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Marta Gentili

Matricola 11765

Christiane Klapisch-Zuber

MATRIMONI RINASCIMENTALI
Donne e vita famigliare a Firenze (secc. XIV-XV)

Il testo ha come obiettivo primario analizzare il ruolo della figura femminile all’interno della vita
famigliare nella Firenze del XIV e XV secolo. Per far ciò vengono usati gli archivi notarili, gli
scritti domestici (memoriali e genealogie) e immagini che testimoniano il pensiero e i costumi
dell’epoca.
È messo in evidenza come la condizione della donna a Firenze fosse molto più limitata rispetto a
quella di altri comuni italiani, in particolare del Nord.
L'unico scopo nella vita di una donna era sposarsi; il matrimonio, eccessivamente ritualizzato, era
infatti strumento di pace sociale e di prosecuzione del lignaggio.
È fondamentale, per una corretta interpretazione del testo, considerare il fatto che è stato redatto da
un punto di vista principalmente maschile. Si evince inoltre, innegabilmente, che la figura
femminile non aveva valore se non attraverso la propria dote, verginità e castità.

I fiorentini viaggiavano per affari in tutta Europa, ma non si sposavano quasi mai all’estero
puntando a formare una famiglia il meno lontano possibile da Firenze.
Le leggi e gli statuti comunali, tra l’altro penalizzavano i matrimoni stranieri; era infatti molto
difficile rimpatriare una dote acquisita in terra straniera e limitavano, se non bloccavano del tutto, la
quantità di beni che poteva essere esportata. La ricerca di una moglie doveva avvenire pertanto nella
cerchia comunale.
Vi erano anche forti divieti riguardanti alleanze che la Chiesa riteneva "incestuose"; il problema
andava al di là dell'effettivo rapporto tra due persone legate da rapporti di consanguineità ed era di
natura "omo-antroponimica". Tutti coloro che portavano lo stesso cognome ereditario collettivo
dovevano riconoscersi reciprocamente come parenti, fino a gradi di parentela molto lontani.
A Firenze le persone con lo stesso cognome non si potevano sposare perché si pensava identificasse
un lignaggio comune. Il matrimonio tra parenti era ammesso solo in certi casi come l’assenza di
eredi maschi, per non far disperdere il patrimonio familiare.
La strada del concubinato (relazione temporanea senza la presenza della dote) in una città straniera,
dati i vincoli giuridici che limitavano il trasferimento della dote, era scelta dai mercanti espatriati.
Paliano di Falco Paliani è un esempio relativo a questi comportamenti. Visto che la dote era un
elemento centrale e riceverne una straniera significava accettare di diventare cittadini di quella città,
Paliano non sposando la donna, evita questa situazione.

La dote è sempre stata considerata il criterio centrale per la legittimazione del matrimonio, infatti,
senza di essa l’unione non era legittima. Esempio di Giovanni e Lusanna: Giovanni aveva avuto una
relazione con Lusanna che era moglie di un artigiano e quando il marito muore si sposa con
Giovanni davanti a un frate francescano. Quando Giovanni decide di sposare un’altra ragazza,
Lusanna lo denuncia alla Corte vescovile con l’accusa di aver negato il loro matrimonio legittimo,
ma la sua richiesta non viene validata dal momento che non c’era la dote e quindi la loro unione era
“clandestina”.
Nei ceti popolari la dote non era necessaria; ciò che legittimava un matrimonio era l’espressione del
consenso davanti a dei testimoni e a un religioso, con uno scambio simbolico di un qualsiasi
oggetto e il trasferimento pubblico della moglie nella casa del marito.
In questo scenario un padre che aveva come desiderio quello di far sposare la propria figlia, doveva
raccogliere beni o somme necessarie per garantirle una dote.
Per funzionare correttamente il sistema dotale doveva presentare un equilibrio tra le doti ricevute e
quelle pagate. Questo sistema imponeva di fatto che il padre fosse costretto, in caso di più figlie, a
farne entrare alcune nei conventi, alternativa meno costosa che permetteva di preservare l’onore
della famiglia.
Era il padre che imponeva il destino alle proprie figlie mentre non veniva imposto nulla al maschio,
il quale poteva vivere liberamente e prendere decisioni proprie; questo comportava la negazione
dell’autonomia femminile.

L’ingresso delle donne nella condizione matrimoniale passa attraverso delle tappe in cui la Chiesa
non occupa ancora un ruolo fondamentale. La promessa veniva recitata davanti a parenti e amici,
mentre lo scambio dei consensi avveniva nella casa della ragazza davanti a un notaio e il
matrimonio si consumava dopo lo scambio delle fedi nuziali. Tuttavia, poteva trascorrere molto
tempo prima che la dote fosse pagata e che la moglie potesse andare a vivere con il marito.
Lo svolgimento delle nozze era molto importante. Ogni matrimonio prevedeva un rituale
consistente in un viaggio attraverso la città, accompagnato da un con un corteo di cavalieri. Una
volta sposata la moglie si trasferiva nella casa del padre del marito. La giovane donna doveva
spostarsi, lasciare la sua famiglia e andare a vivere nella dimora del coniuge in cui si ritrovava a
convivere con suoceri e cognati, a volte sposati con moglie e figli.
Il corteo della sposa proclamava l'unione tra i coniugi e dimostrava, con la sua lunghezza e durata, il
percorso e l'ampiezza spaziale.
La cerimonia dello scambio dei consensi, o la celebrazione del matrimonio, si svolgeva nella villa
di una delle famiglie.
L'unione coniugale si costruiva in un'atmosfera di competizione e portava i novelli sposi e le loro
famiglie a una gara di esibizione.
Il nuovo status di donna sposata si esprimeva attraverso l’abbigliamento e i gioielli. I mariti dopo il
matrimonio riprendevano molti dei gioielli indossati dalle donne durante le celebrazioni per
rivenderli e così le mogli iniziavano ad indossare il “mantello” dignitoso e sobrio della donna
sposata.
Per molto tempo ai limiti delle leggi suntuarie sfuggirono i trucchi e le parrucche. Questi oggetti,
infatti, erano molto meno costosi di abiti e gioielli, tuttavia iniziarono ad essere considerati
negativamente. Nonostante non fosse vietato, si cercava di limitarne l’utilizzo poiché la donna
sarebbe andata incontro ad una propria svalorizzazione. La donna “onesta” era quella che evitava
qualsiasi comportamento che l’avrebbe portata al suo degrado.

Una volta sposata la donna non era più responsabile della propria ricchezza, ne rimaneva
formalmente proprietaria, ma ne perdeva la gestione, che andava nelle mani degli uomini della
famiglia.
Una domanda che mi sono posta è se le donne con il loro lavoro e con una loro identità
professionale potessero mettere da parte un po’ di ricchezze e diventare indipendenti dal marito; la
risposta è che le donne sono sposate e ciò definisce le loro attività economiche; hanno una loro
specifica identità professionale solo quando vivono da sole per scelta, per necessità o perché
abbandonate.

Gli artisti quando vogliono far vedere la ricchezza delle donne scelgono di raffigurare il corteo
nuziale e il corredo con i cassoni che lo contengono.
Il corredo, cuore della dote, le segue sempre perchè significava annunciare che le nozze erano state
concluse legalmente. Alcune parti del corredo venivano esposte per esprimere la legittimità
dell’alleanza e la ricchezza della famiglia (esempio: leggenda della Giustizia di Traiano).
Altre rappresentazioni fanno riferimento ad aspetti esterni al rito nuziale; ad esempio, una donna
può venire raffigurata mentre fa vedere il documento che attesta la sua dote, o più suggestiva è la
borsa, buona espressione iconografica della dote, consegnata a un uomo che prende moglie.
Nei ceti mercantili la dote poteva essere pagata in contanti e a volte includeva anche beni terreni,
mentre in quelli popolari qualche soldo o qualche scudo bastano a fare una dote, ma spesso ci si
limita al corredo.
Le regole del comportamento femminile nella vita coniugale erano rappresentate nei cassoni da
matrimonio. Vi erano raffigurate immagini dell’antichità che rappresentavano virtù come la castità,
la fedeltà, il coraggio, ma anche immagini erotiche destinate a invogliare la nuova coppia al
concepimento.
Anche per riuscire ad avere dei figli maschi si ricorreva al potere dell’immagine; le rappresentazioni
di neonati nudi venivano poste sotto gli occhi della donna perché si pensava che incoraggiassero la
procreazione di figli maschi.
Altri tipi di oggetti utilizzati, sempre in riferimento a questo aspetto, erano i deschi che venivano
dipinti o acquistati poco dopo il matrimonio, nell’attesa o per la gioia della nascita di un primo
figlio ed erano decorati su entrambi i lati. L’iconografia sul lato anteriore ricorreva al tema
amoroso, mentre il lato posteriore presentava figure allegoriche nelle quali vi sono solo fanciulli.
Questi vassoi venivano usati per portare alla donna brodi o altre pietanze e così le immagini
emblematiche della fertilità poggiavano direttamente sul corpo. I deschi, inoltre, potevano anche
essere esposti nelle case, con il lato anteriore rivolto verso gli spettatori.
A volte i genitori per proteggere i figli gli facevano portare un amuleto al collo.

Dal 1470 si inizia a dare ai figli e alle figlie il nome Romolo/a (santo locale), perché si pensava che
il santo potesse proteggere dal “grande male” (epilessia). Ai piedi del santo, nelle raffigurazioni,
compare una lupa, ciò fa capire la vita del santo: sua madre fu violentata da uno schiavo, e
abbandona il neonato fuori città; questo viene trovato ed adottato da una lupa che lo nutrirà con
carne cruda per trecento giorni. Dopo di che, accolto da san Pietro, il bambino viene battezzato
Romolo.
Nelle tradizioni europeo il lupo ha uno stretto rapporto con gli epilettici e in molte regioni per
svolgere pratiche terapeutiche popolari usano alcune parti del suo corpo; inoltre, il suo dente darà al
bambino una dentatura solida e lo proteggerà dal malocchio o dall’epilessia.

I figli erano sotto la custodia della madre che doveva insegnargli a leggere e a scrivere. Le balie e le
serve si occupavano dei più piccoli, tuttavia, queste educatrici rischiavano di trasmettere ai bambini
le loro cattive abitudini linguistiche e le loro superstizioni.
Maffeo Vegio racconta che quelle donne minacciavano i bambini con degli esseri mostruosi: spettri,
fantasmi, streghe, orchi che osservano i bambini al capezzale dei loro letti. Questa testimonianza è
importante perché Maffeo ammette che questi esseri spaventosi hanno avuto un effetto sul suo
sviluppo. Tuttavia, gli studi umanistici compiuti gli permisero di stabilire un legame tra questi e la
cultura classica riconoscendo nomi e figure della mitologia antica ed è questo che gli permise di
superare la paura.

Le bambine vengono educate dalla madre, mentre i loro fratelli vengono educati dal padre. Tuttavia,
l’autorità domestica non era scontata; con il termine “lotta per le brache” si indicava il fatto che
spesso le donne cercavano di accaparrarsi un’autorità maggiore rispetto a quella del marito.
Le donne avevano più probabilità di morire prima rispetto ai mariti: la peste, insieme alle
complicanze del parto, era tra le maggiori cause di mortalità femminile, mentre febbri e malattie si
rivelavano meno mortali. Tuttavia, nel momento in cui la moglie rimaneva vedova, doveva
occuparsi di gestire il patrimonio e organizzare il matrimonio dei figli e delle figlie.

Le coppie non si spezzavano solo a causa della morte di uno dei coniugi, alcune finivano anche in
età ancora giovanile che permetteva di risposarsi. Far annullare un matrimonio non era facile e, a
volte, bisognava avere qualche raccomandazione nelle istituzioni ecclesiastiche.
Per un uomo risposarsi era una cosa semplice e normale, per una donna no perché avrebbe trovato
ostacoli molto grandi. Il problema principale era la dote perché per riprenderla ci voleva molto
tempo e a volte la vedova veniva allontanata dalla famiglia del defunto e costretta a tornare dalla
sua famiglia.
Poi c’erano molti pregiudizi che ritardavano delle nuove nozze per una donna: risposarsi troppo
presto sporcava la memoria del defunto e alla vedova veniva assegnata una cattiva reputazione.

Le donne non potevano disporre dei loro beni come volevano. Anche in prossimità della morte, i
mariti si intromettevano al momento della stesura del testamento e le mogli avevano bisogno del
consenso maritale per destinare i lasciti ai parenti.

Sono documentate anche discussioni su chi dei due genitori provasse più amore verso il figlio,
infatti il testo di Giovanni Gherardi, Il Paradiso degli Alberti (1425-1426), tratta di un dibattito tra
un uomo e una donna in relazione all’amore nei confronti dei figli: è più forte l’amore paterno o
quello materno?
Il primo a parlare per esporre la propria argomentazione è Alessandro di ser Lamberto di Neri
Cambi, il quale afferma che l’amore del padre è il più grande per due motivi: il primo è che ogni
giorno si vedono madri vedove che abbandonano i loro figli, cosa che non si vede fare agli uomini;
il secondo è collegato al fatto che, essendo l’uomo più perfetto per natura rispetto alla donna, lo è di
conseguenza anche il suo amore per il figlio.
Successivamente inizia a parlare Cosa, una donna, e rigira le argomentazioni esposte fino a quel
momento sostenendo che l’esperienza insegna che la cura dei bambini spetta per natura alle donne e
dimostrando che la tutela maschile obbliga la donna a lasciare i suoi figli quando si risposa,
facendole mettere prima del sentimento naturale che prova verso la sua prole le convenzioni e le
costrizioni sociali. Cosa afferma anche che la seconda idea di Alessandro non è valida dal momento
che la perfezione che si deve riconoscere all’uomo ha meno a che fare con l’amore per il bambino
che con l’affetto naturale che in tutto il regno animale spinge ad amare i piccoli.
Con la sua esposizione distrugge la logica sociale comune a Firenze in quel periodo e critica la
cultura che obbligava le madri a reprimere i sentimenti verso i loro figli.
Nel manoscritto, il dibattito immaginato da Gherardi finisce con Biagio da Parma che proclama
Cosa vincitrice della disputa. Egli aggiunge che la madre sa sempre quale è il vero rapporto di
parentela, mentre il padre non è sempre certo; quindi, è lei ad avere il vantaggio di un amore
naturale e totalmente sicuro sui suoi bambini.

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