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SOCIOLOGIA DELLA FAMIGLIA E DELL’EDUCAZIONE

LEZIONE 1
Descrivi che cos’è per te la famiglia e quali sono secondo te le principali funzioni che la famiglia
svolge nella nostra società
LEZIONE 2
La famiglia è un qualcosa difficile da definire perché è connotata dal punto di vista ideologico: la
famiglia è un qualcosa di eterogeneo, di diverso per ogni individuo. La famiglia è stata un
cavallo di battaglia dei vari partiti: in Italia la famiglia viene considerata importantissima, un
qualcosa che ha un valore assoluto. Le persone tendono a sbandierare l’importanza della
famiglia ma in concreto non si fa quasi mai nulla per aiutare questo organismo. La famiglia è
sicuramente cambiata nel corso della storia, inoltre è stata vincolata da norme precise, le quali
hanno subito anch’esse un mutamento. La famiglia cambia la sua connotazione in base alla
sfera pubblica e privata: nel privato posso dire che Gregorio è il mio migliore amico, ma nel
pubblico, per lo Stato, noi non siamo niente e per esempio le tasse le dobbiamo pagare in
maniera differente. Noi siamo abituati a ragionare sul nostro privato, il quale però non coincide
quasi mai con la realtà: in paesi differenti troviamo famiglie differenti, composte in maniera
diversa, oppure possiamo arrivare in uno Stato in cui la legislazione sulla famiglia non riconosce
il tipo di famiglia alla quale apparteniamo. Due persone possono convivere da 30 anni ma non
aver nessun tipo di documento che attesta la loro unione e per questo possono essere chiamati
“famiglia di fatto” (le famiglie hanno diritti diversi). In Italia è molto importante la famiglia
tradizionale: una famiglia tradizionale è composta da madre, padre, figli (maschio e femmina);
nelle zone rurali in genere il numero di figli aumenta. Questa famiglia viene anche chiamata
“famiglia del mulino bianco”, la quale è sempre felice e in perfetto stato: proprio questa famiglia
viene definita tradizionale. Esistono anche famiglie “non convenzionali/non tradizionali” che a
volte vengono rappresentate anche dai mass media, i quali hanno smesso di utilizzare sempre
la famiglia “del mulino bianco” e hanno cominciato ad utilizzare altri tipi di immagini: quindi le
pubblicità cercano di seguire i trend sociali per cercare di vendere di più.
Il contrario di tradizionale è “non tradizionale” o “non convenzionale” e il contrario di normale è
“a-normale”? La parola anormale è formata dall’alfa privativa: nella nostra società la parola
normale ha assunto con il tempo un significato positivo, invece alla parola anormale si è
attribuito un valore negativo, ma in realtà l’anormalità è semplicemente una situazione che non
si conforma alla routine sociale. Le tradizioni inoltre variano da famiglia a famiglia e da luogo a
luogo: nel passato la famiglia era un qualcosa di ideale, infatti i padri e i nonni esordiscono
sempre con “ai miei tempi”. Al giorno d’oggi molte definizioni dei fenomeni sono falsate da
internet e dai pregiudizi: dovrebbe essere la famiglia combinata con l’istruzione scolastica ad
educare i ragazzini e gli adolescenti, però non dovrebbero farlo in maniera meccanica (si spiega
solo l’atto) ma dovrebbero fornire un’educazione totalizzante e completa. Un altro argomento di
cui si parla poco ai ragazzi è la differenza fra sesso e amore: non tutte le volte che si fa sesso
c’è amore, inoltre l’educazione su questo argomento avviene ancora in maniera meccanica, in
genere da parte della scuola. I ragazzi poi, riguardo alla sessualità e all’amore, si vanno ad
informare praticamente solo su internet e questo tipo di informazione è fuorviante perché
spesso la realtà è diversa da come ce la presentano i media: da questo scontro-contrasto
deriva un sentimento di spaesamento da parte del ragazzino. Un’altra fonte di informazione per
i ragazzini sono i loro amici, coloro che hanno già avuto esperienze simili.
Un altro argomento importante sono gli anticoncezionali, i quali hanno slegato la riproduzione
dall’atto sessuale, cioè ogni volta che si ha un rapporto non si ricerca per forza il concepimento.
Gli anticoncezionali poi mettono a riparo dalle malattie sessualmente trasmissibili, ma questo
tipo di informazioni non viene quasi mai veicolata in modo efficace e veritiera dai canali quali la
scuola o la famiglia. Gli anticoncezionali poi sono sempre attribuiti all’universo femminile: i mass
media hanno sempre diffuso l’idea che le precauzioni vadano associate alle donne, sono loro
che devono “prendere la pillola” e devono “portare il preservativo”, inoltre quando fanno questi
gesti vengono definite delle “poco di buono dalla società”. Ma chi è la società?
In sociologia esistono due modi di ragionare: l’individualismo metodologico e il collettivismo
metodologico: questi due metodi cercano di normale il rapporto fra individuo e società. Nel
primo metodo si pensa che l’individuo può influenzare ciò che la società diventa (la prevalenza
ce l’ha individuo); nel secondo metodo (utilizzato da Durkheim) si dice che il tutto prevale sulla
parte, cioè che la società ha il potere sull’individuo. Io ho bisogno degli individui per creare la
società, ma ciò che creo è superiore e diverso dalle parti che lo compongono (quando io creo
l’acqua ho bisogno di idrogeno ed ossigeno, ma queste due componenti hanno caratteristiche
diversissime rispetto all’acqua: caratteristica “sui generis”, cioè le parti sono diverse dal tutto
che formano). Simmel invece cerca di introdurre un nuovo concetto, quello di relazione: in
quest’ottica non è l’individuo che influenza il tutto e nemmeno viceversa, quello che succede è
che entrambi si influenzano a vicenda (relazione sociale).
Per quanto riguarda lo stabilire cosa è normale e cosa non lo è, i social e i mass media
influenzano moltissimo questo processo: questi strumenti ovviamente giocano un ruolo
importante, ma si deve tenere conto anche della mentalità e della soggettività degli individui che
vengono a contatto con tali strumenti. I ragazzi cominciano a non prendere più per “oro colato”
tutto quello che vedono: ovviamente vengono ancora influenzati a causa della situazione di
fragilità in cui si trovano, ma stanno anche sviluppando un senso critico per vedere il mondo.
Quindi vi sono dei ragazzi che cominciano a capire questo meccanismo, altri invece continuano
a rimanere attaccati a ciò che dicono i social: i social non sono un qualcosa da condannare a
priori, ma sono un qualcosa da saper utilizzare.
“Non esiste un modo di essere e di vivere che sia il migliore di tutti. La famiglia di oggi non è né
più né meno perfetta di quella di una volta: è diversa perché le circostanze sono diverse”.
Questa frase è stata scritta da Durkheim nel 1888: egli era uno studioso della famiglia che la
studiava tantissimi anni fa ed era già comunque “avanguardista” in questo campo di studi. Uno
dei più grandi cambiamenti è il concetto di “scelta” applicato alla famiglia: ora posso scegliere
se avere un figlio o no, se voglio sposarmi, se voglio stare a casa per badare ai miei figli; questa
“scelta” non era presente all’interno della tradizione e della famiglia tradizionale. Anche la
gestione delle emozioni è cambiata: prima si affermava che solo le bambine e le ragazzine
potevano piangere (mostrare i sentimenti è un qualcosa da donne), ora è un po’ sdoganato
anche il veder un ragazzo o un uomo piangere, anche se non in maniera così diffusa come
succede per le donne.
LEZIONE 3
Definizione di famiglia: è composta da vari concetti, come quello di cura e di reciprocità, è
importante sottolineare anche che la famiglia può essere composta da 1 o più persone (famiglie
unipersonali: solo una persona, il che è “strano per noi” perché siamo abituati a pensare ad una
famiglia di almeno 2 persone); la famiglia poi ha funzione educativa e può essere anche scelta
(dal punto di vista dei genitori ma anche da quello dei figli, i quali possono ricrearsi un nucleo
familiare distante da quello “biologico”). Una parola chiave all’interno della sociologia della
famiglia è “scelta”: si può scegliere il proprio partner, proprio perché il tempo in cui viviamo ce lo
permette; non si può affermare che una famiglia sia migliore di un’altra (quella tradizionale non
è migliore di quella moderna e quella eterosessuale non è meglio di quella omosessuale). Nel
passato il partner non veniva scelto ma spesso veniva scelto dalla famiglia: la ragazza veniva
data in sposa ad un uomo abbiente, con un buon ceto e un buon status economico, uomo che
lei non aveva scelto. Oggi la scelta però è ancora limitata a certi paesi e a certe nazioni, infatti
alcune donne sono ancora obbligate a sposare un uomo o un partner che non hanno scelto. La
scelta inoltre può essere applicata anche ai figli: una famiglia o una donna può scegliere di non
fare figli o può scegliere di interrompere una fgravidanza; in passato poi le relazioni non si
basavano sull’amore ma più sulla classe economica del partner o sul suo livello sociale (in
passato l’amore non era il fondamento delle emozioni, quindi se veniva a mancare l’amore non
veniva a mancare il matrimonio). Altro fenomeno al quale si può applicare la scelta è il divorzio:
le persone oggi, quando manca l’amore, possono decidere di divorziare, proprio perché manca
il presupposto essenziale sul quale si basa la famiglia, cioè l’amore (non era così in passato).
Ovviamente noi siamo portati a vedere le famiglie tradizionali come “idilliache” e perfette perché
mancava la scelta del divorzio e quindi le persone, anche se non si amavano, erano costrette a
stare assieme fino alla morte. Le relazioni inoltre vengono troppo spesso edulcorate: le relazioni
infatti non sono sempre costanti, possono avere degli alti e dei bassi, i quali possono portare
alla nascita di discussioni e queste discussioni possono essere risolte solamente tramite il
dialogo e la comunicazione. La famiglia poi, come abbiamo detto, si basa sull’amore, ma
l’amore è un sentimento che ha tantissime declinazioni diverse: noi proviamo un certo amore
per le nostre sorelle, il quale si differenzia da quello che proviamo per i nostri animali o per i
nostri partner. L’amore quindi può essere declinato come affetto, cura, benessere, felicità e così
via. Un altro concetto che può prendere vari significati è proprio quello di felicità.
L’etichetta di famiglia però non può essere applicata a qualsiasi cosa, perché altrimenti
perderebbe il suo significato: ci possiamo chiedere ad esempio se due amici costituiscono una
famiglia, soprattutto ai fini legislativi. Quindi servono criteri di scelta, con i quali decidere che
cosa si può inserire all’interno della dicitura “famiglia”.
Ritornando alle caratteristiche della famiglia, dopo il concetto di cura e di reciprocità, c’è quello
di legame e di distanza: un figlio che va a vivere all’estero continua ad essere legato
emotivamente e legalmente alla sua famiglia nonostante la distanza (a volte legalmente lo Stato
non riconoscere delle famiglie troppo distanti); inoltre la distanza si può riscontrare anche
all’interno di famiglie divorziate, infatti il bambino potrebbe sentirsi più distante da uno dei due
partner perché passa più tempo con l’altro. La famiglia ha un aspetto economico: la famiglia è sì
basata sull’amore, ma ha anche una funzione economica, infatti i genitori sono obbligati per
legge a sostenere economicamente i propri figli fino al raggiungimento dell’indipendenza (i
ragazzi di 25 anni possono continuare a farsi mantenere dai genitori, perché è dovere di questi
ultimi continuare a mantenerli). La funzione economica della famiglia non è solo nei confronti
dei figli, ma anche nei confronti dei partner: l’uomo è costretto a versare una certa quota per
mantenere l’ex moglie (l’aspetto economico, quando non si va più d’accordo, diventa cruciale).
L’aspetto economico diventa cruciale anche per l’eredità. la quale viene comunque discussa
all’interno della famiglia.
Il legame fra i componenti di una famiglia può finire per sempre: può venir meno il legame fra
marito e moglie ma anche quello fra madre-figlio o padre-figlio.
In passato si dava per scontato che la coppia genitoriale rimanesse tale per tutta la vita e che
quindi la coppia corrispondesse alla genitorialità: ciò significa che se io vedevo un uomo, una
donna e un bambino davo per scontato che fossero una famiglia, oggi invece possiamo vedere
questi 3 individui e pensare che sia una donna con suo figlio e il suo nuovo compagno,
un’amica con un suo amico e suo nipote, una padre single con suo figlio che sta uscendo un
una sua collega e così via (rottura fra coppia e genitorialità). Oggi si è molto più liberi di
scegliere il proprio partner e di decidere come portare avanti la propria relazione e la propria
famiglia, ma si avranno comunque degli obblighi nei confronti degli altri familiari (come il
mantenimento).
Altra funzione della famiglia è la socializzazione, cioè il saper introdurre i figli all’interno della
società (all’esterno): questa è una delle funzioni primarie della famiglia. Per molte persone poi
la famiglia è un luogo sicuro in cui rifugiarsi, per altre invece è un contesto pericoloso, è un
qualcosa che ci fa paura e che non ci tiene lontano dalle insicurezze: gli hikikomori vedono la
casa come un rifugio sicuro, in particolare sentono che la propria stanza è il luogo in cui dover
passare la loro giornata perché tutti gli altri ambienti vengono visti come “pericolosi”; in questo
caso la casa, per loro, è il rifugio sicuro per antonomasia. La famiglia diventa un luogo sicuro
quando non è una costrizione: le famiglie infatti possono essere dei posti spaventosi, in cui un
uomo, una donna, un figlio, possono essere maltrattati, insultati o picchiati. Infatti la famiglia è il
luogo in cui si riscontra il maggior numero di violenze: le violenze spesso sono praticate proprio
dalle persone che conosciamo e di cui ci fidiamo. Ovviamente nella famiglia ci possono essere
delle crisi e delle discussioni che possono portare al divorzio, che deve avvenire nella maniera
meno traumatica possibile per i figli, però oltre a questi casi, possiamo riscontrare anche
episodi di violenza coniugale.
La famiglia del passato era funzionale alla società: si insegnava alle figlie femmine che
dovevano aiutare in casa, che erano la parte affettiva e debole della famiglia, che dovevano
comportarsi in un certa maniera e tutto questo avveniva per far integrare i componenti della
famiglia nella società (la famiglia qui era funzionale allo status quo). La famiglia però può anche
insegnare ai figli a rompere con lo status quo, ad esempio si può insegnare alle ragazze ad
alzare la voce, ad essere indipendente e a pensare a sé stessa e si può insegnare ad un
ragazzo ad essere affettuoso e a prendersi cura degli altri.
La famiglia può rappresentare una risorsa ma anche un vincolo (non è un qualcosa che mi fa
del male, ma è un qualcosa che mi sta stretto): molte volte le relazioni all’interno delle famiglie
sono ambivalenti, cioè una persona può stare bene in famiglia in alcuni periodi, ma può anche
rappresentare un luogo che ci può limitare.
Un altro concetto utile per capire la famiglia è quello di legame: quando io mi lego ad una
persona perdo un po’ della mia indipendenza a favore di una maggior condivisione della nostra
vita con un altro individuo. Quando ho un ragazzo possono condividere la mia vita con lui,
posso parlargli dei miei problemi, però rinuncio un po’ alla mia indipendenza, ad esempio se il
mio ragazzo non ha molte opportunità economiche, mi è impossibile fare le uscite che voglio.
Questo discorso vale anche per le persone all’interno della famiglia: fra di loro c’è un legame,
che limita l'indipendenza dei componenti, ma essi diventano anche una risorsa per gli altri nel
momento del bisogno.
In Italia poi esiste anche la separazione e non solo il divorzio: quando due persone si separano,
non sono legalmente divorziate, infatti se un uomo si separa da sua moglie e si decide di
convivere con un’altra donna senza divorziare, legalmente sua moglie rimarrà comunque la
prima donna.
Dal punto di vista legale è molto difficile sostituire i componenti di una famiglia: se una donna
divorzia da suo marito perché non si occupa de bambini e trova un nuovo partner che li ama e
se ne prende cura, non può, legalmente, decidere di far diventare questo nuovo partner il padre
dei bambini (affettivamente può diventarlo). Il nuovo partner può diventare il padre dei bambini
solo se il vero padre li rinnega.
In Italia inoltre quando nasce un bambino, se la coppia è sposata, l’uomo può legalmente
andare a registrare il bambino all’anagrafe (presunzione di paternità: si dà per scontato che
l’uomo sposato sia anche il padre del bambino), se invece la coppia convive da 20 anni ma non
è sposata, a registrare il bambino devono andare sia l’uomo che la donna.
LEZIONE 4
La famiglia è caratterizzata dalla dicotomia sicuro(rifugio)/insicuro, infatti a volte ci può riparare
dalle avversità, altre volte ci fa sentire incompresi, inoltre la famiglia è la prima entità con la
quale stabiliamo una relazione intima (soprattutto con la madre quando ci allatta). Poi se
qualcosa non va nelle relazioni in genere si pensa che sia stata la famiglia e in particolare i
genitori a non aver dato gli strumenti relazionali necessari ai figli per inserirsi nella società e per
intrecciare appunto nuove relazioni: questa carenza può derivare da un'incapacità familiare
oppure può essere causata dalla perdita di un familiare, perdita che può aver compromesso le
capacità relazionale di un componente della famiglia. Ovviamente però, anche se la famiglia ha
un ruolo importante nei comportamenti dei suoi componenti, anche le singole persone possono
avere una fetta di colpa in merito alle loro carenze e alle loro capacità poco sviluppate.
Alcuni studiosi inoltre hanno notato che i figli delle coppie divorziate hanno più probabilità di
contrarre delle relazioni poco durature (trasmissione dell’instabilità): questo non è né un
qualcosa di positivo né un qualcosa di negativo, semplicemente le persone che hanno vissuto
una rottura sono più propense a lasciare il proprio partner, sanno che una relazione, quando
manca una base di amore e di comune accordo, può finire, può essere interrotta. Inoltre in
Italia, per la prima volta, aumentano anche le rotture relazionali fra gli over 60-70: questo
succede perché queste persone pensavano che il loro dovere fosse quello di rimanere assieme
per educare i figli; dal momento che i figli sono cresciuti gli over 60 si sentono in diritto di
ricostruirsi una vita e di ricercare la felicità nel modo che più conviene loro. La nostra società sta
accettando questo fatto infatti ci sono anche programmi televisivi in cui si mostrano delle
persone over 60 che cercano di nuovo l’amore. Durante le rotture fra genitori non è importante
“la rottura in sè” ma è importante come ci si separa: se in famiglia è presente una bassa
conflittualità allora la rottura avverrà in maniera abbastanza serena e i figli non ne risentiranno
granché; se la conflittualità è alta allora i bambini accumuleranno molto stress e cominceranno
ad avere un rendimento scolastico più basso. Lo stress e la conflittualità può essere provocata
anche dalla nascita di un figlio, perché anche questo evento è molto stressante e provoca
un’alterazione dell’equilibrio di coppia.
Inoltre dato che le nostre relazioni si fondano sull’amore e sull’affetto, quando questi sentimenti
vengono meno, anche la relazione finisce; una relazione può finire anche quando manca la
condivisione, cioè quando si smette di trascorrere del tempo assieme e di rendersi partecipi dei
propri traguardi. Altro fattore importante all’interno della famiglia è la COMUNICAZIONE e il
DIALOGO: in famiglia si parla molto ma spesso non vi è comprensione, né da parte dei genitori
né da parte dei figli. Il dialogo non è solamente un “parlare” all’altra persona, ma è composto da
un insieme di interazioni, di botta e risposta e le persone che vi partecipano devono avere la
mente aperta e devono essere predisposte ad ascoltare l’altro e anche a mettere in dubbio le
proprie convinzioni.
I ruoli dei familiari cambiano con il tempo: i nonni prima erano delle figure abbastanza
“aleatorie” nella vita dei nipoti, adesso invece sono diventati quasi dei “secondi genitori” che
dialogano con i nipoti e cercano di fare da intermediario fra genitori-figli, cercano di mediare e di
risolvere la situazione. I nonni inoltre possono essere considerati una sorta di welfare state,
infatti aiutano economicamente i loro figli e i loro nipoti: fungono da "redistributore di risorse”,
ma anche da garanti per il mutuo di una macchina o di una casa (redistribuzione verticale: i
soldi passano dalle generazioni più anziane a quelle più giovani). Il nostro contesto culturale ci
fa associare la famiglia allo “stare a tavola” assieme: il pasto per noi è uno stare assieme, un
condividere e un momento di ritrovo; ovviamente oggi le famiglie si vedono meno, ma nel
passato le famiglie ritenevano molto importante lo stare assieme durante i pasti. Oggi invece si
tende a velocizzare la vita e a non trascorrere più il tempo assieme: sta venendo meno l’idea di
condivisione del momento del pasto. Durante il pasto le generazioni si ritrovano e le generazioni
si confrontano e dialogano fra loro; inoltre una volta la tavola veniva apparecchiata con la
tovaglia, adesso invece viene apparecchiata con la tovaglietta perché si fa prima (diminuisce il
tempo che si trascorre a dialogare con gli altri). Altri elementi che hanno rotto la vecchia
convivialità a tavola sono sicuramente i media, la televisione e i social in genere (foto del piatto,
storia su instagram, notizie al telegiornale..). Inoltre la società si è trasformata, è diventata più
veloce e l’orario lavorativo è aumentato, sottraendo tempo al pasto assieme e alla condivisione
(spesso le persone mangiano di fretta e da sole).
Il momento del pasto può essere sostituito da un altro tipo di condivisione, quella dei media: la
sera molte famiglie si riuniscono per vedere la televisione assieme o un film; può succedere
però che anche questo momento può perdere di significato, perché magari il figlio guarda il
telefono mentre c’è il film oppure si trova un altro tipo di passatempo, che deturpa la
condivisione.
Anche le comunicazioni si stanno allontanando da quelle tradizionali: ora si comunica spesso e
solamente tramite il telefono e grazie a questo nuovo mezzo i casi di bullismo sono aumentati
perché il bullo non si rende conto della portata della sua azione o della vittima che ha davanti
perché compie le sue azioni da dietro uno schermo.
I sociologi evoluzionisti affermavano che la famiglia partiva da un punto A e poi tramite
un’evoluzione arrivavano ad un punto B (alcuni lo facevano coincidere con la “morte della
famiglia”): la famiglia nel punto A era una famiglia allargata/estesa, molto numerosa, poi con la
modernità e l’industrializzazione (oltre che all’urbanizzazione) le famiglie si sono modificate (per
esempio con l’industrializzazione l’ambiente lavorativo, cioè le fabbriche, si è allontanato da
quello domestico) e in particolare si sono ristrette. Successivamente nacque la teoria di Cooper
(anni ‘70), la quale affermava che la famiglia sarebbe stata sostituita da una famiglia fatta da
competitor (nuovo gruppo): in questi anni c’era proprio la volontà di distruggere la famiglia
tradizionale, perché essa praticava dei soprusi nei confronti delle donne e dei più piccoli. La
donna è riuscita a distaccarsi dall’ambiente tossico in cui era reclusa soprattutto quando le
fabbriche hanno cominciato ad assumere del personale femminile: in questo modo la donna
diventa economicamente indipendente e acquista più potere, come quello del dialogo, della
decisione e quello contrattuale (oggi le famiglie sono a doppia carriera, cioè entrambi i partner
lavorano per contribuire il benessere della famiglia; oggi poi succede molto spesso che sia
l’uomo a perdere il lavoro e che quindi sia la moglie a portare avanti l’economia della famiglia).
Se io ho un’indipendenza economia ho un potere all’interno della coppia e della famiglia:
quando le donne lavorano inoltre tendono ad avere un livello di istruzione più alto e tendono a
non sposarsi (il matrimonio non diventa più un obiettivo da raggiungere per le donne).
Gli studi sulla famiglia (sia quelli passati sia quelli rispetto ad altri contesti storici e geografici)
hanno dimostrato che in realtà non si può parlare dell’evoluzione della famiglia, ma di
“MORFOGENESI”: ciò significa che le famiglie non partono mai dal punto A per arrivare al
punto B, ma che esistono tantissimi tipi di famiglie diverse e non solo quella nucleare, ma anche
quella allargata, poligamica, matrilineare e patrilineare. Adesso inoltre la parola potestà, nei
confronti dei figli, è stata sostituita dalla parola responsabilità: il figlio deve ascoltare il padre
perché è il padre ad essere responsabile delle azioni del figlio (non vi è più il concetto di
“capofamiglia”); inoltre adesso vige un modo “democratico” di gestire la famiglia, cioè le
decisioni vengono prese dai padri, DALLE MADRI e talvolta anche dai figli (condivisione della
responsabilità anche quando le coppie sono divorziate).
Con la Morfogenesi quindi non si arriva ad un punto B, ma si arriva ad un punto indefinito,
proprio per questo le famiglie oggi sono tutte diverse, perché non si arrestano nello stesso
punto (la famiglia varia infatti in base al contesto storico, sociale e geografico: non posso
analizzare la famiglia prescindendo da questi contesti). Inoltre le persone tenderanno a creare il
loro tipo di famiglia in base a quella che hanno avuto: se si sono trovati bene nella loro famiglia,
allora cercheranno di ricostruirla, se si sono trovati male, cercheranno di creare un ambiente
diverso.
Esistono ancora adesso degli evoluzionisti che credono che si arriverà alla morte della famiglia:
ovviamente non è da escludere, infatti le famiglie odierne sono abbastanza in crisi; oggi
possiamo parlare addirittura di “famiglia liquida”, cioè di famiglie che non hanno delle forme e
delle caratteristiche stabili, inoltre può essere sia durissima sia fragilissima, si può sbriciolare in
qualsiasi momento e quindi non possiamo dare per scontato le nostre famiglie, dato che
possono modificarsi da un momento all’altro. Possiamo quindi dire che la famiglia è
ambivalente, cioè ha un potere fortemente positivo ma può anche dimostrare un potere
estremamente negativo.
LEZIONE 5
E’ stata Margaret Thatcher ad applicare il concetto di “morfogenesi” alla famiglia.
La paternità è un costrutto sociale: nelle società antiche vi era molta promiscuità riguardo alla
figura paterna, non si sapeva esattamente chi fosse il padre, per questo venivano creati molti
tabù, per cercare di separare la società e dare dei limiti (la famiglia è sempre in mutamento: la
famiglia dell’antichità è completamente diversa da quella odierna). Il modo di fare famiglia è
cambiato, però le famiglie continuano a formarsi e ad evolversi.
Concetto di ciclo di vita in contrapposizione a quello di corso di vita: il ciclo di vita riguarda la
famiglia e significa che tutte le famiglie hanno un ciclo di vita, cioè nasce, cresce, si sviluppa, si
trasforma e muore. Una famiglia nasce dal momento in cui abbiamo una coppia, la quale si può
sposare oppure può solamente convivere, poi ci può essere la nascita di uno o più figli (i quali
crescono e creano famiglie a loro volta). Un tipo di famiglia, tipicamente italiana, è la famiglia
lunga del giovane adulto è quella in cui i figli rimangono all’interno del nucleo familiare anche
quando sono grandi. Esiste poi la fase del “nido vuoto” all’interno del ciclo di vita di una famiglia:
i figli abbandonano il nucleo familiare e cominciano a vivere da soli; in questa fase i genitori si
trovano ad essere da soli dopo aver passato tantissimi anni ad accudire i figli e per questo la
coppia genitoriale deve reinventarsi e deve trovare un nuovo equilibrio. Dopo questa fase
subentra la fase della famiglia unipersonale: uno dei due partner viene a mancare e alla fine
muore anche l’unica persona che era rimasta. In realtà oggi noi riteniamo che questo tipo di
concetto (ciclo di vita di una famiglia) non sia più valido: oggi si preferisce parlare di “corso di
vita” di una famiglia, perché non è detto che io abbia tutte le tappe appena descritte oppure che
non venga seguito l’ordine delle tappe, per esempio molti giovani decidono prima di avere un
figlio e poi di sposarsi, oppure decidono di non sposarsi affatto. Oggi prima di fare un figlio si
vogliono fare prima alcune cose: trovare una stabilità lavorativa, finire l’università, essere
autonoma e autosufficiente; prima invece non c’era tutta questa pianificazione economica-
lavorativa prima di fare dei figli. In Italia il matrimonio, per lo status del figlio, è superfluo, perché
non esiste più la distinzione fra figli legittimi e illegittimi: entrambi hanno gli stessi diritti e gli
stessi doveri.
Le famiglie di oggi possono arrivare anche allo stadio del “nido vuoto”, ma molto spesso
succede che ci sono delle “ricostituzioni familiari” oppure dei divorzi che quindi impediscono il
verificarsi della fase del nido vuoto.
Il concetto di “corso della famiglia” si avvicina di più a quello di morfogenesi.
In Italia c’è una grande affettività fra genitori e figli: gli studiosi internazionali hanno descritto la
famiglia italiana come una famiglia “marsupiale”, perché i genitori italiani mettono i figli nel
marsupio e poi li lasciano lì fino ai 30 anni.
In passato i figli non venivano fatti per affettività, per amore, ma perché c’era bisogno di un
aiuto in più in famiglia o perché il padre aveva bisogno di altre braccia per arare i campi e così
via.
Il dovere del genitore è avere a cuore il bene del figlio: i genitori devono aiutare i loro figli ad
acquisire la loro indipendenza e a diventare autonomi. In Italia invece i figli diventano autonomi
molto tardi, infatti rimangono a casa dei genitori fino ai 30-35 anni: in questa situazione i genitori
NON aiutano i figli a diventare autonomi ed indipendenti; questo potrebbe succedere perché i
genitori hanno paura della fase del nido vuoto e perché si sentono vuoti senza i loro “bambini”.
A causa di questa tendenza di tenere i figli a casa per proteggerli, i bambini cominciano ad
essere molto meno autonomi: un esempio banale è che i bambini oggi non riescono più ad
allacciarsi le scarpe. Il fatto che un ragazzo di 35 anni stia vivendo a casa dei genitori è causato
da due fattori: il ragazzo si trova bene in questo luogo (non deve pagare bollette e affitto, può
tornare a casa quando vuole, le faccende domestiche vengono svolte dagli altri..) oppure i
genitori non vogliono lasciarlo andare via di casa perché lo vedono ancora come un bambino da
proteggere e anche perché hanno paura della fase del “nido vuoto”
Anche il luogo è fondamentale per la definizione di famiglia: noi possiamo ritenere che casa
nostra rappresenti la famiglia.
La famiglia deve essere riconosciuta dallo Stato: per esempio se una donna che sta divorziando
finisce in ospedale per un brutto incidente, può andarla a trovare solo il quasi ex marito e non il
nuovo compagno con il quale si sta sentendo da 5 anni. La stessa cosa accade per le famiglie
omosessuali: se il genitore biologico divorzia da quello non biologico e i due hanno un figlio,
allora sarà solo il genitore biologico a diventare il tutore legale del bambino e deciderà che
rapporti avrà il figlio con l’altro genitore. Le famiglie omosessuali per avere un bambino devono
ricorrere alle tecniche di riproduzione assistita: in questo caso se abbiamo una coppia formata
da due donne in cui una delle due viene inseminata artificialmente, il bambino che nascerà in
questo modo, per la legge italiana, la mamma sarà colei che porterà a termine la gravidanza e il
padre sarà il donatore; l’altra compagna, la partner della madre biologica, nonostante sia unita
all’altra donna dall’unione civile, non viene riconosciuta come altro genitore del bambino, come
“altra mamma”. Le unioni civili inoltre sono state ammesse all’interno dell’ordinamento italiano
solo perché la corte di Strasburgo aveva rimproverato l’Italia, dato che stava violando i diritti
umani: la legge che introduce le unioni civili è la legge Cirinnà, la quale presentava anche un
articolo 5 riguardo alla stepchild adoption. L’articolo affermava che le persone omosessuali che
formavano una coppia unita da un’unione civile, nel caso avesse un bambino grazie alle
tecniche artificiali, diventassero entrambi i genitori del nuovo bambino: il parlamento italiano ha
approvato la legge Cirinnà togliendo però questo articolo, perché pensava che i bambini
potessero crescere bene solo se avevano un padre e una madre. In questo modo però i diritti
dei bambini non vengono tutelati, perché se in una coppia omosessuale il genitore biologico
muore, il bambino, nel caso fosse minorenne, verrebbe dato in adozione e non verrebbe
affidato al genitore non-biologico. Questo problema sussiste anche all’interno delle famiglie
ricostituite, cioè in quelle famiglie in cui i genitori di partenza si sono lasciati e si sono
“accompagnati” con delle nuove persone. In Spagna e in Francia c’è il matrimonio
omosessuale, in Italia no: quindi in Italia i genitori omosessuali devono far fronte a molte più
difficoltà, a partire dalla stepchild adoption e finendo con i problemi derivanti dal divorzio fra
genitore biologico e non biologico. Per questo molte coppie omosessuali vanno a vivere
all’estero, perché lì sono stati riconosciuti i loro diritti e quelli dei loro bambini; anche la
fecondazione assistita per le famiglie omosessuali è un problema in Italia, infatti la si deve
andare a fare all’estero. L’adozione è un altro argomento molto complicato in Italia: solo le
coppie sposate o conviventi da molto tempo possono adottare un bambino. Esiste anche il caso
del “fallimento adottivo”: in questo caso una coppia viene ritenuta idonea all’adozione, viene
affidato loro un bambino ma questa coppia decide di non volerlo più tenere e lo restituisce. I
bambini che subiscono questo trattamento rimangono traumatizzati due volte: quando è stato
abbandonato dal genitore biologico e quando è stato abbandonato dal genitore adottivo.
Le coppie che vogliono adottare vengono sottoposte a tantissimi test e colloqui per verificare la
loro adeguatezza (questo non succede per i bambini concepiti in modo “naturale”): tutto questo
all’inizio del processo di adozione, infatti alla fine di questo processo la famiglia non viene più
seguita da nessun assistente. Inoltre le famiglie che vogliono adottare sono tartassate da
tantissime spese, spese sia a livello economico sia a livello sociale. Sarebbe più importante
seguire il post adozione e non il pre adozione, soprattutto per controllare la salute del bambino;
la stessa cosa vale per la gravidanza, la quale viene seguita tantissimo prima e pochissimo
dopo (nessuno si occupa della depressione post-partum).
Sia nelle famiglie adottive sia nelle famiglie “biologiche” possono avere dei figli che non
rispettano le aspettative dei genitori: con l’azione un figlio può essere “restituito”, nelle famiglie
biologiche e quelle nate grazie alle tecniche di riproduzione non è così. Ovviamente la cosa più
importante è che il bambino cresca in salute, sano e in un ambiente amorevole e non che
risponda alle aspettative dei genitori.
Anche all’interno delle famiglie divorziate i bambini hanno dei problemi, perché devono stare
metà settimana con un genitore e l’altra metà con l’altro: questi bambini vengono chiamati
“bambini valigia” perché devono continuamente spostarsi da un contesto all’altro (sradicamento
del figlio). Spesso le mamme vogliono tenersi il figlio tutto per sè e non farlo vedere al papà, ma
questo non è per nulla salutare per il bambino, perché magari lui aveva bisogno di una figura
come quella del padre.
La legge dovrebbe tutelare il soggetto debole (il bambino) in ogni situazione, perché tale
soggetto non ha potere decisionale: il minore può riscontrare dei problemi all’interno di qualsiasi
famiglia, da quella divorziata a quella eterosessuale a quella omosessuale. Le leggi spesso non
sono la soluzione finale ai problemi dei bambini o di qualsiasi altra categoria da proteggere,
perché ciò che fa la differenza è la messa in pratica di queste leggi, sono gli atteggiamenti delle
persone che ci circondano che spingono al cambiamento e non le leggi emanate. I diritti degli
adulti dovrebbero essere tutelati solo in virtù della tutela dei diritti dei bambini.
LEZIONE 6
E’ molto diverso dire “famiglia” o dire “famiglie” perché questi termini contengono una valenza
ideologica: gli autori e le persone comuni che utilizzano il termine “famiglia” in genere pensano
che ci sia un solo tipo di famiglia, quella tradizionale, sposata e con figli; se noi utilizziamo il
plurale invece sembra che esistano delle alternative alle famiglie tradizionali. I vari tipi di
famiglie non sono un qualcosa che cerca di sovrapporsi alla famiglia tradizionale: possono
coesistere famiglie tradizionali e famiglie “alternative” in uno stesso luogo e in uno stesso arco
temporale. Noi, nel campo delle famiglie “non-tradizionali”, siamo sempre stati molto indietro,
infatti la legge sulle unioni civili (legge Cirinnà, 2016) è stata introdotta in Italia solamente 6 anni
fa, mentre in Francia o in altri paesi dell’Unione Europea era già presente. Molti detrattori delle
unioni civili o comunque delle riforme alla famiglia hanno paura che l’introduzione di nuove leggi
che normano le varie famiglie possano ledere le famiglie tradizionali (gli articoli 29,30 e 31 sono
gli articoli che riguardano la famiglia: molti pensano che quando si vogliono introdurre questi
cambiamenti, si deve per forza modificare la Costituzione). Secondo l’art. 29, 30 e 31 la famiglia
viene considerata un’organizzazione naturale: noi diciamo che una cosa è naturale partendo da
un presupposto culturale, cioè siamo noi che decidiamo, tramite la nostra cultura, cosa è
naturale e cosa non lo è.
[Art. 29. La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul
matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti
stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare.
Art. 30. È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori
del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro
compiti. La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale,
compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per
la ricerca della paternità.
Art. 31. La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della
famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose.
Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo. ]
In natura accadono molte cose terribili, ad esempio animali che uccidono i loro figli, oppure
nelle società antiche-primitive vi erano dei rapporti fra familiari (era un qualcosa di naturale, ma
poi con l’avvento del tabù, è diventata una cosa “contro-natura”). Siamo noi, come società, che
decidiamo cosa rientra all’interno dell’ambito “naturale”: per noi la monogamia è un qualcosa di
naturale, infatti viene sancito anche dalle leggi italiane; nel passato veniva punito l’adulterio
solamente quando veniva compiuto da una donna e non da un uomo.
La famiglia quindi, per la nostra Costituzione, è un organismo NATURALE che però si basa sul
MATRIMONIO (le unioni civili NON sono considerate alla pari di un matrimonio eterosessuale:
in altri paesi invece le persone omosessuali posso sposarsi e quindi possono contrarre
MATRIMONIO proprio come qualsiasi altra persona). All’interno del matrimonio però c’è ancora
poca uguaglianza fra i coniugi (la donna è sempre più svantaggiata dell’uomo): il dovere dei
coniugi è istruire i crescere i figli anche nati al di fuori dei matrimoni: negli anni ‘90 vi era ancora
distinzione fra figli legittimi e illegittimi, infatti questi ultimi avevano meno diritti; per questo si è
scelto di cambiare il binomio legittimo-illegittimo con la parola “figlio naturale” e infine ora si è
eliminato anche l’aggettivo “naturale” e si parla solamente di FIGLI. Un genitore, per legge, ha
l’OBBLIGO di occuparsi dei propri figli. Lo Stato inoltre cerca di sostenere la famiglia,
soprattutto quelle numerose: in realtà non esistono molte iniziative rivolte alle famiglie, in Italia;
in altri paesi, quando c’è stato il problema del lavoro, della differenza di genere o della scarsa
natalità sono state messe in campo delle politiche per risolvere questi problemi; in Italia invece
ci sono dei tassi di disoccupazione elevatissimi per le donne o per i giovani e nonostante questi
dati preoccupanti il governo non ha messo in campo nessuna misura per contrastare questo
trend. Lo Stato dice di proteggere la maternità, l’infanzia e la giovinezza, ma non è proprio così:
l’Emilia Romagna è stata una regione pioneristica per quanto riguarda la scuola dell’infanzia
(asilo), ma oggi mancano costantemente il personale e i mezzi. L’asilo inoltre non deve essere
visto come un luogo in cui lasciare i figli quando si va a lavorare, ma deve essere visto come un
luogo di crescita e di sviluppo per i bambini piccoli (l’asilo serve alla socializzazione del
bambino: serve al bambino e non all’adulto). In Emilia Romagna siamo molto fortunati, perché il
30% della popolazione dagli 0 ai 6 anni può partecipare alle attività educative per l’infanzia,
come l’asilo; al meridione la percentuale crolla e molto spesso l’istruzione primaria non è
nemmeno pubblica ma è a pagamento. Quindi anche se lo Stato dice di tutelare l’infanzia e la
gioventù e di favorire gli istituti adatti ai bisogni dei bambini/ragazzi in realtà non fa molto sul
piano concreto: lo Stato non dovrebbe interessarsi dei ragazzi solamente quanto fra di loro
cominciano a dilagare patologie sociali, come le baby gang o l’alcolismo, dovrebbe intervenire
molto prima, con delle misure preventive. Non si può intervenire solamente quando ci sono dei
fenomeni violenti fra i ragazzi: si dovrebbe intervenire alla base del disagio per sradicarlo, infatti
senza la conoscenza delle cause di un problema, non si potrà mai curarlo veramente, ma si
adopereranno solamente delle cure palliative (come gli sportelli psicologici, il consultorio, le due
ore di educazione sessuale a scuola, lo sportello per l’alcolismo, le due lezioni contro il
bullismo: queste NON sono delle misure di prevenzione e di contrasto ai fenomeni elencati,
sono solamente dei “tappabuchi”).Lo Stato italiano dovrebbe investire molto sulla prevenzione
di tutte le patologie sociali e anche sulla salute: ci dovrebbero essere i centri appositi per la
prevenzione e la cura di tutti i malesseri fisici, sociali e mentali della società.
Il primo codice che si occupa della famiglia è il Codice Pisanelli.
In passato le famiglie erano molto più numerose, infatti avevano almeno 3-4 o 5 figli per arrivare
anche a 7 o 8 figli: oggi al massimo le famiglie riescono a sostenere economicamente 3 figli,
anche perché i costi economici e dell’istruzione sono sempre più onerosi.
VIDEO
La parola famiglia deriva dalla parola e significava gruppo di persone dipendenti da un capo; il
matrimonio è l’atto con cui comincia la famiglia; ora non si parla più di famiglia al singolare ma
di famiglie al plurale. La famiglia è spesso un luogo che tiene al riparo dalle incertezze, ma non
sempre è così, inoltre è un’entità che muta nel tempo e nello spazio (le famiglie meridionali
sono diverse da quelle del nord), inoltre nelle famiglie di un tempo mancava, in molti casi,
l’affettività, mentre in quelle di oggi è presente questo sentimento, sia fra i due coniugi sia fra
genitori e figli. Prima le persone erano molto più “lontane” dal punto di vista comunicativo, infatti
l’unico modo di comunicare erano le lettere cartacee. Oggi invece siamo in una società
matricentrica, in cui il legame fra madre e figlio inizia già dalla gravidanza e dall’allattamento
(nel passato c’era meno confidenza perché le madri non allattavo i figli, ma li facevano allattare
alle balie): nella famiglia “tradizionale” c’era molta più distanza fra genitori e figli, infatti i figli
dovevano dare del “voi” o del “lei” ai propri genitori, oltre che a tutte le altre persone adulte (in
questo modo il rapporto di affetto perdeva di intensità). In passato esistevano le “Sorelle di
latte”, cioè le bambine allattate da una stessa donna che spesso non era loro madre: fra le due
bambine spesso si creava un legame molto stretto.
La formazione di una famiglia cambia nel tempo: nell’Italia preindustriale era poco presente la
forza dell’amore e spesso il matrimonio veniva combinato dai genitori. Prima si pensava che le
persone dovessero prima sposarsi per potersi amare, oggi invece viene prima il sentimento
dell’amore e poi il matrimonio. Poggiare il matrimonio sul sentimento significa che quando il
sentimento sparisce (il sentimento ha una natura molto aleatoria) allora anche il vincolo
matrimoniale potrebbe sparire: il sentimento si articola non solo fra marito e moglie ma anche
fra genitori e figli e in quest’ultimo caso l’affettività può avere effetti deleteri perché si potrebbe
arrivare a viziare i figli o a dargli troppe libertà (introduzione del RISCHIO all’interno della
famiglia: da quando è entrato il sentimento nelle famiglie, allora i genitori hanno il rischio di
sbagliare, il rischio di prendere decisioni errate sia per quanto riguarda il partner sia per quanto
riguarda i figli).
LEZIONE 7
CONTINUAZIONE VIDEO: Quando si poggia il matrimonio sul sentimento entra in gioco il
rischio, infatti se il sentimento se ne va, il vincolo matrimoniale perde di legittimazione; prima
invece l’amore era consequenziale dopo il matrimonio. Ora invece gli affetti e l’amore diventano
il cuore e la motivazione legittimante per fare famiglia. Prima ci si sposava molto giovani, ora
non è più così, inoltre vi erano delle motivazioni diverse per fare famiglia: i nobili facevano figli
(famiglia) per portare avanti il loro prestigio sociale, invece nelle famiglie di contadini si
facevano figli solamente per aiutare i genitori nei campi; quindi prima l’amore era l’ultima delle
preoccupazioni. Prima l’età media per sposarsi era 21-25 anni, ora invece a 35 anni; prima poi il
matrimonio era un “contratto matrimoniale pubblico”, cioè era una questione pubblica, infatti non
serviva solo alle due persone che si sposavano, ma anche a definire le questioni legali,
lavorative, economiche e diplomatiche. Quando ci si sposa infatti lo si fa davanti ad un
funzionario PUBBLICO davanti a dei TESTIMONI: questi due elementi servono a rendere
valido il matrimonio, per questo non possiamo dire che il matrimonio è un atto privato. Prima del
matrimonio vengono anche fatte le “pubblicazioni”, cioè davanti al comune in cui si dovranno
sposare i coniugi, vengono appesi dei “volantini” in cui si dice che nella tal data si sposeranno le
tali persone (in questo modo chi non è d’accordo con quel matrimonio, può cercare di
impedirlo). Nel passato, prima di un matrimonio, l’uomo doveva chiedere il consenso del padre
della sposa: erano i padri a decidere se le figlie potevano sposarsi oppure no. Anche le unioni
civili sono una questione pubblica: l’unica differenza con il matrimonio è che le unioni civili sono
più facili da sciogliere.
Nel 1865 nasce il primo Codice Civile dell’Italia unita (Codice Pisanelli: disciplina e norma la vita
familiare e i diritti fra i coniugi) che rimarrà in vigore fino al 1942: questo codice segnava una
differenza molto importante fra donna (sposa) e uomo (sposo), infatti la donna non poteva fare
tantissime cose (diritti limitati) e si trovava così subordinata all’uomo; la donna era in una
condizione subalterna e quindi possiamo dire che la donna era paragonata ad un minore, il
quale non aveva praticamente libertà di scelta (il diritto e le norme non tutelavano la donna e le
facevano dipendere dai mariti). C’era molta differenza anche fra famiglie del nord e del sud: nel
Sud un uomo (padre) doveva chiedere al capo del podere di poter far sposare una delle sue
figlie; oppure una donna per sposarsi doveva aspettare di ereditare qualcosa dai genitori;
ancora, a volte, il proprietario della mezzadro, poteva vietare che un suo sottoposto desse in
moglie ad un uomo una delle sue figlie (capofamiglia ≠da proprietario del podere).
I mezzadri (proprietari) adottavano la residenza patrilocale, così da garantire l’equilibrio fra
bambini da sfamare e terra da lavorare (in questa famiglia ognuno aveva la sua funzione
sociale, per esempio le donne si dovevano occupare dei bambini, degli anziani, dei genitori, dei
pasti); i braccianti (lavoratori) invece avevano un rapporto individuale con il datore di lavoro e
per questo creavano famiglie diverse da quelle dei mezzadri. Al nord invece le famiglie
andavano a costituire un nucleo autonomo, staccato dalla famiglia d’origine; questo poteva
succedere anche al Sud (famiglia a "nucleo autonomo") come anche al nord, nelle campagne,
vi poteva essere l’istituzione della mezzadria e dei braccianti.
Il pasto era un rituale simbolico, che raccontava le tradizioni di un popolo: questo momento
sottolineava le differenze di genere e di diritti fra donne, bambini ed uomini. I posti a tavola
erano già definiti e stavano a simboleggiare il potere degli uomini, per esempio il posto da
capotavola spettava all’uomo più vecchio, cioè quello che di fatto aveva più potere familiare-
decisionale. Gli uomini erano sempre seduti a tavola, le donne prima o non si sedevano proprio
oppure si sedevano in una tavola diversa: le donne servivano prima il pasto agli uomini, poi ai
bambini e infine quello che rimaneva lo mangiavano loro (differenza molto importante: questo
permane fino alla prima metà del ‘900). In passato poi ci poteva essere del personale di servizio
che aiutava una famiglia: le domestiche in genere erano delle ragazze nate nelle famiglie
contadine che non riuscivano a trovare lavoro altrove. Le domestiche erano molto comuni
all’interno delle famiglie (più domestiche si avevano più la famiglia era nobile/importante: è un
simbolo di status di quella famiglia). Durante il periodo fascista l’educazione serviva per il
rafforzamento dell’idea di Stato: i bambini venivano educati ai valori del fascismo, e uno di
questi valori era la natalità, infatti nel fascismo si dovevano fare molti figli così da rendere
grande la Patria. Inoltre in questo periodo si dava molta più importanza al figlio maschio, perché
poteva portare avanti il cognome della famiglia; le figlie femmine invece erano escluse anche
dall’eredità (figlio maschio> figlia femmina)
In Italia , prima della 1WW, le famiglie cominciano a cambiare la loro fisionomia: non sono più
famiglie estese ma famiglie nucleari (nel 1936 le famiglie con più di 4 figli erano solamente il
26% del totale, mentre nel 2014 sono a malapena l’1,4%). Con la nuclearizzazione della
famiglia cambiano anche i rapporti fra i componenti.
Come abbiamo detto il regime fascista dà molta importanza alla crescita demografica: le
famiglie numerose venivano premiate, mentre il celibato era sanzionato. Si pensava inoltre che
la famiglia non potesse fare a meno del capo: tutti gli altri membri della famiglia dovevano
obbedire al capo, il quale deteneva molti più poteri degli altri; in queste famiglie l’affetto veniva
visto come una conseguenza e non come la base della famiglia. Inoltre, per quanto riguarda il
vestiario, si prendevano dei vestiti grandi così da poterli usare per quando il bambino sarebbe
stato più grande, inoltre i vestiti venivano rammendati, accorciati o allungati in base al figlio che
li avrebbe dovuti portare (i vestiti passavano a tutti i fratelli): eravamo molto lontani dal
consumismo odierno, il quale spinge le persone a comprare nuovi vestiti quando sono rotti
perché tanto un vestito, una maglia o un pantalone costano 5-10 euro (fast fashion).
In epoca fascista inoltre le mamme e le nonne cercavano di non aiutare i bambini a vestirsi,
perché in questo modo potevano diventare più autonomi.
Nel 1942 viene emanato un altro Codice Civile che però sancisce ancora la subordinazione
della donna all’uomo: c’era ancora bisogno di individuare un capo con dei poteri superiori a tutti
gli altri(doveva procacciare le risorse per tutta la famiglia e doveva sostenere economicamente
sia moglie sia figli) e al quale bisognava obbedire; ci sono voluti 2 secoli per creare una famiglia
che cercasse di sgretolare la gerarchia familiare sostenuta anche dal fascismo. Durante questo
processo di sgretolamento inoltre l'importanza dell’affetto fra i membri di una famiglia aumenta
e prende il posto della gerarchia (prima viene l’affetto e poi tutto il resto). Anche oggi i genitori
hanno una posizione diversa rispetto ai figli, però ciò non è dovuto alla rigida gerarchia
familiare.
Nel 1948 la Costituzione fissa per la prima volta l’eguaglianza civile, morale e giuridica dei
coniugi: i coniugi avevano lo stesso potere a livello formale, ma non a livello pratico, infatti per
raggiungere l’uguaglianza ci vorranno ancora tantissimi anni. Dopo la guerra la tensione si
dissipa e il matrimonio comincia a diventare un momento da condividere, un momento felice da
festeggiare con il paese.
LEZIONE 8
CONTINUO VIDEO: le persone, soprattutto le donne, tendono a sposarsi per riuscire a
spostarsi verso la città, altre donne invece desiderano rimanere in campagna. Negli anni ‘50 e
‘60 in Italia si verifica il fenomeno dell’urbanizzazione e dell’industrializzazione (seconda metà
del ‘900: da noi il processo è più lento rispetto al resto dell’Europa): questo significa che i primi
flussi migratori sono quelli del sud verso il nord: gli abitanti del sud, principalmente quelli delle
campagne, si spostano al nord per trovare lavoro, per andare a lavorare nelle officine o nelle
fabbriche automobilistiche. Sono gli uomini a spostarsi, poi con il tempo vengono seguiti dalle
loro famiglie, oppure si creano una loro famiglia al nord. Con il boom economico le donne
raggiungono una nuova condizione economica: viaggiano, vanno in vacanza, frequentano le
università e scelgono il loro percorso di studio; l’istruzione della donna è migliorata in maniera
significativa e tendenzialmente sono le donne che riescono a conseguire delle lauree più difficili
(i successi scolastici sono più alti per le ragazze rispetto ai ragazzi). In questo modo il ruolo
della donna all’interno della famiglia cambia: il lavoro e lo studio aiutano le donne a sviluppare
la loro coscienza femminile e la loro indipendenza. La donna comincia ad ottenere pari dignità e
inizia a lavorare: questo probabilmente era dettato dalla condizione economica, cioè se
entrambi i genitori lavorano, sicuramente il benessere economico aumenta; il lavoro delle donne
è visto anche come un modo per emanciparsi. Il dopoguerra quindi ha visto un fiorire di diritti a
favore delle donne: nel 1935 solo il 15% delle donne era istruito, mentre nel 1965 ⅓ delle donne
studiavano.
Inoltre in questo periodo venne riconosciuto anche il contributo delle donne in casa: questo
fenomeno si chiama valorizzazione del lavoro casalingo; queste trasformazioni portano ad una
certa uguaglianza fra uomo e donna, che all’inizio era solo teorica, ma poi, pian piano, diventerà
anche concreta, proprio grazie al lavoro.
Durante il filmato si vede una donna ed un uomo discutere per quanto riguarda il lavoro: l’uomo
sostiene che il lavoro femminile non è emancipazione, perché se il marito riuscisse a
guadagnare di più per far star bene tutta la famiglia, allora sua moglie deciderebbe di non
lavorare; in quest’ottica il lavoro non è “emancipazione” ma è una scelta che viene fatta quando
la famiglia ha bisogno di un altro salario. Al giorno d’oggi lavorare è quasi un obbligo, perché
per mandare avanti la famiglia c’è bisogno di almeno due salari: pochissimi si possono
permettere di lavorare per piacere o per interesse. Il lavoro ci permette di socializzare con gli
altri, di uscire di casa: possiamo quindi dire che il lavoro porta all’emancipazione sociale delle
donne, le quali, lavorando, aumentano il loro potere decisionale all’interno della famiglia. Oggi in
una coppia si può scegliere anche chi dei due entrerà nel mondo del lavoro: potrebbe anche
succedere che sia l’uomo a restare a casa ad occuparsi dei bambini e la moglie a portare a
casa il salario (negli anni ‘50-’60-’70 la situazione era diversa, infatti non sarebbe mai potuto
succedere che la donna lavorasse e l’uomo stesse a casa).
Condizione del “soffitto di cristallo”: sperimentata dalle donne, nel senso che il genere femminile
è come se avesse un soffitto di cristallo sopra la testa, come se ci fosse un limite invalicabile
dopo il quale nessuna donna può andare (la donna può lavorare solamente in certe posizioni,
per esempio, anche solo nell’università di bologna non c’è mai stata una rettrice donna); a
parità di competenze le donne non vengono comunque ammesse in alcuni posti lavorativi,
inoltre, sempre avendo pari competenze, le donne vengono pagate molto di meno.
L’occupazione femminile, in Italia, è una delle più basse d’Europa, infatti solo il 50% delle donne
lavora e questa percentuale è stata abbassata dalla pandemia. Queste differenze fra Italia e
Europa derivano principalmente dalla cultura: il cambiamento deve derivare da un cambio di
paradigma all’interno della cultura, cioè sono le scuole, le università, cioè quegli enti che
diffondono la cultura, a dover cambiare e a dover dare più spazio all’emancipazione della donna
e al “come raggiungerla”. I bambini e le bambine dovrebbero essere educati nello stesso modo
rispetto ai diritti e ai doveri: se si insegna ad un bambino che ha certi compiti, diversi da quelli
delle bambine, è già qui il problema, perché entrambi dovrebbero svolgere gli stessi compiti,
anche un bambino può imparare a stirare o a caricare la lavatrice. Le distinzioni fra bambini e
bambine iniziano quindi già dall’infanzia, infatti anche solo i reparti di giochi sono differenti per i
maschi e le femmine; inoltre è molto più accettato che una bambina faccia le cose dei bambini
invece che il contrario, per esempio è più “socialmente accettato” che una bambina giochi a
calcio invece che un bambino si vesta da principessa. Anche dal punto di vista sportivo, le
donne vengono pagate molto di meno, nonostante siano allo stesso livello degli uomini: si
guardi per esempio la serie A femminile di calcio e la serie A maschile, quella maschile ha dei
contratti da milioni di euro, invece quella femminile ha pochissimi sponsor e non viene pagata
neanche un quarto di quella maschile. Anche per quando riguarda l’uscire la sera c’è differenza
fra maschi e femmine: le donne in genere devono tornare sempre a casa presto la sera, mentre
ai maschi si concede di poter tornare più tardi, perché si crede che “abbiano più possibilità di
difendersi”. Quello che si deve fare per cambiare questa situazione è cambiare la cultura, le
cose che si dicono a scuola, le cose che ci dice la famiglia o le istituzioni: questo è il passo
fondamentale da fare e non trovare situazioni palliative (per esempio, per limitare la violenza
sulle donne, si mappano le strade più sicure di Bologna, ma questo è insensato perché una
violenza potrebbe avvenire in qualsiasi posto e in qualsiasi momento). Bisogna educare sia i
bambini sia le bambine all’affettività e all’amore e non solo le bambine: non bisogna spronare i
ragazzi ad avere una vita sessuale più attiva e condannare una ragazza che ha lo stesso
comportamento; è questo che la cultura ci deve aiutare a fare.
Continuo filmato: nelle famiglie comandava sempre il padre, egli aveva il ruolo di capofamiglia e
dettava gli ordini che gli altri dovevano rispettare. Nel 1970 il divorzio entra a far parte
dell’ordinamento giuridico e scatena molte proteste, anche da parte delle donne, perché
secondo la mentalità comune il divorzio minava un’istituzione solida come il matrimonio (il
divorzio è stato un passo molto importante, perché prima si insisteva molto sulla sacralità e
sulla indissolubilità della famiglia e del matrimonio). Nel 1975 nasce il diritto di famiglia: con il
matrimonio moglie e marito hanno gli stessi diritti e doveri (uguaglianza giuridica, economica,
sociale: questa è un’uguaglianza di fatto), possono decidere la residenza di comune accordo e
possiedono gli stessi poteri all’interno della famiglia: questo cambiamento rappresenta una vera
rottura con la tradizione legislativa italiana, infatti riconosce anche i diritti dei figli “adulterini”
oltre che la decaduta del potere decisionale dell’uomo (patria potestà). Prima i figli fuori dal
matrimonio non venivano tutelati da nessuna legge o da nessun provvedimento; un figlio nato
fuori dal matrimonio poteva rompere l’unione familiare, per questo tali bambini non venivano
tutelati. Anche se prima i figli adulterini non erano riconosciuti, esisteva comunque questo
fenomeno, come quello dell’adulterio: semplicemente, con il riconoscimento, questi bambini
sono stati riconosciuti.
Cambia anche la genitorialità, cioè si esce dalla famiglia patriarcale e dalla patria potestà:
entrambi i genitori, con la legge del 1975, diventano responsabili nei confronti dei figli (non c’è
un potere superiore del padre né nei confronti della moglie né nei confronti dei figli). In Italia, per
moltissimi anni, il cognome dato al figlio era solo quello del padre, ora, con una legge molto
recente, anche le donne possono dare il loro cognome ai loro figli.
Nel 1978 verrà introdotta la legge sull’aborto, altro cambiamento culturale epocale.
LEZIONE 9
Continuo video: Negli anni ‘60 si cominciò a ipotizzare la morte della famiglia, morte che
dovrebbe essere sventata dalle comuni, cioè a delle comunità nelle quali abitavano le donne
con i loro figli (le comuni non cercavano di sostituire la famiglia tradizionale), come quella di. I
giovani cercano di costruire delle famiglie diverse da quelle in cui sono nati, inoltre i giovani
cominciano ad incontrarsi in parrocchia ma sempre più spesso nei luoghi dedicati al tempo
libero. Anche la struttura delle famiglia cambia: arriva l’influenza delle famiglie americane,
inoltre alcune famiglie cominciano ad adottare una visione più socialista (non troppa divisione
fra uomini e donna). Negli anni ‘90 ci sono stati i primi tentativi di famiglie omosessuali: le
cerimonie omosessuali non avevano valore né dal punto di vista legale né da quello religioso; vi
era un riconoscimento giuridico delle coppie dello stesso sesso ma non vi era il matrimonio. Le
persone omosessuali non vogliono ostacolare l’istituzione del matrimonio, ma vogliono potersi
sposare e avere una famiglia anche loro: il governo presieduto da Romano Prodi promulga una
legge che riconoscere dei nuovi diritti alle famiglie etero e omosessuali non sposate (ci furono
delle proteste per queste concessioni: family Day); i diritti degli omosessuali però non verranno
tutelati per moltissimo tempo (2016: legge Cirinnà). Anche la famiglia tradizionale si è
trasformata (2013), per esempio sono stati riconosciuti come fratelli i figli naturali, quelli legittimi
e quelli adottivi, inoltre sono state tolte tutte queste separazioni fra i gli, infatti non si parla più di
figli legittimi o naturali, ma sono di “figli”: finalmente i politici hanno cambiato prospettiva e
hanno adottato il punto di vista dei minori, per tutelarli meglio. Il matrimonio poi comincia a
cambiare e le persone iniziano a sposarsi per amore e non più perché lo avevano deciso i
genitori: le persone che si sposano hanno deciso da sé la persona da frequentare (decisione
del proprio partner). La Chiesa inoltre cerca di essere più aperta verso le nuove famiglie e cerca
di aiutarle e di proteggerle e non di condannarle (questo non è valido per tutte le diocesi).
Le famiglie omosessuali sono state l’oggetto di un forte dibattito e solamente grazie
all’intervento dell’Unione Europea si sono sistemate un po’ le cose, anche se in Italia c’è ancora
tanta strada da fare.
Noi tendiamo spesso ad idealizzare il passato: ci ricordiamo solo le cose positive del passato,
eliminando quelle negative e lo stesso vale per la famiglia, cioè molti rimpiangono le famiglie del
passato, le quali però erano molto autoritarie, inoltre le donne e i minori venivano ritenuti
“inferiori”, mentre il padre aveva il potere su qualsiasi aspetto della vita familiare (patria
potestà). Oggi le famiglie presentano sia degli elementi negativi sia degli elementi positivi: noi
dobbiamo uscire dalla rappresentazione idilliaca della famiglia e dobbiamo capire che gestire e
fare una famiglia è un compito difficile. Non bisogna fare finta che avere una famiglia sia facile: i
genitori, per esempio, non devono eliminare tutti gli aspetti negativi dalla loro famiglia (positività
tossica), per esempio non devono far finta di essere sempre felici, oppure non devono evitare di
litigare davanti ai loro figli per dare loro l’idea che vada tutto bene quando non è così.
Oggi i genitori si interrogano sul loro ruolo e si chiedono se stanno facendo bene o se stanno
sbagliando: i genitori possono sentirsi inadeguati, depressi o semplicemente “non abbastanza”,
però devono tenere a mente che queste sono delle sensazioni temporanee che possono
migliorare con il tempo; nelle famiglie vecchie invece i genitori non si facevano domande sul
loro ruolo, credevano di prendere tutte le decisioni giuste e di non sbagliare mai: i genitori di
oggi invece sono più consapevoli e sanno di non essere sempre nel giusto e di non avere
sempre tutte le risposte in tasca.
Esistono anche le famiglie “monogenitoriali”, cioè quelle famiglie che possiedono un solo
genitore con dei figli: nel passato le coppie monogenitoriali venivano considerate “monche”,
perché le famiglie complete erano solamente quelle composte da una coppia di genitori (i
genitori dovevano essere le due metà di una mela). Le famiglie monogenitoriali venivano viste
come “anormali”, erano considerate un problema proprio per la mentalità del tempo: bisogna
uscire da questa visione “tradizionale” della famiglia e bisogna cercare di comprendere la realtà
così com’è e di analizzare la situazione attuale, sia per quanto riguarda la natalità, la
demografia, le nuove famiglie ecc..
Natalità: in Italia è sempre stato un problema molto importante, infatti durante il fascismo le
leggi invitavano le donne (più coercizione che invito) a fare molti figli; ora invece lo Stato, per
favorire la natalità, dovrebbe essere in grado di aiutare e famiglie italiane, dovrebbe garantire
degli aiuti e delle tutele a quelle famiglie che decidono di fare dei figli.
Quali sono i cambiamenti che osserviamo nelle famiglie contemporanee?
● Le famiglie si allungano: la popolazione italiana è molto vecchia, i bambini nascono tardi e
i giovani-adulti decidono di rimanere per molto tempo nella famiglia dei genitori.
L’invecchiamento della popolazione non riguarda solo l’Italia del nord, ma anche l’Italia del
sud (l’Emilia Romagna presenta una popolazione molto anziana) e altri paesi europei: in
particolare, in Italia, ci ritroviamo ad avere tantissimi anziani ma pochi giovani; c’è una
forte correlazione fra allungamento della vita e calo di natalità. In Italia nascono sempre
meno bambini e da genitori sempre più anziani, i quali, avendo un figlio molto tardi, in
genere decidono di non avere un secondo figlio. Quindi in Italia i genitori sono sempre più
anziani e i bambini hanno sempre più probabilità di vivere con i nonni/con gli adulti: i
bambini hanno meno probabilità di avere fratelli o cugini, ma hanno più probabilità di
crescere con i loro nonni anche per 20 e 30 anni (il ruolo dei nonni nella nostra società è
cambiato: sono diventati degli ammortizzatori sociali per le famiglie). Non tutte le famiglie
però possiedono i nonni e in più i nonni sono sempre più lontani dai loro figli e dai loro
nipoti e infine si dà per scontato che i nonni vogliano sempre stare con i nipoti, quando in
realtà potrebbero volersi solamente rilassare e viaggiare. Inoltre alcuni nonni lavorano
ancora a causa della posticipazione della pensione. L’Italia ha un welfare state pessimo e
per questo le famiglie tendono a non fare figli, perché sanno a quante spese vanno
incontro per crescere ed istruire anche solo un bambino. Inoltre non vi è una fase specifica
di dipendenza: i nonni potrebbero aver bisogno dei figli anche a 70-80 anni, oppure un
bambino potrebbe aver bisogno dei genitori per tutta la sua vita a causa di alcune
patologie debilitanti. La generazione dei nostri genitori viene definita “generazione
sandwich": cioè questa generazione, per la prima volta, può ritrovarsi a dover gestire sia i
figli non ancora autonomi sia i nonni, cioè i loro genitori, che stanno invecchiando (le loro
responsabilità aumentano). Una volta il genitore anziano continuava a vivere con i suoi
figli, per esempio tornava a vivere con i suoi figli perché la sua autonomia sta pian piano
sparendo: oggi è sempre più difficile che un anziano vada a vivere con le famiglie dei figli
perché la persona anziana non sempre è disposta a rinunciare alle sue abitudini e alla sua
autonomia e anche perché a volte la famiglia dei figli non ha la possibilità di accogliere i
nonni (le “zitelle”, cioè le donne che non si sposavano, tempo fa avevano la funzione di
prendersi cura dei genitori anziani). Inoltre le nostre case sono sempre più piccole e non
riescono quasi mai ad ospitare una persona anziana con autonomia limitata: la
coabitazione, al giorno d’oggi, sta venendo meno, e si opta per una badante che possa
prendersi cura dell’anziano (questa situazione di cura da parte di un estraneo non dura
solamente uno o due anni, ma può durare anche 10 o 15 anni, con i relativi costi). Una
volta gli anziani venivano visti come delle persone sagge che avevano sempre qualcosa di
intelligente da dire; si andava da loro per chiedere un consiglio e li si ascoltava sempre: la
nostra società invece fa fatica a tollerare gli anziani, non li rispetta e non li capisce perché
non vanno mai al passo con i tempi, ma anche perché vengono visti come coloro che
“pesano” sullo Stato. Gli anziani però sono quelli che danno le garanzie ai figli e ai nipoti,
inoltre una volta era scontato che i figli si sarebbero occupati dei propri genitori anziani,
oggi invece non è così scontato, infatti non è automatico che i figli decidano
consapevolmente di rinunciare ad una parte della loro vita per accudire i genitori anziani.
In Italia poi non è presente un vero welfare, infatti come abbiamo detto è la famiglia o i
nonni ad avere la funzione di welfare state: in Italia inoltre tutti i servizi vengono erogati in
base all’ISEE, alla condizione economica e alla posizione lavorativa dei genitori. In più i
bambini di oggi hanno un carico emotivo elevato, perché si trovano a dover socializzare
con dei genitori che hanno spesso 40 anni e con dei nonni abbastanza vecchi: l’asilo
serve ad alleggerire questo carico e a fare in modo che i bambini si confrontino fra di loro
e che non le abbiano “tutte vinte”. I nonni e genitori cedono spesso ai capricci, invece negli
asili i bambini, quando litigano con gli altri, devono imparare a trovare degli accordi e a
rinunciare a qualcosa che magari vorrebbero: questo non accade all’interno della famiglia,
dato che il bambino si confronta con degli adulti che lo assecondano. In Italia però gli asili
sono destinati solamente alle famiglie che hanno un certo ISEE, invece le altre devono
procurarsi una baby sitter, la quale però non riuscirà mai ad educare il bambino come
farebbe l’asilo.
Il nostro welfare state inoltre ha un carattere palliativo: per esempio quando si perde il lavoro, lo
Stato dà un’indennità di 1000 euro e non aiuta la persona licenziata a trovare un nuovo lavoro,
quindi mette una “toppa” su una situazione che però andrebbe risolta attraverso degli interventi
continuativi, atti a risolvere la situazione in maniera permanente e non in maniera temporanea.
Lo Stato dovrebbe mettere in atto delle politiche di prevenzione e non delle politiche che
intervengono solamente nel momento del bisogno: tutto questo porta i giovani ad allontanarsi
dall’Italia, dato che questo paese non offre né le tutele alle famiglie tradizionali che tanto dice di
proteggere né le tutele ai giovani in ambito lavorativo.
La nostra generazione manca di progettualità: non si pensa dove si sarà fra 20 o 30 anni ma si
vive il momento e il presente; manca la progettualità anche nelle relazioni, perché i partner
spesso non si parlano delle loro aspettative e dei loro desideri riguardo ai figli o al matrimonio.
Molti temi non vengono sviscerati prima di arrivare ad una certa situazione: per esempio non si
parla di che cosa si farebbe se la ragazza rimarrebbe incinta, oppure di che cosa si farebbe se
si avesse un bambino down; la fragilità delle nostre relazioni potrebbe derivare proprio da
questo, dal fatto che non si parla di certi temi e del futuro, ma ci si concentra solamente sul
presente).
LEZIONE 10
Altre trasformazioni subite dalle famiglie odierne:
● In Italia esistono moltissimi ragazzi che non studiano e non lavorano, ma stanno a casa
con i genitori (detti neet); la famiglia del giovane adulto è una cosa diversa: sono ragazzi
che studiano o lavorano oppure stanno facendo dei tirocini ma continuano a vivere nelle
case dei loro genitori.
● Calo dei matrimoni (i matrimoni non sono più l’obiettivo delle coppie), calo che non è
avvenuto negli ultimi 10 anni, ma che è iniziato almeno 30 anni fa (se si vuole cambiare la
situazione servono delle misure strutturali)
● Le famiglie inoltre oltre che sposarsi meno, si sposano anche più tardi e questo deriva
dalla posticipazione delle fasi della nostra vita (se studiamo più a lungo, cominceremo a
lavorare dopo e ci sposeremo dopo)
● Aumento dei matrimoni con rito civile: l’Italia sta affrontando sia un processo di
laicizzazione sia un processo di secolarizzazione (le famiglie si stanno staccando dagli
aspetti religiosi e stanno adottando un comportamento più laico: superamento dei
matrimoni civili rispetto a quelli religiosi), inoltre ovviamente i secondi matrimoni si
possono celebrare solamente con il rito civile e non in Chiesa; stanno aumentando anche i
matrimoni misti, nei quali i due sposi possono avere una religione differente e quindi si
sposano con il rito civile e non in Chiesa; anche coloro che si sposano in Chiesa hanno un
comportamento secolarizzato e laico, infatti non fanno tanti figli e non compongono quasi
mai delle famiglie tradizionali (in più chi si sposa in Chiesa spesso non è un credente
praticante, ma lo fa solamente perché è stato spinto dalla famiglia oppure per la location).
● C’è stato anche un aumento delle seconde nozze (seconde nozze: non il primo
matrimonio, può essere anche il terzo o il quarto) e questo succede perché i nostri
matrimoni sono sempre più fragili, a causa della fragilità delle relazioni di coppia
● Crescita dell’instabilità coniugale: ciò significa aumento delle separazioni e dei divorzi (non
sono la stessa cosa, infatti non è detto che tutti quelli che si separano poi divorziano
anche legalmente); una coppia solo separata, dal punto di vista legale, rimane unita
● Aumento delle convivenze more uxorio; queste convivenze si dividono in alcune categorie:
persone che scelgono di andare a convivere per testare la propria relazione (“matrimonio
di prova”: i ragazzi vanno a convivere per capire se sposarsi o no), persone separate ma
non divorziate, e persone a cui non interessa il matrimonio e quindi decidono di stare con
una persona in maniera informale e non legale (appunto “convivenza more uxorio”). Anche
le unioni civili sono delle convivenze more uxorio: in altri paesi le unioni civili non sono
riservate solamente solamente alle persone omosessuali, ma anche alle coppie etero, che
invece di sposarsi, decidono di unirsi civilmente
● Stanno aumentando le famiglie monogenitoriali: queste famiglie sono sempre esistite e
non devono essere definite “famiglie mancanti”. Tali famiglie aumentano non a causa della
morte di uno dei coniugi o a causa del fenomeno delle ragazze madri, le quali vengono
spesso abbandonate dai propri partner (in Italia però le gravidanze fra le adolescenti
stanno aumentando), ma a causa della separazione o del divorzio (padre o madre che
vivono da soli con i figli). Le famiglie monogenitoriali se si occupano dei loro figli come è
stabilito dal tribunale, non rischiano di danneggiare psicologicamente i loro figli
● Aumento delle famiglie ricomposte: famiglie in cui almeno uno dei due partner proviene da
una precedente relazione e in cui sono presenti dei figli delle precedenti relazioni. Per
esempio due persone che sono state sposate, che hanno avuto figli e che si sono separati
dai loro partner, si sono uniti nuovamente e si sono portati con sé i figli dei matrimoni
precedenti. Questo fenomeno non è tipico solo delle famiglie odierne, ma era presente
anche negli anni precedenti: per esempio nei cartoni Disney si mostra che i protagonisti,
come Cenerentola, fanno parte di una famiglia ricomposta, in particolare il padre di
Cenerentola si era risposato con una nuova donna, la sua matrigna. Statisticamente le
famiglie ricomposte sono sottoposte ad uno stress più alto proprio a causa della
complessità delle loro relazioni. Nelle famiglie ricomposte i genitori di partenza, quelli
biologici, non possono essere sostituiti dai nuovi partner: solo se un genitore biologico
rinuncia ai suoi figli, questi ultimi possono essere adottati dal nuovo partner. In Italia
succede spesso che nelle famiglie ricomposte, le madri decidano di far vedere poco i figli
ai padri e questo succedeva anche nel caso di un affido condiviso/congiunto (affido
condiviso: figli affidati ad entrambi i genitori): questo è profondamente sbagliato perché
una madre biologica non ha più diritti di un padre biologico per quanto riguarda i figli;
spesso le madri adottano questo atteggiamento perché i loro ex (i padri biologici dei
bambini) hanno fatto loro un torto; o ancora possono parlare male dei padri in presenza
dei figli, così da instillare nelle loro menti l’idea che i padri siano delle figure assenti,
burbere e negative. Le coppie ricomposte poi possono avere avuto delle ex relazioni
conflittuali, cioè delle relazioni in cui i litigi sono frequenti e il disaccordo è all’ordine del
giorno: in queste relazioni conflittuali, anche se la madre e il padre non erano ancora
divorziati, i bambini percepivano lo stesso la distanza fra i loro genitori. La conflittualità
provoca molti danni nei bambini e quindi i genitori dovrebbero concentrarsi di più sui loro
figli e sul loro benessere e non sui litigi e sulle discussioni. Nella nostra società la figura
del padre viene percepita come diversa da quella della mamma: si pensa che l’uomo non
sia capace di fare le stesse cose che fanno le donne, che non riescano a crescere bene i
propri figli e quando invece i padri si mostrano competenti nel crescere i loro figli, vengono
chiamati “Mammo” e questo è molto sbagliato perché non esistono cose che sanno e
devono fare solo le donne e delle cose che sanno e devono fare solo gli uomini: da questo
punto di vista le coppie più giovani sono migliori rispetto alle coppie più anziane, perché
nelle coppie giovani i ruoli sono molto intercambiabili e i padri sono molto più presenti
nella vita dei figli. La paternità e la maternità sono una relazione sociale: cioè io decido di
essere mamma in base alla relazione che io ho avuto con la mia mamma e lo stesso vale
per i papà (l’identità di un futuro genitore deriva dalla relazione che ha avuto con sua
madre e suo padre). Inoltre le relazioni che un genitore ha con i suoi figli sono tutte
diverse: i figli non sono tutti uguali e per questo devono essere trattati in maniera
differente (ciò non significa che io voglio più o meno bene ad un figlio rispetto ad un altro).
Un altro elemento importante è l’influenza reciproca che i genitori hanno su di sé: se un
padre è poco presente allora non influenzerà il modo di fare la mamma di sua moglie e
viceversa. Ultimamente poi gli uomini tendono ad essere dei padri più presenti proprio a
causa delle relazioni traumatiche che hanno avuto con i loro padri: hanno avuto dei padri
assenti e che non si curavano della famiglia e non vogliono ripetere lo stesso errore. I
papà oggi sono molto più presenti: condividono con le donne il momento del test di
gravidanza, il momento in cui le donne entrano in ambulanza e il momento in cui si entra
in sala parto: si vedono sempre più papà con i bimbi in braccio perché si è capito che la
genitorialità non riguarda solo le donne.
● Aumentano anche le famiglie unipersonali, cioè le famiglie composte da una sola persona
(sono più numerose di quelle composte da 4 o 5 persone): un esempio di famiglia
unipersonale è il “single”, il quale potrebbe aver scelto consapevolmente di rimanere da
solo, di posticipare un matrimonio, di non frequentare nessuno. Quando si è in una
relazione un po’ della propria indipendenza deve essere messa da parte: per esempio si
deve rinunciare ad andare in un certo posto perché il proprio partner non ha abbastanza
soldi, oppure una persona deve spostare un esame per venire incontro alle esigenze del
proprio partner. Le nostre relazioni e le nostre famiglie sono contemporaneamente
risorsa/vincolo, libertà e mancanza di libertà (dipendenza e autonomia) perché si deve
sempre arrivare a dei compromessi per riuscire a mantenere la relazione e la famiglia
intatta: la famiglia, in base al periodo, può essere percepita come una risorsa o come un
vincolo. Nella nostra società oltre alla secolarizzazione e alla laicizzazione è presente
anche l’individualizzazione. In sociologia poi si dà molta importanza al concetto di
benessere, il quale è polisemico: il benessere mette assieme l’aspetto fisico, psicologico,
mentale e relazionale; esiste sia un benessere individuale sia un benessere familiare e io
“sto bene” quando il mio benessere individuale coincide con quello familiare; all’interno di
una famiglia ci sono vari benesseri individuali e può succedere che il benessere di un
individuo venga visto come un malessere da un altro.
LEZIONE 11
Individualizzazione: è una delle tendenze della famiglia odierna e significa che l’individuo mette
l’accento su se stesso, si concentra su di sé e non dà tanta importanza alle relazioni con gli
altri. Noi dovremmo trovare un equilibrio fra il benessere individuale (che è multidimensionale) e
quello familiare: il benessere familiare è quello della famiglia che emerge dalle relazioni fra i
membri della famiglia; il benessere di un suo membro può non coincidere con quello degli altri,
quindi ci deve essere una rinuncia da parte degli individui per raggiungere il benessere
familiare. Questa rinuncia deve portare ad un bilanciamento fra il benessere individuale e quello
familiare: per esempio si deve cercare di conciliare il lavoro, con le relazioni sociali e con la
presenza in famiglia.
In Italia le famiglie unipersonale sono molto diffuse e sono composte da ragazzi giovani, da
donne o da single: in Italia la maggior parte di queste famiglie sono composte da donne anziane
vedove (loro non hanno SCELTO di diventare una famiglia unipersonale); questo è dovuto
anche al fatto che, come abbiamo detto, i figli non hanno lo spazio per accogliere il genitore
anziano all’interno della casa e della famiglia. Sono le donne a rimanere da sole perché
tendono a sposare uomini più grandi e perché le donne hanno un’aspettativa di vita più lunga di
quella degli uomini.
● Un altro cambiamento nelle famiglie italiane è l’aumento delle famiglie multiculturali:
queste famiglie sono composte da varie culture e quindi da abitudine diverse; oggi questi
matrimoni multiculturali sono più frequenti perché le persone viaggiano di più e c’è più
contatto fra persone lontane con culture diverse. I matrimoni multiculturali sono un
indicatore positivo di integrazione: quando aumenta il numero di matrimoni misti vuol dire
che c’è un buon livello di fusione tra popolazione autoctona e immigrati; gli immigrati,
quando aumentano i matrimoni misti, non vengono più visti come persone di passaggio,
ma come un elemento fondante del territorio. Le famiglie multiculturali poi si trovano
davanti ad una sfida complessa: come trasmettere le varie culture ai figli e come farli
sentire al loro agio in questa situazione
La nostra famiglia ha subito trasformazioni dal punto di vista demografico, sociale e culturale: la
trasformazione demografica è quella che vede l’aumento della sopravvivenza e dell’età media,
quindi una maggior presenza di anziani all’interno della società e un minor numero di giovani. Ci
sono state anche delle modifiche normative (le norme seguono sempre le trasformazioni sociali
e culturali, non le precedono mai), per esempio si è introdotta una legge sul divorzio breve nel
2015 (questa legge è stata molto combattuta perché l’Italia, essendo uno stato molto cristiano,
dava molta importanza ai matrimoni e quindi si pensava che abbreviando le procedure per
divorziare, il tasso di divorzio sarebbe aumentato: falso), c’è stata poi una legge sulle unioni
civili e anche una sulle convivenze di fatto.
La prima trasformazione della famiglia è quella dell’allungamento: nei Paesi Occidentali l’età
media è sempre molto alta e ciò ci fa capire che la popolazione è vecchia, che le nascite sono
in calo e vengono posticipate (c’è un vuoto generazionale, ciò saltiamo una generazione perché
facciamo i figli a 40 anni invece che a 20: una mamma di 20 anni è completamente diversa, dal
punto sociale e culturale, da una mamma di 40 anni); inoltre vi è una forte permanenza dei
giovani adulti nella famiglia d’origine. La natalità del nostro paese può essere rappresentata da
una piramide rovesciata: sono i neonati che sostengono il peso di tutta la piramide, sono loro
che sorreggono una società che sta invecchiando e che non sta facendo figli (sarà il figlio, che
spesso è figlio unico, a doversi occupare dei genitori vecchi o dei nonni, prima invece c’erano
molti più figli che si occupavano dei genitori anziani). In Italia, nei posti di comando, ci sono
sempre gli anziani, i quali difficilmente si spostano per far posto ai più giovani: anche in politica
c’è un altissimo tasso di over 70; negli altri paesi europei invece si fa più spazio ai giovani.
Come abbiamo detto la nostra popolazione sta invecchiando: questo si può spiegare sia
attraverso il processo di modernizzazione/secolarizzazione, sia attraverso il progresso medico-
scientifico; questi processi hanno inciso sulla mortalità, sulla qualità di vita delle persone e sulla
quantità delle nascite. La modernizzazione e la secolarizzazione hanno portato ad un ingresso
massiccio nel mondo del lavoro, ci hanno fatto capire che il lavoro è uno strumento di
dipendenza economica ma che può essere anche una fonte di insoddisfazione (lavoro non
gratificante); inoltre la modernizzazione ha introdotto la scelta, cioè gli individui possono
scegliere di fare figli, di sposarsi, di convivere e di fare famiglia. Nel passato vi era poca
possibilità di scelta, perché i contraccettivi non c’erano oppure erano illegali, quindi spesso non
si sceglieva di avere dei figli, ma arrivavano e basta: le generazioni precedenti avevano un
destino già segnato. Questi processi hanno portata ad una diminuzione della natalità e della
fecondità nel nostro paese: la fecondità italiana è al di sotto della soglia naturale di sostituzione
della popolazione, cioè le donne non fanno abbastanza figli da garantire il ricambio
generazionale della popolazione italiana; in Italia il tasso di fecondità è dell’1,3, mentre il tasso
di fecondità per garantire il ricambio generazionale è 2,1 figli per donna (se non avviene il
ricambio generazionale la popolazione si estingue); neanche l’immigrazione può migliorare
questa situazione. In Italia questa situazione è causata dal fatto che il welfare State è assente,
che lo Stato non mette in campo delle politiche per favorire la natalità e per aiutare le famiglie e
così le coppie decidono di non fare figli, perché sarebbero una spesa che non riuscirebbero a
sostenere. L’Italia non è un posto “a misura di bambino”: ci sono poche sovvenzioni per gli asili,
per le scuole primarie, le città non vengono organizzate in modo da favorire la circolazione delle
mamme con i passeggini, i luoghi per i bambini sono pochi e così via.
L’invecchiamento della popolazione e la bassa natalità comportano un debito demografico nei
confronti delle future generazioni: se io ho una popolazione anziana, come in Italia, essa farà
mediamente più controlli di un ragazzo di 20 anni e le spese dei controlli devono pagarle le
nuove generazioni, ma come abbiamo detto il nostro tasso di natalità è bassissimo e i ragazzi
non riescono a sostenere tutte queste spese, anche perché i posti lavoro sono occupati da
persone anziane che non rinunciano al loro impiego. Questo fa in modo che le generazioni si
scontrino fra di loro: con la pandemia la popolazione è stata chiusa in casa proprio per
proteggere gli anziani; forse si sarebbe dovuto consigliare agli anziani di stare in casa e di far
circolare i giovani, i quali avrebbero dovuto aiutare i loro nonni o i loro genitori anziani con la
spesa. In Italia il primo provvedimento che si è preso è stato quello di chiudere le scuole: si è
preferito chiudere in casa i giovani invece che gli anziani; chiudere in casa una persona anziana
ha degli effetti sociali e culturali diversi rispetto al chiudere in casa un giovane. Durante la
pandemia inoltre il tasso di suicidio è aumentato, come sono aumentati i casi di autolesionismo
e di disturbi alimentari.
I dati ci dicono che l’età media italiana è 45 anni, mentre nel 1991 l’età media era di 39 anni: la
popolazione è invecchiata di 6 anni. Gli individui con più di 65 anni o più sono addirittura il
22,6% della popolazione: nel 1991 invece la popolazione over 65 era il 15%. Infine le persone
con 80 anni sono addirittura il 7% della popolazione, mentre nel 1991 erano solo il 2,4%. I
giovani dai 0 ai 14 anni oggi sono solamente il 13% della popolazione e nella piramide dell’età il
tasso più basso è quello dei bambini dagli 0 ai 4 anni, percentuale in calo perché gli italiani
fanno sempre meno figli.
In Italia le persone che hanno 100 anni e più sono addirittura 14.456 persone e sono quasi tutte
donne: la donna più vecchia d'Italia è morta a 117 anni e in genere le persone over 100 si
concentrano quasi tutte nel Nord Italia, in particolare in Liguria; questi dati ci dicono che è più
probabile incontrare un anziano che un bambino dagli 0 ai 4 anni.
La pandemia non ha modificato la natalità: le persone in età “da figli” che sono state chiuse in
casa non hanno messo su famiglia, invece nel passato, quando vi erano delle situazioni di
emergenza o di preoccupazione, il tasso di natalità aumentava e si facevano più figli.
LEZIONE 12
Oggi è presente anche la categoria “grandi vecchi”, perché la popolazione raggiunge età
superiori a 80-90 anni: l’aspettativa di vita si è allungata anche grazie al progresso scientifico,
con il quale viviamo di più e meglio; mediamente le donne, in Italia, arrivano agli 85 anni,
mentre gli uomini agli 81 (nelle famiglie unipersonali è più probabile trovare una donna invece
che un uomo, perché le donne si sposano prima e vivono di più). L’aspettativa di vita si è
allungata sia al nord sia al sud, pur con livelli diversi a causa delle differenze territoriali fra
settentrione e meridione (nel sud è presente la malasanità): con il covid la mortalità si è un po’
alzata ma ora è tornata normale.
Previsioni demografiche: la popolazione italiana è destinata ad invecchiare e quindi la piramide
della popolazione si presenterà rovesciata; prima la popolazione formava una piramide
“normale” con una base larga (tanti giovani) e una punta stretta (pochi vecchi, mortalità alta);
questa fase è chiamata “prima transizione demografica” ed è caratterizzata da un’alta natalità
ma anche da un’alta mortalità (molti giovani e pochi anziani). Vi è poi la seconda transizione
demografica caratterizzata da alta fecondità e natalità ma anche da una diminuzione della
mortalità (situazione ideale); vi è poi la terza transizione demografica ad anfora o a fagiolo,
caratterizzata da una bassissima natalità e da un’altrettanto bassa mortalità (il tasso di
fecondità è minore del 2,1 per donna). Oggi abbiamo una situazione che viene descritta dalla
piramide rovesciata: questa piramide è caratterizzata da una base molto stretta e da una punta
larghissima, formata soprattutto da donne anziane, più longeve degli uomini (l’invecchiamento
della popolazione è un problema di tutti i paesi occidentali e non solo dell’Italia). Nel 1946 vi
erano almeno 1.044 migliaia di nuovi nati (baby boom), invece nel 2018 sono solo 435: quindi è
dal baby boom che la natalità in Italia sta diminuendo; nel 2018 sono nati la metà dei bambini
rispetto al 1974 e ciò significa che i bambini hanno sempre meno contatti con i loro coetanei.
Questa tendenza rende l’economia italiana precaria, inoltre la percentuale delle potenziali madri
si abbassa proprio perché i nuovi nati (fra cui le bambine) sono in drastico calo e sono proprio
loro che diventeranno i futuri genitori, ma se sono già pochi in partenza, la futura natalità sarà
ancora più bassa. Il tasso di fertilità totale in italia (TFT) è bassissimo, arriva all’1,3 figli per
donna: questo livello è così basso che i demografi lo chiamano “la più bassa tra le basse
fecondità”.
Oltre alla ridotta natalità, i bambini che nascono hanno delle madri sempre più vecchie: il tasso
di fecondità delle donne italiane è 1,21, mentre quello delle donne straniere è del 1,94; il tasso
dell’1,3 figli per donna è la media di questi due tassi e il tasso indica complessivamente quante
donne IN ITALIA hanno avuto un bambino, senza differenza fra donne con cittadinanza e non.
Anche se consideriamo solo le donne straniere, hanno un tasso di fecondità inferiore a quello
necessario per la sostituzione della popolazione: le donne straniere che decidono di rimanere
nel loro paese tendono ad avere almeno 2 o 3 figli, mentre quando arrivano in Italia il loro tasso
di fecondità diminuisce e si conforma a quello delle donne italiane (quindi probabilmente il
problema è l’Italia); anche queste donne straniere quindi adottano strategie per ridurre la
fecondità e quindi la migrazione non è la risposta al calo della fecondità. Il minimo storico, in
Italia, è stato registrato nel 1995 con 1,19 figli per donna; il picco si è raggiunto nel 2010 con un
tasso di fecondità del 1,46.
In media le donne italiane hanno un figlio a 32 anni e questo dato si suddivide in: donne italiane
che fanno il primo figlio a 32,5 anni e donne straniere che lo fanno a 29; in passato si faceva il
primo figlio prima, ma a causa dell’allungamento dei tempi di studio e della precarietà l’età
media delle mamma si è alzata. Dal 2008 ad oggi il numero dei neonati è ridotto di circa un
quarto e questo dato si è aggravato con l’arrivo della pandemia, periodo di incertezza in cui le
persone non se la sentivano di programmare un figlio. I figli sono sempre un costo, sia dal
punto di vista economico che dal punto di vista mentale.
Al nord si tendono a fare più figli che al sud (prima era il contrario): al Nord il tasso di natalità è
di 1,41 figli per donna, al Centro è di 1,31 e al Sud è di 1,29; questo perché al nord ci sono più
donne straniere, le quali hanno mediamente un tasso di fecondità più alto delle donne italiane.
In passato invece al sud si facevano più figli, a causa del contesto agrario (Il nord era già
industrializzato), oggi invece, a causa degli enormi costi dei figli, si è ridotta la natalità anche nel
meridione.
In genere gli stranieri arrivano nel sud Italia, ma dato che nel meridione ci sono poche strutture,
poche possibilità di lavoro e pochi centri, si spostano al nord: molto spesso gli stranieri non si
fermano nemmeno al nord, nonostante ci sia più lavoro, ma arrivano in contesti europei come la
Francia e la Germania, che offrono una condizione di vita migliore. Inoltre le donne italiane che
emigrano tendono ad aumentare il loro tasso di fecondità: il problema quindi è proprio l’Italia e
le sue limitate/assenti politiche di welfare.
Le donne italiane non si realizzano attraverso la maternità: il loro obiettivo non è quello di avere
dei figli, ma di poter fare il lavoro che amano, di poter finire gli studi e di poter essere
indipendenti ed autonome. In Italia c’è molta pressione, sia sulle madri giovani sia sulle donne
che non hanno figli: alle prime si chiede perché hanno fatto un figlio così giovani, alle seconde
perché non hanno ancora avuto un bambino.
L’immaginario delle mamme e delle nonne non rispecchia la realtà: le mamme sono sempre più
“vecchie” e hanno comunque la loro vita privata e le loro ambizioni (in passato, quando si
diventava mamme, ci si dedicava solamente alla famiglia e alla cura dei figli), mentre le nonne
non sono più “vecchiette con i capelli bianchi e le rughe”, ma sono delle donne che escono con
le amiche, che hanno i loro impegni e che possono non avere tempo per tenere i nipoti perché
lavorano.
Nel contesto Europeo l’Italia è il Paese con il tasso di fecondità più basso: in Francia, Svezia,
Irlanda, Danimarca e Regno Unito vi è la natalità più alta; mentre la Spagna e il Portogallo
hanno lo stesso tasso dell’Italia. La Francia è il paese che ha il tasso di fecondità più alto, arriva
infatti all’1,9: questo perché la Francia ha messo in campo delle politiche pro natalità, che
vengono applicate a qualsiasi persona decide di avere un figlio; in questo paese all’aumentare
dei figli aumenta anche l’assegno familiare, che compre i bambini fino ai 18 anni. In Italia
l’assegno familiare viene dato solo con la prova dei mezzi, cioè fornendo il proprio ISEE allo
Stato, il quale stabilisce se erogare o meno l’assegno familiare, inoltre l’assegno familiare
diminuisce in base al numero dei figli, cioè per il primo figlio si ha un assegno di, per esempio,
50 euro, per il secondo di 35 e per il terzo di 25. Questo significa che in Italia i figli non vengono
visti come un bene pubblico, una risorsa, ma vengono visti come un qualcosa di cui si può
occupare la famiglia.
In Italia inoltre il tempo scolastico è gestito male, perché i ragazzi si trovano a casa da soli da
giugno fino a settembre: gli asili e le scuole italiane non hanno orari flessibili, mentre gli asili e le
scuole francesi sono molto più elastici, non hanno orari prestabiliti in cui portare e riprendere i
figli. Il nostro modello di gestione delle scuole e degli asili si basa sulla vita lavorativa delle
donne di 50 anni fa e per questo è inadeguato e non aiuta veramente le famiglie italiane.
In Italia si dà alle famiglie dei bonus per i figli che non hanno cadenza fissa (una tantum) e che
quindi non aiutano veramente le famiglie italiane.
Le politiche che si concentravano sull’uguaglianza fra i due generi hanno fatto in modo che nei
paesi in cui sono state applicate, il tasso di natalità aumentasse: questo perché, attraverso
queste politiche, il ruolo della mamma e del papà era intercambiabile. Tali politiche sono state
applicate nei paesi europei, i quali infatti hanno un tasso di fecondità molto più alto delle donne
italiane, ma hanno anche un tasso di occupazione femminile altissimo e questo ci mostra che
figli e lavoro non sono inconciliabili, ma che il problema è l’Italia. In Italia infatti viene vista come
sospetta una donna che lavora e ha figli, ma lo stesso trattamento viene riservato ad un uomo
che decide di prendersi un permesso per restare con i figli.
In Irlanda invece c’è un’alta natalità perché questo paese segue un modello religioso-cristiano,
ma anche perché sono presenti delle politiche che sostengono la natalità: questo è quello che ci
aspetteremo dall’Italia, ma non è così, infatti nonostante l’Italia abbia un’alta considerazione dei
valori della famiglia e dei figli, nel concreto non fa nulla per aiutarli.
Fertility Gap: in Italia le donne non è che non vogliono fare figli, ma le loro aspettative (voglio
fare due figli, voglio fare tre figli) non coincidono con la realtà, perché lo Stato non permette alle
donne di avere una vita lavorativa soddisfacente e una famiglia composta da 2 o 3 figli
(distanza fra teoria e pratica, fra figli desiderati e figli avuti). L’Italia è il paese con il fertility gap
più grave, assieme a Spagna e a Grecia: in tutti questi paesi è rarissimo che una donna abbia
effettivamente i figli desiderati (questo probabilmente deriva dalle cattive condizioni economiche
che hanno attraversato e che stanno attraversando Italia, Spagna e Grecia, ma la motivazione
economica non è l’unica, perché, per esempio, noi siamo economicamente “messi meglio” dei
nostri nonni, ma loro facevano molti più figli). Il fertility gap è presente anche negli Stati Uniti,
ma in maniera ridotta, in Italia invece è un vero e proprio problema culturale e sociale, infatti le
donne a causa della mancanza del welfare state non riescono a fare tutti i figli che vorrebbero.
LEZIONE 13
Nelle nazioni con la natalità più alta sono presenti molte politiche pro natalità, per esempio le
donne che lavorano e hanno figli piccoli possono lasciarli nell’asilo creato apposta per loro
dall’azienda in cui lavorano: in Italia non ci sono queste iniziative e nemmeno in Spagna e in
Grecia, nazioni con un welfare state assente (in questo paesi il welfare state è costituito dalla
famiglia d’origine). In Italia le donne decidono di avere uno o più figli solo quando i nonni sono
disponibili e possono aiutare la famiglia: oggi però i nonni sono sempre più impegnati a lavorare
e non svolgono più il ruolo che svolgevano in passato; quando i nonni non sono disponibili, le
famiglie ripiegano sul figlio unico. In Italia inoltre non mancano solo delle politiche “pro natalità”
ma anche delle politiche per ridurre la differenza fra i due generi, le quali permetterebbero alle
donne di lavorare e di avere figli senza che queste due dimensioni entrino in contrasto: in Italia
è presente ancora una forte differenziazione dei ruoli fra donne e uomini, infatti quando nasce il
primo figlio le donne investono tutto il loro tempo sul nuovo nato e sul lavoro (eliminano il tempo
personale, quello che dedicano a sé), mentre gli uomini riescono a lavorare e ad avere degli
hobbies (tempo libero). Le donne possono anche delegare alcuni compiti ad una baby sitter
esterna, che però è sempre un’altra donna: questo ci fa capire che l’attività di cura è quasi
sempre svolta dalle donne e quasi mai dagli uomini. La conciliazione figli-lavoro non è un
problema delle donne, ma di tutte le famiglie, sia che esse siano omogenitoriali, multiculturali,
ricomposte o tradizionali.m In Italia ci dovrebbero essere delle politiche che incentivino la
natalità, che favoriscano l’uguaglianza fra i generi e che mettano le donne in condizione di fare
tutti i figli che desiderano.
Sindrome del posticipo: questa sindrome è molto presente in Italia e fa in modo che le persone
italiane posticipino tutte le fasi della loro vita, per esempio posticipano la fine degli studi, i
master, i tirocini, l’età in cui si entra nel mercato del lavoro, l’età in cui si esce di casa e l’età in
cui si mette su famiglia. Questa tendenza è presente anche in altri paesi ma non ai livelli italiani.
In Italia ci sono poche nascite in Italia perché
● I genitori investono molto sui figli (anche a livello emotivo): investire troppo sui figli significa
riversare su di loro troppe aspettative e questo succede perché le famiglie hanno figli
sempre più tardi. Nelle famiglie italiane inoltre c’è troppa dipendenza fra figli e genitori: un
buon genitore dovrebbe creare indipendenza nel figlio, invece in Italia i figli raggiungono
l’autonomia molto tardi, perché preferisce stare a casa con i genitori, pur lavorando. Un
buon genitore sa che un figlio deve “staccarsi dal nido” e deve costruirsi una vita da solo,
ma le loro azioni spesso sono orientate a tenere con sé un figlio anche quando questo ha
30-35 anni; c’è una doppia complicità fra figli e genitori perché i genitori vogliono che il
figlio rimanga in casa ma anche perché i figli stanno bene nella casa dei genitori (lavorano
ma usano quei soldi per uscire e per le loro spese, perché le bollette le pagano i genitori,
la spesa e la lavatrice la fanno loro e così via). Questo significa quindi che c’è troppa
dipendenza fra genitori e figli e che i primi non educano i secondi all’indipendenza, inoltre i
genitori tendono a dare sempre ragione ai loro figli, a non mettere mai in dubbio il loro
operato (se un figlio prende un brutto voto a scuola è sempre colpa del prof).Se i genitori
adottano dei comportamenti sbagliati, i figli tendono ad imitarli e ad agire nella stessa
maniera: c’è un vero e proprio iper-controllo da parte dei genitori sui figli, genitori che
spesso delegano ad un’app la loro funzione genitoriale (mettono il parental control alla
televisione, bloccano alcuni di ricerca). Questo è sbagliato perché i genitori non
dovrebbero limitare in questo modo la libertà dei figli, ma dovrebbero spiegare a loro
perché dovrebbero comportarsi in un certo modo oppure dovrebbero parlargli di quello che
potrebbero incontrare in rete e non bloccare qualsiasi canale o motore di ricerca a cui i figli
potrebbero accedere. I genitori dovrebbero istruire i ragazzi sui pericoli che
comporterebbe una certa azione e non possono limitare i loro comportamenti: devono
lasciare a loro la libera scelta dopo averli informati. I genitori inoltre caricano i figli di troppe
aspettative: li vogliono bravissimi a scuola, bravissimi nello sport, bravissimi in casa ma
non lo fanno per il figlio ma per soddisfare i loro desideri narcisistici.
● Diminuiscono le donne in età da procreare (dato che nascono pochi bambini nascono
anche poche donne che possono rimanere incinta).
● Le crisi colpiscono sempre le famiglie con i figli: all’aumentare del numero dei figli aumenta
il rischio di povertà della famiglia (le misure adottare per aiutare queste famiglie sono
sempre improntate al “contrasto della povertà” e non al sostegno della famiglia in sé). Ciò
significa che avere un figlio è un costo economico e materiale: per aiutare le famiglie
numerose basterebbe tassare di meno le cose che servono ai figli, come l’iscrizione
all’asilo, il latte artificiale, i pannolini ecc..
● Diventa sempre più difficile conciliare famiglia e lavoro.
Fecondazione artificiale omologa: fuori dal corpo si feconda artificialmente l’ovulo con gli
spermatozoi della coppia che vuole avere un figlio.
Fecondazione artificiale eterologa: l’ovulo, gli spermatozoi che vengono uniti artificialmente non
appartengono alla coppia che vuole avere un figlio, ma arrivano da terzi.
Nella nostra società sta aumentando tantissimo la sterilità sociale (e non biologica): le coppie
sperimentano una sorta di blocco psicologico quando pensano ad avere un bambino, perché
dopo aver programmato la nascita del figlio per tutta la vita, quando arriva il momento del
concepimento la coppia va incontro ad un blocco, cioè ad un qualcosa che li ferma dal
diventare genitori.
In Italia esiste un gap fra i genitori: c’è poca uguaglianza fra uomini e donne infatti queste ultime
devono fronteggiare molte più sfide di quelle affrontate dagli uomini; per esempio è sempre alle
donne che si attribuiscono certi compiti (lavare, stirare, curare i figli) ma essi non sono inscritti
nella biologia femminile, possono essere svolti anche dagli uomini. Si dovrebbero suddividere
equamente i compiti delle donne e quelli degli uomini, così da non fare in modo che le donne si
debbano destreggiare fra i figli, il mondo del lavoro, la vita familiare e quella domestica: le
donne che devono adempiere a tutti questi compiti vengono chiamate “donne equilibriste”.
La genitorialità va condivisa, va distribuita fra madre e padre e questo va insegnato alle nuove
generazioni attraverso la cultura: la cultura dovrebbe abbattere le differenze di genere e gli
stereotipi fra uomo e donna; inoltre la cultura si dovrebbe unire ad interventi strutturali e a
politiche continuative, che possano portare ad un effettivo cambiamento duraturo e non ad un
cambiamento passeggero. I politici dovrebbero controllare i provvedimenti presi così da capire
se le loro decisioni hanno portato ad un effettivo cambiamento oppure se la situazione è rimasta
uguale a prima.
LEZIONE 14
Per conciliare famiglia e lavoro è importante trovare delle strategie politiche di lungo raggio (con
degli effetti continuativi nel tempo), che devono essere monitorate negli anni, inoltre servirebbe
anche un cambiamento culturale: la conciliazione famiglia-lavoro non riguarda solamente la
donna, ma anche l’uomo; si dovrebbero promuovere degli interventi di empowerment della
famiglia e non si dovrebbe agire ex-post (dopo) un fatto critico per la famiglia (una misura ex-
post è quella dell’assegno familiare erogato alle famiglie che ormai sono in una condizione di
povertà: l'empowerment della famiglia invece prevede che una famiglia NON arrivi alla
condizione della povertà). Gli interventi ex-post inoltre non sono accessibili a tutte le famiglie,
ma vanno in base al reddito: questo succede anche per i servizi della prima infanzia. Il nostro
sistema di welfare è quindi assistenzialistico (non improntato all’empowerment), richiede la
prova dei mezzi e agisce tramite provvedimenti ex-post, cioè dei provvedimenti che vengono
applicati dopo una crisi familiari.
L'empowerment della famiglia è il riconoscere che tutte le famiglie possono avere degli ostacoli
(anche quotidiani) e lo Stato deve riuscire a capire perché sono presenti questi ostacoli e come
si può fare a rimuoverli prima che la famiglia vada incontro ad una crisi o prima che la famiglia
riesca a superare da sola questi ostacoli tramite delle rinunce.
Una misura di empowerment è quella di garantire alle donne di poter lavorare solo qualche
giorno a settimana, ma con orario pieno e continuativo, così da potersi prendere cura del figlio
piccolo e la stessa cosa dovrebbe essere applicata ad un padre che sta affrontando i primi mesi
di vita del figlio.
I rimedi a questa situazione sono:
● Promuovere misure a sostegno della genitorialità (non “maternità”), con un piano di
investimenti mirato a rispondere alle esigenze legate alla nascita, in particolare per i nuclei
familiari più in difficoltà
● Assicurare attenzione al percorso di nascita; i consultori familiari dovrebbero essere
rafforzati e sviluppare un approccio di individuazione precoce della fragilità
● Informare i genitori che esistono delle misure a sostegno della conciliazione e della
genitorialità
● Garantire che i servizi educativi per la prima infanzia diventino un diritto di tutti (no prova
dei mezzi)
● Promuovere il family audit, un sistema di valutazione e certificazione delle politiche
aziendali che favoriscono la conciliazione tra famiglia e lavoro e che valuta all’interno
dell’azienda la presenza dei congedi parentali, flessibilità dell’orario e del luogo di lavoro
(lo smart working non dovrebbe essere utilizzato solo in situazioni emergenziali come la
pandemia, ma dovrebbe essere utilizzato dalle persone che hanno particolari necessità,
come la nascita di un figlio), asili aziendali, campi estivi, assicurazione sanitaria e
contributi finanziari
● Rafforzare la tutela delle lavoratrici sanzionando i fenomeni di mancato accesso o di
espulsione dal mercato del lavoro per motivi legati alla maternità
● Favorire il coinvolgimento degli uomini nel lavoro di cura: sono gli stessi modelli educativi
che propongo dei ruoli stereotipati per donne e uomini che si occupano della cura del figlio
In conclusione servono delle misure strutturali per la famiglia, per esempio aumentare
automaticamente l’incremento del reddito della coppia una volta nato un figlio, inoltre
servirebbero servizi per l’infanzia più variegati e meno costosi: si dovrebbe rendere la società “a
misura di bambino”, coinvolgendo anche i padri nell’attività di cura.
In Italia la nascita di un figlio è visto come un qualcosa di privato e per questo è la famiglia che
si deve occupare, privatamente, della crescita del bambino: secondo questa logica lo Stato non
ha niente a che fare con la famiglia e con i bambini e quindi si disinteressa completamente delle
giovani generazioni e dei nuovi nati.
In altri Paesi, come la Francia, il costo dei figli viene socializzato, cioè viene distribuito
all’interno di tutta la società, così da favorire un incremento del tasso di natalità; in Francia,
grazie a questa socializzazione è possibile tagliare drasticamente le tasse alle famiglie con i
figli, inoltre i nidi sono gratuiti.
LA FAMIGLIA LUNGA DEL GIOVANE ADULTO
In Italia i giovani adulti rimangono per molti anni nella famiglia d’origine e questo è causato dalla
posticipazione delle tappe che segnano il passaggio dall’adolescenza all’età adulta (questa
posticipazione è presente in quasi tutti i Paesi Occidentali). Le tappe di questo passaggio sono:
● Posticipazione degli studi: i ragazzi occidentali hanno un percorso scolastico più lungo e
quindi i ragazzi rimangono più a lungo all’interno della scuola; inoltre ai ragazzi si fa molta
pressione durante le scuole superiori, per non essere bocciati, invece quando i ragazzi
cominciano a studiare all’università, non c’è più molta pressione su di loro, possono anche
ritardare di un anno la laurea.
● Posticipazione dell’ingresso nel mondo del lavoro
● Posticipazione dell’uscita dalla casa dei genitori: in Italia non c’è l’esperienza del vivere da
soli prima di crearsi una nuova famiglia
● Posticipazione dell’autonomia residenziale
● Posticipazione della formazione di una nuova famiglia
● Posticipazione della nascita dei figli
La posticipazione, come abbiamo detto, è presente in tutti i Paesi occidentali, ma in Italia
questo fenomeno ha raggiunto un livello eccessivo: gli italiani in genere escono di casa
solamente a 30 anni, mentre gli svedesi lasciano la casa dei genitori a 17 anni e mezzo (record
assoluto in Europa). Il record di “ragazzi più attaccati alla famiglia” è detenuto dalla Slovacchia
e dai Paesi Balcanici, dove i “ragazzi” escono di casa a 31 anni.
In Italia i ragazzi e i giovani adulti hanno un collegamento molto forte con la famiglia e con i
genitori.
E’ anche vero che le ragazze sono più autonome dei ragazzi nel lasciare la casa dei genitori e
questo succede perché le ragazze, all’interno delle famiglie d’origine, devono convivere con
maggiori restrizioni di libertà rispetto ai ragazzi: quando le ragazze vanno a vivere da sole
diventano più indipendenti e più libere, invece quando erano a casa dei genitori subivano
maggiori privazioni di libertà e dovevano sottostare a ciò che dicevano i genitori e questo deriva
dalla cultura, perché un ragazzo non subisce una restrizione di libertà simile all’interno della loro
famiglia e per questo è più propenso a rimanere nella casa dei genitori (DIFFERENZE DI
GENERE). Nei paesi in cui i ragazzi lasciano la casa tardi, questa differenza di genere è più
marcata: per esempio in Bulgaria, Paese in cui i ragazzi se ne vanno di casa molto tardi, la
differenza di genere fa in modo che le donne lascino casa, in media, 4,5 anni prima di un uomo
Un italiano quindi ci mettere 12 anni in più di un ragazzo svedese a lasciare casa: a
determinare questo divario sono soprattutto le politiche di welfare per i giovani italiani, e le
opportunità offerte dal mercato del lavoro; in Scandinavia è presente una politica che aiuta i
giovani e che li aiuta ad inserirsi nel mercato del lavoro e ad avere un reddito adeguato che
consenta loro di mantenersi autonomamente (anche in Francia e Germania ci sono queste
politiche familiari “capacitanti”, che aiutano i giovani).
Questo fenomeno della “famiglia lunga del giovane adulto” modifica la struttura familiare
italiana: oggi esistono molte famiglie composte interamente da adulti, cioè dai genitori adulti e
dai figli 30enni (questo fenomeno è più marcato nel sud). Inoltre i giovani italiani tendono a
rinviare l’assunzione delle responsabilità adulte e questo è dovuto allo stile educativo dei
genitori, i quali cercano di fornire ai figli tutti i comfort del mondo, così da farli rimanere a casa,
evitando di farli confrontare con le nuove responsabilità che hanno dato che sono diventati
adulti.
(rivedi slide)
LEZIONE 15
I NEET
Un altro fenomeno che si sta diffondendo nelle famiglie occidentali sono i neet: i neet hanno dai
15 ai 29 anni e non studiano, non lavorano e non seguono delle attività formative. Neet è
l’acronimo di “Not in Education, Employment or Training” e all’interno di questo gruppo sono
presenti delle figure molto eterogenee, per esempio possiamo trovare ragazzi con un titolo di
studio molto elevato e che stanno cercando un impiego, dei disabili e così via: i neet non
seguono nemmeno tirocini, corsi informatici o lezioni private. I neet vengono definiti anche
“ragazzi sospesi” e alcuni di loro hanno abbandonato la scuola dopo i 15-16 anni: i neet spesso
risiedono con i genitori e sono il 22% della popolazione fra i 15 e i 29 anni; non partecipano a
nessun processo istituzionalizzato. I “neet” sono una “non categoria”, sono delle persone che
dipendono in tutto e per tutto dai loro familiari, che non partecipano alle attività sociali; i genitori
dei neet inoltre dipendono dai loro figli, vogliono che i loro “ragazzi” rimangano a casa, altrimenti
si sentirebbero soli e sperimenterebbero la fase del “nido vuoto”.
Molti giovani (8 su 10) vedono il loro futuro al di fuori dell’Italia. I neet non guardano al futuro e
non vogliono continuare a vivere nel loro Paese: vorrebbero andare all’estero, ma non hanno
competenze lavorative o scolastiche. Le madri e i padri dei neet sono molto attaccati ai figli,
infatti nello specifico le madri continuano a viziarli, a preparare loro da mangiare e ad accudirli: i
genitori non vogliono che i loro figli se ne vadano di casa, per questo li coccolano, perché non
vogliono affrontare la fase del nido vuoto.
In Italia l’obbligo scolastico è fino ai 16 anni e molti neet abbandonano la scuola proprio a
questa età, diventando un peso per i propri genitori ma anche per la società in cui vive: questi
ragazzi però si comportano in questo modo perché i genitori glielo permettono e avvallano il
loro modo di fare. In Italia è presenta un’alta disoccupazione giovanile, ma anche se ci
trovassimo in una situazione di piena occupazione, il lavoro andrebbe comunque cercato e
molti neet non fanno nemmeno questo sforzo (spesso mandano solamente dei curriculum). I
neet sono più frequenti fra i giovani con il diploma, mentre sono più rari fra i giovani laureati:
quindi la categoria dei neet è più diffusa fra coloro che hanno un basso livello di istruzione. La
quota italiana di neet è molto più elevata di quella presente in altri paesi europei, però la
percentuale di neet è leggermente in calo rispetto al 2018 (questi dati però sono pre-pandemia:
in periodo di covid i neet sono sicuramente aumentati): la media europea di neet è 12,5%, la
media italiana è 22%. All’estero, al crescere del titolo di studio, si esce dal pericolo neet, in italia
non è così, perché il 19% dei laureati fa parte della popolazione neet e questo succede a causa
del fatto che nel nostro paese le opportunità di lavoro sono molto poche.
I neet sono ignorati dalla politica, sono sfruttati dal mercato, sono incompresi dai media e sono
iper-protetti dai genitori: la classe politica italiana non si interessa dei giovani, perché la nostra
popolazione è vecchia e quindi, dato che nei quartieri sono presenti più anziani che giovani, i
politici proporranno delle iniziative per gli anziani come i centri di cura o le case di riposo. Il
nostro Paese non investe sul futuro o sulle nuove generazioni, le quali però costituiscono il
futuro dell’Italia: i figli, in Italia, vengono visti come un bene privato e quindi si pensa che tocchi
solo alla famiglia occuparsi dei giovani e questo avviene quando la famiglia è economicamente
agiata e non quando le famiglie hanno un reddito basso. Per questo lo Stato dovrebbe
intervenire e mettere a disposizione delle borse di studio per permettere ai ragazzi meritevoli di
studiare e di proseguire la loro carriera accademica.
In Italia, come abbiamo detto, i figli sono iper-protetti e questo fa in modo che nei ragazzi si
accentui la dipendenza nei confronti della famiglia d’origine: questo fa in modo che i ragazzi
italiani escano di casa molto tardi, perché sono molto attaccati alla sicurezza fornita dalla
famiglia; hanno paura di “fare un salto nel vuoto” qualora si staccassero dai loro genitori, hanno
bisogno di garanzie che il mercato del lavoro non fornisce. Il mercato del lavoro italiano non
funziona perché è saturo a causa delle vecchie generazioni e quindi i giovani si trovano a
ricoprire delle posizioni precarie, come il cameriere stagionale. Anche i media non migliorano la
situazione: i media italiani non cercano di capire cosa sta succedendo e perché si è formata la
categoria dei neet, pensano solo a stigmatizzarli e a denigrarli (storicamente gli adulti hanno
sempre dipinto negativamente i giovani); i media non promuovono una discussione che
potrebbe cambiare la condizione dei giovani o dei neet, inoltre non cercano di diffondere l’idea
che i giovani siano una risorsa e non un problema da risolvere. I media continuano a far
circolare l’idea che i giovani siano tutti svogliati, che siano dei “bamboccioni” che non hanno il
coraggio di intraprendere una loro carriera lavorativa, ma nemmeno i giovani cercano di
dimostrare che questo non è vero, che hanno voglia di fare e che stanno cercando di trovare un
impiego. In Italia gli anziani non lasciano facilmente le loro posizioni lavorative ai giovani: per
questo i ragazzi si trovano a dover dare i nomi dei genitori o dei nonni come garanzie alle
banche, perché l’unica cosa certa che hanno è il loro lavoro, che a volte è un contratto a tempo
determinato. I politici dovrebbero investire sul futuro, non dovrebbero alimentare il ciclo negativo
che si è creato, ma dovrebbero dare ai giovani delle nuove opportunità.
HIKIKOMORI
Un altro fenomeno che si sta diffondendo in Occidente e in Italia è quello degli “Hikikomori”:
questo termine è stato coniato in Giappone e significa “stare in disparte”; gli hikikomori si
ritirano dalla vita sociale per lunghi periodi di tempo (mesi, anni). Gli hikikomori si rifugiano nella
loro vita privata e fanno molta fatica a distaccarsene: decidono di chiudersi in casa, ma più
spesso nella loro camera, evitando anche i contatti con i loro familiari, hanno però contatti con il
web e molti di loro hanno anche relazioni sentimentali online. Questo fenomeno coinvolge i
giovani dai 14 ai 30 anni e principalmente di sesso maschile (70-90% maschi), il fenomeno però
potrebbe essere stato sottostimato nelle ragazze. Dopo il covid (periodo di chiusura) alcuni
ragazzi hanno cominciato ad uscire più di prima, riprendendosi la loro libertà, altri ragazzi
invece si sono rinchiusi in casa, sia per la paura del virus sia per la paura dei contatti e delle
relazioni sociali con gli altri: i media, per gli hikikomori sono stati un rifugio e continuano ad
esserlo, però i media sono pericolosi perché veicolano un’immagine falsata della persona, cioè i
ragazzi possono scegliere di condividere solo ciò che vogliono sui loro profili, possono essere
persone totalmente diverse da come sono in realtà. Gli hikikomori scappano dalla realtà per
vivere all’interno di una realtà artificiale: questo fenomeno però si sta diffondendo anche
all’interno degli over 40, età nella quale l’essere hikikomori diventa un fenomeno cronico e può
quindi durare per tutto il resto della vita.
Gli hikikomori non fanno parte solo della cultura giapponese, ma sono un “disagio adattivo
sociale” che si può riscontrare in qualsiasi paese: in Italia si stima che siano presenti almeno
100.000 casi. Questo fenomeno inizia nell’età adolescenziale perché è questo il periodo in cui
emergono le prime insicurezze e in cui si capisce che i genitori e gli insegnanti non hanno la
verità in tasca.
Le cause di questo fenomeno possono essere:
● Caratteriali: gli hikikomori sono intelligenti, sensibili e inibiti socialmente e queste loro
caratteristiche contribuiscono alla loro difficoltà nell’instaurare dei rapporti sociali duraturi,
inoltre tali caratteristiche possono esacerbare le delusioni scolastiche vissute durante
l’adolescenza (come una bocciatura)
● Familiari: l’assenza del padre e l’eccessivo attaccamento alla madre possono essere delle
cause del fenomeno degli hikikomori; il padre non cerca più di rompere il legame madre-
figlio, non porta più a termine il suo compito e in questo modo i figli rimangono attaccati
alle madri per tutta la loro vita. Per questo si può parlare di “strapotere delle madri”: molte
donne ritengono che la figura del padre non abbia molta importanza nella vita del figlio e
per questo la escludono (a volte i padri sono felici di essere esclusi, a volte invece
vorrebbero essere presenti nella vita dei figli). I padri invece dovrebbero essere presenti
nella vita dei loro figli, così da rompere la malsana diade madre-figlio: nelle famiglie
ricostituite i padri sono spesso assenti e le madri descrivono i loro ex mariti attraverso
offese, insulti e denigrazioni. Inoltre i genitori fanno sempre più fatica a relazionarsi con i
figli e questi ultimi tendono a rifiutare l’aiuto dei genitori
● Scolastiche: quando un ragazzo lascia la scuola, questo dovrebbe essere uno dei primi
campanelli d’allarme, perché potrebbe vivere una brutta situazione a scuola (bullismo) che
lo spinge a diventare un hikikomori. Il bullismo sta diventando sempre più difficile da
intercettare perché i fenomeni di prevaricazione stanno diventando “virtuali”: diffusioni di
immagini della vittima, l’esclusione dai gruppi di classe, le offese in chat
● Sociali: gli hikikomori sviluppano una visione negativa della società e soffrono le pressioni
di realizzazione sociale, pressione che i ragazzi hikikomori cercano di evitare rifugiandosi
nella loro camera. I genitori caricano i figli di tutti gli obiettivi che avrebbero voluto
raggiungere quando erano ragazzi: in questo modo il ragazzo è sottoposto ad una
grandissima pressione sociale, la quale può scaturire nel fenomeno dell’hikikomori
La società vuole che i ragazzi e gli adulti raggiungano sempre il massimo dei risultati e
condanna fortemente gli errori e gli sbagli, quando sono proprio questi ultimi a far crescere le
persone e a fortificarle. Le cause appena elencate portano i giovani a rinchiudersi nella loro
stanza: la dipendenza da internet NON è una delle cause di questo fenomeno, è una
conseguenza, cioè, dopo tutta la pressione sociale esperita dai ragazzi, questi ultimi si rifugiano
nei social.
LEZIONE 16
Negli ultimi anni almeno un ragazzo al giorno tenta il suicidio, mentre i casi di hikikomori stanno
aumentando: questa notizia però non è stata diffusa così tanto dai media, è quasi passata sotto
silenzio e questo è un fattore preoccupante. I suicidi e gli hikikomori sono un problema che
deriva dal disagio sociale: i giovani fanno fatica a relazionarsi e questa ansia da relazione li
spinge a rinchiudersi in se stessi e ad allontanarsi dalla società. La società e le famiglie inoltre
spingono i ragazzi ad essere in competizione fra di loro: i genitori denigrano gli altri ragazzi per
elevare loro figlio, per porlo su un piedistallo, ma questi casi di bullismo da parte dei genitori nei
confronti dei ragazzini vengono spesso taciuti. Fenomeni quali il bullismo e l’anoressia (disagio
sociale) hanno cominciato a diffondersi anche fra i giovanissimi, perché le pressioni sociali si
stanno facendo sentire anche sui bambini di 10-11-12 anni. Dopo il covid molti ragazzi hanno
scelto di “morire” dal punto di vista sociale, cioè di chiudersi in casa e di tagliare i ponti con tutte
le altre persone: questo fenomeno era presente anche prima, ma con il covid e con il lockdown
totale il fenomeno si è esacerbato in maniera impressionante. Oltre ai casi di anoressia,
bullismo, suicidio e hikikomori sono aumentati anche i casi di autolesionismo e anche questo è
un sintomo di malessere sociale: in Italia però si ragiona sempre ex-post, cioè prima compare
un problema e poi si cerca di risolverlo mettendogli una pezza sopra e non facendo degli
interventi per prevenire lo stesso problema. Quando ormai i ragazzi si sono chiusi in se stessi e
hanno cominciato a sviluppare ansia, depressione e atteggiamenti tipici degli hikikomori, è
molto difficile tirarli fuori da questo tunnel, servono dei provvedimenti mirati e specializzati, che
non sempre vengono messi in campo celermente e quindi le condizioni dei ragazzi non fanno
altro che peggiorare. I ragazzi inoltre sono influenzati dal web e dai social, i quali aumentano la
pressione e le aspettative sui giovani: esistono delle sfide tiktok in cui i ragazzi rischiano la vita
e ci sono stati dei casi di morte accidentale durante la realizzazione di queste challenge. Il
fenomeno della pressione sociale e delle aspettative colpisce soprattutto i ragazzi attorno ai 15-
16 anni: queste persone si ritirano anche per più di 3 anni dalla vita sociale, troncano i contatti
sociali diretti e si rifugiano nel web (esistono anche dei casi in cui vengono evitati sia i contatti
con i genitori sia i contatti con il web). Gli hikikomori si ritirano dalla vita sociale per sfuggire le
pressioni: hanno paura del fallimento, infatti nel nostro sistema scolastico tutto è basato sui voti
e sull’essere eccellente (si dice che lo sbaglio, che l’errore non è un problema, ma se una
persona sbaglia, viene giudicata negativamente). Il nostro sistema scolastico sottolinea i
fallimenti invece che i successi, ma questo succede anche nel sistema sportivo: quando una
persona che va sempre bene a scuola commette uno sbaglio, la pressione sociale su di lei
aumenta in maniera esponenziale, tutti le chiedono cos’è andato storto e come mai ha
commesso quell’errore. Le pressioni sociali e il fallimento riguardano anche la sessualità: nella
nostra società non si fa informazione sulla sessualità, è vista come un tabù, i ragazzi non
conoscono né il proprio corpo né quello dell’altro, non vengono informati sull’affettività e sulle
prestazioni sessuali, credono che le vite affettive degli altri siano perfette e quindi quando la loro
non risulta soddisfacente, si sentono sbagliati. I maschi hanno una grandissima ansia da
prestazione prima di un rapporto sessuale, perché hanno visto filmati su internet, hanno sentito
delle esperienze dei loro coetanei (sicuramente ingigantite ed edulcorate) e quindi non si
sentono mai abbastanza pronti o abbastanza sicuri.
Lo scopo dei ragazzi di oggi non è quello di stare bene ed essere felici, ma è quello di avere
successo, di essere ammirati dagli altri, di avere il controllo della situazione, di essere
pienamente realizzati: tutti i ragazzi inoltre vogliono essere accettati e in passato questa ansia e
questa paura dell’accettazione non c’era, non si voleva l’accettazione e l’approvazione dell’altro,
oggi invece questa approvazione è fondamentale, perché se le azioni vengono approvate dagli
altri, allora si avrà sicuramente successo. Noi misuriamo le nostre capacità in base alle reazioni
degli altri: se agli altri piace quello che facciamo, allora ci siamo realizzati e sentiamo di
avercela fatta.
Il fenomeno degli hikikomori non produce solo la morte sociale (la cesura di tutti i legami con gli
altri), ma anche la morte familiare, dato che i genitori e i fratelli perdono un componente della
loro famiglia: per riuscire a fermare questo fenomeno i politici dovrebbero mettere in campo
azioni specifiche e provvedimenti che raggiungono i ragazzi fin dall’infanzia, quindi i pediatri
dovrebbero essere specializzati in questi ambiti, così da poter cogliere i primi campanelli
d’allarme e da poter agire in maniera preventiva. La nostra società non è una società
dell’ascolto: tutti tendono a dare consigli, opinioni e pareri senza ascoltare cosa ci dice l’altro e
questo porta molti genitori ad ignorare i segnali d’allarme che i figli mandano loro quando si
trovano in una situazione di sofferenza (ansia, bullismo); i genitori dovrebbero riuscire ad
ascoltare di più i figli, a capire il loro problema, lasciandoli parlare senza cercare di minimizzare
i loro problemi. Gli adulti non dovrebbero incoraggiare la competizione malsana fra i bambini,
perché spesso questa voglia di eccellere riguarda il genitore, mentre il ragazzo o il bambino
vorrebbe solo giocare con gli altri bambini e vorrebbe aiutarli quando rimangono indietro.
I genitori spingono il loro figlio al successo, perché credono che i risultati positivi i successi dei
figli, siano i loro successi: viceversa quando i ragazzi sbagliano, i genitori lo vivono come un
loro sbaglio e hanno paura che gli insegnanti pensino che non siano dei buoni genitori, per
questo spingono i figli ad eccellere sempre, proiettando su di loro le proprie ansie e una grande
pressione sociale. I ragazzi mandano dei segnali ai genitori con i quali cercano di far capire la
loro sofferenza, ma questi segnali vengono ignorati dai genitori perché questa è la soluzione
“più comoda” per loro.
Le società occidentali puntano sempre ad un equilibrio vincente: i figli e i ragazzi devono essere
perfetti, devono avere successo sempre e comunque, non devono avere intoppi nel loro
percorso universitario o scolastico e devono risultare sempre migliori degli altri.
Le istituzioni spingono molto alla competizione fra i ragazzi.
I MATRIMONI IN ITALIA
I matrimoni in Italia sono cambiati molto nel corso della storia: oggi si può scegliere se sposarsi
con il rito civile o il rito religioso, ma se si sceglie quello religioso, all’interno verrà inserito anche
quello civile, perché il matrimonio è un atto civile, durante il quale gli sposi devono firmare certi
diritti e doveri, che devono impegnarsi a soddisfare. Il rito civile ha solo una valenza giuridica,
quello religioso ha sia valenza giuridica sia valenza religiosa: nei secoli precedenti il
fidanzamento veniva visto come il preludio al matrimonio, infatti il fidanzato andava poi a
chiedere la mano della sua ragazza a suo padre, il quale doveva acconsentire o rifiutare. Una
volta il fidanzamento era molto lungo ed era in funzione del matrimonio, soprattutto quando le
due persone che si fidanzavano erano molto giovani: quando due persone fidanzate si
lasciavano, veniva vista come una sorta di tragedia, perché si pensava già che i due si
sarebbero sposati.
Con i matrimoni si formano i nuclei familiari principali: i matrimonio sono un atto pubblico, che
riguarda la società, infatti non ci si può sposare senza testimoni; il fidanzamento, in passato, era
la tappa che precedeva al matrimonio. Oggi nessuno chiede più la mano al padre della propria
ragazza, però la proposta di matrimonio è ancora presente, come è presente il banchetto di
matrimonio, il ricevimento (in passato questo era un evento che simboleggiava lo status delle
famiglie e dei ragazzi che si sposavano). Durante il matrimonio inoltre vengono fatte le foto
(anche questo era presente negli anni passati): oggi però le foto sono diventate un qualcosa di
social, che deve far vedere agli altri quanto gli sposi siano felici e quanto siano realizzati (prima
si facevano le foto durante il banchetto). In passato inoltre durante il matrimonio era presente
anche un corredo (lenzuola, stoviglie..) e una dote, cioè i beni che la donna che si sposava
portava nella casa del marito. La dote e il corredo simboleggiavano lo status sociale di una
persona, inoltre le persone si sposavano solo all’interno della stessa classe sociale (borghesi
con borghesi, nobili con nobili).
LEZIONE 17
In Italia abbiamo un calo dei matrimoni, tendenza presente già negli anni ‘70: ultimamente però
questo trend sta frenando, inoltre il matrimonio non viene visto come un qualcosa di necessario,
ma come una tappa che si può avere e non avere nella propria vita (SCELTA). Stanno
aumentando i matrimoni civili (quelli religiosi hanno al loro interno anche quello civile), inoltre
l’età del primo matrimonio si è innalzata; infine stanno aumentando le seconde nozze (tutti i
matrimoni successivi al primo). Da una parte quindi c’è un leggero calo del primo matrimonio,
dall’altro un aumento delle seconde nozze; nel 2018 e negli anni successivi le prime nozze
sono aumentate.
L’età in cui gli uomini tendono a contrarre il primo matrimonio, in Italia, è 33,7 anni, mentre per
le donne è 31,5 anni, inoltre ci sono molte persone che hanno prima un figlio e poi si sposano.
Sul totale dei matrimoni il 20% sono seconde nozze e la metà dei matrimoni viene celebrata
con il rito civile: a nord i matrimoni con rito civili raggiungono il 64%, mentre al sud sono più
diffusi i matrimoni con rito religioso (separazione nord-sud). La percentuale del 50% per quanto
riguarda i matrimoni celebrati con il rito civile, riguarda il fatto che le seconde nozze possono
essere celebrate solo in maniera civile e non religiosa (tranne per la vedovanza e
l’annullamento del matrimonio religioso precedente), inoltre dipende anche dal fatto che l’Italia
si sta laicizzando e quindi il matrimonio civile ha raggiunto la quota di quello religioso; un altro
fattore che incrementa l’uso del rito civile è la presenza di matrimoni misti (fra persone di
religione diversa) che quindi non possono utilizzare il rito religioso.
Inoltre coloro che scelgono il matrimonio religioso non sono praticanti cristiani, non seguono i
principi di questa religione, per esempio non fanno più figli e tendono lo stesso a separarsi e a
divorziare.
La diminuzione della nuzialità è iniziata negli anni ‘70 e si è protratta fino agli anni 2016-2017,
anche perché le coppie preferivano convivere in maniera informale invece che convolare a
nozze. Questo arresto della nuzialità è presente anche negli anni della pandemia, proprio per
questioni pratiche come il lockdown e l’impossibilità di festeggiare.
Fenomeno del “degiovanimento” della popolazione italiana: è diminuita la popolazione fra i 16 e
i 34 anni, cioè le persone che si sposano e che fanno più figli, proprio per tale motivo i
matrimoni sono diminuiti; questo è causato dal calo delle nascite, calo che quindi fa sentire i
suoi effetti all’interno degli ambiti più svariati. Il calo dei matrimoni non deriva solo dalla
diminuzione delle nascite, ma anche dal fatto che sono aumentate le convivenze more-uxorio
(libere unioni): anche le famiglie con figli tendono a sposarsi di meno o a farlo in età più
avanzata (per i figli non cambia se i genitori sono sposati o meno, perché hanno sempre gli
stessi diritti); 1 nato su 3 ha i genitori non sposati.
La posticipazione delle nozze è dovuta al fatto che la transizione fra adolescenza ed età adulta
si è allungata, i percorsi di studio si sono fatti più duraturi e per i giovani entrare nel mondo del
lavoro è sempre più difficile: un altro problema è la difficoltà di entrare all’interno del mercato
delle abitazioni per i giovani; per mettere un freno a questa situazione si è proposti di agevolare
i mutui diretti ai giovani. Inoltre un ultimo problema è la congiuntura economica sfavorevole, la
quale fa in modo che i giovani si sposino più tardi: i giovani si sentono più tranquilli nel fare un
figlio invece che convolare a nozze.
Il rito civile si sta diffondendo molto negli ultimi anni: all’inizio questi matrimoni erano sobri, le
spose non avevano il vestito bianco ma indossavano abiti formali (ora non è più così) e la
cerimonia veniva celebrata in maniera contenuta. Questo dato ci mostra che l’Italia si sta
secolarizzando e laicizzando, ma questo processo coinvolge principalmente il nord Italia.
Un altro fenomeno significativo è il fatto che stanno aumentando le persone che si sposano
(prime nozze) a 65 anni o più: queste nozze consentono agli sposi di acquisire dei diritti e dei
doveri; le unioni civili invece, un tipo di unione concessa alle persone omosessuali, non
garantiscono alle persone i diritti e i doveri di un matrimonio normale, per esempio se uno dei
due finisce in ospedale, l’altra persona non può decidere i trattamenti e le cure ai quali sarà
sottoposta la persona malata. Anche nel caso delle separazioni (NON DIVORZI) accade
questo: se due persone, marito e moglie si separano, e l’uomo trova una nuova compagna con
la quale costruisce una nuova vita, se l’uomo rimane gravemente ferito e finisce in ospedale è
l’ex moglie a decidere per lui e non la nuova compagna.
Nel 2018 inoltre sono aumentati i matrimoni che coinvolgono almeno una persona straniera:
questo fenomeno è tipico di quelle zone in cui gli immigrati sono riusciti a stanziarsi stabilmente,
quindi soprattutto nel Nord, come Bolzano, Veneto, Umbria e Toscana. L’aumento dei
matrimoni misti è un dato positivo perché ci mostrano che gli immigrati non sono solo di
passaggio, ma sono riusciti a radicarsi nel territorio e a trovare un lavoro stabile; è più probabile
che sia un uomo a sposare una donna straniera invece del contrario.
Dato che i divorzi e le separazioni stanno aumentando, sono aumentate anche le seconde
nozze: gli uomini si risposano più frequentemente delle donne (anche perché sono le donne ad
ottenere l’affidamento dei figli dopo il divorzio e per questo potrebbero avere meno voglia di
risposarsi) e mediamente, durante le seconde nozze, gli uomini hanno 55 anni, le donne 47 (le
donne inoltre, dato che hanno un’aspettativa di vita più elevata, tendono a diventare vedove più
spesso di quanto non accada per gli uomini). In passato, se una persona era stata sposata fino
ai 65 anni, eravamo sicuri che quel matrimonio sarebbe durato per sempre, oggi non è più così,
infatti gli over 65 tendono a divorziare e a risposarsi di più.
SEPARAZIONE E DIVORZI
Negli ultimi anni sta crescendo l’instabilità coniugale, cioè sia le separazioni sia i divorzi:
dall’anno in cui è stato introdotto il divorzio in Italia, i fenomeni della separazione e del divorzio
sono cresciuti in maniera costante. Le separazioni e i divorzi non sono la stessa cosa e
vengono rappresentati da due curve grafiche differenti, che fino al 2014 avevano un andamento
parallelo: dal 2015 in Italia è stato introdotto il “divorzio breve” (c’è stata una grande resistenza
cattolica perché si pensava che con questa legge, le coppie avrebbero divorziato non appena
avessero avuto qualche problema); prima il divorzio era una procedura costosa, lunga e difficile,
per esempio fra separazione giuridica e divorzio dovevano passare almeno 5 anni (si pensava
che gli sposi in questo tempo potessero ritornare assieme: cosa falsa), poi si è passati a 3 anni
e infine si è introdotto il divorzio breve. Inoltre quando due persone si separano, il sentimento e
quindi il matrimonio era terminato da molto tempo: per evitare la conflittualità si sono istituiti
anche dei provvedimenti di mediazione fra i due coniugi. La legge sul divorzio breve può essere
applicata solo se c’è il consenso da entrambe le parti (se c’è un’alta litigiosità si deve ricorrere
al procedimento giudiziario): dopo l’introduzione di questa legge, i divorzi sono aumentati
perché quei divorzi che dovevano svolgersi in 3 anni, hanno potuto usufruire del divorzio breve,
il quale riduce i tempi a 6 mesi in caso di separazioni consensuali o a un anno nel caso di
separazioni giudiziali e questo tempo è calcolato a partire dalla separazione legale e non
informale (negli altri paesi dell’Unione Europea invece le coppie possono divorziare dopo
qualche settimana o un mese).
Un matrimonio, mediamente dura 17 anni, inoltre negli ultimi anni sono aumentate le
separazioni e i divorzi anche nei matrimoni longevi, che hanno una durata di 20-30 anni; sono
diminuiti però i matrimoni che durano meno di 5 anni.
Nei matrimoni celebrati con rito religioso la separazione e il divorzio erano fenomeni più “rari”: il
matrimonio religioso però si sta allineando al matrimonio civile e negli ultimi anni sta
aumentando l’instabilità anche in questi matrimoni (dal 1995 al 2005 il rito religioso garantiva un
solidità di coppia, forse perché gli sposi non volevano infrangere i principi del matrimonio
cristiano). La separazione aumenta fra i 40enni: gli uomini in media hanno 48 anni al momento
della separazione, le donne 45; nel 2015 invece le separazioni sono aumentate fra le persone
che avevano 35-39 anni, inoltre anche gli ultra-sessantenni stanno cominciando ad adottare la
separazione (mettono fine a dei matrimoni molto longevi). Le separazioni che riguardano gli
ultrasessantenni sono arrivate al 14,6% del totale delle separazioni: questo dipende dal fatto
che gli over 60 prima stavano assieme per educare i figli e per crescerli finché non diventano
autonomi e dato che poi i genitori avevano un’età avanzata, preferivano rimanere assieme
anche se il matrimonio non andava più a gonfie vele; ora invece gli over 60, dopo che i figli se
ne sono andati, devono ritrovare il loro equilibrio e devono reinventarsi, se non riescono a
ritrovare il loro equilibrio si separano (in passato le coppie non cercavano di reinventarsi, ma
stavano assieme passivamente, solo perché si erano sposati tanto tempo fa; inoltre oggi le
coppie più giovani decidono di separarsi anche durante l’educazione dei figli).
Sono le persone con titolo di studio medio-alto a separarsi di più, cioè quelle con il diploma
delle scuole superiori o con un titolo universitario: sono le donne a separarsi di più (64%),
inoltre le coppie con lo stesso livello di istruzione tendono a separarsi di più. Questo succede
perché entrambi i coniugi cercano la loro indipendenza: in passato le donne non erano
indipendenti a livello economico, ma erano subordinate al marito e quindi non erano loro ad
avanzare richieste di separazione, ma erano gli uomini, i quali avevano una loro indipendenza
economica; ora, dato che le donne hanno raggiunto lo stesso livello degli uomini, dal punto di
vista economico, hanno cominciato a ricorrere di più alla pratica del divorzio (questa tendenza
ha cominciato ad affermarsi negli anni ‘70-’80); il divorzio e le separazioni sono favoriti dalla
stabilità economica (il divorzio è una questione per ricchi, perché si devono pagare gli avvocati,
le procedure burocratiche e il processo). Quando il titolo di studio è elevato per entrambi i
partner, si decide di convivere e non più di sposarsi.
Prima quando le coppie divorziavano, il padre, avendo il ruolo di breadwinner, doveva
mantenere economicamente sia la moglie sia i figli, perché si pensava che il suo scopo nella
famiglia fosse prettamente di carattere economico.
Anche le coppie miste non funzionano sempre: le separazioni fra questo tipo di coppie stanno
aumentando a causa dell’instabilità presente al loro interno (una situazione multiculturale è
molto difficile da gestire).
LEZIONE 18
Cosa succede in caso di instabilità, separazione e divorzio ai figli? Questi eventi sono traumatici
anche per i genitori, perché impongono loro di ritrovare un nuovo equilibrio, però i figli sono
coloro che SUBISCONO una scelta che spesso non condividono: in metà delle separazioni e in
un terzo dei divorzi è coinvolto un figlio minorenne. Quando c’è un divorzio e sono coinvolti dei
minori, i giudici tendono a propendere per l’affido condiviso fra genitori: ciò significa che i figli
vengono affidati ad entrambi i genitori (fino al 2006 c’era invece l’affido esclusivo del figlio alla
madre). Per la prima volta si è preso in considerazione il minore, il quale HA DIRITTO ad avere
un rapporto continuativo con entrambi i genitori e non sono i genitori ad avere questo diritto;
nella maggior parte dei casi di separazione e di divorzio i figli hanno meno di 11 anni.
La legge sull’affido condiviso viene applicata anche alle coppie di fatto e tale affido è utilizzato
nell’89% delle separazioni: l’affido condiviso NON viene applicato solo quando i padri o le madri
non vengono considerati idonei a svolgere il loro compito (legge sull’affido condiviso: Legge
54/2006). L’affido condiviso è una MODALITÀ ORDINARIA che viene applicata nella quasi
totalità dei casi di divorzio, inoltre la legge 8 febbraio n54 del 2006 afferma che è il bambino ad
avere il diritti di mantenere un rapporto stabile e continuativo con i genitori e non il contrario (in
genere il rapporto continuativo c’è solo con la madre, la quale è spesso il genitore affidatario).
Questa legge afferma che i genitori devono mantenere economicamente il figlio, ma lo devono
anche e soprattutto curare, educare ed istruire e queste funzioni devono essere svolte sia dal
padre sia dalla madre e non solo da quest’ultima; la legge afferma anche che il bambino ha il
diritto a mantenere i rapporti con i parenti da parte di entrambi i genitori (prima invece, dato che
l’affido veniva concesso alla madre, il bambino perdeva i rapporti con il padre, con i nonni e con
gli zii paterni). L’intento del giudice deve essere quello di garantire l’interesse materiale e
morale dei figli: se questo interesse non viene garantito dall’affido condiviso, si deve ricorrere
ad altri provvedimenti. Il giudice inoltre stabilisce qual è il genitore più idoneo all’affido, in caso
non sia possibile applicare l’affido condiviso: il minore o il ragazzo non viene affidato A PRIORI
alla madre, ma viene valutata la capacità di entrambi i genitori. Il genitore inoltre valuta se gli
accordi presi dai genitori si sposano con le esigenze e gli interessi dei figli e in caso di risposta
negativa, non fa valere tali accordi: i genitori non devono vedere i loro figli come dei loro
prolungamenti, come delle loro proprietà. Le decisioni di maggiore interesse per il figlio sono
assunte di comune accordo dai genitori tenendo in conto le capacità e le inclinazioni del minore:
sulle questioni di ordinaria importanza, i genitori possono decidere da soli e non assieme. I
genitori inoltre devono mantenere il figlio, dal punto di vista economico, in maniera
proporzionale al loro reddito; se non riescono, viene erogato un assegno, il cui valore viene
stabilito considerando: le esigenze dei figli; il tenore di vita che si aveva prima; i tempi di
permanenza presso ciascun genitore; le risorse economiche di entrambi i genitori; la valenza
economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
I figli, fino al 2005, venivano quasi sempre affidati alla madre (80% dei casi): dopo il 2006
questa tendenza è cambiata a causa dell’introduzione dell’affido condiviso, il quale viene
applicato nell’89% dei casi.
PRINCIPIO DI BIGENITORIALITÀ: è fondamentale che entrambi i genitori si prendano cura dei
figli, così da consentire loro di sviluppare la propria identità e la propria personalità; prima i figli
erano affidati solo alla madre, perché si pensava che fosse l’unica a poter educare e curare un
figlio nella maniera opportuna. La bigenitorialità deve essere applicata sia alle coppie che
stanno ancora assieme sia alle coppie divorziate: la bigenitorialità tutela gli interessi del minore
e deve essere applicata indipendentemente dalla responsabilità che uno dei due genitori ha
avuto durante la separazione. La continuità genitoriale deve essere garantita anche se viene
meno la continuità di coppia: i genitori devono mantenere un rapporto stabile e continuativo fra
loro al fine di tutelare i loro bambini (le madri invece, ma anche i padri, tendono ad essere
rancorosi nei confronti degli ex partner e tendono quindi ad influenzare la mentalità del bambino
con le loro opinioni: se una madre dice che il suo ex è un cafone, anche il figlio comincerà a
pensarlo e questo incrinerà il rapporto padre-figlio). La bigenitorialità viene garantita e messa in
pratica dalla legge sull’affidamento condiviso: l’affido congiunto era presente già nel 1987, ma la
legge che lo normava è stata modificata e migliorata, per esempio si è stabilito che le decisioni
importanti per il figlio dovevano essere prese da entrambi i genitori.
Nel caso di affido condiviso nascono dei problemi sulla residenza dei figli:
- C’è la possibilità di “coaffido a residenza alternata”, cioè il bambino si sposta dalla casa
del padre a quella della madre
- C’è la possibilità di “coaffido a residenza alternata”, cioè è il minore a rimanere fisso e i
genitori si spostano per andarlo a trovare
- C’è la possibilità di “coaffido a residenza privilegiata”, cioè il collocamento del minore
presso il genitore più adatto o a terzi
Il coaffidamento viene stabilito solo quando i genitori sono concordi: l’affidamento può essere
stabilito dai genitori in maniera concorde, oppure può essere stabilito dal giudice.
La legge sull’affidamento condiviso stabilisce che i genitori devono esercitare congiuntamente
la responsabilità genitoriale, inoltre il bambino ha il diritto a mantenere un rapporto significativo
con nonni, zii e cugini. Tale legge quindi ha introdotto il diritto dei figli alla bigenitorialità, cioè il
minore ha il diritto a ricevere cure e affetto da entrambi i genitori; la legge sull’affidamento
condiviso (che non viene applicato solo in casi rari) si basa su 3 presupposti:
- La bigenitorialità: i figli hanno il diritto a mantenere un rapporto continuativo con entrambi i
genitori e con i suoi parenti
- L’affidamento condiviso fra i due genitori, per cui le decisioni di maggior interesse per i figli
relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo
- L’ascolto del minore e la mediazione familiare per cui il figlio deve essere SENTITO dal
giudice se ha compiuto 12 anni
- Il risarcimento del danno, cioè se uno dei due genitori ha arrecato un danno all’altro
genitore o al minore, li deve risarcire
- L’estensione della disciplina al divorzio e alla scissione della coppia non sposata, secondo
la quale tutte le coppie separate e divorziate possono godere di tale legge.
La legge sull’affidamento condiviso ha dei limiti: l’affidamento condiviso in genere è predisposto
sempre a carico delle madri, cioè sono le madri ad ospitare i figli e non i padri e quindi è lei la
responsabile delle decisioni quotidiane che devono essere prese. Per questo molti studiosi
dubitano dell’efficacia dell’affido condiviso, perché se ad esempio i genitori abitano in città
diverse, la condivisione del figlio è limitata, inoltre il minore ha dei “limiti” da rispettare, per
esempio se un week-end volesse uscire con i suoi amici, non può farlo perché deve vedere uno
dei due genitori.
L’affidamento condiviso funziona solamente quando i genitori avevano già deciso di mantenere
dei comportamenti collaborativi e continuativi, senza l’intervento della giurisprudenza o del
giudice: questo ci mostra che non sono le leggi a portare un cambiamento, ma sono le attitudini
delle persone, i loro comportamenti e la cultura che li circonda ad apportare dei cambiamenti
significativi. L’affidamento condiviso funziona quando la conflittualità fra la coppia è bassa,
invece non funziona quando i genitori sono stressati e hanno rapporti tesi e quando usano il
figlio come oggetto per ricattare l’altro.
Altri limiti dell’affido condiviso=Ci sono dei padri che si disinteressano alla cura dei propri figli e
non cercano di stabilire con loro un rapporto profondo: questo atteggiamento deriva dalla
credenza che il solo compito del padre sia quello economico e che invece le cure e l’affetto
spettino alla madre (finché la famiglia è unita, questo atteggiamento “funziona”, quando invece
vi è un divorzio, le cose cominciano a non funzionare più). Esistono anche dei padri che si
disinteressano ai figli anche se riuscirebbero a mantenerli dal punto di vista economico: questo
atteggiamento viene adottato da quegli uomini che vogliono colpire l’ex moglie, alla quale si
attribuisce il fallimento dell’unione; anche le madri mettono in atto questo atteggiamento, cioè
per punire gli ex partner, li escludono dalla vita dei figli e cercano di sostituirli con i loro nuovi
compagni (la sostituzione avviene solo quando il padre biologico muore o rinuncia ai suoi figli.
Inoltre i figli che subiscono un divorzio, possono perdere i rapporti con i nonni o gli zii del
genitore non-affidatario.
Se i genitori non tengono dei comportamenti adeguati, le leggi non possono fare molto, perché
non esiste una norma che imponga agli adulti di essere dei buoni genitori: sono le madri e i
padri che devono voler essere presenti nella vita dei figli, non glielo può imporre una legge.
Inoltre vi sono anche dei problemi legali legati all’affidamento condiviso, per esempio le
competenze vengono spartite fra i giudici, infatti è il giudice minorile a dover stabilire
l’affidamento dei figli, mentre il giudice ordinario deve stabilire come deve essere mantenuto il
bambino. Un altro problema è che a volte la casa in cui deve vivere in bambino appartiene sia
alla madre sia al padre e con l’affidamento condiviso, solo uno dei due genitori può risiedere in
tale abitazione.
In conclusione l’affido condiviso funziona solo se i genitori sono disponibili a mantenere fra loro
un rapporto continuativo e se sono disponibili ad impegnarsi per far crescere i figli sani e per
fornire loro tutte le cure di cui hanno bisogno.
LEZIONE 19
Il giudice può stabilire determinati provvedimenti per il coaffido dei figli, ma poi può cambiare le
sue disposizioni, non sono delle decisioni definitive, ma sono molto flessibili: se la prima
decisione non porta al benessere del minore, allora può essere ritrattata e cambiata. Se uno dei
due genitori divorziati (affido condiviso) non si occupa del figlio, si ricorre al giudice, che deve
emanare i dovuti provvedimenti e non ai servizi sociali (se il padre o la madre si comportano in
maniera adempiente si ricorre al giudice). Se un genitore non va a prendere il figlio minorenne
da scuola, l’insegnante può chiamare uno dei due genitori, oppure può chiamare direttamente i
carabinieri perché il figlio è minorenne: la risposta alle varie situazioni non è univoca. Nel caso
in cui si ricorra ai carabinieri, si potrebbe anche arrivare al giudice, il quale potrebbe stabilire
l’affidamento esclusivo al genitore più responsabile (queste cose possono accadere anche
all’interno di coppie non divorziate). Gli assistenti sociali intervengono solo quando la situazione
è già grave di suo e non per interventi di ordinaria amministrazione, come può essere quella di
dimenticarsi il figlio a scuola: l’intervento degli assistenti sociali avviene in caso di violenza
contro i figli o contro uno dei due partner.
Inoltre anche se uno dei due genitori si mostra inadempiente, non è detto che il giudice lo privi
del contatto con il figlio, cioè può consentire ai due di incontrarsi, di vedersi e di trascorrere del
tempo assieme perché questo giova al figlio.
Lo scioglimento del matrimonio è un evento critico per gli adulti e per i bambini, perché rompe
gli equilibri che si erano instaurati prima: questo scioglimento ha delle ricadute sul piano
sociale, economico e psicologico. La rottura dei matrimoni impone ai genitori di trovare dei
nuovi equilibri e gli studiosi valutano in maniera diversa l’intensità e la durata della crisi
matrimoniale:
- Alcuni vedono il nucleo composto da 2 genitori come l’istituzione base della società,
istituzione che garantisce il benessere fisico e psichico degli adulti e dei bambini, per
questo ritengono che la famiglia divorziata o separata, composta da un solo genitore,
causi molti problemi. In questa visione le famiglie omosessuali vengono viste come luoghi
pericolosi, allo stesso modo delle famiglie monogenitoriali, le quali non venivano
nemmeno considerate dall’ISTAT perché venivano ritenute “famiglie monche”, famiglie a
metà. Questo non è vero, perché un bambino può crescere sano anche con un solo
genitore: per esempio in caso di vedovanza o di gravidanza non cercata (allontanamento
dell’uomo perché non vuole assumersi la responsabilità), in passato, si diceva che i
bambini che crescevano in tali condizioni, non potevano essere sani. Proprio per questo in
passato si usava il matrimonio riparatore quando una donna rimaneva incinta al di fuori del
matrimonio: la si costringeva a sposare l’uomo che l’aveva messa incinta così che la
reputazione di lei fosse riabilitata e che il figlio potesse crescere in un ambiente sano
- Altri sostengono che i bambini e gli adulti possono vivere bene all’interno di strutture
familiari completamente diverse, quindi la separazione o il divorzio, nonostante siano un
evento critico, possono essere degli avvenimenti positivi, perché due genitori che non
andavano più d’accordo, si allontanano, distendono i loro rapporti, riducono lo stress
accumulato dai figli e ricominciano da capo: il divorzio quindi può rappresentare un nuovo
inizio positivo
Entrambe le due teorie hanno un certo fondamento nella realtà, ciò significa che le rotture e le
separazioni hanno esiti molto diversi: alcuni divorzi possono aiutare la famiglia a iniziare da
capo e a scaricare lo stress, altri invece possono essere disastrosi e possono guastare
l’equilibrio sul quale si basava la coppia e la famiglia. Quando in famiglia c’è un’alta conflittualità
e un alto livello di stress, il divorzio è la soluzione migliore: in passato si cercavano di reprimere
queste emozioni negative e di far finta che andasse tutto bene, infatti il divorzio era visto come
un insuccesso sociale. Negli USA e nel Regno Unito si sono condotte delle ricerche sui casi di
divorzio e si è notato che entrambe le teorie hanno delle fondamenta concreta: anche in Italia si
si sono condotte delle ricerche sulle separazioni normali e consensuali (quelle che con
comprendono casi clinici, violenze e abusi; le separazioni consensuali sono quelle più diffuse,
oggi) e si è notato che nei primi mesi dopo la separazione gli ex-coniugi provano rabbia,
angoscia, depressione e sensi di colpa (il genitore non affidatario si deve abituare a vivere
senza il bambino), ma poi dopo 3 mesi/2 anni l’ex-coppia esce dal periodo di crisi, recupera
l’autostima ed entrambi gli ex-coniugi ricominciano a credere nelle relazioni e nei rapporti di
coppia. Spesso dopo i 2 anni entrambi i coniugi hanno un’altra relazione fissa.
Anche i figli subiscono dei traumi in seguito ad una separazione: all’inizio il cambiamento (la
separazione) è drammatica e molto dura da accettare (ci sono abbassamenti scolastici e
cambiamenti nell’equilibrio affettivo), però i bambini hanno una grandissima capacità di
recupero e riescono a riprendere il normale corso della loro vita: questo è difficile per quei
bambini che hanno dei genitori separati che sono andati a vivere in regioni diverse.
Le ricerche hanno dimostrato anche che la separazione o il divorzio hanno delle conseguenze a
lungo termine per i figli: i figli di coppie separate, una volta diventati adulti, hanno più probabilità
di divorziare a loro volta (trasmissione intergenerazionale dell’instabilità). Questo è un rischio,
non è una condizione inevitabile, inoltre la separazione non è per forza un elemento negativo: i
figli di coppie divorziate a volte pensano che dato che i loro genitori non sono riusciti a portare
avanti la famiglia, neanche loro riusciranno ad avere una relazione di coppia stabile e una
famiglia unita; altri figli vedono la rottura come un qualcosa di POSITIVO, cioè dal divorzio dei
genitori capiscono che una relazione può finire quando non c’è amore e questo è un bene per
tutti, perché così la conflittualità e lo stress diminuiscono.
Le coppie vengono descritte dai media come un qualcosa di “ideale”, ma in realtà non è così: le
coppie e le relazioni sono altalenanti, possono avere degli alti e dei bassi (i “bassi” vengono
causati da dei fattori esterni che turbano il rapporto di coppia) e quindi una relazione non deve
essere conclusa al primo segnale di difficoltà, perché tutte le coppie le sperimentano, ciò che
cambia è il modo di affrontarle. Anche la nascita di un figlio, nonostante sia un evento
bellissimo, rompe gli equilibri della coppia: i due partner devono alzarsi la notte per accudire il
bambino, devono stare dietro ai suoi ritmi e devono organizzare le loro giornate in funzione del
nuovo arrivato. I social hanno avuto degli effetti negativi perché le persone mostrano solo la loro
parte migliore e quindi danno l’idea che la coppia debba essere sempre felice e spensierata
(NON E’ COSI’).
Gli studiosi ritengono che la situazione più dannosa per i figli non è la separazione o il divorzio,
ma è la conflittualità presente fra i genitori, la quale è presente sia nelle coppie divorziate, sia
nelle coppie sposate. Per gli psicologi la differenza non è tra figli di persone separate e figli di
persone unite, ma fra figli che sperimentano una grande conflittualità e figli che invece vivono in
una famiglia stressata e conflittuale; ovviamente la separazione e il divorzio sono dei traumi, ma
è la conflittualità a influire negativamente sui bambini. In un libro di Kim Leon e di Kelly Cole si
dice che se un figlio potesse parlare ai genitori con chiarezza, direbbe: “Voglio che entrambi
rimaniate coinvolti nella mia vita. Se potete, scrivetemi lettere, fatemi telefonate, chiedetemi un
milione di cose. Quando non vi dimostrate coinvolti nella mia vita a me sembra di non essere
importante e di non meritarmi il vostro affetto. Per favore, non litigate troppo e cercate di andare
d’accordo, per quanto questo sia possibile. Cercate di trovare un’intesa su tutto ciò che mi
riguarda. Quando litigate per causa mia penso di essere stato io a fare qualcosa di sbagliato e
mi sento colpevole.
I figli, anche quando ricevono del male da parte dei genitori (non atteggiamenti non troppo
gravi), possono provare rancore nei loro confronti, possono non comprendere i loro
atteggiamenti, ma proveranno sempre un sentimento nei loro confronti, un sentimento che è
sempre positivo, è un sentimento che si avvicina all’amore e al voler bene. Anche se la
relazione di coppia va male, il bambino vorrebbe poter avere una relazione e un legame
continuativo con entrambi i genitori, anche se si sono comportati male con lui. Il bambino
durante un divorzio si colpevolizza, perché pensa che il genitore non-affidatario non voglia stare
con lui, inoltre i figli cercano di “meritarsi” l’affetto dei genitori cercando di compiacerli e di
raggiungere le aspettative che i genitori avevano per loro.
I figli che non percepiscono affetto dai genitori, pensano di non contare niente per loro.

LEZIONE 20
Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori: è una carta che garantisce i diritti dei figli
che hanno vissuto il divorzio dei loro genitori; nella carta ci sono 10 diritti fondamentali e sono
ispirati ai diritti dell’infanzia sanciti dall’ONU (diritti che a volte non vengono rispettati nemmeno
in Italia, oltre che nei paesi oppressivi). C’è un garante che ha collaborato con i ragazzi alla
stesura di questo documento: la carta cerca di tutelare i figli e di sottolineare la loro centralità
(noi siamo abituati a partire dal punto di vista degli adulti e non dei figli), infatti i genitori, anche
se sono separati, non smettono di essere tali e quindi sono obbligati a mantenere un rapporto
affettivo ed economico con i figli. Nella carta si dice che i figli hanno diritto di amare ed essere
amati, che hanno il diritto di continuare ad essere figli e ad avere la loro età (durante le
separazioni i figli vengono “adultizzati”, cioè assumono un ruolo di appoggio nei confronti della
madre o dei fratelli più piccoli: questo è sbagliato perché il bambino non deve assumersi
responsabilità che non gli competono); che hanno il diritto di essere informati della separazione
dei genitori (prima ci si separava senza dire niente ai figli, oggi invece gli studiosi pensano che i
genitori debbano informare i figli riguardo a ciò che sta accadendo, altrimenti il loro trauma
raddoppierebbe; non si devono inventare scuse per giustificare la separazione); che hanno il
diritto di esternare le proprie difficoltà e di essere ascoltati; che hanno il diritto di non subire
pressioni da parte dei loro genitori (i bambini spesso subiscono delle pressioni anche dalla
parentela, la quale esprime giudizi molto pesanti); che hanno il diritto di scegliere assieme ai
genitori (scelta condivisa: anche i figli devono partecipare); che hanno il diritto di non essere
coinvolti all’interno della conflittualità di coppia; che hanno il diritto al rispetto dei loro tempi
(dopo una separazione, la vita cambia completamente e il bambino può avere difficoltà ad
adattarsi ai nuovi ritmi e gli si deve dare tempo; i genitori non devono fargli pressione, gli
devono concedere del tempo); che hanno il diritto di non entrare nelle questione economiche
(anche nelle famiglie non separate la situazione economica può essere difficoltosa, ma nelle
famiglie separate tutto ciò si aggrava, perché i due salari dei genitori vengono divisi e spesso il
tenore di vita dei figli cambia: si dovrebbero tenere i figli fuori da tutte queste questioni e non si
dovrebbero coinvolgerli nella conflittualità dovuta al sostentamento economico; sono i giudici
che stabiliscono la quota economica che andrà al figlio e a volte i genitori non la rispettano);
infine si dice che i figli hanno il diritto di ricevere spiegazioni sulle decisioni che li riguardano.
ASSENZA PATERNA
Non è detto che in caso di separazione o divorzio i padri diventino assenti: i padri possono
essere assenti anche in una famiglia intatta, perché ci può essere sia un’assenza fisica, sia
un’assenza psicologica, con la quale il padre non partecipa alla vita del figlio. Gli studi hanno
dimostrato quanto sia più difficile per un figlio elaborare l’assenza di un genitore vivo e vegeto,
invece che di un genitore morto, perché la senza assenza è ineluttabile, la prima no.
L’assenza dei padri può riguardare quella economica, quella affettiva, quella familiare e così
via; spesso il genitore che si occupa della vita quotidiana del figlio è la madre, quindi è il padre
quello destinato a sparire (la madre inoltre cerca di sostituire il padre con il suo nuovo
compagno). Negli ultimi anni sempre più padri si immergono nella paternità e questo è un
cambiamento culturale importante e molto positivo: i nuovi padri vogliono essere presenti nella
vita dei figli, non voglio seguirli solo quando sono piccoli, ma anche quando crescono, dato che
sono proprio i padri che devono rompere il legame con la madre e introdurre il figlio nella
società. I padri però hanno paura di perdere l’affetto dei propri figli e quindi, non volendo
imporre loro norme e limiti, tendono a porsi nei loro confronti come dei compagni di gioco e
queste figure vengono chiamate “disneyland dad”.
Libro di Bauman: famiglie liquide e relazioni liquide= le nostre relazioni sono instabili, sono
soggette alla rottura, prendono la forma del “contenitore” in cui le si mettono; le relazioni rispetto
ai figli però devono rimanere solide e non liquide. A volte i padri e le mado vogliono “troppo
bene” ai loro figli, non vogliono lasciarli andare e spesso proiettano su di loro le proprie passioni
e i propri desideri: a volte quindi i genitori privano i figli della loro autonomia perché sono troppo
attaccati a loro e gli vogliono “troppo bene”. Bauman inoltre dice che la nostra società è una
società del rischio: le persone, quando decidono di sposarsi, di avere figli, di andare a
convivere, devono per forza rischiare qualcosa. Nelle famiglie monogenitoriali si stanno
sviluppando i “LAT” (living apart together): i LAT sono due adulti che si frequentano, che sono
una coppia stabile, ma che hanno deciso di vivere in case separate (questo fenomeno non
avviene solo dopo un fallimento sentimentale o una rottura). In passato, quando il divorzio non
era visto come un qualcosa di positivo, esisteva la separazione di fatto dei coniugi, con la quale
marito e moglie continuavano ad abitare nella stessa casa con i figli, ma ognuno ha la sua
stanza, il suo bagno e i suoi spazi.
Le ripercussioni di una separazione/divorzio sono le stesse sia per un minorenne sia per un
maggiorenne.
LE CONVIVENZE DI FATTO
Una coppia decide di convivere senza il vincolo del matrimonio con la presenza o meno di figli
(convivenze more uxorio o “di fatto”); le unioni civili invece sono riservate alle persone dello
stesso sesso e comportano una formalizzazione del legame, a differenza delle convivenze di
fatto, le quali privilegiano l’informalità. Le convivenze di fatto non sono legate formalmente, non
hanno quindi dei diritti o dei doveri sanciti dalla legge.
Prima del 2016 non esistevano delle norme che disciplinassero le famiglie di fatto: anche oggi
queste famiglie non vengono tutelate (per lo Stato non esistono); nei paesi nordici sono molte le
persone che decidono di non sposarsi e di convivere senza nessun vincolo. Il vuoto legislativo
attorno a questo argomento è molto importante: i figli di queste coppie hanno gli stessi diritti e
gli stessi doveri di quelli delle coppie sposate (questa legge però è stata emanata solo una
decina di anni fa). Se in una coppia di fatto uno dei due finisce in ospedale, l’altro non può
decidere sui suoi trattamenti e sulle sue cure, inoltre se una delle due persone aveva un’ex
moglie o un ex marito, sta a queste figure decidere sulla sua vita, nel caso sia in coma, e sui
suoi trattamenti, oppure saranno sempre queste figure a beneficiare dell'eredità in caso in cui la
persona appartenente alla coppia di fatto muoia.
In alcuni comuni vi è un registro delle convivenze informali, ma tali convivenze non vengono
comunque disciplinate e tutelate dallo Stato (ci sono state molte proposte di legge, ma sono
state tutte respinte a causa del fatto che nella cultura italiana la famiglia è sempre stata
quell’unità nata dopo il matrimonio).
La legge Cirinnà parla sia delle unioni civili sia delle convivenze, ma molto spesso, nel testo di
legge, si fa confusione fra questi due argomenti. Negli altri paesi vi è la convivenza pura, i patti
civili (via di mezzo fra convivenza e matrimonio) e altre soluzioni che spesso si sovrappongono
fra loro, cioè offrono più possibilità di scelta per le coppie di fatto. L’Italia rispetto agli altri Paesi
Europei ha un ritardo di 20-30 anni, infatti qui sia le unioni civili sia le convivenze di fatto
vengono trattate in maniera paritaria rispetto ad un matrimonio, in Italia non è così.
In un matrimonio ci sono degli obblighi, dei doveri e dei diritti, nella convivenza invece non c’è
nulla di tutto questo: ci sono molto differenze fra matrimonio e convivenza, però i figli dei
genitori che convivono hanno gli stessi diritti e doveri degli altri; le coppie di fatto (conviventi)
non possono adottare un bambino, a meno che non convivano da almeno 3 anni e che siano in
grado di dimostrare il loro legame (le persone sposate invece possono adottare anche solo un
anno dopo il matrimonio). Fra le coppie di fatto ci sono dei problemi anche con l’eredità, a meno
che non si prendano dei provvedimenti condivisi dai due coniugi.
In Italia le convivenze di fatto si stanno diffondendo sempre di più (negli altri Paesi erano già
presenti 20 anni fa): prima queste convivenze avvenivano in seguito ad una rottura
matrimoniale, cioè quando i due ex coniugi decidevano di andare a convivere con degli altri
partner senza un legame formale.
Chi decide di intraprendere una convivenza di fatto?
- Due persone separate (e non divorziate) o in attesa di divorzio che non possono risposarsi
ma vogliono intraprendere una convivenza di fatto con un altro partner
- Quelle persone che potrebbero risposarsi, ma che non lo fanno perché perderebbero i
benefici economici (come le vedove, che possono usufruire della pensione di reversibilità
che prendeva prima il coniuge, che ora è venuto a mancare). Oggi però oltre queste due
categorie ci sono anche delle persone che decidono di andare a convivere semplicemente
perché non credono nel matrimonio: le generazioni più giovani non sentono più la
necessità di sposarsi, ma voglio comunque avere una vita di coppia e una famiglia e per
questo adottano la convivenza di fatto
- Le persone che vogliono sposarsi, ma che prima di compiere questo passo, vogliono
convivere assieme per testare la loro compatibilità attraverso il cosiddetto “matrimonio di
prova”: qui non c’è un rifiuto ideologico del matrimonio. Il matrimonio di prova viene
adottato soprattutto dalle nuove generazioni: nel passato quando si usciva di casa, ci si
sposava, non c’era un periodo di convivenza
- Persone che rifiutano ideologicamente il matrimonio
Perché le persone che vanno a convivere vogliono avere diritti e doveri? Perché semplicemente
non si sposano? Perché vogliono avere la libertà di scelta, vogliono poter decidere di andare a
convivere con un’altra persona senza l’obbligo formare del matrimonio, che impone limitazioni,
vincoli e legami. All’estero questo problema è stato risolto tramite alcune leggi, alcuni
provvedimenti che spaziano dal non riconoscimento di nessun legame.
LEZIONE 21
I giovani che scelgono la convivenza di fatto in genere vogliono essere sicuri che quella che
hanno di fianco sia la persona giusta (matrimonio di prova) e per questo iniziano a vivere
assieme: sempre più spesso non condividono tutte le giornate assieme, ma uno dei due partner
inizia a dormire nella casa dell’altro e pian piano condividono sempre più tempo assieme. Non
vi è una rottura immediata fra figlio-famiglia d’origine e nuova vita con il partner, in genere il
processo è graduale, inoltre le convivenze sono informali, cioè non vengono ufficializzate come
i matrimoni: in questo modo la coppia sente meno pressione e anche se la loro relazione
dovesse fallire, non sarebbe un dramma, nemmeno a livello sociale.
Come abbiamo detto ci sono anche delle persone che rifiutano ideologicamente il matrimonio,
che non credono più nei suoi valori o nei suoi obiettivi.
Nei Paesi del Nord Europa la convivenza di fatto è un modello molto diffuso: ci sono varie leggi
che normano queste unioni (le persone possono scegliere quale modalità di unione adottare fra
una vasta gamma di proposte: in Italia invece non c’è questa possibilità). La convivenza è
diffusa fra le persone che si trovano in uno strato sociale elevato e fra coloro che hanno un
buon titolo di studio, inoltre ci sono sempre più persone che nel loro corso di vita hanno provato
la convivenza (anche se magari poi si sono sposate). Le convivenze vengono registrate
dall’Istat, ma spesso le persone che vivono assieme in maniera informale non lo dicono durante
i sondaggi e quindi il numero delle convivenze potrebbe essere sottostimato. In Italia le libere
unioni rappresentano quasi l’8% delle coppie, mentre nei Paesi del Nord arrivano a quota 50%:
questo fenomeno però è destinato ad aumentare in tutte le fasce d’età e non solo per quanto
riguarda i giovani. Le convivenze sono più diffuse nelle aree metropolitane rispetto a quelle
rurali e sono molto più diffuse a Nord invece che nel Sud e questo è dovuto a causa
dell'accettazione differente: nei contesti urbani e a Nord le persone sono più aperte e tollerano
diverse forme di unione.
Come abbiamo detto le persone più indipendenti a livello economico, più istruite e con un
reddito migliore, tendono ad adottare la convivenza come unione, perché non credono più nel
matrimonio e nei loro obiettivi, non pensano che il matrimonio dia loro delle possibilità in più (il
matrimonio non garantisce più la sicurezza economica alle donne, come succedeva in passato):
nelle coppie formate da queste persone c’è più parità di genere, le donne possono contrattare
con gli uomini i compiti che si devono svolgere e non c’è una separazione netta fra le cose che
deve fare una donna e quelle che deve fare un uomo.
Aumentano anche le convivenze prematrimoniali: le convivenze prematrimoniali sono tipiche
delle seconde nozze e non del primo matrimonio (77% le prime e 33% le seconde: sono le
persone più adulte a scegliere la convivenza prima del matrimonio perché sanno cosa vuol dire
impegnarsi a livello matrimoniale). Nelle convivenze le donne hanno quasi tutte meno di 45
anni, mentre un terzo delle donne ha un’età superiore (le convivenze sono formate da persone
abbastanza giovani) inoltre sta aumentando la percentuale dei celibi/nubili (ora siamo quasi al
60%). Nel passato le convivenze erano presenti, ma erano molto poche e sopratutto erano
praticate da persone che avevano avuto esperienze matrimoniali in passato o da vedove, oggi
invece la convivenza è scelta dalle persone giovani. Dopo che sono avvenuti questi
cambiamenti, anche le leggi si adattano e vengono diffuse norme che tutelano le nuove coppie
e le nuove famiglie.
Nelle coppie che adottano la convivenza i partner, in genere, lavorano entrambi, inoltre stanno
aumentando anche i figli delle coppie che sono andate a convivere (1 bambino su 4 in Italia
nasce proprio da queste coppie): questo ci fa capire che le persone non ritengono più che sia
necessario il matrimonio per dare sicurezza al figlio. I costumi stanno cambiando, le coppie
decidono prima di fare i figli e poi di sposarsi, quindi molti bambini sono nate da coppie che
convivono. La condizione femminile, negli ultimi anni è migliorata, anche perché le donne hanno
cominciato ad avere un livello di istruzione più alto.
Nella convivenza le persone non vogliono che lo Stato e il pubblico si intromettano nella loro
vita privata ma in questo modo non hanno garanzie, diritti e doveri (cioè sono FAMIGLIE DI
FATTO E NON FAMIGLIE DI DIRITTO). L’aumento delle convivenze ha fatto in modo che
venissero emanate delle norme regolatrici in ambito matrimoniale che lasciano più libertà ai
coniugi sul modo di vivere la loro relazioni e sul modo di scioglierla: questo dovrebbe
incentivare le coppie a sposarsi, perché lo scioglimento del matrimonio è diventato più facile,
con l’introduzione del divorzio breve (prima il matrimonio era INDISSOLUBILE, anche se le
persone non stavano bene con il proprio partner). Oggi il diritto non si rivolge più alla famiglia,
ma agli individui che la compongono: si tutelano i diritti individuali delle persone, cioè della
madre, del padre e dei figli. Noi siamo singoli individui che però vivono all’interno di relazioni
sociali e di gruppi, come la classe, la professione, il lavoro e così via: la famiglia E’ una
relazione sociale, noi non vediamo questa relazione, ma vediamo solo gli individui che la
compongono, come le madri, i nonni, gli zii, i figli e i padri. In Italia c’è una tendenza verso una
famiglia sempre più privata, in cui lo Stato non interviene, ma questo non esclude il fatto che lo
Stato si interessi comunque alle famiglie di fatto e inizi a tutelarle e a riconoscerle, per esempio
sono stati tutelati i figli che nascono all’interno delle convivenze: questo è stato sancito dalla
Legge 219 del 2012, in cui si stabiliva il principio dell’unicità dello stato giuridico del figlio,
perché non è il bambino a decidere di nascere in una coppia sposata o convivente (prima il
figlio delle coppie di conviventi non avevano tutti i diritti di cui godevano i bambini nati all’interno
del matrimonio). In questo modo il matrimonio ha perduto la funzione di contraddistinguere una
famiglia da un altro gruppo di persone: con l’aumento e il riconoscimento delle convivenze si
stanno annullando le differenze fra le famiglie di fatto e quelle di diritto; l’equiparazione fra
queste due famiglie è positiva perché anche nelle convivenze comincia a tutelare il partner più
debole in caso di morte o scioglimento dell’unione. Nei Paesi del Nord le convivenze vengono
equiparate in tutto e per tutto alle famiglie di diritto, infatti anche le coppie conviventi possono
decidere i trattamenti che i propri partner avranno in ospedale, possono fare valere il loro status
di famiglia ai fini ISEE, possono gestire l’eredità e il patrimonio nello stesso modo in cui questi
argomenti sono gestiti dalle coppie sposate (nei Paesi del nord queste convivenze vengono
definite “matrimoni informali”). Nei Paesi continentali invece non c’è un’uguaglianza totale fra
famiglie di fatto e famiglie di diritto, ma si cercano comunque di tutelare le prime famiglie e i suoi
componenti, facendo in modo che i due partner si prestino reciproca assistenza (non sono
equiparate tali famiglie alle altre nel campo fiscale, della sicurezza sociale o del patrimonio).
In Francia invece i “Pacs”, cioè il Patto civile di Solidarietà, esistono da 1999: questo patto viene
registrato davanti ad un funzionario civile e lascia ai partner l’autonomia ma garantisce loro
alcuni diritti fondamentali. Il Pacs può essere contratto da due persone di sesso differente o
dello stesso sesso: il Pacs può essere interrotto da un matrimonio o quando i due partner non
vanno più d’accordo. Il Pacs inoltre regola la vita delle persone che convivono riguardo agli
obblighi fiscali, previdenziali, assistenziali e così via, lascia però ai partner la scelta della
modalità in cui si devono soddisfare questi obblighi.
In Italia si sono riconosciute le coppie omosessuali solo nel 2015-16, dopo che la Corte di
Strasburgo aveva sanzionato il nostro Paese per violazioni dei diritti umani: dopo questa legge
le coppie omosessuali possono contrarre un’unione civile, che però non prevedono l’obbligo di
fedeltà come il matrimonio. Le coppie omosessuali possono o unirsi con questo nuovo
provvedimento oppure non avere nessun riconoscimento legale: non ci sono situazioni
intermedie.
REGOLAMENTAZIONE DELLE UNIONI CIVILI TRA PERSONE DELLO
STESSO SESSO E DISCIPLINA DELLE CONVIVENZE
Nel 2015 la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per la violazione dei diritti dell’uomo:
nell’ordinamento Italiano non venivano riconosciute le unioni fra persone dello stesso sesso.
Vengono introdotte le Unioni Civili con la legge Cirinnà, ma questo è stato il minimo
indispensabile per le persone omosessuali: le Unioni civili NON sono una famiglia ma sono una
FORMAZIONE SOCIALE; l’unione civile può essere contratta da persone maggiorenni che si
uniscono davanti a un funzionario civile in presenza dei loro TESTIMONI. In Italia esiste un
archivio delle Unioni Civili, in cui sono registrate tutte quelle avvenute fino ad ora: queste Unioni
sanciscono i diritti e i doveri dei contraenti, per esempio le due persone dovranno coabitare,
dovranno aiutarsi economicamente per soddisfare i bisogni comuni, inoltre le parti scelgono
materialmente l’indirizzo della nuova casa in cui andranno a vivere. Inoltre i diritti riguardo la
successione, l’eredità e il patrimonio sono regolati dalle stesse leggi che regolano anche i
matrimoni.
Esiste però una differenza fondamentale fra Unioni Civili e matrimonio, cioè l’obbligo di fedeltà:
questa differenza ribadisce il fatto che le Unioni civili non sono un vero e proprio matrimonio e si
radica in un pregiudizio comune, cioè quello che vede le coppie omosessuali come promiscue,
cioè come delle coppie che possono tradire facilmente il loro partner a causa della loro “natura”.
Inoltre si cerca sempre di ricondurre le coppie omosessuali a quelle eterosessuali: cioè per
spiegare le prime si ricorre alle seconde, per esempio in una coppia omosessuale si chiede
spesso chi fa il maschio e chi fa la femmina. Questo paragone è sbagliato perché le coppie
eterosessuali e quelle omosessuali sono diverse e quindi devono essere trattate come tali e
non devono essere ricondotte le une alle altre.
LEZIONE 22
Un’unione civile non può essere contratta nel caso uno dei due partner sia ancora sposato con
il suo ex partner, nel caso in cui uno dei due non possa intendere di volere, nel caso uno dei
due contraenti si sia macchiato di tentato omicidio, o nel caso in cui sia già in vigore un’altra
unione civile. Se per caso viene celebrata lo stesso l’unione civile nonostante sia presente uno
di questi casi, l’unione viene annullata.
C’è un’altra differenza sostanziale fra unioni civili e matrimonio: quando in Italia c’è stato il
dibattito sul tema delle unioni civili, una parte della popolazione ha accettato l’unione fra le
persone dello stesso sesso, l’altra invece ha posto dei limiti riguardo l’adozione dei bambini da
parte delle coppie omogenitoriali.
Nella legge Cirinnà era presente l’art.5, chiamato “stepchild adoption” (che non è l’adozione di
un bambino da parte delle coppie omosessuali): la legge Cirinnà è stata approvata senza l’art.5
il quale è stato stralciato. Questa legge non consentiva alle persone omosessuali di sposarsi, di
contrarre matrimonio, perché se si fosse concessa loro questa forma di unione, avrebbero
ricevuto anche molti altri diritti, come quello di adottare un bambino o quello di fare una famiglia.
Cos’è la stepchild adoption? Prima le persone omosessuali venivano considerate malate, si
pensava che tali persone potessero essere curate e per questo tali persone hanno provato a
sposarsi con una persona dell’altro sesso, dando origine alla famiglia e a dei figli. Poi si è
cominciato a parlare di omosessualità, le persone hanno preso coraggio e hanno fatto coming
out: quindi le famiglie che si erano formate precedentemente, si separano, la persona
omosessuale intraprendere una relazione con una persona dello stesso sesso e i figli
semplicemente vivono una situazione di separazione o di divorzio, ma continuano ad avere una
madre e un padre biologico, quindi qui non c’era bisogno della stepchild adoption.
Ora le cose sono diverse: le famiglie omosessuali possono, fin da subito, decidere di un avere
un bambino e per ottenere questo risultato si può avere un rapporto con un altro uomo (nel
caso di una coppia lesbica) e rimanere incinta, oppure può utilizzare l’inseminazione artificiale,
mentre nel caso di una coppia gay si può donare il proprio sperma e unirlo all’ovulo di una
donatrice che porterà avanti la gravidanza. In questo modo però solo uno dei due genitori
diventa genitore biologico del bambino e la stepchild adoption serviva proprio per riconoscere
che anche l’altro partner, il genitore non biologico ma sociale, venisse riconosciuto dalla legge
come genitore a tutti gli effetti.
La stepchild adoption però non è stata approvata, ma in questo modo non si è tolta la
possibilità, per le famiglie omosessuali, di avere un bambino, ma si sono messi in difficoltà i
bambini di queste coppie, perché i loro diritti non vengono riconosciuti da nessuna legge: la
legge infatti NON riconosce il legame fra il bambino e il genitore non biologico e quindi
quest’ultimo non avrà né diritti né doveri nei confronti del bambino in questione. Anche le coppie
omosessuali possono sciogliersi, ma se ciò accade quando è presente un minore in famiglia, i
diritti del bambino non vengono tutelati, perché il genitore non biologico non viene riconosciuto
dallo stato, non ha il diritto di mantenere il figlio, di vederlo e di avere una relazione continuativa
con lui. Peggio, se muore il genitore biologico, il bambino, non avendo legalmente nessun
legame con il genitore non biologico, potrebbe essere dato in affidamento.
L’Italia però, nonostante non abbia approvato la stepchild adoption, la coppia omogenitoriale
può rivolgersi ad un giudice per fare in modo che la genitorialità venga affidata anche al
genitore non biologico.
Se una coppia americana omosessuale si trasferisce in Italia, qui solo il genitore biologico è il
“vero genitore” del bambino e questo succede perché l’Italia ha delle leggi completamente
diverse da quelle adottate dagli altri Paesi a livello internazionale.
In Italia si crede che l’omosessualità si possa trasmettere attraverso il modello genitoriale: se un
bambino cresce con una coppia omogenitoriale, non per forza diventerà omosessuale, dato che
le persone omosessuali sono nate e sono state cresciute da genitori eterosessuali. In Italia
inoltre si pensa che l’omosessualità infici la capacità genitoriale, ma non è detto che per
crescere bene serva una madre e un padre: servono dei buoni genitori, che possono essere sia
omosessuali sia eternosessuali.
Se una coppia omosessuale si sposa in Francia e adotta un bambino, se si trasferisce in Italia
deve poter essere riconosciuta come famiglia omogenitoriale, così da avere gli stessi diritti di
cui godeva in Francia. In Italia il dibattito sulle famiglie omosessuali è sempre molto legato alla
sfera del giudizio individuale e non ai fatti scientifici che dimostrano che i bambini possono
crescere bene anche all’interno di una famiglia omosessuale e che comunque, oltre al giudizio
delle persone, tutti i bambini di queste coppie hanno il DIRITTO ad essere tutelati dalla legge.
Le coppie omosessuali e i figli di queste coppie vivono quello che viene definito “minority
stress”, cioè lo stress che le persone omosessuali sono costrette a subire a causa della
mancanza di diritti e dello stigma, dei pregiudizi che devono affrontare tutti i giorni e questi
pregiudizi colpiscono anche i minori, i quali vengono fortemente colpiti dalle offese e dagli insulti
soprattutto quando sono piccoli.
La stepchild adoption inoltre non prevedeva nemmeno il legame fra il bambino e la parentela
del genitore non biologico, sanciva solo il legame fra figlio e genitore sociale, in più non si
considerava nemmeno un’eventuale rottura della coppia omosessuale.
In Italia se una coppia lesbica vuole avere un bambino, non può usufruire della riproduzione
assistita, perché questo trattamento è riservato solo alle coppie eterosessuali, per questo deve
spostarsi in un altro paese; per una coppia gay chiaramente non c’è la possibilità materiale di
riproduzione assistita quindi a prescindere, deve spostarsi in un altro paese, per contattare una
madre surrogata o qualcun altro.
Le coppie omosessuali quindi devono sempre chiedere al giudice il riconoscimento della
genitorialità ad entrambi i genitori (quello biologico e quello sociale): nel caso la coppia
omosessuale non vada subito dal giudice e il genitore biologico viene a mancare, il genitore
sociale non ha nessun diritto sul bambino.
Negli altri Paesi, come la Norvegia, le persone omosessuali possono sposarsi e possono
addirittura contrarre matrimonio religioso, opzione totalmente impossibile in Italia.
Parole chiave: moralità, religione, offuscamento (oppio dei popoli: MARX), storia, Grecia-Roma,
passaggio da matrimonio a unione civile in caso di transizione, valutazione donne per “come si
comportano” (Giorgia Meloni: figlia a Bali).
LEZIONE 23
Le Unioni Civili sono delle coppie dello stesso sesso che si sono unite civilmente: la legge è
entrata in vigore nel 2016 e quindi le statistiche partono dal 2017 e si arrestano nel 2020-2021 a
causa della pandemia. Nel 2018 sono state "costituite" (non essendo dei matrimoni non si usa
la parola “celebrare”) 2.808 unioni civili: ovviamente c’è stata un’impennata nel 2017, anno di
introduzione delle unioni civili (ce ne sono state 4376); ora il fenomeno si sta stabilizzando. In
Italia le unioni civili sono contratte più frequentemente fra due uomini (64% delle unioni civili è
fra uomini), e sono più diffuse nel nord-ovest e nel centro: in queste regioni le unioni civili sono
più accettate, in particolare la Lombardia presenta un 25% di Unioni Civili, poi c’è il Lazio,
l’Emilia-Romagna e la Toscana. Ci sono poi alcune città con un’alta percentuale di unioni civili,
come Roma e Milano, che ospitano soprattutto unioni civili fra due uomini.
FAMIGLIE OMOGENITORIALI
Le famiglie omogenitoriali presentano dei figli (nell’Unione civile invece possono non esserci) e
il termine “omogenitorialità” è un neologismo, è la traduzione in italiano di un termine francese,
"homoparentalité": questa parola è stata per la prima volta inserita in un testo sociologico nel
2003. Il termine è stato inventato nel 1997 dall’associazione “Futuri genitori gay e lesbiche” e
racchiude tutte quelle situazioni in cui uno dei due genitori si è definito “omosessuale”; in queste
famiglie, come abbiamo detto, è presente almeno un figlio.
Queste famiglie si formavano, in passato, tramite la rottura di precedenti relazioni eterosessuali
in cui si aveva la presenza di un bambino, oggi invece queste famiglie possono partire da zero,
cioè una coppia omosessuale si unisce e desidera di avere un bambino. I bambini delle famiglie
omogenitoriali non vengono tutelati, per esempio quando i genitori devono riempire dei moduli,
vi è sempre la casella con “firma padre” e “firma madre”. Questo tema è oggetto di dibattito in
Italia perché si crede che in queste famiglie i bambini non riescano a crescere sani.
I bambini che vengono cresciuti da coppie omosessuali non sono differenti da quelli cresciuti
all’interno di coppie eterosessuali: parlando con loro non si percepiscono delle differenze e non
si riescono a capire le preferenze sessuali dei genitori.
Lingiardi è uno psichiatra/psicologo che parla delle famiglie omogenitoriali e eterogenitoriali: la
genitorialità è il compito dei genitori, cioè è “il far crescere sani i figli e il fornire loro tutto ciò di
cui hanno bisogno”. Le famiglie omogenitoriali sono molto più diffuse negli altri Paesi ma si
stanno affermando anche in Italia, solo che qui incontrano molte più resistenze: bisognerebbe
capire che esistono buoni e cattivi genitori, ma questo non è determinato dalle preferenze
sessuali dei genitori. Le famiglie in cui i genitori hanno lo stesso sesso hanno cominciato a
dichiararsi in un periodo recente: solo negli anni ‘90 hanno cominciato a farsi sentire e a
richiedere gli stessi diritti e gli stessi doveri delle famiglie eternosessuali. Nel tempo c’è stato un
cambiamento nelle rappresentazioni e nella mentalità sociale e si sono cominciate a
riconoscere le famiglie omogenitoriali e le coppie omosessuali: questo cambiamento potrebbe
stupire e spaventare, proprio perché è qualcosa di nuovo; si dovrebbe però passare dallo
stupore alla curiosità di informarsi su queste famiglie. Non ci dovrebbe invece essere il
passaggio dallo stupore all’ostilità, nel senso che le famiglie eterogenitoriali non dovrebbero
applicare uno stigma su queste famiglie o addirittura sui bambini di queste famiglie. Sono stati i
Paesi americani a dare il via alla tradizione di studi sulle famiglie omogenitoriali, poi questi studi
sono stati intrapresi anche in Francia, in Germania e in Inghilterra: questi studi mostrano che i
bambini nati nelle famiglie omogenitoriali non presentano delle limitazioni e delle differenze
rispetto a quelli cresciuti in famiglie eterogenitoriali. I bambini di queste famiglie però possono
essere stigmatizzati dall’ESTERNO, per questo si dovrebbero attuare delle politiche per limitare
questo fenomeno e per ridurre il “minority stress” al quale sono sottoposte queste famiglie.
Bisognerebbe capire che non vi è un solo tipo di famiglia, ma ve ne sono tante, come le coppie
miste, quelle monogenitoriali, quelle omosessuali, quelle ricomposte e quelle tradizionali.
Le coppie omosessuali incontrano alcune difficoltà durante il percorso per avere un figlio:
sicuramente la genitorialità di queste coppie è scelta, cercata e desiderata (non possono avere
un bambino per caso, come le coppie eterosessuali); le coppie lesbiche ovviamente
incontreranno alcune difficoltà, diverse da quelle sperimentate dalle coppie gay. Le difficoltà
possono essere: omofobia interiorizzata (difficile accettazione di sé e quindi difficile relazione
con il partner e con i figli; in genere però le persone che appartengono alle famiglie
omogenitoriali hanno già accettato la loro identità), differenza fra genitore sociale e genitore
biologico e così via. Si dovrebbe promuovere un dibattito scientifico e non ideologico su questo
tema: un dibattito che tocca i pregiudizi e le emozioni viscerali ma che li affronta con un
approccio scientifico; in genere poi i pregiudizi nascono proprio quando non si è mai venuti a
contatto con una famiglia omogenitoriale. Si dovrebbero quindi fornire delle informazioni più
accurate riguardo a questa tematica, così da fare capire, anche a chi ha dei pregiudizi, che le
famiglie omogenitoriali sono degli ambienti sani in cui far crescere i bambini.
A volte le persone accettano l’omosessualità dei figli, ma fanno più fatica ad accettare il
desiderio del figlio di mettere su una famiglia: questo deriva dal fatto che si hanno molti più
pregiudizi riguardo ad una famiglia omogenitoriale rispetto ad una coppia omosessuale (nel
caso di una famiglia omogenitoriale tutto il paese viene a sapere della preferenza sessuale dei
futuri genitori e questo “coming out” forzato è più difficile da accettare). Inoltre i pregiudizi
riguardo alle famiglie omogenitoriali sono dovuti anche anche al fatto che molte persone non
hanno mai visto delle famiglie di questo genere e quindi sono sorprese quando ne vedono una.
Un altro stigma è quello legato ai compiti dei genitori: si dice che in una famiglia gay i genitori
sono per forza incapaci perché sono due uomini, invece in una famiglia lesbica i figli, sempre
secondo i pregiudizi, sarebbero avvantaggiati perché le mamme, tradizionalmente, si sono
sempre occupate della cura dei minori.
Si stima che almeno 500.000 minori ora vivono con almeno un genitore omosessuale: in
passato non è che non ci fossero queste famiglie, semplicemente erano nascoste. Le ricerche
su queste famiglie sono iniziate nel Nord America e poi si sono diffuse anche in Italia, un po’ più
tardi. Le persone contrarie alle famiglie omogenitoriali pensano che i bambini non possono
crescere bene all’interno di questo contesto, ma la loro obiezione andrebbe estesa anche le
famiglie monogenitoriali o alle famiglie composte da una ragazza madre; un altro argomento a
cui queste persone si attaccano è quello della biologia, infatti sostengono che nel caso di una
gravidanza surrogata il vero genitore sia la madre che porta avanti la gestazione e non il
genitore che poi adotta il bambino.
I ricercatori e gli studiosi all’inizio impostavano le loro ricerche a partire dal paradigma della
famiglia omosessuale: se si compara la famiglia omogenitoriale a quella eterosessuale risulterà
per forza sbagliata, ma questa comparazione parte da un errore di fondo, cioè quello di
comparare due realtà molto differenti fra loro. Inoltre si pensava che anche le famiglie
monogenitoriali fossero sbagliate, perché c’era l’idea che una persona fosse incompleta e che
dovesse trovare un partner che la completasse, perché c’era qualcosa che mancava. Ora, per
fortuna, queste idee sono venute meno e le famiglie omogenitoriali e monogenitoriali vengono
studiate senza doverle rapportare al paradigma della famiglia eterosessuale.
Un altro argomento utilizzato dai detrattori delle famiglie omogenitoriali è quello del “naturale vs
contronaturale”: si dice che queste famiglie non possono avere dei figli naturalmente e che
quindi sono sbagliate, ma ciò che è considerato naturale è definito dalla cultura; per esempio in
natura non esiste la genitorialità come la intendiamo noi (esiste la genitorialità biologica, cioè il
partorire o il concepire), cioè non esistono le cure e le attenzioni che i genitori rivolgono ai
bambini. La genitorialità quindi non è naturale, ma è composta dalle capacità dell’adulto di
provvedere ai bisogni dei bambini, inoltre la genitorialità nasce all’interno di un ambiente
relazionale e non è un qualcosa che si produce all’interno del singolo genitore: ciò significa che
un genitore è un bravo o un cattivo padre in base alle relazioni che ha avuto con i suoi genitori o
con la sua partner. Inoltre l’ipotesi che “i bambini abbiano bisogno di una madre e di un padre
per crescere bene non è supportata dalla ricerca”: le madri e i padri sono importanti per i
bambini in quanto GENITORI e non in quanto maschi o femmine, inoltre le funzioni di cura, di
amore e di impegno non sono legate al genere della persona.
In una coppia omogenitoriale inoltre il genitore biologico può sentirsi più genitore dell’altro
proprio perché ha un legame “di sangue” con il bambino: se questo genitore divorzia dall’altro,
al bambino non viene riconosciuta la possibilità di continuare ad avere un rapporto affettivo
continuativo con il genitore sociale. Oggi le tecniche di procreazione medicalmente assistita
permettono la formazione di famiglie omogenitoriali: a volte anche le coppie eterosessuali
utilizzano queste tecnologie, ma non lo dicono perché per loro “è meglio” far finta che i loro
bambini siano stati concepiti in maniera tradizionale, così da far tacere i pregiudizi e le dicerie.
Inoltre non è vero che i genitori omosessuali cerchino un figlio solo per soddisfare i loro desideri
narcisistici: il “cercare un figlio ad ogni costo” può avvenire sia all’interno di una coppia
omosessuale sia all’interno di una coppia eterosessuale; questa ricerca spasmodica dei figli
porta i genitori a concepirli come un “prolungamento di se stessi” e questa idea è
profondamente sbagliata, perché i figli non sono una proprietà dei genitori, sono degli individui
autonomi e indipendenti, con una loro identità.
In questo ambito quindi non si deve adottare né la strada “dell’indignazione morale” né quella
“dell’euforia libertaria” (cioè il mostrarsi indifferenti su questi temi,non cercando di regolarizzarli).
Grazie alle tecniche odierne l’ovocita e lo spermatozoo possono incontrarsi in modi diversi (in
laboratorio), quindi ci sono tanti modi per diventare genitori e non tutti sono legati alla biologia.
LEZIONE 24
Giornata mondiale contro la violenza sulle donne
Questo fenomeno inizialmente era sommerso, adesso sono stati portati alla luce nuovi dati che
ci mostrano che il fenomeno ha raggiunto livelli pericolosi: i tipi di violenza più diffusi sono la
violenza fisica e sessuale, cioè quei tipi di violenza che possono essere riconosciute dai
familiari, dagli amici o dagli ospedali; gli altri tipi di violenza invece rimangono nella sfera
dell’informale, ma sono altrettanto pericolosi. Molte donne non denunciano la violenza, oppure
denunciano solo dopo ripetuti casi, quindi i casi di violenza sono molto probabilmente
sottostimati. Nel 2018 ci sono stati commessi 133 omicidi volontari contro le donne, nel 2022
abbiamo ampiamente superato questo numero: per cambiare questo trend servirebbe
un’educazione più improntata al rispetto per le donne, rispetto che va insegnato fin dall’infanzia.
La violenza contro le donne può essere anche di tipo economico.
Ci sono molti stereotipi riguardo a questo argomento: molte persone pensano che l’uomo dia
molta più importanza al lavoro rispetto alle donne; che gli uomini sono meno adatti ad occuparsi
delle faccende domestiche; che sono gli uomini a dover provvedere alle necessità economiche
della famiglia; che i datori di lavoro, durante una crisi economica, dovrebbero assumere
prioritariamente degli uomini e non delle donne; che l’uomo deve prendere le decisioni più
importanti riguardo alla famiglia. Altri pregiudizi, più strettamente collegati alla violenza sessuale
sono: le donne che non vogliono un rapporto sessuale riescono ad evitarlo; le donne possono
provocare la violenza sessuale con il loro modo di vestire; se una donna subisce violenza
quando è ubriaca o sotto l’effetto di droghe è almeno in parte responsabile; per il 10% delle
persone le accuse di violenza sessuale sono false.
Nelle coppie la violenza viene motivata in questi termini: bisogno di sentirsi superiore al proprio
partner; abuso di alcol e sostanze (che inducono comportamenti violenti); l’uomo non sopporta
l’emancipazione della propria partner; motivi religiosi; esperienze negative di violenza avute da
bambini in famiglia (si pensa che chi abbia subito violenze da piccolo, da grande avrà dei
comportamenti violenti); le donne vengono considerate degli oggetti di proprietà (un uomo,
quando la sua compagna vuole allontanarsi, non riesce ad accettarlo e spesso compie violenza
nei suoi confronti); gli uomini spesso hanno difficoltà a gestire la rabbia.
Il 25 novembre, a livello internazionale, si celebra la “Giornata internazionale per l’eliminazione
della violenza contro le donne”: in questa data l’ONU fa in modo che tutte le organizzazioni
internazionali sensibilizzino l’opinione pubblica su questo tema (è stata l’ONU ad indire questa
giornata, considerando la violenza sulle donne una violazione dei diritti umani). Vengono
istituite delle attività che trattano questo argomento e tali attività vengono fatte nelle piazze e
nelle scuole (prima la violenza sulle donne era un argomento tabù): i giorni di attivismo per
fermare questa violenza sono 16 e sono molto importanti perché le persone sono analfabete
riguardo a questo argomento.
Il 25 novembre del 1960 nella Repubblica Dominicana furono uccise tre attiviste politiche, le
sorelle Mirabal, per ordine del dittatore Leonidas Trujillo: le donne vennero bloccate mentre
stavano andando a far visita ai loro mariti, vennero stuprate, torturate, massacrate a colpi di
bastone e infine strangolate, poi vennero messe in auto per simulare un incidente. Nel 1981, nel
primo incontro femminista latinoamericano e caraibico svoltosi a Bogotà, inColombia, venne
deciso di celebrare il 25 novembre come la Giornata internazionale dellaviolenza contro le
donne, in memoria delle sorelle Mirabal. Per celebrare questa giornata si è scelto il rosso
perché ricorda il sangue e perché è un colore molto forte.
Nel 1993 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la Dichiarazione
perl'eliminazione della violenza contro le donne ufficializzando la data scelta dalle
attivistelatinoamericane.
L’artista Elina Chauvet raccolse nel 2012 delle scarpette rosse, in un’installazione, davanti al
Consolato messicano di El Paso, in Texas, per ricordare i femminicidi perpetrati nella città di
Juarez. Quelle scarpe rosse contro il femminicidio rappresentarono le vittime della violenza, ma
anche le donne che non le potevano più indossare. Zapatos Rojos si servì di scarpe donate,
colorate di rosso esposte nel giorno dell’installazione. Fu la risposta di un’artista. E sono
diventate ormai il simbolo del NO alla violenza di ogni tipo.
La violenza contro le donne ha ripercussioni sulle famiglie: nel caso di un femminicidio i bambini
di quella donna cresceranno orfani, perché anche il padre verrà allontanato dal nucleo
famigliare, in caso sia lui il colpevole della violenza: i bambini che assistono a violenze familiari
possono sviluppare dei disturbi emotivi. Le donne che subiscono violenza possono isolarsi e
smettere di andare a lavoro, inoltre possono dedicare meno tempo alla cura dei figli.
Nel mondo 1 donna su 3 subisce una violenza di qualche tipo: la violenza può avvenire nel
contesto familiare, in quello amicale o in quello affettivo; inoltre probabilmente ciascuno di noi
conosce qualcuno che è stato vittima di violenza. In Italia il 31% delle donne ha subito una
qualche forma di violenza fisica e sessuale (violenza concreta e tangibile, non pregiudizi); le
forme più gravi di violenza sono esercitate da persone che dichiarano di voler bene alla donna
in questione, come gli amici o i partner (più della metà degli stupri viene commessa dai partner).
La violenza sulle donne può colpire anche donne minorenni, che possono subire violenza da
amici o parenti: a volte l’altro genitore se ne rende conto e cerca di nascondere l’abuso, forse
per proteggersi dal punto di vista psicologico. I femminicidi in genere vengono compiuti
all’interno dei contesti familiari e spesso vengono utilizzati anche i figli per fare del male alle
donne.
Il problema è che i bambini e i ragazzi non vengono educati all’affettività, all’amore e alla
sessualità: spesso utilizzano i media come unico mezzo per informarsi e quindi pensano che
quando vogliono avere un rapporto devono semplicemente costringere la ragazza.
Le donne vengono quasi sempre uccise da una persona conosciuta, spesso da un partner
precedente o dal partner attuale; alcune ragazze vengono uccise anche per “onore”, per
salvaguardare il nome della famiglia (questo succede quando la ragazza rifiuta di sposare un
uomo già scelto dai genitori). Nel 2020 il numero delle vittime di sesso femminile uccise a
gennaio sono 59: a causa del covid e del lockdown le donne non potevano allontanarsi dai
partner violenti e quindi i numeri della violenza sono aumentati; inoltre sempre a causa del
lockdown sono aumentati i disturbi psichici, che portano le persone a compiere ulteriore
violenza.
Inoltre molto spesso le donne non denunciano: i casi di violenza più conclamati vengono
registrati dai pronto soccorso, inoltre le donne vittime di violenza sperano che ciò che subiscono
siano degli eventi e dei fenomeni isolati e ritornarono al pronto soccorso 5 o 6 volte, in
condizioni anche gravi, perché sono convinte che il partner smetterà di essere violento. La
violenza colpisce tantissime donne dai 18 ai 44 anni e spesso queste persone non denunciano
perché si vergognano: è per questo che serve educazione su questo tema, così che le ragazze
si sentano sicure nel denunciare e sentano di poter contare su qualcuno che le protegga (forze
dell’ordine: non dovrebbero ignorare i casi di stalking). Nel passato un po’ di violenza veniva
tollerata all’interno delle coppie, perché si pensava che fosse normale: ora invece quando una
donna denuncia deve avere la sicurezza che la persona denunciata non si avvicini più a lei o ai
suoi figli. Nelle relazioni è necessario sottolineare il rispetto, insegnarlo ai figli e alle nuove
generazioni: esistono dei percorsi di riabilitazione per le vittime e per i carnefici.
Non c’è un momento giusto in cui si può iniziare a parlare della violenza, si dovrebbe iniziare fin
da subito, già con i bambini molto piccoli: il lavoro deve essere poco, tutti giorni, ma
COSTANTE. Il rispetto dovrebbe essere insegnato a tutti, sia alle bambine sia ai bambini,
inoltre deve essere portato verso qualsiasi persona, indipendentemente dal genere: il passo più
importante è quello di RIEDUCARE gli uomini violenti, non attraverso il carcere, ma attraverso
dei percorsi appositi; il carcere non rieduca, ma fa arrabbiare ancora di più i carnefici. Questa
situazione porta le donne a non avere fiducia nelle istituzioni, a non denunciare e a non sentirsi
sicure: non denunciano perché sono certe che non cambierebbe nulla. I carnefici non
dovrebbero adottare la scusa del “non so gestire la rabbia” perché non sono degli animali,
devono riuscire a controllare le loro emozioni e devono smettere di vedere le donne come delle
proprietà, non devono controllarle quando escono, non devono limitare la loro cerchia di amici,
perché tutte queste sono forme di violenza. La cosa più allarmante è che a volte fra i giovani la
violenza non viene solo perpetrata, ma viene anche filmata, giustificata e minimizzata e talvolta
le persone che vedono il filmato ridono anche della vittima.
Quando le famiglie stanno più a stretto contatto (caso di pandemia) le violenze aumentano,
infatti nel 2020 le chiamate al numero antiviolenza sono aumentate del 80%, con picchi del
182% nei mesi di aprile e maggio 2020.
Le violenze non sono solo quelle fisiche ma anche quelle psicologiche ed entrambi i tipi di
violenza sono aumentate: la casa è il luogo della violenza nel 93% dei casi, inoltre quasi la
metà delle vittime ha paura per la propria vita. Servono delle misure per combattere le cause
della violenza, le sue radici: ci devono essere delle strategie politiche per educare i giovani, per
eliminare gli stereotipi e il sessismo; si dovrebbe rafforzare il sistema scolastico, così da essere
in grado di prevenire la violenza (nelle scuole c’è lo sportello psicologico e gli adulti pensano
che questo basti a risolvere i problemi di violenza, bullismo e familiari; sono gli insegnanti a
dover essere più attenti e a capire i segnali di abusi). Si dovrebbe anche promuovere la parità
dei sessi anche attraverso la revisione dei libri di testo e del corpo docente; bisognerebbe
formare delle operatrici che riescano ad intercettare la violenza; si dovrebbero rieducare gli
uomini autori di violenza e si dovrebbero sensibilizzare i mass media, così che nelle pubblicità
si parli di temi quali il sessismo e gli stereotipi di genere.
Le persone in posizione di potere NON devono usare quel potere per opprime gli altri: questo
succede soprattutto nelle scuole, quando c’è un caso di violenza da parte dei professori nei
confronti degli alunni. Non dobbiamo fare come in passato, cioè accettare un certo grado di
violenza: le donne non devono ringraziare quando vengono molestate verbalmente in strada (in
passato la si pensava così) o a scuola. Inoltre sono proprio i luoghi in cui ci si dovrebbe sentire
più sicuri ad essere teatri di violenza, come le scuole o la casa.
Un altro cambiamento è quello dell’inserimento di personale femminile in polizia, così che le
donne che denunciano si possano sentire un po’ più a loro agio; negli interrogatori inoltre
emerge sempre l’estetica delle vittime e il “come erano vestite”.
La legge sulla violenza contro le donne è stata approvata solo nel 2001, invece il 14 agosto
2020 sono state emanate delle leggi per le donne vittime di violenza all’interno dei pronto
soccorsi.
LEZIONE 25, LE FAMIGLIE MONOGENITORIALI
Queste famiglie sono composte da un genitore che vive con uno o più figli: queste famiglie non
sono “nuove”, esistevano anche in passato, ma oggi si formano per una motivazione diversa.
Nel 1983 l’ISTAT ha cominciato a considerare le famiglie monogenitoriali: prima non venivano
rilevate nelle statistiche perché venivano ritenute incomplete; in passato queste famiglie non
erano frutto di una decisione, ma derivavano da un fatto ineluttabile come la morte di un partner
o una gravidanza al di fuori del matrimonio, come le ragazze madri. Oggi queste famiglie sono
più diffuse e nascono a seguito di una decisione/scelta, inoltre possono derivare da un divorzio
o da una separazione. Può succedere che una donna può decidere di avere un figlio anche al di
fuori di una relazione di coppia: culturalmente ci siamo evoluti, adesso accettiamo queste
famiglie e accettiamo anche quelle donne che hanno un figlio al di fuori del matrimonio (prima
invece questi bambini non erano nemmeno tutelati dallo Stato, erano considerati dei figli
illegittimi), nel passato invece questa situazione andava corretta con un “Matrimonio riparatore”.
Oggi purtroppo ci sono ancora delle ragazze madri che vengono abbandonate dai partner,
nonostante la cultura sia evoluta e cambiata: questo deriva dal fatto che la sessualità continua
ad essere un tabù, sia in ambito familiare sia in ambito scolastico; poche persone ne parlano,
inoltre i contraccettivi e le modalità di rimanere incinta non vengono spiegati ai più giovani; a
volte i genitori, quando sono alle prese con gli adolescenti, fanno finta di niente, non pensano
che i loro figli abbiano una vita sessuale attiva e quindi non parlano con loro della sessualità. A
volte i ragazzi ricorrono ai consultori e non alle famiglie quando hanno dei problemi all’interno
della sfera sessuale, perché il dialogo è nullo fra figli e genitori (i genitori non vogliono proprio
sapere della vita sessuale dei figli); le gravidanze indesiderate (e quindi le ragazze-madri) non
sono diffuse solo fra gli adolescenti ma anche fra gli adulti.
A volte i bambini, alle elementari, avendo già a disposizione i cellulare, ricercano la parola
“sesso” oppure dei siti pornografici: in questo modo apprendono tutto ciò che trasmette internet
e queste informazioni sono molto lontane dalla realtà dei fatti e quindi i bambini si fanno un’idea
sbagliata del sesso, dell’affettività e dell’amore. C’è poca informazione anche nei confronti delle
malattie sessualmente trasmissibili, si conoscono solo quelle più importanti e più pericolose,
inoltre anche queste malattie sono avvolte da una sorta di tabù.
La sessualità, le droghe, l’alcolismo sono tutti problemi che vengono trattati in maniera
superficiale sia dalla società sia dalla famiglia e dalla scuola e questo porta molti adolescenti ad
essere dipendenti dall’alcol o dalle droghe leggere (è come se la comunità educante mettesse
la testa sotto la sabbia di fronte a questo problema).
Le famiglie monogenitoriali in Italia sono almeno 1 milione e 34 mila, cioè il 15% dei nuclei
familiari, invece nel 1983 erano solo il 5,5% del totale: le madri sole sono l’86% delle famiglie
monogenitoriali (maggior parte dei casi), questo perché prima del 2006 c’era l’affido esclusivo
alle madri, oggi invece, nonostante ci sia l’affido condiviso, il bambino avrà il domicilio a casa
della madre; mentre i padri soli sono il 13,6% e in molti casi questa situazione di
monogenitorialità deriva o dalla morte della madre o perché la madre è stata considerata non
idonea ad accudire i figli. La maggior parte delle madri sole hanno un solo bambino a cui
badare (52%) e questo perché il divorzio avviene fra persone abbastanza giovani che hanno
avuto “il tempo” per fare solamente un figlio, ci sono poi un buon 38% di madri sole con due figli
e un quasi 9% con tre o più figli a carico. Per una donna sola è molto difficile conciliare la vita
lavorativa e quella familiare, però questo tipo di famiglia è destinata ad aumentare; le madri che
devono sostenere di questo peso hanno fra i 35 e i 44 anni. Le madri sole possono essere:
separate/divorziate (57%), nubili (34%) e queste madri potrebbero essere anche delle ragazze
madri o delle donne che hanno convissuto all’interno di una famiglia di fatto (famiglia che non
ha ufficializzato l’unione), vedove (8%). Dagli anni ‘90 è aumentata la percentuale delle madri
nubili, si è infatti passati dal 20% al 34%, mentre le madri vedove sono diminuite: le donne in
questi anni fanno un figlio anche se non sono sposate e se non convivono stabilmente.
La maggior parte delle madri sole (68%) lavora, ha un impiego, però essendo da sole è molto
difficile gestire la conciliazione famiglie-lavoro: in Italia, quando le donne si sposano, tendono a
sacrificare l’aspetto lavorativo e tendono a stare a casa a badare i figli, mentre il marito va a
lavorare (divisione classica del lavoro). Il 24% delle madri sole è inattiva, cioè in questo
momento non lavora e il 12% è disoccupata (la pandemia ha peggiorata la condizione delle
madri sole, infatti molte di esse sono state licenziate).
Non tutte le madri sole sono in una situazione economica critica, però è molto probabile che
queste famiglie monogenitoriali vadano incontro la povertà: il 42% delle madri sole è a rischio di
povertà, quelle in povertà assoluta sono il 12%. Più della metà delle madri sole non riuscirebbe
a sostenere una spesa imprevista di 800 euro, inoltre 1 su 5 è in ritardo nel pagamento delle
bollette e dell’affitto e altrettante non riescono a riscaldare adeguatamente l’abitazione. Le
madri sole lavorano fuori casa 47 minuti in più ogni giorno rispetto alle madri in coppia, inoltre
dedicano 37 minuti in meno al lavoro familiare perché non hanno tempo materiale per svolgerlo.
Nelle famiglie unite inoltre gli uomini hanno molto più tempo libero rispetto alle donne, perché
queste ultime, oltre a lavorare in un’azienda o da partita IVA, devono svolgere le faccende
domestiche: se si vogliono ritagliare del tempo per sé pagano delle donne, che si occuperanno
degli anziani, dei figli o della casa. Questo succede in Italia, invece negli altri paesi il tempo
libero delle donne e degli uomini è uguale.
Le madri sole hanno 2 ore e 44 minuti di tempo libero al giorno, così come le madri in coppia,
inoltre l’85% delle madri sole è soddisfatta della propria condizione di salute, delle loro relazioni
familiari e amicali, questo succede perché le donne sole vengono molto spesso supportare dai
loro familiari e dai loro amici (non sono soddisfatte del loro tempo libero).
Quando la famiglia monogenitoriale è composta da padri soli, in genere ci troviamo di fronte ad
una condizione di vedovanza (la partner è morta): questi padri hanno meno figli con età più
avanzata (adolescenti), hanno dai 45 ai 54 anni, la metà di loro ha un diploma o una laurea, il
77% è occupato, il 53% è divorziato, il 29% è celibe e il 17% è vedovo (le madri sole vedove
erano solo l’8%).
In Italia l’età media dei genitori soli è più elevata rispetto agli altri paesi, inoltre, in genere, i padri
e le madri sole hanno solo un figlio, sia a causa della bassa natalità, sia perché ci si sposa più
tardi sia perché un numero elevato di figli ostacola la separazione o il divorzio. Le madri nubili in
genere hanno un figlio al di sotto dei 5 anni (fase in cui la conciliazione famiglia-lavoro è molto
difficile). Nelle diverse regioni Italiane e fra nord e sud ci sono delle differenze: madre e padri
nubili o separati e divorziati sono più diffusi a nord, mentre al sud i padri e le madri sole in
genere sono vedovi (fattore culturale). In Italia le madri sole lavoratrici con figli minori è
maggiore di quella delle madri in coppia con figli, inoltre è anche più alta della media europea e
si avvicina ai valori dei Paesi del nord; se guardiamo invece la quota di occupazione femminile
in Italia arriviamo solamente al 50%, percentuale bassissima rispetto al resto dell’Europa
(problema culturale, assenza di politiche). Le quote più alte di lavoratrici si riscontrano fra le
divorziate e fra le nubili: nelle coppie invece sono le donne a rinunciare a lavorare, perché
spesso gli uomini hanno dei salari più bassi; in Italia inoltre mancano proprio delle politiche che
consentano ai genitori una flessibilità lavorativa, che permettano a loro di assentarsi quando il
figlio è malato e questa carenza ricade quasi sempre sulle donne, le quali sono costrette da
queste necessità a stare a casa (inoltre quando una donna si assenta dal mercato lavorativo fa
molta fatica a rientrare). I padri, anche all’interno delle famiglie unite, sono poco presenti nella
vita dei figli, a causa della cultura e della strutturazione delle nostra società: si pensa che solo la
donna sia adatta a badare i bambini. Nelle nuove generazioni c’è una divisione più equa della
genitorialità.
Nei Paesi del nord Europa non esistono le politiche familiari, nel senso che non viene mai citata
la parola “famiglia”: loro adottano delle politiche di genere, per cercare di eliminare la
diseguaglianza fra uomini e donne (c’è una mentalità e una cultura diversa, che permette ad
ogni famiglia di scegliere quello che è più funzionale per sé);in Italia invece queste politiche
mancano.
In Italia esistono 3 congedi: quello di maternità, quello parentale e quello di paternità. Il primo è
legato alla salute della donna e del bambino, cerca di tutelarla: per alcuni tipi di lavoro ora è
possibile per una donna in buona salute continuare a lavorare e tenersi 4 mesi di congedo dopo
il parto e solo un mese prima del parto, prima invece il tempo di questo congedo era diviso in 2
mesi prima del parte e 3 mesi dopo. In Italia si è introdotto anche il congedo di paternità, che
all’inizio era solo di 3 giorni (questo ci fa pensare che in Italia la figura del papà viene ritenuta
inutile per il figlio) ora siamo arrivati ai 7 giorni: anche con questo congedo non si può obbligare
un padre ad essere tale. Esiste poi il congedo parentale che però molti genitori non conoscono
e che non usano perché è retribuito solo al 30%. In Italia i padri sono soggetti a molti stereotipi:
magari vorrebbero fare i papà, ma la società vede negativamente un uomo che sta a casa ad
occuparsi dei figli e quindi per continuare a lavorare decidono di prendersi le ferie, che sono
retribuite; i padri inoltre vengono considerati dei buoni padri solo quando procacciano il reddito.
Ci dovrebbe essere la possibilità sia per i padri sia per le madri di essere dei buoni genitori,
senza pressioni da parte della società o dell’azienda per cui lavorano. Ci sono molte madri che
vengono giudicate inadatte solo perché continuano a lavorare quando hanno dei figli e dei padri
che vengono considerati inetti solo perché decidono di stare a casa da lavoro per badare i figli
(gli stereotipi esistono sia per le donne sia per gli uomini).
In Italia inoltre si è inventato il tempo di qualità con i figli perché i genitori non riuscivano a
passare molto tempo con loro.
LEZIONE 26
In Italia la maggioranza delle donne è occupata a tempo pieno, sia quando sono delle madri
sole, sia quando sono in coppia, anche quando i figli sono molto piccoli e richiedono più cure.
Le donne sole con figli sono più presenti nel mercato del lavoro rispetto alle donne sposate
perché:
- Le madri sole hanno un livello di istruzione più elevato delle donne coniugate; in
particolare le donne divorziate sono molto più istruite
- Le madri sole hanno pochi figli, in genere solo 1
- Le donne che lavorano sono molto più propense ad divorzio e quindi a diventare
delle madri sole con dei figli a carico rispetto ad una casalinga. Nel nord Italia sono
presenti più donne lavoratrici rispetto al meridione, il divorzio è più diffuso e in
genere sono proprio loro a prendere l’iniziativa di sciogliere un matrimonio
Le donne sole con figli sono più occupate nel mondo del lavoro ma hanno delle posizioni
professionali più basse. Le famiglie monogenitoriali composte da madri sole con figli sono a
rischio povertà e le cause di questa situazione sono:
- Posizione sfavorevole delle donne nel mercato del lavoro: si dovrebbero proteggere le
donne all’interno del mercato del lavoro
- Non c’è tutela da parte dei sistemi di protezione sociale: si dovrebbe migliorare la tutela da
parte di questi sistemi: non ci dovrebbero essere solo misure in extremis contro la povertà.
L’Italia non possiede delle politiche di empowerment per le famiglie.
- La struttura della famiglia monogenitoriale prevede una doppia responsabilità per la
madre, la quale deve prendersi cura dei figli, della casa e deve mantenersi
- Il lavoro fuori casa rende più difficile prendersi cura dei figli
Questi problemi però sono comuni a tutte le donne con figli: la condizione di vulnerabilità alla
quale sono sottoposte le donne è dovuta alla divisione di genere del lavoro e alla dipendenza
economica delle donne sposate dal marito; la divisione tradizionale dei ruoli funziona solo fin
quando la coppia rimane unita, quando si divide le cose cominciano a peggiorare. Ovviamente
per ridurre il rischio di povertà, il lavoro è lo strumento principale: in Italia si dovrebbero seguire
le politiche della Gran Bretagna e degli USA, che puntano sull’inserimento delle donne nel
mercato del lavoro (non si punta più sui sussidi ma sull’inserimento nel contesto lavorativo); in
Italia la prima azienda che ha equiparato lo stipendio di uomini e donne è la Lamborghini.
FAMIGLIE RICOMPOSTE E RICOSTITUITE
Queste famiglie non sono un fenomeno nuovo: secondo l’Istat una famiglia ricostituita è una
coppia sposata o convivente (anche famiglia di fatto) con o senza figli in cui almeno uno dei due
partner proviene da un precedente matrimonio interrotto per morte, separazione o divorzio.
Un esempio di famiglia ricostituita è: un primo matrimonio fra “Mario” e “Sara”; i due si sono
separati e non hanno avuto figli e Mario è andato a vivere con “Lucia” (questa è la situazione
più semplice). Potrebbe succedere che Mario e Sara abbiano avuto un figlio, di nome Giovanni;
poi potrebbe succedere che Lucia fosse sposata con Luca, dal quale si è sposata. Giovanni
vive con la mamma Sara ma con l’affido condiviso Giovanni va a stare con suo padre, il quale
però è accompagnato con Lucia. Se Mario e Lucia hanno una figlia di nome Marta la situazione
si complica ulteriormente, perché quando Giovanni andrà da Mario, si rapporterà anche con
Marta, sua sorella da parte di madre diversa. Altra complicazione potrebbe nascere se Luca e
Lucia hanno avuto una bambina, di nome Anna, che vive sempre con Lucia, la quale però ha
anche Marta: queste due bambine hanno padri diversi ma sono comunque sorelle e possono
interagire anche con Giovanni, il quale però vive con suo padre solo due giorni alla settimana.
Ancora, un’altra complicazione può essere data dai rapporti che tutti questi attori sociali hanno
con le parentele dei rispettivi genitori. Sara e Lucia (partner di Mario) potrebbero non andare
d’accordo: nel momento in cui Giovanni va a trovare suo padre Mario entra in contatto anche
con Lucia.
Nel passato le famiglie ricomposte erano frutto di una vedovanza, oggi invece sono frutto di una
separazione o di un divorzio: in queste famiglie è difficile stabilire i ruoli delle persone, perché
Lucia rispetto a Marta e Anna, essendo loro madre, ha un ruolo specifico, mentre con Giovanni
ha un rapporto diverso e nessuna legge ci parla del ruolo economico, affettivo e sociale che
dovrebbe avere nella vita di Giovanni.
Anche nella Disney sono presenti delle famiglie ricostituite: in Italia i genitori non biologici come
Lucia nei confronti di Giovanni o Marta nei confronti di Giovanni sono definite “matrigna” e
“sorellastra”, termini che nel nostro paese hanno una connotazione negativa, che veniva
rappresentata sia nei film sia nei cartoni attraverso l’attribuzione di caratteristiche negative alle
matrigne o ai fratellastri (nel passato un uomo con figli rimasto solo a seguito di una vedovanza
doveva sposarsi con un’altra donna così da dare una madre ai suoi figli). Nella lingua
anglosassone si usa il suffisso “steph” per indicare i padri, i fratelli o le madri acquisite: questo
termine è neutro, ci indica che non si sta parlando di un genitore biologico ma acquisito; in
italiano quindi traduciamo questo suffisso in “acquisiti” (fratello acquisito..). I fratelli acquisiti in
genere stringono un legame molto forte con gli altri fratelli, invece per quanto riguarda il
rapporto fra genitore acquisito e figlio (come Lucia e Giovanni) la situazione è più complicata,
perché in Italia il genitore sociale non ha né diritti né doveri e questo deriva da un vuoto
normativo. Il genitore sociale, in passato, sostituiva il padre o la madre che erano venuti a
mancare, oggi invece non sostituisce più nessuno, perché le famiglie ricomposte non si
formano solo a seguito di una vedovanza (nel passato il genitore sociale poteva anche
diventare legalmente il nuovo genitore tramite un’adozione). Le famiglie ricostituite oggi vanno
incontro a difficoltà perché il genitore sociale affianca e non sostituisce quello biologico: la
situazione inoltre può essere migliorata o peggiorata da alcune variabili, come l’età del figlio, il
legame fra i figli e i genitori biologici e sociali (durante una separazione conflittuale la madre
potrebbe voler eliminare la figura del padre biologico nella vita dei figli e sostituirvi il padre
sociale). Se Lucia dovesse rompere il legame che ha con Mario non avrebbe più nessun dovere
e nessun legame con Giovanni: in Italia demandiamo questo problema al senso civile delle
persone. Le relazioni in più all’interno di una famiglia ricomposta possono essere sia positive
sia negative e questo dipende dalla volontà delle persone coinvolte e dalle loro scelte/decisioni
in ambito scolastico, educativo, familiare, sociale: se i genitori sociali prendono delle decisioni
diverse da quelli biologici allora la relazione si incrinerà e i rapporti diventeranno più difficili e si
creerà una situazione di tensione; le relazioni difficili non sono solo fra genitori sociale e figli, ma
anche fra genitori sociale e genitori biologici, per esempio un genitore biologico può utilizzare il
figlio come ricatto nei confronti dell’ex-partner. Fra fratelli acquisiti in genere c’è sempre un
rapporto di fratellanza molto forte, mentre fra i genitori non è quasi mai così: inoltre se queste
famiglie venissero normate, si andrebbero incontro a molte difficoltà, per esempio Mario
potrebbe non voler essere il genitore sociale di Anna, potrebbe non volerla mantenere
economicamente ma avere con lei solamente un legame affettivo. Il problema è “Può una terza
persona, cioè il genitore sociale, che non ha legami di sangue con il bambino avere dei diritti e
dei doveri nei suoi confronti? Può educarlo e istruirlo? La risposta a questa domanda prevede
due tesi opposte: o non esiste alcun legame giuridico tra il bambino e il genitore sociale quindi
non ci sono dei diritti e dei doveri da nessuna delle due parti; oppure il genitore sociale diventa
anche genitore giuridico con diritti e doveri (questo succede nel caso di un’adozione, per
esempio quando un padre rinuncia al figlio e questo bambino viene adottato dalla madre e dal
nuovo compagno, il quale diventa il nuovo genitore). Nessun paese occidentale ha trovato, fino
ad ora, una soluzione per conciliare il ruolo di genitore sociale e genitore biologico.
In alcuni Paesi vi è un “riconoscimento misto”, cioè riconoscono in una qualche maniera il
genitore sociale ma senza cancellare quello biologico: per esempio nel diritto inglese si afferma
l’importanza del legame biologico fra genitori e figli ma si riconosce un “ruolo” anche alle
persone che si prendono cura del bambino, per esempio i genitori sociali.
Le relazioni all’interno di una famiglia ricomposta dipendono dagli attori sociali che vi
partecipano, dai genitori sociali, da quelli biologici, dai fratelli e dalle sorelle.
Il genitore sociale mette in discussione i confini naturali nel rapporto fra genitore e figlio: egli
mette proprio in discussione la nostra idea di famiglia; queste famiglie mettono in crisi la società
perché non rientrano all’interno di quelle caselle sociali elaborate nel corso dei secoli e questo
succede perché la realtà è varia e multiforme (tutte le famiglie hanno delle sfaccettature e delle
diversità).
LEZIONE 27
FAMIGLIE UNIPERSONALI
Queste famiglie possono essere composte da persone anziani o giovani nel pieno delle proprie
forze, quindi sono delle famiglie molto differenti. Parlare di “famiglia unipersonale” è un
ossimoro perché noi quando pensiamo alla famiglia pensiamo sempre ad una relazione fra due
persone. Però le persone che compongono queste famiglie sono inserite in una certa rete di
relazioni complesse: in Italia le famiglie unipersonali stanno aumentando (così anche negli altri
Paesi Occidentali), infatti se le confrontiamo con le famiglie numerose notiamo che le prime
sono ben il 31% mentre le seconde sono solamente il 5,4%; dal 1995 al 2015 abbiamo avuto un
aumento esponenziale delle famiglie unipersonali e un abbassamento delle famiglie numerose
(il numero di componenti medio delle famiglie si è ristretto). In un Paese come l’Italia quindi
sono statisticamente più rilevanti le famiglie composte da una persona e questo è strano perché
nel nostro Paese si parla molto di famiglia tradizionale e classica composta da due, tre o quattro
membri.
In Italia le persone che vivono da sole (famiglie unipersonali) sono le donne anziane e vedove
che non hanno scelto questa condizione ma la stanno subendo; questa situazione è causata da
numerosi fattori
- Non c’è più COABITAZIONE fra le generazioni: prima c’era uno scambio e una reciprocità
fra le varie generazioni, cioè gli adulti si occupavano dei figli piccoli i quali si sarebbero
occupati dei genitori vecchi. In questo modo gli anziani andavano ad abitare con i figli
diventati adulti: oggi invece le persone anziane o vivono da sole oppure trovano un’altra
soluzione; nelle nostre case c’è sempre meno posto inoltre le persone non sono più
propense ad accogliere all’interno della loro famiglia gli anziani, i quali, a loro volta, non
sono disposti a rinunciare alle proprie abitudini e alla propria routine
- Prolungamento della durata della vita: l’allungamento della vita in Italia è particolarmente
significativo, infatti abbiamo tante persone anziane che vivono ancora in buone condizioni
(non sono allettate).
- Le donne sono più longeve degli uomini e tendono a sposare uomini più grandi
Questi fattori fanno in modo che le famiglie unipersonali siano composte per la maggior parte
da donne anziane vedove: queste donne formano delle famiglie unipersonali non per scelta, ma
per necessità. Anche le donne anziane vedove possono avere dei problemi di salute, delle
difficoltà economiche, possono trovarsi in una condizione di isolamento quindi le famiglie
unipersonali non sono composte da persone tutte uguali fra loro: ci possono essere persone in
salute, persone malate, persone con una grande rete relazionale e così via.
In Italia non c’è la fase in cui un ragazzo vive da solo (senza per forza avere un partner) e cerca
di diventare economicamente indipendente.
Le famiglie unipersonali possono essere composte anche dai single, cioè delle persone che
scelgono di rimanere da soli: queste persone vivono da sole ma continuano ad avere dei legami
relazionali molto densi e del supporto da parte degli amici e della famiglia. I single possono
decidere di diventarlo dopo una rottura di coppia o dopo un matrimonio fallito. I single sono
molto presenti al nord e al centro Italia, cioè dove le separazioni sono elevate e c’è una
mentalità più aperta: i single sono soprattutto uomini (55%) e possono essere o abbastanza
poveri (come le persone anziane) o abbastanza ricchi, come gli uomini o le donne giovani che
vivono da soli e hanno un buon reddito e una buona situazione economica (scoperta fatta da
Kaufmann; quindi anche dal punto di vista economico le famiglie unipersonali sono molto
eterogenee.
La nostra vita sentimentale è cambiata: oggi entriamo ed usciamo dalle relazioni affettive molto
velocemente, invece nel passato quando si usciva da una relazione era molto difficile
(soprattutto per le donne) ritornarci; viviamo in una situazione di fluidità delle relazioni,
possiamo ricrearci una vita molto più facilmente rispetto al passato; anche una persona
anziana, alla quale è morta la moglie o il marito, possono decidere di ritornare ad avere una vita
di coppia con un’altra persona. Un’altra condizione che si sta diffondendo è quello dei LAT, cioè
dei “living apart together", delle persone che vivono in case diverse ma che stanno assieme da
molto tempo: ognuno ha i propri spazi, la propria autonomia; quindi vivere da soli non significa
non aver nessun tipo di legame affettivo, proprio come ci dimostrano i LAT.
Per molti giovani e molti adulti il vivere da soli e il formare una famiglia unipersonale non è una
condizione definitiva, ma è un modello di vita provvisorio: la durata di questo tipo di famiglia
unipersonale dipende dall’età della persona.
La coabitazione fra generazioni ridurrebbe le spese: se si ospita un anziano a casa propria non
lo si deve mettere in una struttura, non si deve prendere una badante per lui o per lei, non si
deve mantenere un’altra casa e pagare le tasse su quella proprietà e quindi i costi si riducono;
però molti figli non sono disposti ad accogliere un anziano a casa loro e viceversa gli anziani
fanno fatica ad andare a vivere in un’altra casa quando sono ancora autonomi.
In Italia è molto difficile per i giovani andare a vivere da soli perché non ci sono delle politiche
abitative che offrano loro dei prezzi calmierati per questo tendono a rimanere all’interno della
famiglia d’origine per molto tempo, nonostante lavorino: in questa maniera un figlio può
lavorare, avere un buono stipendio, contribuire alle spese di casa, aiutare i genitori con le
bollette e continuare ad avere dei soldi per fare un viaggio. In passato i costi erano più ridotti,
sia perché le cose costavano meno sia perché c’era condivisione dei beni, per esempio
l’automobile veniva usata da tutti i membri della famiglia, oggi, anche a causa della situazione a
due redditi i genitori devono avere ognuno i suoi beni, il suo cellulare, la sua auto e così via.
Nelle nostre società manca la parte medie: ci sono sempre più persone concentrate ai due
estremi della scala sociale ed economica, cioè significa che il costo della vita è aumentato, ma i
salari sono rimasti uguali e quindi ci sono delle persone che erano già benestanti di loro e che
lo rimangono e delle persone che si impoveriscono sempre di più, non c’è quindi una classe che
sta in mezzo fra questi due estremi. Questa situazione non viene migliorata dalle politiche
Italiane, infatti non ci sono delle politiche che aiutano le famiglie, cioè delle politiche di “welfare”:
dato che i giovani e le famiglie tenderanno a diminuire, le politiche nei loro confronti tenderanno
a diminuire (sono già scarse o nulle ora).
Ritornando alle famiglie unipersonali, possiamo dire che le loro relazioni dipendono dal capitale
sociale che possiedono: coloro che vivono da soli per scelta, cioè le persone giovane e adulti
hanno un ceto sociale abbastanza elevato e possiedono più relazioni esterne: coloro che invece
diventano una famiglia unipersonale per necessità (vedovanza) possiedono una rete sociale più
ridotta e di conseguenza hanno un capitale sociale scarso (queste persone hanno come unica
risorsa i loro legami familiari: se perdono anche questi, cominciano a vivere in una condizione di
isolamento).
LE FAMIGLIE MISTE O MULTICULTURALI
Queste famiglie sono composte da due alti che hanno una cittadinanza diversa oppure che
hanno la stessa cittadinanza ma hanno lingua, religione, etnia differente: queste famiglie non
sono un fenomeno recente, sono sempre esistite, però oggi si possono incontrare delle culture
molto lontane e diverse (in passato i matrimoni multiculturali avvenivano fra persone limitrofe,
per esempio un italiano poteva sposare una francese). Oggi a causa delle nuove esigenze
economiche e lavorative le persone giungono in territori molto lontani da quello d’origine: l’Italia
per molto tempo è stato un paese migrante, cioè gli italiani andavano all’estero, si spostavano
per ragioni economiche o lavorative e quindi grazie a questo spostamento potevano incontrare
nuove persone e mettere su famiglia. Oggi siamo diventati un paese di IMMIGRAZIONE e non
di emigrazione, cioè attiriamo degli immigrati (Italia: paese trampolino che non offre opportunità
agli stranieri, i quali arrivano in Italia solo per arrivare poi in Francia o Germania), però per i
nostri cittadini, per gli italiani, l’Italia continua ad essere un paese di emigrazione, perché non
offre molte opportunità ai giovani. Anche l’università ha spinto i ragazzi a spostarsi e a fare
nuove esperienze, però così i giovani, già sono pochi in Italia, poi se li spingiamo a fare delle
esperienze all’estero, ne rimarranno ancora meno (quindi siamo un paese di emigrazione
soprattutto per quanto riguarda i giovani).
Se io ho un paese un alto numero di unioni multiculturali (coppie di fatto o matrimonio) significa
che gli immigrati non sono più visti come delle persone di passaggio, ma come delle persone
che vogliono vivere in Italia e che si vogliono integrare nel nostro paese (matrimonio
multiculturali: sinonimo di integrazione). La multiculturalità implica una differenza di cittadinanza
e di cultura fra i due partner: un coppia multiculturale potrebbe essere anche composta da una
ragazza marocchina e da un ragazzo svedese che abitano in Italia.
Queste famiglie rappresentano una sfida che coinvolge sia la coppia, sia le famiglie d’origine sia
il contesto sociale: la multiculturalità deve diventare una ricchezza e un plusvalore; se non si
riescono a valorizzare le differenze, la multiculturalità non è più un valore ma diventa un
sinonimo di fragilità (la fragilità è dovuta al fatto che le due persone fanno riferimento a modelli
culturali differenti). La fragilità è molto forte quando ci sono dei figli, perché la coppia si trova
davanti a delle decisioni da prendere; si deve scegliere la lingua, il metodo educativo, la
religione e quindi queste famiglie sono statisticamente più fragili delle altre.
Inoltre la famiglia d’origine entra quasi sempre dentro alla relazione di coppia: a volte i genitori
d’origine vogliono decidere come educare i loro nipoti e che modello culturale tramandare ai
figli; la famiglia entra all’interno della coppia anche perché un genitore può essere stato
plasmato dalle scelte della sua famiglia e potrebbe riproporle ai suoi figli.
In Italia abbiamo un aumento dei matrimoni multiculturali: dato che il matrimonio fa ottenere allo
straniero la cittadinanza bisogna fare anche un’analisi dei “matrimoni di convenienza”. Molte
coppie multiculturali si sposano per amore reciproco, inoltre i matrimoni fra queste persone
avvengono molto spesso nelle grandi città del nord, dato che qui gli immigrati hanno cominciato
a mettere radici (nel meridione non è così)
IL MATRIMONIO DI CONVENIENZA
Il matrimonio di convenienza può essere inteso come uno scambio reciproco: un partner (quello
immigrato) può ottenere la cittadinanza e dei diritti, l’altro invece ottiene un partner che
altrimenti non avrebbe, cioè l’immigrato straniero viene considerato come un «coniuge di
riserva» per quelle persone svantaggiate nel mercato matrimoniale o per l’età elevata o perché
provengono da una precedente esperienza matrimoniale o per il basso livello di istruzione o di
status sociale. Gli uomini italiani sono in media più anziani e meno istruiti delle loro spose
straniere, mentre le donne italiane sono sempre meno istruite e un po’ più anziane dei loro
partner stranieri. Quindi entrambi i coniugi che formano le coppie multiculturali sono
svantaggiati da un certo punto di vista; nelle unioni miste inoltre è più elevata la quota di
persone che hanno già avuto un’esperienza coniugale (matrimonio, convivenza).
MATRIMONI PER AMORE
I problemi delle famiglie multiculturali sono molti, fra i quali vi è anche il tema della genitorialità:
la genitorialità comporta per coppia una ridefinizione dei ruoli e dei compiti e una riflessione su
alcuni temi, riflessione che in genere non vengono fatte finché non si è davanti alla situazione
contingente. Per esempio in una coppia multiculturale quando nasce un bambino si deve
decidere quale religione, quale lingua e quali modelli trasmettere. La soluzione migliore è
percepire la diversità come una ricchezza, si devono comprendere le reciproche diversità
culturali e le differenze e gli studiosi, per risolvere questa situazione di genitorialità
multiculturale hanno proposto 3 opzioni (semplificazioni):
- Scelta biculturale: è l’opzione ideale alla quale tendere. La coppia pensa che tutte e due le
culture sono importanti e significative, sono un arricchimento per il figlio e per questo
devono essere trasmesse ai bambini. In questa ipotesi c’è un rispetto massimo delle
differenze, inoltre si pensa che entrambe le culture siano essenziali per la costruzione
dell’identità di un bambino: i genitori educano i figli al rispetto delle differenze culturali, gli
fanno capire che tutte e due le culture sono importanti, non ce n’è una più importante. I
genitori scelgono di adottare questo metodo prima della nascita del figlio e al momento del
parto semplicemente lo applicano. Nel caso della religione non si trasmettere una religione
al figlio piuttosto che un’altra: si presentano al figlio le due religioni e si aspetta che sia il
figlio a decidere a quale aderire quando sarà grande (libertà di scelta). Questa situazione
è ideale ma è difficilissima da mettere in pratica.
- Assimilazione: questa opzione tende a sovrapporsi alla prima. Qui la cultura del coniuge
straniero viene messa in ombra perché non viene ritenuta funzionale alla vita del Paese
ospitante o perché viene vista come un ostacolo alla vita dei figli. Per esempio si potrebbe
pensare che sia meglio trasmettere la cultura italiana al figlio perché questa cultura fa in
modo che il bambino si integri meglio nel contesto in cui si trova a vivere. In questa
opzione l’altra cultura non viene ritenuta inferiore, ma semplicemente non funzionale. In
genere è la donna che rinuncia a trasmettere la sua cultura al figlio, è la donna a sentirsi in
una condizione di debolezza: con l’assimilazione il figlio si vede negata una parte di sé e
della sua storia familiare, perché è stato educato secondo i modelli di una sola cultura.
- Negoziazione conflittuale: qui arriviamo ad un conflitto aperto. Quando la coppia si trova a
decidere non riesce ad essere d’accordo: tale situazione si verifica quando c’è
un’asimmetria all’interno della coppia. Con la negazione si nega una delle due culture,
perché viene considerata inferiore e poco utile per i figli.
Cosa succede quando il partner maschile viene da paesi di origine islamica? E’ più probabile
che un uomo di religione islamica sposi una donna non islamica (la situazione contraria invece
è più difficile). All’interno delle famiglie multiculturali ci sono spesso dei problemi ma emergono
solo nei momenti di rottura: potrebbe succedere che i genitori litighino, che uno dei due se ne
vada oppure che addirittura scappi nel suo paese con i figli (illegale: i figli possono essere
spostati solo con il consenso di entrambi i genitori). Nei paesi islamici però esiste ancora la
patria potestà, cioè significa che è il padre a decidere e ad avere la responsabilità sui figli. Negli
anni ‘80 si è firmata una “Convenzione internazionale sulla sottrazione di minori”: i Paesi che
hanno firmato questa convenzione possono dichiarare illegale l’atto commesso e possono
aiutare il genitore a ritrovare i figli che l’altro partner ha portato via. I Paesi musulmani non
hanno firmato questa convenzione e quindi se un padre musulmano decide di andare via
dall’Italia (che ha firmato la Convenzione) con i suoi figli, i Paesi islamici non collaboreranno con
l’Italia per aiutare la moglie a ritrovare i suoi figli.
Tutte le Convenzioni non vanno solo firmate ma vanno anche ratificate, cioè deve essere
emanata una legge all’interno dei Paesi che afferma che in tale Paese si applicheranno tutti i
punti sanciti dalla Convenzione. Se un Paese firma una convenzione contro la pena di morte,
ma non la ratifica, allora potrà continuare ad applicare la pena di morte.

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