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Il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri sia nei
rapporti reciproci sia nei rapporti con i figli. Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi
l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole (art. 147) che costituisce parte
integrante della comunità familiare. L’art. 143 fa derivare dal matrimonio l’obbligo reciproco
alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della
famiglia e alla coabitazione. La fedeltà viene intesa come l’impegno di dedizione fisica e
spirituale dell’un coniuge all’altro: l’obbligo racchiude sia il diritto e il dovere all’intimità
sessuale, sia il divieto di relazioni extraconiugali, ma l’esclusività che caratterizza l’ambito
sessuale comprende anche la sfera procreativa, vietando sia la fecondazione eterologa,
sia la sterilizzazione non terapeutica attuata senza il consenso del coniuge. La
collaborazione e l’assistenza morale e materiale impongono ai coniugi l’aiuto vicendevole.
La coabitazione indica il dovere di convivere sotto lo stesso tetto. La moglie e i figli
assumono lo stesso cognome, e il coniuge straniero, a certe condizioni, acquista la
cittadinanza italiana. Ciascuno dei coniugi è tenuto a contribuire ai bisogni familiari in
proporzione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro: cioè è tenuto a fornire i
mezzi economici e l’attività personale necessari per soddisfare i bisogni materiali della
famiglia. Il matrimonio impone ai coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare i figli (art
147). Il mantenimento riguarda propriamente i figli minori ma oggi esso è avvertito come
doveroso fino al raggiungimento di una effettiva autonomia economica da parte dei figli.
L’educazione e l’istruzione riguardano il diritto a ricevere la formazione etica e
professionale adeguata alle comuni esigenze di vita e la legge specifica che tali obblighi
vanno adempiuti tenendo conto della capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni
dei figli. Oltre che un dovere, l’attività educativa è anche un diritto inalienabile dei genitori
assistito da una precisa garanzia costituzionale che può essere incisa solo quando essi se
ne mostrino incapaci (art 30Cost.). i figli sono tenuti a rispettare i genitori e a contribuire al
mantenimento della famiglia finché convivono con essa (art. 315). Fino al raggiungimento
della maggiore età, il figlio è soggetto alla potestà dei genitori cioè al loro potere
decisionale in ordine agli aspetti personali e patrimoniali della loro vita. La potestà è
esercitata congiuntamente dai genitori anche se non coniugati. Gli aspetti personali della
potestà riguardano le scelte di vita: l’istruzione; l’educazione; la residenza. Il minore è
tenuto ad abitare con la famiglia o nella casa che i genitori gli abbiano assegnato. Se
sorge conflitto di interessi tra i figli, o tra questi e i genitori, si procede alla nomina di un
curatore speciale (art. 320): un conflitto di interessi si configura quando occorre procedere
alla divisione di un bene comune tra essi, ovvero i genitori non vogliono compiere un atto
di interesse del figlio. La violazione di tali norme comporta l’annullabilità degli atti su
istanza dei genitori stessi, del figlio o dei suoi eredi. La potestà va esercitata nell’interesse
della prole e perciò quando il genitore viola o trascura i suoi doveri, l’autonomia giudiziaria
può adottare i provvedimenti convenienti, tra i quali l’allontanamento dalla residenza
familiare. Quando i genitori non possono esercitare la potestà si apre la tutela (artt. 343
ss.): il tutore svolge i compiti dei genitori e deve provvedere all’educazione e all’istruzione
del minore. I coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare secondo le esigenze
di entrambi e quelli preminenti della famiglia stessa. La regola dell’accordo riguarda
decisioni come la residenza comune, la ripartizione dei compiti, la fissazione del tenore di
vita. In caso di contrasto su questioni di particolare importanza che riguardino sia gli affari
della famiglia sia la cura dei figli, ciascuno dei coniugi può ricorrere senza formalità al
giudice il quale, sentiti i figli sedicenni, tenta di raggiungere una soluzione concordata. Se
il disaccordo permane, trattandosi della cura dei figli il giudice attribuisce il potere di
decisione al genitore che ritenga più idoneo ad assicurare l’interesse del figlio; quando il
contrasto riguarda altri affari della famiglia, soltanto se richiesto da entrambi i coniugi il
giudice può adottare la soluzione che ritiene più adeguata.
CAPITOLO 60 I RAPPORTI PATRIMONIALI.
Per regime patrimoniale della famigliari intende l’insieme delle regole che disciplinano
l’acquisto e la gestione dei beni da parte dei coniugi nel corso della loro vita matrimoniale.
Nella famiglia la comunione di vita che si instaura tra i suoi membri coinvolge anche la
sfera economica: ciò vale sia nell’ambito della sfera quotidiana sia nella sfera degli
acquisti patrimoniali che possono divenire comuni ai coniugi e risentire in vario modo della
disciplina familiare.
L’impresa familiare è un impresa individuale nella quale svolgono attività alcuni familiari
del’imprenditore, senza che sia rinvenibile altro titolo specifico in base al quale è prestato il
lavoro, se non ragioni di solidarietà familiari. La figura, introdotta nel 1975,risponde
all’esigenza di tutela del lavoro prestato nell’ambito della famiglia. Per quanto riguarda i
soggetti, deve trattarsi del coniuge, dei parenti entro il terzo grado o degli affini entro il
secondo. L’impresa deve appartenere ad uno di tali soggetti e la collaborazione deve
consistere in una attività di lavoro svolta in modo continuato. I diritti che derivano dallo
svolgimento del lavoro sono: il diritto al mantenimento secondo la condizione economica
della famiglia; diritto agli utili e agli incrementi dell’impresa in proporzione alla quantità e
qualità del lavoro prestato; partecipazione alle decisioni che riguardano la gestione
dell’impresa. Il diritto di partecipare all’impresa trasferibile solo in favore di altri familiari e
col consenso di tutti i partecipanti.