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Grafiche Fiorini - 6/10/2011

e:/Cedam/Genghini-Carbone/Tomo I/02_Parte Prima.3d black pellicola (39,1)

Capitolo III

IL DIVIETO DEI PATTI SUCCESSORI

Sommario: 3.1. Premessa. I successibili prima dell’apertura della successione – 3.2. Il


patto successorio – 3.2.1. Il patto successorio ‘‘reale’’ – 3.2.1.1. Il patto successorio
istitutivo – 3.2.1.2. Il patto successorio dispositivo e rinunziativo – 3.3. La sanzio-
ne: nullità – 3.4. Il patto successorio ‘‘obbligatorio’’. Gli atti esecutivi – 3.5. La
confermabilità inter vivos. Cenni e rinvio – 3.6. Rapporti con l’ordine pubblico
interno. Cenni e rinvio – 3.7. Negozi ‘‘a causa di morte’’ e negozi ‘‘connessi alla
morte’’ – 3.8. Figure controverse – 3.8.1 La donatio mortis causa – 3.8.2. Il con-
tratto a favore di terzo con esecuzione post mortem – 3.8.3. Deposito a favore
di terzo – 3.8.4. Clausole di continuazione societaria – 3.8.5. Clausole di consoli-
dazione – 3.8.6. Il mandato post mortem – 3.8.7. Il trust – 3.8.8. Assicurazione a
favore di terzo – 3.8.9. La comunione convenzionale avente ad oggetto beni ere-
ditari – 3.8.10. Il patto di famiglia. Cenni e rinvio.

3.1. PREMESSA. I SUCCESSIBILI PRIMA DELL’APERTURA DELLA SUCCESSIONE

Fino al momento dell’apertura della successione, non spetta agli


eventuali successibili alcun diritto, né come pretesa ereditaria, né come
aspettativa giuridica.
L’intero sistema delle successioni è improntato al principio per cui
fino alla morte del de cuius è possibile che egli esprima la scelta testa-
mentaria in favore di soggetti da lui voluti, e ciò è evidentemente in-
compatibile con qualsiasi protezione giuridica a qualsivoglia soggetto,
anche legato da rapporti familiari, o ancor più da rapporti contrattuali.
Fino a quando l’ereditando è in vita egli è libero di disporre come
crede dei propri beni e nessuno, ancorché destinatario di una quota di
eredità per legge, può opporsi.
L’assenza di qualsiasi pretesa è ancor più evidente per i soggetti
non destinatari, neppure potenzialmente, di una quota in successione
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necessaria o legittima, trovando qui il principio un ulteriore riscontro


nella libertà testamentaria e nella conseguente precarietà della designa-
zione legittima o testamentaria fin quando l’ereditando è in vita.
Nel primo caso, infatti, occorre attendere il momento della morte
per individuare i soggetti designati dalla legge; nel secondo, la peculiare
natura del negozio testamentario esclude che esso produca effetti di al-
cun genere per i terzi, prima dell’apertura della successione.
Pertanto, il parente che ‘‘potrebbe succedere’’ se l’ereditando moris-
se senza fare testamento, ha una aspettativa di mero fatto, che può venir
meno in qualsiasi momento se l’ereditando decide di far testamento.
Analogamente, chi è designato in un testamento ha una aspettativa di
mero fatto, che cade se il testatore decide di revocare il testamento (1).

3.2. IL PATTO SUCCESSORIO

Il codice civile (art. 458 c.c.) sancisce un divieto generale per tutti i
patti successori, ossia di tutti i negozi che attribuiscono o negano diritti
su una successione non ancora aperta.
In dottrina si è ricollegato il divieto al principio espresso dall’arti-
colo precedente (457 c.c.), in virtù del quale l’eredità si devolve per leg-
ge o per testamento, con esclusione pertanto di una devoluzione ‘‘con-
trattuale’’.
Come è stato affermato, il testamento è l’unico strumento a dispo-
sizione del privato per disporre mortis causa del proprio patrimonio: si è
in presenza di una ‘‘tipicità assoluta’’ del meccanismo negoziale a mezzo
del quale può essere realizzata quella finalità (2). Nessun negozio tra vivi

(1) C.M. Bianca, Diritto civile. II La famiglia - Le successioni, cit., p. 487.


(2) Sul tema cfr.: Cass. civ. 14 luglio 1983 n. 4827, in Giust. civ. mass., 1983, 7: ‘‘La
delazione ereditaria può avvenire solo per testamento o per legge, senza, quindi, l’ipotiz-
zabilità di un tertium genus, come il patto successorio che, ponendosi in contrasto con il
principio fondamentale (e pertanto di ordine pubblico) del nostro ordinamento della piena
libertà del testatore di disporre dei propri beni fino al momento della sua morte, è per de-
finizione non suscettibile della conversione ex art. 1424 c.c., in un testamento mediante la
quale si realizzerebbe proprio lo scopo, vietato dall’ordinamento, di vincolare la volontà
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può produrre in linea generale il medesimo risultato di ‘‘regolare’’ la


successione nel patrimonio dell’ereditando.
Il negozio col quale un soggetto dispone in vita di un proprio dirit-
to, attribuendolo unilateralmente ad altro soggetto con effetti decorren-
ti dalla propria morte, concreta una disposizione mortis causa ed è va-
lido solo se perfezionato con l’osservanza dei requisiti di forma previsti
dalla legge; se l’attribuzione è invece frutto di un accordo, il negozio
rientra nella categoria dei patti successori ed è nullo in ogni caso a nor-
ma dell’art. 458 c.c. (3).
Il legislatore del 1942, manifestando la sua ispirazione ai principi
romanistici, si discosta dall’esperienza germanica, che ammette entro
certi limiti una successione contrattuale, e vieta recisamente la possibi-
lità di disciplinare in vita, in forma definitivamente vincolante, la pro-
pria successione.
Sotto l’ampia denominazione di patti successori si distinguono tra-
dizionalmente patti successori istitutivi, rinunziativi, dispositivi.
Il patto successorio istitutivo è il contratto con cui il soggetto di-
spone della propria successione, normalmente proprio con il futuro ere-
de o legatario (4).

del testatore al rispetto di impegni, concernenti la propria successione, assunti con terzi’’;
A. Palazzo, Le successioni, in Tratt. dir. priv. a cura di I. Iudica-P. Zatti, 2a ed., vol.
I, Milano 2000, p. 46. Il problema della ‘‘tipicità assoluta’’ del testamento quale stru-
mento per disporre mortis causa sarà meglio affrontato in seguito, nell’analisi della figu-
re ‘‘discusse’’ di patto successorio.
(3) Cass. civ. 24 aprile 1987 n. 4053, in Riv. not., 1987, 582: ‘‘Il negozio con il quale
un soggetto disponga in vita di un proprio diritto, con effetti decorrenti dalla data della
propria morte, attribuendo ad altro soggetto il godimento di un immobile (diritto di abi-
tazione di un appartamento, qualificato nell’atto come comodato) a partire dal giorno in
cui esso dichiarante avrà cessato di vivere, anche se strutturato nella forma di atto ‘‘inter
vivos’’ sottoposto alla condizione sospensiva della premorienza del titolare del diritto, con-
creta una disposizione successoria, in quanto la sua funzione è quella di permettere al di-
chiarante di disporre della propria successione per quanto avrà cessato di vivere ed è quindi
nullo poiché urta contro il divieto dei patti successori’’.
(4) Il divieto di patto successorio istitutivo riguarda, pertanto, non solo la qualità di
erede, ma pure quella di legatario. Quando il patto assume ad oggetto non l’intera quo-
ta di eredità del disponente, ma uno o più beni determinati del suo patrimonio, esso –
di fatto – produce gli stessi effetti del legato. Con riferimento a questa tematica, v. su
tutti, G. Giampiccolo, Atto mortis causa, in Enc. dir., Milano, 1959, pp. 233 ss.
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Il patto successorio dispositivo è il negozio mediante il quale un


soggetto dispone a favore d’altri di diritti che gli potranno spettare su
una successione non ancora aperta.
Il patto successorio rinunziativo è il negozio mediante il quale un
soggetto rinunzia a diritti che gli potranno spettare su una successione
non ancora aperta.
In estrema sintesi possiamo affermare che è ‘‘patto successorio’’
qualsiasi negozio che disponga a favore d’altri ‘‘a causa’’ della morte
di un soggetto. Dalla morte e dopo la morte si individuano sia il bene-
ficiario (cui prodest) sia l’oggetto del beneficio (quid superest) (5).

(5) La ragione logica del divieto viene individuata nella necessità di tutela del prin-
cipio dell’assoluta libertà testamentaria, vale a dire nell’esigenza di garantire l’assenza di
vincoli o turbative al potere di disposizione della propria successione, da parte del de
cuius, fino al limite estremo della propria vita. Sul punto, v. su tutti, G. Capozzi, Suc-
cessioni e donazioni, cit., p. 40; C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente di-
ritto italiano, Milano, 1964, pp. 40 ss.; L. Ferri, Successioni in generale (Art. 456-511),
cit., pp. 46 ss.; G. Grosso-A. Burdese, Le successioni: parte generale, cit., 92; C. Ce-
cere, Patto successorio (Aggiornamento 2003), in Digesto civ. II, Torino, 2004, p. 1101;
C.M. Bianca, Diritto civile, II, La famiglia. Le successioni, cit., pp. 488 ss.; C. Cacca-
vale, Il divieto dei patti successori, in Successioni e donazioni, a cura di P. Rescigno, I,
Padova, 1994, 25 ss; F. Magliulo, Il divieto di patto successorio istitutivo nella pratica
negoziale, in Riv. Not., 1992, 1418 ss; In giurisprudenza, plurime sono le pronunce del-
la Cassazione degne di nota. V., su tutte, Cass. 29 maggio 1972, n. 1702, in ‘Giurispru-
denza Italiana’, con nota di M.V. De Giorgi, ed in particolare, Cass. 21 aprile 1979, n.
2228, in Giust. civ. mass., 1979, 4, secondo la quale ‘‘La nullità dei patti successori è com-
minata dall’art. 458 c.c., al fine di conservare al testatore la libertà di disporre dei propri
beni per tutta la durata della sua vita; ne consegue che una convenzione è qualificabile
come patto successorio solo se attui la trasmissione di diritti relativi a una successione
non ancora aperta e faccia sorgere un ‘‘vinculum iuris’’, di cui la successiva disposizione
testamentaria costituisca l’adempimento’’; conformemente, Cass. civ. 14 luglio 1983,
n. 4827, in Giust. civ. mass., 1983, 7, secondo cui ‘La delazione ereditaria può avvenire
solo per testamento o per legge, senza, quindi, l’ipotizzabilità di un tertium genus, come il
patto successorio che, ponendosi in contrasto con il principio fondamentale (e pertanto di
ordine pubblico) del nostro ordinamento della piena libertà del testatore di disporre dei
propri beni fino al momento della sua morte, è per definizione non suscettibile della con-
versione ex art. 1424 c.c., in un testamento mediante la quale si realizzerebbe proprio lo
scopo, vietato dall’ordinamento, di vincolare la volontà del testatore al rispetto di impegni,
concernenti la propria successione, assunti con terzi’’. Recentemente, cfr. Cass. civ. 9
maggio 2000, n. 5870, in Riv. not., 2001, p. 227, con nota di F. Gazzoni, secondo
cui ‘‘Ricorre un patto successorio istitutivo, nullo ai sensi dell’art. 458 c.c. nella conven-
zione avente ad oggetto la disposizione di beni afferenti ad una successione non ancora
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Per stabilire se una determinata pattuizione ricada sotto la com-


minatoria di nullità di cui all’art. 458 c.c. occorre accertare: 1) se il
vincolo giuridico con essa creato abbia avuto la specifica finalità di co-
stituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una suc-
cessione non ancora aperta; 2) se la cosa o i diritti formanti oggetto
della convenzione siano stati considerati dai contraenti come entità
della futura successione o debbono comunque essere compresi nella
stessa; 3) se il promittente abbia inteso provvedere in tutto o in parte
alla propria successione, privandosi, cosı̀ dello ‘‘jus poenitendi’’; 4) se
l’acquirente abbia contrattato o stipulato come avente diritto alla suc-
cessione stessa; 5) se il convenuto trasferimento, dal promittente al
promissario, debba aver luogo ‘‘mortis causa’’, ossia a titolo di eredità
o di legato (6).
In applicazione di tali criteri sono state ad esempio ritenute nulle:
la donazione avente ad oggetto ‘‘quanto basterà a raggiungere il va-
lore della quota disponibile’’ del patrimonio del donante (7);

aperta che costituisca l’attuazione dell’intento delle parti, rispettivamente, di provvedere


in tutto o in parte alla propria successione e di acquistare un diritto sui beni della futura
proprietà a titolo di erede o legatario. Tale accordo deve essere inteso a far sorgere un vero
e proprio ‘‘vinculum iuris’’ di cui la successiva disposizione testamentaria costituisce l’a-
dempimento. Conseguentemente deve essere esclusa la sussistenza di un patto successorio
quando tra le parti non sia intervenuta alcuna convenzione e la persona della cui eredità
trattasi abbia solo manifestato verbalmente all’interessato o a terzi l’intenzione di disporre
dei suoi beni in un determinato modo, atteso che tale promessa verbale non crea alcun
vincolo giuridico e non è quindi idonea a limitare la piena libertà del testatore che è og-
getto di tutela legislativa’’. Su questa tematica anche l’interessante nota di F. Gazzoni,
Patti successori: conferma di una erosione, in Riv. not., 2001, 1, pp. 232 ss.
(6) Cass. civ. 16 febbraio 1995 n. 1683 in Vita not., 1996, 260: ‘‘In tema di patti
successori, per stabilire se una determinata pattuizione ricada sotto la comminatoria di
nullità di cui all’art. 458 c.c. occorre accertare: 1) se il vincolo giuridico con essa creato
abbia avuto la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti
relativi ad una successione non ancora aperta; 2) se la cosa o i diritti formanti oggetto della
convenzione siano stati considerati dai contraenti come entità della futura successione o
debbono comunque essere compresi nella stessa; 3) se il promittente abbia inteso provve-
dere in tutto o in parte della propria successione, privandosi, cosı̀ dello ius poenitendi; 4)
se l’acquirente abbia contrattato o stipulato come avente diritto alla successione stessa; 5)
se il convenuto trasferimento, dal promittente al promissario, debba aver luogo mortis cau-
sa, ossia a titolo di eredità o di legato’’.
(7) Cass. civ. 6 ottobre 1962 n. 2850.
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la ‘‘donazione in sostituzione di legittima’’ (8);


la donazione a (potenziali) legittimari che accettino la stima effet-
tuata rinunziando a contestarla all’apertura della successione e implici-
tamente rinunziando all’azione di riduzione (9);
l’atto di divisione ereditaria con inclusione di beni appartenenti a
persona vivente (nella specie, il genitore superstite) considerati quali
elementi di una futura ulteriore comunione ereditaria (10).

3.2.1. Il patto successorio ‘‘reale’’

3.2.1.1. Patto successorio istitutivo

Il patto successorio istitutivo consiste in una vera e propria istitu-


zione di erede o lascito legatario.
Il suo divieto trova fondamentale ragione nel principio di tutela
della libertà testamentaria, e cioè nell’esigenza di assicurare alla persona
la facoltà di disporre liberamente dei propri beni per testamento (11). La
validità di un contratto successorio porterebbe al risultato, inaccettabile
per il nostro ordinamento, di consentire una disposizione di diritti suc-
cessori giuridicamente impegnativa per l’ereditando. In tal modo il suc-
cessibile acquisterebbe subito un diritto sull’eredità, il che, come visto,
non è consentito.
Tale ratio consente di estendere il divieto a tutti i negozi mediante i

(8) Trib. Cagliari, 13 gennaio 1998 in Riv. Giur. Sarda, 1999, 463 con nota di C.
Cicero, Liberalità imputabile alla legittima e divieto dei patti successori.
(9) Trib. Trento, 8 giugno 2001, in Gius., 2002, p. 107.
(10) Cass. civ. 7 marzo 1960 n. 418 in Foro Pad., 1961, I, 452 con nota adesiva di
Mirabelli, Inclusione di beni estranei alla comunione nella divisione.
(11) Cass. civ. 21 aprile 1979 n. 2228, in Giust. civ. mass., 1979, 4: ‘‘La nullità dei
patti successori è comminata dall’art. 458 c.c., al fine di conservare al testatore la libertà di
disporre dei propri beni per tutta la durata della sua vita; ne consegue che una convenzione
è qualificabile come patto successorio solo se attui la trasmissione di diritti relativi a una
successione non ancora aperta e faccia sorgere un ‘‘vinculum iuris’’, di cui la successiva di-
sposizione testamentaria costituisca l’adempimento’’.
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quali l’ereditando dispone, positivamente o negativamente, della pro-


pria successione, a favore o a carico di un certo successibile (12).

3.2.1.2. Patto successorio: dispositivo o rinunziativo

L’art. 458 c.c. vieta, oltre al patto successorio istitutivo, anche i ne-
gozi, unilaterali o bilaterali, mediante i quali il soggetto dispone o rinun-
zia ai diritti che gli potranno spettare su una altrui successione non an-
cora aperta (13).
Invero tali negozi hanno caratteristiche differenti dal patto succes-

(12) Cfr. Cass. civ. 12 febbraio 2010, n. 3345, in Diritto & Giustizia, 2010, dettata
in tema di società di capitali, secondo cui ‘‘Il decesso di un socio di una società a respon-
sabilità limitata può consentire all’altro di liquidare gli eredi comprando le quote della
compagine a un prezzo da determinare in base al bilancio e all’avviamento; non viola il
divieto di patti successori, infatti, la clausola statutaria della società di capitali che auto-
rizza il socio superstite a subentrare ai discendenti dell’ex partner d’impresa’’. Inoltre,
v. Cass. civ. 19 novembre 2009, n. 24450, in Diritto & Giustizia, 2009, con nota di Mi-
lizia, per cui ‘Configurano un patto successorio – per definizione non suscettibile di con-
versione in un testamento, ai sensi dell’art. 1424 c.c., in quanto in contrasto col principio
del nostro ordinamento secondo cui il testatore è libero di disporre dei propri beni fino al
momento della morte – sia le convenzioni aventi ad oggetto una vera istituzione di erede
rivestita della forma contrattuale, sia quelle che abbiano ad oggetto la costituzione, tra-
smissione o estinzione di diritti relativi ad una successione non ancora aperta’’. Nella fat-
tispecie posta al vaglio della Suprema Corte, la stessa ha riconosciuto la natura di patto
successorio e non di transazione – come erroneamente ritenuto dal giudice di merito –
alla scrittura privata con la quale una sorella aveva consentito al trasferimento in favore
dei fratelli della proprietà di immobili appartenenti al padre, a fronte dell’impegno, as-
sunto dai medesimi, di versarle una somma di denaro, da considerare, in relazione allo
specifico contesto, come una tacitazione dei suoi diritti di erede legittimario.
(13) Nella nozione di patto successorio cd. rinunziativo rientrano sia la rinunzia
unilaterale (strutturalmenta analoga a quella prevista dall’art. 519 c.c. con riferimento
alla successione già aperta), sia la cd. rinunzia contrattuale, vero e proprio patto con
il quale taluno rinunzia ai diritti che gli deriveranno da una successione non ancora
aperta. Sul punto, G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., p. 42; parte della dottrina,
N. Coviello, Delle successioni: parte generale, Napoli, 1935, p. 108 e M.V. De Gior-
gi, Patto successorio, in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, p. 545, ritiene inoltre che rien-
tri nel divieto in esame (con conseguente nullità dell’atto), anche la rinuncia posta in
essere nell’intento di perfezionare un patto successorio rinunziativo, ma nell’ignoranza
dell’avvenuta apertura della successione.
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46 PARTE PRIMA - LE SUCCESSIONI PER CAUSA DI MORTE

sorio istitutivo, non limitando la libertà del (futuro) testatore, e potendo


al più, come qualsiasi negozio di terzi (res inter alios acta) condizionarne
indirettamente la volontà. Essi non mirano a regolare anzitempo la de-
voluzione dell’eredità o di beni del cuius, ma presuppongono che essa si
svolga secondo le regole proprie (14).
La ratio del divieto è individuata da alcuni autori (15) nell’esigenza
di tutelare il disponente, che altrimenti potrebbe essere indotto a spo-
gliarsi di un diritto futuro, per sua natura ancora indefinito, a fronte di
un vantaggio immediato, anche inadeguato. Pertanto, si aggiunge, ove
l’atto avesse causa liberale, vi sarebbe un’ulteriore ragione di invalidità,
nella violazione del divieto di donazione di beni futuri (art. 771 c.c.).
A ciò si aggiunge (16) che, a prescindere dall’iniquità delle condizio-
ni, il patto è nullo e vietato, e quindi anche ove non vi sia stato alcun
approfittamento del disponente (che peraltro è possibile presupposto
della rescindibilità e non della nullità). Occorrerebbe pertanto avere ri-
guardo alla radicata ripugnanza sociale verso tutti gli atti di speculazio-
ne sull’eredità di persona ancora vivente, ed alla possibilità che il pro-
spettato vantaggio implichi un votum captandae mortis, ossia la preghie-
ra o l’augurio che il de cuius muoia.
Quanto al patto rinunziativo, esso può consistere, sia in un atto bi-
laterale (es. la rinunzia verso corrispettivo, autonoma o quale parte di
una più ampia convenzione), sia in una rinunzia unilaterale.
Ciò che è essenziale è che l’oggetto della disposizione sia un bene
considerato proprio come ereditario e quindi facente parte della succes-
sione ancora non aperta.
Ad esempio non potrebbe considerarsi contrario al divieto del pat-
to successorio un contratto di vendita della cosa altrui, appartenente a
un terzo, per il solo fatto che successivamente il terzo attribuisca quel
bene, per successione, al venditore, senza alcun previo accordo. In tal

(14) L. Ferri, Commentario del codice civile. Disposizioni generali sulle successioni
(Artt. 456-511), Bologna, 1997, p. 98.
(15) Ivi, p. 103.
(16) C.M. Bianca, Diritto civile, II – La famiglia. Le successioni, cit., p. 490.
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caso, infatti, si ha una semplice compravendita causalmente estranea al-


la successione.
Analogamente non può considerarsi invalido il negozio condiziona-
to alla nomina ereditaria. Ad esempio, una donazione di un bene pro-
prio alla condizione sospensiva di divenire erede di un terzo, non può
considerarsi in violazione dell’art. 458 c.c. proprio perché nessun bene
della successione non ancora aperta è oggetto di disposizione. Il terzo
resta libero di disporre come meglio crede, anche se a conoscenza della
condizione apposta e, al limite, anche se abbia partecipato all’atto. Per-
ché vi sia una invalidità occorrerebbe un ulteriore accordo tra donante e
terzo che però nulla avrebbe a che vedere con la donazione (17).

3.3. LA SANZIONE: NULLITÀ

L’art. 458 c.c. commina espressamente la nullità dei patti successo-


ri, senza distinguere tra essi.
In dottrina si ritengono pacificamente applicabili le disposizioni de-
gli artt. 1419, 1421, 1422, 1423 c.c. in materia di nullità dei contrat-
ti (18). La nullità pertanto può essere fatta valere da chiunque vi abbia
interesse e può essere rilevata d’ufficio; l’azione è imprescrittibile, salvi
gli effetti dell’usucapione, della prescrizione delle azioni restitutorie, e
della trascrizione della domanda (19).
Quanto ai possibili rimedi, viene esclusa (20) la conversione del pat-

(17) G. Capozzi, Successioni e donazioni cit., p. 30; L. Ferri, Successioni in gene-


rale, in (Art. 455-56), cit., p. 108.
(18) Conformemente, v. G. Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, 2009, pp. 51
ss.; L. Ferri, Successioni in generale (Art. 456-511), cit., p. 102; G. Prestipino, Delle
successioni in generale (Art. 456-535), in Comm. cod. civ. diretto da A. De Martino,
Novara, 1981, pp. 66 ss.; F. Gazzoni, Patti successori, conferma di una erosione, in Riv.
Not., 2001, p. 232; V. Tagliaferri, Il divieto dei patti successori fra autonomia e ordi-
namento pubblico, in Notariato, 2003, p. 431; C. Caccavale, Patti successori: il sottile
confine tra nullità e validità negoziale, in Notariato, 1995, p. 552.
(19) L. Ferri, Disposizioni generali sulle successioni, cit., p. 91; A. Palazzo, Suc-
cessioni, cit., p. 137.
(20) La dottrina prevalente è pressoché concorde sul punto. Su tutti, v. E. Betti,
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48 PARTE PRIMA - LE SUCCESSIONI PER CAUSA DI MORTE

to successorio istitutivo in un testamento, stante la diversità di struttura:


contratto il primo, negozio unilaterale il secondo.
Quanto dato in esecuzione di un patto successorio deve essere re-
stituito in base alle norme sull’indebito (art. 2033 c.c.), escludendosi in
particolare che l’illiceità di esso configuri contrarietà a buon costume e
quindi irripetibilità delle prestazioni (art. 2035 c.c.).
Della confermabilità ai sensi dell’art. 590 c.c., si parlerà in seguito.

3.4. PATTO SUCCESSORIO ‘‘OBBLIGATORIO’’. GLI ATTI ESECUTIVI.

Quando si parla di patto successorio si fa comunemente riferimen-


to al negozio con cui si dispone immediatamente e direttamente della
propria successione o di una eredità che si attende o si prevede di rice-
vere o si rinunzia a quest’ultima.
Invero, accanto ad essi, si collocano gli accordi che non dispongono
direttamente dell’effetto successorio, ma vincolano le parti a regolarlo
in un certo modo. Si parla in questi casi di patto successorio ‘‘obbliga-
torio’’ (21). Ad esso ‘‘segue’’ un atto esecutivo che regola la successione
nel modo convenuto: testamento, alienazione di eredità o di legato, ri-
nunzia ad essi.
Se un contratto di questo genere non può che essere nullo al pari
del patto successorio con effetti immediatamente dispositivi (22), è inte-

Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1952, pp. 320 ss.; A. Lepri, Sull’applica-
bilità dell’art. 1424 cod. civ. ai patti successori istitutivi, in Vita not., 1984, p. 835; C.M.
Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2000, p. 634; in giurisprudenza, Cass.
civ. 14 luglio 1983 n. 4827, massima su riportata. Contra, M. Vignale, Il patto succes-
sorio, la donatio mortis causa e la conversione del negozio illecito, in Dir e giur., 1962,
pp. 304 ss.; M.V. De Giorgi, I patti sulle successioni future, Napoli, 1976, pp. 104 ss.;
R. Sacco, Le invalidità, in Obbligazioni e contratti, in Tratt. Dir. priv. a cura di P. Re-
scigno, Torino, 1997, p. 570.
(21) G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., p. 30; M.V. De Giorgi, I patti sulle
successioni future, Napoli 1976, pp. 95 ss.; C. Giannattasio, Delle successioni. Dispo-
sizioni generali. Successioni legittime, in Commentario al codice civile, Torino, 1959, pp.
21 ss.; C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, Milano, 1952,
I, p. 412.
(22) In tal senso Cass. civ. 10 aprile 1964 n. 835 in Giust. civ., 1964, I, 1604 con
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CAP. III - IL DIVIETO DEI PATTI SUCCESSORI 49

ressante verificare, a fini pratici, la validità dell’atto esecutivo successi-


vo, compiuto dal de cuius o dall’erede.
In primo luogo, può ritenersi, in aderenza all’orientamento della
Corte di Cassazione, l’atto dispositivo compiuto senza tener conto del
vincolo successorio precedente. D’altra parte, la presunzione che la di-
sposizione costituisca adempimento del patto, presuppone che il testa-
tore abbia assunto un impegno negoziale, giuridicamente rilevante, e
non fatto semplici promesse di valore morale. Non si può prescindere
dalla dimostrazione di un preciso accordo fra le parti, ‘‘che abbia di per
sé i requisiti di una valida e irrevocabile fonte di obbligazione e che,
d’altra parte, sia da considerarsi nullo solamente in virtù della norma
dell’articolo 458 del codice civile’’ (23).
Cosı̀, anche a seguito della stipula di un patto successorio istitutivo
obbligatorio, se il de cuius istituisce erede il soggetto verso cui si è im-
pegnato, senza però sentirsi vincolato al patto, ma per la pura e spon-
tanea volontà che egli sia il continuatore del suo patrimonio, il testa-
mento deve ritenersi valido ed efficace, ferma restando la nullità dell’at-
to ‘‘a monte’’ (24).
Perché si verifichi la nullità dell’atto esecutivo, è necessario che il
patto obbligatorio sia ‘‘inteso a far sorgere un vero e proprio vinculum
iuris di cui la successiva disposizione testamentaria costituisca adempi-
mento’’ (25).
Può essere invece in ogni caso esclusa la sussistenza del patto suc-
cessorio ‘‘quando tra le parti non sia intervenuta alcuna convenzione e
la persona della cui eredità si tratta, abbia solo manifestato verbalmen-
te, all’interessato o ai terzi, l’intenzione di disporre dei suoi beni in un

nota di E. Ciaccio, Effetti del contratto di lavoro stipulato con promessa di adozione e di
istituzione di erede; Cass. civ. 22 maggio 1959 n. 1556; Cass. civ. 26 maggio 1953 n.
1959.
(23) Cass. civ. 3 novembre 1979 n. 5693; Cass. civ. 29 maggio 1972 n. 1702, in GI,
1973, I, 1, 1594 con nota di M.V. De Giorgi.
(24) Cfr. in tal senso: L. Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte, Na-
poli 1977, p. 398; G. Grosso-A. Burdese, Le successioni. Parte generale, cit., p. 95.
(25) Cass. civ. 9 maggio 2000 n. 5870, in Riv. Not. 2001, 227, con nota di F. Gaz-
zoni, Patti successori: conferma di un’erosione (massima su riportata).
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50 PARTE PRIMA - LE SUCCESSIONI PER CAUSA DI MORTE

determinato modo, atteso che tale premessa verbale non crea alcun vin-
colo giuridico e non è quindi idonea a limitare la piena libertà del te-
statore’’ (26).
Il problema pertanto riguarda proprio i casi in cui si compia un atto
dispositivo di ragioni successorie in esecuzione del patto obbligatorio.
Secondo la tesi più rigorosa (27) qualsiasi acquisto che abbia titolo
in un patto successorio, o ne costituisca esecuzione, è nullo: in partico-
lare la nullità colpisce la disposizione testamentaria che pur presentan-
dosi esteriormente come atto unilaterale, sia adempimento di un impe-
gno negoziale preso dal testatore, essendo priva la disposizione del con-
notato essenziale della spontaneità.
Altra tesi, forse oggi prevalente, esclude la automatica estensione
della nullità all’atto esecutivo, dando rilevanza alla formazione della vo-
lontà.
Si distingue, a tal fine, tra i vari tipi di atti esecutivi, ed in partico-
lare, a seconda del patto a monte: istitutivo, dispositivo, rinunziativo.
Nel caso di patto obbligatorio istitutivi, secondo la dottrina più ri-
salente, l’atto esecutivo è viziato da errore di diritto sul motivo (art. 624
c.c.) e pertanto annullabile qualora il motivo risulti dal testamento e sia
determinativo della volontà. In sostanza, si riteneva che il testatore nel
caso di specie manifestasse una volontà condizionata dall’erroneo con-
vincimento di essere ‘‘vincolato’’ al patto (28).
In epoca più recente la dottrina invece ha affermato che ciò che vi-
zia la volontà del testatore non è tanto la erroneità, quanto la illiceità del
motivo: il proposito di rispettare l’impegno assunto con un patto suc-
cessorio contrario alla legge è appunto illecito e quindi sanzionabile (29).
La tesi dell’errore sui motivi si pone però, almeno in un caso: quan-

(26) Ibidem
(27) C.M. Bianca, Diritto Civile. II. La famiglia. Le successioni, cit., p. 491; L.
Ferri, Successioni in generale (Artt. 456-511), cit., p. 108.
(28) L. Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte, cit., p. 50.
(29) G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., p. 31, in cui si trovano riportate en-
trambe le tesi, sposate in tempi differenti dall’autore; L. Ferri, Successioni in generale
(Artt. 456-511), cit., p. 96; M.V. De Giorgi, I patti sulle successioni future, cit., p. 92.
Unico precedente giurisprudenziale: Cass. civ. 6 ottobre 1955 n. 2860.
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CAP. III - IL DIVIETO DEI PATTI SUCCESSORI 51

do il testamento sia attuativo di una promessa unilaterale non vincolan-


te per il testatore. In tal caso, infatti, non assumendo il testatore un ob-
bligo coercibile verso altro soggetto, stante il principio di tassatività del-
le promesse unilaterali (art. 1987 c.c.), il testatore che procedesse al te-
stamento nella convinzione di essere obbligato alle disposizioni dall’atto
unilaterale, incorrerebbe in errore di diritto, per cui il negozio testa-
mentario sarebbe annullabile alle condizioni dell’art. 624 c.c.
In ogni caso, al fine di evitare l’annullabilità del testamento, è suf-
ficiente non far risultare l’impegno assunto dal testatore, perché in tal
caso manca una delle condizioni richieste, sia dall’art. 624 2º comma
(errore di diritto), sia dall’art. 626 (illiceità dei motivi) c.c. ovvero che
il motivo risulti dal testamento.
L’atto esecutivo del patto obbligatorio dispositivo invece deve esse-
re valutato in base alla normativa sui contratti, e non a quella sul nego-
zio testamentario, essendo sicuramente un atto inter vivos.
Alla stregua degli artt. 1421 ss. c.c. secondo la dottrina l’atto dispo-
sitivo di un diritto derivante da successione, attuativo di un obbligo as-
sunto in tal senso (es. contratto preliminare) prima della morte del de
cuius, sarebbe annullabile per errore di diritto ai sensi dell’art. 1429
n. 4) c.c..
Infine, l’atto di rinunzia all’eredità o al legato, attuativo di un patto
obbligatorio rinunziativo, non può essere impugnato in quanto, ai sensi
dell’art. 526 c.c., la rinunzia all’eredità può essere impugnata solo se è
effetto di violenza o dolo, e non per errore.

3.5. LA CONFERMABILITÀ INTER VIVOS. CENNI

La struttura e le sanzioni delineate per i diversi ‘‘contratti succes-


sori’’ incidono sulla possibilità che essi siano ‘‘confermati’’. Come si ve-
drà nella sede specifica, per opinione comune, sia alla dottrina, sia alla
giurisprudenza, sono confermabili e sanabili le sole disposizioni con-
trarie a norme di legge quando il risultato avuto di mira con la dispo-
sizione sia illecito soltanto in quanto perseguito mediante testamento, e
non sia in realtà contrario all’ordine pubblico e, quindi, in ogni caso da
perseguire.
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52 PARTE PRIMA - LE SUCCESSIONI PER CAUSA DI MORTE

A ben vedere, la norma dell’art. 590 c.c. non può operare in mate-
ria di patti successori, e ciò non tanto per una pretesa violazione di un
principio di ordine pubblico o del buon costume, ma in quanto il patto
è comunque un ‘‘contratto’’ e non una disposizione testamentaria, per
cui non può estendersi ad esso l’eccezionale istituto della conferma (30).
La medesima conclusione può valere, nei casi di patti successori
obbligatori dispositivi e rinunziativi, anche per i relativi atti esecutivi,
che sono, come visto, atti negoziali tra vivi.
Al più la conferma potrebbe essere utilizzata per sanare le disposi-
zioni testamentarie formulate in esecuzione del patto successorio obbli-
gatorio istitutivo, le quali sono, come visto, secondo la dottrina autore-
vole e prevalente, non nulle ma annullabili (31).

3.6. RAPPORTI CON L’ORDINE PUBBLICO INTERNO E L’ORDINE PUBBLICO


INTERNAZIONALE. CENNI E RINVIO

Una nota pronunzia della Cassazione (32) ha ritenuto il divieto del


patto successorio espressione di un principio di ordine pubblico. In
particolare si afferma che il patto successorio ponendosi in contrasto
con il principio fondamentale (e pertanto di ordine pubblico) del nostro
ordinamento della piena libertà del testatore di disporre dei propri beni
fino al momento della sua morte, è per definizione non suscettibile della
conversione ex art. 1424 c.c. in un testamento mediante la quale si realiz-
zerebbe proprio lo scopo, vietato dall’ordinamento, di vincolare la volontà
del testatore al rispetto di impegni, concernenti la propria successione, as-
sunti con terzi.

(30) L. Ferri, Successioni in generale (Artt. 456-511), cit., p. 148.


(31) Con specifico riferimento al patto successorio istitutivo: L. Ferri, Disposizioni
generali sulle successioni, cit., p. 108. Più in generale sull’applicabilità del 590 c.c.: G.
Caramazza, Delle successioni testamentarie, p. 47; G. Gabrielli, L’oggetto della con-
ferma ex 590 in Riv. Trim. dir. e proc. civ., 1964, p. 1421; G. Stolfi, Appunti sull’art.
590 c.c. in Giur. it., 1977, p. 357; G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., p. 511.
(32) Cass. civ. 14 luglio 1983 n. 4827, massima su riportata. In senso contrario, con
riferimento alla confermabilità del testamento esecutivo di patto successorio Cass. civ. 6
ottobre 1955 n. 2870.
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CAP. III - IL DIVIETO DEI PATTI SUCCESSORI 53

È evidente che una simile conclusione avrebbe effetti sull’applica-


bilità, in Italia, di patti stipulati all’estero o comunque secondo leggi
straniere che ammettono il contratto successorio. Basti considerare i
pericoli che essa avrebbe sulla concreta operatività, ad esempio, di
un trust, anche interno, sottoposto ad una legge straniera più permis-
siva. È infatti principio generale del diritto internazionale privato
quello per cui nessuno Stato può essere tenuto ad ‘‘accogliere’’ al pro-
prio interno negoziazioni che siano contrarie a principi di ordine pub-
blico.
Invero, secondo l’interpretazione attualmente prevalente, quando
nel diritto internazionale privato si fa riferimento all’ordine pubblico,
non si intende quello relativo a singoli Stati (ordine pubblico c.d. inter-
no), ma quello relativo alla comunità internazionale (ordine pubblico
c.d. internazionale) (cfr. art. 16 l. 31 maggio 1995 n. 218), ossia un com-
plesso di principi e di regole che negli ordinamenti moderni possono
ritenersi recepiti. Sicuramente la tutela della volontà testamentaria è il
portato di una secolare elaborazione. La realizzazione di essa mediante
il divieto del contratto successorio però non sembra possa far parte di
principi comunemente riconosciuti nei Paesi di diritto moderno. Basti
considerare che in Europa molti ordinamenti hanno mitigato o elimina-
to tale divieto, che resta ‘‘vivo’’ in Italia, Spagna, Francia, Belgio, Lus-
semburgo.

3.7. NEGOZI ‘‘A CAUSA DI MORTE’’ E NEGOZI ‘‘CONNESSI ALLA MORTE’’

Il negozio ‘‘a causa di morte’’ è l’atto che ha la funzione di regolare


la successione di una persona per il tempo in cui questa avrà cessato di
vivere.
Unico negozio a causa di morte tipicamente disciplinato dalla legge
è il testamento.
È negozio a causa di morte anche il patto successorio, che però è
vietato dalla legge.
È invece ‘‘connesso alla morte’’ il negozio che presenta effetti di-
pendenti dalla morte ma non da essa geneticamente e causalmente sca-
turenti.
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54 PARTE PRIMA - LE SUCCESSIONI PER CAUSA DI MORTE

La distinzione tra le due categorie, importantissima per determina-


re la validità delle figure di volta in volta considerate, va colta nella fun-
zione del negozio, che può essere, o no, il mezzo per disporre della pro-
pria successione.
In base a questo assunto, una parte autorevole della dottrina, afferma
che il divieto dei patti successori istitutivi non si può estendere a quei ne-
gozi tra vivi che non hanno l’effetto della irrevocabilità, conservandosi in
tal caso per il disponente la ‘‘libertà’’ di disporre in un momento succes-
sivo delle proprie sostanze in altro modo. Se la ratio del divieto è la tutela
della volontà testamentaria fino al momento della morte, il carattere ille-
cito del patto successorio istitutivo va riscontrato nella sua irrevocabilità,
derivante dall’obbligo assunto verso terzi, per cui ove tale irrevocabilità
non sussista il negozio deve considerarsi valido (33).
Altra dottrina (34) ritiene che a prescindere dalla revocabilità del-
l’impegno assunto, qualsiasi negozio a causa di morte, diverso dal testa-
mento, è da considerare invalido, in quanto il nostro ordinamento ha
considerato quale unico possibile strumento mortis causa il negozio te-
stamentario. Soltanto la legge potrebbe prevedere una deroga a questo
principio, come accade, secondo tale opinione e come meglio vedremo,
per il caso delle assicurazioni sulla vita in favore di terzo. La delazione
ereditaria può avvenire solo per testamento o per legge, senza, quindi,
l’ipotizzabilità di un tertium genus, ‘‘contrattuale’’ (come il patto succes-
sorio), che si porrebbe in contrasto con il principio fondamentale del
nostro ordinamento della piena libertà del testatore di disporre dei pro-
pri beni fino al momento della sua morte.
Seguendo tale tesi rigorosa, e molto diffusa, andrebbe escluso qual-
siasi atto di disposizione a causa di morte diverso dal testamento, a pre-
scindere dalla sua vincolatività per il testatore, considerandosi, quale ul-
teriore ratio del divieto, la ‘‘riprovazione sociale’’ per qualsiasi contrat-
tazione ‘‘sulla morte’’ propria o di altri.

(33) In tal senso C.M. Bianca, Diritto civile. II. La famiglia. Le successioni, cit., p.
492.
(34) R. Nicolò, Disposizione di beni mortis causa in forma ‘‘indiretta’’, in Riv. not.
1967, p. 645. In tal senso cfr. Cass. civ. 14 luglio 1983 n. 4827, massima su riportata.
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CAP. III - IL DIVIETO DEI PATTI SUCCESSORI 55

3.8. FIGURE CONTROVERSE

3.8.1. La donatio mortis causa

La donazione per causa di morte è una figura che risale al diritto


romano arcaico, che prevedeva una donazione revocabile, subordinata
alla premorienza del donante al donatario per il caso di pericolo di mor-
te (partenza per la battaglia, malattia).
Una simile figura, nel nostro ordinamento, sarebbe in chiaro con-
trasto con il divieto del patto successorio, realizzando una negoziazione
tra vivi con cui si dispone per il tempo successivo alla propria mor-
te (35). Invero, secondo parte della dottrina (36), essendo essa revocabile
non incontrerebbe il divieto dei patti successori istitutivi, in quanto essi
sono sanzionati proprio per l’irrevocabilità della disposizione mortis
causa. Ciò non toglie che essa sarebbe nulla per contrasto con il princi-
pio di irrevocabilità della donazione (37): il potere di revoca realizzereb-
be una condizione risolutiva meramente potestativa (38).
Diversa figura è quella della donazione con condizione di premo-
rienza del donante (si praemoriar), o con termine iniziale alla morte
del donante (cum praemoriar). In tali casi infatti la morte non integra,
secondo la dottrina, la causa della donazione, ma costituisce solo un ri-
ferimento alla produzione degli effetti (39).
Tale distinzione non è unanimemente accolta: si osserva da alcuni
che tali ipotesi donative ‘‘assicurano’’ al donatario il bene per quando il
donante non sarà più in vita, esprimendo quindi ‘‘la funzione tipica del
testamento, cioè la liberalità successoria’’ (40). La donazione inoltre ren-

(35) Sul punto, U. Carnevali, Le donazioni, in Tratt. dir. priv. a cura di P. Re-
scigno, Torino, 1997, 552.
(36) Cosı̀, C.M. Bianca, Diritto civile. II. La famiglia. Le successioni, cit., p. 493.
(37) L. Ferri, Disposizioni generali sulle successioni, cit., pp. 109 ss.
(38) A. Torrente, Variazioni sul tema della donazione mortis causa, in Foro it.,
1959, I, 580.
(39) Su tali figure, cfr. su tutti: D. Cupini, A proposito dei patti successori e dona-
zioni con clausola ‘si praemoriar’, in Notariato, 2005, p. 639; A.A. Carrabba, Le do-
nazioni ‘mortis causa’, in Riv. not., 2006, pp. 1449 ss.
(40) C.M. Bianca, Diritto Civile. II. La famiglia. Le successioni, cit., p. 493.
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56 PARTE PRIMA - LE SUCCESSIONI PER CAUSA DI MORTE

derebbe, a differenza del testamento, irrevocabile la disposizione, vio-


lando il principio generale di libera revocabilità delle disposizioni a cau-
sa di morte, e anche ove fosse revocabile, conterrebbe una condizione
risolutiva meramente potestativa.
La tesi rigorosa è stata accolta anche da due noti precedenti giuri-
sprudenziali. La Cassazione, in particolare, ritiene sussistenti nella figu-
ra in oggetto tutti i caratteri del patto successorio. Inoltre, con riferi-
mento alla donazione si praemoriar, esclude che possa invocarsi, in fa-
vore della liceità del negozio, l’effetto retroattivo della condizione di
premorienza, perché tale retroattività configurerebbe un acquisto eredi-
tario risalente a tempo anteriore alla morte (41).
Diversa opinione (42), accolta da un altro precedente giurispruden-
ziale, ammette tali donazioni, poiché esse non realizzarebbero donatio-
nes mortis causa ma al contrario normali donazioni tra vivi sottoposte a
termine o condizione, con la particolarità che l’evento è dato dalla mor-
te del donante. E tale validità va affermata ogni volta che la morte co-
stituisca non la causa dell’attribuzione, ma piuttosto un evento condi-
zionante la produzione degli effetti definitivi, senza impedire la produ-
zione degli effetti prodromici e preliminari (43).
Come è stato precisato in dottrina (44), la donazione non è in tal caso
priva dell’effetto immediato dello spoglio, essa è ‘‘attuale ma condiziona-
ta’’, produce l’effetto negoziale di vincolatività fin da subito, per cui il
donatario acquista una aspettativa di diritto e non di mero fatto (45), e

(41) Cass. civ. 6 marzo 1950 n. 576; Cass. civ. 24 aprile 1987 n. 4053, (massima su
riportata). Concordemente a dette pronunce, in dottrina, v. L. Cariota Ferrara, Le
successioni per causa di morte, Napoli, 1977, cit., p. 399; C.M. Bianca, op. loc. ult. cit..
(42) G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., p. 35;
(43) Cass. civ. 16 giugno 1966 n. 1547 in Giust. civ., 1967, I, 1351; Cass. civ. 9 lu-
glio 1976 n. 2619.
(44) A. Torrente, La donazione, in Tratt dir. civ. e comm. a cura di A. Cicu-F.
Messineo, Milano, 1956, 312 ss.; M.V. De Giorgi, I patti sulle successioni future, Na-
poli, 1976, 116 ss., Secondo questo orientamento, si ritiene ammissibile la validità di tali
fattispecie, sul presupposto che le donazioni cum moriar e si praemoriar non realizzereb-
bero donationes mortis causa, bensı̀ donazioni tra vivi delle quali hanno i classici requi-
siti dell’attualità e dello spoglio.
(45) G. Giampiccolo, Il contenuto atipico del testamento, Milano 1954, p. 46;
F.Scaglione, Successioni anomale e contratto di società, Napoli 1998, p. 60; F. Santo-
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CAP. III - IL DIVIETO DEI PATTI SUCCESSORI 57

quindi legalmente tutelata, con la possibilità di compiere atti conserva-


tivi e di disposizione del diritto condizionato (artt. 1356 ss. c. c.). Ove
si trattasse di patto successorio, invece, l’aspettativa del beneficiario sa-
rebbe di mero fatto, potendo essa venir meno, come visto, per effetto di
successive disposizioni mortis causa in senso diverso.
Ad esempio, è stato ritenuto valido un contratto preliminare con il
quale un promittente alienante assumeva l’obbligo di trasferire al figlio
naturale del coniuge, alla morte di costui, la proprietà di una quota di
un bene che alla data della stipula era già ricompreso nella comunione
legale dei beni e quindi nel patrimonio del coniuge promissario acqui-
rente (46).
Sicuramente tale strumento può essere utilizzato per dissimulare un
patto successorio istitutivo vietato, ma occorrerebbe dimostrare che le
parti in tal mondo hanno inteso provvedere alla futura successione
del donante.
Infine, si osserva, anche se non è facile distinguere la donazione in

ro Passarelli, Saggi di diritto civile, II, Napoli 1961, 849, 853, con particolare riferi-
mento alla donazione di usufrutto alla morte del donante con clausola cum praemoriar.
Nello stesso senso: F. Filomusi Guelfi, Diritto ereditario, Roma, 1909, 45 ss.; P. Me-
lucci, Il diritto di successione, Torino, 1910; F. Santoro Passarelli, Validità della
donazione d’usufrutto ‘‘cum praemoriar’’, in Foro it., 1950, I, 385; L. Cariota Ferra-
ra, Negozio giuridico, Napoli, 1946, 320; F. Maroi, Successioni e donazioni, in Com-
mentario al cod. civ. a cura di M. D’Amelio-E. Finzi, Siena, 1940, ed in giurispruden-
za, Cass. civ. 6 marzo 1950, n. 576, in Foro it., 1950, I, 385. Contro tale impostazione:
Manenti, Sul concetto di donazione, in Riv. Dir. civ., 1911, 328 ss.; N. Coviello, Del-
le successioni; parte generale, Napoli, 1935; A. Ascoli, Trattato delle donazioni, Mila-
no, 1935, 151; A. Cicu, Testamento, Milano, 1951, pp. 42-43.
(46) Cass. civ. 16 febbraio 1995 n. 1683, in Giust. civ., 1995, I, 1501, secondo cui
‘‘In tema di patti successori, per stabilire se una determinata pattuizione ricada sotto la
comminatoria di nullità di cui all’art. 458 c.c. occorre accertare: 1) se il vincolo giuridico
con essa creato abbia avuto la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o
estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta; 2) se la cosa o i diritti for-
manti oggetto della convenzione siano stati considerati dai contraenti come entità della
futura successione o debbono comunque essere compresi nella stessa; 3) se il promittente
abbia inteso provvedere in tutto o in parte della propria successione, privandosi, cosı̀ dello
ius poenitendi; 4) se l’acquirente abbia contrattato o stipulato come avente diritto alla suc-
cessione stessa; 5) se il convenuto trasferimento, dal promittente al promissario, debba
aver luogo mortis causa, ossia a titolo di eredità o di legato’’.
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58 PARTE PRIMA - LE SUCCESSIONI PER CAUSA DI MORTE

oggetto da un patto successorio, devono essere applicati i criteri di in-


terpretazione del contratto, ed in particolare l’art. 1367 c.c., per cui nel
dubbio esso va interpretato nel senso che possa avere qualche effetto e
non in quello per cui non ne avrebbe alcuno (47). Quindi, nel senso del-
la donazione inter vivos condizionata o a termine (48).
Non rientra invece nel divieto la donazione con clausola di premo-
rienza, espressamente disciplina (art. 791 c.c.), che è risolutivamente
condizionata alla premorienza del donatario, e quindi destinata a risol-
versi ove il donatario premuoia al donante. In tal caso la donazione rea-
lizza immediatamente l’intero effetto attributivo, mentre la condizione
risolutiva è intesa a soddisfare un interesse del donante a recuperare
il bene a preferenza dei successori del donatario.

3.8.2. Contratto a favore di terzo con esecuzione post mortem

Il codice (art. 1412 c.c.) prevede espressamente la possibilità che


nel contratto a favore di terzo la prestazione debba essere eseguita dopo
la morte dello stipulante. In tal caso quest’ultimo può revocare il bene-
ficio anche con una disposizione testamentaria, e anche se il terzo abbia
dichiarato di volerne profittare, salvo che in quest’ultimo caso lo stipu-
lante abbia rinunziato per iscritto alla facoltà di revoca.
Secondo la maggior parte della dottrina, la facoltà di revoca non
converte la designazione del terzo in una disposizione successoria. Il
terzo, infatti, è già attualmente titolare del diritto nascente dal contratto
(art. 1411, 2º comma, c.c.), ed al momento della morte non c’è una tra-
smissione dal promittente al terzo (49).

(47) Cfr. Cass. civ. 6 ottobre 1962, n. 2850, secondo la quale ‘‘la clausola contenuta
in un contratto di donazione, con cui il donante dona tanta parte di un immobile quanto
basterà a raggiungere il valore della quota disponibile dell’intero suo patrimonio, è nulla
sia per la indeterminabilità dell’oggetto, fintanto che il donante rimanga in vita e non si
formi la massa ereditaria, sia per il divieto dei patti successori, trattandosi di disposizione
relativa a beni di una successione non ancora aperta’’.
(48) G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., p. 35.
(49) In tal senso v. G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., p. 56; F. Santoro
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CAP. III - IL DIVIETO DEI PATTI SUCCESSORI 59

Del resto, proprio la possibilità di rinunziare alla facoltà di revoca


con atto scritto è la prova che non trattasi di una disposizione mortis
causa, che altrimenti per sua natura sarebbe sempre e in ogni caso re-
vocabile, restando la rinunzia senza effetto.
Dal contratto, secondo la regola generale, discendono immediata-
mente effetti in favore del terzo: differita è soltanto l’esecuzione della
prestazione, mentre l’acquisto è già verificato, come dimostra il fatto
che in caso di premorienza del terzo la prestazione dovrà essere eseguita
a favore dei suoi eredi, cosa che non potrebbe avvenire se il terzo acqui-
stasse solo dopo la morte dello stipulante. E ciò avviene anche nel caso
in cui la designazione sia effettuata in un momento successivo al con-
tratto, essendo anche in questo caso la stipulazione un negozio tra vivi,
del tutto distinto dal patto successorio (50).
Invero, problematico resterebbe il caso in cui si rinvii a una desi-
gnazione del terzo per testamento. In tal caso, secondo la dottrina re-
strittiva, si configurerebbe un patto successorio ‘‘indiretto’’: ogni effet-
to della stipulazione si produce infatti dopo la morte dello stipulante,
per cui l’effetto sarebbe riferito al tempo in cui egli cesserà di vivere.
Si ha allora un negozio mortis causa e non inter vivos, contro il divieto
dell’art. 458 c.c.

Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, cit., p. 223; L. Cariota Ferrara, Le
successioni per causa di morte, cit., pp. 403 ss.; M.V. De Giorgi, I patti sulle successioni
future, cit., pp. 122 ss.; F. Magliulo, Il divieto del patto successorio istitutivo nella pra-
tica negoziale, in Vita not., 1992, cit., pp. 1430 ss.; C.M. Bianca, Diritto Civile. II. La
famiglia. Le successioni, cit., p. 496.
Di diversa opinione, v. su tutti, E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, cit.,
pp. 320 ss.; L. Ferri, Successioni in generale (Art. 456-511), cit., pp. 110 ss.
(50) In altri termini, ciò che distingue la figura dell’art. 1412 c.c., rispetto al con-
tratto a favore di terzo ex art. 1411 c.c. è la differibilità della esecuzione della presta-
zione in favore del terzo. La morte non è causa dell’attribuzione a favore del terzo,
ma è solamente il termine di adempimento della prestazione. Il diritto alla prestazione
stessa è acquistato per atto inter vivos da parte del terzo, già in vita dello stipulans. Se
cosı̀ non fosse, al terzo sarebbe precluso il trasferimento del suo diritto – in caso di pre-
morienza rispetto allo stipulans – in favore dei suoi eredi.
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60 PARTE PRIMA - LE SUCCESSIONI PER CAUSA DI MORTE

3.8.3. Deposito a favore del terzo

Altra ipotesi controversa è quella del deposito in cui il depositante


designa un terzo quale avente diritto alla restituzione. In tal caso, se il
diritto alla restituzione può essere esercitato immediatamente dal depo-
sitante e dal terzo, quest’ultimo riceve una attribuzione immediata della
titolarità e dell’esercizio del diritto.
In sostanza, è come se nella pattuizione fosse insita una proposta di
trasferimento, che il terzo accetta mediante la richiesta di restituzione in
suo favore.
Il problema si pone nel caso in cui il diritto alla restituzione sia con-
servato dal depositante in via esclusiva, e sia attribuito al terzo soltanto
a partire dalla morte di lui. In tal caso, la diretta ed immediata possibi-
lità di esercizio del diritto induce a ravvisare l’unico titolare ancora nel
depositante, mentre il terzo è destinato a ‘‘succedergli’’ alla morte.
Esso è stato posto in un noto caso giurisprudenziale in cui un sog-
getto si era fatto rilasciare da un istituto bancario libretti nominativi,
immediatamente intestati a persone diverse da lui e subito individuate.
Alla richiesta, egli pattuı̀ con la banca che avrebbe conservato, vita na-
tural durante, la facoltà di prelevare le somme depositate anche fino alla
totale estinzione e senza alcuna formalità; la banca avrebbe conservato i
libretti in custodia fiduciaria senza dare comunicazioni agli intestatari ai
quali i libretti sarebbero stati consegnati solo alla morte della parte (51).
Come si è osservato, in questi casi l’intestazione al terzo ha la sola
funzione di individuare colui che avrà diritto alla riconsegna alla morte
del depositante.
Secondo una parte della dottrina il mantenimento della facoltà di
revoca renderebbe lecito il contratto, escludendo la coercizione defini-
tiva della volontà testamentaria (52). Si potrebbe dunque ritenere valido

(51) Il caso è riferito in R. Nicolò Disposizione di beni mortis causa in forma ‘‘in-
diretta’’, cit., p. 641. Altro caso analogo è stato risolto da Trib. Catania 5 marzo 1958 in
Banca, borsa e titoli di credito, 1961, II, 311, con nota di U. Majello.
(52) R. Nicolò, Disposizione di beni mortis causa in forma ‘‘indiretta’’, cit., p.
642. In tal senso anche Cass. civ. 17 agosto 1990 n. 8335 in Giust. civ., 1991, I, 953,
la quale afferma che ‘‘Il contratto, con cui una parte deposita presso un’altra una deter-
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CAP. III - IL DIVIETO DEI PATTI SUCCESSORI 61

il contratto ove esso fosse soltanto ‘‘con esecuzione successiva alla mor-
te’’ (art. 1412 c.c.). Come visto però la facoltà di richiedere la restituzio-
ne riservata al depositante dimostra che nessun diritto è stato ancora
attribuito al terzo: gli atti di prelievo, nel caso giurisprudenziale citato,
lungi dal potersi considerare espressivi di una facoltà di revoca di cui
all’art. 1412 c.c., dimostrano che in questo caso non c’è una attribuzio-
ne attuale, ma una attribuzione successiva alla morte con conservazione
del potere di disporre.
A favore della nullità si è pronunciata anche la giurisprudenza di
legittimità (53).
Può solo precisarsi al riguardo che al di là del profilo della revoca-
bilità, la cui rilevanza come visto non è unanimemente accolta, la pat-
tuizione in oggetto contiene in sé un momento traslativo destinato ad
operare alla morte del depositante, il che è caratteristica delle attribu-
zione a causa di morte e, pertanto, lo rende assimilabile ad un negozio
dispositivo della propria successione.

3.8.4. Clausole di continuazione societaria

L’art. 2284 c.c. dettato in tema di società semplice, ma applicabile


in forza dei richiami generali degli artt. 2193 e 2315 c.c. alla società in
nome collettivo ed alla società in accomandita semplice, prevede che in
caso di morte di uno dei soci gli altri devono liquidare la quota agli ere-
di, a meno che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con
gli eredi stessi e questi vi consentano, salva diversa previsione.

minata somma ed attribuisce ad un terzo, che prende parte all’atto, il diritto a pretenderne
la restituzione dopo la propria morte, non configura un contratto a favore di terzi, con ese-
cuzione dopo la morte dello stipulante, a norma dell’art. 1412 c.c., avendo il terzo assunto
la qualità di parte dell’atto e lo stipulante obbligandosi in suo diretto confronto a mante-
nere ferma la disposizione in suo favore, bensı̀ rientra nell’ambito di applicazione del di-
vieto dei patti successori sancito dall’art. 458 c.c., ed è perciò nulla, giacché dà luogo ad
una complessa convenzione costituita da un deposito irregolare e da una vietata donazione
mortis causa’’.
(53) Cfr. la sentenza citata nella nota precedente.
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62 PARTE PRIMA - LE SUCCESSIONI PER CAUSA DI MORTE

Pertanto, oltre alle ipotesi legislativamente previste, è aperta la stra-


da di una deroga pattizia allo scioglimento automatico della quota.
Tale deroga è attuabile mediante una clausola di continuazione.
Invero le clausole elaborate dalla prassi sono di tre specie, e non
tutte di sicura validità:
— la clausola di continuazione facoltativa vincola soltanto i soci,
che perdono in sostanza le facoltà di cui all’art. 2284 c.c., ma non gli
eredi, i quali sono liberi di accettare la continuazione subentrando nella
quota;
— la clausola di continuazione obbligatoria, che non rende gli ere-
di automaticamente soci, ma li espone al pagamento del risarcimento
del danno per il caso in cui non accettino di continuare;
— la clausola di continuazione automatica, o di successione, che
sostanzialmente comporta che il designato testamentario divenga imme-
diatamente socio a prescindere da una espressa volontà di subentro.
Tali clausole si pongono in problematico rapporto sia con i principi
del diritto societario, che con quelli del diritto successorio per la possi-
bile violazione del divieto dei patti successori.
Secondo dottrina autorevole, esse sono convenzioni con effetti im-
mediati, e quindi non a causa di morte, sospensivamente condizionate
alla premorienza dell’uno o dell’altro socio (54).
In particolare, quanto alle clausole di continuazione facoltativa si è
affermato che esse violano l’art. 458 c.c. in quanto inciderebbero diret-
tamente sulla vicenda successoria, attribuendo con atto inter vivos la fa-
coltà di continuazione agli eredi, che non si conosceranno fino alla mor-
te del socio. A ciò si è obiettato che gli eredi conseguono il diritto di

(54) G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., p. 38; G. Cottino, Diritto commer-


ciale. Le società, Padova 1993, p. 141; A. Graziani, Diritto delle società, Napoli 1963,
pp. 100 ss.; G. Iudica, Clausole di continuazione della società con gli eredi del socio ac-
comandatario, in Riv. dir. civ., 1975, II, p. 209; G.C. Rivolta, Clausole societarie e pre-
disposizione successoria, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1995, 1202; R. Caravaglios,
Clausole di continuazione nel rapporto societario ed estraneità al divieto dei patti succes-
sori, in Riv. Not., 1996, p. 917.
Nel senso della violazione del divieto dei patti successori cfr. invece F. Di Sabato,
La società semplice, in Tratt. dir. priv. a cura di P. Rescigno, 16, 2, Torino, 1985, pp.
98 ss.
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CAP. III - IL DIVIETO DEI PATTI SUCCESSORI 63

continuare iure successionis in forza di una clausola immediatamente


vincolante, stipulata dal de cuius, che però solo per la sua concreta ope-
ratività richiede il ‘‘presupposto’’ della morte. Non v’è però alcuna in-
cidenza causale sulla libertà testamentaria di lui. La clausola, in sostan-
za, non è altro che la rinuncia dei soci alle alternative previste dall’art.
2284 c.c. e non incide, né sotto il profilo economico, né sotto il profilo
della designazione dei beneficiari, sulla vicenda successoria, di cui resta
arbitro il socio defunto (55).
Le clausole di continuazione obbligatoria sono criticate in quanto da
esse deriverebbe un obbligo a carico degli eredi ‘‘direttamente’’, e non
per via ereditaria, in contrasto con il principio per cui obligatio a persona
heredis incidere non potest. Da esse inoltre, deriverebbe un obbligo pre-
liminare a contrarre che attribuirebbe un diritto ai soci superstiti, avente
contenuto patrimoniale, nei confronti degli eredi, sui quali incombereb-
be, per effetto di un atto tra vivi, l’obbligo di assumere la qualità di soci a
responsabilità illimitata, in violazione dell’art. 458 c.c. (56).
Una parte della dottrina tende comunque a ritenerle valide, assimi-
lando l’inserimento della clausola ad una promessa del fatto altrui (art.
1381 c.c.), e quindi qualificando l’obbligo risarcitorio degli eredi come
il pagamento dell’indennizzo per mancata realizzazione dell’evento pro-
messo dal de cuius, cui subentrano gli eredi medesimi.
Maggiormente problematica è la clausola di continuazione automa-
tica. Essa, ritenuta pacificamente valida per la quota di accomandan-
te (57), secondo una certa opinione, se riferita alla partecipazione del so-

(55) Favorevole alla ammissibilità anche Cass. civ. 16 luglio 1976 n. 2815.
(56) P. Spada, Problemi attuali delle società di persone, Padova 1989, pp. 73 ss.; F.
Tassinari, Clausole in funzione successoria negli statuti delle società di persone, in Giur.
Comm., 1995, I, pp. 945 ss.
(57) Cass. civ. 18 dicembre 1995 n. 12906, in Giust. civ. mass., 1995, 12: ‘‘La clau-
sola cosiddetta di continuazione automatica prevista nell’atto costitutivo di società in ac-
comandita semplice – in forza della quale gli eredi del socio accomandante defunto suben-
trano, per intero, nella posizione giuridica del loro dante causa entro la compagine sociale,
a prescindere da ogni loro manifestazione di volontà – non contrasta, né con la regola sta-
bilita dall’art. 2322, primo comma, c.c., che espressamente prevede la trasmissibilità per
causa di morte della quota di partecipazione del socio accomandante, né con l’art. 458
c.c., che con norma eccezionale non suscettibile di applicazione analogica, vieta i patti suc-
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64 PARTE PRIMA - LE SUCCESSIONI PER CAUSA DI MORTE

cio accomandatario, contrasterebbe, sia con i principi del diritto socie-


tario – implicando il subentro automatico in una partecipazione con re-
sponsabilità illimitata senza uno specifico consenso del subentrante –,
sia con i principi del diritto successorio, in quanto incidente sulla libera
disponibilità dei beni da parte del de cuius fino al momento della morte.
Né, a ben vedere, la possibilità di accettare l’eredità con beneficio
di inventario sembra rendere valida la clausola: tale beneficio sarebbe
riferibile infatti soltanto alle obbligazioni già maturate in capo al de
cuius, e non a quelle che sorgono dopo la morte di lui (58). Anche sotto
il primo aspetto, inoltre, la clausola rischia di porsi in conflitto con la
regola societaria (art. 2269 c.c.) per cui ciascun socio assume responsa-
bilità illimitata anche per le obbligazioni pregresse: infatti, ‘‘il beneficio
di inventario esige che l’erede non risponda col suo patrimonio perso-
nale, non già che detto erede, pur non rispondendo col suo patrimonio
personale, possa essere un socio in nome collettivo’’ (59).
A ciò si replica in dottrina che la clausola non comporta un proble-
ma di violazione del divieto dei patti successori, in quanto non c’è limite
alla libertà del testatore, ma a quella degli eredi: il testatore potrà orien-
tare la vicenda successoria come crede, semplicemente egli, come nel
caso della clausola facoltativa, rinunzia, come tutti gli altri soci, alle al-
ternative concesse dall’art. 2284 c.c.
Piuttosto, ma non è questa la sede per approfondirlo, il problema

cessori, per non essere essa riconducibile allo schema tipico del patto successorio’’. Nel me-
desimo senso C. App. Milano 30 marzo 1993, in Giur. it., 1993, I, 2, 352; Cass. civ. 16
luglio 1976 n. 2815, in Giust. civ., 1976, I, 1580; Cass. civ. 27 aprile 1968 n. 1711 che
ben ammette il costituirsi della comunione ereditaria sulla quota sociale per opera della
clausola di successione automatica.
(58) Non possono quindi condividersi le tesi sostenute autorevolmente da A. Ven-
ditti, L’erede del socio a responsabilità illimitata e la continuazione delle società, in Riv.
dir. comm., 1953, I, pp. 217; A. Graziani, Diritto delle società, Napoli, 1963, cit., pp.
217 ss.; G.F. Campobasso, Diritto commerciale, II, Padova, 1987, pp. 116 ss.
Nel senso, invece, che siffatte clausole contrasterebbero, sia coi principi del diritto
successorio, sia con quelli del diritto societario, v. su tutti, F. Ferrara-F. Corsi, Gli
imprenditori e le società, Milano, 1971, p. 324; L. Ferri, Successioni in generale (Art.
456-511), cit., p. 110.
(59) G. Auletta, Clausole di continuazione della società coll’erede del socio perso-
nalmente responsabile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1951, pp. 891 ss.
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CAP. III - IL DIVIETO DEI PATTI SUCCESSORI 65

resta aperto rispetto al principio del diritto commerciale per cui non si
può imporre l’assunzione della responsabilità illimitata senza il consen-
so del soggetto assuntore; come visto, il beneficio d’inventario non è un
rimedio sufficiente a limitare il risultato cui condurrebbe la clausola, né
sembra che la possibilità di rinunziare all’eredità possa essere una giu-
stificazione, in quanto non toglierebbe che, in astratto, l’accettazione
avrebbe quale risultato automaticamente connesso quello escluso dai
principi del nostro ordinamento, ossia il subentro automatico (60).
Va dato conto di un precedente giurisprudenziale, di non facile in-
terpretazione, e spesso foriero di equivoci, secondo cui la clausola di
continuazione sarebbe nulla solo ove comporti l’automatico acquisto
della qualità di amministratore da parte dell’erede (61). Tale pronuncia
è spesso citata a favore della validità della clausola di continuazione
automatica. A ben vedere, il caso di specie aveva ad oggetto una clau-
sola di continuazione facoltativa, tradizionalmente riconosciuta valida,
come visto, e come la Cassazione conferma, con la particolarità, ritenuta
inammissibile dalla S.C. per contrasto con i principi del diritto commer-
ciale in materia di funzione gestoria, che in caso di consenso si sarebbe
avuto l’acquisto automatico della carica amministrativa. Ciò che era
inammissibile era il fatto che si sarebbe avuta con tale clausola una de-
signazione alla carica amministrativa in incertam personam, in contrasto
con il necessario intuitus personae che caratterizza la partecipazione a
società di persone in genere e l’acquisto della qualità amministrativa

(60) Per l’invalidità, sia della clausola obbligatoria, sia che di quella automatica: F.
Tassinari, Clausole in funzione successoria negli statuti delle società di persone, cit., p.
949.
(61) Cass. civ. 4 marzo 1993 n. 2632 in Giur. Comm., 1995, II, 367 con nota di G.
Verdirame: ‘‘E` invalida la clausola ‘‘di continuazione’’, con la quale i soci di società in
accomandita semplice, nell’atto costitutivo, in deroga all’art. 2284 c.c. prevedono l’automa-
tica trasmissibilità all’erede del socio accomandatario defunto, di cui non sia certa l’identità,
unitamente alla predetta qualità di socio, anche del ‘‘munus’’ di amministratore, tenendo
conto che tale designazione ‘‘in incertam personam’’ coinvolge la stessa struttura societaria,
e che la funzione amministrativa, strettamente strumentale al perseguimento del fine sociale,
non può essere affidata ad un soggetto che, al momento in cui è posto in essere il negozio
societario, resti indeterminabile, ovvero sia individuabile con criteri d’indifferenza rispetto
alle sorti della società e allo scopo che i soci intendono raggiungere’’.
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66 PARTE PRIMA - LE SUCCESSIONI PER CAUSA DI MORTE

in particolare. Nessun dubbio sulla continuazione, derivante da una


clausola facoltativa.
Pertanto, non esistono precedenti giurisprudenziali a favore della
legittimità di clausole di continuazione automatica per la partecipazione
a responsabilità illimitata.

3.8.5. Clausole di consolidazione

Differenti dalle clausole di continuazione sono le cc.dd. clausole di


consolidazione, ossia quelle con cui si stabilisce che la quota di parte-
cipazione del defunto resti senz’altro acquisita ai soci superstiti in pro-
porzione delle rispettive quote (62).
La giurisprudenza e la dottrina, per accertarne la validità rispetto
al divieto dei patti successori, distinguono le clausole di consolidazione
‘‘pure’’ (o di concentrazione), che non prevedono alcuna forma di re-
munerazione a favore degli eredi legittimi o testamentari, dalle clausole
di consolidazione ‘‘impure’’ (o di liquidazione obbligatoria), che, al
contrario riconoscono agli eredi il credito alla liquidazione del valore
della quota (63). Ciò premesso, le prime sono ritenute senz’altro invali-

(62) Su questa tematica v. V.M. De Giorgi, I patti sulle successioni future, cit., 446
ss.; G. Baralis, Le clausole di consolidazione in caso di morte di un socio nelle società
personali; le clausole di continuazione pure e semplici e quelle con liquidazione del mero
capitale; problemi di validità, in Quaderni di Vita notarile, n. 2, 1982, 207 ss.; Boero,
Società di capitali e successione ‘mortis causa’, in ‘Quaderni di Vita notarile’, n. 2, 1982,
148 ss.; Rivolta, Clausole societarie e predisposizione successoria, cit., 1202; M. D’Au-
ria, Clausole di consolidazione societaria e patti successori, in Riv. not. 2003, 657.
(63) La dottrina è sostanzialmente concorde nel riconoscere la validità di siffatta
distinzione: su tutti, v. C.M. Bianca, Diritto civile, II, La famiglia. Le successioni,
cit., 423; G.C.M. Rivolta, Clausola di consolidazione e predisposizione successoria,
cit., 1202, il quale tra l’altro comprende fra le clausole di consolidazione cd. pure –
e come tali, nulle per contrasto con il divieto dei patti successori – anche quelle che
prevedono a favore degli eredi del socio defunto un’attribuzione patrimoniale equiva-
lente non al valore reale, ma al mero valore nominale della partecipazione del de cuius
al momento dell’apertura della successione.
In giurisprudenza sono plurime le pronunce della Cassazione con riferimento alla
distinzione in commento: Cass. civ. 9 aprile 1947, n. 526; Cass. civ. 21 aprile 1949, n.
973; Cass. civ. 17 marzo 1951, n. 685; Cass. civ. 16 aprile 1975, n. 1434; Cfr. anche, nel
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CAP. III - IL DIVIETO DEI PATTI SUCCESSORI 67

de (64) in quanto integranti un patto successorio dispositivo a favore


dei soci superstiti: esse attribuiscono con atto inter vivos ad essi il di-
ritto a conseguire la quota del socio defunto senza alcuna liquidazione.
Al contrario, le clausole di consolidazione impure sono ritenute va-
lide: in tal caso, infatti, la consolidazione tra i soci dà luogo alla liquida-
zione della porzione del defunto ed alla devoluzione di essa secondo le
regole della successione ereditaria. Pertanto, il patto non limita in alcun
modo la successione e la libertà testamentaria del disponente (65).
Coerentemente, applicando i medesimi principi alla materia delle
società di capitali, la giurisprudenza ritiene valida la clausola statutaria
che attribuisce ai soci superstiti di una società di capitali, in caso di
morte di uno di essi, il diritto di acquistare – entro un determinato pe-
riodo di tempo e secondo un valore da determinarsi secondo criteri pre-
stabiliti – dagli eredi del ‘‘de cuius’’ le azioni già appartenute a quest’ul-
timo e pervenute ‘‘iure successionis’’ agli eredi medesimi. Tale clausola,
in particolare, ‘‘non viola il divieto di patti successori di cui all’art. 458
c.c., in quanto il vincolo che ne deriva a carico reciprocamente dei soci
è destinato a produrre effetti solo dopo il verificarsi della vicenda suc-
cessoria e dopo il trasferimento (per legge o per testamento) delle azioni
agli eredi, con la conseguenza che la morte di uno dei soci costituisce

merito, Trib. Vercelli, 19 novembre 1992, in Giur. it., 1993, I, 2, 489, secondo cui ‘‘La
clausola di consolidazione, senza attribuzioni agli eredi del socio defunto o con liquidazio-
ne della sola quota di capitale, è nulla per contrarietà al divieto di pattuizioni continuate,
salvo che emergano particolari ragioni che giustifichino l’accrescimento o non sussista un
divario eccessivo tra il valore della quota di capitale e quello della quota di patrimonio’’, e,
conformemente, App. Torino, 10 novembre 1993, in Giur. it., 1994, I, 2, 766.
(64) Cfr. C.M. Bianca, Diritto civile. II. La famiglia. Le successioni, cit., p. 499 e la
giurisprudenza di cui alla nota successiva.
(65) Cass. civ. 9 aprile 1947 n. 526; Cass. civ. 21 aprile 1949 n. 973. In particolare,
Cass. civ. 16 aprile 1975 n. 1434 cosı̀ recita: ‘‘Se si conviene che i soci superstiti acquisi-
scano le quota del socio defunto senza dover corrisponderne il valore, si ricade nel divieto
dei patti successori in quanto si viene a far beneficiare i soci superstiti di un diritto succes-
sorio quale è appunto il diritto alla liquidazione della quota’’. Detta importante pronun-
cia, ha peraltro considerato valida la clausola che prevedeva a favore dei soci superstiti il
diritto di acquistare la partecipazione del socio defunto dai suoi eredi, entro un certo
termine dalla morte, e per un valore determinato o determinabile in base ad indici pre-
stabiliti.
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68 PARTE PRIMA - LE SUCCESSIONI PER CAUSA DI MORTE

soltanto il momento a decorrere dal quale può essere esercitata l’opzio-


ne per l’acquisto suddetta, senza che ne risulti incisa la disciplina legale
della delazione ereditaria o che si configurino gli estremi di un patto di
consolidazione delle azioni fra soci, caratterizzandosi, invece, la clausola
soltanto come atto ‘‘inter vivos’’’’ (66).
Di clausole di continuazione si è parlato anche in sede di comunio-
ne ordinaria, affermandosi la nullità per contrasto col divieto dei patti
successori di un patto di consolidazione ‘‘pura’’, a titolo gratuito, a fa-
vore dei comunisti superstiti della quota di comproprietà di uno di essi
alla morte di lui (67).

3.8.6. Il mandato post mortem

Il mandato post mortem, in linea generale, è il negozio con cui il


mandante attribuisce al mandatario un incarico da svolgere dopo la
sua morte.

(66) Cass. civ. 16 aprile 1994 n. 3609, in Società, 1994 n. 1185, con nota di R. Ca-
ravaglios, secondo cui ‘‘La clausola statutaria che attribuisce ai soci superstiti di una
società di capitali, in caso di morte di uno di essi, il diritto di acquistare – entro un deter-
minato periodo di tempo e secondo un valore da determinarsi secondo criteri prestabiliti –
dagli eredi del de cuius le azioni già appartenute a quest’ultimo e pervenute iure succes-
sionis agli eredi medesimi, non viola il divieto di patti successori di cui all’art. 458 c.c., in
quanto il vincolo che ne deriva a carico reciprocamente dei soci è destinato a produrre ef-
fetti solo dopo il verificarsi della vicenda successoria e dopo il trasferimento (per legge o
per testamento) delle azioni agli eredi, con la conseguenza che la morte di uno dei soci
costituisce soltanto il momento a decorrere dal quale può essere esercitata l’opzione per
l’acquisto suddetta, senza che ne risulti incisa la disciplina legale della delazione ereditaria
o che si configurino gli estremi di un patto di consolidazione delle azioni fra soci, caratte-
rizzandosi, invece, la clausola soltanto come atto inter vivos, non contrastante, in quanto
tale, neanche con la norma dell’art. 2355, comma 3 c.c., che legittima disposizioni statu-
tarie intese a sottoporre a particolari condizioni l’alienazione di azioni nominative.’’
(67) Cass. civ. 18 agosto 1986 n. 5079, in Giust. civ. mass., 1986, fasc. 8-9: ‘‘Confi-
gura un patto successorio vietato dall’art. 458 c.c. l’atto con il quale due soggetti comprino
in comune la proprietà di un immobile, contestualmente pattuendo che la quota ideale di
comproprietà di ciascuno acquistata debba successivamente pervenire a chi di essi soprav-
viva, in quanto quest’ultimo acquista l’altra quota non dall’originario venditore che l’ave-
va già alienata al soggetto premorto, ma direttamente dal medesimo, al di fuori delle pre-
scritte forme di successione mortis causa’’.

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