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ANALISI DI ALCUNI ASPETTI SULLA DELLA LIQUIDAZIONE

DELLE SOCIETA’ DI CAPITALI

Introduzione

La presente relazione tratta alcuni aspetti della disciplina della liquidazione delle società,

riferendosi, in particolare, alle società di capitali.

L’intento del presente documento è quello di esaminare alcuni aspetti specifici della

liquidazione, menzionando le recenti pronunce giurisprudenziali e gli ultimi approfondimenti

dottrinali che li riguardano e quindi di integrare il contenuto dai documenti elencati nelle

citazioni con l’illustrazione dei temi prescelti.

La dichiarazione di accertamento della causa di scioglimento e i suoi effetti giuridici

L’art. 2484 del Codice Civile afferma il principio che gli effetti di una delle cause di

scioglimento, previste dalla legge per le società per azioni, in accomandita per azioni e le

società a responsabilità limitata, divengono efficaci alla data dell’iscrizione presso l’Ufficio

del Registro delle Imprese della dichiarazione con cui gli amministratori le accertano

ovvero, nell’ipotesi in cui lo scioglimento venga deliberato dall’assemblea, dalla data in cui

avviene l’iscrizione presso il Registro delle Imprese dalla deliberazione stessa.

L’efficacia di cause di scioglimento diverse da quelle previste dalla normativa e, quindi

introdotte da previsioni statutarie, è anch’essa temporalmente stabilita alla data d’iscrizione

presso il Registro delle Imprese: l’accertamento di tali cause di scioglimento deve avvenire

da parte dei soggetti che lo Statuto abbia indicato come competenti a dichiararle.

L’iscrizione presso il Registro delle Imprese della Dichiarazione di Accertamento della

causa di scioglimento da parte degli amministratori, o da parte di eventuali altri soggetti

tenuti all’esecuzione di tale adempimento, assume quindi una rilevanza costitutiva al fine di

individuare il momento in cui la società sia incorsa in una causa di scioglimento.


L’efficacia costitutiva attribuisce certezza, nei confronti dei terzi, circa l’individuazione dal

momento in cui la società cessa di trovarsi nella sua normale operatività e inizia invece la

propria fase di scioglimento.

La previgente normativa aveva consentito l’affermarsi di un orientamento giurisprudenziale

comportante la possibilità per il Tribunale, adito dai soci della società (o dai Sindaci

nell’inerzia degli amministratori), di nominare il Liquidatore anche ove vi fosse incertezza

sull’intervenuta sussistenza di una causa di scioglimento della società (sentenza G.C.

344/2007).

Secondo la vigente normativa invece il Tribunale ha invece due distinte e differenti facoltà di

intervento:

- la prima prevista dall’art. 2485 C.C., comma 2, quando nell’inerzia degli

amministratori, venga chiamato (su istanza di singoli soci, amministratori o sindaci)

ad accertare e a decretare il verificarsi di una causa di scioglimento;

- la seconda, prevista dall’art. 2487 C.C., comma 2, quando, essendosi verificata ed

essendo stata accertata (con il deposito e l’iscrizione presso il Registro delle

Imprese) una causa di scioglimento, si verifichi l’omissione, da parte degli

amministratori, della convocazione dell’Assemblea per la nomina dei liquidatori.

La liquidazione quindi, secondo quando statuito dalla norma attualmente in vigore, deve

preventivamente essere accertata e, solo successivamente, può tradursi negli adempimenti di

nomina dell’organo liquidatorio e, a seguire, negli altri passaggi previsti normativamente.

A riguardo si richiama il Decreto 25/2/2005 del Tribunale di Milano (_____________, 2005,

pag. 1149 annotato da Bitonte – Giuffrè) e la sentenza del Tribunale di Avezzano del

2/12/2004.

Il Tribunale non può quindi intervenire per la nomina dei liquidatori, in caso di inerzia degli

organi sociali, se non sia stata previamente accertata, e debitamente formalizzata con la

pubblicità del Registro delle Imprese, l’insorgenza di una causa di scioglimento della società.
Circa la competenza a richiedere l’intervento del Tribunale per l’accertamento della causa di

scioglimento, l’art. 2485 C.C. prevede che tale competenza spetti ai singoli soci, ai singoli

amministratori o ai singoli sindaci, come giurisprudenzialmente è stato affermato dal

Tribunale di Biella con sentenza del 26/5/2004, relatore Reggiani (Giurisprudenza

Commerciale Maggio-Giugno 2005, pag. 355 II, commento di Stefano Balzola).

Evidenziata l’importanza della “Dichiarazione di Accertamento” della causa di scioglimento

da depositare e da iscrivere presso il Registro delle Imprese, con le considerazioni sulle

limitazioni e sulle caratteristiche dell’intervento “sostitutivo” del tribunale, è opportuno

esaminare i compiti previsti a carico degli amministratori, soggetti ordinariamente preposti

all’esecuzione di tale adempimento.

Gli amministratori della società, secondo quanto previsto dalla normativa, devono senza

indugio accertare il verificarsi di una causa di scioglimento e procedere all’iscrizione

prevista dall’art. 2484 c.c. della Dichiarazione di Accertamento.

La locuzione senza indugio viene frequentemente utilizzata nel Codice Civile ed evidenzia

la necessità di procedere all’accertamento della causa di scioglimento della società, e alla sua

iscrizione presso il Registro delle Imprese, in tempi estremamente contenuti, la cui concreta

determinazione è comunque lasciata all’apprezzamento ragionato degli amministratori.

La responsabilità in cui gli amministratori incorrerebbero, in caso di ritardo, è personale e

solidale ed è commisurata ai danni subiti dalla società, dai soci, dai creditori sociali e dai

terzi: gli amministratori, quindi, rispondono della ritardata enunciazione della causa di

scioglimento nei confronti di tutti i soggetti individuati dall’art. 2485 C.C..

Gli amministratori, da quando riscontrano l’intervenuta causa di scioglimento fino a quando

effettuano le consegne, ai sensi dell’art. 2487 bis C.C., all’organo liquidatore, conservano il

potere di gestire la società, ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del

patrimonio sociale e sono personalmente e solidalmente responsabili dei danni arrecati alla

società, ai soci, ai creditori sociali ed ai terzi, per atti od omissioni compiuti in violazione di
tale esercizio del potere di gestione della società finalizzato alla conservazione dell’integrità

e del valore del patrimonio sociale.

La previsione normativa, secondo la quale il verificarsi di una causa di scioglimento della

società comportava il divieto di esecuzione di nuove operazioni, contenuta nella previgente

normativa, non è più presente nelle attuali disposizioni del Codice Civile in materia di

liquidazione delle società di capitali.

La vigente normativa, diversamente dalla passata, impone agli amministratori il compito di

esercitare diligentemente le loro funzioni, secondo la finalità di conservazione dell’integrità

e del valore del patrimonio sociale e, prevede che la valutazione del loro comportamento, ai

fini di individuare eventuali insorgenze di responsabilità personale e solidale, sia effettuata

su tale parametro di comportamento e in relazione a tale finalità.

La normativa non individua, quale momento iniziale dell’indirizzo conservativo dell’azione

degli amministratori, il momento dell’iscrizione al Registro delle Imprese della

Dichiarazione di Accertamento della causa di scioglimento, ma definisce, a tale scopo, il

momento del verificarsi della causa di scioglimento, anticipando quindi l’insorgenza della

fattispecie generativa di responsabilità degli amministratori.

Nei rapporti tra la società e gli amministratori, questi ultimi saranno quindi responsabili per i

danni, all’integrità e al valore del patrimonio sociale, verificatisi dal momento in cui si è

concretizzata la causa di scioglimento.

Nei rapporti tra le società e i terzi, l’intervallo di tempo intercorrente tra l’insorgenza della

causa di scioglimento e la sua iscrizione al Registro delle Imprese, sarà caratterizzato dalla

inopponibilità nei confronti dei terzi dell’esistenza della causa di scioglimento:

conseguentemente per gli atti riconducibili a questo periodo “transitorio” non sarà possibile

invocare lo stato di liquidazione quale circostanza atta a qualificare il comportamento della

società e dei terzi nei rapporti con questi ultimi.

La nomina dei Liquidatori nelle s.r.l.


L’art. 2487 C.C. disciplina le modalità di nomina dei Liquidatori, e di determinazione degli

indirizzi della liquidazione, da parte dell’assemblea della società per la quale si sia verificata

una causa di scioglimento.

Il confronto tra gli articoli 2487-ter e 2487 del Codice Civile conferma, quindi quanto già

affermato in dottrina e anche quanto contenuto, incidenter tantum, nella sentenza del

Tribunale dell’Aquila 2/10/2004, Est. _____________, in relazione al fatto che le società a

responsabilità limitata possano procedere alla nomina dei liquidatori senza l’intervento di un

notaio per la redazione del relativo verbale assembleare.

L’UGDC ha redatto un documento specifico sull’argomento dal titolo………………….. e la

rilevanza pratica della superfluità della verbalizzazione notarile per le assemblee di nomina

dei liquidatori nelle s.r.l., è notevole.

Il Codice Civile prevede che, a) in assenza di disposizioni statutarie disciplinanti, anche per

relationem o nominativamente, la designazione dei liquidatori in caso di scioglimento della

società e b) in mancanza di deliberazione, eventualmente assunta all’atto della verifica

dell’accertamento delle cause di scioglimento, debba essere convocata un’assemblea dei soci

perché deliberi “con le maggioranze previste per le modificazioni dell’atto costitutivo o dello

statuto”.

Tale disposizione è dettata dal Codice Civile in riferimento alla liquidazione delle società di

capitali, quindi delle società per azioni, delle società in accomandita per azioni o delle

società a responsabilità limitata.

Costituisce argomento interessante, in tema di liquidazione, la vexata quaestio riguardante le

“forme” dell’assemblea previste dall’art. 2487 C.C..

La locuzione “con le maggioranze previste per le modificazioni dell’atto costitutivo o dello

statuto” assume infatti due diverse implicazioni, a seconda che si tratti di società per azioni (

o di s.a.p.a.) ovvero di società a responsabilità limitata.


Gli orientamenti prevalenti della dottrina (tra cui il Consiglio Nazionale del Notariato) sono

nella direzione di fare derivare dalla formulazione della norma, che qualifica l’assemblea ex

art. 2487 C.C. unicamente in relazione al suo quorum deliberativo, due diverse conseguenze:

I. che per le società per azioni la deliberazione debba essere assunta mediante assemblea

straordinaria, e quindi con il ministero del notaio per la redazione del verbale in forma

di atto pubblico;

II. che, per le società a responsabilità limitata, la deliberazione dell’assemblea (non

qualificabile come ordinaria o straordinaria) possa avvenire senza l’obbligatoria

presenza del notaio ma con il quorum deliberativo stabilito per le modificazioni

statutarie.

A tali conclusioni si perviene infatti confrontando il dettato dell’art. 2487 C.C. con quanto

disposto dall’art. 2487-ter “Revoca dello stato di liquidazione” e, precisamente, riscontrando

cioè il fatto che anche la revoca dello stato di liquidazione possa essere deliberata

dall’assemblea con le maggioranze richieste per la modificazione dell’atto costitutivo o dello

statuto però applicando quanto disposto dall’art. 2436 C.C. che è situato nella sezione

intitolata “Delle modificazioni dello statuto” e che in rubrica recita “Deposito, iscrizione e

pubblicazione delle modificazioni”. Tale articolo disciplina dettagliatamente le attività del

Notaio che abbia “verbalizzato la deliberazione di modifica dello statuto”.

In dottrina vi è, sostanzialmente, unanime convinzione sul fatto che tale modalità collegiale

di funzionamento sia inderogabile nelle società per azioni mentre alcuni studiosi ritengono

possa essere derogabile per le società a responsabilità limitata nei casi in cui lo statuto abbia

previsto l’esercizio disgiunto dei poteri da parte di una pluralità di amministratori e sia

quindi ammissibile deliberare, per analogia, il medesimo esercizio disgiunto da parte di una

pluralità di liquidatori.

L’intervento del notaio nell’assemblea prevista dall’art. 2487 C.C. è però da ritenersi

obbligatorio in tutte quelle fattispecie nelle quali alla nomina dei liquidatori e all’attivazione

dei loro poteri si accompagnino vere e proprie modificazioni dell’atto costitutivo e dello
statuto: in questi casi divengono applicabili, anche per le s.r.l., le disposizioni dell’art. 2480

C.C. che testualmente afferma “il verbale è redatto dal notaio e si applica l’art. 2436”.

L’assemblea di nomina dei liquidatori provvede sul numero dei liquidatori, sulle regole di

funzionamento del collegio in caso di pluralità dei liquidatori, sull’indicazione dei liquidatori

a cui spetti la rappresentanza della società, sui criteri in base ai quali debba svolgersi la

liquidazione.

Per quanto riguarda i poteri spettanti ai liquidatori, l’art. 2489 C.C. enuncia la disciplina

applicabile ordinariamente e, precisamente, afferma che “salvo diversa disposizione

statutaria ovvero adottata in sede di nomina, i liquidatori hanno il potere di compiere tutti

gli atti utili per la liquidazione della società”.

L’art. 2487 C.C. quindi, elencando alla lettera c) del primo comma, alcune modalità di

svolgimento della liquidazione, fornisce un’indicazione esemplificativa e non esaustiva di

quelli che, normalmente, sono da intendersi come attività liquidatorie esercitabili dai

liquidatori e, quindi, rientranti nei loro poteri come già evidenziato per gli amministratori,

anche per i liquidatori, non è vietato intraprendere nuove operazioni sociali ma, anzi, è

astrattamente anche previsto l’esercizio provvisorio, anche di singoli rami delle attività

aziendali: la finalità è infatti sempre quella già esposta all’art. 2486 C.C. per gli

amministratori e quindi la migliore realizzazione del patrimonio sociale e il miglior

soddisfacimento dei creditori.

In relazione a quanto previsto dall’art. 2487 sul funzionamento collegiale dell’organo

liquidatorio composto da più liquidatori, il Codice civile mostra di ritenere opportuno

l’esercizio congiunto/collettivo di più liquidatori coesistenti: tale affermazione parrebbe

difficilmente derogabile anche se in dottrina vi sono autori che propendono per la possibile

attribuzione ai liquidatori, nominati in numero plurimo, di poteri di attività disgiunta.

Infatti l’affermazione testuale dell’art. 2487 C.C. è che l’assemblea debba stabilire “le regole

di funzionamento del collegio in caso di pluralità di liquidatori”.


La responsabilità dei liquidatori

L’art. 2489 C.C. afferma: “i liquidatori debbono adempiere ai loro doveri con la

professionalità e la diligenza richiesti dalla natura dell’incarico e la loro responsabilità per

i danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri è disciplinata secondo le norme interne in

tema di responsabilità degli amministratori”.

L’art. 2491 C.C. disciplina i poteri e i doveri particolari dei liquidatori e prevede:

a. che essi, in carenza di fondi, possano chiedere ai soci proporzionalmente i

versamenti ancora da loro stessi dovuti,

b. che non possano ripartire acconti tra i soci sul risultato della liquidazione, se non a

fronte di specifiche condizioni e/o garanzie,

c. che i liquidatori siano “personalmente e solidalmente responsabili per i danni

cagionati ai creditori sociali con la violazione della disposizioni” sulla ripartizione

di acconti.

La necessità di definire i limiti, entro i quali possa configurarsi il sorgere di una

responsabilità per i liquidatori, è intensamente avvertito tra i liquidatori, in particolare tra i

Dottori Commercialisti e gli Esperti Contabili, che siano chiamati ad assumere incarichi

liquidatori.

È quindi opportuno evidenziare nella presente relazione alcune peculiarità della disciplina

vigente, dettata dal Codice Civile, in materia di responsabilità dei liquidatori.

È di tutta evidenza che i liquidatori rispondano per le loro manchevolezze derivanti da dolo o

colpa grave così come per le conseguenze delle iniziative assunte, o degli obblighi omessi, a

causa della mancata applicazione della diligenza professionale.

La giurisprudenza recente si è pronunciata sul delicato tema dell’ordine dei pagamenti che il

liquidatore sia, o non sia, tenuto ad osservare e sui profili di responsabilità derivanti dalla sua

condotta in merito.

In proposito si ritiene non costituisca fonte di responsabilità del liquidatore l’eventualità che

la liquidazione possa determinare il mancato soddisfacimento di creditori, le cui ragioni di


credito siano assistite da gradi di privilegio elevati, seppure siano già stati effettuati

pagamenti, in misura percentualmente superiore o integrale, a creditori con gradi di

privilegio inferiori.

Questo principio è stato recentemente affermato dal Tribunale di Udine con sentenza Rel.

Pellizzari del 26/2/2010 in materia di legittimità dell’azione di responsabilità promossa nei

confronti del liquidatore da parte di un creditore, libero professionista, adducente il mancato

soddisfacimento delle sue pretese, pur in presenza di creditori chirografari già soddisfatti.

La sentenza in questione, pronunciata in relazione alla liquidazione di una società priva dei

requisiti di fallibilità, decide su di un’azione promossa ai sensi dell’art. 2489, comma 2, del

creditore privilegiato insoddisfatto nei confronti del liquidatore per l’ottenimento del

risarcimento dei danni subiti, consistenti nel mancato soddisfacimento del suo credito.

Il Tribunale respinge la domanda dell’attore e argomenta che “non si può inferire una

responsabilità del liquidatore neppure ove fosse provata la violazione delle cause di

prelazione fissate dalla legge, ben potendo inoltre lo stesso avere fatto applicazione del

principio “prior in tempore potior in iure””.

Infatti, secondo la sentenza in essere, “la regola dettata dall’art. 2741 C.C. - concorso dei

creditori e cause di prelazione -, in deroga al principio generale della par condicio, di cui

all’art. 2740 C.C. - responsabilità patrimoniale -, nel caso di insufficiente patrimonio

sociale all’integrale soddisfacimento dei creditori, va intesa come potere del creditore di

soddisfarsi con preferenza sugli altri e presuppone, pertanto, perché possa esercitare la sua

efficacia, una espropriazione forzata con più creditori concorrenti e l’insufficienza dei beni

sottoposti ad esecuzione”.

Il Tribunale richiama il principio cardine, espresso dalla Corte di Cassazione (sentenza

25/3/1970 n. 792 e 26/4/1968 n. 1273) secondo il quale nella liquidazione ordinaria non vi è

obbligo di rispetto della graduazione dei crediti e di applicazione del principio di

soddisfacimento dei creditori secondo l’ordine delle loro prelazioni.


Le sentenze della Cassazione affermano testualmente che “la liquidazione ordinaria della

società non ha lo scopo di tutelare la “par condicio creditorum”, ma quello di definire i

rapporti in corso, sottoponendo indistintamente tutti i creditori, privilegiati e chirografari,

al medesimo trattamento e mettendoli in grado di essere pagati, entro i limiti delle …….

disponibilità patrimoniali, via via che si presentano ad esigere quanto è loro dovuto”.

La sentenza del Tribunale di Udine è interessante per gli operatori professionali, quali i

Dottori Commercialisti e gli Esperti Contabili, per la conferma del principio di salvaguardia

dell’operato del liquidatore, qualora tale organo abbia agito con professionalità e diligenza, e

per la conferma della diversità della fattispecie della liquidazione ordinaria rispetto a quella

delle procedure concorsuali, in merito ai criteri di soddisfacimento dei creditori.

Acquisita giurisprudenzialmente la netta distinzione tra il procedimento liquidatorio

ordinario e quello concorsuale, è quindi opportuno approfondire quali possano essere i poteri

e gli obblighi dei liquidatori in caso di incapienza del patrimonio sociale rispetto alle

passività da soddisfare.

Gli articoli 2489 e 2487 C.C. individuano quale finalità precipua dell’attività del liquidatore

quella di realizzare al meglio l’attivo sociale, e quindi di compiere “tutti gli atti utili per la

liquidazione della società”, secondo il principio della conservazione, dell’integrità e del

valore del patrimonio sociale, posto a guida dell’operato degli amministratori nel periodo

antecedente alla nomina dei liquidatori (art. 2486 C.C.).

L’art. 2369 C.C. indicando che, “salvo diversa disposizione statutaria, ovvero adottata in

sede di nomina”, i liquidatori “hanno il potere di compiere tutti gli atti utili per la

liquidazione della società” a mio giudizio non intende certamente ricomprendere in tali “atti

utili per la liquidazione” anche il ricorso a procedure concorsuali.

Questa affermazione trova innanzitutto fondamento nella argomentazione, giuridicamente

prevalente in dottrina e in giurisprudenza, che gli istituti concorsuali hanno origini, modalità

di svolgimento e finalità differenti rispetto alla liquidazione societaria.


La finalità “conservativa” dei valori patrimoniali della società, enunciata negli articoli 2486,

2487 e 2489 del Codice Civile, dell’attività degli amministratori, prima, e dai liquidatori,

poi, nello svolgimento della liquidazione, ha contenuto diverso dalla mera finalità

“dissolutiva” caratterizzante le procedure fallimentari.

La riforma della Legge Fallimentare intervenuta negli anni recenti, introducendo i concetti di

“crisi”, di “oggetto dell’azienda” o di “rami dell’azienda”, e di “vendite dell’azienda, di

rami, di beni e rapporti in blocco” (artt. 160, 104-bis e 105 del R.D. 16/3/1942 n. 267), ha

avvicinato le procedure concorsuali alle liquidazioni ordinarie, enfatizzando le opportunità di

realizzo “conservativo” delle aziende di proprietà delle imprese insolventi.

L’orientamento alla salvaguardia delle attività economiche anche nell’ambito delle

procedure concorsuali, introdotto con finalità di tutela dell’interesse economico generale,

non elimina le sostanziali diversità di questi strumenti rispetto alle liquidazioni sociali

ordinarie.

Un ulteriore e sostanziale elemento di diversità tra le due famiglie di istituti consiste nel fatto

che, mentre nella liquidazione sociale l’attività del liquidatore è eseguita quale espressione

della volontà dell’assemblea e quale modalità diversa dello svolgimento della vita sociale ma

comunque sempre “endosocietaria”, nelle procedure concorsuali l’attività di realizzo

dell’attivo e di soddisfacimento del passivo è affidata ad organi estranei alla vita societaria,

designati dal Tribunale competente e dotati di poteri e di qualifiche di natura pubblicistica.

Qualora quindi, nel corso della liquidazione sociale, il liquidatore riscontri manifestazioni di

incapacità ad adempiere alle obbligazioni da parte della società e, non abbia ricevuto

esplicito mandato a ricorrere a procedure concorsuali dall’assemblea all’atto della sua

nomina, non ha facoltà di presentare alcun ricorso o alcuna domanda al Tribunale

fallimentare per l’accesso agli istituti previsti dalla Legge Fallimentare.

Al fine di ovviare ad una lacuna normativa, consistente nella mancanza di previsioni di legge

sugli obblighi dei liquidatori al manifestarsi dell’insolvenza della società in liquidazione

(difficilmente colmabile con il ricorso ad applicazione analogica sulla tutela del capitale
sociale comportanti gli obblighi degli amministratori di cui agli artt. 2446, 2447 e 2482 C.C.)

la delibera di nomina e di attribuzione dei poteri ai liquidatori dovrebbe opportunamente

contenere prescrizioni sulle iniziative da assumere in caso di insolvenza.

In tale ipotesi i liquidatori dovrebbero, nella delibera di nomina, provvedere a convocare

urgentemente l’assemblea e sottoporre alla medesima una relazione ex art. 2490, comma 2,

nella quale vengano illustrate la situazione attuale e la prospettiva della liquidazione.

Qualora ve ne fossero le condizioni, i liquidatori potrebbero anche rappresentare i rischi per

il patrimonio sociale derivanti da azioni esecutive individuali alla cui prevenzione e

all’eliminazione dei cui effetti, potrebbero risultare opportune iniziative “in proprio” di

ricorso a procedure concorsuali.

Analizzato il tema della responsabilità dei liquidatori per quanto riguarda la loro condotta

nelle circostanze di illiquidità (reversibile o irreversibile) nelle quali si trovino ad operare ed

esclusa l’imputabilità ai medesimi dell’inerzia nei confronti delle procedure concorsuali,

quando tale obbligo non fosse loro stato assegnato all’atto della loro nomina, è utile

affrontare la questione dell’eventuale applicazione nei loro confronti delle disposizioni del

Codice Civile sul controllo pre-giudiziario (da parte dell’organo di controllo) e giudiziario

(da parte del Tribunale).

L’art. 2488 C.C. recita che “le disposizioni sulle decisioni dei soci, sulle assemblee e sugli

organi amministrativi e di controllo si applicano, in quanto compatibili, anche durante la

liquidazione”.

Conformemente a quanto disposto in tale articolo si ritiene siano “compatibili” con la

liquidazione le norme di cui agli articoli 2476 (responsabilità degli amministratori e

controllo dei soci), 2408 (denunzia al Collegio Sindacale) e 2409 (denunzia al Tribunale).

In merito si richiama il commento di Marco Speranzini al Decreto 27/1/2004 del Tribunale

di Venezia, Est. Spaccasassi, pubblicato in Giurisprudenza Commerciale n. 31.5, Settembre-

Ottobre 2004, pag. 541/II.


Il decreto si esprime in senso contrario all’assunzione, durante la fase di liquidazione, dei

provvedimenti ex art. 2409 C.C., ma il commentatore argomenta “a contrario” richiamando

pronunciamenti a favore di altri Tribunali (Milano, 27/1/2000) e argomentando sul fatto che

l’attività del liquidatore consista comunque in una gestione la cui regolarità di svolgimento

costituisce un interesse dell’ordinamento da tutelarsi con gli strumenti a ciò preposti, ivi

compresi gli istituti dell’art. 2409 C.C..

Conforme opinione esprime il Prof. Roberto Weigmann in uno scritto dal titolo “Controllo

giudiziario, società in liquidazione, azione di responsabilità”

ALLEGATO IPAD

ribadisce la previa compatibilità del controllo pre-giudiziario e giudiziario sull’organo

liquidatorio, evidenziando peraltro la necessità di accertare, nella fattispecie concreta, la

sussistenza delle mancanze dell’operato di tale organo al fine di evitare che il ricorso ai

provvedimenti di cui all’art. 2409 possa essere effettuato strumentalmente per giungere alla

revoca del medesimo, al di fuori della procedura prevista dall’art. 2487, ultimo comma, del

Codice Civile.

La cancellazione della società

Il tema della definitività/provvisorietà della cancellazione della società, al termine della fase

liquidatoria, ha costituito un aspetto di rilevante incertezza nelle liquidazioni sociali.

L’art. 2495 C.C. attualmente vigente dispone circa gli effetti della cancellazione della società

che, diversamente da quanto contenuto nella previgente normativa, assume valore definitivo

ed estintivo della società stessa.

Antecedentemente all’1/1/2004, data di entrata in vigore dell’art. 2495 novellato, prevaleva

in giurisprudenza il principio che la cancellazione della società fosse un mero fatto

comunicativo e che la società non risultasse definitivamente “estinta” se non all’avvenuto

soddisfacimento o pagamento di tutti i creditori sociali, con la conseguenza che, anche


successivamente alla cancellazione della società, questa potesse venire fatta oggetto di azioni

esecutive e “extrema ratio” potesse anche essere assoggettata a procedura concorsuale.

Il testo attuale dell’art. 2495 C.C. dispone invece che, una volta cancellata la società, i

creditori sociali non possano più agire nei confronti della stessa, bensì debbano agire “nei

confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio

finale di liquidazione”, e nei confronti dei liquidatori qualora il mancato pagamento a loro

favore sia dipeso da colpa dei medesimi.

Queste disposizioni normative determinano una situazione di solida protezione della società

cancellata da iniziative dei creditori ed anche una limitazione quantitativa delle pretese dei

creditori stessi nei confronti dei soci e del liquidatore: verso i soci, infatti, le richieste dei

creditori possono esprimersi nei limiti delle somme che i soci stessi hanno riscosso, verso il

liquidatore, infine, le pretese dei creditori possono trovare legittimazione ove il mancato

pagamento a loro favore sia dipeso da colpa del liquidatore e non anche, ad esempio, per

circostanze ignote al liquidatore al momento della cessazione della società.

La Cassazione a Sezioni Unite in data 22/2/2010 ha depositato la sentenza n. 4060 nella

quale ha ampiamente esaminato la disciplina e il regime della cancellazione della società

liquidata, così come dettato dal novellato art. 2495 C.C..

“L’art. 2495 C.C., comma 2, come modificato dal D. Lgs. 17/1/2003 n. 6, art. 4, è norma

innovativa e ultrattiva che, in attuazione della legge di delega, disciplina gli effetti delle

cancellazioni delle iscrizioni delle società di capitali e cooperative intervenute anche

precedentemente alla sua entrata in vigore (1/1/2004), prevedendo a tale data la loro

estinzione in conseguenza dell’indicata pubblicità e quella contestuale alle iscrizioni delle

stesse cancellazioni per l’avvenire”.

La natura dei compensi dell’organo liquidatorio e le prestazioni professionali.

La comprensione della natura dei compensi dei liquidatori riveste particolare interesse per gli

operatori professionali i quali, normalmente rientranti tra i soggetti la cui opera usufruisce di
titolo di privilegio, in caso di concorso con altri creditori, devono conoscere la qualificazione

precisa del loro credito e l’esatto profilo giuridico del pagamento, a loro stessi, che, in

qualità di liquidatori, potrebbero eseguire anche antecedentemente alla conclusione della

liquidazione.

Le disposizioni del Codice Civile non menzionano le modalità di determinazione dei

compensi a favore dei liquidatori e, conseguentemente, si ritiene che tale carenza esplicita

trovi implicita soluzione nella lettera c) dell’art. 2487 C.C. che, prevede che l’assemblea

determini i criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione e i poteri dei liquidatori:

nell’ambito di tali disposizioni possono essere utilmente previsti i compensi per l’organo

liquidatorio.

I crediti maturati dai liquidatori, in relazione alle prestazioni da loro svolte nell’adempimento

dei loro compiti, hanno natura di crediti chirografari: una giurisprudenza consolidata non

attribuisce alcun privilegio o alcuna qualifica di prededuzione ai compensi maturati dai

liquidatori, anche qualora essi fossero professionisti normalmente classificati tra i soggetti

privilegiati di cui all’art. 2751-bis C.C..

L’argomento, determinante la non spettanza del privilegio professionale per il credito del

professionista che sia stato nominato liquidatore di una società, è quello della natura

organica dell’attività esercitata rispetto alla società in liquidazione, e conserva ancora la sua

attualità.

Il libero professionista quindi, operante nella veste di liquidatore sociale, in caso di

incapienza del patrimonio sociale rispetto al pagamento dei suoi compensi, è destinato a

rimanere insoddisfatto in quanto il pagamento del compenso a suo favore determinerebbe il

mancato soddisfacimento di altri creditori e, in alcune circostanze, anche l’insorgere di una

sua responsabilità patrimoniale.

È quindi opportuno che i liberi professionisti affianchino “all’esterno” i liquidatori,

prestando la loro opera in forza di mandati professionali e usufruendo così della natura

privilegiata delle loro prestazioni.


A tale riguardo é opportuno però osservare che l’art. 67 del Regio Decreto 16/3/1942 n. 267

(L.F.), alla lettera g) del terzo comma, prevede che “i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili

eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle

procedure concorsuali di amministrazione controllata di concordato preventivo” non siano

soggetti all’azione revocatoria.

In relazione a tale disposizione si può quindi affermare che, ove l’attività di assistenza

all’organo liquidatorio fosse originariamente, o nello svolgimento delle situazioni, orientata

all’accesso della società a procedure concorsuali, il credito dei professionisti incaricati

dell’assistenza ai liquidatori usufruirebbero della disposizione dell’art. 67, lettera g),

divenendo irrevocabili, anche se corrisposti antecedentemente all’apertura della procedura

concorsuale, in quanto appunto strumentali all’accesso alle procedure.

Una ulteriore salvaguardia per gli operatori professionali impegnati nella prestazione di

assistenza nelle liquidazioni delle società, è stata introdotta dall’art. 48 del D.L. 31/5/2010 n.

78, convertito dalla L. 30/7/2010 n. 122, che ha introdotto l’art. 182-quater nella Legge

Fallimentare, disciplinante le attività propedeutiche o esecutive nelle definizioni di accordi di

ristrutturazione dei debiti o attestazioni di relazioni di veridicità dei dati e di fattibilità dei

piani di concordato preventivo.

Tale norma ha previsto la prededucibilità dei compensi per i professionisti incaricati di

predisporre le relazioni ex artt. 161 e 182-bis L.F., alla condizione che tale prededucibilità

sia prevista nei ricorsi al Tribunale e che le procedure abbiano esito favorevole.

Infine, per quanto frequentemente disapplicato nella prassi dei Tribunali fallimentari,

segnalo che l’art. 111 L.F., al comma 2, prevede che “sono considerati crediti prededucibili

quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge, e quelli sorti in occasione o in

funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge; tali crediti sono soddisfatti

con preferenza ai sensi del primo comma n. 1”.

In conclusione l’attività libero professionale rivolta all’assistenza dei liquidatori, nello

svolgimento delle liquidazioni incapienti, può usufruire di garanzie normative quali il


privilegio professionale, ex art. 2751-bis C.C., l’irrevocabilità, ex art. 67 L.F., la

prededuzione, ex artt. 182-quater e 111 L.F..

Citazioni

Al fine di consentire, a chi lo desiderasse, l’analisi anche di ulteriori tematiche, rispetto a

quelle affrontate nel presente documento, si ritiene utile indicare altri elaborati, predisposti

sia individualmente che collegialmente, validamente consultabili in merito alla liquidazione

delle società.

Mi riferisco in particolare:

- alla pubblicazione dal titolo “Scioglimento e liquidazione delle società di capitali”,

predisposta dal Consiglio Notarile di Milano nel periodo di novembre 2002 - marzo

2003, ad opera dei notai Armando Santus e Giovanni De Marchi;

- alla pubblicazione “Operazioni aziendali straordinarie”, predisposta dal Dott.

Stefano Consoli per il corso biennale per la preparazione agli esami di Stato per

l’esercizio alla professione di Dottore Commercialista ed Esperto Contabile,

svoltosi nel biennio 2008/2009 a cura dell’Ordine dei Commercialisti e degli

Esperti Contabili di Brescia;

- al capitolo nono intitolato “Profili giuridici della liquidazione” del testo a cura di

Antonio Tamborrino, edito da Giuffrè Editori, pubblicato con il titolo “Le

operazioni straordinarie” con patrocinio della fondazione Aristeia, Istituto di

Ricerca dei Dottori Commercialisti;

- allo studio dell’UGDC _______________________.

Le citate pubblicazioni illustrano estensivamente il tema della liquidazione delle società sotto

il profilo civilistico e, per quanto attiene al Dott. Stefano Consoli, il profilo contabile e

fiscale, e forniscono un quadro più generale rispetto a quanto, più dettagliatamente, viene

analizzato nella presente relazione.


I documenti menzionati vengono allegati in copia alla presente relazione in quanto

liberamente disponibili in rete (ad eccezione del capitolo nono del testo “Le operazioni

straordinarie” a cura di Antonio Tamborrino, in quanto soggetto a diritti editoriali).

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