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La famiglia è un fenomeno sociale, è un’entità sociale ed in quanto tale, nasce dalla società. Essendo un fenomeno
sociale, la famiglia deve comunque essere al passo con la società, tanto che col passare del tempo, si è evoluto il concetto
di famiglia, tanto da non parlare più di famiglia bensì di famiglie e ne è un esempio l’introduzione delle unioni civili nel
2016.
Il problema che è sempre sussistito è: quanto il diritto deve essere ingerente nella famiglia? Quanto deve regolarla?
Possiamo dire che non c’è una definizione esatta di famiglia, al contrario del contratto ossia del matrimonio che è
regolato dall’articolo 1321 del codice civile e ci dice che “è un rapporto patrimoniale tra due o più soggetti”.
Possiamo comunque provare a dare una definizione di famiglia.
L’articolo uno del codice civile ci parla di quali sono le fonti del diritto: esse sono la costituzione, i trattati europei, le
leggi, i regolamenti e gli usi.
In costituzione, gli articoli che parlano di famiglia sono gli articoli 29, 30 e 31; questi articoli, inoltre, aprono il titolo II
che è una sezione dedicata ai rapporti etico sociali.
ART. 29: proclama l’esistenza e il riconoscimento normativo della famiglia e il suo ruolo fondamentale. L’articolo 29
ci dice come la famiglia sia una società naturale fondata sul matrimonio, alla quale la repubblica riconosce i diritti. Ci
sono state molte difficoltà interpretative legate alla natura del testo: uno dei tanti è stato il fatto che si parla di famiglia
intesa come società naturale che deve essere sopposta al diritto quindi non è più naturale, e si inizierà a parlare di società
di diritto naturale, che si fonda su diritti preesistenti lo stato, come per esempio la eterosessualità. In più, la famiglia, è
concepita come un ordinamento originario e quindi, il suo funzionamento sarebbe dettato da leggi naturali e non
modificabili.
Se si parla di società naturale, però, allora sono presenti alcuni limiti nel normare. Un’altra corrente di pensiero, però,
ci dice che la società naturale non significa che l’ordinamento giuridico deve essere fuori, ma deve tenere conto che
risponde all’esigenza dell’essere umano.
Il concetto di famiglia, ci dà l’idea di un aggregato uniforme di persone, legate da un primo nucleo ossia il coniugio, dal
quale discende la prole. A tanti anni di distanza di emanazione della costituzione viene ritenuto che così come è stata
riconosciuta la famiglia, così tutti gli altri fenomeni che discendono da essa devono essere riconosciuti, ossia tutti gli
altri fenomeni che rispondono all’esigenza del vivere comune delle persone: come le unioni civili.
Legge 76 del 2016: riconoscimento della famiglia come non solo quella originariamente intesa, ma anche il
riconoscimento delle convivenze.
La legge sulle unioni civili, la cosiddetta legge Cirinnà, riconosce giuridicamente le unioni civili a partire dal 2016.
Abbiamo quindi visto, come l’evoluzione giuridica ha seguito l’evoluzione storica. I modelli di famiglia antichi avevano
leggi ormai superate, quindi i concetti di relatività e storicità possono far modificare la realtà normativa.
La costituzione presenta tre articoli a proposito della famiglia, artt. 29/30/31, e ciò significa che la famiglia è
giuridicamente riconosciuta, è un ente sociale riconosciuto dal diritto. Dopo la data di pubblicazione della costituzione
si sono verificate nuove istanze: unioni civili, riconoscimento della convivenza (la convivenza prolungata non poteva
più essere ignorata nel riconoscimento dello status e a volte la convivenza è anche generatrice di prole) etc.
LE TAPPE PIU’ SIGNIFICATIVE: la famiglia si è evoluta anche nel dibattito pubblico e privato, quindi nei rapporti
sociali e nei diritti individuali. La legge è dovuta necessariamente intervenire per far fronte a questa repentina
evoluzione.
I cambiamenti sono dovuti a molteplici fattori, possiamo citare l’industrializzazione, l’ingresso delle donne nel mondo
del lavoro, la rilevanza che assumono le nuove tecnologie (possiamo fare un esempio della procreazione medicalmente
assistita). Sicuramente c’è stata un’evoluzione anche sul concetto di famiglia: famiglia nell’era rurale (agglomerato di
persone che dovevano produrre economicamente, creando un proprio patrimonio economico. Ora invece, la famiglia è
diventata un’espressione della realizzazione della persona e non è più uno strumento del gruppo familiare. Grazie a
questa evoluzione, possiamo dire che esiste una famiglia nucleare con eventuale prole, ma anche una famiglia ricostituita
o allargata (questi legami sono considerati parafamiliari)
• Legge sul divorzio del 70: agli inizi deglianni 70 è entrata in vigore la legge sul divorzio. Prima, non era presente
perché si credeva nell’indissolubilità del matrimonio e se le cose non andavano bene all’interno di una coppia di coniugi
ci si separava personalmente, attendendosi a determinate condizioni. A partire dagli anni 70, si è arrivata alla tanto
criticata legge sul divorzio, criticata soprattutto dal partito della democrazia cristiana, tanto che hanno voluto sottoporre
questa legge ad iniziativa referendaria. Questa legge ha segnato un grande passo. Il legislatore non fa mai uso del termine
divorzio, ma parla di scioglimento del matrimonio
• Legge di riforma del diritto di famiglia del 75: un ulteriore grande passo. Il primo libro del codice civile
disciplina la famiglia, i membri della famiglia, la prole etc. il codice civile fu pubblicato nel 1942 ed ha portato nel
nostro ordinamento molti principi a proposito dell’eguaglianza; questi principi, purtroppo, non erano contemplati nella
famiglia del 42.
Nel 48, entrò in vigore la costituzione e nonostante l’articolo 29 parla di un’eguaglianza giuridica dei coniugi, questa
eguaglianza non aveva ritrovato un riconoscimento giuridico fino al 75: anno di riforma del diritto di famiglia.
Prima, si aveva la concezione di una famiglia disegualitaria al cui vertice c’era un pater familia che aveva podestà sia
sui figli che sulla moglie. La riforma del 75 ha cercato di riportare un ruolo egualitario all’interno della famiglia. Oggi,
erroneamente si fa ancora riferimento alla patria podestà.
La corte costituzionale si rese conto di quante norme si trovassero contro questa eguaglianza morale e giuridica dei
coniugi, ma si arrivò fino al 75 per cambiare le cose. La corte costituzionale, ha acconsentito a riconoscere pari dignità
tra moglie e marito; ciò ha fatto riscrivere moltissimi articoli del codice civile relativi al rapporto matrimoniale e a
proposito della filiazione. Un esempio ne è l’articolo 143 del codice civile che diceva “il padre è il capo della famiglia”,
ora invece si parla all’interno di quest’articolo, di genitori o di coniugi. Anche l’articolo 29 ha iniziato a trovare
attuazione a partire da 75. Il codice civile presentava alcune disparità che la costituzione aveva eliminato. Il nuovo
articolo 143 “con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri”. Viene
dato un maggior ruolo alla persona e non alla famiglia che diviene istituzione per la valorizzazione della persona.
• la riforma del 75 ha inoltre raggiunto la parità di trattamento tra figli legittimi e non accedendo anche alla
possibilità del riconoscimento giudiziale di maternità e paternità.
• Dal 2012/ 2013, ci furono un gruppo di norme che hanno riformato il concetto e i principi di filiazione, quindi
il rapporto con i figli. Questo gruppo di norme consente di dire che c’è un unico status di figlio e che i figli hanno un
rapporto giuridico e non solo sociale.
Ora i figli non sono più appartenenti ai genitori, ma hanno una loro dignità e bisogna tenere conto del loro parere. I figli
sono disegnati come persone in crescita che devono raggiungere la maturità.
A partire dal 2012, con la legge del diritto di famiglia, si è arrivati a superare la distinzione tra figli legittimi e illegittimi,
ossia quelli nati al di fuori del matrimonio; già prima del 2012, si era allentata la tensione verso i figli nati al di fuori del
matrimonio; la legge del 2012, ha riconosciuto nell’art.315 dicendo che tutti i figli hanno egual status e quindi di
conseguenza egual trattamento concludendo che tutti i figli sono figli e devono avere stessi rapporti di parentela,
patrimoniali e successori. Il legislatore è intervenuto per metterlo sul piano della pratica. Le discriminazioni vengono
tolte anche eliminando il termine e la distinzione tra legittimo e illegittimo, e introducendo il concetto di filiazione
biologica.
Ci sono molti tipi di filiazione: legittimo, illegittimo, adottivo. Prima di questa riforma, i figli venivano trattati
diversamente a seconda della provenienza. Anche il titolo della legge sull’adozione è stato cambiato con “diritto del
bambino ad avere una famiglia”: il bambino viene messo al centro e l’esigenza da soddisfare è quella del bambino ad
avere una famiglia e non la necessità di due adulti di divenire genitori.
Nel panorama internazionale?
• Convenzione di New York sui diritti del fanciullo; fu una convenzione del 20 novembre del 1989, promossa
dalle nazioni unite.
le convenzioni internazionali, al contrario della costituzione, non sono dedite a tessere un disegno di contorno, ma,
illuminano determinanti aspetti della realtà che vengono segnalati perché hanno la necessità di una più rilevante
attenzione.
•Convenzione di Strasburgo del 67 che guarda a settori come l’adozione.
•Convenzione dell’Aja che si sofferma sui diritti sugli alimenti.
•La carta europea sui diritti dell’uomo (CEDU). Va segnalato come l’unione europea tende sempre a mettere al centro
la persona e la famiglia.
•Carta di Nizza: ha un’ampia schiera di diritti dedicati alla famiglia. Fu una carta proposta il 7 dicembre del 2000.
Il capo II di questa carta, prevede articoli come l’articolo 7 che prevede il rispetto della vita privata e della vita familiare;
l’articolo 9 sancisce il diritto di sposarsi; il capo III è dedicato ai diritti del bambino; l’articolo 33 disciplina la garanzia
della protezione della famiglia sul piano giuridico e sociale.
•La carta di Nizza: riconosce una serie di principi di base a proposito di famiglia, che dovrebbero acquisire tutti i paesi
aderenti, come per esempio: il diritto a sposarsi e a formare una famiglia (rilevanza della famiglia nel panorama
internazionale anche se ancora non abbiamo un vero e proprio diritto europeo alla famiglia)
NELLA COSTITUZIONE:
1. ART. 30: svincola il rapporto tra genitori e figli dalla menzione del vincolo matrimoniale.
2. ART.29: famiglia come società naturale fondata sul lavoro.
3. ART.2: attenzione alla coppia intesa come nucleo costitutivo di un modello di organizzazione familiare che
assume valore sociale e giuridico.
4. ART. 31: la repubblica agevola con misure economiche ed altre provvidenze la formazione della famiglia, con
particolare riferimento alle famiglie numerose. + art 34, 36, 37
Abbiamo visto come il nostro ordinamento riconosce la famiglia.
Sentenza 238 del 2010 della corte costituzionale: la famiglia è quella fondata sul matrimonio, ma non è l’unico tipo di
famiglia possibile. La famiglia fondata sul matrimonio è quella tradizionale, originaria.
Se leggiamo l’articolo 2 della costituzione, ci parla di formazioni sociali ove si sviluppa la personalità dell’individuo,
quindi non sono solo le associazioni, ma anche le associazioni familiari. Non è più il singolo soggetto alla famiglia, ma
la famiglia diviene luogo di sviluppo del benessere del singolo nel gruppo, non più il contrario. Da questo ragionamento
deriva il riconoscimento delle unioni civili e della convivenza. La famiglia diventa una formazione sociale per il
benessere dei suoi membri.
La famiglia è un posto di sviluppo della felicità e benessere personale. si è passata da un’idea di famiglia patrimoniale,
ad un’idea di famiglia che pone al centro il singolo e questa formazione può cessare di esistere quando non contribuisce
più a creare l’identità del singolo. In più, il matrimonio, la filiazione, sono stati oggetti di normazione.
Procreazione medicalmente assistita: è una tecnica grazie alla quale, fa sembrare biologica, una procreazione che non
potrebbe essere altrimenti. Ci sono molte tecniche che variano a seconda del grado di infertilità, sterilità, e a seconda
delle problematiche che hanno colpito la coppia. Serve in cui casi in cui la procreazione non può avvenire in maniera
sessuale, ma attraverso una vasta gamma di tecniche di interventi aventi ad oggetto la riproduzione umana e realizzate
presso strutture sanitarie.
La procreazione può essere:
1. Omologa: quando gli ovociti compaiono da entrambi i membri della coppia. La coppia che vuole avere il figlio,
fornisce il materiale genetico
2. Eterologa: quando solo un membro dona gli ovociti, mentre gli altri vengono da un componente esterno,
chiamato donatore. C’è il ricorso alla donazione di ovociti o di sperma.
3. Surrogazione: sostituzione omologa o intervento eterologo. La surrogazione deve avvenire solo nel momento
dell’impianto. Viene impiantato un embrione fecondato nell’utero di una seconda donna che si presta a continuare la
gravidanza. Per surrogazione omologa si intende quando l’embrione è impiantato nell’”utero in affitto”; per
surrogazione eterologa è quando l’embrione deriva dalla moglie e da un donatore, e che poi viene successivamente
impiantato nell’utero di un’altra donna.
La surrogazione eterologa è quando anche il materiale genetico della donna è diverso da quello della donna gestante. Si
parla di utero in affitto o di gestazione.
Nel nostro ordinamento, la surrogazione appare uno scoglio, perché l’articolo 269 ci dice che è considerata madre solo
colei che partorisce, a prescindere dal materiale genetico dell’embrione.
Legge 40 del 2004: da leggere. Chiarisce le finalità della procreazione medicalmente assistita.
Art 1 di questa legge ci chiarisce le finalità.
Art.4 di questa legge ci chiarisce i criteri, ossia se ne può far ricorso quando non è possibile fare altrimenti.
Art.5 di questa legge ci dice che possono farne ricorso solamente le coppie maggiorenni di diverso sesso, coniugi o
conviventi, in età fertile e entrambi viventi.
In sintesi, la disciplina consente la procreazione medicalmente assistita alle coppie maggiorenni di sesso diverso in età
potenzialmente fertile, ed entrambi viventi; essa rimane preclusa ai singles, ai minorenni e alle coppie omossessuali.
La legge conferisce lo status di figlio nati nel matrimonio e riconosciuti alla coppia che ha espresso la volontà di volere
il figlio.
Nel testo originario di questa legge, c’era il divieto di ricorso alla procreazione medicalmente assistita ed eterologa, ma
già regolava un’ipotesi della sua violazione regolando che “il coniuge in violazione del divieto e che abbia prestato il
proprio consenso all’impiego di tale tecnica, non può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità, né l’azione
di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità”. Il donatore non ha nessuna rilevanza giuridica con il
neonato.
A causa delle crescenti coppie che volevano far ricorso a questa tecnica, si è andati incontro al cosiddetto turismo
procreativo, sottoponendosi a tale tecnica all’estero.
La procreazione assistita è concepita come l’unico rimedio ad un problema di quella coppia e che se non ci fosse stato
quel problema, la coppia avrebbe potuto procreare tranquillamente. Queste condizioni servono a creare un’aria di
naturalezza.
Ci sono stati molti interventi della corte costituzionale a tal proposito. Fino al 2014 non era possibile in Italia, ma con
la sentenza 162, ha fatto cadere questo divieto. Dato che altrove, era possibile, gli italiani ricorrevano a questo intervento
all’estero.
Ora invece è possibile ricorrere alla creazione di un embrione con il gamete del donatore. Il figlio è legalmente figlio
non del donatore e il padre non può far ricorso al disconoscimento del figlio.
Sentenza 96 del 2015: divieto di ricorso a questa tecnica a coppie fertili, con malattie geneticamente trasmissibili. Si
parla di divieto di diagnosi preimpianto. Se nell’embrione c’era la malattia genetica si ricorreva ad un aborto terapeutico.
Ora invece si preferisce fare uno screening prima dell’impianto per evitare l’impiantazione di un utero sottoponendo la
coppia a rischio, per poi abortire.
In Italia, per quanto riguarda le coppie affette da gravi patologie geneticamente trasmissibili, c’era il divieto di diagnosi
pre impianto, ossia una procedura che consiste nel prelievo di alcune cellule dell’embrione prima del trasferimento nel
corpo della donna per accertarne il grado di salute. Questa tecnica era ritenuta illegittima. Però c’era il rischio di
procreare figli con patologie gravi a causa di quelle geneticamente trasmissibili. La diagnosi pre impianto è necessaria
al fine di evitare di impiantare un feto malato e di ricorrere conseguentemente all’aborto terapeutico.
Per quanto riguarda la procreazione medicalmente assistita, è intervenuta anche la corte europea dei diritti dell’uomo,
la CEDU, che dichiara l’incoerenza della legislazione italiana: c’è il divieto della diagnosi pre impianto, però si può fare
ricorso all’aborto terapeutico; quindi, la corte costituzionale ha così deliberato: dichiara l’illegittimità di non poter fare
ricorso alla procreazione medicalmente assistita alle coppe portatrici di malattie geneticamente trasmissibili. La
procreazione medicalmente assistita è quindi possibile non solo per quelle coppie affette da sterilità, ma anche per coloro
che sono colpite da gravi patologie, spettando al legislatore il compito di introdurre apposite disposizioni per
l’accertamento di tali patologie.
È intervenuta anche la consulta per cancellare il divieto della fecondazione eterologa. Conservano i divieti di:
soppressione dell’embrione, di commercializzazione dei gameti, di sperimentazione, di surrogazione di maternità.
Possiamo quindi concludere, che non esiste solo la filiazione biologica, ma anche la filiazione sociale in cui rientrano
la procreazione medicalmente assistita e l’adozione; questi ultimi entrambi soddisfano i bisogni sociali, e si costituiscono
attraverso l’intervento di un terzo (giudice o medico che sia); avviene per scelte libere e volontarie, quindi tramite scelte
consapevoli e dalla conseguente responsabilità derivante dal consenso prestato.
Unioni civili:
Con la legge 76 del 2016 è stato introdotto un nuovo status. Non è facilmente identificabile come status la posizione di
convivente. È un istituto simile al matrimonio.
Sia le unioni civili che le convivenze sono disciplinate dalla legge 76 nel 2016 chiamata anche legge Cirinnà dal nome
della sua prima firmataria. La norma è l’esito di un travagliato dibattito che ha indotto all’introduzione di una norma
che è ancora suscettibile di critiche. Il dibattito fu travagliato anche da un punto di vista culturale. Per accelerare
l’approvazione, si è preferito costituito un articolo composto da 69 commi, nonostante in seguito ci siano stati
aggiustamenti o miglioramenti.
Le legge, doveva rispondere all’esigenza politica di accontentare una parte della popolazione e al fine che venisse
approvata subito si è decisa la tecnica dell’unico articolo e 69 commi di cui esso si compone. Non è articolato in 69
articoli, ma da un articolo in 69 commi.
I primi 35commi riguardano le unioni civili, gli altri parlano della convivenza. La tutela alle persone dello stesso sesso
che volevano contrarre un’unione para matrimoniale: prima non c’era nulla a livello normativo.
Iter travagliato della legge:
Il panorama europeo era più avanti di noi e che ha sospinto il nostro ordinamento a procedere in tal senso: sentenze della
corte europea dei diritti dell’uomo, che il 24 giugno del 2010 ha riconosciuto il matrimonio anche a persone dello stesso
sesso. Il problema nasceva dall’articolo 9 della Carte di Nizza ritiene che non possa esserci differenza di sesso un
prerequisito per il matrimonio. Questa sentenza è stata una sorta di apripista che ha consentito di ragionare in termini
normativi l’approvazione di una norma a proposito delle unioni civile.
A seguito di ciò, la corte europea dei diritti dell’uomo, nel 2015 ha condannato l’Italia per il mancato riconoscimento
delle unioni civili. La nostra corte costituzionale è intervenuta riconoscendo alle unioni l’idoneità a rivestire il carattere
di formazione sociale entro la quale si svolge la personalità dell’individuo e che quindi dovevano essere riconosciute,
ribadendo con forza la necessità di un intervento legislativo volto a superare una grave insufficienza di tutela di diritti
fondamentali. La corte di cassazione si è allineata alla corte di cassazione riconoscendo la tutela funzionale a garantire
alle coppie dello stesso sesso di potersi unire in modo giuridicamente rilevante seppure l’unione non era necessariamente
omogenea al matrimonio (bastava il riconoscimento di un nucleo di diritti e doveri).
In riferimento all’articolo 29 della costituzione, l’apertura al matrimonio per le coppie dello stesso sesso non era
obbligata, ma il legislatore ha optato per un’altra formula ossia il riconoscimento non matrimoniale dell’unione civile.
La legge lascia intendere come il terreno non è pacifico ma era soluzione di un compromesso. Anche la Germania ha
convertito la legge sulle unioni civili estendendole all’istituto del matrimonio.
In Italia si è voluto trovare uno strumento ad hoc e che non ricalca il matrimonio in todo. Come dare riconoscimento?
Ciò che esce da questa legge non è un quadro molto chiaro: rimasta fuori la disciplina alla possibilità di estendere il
carattere bigenitoriale nelle famiglie dello stesso sesso (step child adoption) che non è stato approvato. Viene lasciato
fuori tutta la parte di filiazione.
La legge:
con la legge 76 del 2016 da un lato l’unione civile è considerata come formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3
della costituzione, che porta quindi alla costituzione di uno statu connotato da una serie di diritti e doveri a seguito della
formalizzazione del vincolo, dall’altro si parla delle convivenze, che pur non essendo formalmente qualificate come
formazioni sociali, sono sempre quantificate come tali.
Non si è aggiunta una disciplina per la convivenza, in quanto ritenuto inutile. Per quanto riguarda le unioni civili, il
legislatore ha deciso di applicare la medesima disciplina del matrimonio al fine di assicurare un’adeguata tutela ad una
parte di “vita familiare”, che si qualifica naturalmente in modo diverso rispetto alla famiglia.
• Rinvii diretti a singole norme del codice, per esempio quinto comma
• Clausole generali di rinvio ad alcune parti per esempio diciannovesimo comma
• Riscrittura e riformulazione di altre norme che talvolta prevedono solo modifiche lessicali.
Da ciò ne deriva un quadro non del tutto chiaro e molto complesso, che lascia incertezza.
La tecnica è stata quella di rinvio, ossia di ammettere un istituto nuovo per attribuirgli la disciplina di un istituto vecchio.
Non si voleva chiamare matrimonio, ma unione civile, indicando le differenze tra l’uno e l’altro, indicando la parte di
disciplina del matrimonio applicabile anche alle unioni civili. Si può parlare di istituto para matrimoniale.
“dove ricorre il termine coniuge, va esteso a parte dall’unione civile”: uno dei commi della legge. Il coniuge è una
categoria a cui viene accostato la parte dell’unione civile. Tra coniuge e parte di unione civile non c’è molta differenza.
Quindi ogni qual volta ricorra nelle leggi o negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti o negli atti amministrativi e
nei contratti collettivi, il termine coniuge, si intende anche parte dell’unione civile; ciò deriva solamente al fine di
assicurare l’effettività della tutela e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello
stesso sesso. Quindi questa disciplina è costruita sulla falsariga di quella matrimoniale.
Per ora ha consentito a persone maggiorenni dello stesso sesso di costituire unione civile, mediante dichiarazione di un
ufficiale dello stato civile e di due testimoni.
Impedimenti:
può essere formalizzata solo da due maggiorenni (differenza del vincolo matrimoniale che conosce
l’emancipazione del minore ultra-sedicenne art.84 c.c.)
Sussistenza di un vincolo matrimoniale o di un vincolo di unione civile; parentela; delitto; infermità di mente
giuridicamente dichiarate (stessi impedimenti del matrimonio).
L’unione civile può essere impugnata nel caso in cui il consenso sia stato estorto con violenza. (Impugnazione
con violenza): regola contemplata anche per il matrimonio.
Non esiste la promessa dell’unione civile così come esiste la promessa di matrimonio.
Non è contemplato l’errore essenziale come causa dell’invalidità dell’unione civile: per esempio se sposo una persona
che ha difetti psichici o fisici non c’è rilevanza giuridica come c’è per il matrimonio.
La diversità del regime di scioglimento dell’unione civile: non esiste la separazione per l’unione civile. La separazione
personale dei coniugi è disciplinata dal c.c. in cui disciplina l’allentamento del vincolo, che sia consensuale o meno,
vengono solo meno di alcuni obblighi incombenti come coabitazione, fedeltà, solidarietà. La separazione è un istituto,
passaggio necessario che consente il divorzio (non per le unioni civili). La separazione è un istituto che allenta il vincolo,
non lo scioglie e conduce solitamente al divorzio ove il vincolo viene sciolto e i due coniugi sono di nuovo in uno status
libero. L’unione civile conosce solo scioglimento: l’unione civile nasce già implicitamente più debole, meno forte
(supposizioni); l’ordinamento tiene conto delle trasformazioni della società e che reclamano di alleggerire il
procedimento dello scioglimento della coppia coniugale, ciò che è già avvenuta con la separazione breve (da 5 anni ora
si è arrivato a sei mesi in caso di divorzio consensuale). La separazione è un periodo di pausa in cui ci si prende del
tempo per vedere se si vuole divorziare o si vuole procedere verso una riconciliazione.
La separazione non è contemplata per le unioni civili. Le parti dell’unione civile, che lo vogliono sciogliere, passano
direttamente allo scioglimento del vincolo. Lo scioglimento è contemplato al comma 23. Le cause possono essere: morte
di un coniuge e il divorzio.
La legge 898 del 70 disciplina i casi di divorzio.
L’unione civile si scioglie quando le parti hanno manifestato la volontà di scioglimento di fronte ad un ufficiale. La fase
amministrativa che si può articolare in maniera disgiunta o congiunta: le parti dell’unione civile vanno all’ufficiale e
dichiarano la volontà di volersi separare (criticato perché troppo semplice); oppure, in maniera unilaterale (novità):
anche se uno solo vuole dichiarare di voler sciogliere l’unione civile, decorreranno 3 mesi dopo i quali si può procedere
direttamente allo scioglimento (tempi più rapidi).
Il rapporto delle unioni civili: riproposizione quasi integrale dell’articolo 143 e 144. L’unione civile dà luogo (comma
11): stessi diritti e medesimi doveri, obbligo assistenza morale e materiale, coabitazione, contribuire ai bisogni comuni.
La differenza col matrimonio è che manca l’obbligo di fedeltà e della famiglia.
Obbligo di fedeltà: è stato detto molto. Collegato al fatto che non ci sarebbe la necessità di rendere certa la paternità
all’interno di coppie dello stesso sesso. Non c’è problema della discendenza o problemi legati alla procreazione
(nemmeno per adozione). La violazione dell’obbligo di fedeltà può essere causa di un addebito in caso di separazione,
ma qui la separazione non c’è.
Non si menziona mai la famiglia. La famiglia nasce dal matrimonio e non dall’unione civile; quindi non ci sono bisogni
della famiglia, ma bisogni comuni.
Assimilazione figura coniuge e figura della parte dell’unione civile. Si fa rinvio alle regole del matrimonio: la disciplina
delle unioni civili è assimilabile a quella delle unioni civili. Per questo si parla di matrimonio di serie B, para matrimonio
etc. naturalmente criticandolo.
Cognome: le parti possono attribuire un cognome comune se lo vogliono. Sul carattere patrimoniale si fa rinvio alla
disciplina del matrimonio. C’è quindi maggiore flessibilità.
Il rapporto di filiazione è rimasto escluso: non contemplata l’eventualità dell’adozione.
Per quanto riguarda il piano dei rapporti matrimoniali e successori, il legislatore fa rinvio diretto alle norme codicistiche
dettate per i coniugi che riproduce il contenuto all’articolo 159 c.c.
REGIMI PATRIMONIALI DELLA FAMIGLIA:
sono più di uno e rappresentano la modalità con la quale viene gestita l’acquisizione dei beni da parte della famiglia per
il periodo successivo al matrimonio.
Questa disciplina va bene anche per le unioni civili a seguito dell’introduzione della legge del 20 maggio del 2016. In
conformità con la tecnica del legislatore, ai termini coniuge e coniugi, vanno implicitamente affiancati anche i termini
parte/parti dell’unione civile.
Il nostro ordinamento prevede una pluralità di regimi patrimoniali, lasciando ai coniugi di adottare quello ritenuto più
idoneo alle loro esigenze. Loro possono scegliere tra: comunione dei beni, separazione dei beni, comunione
convenzionale o fondo patrimoniale. Alla base delle scelte di autonomia dei privati possono individuarsi una molteplicità
di scelte concrete: distribuire la ricchezza all’interno della famiglia anche in ipotesi di un’eventuale disgregazione,
tutelare la posizione dei figli, limitare la responsabilità per debiti del patrimonio familiare.
In mancanza di una volontà espressa, il regime patrimoniale legale viene individuato nella comunione dei beni
dall’articolo 159 c.c. qualora i coniugi volessero dar vita ad un regime patrimoniale diverso dalla comunione dei beni,
si parla di regime patrimoniale convenzionale.
La comunione legale e la separazione dei beni vengono chiamati regimi generali, perché regolano tutti i rapporti
patrimoniali dei coniugi; il fondo patrimoniale e la comunione convenzionale vengono chiamati regimi particolari,
perché sottoposti solo ad alcuni beni. I regimi patrimoniali sono parzialmente integrabili: la comunione non esclude la
possibilità che per taluni beni, i coniugi scelgano il regime di separazione ovvero di vincolarli come fondo patrimoniale.
Tuttavia, l’autonomia dei coniugi ha dei limiti espressi nell’articolo 160 c.c.; esso dispone che i coniugi, nella scelta del
regime patrimoniale da adottare, non possono derogare né ai diritti né ai doveri che per legge discendono dal matrimonio,
e in particolare al principio di parità e proporzionalità di contributo affermato nell’art. 143 c.c.
Art. 161 c.c., prevede che i coniugi, qualora volessero regolare i loro rapporti patrimoniali in base a regimi stranieri o
in base a regole provenienti dagli usi, devono enunciare in modo concreto il contenuto della disciplina che intendono
adottare.
Regime primario: lo abbiamo trovato parlando di obbligo di contribuzione che nasce dal matrimonio. Obbligo di
contribuire alla vita della famiglia e alla sua gestione in termini patrimoniali. Questo tipo di collaborazione lo chiamiamo
regime primario perché dà il senso della contribuzione ed è un obbligo che incombe da parte di entrambi i coniugi
secondo le loro capacità. Risponde alla logica della contribuzione. È un regime indefettibile. Il regime primario si fonda
su criteri di parità e proporzionalità.
Regime secondario: risponde alla logica della distribuzione i regimi patrimoniali della famiglia: comunione legale,
convenzioni matrimoniali, separazione dei beni, fondo patrimoniale. Si sono andati aggiungendo altri strumenti della
gestione del matrimonio come per esempio il trust e l’impresa familiare che ha una disciplina sua propria. Il regime
secondario distributivo risponde all’allocazione della ricchezza all’interno della famiglia, acquisita durante il
matrimonio.
Si chiama regime secondario perché è una regolazione in più che i coniugi fanno per determinare il regime di gestione
e acquisto dei beni per il periodo successivo al matrimonio ossia nel momento in cui i due coniugi si sposano, qualunque
siano i beni di cui erano in possesso individualmente ne restano in possesso.
Con l’espressione “convenzione matrimoniale” si indica ogni atto nel quale gli sposi, prima o dopo il matrimonio, con
l’eventuale partecipazione di un terzo nel caso del fondo patrimoniale, regolano il regime patrimoniale della famiglia in
modo differito rispetto a quello legale.
Essa va distinta dagli accordi prematrimoniali, attraverso i quali, i futuri coniugi disciplinano le obbligazioni che esse
assumeranno nel rapporto coniugale e nel caso di fallimento di tale rapporto.
Le convenzioni matrimoniali sono di natura personalissima e sono governate dal principio della modificabilità: esse
possono essere stabilite in ogni tempo, quindi sia prima del matrimonio sia successivamente. Ciò implica la libertà di
modificare il contenuto delle convenzioni, ma si richiede il consenso di entrambe le parti che abbiano partecipato alla
precedente convenzione.
• Separazione dei beni: ogni acquisto successivo al matrimonio comporterà l’acquisto individuale da parte di chi
lo ha compiuto. Non c’è alcuna condivisione. È un regime alternativo alla comunione. In passato la separazione dei beni
era il regime patrimoniale legale. Il legislatore, dalla riforma del 75 ha ribaltato tale regola: la comunione dei beni
costituisce il regime patrimoniale legale e quindi automatico, mentre la separazione dei beni trova applicazione o per
volontà espressa dei coniugi, oppure nei casi in cui si sia verificata una causa di cessazione del regime di comunione
legale che però non comporti lo scioglimento del vincolo coniugale.
La scelta della separazione dei beni può essere scelta prima del matrimonio (nell’atto di celebrazione del matrimonio
stesso) mediante una convenzione matrimoniale; il contenuto della convenzione sarà sufficiente a manifestare una
semplice scelta in positivo o anche in negativo, attraverso una dichiarazione mediante la quale i due coniugi esprimono
la volontà di unirsi “senza comunione”.
Nel regime di separazione, ciascuno coniuge ha la titolarità esclusiva dei beni acquistati durante il matrimonio e di tali
beni ha la gestione separata. Qualora l’acquisto sia stato fatto congiuntamente, allora il bene appartiene ad entrambi
secondo il principio della comunione ordinaria. L’adozione di tale regime non incide in alcun modo sull’istituto del
matrimonio quale comunione di vita materiale e spirituale, come unione caratterizzata da solidarietà e fiducia reciproca
che di fatto si traducono nell’obbligo di contribuire ai bisogni della famiglia. L’inderogabilità di tali doveri, la cui
applicazione prescinde dal regime patrimoniale adottato dai coniugi, dimostra che il nostro legislatore ha inteso affidare
l’attuazione dei principi costituzionali su cui si fonda la famiglia al regime patrimoniale primario, lasciando invece
ampia libertà di scelta in relazione al regime patrimoniale secondario, ossia alle modalità di circolazione e distribuzione
della ricchezza durante il rapporto coniugale.
Nel caso in cui un coniuge abbia incaricato l’altro coniuge sull’amministrazione dei suoi beni, l’incarico si presuma
gratuito, essendo pacifico ritenere che fra i coniugi, il suo svolgimento venga espletato per spirito di solidarietà. Da ciò
ne deriva che il coniuge amministratore ne risponderà in caso di cattiva amministrazione e gestione nei confronti
dell’altro solo nel caso di dolo o colpa grave. Inoltre, il coniuge amministratore, non è tenuto neppure a rendere conto
dei frutti consumati, ma solo a consegnare i frutti esistenti al momento dello scioglimento del matrimonio. Nel caso in
cui, sia espressamente richiesto dall’altro coniuge, il rendiconto, il coniuge amministratore è tenuto verso l’altro secondo
le regole del mandato; anche in tal caso, il rapporto si presume gratuito. Nel rispetto del principio di uguaglianza tra i
coniugi, il mandato è sempre revocabile.
Nel caso in cui, uno dei due coniugi amministri un bene contro la volontà dell’altro, c’è l’obbligo di risarcimento dei
danni cagionati e dei frutti non percepiti secondo il quarto comma dell’art. 217 c.c.
Dall’ipotesi dell’amministrazione di un coniuge nonostante la sua opposizione, bisogna distinguere l’inerzia:
amministrazione svolta senza opposizione e senza mandato. In tal caso, il silenzio del legislatore, si ritiene che trovi
applicazione la regola dettata per il coniuge cui l’incarico è stato conferito: l’amministrazione rappresenta una forma di
adempimento da parte del coniuge al dovere di collaborazione.
Infine, il coniuge che ha godimento dei beni di proprietà dell’altro è tenuto a tutte le obbligazioni gravanti
sull’usufruttuario (art. 218) e precisamente ad usare la diligenza del buon padre di famiglia, di rispettare la destinazione
economica del bene, nonchè agli obblighi relativi alle spese, alle imposte e ai pesi, all’obbligo di denunciare le
usurpazioni etc.
Il principio di titolarità esclusiva, dei beni acquistati da ciascun coniuge in regime di separazione non vale ad eliminare
tutte le incertezze che di fatto possono sorgere in ordine alla determinazione della titolarità dei beni acquistati durante
il matrimonio e in particolare dei beni mobili, dal momento che l’acquirente di immobili o beni mobili risulta registrato
nell’atto di acquisto (in forma scritta- sennò si ricorre alla nullità dell’atto) e deve essere trascritto nei registri immobiliari
ai fini della sua opponibilità da terzi.
Al riguardo la dottrina: sono considerati beni personali tutti quei beni che vengono acquistati da un coniuge per
soddisfare le proprie esigenze personali, anche se finanziati dall’altro. In tali casi, però il coniuge può richiedere un
rimborso a meno che non si tratti di beni essenziali e il coniuge acquirente sia privo di mezzi propri, stante l’obbligo di
contribuzione sancito dall’art. 143 c.c.
Più complicata è l’ipotesi in cui l’acquisto è stato fatto da un coniuge separatamente dall’altro ed è un bene destinato ad
essere fruito da entrambi (ex. Arredamento casa coniugale). In questi casi non è possibile una risposta univoca: anche
se da una parte questi beni sono stati acquistati con il denaro di un solo coniuge, dovrebbero essere considerati di
proprietà di entrambi in considerazione del fatto che normalmente il loro acquisto nasce da una programmazione e
quindi da una volontà comune. Non si può quindi escludere che per alcuni acquisti, anche se finanziati interamente da
un solo coniuge, siano frutto della decisione dell’altro configurandoli come donazioni indirette. Per risolvere questi
dubbi intervengono due regole in tema di prova della titolarità dei beni:
1. La titolarità esclusiva può essere provata da ciascuno dei due coniugi con qualsiasi mezzo.
2. Qualora questa prova non sia stata raggiunta, il bene si considera comune secondo l’art. 219
Responsabilità patrimoniale del debitore: il debitore risponde dei suoi debiti con tutti i suoi beni presenti e futuri. Quindi
quali beni sono propri? I beni dell’uno non andranno a confluire nel patrimonio dell’altro e ciascuno sarà titolare
esclusivo dei suoi beni propri. L’eventuale creditore può sfruttare il principio della garanzia patrimoniale limitatamente
ai beni del suo creditore. Se un nullatenente è sposato con un coniuge ricco, non si può fare affidamento sul patrimonio
di cui è titolare l’altro coniuge. Nel caso di comunione di beni (art.180): i beni che fanno parti della comunione, di
questa comunione viene dato riscontro con la pubblicità dichiarativa e significa che, prima che mi compro una macchina
io sono titolare ma si darà conto dell’atto di matrimonio e nei registri immobiliari (nel quale c’è scritto se voglio una
separazione dei beni; se non c’è scritto nulla voglio una comunione dei beni), viene dato menzione che l’acquirente
dell’automobile è in comunione. Ciò è importante per un eventuale creditore che è interessato a sapere che il coniuge
del debitore ha una macchina costosa dal cui pignoramento si possono ricavare molti guadagni.
L’amministrazione dei beni spetta disgiuntamente (ognuno dei due coniugi può amministrare disgiuntamente i propri
beni; la vendita di un immobile che fa parte della comunione legale deve essere compiuto da entrambi i coniugi sennò
gli atti sono annullabili). Il bene posso gestirlo autonomamente ma per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione
(atti che portano una modifica al patrimonio) devono essere fatti con il consenso di entrambi.
Il fondo patrimoniale è una particolare forma di regime della famiglia. Esso è operante sia in comunione legale che in
ambito di separazione dei beni. Attraverso il fondo patrimoniale, si costituisce un patrimonio separato, gestito da
entrambi i coniugi e destinato a far fronte ai bisogni della famiglia (art.167 c.c.). esso è quindi caratterizzato da un
vincolo di destinazione avente la funzione di soddisfare alle esigenze di mantenimento, assistenza e di contribuzione
della famiglia nucleare, ossia dei coniugi e dei figli minori.
Il fondo patrimoniale è stato introdotto dal legislatore e ha sostituito l’abrogato patrimonio familiare. Da questo, il fondo
patrimoniale ne conserva la destinazione dei beni, ma non consente la gestione separata dei beni sottoposti a tale vincolo,
neppure da parte del coniuge proprietario.
La costituzione del fondo patrimoniale può avvenire sia prima che durante il matrimonio attraverso un’apposita
convenzione matrimoniale, o patrimoniale se stipulata dalle parti dell’unione civile, avente i requisiti fi forma e di
pubblicità precedentemente precisati e dalla quale i coniugi sono parti necessarie.
L’articolo 2647 c.c. prevede la trascrizione del fondo che abbia oggetto beni immobili, mentre l’art. 69 lettera B ne
impone l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio. La dottrina è quindi divisa tra chi ritiene indispensabile la
trascrizione e chi ritiene che l’unica condizione di opponibilità sia l’annotazione.
I beni destinati alla costituzione del fondo, possono essere conferiti da entrambi i coniugi o da un terzo. In quest’ultimo
caso, la costituzione del fondo si completa con l’accettazione di entrambi i coniugi. La costituzione può avvenire anche
tramite testamento se i beni sono proprietari di un terzo.
L’oggetto del fondo patrimoniale è il diritto di proprietà su beni immobili, mobili registrati e titoli di credito. La gestione
dei beni spetta ad entrambi i coniugi. In caso di rifiuto di uno dei coniugi, l’altro può chiedere al tribunale di essere
autorizzato al compimento dell’atto di straordinaria amministrazione. Nel caso in cui, uno dei due coniugi sia minore,
l’altro può chiedere al tribunale di escluderlo dalla gestione.
La disciplina diventa più rigorosa in presenza di figli: per gli atti di disposizione (impegno, ipoteca) si richiede il
consenso di entrambi e l’autorizzazione del tribunale che la concederà solo nei casi di necessità od utilità evidente.
Estinzione del fondo patrimoniale: si po’ estinguere ma se ci sono figli minori il vincolo di destinazione dei beni permane
fino al raggiungimento della maggiore età.
È un istituto che consente a ciascuno dei due coniugi o ad un terzo (genitore), con atto pubblico di costituire un fondo
destinando alcuni beni mobili scritti in pubblici registri (automobili, aereo mobili, natanti- questi beni soggiacciono alla
medesima disciplina giuridica per l’impatto economico, quindi per il patrimonio. Hanno un valore ingente ma anche per
la particolare natura del bene che essendo immobile deve avere un regime di circolazione garantito dalla pubblicità ossia
si muovono documenti per un bene immobili. Per questa circolazione circolare bisogna tenere conto a pubblici registri
che consentono a chi ne abbia interesse di conoscerne la vicenda circolatoria). I beni immobili e mobili scritti a pubblici
registri sono soggetti alla medesima circolazione giuridica. È possibile che un coniuge p un terzo decide di destinare un
bene (auto, garage) per far fronte ai bisogni della famiglia.
Se lo fa un terzo, le due parti lo devono accettare (nessuno può essere beneficiario se non lo voglia). Così i due coniugi
hanno un bene che fa parte del fondo patrimoniale della famiglia. A cosa serve? La logica dell’istituto è di riservare,
isolare uno o più beni ai bisogni della famiglia: sempre nell’ottica della responsabilità patrimoniale, ossia oltre a
possedere i beni per l’uso cui ne è stato pensato quindi per esempio volare, guidare; essi sono anche garanzia per i nostri
debiti. Se non paghiamo spontaneamente un debito, il nostro creditore, con un lungo processo chiamato esecuzione
forzata, può far vendere forzatamente (asta con la presenza di un giudice) quel bene che ha scelto e dal ricavato trovare
la soddisfazione del proprio credito; questo serve nel caso di un debitore inadempiente.
Ratio: il fondo patrimoniale raccoglierà beni che essendo destinati esclusivamente ai bisogni della famiglia se un
debitore per un credito sorto per i bisogni della famiglia (rata del motorino, lavatrice, tv o qualsiasi altro bene per il
bisogno della famiglia), troverà nei beni afferenti al fondo patrimoniale, troverà un bene per soddisfare il bisogno di
credito. Saranno esclusi dalla possibilità di aggredire quei beni tutti quei creditori la cui ragione del loro credito per
esigenze non necessarie ai bisogni della famiglia (inadempimento di un coniuge per un bene voluttuario come collezione
di francobolli/antiquariato. L’eventuale inadempienza, questo credito non troverebbe come garanzia patrimoniale, i beni
afferenti al fondo patrimoniale che serve solo a soddisfare i bisogni della famiglia). Tutte le spese extra non possono far
fronte all’uso del fondo patrimoniale. L’amministrazione del fondo spetta ad entrambi i coniugi. art170 c.c. fa la
distinzione tra crediti. Se crolla il matrimonio, crolla anche il fondo patrimoniale della famiglia, allora i creditori
potranno avvalersi anche dei quei beni perché non serviranno più per i bisogni della famiglia. Il fondo patrimoniale
serve per circoscrivere e proteggere alcuni beni per i bisogni della famiglia allontanando i creditori che li vorrebbero
aggredire per farne del credito.
L'art. 171 c.c. rubricato “Cessazione del fondo” prevede che il fondo patrimoniale termini a seguito dell'annullamento,
dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio.
A questi due registri essenziale si può associare la cosiddetta comunione convenzionale.
Il fondo patrimoniale è un particolare istituto che serve a particolari affetti rispetto a beni afferenti alla famiglia.
La disciplina fiscale del fondo patrimoniale è contenuta nell’articolo 4 lettera b il quale dispone che “i redditi che
formano oggetto di fondo patrimoniale sono imputati per metà del loro ammontare netto a ciascuno dei coniugi”. In
caso di cessazione del fondo per una delle cause di cui l’art. 171 c.c. ne dispone “i redditi dei beni che rimangono
destinati al fondo sono imputati per l’interno al coniuge superstite o al coniuge cui stata esclusivamente attribuita
l’amministrazione del fondo”. Nella prassi, a causa dell’eterogeneità dei meccanismi di costituzione del fondo
ipotizzabili e dei conseguenti diritti che ne discendono, il dipartimento delle entrate il 30 novembre del 2000 precisa la
natura negoziale dell’atto di costituzione del fondo ed ha stabilito che nelle ipotesi in cui l’effetto traslativo non si
verifica (e cioè nei casi di fondo costituito con beni di entrambi le parti; fondo costituito con i beni di un solo coniuge
che se ne riserva o meno la proprietà, senza accettazione da parte dell’altro), l’atto è soggetto all’imposta di registro in
misura fissa (euro 168). Nelle ipotesi in cui l’effetto traslativo si verifichi (fondo costituito con beni di proprietà di un
solo coniuge che non se ne riserva la proprietà, ma con accettazione da parte dell’altro; fondo costituito con beni di un
terzo che non se ne riserva la proprietà), dalla costituzione del fondo ne deriva la possibilità di utilizzare i fondi prodotti
dai beni che ne sono destinati e l’atto di costituzione è un atto soggetto all’imposizione fiscale prevista per gli atti di
trasferimento a titolo gratuito.
N.B. eventuale imposta sulle donazioni varia a seconda del grado di donazione tra donatario e donante.
Fondo patrimoniale e trust:
Il fondo patrimoniale, presenta caratteristiche analoghe ad un istituto nato e sviluppatosi negli ordinamenti di common
law e basato sulla fiducia: il trust. Tale istituto ha trovato riconoscimento nel nostro ordinamento grazie alla legge del
16 ottobre nel 1989 e detta disposizioni relative alla legge applicabile nei casi in cui i beni oggetto del trust siano situati
in Italia. Sono individuabili 3 modelli di trust (quello inglese, quello internazionale e quello civilistico). Esso è
caratterizzato solo da tre soggetti: il costituente, il beneficiario e il fiduciario. Il trust è caratterizzato dalla riconoscenza
del seguente schema: il disponente trasferisce i propri beni al fiduciario tramite un atto perdendo ogni facoltà su di essi;
i ben oggetto del trust, pur essendo intestati a nome del fiduciario sono separati dagli altri beni che compongono il
trustee e che possono essere opponibili a terzi; l’esercizio dei diritti attribuiti al trustee (cui spetta il potere dovere di
amministrazione dei beni, di rendiconto) è funzionalizzato all’interesse del beneficiario. Sono evidenti le affinità del
trust col fondo patrimoniale: entrambi danno origine ad un patrimonio separato con l’effetto tipico della segregazione
della ricchezza ed entrambi presentano le caratteristiche di un negozio istitutivo e un negozio di trasferimento.
Le differenze: nel fondo il vincolo di destinazione dei beni è stabilito dal legislatore (essendo il bene esclusivamente
finalizzato a far fronte ai problemi della famiglia); nel trust, la destinazione dei beni è decisa dal costituente.
La nozione dei bisogni della famiglia è ritenuta inderogabile ed è inapplicabile alla famiglia di fatto a differenza del
trust. Il fondo patrimoniale è limitato a determinate categorie di beni mentre nel trust non esistono limiti o vincoli; il
fondo patrimoniale cessa col cessare del matrimonio, mentre il trust è insensibile a tali vicende. Nel fondo patrimoniale
l’amministrazione dei beni spetta esclusivamente ai coniugi e l’effetto segregativo è più limitato del trust.
Il trust è preferibile al fondo patrimoniale perché si adatta di più alle esigenze concrete ed è più flessibile (soddisfare
soggetti deboli o incapaci, mantenere l’unità del patrimonio). Il fondo patrimoniale invece ha elementi di debolezza e
inderogabilità.
Impresa familiare: non è un regime patrimoniale ma ha molti punti di contatto (art. 230 bis e ter c.c.); è una delle novità
introdotte con la riforma del diritto di famiglia del 75, introdotta per superare quell’antico pregiudizio che subivano i
componenti di un nucleo famiglia nel prestare la propria attività ad un membro della famiglia. L’impresa familiare ha
risposto ad una logica di protezione degli altri membri della famiglia, coinvolti a lavorare per e dentro la cerchia familiare
(attività a conduzione familiare come ristoranti, alberghi, negozio). L’idea che soi potessero perpetuare forme di
sfruttamento a sventaggio di alcune categorie di soggetti con un particolare legame, ha reso necessario regolamentare
questo tipo di attività.
Questo regime nasce nel 75. Prima era più facile che si instaurassero rapporti di fatto, ossia non giuridicamente
conclamati (contratti di lavoro subordinati). Con questa riforma si è voluto valorizzare il lavoro di tutti i membri della
famiglia . è un regime automatico (opera senza previsione da parte degli stessi protagonisti e appena si verifica la
circostanza, opera l’articolo 230 ossia la formula protettiva), è un tipo di disciplina che si applica a prescindere. Prima
di questa riforma il lavoro familiare era caratterizzato da gratuità presunta, in quanto ritenuto basato sul legame affettivo.
Purtroppo i familiari che prestavano attività lavorativa all’interno dell’impresa di famiglia, non erano affatto tutelati nei
confronti dell’imprenditore, a meno che il lavoro prestato non risultasse da una regolare documentazione (contratto di
lavoro subordinato).
La caratteristica principaòe dell’impresa familaire è quella di nascere in modo automatico per volontà della legge
È un regime automatico e residuale (nel caso in cui i membri di una famiglia hanno deciso di stipulare un altro tipo di
accordo- una società semplice, società di persone- se c’è quindi un semplice contratto di lavoro tra madre-figlio etc.
allora questo si porterà la sua disciplina dietro e non c’è bisogno di parlare di impresa familiare.
Art.230 bis: salvo che sia configurabile un altro rapporto, il familiare che presta in modo continuativo il proprio lavoro
all’impresa familiare ha diritto ad una serie di diritti (mantenimento, partecipare aglo utili dell’impresa familiarebeni
acquistati con gli utili, incrementi dell’azienda). Compresenza di diritti.
Chi è l’imprenditore?
Due teorie che si sono avvicendate:
1. Si tratta di un’impresa collettiva per valorizzare il lavoro di tutti i membri. Tutti i componenti dell’impresa sono
imprenditori.
2. Si tratta di un’impresa individuale, e solo il titolare ha la qualifica di imprenditore (questa qualifica è importante
perché l’imprenditore può fallire per esempio. Lui è garante dei debiti). In questo caso c’è un’impresa individuale, nella
quale vi lavorano (in assenza di contratti individuali che qualora vi fossero attraebbero una disciplina a sé) membri della
famiglia.
Oggetto impresa familiare? Quando ricorre questa figura? L’opera prestata dai membri della famiglia deve essere
effettiva e continuativa e non saltuaria (non necessariamente a tempo pieno). (gestire un negozio, essere presenti nel
punto vendita, ognuno avrà le sue mansioni). Le dimensioni dell’impresa sono indifferenti:piccole ma se diventa molto
grande si può strutturare in modo differente in ambito societario. Se l’attività economica è di piccolo taglio può essere
l’impresa familiare.
Si intende familiare il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo grado quindi cognati e suoceri.
Questi sono i parenti che configurano l’impresa familiare.
Diritti a cui dà accesso l’impresa familiare:
• diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia: quell’attività lavorativa che non è
gratificata da un compenso in senso stretto perché non c’è alcun contratto lavorativo (se ci fosse, ciò esclude l’esistenza
di un impresa familiare). La mancanza di un compenso, assicura al membro che collabora, il diritto al mantenimento a
prescindere dell’età.
• In un’impresa familiare, l’arricchimento complessivo, dagli utili acquisiti che ai beni acquistati con quegli utili,
è un arricchimento che non va a vantaggio di uno solo dei membri ma va a vantaggio anche ai membri che ne
collaborano.
• Diritto alla partecipazione rispetto all’attività gestionale. Possono partecipare alle decisioni concernenti l’impigo
degli utili e degli incrementi, cessazione dell’impresa: queste decisioni sono adottate a maggioranza. I membri della
famiglia devono con partecipare a tutte le decisioni a proposito della vita dell’impresa. Se c’è un membro tra 16 e 18
anni, le decisioni per lui saranno prese da chi ne esercita la responsabilità genitoriale. Il lavoro della donna è considerato
equivalente a quello dell’uomo (nel 75 non c’era uguaglianza).
• Prelazione: è possibile che in caso di decesso del titolare e di cadut in eredità di un’impresa familiare, c’è un
diritto di prelazione e si ha quando io sono compartecipe e voglio dismettere la mia quota, non potrei cederla a nessuno
di estraneo alla mia famiglia perché la ragione della tutela di questo istituto asce proprio dalla natura familiare del
rapporto. In caso di divisione ereditaria i partecipi hanno diritto di prelazione esercitandolo rimanendo all’interno della
famiglia. I partecipanti hanno infine il diritto alla liquidazione della loro partecipazione nell’ipotesi di alienazione
dell’azienda, ovvero perdita di qualità di partecipante.
La disciplina fiscale è ora contenuta nell’art. 5 che prevede per l’impresa familiare un trattamento specifico (la cui
convenienza è essenzialmente legata alla possibilità di ripartire parte del reddito dell’impresa tra più soggetti.
Così come è nata può estinguersi. Ci sono diversi tipi di estinzione a seconda della vicenda storica familiare.
L’impresa familiare si estingue per il venir meno della pluralità di partecipanti; per delibera assunta a maggioranza; per
fallimento; per impossibilità di prosecuzione dell’attività; per morte dell’imprenditore ove nessuno dei partecipanti
eserciti il diritto di prelazione.
Se vengono meno i partecipanti (trovano un altro lavoro). Dato che non era formalizzato non devono sciogliersi da un
legame. Oppure possono deliberarlo, lo delibera la maggioranza quindi l’impresa familiare stessa: ci si riunisce e si
delibera. Oppure può capitare il fallimento perché non resistono alla crisi ed è una causa di scioglimento dell’impresa
familiare. O la morte dell’imprenditore.
L’impresa familiare ha molti punti di contatto con il regime: gestione patrimoniale per esempio.
Un’altra regolamentazione la troviamo nella legge 76 del 2016 a proposito della convivenza. Il contratto di convivenza.
I conviventi sono contemplati nella legge 76 nel 2016 e sono una categoria che si concretizza difficilmente come sttatus
a causa della facilità con cui si crea e si distrugge più facilmente. Questa legge non ritaglia un veo e proprio status come
il coniuge o il figlio, ma riconosce la rilevanza sociale e quindi ne traduce una rilevanza giuridica tra soggetti che abbiano
una convivenza stabile. Dal comma 36 in poi parla dei conviventi di fatto come due conviventi stabili, mggiorenni, non
vincolati dalla fedeltà, entrambi devono assistere materialmente e moralmente. A questo tipo di soggetto, la legge ha
riconosciuto una serie di piccoli o grandi benefici reclamati come necessari (critiche: in ospedale non poteva decidere
in caso di salute, il convivente in caso di morte non poteva occupare l’immobile che occupava col convivente deceduto
etc.). questa lacune erano insopportabili. Il convivente può essere designato come colui che in caso di malattia prende
le decisioni, come colui che in caso di morte puà scegliere a proposito della destinazione del corpo, colui che può
rimanere nella casa del deceduto. Ma ciò non ha consentito di parlare di status.
Questa legge ha pensato di formalizzare (anche se molti non lo ritenevano necessario), normare e regolare quello che
già esisteva ossia i contratto di convivenza.
Con il contratto di convivenza: questi due conviventi, sono tali a prescindere dall’esistenza di un contratto. Se queste
persone intendono regolare i propri rapporti patrimoniali con contratto lo possono fare secondo le norme della legge 76
del 2016 comma 50. Con il contratto loro non diventano conviventi, loro lo sono già. Se i due conviventi vogliono essere
obbligati a coabitare, obbligo di fedeltà etc. c’è il matrimonio per questo. Ma i conviventi possono aggiungere
giuridicamente a questo rapporto di fatto (non ha bisogno di formalità per sciogliersi) un contratto di convivenza per
regolare il patrimonio. Per diventare conviventi basta avere una convivenza stabile.
Legge 76 del 2016, Art. 1 comma 50: i conviventi possono disciplinare i rapporti patrimoniali NON personali (che non
pososno essere sopposti a contratto).
È un contratto strumentale alla gestione della loro vita comune. Lo devono fare con un atto in forma scritta o in scrittura
privata (con sottoscrizione autenticata, ossia possono sottoscriverlo da soli ma devono andare da un avvocato o da un
notario che ne dichiarerà la validità attestando la conformità e che non contrasta con le norme imperative a pena di
nullità) o pubblica(in forma pubblica da un notaio). Sarà nullo se esiste un vincolo matrimoniale non sciolto da parte di
uno dei due conviventi, se sono minori e se c’è il limite del delitto (impedimento. Si vuole evitare che la convivenza
rappresenti una scappatoia dal matrimonio. Un matrimonio che non potrebbe essere celebrato).
l’anagrafe del comune di residenza dei due coniuge deve pubblicare il contratto di convivenza per la pubblicità e renderlo
noto a terzi soggetti. Il professionista autentica o riceve l’atto entro dieci giorni.
Il contratto è un atto volontario.
Oggetto contratto di convivenza: vanno riportati gli indirizzi cui si vogliono essere inviate le novità e informazioni.
Il contratto contiene le modalità di contribuzione alle necessità a proposito della vita in comune (obbligo di contribuzione
che nasce dal matrimonio. Qui è una scelta opzionale); possono scegliere il regime patrimoniale della comunione dei
beni e tutti i beni acquistati disgiuntamente o in comune, saranno comuni.
Può essere modificato in qualsiasi momento, così come i coniugi.
Comma 56: il contratto di convivenza non potrà essere sottoposto a termini e condizioni (a partire da/ fino a quando)
così come per i coniugi. Deve essere puro, non sottoposto. Devono essere scelte libere.
Come si scioglie il contratto di convivenza? Recesso unilaterale (da parte di una parte che è da esercitarsi con
dichiarazione ricevuta da notaio o autenticata da notaio o avvocato che è tenuto a notificarne copia all’altro contraente
all’indirizzo risultante), accordo di entrambe le parti, se mi sposo con un altro soggetto, con la morte dei componenti
della convivenza. Laddove i contraenti abbiano scelto il regime patrimoniale di comunione dei beni, allora, lo
scioglimento (o risoluzione) del contratto ne determina lo scioglimento con applicazione, nei limiti di compatibilità,
delle previsioni codicistiche.
C’è la nullità del contratto se: si è in presenza di un vincolo matrimonile o di un altro contratto di convivenza; tra persone
non conviventi; tra persone minorenni; tra persone interdette giudizialmente; in caso di condanna per delitto di cui ne
parla l’art. 88 c.c. (omicidio consumato o tentato sul coniuge dall’altro).
A chiusura di questo capitolo, occorre notificare e evidenziare un lato della nostra realtà economica: l’impresa italiana
è connotata da un carattere tipicamente familiare. È in questo contesto che sorge il bisogno di andar a trovare delle
soluzioni alernative che consentano di superare i limiti del sistema normativo attuale, nell’ambito del quale l’assetto
familiare della ricchezza difficilmente sopravvive al succedersi delle generazioni. Per questo, negli ultimi anni sono
comparse nuove maniere di circolazione della ricchezza familiare: family trusts, family buy out che garantiscono l’unità
dell’impresa di famiglia e la continuità della gestione svolta dai membri del gruppo familiare.
Il nostro legislatore è intervenuto con due iniziative:
• Il patto di famiglia
• L’atto di destinazione per interessi meritevoli di tutela all’art. 2645 c.c. nell’ambito delle norme dettate sulla
trascrizione degli atti relativi ai beni immobili. A distanza di oltre 10 anni dalla sua introduzione c’è stata una scarsa
utilizzazione. Da un lato questo articolo ha aperto scenari nuovi offrendo uno strumento ulteriore per realizzare effetti
di segregazione patrimoniale, ma dall’altro, ha anche creato nuovi problemi, tra cui quelli di introdurre istituti analoghi
e di coordinamento con la disciplina generale della famiglia e delle successioni.
Articolo 2929 c.c. bis:
CRISI DELLA FAMIGLIA:
si pensa ad una ripartizione standard tra quello che è il regime dell’invalidità e quello che il regime della separazione e
divorzio. Regime invalidità e regime della crisi del rapporto, attiene alla distinzione tra matrimonio atto e matrimonio
rapporto. Il matrimonio fa nascere il coniugio ma anche il rapporto è il matrimonio ossia lo svolgimento nel tempo del
rapporto.
La distinzione tra:
invalidità: matrimonio non sorto validamente e compromette il momento dell’atto. È un atto sorto in maniera non valida.
L’invalidità è determinata da fatti e anomalie esistenti anteriormente al matrimonio stesso. Fa riferimento al matrimonio
come atto.
Separazione o divorzio attengono alle vicende legate al rapporto. Essi presuppongono un matrimonio validamente
instaurato come atto ma che incontra una crisi nello svolgimento rapporto in seguito. La separazione comporta un
allentamento del vincolo regolarmente sorto; il divorzio comporta lo scioglimento del vincolo regolarmente sorto. Fanno
riferimento al matrimonio come fatto, come rapporto. La separazione e il divorzio incidono sul vincolo, attenuandolo o
eliminandolo.
Tra invalidità e crisi del rapporto, non è facilissimo distinguere sul piano degli effetti perché anche un matrimonio
invalido ha conseguenze molto simili a quelle dello scioglimento. È sul piano dei presupposti che bisogna cercare le
differenze.
Invalidità: problema critico di validità. L’invalidità è disciplinata dagli artt. 117 e seguenti del c.c. la dicitura impiegata
nel c.c. è una terminologia che ha sempre fatto discutere perché a differenza della terminologia dell’invalidità del
contratto è un po’ fuorviante dove si distingue la nullità, dall’annullabilità; nel matrimonio invece, questa distinzione
non è molto chiara. Nell’art. 117 c.c., si parla “della nullità del matrimonio” raggruppando impugnative assai diverse,
più vicine all’annullabilità. La dottrina si è sforzata di raggruppare e di compiere una ricostruzione del sistema delle
invalidità matrimoniale, facendo una classificazione delle diverse fattispecie, ma giungendo a considerazioni univoche”.
Secondo l’orientamento prevalente, è riconducibile alle categorie della nullità, tutte quelle ipotesi normative in cui la
ratio sembra essere di un interesse generale. Diversamente da annullabilità in cui rientrerebbero le situazioni in cui è
protetto l’interesse del singolo.
Nullità: violazione di regole che presidiano un interesse generale che va oltre i personaggi contraenti. Postula la
violazione di norme che sono di interesse più generale e poste a tutela dell’ordine pubblico. Come disciplinato dall’art.
86, si ritiene nullo un matrimonio contratto senza libertà di stato, contratto dal coniuge a seguito di una declaratoria di
morte presunta dall’altro, il matrimonio in presenza di impedimenti, o in violazione dell’impedimento di omicidio o
reato.
Annullabilità: complesso di regole poste a presidio della libertà del consenso, a difesa di una parte e all’integrità del suo
consenso. L’annullabilità attiene a vizi più radicati. Se un atto è annullabile il diritto acconsente che una parte scelga o
meno di conservarlo, ma avendo subito una violazione dell’integrità del suo consenso, lo mette in condizione di
scioglierlo. Il matrimonio può essere annullabile se contratto dal minore, se contratto dall’interdetto per infermità di
mente, se in presenza di impedimenti dispensabili, se contratto senza la formazione di un consenso libero, se simulato.
Nel c.c. in ambito matrimoniale, si parla più generalmente di invalidità che è una categoria che raccoglie tanto la nullità
che l’annullabilità per la difesa di interessi generali o particolari. La nullità del matrimonio ricorre alla violazione di
divieti molti importanti (inesistenza vincolo parentela, libertà di stato, delitto che impediva ad un coniuge di contrarre
matrimonio se aveva cercato di uccidere il coniuge dell’altro- i cosiddetti requisiti); il matrimonio contratto in violazione
degli artt. 86, 87, 88 può essere impugnato dai coniugi, dai parenti, dal pubblico ministero. Quindi anche qualcun altro
può impugnare il matrimonio, per esempio se un terzo sa qualcosa rispetto ai due coniugi (presidio di interesse generale
perché lo stato non vuole che si consumino questo tipo di matrimoni che violino i requisiti) per esempio se sa che un
coniuge ha cercato di uccidere il coniuge dell’altro. Questa nullità è la sanzione più seria e grave, quella che impedisce
il regolare instaurarsi del vincolo.
La materia dei vizi del consenso, è stata introdotta con la riforma del 75, sulla scia del fenomeno di “privatizzazione”
del matrimonio (inteso come atto di libertà), che ha attribuito una tutela maggiore alla volontà degli sposi, che si è
tradotta in un allargamento delle cause di invalidità.
Annullabilità o impugnazione del matrimonio: è annullabile il matrimonio che è stato contratto da persona incapace,
che è stata interdetta o che in quel momento era incapace di intendere o volere (ciò vale anche per i contratti). Questa
regola (impugnazione del matrimonio) resta anche in ambito matrimoniale per cui se il matrimonio è stato contratto con
violenza ossia da persona che si è sentita minacciata e che ha contratto matrimonio per evitare un danno, da persone
interdette, oppure se il contratto è stato stipulato nell’ignoranza della vera identità dell’altro (scoprire dopo alcune
caratteristiche del coniuge che non si conoscevano). Il coniuge caduto in errore può sciogliere il matrimonio
contestandone la validità al momento dell’atto formativo, non deve subentrare una crisi.
L’annullabilità e la nullità non presuppongono la crisi del rapporto ma entrambi fanno leva sul vizio sul matrimonio, un
vizio che risale sull’origine dell’atto matrimoniale (concluso in uno stato di alterazione della realtà o violazione dei
requisiti o concluso per errore sull’identità della persona o alcune caratteristiche di quella persona).
Queste distinzioni sono racchiuse nel termine invalidità.
Inesistenza: categoria più radicale. Dell’atto manca il sostrato, c’è una parvenza di atto. Per esempio, risulta il
matrimonio nei registri del matrimonio ma non si è tenuta alcuna celebrazione oppure non c’è stata la manifestazione
del consenso (fondamentale perché ci si assume diritti e doveri). Ancora più grave non è nullo il matrimonio ma è
inesistenze.
L’invalidità ha cura dell’interesse pubblico. Mentre la separazione è data solo ai due per risolvere quella crisi coniugale.
È un’arma che hanno in mano tutti e due i coniugi.
Il regime di invalidità tocca l’atto generico, mentre la separazione o il divorzio sono rimedi, sono rimedi possibili alla
crisi del rapporto matrimoniale (non matrimonio atto ma rapporto).
La separazione:
Separazione o divorzio: possibile subentrata crisi familiare.
La separazione è contemplata nel c.c. perché non comporta lo scioglimento del vincolo. Il divorzio comportando uno
scioglimento del vincolo matrimoniale e un recupero dello status, non è contemplato dal codice civile perché nel 40 non
era possibile un divorzio, ma è stata introdotta in seguito grazie ad una legge e rimane fuori del diritto civile.
La separazione è negli artt.150 e seguenti: la separazione ha presupposti ed effetti.
La separazione è un rimedio transitorio alla crisi del rapporto matrimoniale, non scioglie il vincolo matrimoniale ma ne
determina un allentamento nell’attesa (o di una riconciliazione o di uno scioglimento). In particolare, la separazione
determina la sospensione di alcuni aspetti del matrimonio (in primo luogo quelli personali): coabitazione, fedeltà,
collaborare insieme. Permane invece, l’obbligo di assistenza morale e materiale, ma ne muta il contenuto. Il giudice può
inoltre vietare alla moglie l’utilizzo del cognome del marito. La pronuncia di separazione può far venir meno la
presunzione di concepimento e la possibilità di richiedere l’adozione.
I presupposti sono scritti nell’art. 150. La separazione può essere giudiziale o consensuale a secondo che i coniugi
trovino un accordo sulle modalità, termini separazione, gestione patrimoniale, collocazione figli, diritto di visita come
e quando. Se i coniugi trovino un accordo su tutti questi punti, opteranno per una separazione consensuale e che se è
fatta in maniera tradizionale sarà poi portata in tribunale per l’omologazione (è un visto che il tribunale dà dopo aver
convocato i coniugi e aver tentato una riconciliazione, anche se è un tentativo formale, all’esito negativo del quale si
procederà alla visione delle soluzioni già prese dai coniugi e che devono risultare conformi rispetto anche alla prole.
Allora il tribunale approva). Con il decreto di omologazione, gli effetti di quella scelta consensuale diverranno definitiva,
si trascriveranno nei vari registri e dal giorno del decreto di omologa, i coniugi saranno tenuti a tenersi a quanto hanno
concordemente stabilito. Il decreto di omologazione ha la funzione di controllare che esso non sia in contrasto con
l’interesse dei figli.
Separazione giudiziale: quando i coniugi non riescono a trovare un accordo e l’uno cita in giudizio l’altro per ottenere
la separazione (termini in cui farlo, accordi di separazione). In questo caso le parti litigheranno in un tribunale e si
attaccheranno l’uno contro l’altro per far prevalere ognuno l’interesse sull’altro fino ad arrivare alla sentenza finale che
disciplinerà i rapporti successivi alla separazione (gestione patrimonio, accordi, assegni). Il procedimento si chiuderà
con una sentenza.
Nel 2014 con la legge 162 si ha avuto un tentativo di semplificare al massimo queste procedure per consentire ai coniugi
che avessero trovato un accordo per accelerare i tempi di separazione attraverso una negoziazione assistita con uno o
più avvocati. Con la negoziazione assistita da uno o più avvocati, e con un altro istituto ossia la separazione dinanzi
l’ufficiale dello stato civile ossia in comune, i due coniugi che abbiano trovato accordo (ipotesi consensuale) sul se e
come separarsi possono scegliere di fare una separazione consensuale andando in tribunale per il decreto di omologa
oppure possono decidere di dirimere la cosa con l’aiuto di uno o più avvocati quindi decidere a tavolino le condizioni
della separazione senza la presenza di un giudice; se c’è un accordo vi siano qualcosa relativo ai figli minori, di questo
accordo si deve dare comunicazione al pubblico ministero (che garantisce la tutela superiore a quella delle parti e in
questo caso si parla di tutela del minore). Il pubblico ministero si trova quest’accordo di negoziazione assistita deve
giudicare se conveniente o meno per la prole. Se non ha nulla da opporre, il PM dà una sorta di autorizzazione.
Dall’autorizzazione del PM le parti saranno separate. Se il PM ha qualcosa da opporre a proposito della convenienza
dei figli, convocherà le parti e instaurare una sorta di mini-giudizio nel quale inviterà le parti a correggere i punti. Questa
ipotesi è più conveniente e più economica. Questo processo può avvenire sia in assenza che in presenza di figli minori
o maggiorenni non autosufficienti, incapaci o portatori di handicap. Qualora non vi siano figli minori, i coniugi possono
rivolgersi direttamente all’ufficiale dello stato civile, ma nell’accordo non potranno esserci disposizioni patrimoniali di
alcun tipo (casa familiare, assegno di mantenimento); gli accordi così conclusi, tengono luogo e producono i medesimi
effetti dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione personale (nonché il cessare di effetti
civili del matrimonio).
Un ulteriore prassi che prevede questa legge è che i coniugi possono rivolgersi anche direttamente dinanzi l’ufficiale
dello stato civile, ma è una procedura troppo esemplificativa e non può essere operata in tutte le situazioni, e solitamente
si va dinanzi solamente l’ufficiale dello stato civile quando non si ha nessuna decisione da prendere a proposito del
patrimonio e di gestione patrimoniale(quasi impossibile che nessuno dei due ha bisogno del mantenimento, non ci sia
casa da gestire, non ci sia prole). Gli accordi in questo caso gli accordi hanno gli stessi effetti della sentenza presa in
sede giudiziale ed emanata in caso di separazione giudiziale. Che sia negoziazione assistita (procedura dal 2014) o di
fronte al tribunale, l’accordo ha lo stesso effetto. Le parti da quel momento sono autorizzate a vivere separatamente e
dovranno dare seguito agli accordi conclusi.
La separazione può essere con o senza colpa.
Presupposto della separazione:
• Sopraggiunta intollerabilità della convivenza. La separazione può essere chiesta quando i fatti riterranno
intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare pregiudizio all’educazione della prole. La separazione
presuppone l’intollerabilità della convivenza e non c’è bisogno di cause specifiche. Ma se l’intollerabilità della
convivenza è determinata dalla violazione da parte di un coniuge dei doveri gravanti su di esso e sorti grazie al vincolo
matrimoniale allora è possibile che la separazione venga con addebito. Per addebito si intende il gravare sull’altro
coniuge la responsabilità derivante dall’intollerabilità della convivenza che ha portato alla separazione. Per l’addebito
occorre che la separazione sia giudiziale. Ex maltrattamento in famiglia, non interessarsi della prole, violenza sulla
coniuge e sulla prole, violazione obbligo di fedeltà etc. la violazione di gravi doveri coniugali, può anche portare al
risarcimento del danno, quando da tale violazione derivi la lesione di beni essenziali della vita (privacy, salute,
reputazione). Spetta al coniuge leso, la prova del nesso causale tra violazione dei doveri coniugali e il danno subito.
Il pregiudizio che deriva a un coniuge per la violazione dei doveri che ha condotto a chiedere la separazione può portare
a chiedere anche il risarcimento dei danni (la violazione dei doveri ha portato al configurarsi di danni come da un punto
di vista psicologico). È una dottrina nuova che a prescindere dalla separazione e dall’addebito esiste anche il
risarcimento dei danni subiti dal coniuge.
Separazione da fatto: separazione non formalizzata, ma loro vivono come separati. Se vivono come separati pur non
essendolo, normalmente non rileva, nei casi in cui rileva è specificato per esempio nel caso della legge sull’adozione
che impedisce l’adozione di minori a coniugi separati, anche solo di fatto (ratio: solo la coppia unita in matrimonio
possa adottare per evitare di dare una finta famiglia ad un bambino che già non la ha). Non è espressamente disciplinata,
non è del tutto rilevante nell’ordinamento giuridico: si parla di separazione di fatto quando i coniugi decidono di
interrompere la convivenza senza ricorrere ai procedimenti previsti dalla legge. Anche la separazione di fatto produce
effetti giuridici, anche se limitati rispetto alla vera e propria separazione.
Divorzio:
Rimedio più estremo che comporta non solo l’allentamento del vincolo matrimoniale (che si può superare con la
riconciliazione e consente ai coniugi di riconciliarsi ricominciando la vita coniugale- solo con la separazione), ma anche
lo scioglimento degli effetti del matrimonio.
Se i coniugi non intendono riconciliarsi, i coniugi arrivano al divorzio (Solo gli effetti civili possono essere sciolti perché
per l’ordinamento canonico, quella coppia rimarrà unita per sempre).
Art.149 “il matrimonio si scioglie con la morte di uno dei due coniugi o negli altri casi previsti dalla legge”; attualmente
il solo caso previsto è il divorzio anche se si preferisce parlare di scioglimento del matrimonio.
In caso di matrimonio concordatario, il legislatore parla di cessazione degli effetti civili del matrimonio, volendo
sottolineare che gli effetti religiosi non cessano col divorzio. Il divorzio è scelto come rimedio alla frattura dell’unità
familiare.
Si parla di scioglimento del matrimonio o cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario e l’articolo di
riferimento è la legge 898 c.c. del 1970 intitolata “disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”: art 1-
scioglimento matrimonio civile /art.2 cessazione effetti civili del matrimonio concordatario.
Le cause saranno più importanti perché c’è la rottura totale del vincolo con gli effetti di riacquistare lo status libero (e
quindi la possibilità di unirsi in un nuovo matrimonio), si perde l’uso del cognome a meno che non sia autorizzato
dall’altro coniuge in casi eccezionali e pone fine alla presunzione del concepimento. Rispetto ai figli non cambia nulla.
Cause del divorzio: irreparabile rottura della comunione spirituale e materiale del coniuge che deve derivare da
molteplici cause e situazioni. L’articolo 3 della medesima legge espone le cause: la principale è la separazione (protrarsi
della separazione. La crisi che ha dato luogo alla separazione non si è risolta nel tempo e decorso il tempo voluto dalla
legge ha portato al divorzio), condanna per una serie di delitti o pene (ergastolo) a carico di un coniuge, omicidio
volontario di un figlio, tentato omicidio di un coniuge di un figlio (divorzio immediato in tale caso e la separazione non
occorre minimamente così come non occorre in caso di mutamento di sesso), matrimonio non consumato. Per ottenere
il divorzio, non è sufficiente che il legislatore accetti la fine della condizione soggettiva, ma si devono verificare alcune
cause oggettive.
Accanto alla causa generica ed esclusiva del divorzio, ci sono una serie di ipotesi tassative.
Per separazione protratta: all’inizio erano 5 anni, ora si parte da 12 mesi in caso di separazione giudiziale e 6 mesi dalla
separazione consensuale (a partire dalla comparsa dei coniugi di fronte al presidente del tribunale ovvero dalla data
certificata nell’accordo di separazione raggiunto). Decorso questo tempo si può procedere al divorzio. Il divorzio si può
chiedere da un coniuge (divorzio giudiziale) o da entrambi (divorzio su domanda congiunta o consensuale). Anche qui
la legge 162 del 2014, lo stesso art. 6 prevede per il divorzio anche la negoziazione assistita per ridurre i tempi e i costi
(solo nel caso in cui le parti sono d’accordo su tutto). Così come per la separazione, in caso di prole andrà fatto analizzare
dal PM, che se accetterà invierà un nulla osta. I coniugi entro 30 giorni da questo momento non possono considerarsi
divorziati a causa della logica del ripensamento.
Il diritto di richiedere il divorzio è personalissimo, inderogabile, inammissibile e imprescrittibile. I coniugi tornano allo
status libero, dopo il divorzio e quindi hanno la possibilità di risposarsi. Col divorzio permane la sussistenza di interessi
legati alla prole, lasciando inalterati i doveri dei genitori nei confronti dei figli.
Del divorzio sarà data pubblicità in tutti i registri dello stato civile, dalla nascita all’atto di matrimonio (ai margini sarà
annotato) ai fini di pubblicità. Nei confronti dei figli, nulla cambierà e sull’accordo e sulla sentenza saranno indicati i
termini di espletazione della responsabilità genitoriale; sulla base di questo accordo i genitori procederanno ad assegni,
mantenimento etc.
Diversamente da quanto previsto per le unioni civili, la separazione legale resta un passaggio obbligatorio per i coniugi
al fine di arrivare al divorzio, a meno che non si ricorra ad una delle altre cause oggettive elencate dalla legge, in presenza
delle quali il divorzio è immediato: sentenza di condanna penale subita da un coniuge per aver commesso reati gravi,
vizio totale di mente, sentenza di non luogo per estinzione del reato, nuovo matrimonio contratto all’estero, mancata
consumazione del matrimonio, rettifica di attribuzione di sesso. Con riferimento a quest’ultima ipotesi, che ricorre alla
tecnica della conversione, la corte costituzionale, ha sancito l’illegittimità del divorzio imposto ex lege; laddove i coniugi
non manifestano la volontà di scioglimento del matrimonio, i coniugi possono contrarre unione civile tra persone dello
stesso sesso.
Effetti della separazione sulla prole:
L’affidamento dei figli è stato recentemente regolamentato in maniera uniforme dalla legge 54 del 2006, la quale ha
revisionato il concetto di figlio rispetto al momento critico della famiglia. C’è stata l’idea di mettere al centro i figli ed
è stato confermato con la riforma della filiazione. Combinando queste due discipline, abbiamo adesso l’art. 337, il nuovo
capo second, disciplina l’esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento etc: ha
agglomerato la disciplina relativa alla gestione dei figli in caso che sopraggiunga una di queste evenienze; qualsiasi
invalidità dell’atto matrimoniale, scioglimento, separazione o scioglimento matrimonio civile resta comunque la
responsabilità genitoriale.
Prima del 2006, l’unica disciplina era quella della separazione e le altre evenienze mutuavano e si ricorreva all’analogia:
il trattamento dei figli era analogo.
Trattamento dei figli post crisi: questa doppia riforma ha sancito due principi ossia il diritto alla bigenitorialità (diritto
a conservare rapporti significativi con entrambi i genitori) e il riconoscimento dell’interesse materiale e morale della
prole come superiore dell’interesse dei coniugi in crisi (in ragione di questo, è un interesse verso il quale si deve ispirare
la sentenza). Alla luce di questo vengono prese decisioni in base al loro
Nel 2006 nasce l’affidamento condiviso. Prima del 2006, il figlio minore di coppia separata sarebbe stato affidato al
genitore che poteva prendersene cura e ne esercitava la responsabilità e l’altro genitore poteva solo avere diritto di visita.
Nel 2006, le norme si sono adeguate anche grazie ad un certo tipo di battaglia: l’idea è che si è passato dall’affidamento
esclusivo all’affidamento condiviso. L’affidamento ora è prevalentemente condiviso: i genitori devono entrambi
esercitare la responsabilità genitoriale, prendere insieme decisioni relative ai figli. Si fa eccezione solo in casi
eccezionali: quando l’affidamento condiviso è contrario all’interesse dei figli.
L’affidamento condiviso presuppone la cogestione. Ma essendo autorizzati a vivere separatamente, è necessario dare un
collocamento al figlio ed è un problema. Quale deve essere la dimora prevalente? Si deve far riferimento al suo interesse:
starà nella casa più vicino ai suoi interessi come scuole etc per non incrinare e far riverberare la crisi coniugale sul figlio.
Solitamente viene collocata con la madre per una base antropologica del bambino della madre. Il figlio però può essere
ospitato anche nella casa dell’altro coniuge (accordo). L’affidamento esclusivo resta l’eccezione per certe ragioni tra le
quali: quando uno dei due genitori ha dimostrato di non essere in grado di espletare il suo compito; non si tiene conto
del tasso di conflittualità intra genitoriale ossia tra i coniugi ma si tiene conto del singolo rapporto del genitore con la
prole. Questo tipo di affidamento è preferito dal giudice quando un coniuge lo chiede, naturalmente bisogna dimostrarlo:
mostrare tasso di conflittualità o maltrattamento. Il genitore può chiedere in qualsiasi momento l’affidamento esclusivo.
L’obiettivo è quello di conservare anche in caso di crisi della coppia coniugale, secondo l’art.337 bis, a prescindere dal
rapporto di coniugio, la bigenitorialità.
La sentenza o l’accordo determinerà gli accordi relativi al diritto di visita e a trascorrere del tempo presso l’altro genitore.
La crisi non deve avere effetti nefasti anche nei confronti dei figli.
In ragione di questo tipo di logica, l’art.337 sexies ci dice come viene assegnata la casa familiare: il godimento della
casa familiare viene attribuita tenendo conto l’interesse dei figli. L’assegnazione della casa familiare viene decisa in
ragione dell’interesse del minore. Si parla di collocamento del figlio e non di affidamento del figlio. Il figlio deve
ricevere cure, assistenze morali e materiali da entrambi (principio di bigenitorialità a partire dalla riforma del
2012/2012).
Effetti patrimoniali della separazione:
Il primo effetto patrimoniale è lo scioglimento dell’eventuale comunione legale se esistente. La separazione, essendo
l’allentamento del vincolo, comporta il venir meno di alcuni diritti ed obbligo come la coabitazione e collaborazione
nell’interesse della famiglia. Ma c’è il dovere di solidarietà economica: sorge per effetto del vincolo matrimoniale non
cessa con la separazione, ma è tramutato con qualcosa di diverso. Se prima si traduceva nella cooperazione quotidiana,
dividersi il budget etc., ora si tramuta in un altro provvedimento perché con la separazione i coniugi restano coniugi,
non cessano i doveri di solidarietà economica, ma mutuano.
Come muta questo obbligo di solidarietà? Dipende come la separazione sia avvenuta: con (lamenta che l’altro coniuge
ad aver provocato l’intollerabilità della convivenza violando uno o più obblighi) o senza addebito (nessuno ha da
lamentare l’accusa di aver violato uno o più doveri provenienti dal matrimonio).
Se separato senza addebito: si ha diritto all’assegno di mantenimento per il coniuge più debole, assegnazione della casa
familiare specialmente se a quel coniuge viene collocato la prole minore e la sopravvivenza di alcuni diritti di stampo
previdenziale come la pensione di reversibilità e diritti successori. È una posizione simil coniugale.
Separato con addebito: non ha diritto all’assegno di mantenimento anche se economicamente più debole ma ha soltanto
diritto agli alimenti solo in caso in cui è in stato di bisogno (deve non essere in grado di procurarsi un reddito). Gli
alimenti sono solo lo stretto necessario per restare in vita. Non ha diritto all’assegnazione alla casa familiare e non ha
diritti successori. È possibile che sia passibile di condanna o risarcimento del danno nel caso in cui la violazione degli
obblighi matrimoniali che sono la causa della separazione.
Molte di queste norme sono state dichiarate illegittime dalla corte costituzionale. A seguito di alcuni interventi della
corte costituzionale in materia, il coniuge separato con addebito, qualora versi in stato di bisogno, ha diritto alla pensione
di reversibilità e altre indennità previste in favore del coniuge superstite.
Con riferimento ai figli: la separazione non incide la responsabilità genitoriale nè sugli effetti patrimoniali da essa
derivanti. Tutti e due i coniugi, a seconda della modalità stabilite, hanno obbligo di mantenimento sui figli.
Assegno di mantenimento per coniuge separato senza addebito: risponde ad una logica solidaristica (stessa logica che è
la cooperazione coniugale). L’assegno di mantenimento per il figlio è deciso in ufficio, è una richiesta superiore.
L’art.156: deve essere su richiesta del coniuge economicamente più debole e che non dispone di reddito proprio. Non
ha funzione punitiva ma è un’estensione della logica solidaristica coniugale. Inoltre, l’altro coniuge deve essere in
condizioni economiche in grado di corrisponderlo.
Adeguatezza: adeguati redditi propri. Redditi=mezzi e sono adeguati se consentono di conservare il tenore di vita uguale
durante il matrimonio. Sono adeguati i mezzi (reddito lavorativo, o altri mezzi) devono essere tali da consentire lo stesso
tenore di vita. Non basta avere un titolo di studio per percepire un potenziale reddito ma deve essere una valutazione
oggettiva: capacità, dedizione alla prole, condizioni di mercato e condizione di salute.
Sia l’assegno di mantenimento che l’assegno alimentare, vanno a rimarcare il carattere assistenziale: se da una parte c’è
l’assegno alimentare che è inteso come insufficienza di mezzi adeguati per vivere; dall’altra parte c’è l’assegno di
mantenimento che serve a rimanere con lo stesso tenore di vita che si aveva durante il coniugio.
Ne consegue che gli alimenti devono essere assegnati in misura proporzionale al bisogno di colui che li riceve e alle
condizioni economiche dell’obbligato: vitto, alloggio, cura della persona.
Questi provvedimenti sono presi rebus sic stantibus (ossia tenendo conto della condizione in cui sono stati presi e quindi
possono essere modificati con provvedimenti ad hoc in tribunale o con negoziazione assistita): se si fotografa un’altra
realtà può essere modificabile se sopraggiungono altre condizioni. Se la modifica dell’assegno è concordata, può
avvenire anche in sede di negoziazione assistita da uno o più avvocati.
La modifica dell’assegno deve tener conto di indicizzazioni per adeguare la misura dell’assegno alla svalutazione
monetaria.
L’adempimento può essere mensile, annuale, una tantum con un solo provvedimento.
In caso di inadempimento: sequestro di beni, reddito del coniuge direttamente traghettato. Tutti questi provvedimenti
patrimoniali vengono a cessare in caso di riconciliazione e la coppia torna unita e torna a coabitare. La dottrina qui si è
divisa per quanto riguarda la corresponsione una tantum: alcuni dicono che con la corresponsione una tantum, si è
adempiuto l’obbligo di mantenimento e che può essere integrato con una corresponsione alimentare solo se il
beneficiario risulti in stato di bisogno in tempi successivi; altri dicono che ciò può essere soggetto ad integrazione. Con
l’assegno un tantum si intende il trasferimento di beni immobili, mobili o capitali.
L’entità della corresponsione può essere anche decisa dai coniugi e poi omologata dal tribunale.
È ancora discusso se l’obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento decorre dalla data in cui i coniugi sono
autorizzati a vivere separati.
A lungo si è discussa anche la materia di assegnazione della casa familiare in assenza di figli: l’orientamento prevalente
nega che l’assegnazione della casa possa avere una funzione alternativa o sussidiaria dell’assegno di mantenimento e
che quest’assegnazione può solo incidere sul quantum dell’assegno come previsto dall’art. 337 sexies.
Effetti patrimoniali crisi della famiglia:
il divorzio rappresenta uno delle due cause di scioglimento del matrimonio, oltre che la morte. Il legislatore parla di
scioglimento del matrimonio.
Il matrimonio con il divorzio si scioglie e comporta differenti conseguenze rispetto alla separazione (conserva lo status
di coniuge separato).
Al coniuge divorziato spetta l’assegno post matrimoniale, diritto di assegno successorio; il diritto all’abitazione nella
casa familiare e il diritto alle prestazioni previdenziali. (doveri di solidarietà familiare alla base degli effetti patrimoniali
che conseguono il divorzio).
Il divorzio segna i termini dello scioglimento dell’eventuale comunione legale e dell’eventuale fondo patrimoniale. Le
ragioni di quella solidarietà post coniugale sono le basi dell’esistenza dell’assegno di divorzio. Con riferimento
all’impresa familiare, trovando il suo fondamento nel lavoro prestato in comune dai familiari, non cessa col divorzio,
ma la perdita di status coniugale determina lo scioglimento automatico del rapporto di partecipazione: ove vi fosse
accordo sulla prosecuzione dell’attività lavorativa dell’ex coniuge, continuerebbe con un altro titolo (lavoro
subordinato).
L’assegno di divorzio è una previsione eventuale che va presa su richiesta del coniuge a norma dell’art. 5 della legge
898 del 70. Il tribunale pronuncia la sentenza di scioglimento e tiene conto del contributo economico, del reddito di
entrambi, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o
comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. Questa norma fu molto criticata. Questo obbligo di somministrare
o periodicamente o una tantum un assegno a favore dell’altro è fondamento dell’assegno di divorzio. Quindi in sintesi,
su domanda di una parte, con la sentenza di divorzio il giudice può disporre a carico dell’ex coniuge, l’obbligo di
somministrare periodicamente o una tantum, un assegno in favore dell’altro che non abbia mezzi adeguati o che non
possa procurarseli per ragioni oggettive. (art.5 sesto comma legge sul divorzio).
Funzione e natura dell’assegno di divorzio: prima della riforma del 1987, erano tre le funzioni che si attribuivano
all’assegno di divorzio (natura composita dell’assegno di divorzio): una natura assistenziale( serve a mantenere lo status
quo, ossia la posizione e tenore di vita che già aveva), funzione compensativa (logica di compensare, di ricompensare
quello che più si dedicava alla famiglia o di annullare aspirazioni professionali) e perequative (ri livellare i rapporti tra
le due parti in modo che la vita matrimoniale e post matrimoniale non fossero esasperatamente differenti per uno dei
due coniugi per bilanciare il rapporto matrimoniale per i due membri della coppia). Quindi tra le tre possibili funzioni,
quella assistenziale è quella che è prevalsa. Con la riforma si è andati verso un mutamento della formula dell’assegno
secondo la quale l’assegno va corrisposto al coniuge solo quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati e non può
procurarseli in maniera oggettiva, evidenziando la natura di sostegno dell’assegno (natura esclusivamente assistenziale).
Per l’assegno bisogna tenere conto del contributo di entrambi alla famiglia, del tenore di vita, del reddito di entrambi.
Nel tempo c’è stata una sorta di ripensamento e di recente, in particolare nel 2017, c’è stato una sorta di ribaltamento
parlando solo di una logica assistenziale che doveva prevalere; l’idea che quindi l’assegno doveva essere corrisposto al
coniuge che doveva essere supportato e l’assegno è negato al coniuge che poteva procurarsi il reddito anche in sola
maniera potenziale. Il presupposto è l’indipendenza economica.
Col tempo però è arrivata una sorta di rivellamento verso le funzioni compensative e perequative: la corte di cassazione
ha stabilito che tra le funzioni dell’assegno di divorzio, ci devono essere sia una componente sia perequativa che
compensativa che assistenziale; bisogna verificare quanto le scelte di vita matrimoniale condivise abbiano incise non
solo sull’improduttività reddituale ma sulla produttività reddituale dell’altro, bisogna vedere se può lavorare ed in quali
tempi. Prima, solo per funzioni assistenziali; dopo logica composita.
Assegno di divorzio al coniuge che ne faccia richiesta e deve dimostrare che la sua disparità patrimoniale non è dovuta
all’inerzia ma alla sua volontà di dedicarsi alla famiglia. La conquista non era di consentire l’assegno solo a chi ne
avesse bisogno, ma indagare se chi ne aveva bisogno aveva contributo anche se in maniera indiretta alla famiglia,
tenendo conto non solo di possedimenti, ma anche l’idea che un coniuge non doveva essere penalizzato per aver
rinunciato alla sua capacità di produrre reddito a prescindere dalla sua eventuale ricchezza personale. La giurisprudenza
delle sezioni unite, a tal proposito, ha dato vita alla norma di cui parliamo, questa interpretazione tenendo conto di tutte
queste componenti: reddito, contributo, motivo del divorzio.
Si dispone l’assegno di divorzio al coniuge che non dispone di mezzi adeguati per averlo.
Per mezzi adeguati potevano essere considerati anche un patrimonio di base; a questa logica dobbiamo aggiungere anche
una logica compensativa (nota assistenziale combinata con quella perequativa e contributiva). È un concetto molto
ambiguo e lasciato indeterminato dal legislatore a causa delle opposte esigenze: da un lato quella di tutelare il coniuge
più debole; dall’altro si volevano attenuare gli effetti patrimoniali conseguenti al divorzio al fine di non contraddirne
l’essenza stessa. Al riguardo la giurisprudenza è stata molto ambigua: a volte intendeva con mezzi adeguati in maniera
assoluta e rigida intesa come impossibilità per il richiedente di condurre un’esistenza autonoma e dignitosa; talvolta si
è inteso come sproporzionalità tra i mezzi del richiedente e quelli dell’altro coniuge; infine, a volte si è inteso come
l’incapacità del richiedente di condurre un tenore di vita analogo a quello durante il matrimonio, anche se
economicamente autosufficiente (la più utilizzata dalla giurisprudenza).
In questi sensi rileva anche la durata del matrimonio: un matrimonio breve non ha inciso molto nel contributo familiare
o nella formazione del patrimonio.
Quanto? Tiene conto di parametri indicati all’art 6: reddito familiare, quanto è in grado il coniuge che deve pagarlo di
pagarlo economicamente, si tiene conto di quanto ha contribuito.
L’assegno è fissato nel momento in cui la determinazione è presa e la sentenza è emessa. Ci sono situazioni che possono
mutare in peggio o in meglio: l’assegno più sia aumentare che diminuire, quindi si può dire che l’assegno di divorzio si
rifà alla regola” rebus sic stantibus” (essere soggetto a modifiche). L’assegno può variare a seconda che migliori o
peggiori la situazione in merito alla mancanza di mezzi adeguati del beneficiario, oppure l’assegno può essere del tutto
eliminato, qualora le condizioni dell’obbligato si siano aggravate a tal punto da equivalere o essere inferiori rispetto a
quelle del ex coniuge. Il diritto alla cessazione inizia da quanto le condizioni economiche siano mutate.
Per modificare le scelte si può fare in sede giudiziaria o di negoziazione assistita ovvero davanti al sindaco. L’accordo
può cambiare: se cambia la situazione patrimoniale dei due coniugi, se il coniuge che percepisce l’assegno passi a nuove
nozze (cessazione con l’assegno perché c’è una nuova solidarietà coniugale).
L’assegno può avvenire periodicamente o una tantum quindi si parla di corresponsione una tantum (attraverso il
pagamento di una somma di denaro o il trasferimento di diritti reali su beni mobili o immobili). Se la liquidazione è una
tantum, questa determinazione è destinata a rimanere tale e non può essere modificata (scelta rischiosa). È possibile
anche prevedere dei criteri di adeguamento automatico senza ricorrere al giudice.
Nel caso in cui l’adempimento avvenga con assegno periodico, il giudice presuppone un criterio di adeguamento
automatico che tiene conto di eventuali svalutazioni della moneta. Il coniuge che si sottrae agli obblighi di
corresponsione è punibile per violazione degli obblighi di assistenza familiare.
Assegno in caso di istaurazione di una convivenza da parte del coniuge che percepisce l’assegno:
Se la convivenza di fatto ha caratteri di stabilità e continuità, comporterebbe una sorta di congelamento dell’assegno fin
quando la situazione non evolve o nelle nozze o nel nulla. Secondo un altro orientamento, verrebbe meno il presupposto
dell’accordo divorzile.
L’assegno può anche cessare se il beneficiario va a nuove nozze quindi l’obbligato viene meno agli obblighi assistenziali
della famiglia.
Causa di cessazione: morte del beneficiario o dell’obbligato. Se a decedere è il coniuge che lo dà, nasce il cosiddetto
assegno successorio.
Estinzione assegno: se ci fosse un ribaltamento della situazione patrimoniale si potrebbe ribaltare le condizioni. Ossia
se l’altro coniuge diventa economicamente più forte e fa venir meno i presupposti per i quali l’assegno era stato erogato.
Indennità di fine rapporto: i presupposti per questo diritto sono che l’altro ex coniuge beneficiario sia titolare
dell’assegno post matrimoniale e che non sia passato a nuove nozze. La nozione “indennità di fine rapporto” comprende
ogni attribuzione economica e le liquidazioni spettanti in seguito alla cessazione di rapporti di lavoro subordinato.
Quota spettante: 40% dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto è coinciso col matrimonio. Il trattamento
di fine rapporto (Tfr) è una somma di denaro corrisposta al lavoratore dipendente al termine del rapporto di lavoro
Effetti successori crisi della famiglia:
Il coniuge superstite separato senza addebito: il coniuge senza addebito conserva i diritti successori del coniuge non
separato (nell’ottica che la separazione non sempre sfocia nel divorzio ma potrebbe esserci una riconciliazione) quindi
è legittimario; ad esso spetta il diritto di abitazione se la casa era del defunto. Tale coniuge conserva il diritto di
abitazione sulla casa familiare se di proprietà del defunto.
Separato con addebito: il coniuge per la cui condotta è stata dichiarata la separazione e in questo caso lui ha diritto solo
ad un assegno vitalizio e perde i diritti successorio; ha diritto ad un assegno vitalizio se al termine di apertura della
successione e percepiva un assegno alimentare (il separato con addebito percepisce un assegno alimentare). Ratio: deve
essere versato solo in caso di bisogno perché quella solidarietà coniugale diventa solidarietà post coniugale.
L’assegno successorio: è l’attribuzione di un diritto particolare ex legis; il coniuge non deve prescrivere un testamento:
al coniuge separato spetta un assegno successorio. È determinato in base del patrimonio ereditario e tenendo conto del
numero e della qualità degli eredi. La sua entità non può superare quella dell’assegno alimentare goduto. Il diritto
all’assegno successorio si estingue col venir meno dello stato di bisogno del beneficiario o con la sua morte.
A seguito di alcuni interventi della corte costituzionale, si ritiene che il coniuge separato con addebito, avente diritto
agli alimenti a carico del coniuge deceduto, ha diritto alla pensione di reversibilità e alle altre indennità: Si ha quindi il
diritto alla pensione di reversibilità ed indennità previste dalla legge.
In entrambi i casi, quindi, separazione con o senza addebito, il legislatore vuole una sentenza non più suscettibile ad
essere impugnata, quindi vuole la presenza di una sentenza passata in giudicato.
Diritti successori coniuge divorziato: ha perso lo status di coniuge e con la pronuncia di divorzio si perdono i diritti
successori.
Non è un legittimario e non è un successore legittimo: la legge non gli riserva una quota. Ma il legislatore prevede la
possibilità di attribuire un assegno periodico legato alla coesistenza di prerequisiti (deve essere stato titolare dell’assegno
di divorzio, non deve essere passato a nuove nozze, deve versare in stato di bisogno- solidarietà post coniugale-). Se
non ha questi prerequisiti non ha diritto a nulla.
Entità: si deve tenere conto del numero di eredi, di quanto sia la sua pensione etc. ha una funzione assistenziale perché
presuppone lo stato di bisogno. L’assegno si estingue con la morte del beneficiario o con il ribaltarsi dello stato di
bisogno.
Pensione di reversibilità: ha natura assistenziale e previdenziali. Il fondamento è proprio il dovere di solidarietà
familiare. È una prestazione di natura previdenziale che spetta al coniuge superstite o ad altri congiunti in caso di morte
del dipendente pubblico o privato, che in vita fosse titolare di una pensione ordinaria o privilegiata (invalidità, vecchiaia,
anzianità) o coperto da un’assicurazione sociale. Per aver diritto a tale pensione, occorre che tale rapporto lavoristico
sia sorto antecedentemente al divorzio. Nel caso in cui non vi sia un coniuge superstite, il coniuge divorziato ha diritto
all’intera pensione di reversibilità (sennò il tribunale divide la pensione). Nel caso di spartizione, si deve tener conto
della condizione economica delle parti, l’entità dell’assegno di divorzio, procreazione di figli, assistenza prestata al
coniuge fino alla morte.
Al coniuge divorziato titolare di un assegno, spetta anche il diritto ad altri assegni: per esempio indennità di morte o
indennità premio di servizio.
Separazione di fatto: cessazione della convivenza non formalizzata da accordi o sentenze, ma è solo nei fatti. Se non è
formalizzato è valutare il motivo: se non è stata voluta da entrambi i coniugi e dal venir meno della volontà di convivere
abbiamo una vera separazione di fatto; se c’è l’allontanamento ingiustificato (ragione non fondata da scelte professionale
etc.) di un coniuge dalla casa coniugale c’è una violazione del tetto coniugale e dell’obbligo di coabitazione e comporta
il venir meno di assistenza materiale e morale in capo all’altro, inoltre il giudice può predisporre il sequestro dei suoi
beni. La legge tace sugli effetti patrimoniali della separazione di fatto. Nel caso di volontà di separazione vera e propria
la violazione del tetto coniugale può essere motivo di addebito.
Se c’è però cessazione concorde della convivenza permane senza dubbio l’obbligo di contribuzione; per altri invece,
tale obbligo si convertirebbe in obbligo di mantenimento. Giurisprudenza e dottrina si sono spesso interrogati
sull’efficacia di tali accordi non sottoposti al controllo del tribunale, i c.d. accordi non omologati. La soluzione più
accreditata distingue gli accordi patrimoniali destinati a regolare i rapporti coi figli da quelli destinati a regolare i rapporti
tra i coniugi.
La giurisprudenza, con sentenza del 2015 (Cass. Civ., Sez. III, n. 24621/2015), ha stabilito che tali accordi sono possibili,
però possono riguardare solo i diritti disponibili, ovvero quelli di natura sostanzialmente patrimoniale:
“L’accordo tra le parti in materia di regolamentazione delle condizioni di separazione dei coniugi, per la parte
disponibile, ha effetto anche se non è stato trasfuso in un atto sottoposto al giudice per l’omologazione, avendo natura
negoziale tra le parti“.
Possibilità di stipulare accordi in vista del divorzio: accordo in vista del divorzio, sarebbero accordi con i quali le parti
di futuri sposi o coniugi decidono di stabilire il regime giuridico dell’eventuale divorzio. Da sempre il nostro
ordinamento non li riconosce in maniere esplicita: la loro validità p stata negata in ragione dell’annullità per illeceità
della causa (la causa è la ragione che giustifica lo spostamento patrimoniale del contratto). Un’ipotesi del genere, che
aiutasse le parti a stabilire prima le conseguenze patrimoniali della crisi del loro matrimonio, è stata ritenuta illecita
perché già le parti prefigurano le conseguenze patrimoniali della loro crisi del matrimonio, ma anche perché sarebbe
contrario all’ordine pubblico atteso che il divorzio incide sullo status dei coniugi modificandolo; allora un accordo tra
privati possa in qualche misura gestire la modifica dello status è ritenuto contrario al nostro sistema di principi, dove è
sempre ribadito che lo status siano status indisponibili ossia non negoziabili (possiamo decidere se acquisire uno status,
ma non si può negoziare, i privati non possono gestire le conseguenze della modifica dello status). Quest’accordo può
ritenere la modifica di uno status anche molto condizionante e non di libera determinazione. Non si possono prevedere
le conseguenze del divorzio.
ACCORDI IN VISTA DEL DIVORZIO:
Validità degli accordi al momento del divorzio: quando la crisi si è già conclamata; allora lì l’accordo può essere
un’ottima soluzione per accelerare la lite giudiziaria come per la negoziazione assistita. Questi accordi sono diretti a
fissare il regime patrimoniale di un eventuale futuro divorzio. La giurisprudenza ha sempre negato la validità di questi
accordi, sancendone la nullità per illiceità della causa.
Da molto si discute di non fare distinzione tra accordi prima o durante la crisi: molti disegni di legge per modificare il
codice civile che ammette accordi pre matrimoniali. Una giurisprudenza un po' aperta ha dichiarato la validità prima del
matrimonio in vista del divorzio che fossero molto bilanciati in cui aspetti patrimoniali erano regolati prima della crisi
ma in maniera bilanciata e quindi a volta quando erano proporzionali, la crisi di matrimonio era stata degradata a mera
condizione; ossia noi stabiliamo quest’accordo economico nel caso in cui divorzieremo. In un’ottica di valorizzazione
maggiore dell’autonomia privata all’interno della famiglia un certo ambito di accordi prematrimoniali troveranno
accesso nel nostro ordinamento. In molto ordinamento hanno preso piede come in quello anglosassone.
La dottrina si è molto dibattuta dicendo che la natura di questi accordi non riguardano affatto uno status, ma
semplicemente l’assetto dei rapporti economici, successivi al divorzio. Inoltre, questi patti sono rebus sic stantibus.
A partire dagli anni duemila, essendosi moltiplicate le critiche alla dottrina, la giurisprudenza ha iniziato a mostrare i
primi segnali di apertura. Tali segnali, si sono manifestati in pronunce, nella quali è stata ammessa: la validità
dell’accordo di trasferimento in favore di uno dei coniugi della proprietà di beni mobili o immobili. La cassazione ha
affermato che il principio della nullità degli accordi trova fondamento nell’esigenza di tutelare il coniuge
economicamente più debole. Da ultimo, la suprema corte, pur continuando a proclamare in astratto il principio di nullità
di tali accordi ne ha ristretto ulteriormente l’ambito applicativo, dichiarando che essi sono nulli quando intendono
regolare l’intero assetto economico dei coniugi. Sono validi se prevedono criteri proporzionali.
Effetti patrimoniali invalidità del matrimonio:
l’atto perde efficacia fin dall’inizio (ciò che è nullo, non avrebbe dovuto esserci). Si finge quindi che non sia stato mai
celebrato in linea teorica. Dato che il matrimonio fa nascere legami personali, non tutti gli effetti prodotti dal matrimonio
ritenuto invalido vengono cancellati.
Sul piano degli effetti: il matrimonio è annullato fin dall’inizio ed è come se le parti non lo avessero stipulato. Altri
effetti sono trattati all’art. 128/129: diventa rilevante che il matrimonio concluso in difetto dei requisiti all’art. 124 e
seguenti, fosse noto a uno dei due coniugi; un matrimonio in buona fede comporta un trattamento indifferente.
Si parla di matrimonio putativo: dichiarato invalido ma vengono conservati alcuni effetti. È valido fino alla sentenza di
nullità ed è trattato come un matrimonio che viene sciolto in seguito. I motivi è che il matrimonio viene fatto in buona
fede, ossia che i coniugi erano ignari delle cause di nullità. Oppure un terzo che li minaccia per farli sposare. Il legislatore
ha chiamato un matrimonio putativo, quel matrimonio dichiarato nullo ma contratto da almeno un coniuge in buona
fede.
In questo senso sono salvaguardati effetti della nullità. Per i figli non deve cambiare nulla, non inciderà sulla presunzione
di paternità: anche se gli sposi non erano sposi ai sensi di legge, rende i figli nati all’interno di quel matrimonio sono
tali.
Se il matrimonio è dichiarato invalido per incesto, cambia la disciplina relativa alla prole. Qui non dipende più dalla
buona o dalla mala fede bensì dai limiti di cui all’art. 251. Il figlio nato da genitori legati da vincolo di parentela può
dunque essere riconosciuto “previa autorizzazione di un giudice”.
L’invalidità del matrimonio comporta l’invalidità delle donazioni obnunziali, che devono essere restituite.
Matrimonio contratto in malafede: effetti di invalidità non toccheranno mai i figli. I figli non possono subire effetti
pregiudizievoli che vanno ad inquinare il matrimonio dei genitori.
Per quanto riguarda i genitori, è importante la distinzione tra buona e malafede: il matrimonio putativi postula che
fossero in buonafede. Se sono in buonafede, in caso di morte, il coniuge superstite non perde gli effetti successori solo
se l’invalidità è espressa dopo la morte di un coniuge. Se invece l’invalidità è espressa prima della morte del coniuge,
lo preclude dagli effetti successori (perché quel coniuge non è più tale).
Tutto lo spostamento di denaro in corso di un matrimonio poi dichiarato invalido, sono rimaste ferme e non travolte
dalla sentenza di nullità.
Effetti: Scioglie la comunione legale e il fondo patrimoniale ove vi fosse. Gli effetti patrimoniali in linea di massima.
Art. 129: tutti e due in buona fede ignoravano le cause di annullamento di matrimoni, il giudice può disporre su uno di
essi, somme periodiche per soli di anni se non dispone di un reddito proprio o se non dispone a nuove nozze. Si parla di
indennità. Abbiamo un’ipotesi minore rispetto all’assegno di separazione o di divorzio. L’annullamento è come se
facesse venir meno la ragione fondante del matrimonio.
In caso di matrimonio concordatario: La sentenza pronunciata dal tribunale ecclesiastico può essere recepita attraverso
un processo di delibazione (dà ingresso da una sentenza dell’ordinamento canonico al nostro). Questo processo è visto
con sospetto perché a differenza di divorzio o separazione, le sentenze di annullamento della Sacra Rota non dispongono
di effetti patrimoniali, quindi non accetta corresponsione. (mancata equiparazione normativa sul piano degli effetti
patrimoniali).
Giurisprudenza: matrimonio nullo ma durato molto tempo, non è possibile delibare la sentenza ecclesiastica nel nostro
ordinamento per evitare che vi sia scioglimento di fatto senza le stesse conseguenze patrimoniali. Ultimamente la corte
di cassazione, nel 2014) ha posto un limite alla delibazione della sentenza ecclesiastica a quando vi sia una prolungata
convivenza tra i coniugi (convivenza superiore a 3 anni e ci si deve rivolgere all’ordinamento italiano). Il giudice può
disporre una corresponsione periodica al coniuge che non dispone di adeguati redditi propri, ossia idonei a mantenere il
tenore di vita tenuto durante il matrimonio. Si tratta di un diritto che trova giustificazione nella solidarietà coniugale e
nell’esigenza di tutelare il coniuge di buona fede. Se invece solo uno dei due coniugi è in buona fede, l’altro coniuge,
deve corrispondergli una congrua indennità. Egli è inoltre tenuto senza limiti temporali a prestare gli alimenti, sempre
che ne sussistano i presupposti e che non vi siano altri obbligati.
CRISI DELL’UNIONE CIVILE:
l’unione civile e le ragioni della sua invalidità sono contemplate al comma quarto della legge 76 del 2016: sussistenza
vincolo matrimoniale, difetto libertà di stato, interdizione, rapporti di parentela e il limite del delitto. Quindi per contrarlo
ha gli stessi vincoli del matrimonio. È annullabile l’unione civile costituita da minor età, in presenza di impedimenti
dispensabili, costituita senza la formazione di un consenso libero e consapevole o per unione simulata.
L’invalidità è la stessa del matrimonio. Il richiamo alle norme sull’invalidità del matrimonio fatto in relazione agli stessi
difetti dell’unione civile, le troviamo al comma quinto.
Impugnazione: Dalla parte il cui consenso è stato estorto con violenza, dalla parte il cui consenso è stato dato per errore,
errore identità della persona. Non si può impugnare l’ipotesi di eterosessualità del partner. A tal proposito, il legislatore
ha fatto una gaffe, dicendo che i comportamenti di deviazione sessuale o i casi di anomalia siano ritenuti normali in caso
di coppia omosessuale.
La sentenza che annulla l’unione civile o che ne dichiara la nullità estingue il vincolo con efficacia retroattiva.
Scioglimento: ricalca il divorzio. Il comma 24 della legge 76: tra le parti manifestano disgiuntamente la volontà di
scioglimento dinanzi l’ufficiale dello stato civile. Lo scioglimento dell’unione civile è molto più semplice rispetto quella
del matrimonio. Lo scioglimento avviene dopo 3 mesi l’espressione della volontà.
Sono cause di scioglimento dell’unione: morte, dichiarazione di morte presunta, le cause previste dalla legge del
divorzio, ma non la causa per inconsumazione.
Lo scioglimento dell’unione civile non passa per la fase della separazione. Lo scioglimento può avvenire: dinanzi ad
un ufficiale dello stato civile sulla base di un accordo raggiunto tra le parti; quello contenzioso o su domanda congiunta.
Si applicano in quanto compatibili alcuni art. della legge sul divorzio.
Rinvio per tema di annullamento e rinvio in tema di norme per il divorzio.
Conseguenze: cessa lo status di unione civile e si riacquista lo status libero. Non è pensabile l’addebito: è improbabile
perché non c’è l’istituto della separazione in più molti obblighi non gravano sull’unione civile, come per esempio,
l’obbligo di fedeltà (l’eventuale mal condotta di tale obbligo non è considerato criterio). Non essendo possibile
l’addebito scatta qualche responsabilità di una delle parti che hanno violato alcuni obblighi? Non ci sono pronunce. È
possibile che siano addebitate responsabilità in tema di risarcimento (art.2043) per le violazioni di obblighi che derivano
dallo statu di famiglia.
Effetti patrimoniali: stessi del divorzio. È possibile un assegno nel caso in cui ricorrano i prerequisiti che sono gli stessi
per il divorzio, diritto all’indennità di fine rapporto, assegno periodico a carico dell’eredità in caso di morte di una ex,
diritto alla pensione di reversibilità e altre indennità previste dalla legge.
Convivenza: è facile farla e scioglierla. La convivenza che è stata formalizzata, non richiede formalità lo scioglimento.
Un altro modo per scioglierla è la morte di una delle due parti o la contrazione di matrimonio. Non è richiesta alcuna
formalità per sciogliere la convivenza.
I diritti che nascevano dalla convivenza vengono meno. I figli, stessi diritti. Quando la crisi investe due genitori, il
trattamento dei figli sarà uguale.
Diritti dell’ex partner: in caso di cessazione della convivenza di fatto (ultimo comma Legge Cirinnà), il giudice stabilisce
il diritto del convivente di ricevere alimenti se versi in stato di bisogno.
Alimenti= sussidio che nasce in ragione di un certo rapporto e dall’impossibilità di provvedere da sé.
LE SUCCESSIONI:
Il c.c. ha 6 libri:
1- Persone e famiglia
2- Successione
3- Proprietà
4- Obbligazione
5- Materia societaria del lavoro
6- Tutela dei diritti
La persona quando decede, apra il fenomeno successorio. Il libro secondo è dedicato alle successioni e si chiude con
una parte relativa alle donazioni.
Il libro secondo è costituito a sua volta in titoli e capi. Il libro secondo ha 4 titoli:
1- Dedicato alle disposizioni generali: dall’art 456 in poi. È una parte di regole che valgono indistintamente. Indica
quali son i soggetti, i destinatari e chiude con la tutela dei soggetti legittimari, ossia i destinatari di una quota legittima
che non può non essere offerta ai successibili.
2- Successioni legittime, ossia regolate dalla legge quando non vi sia un testamento o testamento che contempli
tutti l’asse. La legge regola chi deve subentrare alla successione del defunto.
3- Successioni testamentarie, se c’è un testamento e cosa prevede in ambito testamentario.
4- Divisione, ossia al momento che, una volta individuati i soggetti destinatari del fenomeno successorio, come
dividersi questo patrimonio che si è ereditato. De cuius è un modo elegante per indicare il defunto.
Fenomeno successorio: deve esserci la morte di una persona fisica. È possibile teoricamente ipotizzare la morte di
organismi non viventi come società, enti e in questo caso non si ha la morte ma lo scioglimento. La persona fisica che
decede e si apre la successione. La morte è considerata coincidere con il fatto naturale della cessazione irreversibile
delle funzioni dell’encefalo.
Il fenomeno successorio si apre e scatta del tutto automatico. Il complesso delle posizioni giuridiche rivestito di un
soggetto in vita, devono trovare una nuova posizione e non possono rimanere vacanti: si deve trovare un titolare. Bisogna
trovare uno o più titolare delle situazioni giuridiche attive o passive
Beni caduti in successione: non solo di patrimonio in senso materiale. La vicenda successoria è più complicata di questo:
tocca e coinvolge tutte le situazioni giuridiche attive o passive che prima erano al de cuius. Ci sono situazioni giuridiche
soggettive che non sono trasmissibili agli eredi e non avranno un nuovo titolare perché si estinguono col precedente,
muoiono con lui (la proprietà si trasmette, usufrutto uso e abitazione si estinguono con la morte del titolare).
Dell’usufrutto (diritto di godere un bene altrui) è un diritto che al massimo come durata può avere la vita
dell’usufruttuario. Se usufruiva di una casa, questa casa alla sua morte, la casa torna nelle mani del proprietario.
I diritti della personalità sono i diritti propri della persona come nome, immagine, identità, salute, sono diritti che se ne
vanno col loro titolare perché non c’è più il soggetto che potrebbe farli valere.
Tutti gli obblighi vengono trasferiti? Non necessariamente. Non sono soggetti a trasferimenti obblighi che postulavano
un legame col de cuius, che venuto meno il legame col de cuius si scioglie e ne cessa il diritto sottostante. Per esempio,
gli obblighi alimentari o gli obblighi legati ad una particolare posizione (corresponsione in caso di divorzio, se viene a
mancare colui che lo deve corrispondere, allora cessa).
La successione: trovare nuovi titolari per situazioni che erano in capo ad un soggetto che ha cessato di vivere.
Art.456: momento della morte lega l’apertura del fenomeno. La successione si apre nel luogo dell’ultimo domicilio del
defunto.
Art.457: delazione eredità. L’eredità si devolve per legge o per testamento. Ci dà l’ingresso nella disciplina. La delazione
ereditaria è la devoluzione e trasferimento di quel complesso di situazioni attive e passive che erano capo del de cuius.
La delazione costituisce anche l’offerta dell’eredità: c’è una massa di diritti e doveri. La vocazione ereditaria è il titolo
giuridico in base al quale uno o più soggetti sono chiamati all’eredità, chiamati ad accettare l’eredità. La vocazione
individua i soggetti che sono chiamati ad accettare l’eredità. Per eredità si intende il complesso di situazioni attive o
passive prima facenti capo al de cuius.
Come può avvenire la vocazione?
• Legittima: quando la legge stabilisce chi succede al de cuius.
• Testamentaria: quando c’è un testamento valido che dica chi deve essere chiamato. Individua i successibili.
Trasmissione patrimonio regolata dal testamento e dalle ultime volontà del de cuius.
Si può quindi parlare di vocazione testamentaria o vocazione legale.
Se il deceduto muore senza aver fatto un testamento valido o senza averlo proprio fatto, si apre una successione abin
testato. Se lo ha fatto ma ha incluso solo una parte dei beni perché non li aveva o perché non gli interessavano altri beni:
se non comprende l’intero asse ereditario, si apre una successione legittima ove la legge dice l’elenco di soggetti
titolari di accettare l’eredità. Se non c’è un testamento valido, allora si apre la successione legittima.
Art. 457 ultimo comma: c’è una categoria di soggetti che sono destinatari della cosiddetta quota di riserva, ossia sono
stati talmente vicino al de cuius (coniuge, figli, discendenti, o ascendenti se non ci sono discendenti) che sono legittimari.
Quota di riserva: quota del patrimonio che l’ordinamento riserva destinata a questa categoria di soggetti. Se il de cuius
nel testamento ha lasciato tutto in beneficenza non può essere accettato il testamento. I soggetti scavalcati da tizio dal
testamento potranno esercitare una specifica azione giudiziaria per prendersi e ottenere la quota che non è stata assegnata
col testamento e che ha comportato la lesione della loro legittima.
Successione e fisco: dal 2001 al 2006 è stata abolita l’imposta di successione che ora è vigente. Comporta un prelievo
fiscale dello stato rispetto a questa acquisizione gratuita di questo patrimonio arriva nella sfera giuridica dei destinatari,
incrementando la loro posizione patrimoniale. Su questo beneficio, che può essere minimo o massimo, lo stato impone
un prelievo fiscale, graduato dal grado di vicinanza al de cuius.
La ratio: logica di tipo solidaristico ed è una tassa predisposta per redistribuire, a vantaggio dello stato, questa
circolazione della ricchezza che arriva gratuitamente.
L’ambito familiare è quello che la legge vede per la successione.
Con la riforma del 1975, c’è stata una piena equiparazione dei figli e dei coniuugi. All’ambito familiare dobbiamo
aggiungere gli uniti civilmente che godono di stessi diritti successori. La convivenza di fatto, dal punto di vista
successorio fa solo percepire il diritto di abitare nella casa per un determinato periodo di tempo e in caso di contratto di
locazione consente al convivente di succedere al contratto. Il convivente potrebbe essere anche scavalcato dal coniuge
separato in ambito successorio. Il problema è stato che molti hanno abusato della convivenza e delle cosiddette
successioni anomale.
Con il riconoscimento delle unioni civili, gli uniti civilmente hanno gli stessi diritti successori
I beni caduti in successioni sono beni al netto di debiti. Ma comprende anche i beni cui il defunto ha disposto in vita a
titolo di donazione. Il patrimonio sul quale si calcolano i diritti dei legittimari non coincide con il patrimonio relitto sul
quale si apre la successione.
2 tipi di donazioni: a titolo universale (totalità della quota all’erede) o a titolo particolare (subentro di un singolo diritto
che non sono quota dell’intero compendio).
Art. 458: divieto a patti successori, ossia accordi diretti a disporre contrattualmente degli effetti della successione,
avendo ad oggetto la attribuzione dei beni dopo la morte del titolare. Questo divieto è discutibile, perché in alcuni paesi
dell’UE questi accordi sono validi.
Il trust è un istituito nato nei paesi di common law ed è volto a stabilire le modalità di trasmissione della ricchezza dopo
la morte.
Il regolamento comunitario, nel riflettere la sempre più diffusa mobilitazione delle persone all’interno della comunità,
reca una disciplina molto articolata in merito all’individuazione della legge applicabile alla successione, con
collegamento basato sulla residenza abituale al momento della morte. Un cittadino con più cittadinanze può scegliere la
legge di uno qualsiasi degli stati di cui ha la cittadinanza al momento della scelta o al momento di morte.
CAP. 10
Doppia fonte di delazione: o la legge elegge le categorie di soggetti (coniuge e parenti in linea retta con i gradi dal primo
al sesto) oppure il testamento è il negozio giuridico che il de cuius ha scelto di redigere per decidere lui stesso chi
chiamare ad ereditare.
Divieto patti successori: previsto nell’art. 458. Tranne il caso di un’eccezione che si parla di patto di famiglia per la
trasmissione di un’impresa, sono nulli i patti di successioni. I patti successori sono accordi che fatti in vita tra soggetti,
almeno due, e in vista di una futura successione dispongono prima come regolarla. 3 tipi di patti successori:
• Istitutivi: accordi con i quali due soggetti decidono come redigere il testamento. Due decidono di nominarsi
entrambi uno erede dell’altro. Si parla dell’istituzione dell’erede. Invece di essere contenuta in un testamento, viene
contenuto in un patto. Per esempio, si parla di testamento reciproco. Il codice vuole o la legge o il testamento siano le
fonti che offrono l’eredità. Se fosse possibile questo tipo di accordo, quando posso andare a redigere questo testamento,
se fosse valido il patto stipulato, sarei obbligata a stipulare erede tizio venendo meno la mia libertà testamentaria (fino
all’ultimo istante di vita posso revocare o modificare il mio testamento).
• Dispositivi: uno o più soggetti si accordano per disporre di diritti su una successione che non si è ancora aperta,
per esempio disciplinano l’alienazione di un bene che potrebbe pervenire. L’ordinamento rifiuta accordi che dispongano
di patrimoni ancora non pervenuti ma che si spera di ricevere. Non ammesso perchè è una situazione di mera aspettativa
e non è ancora un diritto. Anche se sono certa di essere chiamata ad ereditare, non sono certa di quantità di patrimonio.
Ogni atto dispositivo, l’ordinamento lo rifiuta. Quando si aprirà la successi9one posso accettare, rifiutare, alienare etc.
• Rinunciativi: uno o più soggetti si impegnano a rinunciare ai diritti che deriverebbero da una successione non
ancora aperta. Se non è ancora aperta, perché la persona è ancora in vita e ancora titolare di quel patrimonio,
l’ordinamento rifiuta che possa divenire oggetto di successione queste situazioni giuridiche ancora incerte.
L’ordinamento non vuole che rinunci ad una posizione non ancora acquisita. Quando l’ordinamento mi consentirà di
rinunciare, devo essere a corrente della consistenza del patrimonio e essendo in vita ancora quella persona, non potrò
mai conoscere la consistenza. Ogni rinuncia preventiva è esclusa totalmente dall’ordinamento.
Due tipi di successione: come un soggetto può subentrare nel patrimonio di un altro che è defunto? I due tipi di
successione sono l’istituzione di erede e il legato. Tipi di successioni differenti con conseguenze differenti. L’eredità
una successione a titolo universale, mentre il legato è un tipo di successione a tipo particolare.
Titolo universale: L’erede subentra nel patrimonio del defunto in tutto o in parte, ma in una quota del tutto (non vuol
dire che deve essere l’unico). È una posizione che gli consente di acquistare la totalità delle posizioni giuridiche
soggettive la totalità o una loro quota delle posizioni che facevano capo al de cuius. Non necessariamente l’interno, ma
anche una quota dell’intero. Consente di acquistare la qualità di erede che entra nella titolarità del patrimonio del de
cuius o di una parte del tutto, di una quota.
Legato è a titolo particolare ossia non universale. Il legatario subentra in una articolare situazione acquistando la titolarità
di un singolo bene. Non ha la posizione di erede. Il legatario non acquista la qualità di erede EX. Eredità di un soggetto
che istituisce erede con un testamento la figlia e la vedova, lasciando tutto a loro tranne che un pianoforte che viene
lasciato a titolo di legato ad un’allieva di piano. L’allieva diventerà legataria e non erede. L’allieva ha acquistato la
titolarità di un bene dell’eredità. Ma se il patrimonio consta di solo il pianoforte allora si parla di erede. Si parla di un
singolo bene o di un singolo diritto.
Modo di accettazione: si diventa eredi se si accetta l’eredità, quindi occorre l’atto di accettazione. Bisogna volere di
acquistare quel titolo, ossia la qualità di erede, non acquisisco solo il patrimonio attivo ma acquisto anche la relativa
quota di eventuali debiti, ossia in ambito passivo. Dove prima c’era il de cuius subentrano gli eredi. Il de cuius aveva
diritti ma probabilmente anche debiti. Quindi gli eredi se accettano, saranno gravati dai debiti. Se si vogliono pagare i
debiti solo da quanto ricevuto dall’eredità lo si può fare. Oppure si potrebbe rispondere anche col patrimonio personale.
L’accettazione può essere implicita o esplicita e comporta l’acquisto del patrimonio ereditario.
Art 553: l’erede può chiedere il riconoscimento della sua qualità contro chiunque possieda… beni ereditari, allo scopo
di ottenere la restituzione dei beni medesimi, rivendicando i beni dell’eredità.
L’erede corrisponde all’esigenza di continuità nella titolarità dei diritti e dei rapporti che l’ordinamento ritiene
ineliminabile.
Il legato invece, si acquista in maniera differente. L’acquisto del legato è in maniera automatica. Il legatario si prende
solo il bene che gli è stato lasciato. (art. 649). Il legato si acquista in maniera automatica, senza fare nulla. Al momento
della morta, si troverà proprietario. Nel nostro ordinamento però dice che nessuno può essere beneficiato se non lo
voglia, così per il legato. Quindi se non vuole questo bene, può rinunciare. Lo acquista in via automatica ma potrà evitare
di diventarlo se lo rifiuterà. Quindi non si grava sul soggetto dei debiti gravanti sull’eredità (se il bene è gravato da
qualche peso, per esempio c’è da pagare l’ultima rata di…, allora questo tipo di debito lo vincola solo nei limiti della
cosa ricevuta. È escluso che il patrimonio personale precedente del legatario ante successione non potrà essere intaccato
da nessun credito che sia legato al bene con debito).
Si parla di “qualità” di erede individuando una situazione giuridica soggettiva, autonoma, rispetto quelle presenti nel
patrimonio del defunto e delle quali il de cuius era titolare.
Mentre l’erede continua il possesso del de cuius, il legatario aggiunge al suo possesso quello del suo autore. Il legatario
acquista solo a titolo derivativo soltanto ciò che costituisce oggetto del legato solo quel bene specifico. L’erede invece
succede totalmente o pro quota
Erede apparente, è una figura intesa come proiezione del principio dell’apparenza giuridica on una situazione tale da
giustificare l’affidamento del terzo il quale acquisti il diritto da chi appare in grado di disporne in base a circostanze non
equivoche. Abbiamo quindi due figure di erede apparente, quello dell'art. 533, e quello dell'art. 534, solo che nel primo
caso è ancora nel possesso dei beni ereditari, ( e l'erede vero "se la prende" con lui), nel secondo caso l'erede vero non
agisce contro ( o solo contro), l'erede apparente, ma contro i suoi aventi causa, e quindi la figura dell'erede apparente
vale più nei confronti dei terzi, che hanno acquistato da chi diceva di essere erede.
L'erede vero può quindi recuperare i beni che ora sarebbero di terzi, rispetto all'erede apparente, ma questi terzi possono
vittoriosamente resistere all'azione dell'erede (vero), e alle condizioni che abbiamo già visto parlando della petizione
dell'eredità contro i terzi.
C’è anche la figura del legato all’eredità: ossia colui che è indicato quale erede ma non ha ancora conseguito tale qualità
perché non ha accettato. In questo caso la delazione è differita ad un momento successivo. Possono esserci difficoltà nel
rintracciare il chiamato all’eredità perché non se ne conosce il domicilio o perché assente. In questi casi si può parlare
di eredità giaccente e il tribunale può nominare un curatore dell’eredità. Questa figura, che è un soggetto estraneo alla
delazione gli viene affidato l’incarico di procedere all’inventario dei beni caduti in successione, di amministrare il
compendio, procedere a pagamenti debitari su autorizzazione del tribunale. Ha un compito di gestone del compendio
ereditario.
Infine, presentiamo la figura dell’esecutore testamentario che può nominare colui che sottoscrive il testamento, affinchè
siano nominata una persona che si accerti che venga espressa questa sua ultima volontà. Sia l’esecutore testamentario
che il curatore dell’eredità giaccente devono essere titolari di un ufficio di diritto privato.
Quindi l’erede succede in tutto il patrimonio o in una sua quota; il legatario invece è un successore a titolo particolare
subentrando a singoli diritti soggettivi perché così ha disposto per lui il de cuius nel testamento. A differenza del legato
che si acquista automaticamente, salvo rinuncia, l’eredità esige un’accettazione più consapevole come ci dice l’art 459.
L’effetto dell’accettazione risale al momento in cui si apre l’accettazione: una volta l’eredità sia accettata, l’accettazione
retroagisce al momento dell’accettazione. La posizione del soggetto essere individuato come possibile erede ma che
ancora non ha acquistato questa posizione, è una posizione ancora provvisoria individuando il soggetto come un
chiamato all’eredità. Il destinatario della delazione può non avere deciso se accettare ed è in una posizione intermedia:
potrebbe acquistare queste situazioni giuridiche ma che ancora non le ha accettate allora si chiama chiamato all’eredità.
La posizione del chiamato all’eredità è una posizione di aspettativa: rispetto a quella di diventare erede è un’aspettativa
perché ancora non è titolare dei beni e ance per la consistenza dei beni di cui potrebbe diventare titolare. Potrebbe ancora
non conoscere l’entità e la consistenza. La posizione del chiamato è una posizione intermedia perché deve evolvere in
accettante o rinunciante. L’erede una volta divenuto tale non può tornare indietro. Il termine per accettare o meno è di
10 anni (lasso di tempo nel quale l’eredità ancora non ha trovato un nuovo successore). In questo lasso in cui il chiamato
ancora non ha accettato, cosa può fare? Ce lo dice l’art.460 c.c.:
Art. 460: ci dice i poteri del chiamato all’eredità. Il chiamato che sta ancora valutando se gli conviene accettare o meno,
durante questo lasso di tempo, può capitare che i beni siano occupati perché magari i beni mobili erano in mano altrui.
Allora rispetto a quest’azione, il chiamato sa che queste cose sono in mani ad un terzo e potrebbe esercitare le azioni
possessorie riprendendo il possesso di quei beni. Può esercitare un ruolo di amministrazione dei beni o di vigilanza di
quei beni; potrebbe anche vendere quei beni che non è possibile conservare: un campo agricolo, per esempio che già ha
prodotto dei frutti al momento di apertura della successione allora l’ordinamento prevede che il provvedimento di vender
questi frutti può essere presa anche dal chiamato. La posizione del chiamato deve sciogliersi e deve evolvere (non
sempre è facile determinare il chiamato). Nel mentre l’eredità è giacente nell’attesa che vengano individuati i chiamati:
art.528 l’eredità giacente è curata da un curatore (quando il chiamato non è in possesso dei beni ereditari allora l’eredità
è amministrata da un curatore); il tribunale nomina un curatore per conservare il patrimonio in essere. Il curatore deve
essere un terzo, non possibile chiamato, estraneo alla delazione e che si curerà dell’eredità giacente per rispondere alla
gestione del patrimonio. L’obbligo deve fare l’inventario, vigilare, deve recuperare e conservare la massa ereditaria, può
pagare anche debiti ereditari su autorizzazione del tribunale. L’ufficio del curatore è un ufficio di diritto privato perché
è un incarico di privato perché è per un interesse di un privato e il curatore non ha nessun interesse personale. Il curatore
compie gli atti urgenti di amministrazione nell’attesa di individuazione dei chiamati.
L’esecutore testamentario invece è una figura analoga disciplinata dall’art.700: il testatore può nominare umo o più
esecutori testamentari. Lui presuppone una successione regolata da testamento: è colui che deve dare esecuzione alle
disposizioni testamentario. Il de cuius può nominare una persona di sua fiducia che possa aiutare a gestire la vicenda
successoria curando che vengono eseguite le sue disposizioni. Deve essere un ufficio di diritto privato. Anche un
legatario o un erede può ricoprire questo ruolo. Deve essere coinvolto in tutte le vicende che lo riguardano. Conto,
esonero, retribuzione è gratuito ma l’esecutore può disporre un compenso. La differenza è che l’eredità giacente è
un’eredità cui non si sa bene a chi spetterà. Qui invece, il testamento dispone i chiamati.
Lasso di tempo in cui la successione si è aperta, ma non è ancora definita la trasmissione del patrimonio gravanti prima
sul de cuius ad altri soggetti. I chiamati hanno 10 anni per accettare e lasciare congelata la situazione.
Chi può succedere? I destinatari devono essere capaci di succedere. La capacità di succedere non coincide con la capacità
giuridica. Possono rientrare tra coloro in grado di succedere: i viventi al momento dell’apertura della successione, ma
anche coloro che a quel tempo siano stati solamente concepiti, purchè nascano vivi. Si ritiene concepito al momento
dell’apertura della successione si fa ricorso ad una presunzione legale: si ritiene concorrente alla delazione il nato entro
300 giorni dall’apertura della successione. Il testamento però può comprendere anche individui non ancora nati, né
concepiti da una persona vivente al momento dell’apertura alla successione. In questo caso però si è in una condizione
sospensiva.
Art. 462: sono capaci di succedere tutti coloro che sono nati e concepiti al tempo dell’apertura della successione ossia
entro i 300 giorni dalla successione. La legge stabilisce indicativamente che una certa data è il discrimine per stabilire
o meno una certa qualità: figlio o concepito; l’ordinamento ha bisogno di sapere la rosa di soggetti in grado di succedere.
L’acquista della capacità giuridica: si acquista al momento della nascita. È la capacità di essere titolare di azioni giuridica
soggettive. La capacità di succedere è più ampia della capacità giuridica ed è l’idoneità di diventare chiamato. La
capacità giuridica si acquista al momento della nascita come dice l’art.1 c.c. quello di succedere è un caso di quelli
rientranti nel secondo comma del primo articolo. Il diritto di succedere è subordinato al momento della nascita. Il diritto
di succedere si acquisterà in capo al soggetto nato: quando il soggetto nascerà potrà succedere.
Il testamento consente di istituire erede anche il nascituro non concepite designando eredi i figli di una persona vivente
al momento della sua morte. Possono ricevere per testamento, dato che si parla di una persona futuribile perché non
esiste, i figli di una determinata persona vivente alla morte del de cuius. Il de cuius potrebbe beneficiare tizi e i figli o
solo i figli (che potrebbe anche non venire alla luce). Il de cuius può indicare la previsione che se nasceranno gli verranno
attribuiti certi beni. È una condizione sospensiva.
Art. 643: l’amministrazione in caso di eredi nascituri. Se il testatore ha disegnato erede anche il nascituro, un soggetto
che potrebbe nascere. Quando l’erede è istituito sotto condizione sospensiva, finchè questa condizione non si verifica,
l’eredità è data all’amministratore. Ci sarà una persona designata dal testatore che curerà l’eredità nell’attesa che si
verifichi questa ipotesi sospensiva. Se non si verificherà questa ipotesi, allora, c’è la delazione successiva: l’ordinamento
predispone che se coloro che sono stati individuati dal testare non possono o non vogliono accettare ci sono almeno tre
meccanismi che operano per assicurarsi che ci sia qualcuno che subentri nel compendio ereditario. Ratio: i beni devono
essere amministrati da qualcuno individuato dalla legge o dal testamento.
La capacità di succedere è una capacità e può essere offerta: a chi è nato, a chi non è nato ma concepito, o a un qualcuno
non ancora né nato né concepito.
La capacità di succedere è riconosciuta alle persone giuridiche ed ora, agli enti di fatto.
Sono capaci di succedere anche gli enti di fatti, che sono persone non fisiche ma aggregazioni di persone che si
riuniscono per realizzare un determinato scopo: come le associazioni ONLUS o gli enti del terzo settore. Loro sono
soggetti di diritto, a seguito di riforme recenti, non hanno più bisogno di avere la personalità giuridica per ricevere la
successione. Pensiamo ad uno che vuole lasciare parte dell’eredità ad un ente. Le persone fisiche e giuridiche sono
capaci di succedere.
Impossibilitato a trattenere ciò che ha ricevuto: l’indegno. Art. 463 c.c. prevede i casi di indegnità (individuazioni di
condotte che rendono le persone che le abbiano poste in essere non degne di divenire eredi e sono casi punitivi della
persona stessa). Quindi l’indegnità non è una causa di incapacità ma di esclusione. Non è incapace ma indegno. Significa
che il soggetto che si sia reso colpevole di certe condotte, ha potuto accedere all’eredità, ma se incorre in una di quelle
cause di indegnità dovrà restituire ciò che ha ricevuto. L’indegno potrebbe trattenere ciò che ha ricevuto se nessuno si
accorgerà di ciò di cui si è macchiato. È un momento di esclusione perché riguarda soggetti che abbiano acquistato la
capacità di erede ma la perderanno.
Condotte che rendono indegno: chi ha volontariamente ucciso o ha tentato di uccidere la persona di cui l’eredità si parla,
o un ascendente, o il coniuge. Chi ha denunciato una di tali persone con pena di ergastolo. Chi essendo decaduto dalla
responsabilità genitoriale non è stato reintegrato nella responsabilità genitoriale all’apertura della successione. Chi ha
formato di un testamento falso. Ci sono condotte che l’ordinamento prende in considerazione e per la loro gravità vuole
punire colui che le ha poste in essere, attraverso la non accettazione di eredità. L’omicida non può succedere al de cuius
di cui ha provocato la morta. Per esempio, un padre che ha perso la responsabilità genitoriale non succederà al figlio.
Un filone deriva dal comportamento tra erede e de cuius, l’altro filone riguarda gli attentati alla libertà testamentaria. Il
testamento è un negozio giuridico libero, il soggetto può farlo o non farlo ma se decidesse di farlo è un atto
personalissimo, non può affidare la redazione del testamento ad altri. Attentati alla libertà testamentaria vanno a
condizionare il testamento. Se dopo l’accettazione dell’eredità si viene a scoprire che colui che ha succeduto ha indotto
il de cuius nella stesura del testamento non può beneficiare dell’eredità. la libertà deve essere tutelata. Se si scopre che
il testamento è stato alterato, colui che lo fa sarà escluso come indegno.
L’indegno può acquistare ma se sopraggiunge una sentenza che metterà in evidenza una di queste condotte di indegnità,
dovrà restituire ciò che ha ricevuto. L’intento è punitivo.
Ci sono delle indegnità speciali (posizioni di rapporti tra il de cuius e il potenziale erede): pubblico ufficiale che ha
redatto l’atto ossia il notaio ed eventuali testimoni; il notaio e i testimoni che occorrono per la validità dell’atto non
possono essere contemplati nello scritto con un’ottica di prudenza e per escludere ogni possibile manipolazione del
testatore. Qui si parla però di incapacità a succedere per interposizione.
L’indegnità è una sanzione civile (non penale): si viene esclusi rispetto alle quali ci si è posti in essere. È una sanzione
civile applicata dal giudice a carico del chiamato, il quale solo a seguito della sentenza è escluso dalla successione. Le
cause per le quali può essere dichiarata l’indegnità possono essere gli atti compiuti contro la persona del de cuius oppure
gli attentati alla libertà di testare. Sono aggiunti però: la condanna per delitti contro la libertà sessuale della persona che
determina l’esclusione dell’autore del reato dalla successione della persona offesa. L’indegnità non impedisce la
delazione, ma comporta su domanda di parte e sentenza del giudice, la rimozione dell’acquisto successorio.
L’indegno può comunque succedere? La legge non vuole, ma per salvaguardare la volontà del testatore, l’ordinamento
mette in conto che lo stesso testatore possa voler salvare la posizione dell’indegno. Se è consapevole che l’indegno sia
tale e voglia comunque farlo partecipare può fare qualcosa, si parla di riabilitazione dell’indegno. Il testatore deve
attivarlo espressamente. La riabilitazione è un salvataggio dell’indegno: il testatore sa che ha commesso una di quelle
condotta e sa che se sta zitto e non dice nulla sarà considerato indegno; per evitare l’esclusione, un benevolo de cuius
può riabilitare e annullando la sanzione civile. Lo può fare con un atto pubblico dal notaio o nel testamento. Se lo fa
l’indegno potrà succedere. Se non lo riabilita ma sa delle cause dell’indegnità, non lo riabilita ma gli vuole lasciare
comunque qualcosa (l’indegno si prenderà solo ciò che gli ha lasciato e non concorre in todo).
Possibili vicende che possono riguardare a proposito dell’acquisto della qualità di erede: l’accettazione è necessaria per
divenire erede. Può succedere che il chiamato all’eredità B ha diritto ad accettare l’eredità di A. B per divenire erede
deve accettare e finchè non lo fa è un chiamato. Se il chiamato muore senza averlo accettato: il diritto ad accettare viene
trasmesso ai suoi chiamati all’eredità e i suoi eredi si troveranno anche in diritto di accettare l’eredità di A. il chiamato
all’eredità di B: C per accettare l’eredità di A deve accettare quella di B. La rinuncia di C all’eredità di B impedisce a
qualunque diritto che faceva parte di quel patrimonio di B di entrare nel proprio. TRAMISSIONE DEL DIRITTO DI
ACCETTARE L’EREDITA’.
Ipotesi dell’azione successiva: quando abbiamo che il primo chiamato a succedere non possa o non voglia accettare,
allora scattano tre possibili istituti che consentono all’ordinamento di individuare altri soggetti per offrire l’eredità:
• Rappresentazione: individua questa categoria di soggetti che subentrano ma è strettamente legato al grado di
parentela del primo chiamato che deve essere figlio, sorella o fratello. Allora subentreranno e saranno chiamati i figli
discendenti di B. Ratio: conservare il patrimonio nella stessa cerchia e quindi prima di andare a disperdere il patrimonio
ad altri gradi, prima si va ai figli del fratello, o della sorella o del figlio quindi ai nipoti. In tal senso si parlerà di vocazione
indiretta. I rappresentanti acquistano direttamente il diritto di accettare. I discendenti possono accettare per
rappresentanza anche se hanno rifiutato l’eredità della persona in luogo della quale subentrano.
Il rappresentante subentra nel luogo e nel grado del loro ascendente. Questo vale anche per il legato. Se la successione
è legittima opera la successione per rappresentanza. I discendenti possono subentrare anche se rinunciano all’eredità di
B e prendere solo quella di A (prima eredità).
• Sostituzione: solo nella successione testamentaria. L’ipotesi che il prima chiamato non voglia o non può
(indegno o morto) accettare l’ha presa in considerazione già il testatore. Il testatore ci indica altre persone nel caso in
cui A non vuole o non può accettare chiamando B, C, F.
• Accrescimento: opera solo se non operano i due istituti precedenti. È un’ipotesi residuale. Art. 674: quando non
operano i due istituti precedenti, allora l’ordinamento ha deciso di accrescere la quota dei membri andando a distribuire
la quota di D tra quelli che sono stati chiamati nella medesima quota.
I presupposti: chiamata congiunta di più eredi istituiti; qualcuno che coeredi; il testatore non abbia disposto una
sostituzione; non si può applicare la regola della rappresentazione. Se ricorrono questi presupposti, la quota rimasta
vacante viene ad incrementare, la quota degli altri coeredi o collegatari.
Quando non è possibile applicare nemmeno la delazione per accrescimento, la quota si devolve secondo le regole della
delazione legittima.
L’accettazione dell’eredità è una manifestazione di volontà del chiamato, che fino ad ora era solamente chiamato. Il
chiamato ha la possibilità di farlo e ha un termine di 10 anni per farlo. Prima di allora la situazione del patrimonio è una
giacenza in attesa del nuovo titolare del compendio. L’accettazione può avere due diverse forme (come si procede per
manifestare questa volontà) e modalità (incidono sugli effetti).
La forma è indicata dagli artt. 470 c.c. in poi: disciplina dell’accettazione. L’eredità può essere accettata puramente o
con beneficio di inventario. Ci dice che l’accettazione può essere espressa o tacita. Si individuano i modi e le forme
ossia come si manifesta l’intenzione.
Forme: espressa o tacita. Entrambe le forme entro 10 anni e una volta effettuate sono irrevocabili. È un atto negoziale.
È un atto unilaterale e non recettizio perché per produrre effetti non deve essere indirizzato ad alcuno. Se lo fa in maniera
espressa vuole dire che lo fa con un atto in cui dichiara la volontà di accettare l’eredità come ci dice l’art. 475 c.c. con
questa si acquista il titolo di erede e che porta ad una situazione soggettiva. Dichiara con un atto pubblico che intende
accettare; sono atti che non sono sottoposti a condizione o a congruo termine (fino a quando) perché la qualità di erede
avrebbe una scadenza.
L’accettazione tacita non manifesta, è sempre più complicata perché ambigua e meno evidente; l’ordinamento ha voluto
ricordare che se si comporterà come erede sarà considerato tale e non essendoci più il titolare del compendio, non ci sia
un’ambigua gestione della successione dei beni da parte di un soggetto pur non avendo espressamente accettato si
comporta come se lo avesse fatto. Chi si ingerisce nella situazione successoria e si comporta come un successore (vende
i beni o paga debiti, spende il nome di erede) allora l’ordinamento lo ritiene erede. L’ordinamento vuole limitare al
massimo la situazione di incertezza legato a questo passaggio non ancora perfezionato.
A proposito di questa incertezza del fatto ci sia una situazione in cui ci sono dei chiamati, ma non è ancora subentrata
una successione, abbiamo un limbo che potrebbe dover essere sollecitato ad essere superato, perché c’è qualcuno che
potrebbe avere una volontà di definire. Il chiamato all’eredità è ancora una situazione ideale.
Art. 481 c.c.: qualcuno che ha interesse giuridico nell’eredità, vuole sbrogliare la situazione perché magari è un chiamato
successivo e il primo chiamato non lo fa, il chiamato successivo ha un interesse che il primo si decida per sapere se può
subentrare in quel patrimonio. Può sollecitare questa AZIO INTERROGATORIO che serve a fissare un termine in cui
il chiamato dovrà accettare o meno entro quel termine. È una situazione che serve per mettere fretta all’accettazione
dell’eredità. serve per accorciare i tempi dato che i tempi di prescrizione sono 10 anni. Il termine dell’accettazione viene
ridotto solo per richiesta.
L’accettazione espressa, che è una manifestazione palese di volontà di accettare l’eredità, è un atto unilaterale e si dice
non recettizio perché per produrre efficacia non è indirizzato a nessuno e per avere efficacia non deve essere ricevuto
da alcuno.
L’accettazione tacita non è la manifestazione di una volontà ma è un comportamento.
La rinuncia è il rifiuto che il chiamato manifesta espressamente di non volere accettare l’eredità. il chiamato può lasciar
decorrer il tempo di 10 anni oppure potrebbe rinunciare. La rinuncia fa perdere la qualità di chiamato ed è regolata
dall’art. 520. La rinuncia deve essere fatta con una dichiarazione ufficiale ricevuta da un notaio o in tribunale, in maniera
super esplicita perché l’ordinamento deve essere sicuro dell’atto che sta per compiere il chiamato. Come l’accettazione,
non è possibile apporre condizioni o termini perché se si rinuncia, si rinuncia in todo e per sempre. Non si può accettare
in parte nè rinunciare in parte. Revoca della rinuncia: l’accettazione non è revocabile, la rinuncia avendo impedito al
patrimonio di pervenire nella sfera del rinunciante, questa situazione si può ancora modificare fino a quando la situazione
non cambia, ossia fino a quando gli altri non hanno ancora accettato.
La rinuncia è un atto eguale all’accettazione e contrario.
Art. 484 in poi: accettazione con beneficio di inventario
Accettazione pura e semplice: I beni pervenuti al patrimonio dell’accettante, vanno a confondersi con il patrimonio
pregresso dello stesso. Il patrimonio dell’erede si va ad ampliare in maniera confusiva, ma resta indistinta nella nuova
massa quello che era già in proprietà da quello nuovo. I creditori dell’eredità potranno avvantaggiarsi che questo nuovo
debitore era ricco: il de cuius era ricco ma se va a confluire in una massa consistente, ne giova il creditore dell’eredità.
nel nostro ordinamento esiste la responsabilità patrimoniale del debitore: il debitore risponda con tutti i suoi beni presenti
e futuri quindi tutto ciò che è nel nostro patrimonio sono oggetto di garanzia patrimoniale e i nostri creditori possono
usare i nostri beni per forzatamente recuperare un credito che non paghiamo volontariamente. Loro possono vendere un
bene forzatamente e con il ricavato il creditore può riprendere i propri soldi. La massa patrimoniale che si amplia grazia
all’eredità, è un vantaggio per i creditori dell’eredità ma anche per i creditori del singolo erede. Quest’effetto è confusivo.
Per evitare quest’effetto di confusione di patrimoni, l’accettando può impedire questo effetto, solo quando accetta ma
con beneficio di inventario. Consente di tenere distinte le due masse. L’accettazione pura e semplice è una pura
accettazione. Quest’accettazione si fa mediante dichiarazione da notaio o da cancellieri di tribunale e si fa con la stessa
formalità. È un atto espresso che vuole la separazione dei patrimoni. È inserito nel registro delle successioni in tribunali
ove si tiene conto che tizio ha accettato ma con beneficio di inventario così che il creditore si chiederà su quali beni
potrà contare. Col beneficio di inventario si ha una limitazione della propria responsabilità patrimoniale. Con
l’accettazione con beneficio di inventario, l’erede che accetta non è tenuto a pagare i debiti oltre i beni a lui pervenuti.
Si diventa quindi debitore ma la sua responsabilità è quantitativamente limitata. Ciò serve per tenere distinti i due
patrimoni, per pagare i debiti del de cuius ed eventuali legati, l’attivo resterà all’erede.
Il chiamato è nel possesso dei beni o no? L’accettazione con beneficio di inventario va fatta necessariamente con un atto
ufficiale e pubblico, siccome che questo implica una differenza notevole nel patrimonio. Bisogna distinguere se tizio
era già in possesso dei beni o no (immaginiamo un terreno o una casa ove si ha la possibilità materiale di entrare in casa)
Se è in possesso dei beni, l’inventario deve essere fatto entro tre mesi. Se decorrono perderà la capacità di accettare con
beneficio di inventario e se decorrono, dato che già è in possesso di quei beni, l’ordinamento lo ritiene un accettante
puro e semplice. Art.485 c.c. l’ordinamento gli dà questa cartuccia in più, ma se non la usa, perde la possibilità di usarla
dopo. Ciò serve per evitare una situazione di incertezza. Se vuoi che questi beni non si confondano con i tuoi, allora lo
devi fare entro tre mesi perché da fuori sembri un accettante puro e semplice. Si ha di fronte una valutazione legale
tipica.
Il chiamato potrebbe fare l’inventario (ricognizione dettagliata del patrimonio pervenuto al singolo erede). L’inventario
serve perché così i creditori dell’erede sapranno che non potranno soddisfarsi con i beni nell’inventario. Deve accettare
entro 40 giorni l’inventario. Serve per dare certezza.
Il chiamato che non ha il possesso dei beni può fare la dichiarazione con beneficio di inventario ha il termine di
prescrizione di 10 anni perché non sta gestendo questi beni. quindi non si crea rispetto a lui la posizione ambigua di
chiamato accettante o chiamato non accettante. Dopo che l’ha fatta, ha 3 mesi di termine per fare l’inventario. Quando
ha fatto l’inventario l’accettazione deve essere fatta in 40 giorni.
Art. 490: benefici inventario.
Quindi prima si fa l’inventario che serve per fare una ricognizione del patrimonio (deve essere precisa sennò in caso di
omissione o infedeltà, l’eredità decade dal beneficio), poi si procede a pagare debitori e legati e il codice disciplina tre
modalità di adempimento:
• Liquidazione che prevede la partecipazione di un notaio.
• Se non si vuole ricorrere al notaio, l’erede potrebbe fare un rilascio dei beni. in questo caso i beni non vengono
trasferiti ai creditori ma viene nominato un tribunale che provvederà alla liquidazione dei beni abbandonati.
• Se la situazione non è complicata si può procedere a pagare i creditori senza formalità a patto che non vi sia
opposizione dei creditori.
L’erede e il legatario sono i protagonisti necessari per la successione anche se il legatario è eventuale mentre l’erede è
necessario. Loro sono i destinatari della delazione.
Dopo l’apertura della successione, il creditore del de cuius, ha interesse a risolvere quanto prima questa situazione.
Allora potrebbe proporre un’azione interrogatoria tramite la quale si chiede al tribunale di assegnare al chiamato un
termine entro il quale dichiarare se accetta o meno l’eredità. quest’azione è possibile che venga fatta anche dal
legittimario per il suo interesse a conoscere verso chi far valere il diritto.
Se il chiamato non è in possesso dei beni ereditari ed ometta di accettare, il creditore del de cuius può farsi promotore
del procedimento diretto alla nomina del curatore dell’eredità giacente. L’interesse del creditore può così trovare
soddisfazione perché è previsto che il curatore possa intervenire nel pagamento dei debiti ereditari in maniere
individuale.
LA DIVISIONE DEL PATRIMONIO EREDITARIO: COMUNIONE EREDITARIA O ORDINARIA.
Comunione ereditaria: si instaura tra i più eredi, almeno due, tra i quali si andrà automaticamente ad instaurare un regime
di comunione ed ha a riguardo tutti i diritti e beni confluiti nella massa ereditaria. Le parti non possono impedirlo perché
automatico e gli eredi, si trovano in un regime di comunione (anche se tra loro non si conoscono). È differente dalla
comunione ordinaria, perché è una comunione legale (forzatamente determinata dalla legge ed è una situazione
temporanea). Nel mentre che gli eredi accettino, l’ordinamento instaura questo regime, per essere sicuro che ci sia un
titolare: ad un’accettazione se non segue la divisione (che scioglie la comunione) è bene che chi sia considerato erede,
sia considerato erede del tutto quindi pro quota. I coeredi possono rimanere tali per un tempo non superiore a dieci anni.
Quando tutti gli eredi istituiti o alcuni sono di minore età, allora la divisione non può avere luogo prima che sia trascorso
un anno dalla maggiore età dell’ultimo nato oppure il testatore ha il potere di stabilire che la divisione non avvenga
prima di un quinquennio dall’apertura della successione.
Impedimenti: se tra gli eredi c’è un nascituro, concepito, in pendenza di giudizio sulla qualità di figlio di colui che, in
caso di esito favorevole di giudizio sarebbe chiamato a succedere. È un impedimento non assoluto perché l’autorità
giudiziaria potrebbe comunque disporre la divisione, disponendo opportune garanzie a tutela dell’interesse di eventuali
coeredi. All’autorità giudiziaria è permesso anche, su istanza di uno dei partecipanti, di sospendere per un periodo non
eccedente il quinquennio, la divisione di tutti o di alcuni beni se l’immediato scioglimento della comunione potrebbe
arrecare pregiudizio al patrimonio ereditario.
Sono due le regole che sovrintendono la disciplina della divisione ereditaria:
1. Ciascun coerede ha diritto a ricevere la sua parte in natura di beni mobili e immobili caduti in successione. Le
parti devono avere ogni tipo di beni comprendenti la loro fetta: mobili, immobili, crediti o debiti, in egual misura
rispettando la loro quota.
2. Eseguita la divisione, ogni coerede è considerato unico ed immediato titolare dei beni facenti parte la loro quota.
Ogni coerede, aperta la situazione di comunione ereditaria, è titolare di un diritto di prelazione rispetto la quota degli
altri, avendo diritto di essere preferito, a parità di condizioni, quando un altro coerede volesse alienare la propria. Sino
a quando dura lo stato di comunione, il coerede che voglia alienare la sua parte ad un estraneo deve notificare la proposta
di alienazione, indicandone il prezzo, agli altri coeredi, i quali hanno diritto ad essere preferiti ove dichiarino di
acquistare alle medesime condizioni offerte dal terzo. Al coerede è anche riconosciuto un diritto di riscatto (retratto
successorio) della quota nei confronti dell’acquirente. Se i coeredi che intendono esercitare il diritto di riscatto sono più
di uno, la quota è assegnata in parti uguali tra di loro.
Per sciogliersi da questo regime, esiste il contratto di divisione che consente di sciogliersi dalla divisione. La divisione
consente lo sciogliersi della comunione e di diventare titolari esclusivi dei singoli diritti o beni inseriti nella porzione.
La divisione può essere giudiziale o volontaria seconda che gli eredi si affidino al procedimento in tribunale
caratterizzato dall’assenza di competizione, ma è i procedimenti di volontà e giurisdizione ove l’ordinamento mette a
disposizione un giudice per sciogliere una posizione senza che le parti siano in lite ma affidando a lui il ruolo da divisore.
È una divisione volontaria quella che le parti fanno di comune accordo stipulando un contratto di divisione. La divisione
serve a sciogliere la comunione e a rendere il singolo titolare esclusivo. Il concetto di divisione è praticabile anche nei
confronti del testatore: potrebbe essere stato lui che in quella sede istituisce eredi e si premura di indicare i diritti che
trasmette. E perchè sia valida la divisione del testatore deve comprendere sia i legittimari che gli eredi istituiti.
Il testatore potrebbe addivenire lui stesso alla divisione dei beni ed è ritenuto valido solo nel caso in cui quest’ultimo
comprenda i legittimari e gli eredi costituiti.
Legittimari: parenti e persone vicine come coniugi o figli, a cui l’ordinamento risolve una quota di riserva dell’eredità.
Se il testatore all’interno del testamento prende in considerazione tutti, allora quella divisione può essere presa in
considerazione. Se non menziona moglie e assegna quote e divide quelle, l’assegnazione è incompleta perché mancano
i soggetti individuati dalla legge.
La disciplina della divisione prevede un istituto particolare che consente la collazione. L’istituto è previsto per essere
sicuri che una certa categoria di soggetti, i legittimari, conferiscano nel patrimonio ereditario quello che hanno ricevuto
in vita dal de cuius. la collazione è a tutela dei legittimari.
Art. 737 c.c.: è una regola che risponde ad una presunzione (ragionamento che l’ordinamento fa per risalire da un fatto
noto ad un fatto che noto non è). La legge presume che il de cuius, quando ha fatto donazioni in vita a questi soggetti,
figli e coniugi, abbia voluto a loro dare una sorta di anticipazione della eredità. (te la do in vita adesso perché ti serve
adesso). Se un genitore dona in vita un immobile, è obbligatorio che questi beni tornino alla massa ereditaria quando
morirà perché sono da considerarsi anticipazioni sull’eredità e quando si apre, bisogna calcolare dei doni invita. In quel
momento di divisione degli eredi, quello dei tre che ha ricevuto in vita la donazione, lo deve conferire per evitare che in
vita il de cuius alteri l’equilibrio successorio dopo la sua morte.
La collazione può avvenire per natura (io ho ricevuto l’immobile e io ve lo ridò) o per equivalente (ho ricevuto un
quadro da 1000 euro e io questi 1000 euro ve li ridò) ovviamente tranne quelle che si è ricevuto per dispensazione (se
ho ricevuto un pianoforte perché mi serviva per la mia istruzione, per il conservatorio e non devo ridarlo).
Il diritto di chiedere la divisione spetta ai coeredi che possono sempre domandare. Ci sono problemi ad ottenere la
divisione quando tra i chiamati all’eredità ci sono anche dei nascituri. Se tra questi successibili c’è qualcuno che non è
ancora nato e quindi bisogna accettare la nascita.
Le regole sono contenute dall’art. 713 e seguenti. Ciascun erede potrebbe chiedere una divisione eguale di beni mobili
e immobili. Loro hanno diritti ad avere una fetta della torta che sia sostanzialmente in picco e che riproducesse in piccolo
il patrimonio grande così che ogni fetta ha un po' di tutti.
La collazione, che impone ai coniugi di conferire alla massa ciò che hanno ricevuto in vito dal defunto, è suscettibile di
dispensa cioè il defunto al momento di donazione può averlo esonerato da ciò. Se all’atto di donazione, il donante
specifica di esonerare il ricevente dalla futura collazione, può farlo ma nei limiti del disponibile. Il de cuius non può in
vita ledere i diritti del legittimario (dono tutto il mio patrimonio ai figli, e gli altri eventuali figli? Vanificherebbe il
senso di quella quota di riserva).
Art. 757 c.c.: se la comunione ereditaria comporta che i co eredi, sono contitolari di tutti la torta. Quando la torta diviene
uno spicchio, i beni che fanno parte di quella quota realtà perché la divisione è subentrata, l’erede è considerato titolare
dei beni riconosciuti in quello spicchio ed è come se non è mai stato coerede degli altri beni nella comunione. Dopo la
divisione si finge che il singolo titolare è sempre stato titolare solo di quello. (finzione giuridica)
Retratto successorio: la comunione ereditaria è una comunione forzata perché l’ordinamento vuole assicurarsi la
titolarità. Questo è un istituto regolato nell’art. 732 c.c. se un coerede vuole trasferire la sua quota (tutta o in parte) ad
un soggetto fuori dalla cerchia dei coeredi deve notificare agli altri coeredi i quali possono esercitare, entro due mesi, il
diritto di prelazione. Pensata nella logica di conservazione del patrimonio nelle mani di chi ha altre fette della stessa
torta. Se il coerede non comunica l’intenzione di alienare la sua quota, se non la fa, gli altri coeredi hanno un vero e
proprio riscatto.
CAP.11:
I legittimari: sono soggetti che la legge individua come destinatari di una certa tutela perché vicini al de cuius. i
legittimari individuati sono: coniugi, figli e in loro assenza gli ascendenti. A questi l’ordinamento riserva una quota,
perché ritiene questi soggetti come legati al de cuius e quindi al suo patrimonio. Il patrimonio del de cuius, non si deve
offrire completamente e non si deve disperdere completamente, ma che in un certo qual modo non si vuole la dispersione.
Questa successione è necessaria: necessariamente questi soggetti devono essere invitati ad accettare e destinatari della
delazione. L’individuazione dei legittimari ha subito delle modifiche negli ultimi anni, coerenti ad una diversa
concezione di famiglia.
Come si è modificata la figura del legittimario? Il concetto di famiglia è mutato.
I figli sono sempre stati legittimari perché la logica è che il figlio, come deriva geneticamente da lui, così deriva il suo
patrimonio da lui: abbinamento derivazione genetica e derivazione patrimoniale. I figli sono da sempre legittimari
perché il patrimonio si tramanda come il nome e la generazione e quindi c’è obbligatoria offerta ai figli del patrimonio.
Per evitare la dispersione, i figli devono essere sempre chiamati a succedere. Prima si guardava alla filiazione fuori dal
matrimonio con sfavore, per esempio, al figlio legittimo spettava metà del patrimonio, mentre la quota scendeva ad un
terzo per il figlio naturale. A seguito della riforma del diritto di famiglia del 75 si è ricorsi all’eliminazione della disparità
tra figli legittimi e illegittimi e i figli sono tutti considerati figli.
Prima i figli venivano coinvolti ma potevano essere accantonati dai figli legittimi con una liquidazione: legge che
consentiva ai figli illegittimi di liquidare la posizione ereditaria del fratello in luogo dell’eredità e di essere tacitato con
una somma di denaro equivalente all’importo della quota legittima ma non conferente alla qualità di erede. Il figlio
innaturale era ritenuto messo al confino dalla famiglia e aveva l’equivalente in denaro ma non la qualità di erede.
Prima della riforma del diritto di famiglia, il coniuge non succedeva. Subentravano nell’eredità a titolo di usufrutto:
titolo concesso per legge. La vedova non diveniva erede del de cuius, ma diveniva titolare di un diritto di godere e
disporre delle cose, ma senza acquistarne la titolarità. L’usufruttuario non è titolare ma gode di un bene titolare di un
altro. Dalla riforma del 75 anche il coniuge è divenuto erede legittimario. Ora invece, si estende la solidarietà nei
confronti dell’altro coniuge e quindi una parte del patrimonio spetta di obbligo anche al coniuge superstite.
La legge 76 del 2016 sulle unioni civile ha parificato la posizione di coniuge a quella dell’unito civilmente.
Non è riconosciuta la qualità di legittimario al convivente di fatto, destinatario solo di modesti legati ex lege e quindi
escluso sostanzialmente dalla successione.
Per calcolare la quota di riserva o di legittima a cui hanno diritti i coniugi, i figli o gli ascendenti, dobbiamo fare un
calcolo che si chiama riunione fittizia. Calcolo contabile che stabilisce l’ampiezza della torta a cui si ha diritto. Questi
soggetti sono individuati come legittimari o riservatari. Il resto della torta oltre la quota di riserva, si chiama quota
disponibile dal de cuius: quella può non andare loro o magari andarci.
La riunione fittizia (556 c.c.): ciò che è rimasto nel patrimonio (relictum) da cui vengono sottratti i debiti gravanti
sull’eredità e aggiunte (solo fittiziamente) le donazioni (tutte le donazioni fatte a chiunque in vita dal de cuius per
calcolare quale fosse la disponibilità del de cuius). Una volta il patrimonio da questo calcolo possiamo stabilire a seconda
di quanti sono i legittimari, le diverse quote. Si chiama fittizia (la collazione è una riunione reale) perché è un calcolo
contabile che serve a calcolare l’ampiezza della torta e quindi l’ampiezza delle diverse fette. È una mera messa in conto
di questi valori. Quindi il patrimonio preso in considerazione al momento della morte non è solo ciò che possedeva il
de cuius al momento della morte ma si tratterà di un patrimonio teorico, fittizio che viene calcolato facendo l’attivo
meno il passivo e tiene conto anche dei beni di cui ha disposto in vita il de cuius e che ha dato in donazione ossia dei
beni che sono usciti dal suo patrimonio ma il valore continua ad essere fittiziamente considerato. Non è un conferimento
ma un calcolo.
Art. 536 c.c.: se c’è un figlio solo spetta la metà del matrimonio. Se chi muore lascia oltre al figlio anche un coniuge, a
quest’ultimo spetta un terzo e al coniuge un terzo (art.542 c.c.). (ex 1 milione di euro. 100k euro di debiti (relictum
meno debiti= 1 milione meno 100k) ha fatto donazioni di 1200. Del risultato calcoliamo le fette). Il resto che rimane è
la quota disponibile.
I legittimari sono il coniuge, i discendenti e gli ascendenti in mancanza di essi. Da notare come il coniuge separato
conserva i propri diritti di legittimario, mentre tali diritti vengono meno nei casi in cui la separazione gli è stata
addebitata. Tuttavia, anche nel caso in cui il coniuge ha diritto ad un addebito, il tribunale può attribuire al coniuge
superstite un assegno vitalizio a carico dell’eredità (gravante innanzitutto sulla disponibile) quando al momento
dell’apertura della successione già godeva di un assegno alimentare a carico del de cuiuus. La ratio è sempre per
solidarietà di un superstite che versi in stato di bisogno. L’ammontare però non potrà comunque essere superiore rispetto
a ciò che percepiva in precedenza. Intervenuta la pronuncia di scioglimento del matrimonio, l’ex coniuge perde i diritti
legittimari. Anche in questo caso è prevista una tutela minima qualora il coniuge divorziato percepisse un assegno
divorzile. Questa tutela consiste nell’attribuzione di un assegno periodico a carico dell’eredità. beneficio ispirato alla
proiezione della solidarietà coniugale nel momento in cui la morte dell’obbligato estingue il credito dell’ex coniuge.
Art. 540: al coniuge c’è diritto di abitazione sulla casa coniugale e il diritto di uso di beni mobili che ne costituiscono
l’arredo.
Il diritto dei legittimari ha una consistenza quantitativa. Se nel testamento il futuro de cuius ignora in tutto in parte la
quota di riserva loro attribuita, quando da atti di disposizione a titolo gratuito compiuti in vita dal de cuius, risultano
lesivi della quota riservata ai legittimari
Nel patrimonio quindi si distingue tra quota legittima e quota disponibile e questa formulazione non è fatta solamente
in riferimento al patrimonio relitto ossia esistente, ma anche al valore del diverso patrimonio che risulta dalla detrazione
degli eventuali debiti e dalla addizione di eventuali donazioni fatte in vita dal de cuius.
La persona è libera di disporre del proprio patrimonio come crede ma alla sua morte i legittimari potranno far valere la
loro qualità esperendo le loro azioni necessarie per far valere i propri diritti.
Se le disposizioni testamentarie all’esito della verifica conseguente la riunione fittizia risultino pregiudizievoli per il
diritto del legittimario, non sono da considerare invalide ma suscettibili a modifiche.
Art. 550 c.c.: cautela sociniana. Il testatore potrebbe lasciare ad un terzo un usufrutto o una rendita vitalizia (diritti
destinati a cessare con la morte del beneficiario) il cui reddito eccede quello della porzione disponibile.
I legittimari sono coloro che la legge individua come coloro che hanno diritto ad una quota di riserva per la particolare
vicinanza alla posizione del de cuius. non in tutti gli ordinamenti esiste questa tutela. L’azione che hanno i legittimari è
un’azione di riduzione. È necessario per comprendere quale fosse questa quota ideale riservata ai legittimari attraverso
un calcolo. Il de cuius è libero di realizzare in vita o in sede testamentaria quello che vuole.
Se i legittimari devono percepire X ma stanno percependo X-1 allora c’è qualcosa che non va e si procede all’azione di
riduzione ossia riportare lo spicchio di eredità nella dimensione giusta ossia quella che la legge vuole essere. Se un
coniuge concorre con un figlio, per esempio, devono avere corrispettivamente un terzo e un terzo. L’azione di riduzione
serve a portare quella fetta piccola a come doveva avere diritto. Si deve ridurre quindi le disposizioni testamentarie del
donante. La tutela dei legittimari è un limite
Ex. Se il testatore ha deciso di dare tutto ad un amico. I due legittimari estromessi saranno sicuramente lesi perché non
stanno avendo niente dal de cuius. come recuperano ciò che gli spetta? Devono andare a ridurre le disposizioni
testamentarie: andranno dall’amico per pretendere ciò che gli spetta.
Questa tutela va a modificare una volontà espressa dal testatore, ma questo non inficia la validità dell’atto testamentario
e non saranno invalide le eventuali donazioni fatte in vita che a tale proposito dovrebbero essere eventualmente ridotte.
Ex. Se tutti i beni li aveva donati all’amico. Con la donazione il de cuius non può spogliarsi prima di ciò che non voglia
far pervenire all’eredità. le donazioni possono essere riducibili con un’azione giudiziaria ad hoc che si chiama riduzione.
L’eventuale esercizio dell’azione di riduzione da legittimari lesi non va a inficiare o contraddire l’efficacia dell’atto
testamentario ma incide solo sull’efficacia e non sulla validità. Possono essere modificati ex post. L’azione di riduzione
è un diritto personale e che non possono essere trasmessi perché fa parte della mia sfera giuridica (non posso vendere la
mia azione di legittimario ma posso esercitarla solo io). L’azione di riduzione è un diritto al quale non si può rinunciare
prima dell’apertura della successione perché l’ordinamento, vuole che, si rinuncia ad un diritto quando si è aperta la
successione. Posso rinunciare anche in cambio di qualcosa, per esempio stipulando contratti (in cambio tu mi dai un
bene x o fai qualcosa per me etc.). Quando i legittimari sapranno quale è l’ampiezza della fetta a cui hanno diritto allora
il legittimario potrà benissimo decidere razionalmente di rifiutare o meno.
È un’azione che si prescrive (la prescrizione è l’estinzione del diritto per il suo mancato esercizio nei termini di volta in
volta stabilire della legge). Il diritto di riduzione si prescrive ordinariamente nel tempo di 10 anni: dopo 10 anni e un
giorno non posso più fare nulla. L’azione, anche esercitata da un legittimario, non invalida la disposizione testamentaria
ma è un testamento soggetto ad una modifica della sua efficacia. L’azione di riduzione serve a stabilire la quota che
voleva la legge. Si tratta di far avere al legittimario la minima quota disposta dalla legge.
Differenza tra collazione e riduzione:
La collazione è un istituto che serve a mantenere omogenee le quote che sono state fatte in sede di divisione (serve a ri
livellare le quote). La tutela che segue la riduzione è una tutela della quota dei legittimari. Vedi artt. 554, 558, 555,
559,582 c.c.
Se nella collazione a ha che fare con i coniugi e figli. La collazione è esperibile verso chiunque abbia ricevuto in vita
qualcosa dal de cuius. quando si stipula la donazione il donatario sa che un domani sa possa essere rimessa in discussione
la sua donazione. La donazione è un atto a titolo gratuito, infatti colui che lo riceve non lo acquista, e non perde nulla,
quindi l’ordinamento ha voluto evitare che un giorno il futuro de cuius avrebbe voluto spogliarsi di tutti i beni che
possedeva in vita per evitare che andassero ad eventuali legittimari. Ratio: logica patrimonialistica per perpetuare a
questa categoria di soggetti: legittimari; quindi, un atto che li ha compromesso deve poter diventare inefficacie.
Se nel testamento lascia tutto a un parente lontano e moglie e figli si trovano che questa disposizione lede la loro
legittima. Quel parente dovrà rendere quanto ha ricevuto perché le disposizioni testamentarie sono gratuite (riceve senza
perdere nulla e non è negativo che questo beneficio sia ritagliato o limitato).
Modo per ridurre le donazioni: art. 553 c.c. reintegrazione della quota dei legittimari. Le disposizioni testamentarie
eccedenti la disponibile sono soggette a riduzione.
Si riduce l’elargizione del terzo. Se il testamento a lasciare tutto a un cameriere, allora moglie e figlio non hanno niente.
Loro dovranno impugnare in modo che il cameriere dovrà conferire ciò di cui hanno diritto. Se anche così non basta
perchè si tiene conto delle donazioni, riducendole. Si parte dalla donazione più recente a quella più indietro. Si comincia
prima con le disposizioni testamentarie e se non basta si fanno ad aggredire le donazioni fatte in vita.
Se due soggetti diversi da moglie e figli, stanno ledendo la quota disponibile dei legittimari, allora si va a prendere ciò
che manca ai legittimari in maniera eguale.
La riduzione degli immobili: molto complicata e la riduzione si fa mediante regole. Se non è divisibile l’immobile si
deve lasciare per intero nell’eredità. i legittimari poi saranno loro a dare la quota dell’immobile meno quello che gli
manca a colui che era stato donatario.
Quando l’azione di riduzione si indirizza a beni oggetto di donazione, e segnatamente quando tali beni sono immobili,
l’esigenza di tutela del legittimario deve confrontarsi con il regime di pubblicità, la trascrizione proprio della
circolazione dei beni immobili. In caso di alienazione dell’immobile è parte del donatario e quando nel patrimonio non
ci siano beni sufficienti a soddisfare il legittimario, può agire nei confronti del terzo acquirente ed anche dei successivi
aventi causa per ottenere la restituzione del bene; l’avvenuta trascrizione dell’acquisto del donatario non mette dunque
il terzo a riparo dalle pretese del legittimario. L’immobile è restituito al legittimario libero da ipoteche e anche il creditore
ipotecario è esposto al rischio della sopravvenuta inefficacia del proprio diritto, destinato a cedere alle pretese del
legittimario.
A seguito della legge 14 febbraio del 2006 è stato previsto un nuovo strumento: il patto di famiglia. È un contratto, e
quindi è un atto inter vivos con il quale l’imprenditore può trasferire l’azienda ad alcuni dei discendenti liquidando in
denaro i diritti spettanti agli altri discendenti. È l’unico patto successorio consentito. Se il patto di famiglia è validamente
concluso allora non può essere messo in discussione all’apertura della successione come dice l’art. 768 quarter. A tale
proposito la prassi non ha dato molta attenzione però è importante segnalare come da un lato i legittimari sopravvenuti
possono pretendere di beneficiare degli effetti del contratto ottenendo il pagamento delle somme già corrisposte ad altri
cui non è pervenuta l’azienda; dall’altro è compresa la possibilità di scioglimento o di revisione dell’accordo.
CAP.12:
Successione legittima: titolo V libro II
Sono le successioni che si aprono perché regolate dalla legge che dice chi è che succede e chi sarà chiamato ad accettare
l’eredità. si aprono quando non c’è testamento o quando non è valido. Sono le successioni che regolano la devoluzione
del patrimonio del de cuius secondo un criterio stabilito dalla legge.
Il presupposto che consente alla successione legittima di operare è che non esista un testamento in grado di operare.
Queste successioni sono volte all’individuazione dell’erede laddove il de cuius non lo abbia fatto.
Artt. 455 e seguenti: elenco di soggetti vicini al de cuius che per grado di vicinanza vengono chiamati progressivamente,
gli uni dopo gli altri se i primi non ci sono oppure non possono o vogliono accettare. Coniuge, discendenti, ascendenti,
collaterali e tutti gli altri parenti fino allo stato. Prima al posto di discendenti c’era scritto discendenti legittimi, ma poi
a seguito della riforma per cui tutti i figli sono figli è stata apportata una modifica.
Criteri: al padre e alla madre succedono i figli in parti uguali (se non c’è testamento); a colui che muore senza lasciare
prole, né figli, succedono il padre e la madre; bisogna quindi vedere chi è presente al momento della successione: si
spunta nell’elenco e va avanti. Prima il coniuge non era un successibile perché non dipendeva dallo stesso stipite; se il
regime è di comunione legale, la morte scioglie la comunione legale quindi ciascuno diventa proprietario della metà e
ciò vuole dire il coniuge acquisirà metà dei beni e per l’altra metà si aprirà la successione nella quale concorrerà a
seconda di quanti figli abbia etc.
I figli sono stati tutti parificati. Tutti i figli concorrono in eguale misura.
Nel caso in cui il coniuge è l’unico legittimario superstite gli spetta metà del patrimonio; se concorre il coniuge e un
figlio gli spetta corrispettivamente un terzo e un terzo; nel caso di concorso di due o più figli al coniuge spetterà un
quarto e ai figli complessivamente la metà; se il coniuge concorra con degli ascendenti del de cuius, quindi nel caso in
cui i figli non sono presenti, la quota riservata al coniuge sarà sempre pari alla metà del patrimonio e un quarto agli
ascendenti.
La successione dello stato:
Lo stato è l’ultimo dei successibili, non perché concorre alla successione. Non è possibile che i beni restino vacanti ed
è un acquisto senza bisogno di accettazione o rinuncia. Lo stato non può né rinunciare né accettare per dare un titolare
al patrimonio ormai vacante. Quando manchino dei successibili, l’eredità è devoluta allo stato come ci dice l’art. 586
c.c. la successione dello stato non esprime alcuna pretesa dello stato ma risponde all’esigenza oggettiva che l’eredità sia
raccolta da qualcuno e che eventuali beni non restino vacanti. Ciò spiega perché l’eredità è acquistata dallo stato senza
accettazione e senza possibilità di rinuncia, come avveniva per gli eredi necessari del diritto romano e perché lo stato
erede gode della limitazione di responsabilità per il passivo ereditario (art. 586 secondo comma).
Lo stato non si accolla i debiti, non ha responsabilità. È un acquisto a titolo derivativo. Mentre gli altri immobili, che
restano vacanti sono di titolarità dello stato. Modo di acquisto a titolo derivativo perché è l’ultima possibilità per avere
un titolare. A differenza dell’acquisto al patrimonio dello stato dei beni immobili vacanti che non sono di proprietà di
alcuno, che è invece acquisto a titolo originario.
CAP.13:
Il testamento: la delazione può essere legittima o testamentaria, quindi o la legge o il testamento regola chi è chiamato
a regolare l’eredità. il de cuius ha redatto l’atto e ha con quello voluto disporre in tutte le sue sostanze per il tempo in
cui ha cessato di vivere. Il testamento è espressione del potere privato sui beni, è il rispetto dell’ultima volontà del de
cuius al di là dei confini naturali della vita. È il modello emblematico dell’autonomia perché il potere di
autoregolamentazione della volontà dell’individuò darà effetti giuridicamente rilevanti e vincolanti per i destinatari. Il
testamento ha la funzione di indirizzare effetti giuridici che nella legge trovano la loro fonte effettiva. Il testamento
rinvia al momento successivo alla morte la regolamentazione e distribuzione dei beni superstiti.
È un negozio giuridico, è un atto di ultima volontà perché è l’atto col quale il de cuius disciplina la destinazione dei suoi
beni per quando avrà cessato di vivere. È un negozio giuridico è una scatola che raccoglie le manifestazioni di volontà
dirette a produrre effetti: c’è il matrimonio e il contratto (atto con il quale due o più parti convengono di regolare un
rapporto giuridico tra di loro).
Il testamento prende efficacia dopo la morte del testatore e per questo è un atto mortis causa. È l’atto di volontà di un
soggetto che diventerà efficacie quando questo soggetto non ci sarà più e non potrà manifestare un’altra volontà. È
l’emblema della volontà privata. È un’estensione della volontà del soggetto anche per quando questo soggetto non
esisterà più e sarà in grado di incidere nella sfera giuridica di qualcun altro. È un atto in cui rileva la sua volontà.
Artt. 587 e seguenti: chi non è capace di porre in atto il testamento? Possono disporre tutti coloro che non sono dichiarati
incapaci dalla legge. Chi sono incapaci? È la posizione del soggetto che non è’ in grado di compiere atti giuridicamente
rilevanti e non è in grado perché o perché non ha raggiunto la maggiore età (con la maggiore età si acquisisce la capacità
di agire e quindi anche di testare), o coloro che sono interdetti per infermità di mente che è causa di interdizione (viene
revocata la capacità di agire acquisita con la maggior età), o incapacità naturale (sono soggetti che pur non essendo
interdetti, sono stati nel momento in cui l’atto hanno compiuto in una situazione momentanea di incapacità di intendere
e volere. Può derivare da varie cause: stato confusionale dovuto ad una malattia degenerativa, o per effetto di assunzione
di qualche sostanza e non è lucido quindi il testamento è impugnabile da chiunque ne ha interesse).
Caratteristiche del testamento:
È un negozio giuridico unilaterale, revocabile, non recettizio, formale, uni personale.
• Revocabile: il testamento può essere revocato fino all’ultimo giorno di vita. Può fare una revoca tacita (stracciare
il testamento) o espressa (fare un altro testamento ove dice che il testamento precedente
La volontà del testatore, quindi, è libera fino alla fine e n on possono esserci patti successori perchè compromette la
libertà testamentaria (libertà di revocarlo). Quindi la volontà del testatore è in movimento perché può modificarlo o
revocarlo fino all’ultimo istante di vita (il contratto non è revocabile). Inoltre, come dice l’art. 679 “non si può in alcun
modo rinunziare alla facoltà di revocare o mutare le disposizioni testamentarie; ogni clausola o condizione contraria non
hanno effetto”.
• Unilaterale: è la manifestazione della volontà di un solo soggetto. È solo nel farlo. La volontà del singolo è
condizione sufficiente e necessaria per la redazione dell’atto. Viene infatti sancito il divieto e la nullità di eventuali patti
successori (in altri ordinamenti è ammesso il contratto ereditario). Il potere di decidere per quando si sarà cessato di
vivere è espressione della volontà del singolo. Vengono inoltre vietati i testamenti reciproci o conigiuntivi.
• Unipersonale: non si può fare testamento da più persone. È un atto di volontà libero e deve essere unipersonale
per manifestare la volontà di un solo soggetto.
• Non recettizio: non destinato ad alcuno anche se contempla qualcuno. Anche se è rivolto a qualcuno, non è
destinato a diventare efficace solo se ricevuto. Non ha destinatari, è scritto per sé stesso.
• Formale: va fatto come dice la legge. La legge dà due macro-tipologie di forma: olografo e il testamento per
atto di notaio che a sua volta può essere segreto o pubblico. Se il testamento non risponde ad una di queste forme, sarà
nullo. È efficace il testamento che ha una delle forme e non è valido un testamento che non ha una delle forme richieste.
Non è possibile fare il testamento congiuntivo o reciproco, perché la libertà del testatore è riservata.
Divieto patti successori: minano la libertà testamentaria. Tramite il patto successorio si può ricondurre allo strumento
del contratto e quindi un atto bilaterale tra vivi, a chi ed in che modo saranno attribuiti i beni dopo la morte. Negli
ordinamenti dove è concesso, questo strumento è utile a risolvere questioni particolari: assicurare la parità dei figli nati
da un matrimonio diverso, o conservare l’unità dell’impresa del de cuius.
2 patti ammessi: rinunciativo (l’erede rinuncia all’eredità) e dispositivo (con il quale si dispone l’eredità ancor prima
dell’apertura della successione).
Divieto di testamento congiuntivo o reciproco: va a ledere il carattere dell’uni personalità del testamento. Nel caso di
redazione collettiva, ne comporta la nullità dell’atto.
È un negozio: atto volontà mirato a produrre effetti.
Interpretazione del testamento: il testamento ha un necessario contenuto patrimoniale, ma può anche contenere
dichiarazioni di contenuto non patrimoniale. Per stabilire gli effetti del testamento è necessario operare una vera e
propria opera di interpretazione.
Una vera e propria interpretazione l’ordinamento non la dà. Il contratto invece è contemplato in ben 10 articoli e per il
testamento non c’è questo decalogo e quindi ci si chiede se possa valere anche quel decalogo. Il criterio di base è
oggettivo: considerando che l’autore non è più in vita e le norme non sono frutto di un accordo (come nel contratto che
è l’esito di un accordo) per il testamento si pone il problema che il soggetto ha testato per sé e da sé e quindi l’unica
cosa da fare è ricostruire la volontà del de cuius. una guida ce la dà l’art. 588 c.c.
Consideriamo erede chi ha ricevuto la quota interpretando ciò che ha detto anche se non impiega esattamente i termini
tecnici giuridici da usare “qualunque sia la denominazione o l’espressione usata dal testatore”. Questo ragionamento
viene fatto ex post ossia quando lui non c’è più e non può confermare o smentire. Bisogna quindi capire il rapporto tra
ciò che ha lasciato a chi e il complesso dei beni. Bisogna fare quindi una valutazione oggettiva. “l’indicazione di beni
determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale, quando il testatore ha inteso
assegnare quei beni come quota del patrimonio”. Quindi al carattere oggettivo possiamo aggiungere anche l’oggettività
circa le finalità perseguite dal testatore. L’esito della operazione interpretativa potrebbe anche portare all’attribuzione
di singoli beni a titolo di legato o addirittura constatare che l’atto contiene solo dichiarazioni non patrimoniale.
Se ti faccio ereditare un quadro e il resto va a qualcun altro, allora probabilmente sarà un legatario (a titolo particolare),
mentre l’erede è a titolo universale, prende la quota dei beni a titolo universale.
La giurisprudenza tende di andare con un’indagine sulla volontà del testatore nei limiti del possibile. Inizia a scoprire
gli anni, che età aveva, che studi ha fatto, quanto era preparata, che tipo di persona era. Ci sono caratteristiche tipiche
del soggetto che devono essere indagate per ricavare il senso effettivo di cosa voleva dire. Bisogna ricostruire la
personalità del de cuius per risalire alla sua volontà. Si parla di una penetrante indagine sulla volontà del testatore che
tiene conto di età, educazione, titolo di studio, personalità etc.
Per la giurisprudenza sono molto ambigui i termini “minuta” o “copia”; in questi casi all’indagine interpretativa si
accompagna la considerazione del carattere peculiare dell’atto quanto al momento perfezionativo perché è l’atto
dell’ultima volontà anche se destinato a produrre effetti alla morte dell’autore. L’atto è perfetto una volta redatto. (Gli
atti a forma vincolata costituiscono la regola. Atto perfetto è quindi solo quello che riproduce esattamente lo schema
predisposto in astratto dal legislatore. Di questo atto, proprio perché si conforme alle prescrizioni normative, si dovrà
dire che è valido e sicuramente efficace).
Il carattere patrimoniale è un carattere ineliminabile. Il secondo comma dell’articolo 587 ci parla di un eventuale
contenuto del testamento: il contenuto “spirituale” del testamento per esprimere manifestazioni di pensiero, consigli
indirizzati ai superstiti, tracciare bilanci della propria esperienza di vita.
Contenuto del testamento:
• Tipico: è un contenuto patrimoniale. È quello classico, quello più ricorrente. (art. 587). Il testamento non può
non avere un contenuto tipico. È l’atto col quale dispone delle sostanze.
1) Patrimoniale: o nella nomina di legatari o di eredi. Quando si parla di proprie sostanze va inteso non solo come
insieme di diritti e beni propri. Tratta del modo in cui il testatore dispone delle sostanze individuando le figure degli
eredi e dei legatari.
2) L’art. 587 fa riferimento alle “proprie sostanze”. C’è la possibilità riconosciuta al testatore di dettare disposizioni
di contenuto patrimoniale con struttura obbligatoria, nel senso che per loro tramite si impongono degli obblighi a carico
di coloro ai quali sono attribuiti i beni e simmetricamente si attribuiscono crediti a favore dei beneficiari delle
disposizioni. Ma non capiamo il termine sostanze da questo articolo, quindi non capiamo la giurisprudenza cosa vuole
intendere con questo articolo, ma capiamo il concetto di sostanze proprie da una serie di altri articoli. Molte disposizioni
sono di carattere obbligatorio nella quale il soggetto dispone di diritti che non ha ma obbliga il destinatario a acquistare.
Ossia non sono diritti nella sfera del de cuius e che vengono tramandati. Quindi con tutte le sue sostanze bisogna dare
esecuzione. Il legato di cose altrui: legato che attribuisce all’erede l’obbligo e al legato un diritto di credito. Sostanza
non nel patrimonio del de cuius.
3) Diseredazione: istituto a carattere negativo. Estromette qualcuno dalla successione; la diseredazione non è
possibile per i legittimari perché sono destinatari della quota di riserva. È l’esclusione rispetto ad alcuni eredi legittimi
(eredi che la legge chiama a succedere se il testamento non c’è o se non dice tutto). Si è molto discusso sull’ammissibilità
di una disposizione così meramente negativa.
Se un testatore dicesse che non vuole fare un testamento ma dispone che sua sorella non partecipi, allora comporta una
funzione de relato attributiva per gli altri (positiva) e concorrerebbero solo gli altri fratelli. Si parla quindi di una volontà
di escludere taluno dalla successione ed è ravvisabile un effetto positivo in favore di coloro che restano inclusi nella
successione, ammettendo così la possibilità di una mera regolamentazione circa la sorte del patrimonio. Dal 2012 esiste
la diseredazione del genitore ed è quella dell’art 448 bis che consente ad un legittimario di essere chiamato fuori quando:
il figlio può escludere il padre o la madre dalla successione rispetto al quale sia stata la decadenza dalla podestà
genitoriale per i fatti che non integrano quelle ipotesi di indegnità: tentato omicidio, alterazione testamento, lacerazione
del testamento e quelle ipotesi che rendono quella persona indegna che già a prescindere lo avrebbero fatto escludere
dalla successione. Ipotesi molto particolare introdotta per evitare che certe relazioni genitoriali consentissero ad un
genitore che si era macchiato di certe condotte che poteva succedere al figlio.
Il contenuto patrimoniale si può diversificare in titolo di erede o legato. Le istituzioni di erede, le norme sono poche.
Per quanto riguarda il legato, è disciplinato in maniera puntuale perché ci sono molti tipi di legati immaginati dal codice.
Il legatario si presta a una serie maggiore di possibilità e fattispecie, alcune a carattere reale altre obbligatorio (invece
di dare un diritto secco, assoluto come il pianoforte bensì al legato possa essere lasciato un credito, per esempio, il de
cuis lascia la somma di mille euro; questi euro sono un credito che il nostro legatario potrà vantare nei confronti
dell’onerato ossia l’erede). Il legatario acquisisce un bene o un diritto, diritto di proprietà, a ricevere una prestazione,
quindi un diritto di credito. A volte il testatore può attribuire un legato di alimentare nei confronti dell’erede X e questo
erede avrà un obbligo verso questo legato.
Sub legato: legato a carico del legatario. Il testatore può gravare un legatario dell’adempimento dell’altro legato. Un
legato a carico di un legatario. Il legatario è tenuto a soddisfare il legato ma nei limiti della cosa ricevuta. Il legatario è
tenuto a soddisfare all’eventuale onere dell’altro legato solo con ciò che ha ricevuto (al contrario dell’erede che se non
usufruisce del bene di inventario allora confonde il suo patrimonio con quello ereditato). Art. 662 c.c.
Legato obbligatorio: quando il testatore abbia disposto una prestazione alimentare ovvero abbia legato una somma di
denaro o una quantità di cose da prestare periodicamente.
Prelegato: Può capitare che il legato sia disposto a favore di un coerede; immaginiamo che il testatore designi tre eredi
e a carico di A anche un legato di una somma di denaro; in questo caso abbiamo il prelegato ossia a favore di uno degli
eredi. Il valore del legato si preleva dall’intero patrimonio e il residuo si va a dividere tra i tre eredi. Ex. A, B, C si
dovevano dividere l’eredità ma un legato A aveva 200k euro di diritto (disposizione a titolo universale e a titolo
particolare che coincidono). Quando l’erede è anche legatario, ciò che gli spetta viene scorporato dalla massa prima
della divisione. Quindi dalla massa si devono togliere i 200k e poi i rimanenti si dividono per A, B, C.
Il testatore può prevedere lui stesso le sostituzioni; quando oil testatore metto in conto che un istituito erede non possa
o non voglia accettare può lui stesso decidere come regolarla, avendo fatto questa previsione. Abbiamo la sostituzione
ordinaria e vale sia per l’erede che per i legatari. Se non la fa opererà l’accrescimento. Da ultimo il testatore può dettare
disposizioni che in varia misura influiscono sulla divisione del patrimonio ereditario. Per esempio, quando tra gli istituiti
ci sono dei minori, il testatore può disporre che la divisione non abbia luogo prima che sia trascorso un anno dalla
maggiore età dell’ultimo nato; anche quando non vi siano minori in gioco, potrebbe prescrivere che il patrimonio non
venga diviso prima che sia percorso un certo tempo che non può eccedere il quinquennio dall’apertura della successione.
Inoltre, esiste anche la sostituzione fedecommissaria: in origine era uno strumento diretto ad assicurare la conservazione
e la trasmissione dei patrimoni in un ambito determinato e per più generazioni. Il fedecommesso era un’istituzione di
erede accompagnato dall’obbligo di conservare il patrimonio e di trasmetterlo alla morte a persone indicate dallo stesso
testatore (solitamente erano i maschi e tra questi il primogenito). Questo istituto è stato ora ridimensionato e finalizzato
alla tutela dell’incapace giuridicamente. I genitori, gli ascendenti e il coniuge dell’interdetto possono istituire erede il
discendente o il coniuge con l’obbligo di conservare i beni per restituirli alla morte a favore della persona o degli enti
che sotto la vigilanza del tutore, hanno avuto cura dell’interdetto medesimo.
Il fedecommesso o sostituzione fedecommissaria è una disposizione testamentaria attraverso la quale il testatore
istituisce erede o legatario un soggetto determinato con l'obbligo di conservare i beni ricevuti, che alla sua morte
andranno automaticamente ad un soggetto diverso indicato dal testatore stesso.
Contenuto Atipico: art. 587. Può esserci o non esserci. Alcune sono legate alla successione ma alla regolazione di quella
successione: è il caso della nomina dell’esecutore testamentario, al quale il de cuius affida la successione oppure l’atto
di riconoscimento di un figlio nato al di fuori del matrimonio (come atto che il testatore fa in modo tale che questo status
prenda efficacia dopo la morte del testatore) oppure può capitare che ci sono altri contenuti atipici che sono contenuti
non nel c.c. ma in altre leggi come la trasmissione del diritto di pubblicare l’opera inedita o il consenso alla
commercializzazione del proprio ritratto (contenuto della legge sul diritto d’autore); possono contenere disposizioni a
favore dell’anima: celebrare messe, riti religiosi o disposizioni sulla cremazione del corpo; altre possibili determinazioni
come l’indegnità (esclusione dalla successione che il testatore vittima di una di queste condotte può decidere di renderle
inefficaci e vuole riabilitare il soggetto in modo tale che può succedere alla vittima).
Testamento biologico: non sono disposizione testamentarie ma sono decisioni da prendere in vita per un soggetto ancora
in vita per esempio sui trattamenti sanitari. Si chiama testamento solo per impropria assonanza di concetti.
Il testamento è un atto formale (è la legge che stabilisce quale forma debba avere): ratio- testamento è atto a prendere
efficacia ed è un atto irripetibile e una manifestazione di volontà irripetibile.
Forme testamentarie (art.601)
• Atto di notaio: più prudente e sicuro rispetto alla conservazione dell’atto.
1. Pubblico: il testamento è ricevuto dal notaio in presenza di due testimoni che non possono essere stabiliti eredi.
Il testatore si è limitato ad andare dal notaio e ha manifestato oralmente le sue disposizioni ridotte per scritto dal notaio
che le scrive. Viene meno la segretezza perché ci sono almeno tre persone che hanno sentito. per il testamento del muto
e del sordo ci sono norme speciali. Vantaggi: massimo della sicurezza e della consulenza. Il notaio può consigliare e
indirizzare il testatore verso la sua volontà.
2. Segreto: il testamento è scritto dal testatore (sottoscritto alla fine) o da un terzo (in questo caso deve essere
sottoscritto dal testatore). Questo testamento è consegnato al notaio con delle formalità: la carta deve essere sigillata con
un’impronta. Il notaio lo imbusta e lo conserva ma non lo legge e ciò sempre con due testimoni. Il contenuto è rimasto
sconosciuto ai presenti. Combina il vantaggio di segretezza e conservazione sicura.
• Olografo: dal greco che vuole dire scritto interamente di suo pugno dal testatore. Deve essere scritto, firmato e
datato dal testatore. Va bene scritto su qualsiasi materiale purchè sia leggibile: stoffa, carta, su un lenzuolo e purchè
abbia i requisiti richiesti dalla legge.
Requisiti: la firma alla fine delle disposizioni perché serve a chiudere le disposizioni e a renderle proprie. La
sottoscrizione va posta alla fine (va bene anche nomignoli etc. l’importante che non ci sia incertezza). La data deve
indicare il giorno, il mese e l’anno (o deve poter essere riconducibile. Ex. Natale 2019). La data ci aiuta a capire che nel
momento in cui è stato scritto il testatore era capace di intendere e volere e soprattutto non era malato, o affetto da una
malattia degenerativa non lo facesse ragionare; la data ci aiuta anche a dirimere eventuali conflitti tra due testamenti
(vale quello più tardivo. Ci deve essere la data per comprendere se ci fosse un testamento che rinnova le volontà e capire
quale sia l’ultima delle volontà).
Questo testamento può essere scritto da solo, senza mezzi tecnologici (può essere scritto da chiunque e non vale).
L’olografo è a vantaggio della segretezza massima.
Rischio: che non si trovi o che venga alterato, mancata conservazione, che venga distrutto, che non possa essere più
leggibile.
Ci sono molti testamenti speciali: a bordo di una nave (se muore sulla nave e vuole fare testamento) allora durante il
viaggio il testamento può essere ricevuto al comandante, o in caso di guerra. Sono testamenti ad avere efficacia limitata
perché devono essere pubblicati entro 3 mesi altrimenti perdono di efficacia. Qui, l’ordinamento vuole andare incontro
a situazioni particolari. Se il soggetto è sopravvissuto quando tornerà in condizioni normali, ne potrà redigere un altro.
Si distingue quindi tra testamenti ordinari e testamenti speciali.
Testamento internazionale: Con tale espressione si indica una forma particolare di testamento, introdotta dalla
Convenzione di Washington del 26 ottobre 1973, aggiuntiva rispetto alle forme di testamento esistenti in ognuno dei
Paesi firmatari della Convenzione, valevole in modo pieno anche nel diritto interno di ognuno dei Paesi interessati.
Casi di invalidità del testamento e quindi improduttivo di effetti (art. 606):
• Difetto di forma: quando mancano le formalità come necessarie e sono necessarie ai fini della validità. Se non
è scritto tutto di suo pugno dal testatore quindi scritto a macchina o con un’altra grafia, allora il testamento sarà nullo.
La mancanza di autografia o sottoscrizione è motivo di nullità. Mentre la mancanza di data ne porta all’annullabilità.
• Per ogni altro difetto di forma il testamento può essere annullato su istanza di chiunque ne ha interesse (interesse
giuridicamente rilevante di colui che magari è chiamato): l’annullamento si prescrive in termine di 5 anni dal giorno in
cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie.
• Si è inoltre parlato della capacità richiesta per redigere il testamento e del rilievo assegnato alla capacità di
intendere e di volere, la cui mancanza è sufficiente a giudicarne l’annullamento.
Annullità: non si prescrive ed è causa di un vizio più grave per esempio se manca l’olografia, il testamento è nullo e non
c’è modo di sanarlo.
Annullabile: se trascorrono 5 anni dalla data in cui è stata data esecuzione dalla data in cui è’ stata data esecuzione
disposizione testamentaria allora il testamento sopravvive alla sua annullabilità.
Validità del testamento segreto come olografo: art. 607. Il testamento segreto che è un testamento redatto dal testatore
e consegnato al notaio e quindi diventa segreto nella redazione ma pubblico nella conservazione. Se mancano quei
requisiti del testamento segreto ma ha tutti i requisiti per il testamento olografo ai sensi dell’art. 602, allora varrà come
testamento olografo e si salva il salvabile. Qualche difetto di un tipo di forma è compatibile con l’altra forma, allora si
salva l’atto e anche i suoi effetti. Si parla così di conversione formale della nullità per sottolineare la mancanza di un
certo livello di requisiti formali non sufficienti a privare gli effetti dell’atto, se ci sono i requisiti minimi richiesti per
l’olografo.
Nel caso in cui il testatore ha deciso di dare un contenuto particolare: non è nullo il testamento se le disposizioni alcune
non hanno un destinatario deciso, al contrario del contratto che ha il problema della determinatezza. Qui invece se
disposizioni sono prive di un destinatore ma sono ricostruibili; è un esempio il caso delle disposizioni dell’anima: sono
valide qualora fossero determinati i beni o la somma indicate al tal fine, per esempio l’impegno e vincolo a dire una
messa una volta all’anno oppure elargire qualche tributo al defunto quando sarà. Questo tipo di disposizioni sono
disposizioni a favore dell’anima perché non hanno un destinatario che ci guadagna. O per esempio le disposizioni a
favore dei poveri come disciplina l’art. 630: il legislatore salva gli effetti che dovrebbero produrre nel caso in cui il
testore indica il quantum o i beni da lasciare in devoluzione. Non è invece consentito rimettere direttamente ad un terzo
né l’indicazione dell’erede o del legatario, ma è possibile scegliere una persona che l’onerato o anche un terzo dovranno
scegliere tra gli appartenenti a famiglie o categorie, ovvero tra gli enti più specificatamente indicati come dice art. 630.
In tal caso, il destinatario del legato è determinabile (ex. Primo nato nella famiglia, primo studente del quartiere che si
laurea), mentre la disposizione a favore di una persona che non possa essere in alcun modo determinata è nullo.
ELEMENTI ACCIDENTALI NEL TESTAMENTO:
Al testamento possono essere apposti gli elementi accidentali che sono elementi che possono esserci o non esserci (al
contrario di quelli essenziali) e che se ci sono hanno incidenza notevole sul piano degli effetti. Si parla di tre elementi
accidentali: condizione, onere e termine.
La condizione è possibile e il termine non è possibile mentre l’onore è ampliamente possibile. La condizione è il mezzo
privilegiato per esprimere i motivi che possono aver determinato l’attribuzione ed in quanto tale è ammesso che il
testatore possa sottoporre a condizioni sospensive o risolutive sia la disposizione a titolo universale che a titolo
particolare. La condizione è possibile ma questa condizione non può essere impossibile o illecita. Il testatore può
decidere di istituire erede un soggetto a condizione che per esempio che ti laurei entro una certa dato oppure ti lascio
quell’immobile se verrai a vivere in questa città. Queste condizioni sono possibili perché rappresentano una sorta di
eventi al quale il testatore fa dipendere l’attribuzione patrimoniale. C’è il limite dell’illeceità o impossibilità: quando
l’ordinamento non tollera che si verifichi o se è impossibile, per esempio ti istituisco erede universale se uccidi una
persona e una disposizione del genere. Le condizioni illecite o non impossibili sono non apposte e l’istituzione d’erede
è conservata e il soggetto non deve aspettare di compiere quella cosa. La condizione impossibile o illecita è considerata
come non apposta.
Art. 635: una condizione di reciprocità (ti istituisco caio a condizione che caio istituisca te) è impensabile. Sarebbe
violata l’altrui libertà di testare.
Il termine non è possibile perché chi ha acquistato il termine di erede non la può dismettere e chi ha acquistato il legato
può anche distruggerlo, perderlo etc. e non ha alcuna attribuzione a termine. Non posso dire ti istituisco erede fino a X.
Il termine si ha come non apposto. L’istituzione di erede non sarà travolta ma sarà travolto l’apposizione del termine e
il nostro istituito sarà posto senza termine.
Onere: è una di quegli elementi accidentali che possono esserci o non senza compromettere la validità della disposizione.
È un tipo di peso che grava su una attribuzione avuta a titolo gratuito. Questa attribuzione può avvenire o con un contratto
o con un comodato. Può essere chiamato a svolgere un certo tipo di attività. Un testamento è possibile che una
disposizione testamentaria sia gravata da un onere ossia chi la riceve può trovarsi imposto il peso di un fare un qualcosa.
Non è una contro prestazione ma è una diminuzione del vantaggio di ciò che riceve. Per esempio, io ti lascio il fondo
della villa in campagna ma tu sei gravato dall’onere di organizzare concerti con caduta annuale. Son delle richieste al
beneficiario, che sia legatario o erede. L’onore comporta una diminuzione del vantaggio ma essendo a titolo gratuito,
l’ordinamento lo ammette. Il legatario acquista direttamente dal de cuius a titolo di successione. Ma se c’è l’onere di
beneficiare di una certa situazione, in questo caso il beneficiario dell’onere riceve la prestazione dall’onerato (L’onere
va a pesare sull’attribuzione ricevuta e colui che lo riceve può vantare di questo credito non direttamente dal de cuius
ma dall’erede o dal legatario). L’onere rimarca i motivi individuali che hanno spinto il de cuius a fare quella scelta nel
testamento. Per adempimento dell’onere può agire chiunque ne abbia interesse: se era a beneficio della collettività allora
la collettività può agire, dipende di caso in caso. Chiunque ha interesse giuridicamente rilevante e fondato può farlo
valere.
Vizi della volontà: possono inficiare la redazione del contratto perchè può essere che la volontà di una parte contraente
sia stata alterata dal dolo, dalla minaccia, dal raggiro, dalla violenza: questo tipo di alterazione di volontà può
manifestarsi anche nel testatore.
Art. 624: la disposizione testamentaria può essere impugnata da chiunque abbia interesse quando è effetto di violenza,
errore o dolo. Caso in cui il nostro testatore ha commesso un errore o se la sua volontà è stata coartata da una minaccia.
Il dolo è più frequente: raggiro per cui una persona, soprattutto quando non è perfettamente consapevole di ciò che scrive
èuò farsi convincere da un terzo a redigere il testamento in una certa maniera.
Un testamento inquinato scritto sotto minaccia, dal dolo è annullabile. Non è necessario che l’errore sia riconoscibile:
per esempio posso aver sbagliato ad indicare tizio e magari si capisce l’errore perché fornisco alcuni dati di tizio e altri
di caio.
Deve agire per l’errore chiunque ne abbia interesse. Anche la minaccia deve essere apprezzabile: il dolo non deve essere
determinante. Non importa quanto abbia inciso il raggiro, ma c’è stato e il fatto che c’è stato allora la disposizione può
essere impugnata solo nella parte in cui è stata oggetto di raggiro se si è in grado di dimostrarlo.
Il negozio testamentario è revocabile.
Art. 679: regole in tema di revocabilità che è l’atto uguale e contrario all’atto. L’atto testamentario è sempre revocabile.
Fino all’ultimo posso cambiare idea. Due tipi di revoca.
• Espressa: quando si fa un nuovo testamento o in atto fatto dal notaio in cui può dichiarare di revocare in tutto o
in parte, quindi, può essere totale o parziale.
• Tacita: il comportamento del testatore è tale da intendere il contrario, come per esempio, la distruzione del
testamento olografo e naturalmente può cancellare qualcosa o tutto. L’alienazione è una trasformazione del bene oggetto
del legato è una revoca implicita: se lascio a tizio il cavallo e prima di morire vendo i cavalli allora si parla di una revoca
parziale e tacita perché si è tradotto con un comportamento fattivo che sottolinea la volontà opposta del testatore. La
revoca tacita è legata ad un atto di interpretazione dell’atto di volontà. L’effetto della revoca è affidato ad una valutazione
di incompatibilità il cui esito può essere una revoca totale o parziale.
Distruzione, lacerazione, cancellazione ne determinano la revoca totale o parziale, ma deve esserci la prova che le
condotte sono state poste in essere da un terzo ossia inconsapevolmente dal testatore il quale non voleva revocare.
Revoca di diritto: disciplinati da legge. Quando al de cuius non aveva o ignorava di avere figli o discendenti. Si intendono
revocate se ignorava di averli. L’ordinamento ritiene che se si scopre dopo che li aveva allora si intendono revocati.
Revoca della revoca: posso aver revocato un testamento ma posso anche revocare la revoca che può esser anche essa
totale o parziale, così potranno rivivere le disposizioni testamentarie prima della revoca.
Altri dispositivi alternativi al testamento: il testamento è l’unico strumento tramite il quale è consentito al privato di
disporre del patrimonio dopo la morte.
Negli ultimi anni, tuttavia, si è svolto un dibattito sull’ammissibilità per l’autonomia privata si adottare strumenti
negoziali per finalità devolutive dei beni dopo la morte. L’esito di tale dibattito ha portato all’introduzione dell’istituto
del patto di famiglia. Il patto di famiglia ha un ambito di applicazione circoscritto perché è concepito per essere utilizzato
esclusivamente dall’imprenditore in vista del passaggio generazionale nella titolarità dell’impresa.
Ma anche gli atti di destinazione possono svolgere una funzione suppletiva del testamento con riferimento ai beni
immobili considerando che la destinazione impressa al bene, e ammesso che sia finalizzata ad interessi meritevoli di
tutela, può avere durata fino a 90 anni imprimendo così un vincolo sul bene che si estende anche oltre la vita del
conferente.
Oppure i fenomeni parasuccessori: hanno un carattere prossimo a quello devolutivo ricondotto a quello delle successioni
anomale. Si chiamano successioni anomale perché assumono un effetto simile a quello della successione a titolo
particolare attribuendo attraverso meccanismi contrattuali dei beni in occasione della morte del de cuius. Per esempio,
il contratto di assicurazione sulla vita che può essere stipulato a favore di un terzo: rispetto a tali contratti si sottolinea
che l’acquisto del diritto alla prestazione in occasione della morte dello stipulante non equivale ad un trasferimento dei
beni del de cuius in quanto la prestazione dell’assicuratore non entra direttamente nel patrimonio dell’assicurato.
Contratto di deposito di una somma di denaro o di titoli collegati ad un contratto di mandato di consegnarli ad un terzo
dopo la morte del depositante determinano un effetto devolutivo.
Clausole: caduta ingresso nuovi soci dopo la morte di alcuno dei fondatori.
Clausole di opzione: alla morte del socio attribuiscono ai soci superstiti il dritto di acquistare con la partecipazione ad
un pezzo determinato in relazione del patrimonio sociale.
Clausole di consolidazione: impongono la liquidazione della partecipazione del socio defunto con il versamento del
corrispettivo agli eredi.
Queste sono regole tra soci che gli è riconosciuto il diritto di recedere da contratto di società quando tali regole siano
deliberate dall’assemblea successivamente alla costituzione della società. Queste vengono operative dopo la morte del
socio e non depauperizzano gli eredi.
Separazione e divorzio possono essere occasione di decisioni che spiegano effetti sul piano successorio. La scelta di non
proporre domanda di addebito della separazione, consentono di mantenere immutata la pretesa successoria dell’altro
coniuge.
Trust: accordo tra due soggetti ossia il settler che trasferisce al trustee un bene o un complesso di beni che dovrà
amministrare o gestire destinandone gli utili ad un terzo beneficiario. Questo semplice schema può anche essere
arricchito con altre figure come il protector che sorveglia la condotta del trustee. Questo strumento è utilizzabile anche
in campo successorio per il trasferimento delle ricchezze durante e dopo la vita del settlor.
FINE
REALIZZATI DA: DONFRANCESCO BEATRICE