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ASPASIA

ASPASIA
Aspasia di Mileto, comunemente nota come Aspasia(470 a.C. circa – 400 a.C.
circa), fu amante e compagna del politico ateniese Pericle, da cui ebbe un figlio,
Pericle il Giovane, anche se non sono noti i dettagli completi del loro stato coniugale.
originaria di Mileto, prese parte alla vita pubblica di Atene nell'età classica. Secondo
Plutarco la sua casa divenne un centro intellettuale al punto da attrarre i più noti
scrittori e pensatori, tra i quali Socrate che, a sua volta, si ipotizza sarebbe stato
influenzato dagli insegnamenti di Aspasia. Essa è menzionata negli scritti di Platone,
Aristofane, Senofonte e altri.
Sebbene abbia trascorso la maggior parte della sua vita da adulta in Grecia, si
conoscono a pieno pochi dettagli della sua vita. Qualche studioso ipotizza che
Aspasia fosse una custode di bordello e un'etera. Il ruolo storico di Aspasia fornisce
intuizioni essenziali per la comprensione delle donne nell'antica Grecia. Si conosce
davvero poco delle donne del suo tempo.
Premessa (sulle donne greche)
Per poter chiarire quale fosse il ruolo della donna nell’antica Grecia bisogna fare una
breve digressione per spiegare com'era nata e si era sviluppata quella società.
tra il 1200 e l’ 800 a.C. popoli diversi - Ioni, Dori e Achei - migrarono verso le terre
che oggi chiamiamo penisola greca; essi fusero le loro culture attraverso matrimoni
misti e formarono un popolo unico che parlava la stessa lingua, aveva gli stessi dei e
usava un alfabeto ereditato dai Fenici.
Tuttavia, per la natura del territorio, gli agglomerati urbani si svilupparono in modo
indipendente l’uno dall’altro: nacquero così le pòleis vere e proprie città-stato i cui
confini erano tracciati dalle aspre montagne e dai letti dei fiumi.
In greco pòlis significa città sia in senso materiale - un insieme di edifici e strade - sia
per indicare una forma di governo: la polis è la “città dei cittadini”, tutti uguali con
diritto di riunirsi in assemblea e approvare le leggi a maggioranza.
Nella polis, come ho detto prima, tutti i cittadini erano uguali e avevano diritto di voto,
ma, attenzione: non tutti gli abitanti erano cittadini.
Per avere il diritto di cittadinanza occorrevano ben quattro condizioni: essere maschi,
essere liberi (quindi gli schiavi ovviamente non potevano essere cittadini), essere
proprietari di terra e potersi armare a proprie spese.
invece la donna greca era equiparata ad un minorenne che non avrebbe mai
raggiunto la maggiore età, priva di diritti civili e di voce per dissentire.
Se gli altri esclusi potevano sperare di modificare il proprio stato sociale ed entrare
nel numero dei cittadini a pieno titolo, per le donne ciò era impossibile, essendo
un’esclusione legata al genere e quindi immutabile per tutta la vita.
La donna greca: la moglie e la concubina
le donne di cui parleremo provenivano da famiglie agiate e benestanti. Per loro
furono scritte leggi, regole e doveri dai legislatori più famosi della storia ( tutti uomini
ovviamente). Il popolino e i poveri avevano problemi ben diversi, relativi alla
sopravvivenza e le loro donne lavoravano nei campi o nelle strade: poco importava
del loro ruolo nella società greca, uomini o donne che fossero.
Quanto verrà detto riguarda cronologicamente un periodo e una città precisa: l’Atene
del V secolo, per intenderci quella dotata della Costituzione più antica e dei pensatori
e legislatori della levatura di Aristotele e Solone.
Ciò non di meno non si deve pensare che le condizioni femminili in altre poleis
(tranne Sparta ) fossero molto diverse, soltanto abbiamo meno tracce scritte e
resoconti che le riguardano.
La moglie e la concubina nella Grecia classica non erano due figure così distanti;
entrambe avevano stabile rapporto con un uomo (lo stesso) il che le rendeva più
sicure del loro status rispetto alle prostitute ed alle etère .
Partendo dal presupposto che le donne in Grecia erano educate all’inferiorità ed
avevano fatto della sottomissione un’abitudine ed un’attitudine, il loro “padrone” era
prima il padre e poi, una volta sposate, il marito. Se questi venivano a mancare
occorreva nominare un tutore, quindi la loro vita trascorreva tutta subordinata ad un
uomo.
Anche il rapporto matrimoniale non si svolgeva certo su un piano di parità, l’età in cui
la donna veniva data in moglie era tra i 12 ed i 15 anni e il marito non se lo sceglieva
di suo gusto.
Era il tutore della ragazza – padre o nonno o tutore legale - nel momento giusto, a
scegliere il marito, decidendo per lei e senza che il consenso dell’interessata fosse
necessario. Tenendo presente che Aristotele consigliava agli uomini di non sposarsi
prima dei 37 anni ed Esiodo verso i 30. Se le donne sposate vivevano perennemente
chiuse in casa e potevano uscire solo in caso di funerali e feste religiose importanti,le
giovani avevano molti più limiti rispetto le donne adulte.
Neanche i parenti di sesso maschile dovevano parlare con loro o vederle, non
uscivano e non avevano contatti con uomini o ragazzi, il luogo in cui vivevano si
chiamava gineceo (dal greco gynè – donna e oikos casa) ed era per lo più situato
nella zona più interna della casa; comunque nettamente separato dall’appartamento
degli uomini. La pelle di una donna doveva essere candida e lo era di sicuro, visto
che difficilmente i raggi del sole la raggiungevano. Nella ceramica greca infatti la
donna e l’uomo sono rappresentati di colore diverso, più scuro l’uomo e molto più
chiara la donna.
Le donne, non studiavano (qualche volta erano le madri o qualche serva che
insegnavano loro a leggere e scrivere), ma dovevano apprendere esclusivamente a
svolgere i lavori domestici, a filare, a tessere e cucinare.
Tuttavia il compito più importante di una donna sposata, oltre a comandare sugli
schiavi e sovrintendere alla casa, era fare figli, legittimi e maschi possibilmente -
almeno uno - per assicurare il futuro della stirpe familiare e per il culto dei defunti,
compito delegato per l’appunto al figlio maschio.
A quello doveva servire la moglie, solo ed unicamente a quello, infatti le fanciulle
morte prematuramente venivano piante per non aver potuto procreare, non per loro
stesse.
Anche i rapporti sessuali con la moglie dovevano essere volti esclusivamente alla
“riproduzione”, pertanto, il sentimento ed il sesso non erano propri del “sacro istituto
del matrimonio”, ma venivano riservati alla concubine, alle prostitute o alle etère.
Con la moglie il marito normalmente non pranzava e non chiacchierava a lungo,
perché viveva fuori casa preso dalle faccende della polis o dagli affari. Se invitato a
casa d’altri il marito non portava con sé la moglie e se invitava a casa sua gli amici, la
moglie non poteva partecipare al banchetto, ma tutt’al più sovrintendere alla
preparazione e al servizio a tavola.
Peggio della moglie dal punto di vista legale stava la concubina (pallakè).
Normalmente era una straniera e la sua presenza era tollerata all'interno delle pareti
domestiche. Costituiva un doppione della moglie: stessi doveri e ancor meno diritti,
poteva essere scacciata ed i figli nati dal rapporto erano esclusi dall'eredità. Tuttavia,
l’uomo greco aveva con la concubina scelta un rapporto affettivo o, quanto meno,
sentiva per lei un’ attrattiva materiale molto più intensa in confronto a quello che
provava verso la moglie.
Le etère
L’etèra (etàira vuol dire compagna) non era una prostituta, sebbene la prostituzione
facesse parte del “bagaglio culturale” dell’uomo greco: la prostituzione era legale e
moralmente accettabile.
Erano molte le donne prigioniere che venivano vendute all’asta per essere poi messe
a lavorare nei bordelli. A seconda dell’età, dell’aspetto, della personalità, ma anche
del talento personale (e della fortuna), esse potevano diventare prostitute di diverso
tipo.

l’etèra era colta e accompagnava l'uomo nella vita sociale pur essendo anche lei a
pagamento. Il prezzo di una di queste donne si aggirava intorno alle due dracme
(una dracma era uguale a sei oboli) solo per l’ intrattenimento serale: più di quanto
guadagnava un lavoratore maschio specializzato per un giorno intero di lavoro.
C’erano poi degli “extra” per le prestazioni sessuali.
Le etère lavoravano tutto il tempo: durante il giorno ricevevano gli uomini nella
propria casa, mentre la sera partecipavano ai banchetti, convegni maschili, da cui
erano rigorosamente escluse mogli e figlie.
Durante questi banchetti detti simposi ( sun, con, insieme; pinèin, bere) si mangiava
e si beveva all’insegna del massimo godimento di spirito e corpo. Il simposio, che in
certi casi iniziava come convegno letterario o filosofico riservato a pochi eletti. L’etèra
in certi casi, grazie a fortuna, intelligenza, cultura e abilità, riusciva ad uscirne sempre
in modo elegante e garbato.Essere un’ etèra era l’unica condizione femminile nella
Grecia classica che consentisse alla donna di essere proprietaria del proprio corpo:
era lei l’unica donna greca veramente libera.
Si trattava di ragazze spesso figlie di stranieri, che avevano trovato un modo assai
redditizio di vivere, intrecciando relazioni con uomini benestanti i quali, in cambio, le
mantenevano e facevano loro generosi doni. A dispetto del clima di riprovazione
sociale che le attorniava ;le etère erano donne colte, raffinate, intelligenti, che
avevano viaggiato, pertanto risultavano assai affascinanti nell'ambiente dell'élite.
Qualcuno le ha accomunate alle attuali escort, ma non è corretto poiché le etère,
oltre ad essere molto belle dovevano avere molte altre qualità: erano colte,
conoscevano la musica, il canto e la danza; affascinavano anche per la loro capacità
di eloquio, essendo amabili ed abili conversatrici, virtù indispensabile per
accompagnare gli uomini ai banchetti, dove né le mogli né le concubine erano
ammesse.
Queste donne erano capaci di conquistare i personaggi più in vista, regnanti e uomini
di governo ricchi e potenti, erano circondate dal desiderio e dalla passione amorosa
di numerosi uomini, di cui appagavano gli egoismi e le sregolatezze, ma che
suscitavano in essi anche un senso di ambiguo timore per la pericolosità di questi
amori non socialmente regolati. Solamente le etère, tra tutte le donne, nell’antica
Grecia, avevano il diritto di amministrare i propri capitali spesso molto “importanti”
.D’altro lato erano anche le uniche donne che potevano subire un processo, non solo
perché attraverso loro si cercava di colpire l’amante, ma anche perché le altre
categorie di donne greche di nascita “libera”, essendo segregate dalla vita pubblica
ed escluse da ogni diritto civile e politico, erano ritenute prive persino della capacità
processuale.
Primi anni
Aspasia nacque nella città ionia di Mileto (nell'odierna provincia di Aydın, in Turchia).
Si sa poco della sua famiglia, tranne che il nome di suo padre fosse Assioco inoltre
l'eccellente istruzione che ricevette e lo stesso patronimico evidenziano la sua
appartenenza ad una famiglia benestante. Non si sa in quali circostanze fece il suo
primo viaggio verso Atene. La scoperta di un'iscrizione su una tomba del IV secolo
a.C., che riporta i nomi di Assioco e Aspasio, ha indotto lo storico Peter K. Bicknell a
tentare una ricostruzione degli antefatti famigliari di Aspasia e le connessioni con
Atene. La sua teoria la collega ad Alcibiade II di Scambonide (nonno del famoso
Alcibiade), che fu ostracizzato da Atene nel 460 a.C. e potrebbe aver trascorso il suo
esilio a Mileto.Bicknell ipotizza che, dopo il suo esilio, l'anziano Alcibiade sia andato a
Mileto, dove avrebbe sposato la figlia di un certo Assioco. Alcibiade, a quanto pare,
sarebbe tornato ad Atene nella primavera del 450 a.C. con la sua nuova moglie e la
sorella minore, Aspasia. Bicknell sostiene che il primo figlio di questo matrimonio si
chiamasse Assioco (zio del famoso Alcibiade), e il secondo Aspasio. Egli ritiene
inoltre che Pericle abbia incontrato Aspasia attraverso i suoi stretti legami con la
famiglia di Alcibiade.
Mentre era ad Atene, Aspasia entrò a far parte della cerchia intellettuale di Pericle,
dove ebbe contatti con i suoi più stretti collaboratori, tra i quali lo scultore e architetto
Fidia e il filosofo Anassagora.
Vita ad Atene
Secondo contestate dichiarazioni di scrittori antichi e di alcuni studiosi moderni,
Aspasia divenne un'etera e probabilmente gestiva un bordello. Divenne l'amante del
politico Pericle nei primi anni del 440 a.C. Dopo che egli divorziò dalla sua prima
moglie (circa 445 a.C.), Aspasia cominciò a vivere con lui, anche se il loro stato
coniugale rimane discusso. Plutarco riferisce che Pericle, «presa con sé Aspasia,
l'amò con una tenerezza straordinaria»e «la baciava appassionatamente ogni volta
che usciva di casa per occuparsi degli affari pubblici».Il loro figlio Pericle il Giovane
dovrebbe essere nato intorno al 440 a.C. Aspasia doveva essere abbastanza
giovane, dato che nel 428 a.C. dovrebbe aver partorito il figlio di Lisicle. Aspasia era
considerata una madre tirannica in quanto impediva al figlio Pericle di esprimere il
«coraggio dell'uomo democratico e amante della sua città che tanto stava a cuore a
suo padre quando era in vita e pronunziava il suo discorso funebre».
Nei circoli sociali, Aspasia era notata soprattutto come un'abile conversatrice e
consigliera piuttosto che come un semplice oggetto di bellezza fisica. Plutarco scrive
che nonostante la sua vita immorale, gli amici di Socrate portavano le loro mogli a
sentire le conversazioni di Aspasia.
Attacchi personali e giudiziari
Sebbene fossero influenti, Pericle, Aspasia e i loro amici non furono immuni da
attacchi. La preminenza nell'Atene democratica, infatti, non equivaleva al dominio
assoluto. Il suo rapporto con Pericle e le conseguenti influenze politiche, suscitarono
molte reazioni. Le accuse a cui Aspasia fu sottoposta erano finalizzate a coprirla
d'infamia, ma l'obiettivo principale era evidentemente quello di indebolire il potere
politico di Pericle. Donald Kagan, uno storico di Yale, ritiene che Aspasia fosse
particolarmente impopolare negli anni immediatamente successivi alla guerra di
Samo.
Nell'anno 440 a.C. Samo era in guerra con Mileto su Priene, un'antica città ionia ai
piedi del monte Micale. Sconfitti nella guerra, i Milesi si recarono ad Atene per
presentare la loro causa contro i Sami. Quando gli ateniesi ordinarono alle due
fazioni di fermare il conflitto e sottoporsi all'arbitrio di Atene, i Sami rifiutarono. Di
conseguenza, Pericle emanò un decreto inviando una spedizione a Samo. La
campagna si rivelò difficile e gli ateniesi dovettero sopportare gravi perdite prima
della sconfitta di Samo. Secondo Plutarco, si pensava che Aspasia, che era
originaria di Mileto, fosse responsabile della guerra di Samo e che Pericle, per
compiacerla, avesse deciso di schierarsi contro e attaccare Samo.
Secondo alcuni racconti successivi, prima che scoppiasse la guerra del Peloponneso
(431 a.C.-404 a.C.), Pericle, alcuni dei suoi più stretti collaboratori (tra cui il filosofo
Anassagora e lo scultore Fidia) e Aspasia affrontarono una serie di attacchi personali
e legali. Aspasia, in particolare, fu accusata di corrompere le donne di Atene al fine di
soddisfare le perversioni di Pericle. Secondo Plutarco, fu querelata dal poeta comico
Ermippo e messa sotto processo per empietà e lenocinio (induzione a scopo di lucro
alla prostituzione).Escludendo il fatto che Aspasia avesse praticato il lenocinio per
questioni economiche, si potrebbe supporre che l'unica motivazione di questa attività
illecita sia stata quella di ottenere informazioni personali sugli amanti che
frequentavano le sue cortigiane. L'accusata, oltre a essere donna e quindi non
potersi presentare da sola in giudizio, era anche straniera ed etera. Per questi motivi
e in quanto fu chiamato direttamente in causa dalle accuse sulle sue abitudini
sessuali, Pericle si preoccupò di difendere lui stesso Aspasia e, con l'abilità oratoria
appresa proprio da lei, riuscì ad assolverla. Da quello che riportano le fonti, Pericle
non avrebbe convinto i giudici solo con il suo discorso, ma li avrebbe addirittura
impietositi versando lacrime. Secondo le testimonianze, per difendersi dalle accuse i
cittadini facevano ricorso alla "mozione degli affetti" suscitando pietà nei giudici.La
natura storica dei resoconti su questi eventi è contestata, e sembra che nessun
danno le sia stato recato come conseguenza.
Plutarco, pur sostenendo di non conoscere come siano andati veramente i fatti,
riporta che il processo a cui fu sottoposta Aspasia avrebbe potuto mettere in
discussione la leadership di Pericle, così, per distogliere l'opinione pubblica dai suoi
affari personali, lo stratego avrebbe dato inizio alla guerra del Peloponneso.
Aristofane(un commediografo greco antico), nella sua opera Gli acarnesi, incolpa
Aspasia per aver causato la guerra del Peloponneso. Egli sostiene che il decreto di
Megara di Pericle, che escludeva Megara dal commercio con Atene o i suoi alleati, fu
una rappresaglia nei confronti dei Megaresi per le prostitute rapite dalla casa di
Aspasia. Il ritratto che Aristofane fa di Aspasia, come responsabile per motivi
personali dello scoppio della guerra con Sparta, potrebbe riflettere il ricordo del
precedente episodio che coinvolse Mileto e Samo. Plutarco riporta anche gli scherni
di altri poeti comici, come Eupoli e Cratino.Secondo Podlecki, Duride sembra aver
proposto l'idea che Aspasia avesse istigato sia la guerra di Samo che quella del
Peloponneso.
Aspasia è stata rappresentata come la nuova "Onfale"(personaggio della mitologia
greca. Fu una regina della Lidia), "Deianira”(un personaggio della mitologia greca. Fu
una principessa di Calidone),"Era" e "Elena". Platone e altri poeti comici
rappresentano Pericle come libertino e schiavo della lussuria e della etera Aspasia. Il
mito di Aspasia si diffuse in Asia Minore fino all'età imperiale; letterati e artisti lo
usarono per rappresentare un allarmante avvento delle donne in politica che
preannunciava una minacciosa ginecocrazia(Presunto stadio della società primitiva,
in cui la donna avrebbe goduto di un assoluto predominio nella vita sociale e politica
della comunità.)
Ulteriori attacchi alla relazione tra Pericle e Aspasia sono riportati da Ateneo.Anche il
figlio di Pericle, Santippo, che aveva ambizioni politiche, non ha esitato a ridicolizzare
il padre per le sue discussioni domestiche e con i sofisti.
Ultimi anni e morte
Nel 429 a.C. durante la peste di Atene, Pericle assistette alla morte di sua sorella e di
entrambi i suoi figli legittimi, Paralo e Santippo, avuti dalla sua prima moglie. Con il
morale a pezzi scoppiò in lacrime, e neanche la compagnia di Aspasia lo poté
confortare. Poco prima della sua morte, commossi dalle vicende drammatiche subite
dal loro uomo politico più eminente, gli Ateniesi concessero un cambiamento della
legge di cittadinanza del 451 a.C. che permise di diventare cittadino al figlio avuto
con Aspasia, e di legittimare lei, evitando così l'estinzione del suo nome e della sua
stirpe per mancanza di eredi; questa fu una decisione alquanto sorprendente,
considerando che fu Pericle stesso a proporre la legge che restringeva la
cittadinanza solo a coloro che avevano entrambi i genitori ateniesi. Pericle morì di
peste nell'autunno del 429 a.C.
Plutarco cita Eschine Socratico, che scrisse un dialogo su Aspasia (oggi perduto)
secondo il quale, dopo la morte di Pericle, Aspasia visse con Lisicle, uno stratego
ateniese e leader democratico,dal quale ebbe un figlio: grazie a lei, Lisicle sarebbe
diventato l'uomo più importante di Atene. Alcuni poeti comici, in particolare Eupoli,
videro il passaggio di Aspasia da Pericle a Lisicle come «metafora del trapasso
dall'età periclea a quella dei demagoghi». Lisicle fu ucciso in battaglia nel 428 a.C.,
durante una spedizione di riscossione delle sovvenzioni imposte agli alleati.Con la
morte di Lisicle, le annotazioni contemporanee finirono. Non si sa se Aspasia fosse
viva quando suo figlio Pericle fu eletto generale, o quando fu giustiziato dopo la
battaglia delle Arginuse.La maggior parte degli storici indica la data di morte di
Aspasia (circa 401/400 a.C.), basandosi sulla constatazione che sia avvenuta prima
dell'esecuzione di Socrate nel 399 a.C.

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