Tale termine deriva dalla letteratura anglosassone dei primi anni Ottanta
del Novecento. In Gran Bretagna, negli anni Cinquanta, un gruppo
considerevole di donne lasciava il proprio lavoro retribuito per prendersi
cura del genitore anziano. Queste donne crearono un gruppo distinto dai
familiari: si definivano Caregiver.
- Caregiver formale, l'infermiere o qualsiasi altro professionista
- Caregiver informale, la persona che all'interno della famiglia si assume
in modo principale il compito di cura e di assistenza. La relazione che si
instaura tra caregiver informale e malato è connotata da difficoltà e
sofferenza, ma coloro che tardano ad accettare che il loro congiunto sia
ora una persona diversa, insistendo a mantenere la routine di vita e la
relazione con il malato in modo simile a quelle utilizzate prima della
malattia, andranno incontro a molti più problemi nell’espletare i compiti
assistenziali rispetto a coloro che sanno modificare nel corso del tempo
il proprio atteggiamento, in base al decorso della malattia.
La Famiglia
Sulla famiglia grava gran parte del peso assistenziale e la maggior parte
dei caregiver sono donne (74%):
L’attaccamento può essere visto come una chiave di lettura per comprendere
le dinamiche che stanno alla base del riuscire a dare cure all’altro. Di fronte
a situazioni trasformative forti come le malattie croniche, un caregiver
sicuro può avere un miglior adattamento alle situazioni di stress. Viceversa
si può ipotizzare che attaccamenti di tipo insicuro in un caregiver possano
sfociare in situazioni di maggior conflitto, ambivalenza e difficoltà ad
affrontare e regolare le emozioni. I nodi irrisolti e i conflitti presenti, mai
sciolti, condizionano inevitabilmente la capacità di prendersi cura.
Il caregiver non si prende cura di un estraneo, non svolge il ruolo in veste
di professionista, bensì si prende cura di una persona che è in relazione con
lui da tutta la vita, di un genitore con il quale ha legami affettivi che
implicano conflitti passati e attuali, risolti e non risolti.
Inoltre gli stili di attaccamento risultano essere particolarmente rilevanti in
tre aree:
o l’accettare la malattia,
o l’accettare di ricevere cure e di essere dipendenti dall’altro,
o il benessere percepito
Legami familiari e cura degli anziani in Europa
(Ricerca del 2017)
Chi presta cura in Europa? Alla domanda “da quale familiare (vicino
di casa o amico) ha ricevuto assistenza nei 12 mesi precedenti
l’intervista?” nel 57% dei casi il rispondente over 65, indica i figli.
Questa categoria include anche generi/nuore e figli del partner, anche
se le ultime tre tipologie incidono per una percentuale minima (4,5%
in totale). A seguire vicini di casa (11,4%) e amici (8,7%), mentre gli
sposi/partner sono rappresentati per circa il 5%. All’aumentare
dell’età dei rispondenti, come prevedibile, i figli assumono un peso
via via crescente nella cura dei genitori, mentre si assottiglia la
percentuale delle altre possibili fonti di supporto.
Se si confrontano i Paesi europei posti a diverse latitudini, emerge un
gradiente geografico. I Paesi dell’Europa meridionale come Spagna e
Italia si distinguono per percentuali relativamente alte di figli che
forniscono supporto ai genitori, a conferma della visione familista dei
Paesi mediterranei. I Paesi del Centro e Nord Europa, invece, presentano
percentuali minori per la categoria dei figli, compensate da valori più alti
di amici e vicini di casa. Questi ultimi si distinguono soprattutto in
Danimarca (23%) e Francia (17%), nazioni dove i figli caregiver sono
meno rappresentati rispetto agli altri Paesi.
L’eterogeneità nel legame fra genitori e figli che emerge fra diversi Paesi
europei è in qualche modo confermata da un’altra domanda che compare
nel questionario SHARE: si tratta della frequenza con cui i figli hanno
un contatto (telefonico o personale) con i propri genitori. Si è visto
che in Italia i figli contattano la propria madre molto più frequentemente
che in altri Paesi. Ad esempio in Italia il contatto è giornaliero in 6 casi
su 10, in Danimarca poco più che in 1 caso su 10. Man mano che si
procede dal Sud al Nord Europa si nota che la frequenza giornaliera di
contatti diminuisce, a rappresentazione di un legame più debole che
unisce i figli ai propri genitori anziani nell’Europa settentrionale.
Un’altra variabile determinante dei diversi legami che intercorrono fra
genitori anziani e figli è data dalla distanza tra le abitazioni dei figli e
quelle dei genitori. Spesso la scarsa autonomia dei genitori anziani e/o o
la ricerca di un aiuto nella cura dei bambini da parte dei figli che hanno
ancora un ruolo genitoriale attivo, spinge una delle due parti ad
avvicinarsi all’altra, ma anche questa attitudine varia al variare dei Paesi
Europei, con una probabilità maggiore che questo evento si verifichi nei
Paesi del Sud Europa.
Per quanto riguarda le cure personali, sul campione di anziani over-65
il dato per l’Italia è il 73% per le cure giornaliere e 18% per la frequenza
settimanale, invece per Francia e Svezia il dato giornaliero si abbassa
rispettivamente a 48% e 25%.
Diverse evidenze empiriche mostrano che l’aiuto nell’assistenza
personale, se fornito in via informale, ovvero gratuitamente da parenti o
amici, può – nel lungo periodo – impattare negativamente sulla salute
fisica e mentale del caregiver. Perciò la posizione dell’Italia rispetto agli
altri Paesi europei suggerisce la necessità di misure che vadano incontro
alle esigenze di cura della popolazione che invecchia e che viene tuttora
assistita in via predominante dai familiari (soprattutto dai figli).
Il trend demografico in atto suggerisce che ci saranno sempre meno figli
a disposizione per curare i genitori anziani. In particolare negli ultimi
decenni si hanno meno figli rispetto alle generazioni precedenti e ad una
età più avanzata, pertanto il numero di figli che accudiranno i genitori è
destinato ad assottigliarsi e ad avere meno tempo a disposizione per
assistere gli stessi, a causa delle responsabilità verso i propri figli non
ancora autonomi. Tutto ciò suggerisce che le cure prestate dai caregiver
informali italiani su base giornaliera potranno non esser più disponibili
negli anni a venire. Urge dunque una riorgazzazione sociale e
sanitaria.
Il Burden del Caregiver
Si deve a Cristina Maslach una più chiara definizione della “sindrome del
burnout” nell’ambito delle professioni socio sanitarie.
E' caratterizzato da un coinvolgimento emotivo ed un utilizzo eccessivo
delle proprie risorse affettive ed emotive, con conseguente sovraccarico ed
esaurimento emozionale.
E' caratterizzato da un senso di inadeguatezza e dalla difficoltà di stabilire
un efficace relazione d’aiuto.
Cosa influenza il Burden?
•Il mio familiare necessita del mio aiuto per •Il compito di assisterlo mi ha resa più fragile
svolgere molte delle abituali attività di salute
quotidiane •Sono fisicamente stanca
•Il mio familiare è dipendente da me •Non vado d’accordo con gli altri membri
•Devo vigilarlo costantemente della famiglia
•Devo assisterlo anche per molte delle più •come di consueto
semplici attività quotidiane (vestirlo, lavarlo, •I miei sforzi non sono considerati dagli altri
uso dei servizi igienici) familiari
•Non riesco ad avere un minuto di libertà dai •Ho avuto problemi con il coniuge
miei compiti di assistenza •Sul lavoro non rendo come di consueto
•Sento che mi sto perdendo vita •Provo risentimento verso dei miei familiari
•Desidererei poter fuggire da questa che potrebbero darmi una mano ma non lo
situazione fanno
•La mia vita sociale ne ha risentito •Mi sento in imbarazzo a causa del
•Mi sento emotivamente svuotato a causa del comportamento del mio familiare
mio ruolo di assistente •Mi vergogno di lui/lei
•Mi sarei aspettato qualcosa di diverso a •Provo del risentimento nei suoi confronti
questo punto della mia vita •Non mi sento a mio agio quando ho amici a
•Non riesco a dormire a sufficienza casa
•La mia salute ne ha risentito •Mi arrabbio per le mie reazioni nei suoi
• riguardi
•
•
SCALA DI AUTOVALUTAZIONE DELL'ANSIA
di Zung W.W.K (SAS)
E' uno strumento (self report) che può essere utilizzato al fine di misurare la
componente di stress autopercepito dal soggetto compilante (caregiver) in
termini sia di incontrollabilità, sia imprevedibilità e di sovraccarico (aspetti
ripetutamente confermati come componenti centrali dell'esperienza di
stress). Può essere quindi utilizzato come strumento di approfondimento
della dimensione psicoaffettiva che orienta un intervento psicologico.
Questo strumento permette di misurare le credenze generali sullo stress
percepito dal compilante senza fornire ai soggetti una lista di specifici
eventi di vita (per cui i punteggi non vengono influenzati dal contenuto
dell'evento o da un richiamo differenziale delle esperienze di vita passate).
Quali sono le cause del Burnout?
https://www.youtube.com/watch?v=tyQZkgnkkJY
ALZHEIMER CAFFE'
Nasce nel 1997 a Leida, Olanda, da un progetto della psicogeriatra Bere
Miesen, che lo pensa come spazio informale e de-istituzionalizzato per i
malati ed i loro familiari: un luogo accogliente, in cui trascorrere
qualche ora insieme, socializzare, e parlare dei propri problemi, con la
presenza di operatori esperti. Nelle diverse esperienze che si sono
succedute, il Caffè Alzheimer ha avuto interpretazioni diverse:
dall’occasione di formazione/informazione dei familiari (tipico di un
Centro d’Ascolto per familiari), a quella di animazione per i malati
(tipica di un Centro Diurno).
Gli incontri, nello svolgimento pratico, presentano una duplice natura:
quella terapeutica, che dà spazio anche all’informazione, e quella
della socializzazione, alla quale è riservata una notevole
considerazione.
La cadenza degli incontri negli Alzheimer Caffè del Coordinamento è
settimanale: rispetto alla organizzazione mensile, si è ritenuto più
efficace e coinvolgente creare una maggiore frequenza degli incontri.
L’obiettivo è di creare un gruppo che si incontra costantemente, con
maggiore efficacia (il volontariato organizza anche il trasporto, se
necessario). Ai partecipanti vengono somministrati scale di
valutazione standardizzate, all’inizio ed a distanza di 6 mesi
dall’intervento, con l’obiettivo di conoscere l’efficacia in diversi
ambiti: cognitivo, affettivo, funzionale e comportamentale.
Schematicamente, ogni incontro può essere suddiviso in 5 parti:
- la prima è naturalmente l’accoglienza, perché, come avviene in un
normale Caffè, i visitatori arrivano a poco a poco e deve essere lasciato
loro il tempo di accomodarsi e bere qualcosa, ambientarsi. In questa
fase iniziale gli organizzatori accolgono i nuovi arrivati, favorendo la
socializzazione.
Segue una parte “formale” per i familiari (presentazione di un video
sulla malattia, o conferenza da parte di un esperto) nella quale i
caregiver possano apprendere informazioni sulla malattia. Nella terza
parte, un intervallo con musica e bevande, si lascia libera possibilità
all’interazione personale fra gli organizzatori, o l’esperto, ed i caregiver
che preferiscono non fare domande in pubblico. Mentre i caregiver
sono impegnati, altro personale si dedica ai malati, organizzando
attività piacevoli. Al termine dell’intervallo si apre la discussione tra
tutti coloro che vogliono dare il proprio contributo: spazio aperto a
commenti, considerazioni personali, richieste.
Al termine del dibattito inizia la fase conclusiva dell’incontro nella
quale si lascia spazio all’atmosfera informale del Caffè. Alcuni ospiti
andranno via quasi subito; altri, invece, approfitteranno di questo
momento per parlare con altri familiari, ascoltando le loro storie, o con
gli specialisti, bevendo un drink. In alcuni Alzheimer Caffè al termine
dell’incontro si balla e si canta mentre in altri i visitatori possono
annotare le proprie impressioni sull’incontro su una sorta di “diario di
bordo”. Ciò può essere utile per valutare l’andamento del Caffè. Gli
organizzatori possono anche utilizzare questo momento per discutere
con i visitatori relativamente ad eventuali argomenti di futuri incontri.
Operatori e Burnout
✻ ASSISTENZA DOMICILIARE
• occasionale/estemporanea: intervento domiciliare di carattere socio-
sanitario dedicato ai pazienti che necessitano di prestazioni sanitarie
complesse
✻ SERVIZI RESIDENZIALI
• R.S.A. (Residenze Sanitarie Assistenziali) anche per ricoveri di
sollievo;
• R.S.D. (Residenze Sanitarie Disabili) per pazienti con demenza in
età giovane-adulta;
• Strutture riabilitative per ricoveri temporanei legati ad un evento
acuto riabilitabile.
NUOVE FORME DI ASSISTENZA
I VILLAGGI ALZHEIMER
Villaggio Alzheimer De Hogeweyk di Weesp
https://www.rainews.it/dl/rainews/media/Il-Paese-ritrovato-a-Monza-un-
villaggio-su-misura-per-i-malati-di-Alzheimer-6c139cb5-d2a7-4d66-bbbe-
4a4955407f35.html
Critiche
https://www.youtube.com/watch?v=ZBS5Y4eh4QQ
https://www.youtube.com/watch?v=2HjEbe5swQc
L’inserimento di una persona anziana è un processo delicato, per l’anziano
che ne è direttamente coinvolto e per i famigliari, soprattutto quelli più
vicini ed impegnati nell’accudimento. L’ingresso di un anziano in una
struttura assistenziale è uno degli eventi più delicati e difficili dell’intera
vita.
I familiari sono un polo fondamentale dello spazio comunicativo e
relazionale, e possono essere coinvolti, nei modi giusti in base alla
specifica situazione, per disporre di maggiori informazioni e per
qualificare meglio il rapporto con il paziente. Partire della conoscenza
della vita delle persone anziane, del loro vissuto con il bagaglio di
esperienze negative e positive, delle loro preferenze e della loro
individualità, unica e per questo irriproducibile rappresenta la pietra
miliare per garantire il supporto migliore a queste persone.
La presa in carico da parte dei servizi deve avere lo scopo di
accompagnare l'anziano e la sua rete primaria all'interno di un
percorso di cura condiviso e partecipato affinchè vengano posti
progetti e interventi personalizzati volti a garantire il benessere
globale del paziente fragile e dei suoi cari. Anche loro infatti
sono “attori fragili”.
Le Fasi dell'Ingresso
1) capro espiatorio.
1) Obiettivo generale
2) Obiettivi specifici
3) Destinatari
4) Condizioni Organizzative
5) Attività previste
6) Indicatori di efficacia
1. Definizione dell'obiettivo generale
Sono tutte quelle azioni che poniamo in essere per raggiungere un obiettivo
specifico. Sono progettate sulla base delle capacità del singolo utente
destinatario del progetto e possono coinvolgere le seguenti aree:
- area cognitiva (orientamento alla realtà, reminiscenza, esercizi di
vocabolario, organizzazione logica di informazione, stimolazione sensoriale);
- area del comportamento (terapia occupazionale, rimotivazione, validazione
emotiva);
- area delle abilità funzionali (programmi educativi sull’alimentazione, igiene,
abbigliamento);
6. Valutazione (fase fondamentale)