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M.

Sesta, Manuale di diritto di famiglia, Cedam, Padova, 2021


Diritto di famiglia (01261)

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DIRITTO DI FAMIGLIA
Definizione giuridica  bisogna prendere in considerazione la costituzione all’art 29 che enuncia una vera e
propria definizione di famiglia stabilendo che la repubblica ne riconosce e garantisce i diritti come società
naturale fondata sul matrimonio.

Questa norma deve coordinarsi con le norme sovranazionali che fanno parte integrante del nostro
ordinamento e che configurano le relazioni familiari in maniera più ampia rispetto al modello costituzionale.
 Carta dei diritti fondamentali dell’ue e convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo
e delle libertà fondamentali. Rispettivamente a art 9 e 12 entrambe stabiliscono che il diritto di
sposarsi e di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano
l’esercizio. Principio confermato anche da art 81 tfue.

Il diritto di famiglia non forma oggetto di alcuna attribuzione all’unione perciò non può configurarsi allo
stato un diritto sostanziale europeo dei rapporti familiari.
Nell’ambito dei trattati si rinvengono alcuni principi vincolanti: principio di non discriminazione che vieta
qualsiasi forma di discriminazione fondata sulla nascita e sulle tendenze sessuali; rispetto della vita privata e
familiare; conciliazione tra vita familiare e professionale; diritto di sposarsi e di costituire una famiglia; parità
tra uomo e donna; diritti dei minori; anziani e disabili; libertà della circolazione delle persone all’interno
dell’unione.

Confrontando l’art 29 e le enunciazioni delle cedu e della carta emerge una differenza di prospettiva perché
questa ultime pongono divieti o proclama una serie di diritti che hanno come destinatario l’individuo
mentre la costituzione riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Nelle
visione della costituzione la famiglia è una formazione sociale ben identificata alla base della quale sta il
matrimonio.
La giurisprudenza della corte europea dei diritti dell’uomo ha ricondotto negli anni recenti nell’alveo della
nozione di vita familiare, le convivenze anche tra persone dello stesso sesso. Si ritiene in questo modo che
l’ordinamento consideri familiari anche le relazioni che prescindono dal matrimonio.

L’art 29 è da interpretare insieme all’art 2 della costituzione e questo permette di considerare la prima
definita “famiglia di fatto” a pieno titolo famiglia “di diritto” nell’ambito della quale l’individuo,
indipendentemente dal proprio orientamento sessuale svolge la propria personalità ricevendo protezione e
tutela dei diritti inviolabili.

Il quadro normativo nel quale si collocano le relazioni familiari è profondamente mutato. Questo lo si deve
alle leggi 76/2016 recante la regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e la
disciplina delle convivenze; la l 219/2013 che ha riformato la filiazione abolendo la tradizionale distinzione
tra figli legittimi e naturali introducendo lo stato unico di figlio.

Alla stregua di questo, la relazione di coppia che è alla base della famiglia può assumere molteplici vesti:
 Matrimonio (tra persone eterosessuali e regolato dal primo libro del codice civile)
 Unione civile l 76/2016
 Stabile convivenza tra persone etero o stesso sesso l 76/2016

La relazione familiare di coppia quindi può rivestire differente struttura giuridica.

Per quanto riguarda i figli l l 2019/2012 ha abolito le antiche partizioni che contrassegnavano i rapporti di
filiazione a seconda che i genitori fossero uniti o meno in matrimonio: filiazione legittima, naturale,
riconoscibile o non riconoscibile ed ha introdotto lo stato unico della filiazione. Tutti i figli

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indipendentemente dal matrimonio tra i loro genitori hanno lo stesso stato giuridico e sono legati dal
vincolo di parentela con i soggetti che discendono dal loro stesso stipite.

Non è quindi necessario il matrimonio per dare vita a relazioni legalmente familiari. Anche la convivenza
non rientrante nella fattispecie disciplinata da l 76/2016 o relazioni che si creano nella famiglia ricomposta
in cui i partner coniugati o conviventi di fatto coabitano insieme ai figli nati da precedenti relazioni e a
eventuali figli comuni, godono di tutela e possono essere ricompresi nell’ambito della relazioni familiari
giuridicamente rilevanti.

La famiglia tradizionale quindi si distingue in:


 Famiglia nucleare (genitori + figli)
 Famiglia allargata con parenti e affini
 Famiglia composta da persone dello stesso sesso unite civilmente + figli di una parte
 Famiglia non matrimoniale come convivenza di due partner etero o stesso sesso ed eventuali figli

Si configura famiglia anche se tra i genitori non sia mai esistito un legame di coppia. Si tratta dei genitori
single se il riconoscimento è effettuato da entrambi e il figlio è inserito a pieno titolo nella rete parentale di
entrambi.

Dalla tutela dell’istituzione della famiglia alla tutela della persona

Per lungo tempo l’intendo principale del legislatore è stato quello di garantire la stabilità della famiglia
considerando i compiti di rilevanza sociale che essa era chiamata a svolgere: trasmissione della vita, cura,
istruzione, educazione prole, assistenza anziani. Questo obiettivo ha imposto delle regole rigide che hanno
caratterizzato il vecchio ordine familiare dal codice 1942 fino alla riforma 1975. Figura centrale era il pater
familias al quale erano soggetti moglie e figli. Non si attribuiva rilevanza alla sfera dei sentimenti e degli
affetti. Il diritto di famiglia era caratterizzato da una concezione gerarchica ed autoritaria delle regolazioni
familiari e da una netta disuguaglianza tra i coniugi. L’interesse del singolo era subordinato a quello
superiore della famiglia garantito dall’indissolubilità del matrimonio. Il matrimonio non si scioglieva con la
morte dei coniugi e in caso di persona dichiarata morta quando costei torni o ne sia dichiarata l’esistenza il
secondo matrimonio è nullo anche se l’interessato si fosse volontariamente allontanato. Inoltre malattie
fisiche/psichiche/anomalie sessuali o gravi precedenti penali impedivano al coniuge ignaro di impugnare il
matrimonio.

La definizione di famiglia come società naturale fondata sul matrimonio è il frutto di quanto proposto dalla
chiesa e da quanto voluto da parte comunista. I cattolici volevano garantire il riconoscimento da parte dello
stato di una comunità ad esso preesistente riconoscendo come famiglia l’unità naturale e fondamentale
della società. Concezione considerata astratta dalla parte laica. Con la fusione di queste due concezioni si
mette in risalto la sfera di autonomia della famiglia dall’ingerenza statuale e il rapporto tra aggregato
propriamente familiare e matrimonio. Importante è il secondo comma dell’art 29 per cui il matrimonio è
ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità
familiare. Significativo in questo caso l’art 37 cost che si riferisce alla donna lavoratrice: la condizioni di
lavoro devono permettere alla donna di svolgere la sua funzione essenziale familiare e assicurare alla madre
e al bambino una speciale adeguata protezione. Disposizione fortemente criticata e in via di superamento.

L’art 30 cost fissa i principi in materia di filiazione. È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed
educare i figli anche se nati fuori dal matrimonio. Si sottolinea la centralità della persona del figlio che ha il
corrispondente diritto nei riguardi del genitore. Si valorizza quindi l’individualità del figlio. In caso di
incapacità dei genitori la legge prevede che siano assolti i loro compiti. Legge in materia di adozione di

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minori in stato di abbandono + diritto del figlio di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi
con i parenti.
Art 31 cost l’ordinamento è impegnato alla tutela della famiglia in particolare se numerosa sia con
riferimento al momento della sua formazione sia con riguardo all’adempimento dei compiti della famiglia
stessa.

La legge sull’adozione di minori in stato di abbandono innova alcuni criteri dell’adozione già disciplinati e
crea l’istituto dell’adozione speciale che si proponeva di favorire l’inserimento a pieno titolo dei minori in
stato di abbandono in una vera famiglia recidendo i vincoli con la famiglia d’origine. La nuova adozione era
riservata a coniugi uniti in matrimonio da almeno 5 anni con riferimento a minori di 8 anni dichiarati in stato
di adottabilità. L’idea è quella di una famiglia intesa come comunità di soggetti indipendentemente dalla
qualificazione giuridica del rapporto di procreazione e dagli stessi legami di sangue.

L 898/1970 introduce il divorzio.

La riforma del 1975 da piena attuazione ai principi costituzionali dell’eguaglianza tra coniugi e parità tra figli.
Successive innovazioni: disconoscimento paternità, diritto di interrompere la gravidanza con facoltà di
consultare il marito.

Art 144 cc  i coniugi devono tenere conto delle esigenze di entrambi e di quelle preminenti della famiglia
nel determinare l’indirizzo della vita familiare. L’interesse della famiglia non è altro che l’interesse dei singoli
che di essa fanno parte che pertanto non si può considerare superiore e distinto da quello dei suoi
componenti.

Dalla riforma scaturisce una visione essenzialmente privata delle relazioni familiari. Ciascuno dei coniugi
può anche senza la volontà dell’altro porre fine al consorzio matrimoniale senza che rilevino le
responsabilità personali.

Nuovo diritto di famiglia

Dopo la riforma del 1975 si affermano diritti individuali nell’ambito delle relazioni familiari: diritto della
donna di interrompere la gravidanza per ragione di salute fisica e psichica senza che il marito possa
contrastare la decisione, diposizioni in materia di violenza domestica. Sono regole che mirano alla
protezione della persona in ragione dell’unità del nucleo.
Per quanto riguarda la disciplina del divorzio è stata diminuita la durata della separazione legale da 3 anni a
1 anno e da 3 anni a 6 mesi per la separazione consensuale (divorzio breve).

Apertura verso nuovi modelli di famiglia come l’unione civile che gode di una completa regolamentazione
giuridica solo in parte sovrapponibile a quella della coppia matrimoniale. + conviventi di fatto di diverso o
dello stesso sesso.

L 40/2004 per soggetti affetti da sterilità o malattie genetiche trasmissibili che hanno ora il diritto di divenire
genitori mediante procreazione medicalmente assistita anche eterologa.

La stabilità della coppia è nelle mani dei coniugi o partner e il diritto non pone regole per garantirla contro la
volontà degli interessati. Il diritto dei genitori non può però compromettere quello dei figli alla cura e alla
educazione.

Verità biologica e verità legale sono genitori l’uomo e la donna che dalla loro unione hanno generato la
prole. Non vi è però sempre coincidenza tra verità genetica e vincolo giudico di filiazione. Questa può essere
una conseguenza di disposizioni di legge che impediscono la rimozione dello stato legale di filiazione non

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corrispondente alla verità genetica. Vi è un termine decadenziale per l’impugnativa dello stato di figlio da
parte del padre o della madre mentre il figlio non ha alcun limite. La filiazione inoltre può avere luogo
mediante ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita o surrogazione di maternità pur vietata
in italia. l’attribuzione della genitorialità in questi casi prescinde dalla discendenza genetica.

Step child adoption adozione da pare di un membro della coppia omosessuale del figlio dell’altro.
Adozione per le coppie unite civilmente è legalmente esclusa. Se tale richiesta viene fatta e portata a
termine in un ordinamento estero il figlio ha diritto a conservare lo stato giuridico legittimamente
conseguito all’estero.

Convenzione sui diritti del fanciullo NY 20 novembre 1989  il figlio ha diritto a partecipare in prima
persona alla propria formazione ed alle scelte che lo riguardano considerando il suo grado di maturità e la
sua età. Compiuti 12 anni il figlio minore ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure
che lo riguardano. Si passa da una relazione in cui i genitori prendono decisioni nell’interesse dei minori
indipendentemente da loro ad una relazione basata sulla comunicazione e interazione tra genitori e figli.

Anche convenzione dell’aja 1993 compie un ulteriore passo verso il riconoscimento dell’identità e dignità
del fanciullo.

Sono previste deroghe per quanto riguarda la disciplina sull’immigrazione e severe condizioni di ingresso e
circolazione degli stranieri nel rispetto della vita familiare e protezione dell’infanzia. Sospensione del
provvedimento di espulsione accordato alla donna in gravidanza e per i successivi 6 mesi di vita dalla nascita
del figlio, divieto di espulsione dei minorenni, diritto al ricongiungimento familiare che consente
all’immigrato di essere raggiunto in italia da familiari che non avrebbero il requisiti per l’ingresso e il
soggiorno nel paese.

I minori stranieri non accompagnati devono trovarsi in una condizione corrispondente a quella dei minori di
cittadinanza italiana o dell’unione europea garantendo piena parità di trattamento e favorendo loro stabile
integrazione nel paese che li ha accolti.

Crimini domestici l 4 aprile 2001 n 154 introduce sistema diretto a contrastare ogni forma di violenza
maturata all’interno del nucleo familiare. Cc: quando la condonna del coniuge o di altro convivente è causa
di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente, il giudice
può adottare con decreto uno o più provvedimento tra quelli previsti da art 342 ter. Può essere disposta la
cessazione della violenza e l’allontanamento dalla casa prescrivendo di non avvicinarsi a luoghi
abitualmente frequentati dalla vittima. Se l’autore provvede al sostentamento della famiglia a questo sarà
imposto il pagamento di un assegno a favore dei familiari.

Misure non adottate se pendente una separazione o un divorzio e la durata è limitata ad un anno con
possibilità di proroga per gravi motivi.
La responsabilità civile può applicarsi nel diritto di famiglia nel caso in cui vi è una violazione del dovere
coniugale che può comportare sia l’addebito della separazione o pronunzia di decadenza della
responsabilità genitoriale anche il risarcimento del danno se la violazione abbia cagionato un danno ingiusto
al familiare conseguente alla lesione di un suo diritto inviolabile.

IL MATRIMONIO

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La legge non da una definizione di matrimonio ma ne fornisce un’analitica disciplina. L’atto che lo fa venire
ad esistenza è officiato dall’ufficiale dello stato civile secondo le regole del codice civile art 84 e ss o dal
ministro del culto cattolico secondo le leggi speciali in materia o dai ministri dei culti ammessi dallo stato.

Il matrimonio-atto viene configurato come un negozio bilaterale puro cioè al quale non possono essere
apposti termini o condizioni e solenne che consiste nella manifestazione della volontà espressa con una
certa forma e in un determinato contesto da due soggetti di sesso diverso, diretta a costituire tra loro un
rapporto giuridico personale, qualificato dall’ordinamento come matrimonio.

Per quanto riguarda il matrimonio-rapporto che si instaura tra gli sposi a seguito della celebrazione, per
delinearne il contenuto si è soliti richiamare l’art 1 l 898/1970 sullo scioglimento del matrimonio che
demanda al giudice l’accertamento definitivo del venire meno della comunione spirituale e materiale tra i
coniugi.

Promessa di matrimonio

Art 79-81  il legislatore non ne fornisce una definizione che però è stata elaborata dalla giurisprudenza.
Questa si identifica nel fidanzamento ufficiale. Sussiste quanto ricorre una dichiarazione espressa o tacita,
normalmente resa pubblica nell’ambito della parentela, amicizie, conoscenza, di voleri frequentare con il
serio proposito di sposarsi in modo che ciascuno dei promessi possa acquisire la maturazione necessaria per
celebrare responsabilmente il matrimonio, salvo la libertà di non darvi corso.

L’art 79 sancisce la non vincolatività della promessa che non obbliga a contrarlo né ad eseguire ciò che si
fosse convenuto per il caso di non adempimento. Nonostante questo ne conseguono alcuni limitati effetti
giuridici come l’obbligo di restituzione dei doni e risarcimento dei danni.

Il promittente può domandare la restituzione dei doni fatti a causa del fidanzamento purchè vi sia stata una
promessa e sia mancata la celebrazione del matrimonio + nesso di causalità tra doni e promessa. La
domanda deve essere proposta entro 1 anno dal giorno del rifiuto di celebrare matrimonio o dal giorno
della morte di uno dei committenti.

Per quanto riguarda il risarcimento del danno  contempera due principi: quello della libertà del consenso
del promittente e quello dell’affidamento incolpevole del fidanzato che abbia subito conseguenze negative
di tipo patrimoniale dalla preparazione risultata poi inutile.

Il danno risarcibile è quello delle spese fatte e alle obbligazioni contratte a causa della promessa (viaggio,
acquisto di beni esclusivamente per il giorno del matrimonio). Escluso il risarcimento dei danni indiretti
(rinuncia spontanea al posto di lavoro all’estero in vista del futuro matrimonio in italia) e anche il
risarcimento dei danni morali. Azione di risarcimento sempre entro un anno dal rifiuto di celebrazione del
matrimonio.

Condizioni per contrarre matrimonio

codice civile capo III titolo VI del libro primo  regole che disciplinano il matrimonio come atto.

Art 84-90 enunciano i requisiti indispensabili per una valida stipulazione. La loro mancanza è causa di
invalidità. Devono sussistere ulteriori presupposti art 107.

La dottrina distingue tre categorie di requisiti per contrarre matrimonio:

1. Necessari per esistenza giuridica dell’atto


2. Prescritti come condizioni di validità del matrimonio (impedimenti dirimenti)

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3. Ne condizionano la semplice regolarità (impedimenti impedienti)

Gli impedimenti si distinguono in dispensabili o non dispensabili a seconda che possano o meno essere
rimossi con autorizzazione giudiziale.

La diversità di sesso tra i nubendi

Nell’ordinamento italiano nonostante non vi sia un espresso principio che presupponga la necessaria
diversità di sesso per contrarre matrimonio questo e rinvenibile in via implicita in numerose disposizioni.

Per quanto riguarda i matrimoni celebrati all’estero tra persone dello stesso sesso la giurisprudenza anche di
cassazione li ha ritenuti non trascrivibili in italia. Questi però producono gli effetti dell’unione civile regolata
dalla legge italiana.

Si ravvisa in questo modo un contrasto con le disposizioni sovranazionali che riconoscono il diritto di
sposarsi come un diritto fondamentale della persona e in particolare con quelle della carta dei diritti
fondamentali dell’ue che contemplano il diritto al rispetto della vita privata e familiare, a sposarsi e a
costituire una famiglia e a non essere discriminati. La corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la
questione di legittimità delle norme indicate in cui non consentono che le persone di orientamento
omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso. La corte ha sottolineato che
l’art 2 cost non impone una declaratoria di illegittimità della normativa censurata né di estendere alle unioni
sessuali la disciplina del matrimonio civile. spetta al parlamento nell’esercizio della sua piena discrezionalità
individuare le forme di garanzia e riconoscimento per le unioni omosessuali + intervento della corte
costituzionale a tutela di specifiche situazioni.

A questo orientamento si avvicina anche la corte di cassazione che afferma che le formazioni sociali all’art 2
cost ricomprendono anche l’unione omosessuale e spetta sempre al parlamento e all’intervento della corte
costituzionale la tutela di specifiche situazioni che postulino un trattamento omogeneo tra la condizione
della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale.
La corte è intervenuta anche per quanto riguarda la legittimità costituzionale dell’art 2 e 4 l 164/1982 che
impone il divorzio in caso di rettificazione dell’attribuzione di sesso. Il legislatore ha previsto che in caso di
rettificazione anagrafica di sesso, qualora i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il
matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l’automatica instaurazione dell’unione civile tra
persone dello stesso sesso. L 76/2016.

Matrimonio della persona transessuale  a colui che abbia cambiato il proprio sesso non resti impedito di
contrarre matrimonio con persona di sesso diverso da quello da lui o da lei acquisito per rettifica.

Età

Requisito d’età è 18 anni.


Ai sensi art 84 co 2 cc il tribunale per i minorenni, su istanza dell’interessato, accertata la sua maturità
psicofisica e la fondatezza delle ragioni addotte, sentito il pm, i genitori o il tutore può con decreto emesso
in camera di consiglio ammettere per gravi motivi al matrimonio chi abbia compiuto i 16 anni. La
legittimazione costituisce un’ipotesi eccezionale di capacità di agire anticipata e riconosciuta per un singolo
e specifico atto.

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Per quanto riguarda la maturità, il giudice deve accertare non solo la consapevolezza del minore circa gli
obblighi matrimoniali ma anche la sua idoneità ad affrontarli ed adempierli. Se tale maturità manca non può
essere preso in considerazione alcun motivo per quanto grave.

La gravidanza non è più considerata sufficiente per concessione autorizzazione. Questa deve sempre essere
accompagnata dalla maturità psicofisica del minore.

Interdizione per infermità di mente e incapacità di intendere e di volere

Art 85  l’interdetto per infermità di mente non può contrarre matrimonio. Questo per proteggere
l’incapace che potrebbe subire un pregiudizio nell’assumere un vincolo forte di doveri e di responsabilità.
L’infermo di mente non essendo in grado di provvedere ai propri interessi non può essere legittimato a
contrarre matrimonio considerando la rilevanza sociale e giuridica dell’istituto matrimoniale e la necessità
della consapevolezza delle responsabilità conseguenti.

Il divieto non vale per l’interdizione legale o per l’inabilitato art 19 e 32. Nemmeno per il soggetto
sottoposto ad amministrazione di sostegno art 404 ma il giudice tutelare può estenderne il divieto qualora
conveniente ed opportuno.

Il matrimonio richiede che chi lo contragga sia capace di intendere e di volere. È possibile impugnare il
matrimonio se si prova di essere stati incapaci al momento della celebrazione. Qualora l’ufficiale rilevi che
uno dei nubendi sia incapace di intendere e di volere può darne notizia al pm che potrà sospendere la
celebrazione con apposito procedimento. Art 120, 116.

Libertà di stato

Art 86 prevede che non può contrarre matrimonio chi sia già vincolato da un precedente matrimonio o
unione civile. Vincola anche lo straniero la cui legge nazionale consenta una pluralità di coniugi. La
violazione del divieto comporta nullità del secondo matrimonio e sanzione penale per il divieto di bigamia.

Il precedente matrimonio deve essere efficace per il nostro ordinamento:

 Matrimonio civile celebrato davanti all’ufficiale dello stato civile o altri soggetti autorizzati
 Matrimonio concordatario trascritto nei registri dello stato civile
 Matrimonio celebrato davanti ai ministri di culto ammessi dallo stato e trascritti nei registri
 Matrimonio celebrato all’estero dal cittadino secondo la legge del luogo anche se non trascrizione in
italia nei registri
Irrilevante se meramente religioso o nullo o sciolto per morte o per divorzio o in seguito a
dichiarazione di morte presunta.

Parentela affinità adozione

1. Parentela  impedimenti non dispensabili per esigenze di ordine pubblico vincolanti anche per lo
straniero: parentela in linea retta all’infinito e in linea collaterale di secondo grado (fratelli, sorelle
germani, consanguinei o uterini)

Impedimento dispensabile. Autorizzazione da parte del tribunale  parentela di terzo grado in linea
collaterale (zio e nipote)

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2. Affinità  vincolo che sorge tra coniuge e i parenti dell’altro. Sussiste all’infinito in linea retta
(suocero e nuora, suocera e genero) e in linea collaterale in secondo grado (cognato e cognata).
In linea collaterale l’impedimento è dispensabile mentre in linea retta l’impedimento vincolante anche
per gli stranieri è dispensabile solo se il matrimonio dal quale deriva l’affinità sia stato dichiarato nullo
con conseguente cessazione del vincolo di affinità. Non se sia stato sciolto o pronunciata la cessazione
degli effetti civili.

3. Adozione  art 87 cc non possono contrarre matrimonio tra loro:


 Adottato e coniuge dell’adottante, adottante e il coniuge dell’adottato
 Adottante, adottato e i suoi discendenti. +18

Per adozione di minori invece il cui effetto è quello di far acquistare all’adottato lo stato di figlio degli
adottanti:
 Ascendenti e discendenti in linea retta
 Fratelle e sorelle germani, consanguinei e uterini
Anche se cessa ogni rapporto legale con la famiglia di origine rimangono tutti i divieti matrimoniali
derivanti dal pregresso rapporto di parentela ex art 27 comma 3 l 184/1983

L’art 87 rende non dispensabili gli impedimenti da adozione.

Il delitto

Art 88 cc si fonda su ragioni di ordine pubblico. Il divieto non è dispensabile e comporta il divieto di
celebrare il matrimonio tra persone delle quali l’una sia stata condannata per omicidio consumato o tentato
sul coniuge dell’altra.

Divieto temporaneo di nuove nozze

Art 89  per assicurare certezza nell’attribuzione della paternità ed evitare un possibile conflitto tra le
presunzioni previste dalla legge.

Prima di contrarre matrimonio la donna deve attendere che siano trascorsi 300 gg dalla morte del
precedente coniuge o dal passaggio in giudicato della sentenza di divorzio o di cessazione degli effetti civili
(salvi i casi art 3 n 2 lettera b ed f l 898/1970) o di annullamento del precedente matrimonio salvo
dichiarazione di impotenza di uno dei due coniugi. Il termine di 300 gg si collega alla presunzione di
concepimento in costanza di matrimonio. Quando presunzione viene meno cessa anche il divieto. Il
tribunale può comunque autorizzare il matrimonio quando è escluso lo stato di gravidanza.

L’impedimento è impediente quindi se nozze ugualmente celebrate sono valide ma coniugi e ufficiale dello
stato civile incorrono in sanzione pecuniaria art 140 cc.

La pubblicazione e opposizione al matrimonio

Il matrimonio di regola deve essere preceduto dalla pubblicazione da richiedersi all’ufficio dello stato civile
del comune dove uno degli sposi ha la residenza. La mancanza della pubblicazione non consente la

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celebrazione ma se questa avviene ugualmente allora il matrimonio è valido, salva applicazione sanzione
138 cc.
La celebrazione ha lo scopo di rendere conoscibile ai terzi l’intenzione delle parti di volere contrarre
matrimonio per consentire l’eventuale opposizione ex art 102 cc e di avviare gli accertamenti dell’ufficiale di
stato civile sull’inesistenza di impedimenti al matrimonio.

Legittimati all’opposizione al matrimonio che da luogo a procedimento contenzioso davanti al tribunale


sono:

 Genitori o ascendenti e collaterali entro il 3° grado se genitori mancano


 Tutore o curatore in caso di tutela o curatela
 Pm nel caso di cui all’art 102.5

Celebrazione del matrimonio

Luogo  art 106 prevede che il matrimonio deve essere celebrato pubblicamente nella casa comunale. Può
tenersi anche in luogo diverso, alla presenza di 4 testimoni maggiorenni, quando uno degli sposi per
infermità o altro impedimento sia nell’impossibilità di presentarsi nella casa comunale. Deve essere
celebrato davanti all’ufficiale dello stato civile al quale gli sposi hanno presentato richiesta di pubblicazione.
La competenza è derogabile quindi celebrazione può avvenire in luogo diverso per ragioni di necessità o
convivenza cioè per motivi socialmente apprezzabili e ritenuti plausibili dall’ufficiale competente.

Forma  lettura da parte dell’ufficiale di stato civile di art 143/4/7cc su diritti e doveri dei coniugi, la
dichiarazione di ciascuna delle parti personalmente l’una dopo l’altra di volersi prendere rispettivamente in
marito e moglie, dichiarazione dell’ufficiale che le parti sono unite in matrimonio.

Atto di matrimonio  compilato immediatamente dopo la celebrazione dall’ufficiale. Ha un contenuto


necessario (generalità dei coniugi e dichiarazione di volersi unire in matrimonio) + contenuto eventuale
(riconoscimento figli nati fuori dal matrimonio o scelta su regime patrimoniale).
Art 108 afferma che la dichiarazione di prendersi rispettivamente in marito e in moglie non può essere
sottoposta ne a termine ne a condizione.

Il matrimonio può essere celebrato in alcuni casi per procura art 111.

Se celebrato davanti a nonostante non rivesta la qualità di ufficiale di stato civile ne eserciti le funzioni
(funzionario di fatto) è valido a meno che le parti al momento della celebrazione siano a conoscenza che
detta persona non ne abbia le qualità. Art 113.

Invalidità del matrimonio

Art 117-129 bis cc.

Inesistenza  situazioni estreme in cui il matrimonio non sia neppure riconoscibile come quando manchi la
celebrazione art 107 o manifestazione del consenso delle parti. Non riconducibile al matrimonio di persone
dello stesso all’estero.

Nullità situazioni in cui il legislatore tutela un interesse generale (bigamia, incesto, delitto).

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Annullabilità  situazioni in cui il legislatore tutela un interesse del singolo (art 107.2, 119, 120, 122, 123).

1. Mancanza di condizioni richieste dalla legge per la celebrazione art 84 e ss. La relativa azione di
annullamento deve essere proposta personalmente dal minore non oltre un anno dal
raggiungimento della maggiore età. La domanda proposta da genitore o pm è respinta se anche in
pendenza del giudizio il minore abbia raggiunto la maggiore età o vi sia stata procreazione o
concepimento e in ogni caso sia stata accertata volontà del minore di mantenere in vita il vincolo
matrimoniale. Il matrimonio contratto dal coniuge dell’assente non può essere impugnato finchè
perdura l’assenza. Per quanto riguarda l’interdizione il matrimonio può essere impugnato se al
tempo del matrimonio c’era già sentenza di interdizione passata in giudicato o se interdizione
pronunciata dopo ma infermità esisteva al momento del matrimonio. Una volta revocata
l’interdizione il matrimonio può essere impugnato anche dalla persona che era interdetta. No
azione se dopo revoca vi è coabitazione per un anno. Impugnazione da parte del coniuge che prova
di essere stato incapace di intendere e di volere anche transitoriamente al momento della
celebrazione. No se passato un anno di coabitazione.
2. Vizi del consenso  se consenso estorto on violenza, determinato da timore di eccezionale gravità
derivante da cause esterne al dichiarante o dato per effetto di errore. Art 122.
3. Violenza morale  se da luogo a mancanza assoluta del consenso e quindi ipotesi di inesistenza.
Violenza art 122 non diversa da quella art 1435. La minaccia quindi deve essere idonea a far temere
un male ingiusto e notevole. Non però del tutto sovrapposte perché nel caso del matrimonio dove è
coinvolta la libertà della persona ogni minaccia diretta ad estorcere il consenso deve essere
reputata ingiusta.
La violenza deve essere effettiva e non presunta e può esprimersi con qualunque mezzo. Può essere
esercitata dall’altro sposo o da 3i e può riguardare la persona o beni propri o dei prossimi congiunti.
Legittimato all’impugnazione è solo il coniuge in cui consenso sia stato estorto con violenza. Non
proponibile azione se coabitazione per un anno dopo cessazione violenza. In mancanza di
coabitazione il termine di prescrizione è decennale dal giorno in cui è cessata la violenza.

Dalla violenza di differenzia il timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne allo sposo. Se
il timore determina il consenso assume rilevanza solo nei casi in cui sia di eccezionale gravità e
derivi da causa esterna che può consistere sia in un comportamento umano che in una situazione
oggettiva. La differenza dalla violenza sta nella modalità con le quali la coartazione della volontà si
verifica. Nella violenza vi sono minacce diretta a far celebrare nozze non volute mentre per quanto
riguarda il timore il matrimonio non viene imposto ma appare come unica via per sottrarsi a
situazione oggettiva cui altrimenti andrebbe incontro se non si sposasse.
Legittimato a proporre azione è solo il coniuge il cui consenso è stato determinato da timore. No se
coabitazione per un anno dopo cessazione causa che ha determinato il timore. No coabitazione
allora termine ordinario.

4. Errore  può riguardare sia l’identità della persona dell’altro sposo sia le qualità personali dell’altro
coniuge. Art 122. L’errore deve essere essenziale e dovrà essere accertato che , tenute presenti le
condizioni dell’altro coniuge, lo stesso non avrebbe prestato il proprio consenso se le avesse
esattamente conosciute. Vi sono 5 ipotesi tassative:
 Esistenza malattia fisica o psichica o anomalia o deviazione sessuale tali da impedire lo
svolgimento della vita coniugale: sieropositività, sclerosi, psicosi maniaco-depressiva,
transessualismo e omosessualità purchè condizioni ignorate dall’altro coniuge all’atto delle
nozze e tali da determinare un errore sull’identità sessuale. Impotenza solo se non
conosciuta dall’altro sposo e deve essere perpetua cioè non guaribile.

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 Esistenza di sentenza di condanna per delitto non colposo alla reclusione non inferiore a 5
anni salvo intervenuta riabilitazione prima della celebrazione del matrimonio. Azione non
proponibile prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile. La condanna deve essere
anteriore al matrimonio.
 Dichiarazione di delinquenza abituale o professionale
 L’altro coniuge sia stato condannato per delitti concernenti prostituzione a pena non
inferiore a due anni
 Stato di gravidanza accusato da persona diversa dal soggetto caduto in errore: gravidanza
portata a termine art 122, l’azione di annullamento può essere esercitata se vi è stato
disconoscimento della paternità. Azione ugualmente esperibile se gravidanza interrotta in
modo volontario o naturale.

Simulazione

Art 123 cc  i coniugi intendono dar vita soltanto ad una apparenza di matrimonio. Gli sposi convengono i
non adempiere gli obblighi e non esercitare i diritti discendenti dal matrimonio.

Si parla di simulazione parziale quando i coniugi decidono di non dare esecuzione solo ad alcuni dei diritti e
doveri coniugali. Se si tratta di diritti e doveri inderogabili art 108 e 160 la rinuncia è priva di effetto.

La giuri ha ritenuto simulato e quindi invalido il matrimonio celebrato per lo scopo di acquistare la
cittadinanza, per punteggi per l’assegnazione di un alloggio, per assicurare alla donna sistemazione
economica, assecondare desiderio di un genitore ammalato e poi deceduto ecc…

La prova dell’accordo simulatorio può essere fornita con ogni mezzo, non deve essere scritta ma non sono
ammissibili il giuramento decisorio e la confessione perché si tratta di diritti indisponibili.
L’impugnazione spetta a entrambi i coniugi ma ci sono due tipologie di decadenza:

1. Non proponibile se contraenti hanno convissuto come coniugi successivamente alla celebrazione
delle nozze. Convivenza anche per brevissimo periodo.
2. No convivenza ma decorso un anno dalla celebrazione

Matrimonio putativo

Matrimonio invalido celebrato in buona fede da almeno uno dei coniugi che, ignorandone la causa, lo ha
ritenuto valido al momento della celebrazione. Produce ugualmente effetti in favore dei coniugi o di uno di
essi e dei figli in deroga al generale principio della improduttività di effetti di un atto giuridico nullo per
tutelare il coniuge in buona fede e la prole. Art 128.

Se il matrimonio viene dichiarato nullo ma sia stato contratto in buona fede, gli effetti del matrimonio valido
si producono in favore di entrambi fino alla sentenza che pronuncia la nullità. Lo stesso vale quando estorto
con violenza o timore. Se queste condizioni si verificano per uno solo dei coniugi gli effetti valgono solo in
favore di costui.

Se i coniugi sono in malafede non si applica art 128 ma rimangono alcuni effetti limitati. (sospensione
prescrizione, acquisto cittadinanza)

Gli effetti del matrimonio valido si producono senza limitazioni temporali rispetto ai figli anche se i coniugi
sono in mala fede al momento della celebrazione se i figli sono nati o concepiti durante questo.

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Se le condizioni del matrimonio putativo si verificano rispetto ad ambedue i coniugi il giudice può disporre a
carico di essi e per non più di 3 anni l’obbligo di corrispondere some periodiche di denaro in proporzione
alle sue sostanze a favore dell’altro ove questi non abbia adeguati reddit propri e non sia passato a nuove
nozze.
Il coniuge al quale sia imputabile la nullità del matrimonio è tenuto a corrispondere all’altro se in buona
fede qualora il matrimonio sia annullato, una congrua indennità. Se il terzo da solo o in concorso con l’altro
coniuge abbia determinato la nullità del matrimonio è tenuto da solo o solidalmente con il coniuge
concorrente al pagamento dell’indennità.

Prove della celebrazione del matrimonio

L’atto di matrimonio è la fonte di prova privilegiata dell’unione coniugale salvo applicazione art 132 e 133.
Con questo atto l’ufficiale attesta che le nozze sono avvenute in sua presenza e con la sua partecipazione nel
luogo e nel tempo risultanti dall’atto stesso. Unico mezzo di prova idoneo a dimostrare esistenza di un
precedente matrimonio. Diverso dal semplice certificato di matrimonio che è un documento di 2° attestante
le risultanze dell’atto.

Il possesso di stato conforme all’atto di matrimonio sana ogni difetto di forma dell’atto. I suoi elementi
costitutivi:

 Nomen: circostanza che i coniugi si siano sempre identificati come tali e la moglie abbia portato il
cognome del marito
 Tractatus: il fatto che abbiano sempre agito da persone sposate
 Fama: la generalità dei consociati li abbia sempre considerati come marito e moglie

Matrimonio concordatario

Art 82  il matrimonio celebrato davanti ad un ministro del culto cattolico è regolato in conformità del
concordato con la santa sede e delle leggi speciali in materia.

Si tratta di una forma matrimoniale distinta da quella civile. E’ regolato dal diritto canonico per quanto
riguarda la celebrazione e i requisiti di validità ed acquista effetti civili che si producono dal momento della
celebrazione delle nozze a seguito della trascrizione nei registri dello stato civile. Il matrimonio rapporto è
invece disciplinato interamente dal diritto statale.

Sono riconosciuti gli effetti civili ai matrimoni contratti secondo le norme del diritto canonico a condizione
che l’atto relativo sia trascritto nei registri dello stato civile, previo pubblicazioni nella casa comunale. Subito
dopo la celebrazione il parroco o un suo delegato spiega ai contraenti gli effetti civili del matrimonio dando
lettura degli articoli del codice civile sui diritti e doveri dei coniugi e redige in doppio originale l’atto di
matrimonio. La trascrizione non può avere luogo se gli sposi non rispondono ai requisiti della legge civile
circa l’età richiesta e quando vi siano impedimenti previsti dalla legge inderogabili. Si crea in tale modo una
armonizzazione di fondo tra le due forme matrimoniali in quanto l’efficacia civile del matrimonio canonico
non è riconosciuta se violati alcuni presupposti fondamentali dell’ordinamento civile.

Trascrizione tempestiva: la trascrizione è fatta di regola dal parroco del luogo dove il matrimonio è stato
celebrato per iscritto ed entro 5 gg da celebrazione. L’ufficiale di stato ne provvede entro 24 dando notizia al
parroco.

Trascrizione tardiva: avviene posteriormente su richiesta dei contraenti o di uno di essi, con la conoscenza e
senza l’opposizione dell'altro sempre che entrambi abbiano conservato ininterrottamente lo stato libero dal

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momento della celebrazione al momento della richiesta di trascrizione, e senza pregiudizio dei diritti
legittimamente acquisiti da 3i.
La trascrizione post mortem non è consentita.

Per quanto riguarda il concorso di giurisdizione tra quella italiana e quella ecclesiastica nelle cause di nullità
del matrimonio questo è da risolvere mediante il criterio della prevenzione. La giurisprudenza ha
confermato tale orientamento della corte di cassazione a sezioni unite e il diritto applicabile in questo caso
è quello italiano, non potendosi rinvenire nel sistema alcun criterio di collegamento che consenta al giudice
italiano di applicare alla fattispecie un diritto appartenente ad un ordinamento diverso da quello interno.

Riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche in materia di nullità matrimonio: le sentenze pronunciate dai
tribunali ecclesiastici e munite del decreto di esecutività del superiore organo di controllo ecclesiastico
sono, su richiesta di entrambe le parti o una di esse, dichiarate efficaci nella repubblica italiana con sentenza
della corte d’appello competente cioè quella del distretto cui appartiene il comune presso il quale fu
trascritto l’atto di celebrazione del matrimonio. L’intervento del pm è obbligatorio e la sua mancanza rende
nullo il procedimento e la eventuale pronuncia.

Ci sono delle condizioni per la dichiarazione di efficacia:


 Accertamento competenze del tribunale ecclesiastico
 Assicurato alle parti il diritto di agire e resistere in giudizio in modo non difforme da quanto previsto
da ord it
 Condizioni per l’efficacia del riconoscimento delle sentenze straniere ord it
 Grande rilevanza l’ordine pubblico: regole fondamentali poste dalla costituzione prendendo in
considerazione la perenne evoluzione della società e la specificità dell’ordinamento canonico. La
contrarietà all’ordine pubblico deve essere così marcata da superare il margine di disponibilità che
lo stato si è imposto rispetto all’ordinamento canonico.
Per quanto riguarda la possibilità di delibare tutte le ipotesi di nullità canonica con però qualche incertezza
circa una riserva mentale unilaterale su uno dei bona matrimonii non conosciuta all’altra parte prendendo
in considerazione il principio di tutela della buona fede e l’affidamento incolpevole nei confronti della parte
che ignorava la riserva dell’altro. 3 posizioni:

1. Delibazione ammessa solo quando la riserva mentale sia stata manifestata all’atro coniuge
2. Delibazione anche se la riserva non conosciuta poteva esserlo mediante l’uso dell’ordinaria diligenza
3. No delibazione quando coniuge che ignorava o non poteva conoscere il vizio del consenso dell’altro
coniuge chieda la declaratoria di esecutività della sentenza ecclesiastica o non si opponga a tale
delcaratoria

La convivenza coniugale protratta per almeno 3 anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario
regolarmente trascritto crea una situazione giuridica disciplinata da norme costituzionali, convenzionali e
ordinarie che non consente sia dichiarata efficacia in italia per contrarietà a ordine pubblico interno, la
sentenza definitiva di nullità del matrimonio pronunciata dal giudice ecclesiastico per qualsiasi vizio
accertato e dichiarato nell’ordine canonico. Non è sufficiente la mera coabitazione materiale sotto lo stesso
tetto ma occorre che si sia istaurato un vero e proprio consorzio familiare ed affettivo nonostante il vizio
genetico del matrimonio atto.
Per i matrimoni celebrati davanti a ministri di culti ammessi nello stato la disciplina applicabile è quella
prevista dal codice civile per i matrimoni celebrati davanti all’ufficiale di stato civile. Stipulazione di intese
con rappresentanti di confessioni religiose da quella cattolica.

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I cittadini italiani possono celebrare matrimonio in un paese straniero secondo le forme ivi stabilite purchè
ricorrano le condizioni necessarie dettate del codice civile art 84 e ss. Per quanto riguarda il matrimonio
contratto all’estero da cittadini italiani dello stesso sesso la l 76/2016 stabilisce che questo produca gli effetti
dell’unione civile regolata dalla legge italiana.

Lo straniero può contrarre matrimonio in italia e deve presentare all’ufficiale dello stato civile una
dichiarazione dell’autorità competente del proprio paese dalla quale risulti che nulla osta al matrimonio. In
mancanza del rilascio l’interessato può rivolgersi al tribunale che potrà autorizzare la celebrazione qualora
ritenga che il rifiuto o l’omissione delle autorità straniere costituisca lesione non giustificata della libertà
matrimoniale o si ponga in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento.

RAPPORTI PERSONALI TRA CONIUGI


Art 143  con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono gli stessi doveri.
Questo presuppone un’eguaglianza assoluta e perfetta intesa nel senso di identità di posizione tra marito e
moglie che hanno le stesse prerogative personali e sono titolari del governo della famiglia senza distinzione
di poteri e di ruoli. I doveri sono: fedeltà, assistenza, collaborazione, coabitazione. Non è un elenco
esaustivo.

Obblighi:

FEDELTA’: deve essere interpretata in senso ampio come dedizione fisica e spirituale di un coniuge all’altro.
Obbligo non previsto nella disciplina sui matrimoni tra persone dello stesso sesso. Va a coincidere con il
dovere di lealtà come obbligo di non tradire la fiducia del proprio compagno di vita e di mantenere per
quest’ultimo costante dedizione fisica e spirituale.

Permane durante il temporaneo allontanamento di un coniuge dalla residenza familiare e viene meno una
volta avviato l’iter della separazione legale.

ASSISTENZA: morale e materiale insieme a fedeltà costituisce il completamento dell’impegno di vita


assieme che i coniugi assumono con il matrimonio. In ambito morale l’assistenza riguarda il sostegno
reciproco nell’ambito affettivo, psicologico e spirituale. Ne rientra il dovere di rispettare la persona dell’altro
coniuge. L’obbligo è da ritenersi violato in presenza di un ingiustificato rifiuto di aiuto e conforto spirituale
accompagnato da volontaria aggressione della personalità dell’altro per deprimerla o ostacolarla.

In ambito materiale è invece il sostegno necessaria non solo in caso di malattia ma nell’attività di studio e
lavoro e nello svolgimento dei compiti che si è assunto nella ripartizione delle incombenze familiari. +
dovere di contribuzione.

COLLABORAZIONE: riguarda attività necessarie a soddisfare le esigenze del nucleo familiare nel suo
complesso con il limite della capacità e personalità di ciascun coniuge.

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COABITAZIONE: vivere sotto lo stesso tetto ma non solo in chiave materiale ma anche riferendosi alla
comunione di vita che si istaura tra gli sposi. È elemento essenziale del matrimonio rapporto che si
manifesta come consuetudine di vita coniugale comune, stabile e continua nel tempo e riconoscibile
esteriormente dal comportamento dei coniugi. Questi fissano la residenza della famiglia secondo le
esigenze di entrambi e quelle preminenti alla famiglia stessa. Devono essere presi in considerazione gli
interessi propri e quelli dei figli da contemperare. Se i coniugi svolgono il proprio lavoro in luoghi diversi
ciascuno dei coniugi ha il proprio domicilio nel luogo in cui ha stabilito la sede principale dei suoi affari o
interessi. Se i coniugi o uno di essi è costretto a dimorare abitualmente nel luogo in cui hanno eletto il
proprio domicilio e dunque ad allontanarsi stabilmente dalla residenza comune i coniugi avranno residenze
autonome e mancherà una residenza familiare in senso proprio.

Casa familiare  la coabitazione richiede una casa comune. Manca una definizione esplicita di casa
familiare cui la giurisprudenza si riferisce come quell’insieme di beni, mobili e immobili finalizzati
all’esistenza della comunità familiare e alla conservazione degli interessi in cui si esprime e si articola la vita
comune. In sede di separazione o divorzio si è precisato che avverrà l’assegnazione (per esigenze di
conservazione dell’habitat domestico ai figli) unicamente dell’immobile che ha costituito centro di
aggregazione della famiglia durante la convivenza.

Art 146 sospende il diritto all’assistenza morale e materiale nei confronti del coniuge che allontanandosi
senza giusta causa dalla residenza familiare rifiuti di tornarvi.
La concreta individuazione della casa familiare è frutto dell’accordo dei coniugi. La casa potrà essere di
proprietà di entrambi o di uno solo di essi o di un terzo grazie al quale possono godere dell’immobile in
funzione di un contratto. In caso di comproprietà ciascuno dei coniugi possono godere dell’immobile
realizzando in questo modo una situazione di compossesso. Gli atti eccedenti la ordinaria amministrazione +
stipula contratti con i quali si concedono o acquistano diritti personali di godimento spettano
congiuntamente a entrambi i coniugi. Se la casa è di proprietà individuale il proprietario non può compiere
atti che rendano gravoso il godimento della casa familiare. Il coniuge non proprietario acquista nei confronti
dell’altro il diritto fondamentale di abitare la casa e di utilizzare i mobili che la arredano.

Diritto di abitazione  è un diritto personale di godimento. È da negare la configurazione di questo diritto


come diritto reale perché principalmente non vi è un previsione di legge in questo senso e perché l’art 540
cc dispone in favore del coniuge superstite l’attribuzione del diritto di abitazione sulla casa adibita a
residenza familiare e di uso dei mobili che la corredano se di proprietà del defunto o comuni a titolo di
legato ex lege. È un diritto personale che trova la sua fonte nell’accordo attuativo degli obblighi legali. Il
diritto sussiste finchè nuovi accordi non lo facciano cessare.

Se la casa è di proprietà di 3i il contratto di locazione o comodato può essere stipulato da entrambi i coniugi
o da uno di essi. In caso di morte dello stipulante è garantita la successione nel contratto da parte del
coniuge e di altri familiari conviventi. In caso di separazione o scioglimento del matrimonio succede nel
contratto il coniuge al quale sia stato attribuito dal giudice il diritto ad abitare nella casa familiare.

Non vi è uno strumento giuridico che consenta al coniuge dissenziente di contrastare la decisione dell’altro
titolare dell’immobile di compiere atti di disposizione. Solo l’inclusione della casa nel fondo patrimoniale
crea un vincolo di destinazione che consente di proteggerla da atti di disposizione o azioni esecutive
promosse dai creditori personali del proprietario.

Contribuzione ai bisogni della famiglia

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Art 143  entrambi i coniugi sono tenuti a contribuire ai bisogni della famiglia ed a mantenere, istruire,
educare ed assistere moralmente la prole in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la propria
capacità di lavoro professionale o casalingo.

Queste disposizioni si riverberano sul patrimonio dei coniugi. Si parla di regime patrimoniale primario
imperativo che è volto a regolare l’obbligo di contribuzione ed è inderogabile. Il regime contributivo è
inderogabile ed è ispirato a rigidi criteri di proporzionalità diretti ad attuare l’eguaglianza sostanziale tra i
coniugi.

L’individuazione dei bisogni della famiglia dipende dalla scelta dei coniugi e dalla loro capacità contributiva.
Vi è un contenuto minimo e inderogabile al di sotto del quale non si può immaginare l’esistenza della vita
familiare (vitto, alloggio, vestiario) ma tanto maggiore è la capacità contributiva dei membri delal famiglia
tanto più elevato può essere il tenore di vita e tanto maggiori i bisogni della famiglia.

Per quanto riguarda la ripartizione dell’obbligo: il lavoro casalingo è equiparato al lavoro esterno che
evidenzia parità morale e giuridica dei coniugi e la rilevanza del contributo della donna sulla quale tuttora
grava maggiormente la cura della famiglia in ragione della sua “essenziale funzione familiare”.
L’obbligo di contribuzione permane per tutta la durata della convivenza a grava anche sul coniuge
allontanatosi senza giusta causa.

Cognome della moglie

Art 143 bis  la moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito conservandolo anche durante lo
stato vedovile finchè non passi a nuove nozze. Non è un’aggiunta necessaria ma si tratta di una facoltà della
donna di essere identificata nella vita sociale anche col cognome del marito. La donna può conservare il
cognome originario ma ne comporta comunque una limitazione del principio di uguaglianza giustificata da
esigenze che impongono l’esistenza di un nome familiare a salvaguardia dell’unità della famiglia stessa.

La donna perde il cognome del marito in caso di divorzio salvo che il giudice valuti la sussistenza di
particolari interessi meritevoli di tutela per conservarlo. L 898/1970.

Contrasto con le unioni civili per le quali i coniugi dello stesso sesso possono scegliere un cognome comune
tra i loro cognomi da anteporre o posporre al proprio se diverso facendo dichiarazione all’ufficiale di stato
civile. L’elezione del cognome non da luogo a mutamento anagrafico.

Il cognome maritale si trasmette automaticamente ai figli nati nel matrimonio. Al figlio può essere attribuito
anche il cognome materno. L 286/2016.

Accordo sull’indirizzo della vita familiare

Art 144  i coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia
secondo esigenze di entrambi e preminenti della famiglia stessa. La regola dell’accordo deve essere
coordinata con il principio di libertà individuale. Es mutamento di fede non costituisce violazione del doveri
coniugali a meno che non abbia reso intollerabile la vita coniugale. Vi sono però alcune regole che
riconoscono solo ad uno dei coniugi il potere di prendere individualmente delle decisioni. È il caso della
donna che può interrompere la gravidanza che ha una mera facoltà e non obbligo di consultare il marito in
quando padre del concepito come garanzia della tutela della salute della donna.

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Nelle scelte di indirizzo sono ricompresi: tenore di vita familiare, contribuzione economica, educazione e
istruzione figli, collaborazione reciproca e altri affari di famiglia. L’indirizzo è modificabile dai coniugi
secondo le esigenze del momento.

Le scelte di indirizzo, in particolare quelle relative alle modalità di contribuzione economica ai bisogni della
famiglia possono comportare soprattutto per quanto riguarda i matrimonio di lunga durata un dislivello
professionale e reddituale tra gli sposi. L’esempio lampante è quello della donna che sacrifica prospettive di
lavoro professionale per dedicare preminente contributo personale alla conduzione della vita familiare. Di
tale contributo occorre tenere conto nella determinazione dell’assegno di divorzio in caso di scioglimento o
cessazione effetti civili del matrimonio.

Se le parti non arrivano a un accordo possono ricorrere al giudice che svolge attività di supporto a beneficio
della famiglia per risolvere i contrasti coniugali. Svolge un ruolo di conciliatore per il raggiungimento di una
soluzione concordata sentiti i coniugi o i figli ultra16enni. Se no accordo sulla residenza o affari essenziali il
giudice prende una decisione in base alle esigenze dell’unità e della vita della famiglia.

Allontanamento dalla residenza familiare

Art 146 coniuge si allontana senza giusta causa dalla residenza familiare e rifiuta, nonostante l’invito
dell’altro, di ritornarvi. Nei suoi confronti è sospeso il diritto all’assistenza morale e materiale.
L’allontanamento deve essere intenzionale e duraturo e non deve derivare da un mancato accordo sulla
residenza di famiglia.

Per giusta causa si intende: proposizione domanda si separazione/annullamento/scioglimento/cessazione


effetti civili del matrimonio. Non sono esaustive.

Il giudice può ordinare il sequestro dei beni del coniuge allontanato in modo che questo non si sottragga
all’obbligo di mantenimento e contribuzione. Il coniuge allontanato deve compiere tutti gli obblighi previsti
da art 143.2 tranne la coabitazione. Conseguenze penali sa si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla
responsabilità genitoriale o qualità di coniuge.

REGIME PATRIMONIALE DELLA FAMIGLIA


Dal vincolo matrimoniale discendono rilevanti effetti patrimoniali che il codice regola agli artt. 159-230 ter.
Si applicano anche alle unioni civili e ai conviventi se regole richiamate nel contratto di convivenza.

Il regime patrimoniale riguarda la disciplina delle spettanze e dei potei dei coniugi e familiare in ordine
all’acquisto e alla gestione dei beni.

Queste disposizioni costituiscono il regime patrimoniale secondario della famiglia cioè le ricchezze acquisite
durane il matrimonio. Il regime legale dei rapporti patrimoniali tra coniugi è quello della comunione dei
beni ma si lascia libertà ai coniugi di adottare mediante apposite convenzioni un diverso regime. Queste
diposizioni sono da coordinare con art 143 e 144.

Regimi pattizi
Sono previsti tre tipi di convenzioni matrimoniali:

1. Fondo patrimoniale: uno o più beni vengono destinati a far fronte ai bisogni della famiglia ed in
parte sottratti alla disponibilità dei coniugi ed alla garanzia generica dei creditori. Art 167, 169, 170.

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Ha un oggetto limitato legislativamente perché può concernere solo determinati beni immobili o mobili
registrati o titoli di credito. Non è un regime patrimoniale autonomo ma una convenzione che può integrare
sia il regime della legale comunione sia la comunione convenzionale o separazione.

2. Comunione convenzionale: regolamento fissati dai coniugi in parziale deroga rispetto a quello della
comunione legale.
3. Separazione dei beni: titolarità e gestione dei beni acquistati durante il matrimonio rimane esclusiva
in capo a ciascun coniuge.

Questi due costituiscono dei veri e propri regimi patrimoniali tra loro alternativi perché ineriscono la totalità
del patrimonio dei coniugi.

Comunione legale

È il regime legale dei rapporti patrimoniali tra coniugi in mancanza di diversa convenzione. Art 162. Si
istaura automaticamente all’atto del matrimonio prima ed indipendentemente dall’eventuale acquisto di
beni.

La comunione può essere considerata come vero e proprio centro di imputazione di beni o comproprietà.

A sostengo della prima vi è l’art 180 cc che dispone che la disgiunta rappresentanza dei coniugi in giudizio
per gli atti relativi alla comunione ammetterebbe implicitamente l’esistenza di un altro soggetto distinto da
loro. I sostenitori della dottrina oggettivistica invece ritengono che non è configurabile un patrimonio
autonomo ma una contitolarità dei beni coniugali in base agli artt 194 e 189 cc.

Non si tratta però di una semplice comunione come quella prevista all’art 1100 e ss perché tra comunione
legale e comunione ordinaria sussistono differenze. Per la comunione ordinaria la fonte può essere anche la
volontà delle parti mentre per quella legale è sempre e solo la legge. Solo nella comunione ordinaria vi
possono essere quote diseguali. Il coniuge in comunione non può, finchè vige la comunione, mai disporre
della propria quota ma se presupposti art 181-183 può disporre dell’intero. L’atto di disposizione del bene
immobile o mobile registrato nella sua interezza al di fuori di queste ipotesi è sanzionato con l’annullabilità.
L’identico atto che riguardi i beni mobili non registrati è valido ma il coniuge che l’ha compiuto senza il
consenso dell’altro è obbligato su istanza di quest’ultima a ricostituire la comunione o al pagamento
dell’equivalente. Nella comunione ordinaria si può alienare o ipotecare la propria quota e l’amministrazione
è congiunta mediante un procedimento deliberativo a maggioranza o unanimità. La comunione legale
invece prevede il potere disgiunto per gli atti di ordinaria amministrazione e congiunto per quelli di
straordinaria. Vige inoltre il divieto di divisione richiesta da un solo coniuge mentre per la comunione
ordinaria la divisione è ammessa in ogni tempo.

La comunione legale non costituisce patrimonio di destinazione ma i beni rispondono per tutte le
obbligazioni contratte congiuntamente dai coniugi.

Il regime patrimoniale coinvolge tutti i beni e tutti i redditi dei coniugi compresi i beni personali mentre il
regime della comunione riguarda solo le modalità di distribuzione della ricchezza familiare.

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Oggetto

Artt 177-179:
 Beni comuni oggetto di comunione immediata (a+d art 177). Comproprietà nasce al momento
dell’acquisto a prescindere dal fatto che un solo coniuge abbia partecipato al relativo atto o risulti
intestatario formale del bene
 Beni oggetto di comunione differita (b+c + art 178). Diventano comuni solo al momento dello
scioglimento della comunione stessa
 Beni personali dei quali ciascuno dei coniugi ha titolarità esclusiva. Beni dei quali il coniuge era
proprietario prima del matrimonio o beni acquistati per donazione/successione salvo attribuzione
alla comunione, beni di uso strettamente personale, necessari per esercizio professione, titolo di
risarcimento danno.

L’oggetto immediato della comunione legale è l’acquisto di beni effettuato durante il matrimonio e le
aziende gestite da entrambi i coniugi o utili e incrementi prodotti dalla gestione comune. Da questo deriva
la denominazione di comunione degli acquisti per la comunione legale.

L’acquisto è da intendere come risultato. Sono ricompresi in questo modo non solo i diritti reali sui beni ma
anche i diritti di credito e i diritti relativi.
Per quanto riguarda il contratto preliminare concluso da un solo coniuge, considerando la natura
strumentale del contratto il coniuge non contraente non può vantare alcun diritto né pretendere
l’esecuzione in forma specifica. Lo stesso vale anche per la proposta irrevocabile e la prelazione. Gli effetti
del connesso acquisto definitivo si produrranno anche a favore dell’altro coniuge.

Annoverati anche i titoli di partecipazione azionaria acquistati in costanza di matrimonio da uno solo dei
coniugi e allo stesso intestati e i fondi agricoli. Anche le quote di fondi comuni di investimento comprate con
i proventi dell’attività di uno solo dei coniugi.

Partecipazioni societarie: se relativi a società di capitali non comportanti assunzione di responsabilità


illimitata cadono in comunione perché sono da considerare beni mobili. Per quanto riguarda i casi di
responsabilità illimitata non vi è un orientamento prevalente. È in dottrina la soluzione che riscontra
maggiore consenso circa l’acquisto come strumento del coniuge per lo svolgimento della propria attività
economica. Rimangono nella esclusiva e piena titolarità e disponibilità del coniuge salvo disciplina della
comunione de residuo su proventi e liquidazione quota.

La cassazione ha stabilito che le quote di partecipazione del coniuge ad una società di persone e successivi
aumenti costituiscono oggetto della comunione legale e rientrano tra gli acquisti.

Per le partecipazioni a cooperative edilizie si esclude la loro caduta in comunione.

Acquisti a titolo originario: possono costituire oggetto di comunione immediata.

Usucapione  opera in virtù del possesso continuato nel tempo. Alcuni negano che possa formare oggetto
di comunione perché vi è incertezza per quanto riguarda il momento in cui il bene entrerebbe nel
patrimonio del soggetto. Alla tesi negativa si contrappone la tesi secondo la quale il bene cade in
comunione se il regime sussiste al momento dell’acquisto.

Accessione  caso in cui sul terreno di proprietà di un solo coniuge viene edificato un immobile in regime
di comunione mediante utilizzo di denaro comune. L’immobile è di proprietà del coniuge proprietario del
suolo. L’altro coniuge avrà diritto al rimborso delle somme erogate per realizzazione della costruzione.

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momento della celebrazione al momento della richiesta di trascrizione, e senza pregiudizio dei diritti
legittimamente acquisiti da 3i.
La trascrizione post mortem non è consentita.

Per quanto riguarda il concorso di giurisdizione tra quella italiana e quella ecclesiastica nelle cause di nullità
del matrimonio questo è da risolvere mediante il criterio della prevenzione. La giurisprudenza ha
confermato tale orientamento della corte di cassazione a sezioni unite e il diritto applicabile in questo caso
è quello italiano, non potendosi rinvenire nel sistema alcun criterio di collegamento che consenta al giudice
italiano di applicare alla fattispecie un diritto appartenente ad un ordinamento diverso da quello interno.

Riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche in materia di nullità matrimonio: le sentenze pronunciate dai
tribunali ecclesiastici e munite del decreto di esecutività del superiore organo di controllo ecclesiastico
sono, su richiesta di entrambe le parti o una di0esse, dichiarate
0 efficaci nella repubblica italiana con sentenza
della corte d’appello competente cioè quella del distretto cui appartiene il comune presso il quale fu
trascritto l’atto di celebrazione del matrimonio. L’intervento del pm è obbligatorio e la sua mancanza rende
nullo il procedimento e la eventuale pronuncia.

Ci sono delle condizioni per la dichiarazione di efficacia:


 Accertamento competenze del tribunale ecclesiastico
 Assicurato alle parti il diritto di agire e resistere in giudizio in modo non difforme da quanto previsto
da ord it
 Condizioni per l’efficacia del riconoscimento delle sentenze straniere ord it
 Grande rilevanza l’ordine pubblico: regole fondamentali poste dalla costituzione prendendo in
considerazione la perenne evoluzione della società e la specificità dell’ordinamento canonico. La
contrarietà all’ordine pubblico deve essere così marcata da superare il margine di disponibilità che
lo stato si è imposto rispetto all’ordinamento canonico.
Per quanto riguarda la possibilità di delibare tutte le ipotesi di nullità canonica con però qualche incertezza
circa una riserva mentale unilaterale su uno dei bona matrimonii non conosciuta all’altra parte prendendo
in considerazione il principio di tutela della buona fede e l’affidamento incolpevole nei confronti della parte
che ignorava la riserva dell’altro. 3 posizioni:

1. Delibazione ammessa solo quando la riserva mentale sia stata manifestata all’atro coniuge
2. Delibazione anche se la riserva non conosciuta poteva esserlo mediante l’uso dell’ordinaria diligenza
3. No delibazione quando coniuge che ignorava o non poteva conoscere il vizio del consenso dell’altro
coniuge chieda la declaratoria di esecutività della sentenza ecclesiastica o non si opponga a tale
delcaratoria

La convivenza coniugale protratta per almeno 3 anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario
regolarmente trascritto crea una situazione giuridica disciplinata da norme costituzionali, convenzionali e
ordinarie che non consente sia dichiarata efficacia in italia per contrarietà a ordine pubblico interno, la
sentenza definitiva di nullità del matrimonio pronunciata dal giudice ecclesiastico per qualsiasi vizio
accertato e dichiarato nell’ordine canonico. Non è sufficiente la mera coabitazione materiale sotto lo stesso
tetto ma occorre che si sia istaurato un vero e proprio consorzio familiare ed affettivo nonostante il vizio
genetico del matrimonio atto.
Per i matrimoni celebrati davanti a ministri di culti ammessi nello stato la disciplina applicabile è quella
prevista dal codice civile per i matrimoni celebrati davanti all’ufficiale di stato civile. Stipulazione di intese
con rappresentanti di confessioni religiose da quella cattolica.

0 0
I cittadini italiani possono celebrare matrimonio in un paese straniero secondo le forme ivi stabilite purchè
ricorrano le condizioni necessarie dettate del codice civile art 84 e ss. Per quanto riguarda il matrimonio
contratto all’estero da cittadini italiani dello stesso sesso la l 76/2016 stabilisce che questo produca gli effetti
dell’unione civile regolata dalla legge italiana.

Lo straniero può contrarre matrimonio in italia e deve presentare all’ufficiale dello stato civile una
dichiarazione dell’autorità competente del proprio paese dalla quale risulti che nulla osta al matrimonio. In
mancanza del rilascio l’interessato può rivolgersi al tribunale che potrà autorizzare la celebrazione qualora
ritenga che il rifiuto o l’omissione delle autorità straniere costituisca lesione non giustificata della libertà
matrimoniale o si ponga in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento.

RAPPORTI PERSONALI TRA CONIUGI


Art 143  con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono gli stessi doveri.
Questo presuppone un’eguaglianza assoluta e perfetta intesa nel senso di identità di posizione tra marito e
moglie che hanno le stesse prerogative personali e sono titolari del governo della famiglia senza distinzione
di poteri e di ruoli. I doveri sono: fedeltà, assistenza, collaborazione, coabitazione. Non è un elenco
esaustivo.

Obblighi:

FEDELTA’: deve essere interpretata in senso ampio come dedizione fisica e spirituale di un coniuge all’altro.
Obbligo non previsto nella disciplina sui matrimoni tra persone dello stesso sesso. Va a coincidere con il
dovere di lealtà come obbligo di non tradire la fiducia del proprio compagno di vita e di mantenere per
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quest’ultimo costante dedizione fisica e spirituale. 0

Permane durante il temporaneo allontanamento di un coniuge dalla residenza familiare e viene meno una
volta avviato l’iter della separazione legale.

ASSISTENZA: morale e materiale insieme a fedeltà costituisce il completamento dell’impegno di vita


assieme che i coniugi assumono con il matrimonio. In ambito morale l’assistenza riguarda il sostegno
reciproco nell’ambito affettivo, psicologico e spirituale. Ne rientra il dovere di rispettare la persona dell’altro
coniuge. L’obbligo è da ritenersi violato in presenza di un ingiustificato rifiuto di aiuto e conforto spirituale
accompagnato da volontaria aggressione della personalità dell’altro per deprimerla o ostacolarla.

In ambito materiale è invece il sostegno necessaria non solo in caso di malattia ma nell’attività di studio e
lavoro e nello svolgimento dei compiti che si è assunto nella ripartizione delle incombenze familiari. +
dovere di contribuzione.

COLLABORAZIONE: riguarda attività necessarie a soddisfare le esigenze del nucleo familiare nel suo
complesso con il limite della capacità e personalità di ciascun coniuge.

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COABITAZIONE: vivere sotto lo stesso tetto ma non solo in chiave materiale ma anche riferendosi alla
comunione di vita che si istaura tra gli sposi. È elemento essenziale del matrimonio rapporto che si
manifesta come consuetudine di vita coniugale comune, stabile e continua nel tempo e riconoscibile
esteriormente dal comportamento dei coniugi. Questi fissano la residenza della famiglia secondo le
esigenze di entrambi e quelle preminenti alla famiglia stessa. Devono essere presi in considerazione gli
interessi propri e quelli dei figli da contemperare. Se i coniugi svolgono il proprio lavoro in luoghi diversi
ciascuno dei coniugi ha il proprio domicilio nel luogo in cui ha stabilito la sede principale dei suoi affari o
interessi. Se i coniugi o uno di essi è costretto a dimorare abitualmente nel luogo in cui hanno eletto il
proprio domicilio e dunque ad allontanarsi stabilmente dalla residenza comune i coniugi avranno residenze
autonome e mancherà una residenza familiare in senso proprio.
Casa familiare  la coabitazione richiede una casa comune. Manca una definizione esplicita di casa
familiare cui la giurisprudenza si riferisce come quell’insieme di beni, mobili e immobili finalizzati
all’esistenza della comunità familiare e alla conservazione degli interessi in cui si esprime e si articola la vita
comune. In sede di separazione o divorzio si è precisato che avverrà l’assegnazione (per esigenze di
conservazione dell’habitat domestico ai figli) unicamente dell’immobile che ha costituito centro di
aggregazione della famiglia durante la convivenza.
Art 146 sospende il diritto all’assistenza morale e materiale nei confronti del coniuge che allontanandosi
senza giusta causa dalla residenza familiare rifiuti di tornarvi.
La concreta individuazione della casa familiare è frutto dell’accordo dei coniugi. La casa potrà essere di
proprietà di entrambi o di uno solo di essi o di un terzo grazie al quale possono godere dell’immobile in
funzione di un contratto. In caso di comproprietà ciascuno dei coniugi possono godere dell’immobile
realizzando in questo modo una situazione di compossesso. Gli atti eccedenti la ordinaria amministrazione +
stipula contratti con i quali si concedono o acquistano diritti personali di godimento spettano
congiuntamente a entrambi i coniugi. Se la casa è di proprietà individuale il proprietario non può compiere
atti che rendano gravoso il godimento della casa familiare. Il coniuge non proprietario acquista nei confronti
dell’altro il diritto fondamentale di abitare la casa e di utilizzare i mobili che la arredano.

Diritto di abitazione  è un diritto personale di godimento. È da negare la configurazione di questo diritto


come diritto reale perché principalmente non vi è un previsione di legge in questo senso e perché l’art 540
cc dispone in favore del coniuge superstite l’attribuzione del diritto di abitazione sulla casa adibita a
residenza familiare e di uso dei mobili che la corredano se di proprietà del defunto o comuni a titolo di
legato ex lege. È un diritto personale che trova la sua fonte nell’accordo attuativo degli obblighi legali. Il
diritto sussiste finchè nuovi accordi non lo facciano cessare.

Se la casa è di proprietà di 3i il contratto di locazione o comodato può essere stipulato da entrambi i coniugi
o da uno di essi. In caso di morte dello stipulante è garantita la successione nel contratto da parte del
coniuge e di altri familiari conviventi. In caso di separazione o scioglimento del matrimonio succede nel
contratto il coniuge al quale sia stato attribuito dal giudice il diritto ad abitare nella casa familiare.

Non vi è uno strumento giuridico che consenta al coniuge dissenziente di contrastare la decisione dell’altro
titolare dell’immobile di compiere atti di disposizione. Solo l’inclusione della casa nel fondo patrimoniale
crea un vincolo di destinazione che consente di 0
proteggerla
0
da atti di disposizione o azioni esecutive
promosse dai creditori personali del proprietario.

Contribuzione ai bisogni della famiglia


Art 143  entrambi i coniugi sono tenuti a contribuire ai bisogni della famiglia ed a mantenere, istruire,
educare ed assistere moralmente la prole in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la propria
capacità di lavoro professionale o casalingo.

Queste disposizioni si riverberano sul patrimonio dei coniugi. Si parla di regime patrimoniale primario
0 0
imperativo che è volto a regolare l’obbligo di contribuzione ed è inderogabile. Il regime contributivo è
inderogabile ed è ispirato a rigidi criteri di proporzionalità diretti ad attuare l’eguaglianza sostanziale tra i
coniugi.
L’individuazione dei bisogni della famiglia dipende dalla scelta dei coniugi e dalla loro capacità contributiva.
Vi è un contenuto minimo e inderogabile al di sotto del quale non si può immaginare l’esistenza della vita
familiare (vitto, alloggio, vestiario) ma tanto maggiore è la capacità contributiva dei membri delal famiglia
tanto più elevato può essere il tenore di vita e tanto maggiori i bisogni della famiglia.

Per quanto riguarda la ripartizione dell’obbligo: il lavoro casalingo è equiparato al lavoro esterno che
evidenzia parità morale e giuridica dei coniugi e la rilevanza del contributo della donna sulla quale tuttora
grava maggiormente la cura della famiglia in ragione della sua “essenziale funzione familiare”.

L’obbligo di contribuzione permane per tutta la durata della convivenza a grava anche sul coniuge
allontanatosi senza giusta causa.

Cognome della moglie

Art 143 bis  la moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito conservandolo anche durante lo
stato vedovile finchè non passi a nuove nozze. Non è un’aggiunta necessaria ma si tratta di una facoltà della
donna di essere identificata nella vita sociale anche col cognome del marito. La donna può conservare il
cognome originario ma ne comporta comunque una limitazione del principio di uguaglianza giustificata da
esigenze che impongono l’esistenza di un nome familiare a salvaguardia dell’unità della famiglia stessa.

La donna perde il cognome del marito in caso di divorzio salvo che il giudice valuti la sussistenza di
particolari interessi meritevoli di tutela per conservarlo. L 898/1970.

Contrasto con le unioni civili per le quali i coniugi dello stesso sesso possono scegliere un cognome comune
tra i loro cognomi da anteporre o posporre al proprio se diverso facendo dichiarazione all’ufficiale di stato
civile. L’elezione del cognome non da luogo a mutamento anagrafico.
Il cognome maritale si trasmette automaticamente ai figli nati nel matrimonio. Al figlio può essere attribuito
anche il cognome materno. L 286/2016.

Accordo sull’indirizzo della vita familiare

Art 144  i coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia
secondo esigenze di entrambi e preminenti della famiglia stessa. La regola dell’accordo deve essere
coordinata con il principio di libertà individuale. Es mutamento di fede non costituisce violazione del doveri
coniugali a meno che non abbia reso intollerabile la vita coniugale. Vi sono però alcune regole che
riconoscono solo ad uno dei coniugi il potere di prendere individualmente delle decisioni. È il caso della
donna che può interrompere la gravidanza che ha una mera facoltà e non obbligo di consultare il marito in
quando padre del concepito come garanzia della tutela della salute della donna.

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Nelle scelte di indirizzo sono ricompresi: tenore di vita familiare, contribuzione economica, educazione e
istruzione figli, collaborazione reciproca e altri affari di famiglia. L’indirizzo è modificabile dai coniugi
secondo le esigenze del momento.

Le scelte di indirizzo, in particolare quelle relative alle modalità di contribuzione economica ai bisogni della
famiglia possono comportare soprattutto per quanto riguarda i matrimonio di lunga durata un dislivello
professionale e reddituale tra gli sposi. L’esempio lampante è quello della donna che sacrifica prospettive di
lavoro professionale per dedicare preminente contributo personale alla conduzione della vita familiare. Di
tale contributo occorre tenere conto nella determinazione dell’assegno di divorzio in caso di scioglimento o
cessazione effetti civili del matrimonio.

Se le parti non arrivano a un accordo possono ricorrere al giudice che svolge attività di supporto a beneficio
della famiglia per risolvere i contrasti coniugali. Svolge un ruolo di conciliatore per il raggiungimento di una
soluzione concordata sentiti i coniugi o i figli ultra16enni. Se no accordo sulla residenza o affari essenziali il
giudice prende una decisione in base alle esigenze dell’unità e della vita della famiglia.

Allontanamento dalla residenza familiare

Art 146 coniuge si allontana senza giusta causa dalla residenza familiare e rifiuta, nonostante l’invito
dell’altro, di ritornarvi. Nei suoi confronti è sospeso il diritto all’assistenza morale e materiale.
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L’allontanamento deve essere intenzionale e duraturo e non deve derivare da un mancato accordo sulla
residenza di famiglia.
Per giusta causa si intende: proposizione domanda si separazione/annullamento/scioglimento/cessazione
effetti civili del matrimonio. Non sono esaustive.

Il giudice può ordinare il sequestro dei beni del coniuge allontanato in modo che questo non si sottragga
all’obbligo di mantenimento e contribuzione. Il coniuge allontanato deve compiere tutti gli obblighi previsti
da art 143.2 tranne la coabitazione. Conseguenze penali sa si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla
responsabilità genitoriale o qualità di coniuge.

REGIME PATRIMONIALE DELLA FAMIGLIA


Dal vincolo matrimoniale discendono rilevanti effetti patrimoniali che il codice regola agli artt. 159-230 ter.
Si applicano anche alle unioni civili e ai conviventi se regole richiamate nel contratto di convivenza.

Il regime patrimoniale riguarda la disciplina delle spettanze e dei potei dei coniugi e familiare in ordine
all’acquisto e alla gestione dei beni.

Queste disposizioni costituiscono il regime patrimoniale secondario della famiglia cioè le ricchezze acquisite
durane il matrimonio. Il regime legale dei rapporti patrimoniali tra coniugi è quello della comunione dei
beni ma si lascia libertà ai coniugi di adottare mediante apposite convenzioni un diverso regime. Queste
diposizioni sono da coordinare con art 143 e 144.

Regimi pattizi
Sono previsti tre tipi di convenzioni matrimoniali:

1. Fondo patrimoniale: uno o più beni vengono destinati a far fronte ai bisogni della famiglia ed in
parte sottratti alla disponibilità dei coniugi ed alla garanzia generica dei creditori. Art 167, 169, 170.

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Ha un oggetto limitato legislativamente perché può concernere solo determinati beni immobili o mobili
registrati o titoli di credito. Non è un regime patrimoniale autonomo ma una convenzione che può integrare
sia il regime della legale comunione sia la comunione convenzionale o separazione.

2. Comunione convenzionale: regolamento fissati dai coniugi in parziale deroga rispetto a quello della
comunione legale.
3. Separazione dei beni: titolarità e gestione dei beni acquistati durante il matrimonio rimane esclusiva
in capo a ciascun coniuge.

Questi due costituiscono dei veri e propri regimi patrimoniali tra loro alternativi perché ineriscono la totalità
del patrimonio dei coniugi.

Comunione legale

È il regime legale dei rapporti patrimoniali tra coniugi in mancanza di diversa convenzione. Art 162. Si
istaura automaticamente all’atto del matrimonio prima ed indipendentemente dall’eventuale acquisto di
beni.
La comunione può essere considerata come vero e proprio centro di imputazione di beni o comproprietà.

A sostengo della prima vi è l’art 180 cc che dispone che la disgiunta rappresentanza dei coniugi in giudizio
per gli atti relativi alla comunione ammetterebbe implicitamente l’esistenza di un altro soggetto distinto da
loro. I sostenitori della dottrina oggettivistica invece ritengono che non è configurabile un patrimonio
autonomo ma una contitolarità dei beni coniugali in base agli artt 194 e 189 cc.

Non si tratta però di una semplice comunione come quella prevista all’art 1100 e ss perché tra comunione
legale e comunione ordinaria sussistono differenze. Per la comunione ordinaria la fonte può essere anche la
volontà delle parti mentre per quella legale è sempre e solo la legge. Solo nella comunione ordinaria vi
possono essere quote diseguali. Il coniuge in comunione non può, finchè vige la comunione, mai disporre
della propria quota ma se presupposti art 181-183 può disporre dell’intero. L’atto di disposizione del bene
immobile o mobile registrato nella sua interezza al di fuori di queste ipotesi è sanzionato con l’annullabilità.
L’identico atto che riguardi i beni mobili non registrati è valido ma il coniuge che l’ha compiuto senza il
consenso dell’altro è obbligato su istanza di quest’ultima a ricostituire la comunione o al pagamento
dell’equivalente. Nella comunione ordinaria si può alienare o ipotecare la propria quota e l’amministrazione
è congiunta mediante un procedimento deliberativo a maggioranza o unanimità. La comunione legale
invece prevede il potere disgiunto per gli atti di ordinaria amministrazione e congiunto per quelli di
straordinaria. Vige inoltre il divieto di divisione0 richiesta
0 da un solo coniuge mentre per la comunione
ordinaria la divisione è ammessa in ogni tempo.
La comunione legale non costituisce patrimonio di destinazione ma i beni rispondono per tutte le
obbligazioni contratte congiuntamente dai coniugi.
Il regime patrimoniale coinvolge tutti i beni e tutti i redditi dei coniugi compresi i beni personali mentre il
regime della comunione riguarda solo le modalità di distribuzione della ricchezza familiare.

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Oggetto

Artt 177-179:
 Beni comuni oggetto di comunione immediata (a+d art 177). Comproprietà nasce al momento
dell’acquisto a prescindere dal fatto che un solo coniuge abbia partecipato al relativo atto o risulti
intestatario formale del bene
 Beni oggetto di comunione differita (b+c + art 178). Diventano comuni solo al momento dello
scioglimento della comunione stessa
 Beni personali dei quali ciascuno dei coniugi ha titolarità esclusiva. Beni dei quali il coniuge era
proprietario prima del matrimonio o beni acquistati per donazione/successione salvo attribuzione
alla comunione, beni di uso strettamente personale, necessari per esercizio professione, titolo di
risarcimento danno.

L’oggetto immediato della comunione legale è l’acquisto di beni effettuato durante il matrimonio e le
aziende gestite da entrambi i coniugi o utili e incrementi prodotti dalla gestione comune. Da questo deriva
la denominazione di comunione degli acquisti per la comunione legale.
L’acquisto è da intendere come risultato. Sono ricompresi in questo modo non solo i diritti reali sui beni ma
anche i diritti di credito e i diritti relativi.
Per quanto riguarda il contratto preliminare concluso da un solo coniuge, considerando la natura
strumentale del contratto il coniuge non contraente non può vantare alcun diritto né pretendere
l’esecuzione in forma specifica. Lo stesso vale anche per la proposta irrevocabile e la prelazione. Gli effetti
del connesso acquisto definitivo si produrranno anche a favore dell’altro coniuge.

Annoverati anche i titoli di partecipazione azionaria acquistati in costanza di matrimonio da uno solo dei
coniugi e allo stesso intestati e i fondi agricoli. Anche le quote di fondi comuni di investimento comprate con
i proventi dell’attività di uno solo dei coniugi.

Partecipazioni societarie: se relativi a società di capitali non comportanti assunzione di responsabilità


illimitata cadono in comunione perché sono da considerare beni mobili. Per quanto riguarda i casi di
responsabilità illimitata non vi è un orientamento prevalente. È in dottrina la soluzione che riscontra
maggiore consenso circa l’acquisto come strumento del coniuge per lo svolgimento della propria attività
economica. Rimangono nella esclusiva e piena titolarità e disponibilità del coniuge salvo disciplina della
comunione de residuo su proventi e liquidazione quota.

La cassazione ha stabilito che le quote di partecipazione del coniuge ad una società di persone e successivi
aumenti costituiscono oggetto della comunione legale e rientrano tra gli acquisti.

Per le partecipazioni a cooperative edilizie si esclude la loro caduta in comunione.


Acquisti a titolo originario: possono costituire oggetto di comunione immediata.

Usucapione  opera in virtù del possesso continuato nel tempo. Alcuni negano che possa formare oggetto
di comunione perché vi è incertezza per quanto riguarda il momento in cui il bene entrerebbe nel
patrimonio del soggetto. Alla tesi negativa si contrappone la tesi secondo la quale il bene cade in
comunione se il regime sussiste al momento dell’acquisto.

Accessione  caso in cui sul terreno di proprietà di un solo coniuge viene edificato un immobile in regime
di comunione mediante utilizzo di denaro comune. L’immobile è di proprietà del coniuge proprietario del
suolo. L’altro coniuge avrà diritto al rimborso delle somme erogate per realizzazione della costruzione.

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Sono esclusi l’alluvione, avulsione, unione e commistione in quanto semplici espansioni del diritto personale
preesistente. L’occupazione, invenzione e specificazione cadono in comunione immediata se non derivano
da attività separate del coniuge.

Diritti reali minori  per quanto riguarda la servitù considerando l’impossibilità di scindere il diritto reale di
servitù dalla titolarità del fondo dominante, seguirà la sorte del diritto di proprietà salvo nascita di un diritto
di credito a favore del coniuge non titolare nel caso di investimento di beni comuni per l’acquisto di servitù a
favore del fondo di proprietà dell’altro.

Uso e abitazione: entrano in comunione solo nei rapporti interni fra coniugi e sono inopponibili ai terzi. In
dottrina si considera che possono entrare a far0 parte 0della comunione.

Si per usufrutto.
No per i diritti di garanzia di un credito personale.

Comunione differita

O de residuo la comunione relativa a beni che in pendenza di comunione appartengono ad uno solo dei
coniugi che al momento dello scioglimento divengono comuni per la parte di essi effettivamente
sussistente.

Comprende:
 Frutti dei beni propri di ciascun coniuge percepiti e non consumati al momento dello scioglimento
della comunione
 Proventi attività separata di ciascuno dei coniugi se allo scioglimento della comunione non siano
stati consumati
 Beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e gli
incrementi dell’impresa costituita anche precedentemente
È frutto il bene che viene collegato ad un altro bene considerandosi come reddito del primo relativamente
ad un certo periodo di tempo (periodo fruttifero). I frutti naturali sono quelli che provengono dalla cosa a
prescindere dal fatto che vi concorra o meno l’opera dell’uomo. Sono frutti civili quelli che si ritraggono dalla
cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia (interessi sui capitali). Si deve trattare di frutti
prodotti dal patrimonio di cui ciascun coniuge è titolare esclusivo, percepiti e non consumati.

Proventi dell’attività separata: utilità conseguite da ciascun coniuge per lo svolgimento di qualsiasi
prestazione lavorativa, subordinata, autonoma o professionale.

Alcuni in dottrina ritengono che non abbia senso distinguere tra frutti e proventi perché entrambi
confluiscono nella comunione de residuo. Altri invece ritengono necessaria la distinzione perché i frutti ne
rientrano solo se percepiti mentre i proventi solo se ancora non corrisposti ma anche se non di pronta
percezione.

Titolarità e amministrazione in pendenza di comunione: i beni in oggetto durante la vigenza del regime di
comunione legale rimangono di proprietà di chi li percepisce e l’amministrazione ai sensi dell’art 217 è
affidata al solo coniuge proprietario. I beni quindi rimangono nella libera disponibilità del titolare fino a
quando non interviene lo scioglimento con il solo limite del dovere di assolvere l’obbligo di contribuzione.
Questa affermazione è da coordinare insieme all’art 177 lettera a che sancisce la caduta in comunione di
ogni acquisto che non sia riconducibile alle categorie di cui all’art 179. Se i proventi dell’attività separata o i

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frutti dei beni personali vengono usati per compiere un acquisto, il bene acquistato deve ritenersi compreso
nella comunione immediata e non de residuo, salvo si tratti di beni rientranti nell’art 179.
I frutti e i proventi non devono essere stati consumati affinchè rientrino nella comunione de residuo al
momento dello scioglimento. Sono da considerare consumati quelli che il precettore ha comunque utilizzato
perciò cadono in comunione i beni e i proventi ancora esistenti nel patrimonio al momento dello
scioglimento. Tale nozione ampia è stata oggetto di critiche da parte della dottrina. Si è cercato di
distinguere tra legittimo consumo da parte del coniuge precettore e comportamenti spesso fraudolenti
(consumo in mala fede dei propri redditi), riconoscendo in capo a entrambi i coniugi un diritto di buona
amministrazione. Di formula in questo modo una nozione ristretta di consumo che sanziona la disposizione
in frode alla comunione. Si considerano quindi in questo senso parte della comunione non solo i redditi che
si riesca a dimostrare ancora sussistenti al momento dello scioglimento ma anche quelli percepiti che il
coniuge titolare non provi di aver consumato per soddisfare i bisogni della famiglia.

Comunione legale e azienda coniugale: il legislatore richiama in maniera imprecisa la nozione di azienda e
impresa.

 Art 177: costituiscono oggetto della comunione immediata la aziende gestite da entrambi i coniugi e
costituite dopo il matrimonio. Se l’azienda appartiene ad uno dei coniugi antecedentemente al
matrimonio ma è gestita da entrambi i coniugi, la comunione concerne solo gli utili e gli incrementi.
 Art 178: se l’impresa costituita dopo il matrimonio è gestita da uno dei coniugi i relativi beni non
cadono in comunione immediata ma si considerano oggetto della comunione solo se sussistono al
momento dello scioglimento di questa. Se invece costituita prima del matrimonio in comunione
residuo cadono solo gli incrementi dell’impresa che sussistano al momento dello scioglimento della
comunione legale.

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Comunione e società: parte della dottrina considera 0 l’attività di impresa che i coniugi svolgono
che
congiuntamente è regolata dalle norme in tema di amministrazione della comunione. Questo darebbe vita
ad una figura particolare che non può essere ricondotta entro il tipo societario. Altri considerano che la
disciplina della società di persone non si pone in contrasto con quella della comunione legale.

I beni sono da includere nella comunione de residuo ed esclusi da quella immediata per il solo fatto della
destinazione all’impresa, non essendo necessario né un atto formale di destinazione né la partecipazione
dell’altro coniuge.

I beni personali

Sono esclusi dal regime di comunione i beni personali. I frutti però sono oggetto di comunione differita. Art
179. L’esclusione della contitolarità può aversi infatti in ragione del:
1. Tempo dell’acquisto: sono personali i beni dei quali ciascun coniuge era titolare prima del
matrimonio. Ci sono ipotesi che possono dare dubbi circa la natura personale del bene.
 Contratto preliminare: alcuni ritengono che bisogna avere riguardo al momento in cui viene
stipulato il contratto definitivo perché con esso si produce l’effetto reale. Altri invece
sostengono il contrario.
 Opzione: art 1331. Essendo economicamente valutabile costituisce bene personale ma se il
diritto è esercitato dopo il matrimonio si produce caduta in comunione del bene acquistato.
 Contratto condizionato: stipulato prima del matrimonio. Se condizione si verifica dopo, per
effetto della retroattività della condizione l’acquisto è da ritenere come personale. A

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2. Titolo dell’acquisto: risultano esclusi i beni acquistati per donazione o successione. È però
consentito al donante e al testatore attribuire il bene alla comunione. Il termine donazione si
estende anche alla donazione indiretta e il contratto a favore del terzo.
Occorre una esplicita dichiarazione del disponente circa l’attribuzione del bene ai coniugi in
comunione o semplicemente alla comunione, con la conseguenza che in caso di dubbio in bene
entrerà nel patrimonio personale del coniuge beneficiato, o in caso di attribuzione ad entrambi i
coniugi senza specificazioni si costituisce una comunione ordinaria ai sensi art 1100.

Viene in rilevo l’uso strettamente personale del bene. I beni di uso strettamente personale sono personali in
virtù della loro destinazione obiettiva, volta al soddisfacimento di esigenze del singolo coniuge. Si tratta di
beni che non possono essere utilizzati dall’altro coniuge (vestiti, occhiali) e che sono usati per soddisfare
interessi ed esigenze personali. Se il bene non è destinato ad un uso personale come gli immobili o mobili
registrati e l’effettiva utilizzazione viene a mancare il bene perde il carattere personale per cadere in
comunione. Art 179.

Anche i beni che servono all’esercizio della professione sono caratterizzati da una particolare destinazione
che ne giustifica l’esclusione della comunione. Deve ricorrere l’effettivo esercizio di una professione come
attività svolta abitualmente e non necessariamente di natura intellettuale e la strumentalità del bene
all’esercizio di tale professione.

Sono personali anche i beni ottenuti a titolo di risarcimento danno e la pensione attinente alla perdita
parziale e totale della capacità lavorativa. In quest’ultimo caso sono ricompresi tutti i beni corrisposti al
coniuge da persone o enti pubblici o privati a titolo di ristoro di una capacità produttiva perduta. Esclusa la
rendita percepita in forza di un contratto di assicurazione sulla vita.

I beni acquistati con il prezzo del trasferimento dei beni personali o con il loro scambio  è personale il
bene che provenga da un atto di scambio di un bene personale. Si vuole evitare in questo modo la caduta in
comunione del nuovo bene acquistato garantendo il potere di modificare la composizione del proprio
patrimonio. Il discorso è diverso a seconda del fatto che il bene sia mobile o immobile. Per i beni mobili si
richiede una dichiarazione del coniuge titolare mentre per i beni immobili o mobili registrati oltre alla
dichiarazione all’atto dell’acquisto deve intervenire l’altro coniuge. Art 179.2 fa riferimento ai beni di cui alle
lattera c,d,f in quanto la loro natura personale potrebbe essere contestabile. Questo non ricorre invece per i
beni mobili registrati o immobili perché dall’esame dei pubblici registri è possibile accertare se acquisto
avvenuti prima del matrimonio, a titolo gratuito o mortis causa.
1. Posizione del coniuge acquirente: dichiarazione di conseguire il bene come personale e delle ragioni
oggettive che ne giustificano l’acquisto individuale. Non necessario comprovare in atto le modalità
mediante le quali opera la surrogazione.
2. Partecipazione coniuge non acquirente: per beni effettuati dopo il matrimonio in regime di
comunione legale. Condizione necessaria per escludere la comunione ma devono sussistere in
0
concreto le cause di esclusione tassativamente0 indicate dall’art 179 c 1 lett c,d,f.
3. Il coniuge acquirente potrà promuovere un’azione di accertamento volta a dichiarare la natura del
bene acquistato.
Per i beni mobili personali non sono richieste formalità particolari. Se si vuole escludere dalla comunione i
beni acquistati con il trasferimento di beni strettamente personali o con il loro scambio si deve rendere una
dichiarazione solo se vi sono dubbi circa la natura personale del bene impiegato per l’acquisto. Se però è

certa l’appartenenza esclusiva del bene al coniuge acquirente prima del matrimonio l’acquisto è da ritenere
escluso dalla comunione legale senza una necessaria dichiarazione.
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Rifiuto del coacquisto i coniugi di comune accordo possono escludere l’acquisto in comunione di un bene
Rifiuto del coacquisto i coniugi di comune accordo possono escludere l acquisto in comunione di un bene
a prescindere dal ricorrere dei presupposti oggettivi di cui art 179 c,d,f? La cassazione ha dichiarato che a
questo fine è necessario la dichiarazione del coniuge non acquirente + devono ricorrere i presupposti
oggettivi. La dichiarazione è impugnabile solo per violenza o per errore di fatto e dunque nei limiti in cui ciò
è ammesso per la confessione.

Amministrazione della comunione

Si parla di una assoluta parità dei coniugi. Possono compiere disgiuntamente gli atti di ordinaria
amministrazione e congiuntamente quelli di straordinaria amministrazione + stipula dei contratti con cui si
concedono o si acquistano diritti personali di godimento.

Gli atti di straordinaria amministrazione sono idonei ad apportare modifiche alla consistenza o
composizione del patrimonio. Rientrano nella ordinaria amministrazione gli atti tendenti al normale
godimento del bene ed alla sua conservazione. Art 180 c1,2
Per evitare che il rifiuto del consenso di uno dei coniugi paralizzi il compimento di un’operazione necessaria
nell’interesse della famiglia o dell’azienda facente parte della comunione, il legislatore ha previsto una
specifica autorizzazione del tribunale a compiere l’atto. Art 181.

Procura ad amministrare: in caso di lontananza o impedimento di uno dei coniugi deve essere rilasciata
all’altro una procura che gli consenta di agire per gli atti di straordinaria amministrazione anche in mancanza
dell’altro.

Esclusione dall’amministrazione: art 183. Uno dei coniugi può essere escluso dall’amministrazione dei beni
della comunione con domanda all’autorità giudiziaria da un coniuge se l’altro sia minore d’età o abbia male
amministrato. Opera di diritti in caso di interdizione.

Atti compiuti senza necessario consenso


Art 184. Gli atti computi senza il necessario consenso dell’altro coniuge e da questo non convalidati sono
annullabili se riguardano beni immobili o beni mobili. Si riferisce però solo agli atti dispositivi della
comunione. Se si attua l’alienazione di un bene comune (mobile registrato o immobile) il relativo contratto è
ricompreso nella sfera di applicazione del suddetto articolo co1. Se l’atto dispositivo è di acquisto il bene di
cui si dispone è il denaro e trova applicazione art 184 co2. L’acquisto resta fermo e il coniuge è obbligato e
ricostituire la comunione nello stato in cui si trovava.

Si distingue quindi tra atti concernenti beni immobili o mobili e registrati e atti inerenti beni mobili.

Beni immobili/mobili reg  annullabilità da azionarsi entro un anno da data in cui coniuge ha avuto
conoscenza dell’atto e comunque dalla trascrizione. Se non ne viene a conoscenza e non c’è trascrizione il
termine annuale di prescrizione decorre dallo scioglimento della comunione.
Beni mobili  il bene resta valido ed efficace ma sorge obbligo per il coniuge disponente di ricostituire la
comunione o di pagarne l’equivalente ad istanza dell’altro.

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Per i contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento, stipulati senza il
necessario consenso di un coniuge, sono annullabili solo se relativi alla soddisfazione di esigenze abitative
comuni o quando possono qualificarsi come atti di straordinaria amministrazione del patrimonio comune.

Si evince come il legislatore abbia cercato di contemperare da un lato l'interesse del terzo acquirente e
dall'altro quello del coniuge pretermesso non che far salva la sicurezza della circolazione dei beni: a tal
proposito taluni hanno ritenuto che sarebbe stato più appropriato prevedere il ricorso all’inefficacia
piuttosto che all'azione di annullabilità in quanto l'interesse del coniuge non partecipante sarebbe meglio
salvaguardato con l'applicazione dei principi generali in tema di relatività del contratto. La corte cost ha
affermato che l'atto con il quale un coniuge dispone di un bene comune è efficace anche con riguardo alla
quota dell'altro qualora quest’ultimo non proponga azione di annullamento ai sensi dell'art. 184 comma 2
cc e così facendo finisce per convalidare implicitamente l'atto.

La responsabilità gravante sui beni della comunione


La legge prevede obblighi gravanti sui beni comuni distinguendoli da quelli particolari di ciascuno dei
coniugi. Occorre distinguere tra:

1. Obbligazioni riguardati la comunione0 (i creditori


0 possono soddisfarsi in via immediata sui beni
oggetto della comunione)
2. Obbligazioni personali di ciascun coniuge (il debitore risponde con i beni personali per
l’adempimento)

Ne consegue una specie di responsabilità incrociata. Se il credito rimane insoddisfatto e il debito è della
comunione ma i beni non sono sufficienti per farvi fronte, i creditori potranno agire in via sussidiaria sui
beni personali di ciascun coniuge nella misura della metà del credito. Se il debito è personale i creditori
possono aggredire i beni della comunione fino al valore corrispondete alla quota del coniuge obbligato.

Secondo parte della dottrina l'elencazione di cui all'art. 186 cc deve considerarsi tassativa, pur non essendo
preclusa un'interpretazione estensiva delle categorie indicate sono debiti della comunione:

 tutti quelli gravanti sui beni della comunione al momento dell'acquisto: tale previsione sembra
ricomprendere esclusivamente i vincoli di natura reale in senso stretto gravanti sui singoli beni quali
ipoteche, pegni, privilegi e ogni genere di oneri reali e di obbligazione propter rem
 quelli derivanti dall' amministrazione ordinaria del patrimonio comune: per carichi
dell'amministrazione si intendono quelle obbligazioni che hanno la loro fonte negli atti di ordinaria
amministrazione che ciascuno dei coniugi può validamente compiere, come ad esempio il
pagamento di contributi condominiali, le spese di assicurazione e manutenzione. Qualora
l'obbligazione derivi da un altro di straordinaria amministrazione compiuto da 1 solo dei coniugi si
applica l'art. 189 comma 1 cc; la dottrina ricomprende in questa categoria anche le obbligazioni di
fonte extracontrattuale che discendono da responsabilità collegate all'utilizzo dei beni che fanno
parte della comunione
 le spese per il mantenimento della famiglia e per istruzione ed educazione dei figli, nonché ogni
altra obbligazione contratta dai coniugi, anche separatamente, nell'interesse della famiglia
 ogni obbligazione contratta congiuntamente dai coniugi l’interesse della famiglia è presunto in
quanto insito nell’agire congiunto dei coniugi

L’art. 190 cc pone problemi di coordinamento con le norme di carattere generale in tema di obbligazioni
solidali e responsabilità patrimoniale allorché si riferisce alla posizione del coniuge che si è personalmente
obbligato: si ritiene che la limitazione di responsabilità nella misura della metà valga solo per il coniuge che

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non abbia assunto personalmente l'obbligazione congiuntamente e che l'art. 190 cc non possa invocarsi
quando l'obbligazione sia stata assunta congiuntamente.
Per quanto riguarda i debiti personali di ciascuno dei coniugi è previsto che i beni della comunione, sia pure
in via sussidiaria, rispondono fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato  sono debiti
personali quelli assunti nell'interesse del proprio o altrui patrimonio oppure quelli derivanti dallo
svolgimento di attività separata, ai quali sono equiparati debiti nascenti dal compimento di un atto che
eccede l'ordinaria amministrazione senza il consenso dell'altro coniuge.

Nel caso in cui i creditori personali del coniuge aggrediscono i beni della comunione ci si chiede quale sia
l'oggetto dell'azione esecutiva la dottrina si divide tra la posizione di chi ritiene che il limite del valore
della rilevi per ogni singolo bene e altri che invece ritengono che il limite venga in rilievo con riferimento al
valore globale della quota potendo i beni, fino al valore, essere aggrediti per intero.
La dottrina maggioritaria, alla quale hanno aderito anche le sezioni unite, segue la tesi in base alla quale la
quota va riferita al patrimonio comune nel suo complesso con la conseguenza per cui il creditore particolare
del singolo coniuge può aggredire i beni comuni per l’intero e soddisfarsi sull’intero ricavato ottenuto dalla
vendita forzata degli stessi, purchè rispetti il limite della metà del valore dell’intero patrimonio comune.

Cessazione della comunione


Art 191. Non porta necessariamente ad una divisione dei beni. Per giungere alla divisione di beni è
necessario un contratto di divisione o un provvedimento giudiziale che potrò essere promosso solo
successivamente alla verificazione della cessazione.
La cessazione avviene per:

 rottura del vincolo matrimoniale


 dichiarazione di morte presunta o assenza
 separazione personale
 separazione giudiziale dei beni
 mutamento convenzionale del regime di fallimento di uno dei coniugi

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Separazione giudiziale dei beni  secondo quanto disposto dall'art. 193 cc la separazione giudiziale dei beni
può essere pronunciata in caso di interdizione o inabilitazione di uno dei coniugi o di cattiva
amministrazione della comunione; può anche essere pronunciata quando il disordine degli affari di uno dei
coniugi o la condotta da questi tenuta nell'amministrazione dei beni metta in pericolo gli interessi dell'altro,
della comunione, della famiglia oppure quando uno dei coniugi non contribuisca ai bisogni familiari in
misura proporzionale alle proprie sostanze e incapacità di lavoro. La sentenza che pronuncia la separazione
dei beni viene annotata a margine dell'atto di matrimonio e sull'originale delle convenzioni matrimoniali e
retroagisce al momento della domanda giudiziale e ha l'effetto di instaurare retroattivamente il regime di
separazione, fatti salvi i diritti dei terzi.

Separazione personale  si discutere in ordine al momento in cui si verifica la cessazione del regime, anche
se l'opinione prevalente ritiene che la cessazione avvenga nel momento in cui passa in giudicato la sentenza
di separazione personale, sebbene ciò comporti gravi conseguenze dal punto di vista pratico: infatti i coniugi
durante il tempo necessario per terminare la causa di separazione personale si trovano nel regime di
comunione, con l'effetto di paralizzare il compimento di atti di disposizione. Per questo la giurisprudenza di
merito ha ritenuto che la cessazione retroagisce al momento della comparizione dei coniugi davanti al

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presidente; la Cassazione ha ribadito che il fatto costitutivo del diritto ad ottenere lo scioglimento della
comunione legale dei beni coincide sempre con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione
giudiziale o l'omologa, precisando però che il passaggio in giudicato della sentenza di separazione non
costituisce una condizione di procedibilità della domanda giudiziale di scioglimento della comunione legale
e divisione dei beni ma solo una condizione dell'azione, per cui la domanda diretta a conseguire la divisione
dei beni che sono oggetto di comunione è proponibile anche durante la pendenza del giudizio di
separazioneper porre rimedio a questa discrasia nel 2014 è stato introdotto il cd divorzio breve che,
prevede l'aggiunta di un ulteriore comma all'art. 191 cc ove si dispone che nel caso di separazione
personale la comunione tra i coniugi venga meno nel momento in cui presidente del tribunale autorizza i
coniugi a vivere separati ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale
dei coniugi davanti al Presidente, purché omologato. Qualora i coniugi siano in regime di comunione legale
la domanda di separazione deve essere comunicato all'ufficiale dello stato civile ai fini dell'annotazione
margine dell'atto di matrimonio.

Può accadere che una volta separati i coniugi si riconciliano facendo cessare gli effetti della sentenza di
separazione è controverso il verificarsi o meno dell'automatica ricostituzione della comunione: secondo
la Cassazione, a seguito della riconciliazione si ripristina automaticamente il regime di comunione legale.
Tuttavia in difetto di segnalazione esterna dell'evento il ripristino non è opponibile ai terzi di buona fede che
abbiano acquistato a titolo oneroso dal coniuge che risultava unico ed esclusivo tutelare dell'immobile
alienato, dovendosi applicare le norme generali in tema di pubblicità delle vicende giuridiche a tutela dei
terzi e il sistema di annotazione previsto per la riconciliazione dei coniugi.

La cessazione della comunione legale produce seguenti effetti:

 l'acquisizione nel patrimonio comune di beni di cui agli artt. 177 lett. b) e c) e 178 cc
 l'applicazione ai beni comuni della disciplina della comunione ordinaria e conseguentemente la
possibilità di compiere atti di disposizione sulla propria quota da parte dei coniugi
 inapplicabilità dell'art. 184 cc per gli atti compiuti senza consenso
 la nascita del diritto potestativo di domandare la divisione
 il venir meno della responsabilità ex art. 186 cc

Lo scioglimento della comunione è soggetto a pubblicità che varia in base alla causa che lo ha determinato e
la disciplina è quella dettata dal d.p.r. 396/2000.

Rimborsi e restituzioni  in seguito alla cessazione del regime legale possono essere effettuati rimborsi
oppure si possono ottenere restituzioni nei confronti del patrimonio comune.
In base all’art 192 ciascun coniuge è tenuto a rimborsare le somme prelevate dal patrimonio comune per
fini diversi dall’adempimento delle obbligazioni di cui all’art 186 + valore dei beni di cui art 189 a meno che
non riesca a dimostrare che, trattandosi di atto di straordinaria amministrazione, lo stesso abbia portato un
vantaggio per la comunione o abbia soddisfatto un interesse della famiglia.
È previsto invece il diritto di domandare la restituzione delle some prelevate dal patrimonio personale ed
impiegate in spese ed investimenti a favore del patrimonio comune.

Divisione dei beni  deve essere ripartito in parti uguali l’attivo e il passivo. Il giudice può costituire un
diritto di usufrutto a favore di un coniuge sui beni dell’altro se necessario per mantenimento della prole.
Deve essere quindi individuato un patrimonio comune per cui è necessario che ciascun coniuge prelevi i
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beni mobili che gli appartengono in via esclusiva o ne ripeta il valore provandone l’ammontare, salvo che la
mancanza di quei beni sia dovuta a consumazione per uso o perimento o per altra causa non imputabile
all’altro coniuge. Art 196.

Autonomia dei coniugi e convenzioni matrimoniali


Nell'ambito del regime patrimoniale secondario l’ autonomia privata può trovare molteplici esplicazioni: in
primo luogo può manifestarsi nella scelta di uno dei regimi tipicamente previsti e nella sua integrazione a
modificazione secondo le modalità previste dalla legge in questo caso si fa riferimento alla possibilità di
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dare vita a un regime di comunione convenzionale 0mediante il quale ampliare/restringere l'oggetto della
comunione. Significativo riconoscimento di un ulteriore ambito di operatività dell'autonomia privata è
quello di cui all art. 161 cc dispone che gli sposi non possono pattuire in modo generico che i loro rapporti
patrimoniali siano in tutto in parte regolati da leggi alle quali non sono sottoposti o dagli usi, ma devono
enunciare in modo concreto il contenuto dei fatti con i quali intendono regolare questi loro rapporti  la
dottrina ha sottolineato come la previsione risponda alle esigenze di evitare 3 inconvenienti:

 che i coniugi si sottraggano al formalismo ex art. 162 cc, adottando per relationem disposizioni di
cui il notaio difficilmente potrebbe dar loro lettura
 che il giudice sia costretto ad una difficile ricerca del diritto straniero o degli usi richiamati dai
coniugi
 che vengano frustrate le esigenze di tutela dei terzi connesse al sistema pubblicitario attraverso
rinvii ad indici difficilmente rintracciabili

L’art. 161 cc apre ulteriori ambiti di esplicazione all'autonomia privata, in quanto consente di importazione
di schemi di regimi patrimoniali ulteriore rispetto a quelli tipicamente previsti dall'ordinamento e inoltre
legittima la costruzione di un regime atipico risultante dalla combinazione di più alimenti, dei quali soltanto
alcuni di origine straniera o derivanti dagli usi : la dottrina maggioritaria è orientata a favore
dell'ammissibilità di convenzioni atipiche purché non contrastino con i diritti e doveri inderogabili previsti
dalla legge per effetto del matrimonio.
L’art. 163 cc attiene alla modifica delle convenzioni e rappresenta indice del riconoscimento dell'autonomia
negoziale dei coniugi in quanto ha eliminato il principio di immodificabilità delle convenzioni matrimoniali,
le quali sono liberamente stipulabile e modificabili dei coniugi in qualsiasi momento e le modifiche devono
essere annotate a margine dell'atto di matrimonio e devono essere trascritte sia quando contengono uno
degli altri per cui la trascrizione è imposta dall'art. 2643 sia per se stesse. L'art. 164 cc attiene alla
simulazione delle convenzioni e la dottrina ritiene che i terzi siano ammessi a provare la simulazione
secondo i principi generali quindi senza incontrare le limitazioni probatorie che la legge pone a carico delle
parti.
Ai sensi dell’art. 162 cc le convenzioni matrimoniali devono essere stipulate per atto pubblico sotto pena
di nullità; il comma 4 stabilisce la non opponibilità delle convenzioni matrimoniali qualora queste non
siano state annotate a margine dell'atto di matrimonio la giurisprudenza afferma che l'annotazione di
cui al comma 4 è l'unica forma di pubblicità idonea ad assicurare il opponibilità della convenzione
matrimoniale ai terzi, mentre la trascrizione di cui all'art 2647 cc ha funzione di mera pubblicità notizia.

La comunione convenzionale

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Può avere caratteristiche modificative del regime legale oppure disciplinare un regime autonomo. Questa
facoltà però è limitata:

 in primo luogo si richiede che i fatti in questione non siano in contrasto con le disposizioni di cui
all'art. 161 cc: si vuole evitare che i coniugi disciplinano il loro rapporti mediante pattuizioni che
rinviino a leggi o usi ai quali non sono sottoposti
 i beni di cui alle lett. c), d), e) art. 179 cc non possono essere ricompresi nella comunione
convenzionale: si esclude la possibilità di dare vita ad una comunione universale allargando la
portata della comunione legale anche ai beni strettamente personali
 dall'inderogabilità delle norme della comunione legale relative all'amministrazione dei beni della
comunione e all'uguaglianza delle quote e limitatamente i beni che formerebbero oggetto della
comunione legale

La separazione dei beni

Si tratta di un regime generale ed autonomo. Art 215. I coniugi convengono che ciascuno di essi conservi la
titolarità esclusiva dei beni acquistati durante il matrimonio. Il bene appartiene al coniuge che abbia
stipulato il contrato avente ad oggetto il trasferimento di quel bene. Se l’acquisto sia stato effettuato
congiuntamente, il bene appartiene ad entrambi in comunione ereditaria.

Vi sono incertezze per quanto riguarda il beni mobili considerando che per i beni immobili e i mobili
registrati risulta indicata la parte acquirente.
Sono personali tutti i beni acquistati dal coniuge0 separatamente
0 per sue esigenze personali. Non rileva la
provenienza del denaro utilizzato per il pagamento. La titolarità individuale infatti si realizza anche quando
l’acquisto effettuato sia stato finanziato dall’altro. L’altro coniuge potrebbe però vantare un rimborso. Non
accade però quando oggetto dell’acquisto siano beni essenziali e il coniuge sia privo di redditi propri. In tal
caso grava sul coniuge uni precettore di reddito l’obbligo di contribuzione.

Se il bene è destinato a soddisfare esigenze anche dell’altro coniuge o del nucleo familiare nel suo
complesso: spesso l’acquisto viene programmato e compiuto dai coniugi insieme. Vi è quindi una volontà
comune. L’acquisto può effettuarsi con la presenza di entrambi i coniugi ma anche singolarmente quando vi
è l’esistenza di un mandato espresso o tacito conferito dall’altro coniuge. Il bene sarà comune se acquisto è
deciso e attuato insieme anche se solo uno dei coniugi sia parte del contratto e abbia pagato. Il bene è
comune se non si riesce a provare l’esistenza di un titolo di acquisto individuale.

Questo regime può essere scelto dai coniugi tramite apposita convenzione nella forma dell’atto pubblico a
pena di nullità. I coniugi possono limitarsi a manifestare unicamente la scelta positiva per tale regime senza
ulteriori specificazioni. È un regime di carattere negativo quindi è sufficiente anche una dichiarazione
tramite cui i coniugi esprimono la volontà di escludere l’operatività della comunione legale o di volersi unire
in matrimonio senza comunione.
Può essere instaurato anche in via semplificata mediante una dichiarazione effettuata nell’ambito di
celebrazione del matrimonio.
Si instaura anche in tutti quei casi in cui allo scioglimento del regime legale non si accompagni lo
scioglimento del vincolo coniugale: dopo separazione giudiziale dei beni, separazione personale.
Se uno dei coniugi svolge un ruolo casalingo e vi è divorzio, ai fini della determinazione dell’assegno a
vantaggio del coniuge occorre tenere conto del contributo prestato per conduzione della vita familiare e ala
formazione del patrimonio familiare e dell’altro coniuge.

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Ciascun coniuge ha il godimento e l’amministrazione dei beni di cui è esclusivo titolare. Da coordinare con
principio di contribuzione. Esempio casa familiare.

Ad un coniuge può essere conferita la procura ad amministrare i beni dell’altro con obbligo di rendere conto
dei frutti. Valgono in questo caso le regole sul mandato. Il mandatario deve eseguire il mandato con la
diligenza del buon padre di famiglia. Se non vi è l’obbligo di rendere conto dei frutti, il coniuge
amministratore e i suoi eredi al momento dello scioglimento/cessazione degli effetti civili o su richiesta
dell’altro coniuge dovranno consegnare unicamente i frutti esistenti e non risponderanno per quelli
consumati.

Prova della proprietà esclusiva di un bene  art 219: il coniuge può provare con ogni mezzo nei confronti
dell’altro la proprietà esclusiva di un bene. I beni di cui nessuno dei coniugi può provare la proprietà
esclusiva sono di proprietà indivisa per pari quita di entrambi i coniugi. La disposizione non può essere
invocata dai coniugi in danno dei terzi loro creditori o aventi causa. La dottrina maggioritaria la ritiene
invocabile dai terzi a proprio favore.

Ordinamenti europei

L'adozione del regime di comunione comporta la soggezione ad una serie di regole in tema di
amministrazione, responsabilità patrimoniale e cessazione della comunione stessa alle quale i coniugi che
scelgono il regime della separazione dei beni non sottostanno  emerge come l'ordinamento metta i futuri
sposi di fronte ad una scelta radicale.
In altri ordinamenti è prevista un'alternativa ulteriore, in particolare vengono previsti dei regimi in cui la
compartecipazione viene attuata in modo differito:

 ad esempio il diritto tedesco prevede la compartecipazione agli acquisti solo nel momento in cui
l'unione viene meno e prevedendo in costanza di matrimonio che ciascun coniuge sia proprietari
individuale sia nei beni che già gli appartenevano prima del matrimonio sia di quelli acquistati dopo
il matrimonio. Durante il matrimonio i coniugi possono amministrare i propri beni disponendo di un
certo grado di autonomia ma anche soggiacendo a dei limiti imposti per presidiare l'integrità dei
futuri diritti di ciascuno di essi, ad esempio il coniuge non può disporre integralmente del proprio
patrimonio senza il consenso dell'altro
 ad esempio il diritto francese prevede una partecipazione differita degli incrementi, ove si prevede
che nell'arco della durata del matrimonio ciascuno dei coniugi ha pieni poteri sui beni che sono già
suoi e su quelli acquistati a titolo oneroso durante il matrimonio. Al momento dello scioglimento si
producono effetti che sono simili a quelli del regime della comunione degli acquisti con l'unica
differenza per cui la partecipazione agli0 acquisti
0 si attua in valore--> infatti ciascuno degli sposi ha
diritto al valore corrispondente alla metà degli acquisti dell'altro e se ci sono acquisti da una parte
dall'altra questi si compensano, mentre nel caso ci sia una eccedenza lo sposo il cui patrimonio è
inferiore diventa creditore dell'altro coniuge per la metà di questa eccedenza
 ad esempio il diritto spagnolo prevede che i coniugi possono optare per un regime nel quale, pur
conservando durante il matrimonio la titolarità esclusiva dei beni acquistati autonomamente, la
compartecipazione agli incrementi viene comunque attuata mediante una compensazione per
equivalente al momento dello scioglimento del matrimonio

Tali modelli possono essere recepiti nell'ordinamento italiano anzitutto in quanto ricordano elementi di
estraneità richiesti avvalendosi della previsione di cui all'art. 30 l. 218/1995 che consente ai coniugi di

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derogare al criterio dettato in ordine all'individuazione della legge applicabile ai loro rapporti; in secondo
luogo i coniugi possono stipulare convenzioni nei quali vengono espressamente riportate le disposizione di
altri ordinamenti che i coniugi tendono a scegliere per disciplinare il proprio regime patrimoniale.

Fondo patrimoniale

Art 167: si costituisce mediante destinazione di determinati beni immobili, mobili registrati, titoli di credito,
a far fronte ai bisogni della famiglia. La famiglia è quella fondata sul matrimonio o sull’unione civile. I bisogni
ricomprendono quanto necessario al mantenimento e sviluppo della famiglia, escluse solo le spese di natura
voluttuaria.

Il fondo è patrimonio separato da quello del costituente. L’esecuzione sui relativi beni e frutti non può avere
luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

Non è un regime patrimoniale distinto perché non è idoneo a regolare interamente i rapporti patrimoniali
fra coniugi. Deve coesistere necessariamente con un regime matrimoniale, che sarà quello della comunione
legale in assenza di diversa convenzione.
Possono essere oggetto del fondo patrimoniale i beni immobili, mobili scritti nei pubblici registri, titoli di
credito per i quali devono essere resi nominativi mediante annotazione del vincolo o in altro modo idoneo.
Per quanto riguarda i beni futuri la dottrina li esclude. In mancanza di uno specifico divieto vale la regola
della negoziabilità di beni futuri.
Possono essere destinati al fondo i diritti reali minori quali usufrutto, superficie, enfiteusi mentre devono
essere esclusi il diritto d’uso, abitazione.
Possono essere conferite nel fondo le azioni, essendo equiparate ai titoli di credito mentre sono da
escludere le partecipazioni in società di persone. Rientrano anche le quote si società a responsabilità
limitata.

Costituzione  per atto pubblico da parte di ciascuno o entrambi i coniugi oppure di un terzo anche per
testamento. Anche durante il matrimonio. La costituzione effettuata dal terzo per atto tra vivi si perfezione
con l’accettazione dei coniugi. La costituzione del fondo patrimoniale è soggetta alle disposizioni in materia
di convezioni matrimoniali. Richiede quindi l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio ai fini
dell’opponibilità della convenzione ai terzi. Si aggiunge la trascrizione per gli immobili che però ha valore di
mera pubblicità-notizia.

Titolarità/amministrazione  la proprietà dei beni spetta a entrambi i coniugi salvo diversamente stabilito.
Può spettare anche ad un terzo. L’amministrazione dei bei costituenti il fondo patrimoniale è regolata dalle
norme sulla amministrazione della comunione legale ma sussiste una peculiarità perché se non è stato
espressamente consentito nell’atto di costituzione non possono essere vincolati i beni del fondo
patrimoniale se non con il consenso di entrambi i coniugi. Se vi sono figli minori il giudice concede
un’autorizzazione in caso di necessità o utilità evidente.

Limitazione di responsabilità  art 170. L’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può avere
luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia. Il
criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento può realizzarsi in via esecutiva sui beni del fondo va
ricercato nella relazione tra la fonte delle obbligazioni e i bisogni della famiglia. Ne consegue responsabilità
del fondo anche in caso di obbligazioni scaturenti da illecito.

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In caso di uso fraudolento cioè quando per esempio il debitore sottrae beni immobili alle azioni dei creditori
costituendoli in fondo patrimoniale il creditore può rendere inefficace nei suoi confronti la costituzione del
fondo può esercitare l’azione revocatoria o simulazione della costituzione del fondo.

Cessazione  la destinazione del fondo termina con annullamento o scioglimento del matrimonio per
morte o per divorzio o anche per mutuo consenso. Se vi sono figli minori il fondo dura fino al compimento
della maggiore età e il giudice può attribuire ai figli il godimento o in proprietà, una quota dei beni del
fondo. Se non ci sono figli si applicano le disposizioni sullo scioglimento della comunione legale.

Impresa familiare

L'impresa familiare è un istituto introdotto allo scopo di tutelare il lavoro prestato dai familiari nell'impresa
o nella famiglia. In forza della previsione di cui all' art. 230 bis cc colui che presta la propria attività di lavoro
in modo continuativo a favore di un imprenditore a lui legato da vincolo di coniugio, parentela entro il terzo
grado o affinità entro il secondo, gode di una0 complessiva
0 posizione partecipativa che consta sia di diritti
patrimoniali sia di diritto amministrativo-gestori. Sotto il profilo economico, il familiare ha diritto al
mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e, in caso di buon andamento dell'attività
di impresa, ha diritto a una quota degli utili e degli incrementi proporzionata alla quantità e qualità del
lavoro prestato e inoltre partecipa ai beni acquistati con gli utili; per quanto attiene la gestione dell'impresa
è prevista l'adozione a maggioranza delle decisioni che riguardano l'impiego degli utili e degli incrementi
nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell'impresa.
In virtù nell'incipit “salvo che sia configurabile un diverso rapporto”, l'applicabilità di questa disciplina è
esclusa quando le parti abbiano preventivamente è regolato il rapporto tra esse intercorrente, ad esempio
stipulando contratto di lavoro subordinato; attraverso l'enunciazione della natura suppletiva della norma si
è inteso dettare una disciplina di chiusura del sistema, evitando che il lavoro prestato da un familiare possa
restare sfornito di tutela.
Un aspetto particolarmente problematico è della natura giuridica dell'impresa familiare la
giurisprudenza prevalente ritiene che l'impresa familiare configuri un’ipotesi di collaborazione all'interno
dell'impresa: la norma si preoccupa unicamente di indicare il rapporto che si instaura tra familiare e
imprenditore per effetto dello svolgimento di una prestazione di lavoro, senza andare ad interferire sul
l'imputazione dell'attività di impresa. La titolarità dell'impresa rimane di pertinenza dell'imprenditore
originario ed è costui che agisce sul piano dei rapporti esterni. La giurisprudenza ritiene che possa
configurarsi impresa familiare solo qualora il titolare dell'impresa sia imprenditore individuale e al familiare
che presta in modo continuativo la propria attività è riconosciuto un complessivo diritto di partecipazione,
che si sostanzia in una serie di posizioni patrimoniali e amministrative, la cui natura è quella dei diritti di
credito.
Il lavoro effettuato all'interno dell'impresa può consistere in qualsiasi attività che possono formare oggetto
di un rapporto di lavoro subordinato o di un rapporto di lavoro autonomo  elemento essenziale ai fini
dell’applicabilità della tutela offerta dalla norma in questione è la continuità da parte del familiare
dell'attività prestata, ossia regolarità e costanza nel tempo senza che sia necessario un impiego a tempo
pieno. Tuttavia in assenza di precise indicazioni ricavabili dal dato letterale si sono posti problemi di
coordinamento della disposizione in questione con le norme di cui agli artt. 143 e 147 cc che disciplinano i
doveri che incombono sui coniugi per effetto del matrimonio  ci si è chiesti se il lavoro domestico svolto in
adempimento dei doveri scaturenti dal matrimonio sia idoneo a fondare una pretesa ex art. 230 bis cc o sia
necessario che il lavoro svolto all'interno della famiglia presenti caratteristiche tali da poter rendere
riscontrabile in esso un rapporto di lavoro per l'impresa che deve avvantaggiare il coniuge imprenditore:

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sulla questione le S.U. hanno escluso la rilevanza ex art. 230 bis cc del lavoro domestico tout court sulla
base del rilievo che se il lavoro casalingo della moglie costituisse di per sé titolo sufficiente per la
partecipazione all'impresa del marito, non ci sarebbe possibilità per il marito di impedire questa
partecipazione, poiché dovrebbe inibire prestazioni che costituiscono adempimento dell'obbligo di
solidarietà e di contribuzione ai bisogni della famiglia, pertanto è necessario un nesso di funzionalità
reciproca tra l'esercizio dell'impresa e l'attività di lavoro prestata all'interno della famiglia.
Possono partecipare all'impresa familiare:

 il coniuge
 i parenti entro il terzo grado
 gli affini entro il secondo

La disciplina dell'impresa familiare è stata invocata per tutelare la posizione di chi, pur essendo privo dello
status di coniuge, risulti legato al titolare dell'impresa da un rapporto che è quello di convivenza more
uxorio e a tal proposito parte della dottrina ha prospettato la possibilità di applicare in via analogica la tutela
offerta dall'art. 230 bis cc anche al convivente; tuttavia la giurisprudenza ha negato l'estensibilità della
disciplina legislativa al convivente.
Al partecipante all’impresa familiare spetta il diritto al mantenimento, commisurato alla condizione
patrimoniale della famiglia; inoltre gli è riconosciuto il diritto a partecipare agli utili dell’impresa familiare e
ai beni acquistati con essi la maturazione del diritto agli utili secondo la dottrina prevalente coincide con
la cessazione della prestazione di lavoro, tuttavia nulla vieta che i familiari possono decidere diversamente
prevedendo una distribuzione periodica; i familiari possono decidere di utilizzare gli utili per acquistare dei
beni e con l'acquisto tutti diventano titolari di un diritto di partecipazione sui beni  sì è discusso se
l'acquisto dei beni determini una situazione di comproprietà oppure l'acquisizione in capo a ciascun
familiare di un diritto di credito nei confronti dell'imprenditore : parte della dottrina ritiene che si tratti di
diritto reale, anche se mancando un sistema di pubblicità delle imprese familiari tale soluzione rischia di
creare situazioni di intralcio alla normale circolazione dei beni, pertanto sarebbe preferibile optare per la
soluzione che sancisce un diritto di credito nei riguardi dell'imprenditore.
Strumento di tutela della posizione lavorativa del familiare partecipante è costituito dal diritto di prelazione
0
di cui al comma 5 in caso di divisione ereditaria o0 di trasferimento dell'azienda la giurisprudenza ha
esteso anche all'impresa familiare il rimedio del retratto, per cui il familiare che vede violato il suo diritto di
prelazione può recuperare l'azienda oggetto del trasferimento a danno del terzo acquirente, anche se tale
soluzione è stata criticata da una parte della dottrina in quanto sacrifica i terzi acquirenti in buona fede visto
che non sussiste un regime di pubblicità dell'impresa familiare.
Per quanto attiene alla gestione dell'impresa, l’art. 230 bis cc accorda i familiari partecipanti un ruolo di
rilievo che consiste nel potere di adottare a maggioranza alle decisioni che riguardano l'impiego degli utili e
degli incrementi nonché le decisioni attinenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla
cessazione dell'impresa si tratta di diritti a contenuto patrimoniale che sono volti a garantire la posizione
partecipativa del collaboratore all'interno dell'impresa. Nell'adozione delle decisioni ex comma 1 spetta il
diritto di voto, indipendentemente dal fatto che l'attività di lavoro venga svolta nell'impresa o all'interno
della famiglia.
L'oggetto delle decisioni può riguardare l'impiego degli utili e degli incrementi i familiari possono infatti
decidere di distribuire gli utili maturati o impiegarli per l'acquisto di beni aziendali. Inoltre i familiari
adottano le decisioni che riguardano la gestione straordinaria e gli indirizzi produttivi  per quanto
concerne la gestione straordinaria in questa rientrano tutti quegli atti che in relazione alle dimensioni
dell'azienda, all'importanza patrimoniale dell’atto, alle conseguenze che derivano non assumono carattere
di normalità nell'esercizio dell'attività imprenditoriale.

0 0
Il comma 4 rimette al consenso unanime dei partecipanti la possibilità che il diritto di partecipazione venga
trasferito a favore di un altro familiare purché legato all'imprenditore da un vincolo personale: l'unanimità si
giustifica in considerazione del fatto che la norma costituisce una eccezione al principio della intrasferibilità
del diritto di partecipazione e spetta ai partecipanti la valutazione in ordine all'opportunità che il familiare
che abbia deciso di cessare la collaborazione venga sostituito.
Alla cessazione della prestazione si ricollega la liquidazione in denaro del diritto di partecipazione  si tratta
della liquidazione del diritto di partecipazione in senso stretto, con esclusione del diritto al mantenimento; è
tuttavia consentito alle parti di optare per una liquidazione in natura e per una rateizzazione del pagamento
in più annualità.

Il patto di famiglia
Nel 2006 il legislatore ha introdotto il patto di famiglia agli artt. 768 bis ss cc al fine di soddisfare l’esigenza
di fornire adeguati strumenti per garantire il passaggio generazionale dell'impresa di famiglia: in concreto
accadeva che a seguito della morte dell'imprenditore la prosecuzione dell'attività imprenditoriale risultasse
pregiudicata dalla caduta dell'azienda nella comunione ereditaria  al fine di superare questi ostacoli è
stato previsto il contratto con cui l'imprenditore trasferisce in tutto in parte l'azienda oppure il titolare d
partecipazioni societarie trasferisce in tutto in parte le proprie quote ad uno o più discendenti.
Il contratto deve avere la forma dell’atto pubblico a pena di nullità; richiede la manifestazione di volontà
dell'imprenditore, del beneficiario del patto di famiglia oltre che secondo quanto previsto dall'art. 768
quater comma 1 cc del coniuge e di tutti coloro che sarebbero legittimari prove in quel momento si
aprisse la successione nel patrimonio dell'imprenditore per quanto riguarda il requisito della
partecipazione di questi soggetti la dottrina è divisa tra chi ritiene che tutti debbano necessariamente
partecipare al contratto a pena di nullità (tesi prevalente) e chi invece ritiene che il patto sia comunque
valido e i legittimari non partecipanti beneficino della liquidazione all'apertura della successione.
Il patto di famiglia produce:

 effetti reali (trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni societarie al familiare assegnatario)


 effetti obbligatori  con riguardo a questi ultimi l’art. 768 quater comma 2 prevede che
l'assegnatario dell'azienda/partecipazioni societarie debba liquidare i legittimari non assegnatari
versando loro una somma oppure in natura mediante il trasferimento di beni pari al valore delle
quote di riserva come previste dalla legge. Quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a
collazione e riduzione pertanto l'imprenditore qualora non provveda successivamente con
donazione o testamento, l'assegnatario riceve complessivamente più di quanto ricevono gli altri
legittimari poiché costoro in sede di liquidazione hanno percepito un importo corrispondente al
valore della solo loro quota di riserva sull' azienda

Il patto di famiglia può essere sciolto ricorrendo ipotesi tassative:

 conclusione di un nuovo patto


 recesso (se previsto espressamente) tale strumento può essere adatto al fine di consentire
all'imprenditore di tornare titolare dell'azienda qualora il discendente assegnatario non gestisca
bene l'impresa

La legge tutela anche i legittimari che al tempo del patto di famiglia non esistevano stabilendo il diritto di
costoro di ricevere, al momento dell'apertura 0 della0successione, da parte di tutti i partecipanti al pasta di
famiglia, una somma pari alla propria quota sul valore dell'azienda indicato nel patto.
LA CRISI CONIUGALE

SEPARAZIONE: consente ai coniugi di non coabitare e può avere carattere temporaneo. Gli effetti possono
cessare in qualsiasi momento se i coniugi si riconciliano.
Può essere giudiziale (nel caso in cui trova la sua fonte in una sentenza emessa al termine di un giudizio
contenzioso) oppure consensuale (quando trova la sua fonte nel consenso manifestato dai coniugi in un atto
sottoposto ad omologazione dal tribunale).
0 0
Giudiziale  chiesta quando:
 fatti che rendono intollerabile la prosecuzione della convivenza
 fatti che recano grave pregiudizio alla educazione della prole

Il giudice se richiesto da un coniuge, può emettere dichiarazione di addebito a carico dell’altro in


considerazione dei suoi comportamenti contrari ai doveri che ne derivano dal matrimonio.

Con l’introduzione del divorzio il quadro è mutato. In caso di 6 mesi di vita separata (separazione
consensuale) o 12 mesi (previa separazione giudiziale) ciascun coniuge può agire per ottenere lo
scioglimento del matrimonio che pone fine al vincolo coniugale.

Divorzio e separazione operano con rimedi diversi alla crisi coniugale. La separazione determina la sola
attenuazione del vincolo coniugale e può portare sia alla ripresa della convivenza che al suo venire meno. Il
divorzio invece comporta lo scioglimento del matrimonio o cessazione degli effetti civili + perdita dello
status di coniuge. Entrambi sono rimedi destinati ad incidere sul matrimonio come rapporto per fatti che si
cono verificati successivamente alla celebrazione e che hanno determinato l’insorgere della crisi coniugale.
In caso diverso la nullità estingue il vincolo coniugale per un vizio genetico.

Il legislatore ha introdotto modalità di separazione e di divorzio che operano al di fuori del processo tramite
la negoziazione assistita da avvocati o davanti all’ufficiale giudiziario. Si è sviluppato anche un forte interesse
per le procedure di mediazione familiare che consentono una gestione non litigiosa dei problemi
conseguenti al venire meno della comunione tra i coniugi, con particolare riferimento all’affidamento dei
figli. La mediazione tende a valorizzare gli interessi coinvolti nel conflitto, in particolare quelli dei figli minori,
che lo strumento giudiziale non è in grado di proteggere in maniera adeguata. Con l’ausilio di un
professionista imparziale e neutrale le parti arriva a soluzione condivise per la composizione del conflitto
che dovranno essere poi formalizzate in sede giudiziale o di negoziazione assistita.

Separazione consensuale

Art 518. Presuppone l’accordo dei coniugi di vivere separati e sulla regolamentazione dei rapporti reciproci e
di quelli con i figli. E’ la forma alternativa alla separazione giudiziale e non ha effetto senza l’omologazione
del tribunale. La richiesta di omologazione spetta esclusivamente ai coniugi ed è un diritto personalissimo,
irrinunciabile ed indisponibile. Sono nulle eventuali pattuizioni stipulate prima che il diritto sia sorto e nulli
sono anche i patti di ricorrere esclusivamente alla separazione consensuale.

Il giudice può rifiutare l’omologazione nel caso in cui le decisioni in ordine all’affidamento e al
mantenimento dei figli siano in contrasto con il loro interesse. Può indicare in tal caso ai coniugi le
modificazioni da apportare agli accordi nell’interesse dei figli e in caso di mancata adesione da parte dei
coniugi può rifiutare l’omologazione. Il tribunale non può modificare o integrare l’accordo dei coniugi.
Il giudice può rifiutare l’omologazione di un accordo contenente clausole nulle perché contrarie al buon
costume, ordine pubblico e norme imperative e deve indicare in tal caso il motivo del rifiuto, consentendo

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in questo modo ai coniugi di riproporre l’istanza senza incorrere nei motivi di rigetto che hanno impedito la
precedente omologazione.
L’accordo di separazione ha natura negoziale e una volta omologato non può essere impugnato per
simulazione. È ammissibile invece l’azione di annullamento dell’accordo.
L’accordo di separazione può essere revocato da ciascun coniuge. Il consenso è inefficace fino alla pronuncia
del provvedimento di omologazione.
Contenuto dell’accordo:

1. necessario decisione di vivere separati, pattuizioni circa il mantenimento del coniuge e figli
2. eventuale determinazioni di vario contenuto che trovano occasione nella decisione di vivere
separati

Non si applica la disciplina contrattuale al contenuto necessario dell’accordo. Parte della dottrina e la
giurisprudenza lo ammettono per la clausole che disciplinano l’assetto dei rapporti patrimoniali tra i coniugi
come per esempio i trasferimenti immobiliari conseguenti alla cessazione della comunione o aventi
funzione sostitutiva o integrativa dell’assegno di mantenimento. Una volta riconosciuta natura contrattuale
agli accordi di contenuto patrimoniale che traggono occasione dal conflitto coniugale e non contrattuale alle
pattuizioni costituenti il contenuto tipico, l’accordo di separazione risulta composto di negozi autonomi fra
loro collegati.

La configurabilità di trasferimenti immobiliari0 nel contesto


0 della separazione consensuale in passato ha
posto problemi interpretativi sia dal punto di vista dell'ammissibilità e sia dal punto di vista dell’opponibilità:
 per quanto riguarda l'ammissibilità oggi prevale l'orientamento secondo cui questi costituiscono
negozi atipici che perseguono un interesse meritevole di tutela secondo l'ordinamento e in
particolare si è sostenuto che possono trovare la loro giustificazione in una casa familiare atipica
 per quanto riguarda l’opponibilità ai terzi dell'accordo traslativo concluso in sede di separazione, la
Cassazione ha affermato che questo accordo in quanto inserito nel verbale di udienza ha natura di
atto pubblico e costituisce titolo idoneo per la trascrizione

I problemi della natura dell'accordo di separazione e del ruolo dell'omologa del tribunale comportano
conseguenze con riferimento alla validità e all'efficacia delle pattuizioni intercorse tra coniugi precedenti o
successive alla separazione che non siano state sottoposte al controllo del giudice per l'omologazione
nella prassi possono esserci accordi anteriori o successivi alla separazione con le quali i coniugi regolano
alcuni aspetti dei propri rapporti patrimoniali o dei rapporti con i figli: la validità di questi patti non
sottoposti al controllo del tribunale è stata oggetto di discussione e dottrina e giurisprudenza all'inizio
hanno negato validità a questi accordi ma successivamente li hanno riconosciuti solo con riferimento ai patti
che non riguardano il mantenimento dei figli; altri invece ammettono una piena autonomia dei coniugi nella
stipulazione di accordi non sottoposti ad omologa.
Il problema è quello della diversa funzione che l'omologa svolge in riferimento alle pattuizioni che
disciplinano i rapporti tra coniugi e a quelle relative all'obbligo di mantenimento dei figli  queste ultime
secondo quanto affermato dalla Cassazione sono inefficaci in mancanza di omologa in quanto il comma 2
art. 158 cc affida al giudice un controllo sulla loro rispondenza all'interesse dei figli; per quanto riguarda gli
accordi destinati a regolare esclusivamente i rapporti tra coniugi, la dicotomia tra accordi non omologati
precedenti e successivi alla separazione emerge da un orientamento della Cassazione secondo cui i primi
operano solo se si collocano in posizione di non interferenza rispetto all'accordo di separazione omologato
mentre i secondi trovano fondamento nell'art. 1322 cc e devono quindi ritenersi validi ed efficaci quando
non vadano oltre il limite di derogabilità consentito dall'art. 160 cc.

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Separazione giudiziale
La separazione giudiziale ha subito delle modificazioni in quanto nel precedente sistema la pronuncia era
fondata sulla colpa che in generale era riconducibile alla violazione dei doveri derivanti dal matrimonio e il
diritto di chiederla era attribuito ai coniugi nei soli casi determinati dalla legge  la previsione di una serie di
cause tassative impediva l'accesso al rimedio della separazione in tutte quelle ipotesi in cui la situazione
conflittuale traeva origine da situazione di oggettiva intollerabilità della convivenza.
Con la riforma del 1975 legislatore ha eliminato le ipotesi tassative ed è venuto meno l'elemento della
colpa, sicché la separazione giudiziale può essere chiesta quando si verifichino, anche indipendentemente
dalla volontà di uno dei coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da
recare grave pregiudizio all'educazione della prole. Venuta meno l'affectio coniugalis può ottenersi una
pronuncia di separazione e risulta altresì consentita la domanda anche da parte dello stesso coniuge che
abbia posto in essere infatti che sono la causa dell'intollerabilità della prosecuzione della convivenza o che
abbiano recato grave pregiudizio all'educazione della prole.

Fatti costitutivi della intollerabilità della convivenza:


L'art. 151 cc nuova formulazione individua genericamente nei fatti che rendono intollerabile la
prosecuzione della convivenza uno dei presupposti che legittimano il giudice affrontare la separazione dei
coniugi la genericità di tale formula ha reso necessario individuare criteri di valutazione alla cui stregua
determinare le circostanze dalle quali deve risultare di intollerabilità della convivenza: si tratta di situazioni
di oggettiva difficoltà di attuazione della convivenza coniugale, qualunque possa esserne la causa, ma tali da
rendere intollerabile sotto il profilo soggettivo la sua prosecuzione per uno o entrambi i coniugi. L'altro
presupposto indicato dalla legge quale fondamento della domanda di separazione giudiziale è quello
riguardante fatti tali da arrecare pregiudizio alla prole si tratta di un presupposto controverse in dottrina
e che viene ignorato dalla giurisprudenza.

La separazione può essere chiesta in base all'oggettiva intollerabilità della convivenza e il comportamento
colpevole del coniuge acquista rilevanza ai fini della dichiarazione di addebitabilità  il comma 2 art. 151 cc
prevede che nel pronunciare la separazione il giudice dichiara, ove ne ricorrano le circostanze, e ne sia
richiesto, a quale dei due coniugi essa sia addebitabile, in considerazione del suo comportamento contrario
ai doveri che nascono dal matrimonio. In quanto conseguenza della violazione dei doveri nascenti dal
matrimonio, la pronuncia di addebito consente di attuare la funzione sanzionatoria che era prevista per la
vecchia colpa: affinché venga pronunciato l'addebito non è sufficiente il verificarsi di una condotta che violi i
0 0
doveri matrimoniali, in quanto è necessario anche l'accertamento della colpevolezza del coniuge e il nesso
causale tra la sua condotta e l'evento della intollerabilità della convivenza, pertanto non ogni violazione dei
doveri matrimoniali sarà rilevante rileverà solo quella che abbia determinato intollerabilità della
convivenza.

Violazione dei doveri matrimoniali


Ai fini della pronuncia di addebito assumono rilievo le violazioni dei doveri matrimoniali: secondo la
Cassazione la violazione del reciproco dovere di fedeltà non legittima la pronuncia dell’addebito a carico del
coniuge adultero, in quanto la pronuncia di addebito potrà aversi solo qualora l'infedeltà abbia reso
intollerabile la prosecuzione della convivenza o abbia arrecato grave pregiudizio all'educazione della prole:
ecco quindi che il giudice deve controllare l'obiettivo verificarsi di tali conseguenze, valutando in sede di
legittimità in quale misura la violazione di quel dovere abbia inciso sulla vita familiare, tenuto conto delle

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modalità e frequenza dei fatti, del tipo di ambiente in cui si sono verificati e della sensibilità morale dei
soggetti interessati . Secondo i giudici infatti deve trattarsi di una violazione particolarmente grave e
ripetuta, che dia a causa all’intollerabilità della convivenza o che comunque integri un comportamento
gravemente offensivo dell'onore e del decoro dell'altro coniuge. Costituiscono violazione del dovere di
fedeltà anche gli insistenti approcci amorosi di un coniuge nei confronti di un terzo anche non sussiste una
vera e propria relazione.

Violazione del dovere di assistenza


La violazione del dovere di assistenza è stato ravvisato dei giudici del comportamento del coniuge freddo,
scostante, privo di ogni manifestazione di affetto; anche il comportamento ingiurioso e violento, se si
traduce in una situazione patologica tale da creare e distacco tra i coniugi rendendo intollerabile la
prosecuzione della convivenza si considera rilevante ai fini dell'addebito e inoltre costituisce violazione del
dovere di assistenza morale cercare di ostacolare i rapporti del coniuge con la famiglia di origine ,
impedendo le visite o condizionando le alla propria approvazione e infine chi, non accettando la sterilità
dell'altro coniuge, chiede la separazione con addebito finisce per sottrarsi al dovere di assistenza morale che
in questo caso si deve intendere come dovere di accettare la persona che si è scelta per quello che è.
Ci si chiede se integri violazione del dovere di assistenza morale l'ingiustificato diniego ai rapporti
sessuali oggi risulta preminente la necessità di garantire la dignità il rispetto della personalità del coniuge
il quale non può essere privato nei confronti dell'altro della facoltà di disporre del proprio corpo,
mantenendo la propria libertà di rifiutare e rapporti sessuali senza incorrere nell’addebito.

Infermità mentale
Ci si è chiesti se rappresenti ipotesi di violazione dell'obbligo di assistenza morale l'istanza di separazione
avanzata da uno dei coniugi a causa della grave infermità dell’altro  non c’è dubbio che la malattia possa
rappresentare causa di separazione, comportando intollerabilità della prosecuzione della convivenza.
Secondo la giurisprudenza l'addebito non può fondarsi sulla mera inosservanza dei doveri che l'art. 143
pone a carico dei coniugi ma occorre verificare l'effettiva incidenza della violazione nel determinarsi della
situazione di intollerabilità della convivenza o di grave pregiudizio all'educazione della prole e da ciò ne
deriva che se è vero che in una situazione di grave stato di infermità mentale di uno dei coniugi il dovere di
assistenza assume una connotazione forte, è altrettanto vero che la violazione di tale dovere non può essere
considerata di per se stessa ma va rapportata al dato oggettivo degli intollerabilità della convivenza,
pertanto ai fini dell'addebito è necessario valutare se la condotta del coniuge si sostanzi in un mero rifiuto
dell’impegno solidaristico o non costituisca una presa di coscienza di una non superabile situazione di
impossibilità della convivenza. Solo nel primo caso il comportamento integra una condotta di violazione
dell’obbligo di assistenza morale e costituisce presupposto per l’addebito.

Mutamento della fede religiosa


Si è discusso se il mutamento di fede religiosa di uno dei coniugi che mette in crisi il matrimonio possa
costituire motivo di addebito della separazione e di esclusione dell'affidamento dei figli minori
giurisprudenza e dottrina concordano che il contrasto tra i diversi orientamenti religiosi non può avere
rilevanza come motivo di addebito in quanto si ricollega all'esercizio di diritti costituzionalmente garantiti ;
l'addebito potrebbe esserci nel caso in cui l'esercizio della fede religiosa superi i limiti di compatibilità con i
doveri di coniuge per le modalità del comportamento adottato.

Violazione dovere di coabitazione

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Per quanto riguarda la violazione del dovere di coabitazione, l’art. 146 cc dà rilievo alla giusta causa
dell'allontanamento: è stato ritenuto giustificato l'abbandono della casa coniugale in presenza di una
situazione di tensione tra i coniugi causata da una suocera eccessivamente invadente, mentre l'abbandono
della casa coniugale è stato ritenuto ingiustificato nei casi in cui questo consegue all'instaurazione di una
relazione extraconiugale.

Effetti della dichiarazione di addebito


L'addebito della separazione comporta conseguenze patrimoniali sul piano del mantenimento e su quello
successorio:

 il coniuge al quale viene addebitata la separazione perde nei confronti dell'altro coniuge l'eventuale
diritto al mantenimento e conserva solo il diritto agli alimenti ove ricorrano i presupposti previsti
dall'art. 433 cc 0 0
 per quanto riguarda gli aspetti successori l'addebito determina la perdita della qualità di erede,
pertanto il coniuge al quale è stata addebitata la separazione è che goda della prestazione
alimentare conserva solamente il diritto ad un assegno a carico dell'eredità

Allontanamento dalla residenza familiare e la separazione di fatto

I coniugi che possono porre fine alla convivenza coniugale in via meramente di fatto senza ricorrere al
giudice, dando vita a situazioni rilevanti per l’ordinamento giuridico.

Separazione di fatto
Viene in rilievo la separazione di fatto; inoltre la previsione contenuta all' art. 146 cc, ove si precisa che
l'allontanamento senza giusta causa del coniuge dalla residenza familiare ha come effetto la sospensione
dell'obbligo di assistenza materiale e morale da parte dell'altro induce a ritenere che l'allontanamento per
giusta causa non faccia venire meno tale obbligo, dando luogo ad una sorta di stato legittimo di non
convivenza.
Con l'espressione separazione di fatto si fa riferimento alle ipotesi in cui all'origine della decisione di vivere
separati ci sia un accordo dei coniugi di porre fine alla convivenza, sia che si tratti di accordo che per volontà
degli stessi non venga poi sottoposto al controllo del giudice per l'omologazione, sia che si tratti di accordo
che non abbia raggiunto il grado di concreta determinazione di un negozio di separazione. Rientra
nell’accezione di separazione di fatto anche l’abbandono unilaterale della residenza familiare da parte di un
di coniugi seguito però dal consenso o dall’acquiescenza del coniuge abbandonato.

Allontanamento per giusta causa


La nozione di giusta causa è generale ed indeterminata affinché il giudice possa individuarla in concreto,
anche se il legislatore all'art. 146 comma 2 elenca una serie di cause giuste la cui esistenza rende legittimo
l'allontanamento e la cessazione della convivenza; la dottrina ha ritenuto di poter individuare le ipotesi di
giusta causa dell'allontanamento nei casi in cui, indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i
coniugi, siano tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio
all'educazione della prole.
La separazione di fatto produce effetti limitati che sono regolati da singole norme di legge: l'art. 3 n. 2 lett.
b) l. div. colloca la separazione di fatto iniziata almeno 2 anni prima del 18/12/1970 tra i casi nei quali uno
dei coniugi può chiedere lo scioglimento del matrimonio; l'art. 6 l. adoz. equipara la separazione di fatto a
quella giudiziale considerandole entrambe come impedimento all'adozione.

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Effetti per i coniugi
Per quanto riguarda gli effetti personali e patrimoniali che si producono in capo ai coniugi, l'art. 146 comma
1 cc stabilisce la sospensione del diritto all'assistenza morale e materiale nei confronti del coniuge che si
allontana senza giusta causa dalla residenza e che rifiuta di tornarci.
Nulla è detto in ordine agli effetti patrimoniali che si producono in presenza di uno stato legittimo di non
coabitazione in queste ipotesi permane tra i coniugi il reciproco dovere di contribuzione, che si converte
in dovere di mantenimento di contenuto simile a quello che caratterizza il regime della separazione legale. Il
coniuge che non dispone di adeguati redditi propri potrà sempre chiedere all’altro un contributo al
mantenimento.

Altri doveri
Per quanto attiene ai doveri di natura non patrimoniale si afferma che restano fermi tutti gli obblighi che
derivano dall'art. 143 cc, purché ne sia possibile l'adempimento in stato di cessazione della coabitazione:
secondo la dottrina il dovere di assistenza morale e perderebbe il carattere di assolutezza di una piena
comunione di vita mentre il dovere di fedeltà non renderebbe più esigibili quei comportamenti funzionali
all'unità della convivenza, salvo comunque il dovere di reciproco rispetto.

Separazione temporanea
Dalla separazione di fatto si distingue la separazione temporanea dei coniugi disciplinata all'art. 126 cc, che
va accostata ai provvedimenti presidenziali previsti nella separazione giudiziale, trovando il suo fondamento
nell'esigenza di evitare disagi alla coppia e alla prole; l'art. 126 cc stabilisce che quando è proposta domanda
di nullità del matrimonio il tribunale su istanza di uno dei coniugi ordinare la loro separazione durante il
giudizio, anche d'ufficio se entrambi i coniugi siano minori interdetti. Anche in pendenza del giudizio di
nullità davanti al tribunale ecclesiastico può essere chiesta la separazione temporanea dinanzi a quello
civile. se uno o entrambi i coniugi sono minori0la domanda
0 può essere proposta dal pm.
La domanda di separazione temporanea è ammissibile secondo la giurisprudenza, anche se tra i coniugi
sussista lo stato di separazione di fatto: a tal proposito si afferma che anche quando sia cessata di fatto la
coabitazione permane il diritto di ottenere la pronuncia di separazione temporanea al fine di attribuire
carattere legale a tale stato di fatto.

SCIOGLIMENTO E CESSAZIONE DEGLI EFFETTI CIVILI DEL MATRIMONIO


L'art. 149 cc stabilisce che lo scioglimento del matrimonio può avvenire per morte di uno dei coniugi e negli
altri casi previsti dalla legge  la norma va letta in combinato disposto con la l. 898/1970 che ha introdotto
l'Istituto dello scioglimento del matrimonio (divorzio). Il divorzio, consacrando l'irreversibile frattura del
consorzio familiare, comporta lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili del
matrimonio concordatario e la perdita dello status di coniuge.
Gli artt. 1-2 l. div. stabiliscono che il giudice pronuncia lo scioglimento del matrimonio civile o la cessazione
degli effetti civili del matrimonio concordatario quando accerta che la comunione materiale si può essere
mantenuta per l'esistenza di una delle cause previste nell'art. 3.
La sussistenza di una delle ipotesi previste non determina automaticamente l'estinzione del vincolo
coniugale in quanto è necessario che il tribunale in via preliminare valuti l'irreversibilità della crisi coniugale:
la giurisprudenza ribadisce che in virtù degli effetti pubblicistici riconosciuti dall'ordinamento all'istituto
familiare, la dichiarazione di divorzio non può conseguire automaticamente alla constatazione della

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presenza di una delle cause tassativamente previste ma richiede l'accertamento del venir meno della
comunione materiale e spirituale tra i coniugi.
Nel nostro ordinamento non è disciplinato il divorzio consensuale nel senso che la volontà delle parti non è
sufficiente per produrre lo scioglimento del matrimonio dovendo necessariamente ricorrere una delle cause
previste dalla legge da accertarsi dal giudice o nell’ambito dei procedimento stragiudiziali regolati da l
162/2014.

Divorzio conseguente a separazione personale dei coniugi


La separazione legale costituisce la causa statisticamente più frequente di scioglimento del matrimonio
l'art. 3 n. 2 lett. b) l. div. stabilisce che il divorzio può essere domandato da 1 dei coniugi quando sia stata
pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale ovvero sia stata omologata la
separazione consensuale.
Per pronunciarsi sentenza di divorzio è inoltre necessario che il giudice accerti che la separazione si sia
protratta ininterrottamente da almeno 12 mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente
del tribunale nella procedura di separazione giudiziale e da 6 mei nel caso di separazione consensuale.
Per pronunciare lo scioglimento del matrimonio è quindi necessaria una duplice condizione: passaggio in
giudicato della sentenza di separazione e decorso dei 12 o 6 mesi. I coniugi sono quindi tenuto a
intraprendere due separati giudizi: prima quello di separazione e successivamente quello di divorzio.

Cause di natura penale


L'art. 3 n. 1 l. div. Prevede una serie di ipotesi che legittimano la proposizione della domanda di divorzio in
ragione della condanna di uno dei coniugi in sede penale. La cessazione degli effetti civili si giustifica in
ragione della eccessiva lunghezza della pena detentiva o per il particolare disvalore del reato commesso.
Situazioni che rendono difficile il mantenimento o ricostruzione del consorzio familiare. Solo il coniuge non
condannato è legittimato a domandare il divorzio e la legittimazione è esclusa se sia stato condannato per
concorso nel medesimo reato. La condanna deve essere avvenuta in seguito alla celebrazione del
matrimonio e la sentenza deve essere passata in giudicato prima della proposizione della domanda di
divorzio. Il reato non deve necessariamente riferirsi a fatti commessi durante il matrimonio ma può
riguardare anche avvenimento precedenti alla sua celebrazione purchè l’altro coniuge ne ignorasse
l’esistenza al momento del matrimoni.
Nello specifico sono causa di scioglimento del matrimonio le condanne:

 all'ergastolo o a pena superiore a 15 anni per uno o più delitti non colposi, esclusi i reati politici e
quelli convessi per motivi di particolare valore morale sociale
 a qualsiasi pena detentiva per il reato di incesto e per i delitti di cui al titolo XII del cp attinenti ai
Delitti contro la persona, in particolare il capo III si tratta dei Delitti contro la libertà individuale ;
inoltre per induzione, costrizione, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione
 a qualsiasi pena per omicidio volontario di un figlio o per tentato omicidio a danno del coniuge o di
un figlio
 a qualsiasi pena detentiva, con 2 o più0 condanne,
0 per i delitti di lesione personale quando ricorre la
circostanza aggravante di cui al comma 2 art. 583 cp, nonché per il reato di violazione degli obblighi
di assistenza familiare, maltrattamenti in famiglia, circonvenzione di incapace, in danno del coniuge
o di un figlio

La lett. e) prevede la possibilità che uno dei coniugi sia straniero e che ottenga all'estero sentenza di
annullamento o di scioglimento del matrimonio o contragga un nuovo matrimonio e questo legittima il
coniuge italiano a proporre domanda di divorzio.
0 0
Matrimonio non consumato
La lett. f) prevede come causa di scioglimento del matrimonio la non consumazione si tratta di
disposizione riconducibile alla tradizione canonica, che risponde all'esigenza del legislatore di armonizzare
la disciplina del matrimonio civile con quella del matrimonio concordatario. A differenza dall’ordinamento
canonico la mancata consumazione non incide sulla validità del matrimonio come atto ma è causa del suo
scioglimento.

Rettificazione dell’attribuzione di sesso


La riforma del 1987 ha aggiunto quale ulteriore causa di divorzio il passaggio in giudicato della sentenza di
rettificazione di attribuzione di sesso il legislatore ha successivamente risposto che la sentenza di
rettificazione di attribuzione di sesso non ha effetto retroattivo. Essa determina lo scioglimento del
matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito
religioso. Si applicano le disposizioni del Codice Civile e quelle della legge divorzile: è quindi prevalsa
l'interpretazione secondo cui il passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione dell'attribuzione di
sesso determini l'automatico scioglimento del matrimonio. Tuttavia la Cassazione ha dubitato della
legittimità di queste norme in quanto comportano un sacrificio indiscriminato del diritto di
autodeterminarsi nelle scelte relative all'identità personale oltre che del diritto alla conservazione della
preesistente dimensione relazionale e ha quindi sollevato questione di legittimità degli artt. 2 e 4 l.
164/1982 con riferimento agli artt. 2, 3, 24, 29, 117 Cost nella parte in cui dispongono che la sentenza di
rettificazione provochi l'automatico scioglimento del matrimonio senza la necessità di una domanda di una
pronuncia giudiziale: la corte cost ha dichiarato costituzionalmente illegittimi (con riferimento all'art. 2
Cost.) gli artt. 2 e 4 l. 164/1982 nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione, che
provoca e determina lo scioglimento del matrimonio, consenta comunque ove entrambi lo richiedano di
mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata
che tuteli adeguatamente diritti ed obblighi della coppia medesima.
Se i coniugi manifestano la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili consegue
l’automatica instaurazione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.

Strumenti negoziali per addivenire alla separazione personale ed al divorzio


La l. 162/2014 ha previsto 2 nuove modalità di separazione e divorzio che operano:

 per il tramite di una negoziazione assistita da avvocati seguita dal nulla osta o dall'autorizzazione
del procuratore della Repubblica
 in forza di accordi raggiunti dei coniugi davanti al sindaco nella sua qualità di ufficiale dello stato
civile

è consentito ai coniugi di raggiungere fuori dal processo in forza di un atto di autonomia privata la
separazione personale, la cessazione degli effetti civili del matrimonio oppure lo scioglimento del
matrimonio ovvero la modifica delle condizioni di separazione divorzio.

L’art. 6 prevede la possibilità per i coniugi di stipulare una convenzione di negoziazione assistita da almeno
1 avvocato per parte, secondo un procedimento che si differenzia a seconda che gli interessati non abbiano

0 0
o abbiano figli minori o maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non
autosufficienti nel primo caso l'accordo raggiunto a seguito di negoziazione assistita deve essere
trasmesso al procuratore della Repubblica che, se non ravvisa irregolarità, comunica agli avvocati il nulla
osta a procedere. Nel caso invece in cui ci siano figli minori e maggiorenni incapaci o portatori di handicap
grave o economicamente non autosufficienti, l'intesa raggiunta a seguito della negoziazione assistita deve
essere trasmessa al procuratore della Repubblica che se ritiene che l’accordo risponda all’interesse dei figli
lo autorizza altrimenti entro 5 gg lo trasmette al presidente del tribunale, che entro 30 gg fissa la
comparizione delle parti e provvede senza ritardo.

Una volta intervenuta l'autorizzazione l'avvocato di ciascuna parte entro i 10 gg successivi deve trasmettere
copia autenticata dell'accordo all'ufficiale dello stato civile del comune in cui il matrimonio è stato trascritto
ai fini della sua annotazione nell'atto di nascita e nell’atto di matrimonio, nonché dell’iscrizione nei registri
informatici.
L'accordo raggiunto in seguito a negoziazione assistita produce gli effetti dei provvedimenti giudiziali che
definirebbero le procedure contenziose costituisce titolo esecutivo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale ed
è altresì idoneo a fondare richieste di garanzie patrimoniali ai sensi dell'art. 156 cc e 8 l. div. oltre che
costituire mezzo per l'esecuzione diretta contro il terzo debitore.
0
L'accordo delle parti deve dare atto che gli avvocati 0hanno tentato di conciliare le parti e le hanno informate
della possibilità di esperire la mediazione familiare e deve altresì contenere l'indicazione che gli avvocati
hanno informato le parti dell'importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascun genitore 
è altresì previsto che gli avvocati debbano rendere edotte le parti dei diritti inderogabili che la legge
riconosce loro, specialmente quelli di carattere patrimoniale e degli obblighi genitoriali nei confronti dei
figli. Si ritiene che in sede di negoziazione assistita i coniugi possono raggiungere accordi che comportino
a trasferimenti di beni immobili o altri contratti o atti soggetti a trascrizione  ai fini della trascrizione la
sottoscrizione del processo verbale di accordo deve essere autenticata da un pubblico ufficiale.

L'art. 12 disciplina il secondo modello stragiudiziale: l'accordo delle parti davanti al sindaco del comune di
residenza di una di esse o del comune presso il quale è trascritto l'atto di matrimonio possibilità
riservata solo ai coniugi che non abbiano figli minori o figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap
grave o economicamente non autosufficienti. Il sindaco riceve da ciascuna delle parti personalmente la
dichiarazione che queste vogliono separarsi o sciogliere il matrimonio oppure modificare le condizioni di
separazione divorzio di service tra di loro concordati; ricevuta la dichiarazione di accordo il sindaco invita i
coniugi a comparire non prima dei 30 giorni successivi davanti a sé per la conferma dell'accordo, oltre che
per provvedere l'annotazione dell'accordo negli atti di nascita e di matrimonio (la mancata comparizione
delle parti equivale a mancata conferma dell'accordo). Rispetto alla negoziazione assistita l'accordo davanti
al sindaco non può prevedere patti di trasferimento patrimoniale; la circolare del Ministero dell'Interno n°
19/2014 ritiene che vada esclusa dall’accordo davanti all'Ufficiale quella clausola avente carattere
dispositivo sul piano patrimoniale come ad esempio l'uso della casa coniugale, l'assegno di mantenimento
ovvero qualunque altra utilità economica tra i coniugi dichiaranti (a seguito della pronuncia del Consiglio di
Stato ottobre 2016 è stato previsto che i coniugi possano concordare un assegno di mantenimento in caso di
separazione o divorzio davanti all'ufficiale dello stato civile, permanendo il divieto di trasferimenti
immobiliari). L’accordo ricevuto dal sindaco produce gli stessi effetti dei provvedimenti giudiziali che
definirebbero la procedura contenziosa.

0 0
GLI EFFETTI DELLA SEPARAZIONE E DEL DIVORZIO RISPETTO AI CONIUGI

La legge nel disciplinare gli effetti della separazione giudiziale tra i coniugi si riferisce esclusivamente ai
rapporti patrimoniali, in particolare al mantenimento e alla somministrazione degli alimenti mentre nulla
viene detto in ordine ai rapporti personali, salvo quanto disposto dall'art. 156 bis cc in ordine all'uso del
cognome del marito si ritiene che nel silenzio della legge a seguito della separazione giudiziale o
consensuale prestino sospesi tra i coniugi i reciproci doveri derivanti dal matrimonio: nello specifico si
afferma che venendo meno la coabitazione la convivenza si affievoliscono i doveri di fedeltà, assistenza
morale e collaborazione pur restando a carico dei coniugi il dovere di reciproco rispetto.

Permane l’obbligo di assistenza patrimoniale la pronuncia di separazione comporta la


persistenza l'obbligo dei doveri di solidarietà economica che derivano dal matrimonio, anche se il loro
contenuto risulta modificato dal venir meno della convivenza familiare. Permane l’obbligo reciproco dei
coniugi di contribuire ai bisogni della famiglia, in proporzione alle proprie sostanze e alla capacità di
lavoro professionale e casalingo; si sostituisce l’obbligo di mantenimento a vantaggio del coniuge cui non
sia addebitabile la separazione, qualora lo stesso non abbia adeguati redditi propri.

Venuto meno con la separazione il dovere di collaborare nell'interesse della famiglia, il dovere di
contribuzione si trasforma, nei confronti del coniuge economicamente più debole, in quello di
corrispondergli un assegno di mantenimento a riguardo l’art. 156 cc dispone che il giudice stabilisce a
vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto
necessario al suo mantenimento, qualora non abbia adeguati redditi propri.
L'entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze ed ai redditi dell'obbligato : le
condizioni alle quali è subordinato il diritto di mantenimento e il suo concreto a montare consistono nella
sussistenza di una disparità economica tra i coniugi determinata dall'insufficienza dei redditi del beneficiario
e dall'entità di quelli dell'obbligato.
Il concetto di mantenimento comporta il far partecipare il coniuge alla propria condizione economica in
proporzione i mezzi dei quali dispone in riferimento al mantenimento comporta che il difetto di redditi
adeguati vada inteso come mancanza di redditi sufficienti ad assicurare al coniuge il tenore di vita goduto
0 0
durante la convivenza matrimoniale; la Cassazione ha affermato il principio secondo cui il tenore di vita al
quale rapportare il giudizio di adeguatezza dei mezzi a disposizione del richiedente sia quello offerto dalle
potenzialità economiche dell'altro coniuge.

Redditi e sostanze dell’obbligato


In ordine al coniuge tenuto al mantenimento, secondo la giurisprudenza il termine redditi deve essere
inteso in senso ampio quale sinonimo di mezzo pertanto si deve fare riferimento non solo ai redditi in
senso stretto ma anche ai cespiti in godimento diretto e alle altre utilità suscettibili di valutazione
economica.

Nel valutare i bisogni del coniuge economicamente debole e il reddito di quello forte, al fine della
determinazione dell'assegno di mantenimento occorre tener conto di qualsivoglia utilità comunque fruita
da entrambe le parti il giudice dovrà quindi tener conto del valore da attribuirsi al godimento della casa
coniugale e ciò tanto nel caso in cui l’immobile resti nella disponibilità del coniuge unico titolare di diritto

0 0
reale o obbligatorio su di esso, tanto nell'ipotesi in cui vi sia un formale provvedimento di assegnazione a
favore dell'altro coniuge. Secondo l'orientamento prevalente il giudice può disporre l'assegnazione della
casa coniugale in favore del coniuge non proprietario solo qualora con cui conviva con figli minori e
maggiorenni non autosufficienti in applicazione di quanto disposto dall'art. 337 sexies cc; il giudice dovrà
altresì considerare anche i profili non prettamente economici quali ad esempio l'età, la salute, la capacità di
lavoro e latitudine del coniuge di provvedere al proprio mantenimento svolgendo un lavoro adeguato alle
proprie capacità professionali a tal proposito l’art. 5 comma 6 l. div. subordina la somministrazione
dell'assegno di divorzio alla circostanza che il coniuge beneficiario non abbia mezzi adeguati o comunque
non possa procurarseli per ragioni obiettive: la giurisprudenza prevalente applica il principio dettato all'art.
156 cc anche al divorzio, ritenendo che l'obbligo di mantenimento non sussista quando il coniuge abbia
redditi adeguati e anche nell'ipotesi in cui possa procurarseli.

In ordine agli eventuali aiuti economici a carattere continuativo elargiti dai genitori e dai parenti o da un
convivente, considerato che le condizioni economiche del coniuge beneficiario prescindono dalle
circostanze che determinano, si ritiene che le elargizioni continuative ricevute da parenti o dal convivente
more uxorio concorrono a formare il reddito e devono essere valutate ai fini della concreta determinazione
dell'assegno di mantenimento la giurisprudenza ha ritenuto concorrere alla determinazione del reddito
adeguato ogni utilità suscettibile di valutazione economica, ivi compresi gli aiuti forniti dai genitori e dai
parenti che hanno carattere di continuità.

Al coniuge al quale è stata addebitata la separazione perde il diritto al mantenimento ma conserva, solo
qualora versi in stato di bisogno, il diritto agli alimenti: lo stato di bisogno presuppone l'incapacità
provvedere alle fondamentali esigenze di vita, ossia nei casi in cui si ravvisa uno stato totale di carenza di
mezzi di sostentamento unitamente all'impossibilità di trovare un lavoro adeguato con riferimento alle
attitudini, condizioni fisiche, età e posizione sociale dell’alimentando. Inoltre al coniuge al quale viene
addebitata la separazione perde i diritti successori inerenti allo stato patrimoniale e ha solo diritto ad un
assegno vitalizio commisurato alle sostanze ereditarie, alla qualità e al n° degli eredi legittimi, a
condizione che al tempo dell'apertura della successione godesse degli alimenti a carico del defunto . Il
coniuge separato con addebito ha inoltre diritto alla pensione di reversibilità, a condizione che sia titolare
dell'assegno alimentare.

Riconciliazione
La riconciliazione è l'accordo che interviene tra i coniugi diretto ad impedire o far cessare lo stato di
separazione gli artt. 154 e 157 cc distingue tra:

 riconciliazione che si verifica in pendenza del processo di separazione coniugale


 riconciliazione successivo all'emanazione della sentenza di separazione giudiziale o omologazione di
quella consensuale

Gli effetti della separazione possono essere fatti cessare con un’espressa dichiarazione dei coniugi che può
essere orale o scritta, per scrittura privata o per atto pubblico o, se in corso di causa, inserita nel verbale
sottoscritto dal presidente del Tribunale, oppure con un comportamento incompatibile con lo stato di
separazione. Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere presupposto essenziale della
riconciliazione l'intenzione inequivocabile materiale e spirituale non è più necessario il requisito della
coabitazione, oggi sostituito con il riferimento ad un’espressa dichiarazione o comportamento non equivoco
che sia incompatibile con lo stato di separazione.
0 0
L'art. 154 cc stabilisce che la riconciliazione comporta l'abbandono della domanda di separazione già
proposta, mentre l'art. 157 comma 2 cc prevede che la separazione può essere pronunciata nuovamente
sono in relazione a fatti e comportamenti intervenuti dopo la riconciliazione alcuni autori ritengono che
gli effetti prodotti dalla riconciliazione avvenuta in corso di causa siano differenti rispetto a quelli della
riconciliazione che si verifica dopo la conclusione del procedimento: in quest'ultimo caso la riconciliazione
toglie ogni valore ai comportamenti tenuti dei coniugi nel periodo precedente, che non possono più essere
valutate al fine di ottenere una nuova pronuncia di separazione. Invece nel primo caso la riconciliazione ha
effetti meramente processuali, in quanto comporta l'abbandono della domanda giudiziale che è stata
proposta ma non l'estinzione del diritto di chiedere nuovamente la separazione invocando le ragioni
addotte in precedenza. Un altro orientamento 0 ritiene
0 che, poiché la conciliazione richiede il sia il perdono
delle colpe precedenti sia il completo ripristino della convivenza coniugale, ne deriva che i fatti anteriori
devono ritenersi tollerati dai coniugi nel momento in cui opera la riconciliazione e che non possono più
essere invocati come causa di intollerabilità della prosecuzione della convivenza.

Effetti personali del divorzio


Il principale effetto del divorzio è il riacquisto per ciascun coniuge della libertà di stato  il passaggio in
giudicato della sentenza di divorzio e la sua annotazione nei registri dello stato civile consentono ad
entrambi di contrarre un nuovo matrimonio, fatto salvo il divieto temporaneo di nuove nozze per la donna
previsto all'art. 89 cc escluso però se divorzio pronunciato ai sensi lettere b ed f art 3 n 2 l 898/1970.

Il divorzio non produce nessun effetto sulla cittadinanza italiana acquisita a seguito del matrimonio da parte
del coniuge straniero in quanto l'art. 11 l. 91/1992 stabilisce che il cittadino che possiede, acquista o
riacquista una cittadinanza straniera conserva quella italiana e può rinunciarvi solo qualora richiede o
stabilisca la residenza all'estero.
Per quanto riguarda il cognome, l'art. 143 bis cc dispone che la moglie aggiunge al proprio cognome quello
del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a quando non passi a nuove nozze  l'art. 5 l. div.
prevede che la donna a seguito dello scioglimento del matrimonio perde il diritto all'uso del cognome del
marito che aveva aggiunto a seguito del matrimonio, salvo che non dimostri che il conservarlo
corrisponda ad un apprezzabile interesse proprio o dei figli, ad esempio quando il cognome del marito sia
diventato per la donna segno distintivo della sua attività professionale e in questi casi il tribunale può
autorizzare la donna a mantenerlo. Qualora la moglie continui senza autorizzazione del tribunale ad
utilizzare il cognome del marito, quest'ultimo può esercitare azione inibitoria ai sensi dell'art. 7 cc e
chiedere la cessazione del fatto lesivo e in questo caso deve dimostrare l'uso illegittimo del proprio nome e
la possibilità che da ciò derivi un pregiudizio.

Assegno di divorzio
La cessazione del matrimonio comporta il verificarsi di alcuni doveri, come ad esempio quello di carattere
patrimoniale in cui il coniuge economicamente più forte deve provvedere alla somministrazione periodica
o una tantum di un assegno a favore del coniuge economicamente più debole  l'art. 5 comma 6 l. div. nel
prevedere l'obbligo di corrispondere un assegno al coniuge che non abbia mezzi adeguati o comunque non
possa procurarseli per ragioni oggettive, indica una serie di criteri che il tribunale deve considerare nel
determinarne la spettanza e l'entità. I criteri in questione sono i seguenti:

 condizioni dei coniugi


 ragioni della decisione

0 0
 contributo personale ed economico apportato da ciascuno di essi alla conduzione familiare e alla
formazione del patrimonio di ciascuno è di quello comune e del reddito di entrambi

Secondo un orientamento giurisprudenziale mantenuto fermo per decenni il presupposto fondamentale per
l'erogazione dell'assegno era costituito dallo squilibrio reddituale tra i coniugi, per effetto del quale uno di
essi, privo di mezzi adeguati a conservare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. L’ex coniuge
quindi anche se autosufficiente maturava il diritto a conseguire un assegno che in via di massima gli
consentisse di ripristinarle in modo da ristabilire un equilibrio. Il livello di vita coniugale poteva riferirsi
non solo al tenore che i coniugi avevano concretamente mantenuto nel corso del matrimonio ma anche
quello che avrebbero potuto condurre in base alle loro potenzialità economiche. Nel determinare il
tenore di vita il giudice considerava quello goduto al momento della cessazione della convivenza
comparato con quello del richiedente dopo la pronuncia di divorzio. Eventuali successivi miglioramenti
erano presi in considerazione solo se conseguenti a sviluppi prevedibili dell’attività svolta.
L’entità dell’assegno  il giudice individuato l’importo necessario a mantenere il tenore di vita applicava
criteri art 5 l 898/1970 che potevano comportare una riduzione dell’importo. I criteri non potevano
condurre alla attribuzione di un importo superiore.

1. Il coniuge al quale viene addebitata la separazione perde il diritto all’assegno di mantenimento. Art
156. Norma da coordinare il fatto che l’assegno di divorzio deve essere riconosciuto all’ex coniuge
che non dispone di mezzi adeguati indipendentemente dal suo comportamento durante il
matrimonio e dopo la separazione e quindi anche se gli sia stata addebitata la separazione. Questa
circostanza in sede di divorzio può diminuire l’ammontare dell’assegno e non necessariamente
escluderlo.
2. per quanto riguarda le condizioni dei coniugi, queste sottintendono anche le condizioni personali
0 l'età,
ossia le condizioni sociali e di salute, 0 le consuetudini e il sistema di vita dipendenti dal
matrimonio, il contesto sociale ed ambientale sotto il profilo della loro influenza sulle capacità
economiche e di guadagno per entrambi i coniugi tra le condizioni personali rileva anche
l'eventuale convivenza more uxorio instaurata dall'avente diritto all'assegno o dall'obbligato nonché
i contributi che il coniuge divorziato possa ricevere dalla famiglia di origine
3. per quanto riguarda il criterio del contributo personale ed economico dato alla conduzione
familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune rileva sotto il profilo delle
cure dedicate alla persona dell'altro coniuge, alla casa e ai figli ma anche al lavoro domestico e, in
generale, sotto il profilo economico
4. per quanto riguarda il criterio della durata del matrimonio, secondo la giurisprudenza assume
valore di parametro fondamentale, di filtro attraverso il quale devono essere esaminati e considerati
tutti gli altri criteri. Il criterio in questione appare di notevole rilevanza in quanto consente al giudice
di trattare in maniera differenziata i rapporti matrimoniali di breve durata rispetto a quelli che
hanno accompagnato la vita dei coniugi e nel primo caso si giustificano le decisioni volte a ridurre o
eliminare l'assegno intanto sarebbero del tutto inique

L’orientamento giurisprudenziale richiedente la conservazione del tenore di vita matrimoniale è stato


abbandonato dalla cassazione. Si comincia a valorizzare il principio di autoresponsabilità limitando in questo
modo il riconoscimento del diritto a percepire l’assegno divorzile alle sole ipotesi nelle quali il richiedente
versasse in una condizione di non autosufficienza economica. Sono state però apportate critiche a questo
principio. Può accadere in effetti che un ex coniuge, normalmente la donna, si trovi sensibilmente
impoverito non avendo un reddito adeguato a mantenere il tenore di vita matrimoniale non essendo

0 0
nemmeno capace di produrlo come conseguenza di scelte effettuate durante la vita coniugale di intesa con
l’altro. Si vuole garantire una parità tra i coniugi. L’art 29 cost esige che i coniugi escano dal matrimonio in
condizioni patrimoniali e reddituali equilibrate coerenti con le loro comuni scelte di vita tenendo conto
anche delle capacità rispettivamente godute a inizio rapporto. Si vuole remunerare l’impegno del coniuge
prestato in seno alla famiglia.

Funzione perequativa dell’assegno la dottrina attribuisce all’assegno una funzione assistenziale-
perequativa. Questa configurazione si attaglia a quei matrimoni nei quali dopo molti anni di convivenza si
riscontra un forte squilibrio tra la situazione patrimoniale e reddituale di colui che abbia svolto un lavoro
extradomestico e di chi si sia dedicato in prevalenza alla famiglia.

La divisione dei ruoli nella famiglia si accentua a seguito della separazione o del divorzio quando uno dei
partner (generalmente la donna) assume il ruolo di genitore prevalente. È per questo motivo che le
pronunce di legittimità hanno sottolineato la importanza rivestita dall’assunzione degli obblighi di cura dei
figli e le conseguenti ricadute negative in termini di espansione della capacità lavorativa.

Nuovissimo indirizzo della cassazione  la cassazione ha ribadito la funzione assistenziale dell’assegno di


divorzio, precisando tuttavia che debba tenere conto di un criterio perequativo-compensativo che discende
dal principio costituzionale di solidarietà, cosicchè l’indispensabile accertamento dell’inadeguatezza dei
mezzi di cui dispone il richiedente o l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive va effettuato tramite
applicazione di tutti i criteri art 5 comma 6 l.div. l’assegno a favore del coniuge debole per quanto riguarda
l’importo deve tenere conto del raggiungimento di un grado di autonomia economica da garantire
l’autosufficienza e di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita
familiare, valorizzando in particolare le aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate
in considerazione della durata del matrimonio, dell’età del richiedente.

In definitiva la funzione dell’assegno è finalizzata al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dal
coiuge economicamente più debole durante la vita matrimoniale sempre in relazione alla durata del
matrimonio e alla età dell’avente diritto. Il giudice deve riequilibrare le condizioni economico-patrimoniali
degli ex coniugi in modo che essi escano dal matrimonio in condizione di equilibrio.

Se a seguito del divorzio si verifichi uno squilibrio patrimoniale tra gli ex sposi? Una forma di equilibrio
potrebbe essere l’attribuzione di un assegno di mantenimento o l’equa distribuzione dei beni acquistati
anche separatamente durante il matrimonio. Negli Usa l’Uniform Marriage and Divorce Act stabilisce
un'equa distribuzione delle proprietà degli ex coniugi e anche gli American law Principles of the Law family
dissolution prevedono un'equa divisione della proprietà coniugale. L'attribuzione della proprietà nella
generalità dei casi consente di evitare la previsione di un assegno di divorzio, in modo tale da realizzare un
taglio netto è definitivo tra gli ex coniugi (clean break). Altra importante indicazione che emerge nei
0
Principles of the law of family dissolution è quella 0
secondo cui il principio dell'equa divisione delle ricchezze
della famiglia viene attuato con modalità differenziate in ragione della durata del matrimonio, dell'impegno
che si è dedicato alla cura della famiglia e anche di quello che ad essa si dedicherà successivamente al
divorzio.

Le caratteristiche dell’assegno

I provvedimenti di natura economica adottati dal giudice sono sempre soggetti ad eventuale revisione in
0 0
considerazione delle eventuali sopravvenute nuove circostanze che vanno ad incidere significativamente
sull'equilibrio dei rapporti tra i coniugi  con riferimento all’assegno può aver luogo un incremento della
misura in origine fissata in ragione delle sopravvenute esigenze del beneficiario o di significativi incrementi
patrimoniali dell'onerato, mentre, al contrario, può essere disposta una riduzione o la revoca in
considerazione dei miglioramenti della situazione economica del beneficiario o del sopravvenuto
deterioramento delle condizioni patrimoniali del soggetto obbligato.
L'organo competente per il procedimento di revisione dell'assegno è il tribunale; il procedimento ha inizio
su domanda di parte e l'onere di dimostrare il ricorrere delle sopravvenute circostanze di fatto idonee a
determinare la modificazione dell'assegno grava sulla parte che aspiri alla revisione. Il provvedimento è
adottato in camera di consiglio e ha natura di decreto motivato, che può essere oggetto di reclamo in Corte
d'Appello entro 10 gg ed è impugnabile mediante ricorso per cassazione.

Adeguamento automatico
L’art. 5 comma 7 l. div. ha disposto l'obbligo per il Tribunale di disporre un criterio di adeguamento
automatico almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria si tratta di un criterio minimo,
ma non esclude la possibilità che il giudice utilizzi altri criteri qualora la peculiarità della situazione lo
imponga, ad esempio determinando l'assegno di divorzio in misura percentuale rispetto al reddito
dell'obbligato nell'ipotesi in cui tale reddito provenga da fonti certe, come ad esempio un lavoratore
subordinato. In giurisprudenza da un lato si è stabilito che l'adeguamento automatico dell'assegno deve
essere disposto anche in caso di mancanza di esplicita domanda, di modo che qualora il tribunale, nel
determinare l'assegno di divorzio, abbia omesso di stabilirne il criterio di adeguamento automatico, la parte
possa chiedere la correzione della sentenza; dall'altro lato si ritiene che la disposizione che impone la
previsione giudiziale della indicizzazione dell'assegno, prescindendo dalla necessità di una specifica
domanda dell'interessato, non trova applicazione in caso di domanda congiunta di divorzio, in
considerazione dell'intenzione delle parti di sottrarre all'assegno qualsiasi meccanismo di adeguamento
preventivo.
Per quanto riguarda le modalità di liquidazione dell'assegno di divorzio, nel 1987 si è conservata
all'alternativa tra:

 corresponsione periodica
 corresponsione in un'unica soluzione in relazione alla corresponsione una tantum, mentre resta
fermo il requisito dell’accordo tra i coniugi come condizione necessaria, la nuova disciplina ha
introdotto la previsione di un controllo giudiziale di equità sull'adeguatezza della corresponsione:
l'art. 5 comma 8 l div dispone la definitività della stato patrimoniale delineato, prevedendo che
l'assegno corrisposto in un'unica soluzione non sia suscettibile di revisione o ove sopraggiungono
motivi che la giustificherebbero; inoltre si prevede che il coniuge beneficiario, accettando tale forma
di liquidazione, perde il diritto alla percentuale dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro
coniuge nonché al trattamento pensionistico di reversibilità.

Parametro fondamentale del controllo giudiziale è costituito dall’idoneità dell'assegno a soddisfare


l'esigenza del coniuge beneficiario di disporre di mezzi adeguati per il tempo in cui non posso procurarseli
per ragioni oggettive. Per quanto concerne il quantum secondo alcuni occorre procedere ad una vera e
propria capitalizzazione dell'assegno periodico in relazione alla presumibile durata della vita del
beneficiario, mentre altri estendono l'ambito di autonomia dei coniugi anche al quantum della prestazione,
ritenendo le parti libere di determinarne la natura in piena autonomia.

0 0
L’obbligo di corresponsione dell’assegno cessa se il beneficiario passa a nuove nozze. La cassazione ha
stabilito che l’estinzione avviene anche nel caso di instaurazione di convivenza stabile da parte dell’ex
coniuge beneficiario.

Accordi tra coniugi in vista del divorzio


Ci si è chiesti se i coniugi possono stipulare in sede di separazione accordi preventivi diretti a regolare
l'assetto dei loro futuri rapporti patrimoniali nell'eventualità del divorzio  la questione attiene
all’ammissibilità degli accordi prematrimoniali volti a regolare in anticipo le conseguenze di una futura crisi
matrimoniale.
La corte di cassazione prendendo in considerazione il carattere esclusivamente assistenziale dell’assegno di
divorzio ha affermato che non possa essere ammessa la preventiva disponibilità del diritto con riguardo alla
sua vicenda estintiva o impeditiva. La dottrina maggioritaria non concorda con la giurisprudenza e osserva
che gli accordi preventivi in vista del divorzio non possono essere considerati illeciti in quanto il contegno
del coniuge convenuto nel giudizio di divorzio 0 ha0 perso rilevanza dal momento che, se sussistono i
presupposti per ottenere il divorzio, questo potrà comunque essere ottenuto a prescindere dalla volontà
contraria dell'altro coniuge si sostiene quindi che un eventuale accordo di carattere patrimoniale ha solo
lo scopo di abbreviare il procedimento, anticipando un evento che, in presenza delle condizioni legali, è
inevitabile, pertanto non è possibile parlare di commercio di status.
Per quanto riguarda il riferimento all'art. 160 cc è stato dimostrato come questa norma riguardi
esclusivamente la fase fisiologica del matrimonio e quindi non abbia a che vedere con la regolamentazione
dei rapporti tra i coniugi separati tra coniugi divorziati  è stato inoltre notato come la posizione della
cassazione sia in contrasto con gli artt. 4 comma 13 e 5 comma 8 l. div., dalle quali si può desumere un favor
del legislatore per una sistemazione concordata dei rapporti patrimoniali tra i coniugi, escludendo quindi
che ci sia una indisponibilità. Inoltre anche l'introduzione degli strumenti negoziali per la risoluzione della
crisi coniugale sembra comportare il riconoscimento di maggiori margini di autonomia negoziale in sede di
separazione in vista del divorzio, prevedendo che l'intesa che preveda la corresponsione di una tantum
concordata prima del giudizio di divorzio sarebbe in linea di principio vincolante per i coniugi, ma comunque
soggetta al controllo di equità del Tribunale che pronuncia lo scioglimento.

Altre conseguenze di natura patrimoniale


L'art. 12 bis l. div. attribuisce al coniuge titolare dell'assegno divorzile che non sia passato a nuove nozze il
diritto ad una quota dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto di cessazione del
rapporto di lavoro, anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza  la percentuale è pari al 40%
dell'indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio.
La legge sul divorzio disciplina inoltre i diritti del divorziato sulla pensione di reversibilità in caso di morte
dell'ex coniuge in assenza di nuovo coniuge si prevede che l'ex coniuge che non sia passato a nuove nozze
e solo in quanto già titolare di assegno di divorzio abbia diritto alla pensione di reversibilità, sempre che il
rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza; invece nel caso in cui ci
sia un coniuge superstite, la pensione di reversibilità e gli altri assegni sono ripartiti tra coniuge superstite e
coniuge divorziato titolare di assegno in base al criterio della durata dei rispettivi rapporti patrimoniali ; se in
tale condizione si trovino più persone, il tribunale provvede a ripartire tra tutti la pensione e gli altri assegni
e ripartire tra i restanti le quote attribuite a chi sia successivamente deceduto ho passato una notte.
L'assunto secondo il quale la durata del matrimonio costituisce criterio fondamentale al fine di operare la

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ripartizione della pensione di reversibilità tra l'ex coniuge titolare dell'assegno divorzile al coniuge superstite
è stato confermato dalla Cassazione.

Conseguenze successorie
La pronuncia di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio determina il venir meno dello
status di coniuge e di conseguenza la perdita dei diritti successori inerenti  in caso di morte dell'ex coniuge
il tribunale può riconoscere all'altro, se titolare di assegno divorzile e qualora versi in stato di bisogno e non
sia passato a nuove nozze, un assegno periodico a carico dell'eredità, che deve essere determinato tenendo
conto dell'importo dell’assegno divorzile, dell'entità del bisogno, dell'eventuale pensione di reversibilità,
delle sostanze, del n° e della qualità degli eredi, delle loro condizioni economiche. Non si tratta parere della
giurisprudenza di una prosecuzione dell'assegno di divorzio ma di un attribuzione caratterizzata da una
propria autonoma configurazione: secondo l'opinione prevalente in dottrina si tratta di un diritto
successorio attribuito tramite legato ex lege.
L'assegno, stante l'art. 9 bis l. div. secondo cui occorre che il beneficiario si sia visto riconoscere il diritto alla
corresponsione periodica di somme di denaro, non spetta nel caso in cui la corresponsione sia avvenuta in
un'unica soluzione.

L’UNIONE CIVILE E LE CONVIVENZE


In anni recenti si è sviluppato un ampio dibattito relativo alla tutela giuridica delle relazioni di convivenza
instaurate tra persone dello stesso sesso il presupposto di tale possibile tutela è duplice:

 da un lato quello per cui tra persone dello stesso sesso possa sorgere quella comunione di vita
basata sull'esistenza di un rapporto affettivo, di assistenza e solidarietà identico a quello tra persone
di sesso opposto
 dall'altro lato che la mancata tutela di una consimile situazione si traduca in una discriminazione
fondata sull'orientamento sessuale vietata dall'art. 21 Carta diritti fondamentali dell'Ue di recente
il principio di non discriminazione in ragione dell'orientamento sessuale è stato invocato dalla
Cassazione con riferimento alla posizione del genitore omosessuale in sede di affidamento del
proprio figlio; inoltre questo principio0è stato0affermato dalla Corte Edu con riferimento al diritto del
membro di una coppia omosessuale di adottare il figlio del partner e in particolare la Corte Edu ha
condannato la Grecia ritenendo che la legge che nel 2008 ha introdotto l'istituto dell'unione civile
come forma di partnership alternativa al matrimonio, riservandolo esclusivamente alle coppie
eterosessuali, configura una discriminazione basata sull'orientamento sessuale e come tale
contraria all'art. 14 Cedu oltre che violare il diritto al rispetto della vita familiare delle coppie
omosessuali ex art. 8 Cedu. Nella sentenza emessa contro la Grecia la Corte non si limita a
constatare che le relazioni omosessuali stabili rientrano nella sfera di vita familiare ai sensi dell'art 8
CEDU ma estende la nozione di vita familiare fino ad includere le coppie omosessuali stabili ma che
per motivi professionali o sociali non convivano, ritenendo che l'assenza della coabitazione non
priva le coppie dell'elemento della stabilità.

La giurisprudenza è più volte intervenuta nel senso di riconoscere efficacia giuridica alla relazione tra
persone dello stesso sesso sotto profili specifici:

 il Tribunale di Roma ai fini della sublocazione di un immobile equiparato la convivenza more uxorio
omosessuale a quella tradizionale

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 il Tribunale di Firenze ha ricondotto un rapporto tra due persone dello stesso sesso nella categoria
della famiglia di fatto e di conseguenza applicato il principio in base al quale le prestazione di
carattere assistenziale e le donazioni spontanee si qualificano come obbligazioni naturali e non sono
oggetto di ripetizione
 la Corte d'Appello di Torino ha esteso la disciplina sul diritto di astensione dal testimoniare contro
un convivente omosessuale
 la Cassazione ha affermato che il rapporto di convivenza omosessuale risponde agli elementi
essenziali del rapporto di coniugio, che vanno identificati nell'esistenza di un legame affettivo stabile
che includa la reciproca disponibilità a intrattenere rapporti sessuali

La corte cost ormai riconosce che nella formazione sociale di cui all'art. 2 Cost. vada compresa anche
l'unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra 2 persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto
fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia ottenendone il riconoscimento giuridico con i
connessi diritti e doveri  la Cassazione afferma che i componenti della coppia omosessuale, conviventi
stabile relazione di fatto, se non possono far valere il diritto a contrarre matrimonio e il diritto alla
trascrizione del matrimonio contratto all'estero, tuttavia quali titolari del diritto alla vita familiare e
nell'esercizio del diritto inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia possono adire i giudici
comuni per far valere il diritto a un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia
coniugata e eventualmente sollevare eccezioni di illegittimità costituzionale delle disposizioni delle leggi
vigenti nella parte in cui non assicurino il trattamento in questione violando così il principio di
ragionevolezza.
Per quanto riguarda gli altri ordinamenti la prima legge che per prima si è occupata del fenomeno delle
coppie omosessuali è stata quella danese nel 1989 prevedendo la registrazione dell'unione e in particolare
estendendo a tale unione gli effetti giuridici del matrimonio salvo quanto previsto in materia di adozione 
tale modello è stato poi ripreso dalla Norvegia, dalla Svezia, dall'Olanda, dalla Germania e dalla Svizzera.
Olanda, Norvegia, Svezia e Danimarca hanno esteso la possibilità di contrarre matrimonio alle coppie dello
stesso sesso: in particolare i cittadini danesi che erano uniti in una partnership registrata hanno visto la
possibilità di convertire questa unione in matrimonio. Per quanto riguarda l'ordinamento francese qui già
dal 1999 sono in vigore i patti civili di solidarietà e viene stabilito che anche quella tra persone dello stesso
sesso rappresenta convivenza more uxorio questa legge che ha introdotto i patti prevede che il patto
abbia natura contrattuale e venga definito come un contratto concluso tra 2 persone fisiche maggiorenni, di
sesso diverso o dello stesso sesso, per organizzare la loro vita comune: per concludere il contratto è
necessario che le parti non si trovino tra loro legate da un legame di parentela o affinità e nemmeno che
siano legate da un precedente vincolo matrimoniale o da altro patto civile e tale fatto, al fine di acquisire a
rilevanza pubblica, va iscritto in un apposito registro. Le parti del contratto sono obbligate solidamente nei
riguardi dei terzi per debiti contratti da uno di loro per bisogni della vita corrente e per le spese relative
all'alloggio Comune. I beni acquistati a titolo oneroso che costituiscono l'arredo si presumono comuni per
metà, salvo che la convenzione abbia escluso questa presunzione o sia stato previsto una cosa diversa
mentre gli altri beni, se l'atto di acquisto non disponga diversamente, sono soggetti alla medesima regola
della presunzione di comunione per metà. Il patto può essere sciolto:

 per mutuo consenso


 per volontà unilaterale
 a seguito di celebrazione del matrimonio
0 0
Nel 2013 in Francia è stato poi riconosciuto l'indirizzo delle coppie omosessuali di sposarsi e di adottare figli
stabilendo che il matrimonio è il contratto tra 2 persone di sesso opposto o dello stesso sesso.
Negli Usa per effetto del Defense of marriage act manca una normativa federale che consenta l'unione
coniugale alle coppie omosessuali, ma sono sempre di più le legislazioni dei singoli stati che ammettono
questi tipi di matrimoni la Corte Suprema ha dichiarato contrario alla Costituzione questa legge in quanto
definire matrimonio solo quello che può essere concluso tra un uomo e una donna costituisce una
privazione della libertà delle persone che è protetta dal quinto emendamento.
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Istituzione dell’unione civile

Con legge 20 maggio 2016 n 76 il parlamento italiano ha approvato la regolamentazione delle unioni civili
tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze. Si tratta di un solo articolo suddiviso in 69
commi. Da 1 a 35 regola l’unione civile tra persone dello stesso sesso, da 36-65 le convivenze tra persone di
diverso o dello stesso sesso. L’unione civile resta distinta dal matrimonio che resta esclusivo della coppia
eterosessuale.

La legge istituisce l’unione civile tra persone dello stesso sesso come specifica formazione ai sensi dell’art 2
e 3 della costituzione e la disciplina enunciando disposizioni talvolta parafrasando quelle del codice civile
riferite al matrimonio. Le disposizioni contenenti le parole “coniuge/i” o termini equivalenti si applicano
anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.

Al comma 2 si stabilisce che due persone maggiorenni dello stesso sesso possono costituire un’unione civile
mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni. Manca il ricorso
alla parola celebrazione che reca l’idea di un rito solenne e non viene specificato il contenuto della
dichiarazione.

Le parti devono scegliere il comune e indicare nella richiesta i dati anagrafici, cittadinanza, luogo di
residenza di ciascuno di essi, insussistenza di cause impeditive alla costituzione dell’unione. Entro 30 gg
dalla presentazione della richiesta l’ufficiale di stato civile è tenuto a verificare l’esattezza delle dichiarazioni
rese dalle parti potendo anche acquisire d’ufficio documenti che ritenga necessari per provare l’inesistenza
di impedimenti. Le parti hanno l’onere di comparire dinanzi all’ufficiale di stato civile in un giorno da loro
prescelto, entro i 180 gg successivi alla scadenza dei 30 gg previsti per gli accertamenti o alla comunicazione
dell’ufficiale di stato civile di aver ultimato la fase istruttoria per rendere personalmente e congiuntamente
alla presenza di due testimoni la dichiarazione costitutiva dell’unione. Manca una dichiarazione del pubblico
ufficiale che si limita a ricevere la dichiarazione delle parti. La manifestazione di volontà delle parti esaurisce
la fattispecie costitutiva dell’unione. A conclusione della procedura l’ufficiale giudiziario dichiara che è
costituita l’unione civile. Deve essere redatto l’atto di stato civile da iscrivere nel registro delle unioni civili,
registro autonomo da quello di matrimonio.

La costituzione dell’unione civile dovrà essere provata mediante l’atto di stato civile debitamente iscritto.

Rettificazione anagrafica di sesso

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Qualora i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessare gli effetti
civili di quello concordatario, consegue l’automatica instaurazione dell’unione civile tra persone dello stesso
sesso.

Cause impeditive dell’unione civile

 la sussistenza, per una delle parti, di un vincolo matrimoniale o di un'unione civile tra persone dello
stesso sesso
 l'interdizione di una delle parti per infermità di mente; se l'istanza d'interdizione è soltanto
promossa, il pubblico ministero può chiedere che si sospenda la costituzione dell'unione civile; in tal
caso il procedimento non può aver luogo finché la sentenza che ha pronunziato sull'istanza non sia
passata in giudicato
 la sussistenza tra le parti dei rapporti di parentela di cui all'articolo 87, primo comma, del codice
civile; non possono altresì contrarre unione civile tra persone dello stesso sesso lo zio e il nipote e la
zia e la nipote; si applicano le disposizioni di cui al medesimo articolo 87
 la condanna definitiva di un contraente per omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia
coniugato o unito civilmente con l'altra parte; se è stato disposto soltanto rinvio a giudizio ovvero
sentenza di condanna di primo o secondo grado ovvero una misura cautelare la costituzione
dell'unione civile tra persone dello stesso sesso è sospesa sino a quando non è pronunziata
sentenza di proscioglimento

l’impedimento rappresentato dalla minore età di una o di entrambe le parti non è superabile tramite
autorizzazione giudiziale come nel matrimonio0 per il 0minore emancipato.

Nullità dell’unione civile  richiamo artt 65,68,119,120,123,125,126,127,128,129,129bis cc.


Si aggiunge anche il regime di invalidità per vizi del consenso: violenza, timore di eccezionale gravità, errore
sull’identità della persona o su qualità personali dell’altra parte cioè:

 esistenza di malattia fisica o psichica da impedire lo svolgimento della vita comune


 circostanze di cui art 122 comma 3 n 2,3,4 cc

I diritti successori

Per quanto concerne i rapporti personali che vengono ad instaurarsi tra le persone unite civilmente, La
disciplina dei diritti e dei doveri delle parti dell’unione civile è contenuta nei commi 11 e 12 l. 76/2016 i
particolare il comma 11 stabilisce che con la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso le
parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri; dall'unione civile deriva l'obbligo reciproco
all'assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione
alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni
comuni: si tratta di una disposizione che ricalca in buona parte il contenuto dell’art. 143 cc, pertanto si tratta
di doveri inderogabili parimenti a quelli derivanti dal matrimonio, stante la portata pubblicistica delle
disposizioni che li esprimono tuttavia la novità eclatante sta nel fatto che il comma 11 non prevede
l’obbligo di fedeltà, che viene invece previsto (anche se sono stati presentati diversi ddl per la sua
abrogazione) all’art. 143 cc tra i doveri matrimoniali. Il dovere in questione ha un contenuto negativo
(dovere di astensione da rapporti sessuali-affettivi con altre persone), ma è anche diritto-dovere reciproco
alla fiducia di ciascuno nell’altro, pertanto sotto questo profilo la fedeltà è essenzialmente lealtà reciproca,
finendo per confinare con il dovere di assistenza morale, espressamente richiamato dal comma 11 l.

0 0
76/2016: si può quindi affermare che, nonostante le intenzioni del legislatore, il dovere di fedeltà non sia
stato veramente espunto dalle unioni civili in quanto una stabile vita di coppia (eterosessuale con il
matrimonio o omosessuale con l’unione civile) che venisse privata del dovere di fedeltà sarebbe
inconcepibile e svuotata di significato.
Le parti concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune.

Le parti possono decidere di assumere per la durata dell’unione civile un cognome comune, scegliendolo tra
i loro cognomi che potrà anche essere anteposto o posposto a quello della parte il cui cognome non sia
scelto come comune. Possono scegliere il cognome anche in un momento successivo a quello di
costituzione del vincolo.

Con riguardo ai rapporti patrimoniali tra persone civilmente unite, si ha una pressoché equiparazione per
quanto riguarda i profili sia economici sia patrimoniali il principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost. viene
ripreso nel comma 13 ove si stabilisce che il regime patrimoniale dell'unione civile tra persone dello stesso
sesso, in mancanza di diversa convenzione patrimoniale, è costituito dalla comunione dei beni. In materia di
forma, modifica, simulazione e capacità per la stipula delle convenzioni patrimoniali si applicano gli articoli
162, 163, 164 e 166 del codice civile. Le parti non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla
legge per effetto dell'unione civile. Si applicano le disposizioni di cui alle sezioni II, III, IV, V e VI del capo VI
del titolo VI del libro primo del codice civile.
Sotto il profilo dei diritti successori , anche qui è piena l’equiparazione con il matrimonio infatti il comma
21 stabilisce che alle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano le disposizioni
previste dal capo III e dal capo X del titolo I, dal titolo II e dal capo II e dal capo V-bis del titolo IV del libro
secondo del codice civile (ecco quindi che l’unito civilmente superstite viene ad essere legittimario del de
cuius, al pari del coniuge superstite, e per esempio avrà diritto alla pensione di reversibilità, aspetto che è
stato oggetto di dibattito parlamentare).

Scioglimento dell’unione civile


Per quanto riguarda lo scioglimento dell’unione civile, questa in primo luogo si scioglie in caso di morte di
uno dei 2 uniti e, ai sensi del comma 22, qualora vi sia la dichiarazione di morte presunta di una delle parti.
Gli altri casi di scioglimento dell’unione civile sono i seguenti:

 comma 23 l'unione civile si scioglie altresì nei casi previsti dall'articolo 3, numero 1) e numero 2),
lettere a), c), d) ed e), l.div. Condanna con sentenza passata in giudicato anche per fatti commessi in
precedenza alle pene previste da art 3.
 comma 24 quando le parti hanno manifestato, anche disgiuntamente, la volontà di scioglimento
dinanzi all'ufficiale dello stato civile.0 In tale
0 caso la domanda di scioglimento dell'unione civile è
proposta decorsi 3 mesi dalla data della manifestazione di volontà di scioglimento dell'unione  la
previsione del termine di 3 mesi non integra una condizione di proponibilità o di procedibilità della
domanda: di conseguenza nel silenzio della legge l’omissione della dichiarazione non dovrebbe
avere alcuna incidenza processuale. Giudice dichiara con sentenza lo scioglimento. Scioglimento
anche con negoziazione assistita. L’accordo di scioglimento non può avvenire davanti agli ufficiali di
stato civile in presenza di figli minori o maggiorenni incapaci o economicamente non autosufficienti.
 la dichiarazione di volontà rilevante ai fini dello scioglimento può essere sia congiunta sia unilaterale
 comma 26 in caso sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso; il comma 27 precisa tuttavia
che alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non

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sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l'automatica instaurazione
dell'unione civile tra persone dello stesso sesso

No separazione consensuale o giudiziale né inconsumazione dell’unione.

Per quanto attiene al procedimento per lo scioglimento del vincolo nel ddl era prevista l’estensione alle
unioni civili della disciplina del cpc dettata in materia di separazione e divorzio  nel testo definitivo invece
il legislatore, in un’ottica di semplificazione della disciplina, ha soppresso ogni riferimento al regime della
separazione legale: perciò le parti dell’unione civile non avranno altra scelta che il divorzio  nello specifico
per quanto riguarda l’aspetto procedurale opera un pressoché integrale rinvio a quello divorzile in forza di
quanto disposto dal comma 25, pertanto troverà applicazione l’art. 5 l.div. per cui ove ricorrano i
presupposti dettati dall’art. 5 la parte dell’unione economicamente più debole avrà diritto all’assegno
divorzile.

Rapporti di filiazione

La legge 184/1983 sembra non prendere in considerazione che la coppia di persone dello stesso sesso possa
svolgere funzioni genitoriali considerando l’impossibilità della coppia di procreare naturalmente e dato il
divieto della maternità surrogata.

Adozione del figlio del partner

Adozioni coparentali per coppie dello stesso sesso (stepchild adoption)  applicazione art 44 lettera d l
184/1983: le coppie dello stesso sesso possono procedere all’adozione quando vi sia l’impossibilità di
affidamento preadottivo. L’art permette l’adozione da parte del coniuge del figlio dell’altro coniuge.
L’adozione può essere dichiarata a prescindere dalla sussistenza di una situazione di abbandono del minore.
Il giudice deve verificare se sia l’interesse del minore quello di vedere riconosciuti i legami affettivi
sviluppatisi con altro soggetto che se ne prenda cura indipendentemente dal suo sesso.

È ammessa in italia la trascrivibilità di atti di nascita stranieri da cui risulti che il nato all’estero sia figlio di
persone dello stesso sesso legate da una relazione di coppia. Anche nel caso di due donne coniugate, l’una
che ha condotto a termine la gravidanza e l’altra che ha donato l’ovulo, ritenendo che l’atto di nascita
straniero non contrasti con l’ordine pubblico e che prevale l’interesse del minore alla conservazione dello
status filiationis validamente acquisito all’estero. Riconosciuto anche in caso di coppia omosessuale che ha
fatto ricorso all’estero alla maternità surrogata. Anche per coppia di donne, una delle quali sottoposta
all’estero a procreazione con seme di donatore anonimo. Si prende in considerazione in questo caso l’ordine
pubblico internazionale e non quello interno e l’interesse del minore e il suo diritto al riconoscimento ed
alla continuità delle relazioni affettive anche in assenza di vincoli biologici ed adottivi con gli adulti di
riferimento all’interno del nucleo familiare.

CONVIVENZE E FAMIGLIA DI FATTO


La convivenza more uxorio, che ricalca i tratti essenziali di una relazione fondata sul matrimonio ma priva di
formalizzazione del rapporto di coppia*, rimane priva di una disciplina giuridica organica, sebbene la
questione sia da tempo oggetto di dibattito per le forze politiche vi è infatti l'orientamento secondo cui
emerge l'esigenza di non creare vincoli giuridici a chi non ne vuole e dall'altro lato emerge l'orientamento
secondo cui non bisogna contaminare il modello di famiglia fondata sul matrimonio di cui all'art. 29 Cost. Da
tempo in base all'art. 2 cost si tende ad attribuire alla coppia non unita in matrimonio la natura di

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formazione sociale, anche alla luce di quanto disposto dall'art. 9 Carta dei diritti fondamentali Ue secondo
cui il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne
disciplinano l'esercizio.
Inoltre si è accumulato un complesso di norme eterogenee che ricollega alla convivenza alcuni effetti
giuridici rilevanti, come ad esempio quelli di cui agli artt. 316 comma 4, 330, 342 bis, 342 ter, 416, 417 cc,
l'art 6 l. adoz. in materia di requisiti per l'adozione, l'art. 3 l. 91/1999 in tema di prelievo di organi e tessuti,
l'art. 5 l. 40/2004 in tema di procreazione medicalmente assistita, l’art. 4 l. 54/2006 in tema di affidamento
dei minori.

La legge 76/2016 definisce i conviventi di fatto che ora sono conviventi di diritto: due persone maggiorenni
unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da
rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.
La disciplina è applicabile a prescindere dal fatto
0 che0la coppia sia formata da persone dello stesso sesso o di
sesso diverso.
In base all’art 37 per l’accertamento della stabile convivenza si fa riferimento ala dichiarazione anagrafica
che consente di individuare il momento in cui la convivenza ha effettivamente avuto inizio. La stabile
convivenza potrà essere provata anche con altri mezzi.
Per quanto riguarda i profili personali, la regolamentazione è piuttosto scarna e frammentaria e adempie
all’esigenza di tutelare alcuni diritti inviolabili della persona convivente: collaborazione, coabitazione,
contribuzione ai bisogni comuni, assistenza morale e materiale ecc… Si estendono al convivente gli stessi
diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario, sotto il profilo del diritto di visita e
assistenza, accesso alle info personali o malattia o ricovero ospedaliero. Ciascun convivente può designare
l’altro quale suo rappresentante con poteri pieni o limitati sia in caso di morte che in caso di malattia che
comporti l’incapacità di intendere e di volere. La designazione deve avvenire in forma scritta e autografa. Il
convivente può essere nominato tutore, curatore, amministratore di sostegno dell’altro.

Rapporti patrimoniali e il contratto di convivenza


Salvo che non sussista tra i conviventi un rapporto di società o di lavoro subordinato, il convivente di fatto
che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente spetta una
partecipazione agli utili dell’impresa familiare e ai beni acquistati con essi + incrementi dell’azienda. La
misura di partecipazione è commisurata alle caratteristiche del lavoro prestato. Non gli è riconosciuto il
diritto al mantenimento né quello a partecipare alle decisioni concernenti l’indirizzo dell’attività
dell’impresa ed il rimpiego degli utili né diritto di prelazione in caso di divisione ereditaria o trasferimento
dell’azienda. Si fa esclusivamente riferimento al lavoro prestato dal convivente nell’impresa dell’altro e non
nella famiglia.

Risarcimento del danno per morte del partner  causata da un fatto illecito di 3i. Vi è un diritto alla piena
risarcibilità della parte superstite equiparata in questo caso al coniuge però il giudice dovrà comunque
trattare il risarcimento del danno con modalità differenziate.
Contratto di convivenza  contratto tipico. Forma scritta a pena di nullità. Se stipulato da notaio può essere
nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata con sottoscrizione autenticata. Il professionista entro i
successivi 10 gg trasmette copia al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe in modo
che il contratto sia opponibile ai 3i. l’ufficiale dell’anagrafe registra nella scheda di famiglia e nelle schede
individuali di ciascuno la data e il luogo della stipula e assicura la conservazione della copia agli atti
dell’ufficio.

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 Indirizzo parti per comunicazioni riguardo al contratto
 Modalità di contribuzione
 Necessità della vita in comune
 Sostanze di ciascuno
 Capacità di lavoro professionale o casalingo
 Regime patrimoniale della comunione die beni

La scelta del regime patrimoniale può essere modificata in qualsiasi momento durante la convivenza. Non
può essere sottoposto né a termine né a condizione se no si considerano non apposti.

Specifiche ipotesi di nullità:

 Presenza di un vincolo matrimoniale o unione civile o altro contratto di convivenza


 Stipulazione tra soggetti che non rientrano nei requisiti contemplati dal comma 36
 Minore età di uno dei contraenti
 Interdizione giudiziale di uno dei contraenti
 Condanna per delitto art 88 cc di uno dei contraenti

Risoluzione:

 Comune accordo parti


 Matrimonio o unione civile tra i conviventi o di uno di essi
 Morte di uno dei contraenti

La risoluzione determina lo scioglimento della comunione.

In caso di recesso unilaterale  il professionista che riceve o autentica l’atto è tenuto a notificare copia del
recesso all’altro contraente all’indirizzo indicato nel contratto. Se la casa è nella disponibilità esclusiva del
ricevente la dichiarazione di recesso a pena di nullità deve contenere il termine non inferiore a 90 gg per
lasciare l’abitazione.
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Matrimonio  notifica estratto di matrimonio o unione civile all’altra parte e al professionista.
Se morte  il contraente superstite o gli eredi del deceduto devono notificare al professionista che ha
ricevuto o autenticato il contratto l’estratto dell’atto di morte affinchè provveda ad annotare a margine del
contratto l’avvenuta risoluzione e ad eseguire la notifica all’anagrafe del comune di residenza.

Cessazione della convivenza

E’ previsto il diritto del convivente a ricevere dall’altro gli alimento qualora questo versi in stato di bisogno e
non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. Gli alimenti saranno corrisposti per un periodo
proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata all’art 438.2. La prestazione non può
essere superiore alla misura di quanto necessario per la vita dell’alimentando avuto riguardo alla sua
condizione sociale. L’obbligo deve essere adempiuto con precedenza su fratelli e sorelle. Non può quindi
travalicare quanto necessario per assicurare lo stretto necessario al soddisfacimento delle esigenze minime
di sostentamento.

Cessazione volontaria solo se stipulato un contratto di convivenza il recesso deve contenere un termine
non inferiore a 90 gg da concedere al convivente per lasciare l’abitazione. In difetto di contratto di
convivenza il rilascio deve avvenire immediatamente salvo norme generali sul possesso. Se rifiuto di lasciare

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l’immobile si agisce giudizialmente anche in via d’urgenza al fine di ottenere un provvedimento che ordini di
abbandonare l’immobile.

Morte non c’è diritto successorio a favore del superstite salvo che questo abbia disposto per testamento
in suo favore. Si però diritto del convivente a rimanere nella casa di comune residenza in seguito alla morte
per minimo 2 anni anche se non vi sono figli e anche se convivenza inferiore a 2 anni. Se convivenza + 2 anni
c’è il diritto alla permanenza per periodo corrispondente alla durata della convivenza non superiore però ai
5 anni. Se vi sono figli minori i disabili si estende il diritto per un periodo non inferiore a 3 anni.

Le questioni riguardanti i figli conseguenti alla cessazione della convivenza vanno risolte sulla base delle
medesime regole previste per i figli di coppie coniugate. La competenza spetta al tribunale ordinario.

RAPPORTO GENITORI-FIGLI
Art 30 costituzione  è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori
dal matrimonio. È riconosciuta ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale compatibile
con i diritti dei membri della famiglia legittima. Si vieta ogni differenziazione tra figli sulla base della nascita.

Prima dell’introduzione dello stato unico di filiazione si distingueva tra filiazione legittima nel caso in cui i
genitori fossero uniti nel vincolo del matrimonio e filiazione naturale (illegittima) in caso contrario.

Per quanto riguarda la condizione giuridica del figlio, la pienezza dello status era attribuita alla sola filiazione
legittima che godeva di ogni tutela nei confronti dei genitori e nei confronti dei parenti. I figli naturali
riconosciuti godevano della medesima tutela ma solo nei confronti del genitore che effettuava il
riconoscimento. Ai figli non riconosciuti o non riconoscibili era attribuita una protezione limitata che
potevano ricevere dal genitore solo un sussidio di natura alimentare.

Sul piano successorio  la condizione dei figli nati da genitori uniti in matrimonio era diversa rispetto degli
altri figli ai figli legittimi era riservata una quota indisponibile dell'eredità, mentre i figli naturali
riconosciuti erano eredi necessari ma la loro quota era di identità ridotta e questi erano esclusi dalla
successione dei parenti in linea collaterale; per quanto riguarda i figli non riconosciuti o non riconoscibili era
invece attribuito solamente un assegno vitalizio di natura alimentare.
Si evince quindi che il modello familiare accettato era quello fondato sul matrimonio, il quale rappresentava
l'unico ambito in cui la filiazione trovava dignità e piena protezione presupposto implicito del sistema era
che la filiazione, per essere lecita, dovesse sempre originare da genitori uniti in matrimonio e il matrimonio,
in quanto in principio indisponibile, da un lato conferiva legittimità alla prole in quanto impediva a chi era
coniugato di riconoscere un figlio adulterino, il quale non poteva neppure agire per l'accertamento della
filiazione: pertanto solo i figli concepiti in pendenza di matrimonio ricevevano una tutela integrale mentre
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i figli nati da unioni di fatto o da rapporti occasionali subivano un trattamento deteriore . L’obiettivo era
quello di conferire dignità e rafforzare la famiglia legittima intesa come unica entità sociale e giuridica
capace di assolvere ai compiti di mantenimento, istruzione, educazione.
Con la riforma di famiglia del ‘75 alla filiazione naturale è stata data la stessa dignità di quella legittima
prevedendo la sostanziale parificazione tra le categorie di figli e l'abolizione di quei divieti che impedivano

l'accertamento della verità biologica e proteggevano il nucleo legittimo in particolare è stata stabilita la
parità sia nell'ambito dei rapporti personali sia successori e inoltre le norme che hanno abrogato il divieto
dell'accertamento giudiziale nei riguardi dei figli adulterini nonché quelle che hanno fissato i principi della
libertà della prova e della imprescrittibilità dell'azione hanno consentito al figlio naturale di conseguire
l'accertamento del proprio status giuridico: ecco0 quindi0 che il figlio riceve piena tutela giuridica nei confronti
del genitore. Tuttavia restava una profonda differenziazione tra filiazione legittima e naturale in quanto solo
il figlio legittimo era collocato nella rete parentale, mentre al figlio naturale non erano riconosciuti di vincoli
embrioni sani. Vige il divieto di sperimentazione sugli embrioni sui quali è ammessa solo la ricerca clinica e
sperimentale con finalità terapeutiche e diagnostiche volte alla tutela della salute o allo sviluppo
dell’embrione stesso.

Sussiste il divieto di soppressione degli embrioni sanzionato penalmente. Vietata anche la riduzione
embrionaria di gravidanza plurima conseguente al trasferimento di più embrioni salvo ricorso all’aborto se
rischio per la salute psico-fisica della donna.

Accesso alle tecniche

L 40/2004 prevede che il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è consentito solo
quando sia accertata l’impossibilità di rimuovere le cause impeditive della procreazione ed è circoscritto ai
casi di sterilità o infertilità inspiegate o dipendenti da cause accertate. Occorre una certificazione medica.

Le coppie ipofertili non sono ammesse alle tecniche. Sono ammesse le coppie fertili portatrici di patologie
geneticamente trasmissibili rispondenti a criteri di gravità di cui art 6.1 l 194/1978. È possibile la selezione
degli embrioni finalizzata ad evitare l’impianto di quelli affetti da gravi malattie genetiche trasmissibili.

In base al principio di gradualità le tecniche di procreazione assistita devono essere applicate attraverso il
ricorso ad interventi aventi il minor grado di invasività tecnico e psicologico.

Prima si vietava la fecondazione eterologa sulla base dell’assunto che la mancanza del legame genetico
anche solo con uno dei genitori fosse in contrasto con l’ordine naturale della famiglia e potesse ledere
l’integrità psicologica dei soggetti interessati alla fecondazione. Dopo la legge del 2004 questo argomento
ha coinvolto la corte europea dei diritti dell’uomo considerando che il divieto era in contrasto con il diritto
alla vita familiare protetto dalla convenzione medesima e il divieto di discriminazione. La corte ha affermato
successivamente in una controversia riguardante l’austria che gli stati godono di un margine di
discrezionalità nel disciplinare la procreazione medicalmente assistita e la fecondazione in vitro continua a
sollevare questioni di ordine etico in merito alle quali non vi è omogeneità tra i MSs.

La corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art 4 l 40/2004 dove vieta il ricorso a tecniche di
procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo qualora sia stata diagnosticata una patologia che sia
causa di sterilità o infertilità assoluta o irreversibile. Questo perché la negazione assoluta del diritto a
realizzare la genitorialità e formazione di una famiglia è stabilita in danno delle coppie affette da patologie
più gravi in contrasto con la ratio legis.

Possono accedere alle tecniche le coppie maggiorenni dello stesso sesso coniugate o conviventi in età fertile
e i membri devono essere viventi. Viene equiparata la coppia convivente eterosessuale a quella coniugata.
Possono quindi accederne anche le coppie di fatto se coppie di persone maggiorenni legate da uno stabile
legame affettivo e di reciproca assistenza morale e materiale in assenza di vincoli di parentela affinità
adozione matrimoniali o derivanti da unione civile. Proibita per i single o coppie omosessuali in
considerazione del diritto del figlio alla doppia figura genitoriale che trova fondamento costituzionale che
solide basi psicopedagogiche. Se la donna single o partner di coppia omosesuale ricorra alla procreazione
eterologa all’estero e partorisca in italia se non c’è il problema della trascrivibilità dell’atto di nascita o
contrarietà a ordine pubblico il nato viene dichiarato come riconosciuto di donna non coniugata ma se
l’ufficiale dello stato civile ne viene a conoscenza non potrà concedere alla madre il diritto di non essere
nominata.

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Il ricorso alle tecniche di soggetti non aventi le caratteristiche necessarie è punti con sanzione
amministrativa nei soli riguardi del medico che l’abbia praticata.

Consenso informato

Le tecniche di procreazione devono essere applicate nei riguardi di soggetti che abbiano reso il loro
consenso informato. Il medico ha l’obbligo di fornire alla coppia informazioni estremamente dettagliate al
fine di garantire il formarsi di una volontà consapevole e consapevolmente espressa. La manifestazione di
volontà della coppia è da manifestarsi per iscritto. Tra questa e l’applicazione delle tecniche deve decorrere
non meno di 7 gg. La volontà può essere revocata fino al momento della fecondazione dell’ovulo.

In seguito alla fecondazione dell’ovulo la revoca non è ammessa a meno che non sia il caso di una grave e
documentata causa di forza maggiore relativo allo stato di salute della donna non prevedibile al momento
della fecondazione.

Lo stato del nato

L’art. 8 l. cit. determina lo stato giuridico del nato a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione
medicalmente assistita, che è quello di figlio nato nel matrimonio, se la coppia genitoriale è coniugata  lo
stato di figlio matrimoniale è conseguenza del carattere omologo della fecondazione, ma consegue anche a
quella eterologa posto che in virtù di quanto prescritto nell'art. anche i nati dalla tecnica di fecondazione
eterologa hanno lo stato di figli nati nel matrimonio: ciò si ricava altresì dalla previsione di cui all'art. 9
comma 1 che impedisce al marito il cui consenso alla fecondazione eterologa della moglie sia riconoscibile
da atti concludenti di esperire l'azione di disconoscimento della paternità sul presupposto che il figlio,
sebbene non biologicamente del marito, consegua comunque lo stato di figlio nato nel matrimonio in forza
di quanto previsto dagli artt. 231 e 232 cc  con riguardo al tenore letterale dell'art. 9 si pone un’ulteriore
precisazione: a seguito della riforma del 2012 sulla filiazione e del relativo decreto attuativo è stato
abrogato l'art. 235 cc relativo all’azione di disconoscimento, la quale è ora regolata dall'art. 243 bis; il d.lgs.
attuativo è intervenuto sulla l. 40/2004 per adeguare la terminologia dell'art. alla scomparsa
dell'espressione figli legittimi, che ora è stata sostituita con quella di figli nati nel matrimonio ma non ha
modificato il testo dell'art. 9, che continua a rinviare ai casi previsti dall'articolo 235 comma 1 numeri 1 e 2
del codice civile-->alla luce dell'abrogazione dell'art. 235 cc il rinvio operato dall'art. 9 si intende riferito
all’art. 243 bis cc, il quale non comprende più l'elencazione casistica della previgente disposizione,
consentendo a chi eserciti l'azione di disconoscimento di provare con ogni mezzo che non sussiste rapporto
di filiazione tra il figlio e il presunto padre. L'art. 9 comma 1 nel prevedere che il coniuge non possa
esercitare l'azione di disconoscimento della paternità, non precisa se l'azione sia inibita esclusivamente al
marito o se gli altri soggetti legittimati quali il figlio e la madre possano agire  se è pacifico che la madre
non possa impugnare la maternità come si ricava da quanto previsto nel comma 2 è invece problematico
stabilire se il divieto si estenda al figlio: secondo un orientamento dottrinale si deve ritenere che il figlio
non possa comunque esperire l'azione di disconoscimento della paternità sia perché la soluzione contraria
introdurrebbe un’eccezione al divieto di disconoscimento della paternità sia tenuto conto che il figlio non
potrebbe successivamente conseguire un accertamento della paternità in quanto l'art. 9 comma 3 prevede
che il donatore dei gameti non acquisisca alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far
valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi.

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La legge stabilisce che qualora la coppia non sia coniugata il figlio consegua lo stato di figlio riconosciuto
non è chiaro se questo stato sia conferito per legge o se invece occorre il riconoscimento dei genitori
secondo i principi generali: appare preferibile ritenere che la disposizione nulla abbia innovato in ordine
all'acquisizione dello status e che quindi occorre sempre il riconoscimento di ciascuno dei genitori, in difetto
del quale dovrà esperirsi l'azione di dichiarazione giudiziale e della genitorialità. L' art. 9 comma 2 l. cit.
prevede che la madre del nato non possa dichiarare la volontà di non essere nominata ai sensi dell'art. 30
comma 1 d.p.r. 396/2000 questa disposizione appare di difficile applicazione in quanto l'ufficiale di stato
civile non ha la possibilità di sapere se la nascita che gli viene denunciata come da donna che non consente
di essere nominata sia conseguenza di fecondazione medicalmente assistita; la donna che, nonostante la
disposizione non consenta di non essere nominata, non è esposta al reato di alterazione di stato di cui
all'art. 567 comma 2 cp in quanto si tratta di reato commissivo. L'art. 9 comma 3 enuncia il principio
secondo cui in caso di applicazione di tecniche di tipo eterologo il donatore di gameti non acquisisce alcuna
relazione giuridica parentale con il naso e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto e non è titolare
di obblighi.
Le tecniche di procreazione hanno riguardato anche il profilo della maternità, dando luogo a questioni
rilevanti soprattutto sul piano etico in quanto un fenomeno di particolare rilevanza è quello della maternità
surrogata dove una donna si assume l'obbligo di portare a termine una gravidanza per conto di una coppia
sterile, alla quale si impegna poi a consegnare il bambino la donna che si presta a condurre a termine la
gravidanza può essere fecondata artificialmente con il seme del marito della donna committente (caso della
maternità surrogata) oppure può ricevere il trasferimento di un embrione già concepito in vitro (caso
dell'affitto di ventre); prima dell’entrata in vigore della legge si era sviluppato un dibattito dottrinale e
giurisprudenziale in ordine alla legittimità della maternità surrogata, che oggi viene considerata
espressamente vietata ed è sanzionata penalmente anche nei riguardi della coppia committente e della
madre portante, oltre che del medico. Inoltre il disposto dell'art. 9 comma 3 conferma che la donna che ha
partorito è l'unica alla quale va attribuita la maternità, essendo giuridicamente irrilevante il fatto che
l'embrione che le è stato impiantato in utero fosse formato da materiale genetico di un'altra donna:
l'eventuale formazione di un atto di nascita che indichi quale madre una donna diversa da quella che ha
partorito integra la fattispecie di alterazione di stato e può dar luogo alla stazione di contestazione della
maternità. Si può quindi affermare che gli accordi di surrogazione e la loro attuazione sono improduttivi di
effetti in quanto vige il principio secondo il quale la maternità è attribuita a colei che ha partorito il figlio e
ciò consente di risolvere le delicate questioni di status del nato da surrogazione di maternità che si erano
poste prima dell'entrata in vigore della legge e anche quelle che possono sorgere a seguito della violazione
del divieto oppure quando sia stata realizzata un'ipotesi di maternità surrogata  a tal riguardo
emblematico è il caso dello scambio accidentale di embrioni presso un ospedale romano in cui 2 coppie si
erano separatamente rivolte per ricorrere a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo
omologo, ma per un errore umano gli embrioni formati con il patrimonio genetico di una coppia sono stati
impiantati nell'utero della donna dell'altra coppia che ha partorito 2 gemelli con il patrimonio genetico
diverso da quello proprio del suo marito: questa fattispecie presenta affinità con le ipotesi dell'affitto
diventa, ma con la particolarità che ciò che è accaduto è stato involontario in quanto non c'era la volontà
della gestante di affittare il proprio utero. Si tratta di una fattispecie che il diritto non contenta ma che
comunque può trovare composizione in via interpretativa potendosi ravvisare nell'art. 9 comma 3 e dell'art.
8 le regole che consentono di individuare chi sia la madre chi sia il padre del nato a seguito di surrogazione
di maternità pertanto sarà madre colei che ha partorito e padre il di lei marito e in questo senso si è
pronunciato il Tribunale di Roma, che ha riconosciuto la maternità della partoriente e la paternità del di lei
marito, adottando una soluzione che risulta condivisibile in quanto conferma l'operatività delle regole di

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diritto che disciplinano l'attribuzione della genitorialità secondo le quali la maternità risulta
indissolubilmente legata al parto.
Sorgono dubbi in ordine allo status dei figli quando una coppia italiana ricorda alla maternità surrogata in
paese in cui questa pratica è consentita c'è il problema del riconoscimento nell'ordinamento italiano
dello status che il nato da maternità surrogata consegua nello stato in cui ha avuto luogo la nascita: a
riguardo nulla è previsto dalla legge sulla procreazione medicalmente assistita in quanto il legislatore non ha
regolato i profili giuridici concernenti lo status del nato da maternità surrogata sotto la vigenza di un
ordinamento straniero in cui la maternità surrogata è ammessa e nell'ambito del quale il figlio ha
conseguito lo status di figlio della coppia committente riguardo trovano applicazione le disposizioni del
diritto internazionale privato e in particolare l'art. 33 l. 218/1995 che sottopone l'accertamento e la
contestazione della filiazione alla legge nazionale del figlio al momento della nascita o, se più favorevole,
alla legge dello stato di cui uno dei genitori e cittadino: ciò comporta che il figlio commissionato da genitori
italiani acquisti alla nascita la cittadinanza dello stato in cui è nato l'accertamento dello stato di figlio è
regolato dal relativo ordinamento, perciò qualora questo ordinamento attribuisca al nato lo stato di figlio
dei genitori committenti si formerà un corrispondente atto di nascita che potrei essere successivamente
trascritto in Italia a riguardo la Corte d'Appello di Bari ha affermato la riconoscibilità del ns ordinamento
di 2 parental order resi nel Uk che attribuivano a una cittadina italiana la maternità di 2 bambini nati da una
cittadina inglese a seguito di surrogazione eterologa di maternità e nel caso di specie la Corte ha ritenuto
che gli accordi surrogatori non fossero contrari all'ordine pubblico internazionale in virtù dell’ammissione da
parte di alcuni stati dell'Ue delle tecniche di surrogazione e in ogni caso del prevalere del principio generale
dell'interesse superiore del minore. La Corte Edu ha condannato la Francia per non aver riconosciuto il
rapporto di filiazione derivante da un contratto di maternità surrogata stipulato all'estero secondo la
legislazione permissiva del paese in cui ha avuto luogo alla nascita e di cui il nato ha acquisito la cittadinanza
in quanto viola il diritto al rispetto della vita privata del figlio ai sensi dell'art. 8 Cedu. Tuttavia la Cassazione
si è pronunciata in senso contrario, affermando che le pratiche di surrogazione di maternità siano da
considerare contrarie all'ordine pubblico in quanto poste a presidio della dignità umana della gestante e del
l'istituto dell'adozione e la Corte afferma che il divieto di maternità surrogata non si pone in contrasto con il
superiore interesse del minore in quanto il legislatore ha considerato come tale interesse venga meglio
realizzato attraverso l'attribuzione della maternità a colei che partorisce e ritenendo altresì come la
giurisprudenza della Corte Edu lasci ampia discrezionalità agli stati membri sul tema della maternità
surrogata.

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BUSINESS E SENTIMENTI
La famiglia imprenditoriale e la scelta del modello societario.

Il legame affettivo spesso conduce alla collaborazione nell’ambito dell’attività di natura imprenditoriale di
uno stretto congiunto. La collaborazione all’attività di impresa svolta da un congiunto ha trovato
riconoscimento nella riforma del diritto di famiglia del 1975 con il nuovo istituto della impresa familiare.
Fino ad allora era prevalente la gratuità intesa come disconoscimento della remunerabilità del lavoro
familiare. Oggi la collaborazione da parte del coniuge, componente l’unione civile, convivente di fatto o
parenti entro il 3° o affini entro il 2° deve essere collocata sul piano dell’onerosità. Colui che ne beneficia
consegue un arricchimento di modo che il familiare che presti la propria attività e non è stato stipulato un
contratto ha diritto di vedersi riconosciuto un corrispettivo che nell’impresa familiare consta di una pluralità
di diritti rilevanti sul piano patrimoniale e amministrativo gestorio. Il vincolo familiare quindi non rende
possibile di per sé la gratuità della collaborazione.

Anche la collaborazione domestica è stata collocata sul piano dell’onerosità. Cosi che quando i partener si
accordano nel senso che uno solo di essi si dedichi alle incombenze all’interno della famiglia, ogni attività
che oltrepassi i contenuti dei doveri sul medesimo gravanti deve essere remunerata. Si va oltre i doveri
nascenti dal matrimonio.

Affetti e informalità dei processi decisionali

L’armonia sul piano dei sentimenti fa si che nel contesto dell’attività di impresa i rapporti familiari si
dipanino secondo logiche differenti da quelle che dominano le relazioni tra soci estranei.

Le decisioni + imp vengono discusse e approvate nell’ambito di riunioni familiari in cui l’affetto si combina
con gli interessi dell’impresa. Si può realizzare in questo modo una violazione delle norme di tipo societario
e delle regole statutarie. Le scelte da assumere secondo efficienza ed economicità non necessariamente
avvengono cosi in ambito familiare. La variabile familiare incide sulla continuità dell’impresa perché un
conflitto può ripercuotersi sullo svolgimento dell’attività imprenditoriale. Il fattore famiglia può creare
dispute ulteriori rispetto a quelle tipiche tra soci. Può trattarsi di dissidi nati all’interno della famiglia che

Il gruppo imprenditoriale con substrato familiare

Il gruppo imprenditoriale composto da familiari presenta caratteristiche peculiari perché l’interferenza del
vincolo affettivo con quello societario è in grado di generare infinite variabili sotto il profilo delle esigenze
dei singoli componenti.

I soci possono scegliere di intraprendere l’attività in comune oppure possono decidere di continuare
l’attività dell’impresa avviata da un parente.

La scelta del tipo societario

La scelta può essere influenzata da una molteplicità di fattori. I tratti maggiormente distintivi concernono
l’organizzazione interna e l’autonomia patrimoniale. Per le società di persone l’organizzazione interna è più

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snella. La società per azioni può essere usata sia per lo svolgimento di attività d’impresa notevolmente
ampie sia di attività di dimensioni non significative. Si aggiunge anche la possibilità di ricorrere al modello
della società a responsabilità limitata.

In epoca recente si è parlato di ibridazione dei tipi cioè un fenomeno per effetto del quale si introducono
all’interno della struttura della società appartenente a un dato tipo elementi propri di un tipo differente.

Deve essere individuato lo spazio concesso all’autonomia negoziale nell’ambito di ciascun modello. La scelta
non può avvenire sulla base del grado di autonomia riconosciuto ai contraenti ma anche sulla base di altri
fattori: il regime della responsabilità per le obbligazioni assunte nell’esercizio dell’attività e la conseguente
disciplina concernente il fallimento, l’interesse che anima ciascun socio desumibile dal significato attribuito
al proprio investimento, le regole deliberative, le norme riguardati il passaggio generazionale, i costi degli
adempimenti contabili legali e organizzativi richiesti per ciascuna tipologia, incidenza del carico fiscale,
grado di riservatezza offerto da ciascun modello.

Rischio inerente alla partecipazione

Coinvolgimento o meno del patrimonio del socio in ordine all’adempimento delle obbligazioni scaturenti
dallo svolgimento dell’attività sociale. È uno degli elementi differenziatori delle società dotate di personalità
giuridica rispetto a quelle che ne sono prive. Nelle società semplici, in nome collettivo, accomandita
semplice per gli accomandatari e per azioni i soci sono esposti a una responsabilità illimitata e solidale per
le obbligazioni sociali. Nella società per azioni, resp limitata, accomandati nella accomandita semplice non
implica alcun rischio oltre a quello conferito. La preferenza viene accordata a una società priva di
personalità giuridica. I familiari solitamente optano per la costituzione di una sas in cui socio
accomandatario è il familiare privo di un patrimonio consistente e socio accomandante il vero e proprio
finanziatore dell’iniziativa.

In questo caso, cosi come in quello della società avente personalità giuridica caratterizzata da
sottocapitalizzazione, il godimento del beneficio della resp limitata può rivelarsi illusorio perché le
controparti forti (banche) pretendono il rilascio di garanzie reali e personali dei singoli soci riducendo in
questo modo nei fatti le distinzioni riscontrabili nelle diverse tipologie societarie quando si prende il
considerazione il fattore rischio. Il beneficio della responsabilità limitata in questa prosettiva giova sia ai soci
nei confronti dei creditori che non hanno forza contrattuale sufficiente per subordinare la concessione del
credito alla società al rilascio di garanzia da parte dei soci medesimi. La distinzione tra società a resp limitata
e illimitata è quella riguardante l’insolvenza perché si riverbera su tutti i soci illimitatamente responsabili.

Remunerazione dell’investimento

Le modalità attraverso le quali i soci possono giungere a ottenere una remunerazione dell’investimento
effettuato. Nella società di persone e in quelle di capitali i vantaggi patrimoniali sono gli stessi. A mutare
sono le regole che presiedono alla distribuzione dei vantaggi. La percezione degli utili è collegata sia alla
partecipazione in società di persona sia in quelle a società di capitali. La differenza è che solo nelle società di
persone vi è un vero e proprio diritto soggettivo alla distribuzione degli utili. Ciascun socio ha diritto a
percepire la sua parte di utili dopo l’approvazione del rendiconto. Nella società di capitali l’interesse del
socio alla distribuzione degli utili viene circondato da una serie di cautele dovendosi preservare l’integrità e
l’effettività del capitale sociale.

Può capitare che i soci di maggioranza intenda investire gli utili maturati e i soci di minoranza desiderino
procedere a una distribuzione degli utili. Soccombe la minoranza. Nella società di capitali nella quale vi sono
come soci dei familiari si può prevedere una clausola statutaria nella quale si disponga che una quota

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minima degli utili di bilancio debba essere necessariamente distribuita. Una tale clausola è legittima perché
art 2433.1 e 2328.2 n7 possono essere prese decisioni circa la ripartizione degli utili. Nella società di capitali
quindi assume rilevanza la posizione del socio di maggioranza al quale compete la decisione in ordine alla
remunerazione della carica. Nella società di persone invece ogni socio può vantare una posizione
giuridicamente tutelata alla distribuzione degli utili alla retribuzione dell’attività di amministratore.

Governance

Le prerogative dei soci in ordine alla amministrazione così come la specifica organizzazione interna della
società variano a seconda del modello prescelto con ampi margini riconosciuti all’autonomia negoziale.

Il fatto che a fondamento della decisione di costituire una società possa esservi il sentimento familiare può
implicare che, rispetto a quanto ordinariamente accade, non tutti abbiano interesse allo svolgimento
dell’attività sociale. Alcuni dei soci potrebbero essere disinteressati rispetto all’espletamento dell’attività
gestoria. In altri casi il familiare può trovarsi in una condizione giuridica che gli impedisca di assumere
cariche gestorie.

Nella società di persone è privilegiata la regolamentazione della gestione a scapito della formazione della
volontà collettiva. Salva disposizione diversa del contratto sociale, l’amministrazione spetta disgiuntamente
ai soci. Tale regola insieme a quella in base alla quale gli amministratori possono essere solo i soci. Per
consentire a taluni soci familiari di non impegnarsi personalmente nell’attività di gestione una soluzione può
essere quella di privarli di tale potere. Si assisterebbe però ad un fenomeno caratterizzato per la presenza di
un forte squilibrio nel trattamento riservato a tale categoria di soci perche questi verrebbero chiamati a
rispondere dei debiti sociali pur senza aver intrapreso affari. Per contemperare queste esigenze è necessario
scindere il binomio potere-responsabilità e indirizzarsi sul modello dell’accomandita semplice.

Questi contrasti possono favorire anche l’inserimento di una clausola che contempli il c.d. arbitraggio
gestionale con cui si deferiscano a uno o più terzi il potere di adottare una decisione impugnabile ex art
1349.2. E’ un meccanismo di risoluzione dei conflitti che può attagliarsi alle realtà familiari.

Autonomia contrattuale

Riveste un significativo rilievo il margine di autonomia riconosciuto ai contraenti al fine di delineare


concretamente l’assetto dell’organizzazione societaria. Nel diritto societario comunque lo spazio
riconosciuto ordinariamente all’autonomia negoziale è compresso. È quindi limitata l’autonomia
contrattuale.

Storicamente le società di persone sono state la tipologia con il più elevato grado di flessibilità. Il regime
delle società di capitali sono state caratterizzate da inderogabilità successivamente attenuata.

L’autonomia contrattuale per quanto riguarda le società familiari permette che le regole organizzative
tengano conto dell’intensità dei legami e si adegui alle necessità del gruppo che costituisce il substrato
personale della società.

I patti parasociali nella prospettiva della successione mortis causa

Garantiscono la conservazione di un determinato equilibrio dell’autonomia contrattuale. Strumento utile


anche nelle compagini familiari. Vale la pena concentrarsi sulla trasmissione mortis causa e nello specifico
nel contesto familiare sul patto parasociale stipulato dal de cuius.

La successione a causa di morte dell’erede nei rapporti giuridici del de cuius non riguarda l’intero novero di
questi ma solo i rapporti connotati da patrimonialità e che non siano destinati a venire meno con la vita del

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titolare. Si distingue in dottrina tra contratti a carattere personale (in grado di esprimere personali
valutazioni del contraente non necessariamente condivisibili da parte degli eredi) e quelli connotati da
intuitus personae nei quali la persona del contraente insieme alle sue qualità/capacità assumono un ruolo
determinante del consenso dell’altra parte. I primi sarebbero esclusi dalla successione a causa di morte. Il
carattere prsonale del contratto ne determina lo scioglimento per morte del contraente ed esclude ogni
subentro degli eredi. I secondi comportano il subentro degli eredi nel contratto attribuendo all’altro
contraente il diritto di recesso.

La posizione contrattuale consistente nell’essere parte di un patto parasociale potrebbe risultare:

1. idonea a formare oggetto di successione morti causa e di disposizione testamentaria a titolo


universale tramite istituzione di erede o a titolo particolare mediante un legato di contratto che
individui un soggetto specifico chiamato a subentrare al de cuius nel patto
2. inidonea a formare oggetto di successione mortis causa. Il contratto dovrebbe considerarsi sciolto
con riferimento alla parte defunta e destinato a continuare nei rapporti tra i soci superstiti
3. idonea a formare oggetto di successione mortis causa ma con possibilità data ai superstiti di
recedere per non vedersi astretti in rapporti giuridici con soggetti in cui non ripongono fiducia

la mancanza di disposizioni legislative deputate a individuare la sorte del patto parasociale fa si che si
prevenga a una soluzione per via interpretativa muovendo da due elementi:

1. individuazione della natura del patto parasociale evidenziando la sua prossimità ed altre figure per
le quali una regolamentazione della fase successoria sia prevista
2. analisi del patto per verificare se i contraenti hanno inserito clausole in grado di giustificare una
qualificazione personale dello stesso che escluda la prosecuzione in caso di successione mortis
causa

Nel cc in caso di morte dell’associato nelle associazioni disciplinate nel libro I del codice civile, la relativa
posizione non si tramanda salvo trasmissibilità prevista nell’atto costitutivo o statuto dell’associazione. Nel
caso di morto del socio nella società di persone ne consegue l’estinzione della posizione sociale a meno che
i soci superstiti non preferiscano sciogliere la società o che essi continuino con gli eredi e fatta salva la
contraria previsione contenuta nello statuto che può prevedere fenomeni di continuazione programmata
con gli eredi del socio defunto.

Alla posizione di parte nel contratto associativo o sociale quindi non è precluso in via assoluta di formare
oggetto di una successione in capo agli eredi di uno degli associati o dei soci alla sua morte. In mancanza di
previsioni contenute nel contratto medesimo che mirino a realizzare una destinazione successoria della
partecipazione, la posizione facente capo al defunto si scioglie restando rimesso agli eredi decidere se
contrarre con i soci superstiti un nuovo vincolo aderendo al contratto ex novo.

La successione nel patto non è rimessa ad un automatismo ma all’adempimento di un’obbligazione cioè


esecuzione di una prestazione. Non vi è una clausola di continuazione automatica del contratto con gli
eredi. Gli eredi devono manifestare la loro volontà di subentrare nel patto parasociale al posto del defunto.
Lo faranno solo nell’ipotesi in cui il de cuius abbia posto in essere un legato di posizione contrattuale in loro
favore o nel caso in cui siano disposti a contrarre inter vivos un patto parasociale con i contraenti superstiti.

La successione a causa di morte di uno dei contraenti non si estende ex se alla posizione contrattuale e
quindi al complesso di diritti e doveri che derivano dall’essere parte del patto. A tale risultato si giunde solo
se gli eredi sono beneficiari un legato di posizione contrattuale o abbia inteso rendersi contraenti con le
parti superstiti.

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La continuazione del patto sociale è quindi rimessa alla concreta determinazione volitiva degli eredi della
parte defunta che possono a propria discrezione determinarsi a far propri gli effetti di un legato di contratto
cui conseguirebbe la successione nel contratto constando il consenso preventivo dei superstiti o a proporre
alle parti superstiti di prendere parte al contratto di cui era stato contraente il de cuius. Se gli eredi non
intendono operare in tal senso, il patto non sarebbe loro opponibile mentre sorgerebbe nel patrimonio
ereditario il dovere di indennizzo art 1381cc.

L’unica possibilità di escludere il subentro automatico nel patto parasociale e l’insorgere di un dovere di
indennizzo è da ricercare nella possibilità di considerare nulla la clausola del patto parasociale che contenga
la promessa dell’obbligazione del terzo.

Divieto di concorrenza

Tra gli elementi da valutare nell’effettuazione della scelta circa il modello societario da adottare v’è la
disciplina sul divieto di concorrenza. Viene in considerazione come aspetto in rapporto all’alternativa società
di persone-società di capitali. Nella società di persone il socio non può senza il consenso degli altri soci
esercitare per conto proprio o altrui un’attività concorrente con quella della società, né partecipare come
socio illimitatamente responsabile ad altra società concorrente. Nelle società per azioni il divieto concerne
solo gli amministratori ai quali è inibita l’assunzione della qualità di socio illimitatamente responsabile in
società concorrenti + esercizio per conto proprio o di terzi di attività concorrente o assunzione della carica di
amm o direttore generale in società concorrenti.

L’attività concorrenziale lecita viene tuttavia preclusa in regione della posizione rivestita e dei correlativi
poteri attribuiti al soggetto nei cui confronti opera la preclusione. In caso di inadempimento ne consegue:
risarcimento del danno ed esclusione eventuale del socio nelle società di persone, risarcimento ed
eventuale revoca dall’ufficio nelle società per azioni.

Passaggio generazionale e strumenti del diritto societario

Sta per successione di uno o più congiunti alla guida dell’azienda. Previsto un divieto generale dei patti
successori.

Individuata una inadeguatezza del sistema successorio di alcuni stati membri a livello comunitario negli anni
90. Emanata una raccomandazione che ha preso atto che circa il 10% delle dichiarazioni di fallimento sono
ascrivibili a un’errata gestione dei profili legati alla successione mortis causa e ha invitato gli stati membri ad
agevolare la successione durante la vita dell’imprenditore attenuando gli ostacoli come quelli scaturenti dal
divieto dei patti successori.

Il patto di famiglia è preferibile. Il diritto societario può svolgere un ruolo di rilievo. Si aggiungono le regole
di governo inderogabili della successione mortis causa.

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LA SOCIETA’ DI FATTO TRA FAMILIARI

Accade, soprattutto nelle attività economiche di piccole dimensioni, che un’impresa appaia formalmente
come individuale ma nell’ambito della stessa, uno o + familiari dell’imprenditore collaborino alla gestione o
mediante finanziamenti o concessioni di garanzie per l’adempimento delle obbligazioni scaturenti
dall’esercizio della medesima. L’effetto giuridico connesso a tale comportamento può comportare una
riqualificazione dell’attività dell’impresa che può essere ricondotta nell’alveo societario.

Il ruolo assunto dal familiare in questo caso può comportare l’assunzione da parte di costui del ruolo di
socio. Alla base non vi è una manifestazione di volontà esplicita quindi alla società potranno applicarsi le
regole sulla società in nome collettivo se l’attività svolta è commerciale o quelle sulla società semplice se si
tratta di impresa agricola. Da escludere la configurabilità della Sas di fatto che non può prescindere da una
manifestazione inequivoca di volontà.

Super società di fatto: fenomeno caratterizzato dalla circostanza che uno dei soci è una Srl.

Questa attività di riqualificazione è resa possibile perché per la conclusione di un contratto volto a costituire
una società semplice non è necessaria, se non richiesto dalla natura dei beni conferiti, l’adozione di una
forma particolare. Lo stesso vale anche per le società in nome collettivo perché l’atto pubblico o la scrittura
privata sono richieste solo per consentire iscrizione nel registro delle imprese.

La società di fatto con oggetto commerciale vede quindi l’applicazione della disciplina dettata per le società
in nome collettivo irregolari circa la regolamentazione dei rapporti tra società e terzi (art 2297).

L’accertamento di una società di fatto sancisce una serie di poteri e diritti in capo ai familiari
dell’imprenditore connessi all’accertamento dello status di socio + la responsabilità illimitata e solidale per
le obbligazioni sociali + soggezione al fallimento. Solitamente l’attività di accertamento viene compiuta
proprio al fine di consentire emersione della responsabilità dei familiari di colui che appare come
imprenditore individuale.

Tra estranei determinati comportamenti sono da valutare in chiave economica mentre tra familiare la
matrice affettiva esercita una forte influenza.

Società di fatto, occulta e apparente

Occulta  fenomeno in cui l’organizzazione collettiva sorge per effetto di una manifestazione di volontà
negoziale espressa che tuttavia non viene esteriorizzata. Un soggetto agisce quindi come imprenditore
individuale pur avendo un o più soci occulti i quali indipendentemente dall’esteriorizzazione del rapporto
sociale, possono essere chiamati a rispondere delle obbligazioni contratte dall’imprenditore individuale
nell’esercizio dell’attività economica in quanto obbligazioni della società occulta. Volontà quindi manifestata
esplicitamente ma con patto di mantenerla segreta.

Apparente  due o + soggetti senza che tra i medesimi sia stato stipulato neppure tacitamente un contratto
di società, si comportano nei rapporti esterni in modo da ingenerare il convincimento circa l’esistenza della
società. Si determina un affidamento incolpevole nei 3i circa l’esistenza della società e la responsabilità dei
soci che riceve tutela per il solo fatto che sia ravvisabile l’esteriorizzazione del rapporto sociale.

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La giurisprudenza ha individuato che la prova della società di fatto si atteggia diversamente a seconda che la
controversia concerna i rapporti interni tra i soci o i rapporti esterni. Mentre nei rapporti interni è
necessario fornire la prova degli elementi costitutivi della società, nei rapporti esterni la società di fatto è
configurabile solo se si dimostra un comportamento tale da ingenerare nei terzi il convincimento
incolpevole circa l’esistenza della società. Si tratta però di una distinzione difficile da effettuare perché può
succedere che i soci pur agendo come soci nei rapporti esterni, abbiano escluso la ricorrenza tra loro di un
vincolo societario mediante lo schema della simulazione. La società apparente in questo caso è società di
fatto solo sul piano dei rapporti esterni mentre i rapporti interni vengono regolati dal contratto dissimulato
o attraverso ricorso ad altri istituti quali arricchimento senza causa.

Una volta raggiunta quindi la prova in modo inequivocabile che per i comportamenti tenuti due o + soggetti
abbiano ingenerato nei terzi il convincimento circa l’esistenza tra loro di una società, da tali comportamenti
potrà inferirsi altresì l’esistenza di un vincolo societario sul piano interno salva dimostrazione della
simulazione. Si applicheranno dei principi generali: dimostrazione della simulazione è inopponibile ai terzi di
buona fede, la resp del socio viene in considerazione solo nei confronti dei terzi di buona fede con i quali
abbia contrattato ma non potrebbe fondare il fallimento della società apparente cui ammettere ogni
creditore indipendentemente dal fatto che costoro abbiano avuto rapporti con il socio apparente.

La questione centrale è quindi quella della esteriorizzazione del rapporto sociale e i relativi elementi
costitutivi. Una volta sancito in modo inequivoco che due o + persone si sono comportate come soci nei
rapporti instaurati con una serie di controparti economiche vi sono due alternative: 1. la società esiste in
virtù dell’atteggiamento tenuto nei rapporti esterni, anche sul piano interno. 2. Nonostante
l’esteriorizzazione, la società non esiste avendo i soci apparenti escluso l’esistenza del vincolo sociale. Nel
primo caso il fallimento della società è giustificato e si estende ai soci. Nel secondo caso il socio apparente
deve essere chiamato a rispondere solo nei confronti dei terzi di buona fede con i quali abbia contrattato.

Rilevanza del vincolo familiare nell’esteriorizzazione del rapporto

Nella società di fatto manca ogni esplicita regolamentazione del rapporto. La prova quindi concerne una
serie di comportamenti tenuti dai quali inferire l’esistenza di un vincolo societario.

Se l’indagine riguarda una società di fatto tra estranei vengono presi in considerazione una serie di elementi
presuntivi enucleati dalla casistica giurisprudenziale:

concessione di garanzie, reali e personali, per i debiti dell’impresa, rilascio di cambiali, effettuazione di
finanziamenti, pagamento dei debiti impresa. Tali comportamenti se di carattere sistematico sono idonei a
fornire la dimostrazione dell’esistenza di una società di fatto.

Queste conclusioni non paiono estensibili in caso di sostengo familiare di un imprenditore al quale è legato
da un vincolo familiare. La società di fatto tra familiari deve soggiacere a una prova più rigorosa perché
l’esteriorizzazione del vincolo sociale deve basarsi su elementi e circostanze concludenti, idonei a
comprovare senza incertezze che il comportamento è giustificato da una compartecipazione all’attività
impresa e non dall’affectio familiare.

Il rapporto di parentela è idoneo a spiegare le ragioni dell’interessamento di un soggetto all’andamento


economico dell’attività d’impresa esercitata da un familiare sotto il profilo interno, escludendo l’esistenza
dell’affectio societatis. Per quanto riguarda il profilo esterno, il legame di parentela perderebbe rilevanza.

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Va preso in considerazione anche il fenomeno dell’impresa familiare per fornire una soluzione. Art 230 bis
cc: la qualifica di imprenditore spetterebbe solo a colui che ha dato origine all’esercizio dell’attività
economica, laddove i familiari partecipanti assumono la veste di semplici collaboratori. Il partecipante può
compiere atti di gestione senza essere esposto al rischio d’impresa. Siffatti poteri pero non rilevano nei
confronti dei terzi ma sono relegati sul piano dei rapporti interni. L’eventuale assistenza finanziaria
all’imprenditore da parte di un familiare è da considerare non atto di gestione ma come un intervento
finanziario a supporti di altri da parte di un terzo.

Il sostegno finanziario pero può trovare la propria giustificazione nel forte legame affettivo esistente.

Il rilascio di garanzie o il pagamento dei creditori dell’impresa non è elemento da solo idoneo a far si che
possa parlarsi di esteriorizzazione del rapporto sociale.

In cado di legame affettivo intenso sorge un vero e proprio dovere morale di assistenza perché una
situazione di bisogno in cui versa un parente o un coniuge, può generare una coazione morale a intervenire.

Una volta resa palese l’intensità del legame affettivo esistente tra imprenditore e finanziatore, i terzi
potranno vantare un affidamento tutelabile in quanto i familiari non si siano limitati a contrattare con i
creditori dell’impresa l’adempimento dei debiti o il rilascio di garanzie, ma abbiano posto in essere
comportamenti ulteriori tali da evidenziare l’esistenza di un vincolo idoneo a sovrastare il sottostante
rapporto familiare.

Amministrazione della società e rilevanza del vincolo familiare: l’accomandita

Può accadere che uno o + soggetti decidano di prendere parte all’iniziativa del familiare ideatore ma
svolgendo attività più sul paino della mera collaborazione e non della organizzazione e direzione abituale
dell’impresa. Per assecondare ciascuno dei familiari una soluzione può essere quella di riservare il potere di
amministrazione solto ai soci effettivamente interessati allo svolgimento dell’attività economica. I soci pur
privati del potere di amministrazione continuerebbero a rispondere delle obbligazioni sociali. Solo nelle
società semplici può sussistere un patto di limitazione della responsabilità o di esclusione della solidarietà
opponibile se portato a conoscenza di terzi con mezzi idonei. Nelle società in nome collettivo e in
accomandita semplice il patto limitativo non produce effetti nei confronti di terzi.

Il modello che più soddisfa le esigenze di ciascun familiare è quello dell’accomandita semplice. Agli
accomandatari è conferita l’amministrazione della società. Gli accomandanti rinunciano alla gestione e
rappresentanza della società in cambio di un rischio d’impresa limitato ai conferimenti.

Nelle realtà familiari si ricorre a questo modello per limitare la resp di colui che essendo interessato allo
svolgimento dell’attività di gestione, risulta titolare di un patrimonio consistente.

La scelta deve essere preceduta da una ponderata valutazione a causa dei rischi rinvenibili nella violazione
del divieto di immistione sancito da art 2320 c 1. Il socio accomandante non può compiere atti di
amministrazione o trattare/concludere affari in nome della società se non in forza di procura speciale per
singoli affari.

La posizione dell’accomandante appare più rigida rispetto al falso rappresentante. L’accomandante va


incontro alla responsabilità illimitata e solidate per tutte le obbligazioni sociali. Previsto il divieto di
immistione che violato comporta la perdita del beneficio della responsabilità limitata sia per i rapporti
esterni + escluso divieto di regresso nei confronti degli accomandatari.

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Un ulteriore rischio derivante dalla scelta dell’accomandita è rinvenibile all’art 2320.2 dove si prevede la
possibilità di inserire nell’atto costitutivo una clausola che riconosca agli accomandanti il potere di dare
autorizzazione e pareri per determinate operazioni e compiere atti di ispezione e sorveglianza. Articolo da
leggere in accordo con art 2318 secondo cui l’amministrazione della società può essere conferita solo a soci
accomandatari. La norma non consente di prevedere autorizzazioni continuative ed estese a tutti gli atti di
maggiore importanza perché provocherebbe una sostanziale ingerenza nell’amministrazione.

Occorre considerare la situazione in cui si intenda rilasciare una procura agli accomandanti per il
compimento di singoli affari. Per gli accomandati è previsto il divieto di compiere atti che abbiano
un’influenza decisiva o rilevante sulla gestione della società. La procura deve essere speciale e quindi riferita
ad attività specificamente individuate.

Considerando il divieto posto a carico degli accomandanti, risulta evidente come le società in accomandita
nelle quali il gruppo dei soci è costituito da familiari, siano quelle esposte ai rischi maggiori.

Il rapporto di parentela o di coniugio spesso comporta che lo svolgimento dell’attività sociale risulti
governato + dagli affetti che dalle regole di diritto societario.

Crisi del rapporto familiare e vincolo sociale

I dissidi tra soci che nelle società tra estranei nasce normalmente per fatti inerenti alla gestione sociale, nel
caso di società tra familiari possono sorgere a causa di vicende collegate al rapporto affettivo che si
riverbera sullo svolgimento del rapporto sociale. In questi casi ciascun familiare può essere indotto a far
venire meno il proprio impegno nella società. Per realizzare questo obiettivo il socio può trasferire la
partecipazione sociale. Tra le modificazioni del contratto sociale vengono incluse quelle di natura soggettiva
perché occorre il consenso di tutti i soci per procedere al trasferimento della partecipazione se non è stato
convenuto diversamente. Vi può però essere una deroga mediante una clausola statutaria. Il problema però
non è risolto tramite sostituzione della regola dell’unanimità con quella della maggioranza perché in caso di
società di due soci (marito e moglie) con diversa partecipazione agli utili, la clausola che prevede questo
tipo di trasferimento a maggioranza renderebbe arbitro del trasferimento il socio di maggioranza. La
soluzione sarebbe quella di prevedere la libera trasferibilità della partecipazione. Questa clausola però
comporterebbe un annacquamento dell’essenza delle società di persone ma anche di quelle tra familiari che
sarebbero costretti a tollerare l’ingresso di estranei.

Sono previste difficoltà nella ricerca di un acquirente di una partecipazione sociale a responsabilità
illimitata.

Recesso

Lo strumento che meglio soddisfa le esigenze che derivano dalla crisi familiare. Può essere esercitato
quando sussiste una giusta causa come inadempimenti o scorrettezze tali da minare il rapporto di fiducia
esistente tra i soci. Si aggiungono anche situazione obiettive indipendenti dalla volontà delle parti o fatti
soggettivi come l’incapacità degli amministratori o la condotta immorale dei soci. Anche l’insanabile dissidio
tra i soci e ogniqualvolta sopravvengano circostanze oggettive che impediscono la prosecuzione del
rapporto sociale. Si anche per situazioni di conflitto in ambito familiare che incidono sull’andamento delle
società e le dinamiche gestionali.

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Una soluzione alle problematiche familiari che insorgono nel corso del rapporto sociale può rinvenirsi
nell’uso preventivo dell’autonomia negoziale mediante inserimento nel contratto sociale di clausole di
recesso che tengano conto della specificità dei rapporti familiari. Es: entrambi i coniugi sono soci, recesso in
caso di deposito del ricorso per separazione personale. La clausola può essere anche più generale e
riguardare conflitto di natura familiare e basta. Spetterà al giudice in questo caso la valutazione circa la
sussistenza o meno del conflitto.

L’esclusione

Art 2286-2288 cc. Un caso di esclusione facoltativa e due casi di esclusione automatica. È previsto un potere
di esclusione del socio che abbia posto in essere gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla
legge o dal contratto sociale. La dottrina afferma che i soci possono introdurre ulteriori cause di esclusione
del socio in queste ipotesi. Il fondamento della disciplina può essere rinvenuto in una deviazione sostanziale
dei presupposti originari posti alla base del rapporto sociale.

Quando però il dissidio è tale da non poter essere risolto nemmeno con il recesso o l’esclusione potrà
configurarsi un’ipotesi di scioglimento della società per impossibilità di conseguire l’oggetto sociale.

La trasformazione delle società di persone in società di capitali

Un profilo importante circa le società di persone e quelle a carattere familiare riguarda le operazioni
straordinarie (trasformazione, fusione, scissione). Si agevola il passaggio della società di persone a forme di
organizzazione più evolute. La disp + innovativa è l’art 2500 ter cc: salva diversa disposizione del contratto
sociale, la decisione di trasformare la società di persone in società di capitali è assunta con conenso della
maggioranza dei soci determinata secondo la part attribuita a ciascuno negli utili.

La dottrina ha fortemente criticato questa norma perché:

1. la maggioranza per procedere a una trasformazione della società si calcola sulle aspettative di
guadagno di ciascun socio e non per teste
2. la disciplina si applicherebbe anche alle società già costituite al momento dell’entrata in vigore della
riforma
3. una società in nome collettivo potrebbe trasformarmi a maggioranza in società di capitali mentre
continuerebbe a prevalere la regola dell’unanimità qualora si intendesse procedere a una
trasformazione in sas ad esempio
4. una società di persone non può trasformarmi direttamente in consorzio, cooperativa o associazione,
mentre può farlo solo a maggioranza mediante una prima trasformazione omogenea in società di
capitali e una successiva trasformazione eterogenea

Nella pratica non vi è una trasformazione pura perché la modifica dell’atto costitutivo è spesso necessaria.

Le critiche riguardano il fatto che le operazioni straordinarie divengano lo strumento di cui servirsi in caso di
conflitto per estromettere dall’amministrazione 1 o + soci a opera della maggioranza. All’atto pratico quindi
può rilevarsi uno strumento incisivo per dirimere a vantaggio della maggioranza i dissidi insorti tra i
partecipanti alla società, degradando a meri soci di minoranza non amministratori, soggetti che nelle società
di persone rivestono la carica di amministratore in virtù della disciplina applicabile al tipo societario
prescelto.

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Può quindi essere opportuno l’inserimento nel contratto sociale di una clausola che ripristini al regola
dell’unanimità o corregga la regola della maggioranza con una maggioranza qualificata o una maggioranza
da calcolare in base alla quota di partecipazione al capitale sociale o per teste. Si vuole quindi con questo
calibrare la clausola derogatrice e una adeguata considerazione dei vincoli affettivi esistenti tra i soci.

A tutela del socio che non abbia concorso all’assunzione della relativa decisione è stato riconosciuto un
diritto potestativo di recesso. È anche prospettabile l’impugnazione della decisione per violazione della
buona fede nella esecuzione del contratto o per abuso di maggioranza. Possibilità di risarcimento del danno
se prova che assunzione della decisione è volta a estromettere soci di minoranza dall’amministrazione della
società e quindi finalità di danneggiarli.

Morte del socio

Il decesso del socio decreta la rilevanza dei rapporti familiari del de cuius nei confronti della società e dei
soci superstiti.

Possono prospettarsi una molteplicità di scenari collegati alla tipologia societaria da prendere in
considerazione. La legge rimette ai soci superstiti, con pox di deroga, la scelta + adeguata alla concreta
situazione.

I soci superstiti, per effetto della morte di un socio, devono liquidare la quota agli eredi salvo preferenza per
scioglimento della società o continuazione con eredi se acconsentono. La trasmissione della partecipazione
del defunto agli eredi è possibile solo se accordo di tutti i soci superstiti e consenso degli eredi. Sono da
salvaguardare una molteplicità di interessi tra cui: quello degli eredi a non vedersi coinvolti in modo
automatico nella posizione di soci a resp illimitata, quello dei soci superstiti a non subire ingresso di uno o +
eredi in una posizione che attribuisce un potere di amministrazione e di rappresentanza della società. In
difetto di ricorso all’autonomia negoziale in sede statutaria o al momento del decesso del socio, la losuzione
legislativamente offerta ai soci sup è quella della liquidazione della quota del defunto gli eredi.

Autonomia negoziale quindi è imp.

Soprattutto nelle società tra familiari è evidente l’interesse di ciascun socio all’ingresso dei propri congiunti
in caso di decesso .

Sono da prendere in considerazione anche le norme in materia successoria e societaria + da valutare se


all’introduzione nel contratto sociale di una clausola successoria debba essere preceduta da adeguata
riflessione circa la possibilità che a subentrare al socio defunto possano essere soggetti già presenti nella
compagine sociale.

Clausole di consolidazione

Una prima tipologia di pattuizioni in ambito statutario al fine di disciplinare l’evento morte sono le clausole
di consolidazione. Sono diverse dalle clausole che attribuiscono a ciascun socio il diritto di poszione
all’acquisto delle partecipazioni societarie degli altri.

Le clausole di consolidazione pattuiscono che in caso di morte di uno dei soci la quota di cui il defunto era
titolare di consolida in capo ai soci superstiti. Possono essere pure (che contemplano solo un diritto di

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accrescimento della quota del socio defunto in capo ai soci superstiti) e impure (a fronte dell’accrescimento
prevedono un obbligo dei beneficiari di corrispondere una somma di denaro agli eredi del socio defunto).

Sono introdotte frequentemente negli statuti societari. Incidono sulla sorte della quota al momento del
decesso di uno dei soci ma pongono delicati problemi di compatibilità con il divieto dei patti successori.

L’accrescimento è considerato lecito dalla dottrina quando vengano fatti salvi i diritti degli eredi senza che si
abbia incidenza sulla devoluzione del patrimonio relitto.

Sono da considerare ammissibili le clausole in cui il valore di ciò che il socio superstite è tenuto a
corrispondere agli eredi è pari a quello della quota consolidata mentre sono da ritenere nulle le clausole di
consolidazione che non prevedano la corresponsione di alcunchè agli eredi, tanto quelle che stabiliscano la
liquidazione di una somma inferiore al valore della quota. I soci superstiti sono destinatari di un effetto
attributivo a prescindere da un eventuale obbligo di corrispondere agli eredi del socio defunto il valore
integrale o parziale della quota.

Le ragioni per cui devono reputarsi valide le sole clausole di consolidazione contemplanti un obbligo a carico
dei soci superstiti di corrispondere l’intero valore della quota agli eredi del defunto vanno rinvenuto nella
stessa previsione normativa di cui all’art 2284. Tale norma dice che se la morte di uno dei soci da luogo
all’applicazione del regime legale che determina la consolidazione della quota del defunto in capo ai soci
superstiti, costoro devono necessariamente liquidare il valore della quota agli eredi del defunto. L’art è
operante salva previsione contraria del contratto sociale. La sorte della partecipazione societaria a seguito
del decesso di un socio è in virtù di questa norma, preventivamente negoziabile. Il diritto degli eredi del
socio defunto a percepire il valore della quota è inderogabile quando l’effetto sia quello della
consolidazione.

Clausole di continuazione

Favoriscono l’ingresso in società degli eredi del socio premorto sottraendo ai soci superstiti il potere di
scelta di cui art 2284. Si vuole impedire che a seguito del decesso di un socio, i superstiti si avvalgano del
meccanismo legale (liquidazione della quota agli eredi) oppure optino per lo scioglimento società.

Le clausole in questione esaltano il vincolo familiare. Si deve parlare di società a struttura aperta, avendo i
soci rinunciato preventivamente a esercitare ogni forma di controllo all’atto dell’ingresso di un nuovo
membro. Si esclude quindi un potere discrezionale dei soci superstiti in questo caso ma questo non
impedisce dal contemplare nell’ambito della medesima clausola di continuazione il possesso di determinati
requisiti perso/patrim oggettivamente accertabili.

Facoltative: comportano l’elisione sostanziale del potere dei soci superstiti di scegliere una delle soluzioni
previste da art 2284. Pongono i soci superstiti in una situazione di soggezione cui si accompagna il diritto
potestativo degli eredi del socio premorto di entrare a dar parte della compagine sociale.

Obbligatorie: l’r tipicamente familiare al subentro degli eredi nella posizione del socio defunto si accentua
ulteriormente. La posizione degli eredi del socio defunto è da considerarsi come obbligo se soci superstiti si
trovano in una situazione di soggezione.

Automatiche o di successione: r alla continuazione della società con i familiari raggiunge l’apice. Vi è una
successione automatica degli eredi in caso di morte di uno dei soci.

Per la validità di tali clausole è necessario individuare la compatibilità almeno sotto due probili:

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