto migliori quanto più
consentiranno agli individui di sviluppare le proprie capacità. Secondo lei occorre allontanarsi da
Aristotele il quale non riconosceva l’esistenza di rapporti etici al di fuori della polis e stabiliva
diverse gerarchie tra gli individui(le donne subordinate agli uomini, gli schiavi ai padroni..).
Cittadini del mondo.
L’incontro con le differenze è divenuto un problema attuale che però non dovrebbe essere un
problema. Si parla di tre tipi di interazione:
 assimilazione: l’immigrato deve abbandonare le sue origini culturali e assumere la cultura
del paese in cui si trova abbandonando i suoi valori;
 separazione: dove si tende a ignorare l’esistenza delle altre culture;
 scambio interculturale: le varie culture devono interagire, integrarsi riconoscendo nella
differenza un valore.
Nussbaum parlando di cittadino del mondo parla appunto di un cittadino che si apre di fronte alla
diversità, quindi di fronte alle altre culture. Scopo dell’educazione interculturale è stimolare lo
spirito critico e la capacità empatica in vista di un confronto privo di pregiudizi. Seneca parla di due
comunità: quella in cui siamo nati e quella in cui tutti i cittadini vivono, quindi il mondo in sé.
Secondo Nussbaum dobbiamo giudicare criticamente se stessi e le proprie tradizioni; occorre il
riconoscimento di un’identità di specie: superare gli stereotipi di superiorità e avvicinarsi all’idea
di esseri umani legati ad altri esseri umani da interessi comuni a dalla necessità di un reciproco
riconoscimento(diritti umani,fame nel mondo,emergenza ambientale) senza negare le differenze;
l’immaginazione narrativa è importante per capire cosa prova un altro individuo:immaginarsi nei
panni dell’altro, di capire la storia della persona, intuire le proprie emozioni, i suoi desideri, le sue
speranze. Questo non comporta una mancanza di senso critico perché nell’incontro con l’altro
manteniamo fermi la nostra identità e i nostri giudizi, ma si propone di comprendere il significato
che una determinata azione ha per la persona che la compie, in quanto espressione della sua storia
e del suo ambiente.
Diventare persone.
Occorre integrare diritti e cura, fare attenzione ai temi della giustizia, non porre maggiori ostacoli al
lavoro se ad essere assunta è una donna, sono tutti uguali di fronte alla legge e i diritti devono
essere garantiti ad entrambi i sessi. Rispettare le persone significa criticare la tradizione che le
opprime.
La lista delle capacità.
Nussbaum stabilisce una lista delle capacità che caratterizza tutti i cittadini:
1. vita (poter vivere una vita umana di normale durata);
2. salute (poter godere di buona salute compresa una sana riproduzione, essere
adeguatamente nutriti, avere un’abitazione adeguata);
3. integrità fisica (potersi muovere liberamente e autonomamente da un luogo all’altro, essere
protetti dalle aggressioni,godere del piacere sessuale e la possibilità di scelta in campo
riproduttivo);
4. sensi, immaginazione e pensiero (poter usare i propri sensi per immaginare, pensare e
ragionare in modo veramente umano, ossia in modo informato e coltivato da un’istruzione
adeguata,andare in cerca del significato ultimo della propria esistenza a modo proprio);
5. sentimenti (poter provare emozioni per cose o altre oltre che per noi stessi senza aver
distrutto il nostro sviluppo emotivo da violenze ,abusi, abbandoni, traumi, ansie);
6. ragion pratica (saper capire cosa è bene e cosa è male con libertà di coscienza)
7. appartenenza (poter con gli altri e per gli altri, avere rispetto per la propria dignità e quella
del prossimo)
8. altre specie (essere in grado di vivere in relazione con gli animali, le piante,la natura, e
prendersene cura)
9. gioco (poter ridere, giocare e godere di attività ricreative))
10. controllo del proprio ambiente (avere il diritto di cercare il lavoro, poter partecipare alla vita
pubblica e politica).
Queste capacità sono combinate in quanto tutte le capacità interne devono però avere un
ambiente esterno che ne favorisca lo sviluppo. E’ una lista che può cambiare, variare è aperta e
dinamica.
“Fioritura umana” significa proprio spazio aperto a diverse possibilità di realizzazione.
Una nuova idea della cittadinanza.
Le persone con menomazioni come cecità, sordità, possono essere figure produttive all’interno
della società; sono soggetti deboli che devono avere maggiore appoggio e maggiore spinta da
parte della società. Quando diventeremo anziani anche noi avremo bisogno di cura e sostegno,
come le persone malate e menomate, pertanto è corretto preservare la nostra dignità. Nussbaum
sostiene che chi ha problemi di salute o altre difficoltà non deve sentirsi un peso per la società;
parla dell’immaginazione narrativa, la capacità di mettersi nei panni dell’altro e provare ciò che
prova lui. “Come è discriminazione sessuale non fornire il congedo di maternità, allo stesso modo
è una discriminazione contro le persone con menomazioni non fornire supporti per lo sviluppo
della loro produttività”. (tutela dei diritti dei soggetti deboli)
Tali percorsi andrebbero sostenuti con l’idea della cura come valore che possa assumere centralità
nei nostri interessi etico-politici e nelle nostre azioni: “la cura è l’opera che sostiene la vita”.
Oltre il contratto sociale.
Una cittadinanza che esclude anziani, bambini, malati perché non producono, deve essere
integrata con il valore della cura. Importante è anche il tema della responsabilità di chi si prende
cura di coloro che hanno bisogno. Ogni persona è eguale per dignità e valore e diversa per sesso,
età, razza. Ciò che caratterizza un individuo è la sua specificità.
3) APPROCCIO DELLE CAPACITA’ E BIOETICA ANIMALE.
Un’etica interspecifica delle capacità.
Ci si deve concentrare anche sugli animali, anche loro hanno delle capacità ed estendere la
giustizia al di là dei confini della specie per occuparsi della condizione degli animali non
umani(approccio delle capacità come teorie della giustizia). Nussbaum compie la distinzione tra
capacità interne (ciò che è innato) e combinate (la parte innata che si è integrata cin circostanze
esterne) entrambe legate all’idea di funzionamento (con cui si intende sia ciò che un individuo fa o
è, sia le sue attività e stati di esistenza), spesso i funzionamenti degli animali non corrispondono
alle loro capacità.
Quale dignità per gli animali?
Martha Nussbaum ritiene che anche gli animalo, come gli umani abbiano uno statuto etico e che si
possa, quindi, parlare, nei loro confronti, non solo di maltrattamenti e di crudeltà ma anche di
lesioni della dignità e dell’integrità.
Non si devono né maltrattare né sfruttare gli animali, in quanto esseri viventi dotati di dignità
come noi. In India sono stati liberati dal circo, in Gran Bretagna si deve garantire a norma di legge,
una condizione di vita che rispetti la loro privacy e che aiuti la loro crescita personale, in quanto
esseri viventi soggetti di diritti. Si incoraggia a valutare le capacità e le emozioni degli animali, simili
all’uomo ( si ricorda Voltaire che si distanzia dall’idea animale-macchina di Cartesio). Nel
riconoscimento della dignità e della nostra responsabilità nei loro confronti si va verso un’etica del
riconoscimento. Non si deve pensare all’aspetto fisico dell’animale, ma a quello che sa fare e a
quello che può dare all’uomo, sono superiori ori o inferiori alle opere umane? Né uno né l’atro,
sono essenzialmente diverse (Jules Michelet).
Dignità e capacità.
Avere una vita dignitosa significa: poter godere dell’aria liberamente, poter fare delle scelte, essere
liberi dalla sofferenza, essere liberi dalla paura e dalla crudeltà nello sviluppo armonioso delle
proprie capacità.
Oltre la morale della compassione.
La compassione non comporta il riconoscimento di un’ingiustizia. Anche gli animali provano felicità
e dolore, pertanto devono essere trattati in modo molto più attento e curato, non si possono
sottovalutare i loro sentimenti.
Occorre trattare gli animali come se fossero persone bisognose, non sono oggetti.
Dalle capacità ai diritti.
La Naussbaum richiama Aristotele nel sostenere che in ognuna delle forme complesse di vita che
troviamo in natura c’è qualcosa di meraviglioso e degno di ammirazione. E’ un bene per ogni
essere persistere e fiorire in quanto tale, come entità del genere a cui appartiene, da cui nasce
l’imperativo morale di non violarne l’integrità e la dignità.
Una lista interspecifica delle capacità.
Nussbaum elabora una lista delle capacità possedute dagli animali: la vita, la salute, l’integrità
fisica (che porta alla discussione della sterilizzazione, se è giusto o sbagliato), i sentimenti; agli
animali manca solo il linguaggio. Secondo Mainardi la mente è un elemento posseduto solo
dall’uomo, esistono però altre menti, non peggiori e non migliori a quella dell’uomo.
Una capacità abituale degli animali domestici è la possibilità di essere nutriti, essere curati, essere
difesi da situazioni di pericolo. Si devono definire determinate responsabilità che devono essere
assunte dai tutori (i padroni).
Per gli animali la “buona vita” è vivere secondo natura. Per l’uomo si parla di liberazione dalla
fame, dalla sete, per arrivare alla salute.
La Pet-Therapy è incentrata sull’animale, una relazione che si instaura tra uomo e animale
attraverso cui si scambiano sentimenti, emozioni, affetti.

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