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Innanzitutto occorre chiarire chi siamo per noi


stessi. Quale immagine mentale abbiamo del
nostro corpo, del nostro carattere, del nostro
modo di rapportarci con gli altri. Quindi, chi sono
gli “altri” per noi. Che immagine abbiamo del
differente da noi?
Per rispondere a quest’ultima domanda è
appunto cruciale definire noi stessi. Come
possiamo sapere se l’altro è differente (sia
fisicamente, sia caratterialmente, sia
culturalmente) se non abbiamo una immagine
chiara nella nostra mente degli elementi interni
ed esterni (tratti fisici e tratti della personalità) che
ci caratterizzano?
Partendo dall’ossimoro che nessuno conosce sé
stesso profondamente così come nessuno può
conoscere l’altro profondamente (come si
potrebbe se l’altro, che siamo poi noi, non è
consapevole di elementi importanti della propria
formazione caratteriale e socio-culturale?) siamo
comunque in grado di fare confronti rispetto al 
nostro sistema di riferimento originario: la
famiglia.
La famiglia è il sistema dinamico di personalità e
corpi (ritengo importante specificarlo in
quanto all’interno dei gruppi parentali emerge
spesso una idea asessuata di genitori e figli) che
investono affettivamente, sessualmente,
economicamente gli uni su gli altri. Un sistema in
continuo divenire che però  presenta  delle
costanti come la tradizione e i preconcetti
culturali.
È in continuo divenire in quanto il tempo passa, si
invecchia, i traumi avvengono all’interno di
qualsiasi famiglia e le difese verso tali traumi
possono spostare la linea della
autoconsapevolezza rendendoci più difficile
accettare i limiti del genitore o del figlio o del
fratello o di chi è comunque affettivamente una
figura rilevante.
La famiglia fornisce una educazione che investe
anche sui concetti; cioè i contenuti della società.
Fornisce però anche una forma a tali contenuti.
Così può accadere che a volte possano risultare
come “veleno contenuto in un cioccolatino”.
Tossine per la nostra autostima in formazione
sotto forma di apprezzamenti, gratificazioni o
definizione del nostro senso di appartenenza
culturale attraverso lo sviluppo di finalità
individualistiche.
Non è però solo la famiglia che forma l’individuo e
che gli fornisce gli strumenti per vivere come
“tendente al potere prevaricante” o “come
tendente alla socializzazione compassionevole e
assertiva” (chiaramente sono i due estremi di un
continuum molto esteso). Esiste la scuola, esistono
gli amici, i parenti extra nucleari (fuori dal nucleo
familiare), esiste il lavoro, lo sport, il compagno o la
compagna ecc...
Ecco che allora diventa lampante come quello che
siamo sia dovuto dall’integrazione di elementi
personologici, psicodinamici e culturali
provenienti da sistemi a volte anche in
contrapposizione.
Tale integrazione avviene attraverso una scelta,
una scelta creativa. È una scelta oltretutto
personale e sempre originale anche se poi può
avvenire che il risultato di tale scelta sia una
personalità che aspira ad assomigliare al Sé di
qualcun altro. A volte ci riusciamo talmente bene
che diveniamo qualcun altro perdendo il nostro
essere originali, unici.
È un atto cognitivo ed emozionale di tipo difensivo
che ci permette di negare le nostre debolezze e
inadeguatezze giungendo a sostituire l’oggetto
intrapsichico inferiorizzante con uno idealizzato.
L’Io indebolito da uno stato di aggressione
distruttiva costruisce relazioni oggettuali
idealizzate creando un falso Sé che si rispecchia
nell’oggetto ideale. È come costruire una casa su
una palude. Magari tiene sin quando è vuota,
aggiungendo mobili o con una variazione del suo
assetto rischia di sprofondare. Occorre precisare
che le persone che si formano un falso Sé non è
detto che sentano il disagio o che stiano male e
sicuramente non sono consapevoli del loro vuoto
evolutivo.
Sicuramente però vivono un conflitto tra la
struttura cristallizzata estremamente fragile in cui
sino “cacciati” e la loro aspirazione (pre-conscia)
alla individuazione. È un conflitto che avviene fori
dalla sfera della consapevolezza e che
può manifestarsi con sintomi attribuibili a
qualsiasi altro disturbo. Tristezza profonda, ansia,
fobie, malinconia, rabbia generalizzata, disturbi
somatopsichici ecc...
Dobbiamo però avere sempre presente che il
nostro modo di definire e processare i traumi
avviene dentro  un continuum di scelte all’interno
del quale applichiamo difese che possono essere
anche le stesse per ognuno di noi ma spesso
variano in intensità.
Pertanto se si parla di formazione di un falso Sé o
di formazione di un disturbo ego-sintonico come
quello di personalità occorre comprendere come
non esistono due personalità uguali. Siamo come
fiocchi di neve. Non ne esistono due identici.
Possiamo assomigliare a qualcun altro e possiamo
avere comportamenti simili a quelli di altri anche
di culture estremamente differenti dalla nostra
ma alla base di quei comportamenti esistono
storie differenti, modi di elaborarle differenti e
rafforzamenti difensivi che avvengono rispetto
difese differenti in stati mentali differenti.
Allora anche soffrire di qualche disturbo
psicologico, piuttosto che di una sindrome
affettiva, potrà essere paragonato a quello di
qualcuno differente da noi ma soprattutto
paragonato rispetto le differenze. Invece
tendiamo a confrontarci rispetto le somiglianze
quando vogliamo informazioni su cosa ci sta
accadendo o sta accadendo a chi ci è vicino.
Tendiamo a soffermarci di più sul contenitore che
sul contenuto.  Sulla categoria che sul
funzionamento. Questo probabilmente è un
ennesimo tentativo del nostro Sé di difendersi
dalla crisi di quei preconcetti, di quelle teorie
implicite della personalità, su cui l’Io ha “lavorato”
per fornirci una idea stabile di ciò che siamo
all’interno della rete sociale. Del “Noi”.
Stare male con se stessi significa allora vivere la
crisi tra i nostri oggetti interni e l’Io. La nostra
personalità comincia ad offuscarsi lasciandoci
quella sensazione di perdita degli schematismi
che ci hanno fornito una “idea certa di noi stessi”
anche se fallata da inutili idealizzazioni oggetto-
Sé.
Avrei potuto anche iniziare dalla domanda: Stare
bene con se stessi cosa significa? Ma credo che il
lettore potrà ora giungere a una sua originale e
personalissima conclusione.
 
Dott.re Lorenzetto Claudio
Psicologo psicoterapeuta.

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