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LA FILIAZIONE
Il rapporto di filiazione, inteso come rapporto che intercorre tra un soggetto e le persone che
lo hanno generato e avente ad oggetto il complesso di diritti e doveri che ricorrono tra di loro.
La posizione di figlio costituisce uno stato familiare.
Titolarità sostanziale: a questo rapporto sono collegati diritti e doveri,
Titolarità formale: titolarità del rapporto giuridicamente accertato.
Prima del 2012 si assisteva ad una serie di discriminazioni che portavano alla palese
violazione del principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione. Nella previsione originaria
del codice civile la condizione dei figli naturali era decisamente deteriore rispetto a quella dei
figli legittimi.
Prima della Riforma del 1975 i figli nati al di fuori del matrimonio erano chiamati figli
“illegittimi”. Il codice civile, nel testo originario, ammetteva il riconoscimento dei figli naturali
a condizione che non si trattasse di figli adulterini o incestuosi.
Un importante passo avanti fu compiuto con la Costituzione nel 1948 che con l’art. 30
assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale compatibile con i
diritti dei membri della famiglia legittima. L’art. 30 Cost. ha esteso il contenuto dell’art. 147
c.c. “Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire, educare e
assistere moralmente i figli”: la Costituzione accoglie il principio fondamentale dell’art. 147,
cioè il diritto e dovere dei coniugi di mantenere, istruire ed educare la prole, e lo traduce nel
principio costituzionale volto a comprendere la genitorialità nel suo insieme.
Con la Riforma del 1975 venne cancellato il divieto di riconoscimento dei figli adulterini, ma
rimase per il riconoscimento dei figli incestuosi. I figli naturali acquistarono nei confronti dei
genitori gli stessi diritti dei figli legittimi: tuttavia vi erano ancora forti limitazioni, come
l’esclusione dal diritto di parentela e dai diritti di successione legittima. Inoltre sussisteva
ancora la distinzione tra filiazione naturale e filiazione legittima: c’erano figli non legittimi che
potevano uscire dal loro status solo attraverso la legittimazione.
La legge n. 219/ del 2012 ha finalmente equiparato lo status giuridico dei figli, eliminando la
distinzione tra figli naturali e figli legittimi,. Adesso si parla, semplicemente, solo di figli.
L'art. 74, così come novellato, infatti recita: "la parentela è il vincolo tra le persone che
discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all'interno del
matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è
adottivo. Il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età".
Ciò significa che un figlio nato fuori dal matrimonio avrà un vincolo di parentela non soltanto
con i genitori, ma anche con le famiglie di quest’ultimi: nonni, zii, cugini; con inevitabili
ripercussioni in sede ereditaria.
Attraverso l’atto di nascita si accerta la nascita della persona e il suo status di figlio. Esso
conferisce quella titolarità formale cui si riconduce la nozione di status di figlio.
1) Se il figlio è nato da genitori da genitori uniti in patrimonio, l’ufficiale dello stato civile
registra entrambi quali genitori. Tale situazione prevede tre accertamenti:
La maternità della moglie
La paternità del marito
Il concepimento del figlio durante il matrimonio.
L’accertamento della madre non pone particolari problemi, spettando l’attribuzione di madre
alla donna che ha partorito in virtù della regola “mater semper certa est”.
La prima presunzione è quella appunto della paternità del marito; si presume che il marito sia
il padre del figlio concepito durante il matrimonio (art. 231 c.c.); La regola di presunzione di
paternità può essere articolata:
Chi nasce da donna coniugata, è figlio del marito.
Chi nasce da donna separata o che non è più coniugata (divorziata o vedova), si
presume figlio del marito/ex marito se concepito durante la convivenza matrimoniale.
Si presume concepito durante la convivenza matrimoniale chi nasce entro 300 giorni
dalla separazione o dallo scioglimento del vincolo di matrimonio.
Se l’atto di nascita manca, e allora sarà necessario il possesso dello stato di figlio, per provare
la filiazione attraverso il trattamento, cioè il mantenimento, l’educazione e l’istruzione del
figlio, e la fama, cioè la conoscenza del rapporto nell’ambiente familiare.
L’impugnazione per difetto di veridicità può essere azionata sia dal genitore stesso sia da chi
è stato riconosciuto sia da chiunque abbia interesse (per esempio gli eredi dell’autore del
riconoscimento o il vero genitore).
Con la recente modifica legislativa del 2012 l’azione di impugnazione del riconoscimento
diventa imprescrittibile (non soggetta ad alcun termine) per il figlio mentre sarà soggetta ad
un termine di decadenza da parte degli altri legittimati: un anno per chi ha effettuato il
riconoscimento e 5 anni per i terzi interessati.
Lo stato di figlio, quale risulta dall’atto di nascita può essere contestato solo nei casi previstoi
dalla legge e attraverso tipiche azioni definite azioni di stato.
1) Azione di reclamo dello stato di figlio. L’azione di reclamo dello stato di figlio è volta a
far conseguire al soggetto il vero stato di figlio non risultante dall’atto di nascita (art. 239 c.c.).
La filiazione può non risultare dall’atto di nascita perché il nato è stato denunciato:
Come figlio di genitori coniugati diversi dai veri genitori: questo accade quando il figlio
viene indicato come nato da una madre diversa da quella che lo ha partorito o perché
c’è stata sostituzione del neonato.
Come figlio di genitori ignoti: quando il figlio è stato abbandonato o quando la madre si
è avvalsa della facoltà di non essere nominata all’atto di nascita, salvo che sia
intervenuta sentenza di adozione
In contrasto con la presunzione di paternità: quando il figlio è stato riconosciuto da un
terzo diverso dal marito della madre.
Legittimati ad esperire l’azione di contestazione sono colui che risulta come genitore nell’atto
di nascita e chiunque ne abbia interesse.
3) Azione di disconoscimento della paternità (243 bis). Questa azione è volta ad accertare
che il figlio è stato concepito da persona diversa dal marito della madre. L’azione presuppone
che il figlio sia nato e sia stato denunciato come figlio del marito della madre.
Utilizzabili sono la prova genetica e la prova del sangue.
L’azione non può essere proposta in ogni momento. Al contrario, la legge fissa termini di
decadenza ben precisi e differenti a seconda di chi promuove l’azione:
sei mesi che decorrono dal parto, per la madre;
un anno per il marito, che decorre dal giorno della nascita, se egli si trovava nel luogo
dove è nato il figlio; dal suo ritorno nel luogo dove è nato il figlio, se era lontano;
comunque, dal giorno in cui ha avuto notizia della nascita, se prova di non averne
avuto conoscenza;
dal momento in cui è venuto a conoscenza di circostanze che rendono ammissibile
l’azione, per il figlio
Sia l’art. 30 Cost. che l’art. 147 c.c. specificano come la posizione dei genitori sia una posizione
allo stesso tempo attiva e passiva, cioè fatta di diritti e doveri.
Infatti i soggetti del rapporto sono i genitori da una parte e i figli dall’altra: se c’è un diritto dei
genitori ci sarà un dovere dei figli, ma se c’è un dovere dei genitori dall’altra parte ci sarà un
diritto dei figli.
L’art. 30 afferma che “ E’ diritto e dovere dei genitori mantenere istruire e educare”, ma
questa norma può essere letta anche al contrario “E’ diritto e dovere dei figli il mantenimento,
l’istruzione e l’educazione”.
Ma quando la situazione è al contempo sia attiva che passiva, cosa deve avere prevalenza? E’
più forte il diritto o il dovere dei genitori di educare? E allo stesso modo è più forte il diritto o
il dovere dei figli di subire un’educazione?
La situazione attiva dei genitori è qualificata in termini di potestà genitoriale: termine che
indica una situazione giuridica che connota lo status di genitore.
1) Se tradizionalmente la potestà era quella del marito sulla moglie e quella del padre sui figli,
sempre tradizionalmente nel confronto tra diritti e doveri dei genitori sui figli si dava
prevalenza all’aspetto del diritto dei genitori sui figli: il bilanciamento era a vantaggio della
posizione dei genitori sui figli.
Nella contrapposta posizione si esaltava il dovere dei figli che si trovavano in uno stato di
soggezione rispetto alla volontà dei genitori.
2) Questa tradizionale visione della potestà è stata oggetto di revisione nel corso del tempo:
l’impulso a rimeditare il concetto stesso di potestà e la contrapposizione diritti/doveri è stato
dato proprio dalla Costituzione.
L’art. 30 ha trasposto sul piano costituzionale la previsione dell’art. 147: questo articolo non si
limita a descrivere la posizione dei genitori rispetto ai figli, ma specifica che la funzione
genitoriale deve essere esercitata nel rispetto delle loro capacità, inclinazione naturale e
aspirazioni (indica il modo in cui i diritti dei genitori devono essere esercitati).
Trasposto sul piano costituzionale l’art. 147 il quadro cambia perché quel rapporto che voleva
il diritto dei genitori prevalere vacilla anche in ragione degli artt. 2 e 3 della Costituzione.
Se la potestà genitoriale si traduce solamente nelle funzioni educative, di mantenimento e di
istruzione della prole, queste devono essere esercitate a vantaggio dei figli.
L’attuale lettura è a vantaggio del dovere dei genitori sui figli (non si annulla il diritto dei
genitori, ma gli viene dato un peso minore rispetto al dovere).
Esaltare il dovere dei genitori significa considerare i diritti come strumento di attuazione per
adempiere a quel dovere: il genitore può esercitare il diritto di mantenere, istruire e educare
la prole perché sta adempiendo a un suo dovere.
La legge 219 del 2012 inoltre ha accolto un principio espresso dal regolamento dell’Unione
Europea sulla responsabilità genitoriale: viene accolto il termine parental responsability così
da tradurre il termine potestà in responsabilità con l’intenzione di esaltare il dovere dei
genitori sui figli.
Un ulteriore elemento di rivoluzione si ha con la nuova formulazione dell’art. 315 bis c.c. che
dedica i primi tre commi all’elencazione dei diritti del figlio.
Diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel
rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni
Diritto dei figli alle relazioni parentali (art. 155 c.c.)
Diritto a vivere nella propria famiglia
Diritto di essere ascoltato
L’art. 315 bis richiama l’art. 147, dettato in ambito di matrimonio, che prevede il diritto dei
genitori di mantenere, istruire e educare i figli nel rispetto delle capacità, delle inclinazioni
naturali e delle sue ispirazioni e lo interpreta alla luce del superiore interesse del minore.
Il 315 bis diviene la norma cardine attraverso cui si esprime il superiore interesse del minore.
Il fatto di aver declinato al plurale le inclinazioni naturali è lo specchio di una tendenza volta a
valorizzare il minore come referente primo delle decisioni familiari e delle decisioni che lo
riguardano.
La vecchia formulazione del 315 bis apriva con il dovere dei figli di rispettare i genitori in
virtù di quella prospettiva che esaltava i diritti dei genitori: il 315 bis prevede invece un
bilanciamento invertito in quanto il rispetto dei genitori è posto in chiusura della norma
stessa.
Altra norma significativa sui diritti dei minori è l’art. 336 bis c.c. che detta la disciplina
sull’ascolto del minore che può tradursi anche in un diritto a non essere ascoltato, qualora
possa provocare danni al minore.
Il diritto al mantenimento designa il diritto del figlio all’assistenza materiale, cioè il diritto a
ricevere quanto occorre per le normali esigenze di vita e di crescita. Tale diritto non ha
carattere patrimoniale, ma dà luogo a prestazioni pecuniarie che il genitore è tenuto a
corrispondere nel rapporto di filiazione.
L’art. 315 enuncia anche il diritto del figlio all’assistenza morale. Si intende sancire il diritto
del figlio ad essere amato dai suoi genitori. Assistere moralmente il figlio significa averne cura
amorevole.
Inoltre viene richiesta la capacità affettiva degli adottanti.
Questo diritto trova riconoscimento nella norma che anche in caso di separazioni e altre crisi
genitoriali prevede il diritto del figlio minore di conservare rapporti con gli ascendenti e con i
parenti di ciascun ramo genitoriale.
Il diritto di crescere nella propria famiglia è un diritto fondamentale del figlio, in quanto la
famiglia è un bene essenziale per la vita affettiva e per la sua armoniosa formazione.
Il diritto a crescere nella propria famiglia è un diritto assoluto esperibile nei confronti di tutti i
terzi: si concreta ad esempio nella pretesa di non subire provvedimenti di adozione,
affidamento e allontanamento.
La responsabilità indica l’insieme dei diritti e dei doveri, di volta in volta indicati dalla legge,
che spettano e gravano su entrambi i genitori verso figli. In casi particolari la responsabilità è
esercitata da un solo genitore. La responsabilità genitoriale ha quindi sostituito la vecchia
potestà dei genitori.
Da un lato sono stati individuati i doveri dei genitori verso i figli, e dall’altro ha puntualizzato i
doveri dei figli verso i loro genitori.
Il figlio deve:
rispettare i genitori;
contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio
reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa.
obbligo di risiedere presso la casa dei genitori.
In merito a quest’ultimo punto, l’art. 318 dispone che il figlio sino alla maggiore età o
all'emancipazione, non può abbandonare la casa dei genitori o del genitore che esercita su di
lui la responsabilità genitoriale né la dimora da essi assegnatagli.
I genitori esercenti la responsabilità genitoriale, hanno anche la rappresentanza legale dei figli
nati o nascituri e ne amministrano i beni.
La violazione dei doveri inerenti alla responsabilità genitoriale con grave pregiudizio del figlio
può comportare la decadenza della stessa e la titolarità rimane attribuita esclusivamente a un
genitore. In mancanza di altro genitore deve essere nominato un tutore.