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La morte di una parte nel corso del processo di divorzio

dopo il giudicato sullo status non determina la cessazione


della materia del contendere ove residui un interesse alla
prosecuzione finalizzato all’ottenimento
della pensione di reversibilità

Cassazione civile, Sez.VI, 13 ottobre 2014, n. 21598

Il diritto all’assegno divorzile può essere dichiarato anche dopo il decesso dell’ex coniuge nel corso del giudi-
zio, permanendo l’interesse dell’altro coniuge alla pronuncia. A fronte del riconoscimento giudiziale dell’as-
segno de quo, è possibile dichiarare il diritto del soggetto titolare dello stesso ad una quota della pensione
di reversibilità dell’ex coniuge.

Precedenti concernenti lo stesso principio ma applicato agli arretrati di mantenimento

Cass. civ. Sez. I, 3 agosto 2007, n. 17041


Cass. civ. Sez. I, 2 settembre 1997, n. 8381
Cass. civ. Sez. I, 23 ottobre 1996, n. 9238

Cass. civ. Sez. I, 3 agosto 2007, n. 17041


Nell’ambito del giudizio per la revisione delle condizioni di divorzio volto ad accertare la sussistenza del
diritto - non riconosciuto in sentenza - alla corresponsione di un assegno a carico dell’ex coniuge, la morte
di quest’ultimo avvenuta nelle more del giudizio non determina la cessazione della materia del contendere,
poiché il principio dell’intrasmissibilità, dal lato passivo, del relativo obbligo non trova applicazione, una
volta proposta la domanda giudiziale, per il periodo successivo all’inizio del procedimento e fino alla data del
decesso dell’ex coniuge, periodo nel quale permane l’interesse della parte istante alla definitiva regolamen-
tazione del diritto all’assegno.

Cass. civ. Sez. I, 2 settembre 1997, n. 8381


La pronuncia di divorzio che intervenga in pendenza del giudizio di separazione (o, come nella specie, in
pendenza del giudizio di modifica delle condizioni di separazione) non determina la cessazione della materia
del contendere di quest’ultimo solo ove residui un interesse delle parti alla sua prosecuzione, sia in relazione
alla definitiva regolamentazione dell’assegno per il periodo successivo all’inizio del procedimento e fino alla
sentenza di divorzio, sia in relazione alla pronuncia dell’addebitabilità della separazione (in quanto influente
sull’obbligo di somministrazione periodica e sulla determinazione della sua misura e suscettibile di essere
valutata sia nel successivo sviluppo del giudizio in caso di sentenza non definitiva ex art. 4, comma 9, l. n.
818 del 1970, sia in sede di revisione). Difetta pertanto l’interesse alla prosecuzione del giudizio di modifica
delle condizioni di separazione in relazione alla spettanza della casa familiare, atteso che l’eventuale pronun-
cia - ovviamente rivolta al futuro - non sarebbe suscettibile di esecuzione nel nuovo regime di cessazione
degli effetti civili del matrimonio, né il relativo accertamento potrebbe esercitare influenza alcuna ai sensi
all’art. 6, comma 6, l. n. 898 del 1970 nell’ipotesi di sentenza non definitiva e di prosecuzione del processo
anche in ordine alla spettanza della casa familiare.

Cass. civ. Sez. I, 23 ottobre 1996, n. 9238


Quando nel corso di una fase di impugnazione di capo della sentenza di divorzio - passata in giudicato
quanto alla cessazione degli effetti civili del matrimonio - relativo alla quantificazione della misura dell’as-

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Cassazione civile, Sez. VI, 13 ottobre 2014, n. 21598

segno stabilito, per il mantenimento di un figlio, a favore di uno degli ex coniugi (il quale può vantare un
diritto iure proprio per il contributo dell’altro genitore anche quando il figlio sia divenuto maggiorenne, se
lo stesso non sia autosufficiente) si verifica la morte della parte beneficiaria dell’assegno, non si determina
la cessazione della materia del contendere, perché il principio della irrinunciabilità e intrasmissibilità del
diritto al mantenimento non trova applicazione, una volta proposta la relativa domanda giudiziale, per le
rate scadute.

La prima sezione della Cassazione, prendendo a prestito e applicando principi


espressi in passato su questioni connesse al diritto agli arretrati di mantenimento,
sostiene ora che la morte di un coniuge dopo il giudicato sullo status non determina
la cessazione della materia del contendere tutte le volte in cui vi sia un interesse
alla prosecuzione del processo ai fini dell’emissione di un provvedimento di natura
economica. Nella specie si discuteva - in un procedimento camerale azionato ap-
positamente dall’ex coniuge - del diritto alla pensione di reversibilità (negato dal
tribunale di Tivoli e concesso dalla Corte d’appello di Roma). Il punto controverso
stava nel fatto che l’assegno divorzile era stato sì riconosciuto ma dopo la morte del
coniuge obbligato (sia pure dopo la sentenza non definitiva di divorzio). L’obbligato
era deceduto nel corso del procedimento che veniva interrotto ma riassunto dall’ex
coniuge. Il coniuge superstite reclamava l’intera pensione di reversibilità sostenen-
do che la morte del coniuge avrebbe dovuto provocare la cessazione della materia
del contendere mentre l’ex coniuge reclamava ugualmente il riconoscimento dell’as-
segno per poter godere della reversibilità.
Deriva dalla interpretazione della Cassazione che a) la morte del coniuge prima del
giudicato sullo status determina la cessazione della materia del contendere; b) vi-
ceversa la morte che intervenga dopo il giudicato sullo status nel corso della causa
proseguita per la determinazione dell’assegno di mantenimento (causa che porreb-
be durare anche molti anni) non fa cessare la materia del contendere.
Il messaggio rivolto agli ex coniugi è quello di tirare più a lungo possibile una causa
perché si potrebbe sempre sperare in un provvedimento che concede l’assegno di-
vorzile (sul quale l’obbligato deceduto non può difendersi!) e quindi sulla reversibilità.
L’interpretazione non è affatto convincente e lo si può desumere dalle sentenze
richiamate dall’estensore (che ne cita peraltro solo una) dove l’interesse alla pro-
secuzione della causa dopo la morte del coniuge obbligato era determinato dalla
soddisfazione - legittima fino alla morte dell’obbligato - dell’adempimento di un’ob-
bligazione di mantenimento che non era stata ancora stabilita. Non certo dalla sod-
disfazione di esigenze successive alla morte dell’obbligato.

Cass. civ. Sez. VI - 1, Ord., 13 ottobre 2014, n. 21598


(omissis)

Svolgimento del processo e motivi della decisione


In un procedimento relativo all’attribuzione di quota di pensione, spettante al defunto coniuge divorziato, il
Tribunale di Tivoli, con decreto 8/11/2007, rigettava la domanda della ex moglie.
La Corte d’Appello di Roma, con decreto 11/6/2012, in riforma, disponeva che la quota di pensione fosse
attribuita alla moglie divorziata per il settanta per cento e alla vedova, per il trenta per cento.
Ricorre per cassazione la B..
Resiste con controricorso la moglie divorziata.
La ricorrente deposita memoria difensiva, che peraltro nulla sostanzialmente aggiunge alle argomentazioni
del ricorso.
Va innanzitutto osservato che la presente controversia è soggetta a rito camerale, caratterizzato da più

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Cassazione civile, Sez. VI, 13 ottobre 2014, n. 21598

ampia libertà di forma rispetto a quello contenzioso, purché sia rispettato il diritto alla difesa e i principi del
giusto processo che, nella specie, non risultano violati.
Né si può parlare di ampliamento del thema decidendum o della violazione del principio di corrispondenza
tra chiesto e pronunciato.
La Corte di merito correttamente ha posto a fondamento della decisione, l’intervenuto riconoscimento giu-
diziale del diritto all’assegno divorzile, considerando lo stesso bene della vita, invocato in primo e secondo
grado, e cioè l’attribuzione di quota della pensione di reversibilità.
Sulla decisione di merito, le argomentazioni del giudice a quo sono ineccepibili e si fondano sulle risultanze
di una consolidata giurisprudenza di questa Corte.
La L. n. 263 del 2005, art. 5 precisa che le disposizioni dell’art. 9, L. Divorzio, inerenti alla pensione di re-
versibilità, si interpretano nel senso che per titolarità dell’assegno deve intendersi l’avvenuto riconoscimento
di esso da parte del Tribunale.
Tale riconoscimento è intervenuto, ancorché nelle more del presente giudizio, in quanto la moglie divorziata
ha riassunto quello interrotto per morte del coniuge (essendo già in giudicato la sentenza di divorzio ed in
corso il giudizio per la determinazione dell’assegno), e il Tribunale ha dichiarato il diritto della moglie all’as-
segno. Questa Corte ha più volte affermato che il diritto all’assegno può essere dichiarato anche dopo il
decesso dell’ex coniuge nel corso del giudizio, permanendo l’interesse dell’altro coniuge alla pronuncia (tra
le altre, Cass. n. 17041 del 2007).
Non rileva che la pronuncia sull’assegno di divorzio sia stata impugnata: è comunque soddisfatto il requisito
del riconoscimento giudiziale del diritto all’assegno divorzile, sicuro requisito della fondatezza della presente
domanda, e può quindi dichiararsi il diritto della odierna resistente ad una quota della pensione di reversi-
bilità dell’ex coniuge.
Va pertanto rigettato il ricorso.
La natura della causa, la posizione delle parti, i contenuti delle attività difensive richiedono la compensazione
delle spese.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e dichiara compensate le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 8 luglio 2014.
Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2014

Cass. civ. Sez. I, 3 agosto 2007, n. 17041


(omissis)

Svolgimento del processo


Con ricorso depositato il 4.12.2001, L.M.A. chiedeva che il Tribunale di Ravenna disponesse la revisione delle
condizioni di cui alla sentenza del 10/16.3.1992, mediante la quale lo stesso Tribunale aveva pronunciato la
cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto il 16.3.1970 con G.F., segnatamente domandando che
le venisse riconosciuto un assegno di divorzio da porre a carico dell’ex coniuge.
Deduceva la ricorrente che, dopo la pronuncia anzidetta, erano sopravvenuti giustificati motivi e che, in
particolare, essa istante versava in condizioni economiche tali da rendere indispensabile l’attribuzione a suo
favore dell’assegno richiesto.
Si costituiva in giudizio il convenuto, chiedendo la reiezione della domanda avversaria.
Il Giudice adito, con decreto del 6/9.5.2002, rigettava il ricorse, assumendo che il pur intervenuto mutamen-
to della situazione della medesima ricorrente, la quale aveva raggiunto l’età del pensionamento con relativa
diminuzione della capacità reddituale, non integrasse la situazione di bisogno richiesta per fare luogo al
riconoscimento dell’assegno in parola.
Avverso la decisione, proponeva tempestivo reclamo la soccombente, instando per la totale riforma del
provvedimento impugnato.
Resisteva al gravame il reclamato.

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Cassazione civile, Sez. VI, 13 ottobre 2014, n. 21598

La Corte territoriale di Bologna, con decreto del 19.7/21.9.2002, rigettava il reclamo medesimo, assumendo:
a) che dovesse, preliminarmente, essere corretto, in punto di diritto, il richiamo operato dal Tribunale allo
“stato di bisognò quale presupposto del riconoscimento dell’assegno di divorzio, subordinato, invece, alla spe-
cifica circostanza della mancanza di mezzi adeguati o della impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive;
b) che, nella specie, peraltro, l’indagine fosse da portare sulla sussistenza dei “giustificati motivi” sopravve-
nuti alla pronuncia di divorzio, quali fatti idonei a fondare la richiesta della L.M.;
c) che erroneamente, quindi, il Tribunale avesse, per un verso, valutato lo stato di bisogno della ricorrente
e si fosse, per altro verso, limitato a riscontrare un mutamento della situazione fattuale causato dal pensio-
namento della parte istante, senza procedere alla relativa verifica sulla base dell’anzidetto criterio legale;
d) che lo stato di pensionata, il quale era all’origine del deterioramento del reddito della L.M., non potesse
venire valutato come giustificato motivo, attesane la volontarietà da parte dell’istante medesima, essendosi
quest’ultima posta per propria scelta nella situazione che costitutiva il fatto nuovo, onde il motivo sopravve-
nuto non appariva giustificato.
Avverso tale decreto, ricorre per cassazione la stessa L.M., deducendo due motivi di gravame, ai quali resiste
con controricorso P.I., nella qualità di erede di G.F., frattanto deceduto, mentre non resiste l’altra coerede,
pure intimata, G.M.G..

Motivi della decisione


Deve, innanzi tutto, escludersi che il decesso dell’ex coniuge ( G.F.) della L.M., intervenuto in data 14.8.2002
e di cui la medesima L.M. ha espressamente dato atto nel ricorso, possa avere determinato la cessazione
della materia del contendere in relazione all’attuale giudizio, atteso che la ricorrente odierna ha del pari
significato che, “dopo la cassazione del decreto, per la quale sì agisce, si chiederà al Giudice del rinvio di de-
terminare l’assegno divorzile con suo riconoscimento sin dal momento della notifica del primo ricorso avanti
il Tribunale, come è principio di questa materia”, onde deve farsi richiamo all’ulteriore principio secondo cui,
quando, nel corso di una fase di impugnazione del procedimento per la revisione delle disposizioni in mate-
ria di divorzio riguardanti il riconoscimento dell’assegno di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, e successive
modifiche, si verifichi la morte della parte (astrattamente) tenuta alla corresponsione dell’assegno stesso,
non si determina la cessazione della materia del contendere, atteso che il principio dell’intrasmissibilità, dal
lato passivo, dell’obbligo corrispondente non trova applicazione, una volta proposta la relativa domanda
giudiziale, per il periodo successivo all’inizio del procedimento e fino alla data del decesso dell’ex coniuge,
residuando, in tal caso, l’interesse della parte istante alla prosecuzione del giudizio in riferimento alla de-
finitiva regolamentazione del diritto all’assegno de quo per il periodo anzidetto (Cass. 23 ottobre 1996, n.
9238; Cass. 2 settembre 1997, n. 8381).
(omissis)

P.Q.M.
La Corte
Accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa il decreto impugnato in relazione al
motivo accolto e rinvia, anche ai fini delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte di Appello di Bologna
in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 21 marzo 2007.
Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2007

Cass. civ. Sez. I, 2 settembre 1997, n. 8381


(omissis)

Svolgimento del processo


I coniugi S.C. e R.T. in sede di separazione consensuale - omologata dal Tribunale di Catania con decreto 2
agosto 1990 - stabilirono che i due figli nati dal matrimonio vivessero con la madre nella casa familiare (di
proprietà della stessa T.), assumendo il C. l’obbligo di versare alla moglie un assegno mensile per il mante-
nimento dei figli fino al raggiungimento della loro indipendenza economica.

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Cassazione civile, Sez. VI, 13 ottobre 2014, n. 21598

Asserendo che i figli (Salvatore divenuto maggiorenne e Francesco già maggiorenne al tempo della separa-
zione) avevano spontaneamente deciso di vivere con il padre trasferendosi nella sua abitazione, il C. ricorre-
va al Tribunale a norma degli artt. 710 e 711 c.p.c. perché fosse a lui assegnata - quale genitore con il quale
convivono i figli oltre la maggiore età ma economicamente non indipendenti - la casa familiare rimasta nella
detenzione della T. pur dopo il trasferimento dei figli. Il Tribunale con decreto 31 maggio 1993 accoglieva
l’istanza sul duplice rilievo - in fatto - che il C. non disponeva di altro appartamento in Catania (non avendo
ottenuto il rilascio dell’appartamento di sua proprietà ma abitato dalla suocera) e - in diritto - che la casa
coniugale per costante giurisprudenza può essere assegnata non soltanto al coniuge assegnatario dei figli
minorenni, ma anche a quello con il quale convive la prole di età maggiore e a carico, indipendentemente
dalla titolarità del diritto di proprietà sull’immobile. Su reclamo della T. la Corte di Appello di Catania rifor-
mava il decreto impugnato e rigettava l’istanza del C.. Rilevava la Corte di merito che del tutto ininfluente
doveva ritenersi - rispetto alla finalità di cui al disposto dell’art. 155, quarto comma, c.c. - la circostanza
della asserita indisponibilità di altro appartamento da parte del C., mentre la decisione dei figli maggiorenni
di sistemarsi presso il padre rivelava in loro il venir meno dell’interesse alla preservazione dell’habitat in cui
essi sono cresciuti. Aggiungeva che l’assegnazione della casa familiare implica in ogni caso anche la consi-
derazione comparativa delle condizioni economiche dei coniugi (esprimendo l’art. 155, quarto comma, c.c.
un criterio preferenziale) sicché la modificazione della condizione della separazione che attenga all’abita-
zione nella casa familiare non può prescindere dalla valutazione della incidenza sull’assetto complessivo dei
rapporti patrimoniali (valutazione invece del tutto assente nel provvedimento del Tribunale). Sicché doveva
nella specie ritenersi “inaccettabile” che l’autonoma determinazione dei figli maggiorenni di trasferirsi presso
il padre (nell’appartamento di sua proprietà) comporti “automaticamente” l’assegnazione dal C. della casa
di proprietà della moglie e da lei abitata. Contro questo decreto ha proposto ricorso in cassazione il C. de-
ducendo un unico motivo di impugnazione.
Ha resistito la T. con controricorso, eccependo la cessazione della materia del contendere a seguito della
intervenuta sentenza che ha dichiarato cessati gli effetti civili del matrimonio contratto dalle parti.
Ricorrente e controricorrente hanno presentato memoria.

Motivi della decisione


Con l’unico motivo di impugnazione il C. deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo 155 c.c. nonché
omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia,, rilevando che la
interpretazione dalla Corte di merito data al disposto in discussione introdurrebbe una limitazione contraria
allo spirito della norma, poiché il beneficio di abitare nella casa familiare sarebbe garantito soltanto a figli
minorenni affidati ad uno dei coniugi che continuino a vivere con lui anche dopo aver conseguito la maggior
età, con l’effetto di condizionare la loro libera determinazione. Contesta il ricorrente che la pronuncia in
ordine all’assegnazione della casa familiare possa essere influenzata da considerazioni d’ordine economico
e in ogni caso rileva che nella specie la decisione del Tribunale corrisponde al più equo assetto dei rapporti
patrimoniali tra i coniugi, poiché il C. non è proprietario di alcun appartamento in Catania (oltre a quello
abitato dalla suocera che non intende lasciarlo), mentre la T. è proprietaria di altri due prestigiosi apparta-
menti nella stessa città.
Resistendo con controricorso, la T. ha eccepito la cessazione della materia del contendere, poiché nel frat-
tempo è stata pronunciata la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio con-
tratto dalle parti, con sentenza passata in giudicato, essendo stata tale sentenza impugnata limitatamente
alle questioni attinenti ai provvedimenti conseguenti.
A tale eccezione il ricorrente oppone l’orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo
il quale la pronuncia di scioglimento del vincolo coniugale, operando ex nunc dal momento del passaggio in
giudicato, non comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio di separazione personale
(o, come nella specie, nel procedimento di modifica delle condizioni della separazione) che sia iniziato ante-
riormente e sia tuttora in corso, ove esista l’interesse di un delle parti alla operatività della pronuncia e dei
conseguenti provvedimenti patrimoniali. Ma si deve rilevare che la giurisprudenza richiamata identifica in
concreto la persistenza dell’interesse alla definitiva regolamentazione dell’assegno da determinarsi, nel giu-
dizio di separazione o in quello di cui agli artt. 155, ultimo comma, c.c. e 710 c.p.c., per il periodo successivo
all’inizio del procedimento e fino alla sentenza di divorzio; nonché dell’interesse alla pronuncia di addebi-
tabilità della separazione, giacché tale accertamento, attenendo alle “ragioni della decisione” di divorzio, è
influente sull’obbligo di somministrazione periodica - e sulla determinazione della sua misura - di cui all’art.
5, comma sesto, della legge sul divorzio e potrà essere fatto valere nello sviluppo del giudizio nel caso di
sentenza non definitiva ex art. 4, comma 9, stessa legge e anche in sede di revisione. La persistenza dell’in-
teresse è dunque configurabile in funzione della definizione dei rapporti patrimoniali dei coniugi separati, fino
alla pronuncia di scioglimento del vincolo, o nei limiti in cui l’accertamento nel giudizio di separazione possa
proiettare la sua influenza sul regime patrimoniale da definirsi a norma dell’art. 4, commi 9 e 10 dell’art. 9,
primo comma, legge 898/1970. Non può contestarsi quindi che nel caso di specie il ricorrente totalmente
difetti di interesse alla richiesta pronuncia di modifica delle condizioni convenute per la separazione consen-
suale, con riferimento alla spettanza della casa familiare nel regime di separazione e a norma dell’art. 155,

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Cassazione civile, Sez. VI, 13 ottobre 2014, n. 21598

comma quarto, c.c. quando una tale pronuncia, ovviamente rivolta al futuro, non è suscettibile di esecuzio-
ne nel nuovo regime di cessazione degli effetti civili del matrimonio; né il relativo accertamento potrebbe
esercitare influenza alcuna sulla decisione a norma dell’art. 6, comma 6 della legge 898/1970 nell’ipotesi in
cui, pronunciata sentenza non definitiva ex art. 4, comma nono, il processo sia continuato anche in ordine
alla spettanza della casa familiare (ipotesi ammessa in giurisprudenza: Cass. n. 4873/1993) o in sede di
revisione ex art. 9, ovvero nella diversa ipotesi in cui, impugnata la sentenza di divorzio limitatamente alle
questioni attinenti al regime patrimoniale e alla assegnazione della casa familiare, ancora penda in appello
il relativo giudizio.
A quest’ultima ipotesi (come afferma, non contraddetta dal ricorrente, la resistente) corrisponde il giudizio
di scioglimento del vincolo, ancora in corso tra le parti e, poiché sulla relativa conclusiva pronuncia non
potrebbe in alcun modo influire - per le ragioni ora espresse - la definizione del presente giudizio, è venuto
meno l’interesse al riguardo del C. e, cessata la ragione della controversia, si deve procedere alla relativa
declaratoria - compensate tra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.
Dichiara cessata la materia del contendere e compensa tra le parti le spese di questo giudizio.
Roma, 14 gennaio 1997.
Depositato in Cancelleria il 2 settembre 1997

Cass. civ. Sez. I, 23 ottobre 1996, n. 9238


(omissis)

Svolgimento del processo


Con ricorso del 7 ottobre 1971 Francesco De Nitto ha chiesto al tribunale di Bari che fosse dichiarata la ces-
sazione degli effetti civili del matrimonio da lui contratto il 24 luglio 1961 con Maria Teresa Bavaro. Il tribu-
nale, con sentenza del 27 maggio 1980, ha accolto la domanda, affidando la figlia minore Alessandra, nata il
14 luglio 1964, alla madre e determinando il concorso del padre nel mantenimento della figlia in L. 400.000
mensili, a decorrere dal giorno della domanda. La corte d’appello di Bari, con sentenza 13 maggio 1981, ha
parzialmente riformato la decisione di primo grado, fissando la decorrenza dell’assegno dalla data del pas-
saggio in giudicato della sentenza di divorzio, ma tale decisione è stata cassata con sentenza di questa Corte
n. 1305 del 1983, per l’omessa pronuncia sulla domanda di adeguamento del contributo per il mantenimento
della minore per il periodo anteriore al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio. Anche la successiva
sentenza della corte barese in data 21 giugno 1984, che aveva proceduto all’adeguamento del contributo di
mantenimento, dalla data della domanda (4 febbraio 1972) alla pronuncia di divorzio (27 maggio 1980), è
stata nuovamente cassata con sentenza 1803 del 1990 di questa Corte, che ha rinviato la causa per l’esame
della domanda di rivalutazione monetaria dell’assegno per il periodo successivo alla sentenza di divorzio.
Nel frattempo, con atto di citazione del 24 gennaio 1986, la Bavaro ha convenuto il De Nitto davanti al tri-
bunale di Lecce, chiedendo la rivalutazione del contributo di mantenimento della figlia dal 1° giugno 1981.
Avverso la sentenza di detto tribunale in data 27 maggio 1989, che ha rigettato la domanda, al momento
della pronuncia della sentenza in questa sede impugnata, pendeva giudizio di appello.
Con sentenza 29 gennaio 1993, la corte d’appello di Bari, in sede di giudizio di rinvio, ha rivalutato l’assegno
di mantenimento per la figlia Alessandra a decorrere del giugno 1981.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, il De Nitto; resiste con
controricorso, la Bavaro.
Entrambe le parti hanno presentato memorie.

Motivi della decisione


(omissis)
La prospettazione del ricorrente non è fondata.
È pacifico infatti che il capo relativo alla cessazione degli effetti civili del matrimonio tra le parti è passato
in giudicato molto tempo prima della morte della B. e che tutte le fasi del giudizio, successive alla sentenza

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Cassazione civile, Sez. VI, 13 ottobre 2014, n. 21598

del Tribunale di Bari del 27 maggio 1980, hanno avuto ad oggetto esclusivamente la determinazione del
contributo per il mantenimento della figlia Alessandra.
Per quanto riguarda il diritto al mantenimento in sé, è indiscutibile che il diritto di chiederne la correspon-
sione non è rinunciabile né trasmissibile, per atto tra vivi né mortis causa e, per quanto riguarda il passato,
la domanda deve rispettare i limiti di cui all’art. 445 c.c. Ma cosa diversa dal diritto di chiedere gli alimenti
è il credito alimentare che sorge quando se ne verifichino i presupposti, avendo la sentenza la sola funzione
di renderne certa l’esistenza, determinandone l’ammontare. Il credito avente ad oggetto le rate scadute è
pertanto rinunciabile (Cass. n. 616 del 1966, n. 308 del 1965, n. 173 del 1961, n. 860 del 1960; mentre
non può condividersi la contraria affermazione contenuta nella isolata sentenza n. 3115 del 1984) e trasmis-
sibile mortis causa, perché l’art. 448 c.c. dispone che la morte estingue l’obbligo di versare gli alimenti per
il periodo successivo alla morte, ma non prevede anche l’estinzione del diritto e dell’obbligo di versare le
rate scadute anteriormente alla data del decesso. Né in contrario può invocarsi il broccardo in praeteritum
non alitur, perché, al contrario, dalla disposizione di cui all’art. 445 c.c. si ricava che un limite è previsto per
quanto riguarda le prestazioni maturate prima dell’inizio del giudizio, mentre nulla impedisce all’alimentando
di richiedere i ratei scaduti in corso di causa.
Nella specie può ritenersi anche che la persistenza della materia del contendere, con riferimento alle presta-
zioni maturate e non riscosse in corso di causa e fino alla data della morte della B., discenda dalla circostanza
che, come è pacifico (Cass. n. 6215 del 1994, n. 3019 del 1992, n. 1506 del 1990, n. 3115 del 1984, n.
5271 del 1982, n. 5874 del 1981, n. 3416 del 1981) il genitore che agisce per ottenere la determinazione
del contributo dell’altro genitore per il mantenimento del figlio maggiorenne non autosufficiente, esercita un
diritto proprio, che una volta acquisito al suo patrimonio è soggetto alle ordinarie regole della trasmissione
mortis causa.
(omissis)
Le spese seguno la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in L.
145.000 oltre a L. 2.000.000 di onorari.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, l’1 luglio 1996.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 1996

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