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Capitolo III
Il codice civile (art. 458 c.c.) sancisce un divieto generale per tutti i
patti successori, ossia di tutti i negozi che attribuiscono o negano diritti
su una successione non ancora aperta.
In dottrina si è ricollegato il divieto al principio espresso dall’arti-
colo precedente (457 c.c.), in virtù del quale l’eredità si devolve per leg-
ge o per testamento, con esclusione pertanto di una devoluzione ‘‘con-
trattuale’’.
Come è stato affermato, il testamento è l’unico strumento a dispo-
sizione del privato per disporre mortis causa del proprio patrimonio: si è
in presenza di una ‘‘tipicità assoluta’’ del meccanismo negoziale a mezzo
del quale può essere realizzata quella finalità (2). Nessun negozio tra vivi
del testatore al rispetto di impegni, concernenti la propria successione, assunti con terzi’’;
A. Palazzo, Le successioni, in Tratt. dir. priv. a cura di I. Iudica-P. Zatti, 2a ed., vol.
I, Milano 2000, p. 46. Il problema della ‘‘tipicità assoluta’’ del testamento quale stru-
mento per disporre mortis causa sarà meglio affrontato in seguito, nell’analisi della figu-
re ‘‘discusse’’ di patto successorio.
(3) Cass. civ. 24 aprile 1987 n. 4053, in Riv. not., 1987, 582: ‘‘Il negozio con il quale
un soggetto disponga in vita di un proprio diritto, con effetti decorrenti dalla data della
propria morte, attribuendo ad altro soggetto il godimento di un immobile (diritto di abi-
tazione di un appartamento, qualificato nell’atto come comodato) a partire dal giorno in
cui esso dichiarante avrà cessato di vivere, anche se strutturato nella forma di atto ‘‘inter
vivos’’ sottoposto alla condizione sospensiva della premorienza del titolare del diritto, con-
creta una disposizione successoria, in quanto la sua funzione è quella di permettere al di-
chiarante di disporre della propria successione per quanto avrà cessato di vivere ed è quindi
nullo poiché urta contro il divieto dei patti successori’’.
(4) Il divieto di patto successorio istitutivo riguarda, pertanto, non solo la qualità di
erede, ma pure quella di legatario. Quando il patto assume ad oggetto non l’intera quo-
ta di eredità del disponente, ma uno o più beni determinati del suo patrimonio, esso –
di fatto – produce gli stessi effetti del legato. Con riferimento a questa tematica, v. su
tutti, G. Giampiccolo, Atto mortis causa, in Enc. dir., Milano, 1959, pp. 233 ss.
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(5) La ragione logica del divieto viene individuata nella necessità di tutela del prin-
cipio dell’assoluta libertà testamentaria, vale a dire nell’esigenza di garantire l’assenza di
vincoli o turbative al potere di disposizione della propria successione, da parte del de
cuius, fino al limite estremo della propria vita. Sul punto, v. su tutti, G. Capozzi, Suc-
cessioni e donazioni, cit., p. 40; C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente di-
ritto italiano, Milano, 1964, pp. 40 ss.; L. Ferri, Successioni in generale (Art. 456-511),
cit., pp. 46 ss.; G. Grosso-A. Burdese, Le successioni: parte generale, cit., 92; C. Ce-
cere, Patto successorio (Aggiornamento 2003), in Digesto civ. II, Torino, 2004, p. 1101;
C.M. Bianca, Diritto civile, II, La famiglia. Le successioni, cit., pp. 488 ss.; C. Cacca-
vale, Il divieto dei patti successori, in Successioni e donazioni, a cura di P. Rescigno, I,
Padova, 1994, 25 ss; F. Magliulo, Il divieto di patto successorio istitutivo nella pratica
negoziale, in Riv. Not., 1992, 1418 ss; In giurisprudenza, plurime sono le pronunce del-
la Cassazione degne di nota. V., su tutte, Cass. 29 maggio 1972, n. 1702, in ‘Giurispru-
denza Italiana’, con nota di M.V. De Giorgi, ed in particolare, Cass. 21 aprile 1979, n.
2228, in Giust. civ. mass., 1979, 4, secondo la quale ‘‘La nullità dei patti successori è com-
minata dall’art. 458 c.c., al fine di conservare al testatore la libertà di disporre dei propri
beni per tutta la durata della sua vita; ne consegue che una convenzione è qualificabile
come patto successorio solo se attui la trasmissione di diritti relativi a una successione
non ancora aperta e faccia sorgere un ‘‘vinculum iuris’’, di cui la successiva disposizione
testamentaria costituisca l’adempimento’’; conformemente, Cass. civ. 14 luglio 1983,
n. 4827, in Giust. civ. mass., 1983, 7, secondo cui ‘La delazione ereditaria può avvenire
solo per testamento o per legge, senza, quindi, l’ipotizzabilità di un tertium genus, come il
patto successorio che, ponendosi in contrasto con il principio fondamentale (e pertanto di
ordine pubblico) del nostro ordinamento della piena libertà del testatore di disporre dei
propri beni fino al momento della sua morte, è per definizione non suscettibile della con-
versione ex art. 1424 c.c., in un testamento mediante la quale si realizzerebbe proprio lo
scopo, vietato dall’ordinamento, di vincolare la volontà del testatore al rispetto di impegni,
concernenti la propria successione, assunti con terzi’’. Recentemente, cfr. Cass. civ. 9
maggio 2000, n. 5870, in Riv. not., 2001, p. 227, con nota di F. Gazzoni, secondo
cui ‘‘Ricorre un patto successorio istitutivo, nullo ai sensi dell’art. 458 c.c. nella conven-
zione avente ad oggetto la disposizione di beni afferenti ad una successione non ancora
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(8) Trib. Cagliari, 13 gennaio 1998 in Riv. Giur. Sarda, 1999, 463 con nota di C.
Cicero, Liberalità imputabile alla legittima e divieto dei patti successori.
(9) Trib. Trento, 8 giugno 2001, in Gius., 2002, p. 107.
(10) Cass. civ. 7 marzo 1960 n. 418 in Foro Pad., 1961, I, 452 con nota adesiva di
Mirabelli, Inclusione di beni estranei alla comunione nella divisione.
(11) Cass. civ. 21 aprile 1979 n. 2228, in Giust. civ. mass., 1979, 4: ‘‘La nullità dei
patti successori è comminata dall’art. 458 c.c., al fine di conservare al testatore la libertà di
disporre dei propri beni per tutta la durata della sua vita; ne consegue che una convenzione
è qualificabile come patto successorio solo se attui la trasmissione di diritti relativi a una
successione non ancora aperta e faccia sorgere un ‘‘vinculum iuris’’, di cui la successiva di-
sposizione testamentaria costituisca l’adempimento’’.
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L’art. 458 c.c. vieta, oltre al patto successorio istitutivo, anche i ne-
gozi, unilaterali o bilaterali, mediante i quali il soggetto dispone o rinun-
zia ai diritti che gli potranno spettare su una altrui successione non an-
cora aperta (13).
Invero tali negozi hanno caratteristiche differenti dal patto succes-
(12) Cfr. Cass. civ. 12 febbraio 2010, n. 3345, in Diritto & Giustizia, 2010, dettata
in tema di società di capitali, secondo cui ‘‘Il decesso di un socio di una società a respon-
sabilità limitata può consentire all’altro di liquidare gli eredi comprando le quote della
compagine a un prezzo da determinare in base al bilancio e all’avviamento; non viola il
divieto di patti successori, infatti, la clausola statutaria della società di capitali che auto-
rizza il socio superstite a subentrare ai discendenti dell’ex partner d’impresa’’. Inoltre,
v. Cass. civ. 19 novembre 2009, n. 24450, in Diritto & Giustizia, 2009, con nota di Mi-
lizia, per cui ‘Configurano un patto successorio – per definizione non suscettibile di con-
versione in un testamento, ai sensi dell’art. 1424 c.c., in quanto in contrasto col principio
del nostro ordinamento secondo cui il testatore è libero di disporre dei propri beni fino al
momento della morte – sia le convenzioni aventi ad oggetto una vera istituzione di erede
rivestita della forma contrattuale, sia quelle che abbiano ad oggetto la costituzione, tra-
smissione o estinzione di diritti relativi ad una successione non ancora aperta’’. Nella fat-
tispecie posta al vaglio della Suprema Corte, la stessa ha riconosciuto la natura di patto
successorio e non di transazione – come erroneamente ritenuto dal giudice di merito –
alla scrittura privata con la quale una sorella aveva consentito al trasferimento in favore
dei fratelli della proprietà di immobili appartenenti al padre, a fronte dell’impegno, as-
sunto dai medesimi, di versarle una somma di denaro, da considerare, in relazione allo
specifico contesto, come una tacitazione dei suoi diritti di erede legittimario.
(13) Nella nozione di patto successorio cd. rinunziativo rientrano sia la rinunzia
unilaterale (strutturalmenta analoga a quella prevista dall’art. 519 c.c. con riferimento
alla successione già aperta), sia la cd. rinunzia contrattuale, vero e proprio patto con
il quale taluno rinunzia ai diritti che gli deriveranno da una successione non ancora
aperta. Sul punto, G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., p. 42; parte della dottrina,
N. Coviello, Delle successioni: parte generale, Napoli, 1935, p. 108 e M.V. De Gior-
gi, Patto successorio, in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, p. 545, ritiene inoltre che rien-
tri nel divieto in esame (con conseguente nullità dell’atto), anche la rinuncia posta in
essere nell’intento di perfezionare un patto successorio rinunziativo, ma nell’ignoranza
dell’avvenuta apertura della successione.
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(14) L. Ferri, Commentario del codice civile. Disposizioni generali sulle successioni
(Artt. 456-511), Bologna, 1997, p. 98.
(15) Ivi, p. 103.
(16) C.M. Bianca, Diritto civile, II – La famiglia. Le successioni, cit., p. 490.
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Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1952, pp. 320 ss.; A. Lepri, Sull’applica-
bilità dell’art. 1424 cod. civ. ai patti successori istitutivi, in Vita not., 1984, p. 835; C.M.
Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2000, p. 634; in giurisprudenza, Cass.
civ. 14 luglio 1983 n. 4827, massima su riportata. Contra, M. Vignale, Il patto succes-
sorio, la donatio mortis causa e la conversione del negozio illecito, in Dir e giur., 1962,
pp. 304 ss.; M.V. De Giorgi, I patti sulle successioni future, Napoli, 1976, pp. 104 ss.;
R. Sacco, Le invalidità, in Obbligazioni e contratti, in Tratt. Dir. priv. a cura di P. Re-
scigno, Torino, 1997, p. 570.
(21) G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., p. 30; M.V. De Giorgi, I patti sulle
successioni future, Napoli 1976, pp. 95 ss.; C. Giannattasio, Delle successioni. Dispo-
sizioni generali. Successioni legittime, in Commentario al codice civile, Torino, 1959, pp.
21 ss.; C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, Milano, 1952,
I, p. 412.
(22) In tal senso Cass. civ. 10 aprile 1964 n. 835 in Giust. civ., 1964, I, 1604 con
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nota di E. Ciaccio, Effetti del contratto di lavoro stipulato con promessa di adozione e di
istituzione di erede; Cass. civ. 22 maggio 1959 n. 1556; Cass. civ. 26 maggio 1953 n.
1959.
(23) Cass. civ. 3 novembre 1979 n. 5693; Cass. civ. 29 maggio 1972 n. 1702, in GI,
1973, I, 1, 1594 con nota di M.V. De Giorgi.
(24) Cfr. in tal senso: L. Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte, Na-
poli 1977, p. 398; G. Grosso-A. Burdese, Le successioni. Parte generale, cit., p. 95.
(25) Cass. civ. 9 maggio 2000 n. 5870, in Riv. Not. 2001, 227, con nota di F. Gaz-
zoni, Patti successori: conferma di un’erosione (massima su riportata).
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determinato modo, atteso che tale premessa verbale non crea alcun vin-
colo giuridico e non è quindi idonea a limitare la piena libertà del te-
statore’’ (26).
Il problema pertanto riguarda proprio i casi in cui si compia un atto
dispositivo di ragioni successorie in esecuzione del patto obbligatorio.
Secondo la tesi più rigorosa (27) qualsiasi acquisto che abbia titolo
in un patto successorio, o ne costituisca esecuzione, è nullo: in partico-
lare la nullità colpisce la disposizione testamentaria che pur presentan-
dosi esteriormente come atto unilaterale, sia adempimento di un impe-
gno negoziale preso dal testatore, essendo priva la disposizione del con-
notato essenziale della spontaneità.
Altra tesi, forse oggi prevalente, esclude la automatica estensione
della nullità all’atto esecutivo, dando rilevanza alla formazione della vo-
lontà.
Si distingue, a tal fine, tra i vari tipi di atti esecutivi, ed in partico-
lare, a seconda del patto a monte: istitutivo, dispositivo, rinunziativo.
Nel caso di patto obbligatorio istitutivi, secondo la dottrina più ri-
salente, l’atto esecutivo è viziato da errore di diritto sul motivo (art. 624
c.c.) e pertanto annullabile qualora il motivo risulti dal testamento e sia
determinativo della volontà. In sostanza, si riteneva che il testatore nel
caso di specie manifestasse una volontà condizionata dall’erroneo con-
vincimento di essere ‘‘vincolato’’ al patto (28).
In epoca più recente la dottrina invece ha affermato che ciò che vi-
zia la volontà del testatore non è tanto la erroneità, quanto la illiceità del
motivo: il proposito di rispettare l’impegno assunto con un patto suc-
cessorio contrario alla legge è appunto illecito e quindi sanzionabile (29).
La tesi dell’errore sui motivi si pone però, almeno in un caso: quan-
(26) Ibidem
(27) C.M. Bianca, Diritto Civile. II. La famiglia. Le successioni, cit., p. 491; L.
Ferri, Successioni in generale (Artt. 456-511), cit., p. 108.
(28) L. Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte, cit., p. 50.
(29) G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., p. 31, in cui si trovano riportate en-
trambe le tesi, sposate in tempi differenti dall’autore; L. Ferri, Successioni in generale
(Artt. 456-511), cit., p. 96; M.V. De Giorgi, I patti sulle successioni future, cit., p. 92.
Unico precedente giurisprudenziale: Cass. civ. 6 ottobre 1955 n. 2860.
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A ben vedere, la norma dell’art. 590 c.c. non può operare in mate-
ria di patti successori, e ciò non tanto per una pretesa violazione di un
principio di ordine pubblico o del buon costume, ma in quanto il patto
è comunque un ‘‘contratto’’ e non una disposizione testamentaria, per
cui non può estendersi ad esso l’eccezionale istituto della conferma (30).
La medesima conclusione può valere, nei casi di patti successori
obbligatori dispositivi e rinunziativi, anche per i relativi atti esecutivi,
che sono, come visto, atti negoziali tra vivi.
Al più la conferma potrebbe essere utilizzata per sanare le disposi-
zioni testamentarie formulate in esecuzione del patto successorio obbli-
gatorio istitutivo, le quali sono, come visto, secondo la dottrina autore-
vole e prevalente, non nulle ma annullabili (31).
(33) In tal senso C.M. Bianca, Diritto civile. II. La famiglia. Le successioni, cit., p.
492.
(34) R. Nicolò, Disposizione di beni mortis causa in forma ‘‘indiretta’’, in Riv. not.
1967, p. 645. In tal senso cfr. Cass. civ. 14 luglio 1983 n. 4827, massima su riportata.
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(35) Sul punto, U. Carnevali, Le donazioni, in Tratt. dir. priv. a cura di P. Re-
scigno, Torino, 1997, 552.
(36) Cosı̀, C.M. Bianca, Diritto civile. II. La famiglia. Le successioni, cit., p. 493.
(37) L. Ferri, Disposizioni generali sulle successioni, cit., pp. 109 ss.
(38) A. Torrente, Variazioni sul tema della donazione mortis causa, in Foro it.,
1959, I, 580.
(39) Su tali figure, cfr. su tutti: D. Cupini, A proposito dei patti successori e dona-
zioni con clausola ‘si praemoriar’, in Notariato, 2005, p. 639; A.A. Carrabba, Le do-
nazioni ‘mortis causa’, in Riv. not., 2006, pp. 1449 ss.
(40) C.M. Bianca, Diritto Civile. II. La famiglia. Le successioni, cit., p. 493.
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(41) Cass. civ. 6 marzo 1950 n. 576; Cass. civ. 24 aprile 1987 n. 4053, (massima su
riportata). Concordemente a dette pronunce, in dottrina, v. L. Cariota Ferrara, Le
successioni per causa di morte, Napoli, 1977, cit., p. 399; C.M. Bianca, op. loc. ult. cit..
(42) G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., p. 35;
(43) Cass. civ. 16 giugno 1966 n. 1547 in Giust. civ., 1967, I, 1351; Cass. civ. 9 lu-
glio 1976 n. 2619.
(44) A. Torrente, La donazione, in Tratt dir. civ. e comm. a cura di A. Cicu-F.
Messineo, Milano, 1956, 312 ss.; M.V. De Giorgi, I patti sulle successioni future, Na-
poli, 1976, 116 ss., Secondo questo orientamento, si ritiene ammissibile la validità di tali
fattispecie, sul presupposto che le donazioni cum moriar e si praemoriar non realizzereb-
bero donationes mortis causa, bensı̀ donazioni tra vivi delle quali hanno i classici requi-
siti dell’attualità e dello spoglio.
(45) G. Giampiccolo, Il contenuto atipico del testamento, Milano 1954, p. 46;
F.Scaglione, Successioni anomale e contratto di società, Napoli 1998, p. 60; F. Santo-
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ro Passarelli, Saggi di diritto civile, II, Napoli 1961, 849, 853, con particolare riferi-
mento alla donazione di usufrutto alla morte del donante con clausola cum praemoriar.
Nello stesso senso: F. Filomusi Guelfi, Diritto ereditario, Roma, 1909, 45 ss.; P. Me-
lucci, Il diritto di successione, Torino, 1910; F. Santoro Passarelli, Validità della
donazione d’usufrutto ‘‘cum praemoriar’’, in Foro it., 1950, I, 385; L. Cariota Ferra-
ra, Negozio giuridico, Napoli, 1946, 320; F. Maroi, Successioni e donazioni, in Com-
mentario al cod. civ. a cura di M. D’Amelio-E. Finzi, Siena, 1940, ed in giurispruden-
za, Cass. civ. 6 marzo 1950, n. 576, in Foro it., 1950, I, 385. Contro tale impostazione:
Manenti, Sul concetto di donazione, in Riv. Dir. civ., 1911, 328 ss.; N. Coviello, Del-
le successioni; parte generale, Napoli, 1935; A. Ascoli, Trattato delle donazioni, Mila-
no, 1935, 151; A. Cicu, Testamento, Milano, 1951, pp. 42-43.
(46) Cass. civ. 16 febbraio 1995 n. 1683, in Giust. civ., 1995, I, 1501, secondo cui
‘‘In tema di patti successori, per stabilire se una determinata pattuizione ricada sotto la
comminatoria di nullità di cui all’art. 458 c.c. occorre accertare: 1) se il vincolo giuridico
con essa creato abbia avuto la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o
estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta; 2) se la cosa o i diritti for-
manti oggetto della convenzione siano stati considerati dai contraenti come entità della
futura successione o debbono comunque essere compresi nella stessa; 3) se il promittente
abbia inteso provvedere in tutto o in parte della propria successione, privandosi, cosı̀ dello
ius poenitendi; 4) se l’acquirente abbia contrattato o stipulato come avente diritto alla suc-
cessione stessa; 5) se il convenuto trasferimento, dal promittente al promissario, debba
aver luogo mortis causa, ossia a titolo di eredità o di legato’’.
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(47) Cfr. Cass. civ. 6 ottobre 1962, n. 2850, secondo la quale ‘‘la clausola contenuta
in un contratto di donazione, con cui il donante dona tanta parte di un immobile quanto
basterà a raggiungere il valore della quota disponibile dell’intero suo patrimonio, è nulla
sia per la indeterminabilità dell’oggetto, fintanto che il donante rimanga in vita e non si
formi la massa ereditaria, sia per il divieto dei patti successori, trattandosi di disposizione
relativa a beni di una successione non ancora aperta’’.
(48) G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., p. 35.
(49) In tal senso v. G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., p. 56; F. Santoro
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Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, cit., p. 223; L. Cariota Ferrara, Le
successioni per causa di morte, cit., pp. 403 ss.; M.V. De Giorgi, I patti sulle successioni
future, cit., pp. 122 ss.; F. Magliulo, Il divieto del patto successorio istitutivo nella pra-
tica negoziale, in Vita not., 1992, cit., pp. 1430 ss.; C.M. Bianca, Diritto Civile. II. La
famiglia. Le successioni, cit., p. 496.
Di diversa opinione, v. su tutti, E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, cit.,
pp. 320 ss.; L. Ferri, Successioni in generale (Art. 456-511), cit., pp. 110 ss.
(50) In altri termini, ciò che distingue la figura dell’art. 1412 c.c., rispetto al con-
tratto a favore di terzo ex art. 1411 c.c. è la differibilità della esecuzione della presta-
zione in favore del terzo. La morte non è causa dell’attribuzione a favore del terzo,
ma è solamente il termine di adempimento della prestazione. Il diritto alla prestazione
stessa è acquistato per atto inter vivos da parte del terzo, già in vita dello stipulans. Se
cosı̀ non fosse, al terzo sarebbe precluso il trasferimento del suo diritto – in caso di pre-
morienza rispetto allo stipulans – in favore dei suoi eredi.
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(51) Il caso è riferito in R. Nicolò Disposizione di beni mortis causa in forma ‘‘in-
diretta’’, cit., p. 641. Altro caso analogo è stato risolto da Trib. Catania 5 marzo 1958 in
Banca, borsa e titoli di credito, 1961, II, 311, con nota di U. Majello.
(52) R. Nicolò, Disposizione di beni mortis causa in forma ‘‘indiretta’’, cit., p.
642. In tal senso anche Cass. civ. 17 agosto 1990 n. 8335 in Giust. civ., 1991, I, 953,
la quale afferma che ‘‘Il contratto, con cui una parte deposita presso un’altra una deter-
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il contratto ove esso fosse soltanto ‘‘con esecuzione successiva alla mor-
te’’ (art. 1412 c.c.). Come visto però la facoltà di richiedere la restituzio-
ne riservata al depositante dimostra che nessun diritto è stato ancora
attribuito al terzo: gli atti di prelievo, nel caso giurisprudenziale citato,
lungi dal potersi considerare espressivi di una facoltà di revoca di cui
all’art. 1412 c.c., dimostrano che in questo caso non c’è una attribuzio-
ne attuale, ma una attribuzione successiva alla morte con conservazione
del potere di disporre.
A favore della nullità si è pronunciata anche la giurisprudenza di
legittimità (53).
Può solo precisarsi al riguardo che al di là del profilo della revoca-
bilità, la cui rilevanza come visto non è unanimemente accolta, la pat-
tuizione in oggetto contiene in sé un momento traslativo destinato ad
operare alla morte del depositante, il che è caratteristica delle attribu-
zione a causa di morte e, pertanto, lo rende assimilabile ad un negozio
dispositivo della propria successione.
minata somma ed attribuisce ad un terzo, che prende parte all’atto, il diritto a pretenderne
la restituzione dopo la propria morte, non configura un contratto a favore di terzi, con ese-
cuzione dopo la morte dello stipulante, a norma dell’art. 1412 c.c., avendo il terzo assunto
la qualità di parte dell’atto e lo stipulante obbligandosi in suo diretto confronto a mante-
nere ferma la disposizione in suo favore, bensı̀ rientra nell’ambito di applicazione del di-
vieto dei patti successori sancito dall’art. 458 c.c., ed è perciò nulla, giacché dà luogo ad
una complessa convenzione costituita da un deposito irregolare e da una vietata donazione
mortis causa’’.
(53) Cfr. la sentenza citata nella nota precedente.
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(55) Favorevole alla ammissibilità anche Cass. civ. 16 luglio 1976 n. 2815.
(56) P. Spada, Problemi attuali delle società di persone, Padova 1989, pp. 73 ss.; F.
Tassinari, Clausole in funzione successoria negli statuti delle società di persone, in Giur.
Comm., 1995, I, pp. 945 ss.
(57) Cass. civ. 18 dicembre 1995 n. 12906, in Giust. civ. mass., 1995, 12: ‘‘La clau-
sola cosiddetta di continuazione automatica prevista nell’atto costitutivo di società in ac-
comandita semplice – in forza della quale gli eredi del socio accomandante defunto suben-
trano, per intero, nella posizione giuridica del loro dante causa entro la compagine sociale,
a prescindere da ogni loro manifestazione di volontà – non contrasta, né con la regola sta-
bilita dall’art. 2322, primo comma, c.c., che espressamente prevede la trasmissibilità per
causa di morte della quota di partecipazione del socio accomandante, né con l’art. 458
c.c., che con norma eccezionale non suscettibile di applicazione analogica, vieta i patti suc-
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cessori, per non essere essa riconducibile allo schema tipico del patto successorio’’. Nel me-
desimo senso C. App. Milano 30 marzo 1993, in Giur. it., 1993, I, 2, 352; Cass. civ. 16
luglio 1976 n. 2815, in Giust. civ., 1976, I, 1580; Cass. civ. 27 aprile 1968 n. 1711 che
ben ammette il costituirsi della comunione ereditaria sulla quota sociale per opera della
clausola di successione automatica.
(58) Non possono quindi condividersi le tesi sostenute autorevolmente da A. Ven-
ditti, L’erede del socio a responsabilità illimitata e la continuazione delle società, in Riv.
dir. comm., 1953, I, pp. 217; A. Graziani, Diritto delle società, Napoli, 1963, cit., pp.
217 ss.; G.F. Campobasso, Diritto commerciale, II, Padova, 1987, pp. 116 ss.
Nel senso, invece, che siffatte clausole contrasterebbero, sia coi principi del diritto
successorio, sia con quelli del diritto societario, v. su tutti, F. Ferrara-F. Corsi, Gli
imprenditori e le società, Milano, 1971, p. 324; L. Ferri, Successioni in generale (Art.
456-511), cit., p. 110.
(59) G. Auletta, Clausole di continuazione della società coll’erede del socio perso-
nalmente responsabile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1951, pp. 891 ss.
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resta aperto rispetto al principio del diritto commerciale per cui non si
può imporre l’assunzione della responsabilità illimitata senza il consen-
so del soggetto assuntore; come visto, il beneficio d’inventario non è un
rimedio sufficiente a limitare il risultato cui condurrebbe la clausola, né
sembra che la possibilità di rinunziare all’eredità possa essere una giu-
stificazione, in quanto non toglierebbe che, in astratto, l’accettazione
avrebbe quale risultato automaticamente connesso quello escluso dai
principi del nostro ordinamento, ossia il subentro automatico (60).
Va dato conto di un precedente giurisprudenziale, di non facile in-
terpretazione, e spesso foriero di equivoci, secondo cui la clausola di
continuazione sarebbe nulla solo ove comporti l’automatico acquisto
della qualità di amministratore da parte dell’erede (61). Tale pronuncia
è spesso citata a favore della validità della clausola di continuazione
automatica. A ben vedere, il caso di specie aveva ad oggetto una clau-
sola di continuazione facoltativa, tradizionalmente riconosciuta valida,
come visto, e come la Cassazione conferma, con la particolarità, ritenuta
inammissibile dalla S.C. per contrasto con i principi del diritto commer-
ciale in materia di funzione gestoria, che in caso di consenso si sarebbe
avuto l’acquisto automatico della carica amministrativa. Ciò che era
inammissibile era il fatto che si sarebbe avuta con tale clausola una de-
signazione alla carica amministrativa in incertam personam, in contrasto
con il necessario intuitus personae che caratterizza la partecipazione a
società di persone in genere e l’acquisto della qualità amministrativa
(60) Per l’invalidità, sia della clausola obbligatoria, sia che di quella automatica: F.
Tassinari, Clausole in funzione successoria negli statuti delle società di persone, cit., p.
949.
(61) Cass. civ. 4 marzo 1993 n. 2632 in Giur. Comm., 1995, II, 367 con nota di G.
Verdirame: ‘‘E` invalida la clausola ‘‘di continuazione’’, con la quale i soci di società in
accomandita semplice, nell’atto costitutivo, in deroga all’art. 2284 c.c. prevedono l’automa-
tica trasmissibilità all’erede del socio accomandatario defunto, di cui non sia certa l’identità,
unitamente alla predetta qualità di socio, anche del ‘‘munus’’ di amministratore, tenendo
conto che tale designazione ‘‘in incertam personam’’ coinvolge la stessa struttura societaria,
e che la funzione amministrativa, strettamente strumentale al perseguimento del fine sociale,
non può essere affidata ad un soggetto che, al momento in cui è posto in essere il negozio
societario, resti indeterminabile, ovvero sia individuabile con criteri d’indifferenza rispetto
alle sorti della società e allo scopo che i soci intendono raggiungere’’.
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(62) Su questa tematica v. V.M. De Giorgi, I patti sulle successioni future, cit., 446
ss.; G. Baralis, Le clausole di consolidazione in caso di morte di un socio nelle società
personali; le clausole di continuazione pure e semplici e quelle con liquidazione del mero
capitale; problemi di validità, in Quaderni di Vita notarile, n. 2, 1982, 207 ss.; Boero,
Società di capitali e successione ‘mortis causa’, in ‘Quaderni di Vita notarile’, n. 2, 1982,
148 ss.; Rivolta, Clausole societarie e predisposizione successoria, cit., 1202; M. D’Au-
ria, Clausole di consolidazione societaria e patti successori, in Riv. not. 2003, 657.
(63) La dottrina è sostanzialmente concorde nel riconoscere la validità di siffatta
distinzione: su tutti, v. C.M. Bianca, Diritto civile, II, La famiglia. Le successioni,
cit., 423; G.C.M. Rivolta, Clausola di consolidazione e predisposizione successoria,
cit., 1202, il quale tra l’altro comprende fra le clausole di consolidazione cd. pure –
e come tali, nulle per contrasto con il divieto dei patti successori – anche quelle che
prevedono a favore degli eredi del socio defunto un’attribuzione patrimoniale equiva-
lente non al valore reale, ma al mero valore nominale della partecipazione del de cuius
al momento dell’apertura della successione.
In giurisprudenza sono plurime le pronunce della Cassazione con riferimento alla
distinzione in commento: Cass. civ. 9 aprile 1947, n. 526; Cass. civ. 21 aprile 1949, n.
973; Cass. civ. 17 marzo 1951, n. 685; Cass. civ. 16 aprile 1975, n. 1434; Cfr. anche, nel
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merito, Trib. Vercelli, 19 novembre 1992, in Giur. it., 1993, I, 2, 489, secondo cui ‘‘La
clausola di consolidazione, senza attribuzioni agli eredi del socio defunto o con liquidazio-
ne della sola quota di capitale, è nulla per contrarietà al divieto di pattuizioni continuate,
salvo che emergano particolari ragioni che giustifichino l’accrescimento o non sussista un
divario eccessivo tra il valore della quota di capitale e quello della quota di patrimonio’’, e,
conformemente, App. Torino, 10 novembre 1993, in Giur. it., 1994, I, 2, 766.
(64) Cfr. C.M. Bianca, Diritto civile. II. La famiglia. Le successioni, cit., p. 499 e la
giurisprudenza di cui alla nota successiva.
(65) Cass. civ. 9 aprile 1947 n. 526; Cass. civ. 21 aprile 1949 n. 973. In particolare,
Cass. civ. 16 aprile 1975 n. 1434 cosı̀ recita: ‘‘Se si conviene che i soci superstiti acquisi-
scano le quota del socio defunto senza dover corrisponderne il valore, si ricade nel divieto
dei patti successori in quanto si viene a far beneficiare i soci superstiti di un diritto succes-
sorio quale è appunto il diritto alla liquidazione della quota’’. Detta importante pronun-
cia, ha peraltro considerato valida la clausola che prevedeva a favore dei soci superstiti il
diritto di acquistare la partecipazione del socio defunto dai suoi eredi, entro un certo
termine dalla morte, e per un valore determinato o determinabile in base ad indici pre-
stabiliti.
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(66) Cass. civ. 16 aprile 1994 n. 3609, in Società, 1994 n. 1185, con nota di R. Ca-
ravaglios, secondo cui ‘‘La clausola statutaria che attribuisce ai soci superstiti di una
società di capitali, in caso di morte di uno di essi, il diritto di acquistare – entro un deter-
minato periodo di tempo e secondo un valore da determinarsi secondo criteri prestabiliti –
dagli eredi del de cuius le azioni già appartenute a quest’ultimo e pervenute iure succes-
sionis agli eredi medesimi, non viola il divieto di patti successori di cui all’art. 458 c.c., in
quanto il vincolo che ne deriva a carico reciprocamente dei soci è destinato a produrre ef-
fetti solo dopo il verificarsi della vicenda successoria e dopo il trasferimento (per legge o
per testamento) delle azioni agli eredi, con la conseguenza che la morte di uno dei soci
costituisce soltanto il momento a decorrere dal quale può essere esercitata l’opzione per
l’acquisto suddetta, senza che ne risulti incisa la disciplina legale della delazione ereditaria
o che si configurino gli estremi di un patto di consolidazione delle azioni fra soci, caratte-
rizzandosi, invece, la clausola soltanto come atto inter vivos, non contrastante, in quanto
tale, neanche con la norma dell’art. 2355, comma 3 c.c., che legittima disposizioni statu-
tarie intese a sottoporre a particolari condizioni l’alienazione di azioni nominative.’’
(67) Cass. civ. 18 agosto 1986 n. 5079, in Giust. civ. mass., 1986, fasc. 8-9: ‘‘Confi-
gura un patto successorio vietato dall’art. 458 c.c. l’atto con il quale due soggetti comprino
in comune la proprietà di un immobile, contestualmente pattuendo che la quota ideale di
comproprietà di ciascuno acquistata debba successivamente pervenire a chi di essi soprav-
viva, in quanto quest’ultimo acquista l’altra quota non dall’originario venditore che l’ave-
va già alienata al soggetto premorto, ma direttamente dal medesimo, al di fuori delle pre-
scritte forme di successione mortis causa’’.