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Apostolico Paola (7140510)

Bardini Beatrice (7141692)


Gabrielli Talita (7140763)
Grassi Melissa (7140498)

La famiglia e le sue trasformazioni


nel corso della Storia

BIBLIOGRAFIA
Risorse web:
- Alberodellavita.org
-Unicef.it
-Interculturatorino.it
-Nostrofiglio.it
-Eurostat
-Slide
-Appunti presi in passato
Che cos'è la famiglia?

/fa-mì-glia/, sostantivo femminile

1. Nucleo sociale rappresentato da due o più individui che vivono nella stessa abitazione e, di
norma, sono legati tra loro col vincolo del matrimonio o da rapporti di parentela o di affinità.
2. Il complesso delle persone di una stessa discendenza, legate dal vincolo del sangue e della
tradizione.

La famiglia è un organismo sociale che ha subito diverse mutazioni nel corso della storia, non è un
dato naturale ma un costrutto sociale e culturale con importanti implicazioni giuridiche; i cambiamenti
che la riguardano sono stati condizionati da fattori economici, demografici, sociali e politici.
La famiglia è un sistema aperto, essendo un insieme di persone che formano un tutto pur nelle loro
differenze, essa ha un continuo scambio di energia con l'ambiente e la comunità circostante.

Con il termine famiglia si può definire il primo ambiente in cui un singolo individuo viene inserito, il
quale nella maggior parte dei casi, rimane invariabile.
Essa, intesa come nucleo familiare, è un perno importante poiché fornisce gli strumenti fondamentali
per la crescita del bambino e per un futuro inserimento all’interno della società.
È un concetto universale presente in ogni comunità umana, tutti la sperimentiamo come primo
modello di socialità, ma la sua struttura cambia a seconda delle culture, delle epoche e delle mentalità.

Per parlare della famiglia gli antropologi non partono dalla sua definizione (quindi non dicono come
dovrebbe essere una famiglia giusta) ma dalla sua fenomenologia, che ha diverse varianti.
Dal nostro punto di vista la famiglia può essere un punto importante e costante nella vita di ogni
individuo, la famiglia e l’ambiente in cui cresciamo condizioneranno, sia in positivo che in negativo,
la nostra visione del mondo, il modo in cui reagiamo agli eventi e dunque la nostra vita.

Uno dei temi maggiormente dibattuti dell'età contemporanea, soprattutto dai mass media, in quanto
richiama sia questioni di natura religiosa, morale e sociale, è l'evoluzione della famiglia.
Quest'ultima negli ultimi decenni ha subito tali e tante trasformazioni che oggi non è più assimilabile
a quella passata.

Con il termine famiglia, a nostra veduta, non si indicano solamente due individui che vivono sotto lo
stesso tetto e sono uniti dal vincolo del matrimonio, ma quando pensiamo a questa parola ci viene in
mente anche la gioia, la sicurezza, l’amore e il sostegno nei momenti di debolezza; si tratta di un posto
felice dove l’individuo che ne fa parte può rifugiarsi quando le cose non stanno andando nel verso
giusto e questo avviene a prescindere dalle persone che ne fanno parte.

Come si è evoluta la famiglia nel tempo?

Già dalla fine del ’700 e inizio ’800 sono state fatte delle distinzioni per quanto riguarda i modelli di
famiglia, tra questi si possono distinguere soprattutto la famiglia borghese e quella contadina, queste
due famiglie sono state considerate per evidenziare il dislivello dei due diversi ranghi sociali.
Quella borghese è fondata sulla distinzione del ruolo maschile e femminile, queste due figure, che
sono le fondamenta per la famiglia, hanno posizioni diverse: la donna era madre ed educatrice dei
figli, si occupava della loro cura personale e del mantenimento della casa ed era dedita al suo ruolo; al
contrario dell’uomo, che era libero di godere dei propri interessi anche al di fuori del suo ruolo sociale
e dalle aspettative che questo comportava.
I bambini invece venivano considerati dei “piccoli adulti”, il vestiario era molto sfarzoso e di grande
importanza, poiché all’interno di tale famiglia ricorrevano spesso eventi importanti, come celebrazioni
di anniversari domestici e matrimoni.

Per quanto riguarda la famiglia contadina, al suo interno il ruolo della donna può essere comparato a
quello della donna borghese dal momento in cui, il rispetto e l’obbedienza verso l’uomo, erano alla
base dell’ideale familiare. Inoltre, come l’uomo, non poteva avere altri contatti se non quelli interni al
nucleo familiare.
Spesso vivevano in molti sotto lo stesso tetto, più generazioni o più nuclei familiari, oggi le avremmo
definite “famiglie allargate”, dove al vertice vi era il membro più anziano del gruppo che governava la
vita di tutti ed era il proprietario dei beni.

Il modello della famiglia contadina è ricorrente in celebri libri e film, come “C’è ancora domani”.
Quest’opera segna l'esordio alla regia di Paola Cortellesi, che sceglie di raccontare la storia di una
donna, Delia, ambientandola nella Roma del secondo dopoguerra.
Il film narra la storia di questa donna che ha vissuto la sua vita succube del patriarcato, viviamo la sua
quotidianità in cui non è libera, ma deve servire la famiglia non avendo neanche la possibilità di
sedersi a tavola con i suoi cari e, quello che quotidianamente guadagnava con sacrificio, non veniva
considerato di sua proprietà ma del marito; inoltre, qualora i suoi gesti fossero anche soltanto
minimamente considerati inadeguati dall’uomo, le violenze erano repentine.
Questa storia ci vuole far vedere una realtà che non era isolata, ma che molte donne erano costrette a
vivere.

Successivamente durante gli anni del ‘900 si è verificata una trasformazione dovuta ad una serie di
eventi, come il processo di industrializzazione che ha portato all’estensione delle città e, di
conseguenza, a fornire un maggiore lavoro soprattutto alle donne.
Questo avvenimento ha portato ad un’emigrazione dal sud al nord e dalle campagne alle città; questi
numerosi cambiamenti hanno apportato delle modifiche all’interno della famiglia stessa, la quale non
viene più definita “allargata” ma “nucleare”.
Tale processo si è ottimizzato grazie anche alla conquista dei diritti da parte delle donne, e alla riforma
del diritto della famiglia nella seconda metà degli anni ’70 del 900.

Come enunciato dalla legge 151 del 1975, la riforma del diritto di famiglia estendeva alla donna i
diritti che fino a quel momento erano stati riconosciuti soltanto all’uomo, tale legge introduce il diritto
di entrambi i coniugi sui figli.

Alla donna venne riconosciuta una maggiore libertà, venne redatta una legge rivolta unicamente alla
donna riguardo all’aborto, la quale sanciva che tale azione poteva avvenire entro 90 giorni dal
concepimento.

Nel corso degli anni abbiamo notato che ci sono state numerose trasformazioni e cambiamenti
all’interno del nucleo familiare, possiamo ricavare una testimonianza pratica, fatta dalla sociologa
Chiara Saraceno, la quale sostiene che all’interno delle famiglie ci siano stati dei cambiamenti
riguardanti il matrimonio, la vita di coppia e l’invecchiamento all’interno delle parentele.

Nel suo libro “L’equivoco della famiglia” viene evidenziato proprio questo suo pensiero riguardo al
fatto che non si può considerare un unico modello di famiglia in quanto questa è in continua
trasformazione e si adatta allo sviluppo della società.
Essa afferma che con il passare del tempo sono cambiate le dinamiche nei rapporti uomo-donna senza
però raggiungere il principio di uguaglianza, notando tuttavia, un avvicinamento verso di essa.
Questo può essere spiegato poiché il tempo impiegato dalla donna per lavorare è lo stesso dell’uomo.
Per questo motivo, ad oggi, molti padri si occupano dei figli e della casa, al contrario di quanto
accadeva diversi anni fa, quando ad occuparsi di tutto era la madre.

Inoltre Chiara Saraceno si esprime anche sul concetto della famiglia fondata sull’amore e sulla libera
scelta della coppia, questo è un dato nuovo, in quanto in passato ci si sposava e si facevano figli per
convenienza e non per un sentimento profondo, questo però dipende dalla cultura e dai valori ai quali
si fa riferimento (ad esempio ancora oggi in Paesi come Pakistan, Marocco e India i matrimoni
vengono combinati dai genitori fin dall’infanzia per ragioni economiche), dobbiamo avere la
consapevolezza che ogni famiglia fronteggia realtà differenti e, per questo motivo, non possiamo
prendere in considerazione un modello preciso.

La famiglia svolge un ruolo fondamentale nel processo di socializzazione del bambino e all’interno di
essa si costruiscono legami affettivi, si apprende il linguaggio e le regole.

I diversi compiti che la famiglia svolge sono:

- cura e protezione
- acquisire sicurezza di sé
- apertura ai rapporti sociali
- trasmissione di norme, valori e usi
- trasmissione del linguaggio

Inoltre, ciò che è importante sottolineare è che non è tanto il sentimento a definire la famiglia quanto
le norme giuridiche, perché sono proprio quest’ultime a dare consistenza alla società e la legittimità ai
legami.

Possiamo dunque dire che esistono diversi modelli di famiglia:


- nucleare, costituita dai due coniugi e
dai figli;
- ricostituita, formata in seguito poi a
seconde nozze;
- monogenitoriale, con un solo
genitore;
- omogenitoriale, con genitori dello
stesso sesso.

Cosa si intende per genitorialità e come si è evoluta nel tempo?

La genitorialità è un insieme di funzioni che le figure genitoriali assolvono per educare i propri figli.
Tali funzioni si realizzano nella relazione tra genitori e figli e questa relazione comporta diritti e
doveri dei primi relativamente all’educazione, cura e sviluppo integrale.
Questo rapporto può comportare dei limiti in quanto il comportamento dei genitori è condizionato
fortemente dal contesto, dalla provenienza socio-economica, dalle caratteristiche culturali e dal
temperamento del figlio. La genitorialità dunque può essere definita come una nozione essenziale, che
prende forma non solo in un contesto sociale ma anche culturale.

Belsky sosteneva che la genitorialità fosse il risultato di un vasto insieme di fattori, i quali si possono
raggruppare in tre macro categorie che costituiscono l’ambiente ecologico in cui il bambino cresce:

- caratteristiche personali del genitore;


- caratteristiche personali del bambino
- caratteristiche sociali e contestuali.

La genitorialità consiste in un percorso di vita durante il quale si impara a “essere genitori”,


prendendosi cura dei figli, imparando a riconoscere ciò di cui hanno bisogno, in base alle diverse età e
fasi evolutive.
Quando parliamo di capacità genitoriali intendiamo quell'insieme di capacità e attitudini che
consentono di offrire cure adeguate ai bisogni del bambino, di riconoscere i suoi bisogni affettivi, di
offrire contenimento e regolazione dei suoi stati d'animo, ma anche di dare dei limiti e delle regole.
Le competenze genitoriali possono essere messe in discussione nel momento in cui iniziano a
emergere preoccupazioni per il benessere del bambino e un genitore trascura i doveri di essa o abusa
dei relativi poteri, può essere necessario intervenire con una valutazione delle competenze genitoriali.

Solitamente il soggetto impegnato nella genitorialità è il genitore biologico del bambino, ma può
essere anche un fratello maggiore, un nonno, un tutore legale, uno zio, un altro membro della
famiglia, o un eventuale amico di famiglia.
Anche i governi e la società possono influire nell'educazione dei giovani; ad esempio, i bambini orfani
o abbandonati possono ricevere cure parentali da persone non consanguinee, inoltre possono essere
adottati, cresciuti in affidamento o collocati in un orfanotrofio.

Il sostegno alla genitorialità passa anche attraverso i consigli di professionisti specializzati, capaci di
rendere più serena la vita dei bambini.
In alcuni casi, un educatore professionale può seguire i genitori nella loro quotidianità, attraverso
incontri, al fine di fornire supporto e controllo per aiutare il genitore nel rivalutare gli eventi critici
presenti nella relazione con il proprio figlio.

Abbiamo diversi tipi di genitorialità, tra questi quella responsabile, secondo la quale il genitore
garantisce il benessere del figlio assumendo un comportamento affettivo non violento, ma proattivo
riconoscendo i bisogni del bambino, i suoi desideri, e le sue peculiarità soggettive.
Allo stesso tempo però è utile fissare dei limiti necessari alla crescita sana e che permettano al
bambino di sviluppare il proprio potenziale.
La psicologa Eleanor Maccoby (1917-2018) ha distinto tre diversi stili educativi genitoriali:

- genitore autoritario, quando detta regole rigide e senza interpellare il figlio avendo per lui una
scarsa considerazione spingendolo a ribellarsi (scarsa accettazione ed elevato controllo)
- genitore permissivo, quando lascia fare qualsiasi cosa al figlio e di conseguenza non si prende
cura di lui (elevata accettazione scarso controllo)
- ⁠genitore democratico, quando è pronto ad ascoltare e dialogare con i figli, è attento e paziente
ma autorevole facendosi rispettare (elevato sostegno e adeguato controllo)

La psicologa clinica Diana Baumrind (1927-2018) ha identificato altri due stili educativi evidenziando
il controllo e il sostegno:

- respingente trascurante, non c’è riconoscimento, non sono esigenti né accoglienti e distaccati.
Il messaggio che passa ai figli è quello che da parte del genitore c’è un totale disinteresse nei
confronti del figlio. (scarsa accettazione e scarse controllo)
- iperprotettivo, sono ansiosi e preoccupati a tal punto da non dare ai figli l’autonomia
necessaria per crescere, fanno di tutto servizi per i loro figli, trasformandoli in dittatori
domestici. (elevata accettazione ed elevato controllo)

La genitorialità va declinata in un senso ampio, poiché essere genitore ora oppure negli anni 60 è
molto diverso, sia per i significati sia per l’interpretazione di essi.

I genitori di una volta in linea generale non si interessavano ai bambini, non si occupavano della loro
felicità ma pensavano soltanto alla loro nascita, soddisfando i bisogni essenziali.

Il loro ruolo è stato sostituito da figure genitoriali molto più accoglienti e disponibili ai bisogni
espressi dai figli.
In tale passaggio sembra però essersi perso il ruolo di contenimento emotivo e normativo che pure
appartiene alle figure genitoriali, il rapporto tra genitore e figlio è diventato meno sbilanciato e più
paritario.
È stata favorita la comunicazione, lo scambio, il confronto, un maggiore conforto ed incoraggiamento,
rispetto all’assenza che c’era in precedenza.
Possiamo inoltre affermare che parlare di genitorialità significa ampliare il proprio punto di vista
includendo le diverse prospettive, in cui le figure genitoriali esercitano la propria responsabilità sui
figli.

La società in cui viviamo è ricca di sfumature sul piano etnico, religioso, linguistico e culturale. La
fusione tra le varie culture è avvenuta grazie alla migrazione prima di individui e poi di intere
famiglie, che arrivavano da tutto il mondo. Nell’ultimo ventennio in Europa c’è il passaggio
dall’immigrazione economica all’immigrazione demografica. In realtà, la forma che prende la
famiglia dell’immigrazione dipende dalle condizioni economiche, sociali e politiche nelle quali essa si
effettua.

L’inserimento di queste famiglie all’interno della società è stato un argomento delicato da trattare, gli
studiosi hanno denominato queste famiglie come “famiglie con background migratorio”, è un modello
familiare che si aggiunge alle diverse tipologie di famiglie che fanno già parte nel panorama odierno.
Secondo un rapporto dell'ente statistico europeo Eurostat, la media europea è del 10,6% di immigrati
in rapporto alla popolazione.

In tutti i Paesi l’autorizzazione del ricongiungimento familiare suppone una durata minima di
residenza nel Paese da parte del richiedente, che inoltra la domanda dopo un arco di tempo ancora più
lungo, a causa delle condizioni imposte dalla regolamentazione, per la concessione del
ricongiungimento.
L’esperienza migratoria è un processo complesso in quanto porta a dover imparare nuove lingue,
integrarsi con una nuova cultura e in una nuova società, a perdere i propri stili di vita, le abitudini e a
distaccarsi da ogni tipo di relazione. I motivi più frequenti per cui queste famiglie emigrano sono la
guerra e la mancanza di possibilità di lavoro.

Un altro fenomeno piuttosto frequente all’interno delle famiglie migranti è quello della migrazione dei
minori, che costituiscono circa un terzo di tutti i rifugiati e migranti che arrivano in Europa, di seguito
alcune delle situazioni che si presentano:

1. Minori che arrivano con la propria famiglia


2. Minori nati all’estero che si ricongiungono alla propria famiglia
3. Minori nati in Italia da genitori stranieri
4. Minori figli di coppie miste
5. Minori che hanno sperimentato l’esperienza di adozione internazionale
6. Minori “stranieri non accompagnati” : si tratta di bambini, bambine e adolescenti che lasciano
il loro paese per varie ragioni, volontariamente o involontariamente, senza genitori o adulti
legalmente responsabili per loro. Alla fine di Aprile 2023 in Italia erano 20.681, di cui 4 mila
bambine e bambini fino a 14 anni.
7. Minori “left behind”: si tratta di quei minori di cui uno o entrambi i genitori sono emigrati
all’estero, in Romania il fenomeno sta raggiungendo dimensioni allarmanti.

Per quanto riguarda la nostra esperienza lavorativa personale, avendo avuto la possibilità di far parte
di un contesto educativo durante l’alternanza scuola-lavoro, vorremmo approfondire il caso di un
minore che emigra con la propria famiglia.

Nella scuola italiana un alunno su 10 è straniero. In una società sempre più multietnica, favorire una
corretta interazione tra bambini è un’attività che deve essere svolta dentro e fuori da scuola.
La scuola italiana è detta multietnica secondo i dati raccolti da Vinicio Ongini nel suo libro “La
grammatica dell'integrazione. Italiani e stranieri a scuola insieme”; si parla di 18.474 alunni stranieri
già nell’anno scolastico 1989-1990 nelle scuole italiane: il primo Paese di provenienza era il Marocco.

Osservando dunque il bambino all’interno di un contesto formativo possiamo toccare con mano il suo
smarrimento, dovuto al fatto che non comprende la lingua e si trova immerso in un ambiente culturale
completamente differente.

Quello che è difficile per l’educatore è riuscire a creare un legame di fiducia e un rapporto più
profondo per far sì che il bambino si senta protetto, così da avere una spalla su cui contare in caso di
bisogno.
Ciò avviene anche con gli altri bambini che, non comprendendo il suo disagio e non stimolandolo a
relazionarsi, creano in lui un meccanismo di isolamento in cui si sente spaesato, “diverso” e talvolta
anche inadeguato.

Gli educatori intuendo questo disagio e confrontandosi con i genitori capiscono che è necessario per il
benessere del bambino affiancargli una figura di sostegno che possa aiutarlo nella socializzazione
rapportandosi, con più facilità, con i suoi coetanei.

Il compito dell’insegnante è quello di far interessare i bambini alla cultura dell’altro.

Questa figura può essere utile anche per i genitori per capire come muoversi e come comportarsi di
fronte ad un eventuale disagio e\o difficoltà del figlio, orientandoli nella giusta direzione (sostegno
alla genitorialità).
Ciò che offre è anche un aiuto per imparare la lingua, abbracciando la differente cultura di cui adesso
fa parte, includendolo nelle tradizioni, usi e ideologie appartenenti al paese.

Dietro a un bambino “straniero”, ci sono storie diversissime che ne caratterizzano in maniera unica i
tratti identitari: le vie dell’interazione, dunque, non possono che diventare infinite, come infiniti sono
i modi in cui i genitori possono aiutare i propri figli a metterla in pratica.

È dunque opportuno dire che quando le famiglie e le comunità collaborano con le istituzioni
scolastiche, per far fronte alle situazioni di svantaggio educativo, gli effetti sono sicuramente positivi.

È importante stabilire una relazione empatica con il nuovo arrivato, fatta di piccole attenzioni, parole
pronunciate con calma e con tono rassicurante (anche se il bambino non ne capisce il significato, ne
capisce il tono amichevole, che è universale), è bene nutrirlo di messaggi comprensibili,
gradualmente, tramite esempi.

È fondamentale prestare attenzione ai diversi livelli di vulnerabilità che possono essere intercettati
anche tra i minorenni di seconda generazione, quali la provenienza da famiglie con basso capitale
sociale e culturale o le condizioni abitative precarie in aree svantaggiate o eventuali problematiche di
convivenza tra culture differenti.

Da cosa cominciare quindi? Inizialmente potremmo uscire dalla propria zona di sicurezza per
conoscere la realtà circostante e per fare esperienze legate ad altre culture: davanti ad altri luoghi di
culto ci si può fermare e nominarli, così come di fronte a cibi, vestiti, linguaggi.
Scoprendo il proprio territorio riusciamo a capire che ciò che è importante per noi lo è anche per gli
altri.

È un lavoro di valorizzazione, che deve partire dagli adulti su cui i bambini potranno affidarsi.

Per incentivare la socializzazione e apprendere la lingua può essere utile organizzare per gli studenti
lavori di gruppo come spettacoli teatrali, recite, visione di film e momenti informali in cui i bambini
possano stare insieme e imparare fin da piccoli a confrontarsi con più realtà differenti dalla loro.

Perchè tutto questo possa avvenire, per far sì che sia garantita un’adeguata integrazione e accoglienza
all’interno delle scuole, è necessario che gli insegnanti e la scuola stessa siano sufficientemente
attrezzati.

Se un ragazzo immigrato, con famiglia immigrata, arriva a scuola ma non sa l’italiano è giusto che
questa gli fornisca i mezzi necessari per impararlo, così da poter sia comunicare che studiare; magari
attrezzandosi con un'aula o un professore dedicata a questo.

Purtroppo in certi casi non è sufficiente perché imparare una lingua non è una cosa facile e se
parliamo di scuole medie o superiori in cui i programmi iniziano a farsi più complessi le difficoltà
sicuramente aumentano, i ragazzi immigrati infatti, il primo anno che fanno in Italia, spesso vengono
bocciati proprio per questo tipo di problematiche e questo è sicuramente un punto su cui la scuola
dovrebbe lavorare, magari ospitando all’interno delle figure esperte che possono aiutare i ragazzi ad
imparare la lingua più velocemente.

Inoltre è importante che il ragazzo venga accolto dai suoi compagni perché anche cambiare paese e
lasciare tutti gli amici, tutti gli affetti, non è una cosa semplice, dunque starà alla scuola organizzarsi
per far sì che questo accada.

La scuola è una parte importante nella vita di ciascuno di noi, non soltanto perché a scuola si possono
imparare cose fondamentali come leggere, scrivere, contare… ma anche e soprattutto perché è il
primo luogo che ci permette di rapportarci con l’altro.
Il bambino inizia il suo percorso scolastico quando non ha ancora imparato a parlare correttamente e
lo finisce avendo la possibilità di votare per il suo paese (esclusi i casi di abbandono), dunque è
evidente che formerà maggior parte della sua persona all’interno di questo istituto.

Gli insegnanti dunque hanno un ruolo decisivo nel far apprendere ai ragazzi l’apertura mentale nei
confronti delle diversità fin da piccolini. Può non essere facile per un bambino capire che un nuovo
compagno che parla una lingua diversa è, allo stesso tempo, uguale a lui in quanto essere umano, ma
diverso a lui in quanto diverso è il loro passato, la loro storia, le loro abitudini; e che però questo non
sarà motivo di esclusione ma che si potrà creare ugualmente tra i due un rapporto di conoscenza e
amicizia.

In conclusione, dopo aver affrontato il tema della famiglia, di come era intesa in passato, di come è
intesa adesso, di come questo cambiamento sia avvenuto, di genitorialità e di sostegno ad essa; la cosa
che ci sentiamo di sottolineare è che, nonostante la visione della famiglia sia cambiata nel corso della
storia, resta di fatto che ognuna di esse è differente in quanto ogni famiglia ha il proprio background, i
propri problemi, le proprie dinamiche, le proprie abitudini e tradizioni, così come le persone che la
compongono, ed è giusto trattare dunque ognuna di esse come tale, come unica, senza generalizzare o
dare per scontate alcune questioni piuttosto che altre.

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