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Corso di Filosofia Politica

Filosofia Politica
Università degli Studi di Pavia
30 pag.

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FILOSOFIA POLITICA (PRIMA PARTE)

Lezione 1

Che cos’è la filosofia? E’ una disciplina che non si occupa di un ambito specifico,
ma dei presupposti. Senza i presupposti non riusciamo a fare nulla: diamo per
presupposti dei significati che ci aiutano a dialogare, e il filosofo mette in discussione
proprio questi. Isaiah Berlin ha fatto una distinzione tra domande scientifiche e
domande filosofiche: una domanda filosofica è una domanda dove i termini che
vengono utilizzati non sono chiari e universalmente accettati, e dove non esiste un
metodo chiaro e accettato per arrivare alla risposta. Berlin fa degli esempi di
domande filosofiche: com’è iniziato il mondo? Cos’è successo ancora prima? La
mente è distinta dal corpo? Sono la stessa persona che ero ieri? Che cos’è la
giustizia? La moralità è assoluta e oggettiva?
Quando un concetto è filosofico o scientifico? Spazio o sostanza sembrano essere
concetti scientifici, ma il filosofo può problematizzarli. Che cos’è lo spazio? Che
cos’è la sostanza? Il fisico dà per presupposto il tempo, ma c’è chi dice che non
esiste. Anche nel caso opposto: giustizia, bontà o immortalità possono essere
oggetto di un’indagine empirica. Lo scienziato propone una definizione descrittiva di
un termine, come, ad esempio, democrazia, mentre il filosofo lo problematizza: come
la si giustifica? Vuol dire che tutti possiamo votare? I Paesi dell’Est, prima del 1989,
si chiamavano democratici, ma lo erano veramente?
La filosofia è l’attività di problematizzare i concetti e di mettere in questione i
presupposti dei discorsi. La filosofia politica è l’attività di problematizzare i concetti
adoperati nella descrizione o valutazione dei fenomeni politici.
Ma che cos’è la politica? La politica è un’attività che consiste nella ricerca di
conformità garantita. Essa, quindi, ha a che fare con dei rapporti di potere e con
l’esercizio del potere. Conformità garantita significa che è generalizzata nello spazio
e stabile nel tempo. Facciamo qualche esempio di domande descrittive di filosofia
politica: che cos’è uno Stato politico? Che cos’è un’azione collettia? Lo Stato è un
agente morale? Esempi di domande normative: è giusto che esista lo Stato? Quali
diritti hanno gli individui contro lo Stato? Lo Stato dovrebbe correggere le
ineguaglianze economiche? Le risposte a queste domande non sono mere
preferenze personali, ma richiedono giustificazioni e argomentazioni.
Qual è la differenza tra filosofia politica e filosofia morale? In filosofia politica
abbiamo a che fare con l’esercizio del potere anche coercitivo; in filosofia politica si
ha a che fare con il comportamento di istituzioni pubbliche. Una domanda di etica
normativa potrebbe essere: è giusto che Rossi esprima sentimenti razzisti? Una
domanda di filosofia politica potrebbe essere: è giusto che lo Stato proibisca a
Rossi di esprimere sentimenti razzisti, e di punirlo se li fa?
L’utilitarismo prescrive di massimizzare il benessere, inteso come soddisfazione
delle preferenze, non per se stessi, ma per tutti. Essa è una teoria aggregativa: si
guarda alla somma dei benefici e dei costi, perseguendo l’efficienza in senso

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collettivo. Lo Stato dovrebbe compiere le scelte che massimizzano il totale, e quindi
si guarda solo alla somma.
Il libertarismo prescrive di rispettare i diritti negativi delle persone, generalmente
intesi come diritti di proprietà. Essa è una teoria anti-aggregativa: favorisce uno
Stato minimo che si limita nell’applicazione dei diritti di proprietà e rispetta gli esiti
degli scambi di mercato.
L’egualitarismo liberale riconosce non solo le libertà fondamentali (i diritti
costituzionali tipici dello Stato liberaldemocratico), ma anche diritti positivi a eguali
opportunità e a un livello adeguato di benefici economici e sociali. E’ anch’essa una
teoria anti-aggregativa: l’egualitarismo liberale assegna doveri egualitari allo Stato
(ma non necessariamente agli individui).
Il sufficientismo nasce all’interno della tradizione egualitaria, e infatti riconosce
diritti positivi. Esso, però, critica l’egualitarismo in senso stretto perché crede che gli
individui non abbiano un diritto a eguali opportunità e benefici economico-sociali, ma
solo a un livello sufficiente di esse.
Le teorie della giustizia sono state tradizionalmente applicate a singoli Stati o
società, ma possiamo chiederci cosa prescriva la giustizia tra Stati o cittadini di Stati
diversi. Le domande principali che riguardano le teorie della giustizia
internazionale sono: dobbiamo massimizzare il benessere di tutti gli individui, anche
i non concittadini (utilitarismo)? Cosa significa e implica il rispetto dei diritti negativi
de non concittadini (libertarismo)? Uno Stato ricco ha il dovere di garantire che non
concittadini abbiano opportunità e benefici economico-sociali eguali a quelle dei
propri cittadini (egualitarismo/sufficientismo)?
Oltre a questa, ci dedicheremo alla giustizia intergenerazionale, che a differenza
della prima, che si occupa dello spazio, qui ci si occupa del tempo, in particolare
riferendosi a individui che non sono ancora nati, e quindi a azioni e decisioni che non
hanno effetti sulle generazioni presenti. L’utilitarismo si chiederà se dobbiamo
massimizzare i benefici anche degli individui futuri, il libertarismo si chiederà che
cosa significa rispettare i diritti negativi delle generazioni future, e
l’egualitarismo/efficientismo si chiederà se dobbiamo garantire che le generazioni
future abbiano opportunità e risorse eguali alle nostre.

Lezione 2: Utilitarismo e Giustizia

Nell’800 troviamo un esempio di scelta morale controversa su cui c’è stata molta
polemica. In questo episodio 4 persone sono state assunte per portare uno yacht
dall’Inghilterra all’Australia. Partiti da Southampton, arrivati in Africa una tempesta ha
danneggiato la barca in modo irreparabile, ma loro sono riusciti a salvarsi. Con
pochissimo cibo e senza acqua sono andati avanti per settimane. Dopo più di un
mese stavano malissimo: il più giovane aveva bevuto acqua di mare, mentre gli altri
due avevano pensato di uccidere uno di loro per mangiarne il corpo. Alla fine Dudely
e Stephens, vedendo che il ragazzo stava morendo, decidono di ucciderlo, e così
sono riusciti a sopravvivere fino a che una barca tedesca li ha salvati e portati al
porto più vicino. Arrivati dalle autorità inglesi hanno raccontato tutto, pensando che

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questo tipo di situazione giustificasse anche il cannibalismo. Le autorità inglesi,
invece, hanno processato due dei tre sopravvissuti. L’opinione pubblica era dalla loro
parte, mentre i giudici li hanno condannati a morte.
Dal punto di vista morale si può accettare l’uccisione di Parker? Si può dire che
l’atto in sé è ingiustificabile, ma scusato dalla situazione; hanno giocato a fare Dio, e
non toccava loro quella scelta. Se non lo uccidevano, però, morivano tutti e 4: i
giudici hanno detto che non hanno considerato l’auto-sacrificio, anche se
estremamente esigente, super-erogatorio. Ad ogni modo si trattava di una
situazione di necessità, e questo può costituire un'attenuante per quanto accaduto.
In tutte le motivazioni che abbiamo detto, però, noi stiamo guardando alle
conseguenze delle azioni. Non abbiamo guardato alle azioni in sé. L’omicidio e lo
sfruttamento possono essere considerate come azioni sempre sbagliate? C’è una
differenza tra il valutare un’azione e il valutare le conseguenze di un’azione.
Un’azione può essere giusta se produce il maggior beneficio possibile, o se
rispetta i diritti altrui; due modi completamente diversi di guardare le cose.
L’utilitarismo fa un ragionamento consequenzialista: bisogna sommare i costi e i
benefici, tutte le opzioni che abbiamo, e scegliamo l’azione con il maggior beneficio
e il minor danno. L’utilitarista non riconosce i diritti o valori in sé. Il beneficio è per lui
sempre riconducibile alla felicità umana. Si guarda al mondo empirico, senza tener
conto della tradizione o di eventuali dogmi religiosi. Bentham, giurista e filosofo della
fine del ‘700, è uno dei padri fondatori dell’utilitarismo. Egli riteneva che la felicità è il
piacere e l’assenza di dolore. Ma non sempre è così: magari un film molto triste ci
rende felici per averlo visto e per l’esperienza che abbiamo provato. Un altro modo di
concepire la felicità è di vederla come soddisfazione delle preferenze, dove
rientrano anche piaceri come il dolore per i masochisti. L’utilitarista non tiene conto
delle azioni super-erogatorie, perché si tratta sempre di un calcolo, di una somma.
Come si applica l’utilitarismo alla politica? Per l’utilitarista non c’è alcuna differenza
tra la morale e la politica. Quello che sostengono vale indistintamente; per questo
viene definita una teoria continuista. Molte politiche pubbliche vengono decise in
questo modo; l’utilitarismo ha avuto un’influenza non irrilevante sulla politica. Inoltre
l’utilitarismo è riduzionista, perché vede solo la felicità come bene; nient’altro conta
se non il calcolo della somma totale del piacere o della soddisfazione delle
preferenze.
Quando è legittimo utilizzare la coercizione? Per l’utilitarista la coercizione è un
male in sé, ma si è messo in bilancio il male della non-libertà con le vite salvate. Il
legislatore fa poi delle scelte che hanno il maggiore impatto possibile.
Vediamo l’idea di giustizia distributiva: come allocare i costi e i benefici della
cooperazione sociale? Nel mondo abbiamo interazioni, abbiamo un sistema legale,
ci sono dei benefici e dei costi. L’idea è che ci vorrebbe un modo equo per distribuire
questi costi e questi benefici, ci vogliono dei principi, e ciascuno di questi individua
un bene e ci dice come distribuirlo. Potremmo dire: il bene sono i soldi, e il modo di
distribuirli è “eguali soldi per tutti”. L’utilitarismo sostiene che l’unico bene è la
felicità; come distribuirlo? Non si guarda chi ne ha di più e chi ne ha di meno, ma si

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massimizza il totale, e quindi favorirà quella distribuzione che comporta il totale più
alto, anche se meno eguale.
Quando parliamo di massimizzare il totale parliamo di efficienza, che può essere
contrastato con il concetto di equità. Si può distribuire il bene in modi diversi però:
possiamo dare i benefici a chi li merita, distribuendolo egualmente, o dando il più
possibile a chi ne ha di meno. Di default sembra che preferiamo l’eguaglianza.
Possiamo concepire situazioni in cui l’eguaglianza contrasta con l’efficienza?
Immaginiamo una società con due classi, una più produttiva e una meno. Tassando
la classe produttiva possiamo rendere eguali le due classi. Ma se abbassassimo le
tasse alla classe produttiva, questa produrrebbe di più e aumenterebbe la rendita
statale per aiutare la classe poco produttiva. In questo caso si sceglie di più
l’efficienza. Ai membri più produttivi della società puoi aumentare le tasse fino ad un
certo punto; se si esagera lavoreranno meno, e quindi non giudicheranno nei propri
interessi lavorare con lo stesso grado di produttività. Bisogna accettare delle
disuguaglianze in nome dell’efficienza, ma è un’efficienza che beneficia tutti.
L’efficienza pura ha però delle implicazioni controintuitive: buttare i cristiani ai leoni?
Favorire la schiavitù? Torturare un terrorista o la sua figlia innocente? Ha senso in
questo caso perseguire l’efficienza secondo il modello utilitarista? In una società
razzista la discriminazione porta maggiori benefici, ma la minoranza ne soffre. In
questo caso, però, all’utilitarista non importa.

Lezione 3: L’utilitarismo e i suoi critici

L’utilitarismo è una teoria monista, perché c’è un unico principio e un unico bene,
cioè la felicità. Di conseguenza, l’utilitarista è un materialista che non guarda a teorie
metafisiche, che rifiuta la religione e la tradizione.
Nel caso dei dilemmi morali il pluralista ha più possibilità di scelta: mi prendo cura
di mia madre malata o parto per la guerra? Qualunque cosa faccio sentirò
rammarico. L’utilitarista, invece, non avrà questo problema: basterà fare un calcolo
per capire cosa è meglio fare. Se andare in guerra è la scelta migliore non sentirà
rammarico per aver abbandonato la madre malata; l’utilitarista fa un calcolo freddo e
razionale, senza tener conto delle emozioni, che pur giocano un ruolo fondamentale
nelle nostre scelte. “Massimizzare senza rammarico”.
Oltre a questo, la teoria utilitarista è conseguenzialista, nel senso che guarda solo
al futuro, agli effetti delle azioni o delle politiche. Esempio: il signor Rossi spara al
signor Bianchi; dopo qualche giorno Bianchi muore. Il conseguenzialista non tiene
conto solo di questo fatto, ma anche degli effetti delle azioni sui desideri degli altri
(come vendicare Bianchi). Di contro, un deontologo, che guarda alle regole e ai
diritti, guarderà alle azioni delle persone, e non alle conseguenza. Per lui uccidere
Bianchi è sbagliato in sé, indipendentemente dagli effetti che produrrà.
Il pensiero utilitarista, però, può scadere in contraddizioni: pensiamo ad un ragazzo
che taglia il prato a un signore, e chiede 100 euro per il lavoro svolto. Il signore si
mette a pensare a cosa fare con quei soldi: li do al ragazzo, o li do a Medici Senza
Frontiere. Cosa massimizza l’utilità? Il signore sceglie di darli a MSF (secondo la

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prospettiva utilitarista). Oppure: come si giustificano le punizioni per i crimini? I reati
hanno delle cause che risalgono al passato, ma se si pensa solo al futuro, e le
punizioni sono dolorose, come si può uscire da questo impasse? L’utilitarista può
giustificare le punizioni come deterrente, ma se la cosa non dovesse funzionare?
All’interno di questa teoria si possono distinguere l’utilitarismo dell’atto e
l’utilitarismo della regola. Nel primo caso l’individuo, per ciascuna azione che deve
compiere, deve scegliere quella che porta alle conseguenze migliori. Questo tipo di
prescrizione può avere esiti contro-intuitivi, come abbiamo già visto. Nel secondo
caso si introduce un ragionamento sulle regole: è meglio avere un sistema dove tutti
seguono le stesse regole. Posta questa premessa, l’utilitarista dice: è meglio una
società in cui tutti seguono quella regola o no? Facciamo un calcolo e vediamo
quanto quella regola produce in termini di conseguenze. L’utilitarismo della regola
sembra quindi rispettare i diritti, guardare alle promesse e punire i criminali.
Credendo ai diritti, però, l’utilitarista lo crede perché ha valore strumentale o perché
crede che abbiano veramente un valore? Alla fine sembra che l’utilitarismo è arrivato
alla posizione etica giusta, ma la afferma per le motivazioni sbagliate.
Le politiche utilitariste sembrano ignorare l’equità della distribuzione tra individui,
anche assumendo l’utilitarismo della regola. Per l’utilitarista l’equità viene presa in
considerazione solo se ha un effetto sull’utilità complessiva. L’utilitarismo non prende
sul serio la separatezza delle persone. Ogni persona ha la sua vita, mentre
l’utilitarista considera le persone come un conglomerato di cui deve solo
massimizzare la felicità. Le persone sono contenitori potenziali di utilità, ma le
persone sono molto di più.
Per massimizzare l’utilità l’utilitarista ritiene di rispettare l’equità, perché il criterio
che segue andrà a perseguire quell’obiettivo. La massimizzazione dell’utilità
complessiva tenderà alla riduzione della disuguaglianza. La mia sesta mela produce
meno felicità in me che in chi non ne ha nemmeno una. Di conseguenza, ti do
un’altra mela fino ad un rapporto 3:3. Così facendo sembra che l’utilitarista favorisca
l’equità.
Una prima obiezione potrebbe essere che le persone hanno diverse funzioni di
utilità: quanta utilità mi dà una mela? E se qualcuno non le gradisce? L’utilitarismo
potrebbe mirare all’uguaglianza, ma magari no, perché dipende dalle funzioni di
utilità delle persone.
Una seconda obiezione ritiene che l’utilità marginale decrescente è una tesi
empirica, e quindi non potrebbe essere sempre vera. Con i soldi posso comprare
tantissime cose; che ci sia utilità marginale decrescente sembra scattare quando se
ne ha una certa quantità. Se per me conta avere una macchina, e costa 20mila euro,
e io ne ho 19mila, mi cambia la vita avere 1000 euro in più. Sono tutte questioni
empiriche: quando chiedi all’utilitarista cosa un governo deve fare, nello specifico
non saprà dire se aumentare le aliquote, spendere di più nell’istruzione, e cose così.
L’utilitarista dirà che dipende se massimizzerà l’utilità, e per farlo bisognerà uscire
nel mondo e misurare l’utilità delle persone.
Una terza obiezione è che non è detto che l’impegno a massimizzare l’utilità ci
spieghi perché crediamo che la giustizia consiste nell’equità. L’utilitarista, in

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generale, fa calcoli probabilistici, ma non è detto che si verificheranno proprio quelle
conseguenza precise.
Massimizzare il totale o la media? Questo è un altro dei problemi che gli utilitaristi
si ritrovano ad affrontare. L’utilità moltiplicata per la sua utilità è detta utilità attesa.
In termini di rischio e probabilità i Governi fanno calcoli di questo tipo.

Lezione 4: I diritti come vincoli alla massimizzazione del bene

Vediamo oggi degli esempi filosofici costruiti artificialmente per vedere alcuni tipi di
scelte etiche. In questi esempi cercheremo le ragioni delle nostre credenze.
Il primo esempio è quello del trapianto: una persona sana arriva a trovare un
amico. Il medico si accorge che uccidendolo ne salverebbe cinque con i suoi organi.
È giusto ucciderlo per salvare gli altri cinque? L’utilitarista direbbe che cinque vite è
meglio di una. Anche se però il bene è cinque volte quanto una vita, ciò non
giustifica l’uccisione. Se al posto che cinque fossero dieci o cento? C’è una soglia in
cui comincia a diventare accettabile violare i diritti per salvare delle vite? Se la
persona in questione è un senzatetto senza nessuno, venuto lì solo per stare al
caldo, lo uccidiamo? Se la persona non è innocente, ma uno pericoloso?
Il secondo esempio è quello dell’incidente: sei persone vengono portate in
ospedale, una è più grave delle altre. Nel tempo a disposizione si possono salvare o
i casi meno gravi, o l’unico grave. Chi scegli? Perché ora va bene e prima no
salvarne cinque al posto di uno? Perché qui tutti stavano comunque morendo,
mentre nel primo esempio uno stava bene. Perché il diritto negativo soverchia
spesso il diritto positivo in alcuni casi? Se io violo un diritto negativo la persona
muore; se violo il diritto positivo c’è sempre la possibilità che la persona viva
comunque.
Il terzo esempio è quello famosissimo del tram. La maggior parte delle persone
ucciderebbe una persona e salverebbe le cinque. Però allora perché nel primo
esempio non si ucciderebbe la persona sana per salvare le altre cinque? Nel primo
caso è incidentale, mentre qui c’è un senso più specifico. Sono messo in quella
situazione. Ma anche il medico: siamo condannati alla scelta. Nel caso del trapianto
c’è un medico e noi abbiamo delle aspettative, mentre qui ci si ritrova per caso, e
quindi è permesso massimizzare il numero di vite salvate.
Immaginate che invece di una leve c’è un ponte. Tu sei sul ponte, potresti buttarti e
sacrificarti, ma sei troppo piccolo. Sul ponte c’è una persona grande che potresti
spingere per bloccare il tram. Va bene questo?

Lezione 5: Libertarismo e proprietà di sé

Ci sono delle teorie che pongono dei vincoli alla massimizzazione del bene. Prima di
vedere queste teorie guardiamone una pura dei diritti, che è quella di Nozick, che si
concentrano sui diritti intesi di proprietà, e quindi di diritti negativi.
Il libertarismo è una teoria politica fondata sui diritti di proprietà, il mercato, lo Stato
di diritto; in generale si parla di Stato minimo. Alcuni libertari sono anarchici, e

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sarebbero per privatizzare tutto quello che farebbe lo Stato, anche la giustizia, la
polizia; sono gli anarco-capitalisti.
I libertari sono contrari all’economia pianificata. Per loro è il mercato con le persone
e i loro comportamenti a sapere quanto bisogna produrre certi beni e a che prezzi
venderli. Si tratta di conoscenze locali, e non del Governo centrale.
Il libertarismo per Nozick è contrario all’utilizzo della coercizione per applicare
doveri non contratti liberamente: se io faccio un dono di qualche cosa mi assumo il
dovere di non utilizzare più quella cosa. Questo tipo di dovere può essere applicato
con la coercizione. Ma l’idea di costringere qualcuno a fare qualcosa per cui non era
d’accordo stona con il libertarismo. Il privato è la sfera della scelta, mentre nel
pubblico tutto viene imposto. la vita buona significa essere istruiti? Va bene, ma non
bisogna imporlo. Chi vuole istruirsi paga, chi non vuole non paga. La stessa cosa
vale per le virtù morali: lo Stato non deve promuovere le virtù, tranne per il rispetto
del diritto dei vincoli negativi.
Il libertario è assolutamente contrario all’applicazione della moralità nel diritto. I
libertari credono nel principio del danno di John Stuart Mill: qualunque cosa tu fai,
se non reca danno a qualcun altro, devi essere lasciato libero di farlo. Non è però
facile distinguere sempre che cosa arrechi danno o meno. “Esiste un diritto di agire
in modo moralmente sbagliato”, un’affermazione paradossale, ma propria del
libertarismo.
Il punto di partenza per il libertario è la proprietà di sé: il mio corpo è mio. Shimp
aveva il diritto di agire in modo moralmente sbagliato. Se il corpo di Shimp non è di
Shimp, chi ce l’ha? Lo Stato? Chi è proprietario del tuo corpo se non tu? Così
esposta, la tesi di Nozick sembra largamente condivisa, in quanto premessa debole
che pochi negherebbero.
Tu sei proprietario del tuo corpo e decidi di lavorare, e per questo ti pagano. Lavori 8
ore al giorno e col reddito che guadagni puoi soddisfare una serie di tuoi interessi
(egoistici o altruistici che siano). Assumiamo che ci sia un’imposta sul reddito del
25%. Questo significa che 2 ore al giorno lavori per soddisfare gli interessi di altri o
dello Stato; lo Stato ti costringe a lavorare 2 ore in più per soddisfare gli stessi
interessi di prima. Ha ragione Nozick? C’è un'interferenza col tuo corpo in questo
caso. Ma sembra esserci qualcosa che non va. Chi ti costringe diventa in parte
proprietaria di te.
Se tu sottrai il prodotto del lavoro sottrai del tempo. Ma siamo davvero arrivati alla
costrizione del lavoro? Nozick allora sta dicendo che se sottrai quella parte significa
che stai tassando, e da qui si passa al lavoro forzato, e dato che lavori col tuo corpo,
se diventano loro proprietari, passiamo alla schiavitù.
Possibili obiezioni: 1) si può sempre scegliere di non lavorare o lavorare meno. Se
hai la scelta non stiamo parlando di lavoro forzato. Ma perché bisogna mettere nella
posizione di dover scegliere se lavorare tassato o non lavorare? Ecco perché per
Nozick sembra una costrizione. Un dubbio: Nozick fa appello alla concezione di
scelta, ma perché allora non dire lo stesso del lavoratore che accetta il lavoro
malpagato sotto costrizione dal capitalista? I libertari dicono che è una scelta
volontaria del lavoratore in quel caso. Ma non è una contraddizione? 2) La

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tassazione non può essere considerata come una sottrazione di un pezzo del corpo.
Il denaro non è il midollo. Nozick direbbe che se ho diritto all’oggetto A, e lo scambio
per un oggetto B, non acquisisco il diritto all’oggetto B? Il diritto ad A include anche il
diritto di scambiarlo, o no?
Con questo ragionamento Nozick dice: ho pieno diritto al mio corpo, ai miei talenti,
allo scambio di questi per denaro, e quindi ho diritto al mio denaro. Fino a Nozick
sono stati i marxisti ad affermare il diritto dei lavoratori all’intero frutto del proprio
lavoro.
Chiediamoci: è una premessa che ci convince? Vendiamo un rene, ma siamo sicuri
che siamo per il potere di vendere anche il secondo rene? Considerare il corpo in
questo modo però sembra considerarlo come un oggetto.

Lezione 6: I principi di giustizia di Nozick

La teoria della giustizia di Nozick è una teoria deontologica, che definisce il giusto
indipendentemente dal bene. L’opposto sarebbe una teoria teleologica. Rawls
definisce una teoria teleologica una teoria che prima va a vedere che cosa è il bene,
e poi definisce il giusto. Il deontologo fa il contrario, ma come si fa? Nel caso del
trapianto è ingiusto uccidere in qualsiasi caso; il giusto è un vincolo, mette dei
paletti. Una volta soddisfatto quel vincolo si può perseguire la propria concezione del
bene. proprio perché ognuno ha una sua concezione del bene devono esserci dei
paletti che non vadano a toccare i diritti di proprietà degli altri.
Si tratta inoltre di una teoria anti-conseguenzialista. Non tutte le teorie
deontologiche sono anti-conseguenzialiste. Nozick non guarda alle conseguenze per
capire se un’azione è giusta o no. Si guarda soltanto all’azione, e si cerca di capire
se l’azione è giusto o meno in sé. A proposito Rawls sostiene che questo
ragionamento è assurdo se uno ragionasse come un anti-conseguenzialista puro,
perché prevede che non puoi uccidere una persona per salvare l’umanità intera. Per
Rawls il Governo deve tenere conto del conseguenzialismo, rispettando dei criteri
deontologici; per Nozick no.
La teoria di Nozick è discontinuista: i principi dello Stato includono solo quelli di
giustizia. Sia gli individui sia lo Stato devono rispettare i diritti, ma la moralità
individuale va ben oltre. Lo Stato deve solo fare il giusto, mentre gli individui hanno
obblighi morali che vanno oltre. E’ dovere del ricco donare ai poveri? Può essere. Lo
Stato può imporre al ricco di donare ai poveri? Questo per Nozick non è accettabile.
La giustizia consiste nel rispettare i titoli delle persone; i titoli sono dei vincoli
collaterali al perseguimento del bene. Tu persegui il tuo bene, però ci sono dei paletti
da non oltrepassare. Si tratta di vincoli assoluti, ed entro questi diritti le persone sono
libere di agire come vogliono. I vincoli sono dei perimetri che proteggono le persone
dall’aggressione o dall’interferenza paternalistica. La realizzazione normativa di
questi vincoli si ottiene in un sistema di diritti di proprietà.
Perché i titoli rilevanti sono diritti di proprietà? Perché la proprietà riempie lo spazio
dei diritti relativi alla propria persona e agli oggetti esterni. Nozick afferma questo per

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favorire la compossibilità dei diritti, cioè un mondo in cui tutti questi diritti vengano
rispettati e siano possibili da rispettare senza entrare in conflitto tra loro.
I principi di giustizia di Nozick sono principi del titolo valido: un principio di
giustizia nel trasferimento (scambio di beni), nell’acquisizione (di un oggetto che
non era di nessuno), nella rettificazione.
Nel primo principio un criterio cruciale è quello della volontarietà. Agire sotto
minaccia non è agire volontariamente, ad esempio. Un titolo è valido se è l’esito di
una catena di trasferimenti legittimi, ma dove finisce la catena? Le risorse naturali
sono risorse che non proprietà di qualcuno.
Nel secondo principio si parla di come si fa a prendere possesso legittimamente di
una risorsa naturale grezza? In uno stato di natura per Locke il mondo era
posseduto in comune, e ognuno poteva usufruire di oggetti: si possono prendere i
frutti di un albero, perché non sono di nessuno. Come si fa a mettere un recinto e
dire che quella terra è di qualcuno? Per Locke era possibile che un pezzo di terra
diventasse di qualcuno mischiando il proprio lavoro con la terra. Quest’argomento,
però, funziona? Nozick stesso è scettico su questo, ma non approfondisce. Nozick
sostiene che è legittimo privatizzare porzioni della terra se si rispettano dei criteri, se
si lascia sufficiente e altrettanto buono agli altri (clausola lockeana).
C’è bisogno di una clausola? Per molti libertari americani funziona il “chi prima
arriva, meglio alloggia.” Questa teoria presuppone che gli esseri umani siano tutti
nati nello stesso momento; questo sistema favorisce chi è nato prima, e chi nasce
per ultimo si ritrova senza la possibilità di appropriarsi di nulla.
Per Nozick ci vuole una clausola limitativa, anche se rimane permissiva. Egli
sostiene che potremmo dire che quando ti appropri di un pezzo di terra escludi a
qualcuno la possibilità di fare altrettanto. Quindi: mi posso appropriare di qualcosa
fino a quando non faccio stare male gli altri al pari di un mondo in cui nessuno può
appropriarsi di nulla. La maggior parte delle appropriazioni sono quindi legittime.
Secondo i libertari di sinistra nessuno può appropriarsi più di una quota eguale di
risorse naturali- Se ti appropri di più devi compensare gli altri e pagarli.
Per quanto riguarda il terzo principio, pensiamo ad una violazione del principio di
trasferimento, come nel caso di un furto. Va rettificato restituendo la proprietà o
pagando. Nel caso di una violazione del secondo principio, come l’ingiustizia
acquisizione come l’appropriamento dell’unico pozzo in un deserto, si deve una
compensazione agli altri.
Qui vediamo il potenziale radicale di Nozick: basta che un anello sia sporco, e tutta
la catena è sporca. Cosa dire dei diritti degli aborigeni del Nord America? La loro
terra è stata espropriata o acquistata tramite metodi non corretti. Se seguiamo la
teoria di Nozick gli USA dovrebbero redistribuire massicciamente le terre ai
discendenti dei nativi. Cosa dire dei diritti dei discendenti della schiavitù? Se
crediamo nella teoria del titolo valido cosa facciamo?
In assenza di schiavitù, quanto starebbero meglio oggi i discendenti degli schiavi?
Sono problemi controfattuali. Chi avrebbe ereditato da chi? Chi sarebbe esistito. Ha
senso cercare di approssimare dando risorse agli afroamericani in generale per
compensare, rischiando di dare qualcosa a chi non lo dovrebbe ricevere? Oppure si

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può ignorare il passato pieno di ingiustizie e si parte da oggi con la teoria del titolo
valido. Ma con quali diritti partiamo? Azzeriamo anche le differenze? Questo
violerebbe molti diritti.

Lezione 7: Caratteristiche generali e fondamenti della teoria di Nozick

Nozick ha costruito una teoria ideale, e non ha affrontato problemi pratici.


Prendiamolo come teorico ideale. Che sia difficile da attuare mettiamolo da parte.
La teoria del titolo valido è una teoria storica, perché ciascun titolo ha una storia: io
ho comprato questo computer da te; tu l’hai comprati in un negozio; e così via. I titoli
sono frutti di scambi o doni volontari. L’opposto è una teoria a stato finale, dove si
guarda al punto di arrivo, non a come si arriva. Un principio a stato finale isola una
sezione nel tempo e guarda ad una fetta del tempo. Nozick sta dicendo che se
pensiamo alla giustizia significa che stiamo guardando a come stanno le cose in
quel momento? No, hanno a che fare a come interagiamo tra di noi.
La teoria di Nozick è una teoria della giustizia procedurale: la giustizia di un esito
dipende dalla giustizia della procedura che lo ha prodotto. L’esito non è giusto o
ingiusto in sé. E’ la procedura che è giusta o ingiusta in sé, come, ad esempio, una
scommessa. Se io faccio una scommessa e lanciamo una moneta: se finisce su
testa uno vince cento euro, se finisce su croce vanno all’altra persona. E’ giusto o
sbagliato? Il punto non è guardare l’azione in sé, ma è giusto che uno abbia cento
euro e uno nulla?
Ogni principio a stato finale ha bisogno di un modello che collega certe
caratteristiche in base ai beni che corrispondono a quelle caratteristiche. Che cosa
va distribuito e in che modo? Chi è intelligente in un modo deve poter fare un certo
lavoro che lo valorizzi, ad esempio. Si possono distribuire le risorse in base alla
cittadinanza.
A Nozick non piacciono i principi modellati perché devono dire anche da dove
arrivano i beni, e non solo dove collocarli. I beni sono prodotti del lavoro delle
persone, e hanno dei diritti su queste cose. Egli sostiene che questi principi vanno
respinti. Ciò che conta è il processo e le scelte libere delle persone. Ciascun
agente è un piccolo sovrano sulle sue tenute. Le sue scelte libere vanno rispettate.
Se proprio bisogna accettare un modello, esso va formulato in termini di rispetto per
le libere scelte delle persone: da ciascuno secondo come sceglie; a ciascuno
secondo come viene scelto. Non si può imporre un principio per cui uno deve
ricevere per forza qualcosa. Così sembra un sistema di massima libertà. Ma è
davvero così? La libertà è la possibilità di fare tutto ciò che si vuole con la proprietà
privata, che però è fondata sulla libertà. Ma quale delle due è fondamentale?
La premessa fondamentale è il rispetto per le persone. Cosa significa rispettare le
persone? In che cosa consiste il valore di una persona? Nozick mette davanti ad un
esperimento mentale: immaginiamo una situazione in cui uno scienziato ha inventato
una macchina per fare stare bene le persone, e la chiama la macchina delle
esperienze. Immaginiamo una vasca con elettrodi: tu sospeso nel liquido con la
macchina accesa avrai un’esperienza di vita in cui potrai vivere la migliore vita con le

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migliori esperienze per te. La domanda è: entreresti nella macchina? No. Non mi
attaccherei nemmeno ad una macchina delle prestazioni. Non sto creando io questa
vita, ma è lo scienziato che lo sta facendo. Tutto ciò non è determinato da un mio
intervento nel mondo. La conclusione di Nozick: è il nostro essere agenti che dà
significato alle nostre vite.
Le persone considerate come agenti hanno valore in questi sensi: le persone hanno
una vita da vivere. Questa vita va rispettata, e quindi le persone hanno diritti negativi
contro comportamenti aggressivi o invasivi. Le persone hanno una vita da vivere,
sei tu che devi vivere quella vita. Questo esclude qualsiasi tipo di intervento
paternalistico. Questi sono due diritti libertari basilari, in quanto diritti alla libertà
negativa.

Lezione 8: Principi egualitari

Vediamo prima il fondamento intuitivo ai principi egualitari per poi guardare la teoria
di John Rawls. Pensiamo all’ineguaglianza economica: qui abbiamo una base
intuitiva per pensare che ci sia qualcosa di sbagliato. In un articolo del 1971, uscito
lo stesso anno della Teoria della giustizia di Rawls, rappresenta l’ineguaglianza dei
redditi in GB. Immaginiamo che le persone facciano una sfilata in ordine di reddito,
prima i più poveri e i più ricchi, e ipotizziamo che le persone siano alte a seconda del
proprio reddito. La persona con il reddito medio ha la mia altezza, e li vedrò negli
occhi. Queste persone passeranno nel giro di un’ora. Nei primi secondi passano
persone molto basse; dopo 10 minuti ci sono persone alte un metro, alte come circa
un metro. Dopo 15 minuti sono alte 1 metro e 20. Dopo mezz’ora arriverà la persona
col reddito medio o no? Solo dopo 45 minuti passano persone alte come me, le
persone di classe media. Negli ultimi 6 minuti passano persone molto alte, alte 3
metri e mezzo, poi 6 metri, 7, 8 e 9 metri e poi 10, 20 metri. Il Principe Filippo è alto
60 metri, il cantante Tom Jones 2km.
Questa sfilata dei redditi mostra che la disuguaglianza è un fenomeno
impressionante, e da oggi essa è aumentata ulteriormente. A livello globale il 97%
appartiene al 30% più ricco.
Risposte libertarie? Nozick direbbe che questa è solo una foto isolata nel tempo,
mentre bisognerebbe vedere il filmato, perché magari quella disuguaglianza può
essere avvenuta attraverso modalità giuste, oppure per furto, per fortuna, per lavoro
e investimento. Molte persone anti-egualitarie sostengono che solo chi è in basso si
lamenta dei ricchi, in quanto invidioso, e questo atteggiamento esprime solamente
una posizione relativa. Ma vale almeno l’eguaglianza di punti di partenza, cioè di
opportunità? Per Nozick non dobbiamo pensare la vita come una gara e fare
confronti. Egli ritiene che l’ineguaglianza crea invidia, ma dobbiamo accettarlo. La
nostra autostima dipende proprio dalle nostre differenze con gli altri. La nostra fonte
di stima dipende proprio da ciò in cui siamo diseguali.
Per gli egualitari questo ragionamento è inadeguato: non possiamo rimuovere l’idea
che ci sia qualcosa di sbagliato nella sfilata dei redditi. La teoria di Nozick non va

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bene quando si parla di fenomeni di così grande portata. Perché c’è qualcosa che
non va? Vediamo tre punti intuitivi sul tema.
1) La respinta del merito come criterio per la giustizia: molti di noi pensano
di meritare la propria posizione nella società. I discorsi sul merito, però,
portano a un regresso all’infinito, perché meriti le basi di queste basi del
merito? E le basi delle basi? Il merito sembra difficilmente difendibile sul piano
morale. Anche Nozick sostiene questa tesi. Distribuire secondo il merito
morale è un principio modellato.
2) L’arbitrarietà morale dei fattori che influenzano le distribuzioni: una volta
respinta la nozione di merito, ci rendiamo conto che molti dei fattori che
determinano i vantaggi e gli svantaggi non ne forniscono giustificazioni morali.
Si tratta di fattori causali moralmente arbitrari. E’ come se ci fosse una
lotteria. Questo rende la distribuzione dei beni moralmente arbitraria: i “talenti”
naturali, cioè la presenza di capacità che capita che glia ltri pagano per
vederti esercitarli; lo sfondo familiare, perché se nasci in una famiglia
benestante e piena di libri è avvantaggiato rispetto a chi si è dovuto fare da
solo; la semplice fortuna o sfortuna, perché la sorte bruta è una cosa
completamente fuori controllo degli esseri umani, come le catastrofi naturali
che colpiscono alcuni e non altri. Questi sono fattori contingenti, ma
proviamo a pensare ad una persona più astratta, senza questa contingenza;
allora in questo senso come esseri siamo eguali. Di conseguenza, ciascuno di
noi ha diritto ad avere dei diritti indipendentemente da tutto.

Se i principi di giustizia devono comportare un trattamento eguale di persone eguali,


che cosa significa trattare le persone come eguali? Il trattamento da eguali è diverso
da un eguale trattamento. Nel secondo caso significa dare eguali quantità di un
dato bene a un dato gruppo di persone. Nel primo caso si parla di un trattamento
che riconosce lo status morale delle persone, cioè quello da liberi ed eguali.

3) Reciprocità: la società è un sistema di cooperazione, che porta con sé dei


benefici e dei costi. Se ciascun membro della società è degno di eguale
rispetto e considerazione: nessuno deve subire solo costi senza beneficio; a
ciascun membro è dovuta una giustificazione delle regole per la divisione dei
costi e dei benefici (la massimizzazione dell’utilità non rispetto i principi di
reciprocità).

Rawls sostiene che ci sono due principi di giustizia. Il primo riguarda la libertà,
dove abbiamo in mente dei diritti costituzionali garantiti, mentre il secondo riguarda
l’eguaglianza economica e sociale. Questi principi si possono giustificare
intuitivamente o attraverso una giustificazione contrattualista.
Per Rawls ogni persona ha eguale diritto alla più estesa libertà fondamentale,
compatibilmente con una simile libertà per gli altri. Questo è il principio di eguale
libertà. Queste libertà sono quelle di parola, di associazione, di pensiero e via
dicendo. Questo principio permette a ciascuno di perseguire la propria concezione

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del bene, non favorendo una concezione rispetto a un’altra. Inoltre esprime
pubblicamente l’eguale rispetto per le persone e le loro concezioni del bene, in un
contesto caratterizzato dal fatto del pluralismo.
Il secondo principio riguarda le ineguaglianze economiche e sociali. Le
ineguaglianze economiche e sociali devono essere per il più grande beneficio dei
meno avvantaggiati (principio di differenza), e collegate a cariche e posizioni aperte
a tutti in condizioni di equa eguaglianza di opportunità (principio di equa eguaglianza
di opportunità). Questo èrincipio combina eguaglianza ed efficienza: l’efficienza
paretiana dice che la situazione x è preferibile a y se nella situazione x nessuno sta
peggio e almeno qualcuno sta meglio; essa esclude il livellamento verso il basso.
L’efficienza che cerca Rawls è proprio quella che esclude il livellamento verso il
basso. Nella slide sceglieremmo la terza opzione, concentrando l’attenzione sul
numero più basso, e cercando di alzarlo il più possibile.
Per Rawls il primo principio ha priorità rispetto al secondo. All’interno del secondo
principio, l’equa eguaglianza delle opportunità ha priorità rispetto al principio di
differenza.

Lezione 9: I principi di eguaglianza (seconda parte)

Dobbiamo pensare a questi principi come principi che governano il comportamento


delle istituzioni. Questi sono principi prettamente politici: io non devo dare il massimo
delle elemosine ai senzatetto. Rawls stabilisce delle priorità: 1 su 2, e 2b su 2a.
Rawls parla di priorità lessicale: è la priorità che si trova nell’ordinare le parole di
un dizionario. Per analogia ordiniamo tutti gli stati sociali realisticamente raggiungibili
in termini di soddisfazione del primo principio come prima cosa; poi guardiamo chi
rispetta il primo principio e preferiamo chi rispetta il principio 2b rispetto al 2a. Se
una società è razzista per quanto riguarda le opportunità mettiamo prima quelle che
rispettano il principio. Infine guardiamo quegli stati sociali che soddisfano sia il primo
sia il 2b e ordiniamo questi in termini di prospettiva degli svantaggiati.
Come si giustificano però questi principi? Rawls ha bisogno di fare appello a qualche
valore di base. Non è il merito, non è nemmeno l’efficienza. Per Rawls il valore di
base è l’equità. Essa raccoglie le intuizioni esaminate, cioè l’irrilevanza dei fattori
arbitrari e la nozione di reciprocità. Ma si può costruire una giustificazione più
rigorosa?
Secondo Rawls sì, perché cerca di fondare questi principi su una base
contrattualista.
Proviamo a costruire le regole del “calcio2”, un nuovo sport. Divisi in due gruppi,
votiamo democraticamente quanto larga vogliamo la porta, quanto dura una partita e
la grandezza delle squadre. Le regole che abbiamo votato sono giuste? Rispettano
alcuni vincoli? Rawls sostiene che bisogna rispettare i vincoli di universalità (si
applicano a tutti), generalità (non contengono nomi propri e non assegnano premi a
individui o gruppi particolari), pubblicità (sono conosciute da tutti, non sono
segrete). E’ sufficiente aver rispettato questi vincoli formali? Cerchiamo di capire
dove sta l’iniquità. Io ho istituito una procedura iniqua per creare il gioco del

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“calcio2”, perché ho dato più informazioni ad una squadra. Non è accettabile
l’ineguaglianza delle informazioni. Cosa sarebbe una procedura equa? E’ accettabile
votare secondo la regola della maggioranza? No, perché se facciamo decidere a
Milano o Pavia a Milano sono di più.
Noi dobbiamo escogitare una procedura decisionale equa. Invece che giudicare la
giustizia di una distribuzione, decidiamo delle regole che determinino la procedura.
Ma come caratterizzare tale procedura da cui dipenderebbero delle regole giuste?
Anche se le due squadre avessero le stesse informazioni e lo stesso peso non
raggiungeremmo mai un accordo, perché avrebbero degli interessi in conflitto.
Possiamo ridurre l’informazione: senza alcuna informazione nessuno potrà
perseguire il proprio vantaggio nello scegliere le regole. Ci vuole eguale
informazione, ma invece che piene informazione diamone poca. Per Rawls il
problema è come scegliere i principi per la struttura di base della società.
Distinguiamo la giustizia distributiva, dove un esito è giusto o ingiusto in virtù di un
modello distributivo, e una giustizia procedurale, dove un esito è giusto o ingiusto
in base alla procedura (posizione di Nozick). La giustizia procedurale pura è quella
che ha in mente Rawls: la procedura non è il modo per produrre direttamente delle
distribuzioni, ma un modo per decidere quali principi di giustizia distributiva al fine di
regolare lo Stato. L’esito della procedura per Rawls è un insieme di principi di
giustizia distributivi. La giustizia distributiva è quell’insieme di principi che
sceglieremmo in una situazione in cui fossimo costretti ad adoperare una procedura
di scelta equa.
Una procedura equa potrebbe essere: ognuno sceglie nel proprio autointeresse, ma
in uno stato di ignoranza sui fattori moralmente arbitrari. Saprai solo che vorrai stare
meglio, avere più libertà, senza sapere come le regole ti favoriranno o meno. Se sei
ricco fai una scelta parziale, ma immagina di essere ignorante sulla tua propria
ricchezza e sul tuo reddito. Se tu conosci i tuoi talenti sceglierai un regime che li
premia, ma questo non è equo.
In una situazione in cui sei ignoranti sui tuoi talenti e valori, quale distribuzione
sarebbe la migliore? Secondo Rawls bisogna guardare la posizione del più
svantaggiato. Quando sei in una situazione di ignoranza sui talenti sceglierai di
guardare l’esito peggiore e massimizzarlo verso il meglio.

FILOSOFIA POLITICA (SECONDA PARTE)

Lezione 10: Rawls e i suoi critici

Per Rawls, i principi di giustizia che devono regolare la società vanno approvati
tramite l’applicazione di una procedura equa, che è quella di scegliere i principi che
regolano la struttura di base della società senza conoscere le proprie caratteristiche
arbitrarie e conoscendo i fatti generali riguardo le società. Le caratteristiche arbitrarie
da escludere sono quelle individuali, quali il genere, la razza, la religione, le idee
politiche, i piani di vita, il background famigliare, le capacità produttive, le abilità e le
proprietà. Invece, i fatti generali sulla società che è necessario conoscere sono il

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fatto del pluralismo, la scarsità di risorse, la struttura sociale, la psicologia umana e
gli incentivi alla produzione. Questo è quello che Rawls chiama il velo di ignoranza,
una metafora che descrive le informazioni che noi non abbiamo e che si distinguono
dai fatti generali che invece conosciamo. Secondo Rawls, in questa posizione
originaria (situazione mentale e ipotetica) in cui siamo coperti dal velo di ignoranza,
agiamo secondo una razionalità auto-interessata, quindi senza alcun riferimento al
bene comune, né a ragioni altruistiche.
Sotto il velo di ignoranza della posizione originaria, le parti sceglierebbero
all’unanimità secondo i medesimi principi di giustizia. Questo perché tutte quelle
informazioni che genererebbero disaccordo sono precluse e quindi finiremmo per
scegliere i principi di giustizia secondo la loro priorità lessicale. Questo significa che
prima sceglieremmo il più esteso schema di eguali libertà (di movimento, di opinione,
di culto, ecc.) perché non si vuole correre il rischio di essere una minoranza
oppressa. Successivamente sceglieremmo il principio 2b, di equa eguaglianza di
opportunità, secondo cui sceglieremmo un sistema dove le ineguaglianze
socio-economiche sono collegate a cariche e posizione aperte a tutti, perché non
vogliamo correre il rischio di essere escluse da esse. Infine, sceglieremmo secondo
il principio di differenza, secondo cui il più grande beneficio va a vantaggio del più
svantaggiato, perché, non conoscendo la nostra condizione economico sociale,
vogliamo vivere nella migliore condizione possibile se fossimo i più svantaggiati.
Quest’ultima è la cosiddetta regola del maximin. Per Rawls è importante che noi in
posizione originaria sotto il velo di ignoranza non sceglieremmo solo questi principi,
ma li sceglieremmo proprio nel loro preciso ordine lessicale. Le critiche si articolano
sia dicendo che la posizione originaria non è necessaria per una produzione di
giustizia, mentre altri, riconoscendo la validità della posizione originaria, negano che
le parti sceglierebbero questi principi, mentre altri ancora negano che le parti
riconoscerebbero la priorità lessicale dei principi di giustizia.
Quando Rawls parla del più svantaggiato della società e delle diseguaglianze a suo
beneficio, dobbiamo prima chiarire secondo quale metrica si determina che uno stia
meglio o peggio. Per l’utilitarismo la metrica è ovviamente l’utilità, che a seconda
dell’utilitarismo a cui ci si riferisce si identifica nel piacere, nella soddisfazione di
preferenze, nei piaceri alti o bassi. Invece, per Rawls, ciò che conta per determinare
la posizione di una persona in società e il suo grado di benessere sono i beni sociali
primari, ovvero quello che cose di cui le persone in quanto cooperanti di una società
hanno bisogno ed esigenza. Rawls vuole precisare quali siano questi beni rispetto
all’utilitarismo: egli ritiene che una teoria politica a cui interessano le persone non nei
loro desideri ma in quanto membri operanti di una società deve fare riferimento a
questi beni. Questi sono definiti ancora come beni necessari ai cittadini in quanto tali
e non di cose che sia razionale volere o preferire, o ancora come beni che sono
necessari per condurre qualsiasi piano di vita, sono un mezzo per ogni scopo. In
posizione originaria non si sanno quelli che sono gli scopi o desideri del soggetto e
quindi devo trattare quei beni che fungono da mezzo per qualsiasi scopo, importanti
quindi per i principi di giustizia. L’elenco di Rawls di questi bene comprende cinque
tipi di beni sociali primari.

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Una critica a Rawls che non verrà approfondita è che questo elenco dei beni sociali
primari non sia esaustivo: pur ammettendo la necessitò di una posizione originaria
sotto il velo di ignoranza e riconoscendo l’ordine dei principi di giustizi, si potrebbero
considerare altri beni che tutti desidererebbero, per esempio il tempo libero.
Secondo il principio di differenza di Rawls, se non sappiamo quale posizione
economica occuperemo in società, né qual è la probabilità di essere il più
svantaggiato della società, ci preoccuperemo in maniera prioritaria della condizione
del più svantaggiato. Questa è la regola del maximin. A parità di condizione
dell’ultimo della società si passa a considerare la situazione del penultimo e via così.
Il principio del Leximin proprio quello che prescrive di osservare la condizione del
penultimo a parità di condizioni dell’ultimo e così via in caso si verifichino parità di
condizioni.
La critica utilitarista: La critica utilitarista si chiede se sia vero che le persone in
posizione originaria sceglierebbero secondo il maximin. Infatti, nelle scelte di tutti i
giorni, non sembra questo si applichi. Un esempio presentato è quello della scelta
tra continuare un lavoro sottopagato e poco qualificato a New York e prendere un
aereo per un lavoro stupendo e ben pagato a Los Angeles. Se prendo l’aereo,
questo può precipitare e quindi in quanto morto avrò uno stipendio di 0, mentre se
atterra prenderò 100. Se, invece, io rimango a New York, sia che l’aereo precipiti che
atterri io prenderò sempre 15. Per Rawls e il maximin, io dovrei preferire lo scenario
in cui rimango a New York perché nello scenario peggiore, quello dell’aereo che
precipita, io sto meglio. Quando bisogna prendere una decisione pratica, come
quello dell’esempio, noi calcoliamo le probabilità di ogni esito possibile, tra cui quello
di morire, e corriamo dei rischi, quindi il maximin risulta irrazionale. Per l’utilitarista,
quindi, il principio di differenza andrebbe sostituito con la massimizzazione della
somma dei benefici (prendo l’aereo = 100 (atterra)+0 (cade) = 100 lo preferisco a
restare a New York = 15 (cade)+15 (atterra) = 30). Un calcolo più complicato
prescriverebbe di moltiplicare il risultato di questa somma per la probabilità dei vari
scenari.
Rawls risponde che è vero ciò che gli utilitaristi dicono della razionalità delle scelte
concrete in quanto il maximin è una posizione troppo cauta e avversa al rischio e
quindi irrazionale, tuttavia la posizione originaria è una situazione molto particolare in
cui noi non conosciamo neppure la probabilità di occupare una posizione piuttosto
che un altra e quindi in questo caso il maximin è razionale. Un esempio è quello
della scelta se giocare alla roulette russa con in palio una grossa somma di denaro o
la vita se non si conoscesse le probabilità di morire. Il maximin, in questo caso,
prescriverebbe di non giocare, ignorando la grandezza della vincita, e questo è
plausibile. Giocare in questo caso sarebbe irrazionale per Rawls. Una possibile
replica sarebbe quello di considerare l’equiprobabilità degli eventi quando si ignora
la probabilità effettiva. Tuttavia, anche secondo questo principio giocare alla roulette
russa sarebbe irrazionale e siccome l’utilitarista condivide l’equiprobabilità, per
Rawls egli deve accettare anche il maximin. Riassumendo, per Rawls il maximin
diventa razionale dove non sappiamo le probabilità, dove l’esito peggiore tra i
possibili è molto brutto (per esempio la morte) e non è così importante per l’agente la

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possibilità di superare una certa soglia alta se può essere certo oltrepassare una
soglia minima.
Un altra critica è quella che si chiede che cosa fare quanto la classe svantaggiata è
troppo piccola, oppure se la situazione dei più svantaggiati può essere migliorato
solo di poco a costo di grande sacrifcio degli altri (per esempio da una società
(14;80) a una (15;30)). Lo stesso Rawls considera questo problema chiedendosi se
la società (0;n) è peggio della società (1/n;1). Rispondere in affermativo sembra
controintutivo, ma la risposta di Rawls è che queste due uniche alternative non sono
realistiche. In termini di beni sociali primari, c’è un legame stretto tra cambiamenti
nelle situazioni di chi sta meglio e chi sta peggio.
Le critiche libertarie: Nozick: Nozick propone tre critiche generali all’impianto di
Rawls. Quest’ultimo sostiene che la giustizia distribuisce i benefici e i costi della
cooperazione sociale, ma per Nozick non tutto il prodotto del nostro lavoro dipende
dalla cooperazione sociale. Immaginiamo una serie di individui che producono da
soli, poi iniziano a cooperare aumentando la produzione. La giustizia distributiva
riguarda la somma totale dei prodotti del loro lavoro (T), o solo il surplus derivante
dalla cooperazione (S)? Per Rawls bisognerebbe distribuire T. Rawls, d’altra parte,
non può nemmeno giustificare l’idea che la giustizia distributiva riguardi solamente
S. La cooperazione umana è fatta di un grande numero di scambi volontari e, quindi,
se le persone avevano già titoli sulle cose che decidono di scambiare, perché
sorgerebbero problemi di giustizia quando scambiano liberamente? Nozick usa il
caso di Wilt Chamberlain: se le persone deliberatamente pagano il biglietto per
vedere Chamberlain giocare egli prende una percentuale arricchendosi mentre gli
altri si impoveriscono per vederlo giocare, come è possibile che a partire da uno
scambio volontario e giusto si arrivi a una situazione ingiusta? Tassare Wilt
Chamberlain per riequilibrare le ricchezze non sembrerebbe giusta visto che il suo
arricchimento e il loro impoverimento è frutto di libere scelte e scambi validi.
Una seconda critica è relativa al principio di differenza che pone, secondo Nozick,
termini molto convenienti per i meno dotati o fortunati, ma questi potrebbero non
essere tali da attendersi una cooperazione volontaria da quelli più dotati e si
verificherebbe un’asimmetria. Nozick nota come a trarre il maggior beneficio da
questa cooperazione volontaria sono proprio i meno dotati: i più dotati introducono
idee e invenzioni e queste vanno a beneficio di tutti, anche di coloro che non fanno
nulla per pigrizia, per esempio. Sembra paradossale per Nozick, quindi, in nome
dell’equità, imporre dei limiti alla cooperazione sociale volontaria e all’insieme delle
tenute che ne deriva in modo da dare un beneficio più grande a coloro che già
traggono maggior beneficio dalla cooperazione, ovvero i meno dotati.
Un’ultima critica libertaria mossa da Nozick a Rawls si basa sul concetto di talenti
naturale. Secondo Rawls è sbagliato distribuire risorse secondo i talenti naturali
perché questi sono arbitrari. Essi sono alcune di quelle informazioni di cui dovremmo
essere privati nella posizione originaria. Nozick si chiede però cosa si possa dire
delle scelte delle persone di sviluppare i propri talenti naturali e perché Rawls ignori i
vantaggi che ne derivano. Forse perché crede che anche il carattere personale derivi
dalle circostanze famigliari o dal DNA, dei fattori di cui non ho responsabilità. Nozick

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dice però che se sosteniamo questo, ovvero pensare alle nostre scelte di sviluppare
i talenti come fattori arbitrari, porta a negare l’autonomia e la responsabilità morale
degli individui. Sembrerebbe, quindi, anche che il principio di differenza finisca per
deresponsabilizzare i soggetti. Eppure, la teoria di Rawls prescrive di difendere la
dignità e il rispetto di sé di esseri autonomi e fonda i principi sulla scelta di persone
libere ed eguali. In questo senso Rawls pretende di essere un liberale.
La critica egualitaria di Sen: Mentre Nozick critica Rawls da destra, Sen lo critica
da sinistra ritenendo che non sia abbastanza egualitaria. Una teoria egualitaria
dovrebbe chiedersi di che tipo di eguaglianza si tratti, dovrebbe avere una metrica
dell’eguaglianza. I beni primari sociali, che sono la metrica dell’eguaglianza secondo
Rawls, non sono, per Sen, sufficienti in quanto non includono la salute o le abilità
fisiche o mentali delle persone, quelli che si potrebbero chiamare beni primari
naturali. Di conseguenza, la teoria di Rawls sembra insensibile alla sorte dei disabili.
Sen sostiene che la giustizia non riguardi solo la distribuzione di risorse, ovvero dei
mezzi di fare le cose, ma la distribuzione delle capacità. Le risorse si convertono in
utilità in diversi gradi in diverse persone. Alcune persone, come quelle con
preferenze costose, sono poco efficienti in questa conversione. Per Sen, le risorse si
convertono anche in capacità in gradi diversi in persone diverse. Per esempio, un
disabile ha bisogno di più risorse perché possa sviluppare la medesima capacità di
una persona abile. Per eguagliare le capacità servirebbero quindi risorse ineguali,
mentre se volessimo garantire l’eguaglianza di risorse avremmo un’ineguaglianza di
capacità. Rawls potrebbe rispondere che potrebbe essere vero, ma si potrebbe
applicare il principio di differenza alle capacità per cui i disabili avranno più risorse
rispetto a qualsiasi distribuzione alternativa.
Altre critiche: Ci sono degli egualitaristi che accettano il livellamento verso il basso
in quanto ritengono che l’eguaglianza sia un bene intrinseco indipendentemente
dalle condizioni assolute delle diverse parti della società. Preferirebbero quindi una
piena eguaglianza (14;14) rispetto a sistemi in cui il più svantaggiato sta meglio ma
ci sono grandi differenze, come (15;20) o (16;80). Sostengono quindi la possibilità di
un livellamento verso il basso pur di mantenere l’eguaglianza.
C’è anche una critica meritocratica che sostiene che anche nella posizione
originaria, le persone starebbero attenti a dare a tutti quello che si meritano.

Lezione 11-12: Sufficientismo

Prima ricapitoliamo la giustizia distributiva. Essa è la branca della filosofia politica


che elabora i principi della giusta ripartizione di benefici e oneri tra individui. Queste
teorie si misurano su due criteri: la metrica e il principio. Per l’utilitarismo il bene da
distribuire è l’utilità generale, mentre il principio è la massimizzazione. Per il
libertarismo di Nozick non ci sono principi di giustizia distributiva e i principi
riguardano solamente la giustizia in acquisizione e trasferimenti. Per Rawls si hanno
i beni sociali primari come metrica e il principio sulla base del quale distribuirli è il
principio di differenza. Poi c’è l’approccio delle capacità in cui la metrica sono le
capacità, mentre il principio distributivo può essere o quello di differenza o quello di

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eguaglianza. Infine, abbiamo l’egualitarismo in cui la metrica sono le risorse e il
principio è l’eguaglianza anche a costo di livellamento verso il basso. I beni sociali di
Rawls sono di cinque tipi, ma la giustizia distributiva in senso stretto riguarda
solamente il quarto tipo di beni, ovvero il reddito e la ricchezza su cui ci
concentreremo da ora in poi.
Frankfurt parte dalla constatazione che le teorie distributive del tempo fossero troppo
concentrate sull’ideale di eguaglianza economica, mentre, secondo lui, ciò che
spinge le persone a raggiungere l’eguaglianza è l’idea di povertà come urgenza
distributiva. Frankfurt inizia il suo testo analizzando un frase di Obama per cui il vero
problema distributivo con cui la società americana si confronta è quello della
disuguaglianza e sembra quindi far intendere che l’obbiettivo della sua politica sarà
ridurre questo obbiettivo. Secondo l’ONU il decimo obbiettivo dell’agenda ONU è
proprio ridurre le disuguaglianze. Per Frankfurt non è il fatto che le persone abbiano
risorse ineguali, ma il fatto che alcune persone non hanno abbastanza risorse. Il
problema non è, in sé, la differenza di reddito, ma che molti hanno poco e pochi
hanno molto.
La povertà è un concetto non comparativo, ovvero per definire una persona come
assolutamente povera non bisogna fare riferimento alla situazione economica del
resto della società. Per fissare il principio distributivo di abolire la povertà non
dobbiamo fare riferimento al resto della società, a differenza dei principi di Rawl, per
esempio, che sono comparativi perché dobbiamo comparare situazioni differenti per
raggiungere l’eguaglianza. Una definizione di povertà è quello stato di indigenza
consistente in un livello di reddito troppo basso per permettere la soddisfazione i
bisogni fondamentali in termini di mercato, nonché in una inadeguata disponibilità di
beni e servizi di ordine sociale, politica e culturale. Gli economisti, oltre a definirla, si
occupano di misurarla. Secondo la Banca mondiale, la povertà assoluta vuol dire
avere meno di 1.90$ al giorno, mentre in Italia, per una persona del Nord, significa
avere meno di 839 euro. Esiste anche una povertà relativa, che è un concetto
egualitario e comparativo, e indica, secondo l’ISTAT, quelle persone che
guadagnano meno del 60% del reddito medio.
Frankfurt espone la sua disaffezione per l’eguaglianza economica come principio di
giustizia distributiva ed esprime generalmente in cosa consiste, ovvero ridurre la
povertà, e si scontra con due oppositori. Per Frankfurt sembra esserci un’ortodossia
e un consenso generale a favore di un orientamento utilitarista a favore
dell’eguaglianza. Questo argomento, presentato da Abba Lerner, afferma che una
distribuzione egualitaria delle risorse massimizza l’utilità generale. Questo
argomento si fonda su due assunzioni di base, ovvero che l’utilità marginale delle
risorse è decrescente e che tutti abbiamo stesse funzioni di utilità.
Per utilità marginale decrescente si intende che l’utilità di ogni ulteriore unità di
risorse è inferiore a quella precedente, quindi, in parole povere più ho e meno le
risorse che ottengo producono utilità. Se noi affermiamo che l’utilità marginale è
decrescente, è chiaro perché l’utilitarismo appoggi una distribuzione egualitaria delle
risorse: se noi diamo a tutti una quantità eguale di risorse, produrremo un’eguale
quantità di utilità che sommata ci dà la maggiore utilità possibile. Per Frankfurt, però,

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non è sempre vero che l’utilità marginale è decrescente, perché noi possiamo notare
che ci sono soglie di utilità che determinano degli sbalzi nella funzione di utilità. Per
esempio, per un collezionista è molto più importante avere l’ultimo pezzo della
collezione che il penultimo, quindi il francobollo numero 20 porterà più utilità rispetto
a quello 19, causando un balzo nella funzione di utilità. Si potrebbe rispondere che il
francobollo per un collezionista è sono una risorsa molto particolare che si adatta a
un progetto molto particolare, quindi non si può astrarre su una risorsa generale
come il denaro. Tuttavia, una situazione che produce balzi nella funzione di utilità si
possono riscontrare anche con il denaro. Per esempio, possiamo immaginare un
uomo che risparmi per comprare un determinato bene, quindi l’ultimo euro
risparmiato che permette di acquistare quel bene fa balzare la mia funzione di utilità
(l’ultimo euro dà più utilità di tutti gli altri). Frankfurt nega quindi il primo presupposto
dell’argomento utilitarista per l’eguaglianza e questo dovrebbe essere sufficiente,
perché non è più vero che distribuire egualmente le risorse comporta una
massimizzazione dell’utilità generale. Distribuire in modo diseguale ma in modo di
produrre balzi di utilità (metà può comprarsi un auto, gli altri) produce una maggior
massimizzazione di utilità rispetto a una distribuzione eguale in cui nessuno può
comprare l’auto.
Frankfurt si chiede poi se sia vero che tutti abbiano la stessa funzione di utilità e
fornisce una risposta negativa. Innanzitutto ci sono persone con disabilità fisiche e
mentali che hanno bisogno di più risorse per ottenere la medesima utilità. Questa è
una posizione affine a quella di Sen. Già questo esempio, per Frankfurt, nega il
secondo assunto di base dell’argomento utilitarista. Inoltre, ognuno ha gusti e
progetti diversi da quelli degli altri e alcuni sono più costosi di altri. Infine, le
preferenze sono adattive, ovvero si adattano alle esperienze che abbiamo già avuto.
È chiaro che, se noi falsifichiamo che l’utilità margianle sia decrescente e che tutti
abbiano la stessa funzione di utilità, dobbiamo negare che l’utilitarismo sostenga
l’egualitarismo.
Scartata l’idea che l’utilitarismo sia una buona base per sostenere l’eguaglianza
economica, ci sono comunque altre ragioni per cui si potrebbe sostenere una simile
posizione, quindi Frankfurt passa alla critica all’idea generale che l’eguaglianza
economia sia un ideale normativo. Partiamo dall’esempio di tre persone che si sono
intossicate respirando un gas nocivo e sono all’ospedale. Noi sappiamo che per
salvare la vita di ciascuno di essi è necessario inniettare quattro dosi di antidoto,
altrimenti morirebbe in brevissimo tempo. L’ospedale ha solo 9 dosi, come dovrebbe
distribuire?
Prendiamo come assunto che tiriamo a sorte a chi si dà la dose. Per Frankfurt è
assurdo credere che, in un simile caso, dovremmo distribuire gli antidoti in maniera
egualitaria in quanto non salveremmo nessuno. Si può complicare il caso,
ipotizzando che le dosi scadano domani e che quindi il giorno dopo saranno buttate.
Se una persona ottiene una dose in più di antidoto può viere un giorno in più, se ne
riceve due due giorni in più, se ne riceve tre tre giorni in più, se ne riceve quattro è
salvo e se ne riceve cinque sarà immune all’intossicazione da quel gas. Come
distribuirle stavolta? Frankfurt, in questo caso, direbbe che è sbagliato pensare che

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A sia l’opzione preferibile in quanto lo sono B o C, senza esprimere la preferenza per
una delle due, ma semplicemente affermando che l’egualitarismo non è la soluzione
migliore.
La posizione di Frankfurt è il sufficientismo Head-Count per cui bisogna
massimizzare il numero di persone che sta al di sopra di una certa soglia di
sufficienza di risorse. Essa non deve necessariamente essere quella di povertà. Per
Frankurt è più alta. Per Frankfurt avere abbastanza denaro non equivale affatto ad
averne abbastanza per tirare avanti, né ad averne abbastanza per rendere la vita
accettabile.
Una prima obiezione al sufficientismo così definito è quella dell’arbitrarietà. In quanto
sufficientisti dobbiamo determinare la soglia di sufficienza, ma la soglia di sufficienza
che si può stabilire è necessariamente arbitraria per gli oppositori. Il sufficientismo
risponde che una soglia sia convenzionale oppure non del tutto decisa e questo non
vuol dire che sia arbitraria. Per esempio l’età minima per votare che è una soglia
convenzionale, ma dobbiamo stabilirne una uguale per tutti, ma non per questo è
arbitraria.
Il sufficientismo Upper Limit è articolato intorno a una tesi positiva, per cui è
importante che tutti abbiano abbastanza, ovvero siano sopra una certa soglia di
sufficienza, e una tesi negativa, per cui una volta che è garantito a tutti abbastanza,
la giustizia distributiva non si applica al di sopra della soglia minima di risorse. Ciò
non significa non si possano applicare altri principi, ma semplicemente non si applica
più una giustizia distributiva.
Per sviluppare una teoria sufficientista valida e funzionante bisogna che produca
risultati plausibili e che sia una teoria distinta da altri principi distributivi e, in
particolare, da quella di differenza, ovvero in alcuni casi deve produrre risultati
diversi da quella degli altri principi.

Lezione 13: Il sufficientismo è razionale (seconda parte)

Individui sotto il velo di ignoranza in posizione di ignoranza scarterebbero principi


sufficientisti? Il sufficientismo è razionale se la soglia di sufficienza è situata a quel
livello superato il quale diciamo che una persona ha avuto troppo. Mentre però
questa considerazione può essere valida per la quantità di cibo durante un pasto,
ma non c’è una soglia superata la quale il denaro diventerebbe troppo e andrebbe a
ridurre la nostra funzione di utilità. Però per Frankfurt la soglia non va stabilita a quel
livello del denaro, non va pure fissata a livello di povertà, intesa come quella
condizione che ci permette di soddisfare le necessità basilari. Per Frankfurt la soglia
rappresenta il soddisfacimento di uno standard, superato il quale si continua a
desiderare più denaro ma ci si può ritenere soddisfatti di quanto si possiede.
Se stabiliamo questa soglia, e ci chiediamo come tratterebbero questa soglia sotto il
velo di ignoranza in posizione originaria? Per Rawls gli individui sceglievano come
principio distributivo quello che guarda al più svantaggiato. Frankfurt però fa questa
obiezione: ipotizziamo che una soglia di risorse sufficienti per una vita soddisfacente

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sia di 1.500 euro. Quale delle tre opzioni sceglieremmo di quelle presenti nella
slide?
Tutte e tre le sfere rispettano la soglia di sufficienza, però il maximine preferirebbe B
o C, la sua versione più elaborata B. Il sufficientismo dovrebbe essere indifferente
riguardo alle tre opzioni.
Sufficientarismo upper limit: è importante che tutti abbiano abbastanza, almeno
una certa soglia di risorse, come tesi positiva. Come tesi negativa: una volta che è
garantito a tutti abbastanza, la giustizia distributiva non si applica al di sopra della
soglia minima di risorse.
Sufficientismo e libertarismo: la disuguaglianza tra Chamberlain e i suoi spettatori
sono ingiuste se garantiamo che chiunque ha abbastanza denaro? Dovremmo
tassare Chamberlain per dare risorse ai suoi spettatori, una volta garantito che
nessuno cada sotto la soglia di sufficienza? Chi crede che non dovremmo tassarlo
se tutti stanno sopra la soglia?
Un'obiezione importante mossa al sufficientismo upper limit, che si rivolge alla tesi
negativa: anche se potremmo migliorare la condizione del più svantaggiato, il
sufficientismo non ci obbliga a farlo. La risposta: il principio di differenze e
l’eguaglianza ci portano a sostenere che esistono problemi di giustizia distributiva tra
miliardari.
All’obiezione di indifferenza i sufficientisti rispondono: stabilire due soglie, una più
bassa che rappresenti la tesi positiva, e una più alta la tesi negativa.
Altra forma di sufficientismo è quella elaborata da Shields che è la tesi del cambio:
la tesi positiva è uguale, ma una volta che abbiamo assicurato a tutti abbastanza.
possiamo applicare eguaglianza e maximine, ma la forza che questi principi hanno
diventa minore più ci allontaniamo verso l’alto, cioè meno ci importano come principi
distributivi.

Lezione 14: Giustizia distributiva internazionale

Ogni teoria morale accettabile assume un background generale secondo cui


l’imparzialità morale è importante. Questa assunzione è collegata con l’idea di
eguaglianza morale, secondo la quale tutti gli individui sono eguali in qualche senso
fondamentale del termine, e i loro interessi devono contare in maniera eguale.
Abbiamo visto però, attraverso i casi come quello del treno, dove una delle parti
eravamo noi, che le nostre intuizioni morali accettano qualche forma di parzialità
importante, tali che molti avevano cambiato il proprio giudizio.
La parzialità che i cittadini di uno Stato sentono verso i propri concittadini dove
rientra? Nei criteri di parzialità o imparzialità? Cosa penseremmo di casi in cui
dobbiamo decidere se imporre una perdita a una persona o a un gruppo verso cui
siamo parziali per evitare una perdita significativa a un individuo estraneo?
Singer, sia nel caso del bambino che quello della fame nel Bangladesh articolo un
principio generico: se possiamo prevenire qualche male senza sacrificare qualcosa
di importanza comparabile, abbiamo il dovere di farlo. Per fare una valutazione
dobbiamo guardare quattro dimensioni: entità del danno che possiamo prevenire,

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irreversibilità del danno, entità della perdita che dobbiamo subire per evitare quel
danno, irreversibilità della perdita per noi. Se guardando queste quattro dimensioni
la perdita che dobbiamo sopportare è inferiore rispetto a quello che possiamo
prevenire, per Singer abbiamo il dovere di accettare quella perdita.
A livello individuale e morale questa teoria ha dato vita alla corrente dell’altruismo
efficace. C’è un sito di Singer il cui obiettivo è quello di stabilire una quota delle
proprie risorse da destinare a programmi efficienti di riduzione delle sofferenze
globali. Singer è un utilitarista, e questo principio è utilitarista. Con questo principio
Singer giustifica tanto di salvare il bambino che sta annegando quanto quello che sta
morendo di fame.
Vediamo se la perdita che dobbiamo subire è più grave: al posto di perdere i vestiti,
perdo una visita medica, oppure l’aereo per trovare un parente che vive in un altro
continente, oppure un colloquio di lavoro. D’altra parte, però, possiamo tenere fissa
la perdita che possiamo prevenire, come la cecità o la perdita di un arto del
bambino.
Potrebbe essere una teoria morale troppo esigente perdere l’aereo per andare a
trovare mio padre per garantire un livello di istruzione sufficiente a un bambino che
vive in un paese povero. Molti sostengono che in questo caso è troppo esigente la
richiesta. Il principio di Singer, con tutte queste complicazioni o dettagli, può
diventare troppo esigente e porre troppi dubbi sul nostro stile di vita quotidiano.
Dall’altra parte dobbiamo anche chiederci se, alla luce di quel principio, cosa direbbe
Singer nel caso dell’esempio del treno. Che cosa direbbe? Singer non tratta questi
casi, o comunque non dà una risposta chiara. Una chiara interpretazione del
principio incorrerebbe nei problemi appena citati di eccessiva richiesta morale.
Rimaniamo però su una lettura meno esigente, che ci obbliga a sopportare piccole
perdite economiche per evitare la morte a persone che vivono dall’altra parte del
mondo. La perdita dei soldi per comprarmi i vestiti è inferiore rispetto alla morte di
una persona o anche alla sola cecità di questa.
Salvare il bambino è solo un dovere morale o anche un dovere politico? Lo Stato
dovrebbe punirmi se decido di andare a tenere lezione e abbandonare il bambino?
Un ufficiale pubblico ha il dovere legale di salvarlo? E ancora: abbiamo il dovere
politico di salvare bambini che vivono a migliaia di chilometri di distanza da noi?
Dobbiamo tassare i nostri cittadini per salvarli? E di quanto? Può o deve essere uno
Stato parziale nei confronti dei propri cittadini? Che tipo e quanta parzialità è giusta?
Per quelli che ammettono che a livello domestico del proprio Stato i doveri morali
devono tradursi in doveri politici, questi doveri morali e politici devono essere
applicati anche a cittadini che vivono in un altro Paese applicando loro delle tasse?
Le diverse risposte che si possono dare determinano le diverse teorie della giustizia
internazionale. Troviamo prima il cosmopolitismo, il quale sostiene che non ci
sono buone ragioni per stabilire principi diversi di giustizia all’interno di uno Stato e
tra Stati. Cosmopolitismo non richiede necessariamente l’istituzione di politiche
globali o di uno Stato globale. Il cosmopolitismo si può applicare a qualsiasi teoria
distributiva: utilitarismo (Singer), libertarismo, maximin (Beitz), sufficientismo (Fabre).
L’utilitarismo ha una naturale tendenza al cosmopolitismo. Il libertarismo è invece

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troppo poco esigente, perché non permette di tassare gli individui per sfamare dei
bambini; come teoria cosmopolita, però, il libertarismo può essere applicato a questo
esempio: uno costruisce una fabbrica che inquina e i fumi vanno in un solo Stato. Lo
Stato dovrebbe intervenire? Sì, perché è un’azione ingiusta. Pensiamo all’emissione
di CO2: gli effetti della sua produzione non sono distribuiti in maniera egualitaria.
Anche per un libertario i diritti negativi delle persone che vengono affette da questi
cambiamenti sono da tutelare, perché costituiscono una violazione dei diritti negativi.
Il libertarismo può quindi avere implicazioni interessanti come teoria della giustizia
internazionale.
Al cosmopolitismo si oppone Rawls con “Il diritto dei popoli”. Egli sostiene che c’è
una struttura di base internazionale: ci sono Stati che hanno rapporti fra di loro, e
bisogna distinguere tra quattro tipi di società: le società liberal-democratiche, le
società decenti, le società svantaggiate, le società fuorilegge. Nelle prime vi è
neutralità liberale e democrazia, anche se non perfettamente giuste; nelle seconde
c’è il rispetto dei diritti umani, anche se vi sono gerarchie; nella terze non c’è un
ordine politico stabile a causa di condizioni economiche sfavorevole; nelle quarti i
diritti umani non vengono rispettati, e sono aggressivi nei confronti di altri popoli.
In posizione originaria ci sono popoli che devono elaborare principi di giustizia
internazionale. Il velo di ignoranza consiste nel fatto che non si sa quale popolo si
rappresenta, la sua dimensione e quella del territorio, il proprio potere economico,
politico e militare, la quantità di risorse naturali e il grado di sviluppo economico. Per
Rawls i popoli sceglierebbero 8 principi di giustizia, tra i quali il dovere di
assistenza, cioè che i popoli hanno il dovere di assistere altri popoli che vivono in
condizioni svantaggiate che impediscono l’esistenza di un regime politico-sociale
decente. E’ un principio diverso dal principio di differenza domestico.

Lezione 15: Giustizia distributiva internazionale (seconda parte)

L’obiettivo per Rawls è un’utopia realistica: stabilire una società di popoli


liberl-democratici o decenti stabile in cui venga garantita pace, sicurezza e rispetto
dei diritti umani. Per Rawls tutte le società evolvono verso questi due modelli. Per
raggiungere questi obiettivi i popoli sceglierebbero 8 principi, tra cui quello di
assistenza. In alcuni casi il dovere di assistenza consiste in inviare risorse
economiche e altro, mentre in altri casi nella condivisione di competenze e di
conoscenze, per aiutarli in termini di organizzazione e amministrazione.
L’obiettivo è sempre quello dell’utopia realistica, quindi tutte le società devono
raggiungere quelle due forme, e poi è più sensibile a considerazioni di
responsabilità. I popoli in posizione originaria scarterebbero una posizione
imparziale o cosmopolita, perché nel mondo reale i popoli non la accettano e non
regolano le proprie politiche in questo modo. Singer non è d’accordo.
Rawls risponde alle critiche di Singer facendo appello a due casi. Due paesi sono
allo stesso livello di ricchezza e la stessa quantità di popolazione. Il primo si
industrializza, mentre il secondo sceglie di no. Qualche decennio dopo il primo
paese è più ricco del secondo. Dovrebbe lo Stato industrializzato tassarsi per aiutare

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il secondo? No, i popoli non sceglierebbero principi cosmopolitici in posizione
originaria. Vediamo un secondo caso: il tasso di crescita della popolazione è
abbastanza alto, ed entrambi i paesi rispettano i diritti delle donne; il primo ne pone
un particolare accento, e quindi raggiunge un tasso di crescita della popolazione di
0, perché le donne fanno sempre meno figli. La seconda società, a causa dei valori
sociali e religiosi maggioritari, non riduce il tasso di incremento della popolazione, e
questa società diventa il doppio della prima. Rawls conclude: dato che entrambe le
società sono libere e decenti il principio di assistenza non si applica. Non abbiamo il
dovere di aiutare perché le parti in posizione originaria non lo avrebbero scelto.
Per Rawls, però, a livello domestico gli individui non devono essere svantaggiati per
le proprie capacità/ambizioni; perché a livello internazionale sì? Nei due casi che
abbiamo visto ci sono delle responsabilità determinate dalle scelte dei popoli.
In società liberali e in quelle decenti le scelte le fanno la maggioranza e una
gerarchia, non tutte le persone. Alcune non sono d’accordo.
Vediamo il cosmopolitismo egualitario. Essi ritengono che esiste un sistema di
cooperazione internazionale che definisce una struttura di base internazionale dove
agiscono individui: possiamo quindi costruire una posizione originaria dove individui
devono elaborare principi di giustizia internazionale. Secondo questi egualitari gli
individui in questo tipo di posizione originaria sceglierebbero principi cosmopoliti: è
giusta quella distribuzione di risorse che va a vantaggio del più svantaggiato globale;
non sono necessarie istituzioni globali, ma gli Stati devono rispettare questo
principio. L’obiezione dei rawlsiani è: non esiste un vero e proprio schema
cooperativo internazionale. Appellarsi solo al commercio non basta.
Seguendo Rawls sembra che in una società decente tutti gli individui abbiano
assicurato un livello sufficiente di benessere, ma non è così, perché ci sono delle
catastrofi che possono colpire anche Stati liberl-democratici o decenti. La
persistenza di un ordine politico democratico non riguarda la condizione di ogni
cittadino. Gli Stati non hanno doveri distributivi nei loro confronti. Perché?
Vediamo la teoria di Rawls, che è quella dello statismo o nazionalismo. Essa
ritiene che ci sono valide ragioni per applicare principi di giustizia diversi all’interno di
uno Stato e tra Stati. Abbiamo buone ragioni per essere parziali nei confronti dei
nostri concittadini.
Abbiamo un dovere di dare risorse a una persona o Stato che è responsabile della
sua povertà? L’egualitarismo della sorte dice che dobbiamo distinguere la sfortuna
bruta, quella per cui nessun agente è responsabile, quella opzionale dovuta a scelte
proprie, e quelle altrui dovute a ingiustizie subite. L’egualitarismo della sorte dice che
dobbiamo neutralizzare gli effetti della sfortuna bruta, dobbiamo far pagare le
ingiustizie a chi le ha commesse, e se questi non riesce è la società, e poi devono
essere gli individui a pagare le scelte che compiono.
Obiezioni: la distinzione tra scelte e sfortuna bruta non è chiara, dobbiamo
comunque aiutare chi sta peggio o finisce sotto una certa soglia, come ai fumatori
per malattie contratte a causa del fumo. Si può applicare agli altri Stati? I cittadini
sono sempre responsabili delle scelte del proprio Stato? Nelle democrazie le scelte

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politiche sono un prodotto delle scelte dell’insieme dei cittadini, ma ci sono dei
singoli che possono non essere d’accordo.
Articolo di Pogge: egli sostiene che le società ricche hanno il dovere di aiutare
quelle più in difficoltà. C’è un dovere negativo di non perpetuare ingiustizia. [SLIDE]

Lezione 16: Giustizia distributiva internazionale (terza parte)

Il consenso sul solito esempio morale della leva non mostra particolare interesse
nei confronti della distinzione tra connazionali e stranieri. Il legame di connazionalità
può giustificare una parzialità? Nel caso di una scelta tra 1 vittima e 1 vittima, e non
in un rapporto di 1 a 5? Chi ha intenzione di tipo sufficientista può voler dare più
risorse ai propri connazionali che non agli stranieri.
Egualitarismo della sorte: un individuo può essere svantaggiato economicamente
per sfortuna bruta, per cui nessun agente è responsabile, sfortuna opzionale dovute
a scelte proprie e sfortuna opzionale dovuta a scelte altrui.
Il principio è che bisogna neutralizzare gli effetti della sfortuna bruta, far pagare ai
responsabili i costi delle ingiustizie che hanno fatto subire agli altri, e laddove non lo
farà farlo ricadere sulla collettività, e lasciare a sé chi sbaglia per scelte proprie.
Perché questa teoria è diversa dal sufficientismo? Perché il sufficientismo non
permette che nessuno cada sotto la soglia di sufficienza, anche se dovuto a scelte
della persona; è più esigente dell’egualitarismo. L’egualitarismo della sorte è stato
accusato di essere libertario, perché le persone devono sostenere i costi delle
proprie scelte, ma in particolare si parla di egualitarismo di sinistra: le persone
dispongono dalla nascita di uno stock standard di risorse, e ognuno è responsabile
di come ne dispone.

Mentre all’interno della società ci sono misure di enforcement, cioè di rispetto dei
principi, a livello internazionale non c’è. Se alcuni Stati non rispettano i propri doveri,
cosa dobbiamo fare? Ma anche a livello domestico, cosa succede se un individuo
non rispetta il principio di giustizia? Riguardo alla CO2 dobbiamo chiarire se ci
interessa quanto uno Stato produce, o quante emissioni pro capite hanno.
Presentiamo il caso che dovrebbe far luce sulla giustizia internazionale: come
distribuire i vaccini per il Covid? [SLIDE]
Vediamo alcuni principi secondo i quali possiamo attuare questa distribuzione.

Giustizia intergenerazionale: branca della filosofia politica che elabora i principi


della giusta ripartizione di benefici e oneri tra membri di generazioni diverse. Come
le istituzioni pubbliche dovrebbero ridistribuire le risorse tra generazioni? Ad
esempio: è giusto che le leggi votate da generazioni ormai morte valgano ancora?
Tra due contagiati affetti da Covid, uno che ha 18 anni e uno 75 anni, a chi do la
priorità?

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Generazione significa un insieme di individui ad un certo stadio della vita; un
insieme di individui nati in uno specifico periodo; insieme di individui nati a grande
distanza tra loro e che condividono nessuno o pochi anni di vita, generazioni passate
e future.

Lezione 17: Giustizia intergenerazionale (prima parte)

Riprendiamo il caso del respiratore: riduciamo la differenza di età, e siamo meno


certi che un individuo ha un’aspettativa di vita effettivamente più lunga dell’altro.
Perché cambiamo giudizio riducendo la differenza d’età? A seconda della differenza
d’età si passa una soglia per cui la questione non è più “salviamo il più giovane”, ma
si lancia una monetina e si vede cosa succede.
Anche assumendo che possiamo prevedere che il 46enne sopravviva di più del
47enne, noi lanciamo la monetina. Quando la differenza è più piccola preferiamo
garantire imparzialità. Più diminuiamo la differenza più diminuisce il principio di
parzialità. Massimizzare la vita è il principio che si segue.
QALY è un approccio per le scelte mediche. Un QALY è un anno di vita in buona
salute, mentre 0 è la morte. Nelle scelte dobbiamo massimizzare i QALY. Ha però
dei possibili problemi: riprendiamo il caso del treno. La speranza di vita è di 82 anni;
su un binario c’è un 18enne, sull’altro cinque 75enni. Cosa farebbe il QALY?
Salviamo il 18enne, perché ha 64 anni da vivere rispetto ai 35 dei 75enni, tenendo
conto anche la qualità della vita di un giovane che è superiore rispetto agli anziani.
Pensiamo ad una obiezione: possiamo continuare ad aggiungere persone al binario
dei 75enni. Salvare più vite possibili è un principio diverso dal QALY. Se ci fossero
un 18enne sano e uno con patologia? Si può guardare alle esperienze che uno può
ancora fare? Il QALY sceglierebbe il 18enne malato. E’ una discriminazione giusta?
Gli individui invecchiano, e questo rende la giustizia intergenerazionale molto
peculiare, perché questi passaggi li avranno tutti. Ma le persone a diversi stadi della
loro vita possiedono diverse quantità di risorse, hanno diversi bisogni e tassi di
produttività, alcuni più costosi da soddisfare di altri.
Egualitarismo delle vite intere, proposto da Norman Daniels: tutti gli individui
devono possedere un’eguale quantità di risorse nelle loro vite intere. Disuguaglianze
di età non sono intrinsecamente rilevanti: infatti nel corso delle nostre vite siamo tutti
egualmente soggetti a queste ineguaglianze.
Questa è una teoria popolare del dibattito: quello che conta è che i diversi individui
abbiano la stessa quantità di risorse nel corso della loro vita. Il problema è quando
lungo l’intero arco di vita le persone hanno risorse diseguali. Alcune ipotesi: tutti gli
individui vivono all’incirca per lo stesso numero di anni; non possiamo sapere chi
morirà prima e chi dopo; gli individui non hanno piena possibilità di determinare la
lunghezza della propria vita; le disuguaglianze in un determinato periodo possono
essere ricompensate in periodi successivi. [SLIDE] Nell’esempio di Anna e Beatrice
bisogna vedere se c’è una disuguaglianza nelle loro vite, e ciò non si dà perché
l’uguaglianza delle vite intere viene garantita. Stessa cosa nel secondo esempio.

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Ma qualsiasi tipo di distribuzione lungo le vite di persone è giusto? Secondo Daniels
bisogna mantenere quell’uguaglianza, ma all’interno delle vite delle persone
dobbiamo scegliere secondo il criterio di un agente prudente e razionale che deve
delineare il corso della sua vita.
Due obiezioni: non è chiaro determinare cosa sceglierebbe un agente prudente e
razionale; noi dobbiamo rispettare il diritto a fare scelte imprudenti, è ingiusto
imporgli di pagare i contributi per pagarsi la pensione, ma dovrebbe fare da solo. La
distribuzione che rispecchia le preferenze di risparmio e spesa di ogni individuo.
Trasferimenti ascendenti: da coorte di nascita giovane a una più anziana.
Trasferimenti discendenti: da coorte di nascita più anziana a una più giovane.
L’egualitarismo delle vite intere ci porta a fare trasferimenti discendenti importanti
verso i bambini perché questo avrà un impatto importante sulla loro vita. Lo Stato
impone trasferimenti discendenti per evitare che le persone fanno scelte imprudenti.
Ma riguardo ai trasferimenti ascendenti?
Obiezione all’egualitarismo delle vite intere: l’identità personale, cioè
nonostante cambia l’età ogni individuo rimane tale lungo tutto l’arco della propria
vita; privazione, perché potrebbe essere razionale vivere per alcuni periodi della
propria vita in condizioni di privazione o al di sotto della soglia di sufficienza;
disuguaglianza, perché permette significative forme di disuguaglianza in certi
periodi di tempo. z
Sulla base di queste obiezioni McKerlie ha proposta un’altra teoria: anche se
assumiamo l’identità personale nel tempo le disuguaglianza in determinati periodi di
tempo sono moralmente rilevanti. I due principi sono: sufficientismo
intergenerazionale, cioè dobbiamo garantire a tutti gli individui a ogni stadio della
loro vita che non finiscano sotto la soglia di sufficienza; principio di differenza
intergenerazionale, cioè dobbiamo migliorare la condizione di chi sta peggio in ogni
determinato periodo.

Lezione 19: Giustizia distributiva intergenerazionale (seconda parte)

Articolo di Gosserie. Egli procede per ipotesi astratte per avvicinarle al reale. Egli
parte da diverse ipotesi, per vagliare 4 possibili approcci: patriarcale,
contrattualista, sufficientista e neutralista. L’autore aveva poi introdotto l’ipotesi
che le persone vivono un numero diverso di anni. Cosa possiamo dire riguardo ai
trasferimenti discendenti in questo caso? Avere una vita lunga è un vantaggio
significativo rispetto ad averne una corta. Possibilità d’intervento: aumentare aliquota
previdenziale; aumento periodo di contribuzione; ridurre benefici per anziani.
Dobbiamo essere cauti nell’applicare le prime due soluzioni perché ci saranno molti
individui che pagano molto di più di quello che ricevereranno.
L’ultima soluzione ci permette di esprimere un dilemma: se prendiamo sul serio
l’egualitarismo delle vite intere e eterogeneità della longevità, non possiamo
concentrare troppo sulle persone produttive giovani il costo dell’alta longevità; l’altro
lemma dice che se prendiamo sul serio la necessità di garantire una vita

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sufficientemente buona a tutti, indipendentemente dalla loro età, non possiamo
concentrare troppo sugli anziani più poveri il costo dell’alta longevità.
La soluzione di Grosserie: diminuire il divario tra pensioni tra anziani più ricchi e più
poveri. Così non graviamo troppo sui giovani produttivi, e nemmeno sugli anziani più
poveri. Questo potrebbe andare a scapito del principio dell’egualitarismo delle vite
intere. La questione che alcune persone vivono di meno è anche determinata dalle
condizioni socio-economiche.
L’ultima ipotesi che Grosserie formula è: l’età media della coorte di nascita
successiva è maggiore della precedente. [SLIDE Gaia, Ilaria e Leonardo]
Problema: un individuo potrebbe voler destinare meno risorse per la sua vecchiaia,
e decidere quindi di morire prima di quando gli spetterebbe. Dovremmo accettarlo?
Lo Stato può prendere in considerazione questa preferenza? Può essere che
l’individuo non muore, o che cambi idea quando diventa anziano. Allora cosa si fa?
Lo Stato dovrebbe ucciderlo? No, perché dobbiamo considerare che l’individuo ci
ripensi, oppure lasciarlo senza risorse. Altra risposta: è indegno, una forma di
schiavitù volontaria. Non abbiamo il diritto di terminare la nostra vita per questo tipo
di ragioni.
C’è poi un terzo tipo di casi: individui che sanno che moriranno prima degli altri.
Dovremmo accettare la pretesa di un individuo di pagare un'aliquota più bassa
perché sa che morirà prima degli altri?
Il primo articolo di Gosseries riguarda i principi di giustizia che riguardano i nostri
trasferimenti discendenti. Cosa dobbiamo alle generazioni più giovani a quelle
future? E’ necessario che esistano le generazioni future? E’ sbagliato smettere di
procreare ed estinguere la specie umana? Poiché molto probabilmente la specie
umana durerà, come possiamo assicurare la giustizia tra generazioni?
Questioni a cui si possono applicare: debito pubblico; consumo di risorse naturali
non rinnovabili; inquinamento; cambiamento climatico; distruzione di paesaggio, siti
artistici e culturali; riduzione della biodiversità.
Principi che adoperiamo in situazioni quotidiane: lascio gli spazi puliti; tanto puliti
quanto avrei voluto trovarli; lascio puliti quanto erano all’arrivo. Principi del diritto
privato: la Terra non ci è stata data in eredità dai nostri genitori, ma in prestito dai
nostri figli; partnership tra generazioni, proprietà comune, etc…
Questi principi non hanno un’applicazione chiara e determinata. Si può risparmiare
o sprecare, lasciando di più o di meno alle generazioni future. Ci sono tre modalità
per declinare spreco e risparmio: permesso/autorizzazione, proibizione e obbligo.
Utilitarismo: massimizzare il totale intergenerazionale, quindi quella aggregata di
tutti i membri di tutte le generazioni. Vieta a ogni generazione di sprecare e impone
importanti obblighi di risparmio per garantire a ogni generazione di massimizzare la
sua utilità. Troppo esigente, perché potrebbe finire per schiavizzare una generazione
per beneficiare quelle a lei successive, soprattutto perché il numero di generazioni
future è indefinito. Utilità marginale decrescente: supporta uguaglianza
intergenerazionale. Tasso di sconto sociale: un’unità di utilità futura deve essere
scontata rispetto a un’unità di utilità presente, perché l’utilità futura è meno probabile
di quella presente.

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Costante aumento della produttività delle risorse: estraiamo sempre più utilità da
una data quantità di risorse. Se teniamo conto di questo abbiamo bisogno di meno
utilità più andiamo avanti con gli anni, e quindi distribuiamo di meno alle generazioni
successive.
Libertismo e clausola lockiana: i principi di giustizia intergenerazionale libertari
dipendono dall’interpretazione che diamo della clausola lockiana sulla giusta
appropriazione. “Un’appropriazione iniziale è legittima quando siano lasciate in
comune per gli altri cose sufficienti e altrettanto buone”. Prima interpretazione: è
legittima quando lascia alle successive almeno quanto ci si è appropriati
inizialmente. Principio molto debole, perché la prima si è appropriata di molto poco,
e ammette enormi sprechi. Seconda interpretazione: alla generazione successiva
devi tutto quello per rettificare gli sprechi. Obblighi di risparmio troppo grossi. Terza
interpretazione: una generazione deve dare alla successiva tanto quanto si
sarebbe dovuto se la mia generazione non sarebbe mai esistita. Lascia ai figli tanto
quanto è stato lasciato alla tua generazione. Il risparmio diventa lecito, ma lo spreco
è autorizzato sino a che non lasciamo ai discendenti un paniere di risorse più piccolo
di quello che abbiamo ereditato. Non dobbiamo rettificare sprechi e risparmi.

Ultima lezione

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