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LA RESPONSABILITA' ENDOFAMILIARE NEL

RAPPORTO TRA CONIUGI

1. LA RILEVANZA GIURIDICA DEGLI OBBLIGHI CONTENUTI


NELL'ART. 143 DEL CODICE CIVILE E LA CONSEGUENZA
DELLA LORO VIOLAZIONE

La lezione di oggi attiene alla responsabilità endofamiliare e all'illecito


di un componente della famiglia nei confronti degli altri componenti,
segnatamente della responsabilità di un coniuge nei confronti dell'altro,
a seguito di un danno cagionato da un coniuge all'altro coniuge.
Innanzitutto occorre riprendere l'art. 143 c.c. rubricato Diritti e doveri
reciproci dei coniugi (cfr. modulo precedente).
Tali obblighi sono di contenuto sia morale (2° comma) sia patrimoniale
ed economico (3° comma).
Prima questione da affrontare è se tali obblighi hanno un contenuto
giuridico e al riguardo, nonostante la legge parli di obblighi, nella
dottrina meno recente è emersa una teoria al tempo maggioritaria, la
quale considera tali obblighi dei semplici oneri, con la conseguenza
che la violazione degli stessi non darebbe luogo a una sanzione
giuridica (come previsto per la violazione di qualsiasi obbligo avente
rilevanza giuridica).
A tali considerazioni della dottrina passata, suffragata anche dalla
giurisprudenza, si sono poi aggiunte altre considerazioni.
In realtà la violazione di tali obblighi comporta solamente un rimedio
settoriale e quindi un rimedio previsto dal diritto di famiglia che non
viene a configurarsi quale illecito civile, cioè come un comportamento
doloso o colposo che - ai sensi dell'art. 2043 c.c. - cagioni ad altri un
danno ingiusto; tale è l'illecito civile la cui sanzione principale e
generale è quella dell'obbligo del risarcimento del danno.
In questo secondo filone si inseriscono tutte le riflessioni secondo le
quali l'unica sanzione giuridica prevista per la violazione di questi
obblighi sarebbe l'addebitabilità della separazione. Infatti, l'art. 151 c.c.
espressamente rubricata come Separazione giudiziale prevede che
"La separazione giudiziale…(vedi precedente modulo), e, in
particolare, al secondo comma prevede quale sanzione per la
violazioni degli obblighi previsti dagli artt. 143, 147 e 156 c.c. l'addebito
della separazione al coniuge inadempiente. Quindi il giudice, nel
pronunciare la separazione giudiziale, stabilisce che la separazione è
imputabile ad uno dei due coniugi. Questo perché nella convivenza
uno dei due coniugi ha violato uno degli obblighi previsti dagli articoli
citati. Le conseguenze giuridiche dell'addebito della separazione sono
la perdita del diritto al mantenimento, una volta intervenuta la
separazione, e la perdita dei diritti successori.
Quindi diciamo che dottrina e giurisprudenza dominante fino ad una
decina di anni fa ritenevano, anche considerando gli obblighi di cui
all'art. 143 c.c. come obblighi giuridici, che la violazione di tali obblighi
non potesse mai configurarsi come illecito civile e come tale risarcibile
perché era già prevista dall'ordinamento settoriale (il diritto di famiglia)
una specifica sanzione che è la separazione per addebito.
Riassumendo, da un lato una teoria più restrittiva che considera tali
obblighi non di natura giuridica ma meri oneri la cui violazione non è
rilevante per l'ordinamento giuridico, dall'altro abbiano una seconda
teoria che, pur ammettendo la natura giuridica di obblighi giuridici,
considera come unica sanzione possibile, in caso di violazione di tali
obblighi, prevista dall'ordinamento la separazione con addebito. Anzi
secondo tale teoria il fatto che esiste una specifica sanzione, esclude
l'applicabilità di rimedi ulteriori quale potrebbe essere il risarcimento del
danno.
Di fronte a questa posizione della dottrina e della giurisprudenza è
iniziato un nuovo dibattito dottrinale, peraltro accompagnato dalla
giurisprudenza, che ha incominciato a parlare di un danno ingiusto per
violazione dei diritti familiari, degli obblighi reciproci fra coniugi.
Vedremo poi quale è il punto di emersione dell'illecito e quali sono le
conseguenze nel sistema generale del diritto di famiglia, perché è
chiaro che la violazione di questi obblighi familiari e anche la pronuncia
di questa separazione con addebito non può automaticamente far
scattare l'obbligo di risarcimento del danno, ma secondo i principi
generali dell'illecito civile è necessario che ci sia stato un
comportamento doloso o colposo da parte dell'autore dell'atto illecito,
che si sia configurato un danno ingiusto e che, soprattutto, secondo i
principi dell'illecito civile, vi sia un nesso causale tra il comportamento
doloso o colposo e la produzione del danno ingiusto.
Pertanto la regola generale è quella che l'addebito della separazione
non fa scattare automaticamente l'obbligo di risarcimento del danno in
capo al coniuge che ha violato questo obbligo, ma è necessario
rinvenire tutti gli elementi che configurano l'illecito civile.
Altri dubbi riguardano la possibilità che si configuri un illecito civile
anche a prescindere dalla pronunzia di addebito della separazione e
quindi se sia possibile richiedere il risarcimento del danno anche prima
di richiedere la separazione. La risposta richiede un esame sistematico
delle circostanze, perché è chiaro che una volta violati gli obblighi
fam iliar i necessar i alla convivenza ser ena della fam iglia,
automaticamente si instaura una crisi di una coppia e, pertanto,
normalmente, come vedremo anche dall'esame della giurisprudenza,
la richiesta di risarcimento del danno è accompagnata alla richiesta di
separazione, molto spesso affiancata di pari passo dalla richiesta di
addebito. Anche se però astrattamente la configurabilità della
responsabilità per fatto illecito dovrebbe portare a configurare tale
responsabilità a prescindere da una domanda congiunta di
separazione.
Altro tema importante è quello poi della configurabilità di un illecito
civile anche nella famiglia di fatto, cioè nella famiglia non unita in
matrimonio.

2. LA RILEVANZA DI TALI OBBLIGHI AL DI FUORI DELLA


FAMIGLIA LEGITTIMA

Con riguardo al tema della responsabilità per fatto illecito e alla


rilevanza di tali obblighi al di fuori della famiglia legittima occorre fare
una premessa di carattere generale.
In realtà tutto questo movimento culturale e dottrinale, accompagnato
da una serie di sentenze della giurisprudenza, muove da un
presupposto di fatto, cioè che il singolo, pur appartenendo al nucleo
familiare, rileva quale soggetto singolo, dotato come tutte le persone di
diritti della personalità, cioè di diritti che devono essere garantiti a
prescindere dallo status familiare.
Qui va dato conto di un dibattito risalente nel tempo. Infatti,
originariamente addirittura la famiglia veniva considerata come una
formazione sociale a metà tra lo Stato e l'individuo, quindi come una
entità a sé stante in cui l'individuo non rilevava come persona.
L'evoluzione culturale della nozione di famiglia ha portato invece via via
a far scomparire la nozione di famiglia come istituzione sociale e quindi
come comunità intermedia, utilizzando le parole di P. Rescino, che si
frappone tra lo Stato e l'individuo, dando sempre più rilevanza alla
persona nell'ambito della comunità familiare. Ora questo movimento
culturale ha portato necessariamente a dare rilevanza alla persona
umana e quindi alla singola persona, sia essa moglie o marito o figlio,
al di là della considerazione della qualità dello status familiare.
Il problema della famiglia di fatto, in cui si configuri una convivenza
affettiva e una convivenza stabile, famiglie che si accompagnano e si
affiancano alla nozione di famiglia legittima, riguarda l'estensibilità a
queste famiglie degli obblighi di coabitazione, di assistenza morale e
materiale, di fedeltà e in generale soprattutto gli obblighi di contenuto
non patrimoniale contenuti nel secondo comma dell'art. 143 c.c..
Dal punto di vista tecnico e giuridico l'art. 143 - rubricato dei diritti e dei
doveri dei coniugi, letto nel corso della celebrazione del matrimonio -
se si considera diritto di ciascuno e quindi diritto della persona
all'assistenza materiale o morale e, soprattutto, se dal punto di vista
della giurisprudenza la famiglia di fatto viene equiparata alla famiglia
legittima laddove vi sia un rapporto affettivo stabile nel tempo, allora
deve per questo riconoscersi l'applicabilità di tali obblighi anche alla
famiglia non fondata sul matrimonio. Laddove esista una comunità e
una convivenza stabile di tipo affettivo, necessariamente tali obblighi
devono estendersi a questa seconda tipologia di famiglia, perché
sarebbe in qualche modo incostituzionale, sotto il profi lo
dell'eguaglianza, affermare la rilevanza di questi obblighi solo nella
famiglia fondata sul matrimonio e dire, per esempio, che in una
convivenza stabile che abbia tutte le caratteristiche affettive di quella
che la giurisprudenza chiama una convivenza more-uxorio, cioè una
convivenza di fatto, un coniuge possa legittimamente violare l'obbligo
di assistenza materiale o morale, di coabitazione e di fedeltà.
E' chiaro un punto, tuttavia, che mentre nella famiglia legittima la
violazione di tali obblighi comporta la sanzione giuridica dell'imputabilità
della separazione, nella famiglia di fatto non essendoci il vincolo
negoziale del matrimonio non è conoscibile una eventuale
separazione giudiziale e quindi neanche la sanzione dell'addebito della
separazione stessa da parte del giudice con la conseguente perdita del
diritto successorio e del diritto al mantenimento.
Ci si domanda, però, de iure condendo, se il progetto di legge sulla
famiglia di fatto in corso di predisposizione, accordando diritti
successori ai componenti della famiglia di fatto stesso, preveda anche
la sanzione della perdita degli stessi diritti in caso di violazione di questi
obblighi.
E' chiaro che l'illecito civile, e quindi il riconoscimento di un danno, è
uno strumento di carattere generale, che ciascun individuo,
indipendentemente dall'essere componente di una famiglia legittima o
di fatto, può utilizzare; tuttavia l'individuazione di questi obblighi (di
assistenza materiale o morale) è un procedimento che collega il
singolo appartenenza ad una comunità familiare. Diciamo che il
problema è ancora aperto, cioè tuttora irrisolto a livello giuridico e
sistematico, ma che comunque si configura laddove venga riconosciuto
un illecito civile come violazione di questi doveri all'interno della
famiglia legittima.
Ma se guardiamo alle norme costituzionali che riconoscono la famiglia,
cioè gli artt. 29 e 30 della Costituzione, è possibile rilevare anche un
richiamo alla famiglia di fatto.
art. 29: "La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società
naturale fondata sul matrimonio.
Il matrimonio è ordinato sull'equaglianza morale e giuridica dei coniugi,
con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare".
In realtà secondo una lettura testuale dell'art. 29 della Costituzione si
dice che il nostro ordinamento e quindi la nostra Costituzione avrebbe
riconosciuto solo la famiglia legittima; ma a questa lettura testuale si
affianca una lettura anti letterale che ammette, proprio per questo
riferimento alla società naturale, che nel concetto di famiglia debbano
entrare anche famiglie diverse. Chiaramente qui entriamo in un
dibattito di contenuto etico che poco ha a che vedere con la nostra
lezione, ma che serve per vedere quale delle famiglie oggi proposte
diverse dalle famiglie legittime possano rientrare nel concetto di società
naturale.
Ritornando al tema della responsabilità endofamiliare nel rapporto tra i
coniugi occorre dire che quella tendenza dottrinale che ammette e
quindi fa entrare l'illecito civile nella famiglia, estende la rilevanza della
violazione degli obblighi di cui all'art. 143 c.c. anche alla convivenza,
chiaramente eterosessuale, che abbia i caratteri di una convivenza
more-uxorio, che appunto viene considerata come una convivenza di
carattere affettivo stabile nel tempo.

3. L'OBBLIGO DI FEDELTA'

Andiamo adesso ad affrontare il contenuto di questi singoli obblighi


previsti nell'art. 143 c.c. Il primo obbligo che emerge dalla lettura del 2°
comma dell'art. 143 c.c. è quello di fedeltà, che nella giurisprudenza
più recente viene considerato non solo come obbligo a non intrattenere
relazioni extraconiugali con altre persone ma, con un contenuto più
ampio e più esteso, come l'obbligo di contenuto morale di essere fedeli
all'altra persona anche indipendentemente dall'intrattenimento di
relazioni extraconiugali (si ha riguardo cioè al comportamento tenuto
dal coniuge del quale, pur senza accertarne l'infedeltà, viene meno
l'affidabilità in tal senso, anche in relazione a infedeltà di ordine non
materiale ma "virtuale").
E' certo oramai che la violazione dell'obbligo di fedeltà non costituisce
più un reato dal punto di vista penale, e qui entriamo in un problema
relativo alla responsabilità endofamiliare, che è un problema del
possibile risarcimento del danno non patrimoniale, che è regolato
dall'art. 2059 c.c.. Facendo una sintesi di quella che è stata
l'evoluzione giurisprudenziale in materia, può dirsi che ad una prima
lettura restrittiva dell'art. 2059, che considerava risarcibile il danno non
patrimoniale solo nell'ipotesi di reati, quindi solo nei casi
tassativamente stabiliti dalla legge, nel caso dell'adulterio, non
rientrando più tra i reati penalmente rilevanti, si arrivava a dichiarare
non risarcibile il danno derivante dalla violazione dell'obbligo di fedeltà.
A fronte di questo orientamento restrittivo si è affiancato un
orientamento oggi prevalente che considera risarcibile il danno non
patrimoniale anche in assenza di reato.
Quindi, secondo questa moderna concezione del danno non
patrimoniale, la violazione dell'obbligo di fedeltà, nel contenuto esteso
oggi ad esso assegnato (infedeltà non solo materiale ma di contenuto
anche morale) dovrebbe comportare la risarcibilità del danno non
patrimoniale.
Questa evoluzione dell'art. 2059 c.c. è un'evoluzione che parte da
lontano e che riguarda lo stesso contenuto del danno non patrimoniale;
secondo la lettura restrittiva passata, che fa capo a Renato
Scognamiglio, il danno non patrimoniale sarebbe solo il danno morale
soggettivo e cioè, quello che i latini chiamavano la pecunia doloris,
ovvero le lacrime che vengono versate in caso di un fatto dannoso che
si concretizzi in una ipotesi di reato. Quindi secondo questa prima
interpretazione l'art. 2059 c.c. aveva un ambito applicativo molto
ristretto, perché il danno morale soggettivo veniva a configurarsi solo
nell'ipotesi di danni conseguenti al reato.
A questa concezione oggi si sostituisce una visione più moderna del
danno non patrimoniale, non più ristretto al danno morale soggettivo
che viene a configurarsi solo nell'ipotesi di reato, ma concepito come il
danno che deriva dalla violazione di diritti che sono garantiti dalla
Costituzione.
Quindi ora si tratta di stabilire se il diritto alla fedeltà da parte dell'altro
coniuge è un diritto costituzionalmente garantito (vedremo a tal
proposito una sentenza del Tribunale di Savona che affronta proprio il
tema della risarcibilità del danno da infedeltà chiamato a conoscere del
fatto di una moglie tradita dal marito che, unitamente alla separazione,
aveva chiesto il risarcimento del danno derivante dalla violazione
dell'obbligo di fedeltà) .
Ma la violazione dell'obbligo di fedeltà inteso in senso ampio non è
solamente l'ipotesi dell'adulterio, ma è l'ipotesi in cui insieme alla
violazione dell'obbligo di fedeltà vengano lesi gli altri diritti
costituzionalmente garantiti, come per esempio il diritto alla dignità
della persona. Infatti, ai fini della risarcibilità del danno, occorre
individuare le modalità attraverso le quali il comportamento doloso o
colposo del coniuge abbia leso, insieme al diritto alla fedeltà, anche
altri diritti costituzionalmente garantiti. Solo in questa prospettiva più
ampia si ritiene sia possibile individuare un danno, che sia un danno
non patrimoniale, e che sia risarcibile qualora però siano sempre
configurabili tutti gli elementi dell'illecito civile: comportamento doloso
(quindi intenzionale) o colposo, la produzione di un danno ingiusto e il
nesso causale tra il comportamento dell'autore dell'atto illecito e la
produzione del danno ingiusto.

4. L'OBBLIGO DI ASSISTENZA MATERIALE

Andiamo agli altri obblighi di contenuto non patrimoniale richiamati


dall'art. 143 c.c.. Qui il codice civile fa riferimento all'obbligo di
assistenza materiale e morale. Il primo è sicuramente un obbligo
diverso dall'obbligo di mantenimento, contenuto nel 3° comma del
medesimo articolo, e riferito al dovere di contribuire ai fabbisogni della
famiglia in relazione alle capacità economiche e professionali di
ciascun coniuge. Questo obbligo di assistenza materiale fa venire in
mente la formula della cura dell'altro coniuge, ad esempio in caso di
malattia; sicuramente tale obbligo non si esaurisce nell'obbligo di
mantenimento e di contribuzione ma è qualcosa che va oltre e a
questo riguardo si riporta un caso giurisprudenziale deciso dal
Tribunale di Firenze nel 2000. Si tratta di una leading case, cioè di una
sentenza storica, perché da questo caso si è aperta la responsabilità
endofamiliare nel rapporto tra i coniugi. Peraltro, questo caso integrava
anche un'ipotesi di reato per abbandono.
Fatto: ci sono due coniugi uniti in matrimonio, felicemente sposati in
una prima fase della vita familiare; dopo tutta una serie di problemi la
moglie cade in depressione, che viene accertata medicalmente e
curata con la somministrazione di psicofarmaci, che come è noto
portano ad una situazione di degrado e di perdita di interesse per la
vita, perdita peraltro già configurabile nella patologia della depressione.
Il comportamento del marito è di abbandonarla materialmente in una
stanza della loro abitazione, lasciandola senza assistenza; inoltre attua
un abbandono anche materiale perché esce di casa e intrattiene anche
una relazione extraconiugale. La lascia per un tempo lungo e
addirittura l'abbandono materiale e quindi la violazione dell'obbligo
dell'assistenza materiale viene accertata dagli assistenti sociali i quali
riscontrano in questa signora una dermatite dovuta proprio allo stato
di abbandono e all'incapacità della stessa di provvedere agli
adempimenti della vita quotidiana. Il marito si accorge di questa
situazione non in occasione di un pentimento ma quando decide di
dare in locazione l'appartamento coniugale. A quel punto allora deve
fare andare via la moglie e si accorge della situazione di degrado in cui
versa la stessa.
In primo luogo si apre il giudizio, viene data la separazione per
addebito ai sensi dell'art. 151 c.c. ma non solo, questa persona viene
imputata del reato di abbandono, ai sensi dell'art. 570 c.p.
Congiuntamente, viene richiesto il risarcimento del danno non
patrimoniale ai sensi dell'art 2059 c.c. per la violazione degli obblighi di
assistenza materiale e morale.
Il Tribunale di Firenze accorda il risarcimento del danno non
patrimoniale; peraltro, in questa ipotesi, essendo configurato il reato di
abbandono, il risarcimento viene dato a prescindere dall'applicazione
di quell'orientamento di apertura che considera risarcibile il danno non
patrimoniale anche qualora non sia configurabile un reato, che nel
caso di specie invece sussiste (reato di abbandono).
Si tratta comunque dei primi casi di raccontati dalla giurisprudenza che
configurano l'esistenza di un illecito civile che si accompagna all'ipotesi
di reato e alla violazione degli obblighi di assistenza materiale e morale
contenuti nell'art. 143 c.c. Viene dimostrato il comportamento non solo
colposo ma doloso del marito, il danno ingiusto nella violazione del
diritto all'assistenza materiale e morale e il nesso di causalità tra il
comportamento del marito e il danno che viene ad essere configurato
in capo al coniuge.

5. L'OBBLIGO DI ASSISTENZA MORALE

Andiamo adesso ad analizzare l'obbligo di assistenza morale che - a


differenza dell'obbligo di assistenza materiale, la cui violazione era
prevalente nella controversia sopra illustrata - si configura come
apparato emotivo e affettivo di assistenza a una persona. Nell'ipotesi
sopra descritta, tali obblighi si configurano entrambi (il marito non
curava la moglie e neanche le dava affetto), e in generale la violazione
dell'obbligo di assistenza morale si accompagna quasi sempre a quella
materiale. Ma è anche configurabile una violazione autonoma
dell'obbligo di assistenza morale e cioè è configurabile una violazione
dell'obbligo di assistenza morale indipendentemente dalla violazione
dell'obbligo di assistenza materiale.
Ci sono due casi inediti, uno deciso dal Tribunale di Torino e l'altro dal
Tribunale di Firenze.
Nel primo caso abbiamo un marito che provvede a curare e assistere
la moglie, ma risulta dagli atti che è una persona fredda e indifferente e
si fa riferimento anche ad un atteggiamento di tipo autistico, in quanto
si rifiuta di avere un dialogo con la moglie, e quindi si configura una
violazione del mero obbligo di assistenza morale; la moglie nel caso
oggetto di controversia non lamenta la mancanza di cure ma
sostanzialmente lamenta la mancanza di affetto, di un atteggiamento
conforme a quello normale tra coniugi. Quindi la moglie chiede il
risarcimento del danno.

L'altra ipotesi riporta una situazione di mobbing all'interno della


famiglia; il mobbing è un termine utilizzato in ambito lavoristico che
consiste in una serie di ricatti e boicottaggi che creano uno stato di
disagio e di dimensionamento nel lavoratore. Il caso di specie riguarda
un marito che cura materialmente la moglie, nel senso che provvede al
suo mantenimento, ma tiene un comportamento denigratorio nei
confronti della giovane moglie anche in presenza di altre persone
(viene accusata di essere non solo incapace di procreare ma anche di
rendersi autonoma economicamente perché non in grado di trovare un
lavoro). Risulta dagli atti un atteggiamento di denigrazione sotto
l'aspetto anche fisico e, in generale, tale comportamento viene
etichettato nella formula del c.d. mobbing familiare, che esula dagli
obblighi di assistenza morale riportati nell'art. 143 c.c. ma che tuttavia
viene considerato dai giudici ai fini della concessione del risarcimento
del danno. Qui entriamo in un campo molto delicato, perché mentre
nella controversia precedente viene a configurarsi un'ipotesi di reato, in
queste ipotesi che sono al limite e che sostanzialmente riproducono la
vita di tanti rapporti familiari, è più difficile stabilire il limite tra un
comportamento normale/legittimo e comportamento anormale/
illegittimo, cioè antigiuridico, che è poi quello che qualifica il danno
come ingiusto.
In campo matrimoniale, il mobbing - da intendersi come ogni
comportamento posto in essere da un coniuge volto ad aggredire
psicologicamente la personalità dell'altro, in maniera continua e
abituar- è stato qualificato come violazione degli obblighi di assistenza
e di collaborazione (Cass. civ., sez. I, 7.6.82, n. 3437).
Nella citata pronuncia della Corte di Appello di Torino del 21.2.2000) è
stata ritenuta particolarmente grave, perché lesiva del dovere di
assistenza morale, la condotta reiterata e aggressiva del marito il
quale non perdeva occasione, sia in privato sia dinanzi ad estranei, per
denigrare la moglie, ingiuriarla - facendola sentire insignificante, poco
gradevole esteticamente e inferiore sul piano sociale - invitandola ad
abbandonare la casa coniugale, annientandone, così, la personalità e
l'autostima.

Occorre peraltro tenere conto che non ogni comportamento freddo,


opportunistico, denigratorio può comportare la richiesta di risarcimento
del danno, ma occorre sempre dimostrare l'elemento soggettivo del
comportamento, il dolo e la colpa, e che sia stato prodotto un danno
alla persona in conseguenza di tale comportamento, cioè che vi sia un
nesso causale tra il comportamento freddo e la produzione del danno.
Difficile stabilire la soglia della liceità, della illegittimità, difficile stabilire
quando si produce un danno dal punto di vista del diritto. E' chiaro che
occorre sempre far riferimento ad ipotesi patologiche e cioè un
comportamento freddo ed ostruzionistico, come nell'ipotesi di mobbing,
che abbia comportato un danno, una depressione nei confronti della
persona; deve essere un comportamento reiterato, non occasionale,
che comporti un danno alla persona, che rilevi un danno esistenziale,
nella vita della relazione.

Peraltro questo è il tema del diritto all'affetto ad avere un trattamento


affettivo nell'ambito della famiglia; in realtà, come vedremo, nell'ambito
endofamiliare, segnatamente nel rapporto genitori-figli la dottrina più
attenta configura l'esistenza di un diritto soggettivo all'affetto da parte
dei minori. In capo ai minori è configurabile un diritto all'affetto, alle
relazioni affettive. Nel rapporto, invece, tra adulti, non è configurabile
un diritto all'amore, all'affetto, ma la violazione del diritto all'affetto deve
accompagnarsi alla violazione di altri diritti che sono il diritto alla
dignità, alla identità personale: nel caso, appunto, della Corte di
Appello di Torino, di mobbing familiare, la giovane moglie non rivendica
solamente il diritto all'affetto da parte del marito, ma rivendica altresì il
diritto alla propria identità di donna, di possibile madre, e anche un
diritto all'identità professionale che viene lesa dal comportamento
denigratorio del marito.

6. L'OBBLIGO DI CONTRIBUZIONE

Passiamo ora all'obbligo di contribuzione, previsto al 3° comma dell'art.


143 c.c., che recita: "Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in
relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro
professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia".
Come si vede questo è un obbligo, nell'ambito dei diritti e dei doveri
reciproci dei coniugi, che ha un contenuto sostanzialmente ed
esclusivamente patrimoniale; quindi ciascuno dei coniugi, quindi anche
chi non svolge un lavoro professionale all'esterno, deve contribuire ai
bisogni della famiglia. La violazione di questo obbligo si configura tutte
le volte un coniuge non provvede né alla corresponsione di una
somma per le spese comune, né attraverso un lavoro, anche se di tipo
casalingo.
In realtà tutto il dibattito sulla responsabilità endofamiliare non tocca il
danno patrimoniale ma piuttosto la violazione degli obblighi di
contenuto non patrimoniale, perché solo in questa sfera di diritti e di
doveri si configurano i danni più consistenti. E' chiaro tuttavia che
l'obbligo di contribuzione patrimoniale e quindi l'obbligo di
mantenimento è il più facile da dimostrare dal punto di vista probatorio
e può dar luogo al risarcimento del danno, anche se sempre sul
presupposto che siano configurabili tutti gli elementi dell'illecito civile
(dolo o colpa, danno ingiusto e nesso causale tra comportamento,
doloso o colposo, e il danno cagionato). In realtà in negativo ci sono
due sentenze della Cassazione, entrambe del 1993, che chiamano in
causa il problema del danno patrimoniale nell'ipotesi di separazione; in
un caso il coniuge separato, il marito, lamenta i danni economici
derivanti dalla separazione, quali quelli connessi ai lavori domestici
prima svolti dalla moglie e addirittura intenta un'azione di revoca della
donazione di un immobile già donato alla moglie; altra ipotesi riguarda i
danni economici questa volta lamentati dalla moglie nei confronti del
marito, per la perdita dei vantaggi e dei benefici derivanti dalla
convivenza, ovvero del godimento dalla casa familiare. In ogni caso,
qualora si configuri una violazione degli obblighi di contribuzione che si
inquadrino in un illecito civile, si tratta di danno patrimoniale, in quanto
questo obbligo è un obbligo di contenuto patrimoniale e non concerne
la violazione di diritti costituzionalmente garantiti.

7. L'OBBLIGO DI COABITAZIONE
Nell'ambito invece dei diritti a contenuto non patrimoniale, l'ultima
categoria è costituita dall'obbligo di coabitazione.
Infatti alla fine del 2° comma dell'art. 143, dopo aver enunciato gli
obblighi reciproci di contenuto non patrimoniale quali la fedeltà e
l'assistenza morale e materiale, nonché la collaborazione nell'interesse
della famiglia, viene citato l'obbligo della coabitazione.
In relazione a tale obbligo la giurisprudenza si è pronunciata ritenendo
che l'obbligo di coabitazione venga violato quando un coniuge si
allontani dalla residenza familiare non per giustificato motivo (come per
lavoro, studio o per motivi di salute), ma senza preavviso e per un
tempo ragionevole e reiterato nel tempo. Non emergono a livello di
giurisprudenza di merito né tantomeno a livello di Cassazione delle
decisioni che abbiano concesso il risarcimento del danno né danno
patrimoniale né del danno non patrimoniale per la violazione del mero
obbligo di coabitazione. In generale, la violazione dell'obbligo di
coabitazione si accompagna alla violazione degli altri obblighi di cui
all'art. 143, quali l'obbligo di fedeltà, di assistenza materiale e morale.
L'obbligo di coabitazione viene inteso in senso restrittivo dalla
giurisprudenza, in quanto anche un allontanamento lungo che però sia
giustificato da motivi di lavoro, studio e salute, non fa emergere la
violazione di tale obbligo.

8. LA GIURISPRUDENZA DI MERITO
Analizziamo ora due sentenze della giurisprudenza di merito. Sono due
sentenze che pur essendo contigue, perché risalenti entrambe all'anno
2000, contengono però decisioni contrapposte nell'ambito
dell'ammissibilità del risarcimento del danno per responsabilità
endofamiliare. E' significativo vedere come nell'ambito della
motivazione di tali sentenze emergano nella giurisprudenza quelle
riflessioni che abbiamo sintetizzato, in un caso per estendere l'illecito
civile ai rapporti tra coniugi e nell'altro invece per negato che possa
esistere una responsabilità per fatto illecito tra coniugi.
Comunque entrambe le sentenze rappresentano il quadro attuale della
giurisprudenza, ancora divisa in tale materia.

1^ DECISIONE

Si tratta della decisione del Tribunale di Savona, Sezione Staccata di


Albenga, pronunciata l'8.1.2005:

Tribunale di Savona, sez. distaccata di Albenga, 8 gennaio 2005 – Giudice Unico Princiotta –
Grossi (Avv. ti Paleologo e Gemma) c. Ghersi (Avv. Ferrari).

Svolgimento del processo


Con atto di citazione notificato il 22 giugno 2001, Mara Grossi ha chiamato in giudizio Paolo
Ghersi chiedendone la condanna al risarcimento del danno biologico derivatole nella misura di
£. 1.000.000.000 oltre rivalutazione ed interessi in seguito al comportamento tenuto dal Ghersi
in violazione ai doveri del matrimonio.
A sostegno della domanda esponeva di aver in precedenza conosciuto il Ghersi; tra i due era
nato un intenso rapporto che aveva determinato la fine del matrimonio della Grossi che si era
concluso con la separazione e, successivamente, con il divorzio; nel 1986 aveva, quindi, iniziato
a convivere con il Ghersi e, dopo otto anni di convivenza, in un clima di totale fusione e di
reciproco amore, avevano contratto matrimonio il 14 maggio 1994; tale felice conclusione aveva
appagato le sue naturali aspirazioni di donna ed aveva attribuito una solida ragione alla fine del
precedente matrimonio della quale la Grossi si sentiva colpevole; nel giugno 1997, dopo un
periodo di vita coniugale intenso ed appagante, veniva contattata da tal Mauro Ravera il quale le
comunicava, lungi da ogni prevedibilità, che il Ghersi intratteneva una relazione coniugale con
la di lui moglie, Enza Randazzo, e le consegnava lettere scritte dall’uno all’altra; l’iniziale
speranza di un ripensamento l’aveva lasciata in balia per notevole tempo del Ghersi che, pur
confermando l’esistenza della sua relazione, aveva chiesto tempo per prendere delle decisioni
continuando, tuttavia, a frequentare la sua amante alla luce del sole; dalla scoperta della
relazione, la vita era diventata un inferno e, considerando il suo matrimonio l’unica felice
aspettativa della vita, era improvvisamente caduta nella più totale frustrazione e nell’isolamento,
salvo la presenza di pochissimi amici che le stavano affettuosamente vicini per attenuarne le
sofferenze; non aveva più i ventotto anni offerti in precedenza al Ghersi e non era più nella
condizione psico-fisica per pensare e realizzare una nuova svolta nella propria vita sentimentale;
la sua situazione personale, divenuta di pubblico dominio (tanto che era continuamente
avvicinata da persone che si informavano degli sviluppi della vicenda), aggravava il suo stato
emotivo accrescendo lo stato di depressione e prostrazione.
Sosteneva, quindi, che il comportamento del Ghersi, “in quanto gravemente violativo dei doveri
nascenti dal matrimonio (art. 143 c.c.), era indubbiamente fonte, come affermato in dottrina ed
in giurisprudenza, di risarcimento del danno biologico” assumendo che al fatto era conseguito:
“a.- danno biologico conseguente alla violazione del dovere di fedeltà del coniuge (o danno
psicologico): tale danno consiste nel trauma psichico degenerato in lesione permanente alla
salute dell’attrice in quanto colpita da uno stato psicologico di profonda depressione.
b.- danno esistenziale e\o danno alla serenità familiare: il rapporto affettivo con il Ghersi aveva
determinato la crisi del precedente rapporto coniugale. La vita della Grossi ruotava intorno alla
persona del suo compagno, che aveva sostenuto ed aiutato anche nella crescita professionale,
sicché la violazione del dovere di fedeltà posta in atto dal Ghersi, cui è conseguito il fallimento
dell’unione tra i coniugi, aveva stravolto l’ esistenza dell’attrice”.
Instauratosi regolarmente il contraddittorio si costituiva il Ghersi che contestava la
responsabilità e l’entità del danno.
Nel corso dell’istruzione venivano sentiti i testimoni indicati dalle parti ed effettuata una
consulenza di natura medica affidata al professor Romualdo Badino.
Il 20 maggio 2004, ultimata l’istruzione probatoria, le parti precisavano le conclusioni come
sopraindicato.

Motivi della decisione


I.- Con riferimento ai fatti di causa, risulta provato che il convenuto ha intrapreso la relazione
extraconiugale quando era ancora convivente con l’attrice (cfr. deposizione Randazzo: “quando
ho iniziato la relazione la coppia era ancora convivente; il rapporto sentimentale con il Ghersi è
cominciato nel maggio 1997).
Nessuno dei testi sentiti ha affermato di aver visto il Ghersi in atteggiamenti affettuosi con la
Randazzo in epoca precedente alla separazione (“circolava la voce che qualcosa non andava, che
il Ghersi stava con una persona diversa dalla moglie, ma non si sapeva con chi; ” –deposizioni
rese da Rocca, Gregari e Napoletano-; “io di persona non ho visto nulla, ma circolavano delle
voci che il Ghersi avesse una nuova compagna” (teste Delfino).
Gli amici della coppia hanno concordemente riferito che era stata la Grossi a fare il nome della
Randazzo (teste Mantica) che era stata loro presentata a distanza di tempo, nell’agosto del
1998, e, cioè, quando i coniugi si erano legalmente separati (cfr. deposizioni rese da Mantica,
Carrara, Randazzo, Santinelli, Fugassa e Furione).
In diverse occasioni il Ghersi aveva sollecitato l’intervento degli amici per riappacificarsi con la
moglie che aveva rifiutato la riconciliazione a causa della prosecuzione della relazione con la
Randazzo (teste Mantica).
La crisi coniugale aveva gettato la Grossi in un profondo stato depressivo che era stato
gradatamente superato in seguito (sul punto, particolarmente significativa la deposizione resa
dalla teste Mantica la quale ha significativamente dichiarato: “inizialmente in spiaggia
continuava a piangere ed a parlare del Ghersi. Poi, poco per volta, dopo la fine dell’estate, aveva
iniziato a riprendersi e successivamente, quando ero andata a chiederle per l’ennesima volta di
tornare con il Ghersi, lei mi aveva risposto che ormai stava bene così e che forse,
effettivamente, aveva idealizzato il Ghersi. Dopo la separazione legale non parlava più del
Ghersi ed era tornata la Mara di una volta”).
Ai fini della decisione va, infine, considerato che le parti sono addivenute a separazione
consensuale e che il C.T.U. Badino ha appurato che l’evento per cui è causa ha concorso a
determinare alla Grossi una nevrosi depressiva post traumatica con la modifica della qualità di
vita in modo negativo nella misura del 20-25%.
Ciò posto, come sopra già ricordato, l’attrice sostiene che il comportamento del convenuto sia
“gravemente violativo dei doveri nascenti dal matrimonio (art. 143 c.c. ) e, quindi, sia
“indubbiamente fonte, come affermato in dottrina e giurisprudenza, di risarcimento del danno
biologico”.
Tali argomentazioni non paiono condivisibili.
In primo luogo va, invero, considerato che la violazione degli obblighi personali che
reciprocamente derivano ai coniugi è sanzionata con l’addebito della separazione a carico di chi
ha tenuto il comportamento inosservante ( cfr. art. 151 II comma c.c., ai sensi del quale “il
giudice, pronunziando la separazione, dichiara ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto,
a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione in considerazione del suo comportamento
contrario ai doveri che derivano dal matrimonio).
Il fatto che la violazione dei reciproci diritti-doveri dei coniugi sia sanzionata dall’art. 151 c.c. ,
in base al principio lex specialis derogat legis generali, induce a ritenere che, nel caso di
trasgressione, il coniuge non possa andare incontro a conseguenze diverse ed ulteriori (ciò a
prescindere dal fatto che, nel caso in esame, la separazione non è stata neppure addebitata al
Ghersi).
Per converso, quand’anche si ritesse sussistere lo spazio per ottenere il risarcimento per
violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, si dovrebbe trattare evidentemente di un danno
non patrimoniale tutelato dall’art. 2059 c.c. secondo cui “il danno non patrimoniale deve essere
risarcito solo nei casi determinati dalla legge” nella chiave di lettura costituzionalmente orientata
di recente indicata dalla Suprema Corte che, superando la tradizionale restrittiva lettura della
norma, considera inoperante il limite derivante dalla riserva di legge correlata all’art. 185 c.p.
laddove la lesione abbia riguardato valori della persona costituzionalmente garantiti (cfr. Corte
di Cassazione, Sez. III civile, numeri 8827 e 8828 del 2003).
In tale ipotesi, non essendovi lo spazio per un risarcimento da danno morale soggettivo in
seguito all’eliminazione del reato di adulterio e non essendo coercibili gli obblighi previsti
all’art. 143 c.c. (alcuni autori sostengono addirittura che si tratti in realtà di oneri piuttosto che di
doveri strictu sensu), l’attrice, a sostegno della domanda, avrebbe, quindi, dovuto indicare il
diritto di natura costituzionale che assume essere stato leso nel caso concreto avendo la
Suprema Corte definitivamente chiarito che l’art. 2059 c.c. non delinea una distinta figura di
illecito produttiva di danno non patrimoniale, ma, nel presupposto della sussistenza di tutti gli
elementi costituitivi della struttura dell’illecito civile, consente, nei casi determinati dalla legge,
anche la riparazione di danni non patrimoniali eventualmente in aggiunta a quelli patrimoniali
nel caso di congiunta lesione di interessi di natura economica e non economica.
Non avendo l’attrice dimostrato la lesione di un diritto costituzionale da parte del convenuto e
neppure che il fatto ascritto abbia inciso su una posizione soggettiva tutelata come diritto
perfetto ed essendo evidente il diritto in capo al Ghersi di liberamente determinarsi circa il
proseguimento o meno della relazione familiare, la domanda deve essere respinta.
II.- In considerazione della vicenda umana oggetto di causa, sussistono giusti motivi per
compensare integralmente le spese di lite.
Le spese di consulenza, già liquidate nel corso del giudizio con separato provvedimento, vanno
definitivamente poste a carico della Grossi.

P.Q.M.
Il Tribunale, in persona del giudice istruttore in funzione di giudice unico, definitivamente
pronunciando, nel contraddittorio delle parti, respinta ogni diversa e contraria istanza eccezione
o deduzione, per le ragioni indicate in motivazione, così provvede:
1.- respinge la domanda avanzata da Mara Grossi;
2.- compensa integralmente le spese del giudizio.
3.- pone le spese di consulenza già liquidate nel corso del giudizio definitivamente a carico di
Mara Grossi.

_________________

Tale decisione è significativa perché si tratta della violazione


dell'obbligo di fedeltà coniugale, che porta nella controversia alla
separazione e alla richiesta di risarcimento del danno da parte della
presunta vittima che, nel caso di specie, è la moglie. La moglie era
precedentemente unita in matrimonio con un'altra persona, che lascia
e contrae matrimonio con l'attuale marito dopo otto anni di convivenza;
dopo tre anni di matrimonio, la moglie scopre una relazione
extraconiugale intrattenuta dal marito. A seguito di questa situazione
la moglie accusa una forte depressione, di totale frustrazione,
accresciuta dal fatto che tale vicenda diventa di dominio pubblico. La
moglie chiede, alla luce del comportamento gravemente lesivo del
marito degli obblighi contenuti nell'art. 143 c.c., in primo luogo: 1. il
risarcimento del danno biologico conseguente alla violazione degli
obblighi matrimoniali del marito nonché il risarcimento del danno
esistenziale, ovvero il danno alla serenità familiare. Quest'ultimo
danno, come sappiamo, nasce nelle riflessioni della dottrina, ma
soprattutto viene applicato dalla giurisprudenza, e consiste in un
peggioramento della qualità della vita; in particolare, nel chiedere il
risarcimento del danno esistenziale, la donna dice che il rapporto
affettivo con l'attuale marito aveva determinato la crisi del precedente
rapporto coniugale, la vita della signora ruotava intorno alla vita del suo
compagno che aveva sostenuto ed aiutato anche nella crescita
professionale; sicché la violazione del dovere di fedeltà aveva stravolto
l'esistenza di questa donna.
La richiesta della parte attrice viene respinta, alla luce della valutazione
da parte del giudice di tutte le circostanze del caso. In particolare, in
questa vicenda sono significative le indagini istruttorie, dalle quali
risulta che la depressione che doveva essere stata causata
direttamente dal fatto dell'adulterio in realtà non aveva poi comportato
un peggioramento della vita della moglie (infatti, dalle testimonianze
emerge che la moglie si era ripresa e addirittura si rifiutava di avere n
dialogo con il marito). Ma tornando alle motivazioni, rilevano alcuni
punti importanti nella decisione del Tribunale di Savona, che prende
posizione e riproduce le riflessioni precedenti della dottrina: il fatto che
la violazione dei reciproci diritti e doveri dei coniugi sia sanzionata
dall'art. 151 c.c. con l'addebito della separazione induce a ritenere, in
base al principio lex specialis derogat legis generali, che in caso di
trasgressione il coniuge non possa andare incontro a conseguenze
diverse ed ulteriori, e ciò a prescindere dal fatto che, come nel caso in
esame, la separazione non è stata neppure addebitata al coniuge,
avendo proceduto ad una separazione consensuale.
Riepilogando qui la giurisprudenza del 2005 riproduce quelle riflessioni
passate della dottrina per cui essendoci lo strumento settoriale previsto
dal dal diritto di famiglia della separazione per addebito, in base al
principio lex specialis derogat legis generali, non si intravvede la
possibilità di un illecito risarcibile ai sensi dell'art. 2043 o dell'art. 2059.
Ma sono interessanti anche altre considerazioni: cioè, nei
considerando si legge che, quand'anche sia possibile intravvedere
spazi per il risarcimento del danno riveniente dalla violazione dei doveri
nascenti dal matrimonio, si dovrebbe trattare evidentemente di un
danno non patrimoniale, rientrante tra quelli previsti dall'art. 2059,
secondo il quale tale danno deve essere risarcito sono nei casi
determinati dalla legge, mentre in questo caso il reato di adulterio è un
reato eliminato dall'ordinamento. Inoltre interessante è il richiamo alla
non coercibilità degli obblighi sanciti dall'art. 143 c.c., che sarebbero
piuttosto inquadrabili da alcuni autori tra i meri oneri e non tra i doveri
strictu sensu.
In relazione alle considerazioni che precedono viene negato il
risarcimento alla moglie del coniuge fedifrago.
Come vedete le argomentazioni del Tribunale di Savona riportano
quelle due posizioni restrittive della dottrina: la prima posizione, che
negava rilevanza giuridica agli obblighi contenuti nell'art. 143 c.c.,
addirittura affermando che erano obblighi non coercibili e per questo
inquadrabili piuttosto come oneri; ma riproduce anche le altre
argomentazioni, e cioè che pur considerandolo un obbligo giuridico,
on è possibile applicare lo strumento del risarcimento del danno per
violazione dell'obbligo di fedeltà perché già è prevista una sanzione
settoriale da parte dell'ordinamento che è la sanzione dell'addebito
della separazione prevista dall'art. 151 c.c.. Quindi secondo il principio
che la legge speciale deroga alla legge generale non vi è spazio per il
risarcimento del danno.

A questa sentenza restrittiva si affianca tutta l'altra tesi contrapposta,


che è dominante, e che invece ritiene, contrariamente a queste
argomentazioni, che l'esistenza di strumenti familiari come la
separazione per addebito non esclude la possibilità di applicare il
rimedio del risarcimento del danno, perché questo è un rimedio di
carattere generale posto anche ad evitare il paradosso che se una
persona fa parte di un nucleo familiare viene trattata dal punto di vista
giuridico e sistematico in modo peggiore rispetto ad una persona che
invece non riveste tale status. In caso di violazione di diritti della
personalità si avrebbe una discriminazione nel riconoscimento degli
strumenti di tuteli posti dall'ordinamento. A questo vanno poi ad
affiancarsi altre riflessioni, perché se, come ritiene una parte della
dottrina e della giurisprudenza, gli obblighi ex art. 143 c.c. si dovessero
applicare solo e solamente alla famiglia legittima si arriverebbe al
paradosso che sarebbe molto più conveniente non sposarsi perché in
tal caso si applicherebbe il rimedio generale dell'illecito civile mentre
contraendo matrimonio resterebbe il solo strumento della separazione
per addebito. Quest'ultima sanzione poi non è sufficiente a coprire il
danno non patrimoniale che si configura quando vengono violati tali
obblighi, infatti le conseguenze dell'addebito ricadano sui rapporti
futuri, in quanto si concretizzano nella perdita dei diritti successori e del
diritto all'assegno di mantenimento, non hanno cioè natura risarcitoria.

Ma per completare tali riflessioni andiamo ad analizzare l'altro caso,


che è il caso deciso dal Tribunale di Milano in una sentenza del
24.10.2001, con la quale, per la prima volta in Italia, si è stabilito che in
caso di separazione per colpa di uno dei coniugi, se questi ha tenuto
un comportamento davvero riprovevole, l'altro coniuge può ottenere il
risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c.
Nella vicenda esaminata dalla IX Sez. Civile del Tribunale di Milano, il
marito aveva abbandonato la moglie prima del parto tenendo nei
confronti della stessa un comportamento ingiurioso; tale circostanza ha
indotto i giudici ad affermare che dai doveri nascenti dal matrimonio
discende una posizione giuridica tutelata ovvero un diritto soggettivo di
un coniuge nei confronti dell'altro a comportamenti rispondenti a tali
obblighi.
Ne deriva che la violazione dei doveri coniugali può pertanto
comportare l'obbligo di risarcire il danno.
Non sempre però: perché ciò avvenga è infatti necessario che vi sia,
da parte di uno dei coniugi, una condotta obiettivamente grave; che
essa sia imputabile al suo autore a titolo di dolo o colpa; che essa sia
lesiva di una situazione giuridicamente tutelata dell'altro e produttiva
perciò di danno ingiusto; che esista fra la condotta ed il danno il c. d.
nesso di causalità.
Poiché nella fattispecie in esame tutti questi presupposti avevano
trovato riscontro, il Tribunale ha condannato il marito a risarcire alla
moglie il danno cagionatole in conseguenza della condotta assunta in
violazione dei doveri coniugali.
La somma è stata liquidata in via equitativa dal momento che si
trattava di danno non patrimoniale.
Da notare che a conferma del carattere innovativo della sentenza, gli
stessi giudici hanno sottolineato come non fosse importante
l'ammontare liquidato quanto il principio affermato.

_____________________

TRIBUNALE DI MILANO - SEZIONE IX CIVILE


SENTENZA 24 OTTOBRE 2001 / 4 GIUGNO 2002
(Presidente Bruno; Relatore Bonfilio)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 22/01/1996, ritualmente notificato alla controparte


in data 28/02/1996, il sig. (...), premesso di aver contratto matrimonio
concordatario a (...) in data 24/04/1993 con la sig.ra (...), di aver scelto con la
moglie il regime della separazione dei beni e di avere concepito con lei un figlio,
probabilmente nato quindi verso la fine del mese di marzo del 1996, assumeva
che fra i coniugi fosse venuta tuttavia gradualmente meno la comunione
materiale e spirituale a causa di incompatibilità caratteriali progressivamente
manifestatesi, sicché a mezzo del suo difensore aveva perciò manifestato alla
controparte già con lettera raccomandata A.R. in data 20/09/1995 l'intento di
ottenere la separazione personale.

Chiedeva pertanto assumersi già in sede presidenziale tutti i provvedimenti


provvisori opportuni.

Si costituiva ritualmente in giudizio la parte convenuta, non opponendosi


all'iniziativa assunta dal ricorrente ai fini della pronuncia di separazione
personale tra i coniugi, chiedendo tuttavia addebitarsi al marito la responsabilità
della frattura dell'unione coniugale.

Riferiva in specie che i coniugi avevano contratto matrimonio dopo sette anni di
fidanzamento nell'intento di avere in breve tempo un figlio, sicché ella aveva
accolto con gioia, nel luglio del 1995, la notizia di essere in stato di gravidanza,
che aveva subito comunicato al marito, che tuttavia aveva manifestato in seguito
crescente ostilità ed indifferenza nei suoi confronti, giungendo infine a
dichiarare, dopo soli tre mesi di gestazione della moglie, di non voler proseguire
la convivenza matrimoniale, invitandola ad interrompere la gravidanza,
opponendo quindi un inspiegabile silenzio alle sue sollecitazioni ad una
discussione in merito.

Assumeva quindi che il marito aveva iniziato da allora ad assentarsi da casa,


anche sino a notte fonda o per più giorni, senza preavviso e senza indicare
recapiti, ingenerando grave preoccupazione nella moglie, giunta perciò in
un'occasione a denunciare ai Carabinieri la scomparsa del coniuge.

Riferiva inoltre che per mesi il marito aveva comunicato con lei solo con rari e
laconici messaggi scritti, rendendosi irreperibile anche in momenti di bisogno
della moglie, facendole mancare ogni assistenza affettiva, psicologica e materiale
nel corso della gravidanza, non preoccupandosi minimamente delle sorti del
nascituro, sicché ella era incorsa perciò in grave stato depressivo.

Assumeva inoltre di avere in seguito appreso che il marito intratteneva in effetti


una relazione extraconiugale già da almeno un anno, constatando che il sig. (...),
che neppure aveva minimamente concorso al pagamento delle spese mediche e
di altro genere necessarie in vista della nascita del figlio, limitandosi a
concorrere in misura minima e solo sporadica alle spese di casa, pur proseguendo
la coabitazione con la moglie, prelevando piuttosto danaro per uso personale dal
conto corrente del coniuge, manifestava comunque evidente disinteresse verso il
figlio neonato, risolvendosi infine ad allontanarsi dall'abitazione familiare il
17/04/1996 per intraprendere la convivenza con la nuova compagna.

Allegava altresì l'esponente di avere gravemente risentito del difficile assetto


relazionale nel rapporto con il marito, dovendo perciò sottoporsi a continui
controlli medici in corso di gravidanza, nonché a parto cesareo, con ulteriore
aggravamento del suo stato di sofferenza psicologica e di ansia, riportando perciò
un danno patrimoniale in relazione alle spese sostenute per esami e visite
mediche per un importo complessivo pari ad oltre L. 1.350.000 ed inoltre danno
biologico e morale.

Evidenziava peraltro che il marito, che pur millantava di aver conseguito una
laurea in architettura, svolgeva comunque attività lavorativa quale venditore-
progettista alle dipendenze della (...) Milano s.r.l., con un reddito fisso mensile
di circa L. 2.000.000 ed un'integrazione variabile "in nero" pari ad almeno L.
500.000, nonché una percentuale pure variabile in relazione all'ammontare delle
vendite mensili, disponendo così di un reddito annuale di circa L. 50.000.000 al
netto delle imposte, potendo così far fronte, nel corso della convivenza
matrimoniale, al pagamento di rate mensili di L. 416.700 per la restituzione di un
finanziamento contratto per l'acquisto di un'autovettura e riuscendo a versare
inoltre sul suo conto corrente e su quello della moglie, su cui operava con
delega, risparmi mensili di circa L. 2.000.000, pur mantenendo un elevato tenore
di vita, disponendo peraltro di un'abitazione a titolo gratuito.

Assumeva per contro di disporre, quale impiegata alle dipendenze della (...)
Assicurazioni s.r.l., di un reddito annuo lordo di circa L. 30.500.000, dovendo
peraltro sostenere spese ingenti sia per gli spostamenti necessari per la sua
attività lavorativa, sia per oneri di locazione relativi all'abitazione familiare, pari
ad oltre L. 1.200.000 al mese, sia per far fronte alle necessità di vita ed
all'accudimento del figlio, non potendo contare a tal fine sul sostegno di
familiari.

Chiedeva pertanto affidarsi il figlio (...) alla madre ed assegnarsi in suo favore la
casa coniugale con i relativi arredi, nonché porsi a carico del ricorrente l'obbligo
di corrisponderle in via anticipata entro il quinto giorno di ogni mese per dodici
mesi l'anno, quale contributo al mantenimento del figlio, un importo non
inferiore a L. 1.800.000, da rivalutarsi annualmente in applicazione degli indici
Istat, oltre alle somme corrispondenti agli assegni familiari, e di pagare il 50%
delle spese mediche straordinarie per il figlio, ordinandosi al datore di lavoro del
marito di versarle direttamente tali importi prelevandoli dagli emolumenti
dovuti al dipendente sig. (...) ovvero emettendosi ogni opportuno provvedimento
cautelare.

Chiedeva inoltre condannarsi il ricorrente a corrisponderle un'indennità od a


risarcirle i danni patrimoniali e non da lei subiti in conseguenza del
comportamento doloso o colposo del coniuge, da liquidarsi anche in via
equitativa, e comunque disporsi che il sig. (...) potesse visitare il figlio, dell'età
di soli due mesi, unicamente presso l'abitazione materna, dalle ore 20 alle ore 21
nei giorni feriali e nel pomeriggio del sabato o della domenica previ accordi tra
le parti e conferma degli appuntamenti stabiliti con un anticipo di almeno
ventiquattr'ore, imponendosi al ricorrente di comunicarle il suo esatto recapito.

All'udienza in sede presidenziale in data 5/06/1996 comparivano personalmente


entrambi i coniugi ed il Presidente, esperito invano il tentativo di conciliazione
tra le parti, disponeva in via provvisoria che il figlio minore fosse affidato alla
madre, con facoltà per il padre di vederlo tre volte alla settimana presso
l'abitazione coniugale, previ accordi telefonici con la madre nel giorno
precedente alle visite e compatibilmente con gli impegni lavorativi delle parti;
disponeva inoltre l'assegnazione della casa coniugale alla moglie e poneva a
carico del sig. (...) l'obbligo di corrispondere mensilmente alla moglie, a
decorrere dal mese di giugno 1996, un assegno di L. 1.200.000 quale contributo al
mantenimento del figlio, da rivalutarsi annualmente in applicazione degli indici
Istat e da versarsi direttamente dal datore di lavoro dell'obbligato entro il quinto
giorno di ogni mese, dando atto che il ricorrente aveva dichiarato di aver
percepito sino a breve tempo prima emolumenti mensili pari a circa L. 4.000.000,
offrendo quindi di pagare un assegno dell'importo come sopra liquidato a
decorrere dal mese di luglio del 1996, provvedendo infine per la prosecuzione
del giudizio in sede istruttoria.

Con memoria depositata in data 14/10/1996 la sig.ra (...) lamentava tuttavia la


scarsa assiduità e puntualità del marito nelle visite al figlio, peraltro sempre
brevissime, nonché ritardi ed inadempimenti del ricorrente all'obbligo di
contribuzione impostogli per il mantenimento del figlio, assumendo altresì di
aver subito una notevole contrazione dei propri redditi nel periodo di maternità,
dovendo anche far fronte agli oneri scolastici per l'inserimento del figlio all'asilo-
nido, evidenziando nel contempo ormai estinto il finanziamento contratto dal sig.
(...) con oneri mensili di restituzione pari a L. 416.000.

Chiedeva pertanto ex art. 708, u.c., c.p.c. disporsi, in parziale modifica dei
provvedimenti presidenziali, che il ricorrente potesse visitare il figlio presso
l'abitazione coniugale nelle serate del martedì e giovedì di ogni settimana, dalle
ore 20 alle ore 21, ed ogni domenica, dalle ore 18 alle ore 20, ed aumentarsi a L.
1.600.000 il contributo mensile dovuto dal sig. (...) per il mantenimento del figlio,
imponendosi al datore di lavoro del ricorrente, tenuto al pagamento diretto, di
prestare idonea garanzia per il puntuale adempimento.

All'udienza ex art. 183 c.p.c. in data 5/12/1996 il ricorrente depositava a sua


volta istanza ex art. 708, u.c., c.p.c., costituendosi nel contempo a mezzo di
nuovo difensore, chiedendo ridursi il contributo mensile impostogli per il
mantenimento del figlio ad almeno L. 1.000.000, disponendo in effetti di un
reddito mensile di sole L. 2.000.000.

Concordava peraltro per la disciplina delle sue facoltà di visita al minore in


conformità alle istanze della controparte. Il G.I., esperito senza esito un
tentativo di conciliazione fra i coniugi, comparsi personalmente in udienza,
assunto altresì il libero interrogatorio delle parti, disponeva quindi che il datore
di lavoro del ricorrente, tenuto al versamento diretto dell'assegno imposto a
carico del sig. (...) per il mantenimento del figlio in favore della sig.ra (...),
provvedesse puntualmente al pagamento entro il decimo giorno di ogni mese,
poneva altresì a carico del ricorrente l'obbligo di contribuire nella misura del 50%
al pagamento delle spese mediche straordinarie non mutuabili necessarie per il
figlio, purché previamente concordate dai genitori, salvi i casi d'urgenza, e
confermava per quant'altro i provvedimenti presidenziali in vigore, assegnando
termini alle parti per produzioni documentali e deduzioni istruttorie, ordinando
ad entrambe di produrre dichiarazioni fiscali per i redditi relativi all'anno 1995 e
buste paga relative all'anno 1996.

Il G.I. ammetteva quindi parzialmente le prove orali dedotte dalle parti,


rigettando ogni ulteriore istanza istruttoria.

Con istanza ex artt. 156 c.c. e 708, u.c., c.p.c. depositata in data 23/12/1997 la
convenuta riferiva quindi di aver ricevuto comunicazione con lettera
raccomandata A.R. in data 9/12/1997 dal datore di lavoro del marito, (...) s.r.l.,
delle dimissioni rassegnate dal sig. (...) con decorrenza dal 5/12/1997, assumendo
altresì che il ricorrente seguitasse comunque a prestare attività lavorativa presso
la medesima società; chiedeva pertanto disporsi il sequestro ex art. 156 c.c. di
tutte le somme ancora dovute dalla (...) s.r.l. al sig. (...) in conseguenza del
pregresso rapporto di lavoro ed ordinarsi comunque al ricorrente di indicare in
giudizio la sua nuova attività lavorativa ovvero di dare mandato al suo nuovo
datore di lavoro di provvedere direttamente al pagamento del contributo dovuto
alla moglie per il mantenimento del figlio.

Allegava per contro il ricorrente di aver rassegnato le dimissioni dall'impiego


presso la (...) s.r.l. per giusta causa dopo aver preso utili contatti per una nuova
assunzione lavorativa presso la Arredamenti (...) corrente a (...), in effetti mai
perfezionata per contrazione dell'attività gestita dalla suddetta ditta, trovandosi
così in difficoltà economiche tali da non consentirgli di adempiere all'obbligo
impostogli in sede presidenziale; chiedeva pertanto ridursi l'onere di
contribuzione per il mantenimento del figlio a suo carico nella misura di L.
500.000 mensili. Sentite le parti in merito e con il consenso del sig. (...) il G.I.
disponeva quindi che la (...) s.r.l. seguitasse a versare mensilmente l'assegno
dovuto dal ricorrente quale contributo al mantenimento del figlio, come già
determinato in sede presidenziale salva rivalutazione, fino ad esaurimento del
credito vantato nei riguardi di detta società dall'obbligato per trattamento di fine
rapporto, tredicesima ed emolumenti comunque conseguenti al pregresso
rapporto di lavoro.

La parte convenuta chiedeva quindi termine per formulare deduzioni istruttorie


in merito alle capacità reddituali attuali del ricorrente, riservandosi comunque
di riproporre all'atto della precisazione delle conclusioni le istanze istruttorie già
respinte in corso di causa.

Il G.I. concedeva quindi termine alla convenuta per deduzioni istruttorie in


ordine all'attività lavorativa attuale del ricorrente, nonché termine alla
c on t r op ar t e p e r c on t r od e d u z ion i; p r ov v e d e v a p oi al l ' as s u n z ion e
dell'interrogatorio formale del sig. (...) e, all'esito, ammesse le nuove prove
dedotte dalla convenuta, ordinava altresì al ricorrente di produrre in giudizio
libretto di lavoro, dichiarazione fiscale dei redditi resa nell'anno 1997 e
fatturazioni o buste paga relative ai periodi di lavoro recentemente svolti dopo
le dimissioni dalla (...) s.r.l.; in parziale accoglimento dell'istanza di parte attrice
ex art. 708, u.c., c.p.c., con provvedimento in data 2/07/1998, riduceva inoltre
l'onere contributivo imposto al sig. (...) per il mantenimento del figlio a L.
900.000 mensili, confermando per quant'altro i provvedimenti provvisori in vigore.

Il G.I. provvedeva quindi all'escussione dei testi sigg. (...), (...), (...) e (...); dava
atto inoltre della mancata comparizione del ricorrente per rendere
interrogatorio formale sui nuovi capitoli di prova dedotti dalla convenuta.

Il ricorrente rinunziava peraltro all'audizione della teste sig.ra (...), mentre la


convenuta rinunziava all'escussione della teste sig.ra (...).

Il G.I. rinnovava altresì un tentativo di conciliazione fra le parti, all'esito del


quale il sig. (...) dichiarava di svolgere attività lavorative saltuarie e comunque
non formalizzate in un rapporto di lavoro come intermediario nella vendita di
mobili e di percepire compensi "in nero" variabili di circa L. 1.500.000/2.000.000 al
mese; si impegnava quindi a corrispondere alla moglie un contributo mensile di
L. 500.000 per il mantenimento del figlio, che la controparte accettava senza
rinunziare alle ulteriori pretese svolte nel giudizio, chiedendo idonea garanzia
per l'adempimento futuro dell'obbligo assunto dal sig. (...), non opponendosi nel
contempo a ché il figlio trascorresse autonomamente con il padre la prima e la
terza domenica di ogni mese dalle ore 15.30 alle ore 18.00, preannunciando
entro la sera precedente eventuali impedimenti.

All'esito dell'istruttoria orale la parte convenuta chiedeva disporsi indagini sulle


capacità reddituali del ricorrente, ma il G.I., ritenuta la causa matura per la
decisione, ordinava alle parti di produrre dichiarazioni fiscali relative ai redditi
percepiti negli anni 1995/2000 e le autorizzava alla precisazione della
conclusioni, che esse formulavano infine all'udienza dell'8/06/2001 come in
epigrafe riportate.

Dopo il deposito di comparse conclusionali, acquisito il parere del P.M. in data


25/09/2001, la causa perveniva infine in decisione nella camera di consiglio del
24/10/2001.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Rileva anzitutto il Tribunale che, non sussistendo neppure controversia al


riguardo tra le parti, merita certamente di trovare accoglimento la domanda
principale attore per la declaratoria della separazione personale tra i coniugi,
laddove peraltro, alla luce delle risultanze emerse dall'istruttoria processuale,
risulta altresì fondata la domanda pure promossa in via riconvenzionale dalla
parte convenuta per la declaratoria di addebito del fallimento dell'unione
coniugale al marito.

Risulta infatti che la convivenza coniugale tra le parti si è ormai definitivamente


risolta, come risulta dalle stesse allegazioni dai coniugi, sin dall'aprile del 1996,
allorché il sig. (...) si è allontanato dalla casa coniugale, né comunque è
intervenuta a seguito dell'udienza presidenziale in data 5/06/1996, alcuna
riconciliazione tra le parti, sicché non vi è dubbio che siano intervenuti ormai, a
prescindere dall'addebitabilità della frattura dell'unione coniugale ad una della
parti, fatti tali da rendere comunque intollerabile la prosecuzione della
convivenza tra i coniugi.

Dalle risultanze dell'istruttoria svolta nel giudizio si è peraltro acquisita prova


adeguata e sufficiente della condotta soprattutto omissiva assunta dall'odierno
ricorrente in aperto contrasto con i doveri di assistenza morale e materiale e di
collaborazione con il coniuge nascenti dal matrimonio ex art. 143 cod. civ. sin dal
periodo immediatamente successivo all'avvio della gravidanza della moglie e sino
al suo allontanamento da casa, tale da giustificare pienamente a suo carico la
declaratoria di addebito della separazione ex art. 151, comma II, cod. civ.

Da un lato infatti la convenuta ha prodotto già in allegato all'atto di costituzione


in giudizio una scrittura olografa senza data sottoscritta dal marito e mai
disconosciuta in giudizio dal sig. (...) nella quale egli dichiara, in epoca
evidentemente antecedente alla nascita del figlio, "di non provare nessun
sentimento per mia moglie (...) e per il figlio che abbiamo concepito insieme",
nonché "di rifiutare e di non avere alcun interesse per il figlio che doveva
nascere".

La convenuta ha altresì prodotto dichiarazione scritta sottoscritta dal Dott. (...),


non contestata dalla controparte, in cui il dichiarante attesta che, dalle visite da
lui stesso svolte sulla sig.ra (...), ella risultava avere avviato sin dal dicembre del
1994 la ricerca consapevole di una gravidanza, iniziata quindi nel giugno del 1995,
e che sin da una visita ostetrica in data 28/09/1995 "e nei successivi controlli la
Sig.ra (...) si è sempre presentata da sola, riferendo problemi nella relazione di
coppia iniziati contemporaneamente alla diagnosi di gravidanza", aggiungendo
inoltre che "per tutta la durata della gestazione la paziente ha manifestato
sindrome depressiva reattiva alle difficoltà relazionali col partner" e che dalle
ecografie eseguite sulla paziente nel corso della gravidanza risultava "una
crescita fetale rallentata e asimmetrica", sicché "per tale iposviluppo e per la
sindrome depressiva viene eseguito in data 22/3/96 taglio cesareo conservatore".

Ritiene al riguardo il Collegio che tale dichiarazione, pur proveniente da terzo


estraneo al giudizio e non confermata in sede testimoniale ed integrante perciò
prova atipica, valga comunque ad offrire un indizio di prova significativo,
soprattutto se valutato nel contesto del quadro probatorio globalmente assunto
in causa, che univocamente avvalora in effetti l'attendibilità delle doglianze
esposte dalla convenuta in merito alla condotta assunta dal marito nell'ultimo
periodo della convivenza coniugale.

La convenuta ha peraltro altresì prodotto copie di una serie di biglietti


manoscritti e sottoscritti dal marito, riconosciuti del resto come propri dal
ricorrente stesso in sede di interrogatorio formale, che attestano nella loro
laconicità, freddezza e povertà di contenuto come la convivenza tra le parti
fosse ormai scaduta, "da fine settembre '95 fino a gennaio '96" - come dichiarato
nell'interpello dal sig. (...) - in una mera coabitazione e come l'odierno ricorrente
si disinteressasse totalmente in quel periodo della evoluzione della gravidanza e
delle condizioni di salute della moglie, che pure versava allora - come rilevato -
in stato di depressione tale da influire negativamente sullo sviluppo della
gestazione.

Il ricorrente ha del resto ammesso in sede di interrogatorio formale di essersi


sovente allontanato da casa in quel periodo, lasciando appunto alla moglie le
laconiche informazioni di cui ai citati biglietti, precisando di aver sempre fatto
rientro a casa anche se in ora tarda, smentendo peraltro tale assunto
nell'affermare di non poter escludere che la moglie si fosse rivolta in talune
circostanze anche alle forze dell'ordine per rintracciarlo, riconoscendo di essersi
"allontanato da casa per qualche giorno sia nel novembre del '95 che nel
successivo dicembre", pur assumendo di averlo fatto per essere stato malmenato
dal coniuge, circostanza peraltro non provata in alcun modo in causa e finanche
inverosimile tenuto conto dello stato di salute fisica e psichica dell'odierna
convenuta all'epoca.

A fronte dei plurimi indizi così emersi in ordine alla condotta assunta dal
ricorrente nell'ultima fase della convivenza coniugale tra le parti, è emerso
peraltro dalle prove testimoniali assunte nel giudizio che il sig. (...) - che pure in
sede di interpello ha ammesso che i coniugi avevano da tempo maturato il
progetto di avere un figlio, tanto da trasferirsi perciò in un alloggio più ampio -
ebbe in effetti a disinteressarsi totalmente in quel periodo dei bisogni e delle
condizioni della moglie, privandola di ogni conforto morale ed affettivo e di ogni
pur minima assistenza materiale, limitandosi a visitarla una volta soltanto al
momento del parto, pure programmato perché effettuato per taglio cesareo.

Al riguardo il teste sig. (...), pure legato da vincolo di affinità alla convenuta in
quanto cognato, ha dichiarato in giudizio di avere appreso dalla sig.ra (...) sin
dalla fine di agosto del 1995 che ella era in gravidanza "ma che il marito diceva
invece di voler interrompere la relazione con lei e di non essere interessato al
figlio nascituro", riconoscendo di non aver mai assistito quindi a discussioni tra i
coniugi in merito, ma riferendo che "il giorno già fissato per l'interruzione della
gravidanza la cognata telefonò dicendo di non voler più sottoporsi all'intervento,
mentre (...) il marito ribadiva la sua scelta abortiva". Il teste ha riferito quindi
che nell'autunno-inverno del 1995 l'odierna convenuta lo informò ripetutamente
che il marito non era rientrato a casa o non era reperibile e ciò anche per più
giorni consecutivi soprattutto in occasione delle festività natalizie del '95,
aggiungendo di essersi trattenuto a lungo con la moglie in tali circostanze presso
la cognata fino a tarda sera e confermando che la sig.ra (...) denunciò quindi in
almeno due situazioni la scomparsa del marito alle forze dell'ordine.

Il teste ha pure affermato di aver più volte accompagnato la cognata ai controlli


medici nel corso della gravidanza, rivelatasi difficile, alternandosi con un'amica
della sig.ra (...), mentre il sig. (...) era del tutto assente in tali frangenti, come
pure in occasione del parto, riferendo di averlo anzi informato egli stesso a
mezzo fax della nascita del figlio e di averlo visto quindi visitare la moglie ed il
figlio in ospedale, insieme alla madre, solo il giorno stesso del parto, aggiungendo
di avere appreso poi che qualche volta era passato in seguito in ospedale fuori
orario, finché da metà aprile del 1996 egli si allontanò definitivamente da casa
"senza dare spiegazioni né recapiti", limitandosi a versare solo L. 1.000.000 sino al
giugno del '96 per i bisogni di vita del figlio.
La teste sig.ra (...), legata da un rapporto di amicizia ad entrambe le parti, ha da
un lato confermato che i coniugi "si trasferirono in una abitazione più grande
perché intenzionati ad avere un figlio" e che "per tale intento si sottoposero ad
esami e visite per un paio d'anni", riferendo quindi che "quando la (...) era al
terzo mese di gravidanza il marito le disse di non volerne più sapere né di lei,
né del nascituro, invitandola ad interrompere la gravidanza", aggiungendo di
avere avuto perciò uno "scambio piuttosto acceso" con lui, che ebbe tuttavia a
ribadire la sua posizione.

La teste ha riferito quindi di essere stata molto vicina alla sig.ra (...) in quel
periodo, aggiungendo che ella "dal novembre 1995 accusò crisi di pianto, stati
ansiosi e malesseri" ed "era molto provata dall'atteggiamento del marito", che
"era spesso via anche per la notte e anche per più giorni consecutivi", tanto che
"nel novembre e dicembre 1995 per due volte la (...) denunciò ai Carabinieri la
scomparsa del marito che per più giorni non era tornato a casa". Ella ha pure
riferito che la sig.ra (...) le raccontava che il marito non rispondeva alle sue
richieste di assistenza e di aiuto nel corso della gravidanza, rammentando
peraltro un episodio specifico cui ella ebbe personalmente ad assistere, allorché
si trovava "a casa della (...) per assisterla, visto che era stata male tutto il
giorno", riferendo che "il marito tornò a casa dopo il lavoro, si fece una doccia,
mangiò qualcosa e le disse che sarebbe comunque uscito visto che con la moglie
c'era lei", nonostante ella avesse spiegato che non poteva fermarsi a lungo e lo
avesse invitato a restare in casa. Ella ha pure confermato, al pari del teste sig.
(...), di aver incontrato una sola volta il sig. (...) in visita alla moglie in ospedale
dopo il parto e di aver appreso dalla sig.ra (...) che quella era stata l'unica visita
del marito nel periodo della degenza.

In ordine ad una supposta relazione extraconiugale del sig. (...) nel periodo della
gravidanza della moglie i testi escussi in giudizio hanno in effetti reso
informazioni per lo più apprese de relato, tali comunque da offrire, seppur non
una prova piena, almeno indizi molteplici, precisi e concordanti a conforto delle
allegazioni in merito esposte dalla convenuta.

Il teste sig. (...) ha riferito infatti di avere appreso da conoscenti, ed in


particolare da un amico dei coniugi, tale (...) che il sig. (...) "frequentava una
donna ed era spesso nella zona di via (...)", aggiungendo di aver personalmente
constatato in quel periodo che l'auto del cognato era in effetti nella zona
indicatagli e che la sig.ra (...) ebbe a ricevere, verso la fine del '95 e l'inizio del
'96 numerose telefonate da parte di una donna che l'insultava.

La teste sig.ra (...) ha pure riferito di avere appreso casualmente da alcuni


ragazzi in un bar vicino alla casa dei coniugi "di una relazione tra il (...) e tale
(...)", confermando che la sig.ra (...), nel periodo dal dicembre 1995 alla
primavera del 1996 "riceveva spesso telefonate mute e anche telefonate nelle
quali la (...) e il figlio venivano insultati da una donna", ciò che le fu riferito dalla
odierna ricorrente e che ella stessa constatò, essendo presente ad alcune di
queste telefonate in casa dell'amica.
Valutate dunque le risultanze così emerse, il Tribunale ritiene che, pur non
essendosi acquisita prova piena di una condotta infedele del sig. (...) nell'ultimo
periodo della convivenza coniugale, sussistano comunque i presupposti per
l'addebito a suo carico della responsabilità della frattura dell'unione coniugale
tra le parti in considerazione del comportamento da lui assunto quale reazione
alla notizia della gravidanza della moglie e nel corso di tutto il periodo della
gestazione ed in quello immediatamente successivo alla nascita del figlio, nel
disinteressarsi persino ostentatamente del disagio e dei bisogni anche
assistenziali e materiali del coniuge, omettendo di prestarle alcun conforto ed
aiuto, assumendo dapprima un atteggiamento clamorosamente incoerente con i
progetti di vita familiare elaborati in precedenza dai coniugi, tentando di indurre
ostinatamente la moglie ad interrompere la gravidanza, e rifiutandole quindi ogni
collaborazione e sostegno nel corso della gestazione, dichiarandole apertamente
il suo disinteresse per il figlio concepito e mostrandosi del tutto indifferente al
disagio anche psicologico del coniuge ed alle possibili ripercussioni di tale stato di
sofferenza sul nascituro, seguitando peraltro a negare ogni collaborazione e
sostegno alla moglie ed al figlio anche dopo la nascita del minore.

Venendo quindi alla disamina delle ulteriori e conseguenti istanze pure


promosse dalle parti in causa, rileva anzitutto il Tribunale che non vi è in effetti
controversia alcuna fra le parti in ordine al regime di affido del figlio minore (...),
giacché l'odierno ricorrente non ha mai revocato in dubbio l'opportunità che il
bambino, attualmente dell'età di cinque anni, resti affidato alla madre.

Peraltro anche in ordine alla disciplina dei rapporti del minore con il padre, pure
a fronte di richieste non del tutto concordi delle parti in sede di precisazione
delle conclusioni, il Tribunale ravvisa comunque un sostanziale accordo tra i
coniugi, quale del resto emerso già nel corso del giudizio, laddove a fronte
dell'istanza svolta dalla sig.ra (...) per una più puntuale regolamentazione delle
visite infrasettimanali del marito al figlio, lo stesso sig. (...) ha aderito alla
richiesta, dichiarando di accettare di visitare il figlio nelle serate del martedì e
giovedì, dalle ore 20.00 alle ore 21.00, sicché l'istanza promossa quindi all'atto
della precisazione delle conclusioni, di estendere la durata di tali incontri,
autorizzando le visite sin dalle ore 19.30 pare doversi disattendere, anche al fine
di salvaguardare le esigenze di accudimento del minore stesso in concomitanza
con il momento del pasto serale, tenuto conto del fatto che tali visite paterne
avvengono presso l'abitazione della sig.ra (...). In corso di causa, all'udienza del
2/11/2000, a fronte delle istanze dell'odierno ricorrente ed in adesione ad una
proposta conciliativa formulata dal G.I., la sig.ra (...) ha peraltro dichiarato di non
opporsi a ché (...) trascorresse autonomamente con il padre la prima e la terza
domenica di ogni mese, dalle ore 15.30 alle ore 18.30, preavvisando la sera del
giorno precedente eventuali impedimenti.

Considerato dunque che il minore sperimenta ormai da circa un anno spazi


significativi di rapporto esclusivo con il padre, né è mai emerso alcun significativo
disagio del bambino in tale nuovo regime, nell'auspicabile prospettiva di un utile
consolidamento ed approfondimento della relazione affettiva ed educativa fra il
sig. (...) ed il figlio e tenuto conto dell'età attuale del minore, tale da
consentirgli di affrontare serenamente brevi periodi di distacco dalla figura
materna, pare quindi opportuno, allo stato, accogliere l'istanza svolta dal
ricorrente perché gli sia consentito di tenere con sé (...) per un fine settimana
al mese, da concordarsi tra i genitori, dal sabato mattina sino alla domenica sera,
compatibilmente con gli impegni scolastici del bambino, nonché per dieci giorni
anche consecutivi durante le vacanze estive. Al fine di favorire l'instaurazione di
un'utile ed ineludibile collaborazione fra i coniugi nella gestione del loro ruolo
genitoriale appaiono del resto meritevoli di accoglimento anche le istanze
ulteriori rispettivamente formulate in causa, ed in specie la domanda promossa
dal ricorrente al fine di essere autorizzato a visitare il figlio anche quando il
bambino fosse in vacanza con la madre, previ accordi con la sig.ra (...), tenuto
conto del fatto che, in attuazione del regime innanzi prospettato, il minore
trascorrerà la massima parte delle sue vacanze con il genitore affidatario,
nonché le istanze pure svolte dall'odierna convenuta, affinché sia imposto al
marito di concordare con lei con congruo anticipo i luoghi ed i periodi di
permanenza del minore con il padre anche per il pernottamento ovvero per più
giorni consecutivi, e comunque di comunicarle gli esatti recapiti ove il minore sia
reperibile allorché affidato al sig. (...), anche per consentire alla madre di
mantenere contatti tele fonici quotidiani con il bambino.

Non vi è peraltro neppure opposizione del ricorrente all'accoglimento


dell'istanza promossa in via riconvenzionale dalla controparte per l'assegnazione
della casa coniugale, sita in (...), via (...) n. (...), condotta in locazione, che
merita, dunque, di trovare accoglimento, sussistendone palesemente i
presupposti in conseguenza della conferma dell'affido del figlio delle parti alla
madre.

Residuano dunque all'esame del Collegio le sole istanze promosse in via


riconvenzionale dalla parte convenuta per la conferma e la determinazione degli
obblighi di contribuzione a carico del ricorrente per il mantenimento del figlio
minore e per il risarcimento del danno che ella assume subito in conseguenza
della condotta assunta dal marito in violazione dei doveri coniugali nell'ultima
fase della convivenza tra le parti.

Muovendo quindi dalla disamina della prima delle domande in oggetto, il


Tribunale rileva previamente come non possano trovare a ccoglimento le istanze
istruttorie pure ribadite dalla parte convenuta in sede di precisazione delle
conclusioni, nel sollecitare l'ammissione della prova contraria già dedotta nella
memoria di replica depositata in data 24/03/1997 sul capitolato di prova
testimoniale attore ammesso, di fatto in realtà neppure menzionata
nell'ordinanza del G.I. in data 19/04/1997, verosimilmente per mero errore
materiale, ma allo stato ormai superflue in considerazione delle risultanze già
acquisite dall'assunzione delle prove ammesse, e l'ammissione del capitolo di
prova testimoniale sub n. 11 della memoria istruttoria depositata in data
14/02/1997, ritenuto inammissibile dal G.I. "perché contenente giudizi tecnici
non consentiti ai testi", secondo una valutazione pienamente condivisa e perciò
fatta propria anche da questo Collegio.

Deve peraltro evidenziarsi che la parte convenuta, che aveva rinunziato


all'udienza del 2/11/2000 all'escussione della test e sig.ra (...), neppure aveva
censurato in alcun modo il provvedimento del G.I. in data 6/04/2000 con cui si
era disposta la riduzione delle liste testimoniali delle parti, ammettendosi a
deporre tre soli testi su ciascun capitolo di prova ammesso, né si era attivata
quindi per citare in giudizio ulteriori testi rispetto a quelli di fatto escussi
nell'istruttoria, sicché anche l'istanza promossa all'atto della precisazione delle
conclusioni, affinché sia disposta l'audizione dei testi indicati nelle memorie
rispettivamente depositate in data 14/02/1997 e 9/06/1998 deve essere perciò
disattesa.

Del pari non possono trovare accoglimento le ulteriori istanze istruttorie pure già
formulate dalla convenuta nella citata memoria depositata in data 14/02/1997 e
già respinte dal G.I. perché generiche, nel sollecitare l'emissione di un ordine di
esibizione documentale nei confronti della Banca di Legnano Agenzia (...) in
relazione agli " estratti conto" del conto corrente personale del sig. (...) n. (...)
acceso presso detto istituto "quantomeno dal 1994 all'aprile 1996" e nei confronti
dei Servizi Interbancari-CartaSì in relazione "ai tabulati riguardanti i
prelevamenti effettuati dal (...) durante tutto il 1995 e sino all'aprile 1996".

Si tratta infatti di istanze formulate ex art. 210 c.p.c. in termini palesemente


generici ed a fini meramente "esplorativi", tali da non consentire alla
controparte un'adeguata difesa, siccome proposte non già in funzione della prova
di fatti e circostanze specifici, ma del tenore di vita che si assume avuto dal
ricorrente nell'ultimo periodo della convivenza coniugale e dunque di una serie
imprecisata ed ampia di vicende ed eventi neppure enunciati dalla parte
deducente.

Ritiene peraltro il Tribunale che la stessa istanza promossa dalla convenuta già
in corso di causa e ribadita in sede di precisazione delle conclusioni, perché si
disponga "ogni indagine anche fiscale sulla situazione economica-finanziaria
dell'attore quantomeno a partire dal 1998" e si "assuma d'ufficio ogni informazione
si rendesse opportuna e necessaria", siccome formulata in termini del tutto
generici e vaghi, non possa trovare accoglimento, laddove peraltro l'istruttoria
svolta nel giudizio ha già di fatto consentito di acquisire elementi adeguati e
sufficienti per una compiuta valutazione delle capacità reddituali e patrimoniali
del ricorrente in funzione della determinazione degli obblighi di contribuzione al
mantenimento del figlio.Al riguardo il Tribunale rileva anzitutto che l'odierno
ricorrente aveva in effetti ammesso in sede presidenziale in data 5/06/1996 -
come pure in seguito contestato, ma chiaramente attestato nel verbale di causa
- di avere avuto fino a pochi mesi prima introiti mensili pari a L. 4.000.000 ed
aveva quindi offerto di pagare una somma mensile di L. 1.200.000 per il
mantenimento del figlio purché la decorrenza del pagamento fosse posticipata al
luglio 1996.

All'epoca il sig. (...) prestava attività lavorativa alle dipendenze della (...) s.r.l.,
allorché pure risultava percettore di un reddito dichiarato di L. 26.000.000 netti
circa (v. mod. 101 per i redditi del 1995 in atti sub doc. n. 1 e busta paga del
marzo 1996 sub doc. n. 2 nel fascicolo del ricorrente).

Risulta peraltro che il sig. (...) si è quindi dimesso volontariamente dall'impiego


assunto presso la (...) s.r.l. con effetto dalla data del 5/12/1997, asserendo di
averlo fatto "per giusta causa" e nella prospettiva di essere quindi assunto presso
la Magazzini (...) s.n.c. con sede in (...) dal gennaio 1998, prospettiva di fatto non
realizzatasi per mancato ampliamento dell'attività della società che avrebbe
dovuto disporre l'assunzione (v. memoria difensiva del ricorrente in atti in data
20/01/1998 e deposizione del teste sig. (...). Il ricorrente ha peraltro dichiarato
in sede di interrogatorio formale in data 5/05/1998 di avere "percepito dal 1995
fino al dicembre 1997 L. 1.970.000 al mese più tredicesima e quattordicesima
mensilità in qualità di dipendente della (...)", aggiungendo di ricevere "dal
gennaio 1998 un sostegno dai genitori presso i quali" si recava "spesso a mangiare"
e di fare "dei lavori saltuari per poter pagare il canone di locazione (di L. 600.000
al mese ) e per soddisfare le sue esigenze personali", con guadagni comunque
non superiori a L. 1.000.000 al mese.

Il ricorrente ha inoltre dichiarato all'udienza del 2/11/2000, in sede di libero


interrogatorio dinanzi al G.I. ai fini della rinnovazione di un tentativo di
conciliazione fra le parti, di "svolgere attualmente attività lavorative saltuarie e
comunque non formalizzate in un rapporto di lavoro come intermediario nella
vendita di mobili e di percepire compensi in nero e sempre variabili di L.
1.500.000/2.000.000 al mese", offrendo perciò di corrispondere alla moglie un
contributo mensile di L. 500.000 per il mantenimento del figlio, peraltro neppure
regolarmente pagato in seguito.

La parte ricorrente ha del resto totalmente disatteso l'ordine di produzione


documentale emesso dal G.I. in data 22/02/2001, ad integrazione della
documentazione già acquisita in atti, in ordine alle dichiarazioni fiscali relative ai
redditi percepiti negli anni dal 1995 al 2000. Le sole dichiarazioni fiscali - mod.
101 - già prodotte dal ricorrente e relative ai redditi percepiti negli anni 1995 e
1997, siccome relative al periodo in cui il sig. (...) lavorava alle dipendenze della
(...) s.r.l., risultano perciò del tutto ininfluenti ai fini della valutazione delle
capacità reddituali attuali del soggetto, valendo semmai ed unicamente ad
acclarare come esse fossero già inattendibili ai fini della prova dei redditi
maturati dal ricorrente nei periodi in esse considerati, stante il tenore delle
contrastanti ammissioni rese in merito dal ricorrente stesso in sede
presidenziale.

È emerso peraltro dall'istruttoria esperita nel giudizio, ed in specie alla luce


delle dichiarazioni rese in sede testimoniale dalla teste sig.ra (...), che il sig.
(...), che pure ha asserito in sede di interrogatorio formale in data 6/05/1998, di
aver svolto lavori solo saltuari dopo aver rassegnato le sue dimissioni dalla (...)
s.r.l. nel dicembre 1997, ha invece continuato ad esercitare con buona regolarità
ed assiduità un'attività professionale verosimilmente analoga a quella già
espletata per il precedente datore di lavoro.

La teste ha riferito infatti di avere incontrato il sig. (...) una mattina in v.le
Famagosta a Milano e di avere appreso da lui stesso che egli lavorava presso tale
Ditta (...); ella ha inoltre precisato di aver incontrato nuovamente e
ripetutamente in seguito il sig. (...), almeno sino all'estate del 1998 nella stessa
zona verso le ore 19.30 ed al mattino verso le ore 9.00, ad orari presumibilmente
coincidenti con il termine e l'inizio della sua attività lavorativa, che perciò risulta
sin da allora estesa all'intera giornata e non già di carattere meramente saltuaria
e discontinua come invece assunto dall'odierno attore. Risultano perciò solo di
dubbia attendibilità anche le dichiarazioni pur spontaneamente rese dallo stesso
attore nel corso del giudizio, ed in specie all'udienza del 2/11/2000, nel contesto
del tentativo di conciliazione in quella sede esperito dal G.I., nell'affermare di
svolgere allo stato attività lavorative saltuarie e comunque non formalizzate in
un rapporto di lavoro come intermediario nella vendita di mobili e di percepire
compensi in nero e comunque variabili di L. 1.500.000/2.000.000 al mese (v.
verbale di udienza in data 2/11/2000).

Del resto il sig. (...) ha deliberatamente disatteso anche l'ordine di produzione


documentale intimatogli dal G.I., omettendo di esibire in giudizio dichiarazioni
fiscali relative ai redditi percepiti negli anni 1995/2000, né ha offerto alcuna
prova documentale o comunque obiettiva della sua situazione lavorativa e
reddituale attuale.

Alla luce dei dati così acclarati il Tribunale ritiene dunque pienamente legittimo
addivenire in via presuntiva alla valutazione delle capacità reddituali attuali
dell'attore, senza necessità di disporre al fine, anche ufficiosamente, ulteriori
indagini a mezzo di Polizia tributaria, disponendo, in relazione agli elementi in
merito acclarati nel giudizio, di indizi chiari, plurimi, precisi e concordanti per la
formulazione di un giudizio ragionevole ed attendibile al riguardo. Risulta infatti
che il sig. (...), attualmente dell'età di quarant'anni e - per quanto consta - in
buone condizioni di salute, avendo svolto per lungo periodo con buon i risultati
anche economici attività professionale di intermediazione per la vendita di
mobili, soprattutto alle dipendenze di terzi, ma riuscendo comunque ad
incrementare in misura consistente il reddito minimo garantitogli (così da
ammettere, all'udienza presidenziale, di percepire mediamente introiti per circa
L. 4.000.000 a fronte di uno stipendio mensile fisso di L. 2.000.000 circa), dispone
certamente anche al presente di capacità lavorative e reddituali tali da
consentirgli di mantenere mediamente il livello professionale ed il tenore di vita
già in precedenza maturato.

Egli ha del resto spontaneamente rassegnato le dimissioni dalla (...) s.r.l. nel
dicembre del 1997, scegliendo così di svolgere autonomamente o in ambiti
lavorativi diversi la sua attività professionale, né rileva di per sé la circostanza,
pure acclarata in sede istruttoria, che egli abbia svolto quindi un periodo di
lavoro in prova di brevissima durata - una settimana - presso altra società senza
riuscire ad ottenere una nuova assunzione lavorativa (v. deposizione testimoniale
del sig. ...), ai fini della prova di una protratta impossibilità di un utile reimpiego
delle sue capacità professionali, essendo peraltro ormai trascorsi dall'epoca oltre
tre anni; né il fatto che egli non abbia quindi cercato od accettato di essere in
seguito assunto con regolare contratto di lavoro, sottraendosi così anche ad ogni
obbligo fiscale, di per sé prova in alcun modo che egli abbia comunque subito nel
corso del presente giudizio una reale e persistente contrazione dei propri
redditi, quali sommariamente ma attendibilmente già accertati sin dalla fase
presidenziale del giudizio, laddove, a fronte dell'obiettiva impossibilità od
estrema difficoltà per la parte convenuta di provare in alcun modo
compiutamente la condizione reddituale e lavorativa attuale della controparte,
l'attore si &egr ave; sempre pervicacemente sottratto ad ogni utile
collaborazione in sede processuale per consentire qualunque verifica in merito,
omettendo nel contempo di assumere alcuna iniziativa istruttoria per provare
positivamente la sua situazione di vita attuale.

Per contro la parte convenuta ha invece puntualmente ottemperato all'ordine di


produzione documentale del G.I. depositando in atti modelli 101 e CUD relativi ai
redditi percepiti negli anni 1995/2000, da cui risulta che ella dispone
attualmente di un reddito annuo netto di circa L. 33.000.000, a fronte del
reddito annuo netto di circa L. 27.000.000 percepito nel 1995, ed ha quindi
maturato un ben limitato miglioramento della sua situazione economica nelle
more del giudizio, tenuto conto del tempo trascorso, dovendo peraltro sostenere
spese di locazione di L. 7.125.000 per la casa di abitazione oltre ai relativi oneri
accessori.

Ritiene perciò il Tribunale che, in mancanza di prova alcuna di un reale e


persistente deterioramento della situazione reddituale dell'attore in corso di
causa ed a fronte degli elementi come innanzi accertati sin dall'inizio del
presente giudizio, ben possano ragionevolmente confermarsi allo stato gli
obblighi contributivi già imposti in sede presidenziale a carico del sig. (...) per il
mantenimento del figlio (...), ponendosi altresì a carico dell'attore l'obbligo
ulteriore di pagare il 50% delle spese mediche straordinarie per il minore,
siccome imprevedibili nell'an e tali da poter eventualmente comportare esborsi
anche consistenti e perciò non sussumibili nei limiti dell'ordinario concorso al
soddisfacimento dei bisogni del minore.Tenuto conto dei reiterati inadempimenti
maturati dall'odierno attore rispetto agli obblighi di contribuzione impostigli già
in corso di causa per il mantenimento del figlio, considerato che egli si limita
ormai sin dal novembre del 2000 a corrispondere per il suddetto titolo un
assegno mensile di sole L. 500.0 00, accettato dalla controparte senza rinunzia ad
ulteriori pretese sia per i crediti in precedenza maturati sia per i periodi
successivi, avuto riguardo altresì alla condotta assunta dal sig. (...) anche in sede
processuale, nell'omettere di fornire alcuna collaborazione per consentire una
puntuale verifica della sua situazione lavorativa e reddituale attuale, dopo aver
rassegnato spontaneamente le dimissioni dal rapporto di lavoro che intratteneva
da anni con la (...) s.r.l., tenuta in forza dei provvedimenti presidenziali a
corrispondere direttamente alla sig.ra (...) i contributi mensili dovuti dall'odierno
attore per il mantenimento del figlio, prelevandoli dagli emolumenti dovuti al
proprio dipendente, il Tribunale ravvisa certamente in specie i presupposti ex
art. 156, comma IV, cod. civ. per ordinare, in accoglimento dell'istanza al fine
formulata dalla convenuta, al sig. (...) di prestare al fine, entro adeguato
termine, che si stima congruo stabilire in giorni trenta dal deposito della
presente sentenza, idonea garanzia, reale o personale, per l'adempimento degli
obblighi confermati a suo carico con il presente provvedimento per il
mantenimento del minore fino a concorrenza della somma di L. 200.000.000,
ritenuta congrua in relazione all'entità del contributo liquidato a carico
dell'attore per il titolo in esame ed all'età del figlio delle parti.

Palesemente inammissibile deve ritenersi invece l'istanza pure formulata dalla


parte convenuta ex art. 148 cod. civ. in sede di precisazione delle conclusioni,
perché sia ordinato ai genitori del sig. (...), sigg. (...) e (...), ovvero ad altri
accertandi terzi debitori dell'odierno attore, di corrisponderle tutte le somme da
essi dovute al sig. (...) sino alla concorrenza dell'integrale o parziale ammontare
degli assegni e contributi dovutile per il figlio. Trattasi infatti di domanda
giudiziale tardivamente svolta in corso di causa, peraltro in termini non chiari e
palesemente difformi dal dettato pure invocato ex art. 148 cod. civ., ben oltre i
termini decadenziali ex art. 183 c.p.c. e comunque formulata nei confronti di
soggetti del tutto estranei al presente giudizio.

Più ampia ed approfondita disamina merita infine la domanda risarcitoria


tempestivamente formulata in via riconvenzionale dalla parte convenuta già nel
contesto dell'atto di costituzione in causa e puntualmente ribadita in sede di
precisazione delle conclusioni per il ristoro di tutti i danni, anche esistenziali,
sofferti in conseguenza della condotta assunta dal marito nell'ultimo periodo
della convivenza coniugale tra le parti. Occorre infatti verificare al riguardo se la
condotta assunta dal sig. (...) in violazione dei doveri nascenti dal matrimonio,
quale innanzi accertata ai diversi fini della declaratoria di addebito a suo carico
della separazione personale tra le parti, in quanto lesiva di una posizione
giuridica soggettiva tutelata della controparte e produttiva di un danno
apprezzabile a carico dell'altro coniuge, implichi perciò responsabilità
extracontrattuale dell'agente ex art. 2043 cod. civ.

Orbene, in ordine alla natura dei doveri nascenti dal matrimonio, questo
Tribunale ha già avuto modo di rilevare chiaramente come "la dottrina
prevalente, desumendola anche dalle conseguenze che l'ordinamento ricollega
alla loro violazione, riconosce la natura pienamente giuridica e non soltanto
morale" di tali doveri, "di modo ché può affermarsi come da essi discenda una
posizione giuridica tutelata o addirittura un diritto soggettivo di un coniuge nei
confronti dell'altro a comportamenti rispondenti a tali obblighi", non senza
evidenziare che "non si tratta, quindi, di diritti in sé assoluti, ma, come è noto,
perché possa configurarsi responsabilità aquiliana e darsi, conseguentemente,
risarcibilità del danno, non occorre che il diritto pregiudicato dalla condotta
dolosa o colposa dell'agente sia un diritto assoluto, come risulta dall'estensione
dell'ambito normativo in esame anche ai diritti relativi (...) ed addirittura
all'aspettativa legittima o chance e persino alle situazioni di mero fatto (quali il
possesso e la detenzione qualificata) ad opera della giurisprudenza degli ultimi
trent'anni, che ha affermato l'atipicità dell'illecito extracontrattuale e collegato
l'art. 2043 al dovere di solidarietà proclamato dall'art. 2 della Costituzione" (Trib.
Milano 10/02/1999, in Fam. e dir. 2/2001, 187; v. anche giurisprudenza ivi citata).

Né varrebbe invocare, per escludere la configurabilità di una responsabilità


extracontrattuale di un coniuge nei confronti dell'altro per lesione di alcuno dei
doveri nascenti dal matrimonio, l'assunto pure tralaticio a lungo ribadito in
materia secondo cui, sulla base del principio lex specialis derogat legis generalis,
il fatto stesso che i doveri coniugali e la loro violazione siano specificamente
disciplinati nell'ambito del diritto di famiglia, imporrebbe di ritenere
inapplicabile in specie la normativa generale ed in particolare il disposto
normativo ex art. 2043 cod. civ.
È di tutta evidenza infatti che da un lato le sanzioni specificamente previste nel
diritto di famiglia per la violazione di tali doveri sono strettamente settoriali, solo
eventuali ed ormai di ben limitata portata anche sul piano giuridico, almeno a
seguito dell'introduzione nel nostro ordinamento dell'istituto del divorzio, ancor
più come disciplinato ex lege 6/03/1987, n. 74, con la riduzione del termine
triennale di durata della separazione necessario per la pronuncia divorzile, tanto
più che tali sanzioni - ed in specie la declaratoria di addebito della separazione,
con conseguente perdita del diritto alla percezione di un contributo di
mantenimento per il coniuge responsabile del fallimento dell'unione che vi
avrebbe avuto altrimenti di ritto e perdita dei diritti successori -, proprio per la
loro settorialità, risultano comunque prive di rilevanza pratica a fronte di
modeste capacità economiche e finanziarie del coniuge altrimenti obbligato alla
corresponsione di un assegno di mantenimento in favore dell'altro e finanche
prive di alcun significato anche economico per il coniuge avente diritto alla
contribuzione dell'altro.

D'altra parte una lettura siffatta della normativa in tema di diritto di famiglia,
quale disciplina anche sanzionatoria esclusiva ed esaustiva nell'ambito dei
rapporti fra coniugi, risulterebbe comunque in palese contrasto con il dettato
costituzionale, ove valesse a rendere inapplicabile in materia il disposto
generale ex art. 2043 cod. civ. anche in caso di condotte lesive dei diritti
inviolabili di ciascuno dei coniugi, tutelati in modo pieno ed assoluto ex art. 2
Cost. anche "nelle formazioni sociali ove si svolge la personalità" di ogni individuo,
e quindi anche nell'ambito familiare, ovvero in caso di comportamenti dei coniugi
in contrasto con il principio fondamentale di "uguaglianza morale e giuridica" di
essi all'interno della famiglia, laddove manchi un esplicito dettato legislativo a
limitare tale uguaglianza "a garanzia dell'unità familiare" (art. 29 Cost.).

Deve tuttavia evidenziarsi come non possa definirsi per sé illecita, e quindi fonte
di responsabilità anche risarcitoria, qualunque violazione dei doveri nascenti dal
matrimonio che pure legittimi la declaratoria di addebitabilità della separazione.
A tali fini, infatti, "il giudice deve accertare che la crisi coniugale sia ricollegabile
al comportamento oggettivamente trasgressivo di uno o di entrambi i coniugi e
che sussista, pertanto, un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il
determinarsi dell'intollerabilità della convivenza, condizione per la pronuncia
della separazione" ed inoltre & quot;nel valutare il comportamento riprovevole
di un coniuge, non potrà prescindere dall'esaminare anche la condotta dell'altro
e procedere, dunque, ad una valutazione comparativa al fine di individuare se il
comportamento censurato non sia solo l'effetto di una frattura coniugale già
verificatasi e possa pertanto considerarsi relativamente giustificato", sicché
"eventuali violazioni dei doveri coniugali dovranno, in tal caso, essere giudicate
irrilevanti ai fini dell'addebitabilità, sempre che si configurino come una reazione
immediata e proporzionata ad un torto ricevuto e non si traducano in una
violazione nell'ambito familiare di regole di condotta imperative e inderogabili o
di norme di particolare rilevanza" (Cass. civ. sez I, 11/01/00 n. 279). Ai fini,
invece, del riscontro di una responsabilità risarcitoria ex art. 2043 c.c. a carico
del coniuge inadempiente ai doveri coniugali, il giudice deve piuttosto accertare,
anzitutto, la obiettiva gravità della condotta assunta dall'agente in violazione di
uno o più dei doveri nascenti dal matrimonio, pur nel contesto di una valutazione
comparativa del comportamento di entrambi i coniugi nel contesto familiare, ed
in secondo luogo verificare con speciale rigore la sussistenza di un danno
oggettivo conseguente a carico dell'altro coniuge e la sua riconducibilità in sede
eziologica non già alla crisi coniugale in quanto tale, per sé di norma produttiva
di uno stato di sofferenza psico-emotiva, affettiva e relazionale, oltre che talora
di disagio economico e comportamentale a carico di almeno una delle parti, ma
alla condotta trasgressiva, e perciò lesiva, dell'agente, proprio in quanto posta in
essere in aperta e grave violazione di uno o più dei doveri coniugali.

Posta, dunque, la sicura applicabilità del disposto normativo ex art. 2043 cod. civ.
anche nell'ambito dei rapporti tra coniugi, occorre peraltro vagliare in concreto
se la condotta assunta da uno di essi in violazione dei doveri nascenti dal
matrimonio sia anzitutto soggettivamente imputabile al suo autore, in quanto
sorretta da dolo o colpa, se essa sia in concreto lesiva di una posizione soggettiva
giuridicamente tutelata dell'altro e produttiva di danno perciò ingiusto e se fra
la condotta stessa ed il danno accertato sussista in effetti un nesso di causalità
giuridicamente apprezzabile nei termini innanzi precisati.

Considerata, dunque, in tale prospettiva la condotta assunta dal sig. (...)


nell'ultimo periodo della convivenza matrimoniale, ed in specie dall'inizio della
gravidanza della moglie e sino all'instaurazione del presente giudizio, in
violazione dei doveri di solidarietà, di collaborazione, di assistenza morale e
materiale tra coniugi e del diritto stesso di fedeltà, inteso quest'ultimo in senso
ampio, quale dovere di lealtà verso l'altro coniuge ed anche come capacità di
"sacrificare gli interessi e le scelte individuali che si rivelino in contrasto con gli
impegni e le prospettive della vita comune" (v. Cass. 18/09/1997, n. 9287), non vi
è dubbio anzitutto che si tratti di un comportamento non certamente episodico
ed occasionale, ma protrattosi per mesi ed accompagnato da esplicite
affermazioni dell'agente di aperto disinteresse per le sorti ed i bisogni della
moglie e del figlio nascituro, come risulta dal tenore dei laconici biglietti da
questi lasciati alla sig.ra (...) in concomitanza con i suoi frequentissimi
allontanamenti da casa (v. documenti sub n. 19 nel fascicolo della parte
convenuta) e soprattutto nella dichiarazione scritta senza data sottoscritta dal
sig. (...) e prodotta dalla controparte sub documento n. 1, sicché trattasi di
condotta certamente dolosa dell'agente, perché pienamente consapevole e
volontaria.

Si tratta del resto di condotta trasgressiva dei doveri coniugali specialmente


grave, in quanto attuata dall'agente con modalità sprezzanti, apertamente e
finanche platealmente abbandoniche nei riguardi del coniuge in condizione di
particolare fragilità e bisognoso di assistenza e sostegno morale ed affettivo per
via del suo stato di gravidanza, peraltro dapprima voluto e ricercato da entrambi
i coniugi, tanto da risultare persino ingiurioso per la sig.ra (...).

Ritiene peraltro il Tribunale, alla luce delle risultanze emerse dall'istruttoria


processuale e dalla documentazione prodotta dalla parte convenuta, che sia in
concreto ravvisabile in specie, quale conseguenza della condotta così assunta dal
sig. (...), un danno apprezzabile e rilevante a carico della sig.ra (...), non già nei
termini solo genericamente prospettati dalla convenuta di un danno economico
in correlazione agli esami medici cui ella ebbe a sottoporsi in corso di gravidanza,
quali in effetti documentati sub. nn. 4 e 5 nel fascicolo di parte convenuta,
trattandosi, come si evince dalle ricevute relative al pagamento delle spese per
tali esami, di accertamenti clinici che d'ordinario vengono comunque effettuati,
secondo normale diligenza, in corso di gravidanza (ecografia ostetrica e studio
morfologico, esame del liquido amniotico), quanto piuttosto quale modificazione
peggiorativa della sfera personale del soggetto, intesa come il complesso di
attività, ma anche di vissuti affettivi, emozionali e relazionali, in cui il soggetto
esplica la sua personalità, ben più grave del mero disagio comunque
conseguente alla frattura dell'unione coniugale.

Si evince infatti dall'unica certificazione medica prodotta dalla convenuta a


riprova delle sue condizioni psico-fisiche nel corso della gravidanza (v.
documento n. 4 nel fascicolo di parte convenuta) che ella si presentò sempre da
sola in occasione delle visite ostetriche cui ebbe a sottoporsi in corso di
ge st az ion e , "r ife r e n d o p r ob l e mi n e l l a r e l az ion e d i cop p ia in iz iat i
contemporaneamente alla diagnosi di gravidanza" e che "per tutta al durata
della gestazione la paziente ha manifestato sindrome depressiva reattiva alle
difficoltà relazionali col partner", sicché, a fronte della constatata "crescita
fetale rallentata e asimmetrica", "per tale iposviluppo e per la sindrome
depressiva" venne eseguito infine taglio cesareo conservatore" per il parto.
Trattasi, come evidente, di stati di sofferenza psico-emozionale a carico
dell'odierna convenuta, più che di patologie in senso proprio, laddove la
sindrome depressiva del soggetto può ritenersi in via presuntiva almeno in parte
correlabile al mero fatto del constatato deterioramento della sua relazione
complessiva con il coniuge, nel contesto di una crisi coniugale come tale non
addebitabile a responsabilità dell'altro coniuge, ed il vero principale effetto
patologico constatato in sede clinica - la rallentata ed asimmetrica crescita fet
ale - non può invece con certezza ascriversi eziologicamente alla condotta del
marito.

Nondimeno tale diagnosi clinica evidenzia comunque uno stato di mancata


serenità, inquietudine, senso di abbandono specificamente riferibile alla
gravidanza del soggetto in atto, che non può non aver pregiudicato la qualità
complessiva dello stato di vita del soggetto in un periodo di particolare rilevanza
sul piano emotivo, affettivo, relazionale e progettuale quale è quello della
gestazione, come del resto è emerso con chiarezza dal tenore delle deposizioni
testimoniali rese in giudizio dalle persone che furono vicine alla sig.ra (...) nel
periodo della gravidanza, ed in specie dei sigg. (...) e (...). Né può dubitarsi che
tale stato di sofferenza abbia nella specie pregiudicato un'aspettativa del
soggetto leso riconducibile ad una posizione giuridicamente tutelata, giacché la
condotta censurata del marito ebbe proprio a manifestarsi e dispiegarsi, in
costanza di matrimonio, in vista della preannunciata maternità della moglie,
sicché, alla luce del chiaro disposto costituzionale ex artt. 29, commi I e II, e 31,
comma II, Cost., essa risulta posta in essere in violazione dei principi
fondamentali di necessaria tutela della famiglia quale società naturale fondata
sul matrimonio, di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, da intendersi quale
legittima aspettativa dei coniugi ad un pari benessere e ad una pari realizzazione
personale nella vita coniugale pure in relazione alle diverse prerogative ed
esperienze correlate alla specialità di genere di ciascuno, e di necessaria tutela
della maternità.

Peraltro "la norma di cui all'art. 2043 c.c., ponendo il principio della risarcibilità
del danno ingiusto, senza alcun riferimento alla natura patrimoniale dello stesso,
stabilisce in via immediata la risarcibilità del complessivo valore della persona,
nella sua proiezione non solo economica, ma anche soggettiva, e, quindi, della
lesione di diritti primari, in quanto inerenti alla persona umana (Cass.civ.
21/05/1996n.4671).

Riscontrata, dunque, la sussistenza di un danno risarcibile a carico dell'odierna


convenuta in conseguenza del comportamento illecito del coniuge in violazione
dei doveri nascenti dal matrimonio, deve infine rilevarsi, ai fini della
determinazione degli obblighi risarcitori a carico del ricorrente, come "il
contenuto stesso del danno riconnesso ad un tal tipo di lesione ne comporta
naturaliter la liquidazione equitativa", trattandosi, appunto, di danno non
patrimoniale, seppur diverso dalla fattispecie del danno morale, unicamente
ristorabile nei limiti normativi ex art. 2059 cod. civ. In tale prospettiva,
considerata la durata limitata del periodo di tempo nel quale si è spiegata la
condotta lesiva dell'agente, dai primi mesi di gravidanza della sig.ra (...) sino
all'allontanamento del sig. (...) dall'abitazione coniugale, nonché il carattere
meramente temporaneo della compromissione subita dall'odierna convenuta
nella sfera esistenziale e relazionale, anch'essa contenuta nel medesimo periodo
- per quanto allegato dalla parte lesa e per quanto comunque riscontrabile nella
fattispecie secondo comune esperienza ed in mancanza di prova puntuale di una
diversa evoluzione del disagio accusato dalla sig.ra (...) - il Tribunale ritiene in
specie congruo determinare in complessive L. 10.000.000 l'entità della
prestazione risarcitoria dovuta dal ricorrente alla controparte a ristoro del danno
cagionatole, così liquidata secondo valori monetari attuali e già comprensiva di
interessi dalla data di commissione dell'illecito sino al presente.

Le spese processuali seguono la preminente soccombenza della parte ricorrente


e si liquidano come da dispositivo, avuto riguardo alla natura, all'oggetto ed alla
complessità della controversia, secondo valori medi di tariffa in relazione allo
scaglione di riferimento (valore della controversia: indeterminabile).

P.Q.M.

Il tribunale, definitivamente pronunciando, in contraddittorio fra le parti,


disattesa ogni diversa istanza, deduzione ed eccezione, così statuisce:

1) dichiara, ai sensi dell’art. 151, comma II, c.c., la separazione personale tra i
coniugi sigg. V.L. e G.A.V. con addebito al marito;

2) conferma l’affido del figlio minore L. alla madre, con facoltà per il padre di
visitarlo presso l’abitazione materna nelle serate del martedì e giovedì di ogni
settimana, dalle ore 20.00 alle ore 21.00, nonché di tenerlo con sé almeno per
una domenica al mese, dalle ore 15.30 alle ore 18.30, preavvisando non più
tardi della sera del giorno precedente eventuali impedimenti, per un fine-
se ttiman a al me se , dal sabato mattin a sin o al l a dome n ica se ra,
compatibilmente con gli impegni scolastici del bambino, nonché per dieci
giorni anche consecutivi durante le vacanze estive, concordando con la madre
del bambino, con congruo anticipo, i luoghi ed i periodi di permanenza del
minore con il padre e comunque comunicandole gli esatti recapiti ove il
minore sia reperibile allorché affidato al padre, consentendole di mantenere
contatti telefonici quotidiani con il bambino;

3) conferma altresì l’assegnazione della casa coniugale, condotta in locazione e


sita a …, via Sempione n. 5, alla sig.ra V. pone a carico del sig. V.L. l’obbligo di
corrispondere mensilmente alla sig.ra V., quale contributo al mantenimento
del figlio L., un assegno di £ 1.200.000, pari ad ‘ 619,75, da versarsi in via
anticipata entro il quinto giorno di ogni mese e da rivalutarsi annualmente in
applicazione degli indici ISTAT del costo della vita già a decorrere dal giugno
1997, nonché di pagare il 50% delle spese mediche straordinarie per il minore;

4) ordina al sig. V.L. di prestare, entro trenta giorni dalla comunicazione dal
deposito della presente sentenza, idonea garanzia, reale o personale, per
l’adempimento degli obblighi confermati a suo carico con il presente
provvedimento per il mantenimento del minore fino a concorrenza della
somma di £ 200.000.000, pari ad ‘ 103.291,38;

5) dichiara inammissibile l’istanza formulata dalla parte convenuta ex art. 148


c.c., perché sia ordinato ai genitori del sig. L. sigg. G.L. e J.M., ovvero ad altri
accertandi terzi debitorI dell’odierno attore, di corrisponderle tutte le somme
da essi dovute al sig. L. sino alla concorrenza dell’integrale o parziale
ammontare degli assegni e contributi dovutile per il figlio;

6) condanna il sig. V.L. al pagamento della somma complessiva di £ 10.000.000,


pari ad ‘ 5.164,57, in favore della sig.ra V., quale risarcimento del danno
cagionatole in conseguenza della condotta assunta in violazione dei doveri
coniugali, quale accertata in parte motiva, oltre interessi al saggio legale dalla
data di deposito della presente sentenza sino al saldo;

7) condanna infine il sig. V.L. al pagamento in favore della sig.ra G.A.V. delle
spese processuali del presente giudizio, che liquida in complessive £
12.000.000, pari ad ‘ 6.197,48, di cui £ 1.000.000, pari ad ‘ 516,46, per spese, £
4.000.000, pari ad ‘ 2.065,83, per diritti e £ 7.000.000, pari ad ‘ 3.615,20, per
onorari, oltre IVA, contributo previdenziale e rimborso forfettario delle spese
come per legge;

8) dichiara la presente sentenza esecutiva tra le parti ex lege.

Sentenza pubblicata il 4 giugno 2002


________________

Né varrebbe invocare, per escludere la configurabilità di una


responsabilità extracontrattuale di un coniuge nei confronti dell’altro
per lesione di alcuno dei doveri nascenti dal matrimonio, l’assunto pure
a lungo ribadito in materia secondo cui, sulla base del principio "lex
specialis derogat legis generalis", il fatto stesso che i doveri coniugali e
la loro violazione siano specificamente disciplinati nell’ambito del diritto
di famiglia, imporrebbe di ritenere inapplicabile in specie la normativa
generale ed in particolare il disposto normativo ex art. 2043 c.c.
E’ di tutta evidenza infatti che da un lato le sanzioni specificamente
previste nel diritto di famiglia per la violazione di tali doveri sono
strettamente settoriali, solo eventuali ed ormai di ben limitata portata
anche sul piano giuridico, d’altra parte una lettura siffatta della
normativa in tema di diritto di famiglia, quale disciplina anche
sanzionatoria esclusiva ed esaustiva nell’ambito dei rapporti fra
coniugi, risulterebbe comunque in palese contrasto con il dettato
costituzionale, ove valesse a rendere inapplicabile in materia il
disposto generale ex art. 2043 c.c. anche in caso di condotte lesive dei
diritti inviolabili di ciascuno dei coniugi, tutelati in modo pieno ed
assoluto ex art. 2 Cost. anche "nelle formazioni sociali ove si svolge la
personalità" di ogni individuo, e quindi anche nell’ambito familiare,
ovvero in caso di comportamenti dei coniugi in contrasto con il principio
fondamentale di "uguaglianza morale e giuridica" di essi all’interno
della famiglia, laddove manchi un esplicito dettato legislativo a limitare
tale uguaglianza "a garanzia dell’unità familiare" ( art. 29 Cost.).
Deve tuttavia evidenziarsi come non possa definirsi per sé illecita, e
quindi fonte di responsabilità anche risarcitoria, qualunque violazione
dei doveri nascenti dal matrimonio che pure legittimi la declaratoria di
addebitabilità della separazione.
Ai fini, invece, del riscontro di una responsabilità risarcitoria ex art.
2043 c.c. a carico del coniuge inadempiente ai doveri coniugali, il
giudice deve piuttosto accertare, anzitutto, la obiettiva gravità della
condotta assunta dall’agente in violazione di uno o più dei doveri
nascenti dal matrimonio, pur nel contesto di una valutazione
comparativa del comportamento di entrambi i coniugi nel contesto
familiare, ed in secondo luogo verificare con speciale rigore la
sussistenza di un danno oggettivo conseguente a carico dell’altro
coniuge e la sua riconducibilità in sede eziologica non già alla crisi
coniugale in quanto tale, per sé di norma produttiva di uno stato di
sofferenza psico-emotiva, affettiva e relazionale, oltre che talora di
disagio economico e comportamentale a carico di almeno una delle
parti, ma alla condotta trasgressiva, e perciò lesiva, dell’agente,
proprio in quanto posta in essere in aperta e grave violazione di uno o
più dei doveri coniugali.

Posta, dunque, la sicura applicabilità del disposto normativo ex art.


2043 c.c. anche nell’ambito dei rapporti tra coniugi, occorre peraltro
vagliare in concreto se la condotta assunta da uno di essi in violazione
dei doveri nascenti dal matrimonio sia anzitutto soggettivamente
imputabile al suo autore, in quanto sorretta da dolo o colpa, se essa
sia in concreto lesiva di una posizione soggettiva giuridicamente
tutelata dell’altro e produttiva di danno perciò ingiusto e se fra la
condotta stessa ed il danno accertato sussista in effetti un nesso di
causalità giuridicamente apprezzabile nei termini innanzi precisati.

Considerata, dunque, in tale prospettiva la condotta assunta dal sig. L.


nell’ultimo periodo della convivenza matrimoniale, ed in specie
dall’inizio della gravidanza della moglie e sino all’instaurazione del
presente giudizio, in violazione dei doveri di solidarietà, di
collaborazione, di assistenza morale e materiale tra coniugi e del diritto
stesso di fedeltà, inteso quest’ultimo in senso ampio, quale dovere di
lealtà verso l’altro coniuge ed anche come capacità di "sacrificare gli
interessi e le scelte individuali che si rivelino in contrasto con gli
impegni e le prospettive della vita comune" ( v. Cass. 18.09.1997, n.
9287 ), non vi è dubbio anzitutto che si tratti di un comportamento non
certamente episodico ed occasionale, ma protrattosi per mesi ed
accompagnato da esplicite affermazioni dell’agente di aperto
disinteresse per le sorti ed i bisogni della moglie e del figlio
nascituro.
Ritiene peraltro il Tribunale, alla luce delle risultanze emerse
dall’istruttoria processuale e dalla documentazione prodotta dalla parte
convenuta, che sia in concreto ravvisabile in specie, quale
conseguenza della condotta così assunta dal sig. L., un danno
apprezzabile e rilevante a carico della sig.ra V., quale modificazione
peggiorativa della sfera personale del soggetto, intesa come il
complesso di attività, ma anche di vissuti affettivi, emozionali e
relazionali, in cui il soggetto esplica la sua personalità, ben più grave
del mero disagio comunque conseguente alla frattura dell’unione
coniugale.
____________
Si tratta di una decisione di merito molto lunga perché unitamente alla
richiesta di risarcimento del danno c'è la richiesta di separazione con
addebito e di obblighi di mantenimento.

La giovane donna chiede non solo il danno psicologico derivante dalla


separazione ma un danno specifico, accertato, consistente nel
rallentamento della crescita fetale del bambino dovuta allo stato di
depressione in cui la donna versava nel periodo della gravidanza,
scatenato proprio dalla grave condotta trasgrediva del marito. Dagli atti
poi risulta anche che il marito aveva cercato nei primi mesi d
gravidanza di indurre la moglie ad interrompere la gravidanza.

Riguardo ai profili del risarcimento del danno, richiesto come danno


non patrimoniale in violazione degli obblighi nascenti dal matrimonio,
contenuti nell'art. 143 c.c.. La decisione del Tribunale di Milano del
2001, relativa a tale vicenda, rappresenta oramai uno statuto della
responsabilità nel rapporto tra i coniugi, perché riproduce una serie di
riflessioni importanti anche pre segnare il confine tra danno risarcibile e
danno non risarcibile.

Viene infatti affermato: occorre verificare se la condotta dell'agente in


violazione dei doveri nascenti dal matrimonio sia lesiva di una
posizione giuridica soggettiva tutelata della controparte e produttiva di
un danno apprezzabile a carico dell'altro coniuge e bisogna verificare
se ciò integri una responsabilità contrattuale dell'agente ex art. 2043.

A questo punto inizia tutta una serie di riflessioni sulla natura giuridica
dei doveri rivenienti dal matrimonio e si dice, in ordine a tali doveri, che
la dottrina prevalente, desumendola anche dalle conseguenze che
l'ordinamento fa discendere dalla loro violazione, riconosce la natura
giuridica e non soltanto morale di tali doveri. Riconosciuto il contenuto
giuridico e quindi rilevante di tali obblighi, si può affermare come da
essi discenda una posizione giuridica tutelata o addirittura un diritto
soggettivo di un coniuge nei confronti dell'altro a pretendere
comportamenti rispondenti a tali obblighi. Poi si riportano una serie di
considerazioni sulla etichettatura dell'art. 2043 che oramai prescinde
dalla tutela di un diritto soggettivo assoluto, rientrando nell'ambito di
applicazione di tale norma anche i diritti soggettivi relativi, le situazioni
di fatto, le aspettative e le chanches.

Ulteriore riflessione riguarda l'esclusione ribadita da parte della dottrina


della responsabilità extracontrattuale nell'ambito dei rapporti familiari
giustificata dall'esistenza di una disciplina settoriale che già prevede
una sanzione, rappresentata dall'art. 151 c.c., in caso di violazione
degli obblighi familiari ex art. 143 c.c.: al riguardo si afferma che, da un
lato le sanzioni previste dal diritto di famiglia per la violazione di tali
doveri sono settoriali, solo eventuali e ormai di limitata portata anche
sul piano giuridico (anche a seguito dell'introduzione dell'istituto del
divorzio) - quindi si tratta di tutela insufficiente (tra l'altro solo
patrimoniale) perché residuale - dall'altro sarebbe incostituzionale
negare, perché si violerebbero gli artt. 2 e 29 della Costituzione, che
esista e che possa applicarsi un principio generale dell'illecito civile.

Poi il Tribunale va a verificare quando in concreto applicare l'art. 2043


c.c. e questa è la parte più importante della sentenza perché si dice
che il giudice ai fini della risarcibilità del danno riveniente dalla
violazione degli obblighi familiari deve:

- accertare l'obiettiva gravità della condotta posta in essere


dall'agente in violazione di uno o più dei doveri imposti dal
matrimonio (seppure in una valutazione comparativa del
comportamento di entrambi i coniugi nel contesto familiare);

- verificare, con speciale rigore, la sussistenza di un danno


oggettivo conseguente a carico dell'altro coniuge e

- la sua riconducibilità in sede eziologica (cioè in sede di


riconoscimento di un nesso di causalità) allo stato di sofferenza
psico-emotiva, affettiva e relazionale produttiva oltre che di disagio
economico e comportamentale a carico di almeno una delle parti.

In realtà qui il Tribunale di Milano, aprendo le porte alla responsabilità


extracontrattuale per fatto illecito, sente la necessità di porre dei paletti
all'ammissibilità di questo risarcimento, non estendendolo a qualsiasi
sofferenza psichica, come quella proveniente dalla separazione, che
no può essere risarcibile. Ma è necessario individuare un danno grave
ed un comportamento che sia altrettanto grave che è eziologicamente
collegato al danno da legittimare la richiesta di risarcimento.

Stabiliti questi principi, il Tribunale va ad analizzare il comportamento


del marito nei confronti della moglie, individuando analiticamente gli
obblighi contravvenuti, in primis, l'obbligo di fedeltà, che deve essere
inteso nel senso più ampio, quale obbligo di lealtà e anche quale
capacità di sacrificare i propri interessi e le scelte individuali che si
rivelino in contrasto con gli impegni e le prospettive di vita comune.

Ora dall'esame complessivo del comportamento del marito, dalle


aspettative che egli aveva ingenerato nella moglie anche su una felice
vita in comune anche con la nascita del figlio, si ravvisa un
comportamento grave, lesivo di tutta una serie di obblighi, quali quello
del dovere di assistenza morale e materiale, di fedeltà, che avrebbero
cagionato, secondo quanto specificato dal Tribunale, un danno
apprezzabile, soprattutto una condizione peggiorativa della sfera
personale del soggetto, intesa come complesso di attività ma anche di
vissuti affettivi, emozionali e relazionali in cui il soggetto esplica la sua
personalità. Ben più grave del mero disagio comunque conseguente
alla frattura dell'unione coniugale.

In conclusione abbiamo un'apertura coerente, in quanto non una


qualsiasi sindrome depressiva conseguente alla rottura del matrimonio
può legittimare una richiesta di risarcimento del danno, si deve trattare
di un comportamento grave che ha arrecato un grave pregiudizio in
violazione di una serie di obblighi.

Diciamo che l'analisi di questa giurisprudenza può essere molto


significativa perché riflette le diverse riflessioni dottrinali più o meno
evolute, muovendosi con una certa saggezza, perché tutte le ipotesi di
risarcimento attengono a fatti gravi dove, soprattutto, emergono gli
elementi richiesti ai fini della risarcibilità secondo le regole dell'illecito
civile, ovvero un comportamento grave, doloso o colposo, un danno
ingiusto e il nesso di causalità tra il danno prodotto e il comportamento.

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