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Procedimentohjh DI Separazioju NE E Divorzio

Giurisprudenza (Sapienza - Università di Roma)

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LA SEPARAZIONE PERSONALE TRA I CONIUGI è prevista dall’articolo
150 del codice civile e regolata, per quanto riguarda gli aspetti contenziosi (separazione
giudiziale) dagli articoli 151, 155 e 156 del codice civile.
Con la separazione i coniugi realizzano una situazione in cui alcune delle
obbligazioni nascenti dal matrimonio rimangono sospese, prima tra tutte quella della
convivenza, senza che venga a cessare il vincolo matrimoniale che potrà terminare
solamente con il divorzio (scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio
religioso).
La separazione personale ha anche altri effetti di carattere patrimoniale: con il
passaggio in giudicato della pronuncia giudiziale ovvero con l’omologazione della
separazione consensuale, viene a termine il regime legale di comunione dei beni e si
instaura una comunione di tipo convenzionale, che può essere sciolta a richiesta di uno
dei coniugi.
La separazione non esclude il coniuge separato dalla successione legittima, né
dalla quota di riserva quale legittimario, tranne che nel caso in cui la separazione sia
stata pronunciata con addebito. In questo caso egli ha diritto solamente ad un assegno
vitalizio commisurato alle sostanze ereditarie ed al numero degli eredi, sempre che al
momento dell’apertura della successione godeva degli alimenti a carico del coniuge
deceduto (articoli 548 secondo comma, 584 secondo comma e 585 secondo comma del
codice civile).
La separazione con addebito esclude il coniuge a cui sia fatta risalire la
responsabilità del fallimento del matrimonio, dal diritto di ricevere il mantenimento
dall’altro coniuge, In questo caso si riconosce al coniuge separato per colpa il diritto a
ricevere i soli alimenti, connesso alla sua qualità di coniuge.
Gli effetti della separazione durano fino a quando i coniugi non si riconciliano.
Secondo il disposto dell’articolo 157 del codice civile, la cessazione della separazione
può risultare da una dichiarazione espressa o da un comportamento incompatibile con
lo stato di separazione, senza che sia necessario l’intervento del giudice.
Un recente regolamento ha stabilito, ai fini di dare una certa pubblicità allo stato
di separazione (per rendere palese l’eventuale cessazione dello stato di comunione
legale), che la sentenza che stabilisce la separazione, ovvero il provvedimento di
omologa della consensuale, debbano essere annotati sull’atto di matrimonio e che i
coniugi, possono rendere pubblica la cessazione degli effetti (con la ricostituzione della
comunione legale), mediante una dichiarazione da rendere congiuntamente all’ufficiale
dello stato civile (articoli 63 e 69 del DPR n. 396 del 2000).

Alberto Bucci

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Con la riconciliazione, infatti, si viene a ricostituire la comunione legale dei beni


(questa è l'ultima sentenza della Cassazione) che parte da tale momento, ma non
coinvolge retroattivamente gli acquisti fatti separatamente dai due coniugi nel periodo
in cui sono stati effettivamente separati.
Per riconciliazione si deve intendere la stabile ricostituzione dell'armonia tra
coniugi nel senso spirituale e materiale, senza che sia sufficiente un momentaneo
riavvicinamento, o un rapporto occasionale anche se dallo stesso può essere stato
concepito un figlio.

In materia di comunione legale tra i coniugi, la separazione personale costituisce causa di


scioglimento della comunione, che è rimossa dalla riconciliazione dei coniugi, dalla quale deriva il
ripristino del regime di comunione originariamente adottato; tuttavia, in applicazione dei principi
costituzionali di tutela della buona fede dei contraenti e della concorrenza del traffico giuridico (artt. 2 e
41, Cost.), occorre distinguere tra effetti interni ed esterni del ripristino della comunione legale e,
conseguentemente, in mancanza di un regime di pubblicità della riconciliazione, la ricostituzione della
comunione legale derivante dalla riconciliazione non può essere opposta al terzo in buona fede che
abbia acquistato a titolo oneroso un immobile dal coniuge che risultava unico ed esclusivo proprietario
del medesimo, benché lo avesse acquistato successivamente alla riconciliazione. (Fattispecie alla quale
'ratione temporis' non era applicabile l'art. 69, d.P.R. n. 396 del 2000, che ha previsto l'annotazione a
margine dell'atto di matrimonio delle dichiarazioni con le quali i coniugi separati manifestano la loro
riconciliazione (Cass. Sentenza n. 18619 del 05/12/2003).
Posto che, ai sensi dell'art. 191 cod. civ., la separazione personale dei coniugi costituisce causa
di scioglimento della comunione dei beni, una volta rimossa con la riconciliazione tale causa si
ripristina automaticamente tra le parti il regime di comunione originariamente adottato, con esclusione
di quegli acquisti effettuati durante il periodo della separazione (Cass. Sentenza n. 11418 del
12/11/1998).
Perchè si abbia riconciliazione, con conseguente cessazione degli effetti della separazione,
occorre il ripristino del consorzio familiare attraverso la restaurazione della comunione materiale e
spirituale dei coniugi cessata appunto con la separazione; a tal fine, il giudice di merito deve attribuire
prevalente valore agli elementi esteriori oggettivamente diretti a dimostrare la volontà dei coniugi di
ripristinare la comunione di vita piuttosto che a elementi psicologici permeati di soggettività (nella
specie la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che non aveva adeguatamente valutato
l'elemento del ripristino della convivenza sopravvalutando aspetti legati alla sfera dei sentimenti). Cass.
Sentenza n. 12314 del 25/05/2007.

IL DIVORZIO ha come effetto quello di far cessare il rapporto matrimoniale: il


divorziato può contrarre nuovo matrimonio, l’ex coniuge è escluso da ogni forma di
successione. Tali effetti si verificano, nei confronti dei terzi, dal giorno della
annotazione nell’atto di matrimonio negli atti dello Stato civile. Si dice scioglimento
del matrimonio, quando si tratta di matrimonio contratto civilmente davanti al Sindaco
(o da un suo delegato), ovvero quando si tratta di un matrimonio acattolico, o di
matrimonio contratto all’estero. Per il matrimonio cattolico o concordatario, la

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definizione è quella della cessazione degli effetti civili, che è irrilevante per il diritto
canonico, che conosce solamente l’annullamento pronunciato dai tribunali ecclesiastici.
Ciò in base alle disposizioni sul concordato, che assicurano una riserva di giurisdizione
alle stesse autorità ecclesiastiche, con pronunce che, in tema di annullamento, hanno
effetti anche nell’ordinamento dello Stato, previo riconoscimento delle Corti di
Appello.

La norma di cui all'art. 10, secondo comma, della legge 1 dicembre 1970 n. 898, secondo cui lo
scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio hanno efficacia, a tutti gli effetti civili, dal
giorno dell'annotazione della sentenza, va interpretata nel senso che gli effetti personali e patrimoniali
della sentenza si producono tra le parti dal passaggio in giudicato, mentre l'annotazione attiene
unicamente agli effetti "erga omnes" della pronuncia stessa, in considerazione dell'efficacia dichiarativa
e non costitutiva dello stato delle persone fisiche che è propria dei registri dello stato civile (Cass.
Sentenza n. 9244 del 04/08/1992).

Tra gli ex coniugi sopravvivono tuttavia alcuni rapporti, primo tra tutti quello
dell’assistenza che si traduce nella possibilità del conferimento di un assegno divorzile,
nel diritto alla pensione di reversibilità (o ad una sua quota) e ad una percentuale
dell’indennità di fine rapporto (articoli 9 e 12 bis della legge sul divorzio).

La legge n. 80 del 2005, nel convertire in legge il D.L. n. 35 del 2005, ha


profondamente modificato il procedimento di separazione personale tra i coniugi
riformulando gli articoli 706 e seguenti del codice di procedura civile, ed il
procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, e
rivisitando l’articolo 4 della legge 898 del 1970, così come era stato modificato dalla
legge 74 del 1987 e che era stato applicato anche ai procedimenti di separazione, in
virtù dell’articolo 23 della stesa legge.
Con le disposizioni modificative, non si è proceduto ad una formulazione unica
per entrambi i procedimenti, come forse ci sarebbe stato da aspettarsi, ma si è preferito
dare una disciplina distinta dei due procedimenti, che in gran parte risulta
sovrapponibile, per cui l’articolo 23 della legge 74/87 risulta evidentemente abrogato
per incompatibilità.
Le modifiche introdotte, per entrambi i procedimenti, sanciscono una precisa
identificazione funzionale della fase introduttiva del processo e dell’udienza
presidenziale che assume indiscutibilmente i caratteri di un adempimento finalizzato
alla conciliazione delle parti, riservando solamente alla udienza davanti all’istruttore
l’inizio del procedimento contenzioso, con la applicazione di parte della normativa che
regola la costituzione delle parti e la fase della trattazione, secondo la disciplina del
procedimento ordinario.

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In particolare si è individuato un nuovo criterio per la determinazione della


competenza del tribunale (poi ritenuto incostituzionale), si è previsto un contraddittorio
sin dall’udienza presidenziale, e una fase istruttoria contenziosa, nettamente distinta
dalla prima, con la previsione di una nuova costituzione del ricorrente e del resistente e
con la necessità, in caso di assenza del convenuto alla udienza presidenziale, di una
nuova notificazione con la indicazione dell’udienza davanti all’istruttore.
Secondo il rinnovato articolo 706 del codice di procedura civile, ed il nuovo
articolo 4 della legge sul divorzio, viene mantenuta, in entrambi i procedimenti, per
l’atto introduttivo, la forma del ricorso, con tutte le conseguenze che derivano da tale
veste (deposito in cancelleria, pendenza della lite eccetera).
I contenuti del ricorso sono indicati nella domanda di separazione personale,
ovvero nella domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del
matrimonio, nella esposizione dei fatti sui quali la domanda è fondata e, per il
divorzio, l’indicazione delle norme di legge applicabili, con riferimento ai casi in
cui il divorzio è consentito.
Rispetto alla formulazione dell’articolo 4 della legge sul divorzio, applicabile
prima della modifica anche alla separazione, spicca la mancanza della formulazione
delle conclusioni, e la indicazione dei mezzi di prova. Ciò vuol dire che, nella direzione
di restituire all’udienza presidenziale il carattere conciliativo, prevalente se non
esclusivo, il ricorso introduttivo è finalizzato all’avvio del procedimento, senza che la
fase contenziosa, che avrà inizio solamente con l’udienza davanti all’istruttore, sia in
alcun modo pregiudicata dal contenuto dell’atto stesso e non impedirà la proposizione
successiva di domande accessorie alla separazione, come ad esempio, l’assegno di
mantenimento, l’assegno divorzile e l’addebito della separazione.

Per quanto attiene alla separazione il requisito essenziale e sufficiente per la


pronuncia è che la prosecuzione della convivenza per fatti che si verificano anche
indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi, sia diventata intollerabile o
rechino grave pregiudizio alla educazione della prole. Per cui nel ricorso oltre alla
domanda, potranno essere indicati i fatti che giustificano la separazione. Su domanda di
uno dei coniugi, il giudice, nel pronunciare la separazione, dichiara a quale dei
coniugi sia addebitabile la stessa.
Nella domanda di divorzio dovranno essere indicate le circostanze che
consentono la pronuncia che, secondo l’articolo 3 della legge 898/70, consistono tra le
altre, nella separazione già pronunciata (e irrevocabile) e nella persistenza della stessa
per tre anni (dalla comparizione delle parti davanti al presidente) e per condanne penali
passate in giudicato, per reati gravi o per reati commessi in danno del coniuge o dei
figli. Nel primo caso, presupposto della domanda è che la pronuncia della separazione

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sia passata in giudicato. Per molto tempo la Cassazione aveva ritenuto inscindibili la
domanda di separazione da quella di addebito, con la conseguenza che se le parti
avessero continuato a discutere sulla responsabilità della separazione per tutti i gradi di
giudizio, il passaggio in giudicato della pronuncia si sarebbe verificato solo con la
decisione della Cassazione. Con la sentenza n. 1579 del 2001, le Sezioni Unite, spinte
dall’unanime orientamento contrario dei giudici di merito, hanno infine sancito che la
questione sull’addebito doveva considerarsi autonoma rispetto a quella sullo stato di
separati, per cui il gravame su tale punto, non evitava il passaggio in giudicato della
sentenza di separazione, costituendo il presupposto sul quale basare una richiesta di
divorzio.

Nel giudizio di separazione personale dei coniugi, la richiesta di addebito, pur essendo
proponibile solo nell'ambito del giudizio di separazione, ha natura di domanda autonoma; infatti, la
stessa presuppone l'iniziativa di parte, soggiace alle regole e alle preclusioni stabilite per le domande,
ha una "causa petendi" (la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio in rapporto causale con le
ragioni giustificatrici della separazione, intollerabilità della convivenza o dannosità per la prole) ed un
"petitum" (statuizione destinata a incidere sui rapporti patrimoniali con la perdita del diritto al
mantenimento e della qualità di erede riservatario e di erede legittimo) distinti da quelli della domanda
di separazione; pertanto, in carenza di ragioni sistematiche contrarie e di norme derogative dell'art.
329, secondo comma cod. proc. civ., l'impugnazione proposta con esclusivo riferimento all'addebito
contro la sentenza che abbia pronunciato la separazione ed al contempo ne abbia dichiarato
l'addebitabilità, implica il passaggio in giudicato del capo sulla separazione, rendendo esperibile
l'azione di divorzio pur in pendenza di detta impugnazione (Cass. Sez Un. Sentenza n. 15279 del
04/12/2001).

Nulla vieta comunque che nel ricorso siano indicate anche dettagliatamente i
motivi della richiesta, per fornire gli elementi su cui basare il tentativo di conciliazione
e che potranno servire a determinare quei provvedimenti temporanei e urgenti
opportuni nell’interesse della prole e dei coniugi, che il presidente del tribunale potrà
adottare al termine dell’udienza. In questa direzione, quando vi siano figli minori, sarà
opportuno indicare le circostanze che ne consigliano l’affidamento all’uno od all’altro
coniuge, e in ogni caso potranno anche essere esplicitate quelle circostanze di ordine
patrimoniale che serviranno a determinare gli stessi provvedimenti in relazione ai
rapporti tra i coniugi e i figli, durante l’eventuale proseguimento del giudizio.

Per quanto attiene alla competenza, la domanda va presentata al tribunale del


luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi, o, in mancanza, al tribunale del luogo
in cui il coniuge convenuto ha la residenza o il domicilio, oppure, in caso di
irreperibilità o di residenza all’estero al tribunale del luogo di residenza o di domicilio

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dell’attore e se anche questi è residente all’estero a qualunque tribunale della


repubblica.
La Corte Costituzionale con sentenza 169 n del 23 maggio 2008,ha dichiarato
illegittimo il primo comma dell’articolo 4 della legge sul divorzio (come modificato
eliminato, limitatamente al riferimento “all’ultima residenza comune dei coniugi”,
per cui rimane immutato il criterio di collegamento che individua il tribunale
competente in quello di residenza del convenuto.
La decisione della Corte Costituzionale riguarda la procedura di divorzio e può
sorgere il dubbio, se, in mancanza di una analoga pronuncia sull’articolo 706 del codice
di procedura, il criterio di collegamento della competenza, rimanga, per la separazione,
sempre quello “dell’ultimo domicilio comune” ovvero se una interpretazione
costituzionalmente orientata, valga a far ritenere valido anche per la separazione, il
vecchio criterio della residenza del convenuto.
Si tratta comunque di una competenza inderogabile, sia per quanto attiene
all’organismo giudicante, che non può essere che il tribunale in formazione collegiale,
sia per quanto attiene alla individuazione del giudice territorialmente competente, in
quanto si tratta evidentemente di un tipo di competenza funzionale e territoriale di
carattere inderogabile, a mente dell’articolo 28 del codice di procedura civile.
Va comunque posto in rilevo, che per quanto attiene alla competenza territoriale,
la stessa deve essere eccepita o rilevata d’ufficio sino alla prima udienza di trattazione,
altrimenti, secondo la regola generale dell’articolo 38 del codice di procedura civile, se
il giudizio prosegue, non vi è più la possibilità di mettere in discussione la competenza
del tribunale adito. Nei procedimenti di separazione o di divorzio non è agevole
individuare quale sia la prima udienza di trattazione, oltre la quale non è possibile
eccepire o rilevare d’ufficio l’incompetenza per territorio. Nei procedimenti consensuali
o congiunti, il rilievo potrà essere fatto dal presidente nella udienza presidenziale (o dal
collegio se le parti compaiono per la prima volta davanti a questo). Nei procedimenti
contenziosi, la prima udienza di trattazione coincide con l’udienza davanti al giudice
istruttore.

Il terzo comma dell’articolo 706 del codice di procedura civile, e il


corrispondente comma 5 dell’articolo 4 della legge 898/70, stabiliscono che il
presidente del tribunale dovrà fissare l’udienza di comparizione davanti a sè (da tenersi
entro novanta giorni), con la fissazione di un termine per la notifica del ricorso e del
decreto ed il termine entro cui il coniuge convenuto può depositare memoria
difensiva e documenti.
Particolare di rilievo è che non è fissato un termine che debba decorrere tra la
notificazione e l’udienza, essendo stabilito solamente un termine “massimo” tra

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l’udienza ed il deposito del ricorso per cui l’intervallo temporale concesso al convenuto
potrà essere anche molto inferiore ai trenta giorni, stabiliti dalla normativa precedente,
in relazione dalla esistenza di motivi di urgenza.

Altro particolare di rilievo è quello che stabilisce che il presidente debba anche
fissare il termine entro cui il coniuge convenuto può depositare memoria difensiva
e documenti.
Tale termine dovrà essere fissato con riferimento alla data fissata per la
comparizione e tenere conto del termine prescritto per la notifica del ricorso, in modo
da assicurare l’inizio di un contraddittorio, sia pure informale.
Non si tratta di una vera e propria comparsa di risposta, né può parlarsi, di una
costituzione in giudizio, dal momento che la vera costituzione, con il deposito della
comparsa di risposta e con le relative preclusioni, sono previste con riferimento alla
prima udienza davanti all’istruttore, che segna l’inizio della fase contenziosa.
Nella memoria difensiva, quindi, non sarà necessario, né in alcun modo
preclusivo di ulteriori allegazioni, formulare domande specifiche, né indicare mezzi di
prova. La memoria difensiva deve intendersi finalizzata alla conciliazione, alla
contestazione dei fatti contenuti nel ricorso, ed allo svolgimento di argomentazioni
relative all’affidamento dei figli ed alle possibili disposizioni di carattere economico
che il presidente del tribunale può adottare.
La considerazione che nella fase dell’udienza presidenziale, le parti possono
avvalersi, della semplice assistenza del difensore, senza che allo stesso debba essere
conferito un formale mandato alle liti, induce a ritenere che la memoria difensiva del
convenuto, possa essere presentata e sottoscritta personalmente dalla parte convenuta.

In entrambe le procedure si prescrive che al ricorso introduttivo ed alla memoria


difensiva sono allegate le ultime dichiarazioni dei redditi presentate.
La disposizione, di carattere innovativo, va nella direzione di consentire al
presidente del tribunale una immediata conoscenza della situazione economica delle
parti finalizzata alla adozione dei provvedimento provvisori urgenti, in caso di
fallimento del tentativo di conciliazione.
Non è prevista alcuna sanzione per l’eventuale omissione, ma un comportamento
elusivo potrà essere valutato negativamente ai sensi dell’articolo 116 del codice di
procedura civile.
D’altro canto tale produzione documentale non avrà certamente alcun carattere di
prova legale, potendo le parti contestare le risultanze e il presidente assumere i
provvedimenti sulla base delle dichiarazioni delle parti e di presunzioni desumibili da
altri elementi (tenore di vita, attività esercitata eccetera). Né può escludersi che la fase

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presidenziale venga “allargata” con la richiesta di ulteriori informazioni alle parti o con
indagini.

I coniugi debbono comparire personalmente davanti al presidente con


l’assistenza del difensore.
Se non si presenta il coniuge convenuto, il presidente può fissare un nuovo giorno
per la comparizione, ordinando che la notificazione del ricorso e del decreto gli sia
rinnovata.
La nuova versione del primo comma dell’articolo 707, e del comma 7
dell’articolo 4 L. 898/70, che ha tradotto in norma una pronuncia della Corte
Costituzionale, dispone che i coniugi debbono comparire personalmente davanti al
presidente con l’assistenza del difensore. La mancanza di ogni specificazione o
precisazione, in ordine alla audizione delle parti che deve avvenire, prima
separatamente e poi congiuntamente, induce a ritenere che anche nella audizione
separata, ciascun coniuge debba essere assistito dal proprio difensore. Salvo che le
parti stesse, e i loro difensori, consentano l’assenza del difensore. nella prima fase della
audizione.

Nel procedimento di separazione e in quello di divorzio (terzo comma


dell’articolo 708 e articolo 4 L 898/70, comma 8), sentiti i coniugi, prima
separatamente e poi congiuntamente con l’assistenza dei difensori, qualora non sia
andato a buon fine il tentativo di conciliazione, anche per la mancata comparizione del
coniuge convenuto, il presidente dovrà adottare i provvedimenti temporanei ed
urgenti che reputa opportuni nell’interesse della prole e dei coniugi.
Si tratta dei provvedimenti che riguardano l’affidamento dei figli, l’assegnazione
della casa coniugale e i contributi economici che una parte deve eventualmente
corrispondere all’altra per il mantenimento dei figli affidati e dello stesso coniuge.
Nella disposizione del procedimento di divorzio, si fa riferimento anche alla
audizione dei figli minori che invece non è prevista espressamente nel giudizio di
separazione, ma che è prevista dall’articolo 155 sexies del codice civile ed è ritenuta
obbligatoria dai regolamenti europei che si occupano della materia e che pongono
l’omissione come ostacolo alla esecutorietà dei provvedimenti di affidamento o di
visita, nell’ambito di un diverso Stato dell’Unione Europea. La stessa Corte di
Cassazione ha stabilito che la mancata audizione del minore (ultra dodicenne) provoca
una difetto nel contraddittorio e la nullità della sentenza.
Si tratta di una formalità che il presidente disporrà secondo modalità scelte
discrezionalmente, nel rispetto della personalità del minore e dei diritti di difesa delle
parti.

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Con l’ordinanza, infine, il presidente dovrà nominare il giudice istruttore e


fissare l’udienza di comparizione e trattazione davanti a questo.

Secondo la nuova formulazione dell’articolo 709 del codice di procedura civile, e


del comma 9 dell’articolo 4 L. 898/70, viene ripristinato l’obbligo per il ricorrente di
notificare al convenuto che non sia comparso, l’ordinanza di fissazione dell’udienza
di trattazione davanti al giudice istruttore, con la fissazione di un termine perentorio per
la notificazione.
E poiché davanti all’istruttore inizia il procedimento contenzioso ordinario,
rivivono quei termini di comparizione “ordinari” non previsti per la notifica del primo
ricorso introduttivo.
Ciò vuol dire che nell’ipotesi in cui l’ordinanza sia stata pronunciata nel
contraddittorio di entrambe le parti, tra la data della pronuncia e quella dell’udienza
debbono decorrere almeno trenta giorni. Se si tratta di una ordinanza “riservata”, come
sovente accade, il termine decorrerà, riteniamo, dal giorno della comunicazione, per cui
il presidente dovrà considerare i tempi normalmente previsti per l’adempimento, in
modo da consentire il rispetto dei termini stessi.
Se invece l’ordinanza sarà pronunciata in assenza del convenuto, non comparso,
l’ordinanza oltre a contenere il termine per la notificazione, dovrà stabilire l’udienza
davanti all’istruttore in modo che al convenuto siano garantiti gli stessi termini di
comparizione a partire dalla ricezione dell’atto.

Altro contenuto dell’ordinanza del presidente, decisamente innovativo, rispetto al


precedente regime, è quello che regola la costituzione di entrambe le parti in modo
analogo a quanto avviene nel procedimento ordinario, stabilendo la possibilità che
l’attore rinnovi la propria costituzione, con una memoria del tutto analoga ad una
citazione introduttiva, precisando il termine entro cui il convenuto deve costituirsi in
giudizio, con delle preclusioni e decadenze analoghe a quelle del giudizio ordinario.
Ciò vuol dire innanzi tutto che il presidente, oltre ai termini per la notifica
dell’ordinanza al convenuto non comparso e ai termini assegnati per la costituzione del
convenuto, deve assegnare al ricorrente un termine per il deposito di una memoria
integrativa, che dovrà avere caratteristiche simili ad una citazione introduttiva, con gli
elementi identificativi delle parti (articolo 163 n. 2), con la determinazione dell’oggetto
(articolo 163 n. 3), l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni
della domanda (articolo 163 n. 4), l’indicazione specifica dei mezzi di prova e dei
documenti che offre in comunicazione (articolo 163 n. 4), il nome e cognome del
procuratore e l’indicazione della procura.

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Oltre al termine per la memoria integrativa del ricorrente, l’ordinanza


presidenziale deve contenere anche il termine al convenuto per la costituzione in
giudizio ai sensi degli articoli 166 e 167, primo e secondo comma, del codice di
procedura civile, nonché per la proposizione delle eccezioni processuali e di merito
non rilevabili d’ufficio.
Correlativamente, l’ordinanza del presidente dovrà contenere anche
l’avvertimento al convenuto (simile a quello prescritto per la citazione ordinaria), che
la costituzione oltre il termine suddetto implica le decadenze di cui all’articolo 167
primo e secondo comma, e che oltre il termine stesso non potranno più essere proposte
le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio.
Coordinando le due disposizioni se ne deduce che il convenuto avrà un termine
ben preciso, fissato dal presidente, che, a nostro avviso potrà essere diverso ed anche
più breve rispetto ai dieci (o venti giorni) previsti dall’articolo 166, il cui riferimento
deve intendersi fatto in relazione alle formalità della costituzione (deposito del
fascicolo, della comparsa di risposta e del ricorso notificato). Il richiamo all’articolo
167, primo e secondo comma, nella versione riformata, serve ad indicare che nella
comparsa di risposta debbono formularsi oltre a tutte le difese, le eventuali domande
riconvenzionali (assegno di mantenimento, assegnazione della casa eccetera), e le
eccezioni di rito e di merito non rilevabili d’ufficio. Il mancato richiamo al terzo
comma della disposizione evidenzia la naturale impossibilità della chiamata di terzo.
Tale richiamo assume grande rilievo nel giudizio di divorzio, poiché il termine
per la costituzione del convenuto, costituisce il limite per l’eccezione di interruzione
della separazione che può essere proposta per negare l’esistenza della condizione
costituita dalla ininterrotta separazione per tre anni dalla comparizione delle parti
davanti al presidente.
Va rilevato che non vi sono limiti temporali per il termine assegnato al ricorrente
per il deposito della memoria integrativa, né sembra che vi siano limiti per il termine
assegnato al convenuto per la sua costituzione, nella direzione di un procedimento non
legato a scadenze prefissate e modulabile a secondo delle esigenze richieste dalla
controversia. E’ sicuro invece, né potrebbe essere altrimenti, che il termine per la
costituzione del convenuto debba seguire quello del deposito della memoria del
ricorrente, entro limiti accettabili, nel rispetto del diritto a difesa e che comunque i
termini fissati al ricorrente ed al convenuto debbano tenere conto della data della
udienza fissata per la comparizione delle parti (che deve consentire di rispettare i
cosiddetti termini di comparizione).

L’ultimo comma dell’articolo 708, riformato, del codice, stabilisce che i


provvedimenti provvisori del presidente, si può proporre reclamo (entro dieci giorni

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dalla notificazione del provvedimento) con ricorso alla Corte di Appello che
pronuncia in camera di consiglio. E’ dubbio quale sia la sorte del decreto della Corte di
Appello, che abbia riformato quello del Presidente. Sembra logico ritenere che lo stesso
non possa essere cambiato salvo che non si verifichino circostanze “sopravvenute”.

La disposizione, contenuta nel comma 8 dell’articolo 4 della legge sul divorzio,


e dalla nuova versione dell’articolo 709, ultimo comma si stabilisce che l’ordinanza
del presidente può essere modificata dal giudice istruttore.
Rispetto alla precedente normativa in tema di separazione, la modifica può
avvenire anche in assenza di “circostanze sopravvenute”, e che la modifica potrà
avvenire anche per una migliore e diversa valutazione delle medesime circostanze, già
esaminate. Premesso che la prevalente giurisprudenza reputa inammissibile il reclamo
al collegio dei provvedimenti del giudice istruttore (in quanto non cautelari), non
sembra neppure che tali modificazioni possano essere reclamate in Corte di Appello,
anche se nella sostanza il giudice istruttore, nella modifica, si sostituisce al presidente.
In entrambi i giudizi, può ammettersi che il giudice istruttore esamini una
domanda urgente di modifica, anche prima dell’udienza fissata per la comparizione e la
trattazione, dopo la costituzione del contraddittorio.

All'udienza davanti al giudice istruttore si applicano le disposizioni di cui agli


articoli 180 e 183, commi primo, secondo, e dal quarto al decimo, del codice di
procedura civile. Si applica altresì l'articolo 184..
Il comma 11 dell’articolo 4 della legge sul divorzio, come modificato, riproduce
fedelmente quanto disposto dall’articolo 709 bis del codice di procedura civile,
destinato a dare una regolamentazione precisa e definitiva sullo svolgimento del
giudizio contenzioso che inizia davanti al giudice istruttore.
Il richiamo agli articoli 180, 183 e 184 deve intendersi fatto, alle norme riformate
dalla stessa legge, nella direzione di concentrare, per quanto possibile, anche il
procedimento di divorzio, intorno ad una unica udienza di trattazione.
Le attività previste per il controllo della costituzione delle parti e per la regolarità
del contraddittorio disciplinate dal primo comma dell’articolo 183 riguardano, la
verifica della notificazione dell’ordinanza del presidente al convenuto non comparso
con il conseguente ordine di rinnovazione, ovvero la fissazione di una nuova udienza in
caso di costituzione del convenuto che eccepisca l’insufficienza dei termini a comparire
o la mancanza dello avvertimento di cui al decimo comma dell’articolo 4, e al comma 4
dell’articolo 709.
Il mancato richiamo al terzo comma dell’articolo 183, sta a significare che non è
prevista la possibilità che le parti richiedano congiuntamente la comparizione personale

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per il libero interrogatorio ed il tentativo di conciliazione, che rimane comunque una


facoltà attribuita discrezionalmente al giudice istruttore, ai sensi dell’articolo 185 del
codice di procedura civile.
Nella stessa udienza l’attore può proporre le domande e le eccezioni che sono
conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto.
In questo senso riteniamo che sulla domanda riconvenzionale di assegno divorzile o di
addebito nella separazione, possa formularsi analoga domanda nei confronti del
convenuto. Sulla riconvenzionale di assegno divorzile il ricorrente può opporre
l’addebito della separazione. Sulla riconvenzionale di invalidità del matrimonio potrà
rilevarne la decadenza. Sulla eccezione di esistenza di un divorzio pronunciato
all’estero, potrà eccepirne la invalidità.
Le parti potranno richiedere al giudice istruttore le memorie di cui al sesto
comma dell’articolo 183, che potranno contenere precisazioni o modificazioni delle
rispettive domande già formulate, ma che avranno applicazione soprattutto con
riferimento alla deduzione delle prove ed al deposito di documenti.
Al termine dell’udienza, con l’eventuale proseguimento scritto ed alla scadenza
dei termini per le memorie, il giudice istruttore, potrà o dovrà riservarsi sulla
ammissione delle prove, decidendo sull’eventuale proseguimento del processo, con
l’istruttoria ovvero fissare l’udienza per la precisazione delle conclusioni definitive,
finalizzate alla decisione da parte del collegio.

Secondo il disposto dello stesso articolo 709 bis, Nel caso in cui il processo
debba continuare per la richiesta di addebito, per l’affidamento dei figli o per le
questioni economiche, il tribunale emette sentenza non definitiva relativa alla
separazione. Avverso tale sentenza e' ammesso solo appello immediato che è deciso in
camera di consiglio.
Analogamente il comma 12 dell’articolo 4 della legge sul divorzio stabilisce che
nel caso in cui il processo debba continuare per la determinazione dell'assegno, il
tribunale emette sentenza non definitiva relativa allo scioglimento o alla cessazione
degli effetti civili del matrimonio.
Il momento in cui la sentenza parziale, nella separazione o nel divorzio, può
essere pronunciata, è certamente successivo al deposito della comparsa di risposta del
convenuto, perché sino a tale momento, il convenuto stesso può formulare le proprie
eccezioni che, qualora coinvolgano le condizioni per la pronuncia, impediscono una
pronuncia immediata (interruzione della separazione, invalidità del matrimonio).
Ove le parti, attraverso le proprie deduzioni riconoscano l’esistenza delle
condizioni (separazione per tre anni, intollerabilità della convivenza), non vi sono

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ostacoli per la sentenza parziale che, secondo la Cassazione, costituisce una pronuncia
dovuta, anche se le parti non la chiedono.
Contro la sentenza parziale, secondo entrambe le disposizioni, è ammesso solo
l’appello immediato, senza possibilità di “riserva”, e poiché è prescritto che l’appello è
deciso in camera di consiglio, se ne deduce che lo stesso debba essere proposto con
ricorso e che debba seguirsi in sede di gravame, il rito camerale.

La riforma non ha “toccato” l’articolo 711 del codice di procedura civile che
regola il procedimento di separazione consensuale, prevista dall’articolo 158 del
codice civile né l’articolo 4 della legge 898/70 nella parte che regola il divorzio
congiunto.
In entrambi i casi è sufficiente un ricorso congiunto di entrambi che indichi
compiutamente le condizioni inerenti alla prole ed alla condizioni economiche e
comporta la comparizione personale delle parti per il tentativo di conciliazione.
Se le condizioni non rispondono agli interessi dei figli, nella separazione, il
tribunale rigetta la domanda di separazione. Nel divorzio, invece, il tribunale rimette le
parti davanti al giudice istruttore, per il giudizio contenzioso, secondo le indicazioni del
comma 16 dell’articolo 4 Legge 898/70.

Nel verbale dell’udienza di comparizione delle parti, davanti al presidente (o al


collegio), le parti possono convenire trasferimenti di proprietà immobiliari, nella
direzione di regolare gli assetti di proprietà di entrambi, in occasione della separazione
o del divorzio. Secondo la Cassazione tali trasferimenti che contengono il requisito
della forma scritta con sottoscrizione autenticata (dal cancelliere) consentono che il
verbale sia trascrivibile nei registri immobiliari, essendo oltretutto la causa del negozio
assicurata dalla intenzione, consentita, di regolamentazione della proprietà delle parti in
occasione della separazione o del divorzio.

Sono pienamente valide le clausole dell'accordo di separazione che riconoscano ad uno o ad


entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, ovvero ne operino il trasferimento a
favore di uno di essi al fine di assicurarne il mantenimento. Il suddetto accordo di separazione, in
quanto inserito nel verbale d'udienza (redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò
che in esso è attestato), assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell'art. 2699 cod. civ., e,
ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l'omologazione che lo rende
efficace, titolo per la trascrizione a norma dell'art. 2657 cod. civ., senza che la validità di trasferimenti
siffatti sia esclusa dal fatto che i relativi beni ricadono nella comunione legale tra coniugi (Cass. n. 4306
del 15/05/1997.

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La legge di riforma non ha toccato le disposizioni di cui all’articolo 710 del


codice di procedura civile, né quella di cui all’articolo 9 della legge sul divorzio
898/70. In base questa disposizioni è previsto che in caso di sopravvenienza di
giustificati motivi, ciascuna delle parti può chiedere al tribunale la revisione e la
modificazione delle condizioni della separazione e del divorzio, sia per quanto attiene
all’affidamento dei figli sia per quanto attiene ai contributi economici dovuti da una
parte all’altra, per il mantenimento dei coniugi o dei figli.
Si tratta di procedimenti che si introducono con ricorso e danno luogo ad un
processo camerale che si conclude con un decreto collegiale motivato, soggetto a
reclamo davanti alla Corte di Appello.

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