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Il diritto all’assegno divorzile può essere dichiarato anche dopo il decesso dell’ex coniuge nel corso del giudi-
zio, permanendo l’interesse dell’altro coniuge alla pronuncia. A fronte del riconoscimento giudiziale dell’as-
segno de quo, è possibile dichiarare il diritto del soggetto titolare dello stesso ad una quota della pensione
di reversibilità dell’ex coniuge.
segno stabilito, per il mantenimento di un figlio, a favore di uno degli ex coniugi (il quale può vantare un
diritto iure proprio per il contributo dell’altro genitore anche quando il figlio sia divenuto maggiorenne, se
lo stesso non sia autosufficiente) si verifica la morte della parte beneficiaria dell’assegno, non si determina
la cessazione della materia del contendere, perché il principio della irrinunciabilità e intrasmissibilità del
diritto al mantenimento non trova applicazione, una volta proposta la relativa domanda giudiziale, per le
rate scadute.
ampia libertà di forma rispetto a quello contenzioso, purché sia rispettato il diritto alla difesa e i principi del
giusto processo che, nella specie, non risultano violati.
Né si può parlare di ampliamento del thema decidendum o della violazione del principio di corrispondenza
tra chiesto e pronunciato.
La Corte di merito correttamente ha posto a fondamento della decisione, l’intervenuto riconoscimento giu-
diziale del diritto all’assegno divorzile, considerando lo stesso bene della vita, invocato in primo e secondo
grado, e cioè l’attribuzione di quota della pensione di reversibilità.
Sulla decisione di merito, le argomentazioni del giudice a quo sono ineccepibili e si fondano sulle risultanze
di una consolidata giurisprudenza di questa Corte.
La L. n. 263 del 2005, art. 5 precisa che le disposizioni dell’art. 9, L. Divorzio, inerenti alla pensione di re-
versibilità, si interpretano nel senso che per titolarità dell’assegno deve intendersi l’avvenuto riconoscimento
di esso da parte del Tribunale.
Tale riconoscimento è intervenuto, ancorché nelle more del presente giudizio, in quanto la moglie divorziata
ha riassunto quello interrotto per morte del coniuge (essendo già in giudicato la sentenza di divorzio ed in
corso il giudizio per la determinazione dell’assegno), e il Tribunale ha dichiarato il diritto della moglie all’as-
segno. Questa Corte ha più volte affermato che il diritto all’assegno può essere dichiarato anche dopo il
decesso dell’ex coniuge nel corso del giudizio, permanendo l’interesse dell’altro coniuge alla pronuncia (tra
le altre, Cass. n. 17041 del 2007).
Non rileva che la pronuncia sull’assegno di divorzio sia stata impugnata: è comunque soddisfatto il requisito
del riconoscimento giudiziale del diritto all’assegno divorzile, sicuro requisito della fondatezza della presente
domanda, e può quindi dichiararsi il diritto della odierna resistente ad una quota della pensione di reversi-
bilità dell’ex coniuge.
Va pertanto rigettato il ricorso.
La natura della causa, la posizione delle parti, i contenuti delle attività difensive richiedono la compensazione
delle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e dichiara compensate le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 8 luglio 2014.
Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2014
La Corte territoriale di Bologna, con decreto del 19.7/21.9.2002, rigettava il reclamo medesimo, assumendo:
a) che dovesse, preliminarmente, essere corretto, in punto di diritto, il richiamo operato dal Tribunale allo
“stato di bisognò quale presupposto del riconoscimento dell’assegno di divorzio, subordinato, invece, alla spe-
cifica circostanza della mancanza di mezzi adeguati o della impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive;
b) che, nella specie, peraltro, l’indagine fosse da portare sulla sussistenza dei “giustificati motivi” sopravve-
nuti alla pronuncia di divorzio, quali fatti idonei a fondare la richiesta della L.M.;
c) che erroneamente, quindi, il Tribunale avesse, per un verso, valutato lo stato di bisogno della ricorrente
e si fosse, per altro verso, limitato a riscontrare un mutamento della situazione fattuale causato dal pensio-
namento della parte istante, senza procedere alla relativa verifica sulla base dell’anzidetto criterio legale;
d) che lo stato di pensionata, il quale era all’origine del deterioramento del reddito della L.M., non potesse
venire valutato come giustificato motivo, attesane la volontarietà da parte dell’istante medesima, essendosi
quest’ultima posta per propria scelta nella situazione che costitutiva il fatto nuovo, onde il motivo sopravve-
nuto non appariva giustificato.
Avverso tale decreto, ricorre per cassazione la stessa L.M., deducendo due motivi di gravame, ai quali resiste
con controricorso P.I., nella qualità di erede di G.F., frattanto deceduto, mentre non resiste l’altra coerede,
pure intimata, G.M.G..
P.Q.M.
La Corte
Accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa il decreto impugnato in relazione al
motivo accolto e rinvia, anche ai fini delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte di Appello di Bologna
in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 21 marzo 2007.
Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2007
Asserendo che i figli (Salvatore divenuto maggiorenne e Francesco già maggiorenne al tempo della separa-
zione) avevano spontaneamente deciso di vivere con il padre trasferendosi nella sua abitazione, il C. ricorre-
va al Tribunale a norma degli artt. 710 e 711 c.p.c. perché fosse a lui assegnata - quale genitore con il quale
convivono i figli oltre la maggiore età ma economicamente non indipendenti - la casa familiare rimasta nella
detenzione della T. pur dopo il trasferimento dei figli. Il Tribunale con decreto 31 maggio 1993 accoglieva
l’istanza sul duplice rilievo - in fatto - che il C. non disponeva di altro appartamento in Catania (non avendo
ottenuto il rilascio dell’appartamento di sua proprietà ma abitato dalla suocera) e - in diritto - che la casa
coniugale per costante giurisprudenza può essere assegnata non soltanto al coniuge assegnatario dei figli
minorenni, ma anche a quello con il quale convive la prole di età maggiore e a carico, indipendentemente
dalla titolarità del diritto di proprietà sull’immobile. Su reclamo della T. la Corte di Appello di Catania rifor-
mava il decreto impugnato e rigettava l’istanza del C.. Rilevava la Corte di merito che del tutto ininfluente
doveva ritenersi - rispetto alla finalità di cui al disposto dell’art. 155, quarto comma, c.c. - la circostanza
della asserita indisponibilità di altro appartamento da parte del C., mentre la decisione dei figli maggiorenni
di sistemarsi presso il padre rivelava in loro il venir meno dell’interesse alla preservazione dell’habitat in cui
essi sono cresciuti. Aggiungeva che l’assegnazione della casa familiare implica in ogni caso anche la consi-
derazione comparativa delle condizioni economiche dei coniugi (esprimendo l’art. 155, quarto comma, c.c.
un criterio preferenziale) sicché la modificazione della condizione della separazione che attenga all’abita-
zione nella casa familiare non può prescindere dalla valutazione della incidenza sull’assetto complessivo dei
rapporti patrimoniali (valutazione invece del tutto assente nel provvedimento del Tribunale). Sicché doveva
nella specie ritenersi “inaccettabile” che l’autonoma determinazione dei figli maggiorenni di trasferirsi presso
il padre (nell’appartamento di sua proprietà) comporti “automaticamente” l’assegnazione dal C. della casa
di proprietà della moglie e da lei abitata. Contro questo decreto ha proposto ricorso in cassazione il C. de-
ducendo un unico motivo di impugnazione.
Ha resistito la T. con controricorso, eccependo la cessazione della materia del contendere a seguito della
intervenuta sentenza che ha dichiarato cessati gli effetti civili del matrimonio contratto dalle parti.
Ricorrente e controricorrente hanno presentato memoria.
comma quarto, c.c. quando una tale pronuncia, ovviamente rivolta al futuro, non è suscettibile di esecuzio-
ne nel nuovo regime di cessazione degli effetti civili del matrimonio; né il relativo accertamento potrebbe
esercitare influenza alcuna sulla decisione a norma dell’art. 6, comma 6 della legge 898/1970 nell’ipotesi in
cui, pronunciata sentenza non definitiva ex art. 4, comma nono, il processo sia continuato anche in ordine
alla spettanza della casa familiare (ipotesi ammessa in giurisprudenza: Cass. n. 4873/1993) o in sede di
revisione ex art. 9, ovvero nella diversa ipotesi in cui, impugnata la sentenza di divorzio limitatamente alle
questioni attinenti al regime patrimoniale e alla assegnazione della casa familiare, ancora penda in appello
il relativo giudizio.
A quest’ultima ipotesi (come afferma, non contraddetta dal ricorrente, la resistente) corrisponde il giudizio
di scioglimento del vincolo, ancora in corso tra le parti e, poiché sulla relativa conclusiva pronuncia non
potrebbe in alcun modo influire - per le ragioni ora espresse - la definizione del presente giudizio, è venuto
meno l’interesse al riguardo del C. e, cessata la ragione della controversia, si deve procedere alla relativa
declaratoria - compensate tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
Dichiara cessata la materia del contendere e compensa tra le parti le spese di questo giudizio.
Roma, 14 gennaio 1997.
Depositato in Cancelleria il 2 settembre 1997
del Tribunale di Bari del 27 maggio 1980, hanno avuto ad oggetto esclusivamente la determinazione del
contributo per il mantenimento della figlia Alessandra.
Per quanto riguarda il diritto al mantenimento in sé, è indiscutibile che il diritto di chiederne la correspon-
sione non è rinunciabile né trasmissibile, per atto tra vivi né mortis causa e, per quanto riguarda il passato,
la domanda deve rispettare i limiti di cui all’art. 445 c.c. Ma cosa diversa dal diritto di chiedere gli alimenti
è il credito alimentare che sorge quando se ne verifichino i presupposti, avendo la sentenza la sola funzione
di renderne certa l’esistenza, determinandone l’ammontare. Il credito avente ad oggetto le rate scadute è
pertanto rinunciabile (Cass. n. 616 del 1966, n. 308 del 1965, n. 173 del 1961, n. 860 del 1960; mentre
non può condividersi la contraria affermazione contenuta nella isolata sentenza n. 3115 del 1984) e trasmis-
sibile mortis causa, perché l’art. 448 c.c. dispone che la morte estingue l’obbligo di versare gli alimenti per
il periodo successivo alla morte, ma non prevede anche l’estinzione del diritto e dell’obbligo di versare le
rate scadute anteriormente alla data del decesso. Né in contrario può invocarsi il broccardo in praeteritum
non alitur, perché, al contrario, dalla disposizione di cui all’art. 445 c.c. si ricava che un limite è previsto per
quanto riguarda le prestazioni maturate prima dell’inizio del giudizio, mentre nulla impedisce all’alimentando
di richiedere i ratei scaduti in corso di causa.
Nella specie può ritenersi anche che la persistenza della materia del contendere, con riferimento alle presta-
zioni maturate e non riscosse in corso di causa e fino alla data della morte della B., discenda dalla circostanza
che, come è pacifico (Cass. n. 6215 del 1994, n. 3019 del 1992, n. 1506 del 1990, n. 3115 del 1984, n.
5271 del 1982, n. 5874 del 1981, n. 3416 del 1981) il genitore che agisce per ottenere la determinazione
del contributo dell’altro genitore per il mantenimento del figlio maggiorenne non autosufficiente, esercita un
diritto proprio, che una volta acquisito al suo patrimonio è soggetto alle ordinarie regole della trasmissione
mortis causa.
(omissis)
Le spese seguno la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in L.
145.000 oltre a L. 2.000.000 di onorari.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, l’1 luglio 1996.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 1996