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Fasi Evolutive della Famiglia

“Nei famosi e favolosi anni post Sessantotto, il libero amore aveva fatto teorizzare a
comunità libere di persone un modello di famiglia diverso da quella che ci impone la
“tradizione”. Una famiglia libera, fondata sull'amore libero, in cui i figli sono di tutti, sono in
comune. Perché in comunità del genere si può sapere chi è la madre, ma non si può
sapere con certezza chi è il padre. Il potere ha bisogno della famiglia, mantiene l'ordine
anagrafico per avere il controllo. Se vuoi controllare una società devi atomizzarla e così è
stata favorita la famiglia “tradizionale”, che ora spacciano per “naturale”, ma che in realtà è
una costruzione assolutamente artificiale. Difatti la famiglia è la cellula più piccola che c'è
nella società. E intesa come la intendono i difensori delle “famiglia naturale” è una
invenzione bella e buona. In natura non esiste la famiglia, in natura esiste il branco, lo
stormo, la mandria, il banco e via dicendo. Anche per noi, fino alla fine dell'Ottocento la
famiglia era molto più larga. E non solo perché si avevano più figli. Non era una famiglia
mononucleare, era una comunità. La società si divideva in contrade, in rioni, in cascine, in
fattorie, in casolari, aggregazioni molto più larghe, sono forme collettive di comunità.
Questa composizione sociale evitava tutte le situazioni, che ora sembrano intensificarsi, di
violenza in famiglia. Mariti che uccidono le mogli e poi si ammazzano, madri che uccidono
i figli e poi si ammazzano. Fino a un secondo prima nessuno sospettava nulla, “erano una
famiglia normale”, dicono tutti. Succede perché ogni famiglia è isolata dalle altre. Esistono
dirimpettai che non sanno nemmeno come si chiamano. Questo tipo di famiglia, la famiglia
che chiamano “tradizionale”, è funzionale al potere perché frammenta la società e la rende
sempre più controllabile, più inerte. Ognuno pensa per sé e le organizzazione politiche
collettive come i sindacati perdono sempre più potere.”
Milo Manara

Peter Laslett, ha delineato cinque tipi di famiglie attualmente presi come riferimento dalla
sociologia:

● nucleare​, cioè formata da una sola unità coniugale marito-moglie, non


necessariamente con figli;

● estesa​, ovvero una famiglia nucleare più uno o più parenti (padre, madre, fratello o
sorella) conviventi;

● multipla​, cioè formata da due o più unità coniugali (verticale se convivono


padre/madre e figlio/figlia con il rispettivo partner, orizzontali se convivono fratelli o
sorelle con il rispettivo partner);

● senza struttura coniugale​, cioè semplicemente convivono dei consanguinei (un


genitore solo coi figli, fratelli e sorelle senza genitori e senza partner);

● solitaria​ è una famiglia formata da una sola persona.


Salvador Minuchin ​intraprende lo studio e l’analisi della famiglia da un punto di vista
strutturale, concependo la famiglia come un sistema caratterizzato da una struttura ben
definita; con il termine di struttura familiare si indica “l’invisibile insieme di richieste
funzionali che determina i modi in cui i componenti della famiglia interagiscono”.

Per essere funzionale, un sistema deve essere sufficientemente flessibile e adattarsi ad


eventuali richieste evolutive o ambientali, oltre ad avere una struttura sana sulla base di
due aspetti fondamentali, ovvero:

La gerarchia​, ovvero la struttura del potere, intesa come espletamento delle competenze
genitoriali: per il corretto funzionamento di una famiglia, occorre una solida gerarchia, in
cui i genitori siano capaci di fare i genitori (questo è quello che Hellinger chiama l’Ordine);

I confini​, intesi come l’insieme di regole che definiscono il passaggio di informazione:


sono importanti soprattutto per il loro scopo protettivo nei confronti dei bambini, che non
dovrebbero avere accesso a contenuti e informazioni violente, ad esempio, o a problemi
relazionali o economici degli adulti. I confini disfunzionali sono i confini diffusi e i confini
rigidi: i primi lasciano passare troppe informazioni, e i problemi di uno sono i problemi di
tutti (e creano la famiglia “invischiata”), i secondi non permettono la comunicazione, e non
ci si sente visti, accolti e ascoltati (e generano la famiglia “disimpegnata”).

La famiglia, intesa come il sistema vivente di riferimento principale nell’esperienza emotiva


di una persona, è il primo contesto esperienziale all’interno del quale i sintomi, le malattie,
i problemi assumono una funzione precisa per il funzionamento relazionale del gruppo di
persone che ne fanno parte.

I conflitti che tendono a disgregare il sistema-famiglia, creano una tensione emotiva che di
solito viene vissuta in termini drammatici dal soggetto portatore del sintomo; egli si fa
carico, attraverso la manifestazione dei sintomi, di distogliere i membri della famiglia
dall’affrontare in modo manifesto le proprie difficoltà di relazione, accentrando l’attenzione
su di sé.

Il sintomo ha quindi una doppia valenza: segnala alla famiglia l’esistenza di un disagio e,
nello stesso tempo, rende innocuo il suo potere distruttivo, accentrando su di sé tutte le
preoccupazioni degli altri membri.

Il ciclo vitale familiare

Un altro importante elemento da tenere presente quando ci troviamo alle prese con una
Costellazione Familiare e con un eventuale irretimento è quello di chiederci se tutti i cicli
vitali dell’evoluzione del sistema familiare sono stati effettuati correttamente.

Il ciclo vitale familiare rappresenta un modello evolutivo che esamina e descrive i


cambiamenti che tipicamente avvengono in una famiglia nel corso degli anni.

Si articola in una serie di fasi, ognuna delle quali deve essere superata perché si possa
passare con successo alla successiva.
In occasione di ciascuna fase il sistema familiare si trova a confrontarsi con una situazione
nuova che richiede un cambiamento nell’organizzazione del sistema stesso, in quanto le
precedenti modalità di funzionamento non risultano più adeguate.

È importante notare che, in ogni punto di transizione del ciclo vitale, tre o quattro
generazioni si trovano a dover cambiare insieme.

Per esempio, nella fase della famiglia con un figlio adolescente il punto nodale della
transizione non è rappresentato solo dal figlio che inizia la fase di svincolo, ma anche dai
genitori che debbono venire a patti con la sua crescente autonomia e dai nonni che
devono accettare un’età avanzata ormai sopraggiunta.
 
Se si incontrano difficoltà in questo processo di cambiamento, il ciclo vitale può bloccarsi,
oppure la tappa in questione può venire superata in modo incompleto.

Il blocco del ciclo vitale si verifica quando, nel corso di una determinata fase, non
avvengono le ridefinizioni delle relazioni interpersonali e la riorganizzazione del sistema
che sarebbero necessarie per passare alla fase successiva.

Si parla di passaggio incompleto quando il passaggio alla fase successiva avviene


soltanto apparentemente, senza che si siano in realtà modificate le relazioni interpersonali
e le modalità di funzionamento del sistema familiare.

È per esempio il caso di una persona che si sposa senza essersi sufficientemente
differenziata dalla propria famiglia d’origine.

La famiglia, nel corso del suo ciclo di vita, incontra degli eventi critici che caratterizzano
specifiche fasi e la cui risoluzione permette il passaggio alla fase successiva.

Si può operare una distinzione tra eventi critici prevedibili o normativi (eventi che la
maggior parte degli individui e delle famiglie incontra nel corso del proprio ciclo di vita e
che sono in un certo senso attesi, come matrimonio, nascita dei figli, crescita, ecc.) ed
eventi critici imprevedibili o paranormativi (eventi che, anche se frequenti, non sono del
tutto prevedibili, come crisi economiche, malattie, morti premature, ecc.).

Il passaggio da una fase all’altra è un processo di continua ristrutturazione dei rapporti tra i
membri della famiglia.

Ogni passaggio è caratterizzato dalla crisi delle vecchie modalità interattive e dalla
richiesta di nuove modalità evolutive.

I compiti di sviluppo

Ciascun evento critico introduce dei compiti di sviluppo che si possono definire come quei
compiti psicosociali che la famiglia deve affrontare per rispondere alle esigenze di
trasformazione e di crescita caratteristiche di quel momento evolutivo.
La formazione della coppia

Durante la fase della formazione della coppia il principale evento critico da affrontare è il
processo della relazione di coppia, sia sotto forma di matrimonio che di convivenza.

I compiti di sviluppo che caratterizzano questa fase del ciclo vitale sono i compiti di
sviluppo della relazione di coppia

- costruire una nuova identità di coppia, negoziare sui vari aspetti della vita quotidiana,
attuare un rapporto di reciprocità nel rispetto dell’altro, prefigurare un progetto generativo,
ascoltare l’altro;

- compiti di sviluppo come figli: definire confini di coppia chiari, realizzare un equilibrio tra
lealtà verso i genitori e quella verso il proprio partner (differenziazione e distacco dalla
famiglia d’origine);

- compiti di sviluppo con l’ambiente esterno: condividere le relazioni amicali, trovare uno
spazio per le amicizie individuali, supportare e valorizzare l’impegno sociale del partner.

Nascita del primo figlio

La nascita del primo figlio introduce la coppia in un nuovo stadio del ciclo vitale e introduce
i partners a tutti gli effetti, nell’età adulta.

I compiti di sviluppo che caratterizzano questa fase si dividono in:

- compiti di sviluppo come coppia: includere nella relazione di coppia aspetti connessi alla
genitorialità, ridefinire le modalità comunicative all’interno della coppia, stabilire confini
chiari tra il sistema coniugale e quello genitoriale;

- compiti di sviluppo come genitori: assumere il ruolo genitoriale (negoziazione dei


compiti), prendersi cura del bambino, fornire un valido modello di attaccamento affettivo ed
educativo al figlio;

- compiti di sviluppo come figli: ristrutturare le relazioni con i propri genitori attraverso il
comune ruolo genitoriale, definire le aspettative nei confronti dei propri genitori
individuando le diverse regole del ruolo e delle funzioni dei nonni e dei genitori.

La crescita dei figli

I compiti tipici di questa fase sono:

- compiti di sviluppo come coppia: mantenere confini chiari tra il sottosistema coniugale e il
sottosistema genitoriale, continuare a investire nella coppia e nei propri interessi;
- compiti di sviluppo come genitori: adempiere ai compiti di crescita e accudimento dei figli,
aiutare i figli a confrontarsi con la realtà sociale ed extrafamiliare, gestire i rapporti con la
scuola;

- compiti di sviluppo come figli: costruire una relazione sempre più paritaria con i propri
genitori, coinvolgere i nonni, nel rispetto dei confini reciproci, nella cura dei nipoti.

L’adolescenza dei figli e la crisi dell’età di mezzo dei genitori

I compiti di sviluppo caratterizzanti questa fase sono:

- compiti di sviluppo coniugali: ridefinire la relazione coniugale e reinvestire in essa,


valorizzare l’attività lavorativa e professionale di ciascuno dei due partners, coltivare gli
interessi culturali e sociali come singoli e come coppia;

- compiti di sviluppo come genitori: rinegoziare le relazioni genitori-figli al fine di consentire


l’individuazione dei figli, aumentare la flessibilità dei confini familiari e permettere lo
svincolo progressivo dei figli, fornire una guida sicura e validi modelli di identificazione;

- compiti di sviluppo come figli: mantenere un rapporto equilibrato con la famiglia d’origine
(confini chiari), accettare il processo di invecchiamento della generazione precedente.

L’uscita di casa dei figli e l’acquisizione dello status di adulto degli


stessi

I compiti di sviluppo che caratterizzano questa fase sono:

- compiti di sviluppo coniugali: reinvestire nella relazione coniugale, crearsi nuovi interessi
e occupazioni, prepararsi al momento di uscita da casa dei figli;

- compiti di sviluppo come genitori: stabilire una relazione adulto-adulto con i figli, aiutare i
figli a separarsi e acquisire piena responsabilità adulta, accrescere la flessibilità dei confini
per far fronte alla molteplicità di uscite (figlio) e di entrate (eventuale partner del figlio);

- compiti di sviluppo come figli: prendersi cura della generazione anziana.

Età anziana: pensionamento, diventare nonni, eventuale malattia e


morte

I compiti di sviluppo tipici di questa fase sono:

- compiti di sviluppo coniugali: impegnarsi nella coppia, far fronte alla malattia propria o del
coniuge, accettare la morte del coniuge e prepararsi alla propria, mantenere vivi gli
interessi anche fuori della famiglia;
- compiti di sviluppo come genitori: aprire i propri confini a nuore o generi, fare spazio e
riconoscere ai figli il ruolo genitoriale, essere presenti nella vita dei nipoti, accettare la
progressiva parificazione dei ruoli superando la barriera gerarchica intergenerazionale;

- compiti di sviluppo come figli: sostenere e curare la generazione precedente (se ancora
viva), coltivare l’eredità e il ricordo della generazione precedente, condividere l’esperienza
della morte dei genitori.

La differenziazione del sé nel sistema familiare


La triangolazione: quando le relazioni diventano tossiche

In psicologia, il termine triangolazione identifica una specifica dinamica relazionale nella


quale la comunicazione e le interazioni tra due individui non avvengono direttamente, ma
sono mediate da una terza persona.
Il concetto di triangolazione si è sviluppato principalmente nell’ambito della terapia
familiare (Bowen, 1985) per identificare una modalità di gestione della tensione e dei
conflitti all’interno di un rapporto significativo.
Secondo Bowen, i rapporti diadici (es. tra marito e moglie, tra fratelli, o tra genitore e figlio)
sono intrinsecamente instabili durante situazioni di stress.
Quando tali situazioni si verificano, si ricorre quindi ad una terza persona che viene messa
in causa per diminuire o gestire lo stress.
Anche se la triangolazione non è di per sé negativa, un utilizzo abituale di questa strategia
può diventare un vero e proprio elemento di tossicità psicologica all’interno di un rapporto
affettivo.
Ad esempio, uno dei due partner potrebbe rivolgersi alla madre ogniqualvolta emerge un
problema all’interno della coppia, telefonandole e lamentandosi con lei.
Il conflitto tra i due partner non viene quindi risolto all’interno della coppia, ma viene
“deviato” verso una terza persona.
In questi casi, il partner escluso si trova ad occupare una posizione di debolezza all’interno
di un triangolo relazionale, dove agli altri due estremi si trovano la madre del partner e il
partner stesso, i quali, coalizzandosi, occupano una posizione di superiorità.
Questo tipo di dinamica relazionale sarà vissuta in maniera negativa dall’elemento debole
della configurazione triangolare, il quale si sentirà escluso dalla relazione e proverà stress
e sentimenti negativi.
All’interno di sistemi familiari particolarmente disfunzionali, la triangolazione può anche
coinvolgere i figli, i quali vengono chiamati in causa da uno o da entrambi i genitori per
gestire o diminuire lo stress emotivo legato al loro conflitto interpersonale.
In questo modo, si vengono a formare diverse tipologie di configurazioni triangolari
accomunate dalla impossibilità di risolvere il conflitto interpersonale in maniera sana e
funzionale.
Ad esempio, durante una separazione uno dei genitori può cercare un’alleanza con il figlio
nei confronti dell’altro genitore, il quale quindi si troverà in una situazione molto stressante,
in quanto impegnato ​in un confronto-scontro con l’altro genitore, alterando quindi le
dinamiche relazionali generazionali.
Al di là dell’intensità del conflitto e del livello di disfunzionalità della configurazione
triangolare, la triangolazione ​è spesso una modalità di relazione che non solo non elimina
l’essenza del problema all’interno della coppia, che anzi viene congelato o addirittura
esasperato, ma può avere un impatto molto negativo sul benessere psicologico e sullo
sviluppo emotivo del figlio, causando stress, ansia, sintomi depressivi e altri problemi di
salute mentale (Wang & Crane, 2001).
La triangolazione non si limita al contesto familiare, ma può presentarsi in qualsiasi
contesto in cui la relazione tra due o più individui è significativa dal punto di vista affettivo
(es. tra amici o fratelli) o lavorativo (es. tra colleghi).
Nella letteratura psicodinamica, la triangolazione come modalità relazionale abituale viene
associata a tratti di personalità disfunzionali, come ad esempio il disturbo narcisistico o il
disturbo borderline di personalità (es. Melges & Swartz, 1989).
In questi casi, l’inserimento di una terza persona in una relazione diadica significativa può
avere una funzione di controllo della relazione stessa.
Ad esempio, durante una discussione, uno dei due partner potrebbe chiamare in causa
uno o più parenti o amici al fine di rafforzare la propria posizione nei confronti del partner.
Frasi del tipo “Lo ha sempre detto mio padre che sei un buono a nulla!” hanno lo scopo,
sia esso conscio o inconscio, di rafforzare la propria posizione nei confronti del partner,
disorientandolo e riducendolo ad una posizione di inferiorità psicologica.
Come già accennato, è importante sottolineare che la triangolazione non è una dinamica
necessariamente malsana o disfunzionale.
Ad esempio, secondo Bowen, alcune triangolazioni sono normali e persino funzionali
durante lo sviluppo psicologico nel corso delle interazioni familiari.
Proprio perché le relazioni diadiche sono intrinsecamente instabili, il coinvolgimento di una
terza parte può aiutare due persone nel superare momenti di alta conflittualità o di stress
emotivo.
Ad esempio, un genitore può intervenire per regolare un conflitto tra due bambini che
litigano per lo stesso giocattolo.
In questo caso, la triangolazione si può configurare in maniera funzionale in quanto
entrambe le persone nella diade cercano una mediazione sana ed efficace.
La triangolazione diventa dunque disfunzionale quando causa eccessivo stress alla terza
parte della configurazione triangolare, quando impedisce la risoluzione del conflitto della
diade anziché contribuire a risolverlo, e/o quando viene utilizzata deliberatamente per
garantirsi un maggior controllo della relazione.

Riferimenti bibliografici
Bowen, M. (1985). ​Family therapy in clinical practice. Jason Aronson.
Melges, F. T., & Swartz, M. S. (1989). Oscillations of attachment in borderline personality
disorder. ​The American journal of psychiatry, 146(9), 1115.
Wang, L., & Crane, D. R. (2001). The relationship between marital satisfaction, marital
stability, nuclear family triangulation, and childhood depression. ​American Journal of
Family Therapy, 29(4), 337-347.

Schieramenti, triadi e triangoli

Il sistema familiare si differenzia e svolge le sue funzioni grazie ai sottosistemi che lo


compongono.

L’individuo rappresenta un sottosistema del sistema famiglia.

Ciascun individuo appartiene a diversi sottosistemi (coniugale, genitoriale, filiale) in cui ha


differenti gradi di potere e dove acquista capacità differenziate.

Il sottosistema coniugale modella per il bambino la natura dei rapporti intimi.

Questi modelli divengono a qualche livello parte dello schema di vita del piccolo per
essere esplorati più avanti.

Il sottosistema genitoriale, che può comprendere nonni o cugini, assolve alle funzioni
familiari di allevamento dei figli, di guida e di controllo.

Le transazioni che avvengono in questo sottosistema insegnano al bambino come


comunicare ciò che vuole e cosa aspettarsi da persone che hanno più forza e più risorse;
impara se riceverà appoggio nei suoi bisogni ed i modi di risoluzione dei conflitti.

Man mano che il bambino cresce e i suoi bisogni cambiano, dovranno cambiare anche i
modelli di funzionamento.

Il sottosistema di fratelli e/o sorelle è il contesto in cui i bambini sviluppano modelli di


contrattazione, di cooperazione, di competizione.

In questo rapporto di reciprocità i bambini assumono posizioni diverse e questo processo


promuove il loro senso di appartenenza ad un gruppo e il loro senso di individuazione
all’interno del sistema.

È il sottosistema che consente di acquisire le abilità interpersonali necessarie per entrare


in contatto con i gruppi extrafamiliari dei coetanei e, più tardi, con il mondo del lavoro.
La complessità delle interazioni all’interno di un sistema familiare e l’impegno emotivo
presente di regola in una famiglia favoriscono la costituzione di configurazioni che sono
come minimo formate da tre individui.

Le configurazioni a tre vengono solitamente denominate triadi o triangoli.

Il concetto di triade proposto da Minuchin è più statico e maggiormente caratterizzato in


senso strutturale come descrizione di tre sistemi interrelati.

Il concetto di triangolo ha, invece, un carattere più dinamico e descrive i percorsi dei
processi emozionali che permettono il flusso costante delle tensioni relazionali tra i membri
di una famiglia.

Da un punto di vista strutturale, in un sistema ben funzionante la flessibilità dei confini può
permettere che, occasionalmente, tensioni esistenti all’interno di un sottosistema possano
passare attraverso altri sottosistemi in modo da ridursi.

Tuttavia, se questa modalità di scarico della tensione in un sottosistema diventa abituale,


si ha la formazione di quella che Minuchin ha definito triade rigida, ovvero una struttura
triadica nella quale il confine tra il sottosistema genitoriale e il figlio è diffuso, mentre il
confine intorno alla triade genitori – figlio risulta eccessivamente rigido (Minuchin 1974).

L’autore ha formulato una sorta di classificazione delle triadi rigide (triangolazione,


coalizione, deviazione).

Ecco alcuni esempi di configurazioni triangolari (Minuchin S, 1980):


La triangolazione descrive una situazione in cui due genitori in conflitto aperto o
dissimulato tentano entrambi di procacciarsi la simpatia o l’appoggio del figlio contro l’altro
genitore determinando un intenso conflitto di fedeltà nel figlio.

Il triangolo inammissibile: due genitori in conflitto cercano entrambi una alleanza con il
figlio, allo scopo di costituire una coalizione contro l’altro genitore; questo tipo di schema
triangolare, con due lati positivi, è molto stressante per il figlio coinvolto perchè comporta
un intenso conflitto di lealtà.
Coalizione genitore-figlio: il conflitto genitoriale è esplicito e l’alleanza tra uno dei
genitori e il figlio è stabile. In questi casi spesso il figlio si allea protettivamente con il
genitore che sente più debole o fragile, prendendo il suo posto in un paradossale
confronto (o scontro) “alla pari” con l’altro genitore; piani e i confini generazionali risultano
del tutto alterati.
Deviazione-attacco: il figlio è un capro espiatorio, il suo comportamento è cattivo e
distruttivo, i genitori si associano per controllarlo: la relazione matrimoniale è spesso priva
di conflittualità ma i sintomi comportamentali del figlio spesso rappresentano “il braccio
armato del conflitti generazionali negati o irrisolti” (Andolfi M, 2010)
Deviazione appoggio: anche in questo caso i coniugi mascherano le loro differenze e
celano il conflitto concentrandosi entrambi iperprotettivamente sul bambino che viene
definito “malato”. È una caratteristica tipica delle famiglie in cui i disturbi si esprimono in
modo psicosomatico.
La maggior parte dei disturbi del comportamento dei bambini ricade in questa categoria.

In una triade deviazione-appoggio i genitori sono capaci di mascherare le loro differenze


concentrandosi su un bambino che viene definito “malato” e nei cui confronti i genitori
mostrano un interesse iperprotettivo.

Ciò li avvicina reciprocamente, ed è una caratteristica frequente di famiglie in cui la


tensione si esprime attraverso disturbi psicosomatici, ma, al pari delle precedenti tipologie
di triadi, può essere ritrovata in famiglie in cui i bambini hanno problemi diversi.

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