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asdfghjklò
LA SEPARAZIONE PERSONALE TRA I CONIUGI è prevista dall’articolo
150 del codice civile e regolata, per quanto riguarda gli aspetti contenziosi (separazione
giudiziale) dagli articoli 151, 155 e 156 del codice civile.
Con la separazione i coniugi realizzano una situazione in cui alcune delle
obbligazioni nascenti dal matrimonio rimangono sospese, prima tra tutte quella della
convivenza, senza che venga a cessare il vincolo matrimoniale che potrà terminare
solamente con il divorzio (scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio
religioso).
La separazione personale ha anche altri effetti di carattere patrimoniale: con il
passaggio in giudicato della pronuncia giudiziale ovvero con l’omologazione della
separazione consensuale, viene a termine il regime legale di comunione dei beni e si
instaura una comunione di tipo convenzionale, che può essere sciolta a richiesta di uno
dei coniugi.
La separazione non esclude il coniuge separato dalla successione legittima, né
dalla quota di riserva quale legittimario, tranne che nel caso in cui la separazione sia
stata pronunciata con addebito. In questo caso egli ha diritto solamente ad un assegno
vitalizio commisurato alle sostanze ereditarie ed al numero degli eredi, sempre che al
momento dell’apertura della successione godeva degli alimenti a carico del coniuge
deceduto (articoli 548 secondo comma, 584 secondo comma e 585 secondo comma del
codice civile).
La separazione con addebito esclude il coniuge a cui sia fatta risalire la
responsabilità del fallimento del matrimonio, dal diritto di ricevere il mantenimento
dall’altro coniuge, In questo caso si riconosce al coniuge separato per colpa il diritto a
ricevere i soli alimenti, connesso alla sua qualità di coniuge.
Gli effetti della separazione durano fino a quando i coniugi non si riconciliano.
Secondo il disposto dell’articolo 157 del codice civile, la cessazione della separazione
può risultare da una dichiarazione espressa o da un comportamento incompatibile con
lo stato di separazione, senza che sia necessario l’intervento del giudice.
Un recente regolamento ha stabilito, ai fini di dare una certa pubblicità allo stato
di separazione (per rendere palese l’eventuale cessazione dello stato di comunione
legale), che la sentenza che stabilisce la separazione, ovvero il provvedimento di
omologa della consensuale, debbano essere annotati sull’atto di matrimonio e che i
coniugi, possono rendere pubblica la cessazione degli effetti (con la ricostituzione della
comunione legale), mediante una dichiarazione da rendere congiuntamente all’ufficiale
dello stato civile (articoli 63 e 69 del DPR n. 396 del 2000).
Alberto Bucci
definizione è quella della cessazione degli effetti civili, che è irrilevante per il diritto
canonico, che conosce solamente l’annullamento pronunciato dai tribunali ecclesiastici.
Ciò in base alle disposizioni sul concordato, che assicurano una riserva di giurisdizione
alle stesse autorità ecclesiastiche, con pronunce che, in tema di annullamento, hanno
effetti anche nell’ordinamento dello Stato, previo riconoscimento delle Corti di
Appello.
La norma di cui all'art. 10, secondo comma, della legge 1 dicembre 1970 n. 898, secondo cui lo
scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio hanno efficacia, a tutti gli effetti civili, dal
giorno dell'annotazione della sentenza, va interpretata nel senso che gli effetti personali e patrimoniali
della sentenza si producono tra le parti dal passaggio in giudicato, mentre l'annotazione attiene
unicamente agli effetti "erga omnes" della pronuncia stessa, in considerazione dell'efficacia dichiarativa
e non costitutiva dello stato delle persone fisiche che è propria dei registri dello stato civile (Cass.
Sentenza n. 9244 del 04/08/1992).
Tra gli ex coniugi sopravvivono tuttavia alcuni rapporti, primo tra tutti quello
dell’assistenza che si traduce nella possibilità del conferimento di un assegno divorzile,
nel diritto alla pensione di reversibilità (o ad una sua quota) e ad una percentuale
dell’indennità di fine rapporto (articoli 9 e 12 bis della legge sul divorzio).
sia passata in giudicato. Per molto tempo la Cassazione aveva ritenuto inscindibili la
domanda di separazione da quella di addebito, con la conseguenza che se le parti
avessero continuato a discutere sulla responsabilità della separazione per tutti i gradi di
giudizio, il passaggio in giudicato della pronuncia si sarebbe verificato solo con la
decisione della Cassazione. Con la sentenza n. 1579 del 2001, le Sezioni Unite, spinte
dall’unanime orientamento contrario dei giudici di merito, hanno infine sancito che la
questione sull’addebito doveva considerarsi autonoma rispetto a quella sullo stato di
separati, per cui il gravame su tale punto, non evitava il passaggio in giudicato della
sentenza di separazione, costituendo il presupposto sul quale basare una richiesta di
divorzio.
Nel giudizio di separazione personale dei coniugi, la richiesta di addebito, pur essendo
proponibile solo nell'ambito del giudizio di separazione, ha natura di domanda autonoma; infatti, la
stessa presuppone l'iniziativa di parte, soggiace alle regole e alle preclusioni stabilite per le domande,
ha una "causa petendi" (la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio in rapporto causale con le
ragioni giustificatrici della separazione, intollerabilità della convivenza o dannosità per la prole) ed un
"petitum" (statuizione destinata a incidere sui rapporti patrimoniali con la perdita del diritto al
mantenimento e della qualità di erede riservatario e di erede legittimo) distinti da quelli della domanda
di separazione; pertanto, in carenza di ragioni sistematiche contrarie e di norme derogative dell'art.
329, secondo comma cod. proc. civ., l'impugnazione proposta con esclusivo riferimento all'addebito
contro la sentenza che abbia pronunciato la separazione ed al contempo ne abbia dichiarato
l'addebitabilità, implica il passaggio in giudicato del capo sulla separazione, rendendo esperibile
l'azione di divorzio pur in pendenza di detta impugnazione (Cass. Sez Un. Sentenza n. 15279 del
04/12/2001).
Nulla vieta comunque che nel ricorso siano indicate anche dettagliatamente i
motivi della richiesta, per fornire gli elementi su cui basare il tentativo di conciliazione
e che potranno servire a determinare quei provvedimenti temporanei e urgenti
opportuni nell’interesse della prole e dei coniugi, che il presidente del tribunale potrà
adottare al termine dell’udienza. In questa direzione, quando vi siano figli minori, sarà
opportuno indicare le circostanze che ne consigliano l’affidamento all’uno od all’altro
coniuge, e in ogni caso potranno anche essere esplicitate quelle circostanze di ordine
patrimoniale che serviranno a determinare gli stessi provvedimenti in relazione ai
rapporti tra i coniugi e i figli, durante l’eventuale proseguimento del giudizio.
l’udienza ed il deposito del ricorso per cui l’intervallo temporale concesso al convenuto
potrà essere anche molto inferiore ai trenta giorni, stabiliti dalla normativa precedente,
in relazione dalla esistenza di motivi di urgenza.
Altro particolare di rilievo è quello che stabilisce che il presidente debba anche
fissare il termine entro cui il coniuge convenuto può depositare memoria difensiva
e documenti.
Tale termine dovrà essere fissato con riferimento alla data fissata per la
comparizione e tenere conto del termine prescritto per la notifica del ricorso, in modo
da assicurare l’inizio di un contraddittorio, sia pure informale.
Non si tratta di una vera e propria comparsa di risposta, né può parlarsi, di una
costituzione in giudizio, dal momento che la vera costituzione, con il deposito della
comparsa di risposta e con le relative preclusioni, sono previste con riferimento alla
prima udienza davanti all’istruttore, che segna l’inizio della fase contenziosa.
Nella memoria difensiva, quindi, non sarà necessario, né in alcun modo
preclusivo di ulteriori allegazioni, formulare domande specifiche, né indicare mezzi di
prova. La memoria difensiva deve intendersi finalizzata alla conciliazione, alla
contestazione dei fatti contenuti nel ricorso, ed allo svolgimento di argomentazioni
relative all’affidamento dei figli ed alle possibili disposizioni di carattere economico
che il presidente del tribunale può adottare.
La considerazione che nella fase dell’udienza presidenziale, le parti possono
avvalersi, della semplice assistenza del difensore, senza che allo stesso debba essere
conferito un formale mandato alle liti, induce a ritenere che la memoria difensiva del
convenuto, possa essere presentata e sottoscritta personalmente dalla parte convenuta.
presidenziale venga “allargata” con la richiesta di ulteriori informazioni alle parti o con
indagini.
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dalla notificazione del provvedimento) con ricorso alla Corte di Appello che
pronuncia in camera di consiglio. E’ dubbio quale sia la sorte del decreto della Corte di
Appello, che abbia riformato quello del Presidente. Sembra logico ritenere che lo stesso
non possa essere cambiato salvo che non si verifichino circostanze “sopravvenute”.
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Secondo il disposto dello stesso articolo 709 bis, Nel caso in cui il processo
debba continuare per la richiesta di addebito, per l’affidamento dei figli o per le
questioni economiche, il tribunale emette sentenza non definitiva relativa alla
separazione. Avverso tale sentenza e' ammesso solo appello immediato che è deciso in
camera di consiglio.
Analogamente il comma 12 dell’articolo 4 della legge sul divorzio stabilisce che
nel caso in cui il processo debba continuare per la determinazione dell'assegno, il
tribunale emette sentenza non definitiva relativa allo scioglimento o alla cessazione
degli effetti civili del matrimonio.
Il momento in cui la sentenza parziale, nella separazione o nel divorzio, può
essere pronunciata, è certamente successivo al deposito della comparsa di risposta del
convenuto, perché sino a tale momento, il convenuto stesso può formulare le proprie
eccezioni che, qualora coinvolgano le condizioni per la pronuncia, impediscono una
pronuncia immediata (interruzione della separazione, invalidità del matrimonio).
Ove le parti, attraverso le proprie deduzioni riconoscano l’esistenza delle
condizioni (separazione per tre anni, intollerabilità della convivenza), non vi sono
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ostacoli per la sentenza parziale che, secondo la Cassazione, costituisce una pronuncia
dovuta, anche se le parti non la chiedono.
Contro la sentenza parziale, secondo entrambe le disposizioni, è ammesso solo
l’appello immediato, senza possibilità di “riserva”, e poiché è prescritto che l’appello è
deciso in camera di consiglio, se ne deduce che lo stesso debba essere proposto con
ricorso e che debba seguirsi in sede di gravame, il rito camerale.
La riforma non ha “toccato” l’articolo 711 del codice di procedura civile che
regola il procedimento di separazione consensuale, prevista dall’articolo 158 del
codice civile né l’articolo 4 della legge 898/70 nella parte che regola il divorzio
congiunto.
In entrambi i casi è sufficiente un ricorso congiunto di entrambi che indichi
compiutamente le condizioni inerenti alla prole ed alla condizioni economiche e
comporta la comparizione personale delle parti per il tentativo di conciliazione.
Se le condizioni non rispondono agli interessi dei figli, nella separazione, il
tribunale rigetta la domanda di separazione. Nel divorzio, invece, il tribunale rimette le
parti davanti al giudice istruttore, per il giudizio contenzioso, secondo le indicazioni del
comma 16 dell’articolo 4 Legge 898/70.
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