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1. FONTI
L’istituto del matrimonio canonico ha le sue basi nella Sacra Scrittura, nel diritto divino
rivelato e nel diritto divino naturale, disciplinato dal nuovo codice del 1983.
Vecchio Testamento
DISCIPLINA CODICISTICA
Il matrimonio, nell’ordinamento canonico, è preso in considerazione sia nel momento del suo
sorgere (ATTO), sia nelle sue conseguenze e nei suoi effetti (RAPPORTO).
Nel codice del 1917 non era presente una definizione di matrimonio, poiché il legislatore
ritenne che il vincolo coniugale fosse ben noto alla coscienza dei nubenti. Tuttavia la disciplina
era gravata da un eccessivo tecnicismo giuridico, finendo con il mettere in secondo piano il
momento religioso-pastorale.
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Per decisione del Concilio Vaticano II, il codice del 1983 fece maggiore attenzione ai valori
fondamentali della persona accentuando il momento spirituale del vincolo coniugale,
sottolineando l’intima comunità di VITA e AMORE, oggetto del patto tra gli sposi.
Il consenso deve esistere e non può essere sostituito da nessuna persona umana: dev’esserci
una completa coincidenza tra volontà vera e volontà manifestata.
Nel XII secolo si ebbero due posizioni: la scuola di Bologna e la scuola di Parigi -> La prima
sosteneva, ispirandosi ai contratti reali romani, che il matrimonio iniziasse con il consenso
(come nei normali contratti) e si perfezionasse con la copula - unione dei corpi – (come con la
“consegna della cosa). La seconda, invece, riteneva che bastasse lo scambio dei consensi e che
la consumazione fosse irrilevante (anche se essa, una volta compiutasi, rende il vincolo
indissolubile) -> la tesi di Parigi è quella che effettivamente poi si affermerà nel corso della
storia.
Il nuovo codice, nel can 1055, ha confermato il principio che << tra i battezzati non può
sussistere un valido contratto matrimoniale che non sia perciò stesso sacramento >>. La parte
sacramentale non è una qualità “esterna” ed aggiunta al contratto, ma è parte della stessa
essenza del vincolo -> un mezzo di GRAZIA.
-> un difetto di un reale incontro dei consensi non darebbe vita al contratto (di conseguenza
nemmeno al sacramento) e il rapporto coniugale sarebbe solo apparente, una “mera
convivenza”, non essendo mai nato nella realtà. Vale qui il principio della volontà vera, che si
PRESUME conforme alle parole e ai segni usati nell’esprimere il consenso.
Alla natura sacramentale del matrimonio è strettamente legata l’indissolubilità dello stesso e
l’indisponibilità dei contenuti: il consenso prestato dai nubenti è IRREVOCABILE. Le parti non
solo non possono revocare il consenso o chiedere lo scioglimento del vincolo, ma neppure
scegliere per quanto riguarda la natura, la qualità e l’esercizio stesso dei diritti e doveri
derivanti dal negozio posto in essere.
Tuttavia soltanto il matrimonio valido e consumato, sorto come sacramento e che abbia dato
luogo alla cupola carnale, è assolutamente indissolubile! Infatti è possibile dar luogo alla
“dispensa per inconsumazione” o allo scioglimento per “privilegio della fede” (sciolti in forza
della “potestà vicaria della Chiesa”).
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Il nuovo codice, inoltre, si interessa anche della dimensione spirituale personale dei nubenti
(anche se per celebrare il matrimonio come sacramento è sufficiente il dato formale del
battesimo) -> le famose “ iniziative prematrimoniali” di tipo pastorale: << previsione di una
particolare assistenza affinché lo stato matrimoniale sia assunto in spirito cristiano e
perfezionato nella vita comune >>. Essa è affidata all’Ordinario del luogo ed è di tipo educativo
-> significato del matrimonio cristiano e compiti/doveri dei coniugi.
Per “essenza di un negozio giuridico” si intende la sua “ragion d’essere”, il suo fine ultimo.
L’ESSENZA è l’identità giuridica astratta, diversa dal concetto di VALIDITA’ del negozio (=la sua
concreta rilevanza).
Matrimonio in fieri: il patto matrimoniale visto nel suo momento costitutivo (atto) ->
si perfezione e si esaurisce all’istante.
Matrimonio in facto esse: il rapporto costituito nel suo carattere permanente -> lo
status coniugale, la proiezione e lo svolgimento nel tempo di quell’atto.
Solitamente vi è una maggiore attenzione all’ATTO, poiché è la valida costituzione del vincolo
coniugale, e meno interesse al RAPPORTO.
L’essenza del matrimonio doveva individuarsi nella << Reciproca volontà di donarsi il diritto di
compiere, l’uno sul corpo dell’altro, atti idonei alla procreazione (…) fino a che vincolo
rimanesse in vita (…) escludendo terzi da tali atti >>.
<< Il matrimonio consiste in un’intima comunità di vita e di amore, nella quale i coniugi
mutuamente si danno e si ricevono >>.
Il matrimonio è una relazione personale, il consenso è un atto di volontà con cui i coniugi si
danno e ricevono la reciproca dedizione e la totale comunione di vita in ogni suo aspetto.
L’unione intima, invece, avrebbe il suo vero fine nell’AMORE CONIUGALE (non nella
procreazione), comprensivo della generazione ed educazione della prole.
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<< La traditio-acceptatio deve investire l’intera persona , non solo il corpo del coniuge >>. Nel
can 1055 e can 1057 non vi è più riferimento al corpo, ma all’intera persona come tale: nella
sua dimensione morale e spirituale.
La normativa post-conciliare ha parificato (a livello di valori) la gerarchia dei fini propria del
codice abrogato.
Il codice del 1983 mette sullo stesso piano il bonum coniugum e la procreatio et educatio
prolis. Inoltre ha introdotto l’invalidità del matrimonio anche per l’esclusione del bonum
coniugum (in aggiunta ai tradizionali tria bona matrimoni).
Se uno di essi manca, l’atto è apparentemente valido, ma può essere reso nullo, fin
dall’origine, da una sentenza dal Tribunale ecclesiastico.
FINI - Gli sposi possono contrarre un valido matrimonio anche per scopi del tutto diversi da
quelli indicati dalla Chiesa; quello che si chiede è l’intenzione generale di porre in essere il
negozio matrimoniale e di non scostarsi dal modello di matrimonio proposto dalla Chiesa.
Nel codice del 1917 i fini del matrimonio erano 3, posti in gerarchia:
Nel nuovo codice, oltre ad aver parificato i fini, ci si è posto anche il problema della
“compatibilità” fra sterilità e fine procreativo -> il can 1084 afferma che la sterilità non
proibisce né dirime il matrimonio, poiché il dovere/diritto di una congiunzione sessuale
strutturalmente idonea alla procreazione, non rivela in alcun modo il fatto che la procreazione
sia effettivamente conseguita o meno.
PROPRIETA’ - Il can 1056 statuisce che sono proprietà essenziali del matrimonio l’unità e
l’indissolubilità del rapporto coniugale.
L’unità fa riferimento all’unicità ed esclusività del vincolo: un solo uomo può essere unito in
matrimonio con una sola donna -> non sono ammesse forme di poligamia o poliandria.
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L’indissolubilità è “l’unità” proiettata nel tempo -> le perpetuità del matrimonio non può
essere sciolto per volontà dei coniugi o di una qualsiasi autorità umana.
Pertanto:
Il matrimonio celebrato tra INFEDELI (tra cristiani battezzati in una confessione NON
cattolica) è unico ed indissolubile nei limiti del diritto naturale, ma è retto dal dirito
civile del luogo di celebrazione;
Il matrimonio celebrato tra cristiani ACATTOLICI è regolato dal diritto proprio della
comunità ecclesiale separata dalla Chiesa cattolica.
Se i nubenti intendono unirsi in matrimonio non accettando uno dei detti “bona”, il
matrimonio risulterebbe invalido per simulazione parziale o totale.
FAVOR MATRIMONI
Ogni matrimonio contratto secondo il rito ecclesiastico deve ritenersi valido fino a che non
sia data prova contraria in giudizio -> PRESUNZIONE di VALIDITA’.
*La prova contraria è posta a carico di colui che è legittimato a chiedere la nullità del vincolo.
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DIRITTO: quando riguarda l’idoneità di un determinato elemento della fattisipecie
(il giudice è in crisi sulla portata di una norma giuridica) -> Es: come distinguere
l’impotenza generandi o “sterilità” (il vincolo rimane valido) dall’impotenza
coeundi (validante).
FATTO: l’effettiva ricorrenza di quel motivo di nullità -> ES: l’impotenza, per
qualsiasi motivo, non può esserne accertata in concreto.
Tutti possono accedere al matrimonio canonico se non hanno la proibizione dal diritto ->Lo ius
connubii è una condizione SOGGETTIVA, che ha una triplice giustificazione:
I limiti al diritto di contrarre matrimonio sono i c.d. “impedimenti dirimenti”, che si pongono
come ostacoli ECCEZIONALI, oppure l’incapacità di prestare un valido consenso.
N.B. Non è necessaria una particolare sanità mentale, ma soltanto quella sufficiente ad
intendere i diritti e gli obblighi essenziali del matrimonio. Una mancanza di giudizio, per essere
rilevante, dev’essere GRAVIS.
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2. GLI IMPEDIMENTI
NOZIONE
<< Gli impedimenti al matrimonio canonico sono circostanze di fatto, formalmente collocate in
norme giuridiche di diritto divino o umano, che ostacolano la VALIDA celebrazione del
matrimonio >>.
Gli impedimenti consistono in leggi che pongono un divieto per la celebrazione del
matrimonio: le c.d. “leggi irritanti e inabilitanti”
Legge irritante: riguarda in modo diretto la struttura dell’atto matrimoniale -> difetto
di forma o vizio.
Ius connubi: << Nel matrimonio canonico possono contrarre matrimonio tutti coloro che non
ne sono impediti dal diritto >> . E’ un diritto naturale della persona.
Tale diritto non è assoluto, ma solo astrattamente estendibili a tutti i soggetti: lo ius connubi è
la regola, l’impedimento l’eccezione (ed esso deve trovare la sua fonte esclusivamente nella
legge). Nel codice del 1983 l’impedimento è definito come “circostanza”, collocandola nella
mancanza di sufficiente uso della ragione (grave difetto di discrezione di giudizio o
impossibilità di assumere obblighi per cause di natura psichica) -> l’impedimento costituisce
una circostanza indipendente dalla capacità cognitiva e volitiva del nubende e si pone come
“inabilità”.
<< Solo la Suprema autorità della Chiesa ha la competenza di dichiarare quando il diritto divino
proibisca un matrimonio o lo dirima >>, e solo essa può introdurre “nuovi” impedimenti per i
battezzati. Alle singole conferenze episcopali è stato conferito il limitato potere di stabilire
un’età superiore a quella prevista (ai soli fini della liceità, non della validità).
INVALIDO: anche se è stato celebrato, è Inidoneo a produrne gli effetti, poiché manca
uno dei requisiti essenziali necessari al momento della celebrazione (es. vizio del
consenso) -> il matrimonio è NULLO.
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DISTINZIONE DEGLI IMPEDIMENTI
Il codice odierno non prevede più tale distinzione, ma ha cancellato la categoria degli
impedimenti impedienti, limitandosi a quelli qualificati come DIRIMENTI. Tale soppressione fu
fatta poiché le sanzioni disciplinari a livello spirituale non avevano alcun effetto, se non
“morale”.
Oggi tale distinzione è stata omessa: rimangono riservati alla Santa Sede la dispensa per tre
impedimenti: ordine sacro, voto pubblico perpetuo di castità, delitto (coniugicidio).
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FIGURE OSTATIVE
1. ETA’- Limiti minimi per una valida CELEBRAZIONE: 14 anni x la femmina, 16 anni x il
maschio. Età necessaria per un valido MATRIMONIO (elevato dalla CEI): 18 anni, come
quella legale.
Non sono previsti limiti massimi d’età, poiché non è determinabile a priori un’assoluta
inabilità all’atto sessuale (impotentia coeundi).
Dispensa per il divieto posto dalla CEI: Ordinario del luogo - per motivi gravi.
2. IMPOTENZA - Incapacità di compiere l’atto sessuale, sia per l’uomo che per la donna.
Perché l’impotenza renda nullo il matrimonio, è necessario che essa fosse antecedente
alle nozze (quella “sopraggiunta” non ha rilievo). Dev’essere, inoltre, PERPETUA, non
guaribile nemmeno con cure esterne.
Si ritiene che per avere la “copula perfecta” sia necessaria la fisiologica penetrazione
del membro virile nella vagina muliebre e l’eiaculazione (non è necessario che il
liquido spermatico provenga dai testicoli).
NON danno impedimento l’impotenza generativa (=sterilità), a meno che sia causa di
ERRORE DOLOSO -> in questo caso il matrimonio sarebbe nullo per vizio del consenso.
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N.B. Perché l’incapacità di penetrazione è rilevante ma la sterilità no?
La dottrina canonistica, nel processo procreativo, individua due distinti momenti:
quello copulativo e quello post-copulativo. Il primo è la capacità di porre in essere
l’atto sessuale, di per sé idoneo alla generazione, dipendente dalla volontà degli sposi.
Il secondo è il processo naturale susseguente alla copula, indipendente dal dominio
dell’uomo.
Tutte le dichiarazioni devono essere messe per iscritto e presentate all’Ordinario del luogo con
l’istanza di dispensa dell’impedimento.
-> Il matrimonio fra cattolico e non battezzato NON costituisce sacramento! Mentre lo è fra un
cattolico e un battezzato in una confessione non in piena comunione con la Chiesa Cattolica.
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N.B. L’altro soggetto è nella posizione di “infedele”, ma titolare dello ius connubi, diritto
naturale e garantito a chiunque.
Nasce il problema fra CATTOLICI e MUSULMANI: secondo la religione musulmana una donna
NON potrà mai sposare un cristiano cattolico, ma solo l’uomo musulmano può sposare una
donna cattolica (che entrerà nel suo dominio e sarà a lui sottomessa). Inoltre nell’Islam è
previsto il ripudio unilaterale -> condizione di evidente disparità dei sessi. Secondo quanto
dichiarato dalla CEI i matrimonio fra cattolici e musulmani (in Italia) è consentito SOLO a fronti
di impegni sostanziali.
In tutti i casi elencati, se il contraente non cattolico NON consentisse all’altro coniuge di
osservare la propria religione, si ricorre allo scioglimento del vincolo per “favor fidei”.
5. ORDINE SACRO – Vi è impedimento al matrimonio per tutti color che hanno ricevuto il
diaconato, presbiterato ed episcopato, in forza dell’obbligo di celibato.
Impedimento che ha fatto discutere più di tutti il mondo della Chiesa cattolica: dal
momento che nei primi secoli di vita della Chiesa non era mai stata esplicita la
proibizione di sposarsi, molti chierici hanno spinto per rendere possibile il matrimonio
anche a loro. Ma nel 1967 Papa Paolo VI ha posto fine definitivamente alle polemiche:
l’impedimento non ammette eccezioni, tuttavia il Papa concesse anche alle persone
sposate di poter accedere al diaconato permanente.
Tale impedimento è considerato di diritto divino -> la dispensa del voto è riservata alla
Santa Sede.
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7. RATTO – Impedimento derivante da un fatto delittuoso-> il rapimento è un DELITTO:
<< Non può esistere valido matrimonio tra l’uomo e la donna rapita, o almeno
trattenuta, con il fine di contrarre matrimonio con essa, se non dopo che la donna,
separata dal rapitore e posta in luogo sicuro e libero, scelga spontaneamente il
matrimonio>>.
Tutela sia della liberta della donna, sia della dignità dell’istituto matrimoniale.
Tale impedimento è di diritto umano ma, data la sua gravita, la sua dispensa è
riservata alla Santa Sede.
9. CONSANGUINEITA’ – Nel diritto canonico si intende il vincolo che lega in linea RETTA
tutti gli ascendenti e discendenti (es. genitore e figlio) e in linea obliqua o collaterale
(che hanno uno stipite in comune: es. fratelli).
Il matrimonio è SEMPRE nullo in linea retta, considerando sia i figli legittimi, sia quelli
naturali -> esso non può essere dispensato in quanto di diritto divino naturale.
In via collaterale è nullo solo fino al 4° (incluso) di parentela -> può essere dispensato
dall’Ordinario del luogo-
10. AFFINITA’ – Si intende il vincolo che lega un coniuge ai parenti dell’altro coniuge: in
linea retta dirime SEMPRE il matrimonio (ossia un coniuge con i discendenti e gli
ascendenti dell’altro coniuge, anche per morte di esso o in caso di matrimonio non
consumato) -> es. tra cognati: la vedova del fratello.
11. PUBBLICA ONESTA’ – Questo impedimento sorge da matrimonio INVALIDO nel quale
vi sia stata vita in comune o un pubblico e notorio concubinato, dirimendo le nozze
nel 1° grado della linea retta tra l’uomo e le consanguinee della donna (e viceversa).
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Analogo all’affinità, la differenza è che qui il “nuovo” vincolo nascerebbe per un
precedente matrimonio INVALIDO -> la ratio di tale impedimento è quella di vietare il
matrimonio (per esempio) tra l’uomo e la madre (o figlia) della donna con cui sia stato
legato da precedente vincolo invalido (o con la quale abbia vissuto in pubblico, etc..).
La “vita in comune” a cui fa riferimento la norma, si deve intendere come << la totalità
del rapporto interpersonale>>; mentre con “concubinato pubblico e notorio” si
intende l’unione stabile tra uomo e donna, anche se non matrimoniale.
-> N.B. vale solo per il 1° grado!
12. ADOZIONE – L’impedimento fa riferimento al vincolo di parentela che nasce per legge
mediante l’adozione (parentela legale) -> dirime sempre il matrimonio in linea retta e
fino al 2° grado in linea collaterale. Le norme di diritto canonico si rifanno a quello di
diritto civile (art 87 cc).
<< L’atto con il quale l’autorità che gode di potestà esecutiva, nei limiti della sua competenza,
pur restando in vigore la legge, in vista del bene generale della comunità dei fedeli, ne
sospende l’obbligatorietà (…), per provvedere meglio al bene spirituale di una persona
specifica >>.
L’Ordinario NON può dispensare, anche se ricorrono tali condizioni, dall’obbligo di celibato per
i chierici, anche se abbiano perso lo status clericale -> spetta solo al Romano Pontefice.
In pericolo di morte è consentita la dispensa, qualora non sia possibile ricorrere all’Ordinario,
dal parroco, dal ministro sacro delegato, dal sacerdote o dal diacono -> solo impedimenti di
natura ecclesiastica e solo in foro esterno.
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La Sede Apostolica può dispensare da tutti gli impedimenti, con il solo limite
che essi non siano di diritto divino e non vi sia il dubbio possano essere di
diritto naturale -> in sintesi solo impedimenti di: ordine sacro, voto pubblico
perpetuo di castità, crimine.
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3. IL CONSENSO MATRIMONIALE
Il can 1057 stabilisce che << Il consenso manifestato dalle parti non può essere supplito da
alcuna potestà umana >>: INSOSTITUIBILITA’ DEL CONSENSO.
N.B. Un matrimonio invalido per difetto di forma o per la presenza di un impedimento può essere SANATO senza
bisogno di rinnovare il consenso.
Nessuno, nè i genitori, né il tutore dei nubendi, se essi sono minorenni, possono sostituirsi ai
medesimi ed esprimere la volontà matrimoniale al posto loro.
Tuttavia il codice prevede il “matrimonio per procura”, ossia la manifestazione del consenso di
uno dei nubendi da parte di un procuratore (con apposito e valido mandato), poiché lo
sposo/sposa è impossibilitato a presenziare FISICAMENTE alla cerimonia.
Per accertare se la volontà matrimoniale si sia formata correttamente bisogna verificare lo stato soggettivo del
nubende che ha conferito il mandato.
Nel diritto canonico la mancanza di volontà o l’esistenza di un vizio possono essere fatti valere
senza alcun pregiudizio temporale o di qualsivoglia natura, in principio dell’ ASSOLUTEZZA
delle INVALIDITA’ consensuali.
L’invalidità del vincolo si ha nel momento in cui la volontà manifestata all’esterno NON
coincida nell’animo del nubende, per vizio, simulazione, errore, violenza dolosa o particolare
condizione psichica.
DIFETTO DI CONSENSO
Si verifica mancanza di volontà matrimoniale (o difetto di consenso) quando uno dei nubendi
manifesta all’esterno una volontà che in effetti NON ha -> discordanza fra manifestazione
estrinseca e volontà interna.
“Per poter decidere bisogna conoscere”-> il consenso è un atto di volontà e di intelletto. Per
poter esprimere un valido consenso bisogna possedere una “duplice attitudine”:
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rappresentarsi la realtà esterna e determinarsi in conseguenza della valutazione critica che si
dà della realtà percepita. Tale attitudine è la c.d. “capacità di intendere e di volere”.
Nel codice vigente (canonico) si individuano tre ipotesi di incapacità, di cui le prime due
presuppongono un’inadeguatezza delle facoltà razionali (dando luogo ad un difetto di
consenso come “atto psicologico”), mentre la terza deriva da cause di natura psichica,
estrinseche al processo di formazione del consenso:
Questo concetto diverso è da quello di “uso della ragione”, poiché lì il soggetto percepisce il matrimonio nella
sua forma astratta.
2. Violenza fisica
Intesa come costrizione FISICA inferta dall’esterno alla quale la persona non ha potuto
resistere in alcun modo. E’ un’azione violenta volta allo scopo di far inclinare il capo del
nubende in segno di assenso -> ESCLUDE completamente il consenso, rendendo NULLO il
matrimonio.
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Non va confusa con la violenza “morale” la quale influisce sull’animo del nubende, il quale
manifesta comunque una propria volontà -> VIZIA il consenso, rendendo INVALIDO il
matrimonio.
3. Errore (ostativo)
Errore che cade sulla dichiarazione ed è di ostacolo alla formazione del consenso,
determinandone un difetto. E’ una situazione di ignoranza o di falsa apprensione della realtà.
a. di diritto sulle proprietà del negozio -> la legge richiede che i nubendi non
ignorino almeno due cose:
b. di diritto sulla proprietà e sulla dignità sacramentale del matrimonio: casi in cui il
nubende ritiene per errore che il matrimonio sia dissolubile, compatibile con la
poligamia o che non abbia natura sacramentale. Tale errore (per invalidare il
matrimonio) non deve rimanere solo nella sfera intellettiva, ma deve estendersi
anche a quella volitiva.
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che la qualità sia stata voluta come oggetto primario dal nubende ->
errore vizio (vedi dopo).
4. Simulazione
Nella manifestazione del consenso si presume che l’animo del nubende coincida con le parole
pronunciate, aderendo al modello di matrimonio proposto dalla chiesa cattolica.
La simulazione si verifica nel momento in cui uno (o entrambi i nubendi) esclude con decisione,
formatasi all’interno del proprio animo, un elemento essenziale del matrimonio o l’intero
modello proposto.
Perché si abbia simulazione occorre una concreta determinazione del volere come “positivo
atto di volontà” di escludere un elemento o l’intero modello del matrimonio. La simulazione
unilaterale deve concretizzarsi nel mondo esterno, mediante dichiarazioni, comunicazioni ad o
da altri soggetti, etc..
i. contra bonum prolis -> esclusione del diritto ad esigere dalla controparte il
compimento dell’atto coniugale (in qualsiasi momento). Ciò accade
quando il coniuge intende concedere tale diritto per un periodo
determinato di tempo, con l’uso di contraccettivi o per mezzo di tecniche
“innaturali”, oppure se esclude del tutto il diritto (a compiere atti
coniugali) in perpetuo (in questo ultimo caso il matrimonio è NULLO).
“Rimandare” la procreazione della prole, invece, nonostante vi sia una
volontà di averla, NON rende il matrimonio nullo. Mentre “rifiutare” il
momento unitivo della coppia e generare solo attraverso la
procreazione artificiale, comporta la NULLITA’.
ii. contra bonum coniugum -> esclusione del diritto di ciascun coniuge
all’integrazione reciproca sul piano fisico, morale ed intellettuale. Ciò
avviene quando si rifiuta al proprio coniuge il rispetto per la sua dignità
umana e la comprensione di tutte le esigenze necessarie per la
realizzazione della sua personalità. I coniugi devono vivere con integrità ed
amore la comunione di vita.
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iii. contra bonum fidei -> quando il nubende rifiuta il vincolo di fedeltà
reciproca, in forza del quale non sono ammesse relazioni extraconiugali.
N.B: la nullità si ha solo con il RIFIUTO dell’OBBLIGO del “DIRITTO” di
fedeltà (in capo all’altro coniuge): es. avere due famiglie condividendo
la propria vita con una persona diversa dal nubende.
Mentre NON si ha nullità quando si esclude l’ESERCIZIO del diritto: non
è nullo chi si riserva rapporti e extraconiugali, di per sè illeciti,
indipendentemente da fatto che siano occasionali o frequenti.
iv. contra bonum sacramenti -> in questo caso si intende il “giuramento
solenne”, l’esclusione dell’indissolubilità del vincolo, quando il soggetto,
al momento delle nozze, si sposa con l’intenzione di far uso del divorzio
civile o di ottenere la dichiarazione di nullità (in sede canonica) con mezzi
precostituiti.
v. contro il valore sacramentale -> la volontà del nubende di escludere il
valore sacramentale del matrimonio fra battezzati (dato che fra i non
battezzati non vi è sacramento).
5. Iocus
Divergenza VOLUTA tra l’interna intenzione e la sua manifestazione all’esterno -> es. quello
che succede nella rappresentazione teatrale/cinematografica/didattica del matrimonio
(canonico) o di uno scherzo.
Lo iocus è DIVERSO dalla simulazione, poiché in essa vi è una dichiarazione seria di volontà.
Mentre il matrimonio concluso per iocus è sempre inesistente, non opera la presunzione che il
consenso manifestato sia reale.
I vizi del consenso sono individuati nell’errore semplice (detto anche “motivo”), nella violenza
morale e nel dolo.
Nel codice del 1917 si dava rilievo solo ad un vizio: la violenza morale. Si riteneva che sotto il
profilo volitivo il nubende VUOLE il matrimonio, sia in caso di violenza morale, si in caso di
errore o dolo. Ma la differenza è che nella violenza il soggetto è CONAPEVOLE di star
esprimendo un consenso viziato (perché obbligato a farlo); mentre nell’errore/dolo egli NON si
rende conto dell’anomala formazione della sua volontà, e ritiene di esprimere un consenso
integro, tanto sul piano intellettivo quanto su quello volitivo.
Il codice del 1983 ha voluto dare una maggiore tutela alla libertà di formazione del consenso
nell’animo del nubende, comprendendo anche l’errore spontaneo o doloso sulle qualità ->
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secondo il principio di effettività, il consenso deve maturare senza che sia influenzato da gravi
turbamenti indotti dall’esterno.
Errore
Si è già detto che l’errore (ostativo) è quello relativo all’identità della persona o del negozio e
determina la mancanza assoluta o il difetto di consenso.
In questo caso, invece, si parla errore-vizio su una qualità oggettivamente non identificante
che invalida il consenso solo se l’errore risulta, in maniera specifica, la qualità su cui si era
puntato il soggetto, determinandone la motivazione a contrarre.
Es. Il nubende vuole sposare una nobile e considera tale Tizia, che conosce appena -> si scopre
che Tizia non è nobile: l’errore rende invalido il matrimonio, poiché il consenso si era formato
proprio su tale qualità, non sulla persona di Tizia.
Es.2 Il nubende vuole sposare Tizia, come persona bene individuata, e ritiene che ella sia pure
nobile -> Tizia non è nobile: l’errore NON invalida il matrimonio, poiché il consenso si era
formato sulla persona di Tizia, non sulla sua presunta nobiltà.
Dolo
<< Contrae invalidamente chi celebra il matrimonio raggirato con dolo ordito per ottenere il
consenso, circa una qualità dell’altra parte, che per sua natura può perturbare gravemente la
comunità di vita coniugale >>.
La dottrina distingue tra dolo determinante e dolo incidente: il primo si ha nell’ipotesi in cui,
senza inganno, il soggetto NON compirebbe l’atto; il secondo si ha quando il soggetto
potrebbe compiere comunque l’atto, ma a condizioni diverse.
Si discute se il dolo debba essere considerato come norma di diritto divino naturale o come
diritto umano ecclesiastico. La conseguenza sarebbe importante poiché, nel primo caso, la
norma si potrebbe estendere anche a tutti i matrimoni celebrati prima del codice del 1983;
mentre, nel secondo caso, vigerebbe l’irretroattività delle norme di origine umana.
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a. esistenza di un inganno per ottenere il consenso;
b. errore del nubende ingannato (deceptus) che cada sopra una qualità dell’altra parte;
c. che la qualità possa, per sua natura, perturbare gravemente il consorzio di vita
coniugale -> tale idoneità dev’essere valutata con un metro oggettivo e con uno
soggettivo (va tenuto da conto il modo di pensare ed intendere del soggetto
ingannato).
La qualità dell’altra parte può essere la più svariata (fisica, morale, sociale, etc..) l’importante è
che sia presente/assente al momento della manifestazione del consenso, e non semplici
“speranze future”.
Violenza
La coazione estrinseca si verifica nel momento in cui, per mano dell’uomo, venga fatto nascere
dall’esterno un “timore” al nubende.
Non hanno rilevanza i rimorsi, le suggestioni o timori derivanti da eventi naturali, che si
formano spontaneamente nell’animo del nubende.
Il metum incutiens può essere uno dei due nubendi o un terzo (o quest’ultimi in accordo fra
loro). Il pericolo indotto non dev’essere necessariamente attuale al momento della
celebrazione delle nozze, ma è sufficiente il sospetto (fondato) che, pur non essendo stata
rivolta alcuna minaccia esplicita, l’eventuale rifiuto del nubende lo esporrebbe inevitabilmente
ad un male futuro.
Può accadere che la minaccia sia stata formata precedentemente le nozze, ma che le sue
conseguenze continuino a perdurare -> il nubende decide di contrarre matrimonio al solo fine
di rimuovere una situazione dannosa.
La gravità della violenza si ha quando il metum patiens sceglie il matrimonio come unica via
d’uscita per sfuggire al male minacciato. NON è necessario che il metum incutiens ESERCITI la
violenza, è sufficiente che il metum patiens si senta costretto a compiere l’azione.
-> Es. Tizio minaccia Caia di uccidere i parenti di lei se non lo sposa: non è necessario che li
uccida per davvero, esercitando la violenza minacciata!
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TIMORE REVERENZIALE: quando tra il metum incutiens e il metum patiens sussiste un vincolo
di dipendenza affettiva e psicologica (reverentia) -> solitamente si instaura tra genitore e
figlio, tutore- pupillo, fratello- sorella. L’azione violenta non si realizza sotto forma di minaccia
o violenza, quanto piuttosto attraverso un comportamento che riserverà la rottura del
rapporto, causando nel nubende un senso di colpa e di rimorso e provocando nell’altro una
sorta di “indignazione”.
CONSENSO CONDIZIONATO
Nel diritto civile ogni condizione al matrimonio si ha come non apposta, rendendola inefficace.
Il sorgere del matrimonio dipenderebbe dal verificarsi della condizione: finché la condizione
non si verifica si ha una situazione anomala, per cui, mentre il contratto-sacramento NON è
ancora sorto, i nubendi hanno già rapporti intimi tra loro (quando invece dovrebbero essere
considerati fratello e sorella).
In diritto canonico sono elaborati due criteri (sussidiari fra loro) per accertare la veridicità
dell’apposizione di una condizione:
b. criterium reactionis: la condotta tenuta dal nubende quando ha saputo che l’evento
dedotto non si è verificato, contrariamente alle sue speranze -> se rompe la
convivenza si ritiene che l’evento abbia assunto un’importanza tale da condizionare il
negozio.
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N.B. La condizione risolutiva (c.d. contra substantia matrimonii) e la simulazione parziale sono
formalmente molto simili, ma sostanzialmente diverse! In entrambi i casi il nubende VUOLE il
matrimonio ma ne rifiuta un suo elemento (nella condizione risolutiva è espresso come un “se
si verifica X, sciolgo il vincolo”) -> La differenza sta nel fatto che nella simulazione il soggetto
agente è CONSAPEVOLE del modello proposto dalla chiesa e lo rifiuta; nella condizione
risolutiva il consenso prestato non tiene conto di un elemento costitutivo del vincolo (e se si
verifica lo scioglie), rendendolo incosciente del carattere antigiuridico (ignoranza sul modello
proposto).
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4. FORMA DI CELEBRAZIONE DEL MATRIMONIO
LA FORMA CANONICA
Il contratto matrimoniale deve rivestire la forma richiesta affinché sia tenuto valido: è un
negozio FORMALE e solenne, la sua pubblicazione è necessaria per conferirgli valore giuridico
(attraverso testi, redazioni verbali, etc..)
N.B Con “forma giuridica” non si intende “celebrazione liturgica” -> il frasario utilizzato per
esprimere il consenso (liturgia nuziale) può realizzarsi per mezzo dei più svariati riti o
formulari, ma ciò non influisce sulla formazione del negozio in senso giuridico.
Con il decreto Tametsi si introdusse la forma tridentina: essa prevedeva che il matrimonio
venisse celebrato dal parroco o dall’Ordinario del luogo di uno dei nubendi, con competenza di
carattere PERSONALE (e non territoriale).
Ma il decreto non entrò subito in vigore in ogni luogo e, per ragioni politiche dei singoli stati, la
sua pubblicazione non fu possibile in diverse zone -> si formarono due aree a diversa
normativa: la forma tridentina e la vecchia tradizione.
Con Papa Pio X, delegata la Sacra Congregazione del Concilio del 1907, si emanò il decreto “Ne
Temere”, contenente innovazioni da applicare a tutta la Chiesa latina:
3. Il ministro di culto poteva assistere validamente solo entro i suoi confini, legittimato
dal suo ufficio e con volontà libera.
5. Il matrimonio celebrato fuori dalla parrocchia del parroco di uno dei nubendi, senza
licenza di quest’ultimo, è da considerarsi valido ma illecito.
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LA FORMA ORDINARIA
a. Presenza dei contraenti nello stesso luogo, di persona o per mezzo di procuratore che
abbia ricevuto uno speciale mandato -> i nubendi devono esprime il loro consenso
nella forma più adatta a renderlo manifesto all’esterno (parole se possono parlare,
altrimenti segni, gesti, etc..).
b. Può essere delegato qualsiasi sacerdote o diacono che non sia impedito nell’esercizio
del suo ufficio.
c. La delega può essere speciale o generale -> la prima riguarda ad un solo matrimonio
particolare; la seconda a tutti i matrimoni che rientrano nella giurisdizione del
delegante (in questo caso dev’essere data per iscritto e contenere i limiti di tale
concessione).
Ci può essere l’eventualità in cui possono mancare sacerdoti o diaconi: in questo caso
l’Ordinario diocesano può, previa licenza della Santa Sede, delegare tale potestà anche a laici,
purché siano idonei e capaci di istruire i nubendi e a celebrare la liturgia nuziale.
Essi non esercitano un vero e proprio atto di giurisdizione, ma si limitano ad essere “testimoni
pubblici” nel nome della Chiesa.
Nel caso in cui CHI assista al matrimonio sia erroneamente convinto, in buona fede, di avere
tale facoltà, il matrimonio dovrebbe ritenersi NULLO per vizio di forma. Ma se si verificasse per
errore “comune” (=della comunità) di fatto o di diritto, alla mancanza del ministro celebrante
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legittimato, supplisce la Chiesa -> l’atto nasce valido fin dal principio, al fine di assicurare il
bene spirituale dei fedeli.
a. Colui che assiste al matrimonio deve constatare lo stato libero dei nubendi ->
verificare che l’esame prematrimoniale sia avvenuto, che siano eseguite le
pubblicazioni ed effettuate le necessarie investigazioni.
L’Ordinario può inoltre concedere DISPENSA dall’osservanza delle forma canonica (se ne
ricorrano gravi difficoltà per avvalersene) nel caso di matrimonio fra un battezzato e un non
battezzato -> le nozze devono essere in ogni caso celebrate secondo una qualche forma
pubblica.
1. Matrimonio segreto o di coscienza: per decisione dell’Ordinario del luogo, può essere
omessa la pubblicità ESTERNA (tenendo conto solo di quella essenziale, depositata in
appositi registri segreti) se ne ricorre una causa grave ed urgente. La celebrazione
avviene davanti al solo ministro di culto, l’assistente e i testimoni. Sempre in segreto
devono essere eseguite le indagini prematrimoniali e il tutto segreto può essere reso
pubblico dall’Ordinario, se dal segreto ne potrebbe derivare scandalo o ingiuria alla
santità del matrimonio.
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5. LO STATO CONIUGALE E LE SUE VICENDE
IL VINCOLO MATRIMONIALE
Dalla celebrazione delle nozze derivano effetti in capo sia ai coniugi, sia alla prole:
Coniugi – Sotto il profilo SACRAMENTALE nasce uno specifico impegno morale a vivere
quotidianamente in uno spirito di reciproca e totale autodonazione, dando vita ad una
“comunione coniugale” e familiare, che favorisca la crescita umana e cristiana dei
membri del nucleo.
Sotto il profilo CONTRATTUALE, tra i coniugi sorge un vincolo per tutta la vita, ed
entrambi acquisiscono gli stessi diritti e doveri, perpetui ed esclusivi.
Sono LEGITTIMI i figli nati e concepiti nel matrimonio valido o putativo; sono ILLEGITTIMI tutti
gli altri.
Quanto alla paternità e alla data di concepimento, si fa fede a due presunzioni: il padre è colui
che le nozze indicano come “marito”; il concepimento (in costanza di matrimonio) si presume
per i figli nati almeno 180 giorni dopo le nozze ed entro 300 da quello dello scioglimento del
vincolo.
Se il concepimento NON è avvenuto in matrimonio, i figli sono considerati illegittimi -> tale
status può essere eliminato da “l’istituto di legittimazione per susseguente matrimonio” o per
rescritto della Santa Sede. I figli “legittimati” sono equiparati a quelli legittimi.
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SCIOGLIMENTO DEL VINCOLO
Il matrimonio canonico è caratterizzato per la sua indissolubilità, norma di diritto divino: << ciò
che Dio ha unito, l’uomo non separi >>. Questa regola è assoluta solo per il matrimonio rato e
consumato, in forza di un consenso liberamente espresso e contratto dinanzi alla Chiesa.
1. Dispensa per inconsumazione: il vincolo può essere sciolto su richiesta e per mano del
romano Pontefice quando ne ricorra inconsumazione o una giusta causa -> senza la
copula coniugale il matrimonio non ha ancora realizzato i suoi fini, il bunum prolis e il
bonum coniugum (teoricamente).
Il diritto di domandare la dispensa è proprio dei soli coniugi: possono procedere di
comune accordo o solo uno di loro, l’importante è che non avvenga “all’insaputa”
dell’altro -> N.B. Si parla di “provvedimento di grazia”, poiché è a discrezione del
Pontefice, non è dovuto.
Consumazione: l’atto dev’essere per sé idoneo alla procreazione, i coniugi devono
diventare una sola carne e dev’essere compiuto con modalità “umane” e sessualmente
idonee, frutto di libera decisione.
La giusta causa è solitamente individuata nell’esigenza di estinguere un dissidio tra
coniugi già separati (senza alcuna speranza di riconciliazione), o per rimuovere il
pericolo di un grave scandalo.
Esigenza di favorire la fede cristiana pur essendo valido il vincolo coniugale, quando
esso NON ha valore sacramentale.
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invalido. A meno che la parte battezzata fornisca una giusta causa per
separarsi da quella non battezzata (es. adulterio).
Nel dubbio il privilegio della fede gode del favore del diritto -> unica limitazione al favor
matrimoni.
Per cause legittime la comunione di vita coniugale può essere sciolta, pur rimanendo
fermo il vincolo matrimoniale, per un periodo di tempo più o meno lungo -> Esso può
avvenire per mutuo consenso dei coniugi o su iniziativa di uno dei due.
Tra le cause legittime vi sono: l’adulterio e il pericolo fisico/morale di uno dei coniugi o
della prole. In ogni caso si tratta di separazione temporanea o perpetua a seconda di
quello che i coniugi decidono di fare.
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Entrambi i coniugi devono occuparsi del sostentamento e dell’educazione dei figli,
solitamente affidati alla parte in grado di meglio curare la loro educazione cattolica,
anche se quella colpevole della separazione.
Se il matrimonio celebrato risulti invalido (per qualsiasi motivo), i coniugi hanno tre
possibilità:
Gli effetti del matrimonio decorrono ex nunc (dalla convalida) -> i figli
nati/concepiti durante il matrimonio invalido saranno ritenuti
legittimati per susseguente matrimonio, a meno che il matrimonio
fosse putativo (in quel caso sono legittimi dalla nascita).
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Parte seconda
Con il codice del 1983 si è snellito tutto il procedimento processuale e se ne è esteso l’ambito
di operatività -> i canoni che disciplinano il processo contenzioso ORDINARIO del matrimonio
sono 155 (dal can 1501 al can 1655). Ad essi si aggiungono i 308 articoli dell’Istruzione Dignitas
Connubii del 2005.
E’ bene sottolineare che l’intero “diritto processuale canonico” (sul matrimonio) ricomprende
un insieme di procedure di carattere inquisitorio, accusatorio ed amministrativo, tanto da
definirlo un “processo MISTO”.
Cause di nullità
Cause di separazione
Cause di scioglimento
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2. CAUSE DI NULLITA’
ORGANI GIUDICANTI
Questa concentrazione di potere nei livelli più alti crea la più insidiosa difficoltà nel distinguere
la funzione giudiziaria dalle altre due.
Il Romano Pontefice: è l’autorità giudicante di ultima istanza, oltre che un supremo legislatore
ed amministratore. Ha il potere di avocare e definire qualsiasi tipo di causa, ed ogni fedele ha
la possibilità di ottenere, su propria iniziativa, che la causa matrimoniale sia giudicata dalla
Santa Sede. Viceversa la Sede Apostolica può, a sua volta, avocare a sé il giudizio in qualsiasi
momento (su propria iniziativa) -> Il Pontefice stesso può impiegare un’organizzazione
giudiziaria per lo svolgimento di una vera e propria attività processuale.
La Curia: organismo composto (all’origine) da membri qualificati del clero romano, ad alcuni
dei quali veniva affidato il compito di esercitare la funzione giudiziaria in nome e per conto del
Pontefice, costituendo i Tribunali apostolici -> Il potere giudiziario, concentrato nella persona
del Vescovo, si è andato via via articolando in capo ai giudici ed ai Tribunali diocesani.
Tribunali apostolici
Il Pontefice regola la Chiesa universale per mezzo della Curia Romana, di cui lui è il giudice
Supremo mediante i Tribunali apostolici, costituiti stabilmente (presso la Curia).
Gli atti del Pontefice NON possono essere giudicati da nessuno. Fanno eccezione quegli atti
approvati in forma SPECIFICA, che possono costituire oggetto d’esame da parte di un giudice,
solo quando quest’ultimo abbia ricevuto un mandato dalla stessa suprema autorità della
Chiesa.
Nelle Chiese particolari (o Diocesi,) in tema di potere giudiziario, è il Vescovo diocesano che
può esercitare tale funzione: o PERSONALMENTE, oppure tramite il Vicario giudiziale (giudici
STABILMENTE costituiti nella Diocesi).
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* per ragioni di “organizzazione” spesso possono esserci due figure di “Vicario”:
a. Vicario giudiziale (o Officiale): a cui è affidato l’ordinario esercizio della funzione giudicante;
b. Vicario generale: preposto all’attività esecutiva.
Il Vescovo e il Vicario giudiziale formano un unico tribunale diocesano (= hanno gli stessi
poteri), eccetto per quelle cause che il Vescovo si riserva a sé stesso.
Al Vicario giudiziale possono essere assegnati fino a due aiutanti, denominati “Vice-Officiali” (=
due Vicari giudiziali aggiuntivi) -> La cognizione delle singole cause dev’essere distribuita dal
Vicario secondo un ordine ben preciso: una volta designato il giudice, quest’ultimo non può
rifiutare se non con provvedimento MOTIVATO.
Al posto dei rispettivi Tribunali diocesani, per cause particolarmente complesse o per la
trattazione di tutte le cause, si possono “riunire” tutti i Vescovi diocesani costituendo un unico
Tribunale inter-diocesano (o regionale), solo PREVIA APPROVAZIONE della Sede Apostolica.
Tribunali d’appello
Con approvazione della Sede Apostolica, le conferenze episcopali possono costituire uno o più
Tribunali di seconda istanza -> Gli stessi sono d’obbligo, quando si creano Tribunali inter-
diocesani al servizio di Diocesi che non siano suffraganee della stessa Metropolita (provincia).
I Tribunali di seconda istanza, inoltre, servono per quelle controversie che ad oggetto diritti o
beni propri di persone giuridiche rappresentate dal Vescovo diocesano (-> giudicano in prima
istanza!).
N.B. Il Tribunale del Metropolita è precostituito per legge. Il “diverso Tribunale d’appello” (o
“di seconda istanza”) è costituito per volontà del collegio episcopale -> entrambi svolgono il
secondo grado di giudizio).
La Rota Romana
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In Terzo grado di giudizio, per una “doppia pronunzia conforme”, si ha il Tribunale Apostolico
della Rota Romana.
I giudici della Rota sono di nomina pontificia, raggruppati in collegi di tre giudici, seguendo un
preciso ordine di successione rotatoria, secondo l’anzianità di nomina.
La Rota è presieduta dal Decano, nominato tra gli stessi giudici rotali dal Pontefice, per un
periodo determinato.
Fanno eccezione a questa ordinaria successione di istanze (nelle cause di nullità matrimoniali):
a. Le cause in cui le parti sono dei capi di Stato: esse sono riservate al Sommo Pontefice
sin dalla prima istanza (la trattazione è affidata alla Rota).
b. L’appello c.d. “per saltum”: quando da una, o entrambe le parti, vi è interesse che la
causa sia sottoposta direttamente al giudizio della Santa Sede (trattazione sempre
affidata alla Rota). Nel caso in cui una parte si sia rivolta al Tribunale di appello e l’altra
al Tribunale Apostolico, quest’ultimo prevale (poiché di grado superiore).
c. Le cause fra nazioni (tra cui l’Italia) per le quali sono stati costituiti Tribunali di prima
istanza, appositamente destinati alle cause di nullità matrimoniali (previa
approvazione della Santa Sede): esse vengono portate dinanzi ad un Tribunale
regionale ed, eventualmente, Tribunali regionali d’appello (per la seconda istanza).
Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica: è un Tribunale della Curia romana che assume
il ruolo di organismo di vertice delle strutture giudiziarie della Chiesa. Tutti i giudici sono di
nomina pontificia e hanno dignità cardinalizia.
La Segnatura Apostolica non svolge solo funzioni simili alla nostra Corte di Cassazione, ma , con
la “Sezione seconda”, assume competenze contenzioso-amministrative (una sorta di Pubblica
Amministrazione), svolgendo attività di vigilanza e potestà amministrativa dell’organizzazione
giudiziaria di tutta la Chiesa.
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Più in particolare:
Tutti e 4 i titoli di competenza sono concorrenti fra loro, offrendosi come “scelta facoltativa”
delle parti. Quando le parti scelgono due distinti Tribunali, prevale quella che per prima
provvede alla notifica del decreto di citazione.
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3. GLI OPERATORI PROCESSUALI
I GIUDICI
Pontefice e Vescovi diocesani: giudici NATI nella chiesa -> non sono stati nominati da
nessuno.
Vicario giudiziale: nominato dal Vescovo diocesano -> devono godere di buona fama,
possedere il titolo di dottore (o di licenziato in diritto canonico), devono avere almeno
30 anni e rivestire il carattere sacerdotale.
Tutti gli altri sono di nomina Pontifica -> N.B. Il Pontefice ricopre anche il ruolo
vescovile nella Diocesi di Roma.
Di norma i giudici devono essere CHIERICI, ma grazie al nuovo codice è stata data la possibilità
ad ogni conferenza episcopale( nazionale) di consentire la costituzione di giudici “laici” (anche
donne), poiché siano chiamati, quando vi sia la necessità, a far parte di collegi giudicanti.
Il Vicario giudiziale riveste il ruolo di PRESIDENTE del collegio ed assume egli stesso (o affida)
l’incarico di PONENTE (o Relatore), con il compito di riferire la causa al Collegio e di redigere
per iscritto la sentenza.
UDITORI E ASSESSORI
Uditori: svolgono attività di raccolta prove -> ergo: l’attività di istruttoria non è
necessariamente svolta da un giudice;
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Assessori: emergono nell’eventualità in cui ci sia un giudice unico, che può aggregarli a
sé con il compito di consulenti.
Interprete: in caso di sordomuti o di parti che non parlano la stessa lingua del
giudice, è necessaria la collaborazione di un interprete, il quale deve prestare
servizio sempre sotto giuramento.
La traduzione non può comunque sostituire le dichiarazioni originali, ma sarà
semplicemente allegata ad esse.
IL PROMOTORE DI GIUSTIZIA
Viene nominato dal Vescovo in ogni Diocesi allo scopo di provvedere alla tutela dell’interesse
pubblico, nelle cause che ne coinvolgano un bene un pubblico o per le cause penali -> una
sorta di Pubblico Ministero.
Può essere scelto fra chierici o laici, l’importante è che abbia una laurea/licenza in diritto
canonico e che sia una persona di forte senso di giustizia.
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IL DIFENSORE DEL VINCOLO E LE PARTI PRIVATE
In tutte le cause di nullità matrimoniale deve SEMPRE intervenire il difensore del vincolo,
nominato dal Vescovo, in presenza degli stessi requisiti soggettivi previsti per il Promotore di
giustizia -> Il difensore non può MAI agire in favore della nullità e ha la facoltà di proporre
appello avverso ad ogni sentenza dichiarativa della nullità.
Nelle cause di nullità matrimoniale è da ritenersi inappropriato l’uso della locuzione “parti
private”, dato che la causa è di interesse pubblico (per via del possibile scandalo e del
carattere sacramentale del vincolo), di cui l’oggetto è da considerare un bene PUBBLICO.
L’unico potere in capo alle parti è l’iniziativa del processo, unico limite al potere del giudice, il
quale “nulla può nulla” senza che chi ne abbia interesse lo interpelli (coniugi o Promotore di
giustizia).
PROCURATORI E AVVOCATI
Le figure ausiliari delle parti devono avere maggiore età e godere di buona reputazione.
Avvocato: dev’essere di religione cattolica, con una laurea in diritto canonico (o esserne un
esperto) ed è l’unico abilitato a DIFENDERE la parte per PROPRIO conto (sul piano tecnico).
Procuratore: non è di per sé abilitato alla difesa, ma agisce PER e in NOME della parte.
Il codice del 1983 ha inoltre introdotto il patrocinio gratuito, con la figura dell’avocato
pubblico presente presso tutti i Tribunali, stipendiato dallo stato, affinché tutti abbiano la
possibilità di dotarsi di una difesa tecnica.
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La legittimazione processuale, intesa come la capacità di instaurare legittimamente l’azione o
di impugnare il matrimonio non è una facoltà data a tutti: il difensore del vincolo non può mai
giocare contro il matrimonio (impugnazione), mentre il Promotore di giustizia sì. Tra i PRIVATI,
gli unici legittimati a dare avvio all’azione di nullità sono i coniugi.
Ovviamente l’incapace e il minore di età devono far ricorso ad un curatore o tutore, designati
dal giudice ove non sia già costituito civilmente.
Il matrimonio non può più essere impugnato dopo la morte di entrambi i coniugi o uno solo di
essi, a meno che la “questione di validità” del vincolo risulta pregiudizievole per risolvere
un’altra controversia (sia in foro canonico, che in quello civile). In questo caso sono legittimati
ad agire chiunque ne abbia interesse.
se la causa NON è conclusa: essa viene sospesa finché non sia riassunta dall’erede, dal
successore o da chi ne abbia interesse (senza dover dimostrare il pregiudizio rispetto
ad un'altra controversia);
se la causa è conclusa: il giudice procede re-integrando il contradditorio citando
l’erede/successore del defunto.
Se è già stata pronunciata una prima sentenza dichiarativa* della nullità (dopo la morte di uno
o entrambi i coniugi), essa si ritiene definitiva ed eseguibile.
*Le cause di nullità matrimoniale, in diritto canonico, hanno bisogna sempre della doppia
conferma in appello (vedi seguenti).
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4. L’ISTANZA
IL LIBELLO
L’atto con cui viene chiesto l’intervento del giudice (atto introduttivo), il c.d. “petitum” è
contenuto in forma scritta nel libello:
Passato un mese, il Presidente del Tribunale, deve emanare un decreto con cui intende
accogliere o rigettare la petizione, sulla base di un previo esame.
Il libello può essere rigettato:
DECRETO DI CITAZIONE
Contrariamente a quello che avviene in diritto civile (la citazione è l’ATTO con cui la parte
attrice convoca il convenuto), in diritto canonico la citazione è oggetto di un DECRETO del
giudice, che dev’essere notificato ad entrambe le parti a cura del Tribunale (attore, convenuto
e difensore del vincolo), allegando anche il libello introduttivo del giudizio (accettato in
precedenza).
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Il libello può NON essere allegato al convenuto per gravi ragioni, con decreto motivato dal
Presidente (o Ponente), quando ritenga di farne conoscere il contenuto dopo aver interrogato
la parte convenuta e previa comunicazione dell’oggetto della causa.
Dal momento della notifica del decreto di citazione, inizia la pendenza della causa.
QUESTIONI PRELIMINARI
Prima ancora che siano definiti i termini della controversia, possono nascere questioni senza la
cui soluzione NON si può procedere col processo:
LA CONTUMACIA
Quantunque dichiarata l’assenza, la parte convenuta potrà SEMPRE far valere le sue ragioni
costituendosi in giudizio prima della definizione della causa o con gli ordinari mezzi di
impugnazione; ivi compresa la “querela di nullità per difetto di contradditorio” se riesce a
dimostrare che l’assenza è dipesa da forze di causa maggiore non imputabili a lui.
Alla parte dichiarata assente possono essere notificate solo la sentenza definitiva o la
“formula del dubbio” (= quando è il giudice a procedere d’ufficio, in caso di dubbia validità del
vincolo matrimoniale -> credo di aver capito così: pag 185).
a. La morte della parte, finché la causa non viene riassunta da un suo erede/successore o
chi ne abbia interesse;
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Se entro sei mesi non viene più posto in essere alcun atto processuale, l’istanza si estingue. Al
fine di un più celere svolgimento della funzione giudiziaria, si raccomanda ai giudici ed ai
tribunali di contenere la durata del processo entro l’ANNO in primo grado, e sei mesi in
seconda istanza (termini non perentori).
Oltre ai termini di prescrizione, l’istanza si può estinguere anche per RINUNCIA da parte
dell’ATTORE, SE ammessa dal giudice. In questo caso, però, si estinguono solo i fattori
“formali” processuali, non quelli riguardanti il MERITO della causa -> essi potranno essere
riutilizzati anche in un’altra istanza che concerne la MEDESIMA controversia.
CAUSE INCIDENTALI
La questione incidentale è una vera e propria causa, che si propone dinanzi al giudice, scritta
nel libello o con una “petito” orale -> dev’essere tenuta distinta dalle questioni preliminare e
da quelle che possono sorgere in relazione all’adozione dei mezzi di prova (e della loro
ammissione).
viene delibato dal giudice il fondamento stesso della petizione e il suo nesso con la
causa principale;
la decisione di merito della questione incidentale: assunta con una sentenza
interlocutoria o con un decreto decisorio (che RISOLVE la questione, non si limita a
delineare il comportamento delle parti).
Tali pronunce sono formalmente inappellabili e, nelle cause matrimoniali, possono essere
soggette solamente al “rimedio della querela di nullità”, NON a quello della restituitio in
integrum (che presuppone il passaggio in giudicato).
ISTRUTTORIA
Salva sempre la possibilità per le parti di far valere le eccezioni, le istanze incidentali e di
addurre prove di qualsiasi genere, purché lecite ed utili all’accertamento giudiziale, una volta
conclusa la fase del “dubbio”, con un nuovo decreto si arriva alla fase istruttoria, caratterizzata
dall’iniziativa officiosa del giudice.
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L’istruttoria è la fase PRINCIPALE dell’istanza, destinata all’acquisizione di prove necessarie al
giudice. Nelle cause matrimoniale il procedimento è identico a quello del processo contenzioso
ordinario, escludendone la trattazione secondo il rito del contenzioso orale (ammesso invece
per la questioni incidentali).
2. Predominanza del principio della scrittura su quella dell’oralità: gli atti del giudizio
devono essere redatti per iscritto, SEMPRE.
3. Principio di una limitata pubblicità: per quanto riguarda la raccolta dei mezzi di prova
e per le risultanze istruttorie, all’interrogatorio delle parti, all’esame dei testi e dei
periti sono AMMESSI il difensore del vincolo, i patroni delle parti e, se interviene in
giudizio, il Promotore di giustizia. NON SONO AMMESSE LE PARTI -> Esse hanno il solo
diritto di prendere visione e di conoscere gli atti giudiziali prima che venga disposta la
loro pubblicazione (a fine istruttoria), a pena di NULLITA’.
Tuttavia il giudice può limitare questi diritti (delle parti e dei loro patroni), stabilendo
che, in vista di particolari circostanze o ragioni personali, si debba procedere all’esame
delle parti, dei testi e dei periti senza l’assistenza degli avvocati e dei procuratori, allo
scopo di evitare inconvenienti gravissimi quando qualche atto non si debba far
conoscere a nessuno, senza ostacolare, però, il diritto di difesa.
4. Rispetto dei criteri tradizionali: es. la regola in cui spetta all’attore l’onere di portare la
prova.
Non esistono limiti all’ammissibilità delle prove: la prove sono LIBERE, esse possono essere:
a. DIRETTE: prova voluta appositamente dalle parti al fine di dimostrare la verità (es.
testimonianze, perizia, etc..);
b. INDIRETTE: prova dedotta dal giudice durante il processo;
c. GIUDIZIALE: costituite nel corso dell’istanza;
d. EXTRAGIUDIZIALE: quelle predisposte in anticipo, come le prove documentali.
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1. Dichiarazione di parte, confessione, giuramento
Il mezzo di prova più comune e ricorrente è la dichiarazione delle parti (o confessione se essa
va contro l’interesse della parte che la porta).
Nelle cause matrimoniali non sono costituiscono una prova piena, poiché spetterà al giudice
valutarla attraverso il confronto con tutte le altre circostanze.
Il giudice deve inoltre deferire alle parti interrogate il giuramento promissorio (de veritate
dicenda) o assertorio (de veritate dictorum).
2. Prove documentali
Il documento può essere pubblico o privato: quello PUBBLICO può essere ecclesiastico o civile,
offrendo prova PIENA per tutto ciò che ne è contenuto; mentre il documento PRIVATO ha la
stessa forza probatoria di una confessione extragiudiziale.
Il documento può essere presentato come prova esibendolo in originale o in copia autenticata
-> la sua veridicità o autenticità è una tipica questione incidentale.
3. Testimonianza
Deposizioni dinanzi al giudice dei soggetti che NON sono parti in causa -> Tutti possono essere
chiamate a testimoniare.
Sono da considerare:
sono SEMPRE INCAPACI: le parti, i loro patroni, i procuratori, il giudice e i suoi ausiliari,
i sacerdoti per tutto ciò che è stato oggetto di confessione sacramentale;
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a rendere testimonianza nel caso in cui vengano liberati, degli interessati, dal vincolo
del segreto.
Alla parte è data la possibilità di chiedere l’esclusione di un teste, con un giustificato motivo,
prima della sua testimonianza.
L’accesso e la ricognizione sono disposti da parte del giudice con DECRETO, sentite le parti,
quando egli ritenga opportuno accedere ad un luogo o ispezionare qualcosa.
Le presunzioni, invece, sono prove indirette consistenti nella PROBABILE congettura di una
cosa incerta. Se essa è operata dal giudice, sulla base di “massime d’esperienza”, viene definita
“hominis”; viceversa, se stabilita dalla legge, si definisce “iuris”.
Le presunzioni iuris possono essere “iuris tantum”, ossia liberano la parte dall’onere della
prova se le risulta favorevole la presunzione (senza impedire che l’altra dia prova del
contrario).
Tutti i protagonisti del processo hanno il diritto di prendere visione complessiva delle prove
raccolte fino al momento del “decreto di pubblicazione degli atti” (che NON sancisce la
definitiva conclusione della fase istruttoria).
E’ possibile che le parti, presa visione del primo sommario di risultanze probatorie,
propongano al giudice un “supplemento di istruttoria”.
Anche dopo l’emanazione del “decreto di conclusione della causa” (atto formale con cui si
conclude ogni attività istruttoria) è possibile ammettere ALTRE PROVE, se:
a. vengono sentite le parti, ci sia un grave motivo e non sussista pericolo di frode
processuale o subordinazione;
b. ci sia il rischio che, non ammettendo la nuova prova, la sentenza possa risultare
manifestamente ingiusta;
c. trattandosi di documenti, la parte interessata che non abbia potuto esibirli in
precedenza, sia esente da colpa.
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5. LA SENTENZA E I MEZZI DI IMPUGNAZIONE
SENTENZA
La dichiarazione della sentenza pone fine all’istanza, con risposta affermativa o negativa al
quesito posto dalla concordanza del dubbio.
Nelle cause di nullità matrimoniale, però, ove la sentenza si affermativa per la nullità, da sola
NON è sufficiente per essere ESECUTIVA -> la sentenza dev’essere SEMPRE essere confermata
da una pronuncia conforme in un ulteriore grado di giudizio.
Sono FORMALMENTE conformi: le pronunce tra le medesimi parti, sulla nullità del
medesimo matrimonio e per il medesimo capo di nullità, nonché in virtù delle
medesime motivazioni in diritto e in fatto.
A. NEGATIVA della nullità matrimoniale: si può ricorrere agli ordinari mezzi di impugnazione
de “la querela di nullità” e l’appello, entro 15 giorni dalla notifica della sentenza.
Il tribunale di prima istanza ha il compito, entro venti giorni dalla pubblicazione della prima
sentenza, di trasmettere d’ufficio al Tribunale d’Appello la sentenza medesima, le
eventuali comunicazioni d’appello delle parti e tutti gli altri atti del giudizio di primo grado.
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Il Tribunale d’Appello, valutate le osservazioni del proprio difensore del vincolo (e quelle
delle parti), emana un decreto motivato con cui RATIFICA (conferma) la sentenza di PRIMO
GRADO, o ammette la causa all’ordinaria trattazione dell’appello (procedendo con ancora
maggiore ponderazione).
Sia che la prima sentenza venga confermata con decreto, sia con una seconda sentenza,
se ne determineranno gli effetti, divenendo ESECUTIVA (la nullità)dal momento stesso
della notifica del decreto/seconda sentenza -> Essa verrà notificata all’Ordinario del luogo
dove è stato celebrato il matrimonio, perché se ne proceda con le dovute annotazione nei
registri di battesimo.
Nella tradizione canonistica, le sentenze in materia di stato personale, NON passano MAI in
“cosa giudicata” -> ciò comporta che è SEMPRE concessa la possibilità di ottenere la
REVISIONE DELLA CAUSA (mentre non è ammesso giovarsi della “restitutio in integrum”). La
richiesta deve fondarsi su nuovi e gravi argomenti, non essendo ammessi gli stessi motivi.
L’altro rimedio utilizzabile è la “querela di nullità”, avverso alla sentenza. Occorre distinguere
fra nullità:
INSANABILI:
o se la sentenza è emanata da un giudice assolutamente incompetente;
o se è emanata da chi manchi di giurisdizione;
o il giudice ha emanato la sentenza sotto l’influsso di gravi minacce;
o è mancato il presupposto dell’istanza di parte o manchi il convenuto;
o è mancata, in una o entrambe le parti, la capacità o la legittimazione
processuale;
o vi è stato difetto di legittimo mandato di chi ha agito in nome altrui;
o è stato negato il diritto di difendersi ad una delle parti;
o la controversia non è stata definita neppure in parte.
SANABILI:
o la sentenza non è stata emanata dal numero prescritto di giudici;
o difetta di motivazione;
o difetta delle prescritte sottoscrizioni;
o non reca l’indicazione dell’anno, mese, giorno luogo in cui fu emanata;
o si fonda su un atto giudiziale nullo e la cui nullità non sia stata sanata;
o è stata pronunciata contro una parte dichiarata assente, qualora questa provi
di essere stata impedita da un motivo legittimo che non poteva dimostrare
prima, senza sua colpa.
La querela per vizio insanabile può essere proposta dinanzi al medesimo giudice entro 10 anni
dal giorno della sua pubblicazione; quella per vizio sanabile, entro 3 mesi.
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PROCEDURE D’APPELLO EVENTUALI E SENTENZE INAPELLABILI
Nel caso in cui la dichiarazione di nullità è pronunciata sulla base di un vero e proprio
procedimento amministrativo, svolto dinanzi al Congresso del Supremo Tribunale della
Segnatura Apostolica, che decide con DECRETO (di per sé) ESECUTIVO.
Questa procedura viene adottata quando la morale certezza della nullità matrimoniale risulta
all’evidenza, senza la necessità di una più profonda discussione o indagine.
Il decreto emanato (definitivo) può, in ogni caso, ammettere la “revisione della causa”.
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6. LE CAUSE DI SEPARAZIOE E DI SCIOGLIMENTO
SEPARAZIONE
Le cause di separazione possono essere trattate in forma giudiziaria anche dinanzi ai tribunali
della Chiesa, seguendo gli stessi canoni della nullità matrimoniale per quanto riguarda la
competenza.
La forma comune di trattazione è quella del processo orale, a meno che le parti, o il promotore
di giustizia, non chiedano il processo contenzioso ordinario.
SCIOGLIMENTO
c. E’ necessario l’intervento del Difensore del vincolo: NON sono ammessi avvocati o
procuratori, ma le parti private possono, con il permesso del Vescovo, usufruire
dell’opera di un esperto in diritto.
d. La pubblicità è molto limitata, a causa della riservatezza della questione -> le parti
possono essere solo informate dal giudice sulle difficoltà che incontra l’istruttoria,
prendere visione, di volta in volta, di un documento o del verbale di una deposizione
per presentare le loro deduzioni.
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L’inconsumazione può essere provata con la confessione giurata e concorde delle parti, con
deposizioni testimoniali, con presunzioni FONDATE (es. lontananza dei coniugi) o con l’esame
dell’integrità fisica della donna (o dell’impotenza effettiva maschile).
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