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La società ebraica

al tempo di gesù

LE ABITAZIONI
• I ricchi avevano abitazioni simili
alle “domus” romane ovvero
rettangolari, con le finestre che
davano sul cortile interno, che
poteva essere anche dotato di
giardino o vasche d’acqua.
• La stragrande maggioranza della
popolazione viveva, invece, in un
piccolo cubo di pietra o di
mattoni ampliabile sul davanti o
sui lati da verande fatte con
tendami di stoffa o da pergolati.
• All’interno vi era una prima parte, più bassa,
che fungeva da stalla e una parte rialzata in
muratura o tramite un soppalco di legno
che era il luogo dove si cucinava e anche si
dormiva, spesso tutti insieme, stendendo
una tappeto sopra uno strato di paglia. Il
tetto era in realtà una specie di terrazza,
fatta di pali di legno e di frasche; nelle notti
più calde era conveniente dormire sul tetto.
I pasti venivano perlopiù consumati sul
tavolo posto all’esterno, sotto il pergolato o
la tenda. L’igiene era scarso e la privacy non
esisteva.
• Spesso non vi erano i serramenti, ma delle
semplici tende per limitare l’ingresso della
polvere; la sera, prima di coricarsi, la porta
veniva sbarrate con tavole, mobili e quanto
altro si aveva a disposizione.
L’ABBIGLIAMENTO:Era costituito da due capi
d’abbigliamento: la tunica e il mantello,
entrambi di lana, lavorati a maglia o al telaio
dalle donne. Il mantello poteva essere con le
maniche oppure avere la forma di una coperta.
Sia gli uomini che le donne si coprivano la testa
con una specie di piccolo scialle di lana. Ai piedi
si calzavano dei sandali di cuoio, ma era un
privilegio degli adulti e dei padroni, i bambini e
i servi normalmente andavano scalzi.
I MEZZI DI TRASPORTO: ci si muoveva a piedi,
era normale percorrere anche 40 km al giorno.
Assai diffusi erano gli asini, che però di solito
erano così carichi di bagaglio che al massimo
potevano trasportare un bambino. Se l’asino era
scarico era l’uomo che ci si accomodava, la
donna, anche se in stato interessante, sarebbe
andata a piedi. Le persone più ricche potevano
disporre del cammello, molto più resistente e
costoso dell’asino.
La lingua parlata e gli stranieri

Al tempo di Gesù in Palestina la lingua parlata era l’aramaico antico. L’ebraico


era un po’ come per noi oggi il latino, una lingua che bisognava conoscere per
poter leggere la Bibbia e gli scritti antichi, ma che non veniva più usata.
Molti ebrei risiedevano fuori dalla Palestina, soprattutto in Siria, in Egitto, in
Mesopotamia e nell’attuale Turchia. Questi ebrei non parlavano l’aramaico
ma la lingua del loro paese: molto usato era anche il greco, che aveva la
funzione equivalente all’inglese oggi, ovvero di lingua internazionale. Questi
ebrei erano emigrati per gli stessi motivi per cui si emigra oggi: guerra,
povertà, ricerca di lavoro; quando potevano si recavano in pellegrinaggio al
tempio di Jhaweh a Gerusalemme, ove, non erano visti come estranei, i veri
stranieri erano i pagani, cioè le persone di altra religione, quindi politeisti;
al limite anche gli ebrei eretici, come per esempio i Samaritani.
Le regole di purità
La religione ebraica distingue tra ciò che è puro, cioè che ti aiuta a conseguire
la “shalom” (che vuol dire non solo pace ma anche felicità e benessere), e ciò
che è impuro, che ti allontana da dio e ti porta a soffrire.
Proprio nella Bibbia, nel libri del Levitico e del Deuteronomio, si dice che il
contatto con i cadaveri o con i malati, il mangiare certi cibi, l’entrare in casa dei
pagani o toccare i peccatori, renda impuri, e prescrive tutta una serie di
regole di purificazione, basate sul lavarsi con acqua, evitare il contatto con
altre persona per un certo periodo di tempo, fare delle offerte a dio o il
sacrificio di un animale.
Al tempo di Gesù tutte queste regole spesso portavano all’isolamento e alla
emarginazione di intere categorie di persone, come i malati, in particolar
modo i lebbrosi, e i gli invalidi, come ciechi, storpi e sordomuti.
Gesù spesso non rispetta queste regole, tocca i malati e i disabili per guarirli,
ma anche afferma che non bisogna preoccuparsi delle cose che dall’esterno
possono contaminare l’uomo, ma che è dal cuore che nascono i pensieri
cattivi; con ciò deve aver suscitato grande scandalo tra gli ebrei più osservanti.
La condizione della donna
• La società ebraica al tempo di Gesù, come più o meno in tutti i
popoli antichi, era molto improntata al maschilismo, le donne
erano considerate una proprietà dell’uomo, prima del padre e poi
del marito. Inoltre la donna non ereditava dal marito, ne la figlia dal
padre.
• Il trattato Ketubot del Talmud dice in proposito: “Questi sono i lavori
che una donna deve fare per il marito: macinare (la farina) e
cuocere (il pane), lavare (i panni) e cucinare, allattare i bimbi,
rifargli il letto e lavorare la lana. Se ha portato con sé una serva non
macina né cuoce il pane, né lava”. Si intuisce che le donne delle
famiglie benestanti fossero meno gravate dal lavoro domestico ma
a tutti gli effetti rinchiuse all’interno della casa, mentre le donne di
estrazione popolare dovessero faticare in casa e nei campi, ma
potessero allontanarsi per attingere acqua alla fontana, recarsi al
mercato per vendere i loro manufatti e addirittura partecipare a
feste popolari.
• Le situazioni di maggior ingiustizia nascevano
dalle consuetudini sul matrimonio, dove era
consentita la poligamia (un uomo potava avere
più mogli); il ripudio (l’equivalente del nostro
divorzio) era prerogativa solo degli uomini, le
donne, anche quando avessero sposato un
uomo infedele e violento, non avevano la
possibilità di separarsi. Quando un uomo
ripudiava una donna, essa doveva tornare da
suo padre in una condizione di disonore, per cui
era difficile che potesse risposarsi, inoltre
perdeva ogni diritto sui figli il cui affidamento
andava sempre al marito o alla sua famiglia.

Anche la fedeltà coniugale era a senso unico: la


donna (essendo proprietà del marito) in caso di
adulterio (ovvero se aveva un’amante) secondo
la legge di Mosè, doveva essere condannata a
morte per lapidazione, l’uomo, invece,
solitamente, se la cavava pagando una somma
di denaro.
Le vedove e la regola del levirato
Per proteggere le vedove da questa
Altra situazione di grave ingiustizia situazione, e per assicurare una
veniva praticata nei confronti delle discendenza al defunto, la legge di Mosè
vedove, che, se non avevano avuto prevedeva la regola del Levirato (da
figli maschi, erano escluse dai beni levir=cognato): quando una donna
del coniuge, spesso venivano rimaneva vedova senza figli avrebbe
cacciate via dai parenti del marito e dovuto sposarla uno dei fratelli del primo
ridotte a vivere di elemosina. marito (partendo dal più anziano), il primo
figlio nato da questo secondo matrimonio
prendeva il nome del defunto.
Al tempo di Gesù, a causa della diffusa
condizione di povertà, il Levirato era poco
praticato e spesso le vedove venivano
cacciate di casa, restando sole e indifese.
Il matrimonio
• Il matrimonio ebraico, al tempo di Gesù,
avveniva in due tappe, prima vi era la promessa
di matrimonio: il padre del futuro sposo si recava
dal padre della futura sposa e contrattava una
somma di denaro (mohar) da versargli, ma non è
che comprasse la sposa, questa somma era intesa
come risarcimento della forza lavoro che gli
sarebbe stata sottratta: quando si sposavano le
ragazze lasciavano la casa paterna e si
trasferivano nella casa del marito, che molto
spesso era la casa del padre e dei fratelli del
marito.
• Il matrimonio vero e proprio avveniva dopo uno
o due anni, ed era una grande festa che poteva
durare anche più giorni, spesso accompagnata da
musica e danze, molto importante era
l’abbondanza del cibo e del vino.

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