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Il ruolo della donna nel corso dei secoli subisce numerosi cambiamenti a seconda del

contesto storico culturale in cui è inserita. Nel passato, quasi sempre, è in una condizione di
inferiorità e subordinazione rispetto all’uomo. A Roma ad esempio la società è irta di barriere
e separazioni.
Anzitutto, gli uomini nati liberi sono radicalmente separati per la superiorità della loro origine,
dalla folla degli schiavi, bestie dal volto d’uomo, senza diritti, senza garanzie, senza
personalità, oggetti nelle mani dei loro padroni.
Tra gli uomini liberi vi sono i cittadini romani, che la legge protegge, e gli altri, che la legge
assoggetta.
Tuttavia, gli stessi cittadini romani sono disposti lungo una scala di valori sociali determinati
dal censo e dal ruolo che rivestono in città: humiliores, honestiores, flamines, viri etc. etc.
Un gradino speciale tocca alla donna che per natura è condannata a vivere in uno stato di
perpetua minorità, sottoposta alla “patria potestas” prima del padre e poi del marito. Infatti,
nel matrimonio “cum manus”, ella sfugge alla mano di suo padre solo per ricadere sotto
quella del marito. “Lanifica, casta, pia, duci, domiseda”. Queste le caratteristiche della
donna: filare, restare fedele al proprio marito, essere pia, umile, pudica, frugale, morigerata,
con abitudini di vita semplici, sobria, temperante e un’ottima padrona di casa, capace di
gestire ogni particolare aspetto della vita domestica.
Tutte queste virtù sono proprie della donna romana, soprattutto nell’età arcaica e
repubblicana. Gradualmente, però, si innesca un processo naturale di emancipazione della
donna romana, con il matrimonio “sine manu”, grazie al quale, una volta sposata, ella resta
in possesso della sua dote ed entra libera nella sua casa, ove vive come essere pari al
marito. Onorata come “domina e matrona,”,accompagna l’uomo in molti momenti della sua
giornata, divide con lui responsabilità familiari e gli onori della vita pubblica.
Alcuni aspetti del cambiamento sociale della donna vengono messi in evidenza dai poeti
nuovi come Catullo che restituiscono l’immagine di una donna più libera e/o libertina,
autonoma e indipendente nelle sue scelte affettive. La donna di Catullo ha un grande
fascino: misteriosa, seduttiva, passionale, trasgressiva, ribelle. Questi i tratti di fondo che
accomunano tutte le donne che abitano i brevi carmi del Liber. Certamente la figura più
completa è quella di Lesbia, pseudonimo di Clodia, sorella di Clodio Pulcro, moglie infedele
di Metello Celere. Innamoratosi di Lesbia, il giovane Catullo, stabilisce con lei un “foedus”,
non un vero e proprio matrimonio, ma un giuramento, un patto basato sulla “fides” reciproca,
che però nessuno dei due rispetta. Tra le gioie e i dolori di una storia d’amore esaltante e
passionale, Lesbia, si colloca sul gradino delle “doctae puellae”, che emancipate dalla tutela
del padre e del marito e incuranti del “mos maiorum”, sono inclini al fasto, all’eleganza, ai
vizi e ai piaceri della vita. In Lesbia, “candida diva pede”, che conosce l’arte dell’amore,
insofferente ad ogni assoggettamento, che coltiva le lettere e le arti, che alla bellezza unisce
la grazia dello spirito, Catullo vede incarnato l’ideale della bellezza femminile, che a lui “par
esse deo videtur”.
Oltre a Lesbia, Catullo intrattiene relazioni amorose con tante donne, siano esse sposate o
disponibili a pagamento. Le prime sono dette “uxores” o “nuptae”, a seconda della tipologia
di matrimonio che hanno contratto. Le seconde sono appellate: amicae, donne prezzolate
con le quali si ha una relazione sensuale; moechae, donne sposate che senza pudore
tradiscono per denaro; e infine le meretrices, donne a pagamento con le quali si ha un
rapporto duraturo, il che implica una sorta di coinvolgimento affettivo. Alle eroine passionali
descritte da Catullo, però, corrispondono altrettante donne irreprensibili, madri eccellenti e
spose contente di vivere a fianco del marito.
Nel corso del tempo, però, la donna è sottoposta nuovamente alla tutela da parte di un
uomo, sia esso padre marito o fratello e torna a vivere in una posizione subordinata e
passiva.
Nel Medioevo, la donna è vista come essere da proteggere, sia dagli altri sia da sé stessa,
fisicamente debole e moralmente fragile. Nobile, lavoratrice, cittadina o religiosa è
sottoposta alla sorveglianza e guida dell’uomo e non può sostenere un’attività in proprio
neanche dopo una vedovanza. L'universo femminile è limitato dalla legge della
corporazione, la quale stabilisce che ogni amministrazione deve essere integrata da un
uomo.
All’epoca dei i romanzi cavallereschi, la lirica provenzale, la scuola siciliana e il dolce
Stilnovo, la donna ricopre in tutta la sua esistenza un ruolo fondamentale e viene analizzata
e interpretata in molteplici modi. In Dante la donna, la sua donna, Beatrice, è considerata
come un miracolo d’amore disceso dal cielo ad illuminare un cammino che ascende alla
salvezza.
Nella Divina Commedia, Dante incontra molte donne, che descrive con molta sensibilità e
dovizia di particolari. La caratteristica che le accomuna è la delicatezza, ciò che invece le
distingue è la loro sistemazione nei tre diversi regni che il poeta visita e di conseguenza i
loro comportamenti e il loro attaccamento alla vita terrena. Nell’inferno, infatti, le figure
femminili sono vendicative, odiano chi le ha uccise e sono ancora molto legate alla vita
terrena; nel Purgatorio e nel Paradiso, invece, viene meno qualsiasi risentimento e vogliono
solamente essere ricordate dai loro cari nelle preghiere per accelerare il cammino di
penitenza; mentre nel Paradiso ambiscono soltanto a raggiungere Dio.
Per nessuna delle donne incontrate Dante offre una descrizione fisica. Le poche donne che
incontra appartengono a classi sociali medio alte, sono acculturate e rispettose. Parlando di
loro il poeta usa spesso il registro e la metrica usata nelle poesie del Dolce stilnovo.
Tuttavia, la figura più significativa e che meglio può riassumere il ruolo della donna e le sue
varie forme per Dante è senza dubbio Beatrice. La bellissima musa ispiratrice dantesca,
oggetto dell’esaltazione del poeta, elevatissima creatura, irraggiungibile desiderio, è una
donna-angelo adorata per la sua grazia, la sua gentilezza e le sue doti morali. Ella è il
tramite fra Dio e l’uomo e riesce a risolvere i dubbi di Dante prima che il poeta possa
esprimerli: ella infatti reincarna la sapienza teologica.
Beatrice è maestra di verità che permette al poeta di arrivare al paradiso e quindi di
raggiungere Dio. Questa visione di Beatrice riflette i canoni del dolce Stilnovo: la donna vista
come una figura angelica e non più terrena, che conduce alla salvezza. Nella poesia
cortese, invece, la donna viene considerata bella come un angelo, ma pur sempre creatura
terrena. Nel dolce Stilnovo si ha per la prima volta un’equiparazione tra la donna e gli angeli
del regno di Dio.
Il rapporto uomo-donna non è più quello tra vassallo e signore, ma si avvicina
progressivamente a quello tra Dio e gli angeli. Anche da Petrarca la sua donna, Laura, è
vista come una figura angelica della quale se ne sottolinea l’incedere e la voce celestiale.
Per certi aspetti è molto simile alla donna dantesca, simbolo anche lei di bellezza, umiltà e
virtù. A differenza di Beatrice, però, ella è una donna “terrena” la cui bellezza sfiorisce con il
tempo. L’invecchiamento introduce una dimensione nuova. È una donna con caratteristiche
fisiche ben descritte: gli occhi sono belli “vago lume”, i capelli biondi “vago e biondo capel”, il
riso dolce “come dolce parla e dolce ride”,il viso bello, gli “atti soavi”. La bellezza è associata
allo splendore: Laura è “vivo sole”;è luce che abbaglia. La donna è splendente e preziosa,
ma anche una "dolce nemica" che alcune volte consola e altre distrugge; è dono e
condanna: un’oscillazione che toglie la pace al poeta.
Giovanni Boccaccio dedica alle donne il Decameron, la sua opera maggiore. La narrazione
delle novelle ruota tutta attorno all’universo femminile.
Egli riconosce alla donna un valore particolare, cui riserva un posto di primo piano. La donna
nel Grande capolavoro del poeta non è più una donna-angelo, bensì una donna borghese,
che unifica la semplicità del popolo alla nobiltà d’animo . Il personaggio che più rappresenta
l’ideale di donna descritta da Boccaccio è Ghismunda, uno dei dieci protagonisti principali
della raccolta di novelle, anche se la donna amata, oggetto del desiderio del poeta resta
Fiammetta. La donna quindi non è più oggetto nelle mani dell’uomo, ma diventa autonoma e
può esprimere i propri sentimenti senza aver timore di nessuno.
Si possono riconoscere quattro “tipi” fondamentali di donna: la donna sottomessa, la donna
impenitente, la donna intelligente, la donna eroica. Boccaccio demolisce gli stereotipi legati
al mondo femminile, fornendo l’immagine di una donna viva e vera, non apparente; molto
intelligente e astuta, capace di arrivare in qualsiasi modo al suo scopo. I tre autori ci
restituiscono tre immagini di figure femminili diverse, la differenza la possiamo cogliere già
nel nome (senhal) che portano: Beatrice, donna amata da Dante, significa letteralmente
“colei che rende beati”, Laura, donna amata da Petrarca, che rappresenta il lauro, corone di
alloro con cui venivano consacrati i poeti e infine Fiammetta, pseudonimo della donna amata
da Boccaccio, il suo nome rappresenta la fiamma d’amore che arde, parliamo quindi di un
amore prettamente passionale.

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