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3. L'OBBLIGO DI FEDELTA'
6. L'OBBLIGO DI CONTRIBUZIONE
7. L'OBBLIGO DI COABITAZIONE
Nell'ambito invece dei diritti a contenuto non patrimoniale, l'ultima
categoria è costituita dall'obbligo di coabitazione.
Infatti alla fine del 2° comma dell'art. 143, dopo aver enunciato gli
obblighi reciproci di contenuto non patrimoniale quali la fedeltà e
l'assistenza morale e materiale, nonché la collaborazione nell'interesse
della famiglia, viene citato l'obbligo della coabitazione.
In relazione a tale obbligo la giurisprudenza si è pronunciata ritenendo
che l'obbligo di coabitazione venga violato quando un coniuge si
allontani dalla residenza familiare non per giustificato motivo (come per
lavoro, studio o per motivi di salute), ma senza preavviso e per un
tempo ragionevole e reiterato nel tempo. Non emergono a livello di
giurisprudenza di merito né tantomeno a livello di Cassazione delle
decisioni che abbiano concesso il risarcimento del danno né danno
patrimoniale né del danno non patrimoniale per la violazione del mero
obbligo di coabitazione. In generale, la violazione dell'obbligo di
coabitazione si accompagna alla violazione degli altri obblighi di cui
all'art. 143, quali l'obbligo di fedeltà, di assistenza materiale e morale.
L'obbligo di coabitazione viene inteso in senso restrittivo dalla
giurisprudenza, in quanto anche un allontanamento lungo che però sia
giustificato da motivi di lavoro, studio e salute, non fa emergere la
violazione di tale obbligo.
8. LA GIURISPRUDENZA DI MERITO
Analizziamo ora due sentenze della giurisprudenza di merito. Sono due
sentenze che pur essendo contigue, perché risalenti entrambe all'anno
2000, contengono però decisioni contrapposte nell'ambito
dell'ammissibilità del risarcimento del danno per responsabilità
endofamiliare. E' significativo vedere come nell'ambito della
motivazione di tali sentenze emergano nella giurisprudenza quelle
riflessioni che abbiamo sintetizzato, in un caso per estendere l'illecito
civile ai rapporti tra coniugi e nell'altro invece per negato che possa
esistere una responsabilità per fatto illecito tra coniugi.
Comunque entrambe le sentenze rappresentano il quadro attuale della
giurisprudenza, ancora divisa in tale materia.
1^ DECISIONE
Tribunale di Savona, sez. distaccata di Albenga, 8 gennaio 2005 – Giudice Unico Princiotta –
Grossi (Avv. ti Paleologo e Gemma) c. Ghersi (Avv. Ferrari).
P.Q.M.
Il Tribunale, in persona del giudice istruttore in funzione di giudice unico, definitivamente
pronunciando, nel contraddittorio delle parti, respinta ogni diversa e contraria istanza eccezione
o deduzione, per le ragioni indicate in motivazione, così provvede:
1.- respinge la domanda avanzata da Mara Grossi;
2.- compensa integralmente le spese del giudizio.
3.- pone le spese di consulenza già liquidate nel corso del giudizio definitivamente a carico di
Mara Grossi.
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Riferiva in specie che i coniugi avevano contratto matrimonio dopo sette anni di
fidanzamento nell'intento di avere in breve tempo un figlio, sicché ella aveva
accolto con gioia, nel luglio del 1995, la notizia di essere in stato di gravidanza,
che aveva subito comunicato al marito, che tuttavia aveva manifestato in seguito
crescente ostilità ed indifferenza nei suoi confronti, giungendo infine a
dichiarare, dopo soli tre mesi di gestazione della moglie, di non voler proseguire
la convivenza matrimoniale, invitandola ad interrompere la gravidanza,
opponendo quindi un inspiegabile silenzio alle sue sollecitazioni ad una
discussione in merito.
Riferiva inoltre che per mesi il marito aveva comunicato con lei solo con rari e
laconici messaggi scritti, rendendosi irreperibile anche in momenti di bisogno
della moglie, facendole mancare ogni assistenza affettiva, psicologica e materiale
nel corso della gravidanza, non preoccupandosi minimamente delle sorti del
nascituro, sicché ella era incorsa perciò in grave stato depressivo.
Evidenziava peraltro che il marito, che pur millantava di aver conseguito una
laurea in architettura, svolgeva comunque attività lavorativa quale venditore-
progettista alle dipendenze della (...) Milano s.r.l., con un reddito fisso mensile
di circa L. 2.000.000 ed un'integrazione variabile "in nero" pari ad almeno L.
500.000, nonché una percentuale pure variabile in relazione all'ammontare delle
vendite mensili, disponendo così di un reddito annuale di circa L. 50.000.000 al
netto delle imposte, potendo così far fronte, nel corso della convivenza
matrimoniale, al pagamento di rate mensili di L. 416.700 per la restituzione di un
finanziamento contratto per l'acquisto di un'autovettura e riuscendo a versare
inoltre sul suo conto corrente e su quello della moglie, su cui operava con
delega, risparmi mensili di circa L. 2.000.000, pur mantenendo un elevato tenore
di vita, disponendo peraltro di un'abitazione a titolo gratuito.
Assumeva per contro di disporre, quale impiegata alle dipendenze della (...)
Assicurazioni s.r.l., di un reddito annuo lordo di circa L. 30.500.000, dovendo
peraltro sostenere spese ingenti sia per gli spostamenti necessari per la sua
attività lavorativa, sia per oneri di locazione relativi all'abitazione familiare, pari
ad oltre L. 1.200.000 al mese, sia per far fronte alle necessità di vita ed
all'accudimento del figlio, non potendo contare a tal fine sul sostegno di
familiari.
Chiedeva pertanto affidarsi il figlio (...) alla madre ed assegnarsi in suo favore la
casa coniugale con i relativi arredi, nonché porsi a carico del ricorrente l'obbligo
di corrisponderle in via anticipata entro il quinto giorno di ogni mese per dodici
mesi l'anno, quale contributo al mantenimento del figlio, un importo non
inferiore a L. 1.800.000, da rivalutarsi annualmente in applicazione degli indici
Istat, oltre alle somme corrispondenti agli assegni familiari, e di pagare il 50%
delle spese mediche straordinarie per il figlio, ordinandosi al datore di lavoro del
marito di versarle direttamente tali importi prelevandoli dagli emolumenti
dovuti al dipendente sig. (...) ovvero emettendosi ogni opportuno provvedimento
cautelare.
Chiedeva pertanto ex art. 708, u.c., c.p.c. disporsi, in parziale modifica dei
provvedimenti presidenziali, che il ricorrente potesse visitare il figlio presso
l'abitazione coniugale nelle serate del martedì e giovedì di ogni settimana, dalle
ore 20 alle ore 21, ed ogni domenica, dalle ore 18 alle ore 20, ed aumentarsi a L.
1.600.000 il contributo mensile dovuto dal sig. (...) per il mantenimento del figlio,
imponendosi al datore di lavoro del ricorrente, tenuto al pagamento diretto, di
prestare idonea garanzia per il puntuale adempimento.
Con istanza ex artt. 156 c.c. e 708, u.c., c.p.c. depositata in data 23/12/1997 la
convenuta riferiva quindi di aver ricevuto comunicazione con lettera
raccomandata A.R. in data 9/12/1997 dal datore di lavoro del marito, (...) s.r.l.,
delle dimissioni rassegnate dal sig. (...) con decorrenza dal 5/12/1997, assumendo
altresì che il ricorrente seguitasse comunque a prestare attività lavorativa presso
la medesima società; chiedeva pertanto disporsi il sequestro ex art. 156 c.c. di
tutte le somme ancora dovute dalla (...) s.r.l. al sig. (...) in conseguenza del
pregresso rapporto di lavoro ed ordinarsi comunque al ricorrente di indicare in
giudizio la sua nuova attività lavorativa ovvero di dare mandato al suo nuovo
datore di lavoro di provvedere direttamente al pagamento del contributo dovuto
alla moglie per il mantenimento del figlio.
Il G.I. provvedeva quindi all'escussione dei testi sigg. (...), (...), (...) e (...); dava
atto inoltre della mancata comparizione del ricorrente per rendere
interrogatorio formale sui nuovi capitoli di prova dedotti dalla convenuta.
A fronte dei plurimi indizi così emersi in ordine alla condotta assunta dal
ricorrente nell'ultima fase della convivenza coniugale tra le parti, è emerso
peraltro dalle prove testimoniali assunte nel giudizio che il sig. (...) - che pure in
sede di interpello ha ammesso che i coniugi avevano da tempo maturato il
progetto di avere un figlio, tanto da trasferirsi perciò in un alloggio più ampio -
ebbe in effetti a disinteressarsi totalmente in quel periodo dei bisogni e delle
condizioni della moglie, privandola di ogni conforto morale ed affettivo e di ogni
pur minima assistenza materiale, limitandosi a visitarla una volta soltanto al
momento del parto, pure programmato perché effettuato per taglio cesareo.
Al riguardo il teste sig. (...), pure legato da vincolo di affinità alla convenuta in
quanto cognato, ha dichiarato in giudizio di avere appreso dalla sig.ra (...) sin
dalla fine di agosto del 1995 che ella era in gravidanza "ma che il marito diceva
invece di voler interrompere la relazione con lei e di non essere interessato al
figlio nascituro", riconoscendo di non aver mai assistito quindi a discussioni tra i
coniugi in merito, ma riferendo che "il giorno già fissato per l'interruzione della
gravidanza la cognata telefonò dicendo di non voler più sottoporsi all'intervento,
mentre (...) il marito ribadiva la sua scelta abortiva". Il teste ha riferito quindi
che nell'autunno-inverno del 1995 l'odierna convenuta lo informò ripetutamente
che il marito non era rientrato a casa o non era reperibile e ciò anche per più
giorni consecutivi soprattutto in occasione delle festività natalizie del '95,
aggiungendo di essersi trattenuto a lungo con la moglie in tali circostanze presso
la cognata fino a tarda sera e confermando che la sig.ra (...) denunciò quindi in
almeno due situazioni la scomparsa del marito alle forze dell'ordine.
La teste ha riferito quindi di essere stata molto vicina alla sig.ra (...) in quel
periodo, aggiungendo che ella "dal novembre 1995 accusò crisi di pianto, stati
ansiosi e malesseri" ed "era molto provata dall'atteggiamento del marito", che
"era spesso via anche per la notte e anche per più giorni consecutivi", tanto che
"nel novembre e dicembre 1995 per due volte la (...) denunciò ai Carabinieri la
scomparsa del marito che per più giorni non era tornato a casa". Ella ha pure
riferito che la sig.ra (...) le raccontava che il marito non rispondeva alle sue
richieste di assistenza e di aiuto nel corso della gravidanza, rammentando
peraltro un episodio specifico cui ella ebbe personalmente ad assistere, allorché
si trovava "a casa della (...) per assisterla, visto che era stata male tutto il
giorno", riferendo che "il marito tornò a casa dopo il lavoro, si fece una doccia,
mangiò qualcosa e le disse che sarebbe comunque uscito visto che con la moglie
c'era lei", nonostante ella avesse spiegato che non poteva fermarsi a lungo e lo
avesse invitato a restare in casa. Ella ha pure confermato, al pari del teste sig.
(...), di aver incontrato una sola volta il sig. (...) in visita alla moglie in ospedale
dopo il parto e di aver appreso dalla sig.ra (...) che quella era stata l'unica visita
del marito nel periodo della degenza.
In ordine ad una supposta relazione extraconiugale del sig. (...) nel periodo della
gravidanza della moglie i testi escussi in giudizio hanno in effetti reso
informazioni per lo più apprese de relato, tali comunque da offrire, seppur non
una prova piena, almeno indizi molteplici, precisi e concordanti a conforto delle
allegazioni in merito esposte dalla convenuta.
Peraltro anche in ordine alla disciplina dei rapporti del minore con il padre, pure
a fronte di richieste non del tutto concordi delle parti in sede di precisazione
delle conclusioni, il Tribunale ravvisa comunque un sostanziale accordo tra i
coniugi, quale del resto emerso già nel corso del giudizio, laddove a fronte
dell'istanza svolta dalla sig.ra (...) per una più puntuale regolamentazione delle
visite infrasettimanali del marito al figlio, lo stesso sig. (...) ha aderito alla
richiesta, dichiarando di accettare di visitare il figlio nelle serate del martedì e
giovedì, dalle ore 20.00 alle ore 21.00, sicché l'istanza promossa quindi all'atto
della precisazione delle conclusioni, di estendere la durata di tali incontri,
autorizzando le visite sin dalle ore 19.30 pare doversi disattendere, anche al fine
di salvaguardare le esigenze di accudimento del minore stesso in concomitanza
con il momento del pasto serale, tenuto conto del fatto che tali visite paterne
avvengono presso l'abitazione della sig.ra (...). In corso di causa, all'udienza del
2/11/2000, a fronte delle istanze dell'odierno ricorrente ed in adesione ad una
proposta conciliativa formulata dal G.I., la sig.ra (...) ha peraltro dichiarato di non
opporsi a ché (...) trascorresse autonomamente con il padre la prima e la terza
domenica di ogni mese, dalle ore 15.30 alle ore 18.30, preavvisando la sera del
giorno precedente eventuali impedimenti.
Del pari non possono trovare accoglimento le ulteriori istanze istruttorie pure già
formulate dalla convenuta nella citata memoria depositata in data 14/02/1997 e
già respinte dal G.I. perché generiche, nel sollecitare l'emissione di un ordine di
esibizione documentale nei confronti della Banca di Legnano Agenzia (...) in
relazione agli " estratti conto" del conto corrente personale del sig. (...) n. (...)
acceso presso detto istituto "quantomeno dal 1994 all'aprile 1996" e nei confronti
dei Servizi Interbancari-CartaSì in relazione "ai tabulati riguardanti i
prelevamenti effettuati dal (...) durante tutto il 1995 e sino all'aprile 1996".
Ritiene peraltro il Tribunale che la stessa istanza promossa dalla convenuta già
in corso di causa e ribadita in sede di precisazione delle conclusioni, perché si
disponga "ogni indagine anche fiscale sulla situazione economica-finanziaria
dell'attore quantomeno a partire dal 1998" e si "assuma d'ufficio ogni informazione
si rendesse opportuna e necessaria", siccome formulata in termini del tutto
generici e vaghi, non possa trovare accoglimento, laddove peraltro l'istruttoria
svolta nel giudizio ha già di fatto consentito di acquisire elementi adeguati e
sufficienti per una compiuta valutazione delle capacità reddituali e patrimoniali
del ricorrente in funzione della determinazione degli obblighi di contribuzione al
mantenimento del figlio.Al riguardo il Tribunale rileva anzitutto che l'odierno
ricorrente aveva in effetti ammesso in sede presidenziale in data 5/06/1996 -
come pure in seguito contestato, ma chiaramente attestato nel verbale di causa
- di avere avuto fino a pochi mesi prima introiti mensili pari a L. 4.000.000 ed
aveva quindi offerto di pagare una somma mensile di L. 1.200.000 per il
mantenimento del figlio purché la decorrenza del pagamento fosse posticipata al
luglio 1996.
All'epoca il sig. (...) prestava attività lavorativa alle dipendenze della (...) s.r.l.,
allorché pure risultava percettore di un reddito dichiarato di L. 26.000.000 netti
circa (v. mod. 101 per i redditi del 1995 in atti sub doc. n. 1 e busta paga del
marzo 1996 sub doc. n. 2 nel fascicolo del ricorrente).
La teste ha riferito infatti di avere incontrato il sig. (...) una mattina in v.le
Famagosta a Milano e di avere appreso da lui stesso che egli lavorava presso tale
Ditta (...); ella ha inoltre precisato di aver incontrato nuovamente e
ripetutamente in seguito il sig. (...), almeno sino all'estate del 1998 nella stessa
zona verso le ore 19.30 ed al mattino verso le ore 9.00, ad orari presumibilmente
coincidenti con il termine e l'inizio della sua attività lavorativa, che perciò risulta
sin da allora estesa all'intera giornata e non già di carattere meramente saltuaria
e discontinua come invece assunto dall'odierno attore. Risultano perciò solo di
dubbia attendibilità anche le dichiarazioni pur spontaneamente rese dallo stesso
attore nel corso del giudizio, ed in specie all'udienza del 2/11/2000, nel contesto
del tentativo di conciliazione in quella sede esperito dal G.I., nell'affermare di
svolgere allo stato attività lavorative saltuarie e comunque non formalizzate in
un rapporto di lavoro come intermediario nella vendita di mobili e di percepire
compensi in nero e comunque variabili di L. 1.500.000/2.000.000 al mese (v.
verbale di udienza in data 2/11/2000).
Alla luce dei dati così acclarati il Tribunale ritiene dunque pienamente legittimo
addivenire in via presuntiva alla valutazione delle capacità reddituali attuali
dell'attore, senza necessità di disporre al fine, anche ufficiosamente, ulteriori
indagini a mezzo di Polizia tributaria, disponendo, in relazione agli elementi in
merito acclarati nel giudizio, di indizi chiari, plurimi, precisi e concordanti per la
formulazione di un giudizio ragionevole ed attendibile al riguardo. Risulta infatti
che il sig. (...), attualmente dell'età di quarant'anni e - per quanto consta - in
buone condizioni di salute, avendo svolto per lungo periodo con buon i risultati
anche economici attività professionale di intermediazione per la vendita di
mobili, soprattutto alle dipendenze di terzi, ma riuscendo comunque ad
incrementare in misura consistente il reddito minimo garantitogli (così da
ammettere, all'udienza presidenziale, di percepire mediamente introiti per circa
L. 4.000.000 a fronte di uno stipendio mensile fisso di L. 2.000.000 circa), dispone
certamente anche al presente di capacità lavorative e reddituali tali da
consentirgli di mantenere mediamente il livello professionale ed il tenore di vita
già in precedenza maturato.
Egli ha del resto spontaneamente rassegnato le dimissioni dalla (...) s.r.l. nel
dicembre del 1997, scegliendo così di svolgere autonomamente o in ambiti
lavorativi diversi la sua attività professionale, né rileva di per sé la circostanza,
pure acclarata in sede istruttoria, che egli abbia svolto quindi un periodo di
lavoro in prova di brevissima durata - una settimana - presso altra società senza
riuscire ad ottenere una nuova assunzione lavorativa (v. deposizione testimoniale
del sig. ...), ai fini della prova di una protratta impossibilità di un utile reimpiego
delle sue capacità professionali, essendo peraltro ormai trascorsi dall'epoca oltre
tre anni; né il fatto che egli non abbia quindi cercato od accettato di essere in
seguito assunto con regolare contratto di lavoro, sottraendosi così anche ad ogni
obbligo fiscale, di per sé prova in alcun modo che egli abbia comunque subito nel
corso del presente giudizio una reale e persistente contrazione dei propri
redditi, quali sommariamente ma attendibilmente già accertati sin dalla fase
presidenziale del giudizio, laddove, a fronte dell'obiettiva impossibilità od
estrema difficoltà per la parte convenuta di provare in alcun modo
compiutamente la condizione reddituale e lavorativa attuale della controparte,
l'attore si &egr ave; sempre pervicacemente sottratto ad ogni utile
collaborazione in sede processuale per consentire qualunque verifica in merito,
omettendo nel contempo di assumere alcuna iniziativa istruttoria per provare
positivamente la sua situazione di vita attuale.
Orbene, in ordine alla natura dei doveri nascenti dal matrimonio, questo
Tribunale ha già avuto modo di rilevare chiaramente come "la dottrina
prevalente, desumendola anche dalle conseguenze che l'ordinamento ricollega
alla loro violazione, riconosce la natura pienamente giuridica e non soltanto
morale" di tali doveri, "di modo ché può affermarsi come da essi discenda una
posizione giuridica tutelata o addirittura un diritto soggettivo di un coniuge nei
confronti dell'altro a comportamenti rispondenti a tali obblighi", non senza
evidenziare che "non si tratta, quindi, di diritti in sé assoluti, ma, come è noto,
perché possa configurarsi responsabilità aquiliana e darsi, conseguentemente,
risarcibilità del danno, non occorre che il diritto pregiudicato dalla condotta
dolosa o colposa dell'agente sia un diritto assoluto, come risulta dall'estensione
dell'ambito normativo in esame anche ai diritti relativi (...) ed addirittura
all'aspettativa legittima o chance e persino alle situazioni di mero fatto (quali il
possesso e la detenzione qualificata) ad opera della giurisprudenza degli ultimi
trent'anni, che ha affermato l'atipicità dell'illecito extracontrattuale e collegato
l'art. 2043 al dovere di solidarietà proclamato dall'art. 2 della Costituzione" (Trib.
Milano 10/02/1999, in Fam. e dir. 2/2001, 187; v. anche giurisprudenza ivi citata).
D'altra parte una lettura siffatta della normativa in tema di diritto di famiglia,
quale disciplina anche sanzionatoria esclusiva ed esaustiva nell'ambito dei
rapporti fra coniugi, risulterebbe comunque in palese contrasto con il dettato
costituzionale, ove valesse a rendere inapplicabile in materia il disposto
generale ex art. 2043 cod. civ. anche in caso di condotte lesive dei diritti
inviolabili di ciascuno dei coniugi, tutelati in modo pieno ed assoluto ex art. 2
Cost. anche "nelle formazioni sociali ove si svolge la personalità" di ogni individuo,
e quindi anche nell'ambito familiare, ovvero in caso di comportamenti dei coniugi
in contrasto con il principio fondamentale di "uguaglianza morale e giuridica" di
essi all'interno della famiglia, laddove manchi un esplicito dettato legislativo a
limitare tale uguaglianza "a garanzia dell'unità familiare" (art. 29 Cost.).
Deve tuttavia evidenziarsi come non possa definirsi per sé illecita, e quindi fonte
di responsabilità anche risarcitoria, qualunque violazione dei doveri nascenti dal
matrimonio che pure legittimi la declaratoria di addebitabilità della separazione.
A tali fini, infatti, "il giudice deve accertare che la crisi coniugale sia ricollegabile
al comportamento oggettivamente trasgressivo di uno o di entrambi i coniugi e
che sussista, pertanto, un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il
determinarsi dell'intollerabilità della convivenza, condizione per la pronuncia
della separazione" ed inoltre & quot;nel valutare il comportamento riprovevole
di un coniuge, non potrà prescindere dall'esaminare anche la condotta dell'altro
e procedere, dunque, ad una valutazione comparativa al fine di individuare se il
comportamento censurato non sia solo l'effetto di una frattura coniugale già
verificatasi e possa pertanto considerarsi relativamente giustificato", sicché
"eventuali violazioni dei doveri coniugali dovranno, in tal caso, essere giudicate
irrilevanti ai fini dell'addebitabilità, sempre che si configurino come una reazione
immediata e proporzionata ad un torto ricevuto e non si traducano in una
violazione nell'ambito familiare di regole di condotta imperative e inderogabili o
di norme di particolare rilevanza" (Cass. civ. sez I, 11/01/00 n. 279). Ai fini,
invece, del riscontro di una responsabilità risarcitoria ex art. 2043 c.c. a carico
del coniuge inadempiente ai doveri coniugali, il giudice deve piuttosto accertare,
anzitutto, la obiettiva gravità della condotta assunta dall'agente in violazione di
uno o più dei doveri nascenti dal matrimonio, pur nel contesto di una valutazione
comparativa del comportamento di entrambi i coniugi nel contesto familiare, ed
in secondo luogo verificare con speciale rigore la sussistenza di un danno
oggettivo conseguente a carico dell'altro coniuge e la sua riconducibilità in sede
eziologica non già alla crisi coniugale in quanto tale, per sé di norma produttiva
di uno stato di sofferenza psico-emotiva, affettiva e relazionale, oltre che talora
di disagio economico e comportamentale a carico di almeno una delle parti, ma
alla condotta trasgressiva, e perciò lesiva, dell'agente, proprio in quanto posta in
essere in aperta e grave violazione di uno o più dei doveri coniugali.
Posta, dunque, la sicura applicabilità del disposto normativo ex art. 2043 cod. civ.
anche nell'ambito dei rapporti tra coniugi, occorre peraltro vagliare in concreto
se la condotta assunta da uno di essi in violazione dei doveri nascenti dal
matrimonio sia anzitutto soggettivamente imputabile al suo autore, in quanto
sorretta da dolo o colpa, se essa sia in concreto lesiva di una posizione soggettiva
giuridicamente tutelata dell'altro e produttiva di danno perciò ingiusto e se fra
la condotta stessa ed il danno accertato sussista in effetti un nesso di causalità
giuridicamente apprezzabile nei termini innanzi precisati.
Peraltro "la norma di cui all'art. 2043 c.c., ponendo il principio della risarcibilità
del danno ingiusto, senza alcun riferimento alla natura patrimoniale dello stesso,
stabilisce in via immediata la risarcibilità del complessivo valore della persona,
nella sua proiezione non solo economica, ma anche soggettiva, e, quindi, della
lesione di diritti primari, in quanto inerenti alla persona umana (Cass.civ.
21/05/1996n.4671).
P.Q.M.
1) dichiara, ai sensi dell’art. 151, comma II, c.c., la separazione personale tra i
coniugi sigg. V.L. e G.A.V. con addebito al marito;
2) conferma l’affido del figlio minore L. alla madre, con facoltà per il padre di
visitarlo presso l’abitazione materna nelle serate del martedì e giovedì di ogni
settimana, dalle ore 20.00 alle ore 21.00, nonché di tenerlo con sé almeno per
una domenica al mese, dalle ore 15.30 alle ore 18.30, preavvisando non più
tardi della sera del giorno precedente eventuali impedimenti, per un fine-
se ttiman a al me se , dal sabato mattin a sin o al l a dome n ica se ra,
compatibilmente con gli impegni scolastici del bambino, nonché per dieci
giorni anche consecutivi durante le vacanze estive, concordando con la madre
del bambino, con congruo anticipo, i luoghi ed i periodi di permanenza del
minore con il padre e comunque comunicandole gli esatti recapiti ove il
minore sia reperibile allorché affidato al padre, consentendole di mantenere
contatti telefonici quotidiani con il bambino;
4) ordina al sig. V.L. di prestare, entro trenta giorni dalla comunicazione dal
deposito della presente sentenza, idonea garanzia, reale o personale, per
l’adempimento degli obblighi confermati a suo carico con il presente
provvedimento per il mantenimento del minore fino a concorrenza della
somma di £ 200.000.000, pari ad ‘ 103.291,38;
7) condanna infine il sig. V.L. al pagamento in favore della sig.ra G.A.V. delle
spese processuali del presente giudizio, che liquida in complessive £
12.000.000, pari ad ‘ 6.197,48, di cui £ 1.000.000, pari ad ‘ 516,46, per spese, £
4.000.000, pari ad ‘ 2.065,83, per diritti e £ 7.000.000, pari ad ‘ 3.615,20, per
onorari, oltre IVA, contributo previdenziale e rimborso forfettario delle spese
come per legge;
A questo punto inizia tutta una serie di riflessioni sulla natura giuridica
dei doveri rivenienti dal matrimonio e si dice, in ordine a tali doveri, che
la dottrina prevalente, desumendola anche dalle conseguenze che
l'ordinamento fa discendere dalla loro violazione, riconosce la natura
giuridica e non soltanto morale di tali doveri. Riconosciuto il contenuto
giuridico e quindi rilevante di tali obblighi, si può affermare come da
essi discenda una posizione giuridica tutelata o addirittura un diritto
soggettivo di un coniuge nei confronti dell'altro a pretendere
comportamenti rispondenti a tali obblighi. Poi si riportano una serie di
considerazioni sulla etichettatura dell'art. 2043 che oramai prescinde
dalla tutela di un diritto soggettivo assoluto, rientrando nell'ambito di
applicazione di tale norma anche i diritti soggettivi relativi, le situazioni
di fatto, le aspettative e le chanches.